KATHARINE KERR IL DESTINO DI DEVERRY (The Bristling Wood, 1989) Alla memoria di Raymond Earle Kerr, Jr. 1917-87 ufficial...
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KATHARINE KERR IL DESTINO DI DEVERRY (The Bristling Wood, 1989) Alla memoria di Raymond Earle Kerr, Jr. 1917-87 ufficiale e gentiluomo GLOSSARIO Aber (Deverriano) Lo sbocco di un fiume, un estuario. Alar (Elfico) Un gruppo di elfi che possono essere o non essere imparentati e che acconsentono a viaggiare e a vivere come una singola unità. Alardan (Elf) L'incontro di parecchi alarli, di solito occasione per festeggiare e ubriacarsi. Angwidd (Dev) Inesplorato, sconosciuto. Arconte (traduzione del bardekiano atzenalern) Il capo elettivo di una città-stato (in bardekiano at) Astrale Il piano dell'esistenza direttamente «al di sopra» o «all'interno» dell'eterico. In altri sistemi di magia è spesso indicato come l'Archivio Akashic o lo scrigno d'immagini. Aura Il campo di energia elettromagnetica che permea un essere umano ed emana da esso. Aver (Dev) Un fiume. Brigga (dev) Ampi calzoni indossati da uomini e ragazzi. Broch (dev) Tozza abitazione a forma di torre. Una volta, nella Terra d'Origine, quelle torri avevano un grande focolare al centro e parecchie piccole stanze lungo i lati, ma al tempo del nostro racconto quella struttura architettonica era stata ormai rimpiazzata da normali piani con focolari e camini su entrambi i lati della costruzione. Cadvridoc (dev) Un condottiero di guerra. Non un generale nel senso letterale del termine, il cadvridoc deve accettare i consigli dei nobili che servono ai suoi ordini ma la decisione finale spetta a lui di diritto. Capitano (traduzione dal deverriano pendaely) Il secondo in comando in una banda di guerra dopo il nobile a cui essa appartiene. È interessante notare che il termine taely può indicare tanto una banda di guerra quanto una famiglia, a seconda del contesto in cui è usato. Conaber (elf) Strumento musicale simile alla fistola ma con una gamma
ancora più limitata. Corpo di Luce Una forma di pensiero artificiale costruita da un maestro del dweomer per permettergli di viaggiare attraverso gli altri piani dell'esistenza. Cwm (dev) Una valle. Dal (elf) Un lago. Doppione Eterico La vera sostanza di una persona, la struttura elettromagnetica che tiene insieme il corpo fisico e che costituisce la vera sede della consapevolezza. Dun (dev) Una fortezza. Dweomer (traduzione dal deverriano dwunddaevaed) In senso stretto è un sistema di magia che mira all'illuminazione attraverso l'armonia con l'universo naturale in tutti i suoi piani e le sue manifestazioni; in senso popolare equivale a magia, stregoneria. Elcyion Lacar (Dev) Gli elfi. Letteralmente, gli «spiriti lucenti». Eterico Il piano dell'esistenza direttamente «al di sopra» di quello fisico. Con la sua sostanza magnetica e le sue correnti esso trattiene materia fisica in una rete invisibile ed è fonte di vita. Evocare una visione L'arte di vedere a distanza luoghi o persone mediante la magia. Forma di pensiero Un'immagine o forma tridimensionale che è stata modellata con sostanza eterica o astrale mediante l'azione di una mente addestrata. Se un numero sufficiente di menti addestrate operano congiuntamente per costruire una stessa forma di pensiero essa esisterà indipendentemente per un periodo di tempo proporzionale alla quantità di energia riversata in essa. Le manifestazioni di dèi e di santi sono spesso forme di pensiero avvertite da chi ha molta intuizione o un accenno di seconda vista. Geis Un tabù, di solito la proibizione di fare qualcosa. Infrangere un geis comporta la contaminazione rituale e di solito la morte di chiunque creda fermamente in questo concetto, o tramite una morbosa depressione o mediante un «incidente» autoprovocato. Gerthddyn (dev) Letteralmente «uomo della musica». Menestrello e intrattenitore girovago di livello molto inferiore a quello di un bardo. Giavellotto (traduzione dal deverriano picecl) Dal momento che l'arma in questione è lunga appena novanta centimetri, il lettore deve evitare di pensare ad essa come ad una vera e propria lancia o ad uno di quegli enormi giavellotti usati nei moderni giochi olimpici.
Grandi Spiriti ora disincarnati ma un tempo umani, che esistono su un piano inconoscibilmente elevato e che hanno dedicato loro stessi all'illuminazione di tutti gli esseri senzienti. I Buddisti li definiscono Bodhisattvas. Hiraedd (dev) Una particolare forma celtica di depressione, contrassegnata da un profondo e tormentoso desiderio per una cosa impossibile a ottenersi; inoltre e in particolare, è un senso di nostalgia elevato all'ennesima potenza. Luce azzurra Altro nome con cui indicare l'eterico. Lwdd (dev) Un prezzo di sangue. Differisce dal wergild per il fatto che in alcune circostanze l'ammontare del lwdd può essere contrattato invece di essere prestabilito dalla legge. Malover (dev) Una corte formale che comprende tanto un sacerdote di Bel quando un gwerbret o un tieryn. Melim (elf) Un fiume. Mor (dev) Un mare, un oceano. Pecl (dev) Lontano, distante. Rhan (dev) Unità politica di territorio; tali sono il gwerbretrhyn e il tierynrhyn, rispettivamente aree poste sotto il diretto controllo di un gwerbret o di un tieryn. Le dimensioni dei diversi rhannau variano ampiamente, a seconda delle eredità e della fortuna in guerra piuttosto che a seconda di una definizione politica. Sigillo Una figura magica astratta, di solito rappresentante un particolare spirito o un particolare potere o tipo di energia. Queste figure, che somigliano molto a scarabocchi geometrici, vengono derivate secondo svariate regole da diagrammi magici segreti. Sottoporre a incantesimo Ipnotizzare una persona mediante diretta manipolazione della sua aura piuttosto che manipolandone la consapevolezza per influenzare l'aura. Spiriti Esseri viventi anche se incorporei che appartengono ai diversi piani e alle diverse forze dell'universo. Soltanto gli spiriti elementari, il Popolo Fatato (traduzione dal deverriano elcyion goecl) si possono manifestare direttamente sul piano fisico. Gli altri hanno bisogno di un veicolo di qualche tipo come una gemma, incenso, fumo o il magnetismo esalato dal sangue appena versato. Taer (dev) Territorio, paese. Tieryn (dev) Un grado nobiliare intermedio, inferiore a quello di gwerbret ma superiore a quello di un nobile comune (deverriano arcloedd)
Wyrd (traduzione dal deverriano tingedd) Fato, destino. Gli inevitabili problemi residuati dall'ultima incarnazione precedente. Ynis (dev) Isola. PERSONAGGI E LORO INCARNAZIONI ATTUALE CA. 840 Nevyn Nevyn Rhodry Maddyn Jill Branoic Cullyn Owaen Blaen Caradoc Gwin Aethan NOTE SULLA PRONUNCIA DELLA LINGUA PARLATA A DEVERRY La lingua parlata a Deverry è pre-celtica, quindi anche se strettamente collegata al gallese, al bretone e al cornovagliese, non è identica a nessuna di queste lingue esistenti, e non deve essere scambiata per tale. Gli scrivani di Deverry distinguono le vocali in due categorie: nobili e comuni. Quelle nobili hanno due pronunce diverse, quelle comuni una sola. A come in father quando è lunga; quando è breve, si usa una versione più corta dello stesso suono, come in far. O come in bone quando è lungo; come in pot quando è breve. W come l'oo di spook quando è lungo; come quello di roof quando è breve. Y come la i di machine quando è lungo; come la e di butter quando è breve. E come in pen. I come in pin. U come in pun. Le vocali sono generalmente lunghe nelle sillabe accentate, brevi in quelle non accentate. La Y costituisce l'eccezione fondamentale a questa regola, perché quando compare come ultima lettera di una parola è sempre lunga, indipendentemente dal fatto che la sillaba sia accentata o meno. I dittonghi hanno una pronuncia costante. AE come in mane.
AI come in aisle. AU come il suono ow in how. EO come una combinazione dei suoni eh ed oh. EW come in gallese, una combinazione dei suoni eh ed oo. IE come in pier. UI come il suono wy nel gallese del nord: una combinazione dei suoni oo ed ee. È da notare che OI non costituisce mai un dittongo ma genera invece due suoni distinti, come in carnoic (KAR-noh-ik). Le consonanti sono come in inglese, con le seguenti eccezioni: C è sempre un suono duro, come in cat. G è sempre un suono duro, come in get. DD si pronuncia come il th di thin o di breathe, ma il suono si fa sentire molto più che in inglese e si contrappone al TH, che è il suono muto, come in the o in breath. R è un suono molto marcato. RH è una R muta, pronunciata più o meno come se fosse scritta hr. DW, GW e TW formano un suono unico, come in Gwendolen e in twit. Y non è mai una consonante. I è considerata una consonante se posta davanti a vocale all'inizio di una parola, e questo vale anche per la desinenza plurale -ion. Le consonanti doppie vengono sempre pronunciate chiaramente entrambe, al contrario di quanto accade in inglese; è da notare però che DD è considerato una consonante unica. L'accento cade di solito sulla penultima sillaba, ma i nomi composti e i nomi di luoghi costituiscono spesso un'eccezione a tale regola. Nel complesso, ho trascritto i nomi e i vocaboli elfici e bardekiani sulla base del sistema di ortografia sopra esposto, che è naturalmente basato più sul greco che sul romano e che nel complesso funziona abbastanza bene, almeno per quanto concerne la lingua del Bardek. Quanto alla lingua elfica, in un'opera di questo tipo l'uso dell'intero apparato con il quale gli studiosi cercano di rappresentare le sottigliezze e le sfumature delle diverse lingue avrebbe soltanto creato confusione e sarebbe risultato pesante. Per esempio, l'orecchio umano non è in genere in grado di cogliere le differenze esistenti fra suoni come B > e B <, quindi non vedo perché si dovrebbe cercare di fare una distinzione sulla carta stampata. Devo molti ringraziamenti alle svariate persone di lingua elfica che mi hanno suggerito quali
consonanti scegliere nei casi più confusi e che hanno faticato, purtroppo invano, per sensibilizzare il mio orecchio al sistema di vocali usato dagli Elfi. Nota sul metodo di datazione L'Anno Primo del calendario di Deverry coincide con la fondazione della Città Sacra o meglio, per essere più accurati, con l'anno in cui Re Bran vide il presagio della scrofa bianca che gli indicò dove costruire la sua capitale, e corrisponde approssimativamente al 76 C.E. Per il profitto dei re, bene egli fece ad attaccare le schiere del paese, l'irta lignea foresta di lance, il periglioso flusso dei nemici Il Gododdin di Aneirin, Stanza A,84 PROLOGO PRIMAVERA 1065 Spesso, coloro che studiano il dweomer si lamentano che esso parla per enigmi. C'è un motivo per questa sua ermeticità. Quale? Ecco, si dà il caso che questo sia già di per sé un enigma. Il Libro segreto di Cadwallon il Druido Sulle pianure erbose a occidente del regno di Deverry, i concetti di «giorno» e di «mese» non avevano significato e l'anno scorreva lento secondo il ritmo delle stagioni: le aspre piogge invernali, quando l'erba si tingeva di un verde azzurrino e il cielo grigio sembrava incombere vicino alla terra; le piene primaverili quando i fiumi si gonfiavano fino a superare le rive e formavano pozze intorno ai salici e ai noccioli che si ammantavano del verde pallido delle prime foglie novelle; l'arida estate in cui l'erba si vestiva di una chiara tinta dorata e accendere un fuoco era pericoloso; le prime sommesse piogge autunnali sotto le quali i fiori selvatici sbocciavano per breve tempo in un tripudio di porpora e di oro. Sospingendo dinanzi a sé le sue mandrie di cavalli e i greggi di pecore, il Popolo migrava verso nord d'estate e a sud con il freddo invernale, e nei suoi spostamenti prestava attenzione soltanto alle piccole cose... il primo cervo che perdeva le
corna o il crescere delle ultime fragole. Dal momento che gli dèi del Popolo erano sempre presenti e ne condividevano i lunghi vagabondaggi, esso non aveva bisogno di grandi feste o di speciali ricorrenze per onorarli: quando capitava che due o tre alarli... i gruppi privi di una vera e propria organizzazione in cui il Popolo si divideva per viaggiare... s'incontrassero, si teneva una festa per celebrare il ricongiungimento momentaneo. C'era però un giorno dell'anno che si distingueva da tutti gli altri, e cioè l'equinozio di primavera che di solito coincideva con l'inizio delle piene. Nelle alte montagne del lontano nord la neve cominciava a sciogliersi e riversava sulle pianure erbose una marea di acqua proprio come un'altra marea... una marea di sangue... si era abbattuta su di esse dal nord nel lontano passato. Anche se i singoli individui di quella razza vivevano in media circa cinquecento anni, ormai fra essi non restava più in vita nessuno che fosse stato presente in quegli anni cupi, ma il Popolo non aveva dimenticato e faceva in modo che i suoi figli ricordassero sempre il giorno dell'equinozio, quando gli alarli si raccoglievano in gruppi di dieci o dodici per il Giorno della Commemorazione. Sebbene fosse impaziente di dirigersi ad est alla volta di Deverry, Ebañy Salomonderiel non avrebbe quindi mai lasciato le terre elfiche finché non fosse passata la celebrazione di quello che era il più santo e spaventoso dei giorni. Insieme a suo padre, il bardo Devaberiel Mano d'Argento, si allontanò dalla costa del mare diretto verso la congiunzione dei fiumi Corapan e Delonderiel, vicino al tratto di foresta primordiale che indicava il confine delle pianure erbose, e come entrambi si erano aspettati là trovarono un alardan, cioè un raduno di clan. Sparse fra l'erba alta c'erano duecento tende dipinte di rosso, di porpora e di azzurro, mentre i cavalli e le pecore pascolavano tranquilli poco lontano; ad una certa distanza dalle altre, poi, spiccavano dieci tende prive di pitture e rozzamente ricavate da pelli conciate con poca cura. — Per il Sole Oscuro! — commentò Devaberiel, — sembra che alcuni membri del Popolo della Foresta siano venuti ad unirsi a noi. — Bene. Era ora che smettessero di aver paura della loro stessa gente. Devaberiel annuì in segno di assenso. Il bardo era un uomo particolarmente attraente, con i capelli chiari quanto la luce lunare, gli occhi infossati di un azzurro cupo e intenso dalle pupille verticali come quelle dei gatti ed eleganti orecchi dalla forma allungata e appuntita. Anche se aveva ereditato i capelli chiari del padre, per altri aspetti Ebañy somigliava invece alla razza umana a cui era appartenuta sua madre: gli occhi grigio fumo
avevano le iridi rotonde e gli orecchi, per quanto affusolati, non attiravano l'attenzione quando lui circolava fra gli umani. I due continuarono a cavalcare tirandosi dietro otto cavalli, un paio dei quali trascinavano i travois su cui trasportavano tutto ciò che possedevano... dal momento che Devaberiel era un bardo e suo figlio un gerthddyn, cioè una sorta di menestrello cantastorie, nessuno dei due aveva bisogno di vaste mandrie che gli dessero di che mantenersi; quando furono vicini alle tende i membri del Popolo vennero loro incontro per accoglierli, salutando il bardo e contendendosi l'onore di offrire da mangiare a lui e a suo figlio. I due scelsero di piantare la loro tenda rosso rubino vicino a quella di Tanidario, una donna che era anche una vecchia amica del bardo. Sebbene Tanidario avesse spesso dato consigli a suo padre e lo avesse aiutato ad allevare il figlio mezzosangue, Ebañy trovava difficile pensare a lei come ad una madre perché al contrario della sua vera madre di Eldidd, che lui ricordava vagamente come una donna morbida e affettuosa dai capelli chiari, Tanidario era una cacciatrice alta un metro e ottanta e dritta come una freccia, con capelli nerissimi raccolti in una treccia che le arrivava alla vita. Tuttavia, quando lo salutò, la donna lo baciò su una guancia e poi lo allontanò da sé tenendolo per le spalle, sorridendo come per dire che lo trovava cresciuto. — Scommetto che stai aspettando con impazienza le cacce di primavera — commentò Ebañy. — Senza dubbio, piccolo. Sto stringendo amicizia con il Popolo della Foresta e i suoi membri si sono offerti di insegnarmi a cacciare con la lancia nel profondo dei boschi... una sfida che attendo con impazienza. Ebañy non rispose e si limitò a sorridere. — Ti conosco — continuò Tanidario, ridendo. — La tua concezione di caccia è rappresentata da un morbido letto con dentro una bella ragazza, ma forse quando sarai cresciuto vedrai le cose con maggiore chiarezza. — Si dà il caso che io compia settantaquattro anni questa primavera. — Sei soltanto un bambino — ribatté la donna, arruffandogli i capelli con una mano coperta di calli. — Bene, ora vieni con me perché il raduno sta per cominciare. Dov'è finito tuo padre? — È andato con gli altri bardi. Sarà lui a cantare, subito dopo la Narrazione. Giù vicino al fiume alcuni membri del Popolo avevano messo insieme una rozza piattaforma usando i pali dei travois e adesso Devaberiel era su di essa, intento a conferire con gli altri bardi, mentre tutt'intorno si andava
raccogliendo una vasta folla di adulti che si sedevano a gambe incrociate sull'erba, con i bambini che si agitavano irrequieti tutt'intorno. Ebañy e Tanidario presero posto da un lato, vicino ad un gruppetto di membri del Popolo della Foresta: pur somigliando esteriormente agli altri elfi, quegli individui erano vestiti con rozzi abiti di cuoio e ciascuno di essi portava in mano un piccolo bastone coperto di tacche e decorato di piume e di filo colorato, che fra la loro gente era considerato magico. Anche se di solito vivevano nelle fitte foreste del nord, i membri del Popolo della Foresta si spostavano a volte verso sud per commerciare con il resto del Popolo, e dal momento che non erano mai stati veramente civilizzati non erano stati colpiti in passato dagli eventi che adesso il Popolo si era radunato per ricordare. A poco a poco la folla si quietò e i bambini andarono a sedersi accanto ai genitori. I quattro bardi, fra cui Devaberiel, presero allora posto sul fondo della piattaforma con le braccia incrociate sul petto e le gambe leggermente divaricate per mantenere l'equilibrio, una solenne guardia d'onore per il narratore. Manaver figlio di Contariel, il più anziano fra loro, venne invece avanti levando in alto le braccia, e con un senso di shock Ebañy si rese conto che quello sarebbe stato l'ultimo anno che quel particolare bardo avrebbe narrato la storia, in quando Manaver stava cominciando a dimostrare la sua età, tradita dai capelli bianchi e radi e dal volto rugoso e gonfio. Quando un membro del Popolo invecchiava in quel modo, significava che la morte era vicina. — Suo padre è stato presente alla Devastazione — sussurrò Tanidario. Ebañy si limitò ad annuire perché Manaver stava già riabbassando le braccia. — Noi siamo qui per ricordare — scandì, e la sua voce addestrata parve rimbombare nel caldo silenzio. — Per ricordare — sospirò di rimando la folla. — Per ricordare l'occidente. — Noi siamo qui per ricordare le città, Rinbaladelan dalle Belle Torri, Tanbalapalim dall'Ampio Fiume, Bravelmelim dai Ponti Arcobaleno... sì, per ricordare le città e i villaggi e tutte le meraviglie del lontano, lontano occidente. Esse ci sono state tolte e giacciono in rovina, macerie fra cui si aggirano i gufi e le volpi, dove le erbacce e i rovi s'insinuano fra le pietre dei cortili dei palazzi dei Sette Re. Dalla folla si levò un sommesso sussurro, poi tutti si disposero ad ascoltare la storia che alcuni avevano già udito cinquecento volte e anche più;
sebbene fosse per metà un uomo di Deverry, Ebañy si sentì salire le lacrime in gola al pensiero dello splendore perduto e degli anni di pace svaniti, quando fra le colline e le fertili pianure del lontano occidente il Popolo viveva in città piene di meraviglie e praticava ogni arte e mestiere fino ad ottenere risultati così perfetti che alcuni sostenevano fossero opera del dweomer. Oltre mille anni prima, in un tempo così remoto che alcuni erano perfino incerti su quando la Devastazione avesse avuto inizio... se fosse successo milleduecento anni prima o appena mille e uno... parecchi milioni di membri del Popolo vivevano sotto il governo dei Sette Re e godevano di una lunga era di pace. Poi i presagi ebbero inizio. Per cinque inverni la neve cadde abbondante e per cinque primavere le piene furono immani. Il sesto inverno i contadini della provincia settentrionale riferirono che i lupi sembravano essere impazziti e che si erano messi a cacciare in grandi branchi, attaccando perfino i viandanti lungo le strade. I saggi avevano convenuto che i lupi dovevano essere stati ridoti alla disperazione dalla fame e che questo, abbinato al clima rigido, voleva dire carestia sulle montagne e forse perfino una qualche forma di pestilenza che si sarebbe potuta spostare verso sud. Di conseguenza, il Consiglio dei Sette Re aveva approntato dei piani: un corretto metodo di raccolta e di distribuzione del cibo a quanti erano in stato di necessità e l'invio di un piccolo contingente di soldati che provvedessero a eliminare i branchi di lupi. Inoltre, i re avevano radunato gli uomini del dweomer e i saggi intorno a loro perché combattessero contro quelle minacce e mettessero le loro cognizioni a disposizione dei contadini in difficoltà. La sesta primavera uno squadrone di arcieri era partito verso il nord per proteggerlo, ma con la convinzione di essere soltanto a caccia di lupi. Quando era giunto, l'attacco si era riversato su di essi come una valanga e aveva travolto gli arcieri sotto una marea umana. Nessuno sapeva con esattezza chi fossero i nemici perché non erano né umani né elfi ma piuttosto una razza di tozzi, enormi nani vestiti di pelli e armati soltanto di rozze lance e di asce. Nonostante le loro misere armi, quei guerrieri lottavano con una ferocia tale da dare l'impressione che non importasse loro di vivere o di morire, e inoltre erano a migliaia e combattevano a cavallo. Quando si precipitarono al nord con i primi rinforzi, i saggi riferirono che il linguaggio delle Orde era loro del tutto ignoto. Affamati e in fuga disperata davanti ad una misteriosa catastrofe che si doveva essere abbattuta sulle loro terre di origine, quei selvaggi avanzavano bruciando, deva-
stando e saccheggiando, e dal momento che gli elfi non avevano ma visto un cavallo prima di allora gli invasori godettero dapprima del vantaggio della sorpresa e poi di quello della mobilità una volta che gli avversari si furono abituati a quelle bestie spaventose. Quando finalmente gli elfi si resero conto che i cavalli erano più vulnerabili alle frecce degli uomini, il nord era ormai perso e Tanbalapalim era ridotta ad un cumulo di travi fumanti e di pietre crepate. I re chiamarono allora il Popolo a raccolta e lo guidarono in guerra, e quando ogni uomo e ogni donna in grado di usare un arco si fu diretto a nord per qualche tempo le battaglie si conclusero in parità... ma anche se i fuochi dei roghi funebri ardevano giorno e notte lungo le strade, gli invasori continuarono ad avanzare in mezzo al loro fumo. Dal momento che aveva compassione della loro disperazione, Re Elamanderiel Votato al Sole tentò di parlamentare con i capi delle Orde e di offrire loro le pianure orientali, ma per tutta risposta essi massacrarono la sua scorta d'onore e piantarono la sua testa su una lancia, esibendola poi per giorni davanti ai suoi uomini. Da quel momento non venne più offerta pietà e perfino i bambini marciarono verso nord armati di arco per prendere il posto dei genitori caduti... e tuttavia le Orde continuarono a venire avanti. Entro l'autunno le province centrali furono spazzate via in una marea di sangue, e anche se molti fra il Popolo indietreggiarono nel disperato tentativo di difendere la città di Rinbaladelan, sulla costa, i più fuggirono portando con loro il bestiame, i cavalli che avevano dato tanto vantaggio agli invasori e carri carichi delle loro cose, dirigendosi ad est verso le pianure erbose che le Orde mostravano di disprezzare. Rinbaladelan resistette per tutto l'inverno, poi cadde in primavera e altri profughi si diressero verso est, diffondendo storie rese ancora più orribili dal fatto di essere divenute tanto comuni. Ogni clan aveva visto violentare le sue donne, uccidere e mangiare i suoi figli, bruciare le case quando quanti erano troppo deboli per fuggire si trovavano ancora al loro interno. Tutti avevano visto violare templi, distruggere insensatamente acquedotti, saccheggiare e bruciare le fattorie invece di occuparle e di utilizzarle. Per tutta l'estate i profughi continuarono ad affluire... e a patire la fame, perché quelle erano tutte persone abituate a vivere in città e a cacciare soltanto per divertimento. Allorché tentarono di piantare i semi di grano salvati con tanta fatica, le aspre pianure orientali diedero in cambio soltanto raccolti stentati, e tuttavia a ben pochi in realtà importava se sarebbero sopravvissuti o meno per un altro inverno, in quanto tutti si aspettavano che il nemico li avrebbe presto seguiti
e sterminati. Alcuni fuggirono nelle foreste per cercare rifugio fra le tribù primitive, altri raggiunsero quello che un giorno sarebbe diventato Eldidd, ma i più rimasero sulle pianure ad aspettare la fine. Le Orde però non giunsero mai. A poco a poco il Popolo imparò a sopravvivere nutrendosi delle mandrie mentre esplorava le pianure per scoprire cosa esse avevano da offrire, mangiando... e continuando in seguito a mangiare... cose che avrebbero fatto vomitare i principi della Valle delle Rose: lucertole e serpenti, i visceri di daini e di antilopi e non soltanto le parti migliori, radici e tuberi estratti dovunque crescevano. Seccò lo sterco di cavallo, usandolo come combustibile per sopperire alla scarsità di legna da ardere e abbandonò i carri che lasciavano solchi profondi in quelle piane erbose che adesso stavano a modo loro fornendo di che sopravvivere; bollì la testa dei pesci per fabbricare la colla e usò i tendini animali per ricavare le corde per gli archi mentre si spostava continuamente da un pascolo all'altro. E così non solo il Popolo sopravvìsse, ma nacquero anche bambini che andarono a sostituire quelli rimasti uccisi a causa delle inondazioni improvvise e degli incidenti di caccia. Infine, trentadue anni dopo la Devastazione, l'ultimo dei Sette Re, Ranadar delle Alte Montagne, ritrovò la sua gente. Insieme a sei arcieri superstiti della Guardia Reale si presentò una primavera in un alardan e raccontò che lui e i suoi uomini erano vissuti fra le colline come banditi, mietendo tutta la vendetta che potevano per la loro terra devastata e implorando gli dèi di mandare loro altre vittime. E adesso gli dèi avevano prestato orecchio al loro dolore: pur avendo conquistato le città, le Orde non sapevano come ricostruirle e vivevano in rozze capanne erette fra le rovine, tentando di seminare la terra che esse stesse avevano avvelenato. Anche se ogni membro di quella orribile razza portava indosso i gioielli presi nei saccheggi, le fogne si erano riempite mentre essi litigavano per spartirsi il bottino e adesso fra loro erano scoppiate diverse forme di pestilenza, tutte rapide e letali. Quando parlò di come le Orde stavano morendo, Ranadar scoppiò in una folle risata, e il Popolo rise con lui. Per molto tempo si parlò quindi di tornare indietro e di rioccupare il regno devastato, dopo aver lasciato che le pestilenze svolgessero la loro opera massacrando le Orde. Per duecento anni, fino alla morte di Ranadar, ogni sera gli uomini si raccolsero intorno ai fuochi da campo per fare piani e di tanto in tanto qualche giovane avventato e stolto tornò indietro per spiare la situazione: pochi riuscirono a tornare indietro, ma quelli che lo fecero parlarono soltanto di rovine e di pestilenze che continuavano a imperversa-
re. Se inizialmente la vita sulle pianure erbose non fosse stata tanto aspra, forse un esercito sarebbe potuto tornare verso occidente, ma ogni anno le morti erano quasi pari alle nascite e c'era bisogno di tutti. Finalmente, circa quattrocentocinquant'anni dopo la Devastazione, alcuni fra gli uomini più giovani organizzarono una spedizione esplorativa con l'intenzione di raggiungere Rinbaladelan. — Ed io ero fra loro, in quanto all'epoca ero giovane — narrò Manaver, con la voce che quasi gli s'incrinava al ricordo. — Con venti amici mi diressi ad ovest, perché molte volte avevo sentito mio padre parlare di Rinbaladelan dalle Belle Torri e desideravo vederla, anche se questo avrebbe potuto causare la mia morte. Prendemmo con noi molte faretre piene di frecce perché ci aspettavamo di dover sostenere sanguinosi scontri con gli ultimi residui delle Orde — proseguì poi, con un sorriso di autodeprecazione, — ma esse erano svanite, morte ormai da tempo, e così pure Rinbaladelan. Mio padre mi aveva descritto gli alti templi rivestiti di argento e di giaietto, ma io vidi soltanto rialzi coperti di erba; mio padre aveva parlato di torri alte centocinquanta metri fatte di pietre multicolori, ma ne trovai soltanto qualche frammento sparso, e al posto delle ampie strade che avevano ospitato grandi processioni vidi soltanto piste nell'erba. Qua e là, m'imbattei in una capanna di pietra eretta con pezzi presi dalle rovine e in alcune di esse trovai degli scheletri che giacevano insepolti sul pavimento... tutto ciò che restava delle Orde. La folla sospirò, un sussurro colmo di dolore che si librò sull'erba, ma nelle prime file una bambinetta si liberò dalla stretta materna e si alzò in piedi. — Se erano tutti morti, allora perché non siamo tornati indietro? — chiese con voce limpida e forte. Sua madre si affrettò a tirarla a sé, ma il resto dei presenti accolse la baldanza della bambina con una malinconica risata, apprezzando quel sollievo dopo tanta tragedia. — Tornare indietro a cosa, piccola? — sorrise Manaver. — Il regno era morto, un groviglio di rovine soffocate dalla vegetazione. Noi avevamo portato i nostri dèi sulle piane erbose ed esse erano divenute la nostra madre, e poi gli uomini che sapevano come erigere belle città, come lavorare il ferro e la pietra, erano tutti morti e quelli di noi che erano sopravvissuti erano per lo più contadini, pastori o uomini dei boschi. Che ne sapevamo di come si costruivano le strade e si lavoravano i metalli pregiati? Contraendo la bocca in un'espressione pensosa, la bambina incrociò ri-
petutamente le caviglie e infine sollevò lo sguardo sul bardo morente. — Allora non torneremo indietro mai più? — Ecco, «mai» è un'aspra parola, che dovresti tenere chiusa in bocca, piccola, ma dubito che torneremo. Tuttavia ricordiamo le belle città, il nostro diritto di nascita, la nostra casa. Anche se tutto il Popolo sospirò con il dovuto rispetto alla parola «ricordiamo», nessuno pianse perché nessuno dei presenti aveva mai visto la Valle delle Rose o aveva percorso la Strada del Sole che portava ai templi. Con un cenno del capo, Manaver si trasse indietro per permettere a Devaberiel di venire avanti e di cantare un lamento funebre per la terra perduta. Il canto sarebbe andato avanti per ore, in quanto ciascuno dei bardi si sarebbe avvicendato agli altri, cantando di cose sempre più liete fino a portare l'alardan a festeggiare e a danzare per buona parte della notte. Alzatosi in piedi, Ebañy sgusciò via perché aveva sentito suo padre esercitarsi in quel lamento per mesi e ormai ne aveva la nausea... e poi il suo sangue di Deverry stava destando in lui un senso di colpa, come accadeva ogni anno in occasione del Giorno della Commemorazione. Parlando con gli studiosi di Deverry, Ebañy era infatti riuscito a mettere insieme alcune informazioni relative alla Devastazione che erano ignote a chiunque altro, e dal momento che esse avrebbero soltanto portato all'odio fra le due razze, lui aveva evitato di riferirle a chiunque, anche a suo padre. Le Orde erano state sospinte verso sud dal grande afflusso del popolo di Bel... come si definivano gli uomini di Deverry... quando esso era giunto dalla sua patria misteriosa un migliaio di anni prima. Gli uomini di Deverry, che già adesso apparivano agli occhi del Popolo come una razza sanguinaria, erano stati a quel tempo conquistatori spietati che raccoglievano le teste dei nemici per decorare i templi dei loro dèi, e nei vagabondaggi a cui erano stati soggetti prima di fondare la loro Città Santa erano passati attraverso l'estremo nord, massacrando, saccheggiando e schiavizzando a spese della strana razza delle Orde prima di passare nella valle del fiume Troe Matrw e di raggiungere le loro nuove terre. E le Orde erano fuggite davanti a loro, dirigendosi a sud. — Non avete mai sollevato la spada contro di noi, uomini di Deverry — sussurrò Ebañy, — ma è certo che siete stati voi a massacrare il popolo di mio padre. Con un piccolo brivido si infilò nella tenda, pervasa dalla luce del sole tinta di rosso dal colore rubino del cuoio. Dal momento che lui e suo padre erano arrivati tardi per l'alardan, mucchi di bagagli giacevano ancora spar-
pagliati sul telo di cuoio che formava il pavimento e lui raccolse distrattamente alcune sacche, appendendole ai ganci fissati ai pali della tenda, poi si sedette in mezzo al disordine e prese a frugare in una particolare sacca di tela del tipo usato a Deverry. Sul fondo trovò un minuscolo sacchetto di cuoio, lo aprì e ne estrasse un semplice anello d'argento, una banda piatta di metallo larga circa mezzo centimetro su cui erano intagliate alcune rose all'esterno e parole di una lingua ignota scritte in caratteri elfici sull'interno. Nella luce rossastra che pervadeva la tenda, le rose sembravano prossime a sbocciare e proprie di quella specie ibrida che si poteva trovare soltanto a Deverry. — Sei una spoglia proveniente da Rinbaladelan o da Tanbalapalim? — chiese ad alta voce. — Le sole rose che il mio popolo conosce sono quelle selvatiche, che hanno appena cinque piccoli petali. L'anello rimase muto sul suo palmo, un lucente paradosso: anche se non era pervaso di un dweomer proprio, quel gioiello era legato al dweomer e molti anni prima un misterioso girovago senza nome lo aveva consegnato a Devaberiel come dono per uno dei suoi figli non ancora nati. Adesso la lettura dei presagi effettuata da una donna del dweomer aveva dimostrato che l'anello apparteneva a Rhodry, il più giovane dei tre figli del bardo e, come Ebañy, un mezzosangue. Al contrario della madre di Ebañy, quella di Rhodry non era però una bella ragazza di villaggio ma una delle nobildonne più potenti del regno, quindi Rhodry non avrebbe mai potuto apprendere la verità sui suoi natali, ed era stato per questo che il compito di dargli l'anello era ricaduto su Ebañy. — E cosa ci si aspetta che gli dica, quando lo avrò trovato? — borbottò ad alta voce, perché parlare gli riusciva molto più facile che pensare. — Oh... dunque... questo strano personaggio ha detto che l'anello appartiene a te ma non ti posso spiegare il perché. Naturalmente, io non so perché appartenga a te... nessuno lo sa... quindi, mio caro fratello, non ti starò mentendo quando accamperò le scuse più insostenibili. Un messaggio del dweomer dice che questo anello abbraccia il tuo Wyrd e un altro afferma che il tuo Wyrd e quello di Eldidd sono una cosa sola, quindi eccoci qui nella terra delle supposizioni, delle sfumature e dei segreti. Ah, per gli dèi, la mia curiosità elfica soffre davvero dal desiderio di sapere la verità. Con una risata, Ebañy ripose l'anello nel suo contenitore che infilò quindi nel sacchetto più grande che portava al collo. Presto si sarebbe addentrato nelle terre degli uomini dove pullulavano i ladri e avrebbe dovuto nascondere l'anello in un posto migliore di un'accessibile sacca di tela. Pen-
sando al viaggio che lo aspettava, uscì dalla tenda e scese fino alla riva del fiume, dove il Delonderiel scorreva punteggiato d'oro sotto la luce del sole al tramonto. In lontananza sentì la voce limpida di suo padre che intonava le stanze dolenti del suo lamento, poi la escluse dalla sua attenzione e fissò la superficie del fiume, usandola per focalizzare la propria mente fino a quando il dweomer gli permise di ottenere l'immagine di Rhodry, dapprima pallida e inconsistente poi sempre più nitida. Avvolto nel mantello, con l'alito che formava dense nuvolette ad ogni respiro, Rhodry era in piedi sui bastioni di una rozza fortezza di pietra e stava guardando la campagna su cui chiazze di neve si allargavano ancora sotto le scure macchie di pini. Adesso che sapeva che erano figli dello stesso padre, Ebañy riuscì a individuare ciò che non era riuscito a definire con chiarezza l'estate precedente, quando aveva casualmente incontrato Rhodry e si era trovato a chiedersi per quale motivo quel giovane guerriero avesse un aspetto così familiare. Anche se aveva i capelli corvini e gli occhi azzurri, Rhodry gli somigliava abbastanza da indicare che essi erano davvero fratelli, e nell'esaminare la sua immagine Ebañy si trovò a borbottare di nuovo. — Si pretende che io non ti dica la verità, giusto, fratello? E cosa devo fare, fracassare ogni specchio che si trovi nelle tue vicinanze? La mia insegnante del dweomer sostiene che tu ti credi un umano e un Maelwaedd. Splendido! Allora sarà meglio che ti consegni questo anello e poi scompaia subito prima che tu mi possa vedere bene in faccia. Nella visione, l'immagine di Rhodry si girò di scatto e parve guardare dritto verso di lui, come se lo stesse ascoltando. Sorridendo, Ebañy allargò il proprio raggio visivo e spostò di qua e di là la prospettiva in modo da vagliare l'area che poteva raggiungere, circa un raggio di tre chilometri dal punto di focalizzazione della visione. Vide erte colline rocciose coperte di pini e fra esse qua e là qualche fattoria, il che significava che molto probabilmente Rhodry si trovava nella provincia di Cerrgonney, distante almeno settecentocinquanta chilometri. — Allora ti aspetta una lunga estate di viaggio, Ebañy, ragazzo mio — si disse il gerthddyn. — D'altro canto, però, sarebbe davvero una vergogna partire prima che i festeggiamenti si siano conclusi. Anche se sui bastioni della fortezza di Lord Gwogyr faceva molto freddo, Rhodry indugiò ancora per qualche momento e tenne lo sguardo fisso in direzione delle colline del Cerrgonney senza vederle realmente. Per un
momento aveva creduto di essere impazzito, perché sebbene in quel momento lui fosse il solo uomo sui bastioni gli era parso di sentirsi rivolgere la parola da qualcuno: le frasi erano suonate indistinte, ma una voce lo aveva chiamato fratello e aveva parlato di dargli un dono. In preda all'irritazione scosse il capo e decise che si doveva essere trattato di uno scherzo giocatogli dal vento. Dal momento che il solo fratello che sapesse di avere lo odiava nel profondo della sua anima, era improbabile che pensasse di donargli qualsiasi cosa tranne una daga piantata nella schiena e quelle parole... se di parole si era trattato... erano invece suonate piene di calore e di amicizia. Appoggiatosi alle pietre umide, estrasse la daga d'argento dalla cintura e abbassò lo sguardo su di essa mentre ripensava al fratello maggiore Rhys, Gwerbret di Aberwyn, che lo aveva mandato in esilio alcuni anni prima. Sebbene fosse un oggetto splendido, tagliente quanto l'acciaio ma lucente come l'argento, quella daga era comunque il simbolo della sua vergogna e lo marchiava come un disonorato soldato mercenario che combatteva soltanto per il denaro e mai per l'onore. Adesso era giunto per lui il momento di imboccare di nuovo la lunga strada, come le daghe d'argento definivano la vita, perché anche se l'autunno precedente aveva combattuto bene per Lord Gwogyr, restando perfino ferito al suo servizio, il benvenuto esteso ad una daga d'argento era sempre di breve durata e già il ciambellano aveva cominciato a borbottare per il fatto di essere costretto a nutrire lui e la sua donna. Riposta la daga nel fodero sollevò lo sguardo verso il cielo freddo ma limpido, giudicando che il periodo delle nevicate fosse ormai finito. — Domani partiremo — disse ad alta voce. — E se stavi pensando a me, fratello, possa il fuoco corrodere il tuo ventre. Nel lontano sud, in una piccola città di Eldidd, stava intanto succedendo un evento che avrebbe senza dubbio recato al Gwerbret Rhys il genere di dolore che gli era stato augurato dal fratello minore, anche se Rhodry non aveva avuto modo di saperlo. Dun Bruddlyn, una fortezza occupata soltanto di recente dal suo signore, Garedd, era pervasa da un'agitazione permeata di tensione: mentre il nobile passeggiava con inquietudine avanti e indietro per la grande sala con un bicchiere di sidro in mano, la sua seconda moglie Donilla stava partorendo nella sala delle donne. Dal momento che quello era il suo primo figlio, il travaglio era piuttosto lungo e tanto la Tieryn Lovyan quanto le altre donne che assistevano la partoriente comin-
ciavano a preoccuparsi. Con il volto pallidissimo e i lunghi capelli castani intrisi di sudore, Donilla era accoccolata sullo sgabello delle partorienti e si teneva aggrappata ad una spessa corda legata ad una delle travi dell'alto soffitto mentre la sua serva personale, Galla, le stava inginocchiata accanto e le rinfrescava di tanto in tanto il volto con un panno intriso di acqua fredda. — Fatele succhiare un po' di umidità da un panno pulito — consigliò l'erborista che stava sovrintendendo al parto, — ma soltanto un poco. Un'altra serva si allontanò per prendere il panno e l'acqua fresca senza un momento di esitazione, perché non soltanto il vecchio Nevyn era noto come il miglior erborista del regno, ma correva anche voce che possedesse il dweomer. Lovyan sorrise del reverenziale timore della ragazza, ma si trattò di un sorriso appena accennato perché lei sapeva benissimo che quelle voci erano vere; lanciò poi un'occhiata interrogativa a Nevyn, che le rispose con un cenno rassicurante e si rivolse a Donilla. I suoi occhi azzurri come il ghiaccio parvero penetrare in quelli castani di lei e catturare la sua stessa anima, poi la donna si rilassò con un sorriso come se i suoi dolori fossero svaniti. — Finirà presto, mia signora — disse l'erborista, con voce molto sommessa e gentile. — Respira profondamente ma non gravare sul bambino. Presto nascerà. Donilla annuì, sussultò per una nuova contrazione, poi esalò il respiro in un lungo sospiro. Pur avendo dato lei stessa alla luce quattro figli, Lovyan non riusciva a ricordare che i suoi parti fossero stati tanto difficili, ma pensò che forse se ne era dimenticata perché quello era un tipo di dolore che si tendeva a dimenticare con strana rapidità. Irrequieta, si avvicinò ad una finestra aperta e contemplò il limpido giorno primaverile mentre rifletteva sull'ironia della situazione: la povera Donilla era stata così impaziente di avere un bambino ma adesso probabilmente stava desiderando di essere stata veramente sterile. Quando la giovane donna gemette ancora, Lovyan sussultò per reazione. — Si vede la testa, mia signora! — esclamò Nevyn, in tono di trionfo. — Ormai manca poco, molto poco. Adesso... spingi! Lovyan rimase vicino alla finestra finché non sentì un acuto vagito, uno strillo pieno di vigore e di salute, poi si girò in tempo per vedere Nevyn e la serva che adagiavano Domila sul pagliericcio approntato vicino allo sgabello e le accostavano al seno il bambino, ancora attaccato al cordone ombelicale. Con dita tremanti la dama accarezzò la sommessa peluria che
copriva la testa del figlio e sorrise di trionfo. — Un maschio, Vostra Grazia — disse con voce rauca. — Ho dato al mio signore un altro figlio maschio. — E si tratta di un bel bambino sano — replicò Lovyan. — Devo andare a dare la buona notizia a Sua Signoria? Donilla annuì, con lo sguardo fisso sul minuscolo viso che già stava cercando il suo seno. Mentre scendeva le scale, Lovyan aveva però il cuore pesante, una cosa che la fece sentire a disagio: naturalmente Donilla aveva diritto a quel suo momento di trionfo... di vendetta, se vogliamo. Dopo dieci anni di matrimonio senza figli, suo marito l'aveva ripudiata come sterile, un'amara umiliazione difficile da sopportare per qualsiasi donna e resa peggiore dell'angosciosa consapevolezza che non avrebbe mai avuto dei figli. Adesso però ne aveva generato uno e tutti in Eldidd sapevano che non era lei ad essere sterile. Sfortunatamente, quel suo piccolo trionfo aveva tuttavia delle importanti conseguenze politiche di cui il suo secondo marito sembrava essere dolorosamente consapevole. Garedd, un uomo di mezz'età di struttura solida con capelli e i baffi biondi, che dal primo matrimonio aveva già avuto due figli e una figlia, si mostrò genuinamente soddisfatto della notizia datagli da Lovyan al punto che scoppiò a ridere e comunicò con voce stentorea la cosa alla sua banda di guerra raccolta dall'altra parte della sala... ma quasi immediatamente l'espressione di trionfo gli scomparve dal volto. — Chiedo scusa per aver gioito, Vostra Grazia — disse, — ma è una reazione spontanea per un uomo. — Non devi scusarti con me, cugino — replicò Lovyan, in tono stanco, — e neppure con Rhys. Tuttavia, ti consiglio di restare alla larga da Aberwyn per qualche tempo. — Ci avevo già pensato, davvero. Quello era infatti il nocciolo della questione: il Gwerbret Rhys era stato il primo marito di Donilla, colui che l'aveva coperta di vergogna ripudiandola come sterile perché non aveva eredi per il suo vasto rhan, uno dei più importanti dell'intero regno. Se Rhys fosse morto senza figli, cosa che adesso appariva probabile, Eldidd sarebbe potuto benissimo precipitare nella guerra aperta quando i vari candidati a succedergli avessero tentato di reclamare il gwerbretrhyn per il loro clan, e pur essendo affezionata al cugino e alla moglie in effetti Lovyan aveva voluto essere presente al parto come testimone proprio per le sue implicazioni politiche: dal momento che
lei era la Tieryn di Dun Gwerbyn, con molti vassalli e vaste tenute, il suo tempo era troppo prezioso perché potesse sprecarlo andando in giro a fungere da levatrice per la moglie di ogni suo vassallo... però in questo caso era stato necessario che lei vedesse con i suoi occhi che effettivamente Donilla aveva dato alla luce un figlio. — Credi che Rhys adotterà un bambino? — chiese Garedd. — Anche se è il mio primogenito, non so più cosa Rhys voglia o non voglia fare e del resto un erede adottato non avrebbe molte possibilità presso il Consiglio degli Elettori. La cosa più ragionevole che potrebbe fare sarebbe richiamare Rhodry dall'esilio. Per tutta risposta Garedd marcò un sopracciglio con espressione interrogativa. — Non ho ancora perso ogni speranza — scattò Lovyan, — ma in verità, mio signore, devo dire di comprendere il tuo scetticismo. Mezz'ora più tardi anche Nevyn scese nella grande sala. Di alta statura, con una massa di capelli bianchi e un volto coperto di rughe come un logoro panno di iuta, il vecchio si muoveva ancora con energia e raggiunse a grandi passi il tavolo d'onore, rivolgendo a Garedd un inchino disinvolto; quando gli annunciò che adesso poteva andare a trovare la moglie, Garedd si allontanò con la rapidità di una lepre in fuga, perché amava la sua giovane sposa con un'intensità quasi sconveniente, e Nevyn si sedette accanto a Lovyan dopo aver accettato un boccale di birra che un paggio gli porgeva. — Bene — commentò, — ha avuto un parto notevolmente semplice per una donna della sua età... e conoscendoti so che nonostante tutto sei soddisfatta. — Infatti, le ho sempre voluto bene. Se soltanto fosse stato un altro uomo a ripudiarla... Nevyn le rivolse un accenno di sorriso e bevve un lungo sorso della birra che si era ampiamente meritato. — Partirò domani alla volta di Dun Deverry — annunciò poi. — Adesso che ho un nipote a corte posso essere tenuto informato di alcuni dei pettegolezzi che provengono dai consigli tenuti dal re. — Un nipote... come no! In ogni caso, sono lieto che sia là, perché sto cominciando a pensare che la nostra sola speranza consista nell'indurre il re ad annullare la sentenza di esilio pronunciata da Rhys. È una cosa che è già successa. — Ma è anche già successo che dei Gwerbret si siano ribellati di fronte
ad un'interferenza del genere. Credi che Rhys lo farà? — Non lo so. Ah, la Dea stessa mi è testimone che mi duole il cuore al pensiero che su Eldidd si debba abbattere una guerra a causa di una lite fra i miei figli. — La guerra non è ancora cominciata e ho intenzione di fare del mio dannato meglio per essere certo che non cominci mai. Nonostante le sue parole, Nevyn appariva talmente stanco che Lovyan si sentì improvvisamente spaventata: anche se era il più potente maestro del dweomer del regno, Nevyn era però pur sempre un uomo solo ed era inoltre coinvolto in un intrigo politico che... almeno così le sembrava... avrebbe avuto difficoltà a gestire proprio a causa della sua formazione magica. — Ah, bene — commentò infine, — se non altro questo bambino è nato con buoni presagi: dicono sempre che chi nasce nel primo giorno di primavera è un bambino fortunato. — Infatti, e spero che questa primavera porti bene a tutti noi. Il tono distratto con cui il vecchio pronunciò quella frase fece capire a Lovyan che lui dubitava fortemente che la primavera sarebbe stata buona, e lei stava ancora esitando fra il desiderio di porre altre domande e il timore di sentire la verità se lui gliel'avesse detta, quando un paggio le si avvicinò con espressione del tutto confusa. — Vostra Grazia? Alle porte c'è un nobile che chiede di entrare. Devo domandare a te cosa fare oppure devo cercare Lord Garedd? — Puoi chiederlo a me perché ho il rango più elevato; invece, se io avessi lo stesso rango di Garedd saresti dovuto andare a cercare lui. Ora dimmi, di quale nobile si tratta? — È Talidd di Belglaedd, Vostra Grazia, e ha detto una cosa stranissima: ha chiesto se era il benvenuto nella fortezza che sarebbe dovuta essere sua. — Oh, dèi — gemette debolmente Lovyan. — Doveva presentarsi proprio adesso? Bene, ragazzo, corri da lui e digli che è il benvenuto nella fortezza chiamata Bruddlyn. Digli soltanto questo, non una parola di più. Non appena il paggio si fu allontanato, Nevyn le indirizzò un'occhiata interrogativa. — Risale tutto alla guerra contro Loddlaen — spiegò lei, con voce appesantita dalla stanchezza. — La sorella di Talidd era la moglie di Corbyn ed era tornata dal fratello prima che la guerra avesse inizio perché la presenza di Loddlaen nella fortezza la stava facendo impazzire... e francamente non posso dire di biasimarla. In ogni caso, dopo che Corbyn è stato ucciso, io
ho ottenuto questa tenuta perché lei aveva lasciato il marito... tutti i miei uomini avrebbero protestato se vi avessi rinunciato. Le ho offerto di ripagarla in denaro e cavalli ma Talidd non le ha permesso di accettare nulla. Lovyan s'interruppe perché l'oggetto di quella spiegazione stava attraversando con passo deciso la grande sala, liberandosi del mantello e dei guanti da equitazione mentre veniva avanti. Talidd di Belglaedd era un uomo massiccio di circa quarant'anni, con i capelli grigi ancora striati di biondo e astuti occhi verdi. Gettato il mantello ad un paggio, si avvicinò e rivolse un profondo inchino alla Tieryn, accompagnandolo con un blando sorriso che non rivelò nulla dei suoi intenti. — Mi sorprende vederti qui, mio signore — osservò Lovyan. — Sono venuto a congratularmi con Garedd per la nascita di suo figlio. Il paggio mi ha detto che è un maschio. — Sì, e pieno di salute. — Allora Dun Bruddlyn ha un altro erede, giusto? — commentò Talidd, prendendo un boccale di birra che una serva gli offriva. — Bene, possano gli dèi testimoniare sulla giustizia della cosa. Lovyan prese in considerazione l'idea di sfidarlo immediatamente, e se fosse stata un uomo in grado di sostenere da solo i propri duelli, lo avrebbe anche fatto; così come stavano le cose, avrebbe dovuto però ricorrere ad un campione e questo incarico sarebbe ricaduto sul capitano della sua banda di guerra, Cullyn di Cerrmor, che era senza dubbio il miglior spadaccino di tutto Deverry... sembrava piuttosto ingiusto condannare a morte Talidd soltanto per qualche parola scortese. — Preferisco ignorare il tuo commento, mio signore — replicò quindi, permeando di gelo la propria voce. — Se ritieni di essere stato offeso, puoi sottoporre il tuo caso al Gwerbret, ed io mi presenterò a corte dietro suo ordine. — Si dà il caso che il Gwerbret sia il figlio di Vostra Grazia. — Infatti, e l'ho scrupolosamente allevato perché fosse un uomo equanime. A quelle parole, Talidd abbassò bruscamente lo sguardo sul piano del tavolo ed ebbe la decenza di arrossire: nel duello di parole che si era instaurato, Lovyan aveva segnato il primo punto. — Mi sorprende che tu sia venuto qui soltanto per versare aceto su una vecchia ferita — osservò Lovyan. — La questione è di grande importanza per il Gwerbretrhyn, giusto? Vostra Grazia dimentica che io detengo un seggio nel Consiglio degli Elet-
tori. In effetti Lovyan se ne era dimenticata, e imprecò mentalmente contro se stessa per quell'errore mentre Talidd beveva un altro sorso di birra ed esibiva di nuovo il suo blando ed ermetico sorriso, rivolgendolo imparzialmente tanto a lei quanto a Nevyn. — La mia speranza era quella di arrivare in tempo per essere presente alla nascita — affermò infine, — ma devo dedurre che ci siano stati altri testimoni non appartenenti a questa casa. — Io stessa e l'erborista qui presente. — E nessuno oserebbe mettere in discussione la tua parola, mia signora, né davanti alla corte né in un colloquio privato — convenne Talidd, mentre il suo sorriso si faceva meno blando. — Possiamo quindi dare per scontato che in effetti Lady Donilla non è sterile, indipendentemente da quanto possa essere sembrato in passato. Lovyan gli rivolse un brillante sorriso per soffocare l'odio sempre più intenso che provava dentro di sé. — Proprio così, mio signore — ribatté, — e devo dedurre che si possa anche dare per scontato che convocherai il più presto possibile il Consiglio per informarlo della cosa. Talidd se ne andò prima di cena dichiarando di avere nelle vicinanze un posto dove era più benaccetto, e il suo tono risultò così genuinamente offeso e da martire che Nevyn provò il desiderio di prenderlo a calci fino all'uscita della grande sala. Per amore di Lovyan si trattenne però dal farlo e si recò invece a controllare le condizioni di Donilla, che adesso stava riposando nel suo letto con il neonato avvolto in fasce deposto accanto a lei. Alcuni minuti più tardi Lovyan lo raggiunse là con il volto così placido da dare l'impressione che non avesse mai sentito neppure nominare Talidd, e scambiò qualche frase di cortesia con la donna più giovane; quando se ne andò Nevyn l'accompagnò e la seguì fino all'appartamento che era stato messo a sua disposizione per la durata della visita. Anche se l'arredo era semplice, era evidente che costituiva quanto di meglio Dun Bruddyn aveva da offrire, e del resto come la stessa Lovyan commentò, suo cugino e sua moglie avevano entrambi motivo di esserle grati per il dono della fortezza da lei elargito. — Anche se risulterà senza dubbio essere fonte di guai — osservò Nevyn. — Non mi ero reso conto che Talidd se la fosse presa tanto. — Lui e la metà dei nobili del Tierynrhyn. Sapevo che ci sarebbero stati
problemi quando ho dato la fortezza a Garedd, ma ce ne sarebbero stati qualsiasi cosa avessi fatto. Ecco, suppongo che se l'avessi attribuita a te nessuno avrebbe borbottato, ma tu non l'hai voluta e così eccoci qui. — Suvvia, Lovyan, mi fai quasi sentire colpevole. — Mi piace quel «quasi». In ogni caso, ogni volta che un signore ha della terra da dare finiscono per esserci sentimenti feriti. Vorrei soltanto che Talidd non detenesse un seggio nel Consiglio... oh, dèi, quanto sta diventando brutta questa faccenda! Adesso anche se la moglie di Rhys avesse un bambino nessuno crederebbe che sia lui il padre. — Proprio così. Io... Sbattendo la porta e ridendo allegramente una bambina di circa due anni entrò a precipizio nella camera inseguita da una bambinaia. La bambina era snella per la sua età, con una massa di ricciuti capelli neri e occhi violetti scuri quasi quanto quelli porpora di un elfo... nel complesso, appariva bellissima. Con un gorgoglio di gioia, si gettò sulle ginocchia di Lovyan. — Nonna, nonna, ti voglio bene nonna. — Anch'io ti voglio bene, piccola Rhodda, ma non è educato che tu ci interrompa. Rhodda si contorse sulle sue ginocchia e fissò Nevyn con un'espressione solenne sul piccolo volto che somigliava moltissimo a quello paterno. — Mi ero quasi dimenticato della figlia di Rhodry. Di certo non ha ereditato il suo aspetto dal lato materno, vero? — No, ma il sangue dei Maelwaedd tende ad emergere con forza e la povera Olwen era una di quelle ragazze bionde dall'aspetto blando. La bastarda di Rhodry potrebbe avere un ruolo molto importante da giocare in ciò che si sta profilando, quindi la tengo sempre con me... naturalmente per sovrintendere alla sua educazione. — Nonostante tutti i suoi discorsi di scopi politici Lovyan baciò la testa ricciuta con genuino affetto e rivolse un cenno alla bambinaia. — Adesso lascia che Dama Tevylla ti porti via e ti dia un po' di pane e di latte. È quasi ora di andare a letto. Anche se Rhodda piagnucolò, implorò e infine si mise a piangere, Lovyan tenne duro e la sollevò di peso per darla alla nutrice che stava attendendo vicino alla porta della camera. Fino a quel momento Nevyn non l'aveva effettivamente notata, ma ora di accorse che era una donna molto attraente di circa trent'anni, con capelli neri, occhi scuri e lineamenti tanto regolari da apparire quasi severi. Una volta che la donna e la bambina se ne furono andati, il vecchio s'informò sul conto della bambinaia. — Tevva? — fece Lovyan. — Una donna accattivante e con una volontà
d'acciaio, cosa di cui ha davvero bisogno con Rhodda, te lo garantisco. In realtà è una vedova con un figlio che ha... oh, dèi, non ricordo più la sua età, ma è abbastanza grande perché Cullyn abbia cominciato ad addestrarlo per ammetterlo nella sua banda di guerra. Suo marito era un fabbro nella mia città ma due inverni fa è morto improvvisamente per una febbre e dal momento che Tevva non ha parenti i preti l'hanno raccomandata alla mia carità. L'ho presa con me perché avevo bisogno di un aiuto con Rhodda... quella bambina è ancora peggiore di com'era suo padre. — Lovyan sospirò e dal momento che lei e Nevyn erano soli si concesse di essere onesta. — Suppongo che dipenda dal sangue elfico nelle loro vene. — Direi di sì, anche se Rhodda non ne ha molto. — Un intero quarto, non lo dimentichiamo. Non lasciarti trarre in inganno dalle tue stesse bugie sulla presenza di una traccia di sangue elfico nella famiglia dei Maelwaedd. — Non è una bugia perché esiste, ma naturalmente è una cosa che non si applica in questo caso. Devo dedurre che hai intenzione di far contrarre un giorno a quella bambina un buon matrimonio? — Di certo un matrimonio influente, e intendo anche insegnarle come sfruttarlo per i suoi scopi. Se riuscirà ad imparare come incanalare tutta quella forza di volontà di cui è dotata sarà una donna con cui in Eldidd si dovranno fare i conti, illegittima o meno che sia. Pur annuendo in modo vago per evitare di gravare Lovyan di ulteriori fardelli, dentro di sé Nevyn si chiese se quella bambina avrebbe mai potuto essere domata e ridotta nello stretto stampo di una donna di nobile nascita: presto o tardi, infatti, il suo sangue selvaggio sarebbe affiorato. Prima di lasciare Dun Bruddyn, Nevyn procedette di proposito a individuare Rhodry e riferì a Lovyan di averlo trovato in buona salute, ma mentre se ne andava dalla fortezza tirandosi dietro il mulo da soma, avvertì un senso di timore dettato in pari misura dalla logica e da un avvertimento del dweomer. L'estate precedente lui e gli altri che studiavano il dweomer della luce avevano conseguito una serie di vittorie a spese di quanti seguivano il dweomer oscuro... non solo rovinando un elaborato complotto dei maestri oscuri ma distruggendo anche la loro principale fonte di proventi e cioè l'importazione di oppio e di svariati veleni nel regno. Come sempre facevano, adesso i maestri oscuri volevano la loro vendetta e Nevyn ricordò a se stesso di stare in guardia nel viaggiare anche se era probabile che i suoi avversari complottassero per anni nel tentativo di elaborare un piano così astuto e contorto da essere impossibile a individuarsi. Era una cosa proba-
bile, ma nel momento stesso in cui formulava quei pensieri l'avvertimento del dweomer lo raggiunse sotto forma di un senso di gelo alla schiena: dal momento che erano minacciati così da vicino, senza dubbio i maestri del dweomer oscuro avrebbero contrattaccato il più presto possibile... rimaneva soltanto da scoprire come. Al tempo stesso, altre cose più mondane richiedevano la sua attenzione. Il Gwerbretrhyn era troppo ricco e troppo desiderabile per rimanere pacifico se la linea di successione si fosse infranta, e per quanto detestasse lasciarsi coinvolgere nei complotti e nelle faide dei nobili Nevyn sapeva che il suo dovere nei confronti del Wyrd di Rhodry toccato dal dweomer gli imponeva anche un dovere nei confronti del rhan di Rhodry e dei suoi innocenti sudditi che al contrario dei nobili come Talidd preferivano di certo la pace alla guerra. Di conseguenza avrebbe combattuto con ogni arma a sua disposizione per mantener Aberwyn al sicuro, e sebbene Lovyan fosse scettica in merito alle sue abilità politiche (convinzione di cui lui era perfettamente consapevole) sapeva di essere meglio armato per quella lotta di qualsiasi altro uomo del regno, perfino il più saggio dei consiglieri del re. Oh, pensò fra sé, quella volta ho imparato qualche trucchetto che non ho dimenticato, e allora il nostro Rhodry era proprio nel bel mezzo del pasticcio, anche se era soltanto un umile guerriero e per di più dichiarato fuorilegge! Anche se da quel tempo erano passati oltre cento anni, infatti, Nevyn sapeva benissimo cosa significasse combattere per un trono... e non quello di un semplice gwerbret ma di un re. PARTE PRIMA DEVERRY E PYRDON 833 - 845 Quando andò al fiume per scoprire cosa poteva vedere, Dilly il Cieco trovò il Re di Cerrmor che stava lavando il proprio bucato... Antica canzone folkloristica di Eldidd UNO
Anno 833. Slwmar II, re di Dun Deverry, ricevette una grave ferita in battaglia; il secondo figlio di Glyn II, re di Cerrmor, nacque morto. Noi interpretammo questi fatti come cattivi presagi, ma soltanto in seguito ci saremmo resi conto che Bel, nella Sua saggezza, stava preparando la pace per il suo popolo... Le Sacre Cronache di Lughcarn Le mosche erano la cosa peggiore. Era già abbastanza sgradevole essere in punto di morte, ma essere coperto così fittamente di mosche era un'indegnità piena d'ingiustizia: gli insetti si raccoglievano ronzando intorno alla ferita per cercare di berne il sangue, e il dolore era troppo intenso perché lui riuscisse a scacciarle dallo squarcio che era sul fianco destro, appena sotto l'ascella, ed era profondo. Maddyn supponeva che se qualcuno vi avesse applicato dei punti forse lui sarebbe riuscito a sopravvivere, ma dal momento che si trovava solo su quelle selvagge colline era condannato a morire... non vedeva nessun motivo per mentire a se stesso al riguardo: stava morendo dissanguato. Con la mano sinistra si aggrappò al pomo della sella e tenne sollevato il braccio destro perché la ferita gli bruciava come il fuoco se permetteva alla pelle del braccio di toccarla; intanto il sangue continuava a filtrare attraverso la cotta di maglia lacerata e le grosse mosche fra il verde e l'azzurro non cessavano di tormentarlo. Di tanto in tanto, una di esse mordeva il suo cavallo, che era troppo esausto per fare altro che battere a terra uno zoccolo in segno di protesta. Maddyn era l'ultimo cavaliere della sua banda di guerra ad essere ancora vivo, e dal momento che con la sua morte la vittoria del nemico sarebbe risultata completa gli sembrava onorevole tentare di rinviare la cosa per qualche tempo: mentre cavalcava nella dorata foschia autunnale, gli pareva importante privare gli avversari della loro vittoria ancora per una ventina di minuti. Più avanti, a circa un chilometro di distanza, la superficie di un lago scintillava lucente sotto i raggi del tramonto e lungo le sue rive alcune betulle bianche ondeggiavano al soffio del vento che iniziava a levarsi. Maddyn voleva un po' d'acqua... dopo le mosche, la sete era la cosa peggiore e si sentiva la bocca talmente arida da riuscire a stento a respirare, quindi diresse lentamente il cavallo alla volta del lago. Morire non gli importava, se soltanto prima fosse riuscito a bere. Il lago era sempre più vicino, tanto che adesso poteva vedere le canne che si alzavano scure sullo sfondo dell'acqua e un airone bianco che era fermo su una zampa sola vicino alla riva. Poi successe qualcosa al sole,
che invece di tramontare secondo la sua traiettoria diritta prese a ondeggiare di qua e di là come una lanterna tenuta in mano da qualcuno che stesse camminando; adesso il cielo era scuro come se fosse stata notte, ma il sole continuava a oscillare avanti e indietro, una lanterna nella notte, con movimenti sempre più ampi che lo portavano a tratti a splendere allo zenit, direttamente sulla sua testa. Poi ci furono l'oscurità, l'odore dell'erba schiacciata, il ronzio delle mosche e la sete. Infine rimase soltanto l'oscurità. Una lanterna stava ardendo nel buio. All'inizio Maddyn pensò che si trattasse del sole, ma la sua luce era troppo scarsa e stabile; poi il volto di un vecchio si protese su di lui, incorniciato da una fitta massa di capelli bianchi e illuminato da due freddi occhi azzurri. — Ricyn — disse l'uomo, in tono sommesso ma urgente. — Ricco, guardami. Anche se non aveva mai sentito prima quel particolare nome, in qualche modo Maddyn comprese che era il suo e cercò di rispondere, ma le sue labbra erano troppo aride per muoversi. Il vecchio gli accostò alle labbra una tazza d'acqua e lo aiutò a bere... il liquido era fresco e limpido, e Maddyn pensò che in fin dei conti non sarebbe morto patendo la sete. Poi l'oscurità tornò a reclamarlo. Quando tornò a svegliarsi si rese conto che non sarebbe morto. Per lungo tempo rimase disteso, perfettamente immobile, meravigliandosi della cosa: non sarebbe morto. Lentamente si guardò intorno, domandandosi per la prima volta dove si trovasse, e realizzò di essere disteso nudo sotto morbide coperte di lana e su un mucchio di paglia; la luce di un fuoco danzava sulle pareti di un'enorme stanza di pietra e pur continuando a dolergli la ferita era adesso fasciata con bende di lino. Quando girò la testa, vide il vecchio seduto a un rozzo tavolo di legno vicino al focolare di pietra, intento a leggere un libro rilegato in cuoio. L'uomo sollevò lo sguardo e gli sorrise. — Hai sete, ragazzo? — Sì, buon signore. Il vecchio attinse dell'acqua da una botte di legno con la sua tazza e gli si inginocchiò accanto per aiutarlo a bere. — Il mio cavallo? — chiese Maddyn. — È al sicuro e sta mangiando — rispose lo sconosciuto, posandogli una mano sulla fronte. — La febbre è caduta. Maddyn riuscì a stento ad accennare un sorriso prima di addormentarsi, e questa volta sognò la sua ultima battaglia in maniera talmente vivida che gli parve di poter sentire l'odore della polvere e del sudore dei cavalli. La
sua banda di guerra arrivò sulla sommità di una collina e vide il Tieryn Devyr e i suoi uomini in attesa sulla strada... oltre centotrentasette guerrieri, ma nonostante questo loro si sarebbero lo stesso lanciati giù per la collina in una carica senza speranza... Maddyn lo comprese dal modo in cui Lord Brynoic scoppiò a ridere come un folle, appoggiandosi all'indietro sulla sella. Non potevano più fare nulla tranne morire: erano intrappolati e non avevano nulla per cui vivere. Anche se gli parve una cosa assurda, Maddyn si ritrovò a pensare a sua madre, e con l'occhio della mente poté vederla con chiarezza, ferma sulla porta della loro casa con le braccia protese verso di lui. Poi il corno suonò il segnale della carica e lui riuscì a pensare soltanto a cavalcare, a lanciarsi giù per il pendio della collima, verso gli uomini di Devyr che si erano girati per fronteggiarli... lo scontro giunse con un urlo corale da entrambe le parti e nel suo sogno Maddyn rivisse ogni parata e ogni fendente, si sentì soffocare di nuovo per la polvere e si svegliò con un urlo quando la spada gli affondò nel fianco. — Calma, ragazzo — disse il vecchio, che gli era al fianco. — Adesso va tutto bene. — Posso avere un po' d'acqua? — Tutta quella che vuoi. Dopo che Maddyn ebbe trangugiato sei tazze d'acqua, il vecchio gli portò un po' di pane e latte in una ciotola di legno, e dal momento che le sue mani tremavano troppo per reggere il cucchiaio provvide a imboccarlo di persona, una cucchiaiata alla volta... un pasto che a Maddyn parve buono quanto il miglior banchetto mai tenuto nella sala del gwerbret di Cantrae. — Ti ringrazio — disse infine. — Davvero, ti devo i miei più umili ringraziamenti per avermi salvato la vita. — Salvare vite è una mia abitudine. Io sono un erborista. — Allora questo è stato il più grande colpo di fortuna della mia vita! — Fortuna? — ripeté il vecchio, con un sorriso che aveva un che di astuto. — Ecco, è possibile che si sia trattato di fortuna. A proposito, io mi chiamo Nevyn... e non è uno scherzo: è davvero il mio nome. Sono una specie di eremita, e questa è la mia casa. — Io mi chiamo Maddyn e cavalcavo per Lord Brynoic. Ti rendi conto che adesso sono un fuorilegge? Nel nome di ogni demone dal cuore nero, avresti dovuto lasciarmi morire dissanguato dove sono caduto. — Oh, ho sentito parlare dell'esilio di Brynoic, ma le decisioni dei tieryn e degli altri come loro contano poco per me. Che io sia dannato se lascio morire un uomo che potrei salvare soltanto perché il suo signore ha com-
messo qualcosa di offensivo a corte. Con un sospiro, Maddyn girò la testa da un lato; poco lontano il suo scudo era appoggiato al muro e accanto ad esso era deposto un sacco ordinato contenente la sua roba, compresa una piccola arpa riposta nella sua custodia di cuoio, e la vista dello stemma della volpe impresso su tutto ciò che possedeva gli fece salire le lacrime agli occhi. Tutta la sua banda di guerra, gli amici con cui cavalcava ormai da otto anni... erano tutti morti perché Lord Brynoic aveva desiderato la terra di un altro uomo e aveva fallito nel suo tentativo di ottenerla. — Il Tieryn ha seppellito i nostri morti? — sussurrò. — Lo ha fatto. Alcuni giorni dopo averti portato qui ho trovato il campo di battaglia e dalle dimensioni del massacro mi sorprende che anche un solo uomo ne sia uscito vivo. — Sono fuggito come un codardo. Ho caricato e sono stato ferito, e quando ho capito che stavo per morire ho desiderato soltanto di farlo da solo, in un luogo tranquillo. Oh, dèi, non ho neppure sognato che qualcuno mi avrebbe salvato. — Senza dubbio il tuo Wyrd era quello di vivere. — Allora si tratta di un aspro Wyrd, perché sono pur sempre un fuorilegge ed ho gettato via gli ultimi brandelli di onore quando non sono morto con il mio signore e la sua banda. Nevyn mormorò qualche parola di consolazione ma Maddyn quasi non lo sentì: nonostante la profonda vergogna che lo tormentava, in fondo al proprio cuore sapeva di essere felice di essere ancora vivo, e quella stessa felicità costituiva un'altro motivo di vergogna. Trascorsero due giorni prima che Maddyn si potesse sollevare a sedere, e anche allora ci riuscì soltanto puntellandosi contro la parete e lottando contro i giramenti di testa. Non appena si sentì un po' più forte prese a gironzolare per la strana stanza in cui si trovava... a giudicare dall'odore di umidità nell'aria e dall'assenza di finestre ritenne di essere nel sottosuolo, ma il fuoco acceso nell'enorme focolare tirava senza problemi. Anche la stanza aveva dimensioni proporzionate al focolare, con un diametro di quindici metri e un soffitto che si perdeva in alto nell'ombra; lungo tutta la parete accanto al suo letto era stato intagliato a circa tre metri dal suolo un bassorilievo che un tempo probabilmente faceva tutto il giro della stanza mentre adesso il severo disegno geometrico di triangoli e di cerchi s'interrompeva bruscamente come se fosse stato eraso. Infine un giorno, quando ormai si sentiva abbastanza in forze da riuscire a nutrirsi da solo per la
prima volta, Maddyn ebbe l'idea di chiedere a Nevyn dove si trovavano. — Siamo dentro Brin Toraedic: tutta la collina è perforata da stanze e da passaggi. Per poco Maddyn non si lasciò cadere il cucchiaio in grembo. Dal momento che la fortezza di Lord Brynoic si trovava ad appena setto o otto chilometri di distanza, lui aveva visto quella collina molte volte e aveva sentito numerosi racconti su come essa fosse infestata da demoni e da spiriti che facevano saettare nella notte lampi di luce azzurra e di giorno emettevano strani e sibilanti ululati. Di certo la collina aveva un aspetto abbastanza strano da indurre a pensare che fosse infestata da fantasmi, in quanto si alzava bruscamente dal pascolo altrimenti piatto come un gigante un tempo tramutato in pietra ed ora coperto d'erba. — Suvvia — commentò Nevyn, con un sorriso. — Sono fatto di carne ed ossa e non sono un principe dei demoni o qualcosa del genere. Maddyn cercò di ricambiare il sorriso, ma falli nell'intento. — Mi piace essere lasciato in pace, ragazzo — proseguì Nevyn, — quindi quale posto migliore per vivere avrei potuto trovare di uno a cui tutti gli altri hanno paura di avvicinarsi? — Suppongo che sia vero, ma del resto qui non ci sono spiriti, giusto? — Oh, ce ne sono parecchi, ma vanno per la loro strada ed io per la mia. C'è spazio in abbondanza per tutti. Quando Maddyn si rese conto che il vecchio non stava scherzando, le mani presero a tremargli così violentemente che dovette posare a terra il cucchiaio e la ciotola. — Non ti posso mentire — aggiunse Nevyn, in tono assolutamente pacato. — Dovrai ripararti presso di noi per tutto l'inverno perché non sarai in condizione di viaggiare prima che cominci a nevicare, ma questi spiriti sono innocui e tutte quelle chiacchiere a proposito di demoni sono soltanto un'esagerazione... la gente dei dintorni muore dal desiderio di colorire un poco la propria esistenza. — Davvero? Uh... ecco... buon signore, da quanto tempo mi trovo qui? — Da una quindicina di giorni. Sei rimasto in preda alla febbre per un periodo dannatamente lungo perché la ferita si era infettata. Quando ti ho trovato, era coperta di mosche. Maddyn raccolse il cucchiaio e si rimise a mangiare con cupa determinazione, perché quanto prima avesse recuperato le forze tanto prima avrebbe potuto lasciare quel posto infestato dagli spiriti.
A mano a mano che la sua ferita guariva, Maddyn cominciò a restare alzato per periodi sempre più lunghi; anche se Nevyn aveva gettato via i suoi abiti intrisi di sangue, il giovane aveva nelle sacche della sella una camicia di ricambio e il vecchio riuscì a trovargli un paio di calzoni che gli andavano abbastanza bene. Una delle prime cose che fece fu quella di tirare fuori dalla custodia la sua arpa per assicurarsi che non avesse subito danni... dal momento che il braccio destro era molto debole non poteva accordarla, ma passò lo stesso una mano sulle corde allentate per accertarsi che suonassero ancora. — Mi sorprende che Lord Brynoic abbia rischiato in battaglia la vita di un bardo — commentò Nevyn. — Io non sono granché come bardo, davvero, sono piuttosto un gerthddyn che sa combattere. Conosco molte canzoni e cose del genere, ma non ho mai studiato le triadi e il resto del sapere dei bardi. — E perché non lo hai fatto? — Ecco, mio padre era un cavaliere della banda di guerra del nostro signore e quando è rimasto ucciso io avevo circa tredici anni, per cui Lord Brynoic mi ha offerto di prendere il suo posto. Io ho accettato per vendicare la morte di mio padre, e dopo di allora non ho più avuto l'opportunità di studiare, visto che avevo giurato fedeltà al mio signore. — E hai dei rimpianti? — Non mi permetto mai di provare rimpianti, perché così si soffre soltanto, buon signore. Non appena si sentì abbastanza forte per farlo, Maddyn cominciò ad esplorare la strana casa del vecchio, un piccolo complesso di grotte e di gallerie. Accanto all'alloggio vero e proprio c'era un'altra stanza di pietra che l'erborista aveva trasformato in stalla per il suo cavallo, quello di Maddyn e un ottimo mulo marrone; da un lato, la parete della stanza era crollata, dando accesso ad una grotta naturale in cui sgorgava una piccola sorgente la cui acqua defluiva poi lungo il lato della collina. Appena oltre l'apertura della stalla, c'era poi il canalone che aveva dato a Brin Toraedic il nome di «collina spezzata», una lunga fenditura diritta che ne solcava la sommità. La prima volta che si recò all'esterno, Maddyn trovò che l'aria era fredda nonostante il sole brillante, e il gelo gli fece dolere la ferita, inducendolo a rientrare in fretta e a decidere di accettare la parola di Nevyn sul fatto che l'inverno fosse ormai alle porte. Dal momento che l'erborista sembrava avere molto denaro oltre a quella complessa abitazione, Maddyn cominciò a chiedersi se non si trattasse di
un nobile eccentrico che aveva semplicemente scelto di sfuggire alle guerre civili che infuriavano nel regno. Anche se era troppo grato a Nevyn per porgli domande imbarazzanti, sapeva infatti che per tutto il regno erano sparsi numerosi nobili che escogitavano ogni scusa possibile per sottrarsi ai propri obblighi nei confronti dei diversi gwerbret che sostenevano di essere il re di tutto Deverry, e Nevyn aveva dei modi decisamente nobiliari, a volta cortesi e a volte bruschi, come se fosse abituato ad essere obbedito senza esitazione. In aggiunta a questo, sapeva leggere e scrivere, capacità rare per un semplice erborista quale lui sosteneva di essere. A poco a poco, Maddyn cominciò a trovare affascinante il vecchio. A intervalli di pochi giorni, Nevyn prendeva il cavallo e il mulo e si recava al vicino villaggio dove comprava provviste fresche e scorte per l'inverno: fieno e grano per le bestie, formaggio, salsicce, frutta secca e cose del genere per loro due. Durante la sua assenza, Maddyn svolgeva qualche lavoro nelle caverne, poi dormiva per recuperare le forze. Una grigia mattina in cui soffiava un vento tagliente, Nevyn avvertì che sarebbe rimasto lontano più a lungo del solito perché una delle donne del villaggio aveva bisogno delle sue erbe; dopo che il vecchio se ne fu andato, Maddyn spazzò la stalla, spingendone i rifiuti nel canalone, poi si concesse un po' di riposo prima di sparpagliare il tutto sul fianco della collina. Quando ebbe finito aggiunse un po' di legna al fuoco e si sedette vicino ad esso per disperdere il freddo che gli era penetrato nella ferita. Per la prima volta dal giorno della battaglia si sentiva troppo in forze per dormire, e gli parve che l'arpa tanto trascurata lo stesse chiamando in tono di rimprovero: quando la tirò fuori dalla custodia di cuoio le corde allentate gli rivolsero un sospiro. Un'arpa di quelle dimensioni aveva appena trentasei corde, ma nel suo stato di debolezza gli parve che per accordarle ci volesse un'eternità: dopo aver tratto la nota principale dal suo diapason di metallo, procedette a regolare la tensione delle corde mediante i piccoli pioli d'avorio cantando al tempo stesso gli intervalli fino ad avere il volto rigato di sudore. Quel segno di debolezza lo indusse però a continuare fino a quando l'arpa fu ragionevolmente accordata, ma a quel punto dovette riposare per qualche momento prima di poter suonare. Eseguì allora qualche accordo e la musica parve ridargli in piccola misura le energie nell'echeggiare all'interno dell'immensa stanza di pietra... le dimensioni stesse del luogo parevano infatti aggiungere una sfumatura irreale ad ogni nota da lui emessa.
All'improvviso avvertì accanto a sé la presenza della Bianca Signora, la sua angwen, colei che veniva da ogni bardo che aveva dentro di sé una vera canzone, e al suo apparire provò la consueta sensazione di gelo lungo la schiena, mentre i capelli gli si rizzavano sulla nuca. Sebbene lui si ostinasse a definirsi soltanto un gerthddyn, la presenza della sua angwen e l'ispirazione che essa gli dava erano il segno certo che il regno aveva perduto un vero bardo quando lui si era votato come guerriero al suo signore; per quanto la sua voce fosse ancora debole e rigida, Maddyn cantò per la sua angwen eseguendo una lunga ballata, qualche Urica e ogni altro pezzo che gli affiorò nella mente, sentendo la musica che gli leniva la ferita nello stesso modo in cui lo facevano gli impiastri curativi. D'un tratto si accorse di non essere solo, ma quando sollevò lo sguardo aspettandosi di vedere Nevyn non scorse nessuno: guardandosi intorno vide soltanto le ombre proiettate dal fuoco, e tuttavia ogni volta che toccava una corda poteva percepire un pubblico che lo stava a sentire. I capelli gli si rizzarono sulla nuca come i peli di un gatto quando ricordò i discorsi di Nevyn a proposito degli spiriti ma si rimproverò aspramente, dandosi dello stupido, e si ripeté che nella stanza non c'era nessuno. Aveva però suonato in pubblico troppe volte per credere nelle proprie affermazioni, in quanto conosceva l'intangibile differenza esistente fra il cantare in solitudine e l'esibirsi di fronte ad un pubblico attento: quando cantò due versi di una ballata sentì i suoi ascoltatori... chiunque fossero... protendersi in avanti per cogliere ogni sua parola, e allorché infine smise e posò a terra l'arpa avvertì il loro disappunto. — Bene, non potete essere cattivi se vi piace una bella canzone — commentò. Gli parve di sentire qualcuno ridacchiare alle sue spalle, ma nel girarsi vide dietro di sé soltanto la parete. Alzatosi in piedi, fece con cautela il giro della stanza, guardando in ogni angolo e in ogni fessura... invano... e proprio mentre si metteva di nuovo a sedere qualcun altro rise... questa volta lo sentì con chiarezza... proprio come un bambino contento di aver giocato un bello scherzo. D'istinto afferrò l'arpa, con il confuso pensiero di metterla al sicuro, ma subito avvertì l'invisibile pubblico che gli si raccoglieva intorno pieno di anticipazione e la sua anima di bardo non se la sentì di respingere quegli ascoltatori, per quanto privi di sostanza. Non appena sfiorò le corde ebbe la netta sensazione di avvertire un sommesso sospiro di soddisfazione, e soltanto perché quella fu la prima cosa che gli passò per la mente, intonò le cinquanta stanze che narravano il viaggio per mare di
Re Bran fino a Deverry e l'insorgere della nebbia magica che alla fine aveva portato via lui e la sua flotta. Quando infine le navi incantate giunsero sane e salve al perduto e misterioso porto nel lontano nord, Maddyn era sfinito. — Chiedo scusa, ma adesso devo smettere. Gli rispose un sospiro di rincrescimento, poi qualcuno gli toccò con gentilezza i capelli, come se stesse accarezzando un cane, e qualcun altro gli tirò una manica con dita ossute; il fuoco si levò alto nel focolare e una corrente di aria innaturalmente fredda gli vorticò intorno. Rabbrividendo, Maddyn si alzò in piedi, ma piccole mani gli afferrarono i calzoni e le corde dell'arpa presero a suonare a casaccio, come se qualcuno stesse provando a usare lo strumento, mentre le ombre stesse parevano animarsi e vorticare in ogni angolo. Adesso c'erano dita che gli toccavano la faccia, gli accarezzavano le braccia, gli pizzicavano i vestiti e gli tiravano i capelli, e le corde dell'arpa continuavano ad emettere suoni discordi. — Smettetela, tutti quanti! — tuonò Nevyn, dalla soglia. — Questo è un modo dannatamente scortese di trattare un ospite! Le piccole dita scomparvero e il fuoco si abbassò come se si vergognasse; dal canto suo, Maddyn si sentì prossimo a piangere di sollievo quando il vecchio erborista entrò a grandi passi, portando un paio di sacche da sella. — Davvero, è stato un modo cattivo di comportarvi — proseguì Nevyn, apparentemente rivolto all'aria, — e se lo farete di nuovo Maddyn non suonerà mai più la sua arpa per voi. Le presenze svanirono dalla stanza e Nevyn gettò le sacche della sella sul tavolo, rivolgendo un sorriso a Maddyn che posò l'arpa con mani tremanti e si asciugò il sudore dalla faccia con una manica. — Avrei dovuto avvertirti che amano la musica, ragazzo. Ti chiedo scusa. Maddyn tentò di parlare, non ci riuscì e si lasciò cadere pesantemente a sedere su una panca; alle sue spalle una corda dell'arpa vibrò e Nevyn indirizzò un'occhiata accigliata allo spazio vuoto accanto ad essa. — Ho detto di smetterla! Una piccola folata d'aria passò e si dissolse. — Non intendi rivolgermi qualche domanda, Maddyn, ragazzo mio? — A dire la verità, ho paura di farlo. — Ebbene, ti risponderò lo stesso, domande o meno — rise sommessamente il vecchio. — Quelli erano membri di ciò che gli uomini chiamano
il Popolo Fatato: sono come cuccioli o bambini maleducati, pieni di curiosità e ignari delle buone maniere. Sfortunatamente, possono fare del male a noi mortali senza averne l'intenzione. — Questo lo avevo capito senza ombra di dubbio — replicò Maddyn, e nel guardare il suo benefattore si rese conto di una verità che da giorni ormai stava cercando di non vedere. — Signore, tu devi possedere il dweomer. — Infatti. Che impressione ti fa? — Mi sconvolge. Non credevo che cose del genere potessero esistere al di fuori delle mie storie e delle mie ballate. — Certo, la maggior parte degli uomini mi considererebbe una fantasia partorita dalla mente di un bardo, ma la mia arte è fin troppo reale. Maddyn continuò a fissarlo, chiedendosi come quel vecchio potesse avere un aspetto così dannatamente normale, fino a quando Nevyn gli volse le spalle con una bonaria risata e cominciò a frugare nelle sacche della sella. — Ti ho portato per cena un po' di carne arrostita, ragazzo, perché hai bisogno di recuperare il sangue che hai perduto. La donna che ho visitato aveva da parte qualcosa con cui pagare le mie erbe. — Ti ringrazio. Uh... quando pensi che starò abbastanza bene da potermene andare? — Oho! Gli spiriti ti hanno fatto ventre voglia di scappare, vero, ragazzo? — Ecco, non è per essere ingrato o qualcosa del genere, buon signore — rispose Maddyn, sentendosi arrossire, — ma io... uh... ecco... — Non c'è bisogno di vergognarsi, ragazzo — rise ancora Nevyn. — Ora, per quanto riguarda la tua ferita, passerà ancora del tempo prima che tu sia in forma. Ti sei spinto fin quasi alle porte dell'Aldilà, e per tornare indietro ci vuole sempre parecchio. Da quel giorno i membri del Popolo Fatato divennero sempre più audaci con Maddyn, nello stesso modo in cui un cane sguscia fuori da sotto la tavola del padrone quando si rende conto che l'ospite ama gli animali. Ogni volta che prendeva l'arpa, il giovane era consapevole della loro presenza... un ravvivarsi della stanza, una piccola risata appena udibile, un lieve tocco sul braccio o cui capelli, un alito di vento quando qualcosa gli volava vicino. Ogni volta che le creature lo pizzicavano o gli saltavano addosso si limitava a minacciare di smettere di cantare, una minaccia che le induceva sempre a comportarsi bene. Una volta, mentre stava lottando per accendere il fuoco con l'esca umida, li sentì raccogliersi intorno a lui, e non appena
fece scaturire una scintilla dall'acciarino il Popolo Fatato la trasformò in un fuoco vero e proprio... e allorché li ringraziò automaticamente per l'intervento, Maddyn si rese conto che stava cominciando a dare per scontata la loro presenza; quanto a Nevyn, però, pur tenendolo d'occhio alla ricerca di tracce di strani poteri e di strane conoscenze, non notò mai in lui nulla di simile, tranne naturalmente il fatto che gli spiriti gli obbedivano. Maddyn trascorse anche molto tempo a pensare al suo futuro. Dal momento che era un membro di una banda di guerra dichiarata fuorilegge sarebbe stato impiccato se il Tieryn Devyr fosse mai riuscito a mettergli le mani addosso, quindi la sua unica speranza di condurre una vita onorevole era davvero molto tenue e consisteva nel tentare di arrivare a Cantrae senza essere prima fermato dagli uomini del Tieryn, in modo da affidarsi alla misericordia del Gwerbret e ottenere di essere perdonato, soltanto perché era una sorta di bardo ed era quindi posto sotto la speciale protezione della legge. Sfortunatamente, un simile perdono era improbabile perché per ottenerlo bisognava fare affidamento sul carattere del Gwerbret, e Tibryn del Cinghiale era un uomo aspro: il suo clan, quello dei Cinghiali del nord, era imparentato con i Cinghiali di Muir nel sud, che una cinquantina di anni prima avevano sottratto il Gwerbretrhyn al re di Dun Deverry. Fra tutti e due, i congiunti clan del Cinghiale dominavano una vasta porzione del regno settentrionale e si diceva che costituissero il vero potere alle spalle del re fantoccio che risiedeva nella Città Santa, quindi era improbabile che Tibryn si mostrasse misericordioso verso un bardo neppure qualificabile come tale quando questo avrebbe contrariato uno dei suoi fedeli Tieryn. Di conseguenza, Maddyn decise che dal momento che lui e gli spiriti erano riusciti a trovare una forma di convivenza, non si sarebbe rivolto alla misericordia del Gwerbret e sarebbe rimasto a Brin Toraedic fino a primavera. La volta successiva che Nevyn si recò al villaggio, Maddyn fece un po' di strada con lui per concedere un po' di esercizio tanto a se stesso quanto al proprio cavallo. Era una giornata limpida e fredda, con l'odore della neve che permeava l'aria e la brina che ricopriva le stoppie marrone dei campi. Quando si rese conto che era quasi Samaen, Maddyn rimase sconvolto per il rapido fluire del tempo all'esterno della collina, dove le giornate sembravano avere un loro diverso ritmo. Infine giunsero al villaggio, una manciata di case dal tetto di paglia sparse fra le betulle bianche lungo le rive di un ruscello. — È meglio che ti aspetti sulla strada — osservò Maddyn. — Uno degli
uomini del Tieryn potrebbe venire al villaggio per un qualsiasi motivo. — Non voglio che resti all'aperto con questo freddo. Ti accompagnerò ad una fattoria qui vicino i cui abitanti sono miei amici e ti ospiteranno senza porre domande imbarazzanti. Percorsero un viottolo che attraversava un pascolo bruno e arrivarono alla fattoria, una manciata di costruzioni rotonde poste all'interno di un muro circolare di terra battuta. Sul retro della casa principale c'erano una stalla per le mucche, baracche per riporre i viveri e un recinto per le capre grigie e bianche, mentre nel cortile fangoso i polli razzolavano davanti alla porta principale della casa. Un uomo robusto dai capelli grigi oltrepassò la soglia e allontanò i volatili nel venire a salutarli. — Buon giorno, mio signore. Cosa posso fare per te questa mattina? — Oh, soltanto tenere al caldo questo mio amico, buon Bannyc. È stato molto malato, come sono certo che avrai già dedotto dal suo pallore, ed ha bisogno di riposare mentre io vado al villaggio. — Possiamo fargli un po' di posto vicino al focolare. Per gli dèi, ragazzo, sei bianco come la brina. Bannyc introdusse Maddyn nella stanza principale a forma di cuneo che serviva al tempo stesso da cucina e da ambiente di ritrovo; davanti al grosso focolare dove alcuni ceppi ardevano in maniera davvero accogliente c'erano due tavoli e tre panche dallo schienale diritto, una quantità notevole di mobilio per quella zona; il pavimento era coperto da uno strato di paglia fresca e le pareti erano state imbiancate da poco, mentre dal soffitto pendevano trecce di cipolle e di aglio, reti piene di rape e di mele messe a seccare e un paio di enormi prosciutti. Accanto al focolare una giovane donna sedeva a gambe incrociate, intenta a rammendare un paio di calzoni. — Chi è quest'uomo, Pà? — chiese. — Un amico di Nevyn. La ragazza si affrettò ad alzarsi in piedi e a rivolgere una riverenza a Maddyn che s'inchinò a sua volta, notando che la giovane era molto graziosa, con capelli corvini e occhi scuri e calmi. — Spero che mi perdonerai se vi impongo la mia presenza — disse. — Sono stato malato ed ho bisogno di riposare un poco. — Qualsiasi amico di Nevyn è il benvenuto qui — replicò la ragazza. — Siediti e ti porterò un po' di birra. Maddyn si tolse il mantello e sedette sulla pietra del focolare, quanto più vicino poteva mettersi alle fiamme senza strinarsi la camicia, mentre Bannyc annunciava che doveva tornare a occuparsi delle sue mucche e
tornava all'esterno. La ragazza porse a Maddyn un bicchiere di birra scura, poi gli sedette accanto e riprese il suo rammendo. — Ti ringrazio — disse il giovane, levando il boccale in un gesto di saluto. — Io sono Maddyn di... uh, ecco, soltanto Maddyn andrà bene. — Io mi chiamo Belyan. Conosci Nevyn da molto tempo? — Oh, non molto. Belyan gli rivolse un sorriso stranamente reverenziale e cominciò a cucire, mentre Maddyn beveva un sorso di birra e osservava le sue dita sottili lavorare con agilità nel riparare i calzoni che a giudicare dalla taglia dovevano appartenere a Bannyc. Poi Belyan gli lanciò un'occhiata esitante, come se stesse cercando qualcosa da dire. — Allora, mio signore — osservò infine, — rimarrai a lungo con Nevyn? — Per essere sincero non lo so... ma cosa ti spinge a chiamarmi signore? La mia nascita è umile quanto la tua. — Ma sei un amico di Nevyn. A quel punto Maddyn si rese conto che la ragazza sapeva benissimo che il vecchio possedeva il dweomer. — Senti, cosa credi che io sia? — le chiese, avendo la sgradevole sensazione che fosse pericolosissimo fingere di possedere il dweomer. — Io sono soltanto un cavaliere senza una banda di guerra, e Nevyn è stato tanto buono da salvarmi la vita quando mi ha trovato ferito... tutto qui. Però non dire niente a nessuno di me, d'accordo? Sono stato dichiarato fuorilegge. — Dimenticherò il tuo nome nel momento stesso in cui te ne andrai. — Ti ringrazio umilmente e ti porgo le mie scuse: non merito neppure di bere la tua birra. — Oh, tieni a freno la lingua! Che me ne importa di queste dannate guerre? Nel guardarla con sorpresa, Maddyn scoprì che la ragazza era irata e che la sua bocca era contratta in una piega dura e amara. — Non me ne importa un accidente — proseguì lei. — Tutto ciò che hanno portato a me e ai miei sono stati problemi. Ci prendono i cavalli, ci alzano le tasse e calpestano il nostro grano, e tutto in nome della gloria e del solo vero re... come lo chiamano loro... quando chiunque abbia un po' di buon senso sa che adesso i re sono due. E a me perché dovrebbe importare, a patto che non vengano qui a disturbarci? Se tu sei un uomo che non morirà in questa guerra, io dico che è un bene per te. — Dèi! A dire il vero non avevo mai pensato alla cosa in quest'ottica,
prima d'ora. — Non ne dubito, dal momento che prima eri un guerriero. — Ecco, non sono esattamente un disertore o qualcosa del genere. Belyan si limitò a scrollare le spalle e riprese a cucire. Osservandola, Maddyn si chiese come mai una donna della sua età... circa ventidue anni, vivesse ancora nella casa di suo padre. Che avesse perso il fidanzato in guerra? La risposta gli giunse da sola un momento più tardi quando due bambini di circa sei e quattro anni entrarono di corsa nella stanza chiamando mamma la donna; i due stavano litigando per una moneta di rame che avevano trovato sulla strada ed erano venuti da lei perché risolvesse la questione: dando un bacio a ciascuno, Belyan disse loro di consegnare la moneta al nonno e li rimandò all'esterno. — Allora sei sposata, vero? — osservò Maddyn. — Lo ero un tempo. Il loro padre è affogato nel fiume due inverni fa... stava piazzando una trappola per i pesci, ma il ghiaccio si è assottigliato troppo sotto di lui. — Mi dispiace, davvero. E così sei tornata da tuo padre? — Infatti. Pà aveva bisogno di una donna in casa ed è buono con i miei ragazzi... il che è ciò che m'importa. — Mi rallegra sentire che sei felice. — Felice? — ripeté Belyan, riflettendo per un momento. — Oh, non penso molto a cose come la felicità, mi basta che i miei ragazzi stiano bene. Maddyn poté avvertire la sua solitudine, nascosta appena al di sotto del tenue sorriso ironico, e mentre cominciava a porsi interrogativi su di lei nel suo corpo si destò un accenno di desiderio, un altro segno della vita che riprendeva a scorrere in esso. Belyan lo stava fissando con i suoi occhi scuri pazienti, controllati e quasi indecifrabili. — E adesso cosa farai? — gli chiese. — Partirai prima che arrivi la neve? — Nevyn non pensa che per allora starò già abbastanza bene, ma prima o poi me ne dovrò andare perché se restassi ne andrebbe della mia vita: gli uomini dichiarati fuorilegge vengono impiccati. — Lo so. Belyan lo scrutò ancora per un momento, poi si alzò con mosse decise come se fosse giunta ad una decisione e uscì dalla stanza attraverso una porta chiusa da una coperta che si apriva in una delle pareti di vimini; Maddyn stava giusto finendo il suo boccale di birra quando la donna tornò
portando con sé una camicia che gli gettò in grembo nel sedersi di nuovo vicino a lui. — Questa era di mio marito — disse. — È troppo piccola per Pà e marcirà prima che i ragazzi crescano abbastanza da riempirla, quindi prendila tu: hai bisogno di una camicia che non abbia lo stemma della volpe ricamato da tutte le parti. — Oh, dèi! Me ne ero dimenticato. Non mi meraviglia più che tu mi abbia creduto un disertore. Bene, ti porgo i miei più umili ringraziamenti. Nel parlare allargò la camicia, studiando con ammirazione le maniche, rese rigide dal fitto intreccio di ricami a spirale, e il collo decorato con bande floreali. Con ogni probabilità quella era stata la camicia nuziale del marito di Belyan perché era difficile che l'uomo avesse posseduto due capi di vestiario così elaborati, ma in ogni caso per lui era molto meno rischioso indossare quella che una camicia con lo stemma del suo signore ormai morto. Si tolse quindi l'indumento e lo porse alla donna. — Se vuoi, puoi utilizzarne la stoffa per rammendare le tuniche dei ragazzi — suggerì. — Infatti. Ti ringrazio. Nel parlare, Belyan stava fissando la cicatrice che gli segnava il fianco, più spessa e profonda sotto l'ascella e più sottile lungo le costole, e nell'accorgersene Maddyn si affrettò a indossare la camicia nuova, assestandosela addosso. — Mi calza bene. Sei generosa con un uomo disonorato. — Sempre meglio che lasciarla marcire. Mi è costata una notevole quantità di lavoro. — Senti ancora la mancanza del tuo uomo? — A volte — ammise lei, soffermandosi poi a riflettere per qualche momento. — Sì, la sento. Era un brav'uomo, non mi picchiava e avevamo sempre abbastanza da mangiare; quando ne aveva il tempo, intagliava piccoli cavalli e carri per i bambini e badava che io avessi un vestito nuovo ogni primavera. Maddyn si rese conto che per lei tutto si riduceva a questo, senza traccia delle glorie dell'amore e delle tempeste della passione che le canzoni dei bardi celebravano per un pubblico di nobili. Lui aveva incontrato una quantità di donne come Belyan, tutte donne di campagna la cui vera vita scorreva separata da quella dei loro uomini e racchiusa nella realtà concreta del loro lavoro e dei loro figli... e dal momento che il loro lavoro era importante quanto quello degli uomini al fine di nutrire e di riparare la fa-
miglia, quelle donne avevano un loro posto sicuro, al contrario delle mogli dei nobili che esistevano in dipendenza dai capricci dei loro uomini. Tuttavia Belyan si sentiva sola e a volte le mancava il suo uomo, e il desiderio destato in Maddyn dalla consapevolezza del suo corpo si stava intensificando. Quando la donna gli sorrise, lui le rispose. In quel momento la porta si spalancò con violenza e i due bambini fecero entrare Nevyn ridendo e gridando; il vecchio rispose agli scherzi dei piccoli, ma il suo volto assunse un'espressione cupa quando lui raggiunse Maddyn. — Avevi ragione a restare fuori del villaggio, ragazzo, e mi piace quella camicia nuova che hai addosso. Automaticamente, Belyan cominciò ad arrotolare quella vecchia, nascondendo all'interno il collo con lo stemma della volpe. — Il Tieryn Devyr è alla fortezza di Lord Brynoic — proseguì Nevyn. — Ha intenzione di assegnarne le terre al proprio figlio Romyl e di dare al ragazzo parte della sua banda di guerra perché possa tenerle. Questo significa che uomini che ti conoscono circoleranno per le strade della zona, quindi ritengo che sia meglio tornare a casa per un'altra via. Nei giorni che seguirono Maddyn rifletté spesso sul rischio di lasciare il rifugio per conto suo e alla fine andò a trovare Belyan seguendo un percorso tortuoso. Quando entrò nel cortile, la fattoria gli parve deserta perché il carro di legno era scomparso e neppure un cane gli venne incontro abbaiando; poi, mentre se ne restava fermo nel cortile con aria perplessa, Belyan uscì da granaio portando un secchio di legno in una mano, e nel vederla Maddyn apprezzò il suo passo deciso ma aggraziato. — Pà ha portato i ragazzi al mercato perché avevamo del formaggio d'avanzo da vendere — spiegò. — Staranno via molto? — Probabilmente fino al tramonto. Speravo che passassi di qui oggi. Maddyn portò il cavallo nella stalla e lo legò vicino alle mucche, in modo che fosse al riparo dal vento e soprattutto che non potesse essere visto dalla strada. Al suo ingresso in casa trovò Belyan intenta a mettere altra legna nel focolare: nel vederlo lei si pulì le mani sulla gonna e gli rivolse un piccolo, segreto sorriso. — Nella mia stanza fa freddo, Maddo. Vieni qui a sederti vicino al fuoco. Sedettero insieme sulla morbida paglia pulita accanto al focolare e allorché Maddyn le accarezzò timidamente i capelli lei gli posò con impazienza
le mani sulle spalle; quando poi lui la baciò, Belyan gli fece scivolare le mani dietro il collo e lo trasse a sé con la stessa disinvoltura con cui avrebbe raccolto una fascina di grano. Quell'anno l'inverno fu lento a venire: ci fu una sola nevicata, poi rimase soltanto il freddo sotto un cielo limpido, giorni e giorni di brina e di vento. Anche se il pallido sole invernale riuscì a sciogliere la prima neve, la brina rimase in uno strato ghiacciato e lucente sui campi marrone e nei fossati lungo la strada. Maddyn trascorse molti giorni nascosto dentro Brin Toraedic perché gli uomini di Lord Romyl erano spesso in circolazione e andavano avanti e indietro sulla strada che portava al villaggio per esercitare i cavalli e avere una scusa per uscire dalla fortezza; durante quelle giornate il giovane si alzò tardi e trascorse il tempo esercitandosi con l'arpa con il Popolo Fatato come pubblico. A volte Nevyn si sedeva anche lui ad ascoltare e addirittura avanzava qualche commento sulla canzone o sul suo esecutore, ma il più delle volte il vecchio trascorreva il suo tempo nelle viscere della collina e Maddyn non trovò mai il coraggio di chiedergli cosa facesse. Un pomeriggio in cui Nevyn era assente, Maddyn ricordò una canzone su Dilly il Cieco, il più furfante fra i membri del Popolo Fatato. Dal momento che si trattava di una canzone per bambini, erano anni che non la sentiva ma la eseguì parecchie volte e creò nuovi versi quando non riuscì a ricordare quelli effettivi, e per tutto il tempo il Popolo Fatato gli si raccolse intorno ascoltandolo con estrema attenzione. Allorché infine concluse l'esecuzione, per un brevissimo momento Maddyn ebbe l'impressione di vedere o forse vide davvero piccole facce e piccoli occhi che lo fissavano per poi scomparire improvvisamente. Quando Nevyn fu di ritorno, parecchio tempo più tardi, Maddyn gli accennò della visione avuta... se di questo si trattava... e il vecchio parve onestamente stupito. — Se cominci a vederli, ragazzo, nel nome di ogni dio non lo dire a nessuno perché ti prenderebbero in giro senza pietà. — Oh, lo so bene. Sono soltanto perplesso, perché prima d'ora non avevo mai avuto neppure un accenno di seconda vista. — Davvero? È strano, perché capita spesso che i bardi ne siano dotati. In ogni caso, ragazzo, senza dubbio stai risentendo del fatto di trovarti qui con noi. Immagina di posare la tua spada vicino al fuoco, sulla pietra del focolare... con il tempo la lama diventerebbe rovente pur senza essere nel fuoco, e trovarsi in un centro di potere del dweomer può avere un effetto
del genere su un uomo dalla mente sensibile. Con un piccolo brivido Maddyn lasciò vagare lo sguardo per la torreggiante camera di pietra. Un centro di potere? In effetti, a volte lui poteva quasi avvertirlo. — Bene — disse infine, — è stato uno strano caso quello che mi ha portato qui. — Forse, ma ad un uomo del dweomer nulla accade per caso, soprattutto in questi tempi dannati e tormentati. — Devo dedurre che le guerre ti addolorino. — Certo che mi addolorano, stupido! E se avessi un po' di buon senso addolorerebbero anche te! — Buon signore, io non ho mai conosciuto altro che la guerra e a volte mi chiedo se i tempi del vecchio regno siano stati davvero come le storie di alcune delle mie canzoni... splendide a sentirsi ma mai vere. — Oh, erano decisamente reali. C'è stato un tempo in cui si potevano percorrere tranquillamente le strade, i contadini potevano raccogliere senza pericolo i raccolti e un uomo poteva generare un figlio ed essere certo di vederlo crescere e sposarsi. Erano bei tempi, ed io prego costantemente perché ritornino. Maddyn avvertì l'improvviso, struggente desiderio di conoscere quel genere di vita. In passato aveva desiderato soltanto la gloria e l'onore della battaglia, dando per scontato che ci sarebbero sempre state guerre che li avrebbero forniti, ma ora si chiese d'un tratto se la gloria fosse davvero il grande premio che lui aveva creduto. Più tardi, quando uscì per una passeggiata sulla sommità della collina, scopri che la neve era caduta per tutta la mattina e che nel raggio di chilometri il mondo era morbido e bianco sotto un cielo perlaceo, con gli alberi che delineavano l'orizzonte e il distante villaggio accoccolato sotto l'alito di fumo dei suoi camini. Aveva visto panorami come quello centinaia di volte ma non vi aveva mai prestato attenzione, mentre adesso lo trovava splendido, così splendido da indurlo a chiedersi se avesse mai guardato davvero qualcosa prima di arrivare tanto vicino ai cancelli dell'Aldilà. Di notte, ogni volta che il tempo lo permetteva, Maddyn andava a trovare Belyan. In un primo tempo aveva temuto che Bannyc provasse risentimento nei confronti del fuorilegge che era arrivato per caso e si era preso sua figlia, ma il vecchio lo trattava con cortese indifferenza; i due ragazzi costituivano però un problema ben diverso, perché il più giovane lo trovava una seccatura e il maggiore lo odiava apertamente, quindi lui prese l'a-
bitudine di arrivare alla fattoria ad un'ora tarda, quando era certo che i due stessero già dormendo, perché Belyan gli aveva fatto capire senza mezzi termini che i figli per lei venivano per primi... cosa che gli pareva più che giusta se si considerava che entrambi sapevano che lui se ne sarebbe andato in primavera. Tuttavia, ogni volta che la stringeva fra le braccia la primavera gli sembrava molto lontana. Quando però le nevicate cominciarono a farsi più massicce Maddyn trovò difficile andare da lei tutte le volte che avrebbe voluto. Una sera, dopo una frustrante settimana in cui la neve lo aveva bloccato all'interno della collina, si mise in cammino sul presto e costrinse il cavallo ad una dura corsa fra i massicci cumuli di neve; arrivato alla fattoria mise l'animale al riparo nella stalla ed entrò nella camera di Belyan dalla finestra, spingendo di lato le pelli oleate e imprecando mentre lei rideva di lui. Anche se Belyan aveva nella camera una stufa di argilla, l'ambiente era ancora pervaso da un freddo intenso, quindi Maddyn si tolse soltanto il mantello e gli stivali, infilandosi nel letto prima di spogliarsi del tutto. — La tua camera è fredda quanto quelle dannate strade! — si lamentò. — Allora vieni dalla mia parte del letto, che è bella calda. Quando Maddyn la prese fra le braccia, lei gli si abbandonò con quell'avida, semplice e diretta passione che ancora lo coglieva di sorpresa: Belyan non sapeva flirtare e fingersi timida come le altre donne che lui aveva avuto, ma del resto non poteva aver mai avuto il tempo di imparare a comportarsi in quel modo e la cosa non gli dava il minimo fastidio. Più tardi, mentre si crogiolava in uno stato sospeso fra il sonno e la veglia, Maddyn si trovò a prendere in esame la possibilità di fermarsi là a primavera. Bannyc sarebbe stato contento di avere un altro uomo che lo aiutasse nel lavoro, Bell sarebbe stata felice di averlo nel suo letto ogni notte e i ragazzi avrebbero potuto essere conquistati a poco a poco. Anche se non l'amava, Maddyn trovava la donna di suo gradimento e sapeva che la cosa avrebbe funzionato bene per tutti... e tuttavia non osava restare. Per la prima volta si rese conto con chiarezza di dover fuggire per salvarsi la vita: qualsiasi signore di Cantrae che lo avesse riconosciuto lo avrebbe infatti consegnato a Devyr perché lo impiccasse, quindi avrebbe dovuto dirigersi ad ovest e spingersi in fretta abbastanza lontano da trovare un nobile che non avesse mai sentito parlare di lui o di Lord Brynoic e che avesse un tale bisogno di uomini da accettarlo presso di sé senza fare domande. Con ogni probabilità avrebbe finito per cavalcare per uno degli avversari che Cantrae aveva in quella lunga guerra, un alleato di Cerrmor o di Eldidd. Svegliò Belyan con un ba-
cio e fece ancora l'amore con lei, semplicemente per annegare ogni pensiero del futuro che lo aspettava. Quella notte la neve cadde tanto fitta che Maddyn decise di correre il rischio di fermarsi fino all'indomani. Fu piacevole dormire tenendo Belyan tra le braccia, tanto piacevole che lui si sentì tentato di farlo spesso, ma quando il mattino successivo uscì dalla sua camera trovò alcuni vicini di Bannyc che stavano mangiando e bevendo birra mentre chiacchieravano accanto al focolare: anche se furono tutti cortesi con lui, Maddyn ebbe la sgradevole esperienza di essere oggetto dell'assoluta attenzione di quattro paia di occhi e... senza dubbio... di molti pettegolezzi futuri. E se uno di quei pettegolezzi avesse raggiunto gli orecchi sbagliati lui si sarebbe trovato in pericolo. Da quella volta andò da Belyan soltanto a notte fatta e lasciò ogni volta la sua casa molto prima dell'alba. Nonostante tutte le sue precauzioni, giunse però una notte in cui s'imbatté in alcuni uomini di Romyl. Era mezzanotte esatta e lui stava attraversando i campi per tornare a Brin Toraedic, mentre un vento teso e gelido spingeva nel cielo brandelli di nubi, coprendo a tratti la luna piena. La massa irregolare della collina si stagliava ormai vicina sul prato contro lo sfondo del cielo quando la limpida aria notturna portò fino a lui un tintinnare di finimenti unito ad uno sbuffare di cavalli e ad un rumore di zoccoli che trottavano rapidi sulla strada. Poco lontano c'era un boschetto di alberi spogli, un riparo imperfetto ma il migliore che Maddyn potesse trovare, quindi il giovane guidò il cavallo fra gli alberi i cui rami fecero cadere spruzzate di neve che gli cosparsero il mantello e il cappuccio, e si dispose ad attendere rimanendo quanto più immobile possibile. Non aveva nessuna intenzione di tentare la fuga alla volta della collina, perché se lo avessero preso non voleva che anche Nevyn venisse impiccato con lui. Sei cavalieri che trottavano in formazione serrata arrivarono lungo la strada, e quando giunsero proprio all'altezza del boschetto si fermarono in gruppo per discutere sulla direzione da imboccare all'incrocio... dalle loro voci era chiaro che erano decisamente ubriachi... mentre il Popolo Fatato si raccoglieva intorno a Maddyn in un tangibile vortice di preoccupazione e di sconcerto per ascoltare la conversazione che si protraeva al crocevia. Poi il cavallo del giovane batté a terra uno zoccolo in reazione ad un incontrollabile brivido di freddo che fece tintinnare i finimenti, e nel girarsi verso il punto di provenienza del rumore uno dei cavalieri lo vide; rendendosi conto che preferiva arrendersi piuttosto che mettere in pericolo Nevyn e forse anche Belyan, Maddyn spinse l'animale ad avanzare lentamente.
— Pericolo — sussurrò al Popolo Fatato. — Avvertite Nevyn. Sentì alcuni di quegli esseri che si allontanavano a precipizio, ma gli altri gli si strinsero intorno, un fremito di piccole vite simile a folate di aria calda. — Tu! — ingiunse il cavaliere. — Vieni avanti! Con un senso di avvilimento, Maddyn riconobbe in lui Selyn, un uomo di Devyr che lo conosceva bene. Preceduti da Selyn, i cavalieri vennero avanti al trotto e si allargarono a semicerchio per circondarlo e intrappolarlo, e dal momento che quella era una situazione senza speranza Maddyn andò loro incontro. La luce della luna gli permise di vedere l'estrema sorpresa che si dipinse sul volto di Selyn. — Maddyn! Oh, per gli dèi! — sibilò, con voce spaventata. — Samaen è passato da un pezzo. Uno degli altri lanciò uno strillo acuto simile al guaito di un cane preso a calci e il gruppo si arrestò bruscamente proprio mentre Maddyn sentiva i membri del Popolo Fatato che si muovevano intorno a lui in preda al panico, sollevando e agitando i bordi del suo mantello e del cappuccio. — Suvvia Maddo, ragazzo, non ci fare del male. Io ti ero amico e sono stati soltanto gli ordini del mio signore a obbligarmi ad alzare la spada contro di te. Possa tu avere la pace nell'Aldilà. Mentre Selyn cominciava a far indietreggiare la propria nervosa cavalcatura, Maddyn comprese di colpo la verità: Selyn, che lo aveva creduto morto insieme al resto della banda di guerra di Lord Brynoic, era convinto di avere davanti il suo fantasma. Quel pensiero lo indusse a scoppiare in una risata, che risultò essere la mossa più giusta: l'intero gruppo prese a indietreggiare senza distogliere lo sguardo terrorizzato dal suo volto. Quella totale e spaventata attenzione era qualcosa a cui nessun bardo poteva resistere, quindi Maddyn gettò indietro il capo e lanciò uno strano e irreale ululato, rendendo il più acuta possibile la propria voce ben addestrata. Uno dei cavalieri urlò e questo fece cedere anche gli altri. — Spiriti! — urlò Selyn. — Salvatevi! Con un coro di risatine di pura malizia i membri del Popolo Fatato si gettarono in avanti fra i cavalli. Alla luce della luna Maddyn poté vederli: un inspessirsi dell'aria come cristalli di brina, piccoli volti, mani minuscole, dita che cominciarono a pizzicare ogni cavallo e ogni cavaliere che riuscivano a raggiungere. Gli animali scalciarono e s'impennarono, i cavalieri urlarono e colpirono le bestie con le redini nel disperato tentativo di girarle, e quando Maddyn ululò una seconda volta i cavalli scattarono di lato
per lanciarsi al galoppo lungo la strada, con i cavalieri aggrappati al collo. Maddyn rimase seduto dov'era in preda ad un riso isterico finché il Popolo Fatato fece ritorno, poi proseguì in sua compagnia fino alla collina la cui leggenda era appena stata notevolmente ingigantita. Mentre conduceva il cavallo nella stalla Nevyn si affrettò a venirgli incontro. — Cos'è questa faccenda del pericolo? — chiese. — È tutto finito, buon signore, ma è una bella storia, tanto che credo che la trasformerò in una canzone. Prima però si limitò a raccontare semplicemente l'accaduto al vecchio mentre beveva un boccale di birra speziata, e quando ebbe finito Nevyn scoppiò nella sua secca risatina che sembrava sempre arrugginita per il disuso. — Il campo di battaglia dove la tua banda di guerra ha perso la vita è ad appena sei o sette chilometri da qui, di certo abbastanza vicino da giustificare l'apparizione di uno spettro. Però se quei cavalieri torneranno sul posto domattina troveranno le impronte del tuo cavallo — osservò poi il vecchio, fissando un punto vicino al suo ginocchio destro. — Vuoi farci un favore? Prendi qualcuno dei ragazzi e torna sul posto. Ricordi le impronte lasciate dal cavallo di Maddyn? Sì? Splendido! Cancellale per bene ma lascia le altre dove sono, così faremo un bello scherzo a quegli uomini cattivi. Maddyn sentì svanire la folla di presenze, con la sola eccezione di un minuscolo spiritello azzurro. Improvvisamente riuscì a vederlo con chiarezza, appollaiato sul suo ginocchio e intento a succhiarsi le dita mentre lo fissava con occhi verdi e vacui in maniera allarmante; quando sorrise, lo spiritello rivelò una bocca piena di aguzzi denti di un azzurro intenso. — Oho! — commentò Nevyn. — L'hai visto, vero? — In effetti lo vedo. Continuerò a scorgere il Popolo Fatato per il resto della mia vita? — Suppongo di sì ma non lo so con certezza. Prima d'ora non mi ero mai imbattuto in un rebus come te, ragazzo. Maddyn ebbe l'ingrato pensiero che se lui era un rebus allora Nevyn costituiva il più grande enigma del mondo. Il pomeriggio successivo il vecchio si recò al villaggio per sentire i pettegolezzi e al ritorno portò con sé una nuova e senza dubbio definitiva versione della storia dell'incontro di Maddyn con la squadra di cavalieri. Stoltamente, gli uomini di Lord Romyl si erano avvicinati di notte a Brin Toraedic, mentre perfino un idiota sapeva che durante la luna piena bisogna-
va evitare quella collina come il veleno, e là avevano visto i fantasmi dell'intera banda di guerra di Lord Brynoic che si lanciavano alla carica giù per la collina proprio come avevano fatto durante la loro ultima battaglia. Quando erano tornati a controllare il mattino successivo, però, i cavalieri avevano trovato soltanto le impronte dei loro animali. — 'E cosa credevano di trovare?' ha commentato un taverniere — concluse Nevyn, con un'asciutta risata. — 'Lo sanno tutti che gli spiriti non lasciano tracce.' — Allora sono tornati a controllare. Sono davvero lieto che tu ci abbia pensato. — Oh, un conto è essere spaventati dagli spettri sotto i raggi della luna e tutt'altra cosa è esaminare l'accaduto alla fredda luce dell'alba. Per quanto abbiano cercato non hanno però trovato nulla, e adesso gli uomini di Lord Romyl non si avvicineranno più a questa collina neppure di giorno. — Non è una cosa comoda? — Infatti, ma per gli dèi, voi guerrieri siete davvero superstiziosi. — Davvero? — fece Maddyn, costretto a ridere di fronte all'indignazione dei vecchio. — Mi mostri un intero mondo di spiriti, mandi quegli spiriti a svolgere un incarico per conto mio e poi hai il coraggio di definirmi superstizioso? Nevyn rise a lungo per quelle parole. — Hai ragione Maddyn, e ti chiedo scusa, ma di certo non puoi negare che ogni combattente ritenga che le cose più strane gli possano portare fortuna o sfortuna. — È vero, ma tu non puoi sapere come sia andare in guerra. Ogni volta che selli il cavallo sei dannatamente consapevole che forse non tornerai indietro, perché chi può sapere cosa determina la morte di un uomo e la vita di un altro sul campo di battaglia? Una volta ho conosciuto un uomo che era uno splendido combattente... maneggiava la spada come un dio, non come un uomo... e che ha preso parte ad uno scontro con il vantaggio del numero dalla sua parte. Sai cosa gli è successo? La cinghia della sella si è rotta e lui è caduto per terra, dove è stato ucciso a calci dai cavalli. Poi vedi degli assoluti idioti che sanno manovrare la spada quanto il figlio di un contadino, che cavalcano dritti verso il nemico e ne escono senza neppure un graffio. Così, dopo un po' cominci a credere nella fortuna, nei presagi e in qualsiasi cosa riesci a escogitare, soltanto per attenuare l'angoscia di non sapere quando morirai. — Lo capisco.
Il buon umore di Nevyn era svanito e lui appariva tanto rattristato da essere prossimo alle lacrime nel riflettere su quell'aspetto della questione; vederlo in quel modo rese anche Maddyn malinconico e pensoso. — Suppongo che sia questo che ci induce tutti a desiderare di avere capi dotati di dweomer — proseguì lentamente. — Puoi avere il miglior piano di battaglia del mondo, ma una volta che i giavellotti sono stati scagliati e che si comincia a usare la spada... ah, per gli inferni, allora neppure gli dèi riescono più a pensare con chiarezza. Perciò... e se vuoi chiamala pure superstizione... si finisce per desiderare un capo che abbia in sé un tocco di dweomer, che possa vedere le cose più chiaramente e che abbia fortuna. — Se avere fortuna e vederci con chiarezza bastasse a rendere un uomo dotato di dweomer, ragazzo, il mondo sarebbe pieno di persone come me. — Non era esattamente questo che intendevo, buon signore. Non dubito che un capo dotato di dweomer sarebbe diverso e che non ne esista nessuno, ma noi tutti vogliamo credere che sia così. Ci diciamo che ci piacerebbe cavalcare per un uomo del genere, qualcuno che sia favorito dagli dèi e in cui si possa credere, perché varrebbe la pena di morire per lui. Nevyn gli lanciò un'occhiata così penetrante che Maddyn esitò, ma il vecchio gli segnalò di andare avanti. — Tutto questo è incredibilmente interessante. — Ti ringrazio. Ora, Slwmar di Dun Deverry è un uomo grande e generoso ma non è un capo dotato di dweomer. Francamente ho sempre avuto difficoltà a credere che possa essere il vero re anche se sono sempre stato fedele a lui perché lo era il mio signore. Di tanto in tanto, aveva l'abitudine di venire in mezzo a noi, chiamandoci per nome... il che era splendido da parte sua... ma era soltanto un nobile qualsiasi e non un vero re. — Davvero? E che aspetto dovrebbe allora avere un vero re? — Ecco, dovrebbe essere qualcuno dotato di dweomer, qualcuno che possa essere riconosciuto a vista come il vero re. Voglio dire... non è necessario che sia alto o avvenente quanto uno degli dèi, ma è indispensabile che nel guardarlo un uomo senta nel profondo dell'anima che quello è un individuo destinato a regnare. Dovrebbe avere una grande fortuna e gli dèi dovrebbero inviargli presagi sulle cose da fare. Per gli dèi, io seguirei un uomo del genere fino alla morte e sono pronto a scommettere che metà del regno lo farebbe. Con un sorriso selvaggio e un po' folle Nevyn si alzò in piedi e prese a passeggiare furiosamente avanti e indietro davanti al camino. — Ho detto qualcosa di stupido? — chiese Maddyn.
— Cosa? No, hai appena detto la cosa migliore che abbia sentito da molti lunghi anni. Ragazzo, non sai quanto sia contento di averti riportato indietro dai cancelli dell'Aldilà, e ti ringrazio per avermi fatto vedere ciò che ho avuto per tutto il tempo sotto il naso. Voglio dirti qual è il più grande difetto del dweomer: ci si abitua ad usarlo per guardare in posti strani alla ricerca di strane cognizioni e si dimentica di usare il senno che gli dèi ci hanno dato. Del tutto confuso, Maddyn poté soltanto limitarsi a fissarlo mentre il vecchio ridacchiava e passeggiava avanti e indietro come un folle. Alla fine il giovane andò a letto ma quando si svegliò in preda all'inquietudine nel cuore della notte vide Nevyn in piedi accanto al focolare che fissava le fiamme con un sorriso sulle labbra. Nel corso del paio di nevose settimane che seguirono, Nevyn trascorse molto tempo a riflettere sull'idea che Maddyn gli aveva così inavvertitamente fornito e che costituiva uno splendido indennizzo per le cure elargitegli. Anche se complesso nei dettagli, il piano era stranamente semplice nel suo nucleo e quindi attuabile. In quel momento sembrava che le guerre sarebbero andate avanti all'infinito, devastando il regno fino a quando non fosse più rimasto un solo uomo in grado di combattere. Dopo tanti anni di lotta, dopo che tanti capi erano stati uccisi e sepolti e tanti fedeli seguaci massacrati, agli occhi degli uomini pareva che ciascuno dei pretendenti avesse gli stessi diritti degli altri sul trono; quando si trattava di stabilire le discendenze genealogiche, perfino i preti avevano difficoltà a determinare chi fosse il più adatto ad essere re di tutto Deverry, quindi i nobili votavano la loro fedeltà a quello di essi che sembrava offrire maggiori vantaggi, e i loro figli alteravano quelle alleanze con il cessare dei vantaggi. Ma cosa sarebbe successo se fosse apparso un uomo che avesse dato ai suoi seguaci l'impressione di essere il vero re, un uomo che... come aveva detto Maddyn... potesse indurre metà del regno a seguirlo fino al trono o alla tomba? Allora, dopo un ultimo bagno di sangue, il regno avrebbe finalmente trovato la pace. Un capo dotato di dweomer, vero? pensò Nevyn. Che mi diano un uomo decente e ci penserò io a far sembrare che possegga il dweomer. Mentre ci rifletteva sopra si rese conto che sarebbe stato facile, disgustosamente facile, circondare un uomo di bell'aspetto di un alone di potere, manipolando i presagi intorno a lui ed effettuando qualche trucco di poco conto come quello che il Popolo Fatato aveva giocato a Selyn e ai
suoi amici. Quei trucchi avrebbero fatto cadere in ginocchio le truppe e anche i loro signori, inducendoli a sostenere un solo, vero re. In quelle notti di meditazione, Nevyn si rese anche conto che non si sarebbe dovuto sorprendere del fatto che fosse stato Maddyn a fornirgli l'idea: nella sua vita precedente, nei panni del giovane Ricyn di Cerrmor, lui era stato infatti il capitano di una banda di guerra votata ad un capo dotato di dweomer, Gweniver del Lupo, la cui follia e indubbia fede erano state combinate dalla Dea Oscura in modo da farla brillare di un falso splendore. Pensare a lei e al suo cupo destino indusse Nevyn alla cautela. Aveva il diritto di assoggettare un altro uomo alle forze che avevano lacerato quella fragile mente? Avrebbe dovuto stare molto attento, attendere e pianificare fino a quando non avesse trovato un candidato abbastanza forte da reggere quel fardello. Si chiese quindi se gli sarebbe stato permesso di usare il dweomer per quello scopo e nell'arco di lunghe ore di meditazione mise a nudo la propria anima, implorando i Signori della Luce di dargli aiuto. Con il tempo, la risposta crebbe lentamente nella sua mente: il regno aveva bisogno della pace più che di qualsiasi altra cosa, e se qualcosa fosse andata storta lui sarebbe stato il sacrificio. Questa era una cosa che poteva accettare, pensando a se stesso come al servitore del re che avrebbe creato e al sacrificio offerto in suo onore. Avendo ottenuto il permesso, adesso era giunto il momento di fare progetti. Mentre Maddyn era da Belyan o stava dormendo per ignorare la noia, Nevyn contattò tramite il fuoco altri maestri del dweomer, soprattutto Aderyn nell'ovest e una donna che portava il nome onorario di Rommerda nel nord. Tutti erano talmente stanchi della guerra che furono pronti ad aderire al suo piano a lunga scadenza. — Però non possiamo riuscire in questo da soli — sottolineò una notte Rommerda. — Dobbiamo ottenere l'aiuto dei preti. Possiamo? — Intendo cominciare a lavorare la terra di questo particolare giardino in primavera, e nello stesso tempo potremo metterci alla ricerca del principe più adatto. Mentre la sua immagine danzava fra le fiamme, Rommerda assunse un'espressione scettica. La donna portava i lunghi capelli bianchi raccolti in due trecce come una ragazzina dell'Alba dei Tempi, ma il suo volto era ancora più rugoso di quello di Nevyn, così stanco ed esausto che il vecchio comprese che la donna non avrebbe mai visto la conclusione di quel lavoro che stavano progettando. Fra tutti i maestri del dweomer del regno soltanto lui e Aderyn avevano un ciclo vitale innaturalmente lungo, ciascuno per
motivi separati, ma presto un'altra Rommerda avrebbe dovuto assumersi il compito della vecchia. E quello sarebbe stato un lavoro duro: trovare l'uomo giusto e approntare con l'aiuto dei preti i giusti presagi per la sua venuta. Una volta che tutto il regno avesse cominciato a vivere nell'attesa del giorno in cui sarebbe apparso il vero re, Nevyn avrebbe potuto orchestrare le sue mosse. Mentre rifletteva sui dettagli, il vecchio cominciò a desiderare che fosse già primavera, perché sarebbe stato meglio cominciare il più presto possibile. DUE Anno 834. Questo fu l'anno dei primi presagi dell'avvento di un re. In un villaggio vicino al nostro tempio nacque un capretto con due teste e morì di lì a poco, perché un regno con due re non può vivere. Nel cielo scorgemmo la visione di un grande cavallo che correva davanti ad una tempesta e che giungeva dall'ovest. Anche se il presagio venne doverosamente annotato, soltanto in seguito ci rendemmo conto della sua importanza... Le Sacre Cronache di Lughcarn Quell'anno la primavera giunse troppo in fretta per Maddyn. Ogni mattina il giovane usciva sulla collina e scrutava il cielo alla ricerca di presagi relativi al clima, in quanto sapeva che anche se sarebbe dovuto restare fino a quando il periodo della neve non fosse del tutto cessato, d'altro canto avrebbe dovuto essere ben lontano prima che arrivasse la primavera effettiva, perché allora i cavalieri si sarebbero riversati sulle strade per raccogliere effettivi per la leva estiva. Prima giunsero le piogge che sciolsero gli ultimi residui di neve e trasformarono il mondo in una marea di fango marrone, poi le notti si fecero sempre più tiepide fino a permettere ad un uomo robusto di dormire all'aperto senza congelare, e tuttavia Maddyn continuò a trovare scuse per restare fino a quando la pallida erba cominciò a spuntare nelle valli riparate. Quella notte si recò da Belyan prima del solito. Allorché entrò dalla finestra la trovò ancora alzata e intenta ad attizzare il fuoco nella stufa di argilla, e lei lo accolse con un bacio distratto. — Togliti gli stivali prima di sederti sul letto, amore. Non voglio tutto quel fango sulle coperte. Maddyn si puntellò contro la parete e cominciò a sfilarsi gli stivali.
— La primavera è giunta — osservò. — Ti dispiacerà quando dovrò partire? — Sì, ma non quanto mi dispiacerebbe vederti impiccare. — È vero, Bell, ma per amor tuo vorrei poter restare, e desidero che tu lo sappia. — Sarebbe davvero splendido poterti avere qui con noi alla fattoria, ma non vedo in che modo ti potremmo tenere nascosto. Alcuni fra i nostri amici sanno già che ho un uomo ed entro pochi mesi lo saprà tutto il villaggio. Nel sollevare lo sguardo, Maddyn scoprì che Belyan stava sorridendo con la calma di sempre. — Oh, per gli inferni, che cosa ho fatto? Aspetti forse un figlio? — Cosa pensavi che sarebbe successo dopo tutto il rotolarci nel letto che abbiamo fatto? Non sono certo sterile, giusto? Suvvia, non assumere quell'aria così turbata, amore... desideravo da tempo un altro bambino e sono semplicemente contenta che tu abbia avuto il tempo di darmelo. — Ma ti devo abbandonare! Non ho neppure i soldi che ci vogliono per pagare una levatrice! — La levatrice è una mia amica, quindi non ti angosciare per questo. Posso allevare il bambino da sola ma non avrei mai potuto averlo senza un po' di aiuto, giusto? — commentò, posandosi con delicatezza le mani sul ventre. — Oh, spero proprio che sia una bambina, ma se fosse un maschio posso dargli il tuo nome? — Soltanto se lo desideri davvero. Preferirei che gli dessi il nome di mio padre, che si chiamava Daumyr. — Allora se sarà un maschio lo chiamerò Daumyr. In ogni caso, spero che abbia i tuoi capelli ricciuti. Maddyn esitò, mentre uno sconvolgente sospetto cominciava ad affiorargli nella mente: aveva sempre saputo che Belyan non lo amava davvero, ma adesso stava sorgendo in lui il dubbio di essere stato usato come uno stallone da monta. — Bell? Sentirai la mia mancanza quando me ne sarò andato? Lei rifletté sulla domanda con un certo stupore. — La sentirò — ammise infine. — Un poco. Quando Maddyn se ne andò, quella notte, l'aria era calda del ricco e umido profumo della primavera; una volta sulla sommità della collina, smontò di sella e indugiò ad osservare il panorama immerso nel buio... lo scintillare dei ruscelli sotto la luce della luna, la massa distante del villag-
gio addormentato e ancora più oltre il brillio del lago dove le porte dell'Aldilà per poco non si erano aperte per accoglierlo. Quest'inverno sono stato felice, pensò. Ah, siano dannati tutti i falsi re e la loro progenie. Il mattino successivo condusse per l'ultima volta il cavallo lungo il canalone, mentre in alto le ombre delle nuvole si rincorrevano sulla brughiera fangosa; quando arrivò ai piedi della collina Nevyn gli porse una logora sacca di cuoio da cui giungeva un tintinnio di monete. — Prendila senza discutere, ragazzo. Non ti ho salvato la vita soltanto per vederti morire di fame sulla strada. — Ti ringrazio e vorrei poter ripagare tutto quello che hai fatto per me. — Scommetto che lo farai. Il tuo Wyrd ti ha portato da me una volta e sospetto che lo farà ancora, ma in uno strano modo che nessuno di noi due può comprendere. Anche se avrebbe voluto dirigersi dritto verso ovest e lasciarsi Cantrae alle spalle il più in fretta possibile, Maddyn fu costretto a deviare verso sud perché in quel periodo dell'anno le colline fra Cantrae e Gwentaer erano ancora impraticabili per via della neve. Viaggiò con cautela, evitando la strada principale che correva lungo il Canaver in direzione di Dun Cantrae e percorrendo tutti i viottoli e le piste di aperta campagna che riuscì a trovare. Le sole persone da cui si lasciò vedere furono contadini a cui, come a Belyan, importava assai più delle monete di rame con cui lui pagava la cena che non dell'onore acquisito in guerra, e dopo quattro giorni di questo cauto cammino arrivò al confine con Gwentaer in un punto più o meno parallelo a Dun Cantrae. Lì le colline erano basse e ondulate, punteggiate di piccole fattorie e di ripari invernali per i mandriani che per tutta l'estate vagavano sui pascoli con i loro cavalli. In quell'epoca dell'anno ogni casa era un fervore di attività: c'erano giumente prossime a partorire, zoccoli che avevano bisogno di essere ferrati, equipaggiamenti da riparare, cibo da riporre in previsione dei lunghi viaggi primaverili, quindi nessuno ebbe il tempo di notare il passaggio di un cavaliere solitario con la sella da guerriero ma la camicia da contadino o di attribuirvi importanza. Al crepuscolo di un caldo giorno di maggio Maddyn arrivò al pilastro di pietra che segnava il confine fra i due gwerbretrhynau, e nell'oltrepassarlo emise un sospiro di sollievo: anche se era ancora un fuorilegge, adesso il suo collo era molto più al sicuro. Nel remoto, pacifico e ormai quasi mitico
passato, ogni Gwerbret del regno avrebbe onorato il decreto di un Tieryn che dichiarava un uomo fuorilegge, ma nel cuore delle attuali lunghe guerre sanguinose i combattenti erano troppo preziosi per i nobili perché questi osassero allontanarli ponendo domande imbarazzanti. Per la prima volta da settimane Maddyn si sentì abbastanza rilassato da mettersi a cantare e immediatamente due membri del Popolo Fatato vennero ad ascoltarlo, lo spiritello azzurro che si sistemò sul pomo della sella mostrandogli i denti aguzzi e un nodoso gnomo marrone che lui non aveva mai visto prima e che si mise a danzare sulla strada accanto al cavallo. Maddyn fu così felice di vederli che per poco non scoppiò in pianto... se non altro una piccola parte del suo magico inverno avrebbe viaggiato con lui. La sorte gli fornì però ben presto una compagnia umana, e in un modo che lui non si sarebbe mai aspettato. Il mattino dopo aver oltrepassato la pietra di confine, Maddyn arrivò all'ultima delle colline e arrestò per un momento il cavallo per contemplare la vasta pianura verdeggiante di Gwentaer, la patria stessa del vento, dove gli alberi faticosamente piantati dai contadini crescevano inclinandosi da un lato come se si ritraessero con timore dal costante sibilare del vento. Dal momento che quella era una giornata estremamente limpida, Maddyn poté spingere lo sguardo intorno per chilometri sulla piana coperta dalla morbida e verde peluria della prima erba primaverile e dal grano invernale, punteggiata qua e là da piccole polle o dalle recinzioni rotonde delle rade fattorie. Fra le altre cose, vide anche una strada ben tracciata che puntava dritta ad ovest e su di essa, a meno di un chilometro da lui, un cavaliere solitario. Anche da quella distanza Maddyn si accorse che l'uomo aveva qualcosa che non andava, perché cavalcava piegato in due sulla sella e il suo cavallo sceglieva la strada da solo, procedendo con passo lento e soffermandosi di tanto in tanto a brucare i ciuffi d'erba accanto alla via fino a quando il suo cavaliere si riprendeva per qualche istante e tornava a controllarlo, soltanto per riaccasciarsi di lì a poco. Il primo impulso di Maddyn fu quello di proseguire il cammino per una via diversa per non farsi carico dei problemi di un altro, ma poi pensò a Nevyn che aveva rischiato la propria vita per guarirlo e dargli riparo per tutto l'inverno, e fece ripartire il cavallo ad un trotto deciso. Il cavaliere che lo precedeva non lo sentì arrivare o forse non gli importava di essere seguito, perché non si girò né si guardò alle spalle neppure una volta nel tempo che Maddyn impiegò per raggiungerlo; quando infine il giovane fu
abbastanza vicino da vedere che tutta la schiena della camicia dell'uomo era coperta da uno strato rossiccio di sangue secco, il cavaliere fece arrestare il cavallo e rimase seduto in sella con atteggiamento accasciato, quasi stesse invitando Maddyn a ucciderlo e a farla finita. — Cosa c'è che non va? — chiese il giovane. Nel sentire le sue parole il cavaliere si girò a guardarlo e Maddyn esplose in un'imprecazione. — Aethan, per tutti gli dèi! Cosa ci fai sulla strada di Gwentaer? — Potrei chiedere la stessa cosa a te, Maddo — replicò l'uomo; la sua voce, di solito profonda e piena di umorismo era adesso arrochita da un antico dolore. — Oppure sei venuto per portarmi nell'Aldilà? Maddyn lo fissò per un momento con sconcerto, poi ricordò che tutti a Cantrae lo credevano morto. — Oh, sono vivo quanto te. Come sei stato ferito? — Non mi hanno ferito, ma fustigato. — Oh, dannazione. Puoi continuare a cavalcare ancora per un po'? Aethan rifletté sulla domanda per un lungo momento. In condizioni normali, era un uomo attraente con lineamenti regolari, capelli neri appena spruzzati di grigio alle tempie e ampi occhi azzurri che sembravano sempre ridere di qualche scherzo, ma adesso il suo volto era contorto dal dolore e i suoi occhi erano socchiusi e cupi, tanto da far pensare che forse non avrebbe riso mai più. — Ho bisogno di riposare — affermò infine. — Vogliamo fermarci per un po' oppure intendi continuare il cammino e lasciarmi qui? — Cosa? Sei impazzito? Pensi che potrei piantare in asso un uomo che conosco da quando ero un cucciolo di quindici anni? — Non so più cosa possono fare o non fare gli uomini... o le donne. In un vicino prato trovarono un ombroso boschetto di salici piantato da un contadino intorno ad una polla per le anatre, e dal momento che il contadino in questione non si vedeva da nessuna parte Maddyn smontò di sella e aiutò Aethan a fare altrettanto, provvedendo quindi ad abbeverare i cavalli mentre il suo amico sedeva all'ombra degli alberi. Aethan era l'ultimo uomo del regno che Maddyn si sarebbe aspettato di veder condannare alla fustigazione e all'espulsione dalla sua banda di guerra per qualche atto vergognoso: favorito dal suo capitano, Aethan era stato il secondo in comando della banda di guerra personale del Gwerbret Tibryn ed era uno di quegli uomini effettivamente onesti che erano così preziosi in qualsiasi banda di guerra... un conciliatore, un amico di tutti, l'uomo che sapeva se-
dare le liti meschine che tendevano ad insorgere quando gli uomini erano costretti a convivere a lungo negli alloggiamenti. Di tanto in tanto lo stesso Gwerbret aveva chiesto il consiglio di Aethan in merito a piccole questioni che avevano a che fare con la banda di guerra... eppure adesso lui era lì, con la sua vergogna scritta sulla schiena con il sangue. Una volta abbeverati i cavalli Maddyn riempì le borracce con acqua fresca e sedette accanto all'amico, che accettò una delle borracce con un sorriso distorto. — Possiamo anche essere dei fuorilegge ma seguiamo ancora le regole dei guerrieri, vero, Maddo? Prima i cavalli, poi gli uomini. — Questi cavalli ci servono più che mai, ora che non abbiamo un signore che ce ne dia degli altri. Aethan annuì e bevve a lungo prima di restituire la borraccia. — Bene, sono felice che tu non sia rimasto ucciso nell'ultima carica di Lord Brynoic. Deduco che devi aver trovato rifugio per l'inverno in una fattoria o qualcosa del genere. — Qualcosa del genere. In realtà ero in fin di vita per una ferita che avevo subito, ma un erborista locale mi ha trovato. — Dèi! Tu sei sempre stato fortunato, vero? Maddyn si limitò a scrollare le spalle nel richiudere la borraccia, poi i due uomini rimasero per qualche tempo immersi in un silenzio pieno di disagio, osservando le grasse anatre che razzolavano sul limitare della polla. — Per essere un bardo sai tenere a freno la lingua dannatamente bene — commentò d'un tratto Aethan. — Non intendi chiedermi della mia vergogna? — Raccontami quello che vuoi e non una parola di più. Aethan rifletté su quella risposta, tenendo lo sguardo fisso sull'orizzonte piatto e lontano. — Ah, dannazione — disse infine, — del resto in un certo senso è una storia fatta apposta per un bardo. Ti ricordi la sorella del nostro Gwerbret, Lady Merodda? — Oh, come potrebbe qualsiasi uomo con un po' di sangue nelle vene dimenticarsi di lei? — Sarebbe meglio che lo facesse — ribatté Aethan, con voce ora dura e fredda. — Suo marito è rimasto ucciso in battaglia la scorsa estate, quindi lei è tornata presso il fratello a Dun Cantrae, e il capitano mi ha incaricato di scortarla ogni volta che usciva a cavallo. — S'interruppe e rimase in silenzio per qualche momento, con la bocca che gli si contraeva, prima di ri-
prendere: — E lei si è invaghita di me. Ah, per il nero Signore dell'Inferno, avrei dovuto dirle di no, e lo sapevo benissimo anche allora... ma per gli dèi, Maddo, sono fatto soltanto di carne e di sangue, non di acciaio, e lei sa come ottenere quello che vuole da un uomo. Ti giuro che non le avrei detto una sola parola se non fosse stata lei a fare il primo passo. — Ti credo, non sei mai stato uno stupido. — Mai prima dello scorso inverno, almeno. Mi sentivo come stregato. Non avevo mai amato una donna in quel modo prima di allora e che io sia dannato se lo farò ancora. Volevo che venisse via con me e da quello stupido idiota che sono ho creduto che anche lei mi amasse abbastanza da farlo... ma no, questo non andava assolutamente a genio a sua signoria. — Di nuovo, ci fu una lunga pausa pervasa di dolore. — Così, ha informato il fratello di quello che stava succedendo fra noi due, naturalmente badando a sottolineare che quella innocente era lei. E quando Sua Grazia mi ha fatto togliere tutta la pelle dalla schiena, tre giorni fa, lei era fuori nel cortile a guardare. Aethan si nascose il volto fra le mani e scoppiò a piangere come un bambino. Per un momento Maddyn rimase come paralizzato, poi protese timidamente una mano e la posò con gentilezza sulla spalla dell'amico finché questi infine non scivolò nel silenzio e si asciugò gli occhi su una manica con un gesto brusco. — Forse non dovrei essere troppo duro con lei... dopo tutto, ha impedito a suo fratello di uccidermi — commentò, con voce che era un piatto, spento sussurro. Si alzò quindi in piedi e fu doloroso vederlo sussultare nel muoversi. — Possiamo andare, Maddo, mi sono riposato abbastanza e quanto più sarò lontano da Cantrae tanto meglio starò. Per quattro giorni Maddyn e Aethan cavalcarono verso ovest rivolgendo ai contadini e ai venditori ambulanti che incontravano caute domande in merito ai signori locali e alle loro bande di guerra, ma anche se di tanto in tanto sentirono parlare di qualche nobile in condizioni abbastanza disperate da essere disposto ad accoglierli senza fare domande, ogni volta decisero di essere ancora troppo vicini a Cantrae per poter correre il rischio di chiedere di essere assoldati. D'altro canto, entrambi erano consapevoli che presto avrebbero dovuto trovare una sistemazione perché dovunque i nobili stavano raccogliendo le forze per i combattimenti estivi e con tutte quelle truppe che si muovevano lungo le strade loro si sarebbero presto trovati in una posizione pericolosa... Maddyn non aveva nessun desiderio di finire impiccato come presunta spia dopo essere sfuggito all'impiccagione come
fuorilegge. Dal momento che la schiena di Aethan era ancora tutt'altro che guarita, i due cavalcavano lentamente, fermandosi spesso a riposare lungo la strada o in qualche taverna di villaggio perché se non altro non dovevano preoccuparsi di restare senza fondi: Maddyn aveva con sé il denaro datogli da Nevyn e l'antico capitano di Aethan era riuscito a infilargli un po' di denaro nel bagaglio quando lui era stato buttato fuori da Dun Cantrae... a quanto pareva, Maddyn non era il solo a giudicare troppo aspra la sentenza del Gwerbret. Durante il loro lento viaggio, Maddyn ebbe anche molto tempo per osservare l'amico con crescente preoccupazione. Dal momento che prima di allora era sempre stato Aethan a prendersi cura di lui... cosa peraltro naturale visto che era più vecchio di una decina di anni... adesso Maddyn rimase profondamente turbato nel vedere che Aethan aveva bisogno del suo sostegno come un bambino di quello paterno: forse il Gwerbret gli aveva risparmiato la vita, ma era riuscito lo stesso a spezzare quell'uomo che lo aveva servito fedelmente per oltre vent'anni facendolo percuotere quasi a morte come un topo sorpreso in una stalla. In passato Aethan aveva avuto una disinvolta propensione a comandare, prendendo decisioni e impartendo ordini, ma sempre agendo in un modo che rendeva piacevole agli altri obbedirgli, mentre adesso faceva tutto ciò che Maddyn diceva senza neppure accennare un suggerimento alternativo. In passato, inoltre, lui era stato un uomo loquace, sempre disposto a raccontare una storia o a scherzare quando non aveva importanti notizie da riferire, mentre ora cavalcava avvolto in un cupo hiraedd e a volte non rispondeva neppure alle domande dirette di Maddyn. Per quanto tutto questo lo addolorasse, il giovane non aveva idea di come comportarsi per migliorare lo stato dell'amico e desiderò spesso di poterne parlare con Nevyn per avere un consiglio... ma Nevyn era molto lontano e lui dubitava che lo avrebbe mai rivisto, per quanto potesse desiderarlo. Infine arrivarono al grande fiume, il Camyn Yraen, la «strada di ferro», come era chiamata già allora per il fatto che il ricco minerale ferroso scendeva dal Cerrgonney sulle chiatte fino alla città di Gaddmyr, che all'epoca era soltanto un ampio villaggio cinto da una palizzata di legno in mancanza di mura vere e proprie. Appena oltre le porte trovarono una specie di taverna che era più che altro la casa del taverniere stesso in cui la metà del pianterreno era stata separata con un divisorio di vimini e attrezzata con un
paio di tavoli e qualche botte di birra nella curva della parete. In cambio di due monete di rame l'uomo portò loro un pezzo di formaggio e una pagnotta con cui accompagnare la birra, poi li lasciò in pace. Notando che nessuno degli abitanti del villaggio accennava a entrare nella taverna a causa della loro presenza, Maddyn ne parlò con Aethan. — Per quel che ne sanno potremmo essere un paio di banditi. Ah, per gli inferni, Maddo, non possiamo continuare a vagare per le strade in questo modo, altrimenti finiremo davvero per derubare i viandanti. Cosa faremo? — Che sia dannato se lo so, ma ho riflettuto e mi sono ricordato di quelle truppe indipendenti di cui si parla. Forse faremmo meglio ad unirci a loro che a cercare un posto onorevole in una banda di guerra. — Cosa? — esclamò Aethan, e per un momento l'antico vigore parve riaffiorargli nello sguardo. — Sei impazzito? Combattere per denaro e non per l'onore? Dèi, ho sentito dire che alcuni di quei contingenti sono pronti a cambiare fazione anche nel mezzo della battaglia, se qualcuno offre loro una paga migliore. Mercenari! Non sono altro che una marmaglia disonorata! Maddyn si limitò a fissarlo ed Aethan emise un profondo sospiro, passandosi sulla faccia entrambe le mani. — Come lo siamo anche noi... è questo che vuoi dire, vero, Maddo? — chiese quindi. — Bene, hai ragione. Tutti gli dèi sanno che il capitano di un contingente indipendente non sarà certo nella posizione di farsi beffe delle cicatrici sulla mia schiena. — Proprio così. Dovremo trovare un contingente che stia combattendo dalla parte di Cerrmor o di Eldidd, perché nessuno di noi due può rischiare di essere visto nel campo da qualche uomo di Cantrae. — Dannazione! Sai cosa significa questo? Sai cosa finiremo per fare? Prima o poi ci troveremo ad andare alla carica contro il Gwerbret e la mia antica banda. Prima di allora Maddyn non si era mai permesso di formulare con chiarezza quel pensiero, e cioè che un giorno la sua vita sarebbe potuta dipendere dall'uccidere un uomo che un tempo era stato un suo alleato ed un suo amico. Di fronte a lui, Aethan raccolse la daga e la conficcò con violenza nel tavolo. — Un momento! — esclamò il taverniere, arrivando di corsa. — Non c'è bisogno di prendersela con il mobilio, ragazzi. Aethan sollevò sull'uomo uno sguardo tanto cupo che Maddyn si affrettò a prenderlo per un braccio prima che potesse sfogare la propria ira su quel-
l'innocente abitante del villaggio, mentre quest'ultimo di affrettava a indietreggiare deglutendo a fatica. — Ti darò un'altra moneta di rame per pagare il danno — disse Maddyn. — Oggi il mio amico è di umore cupo. — Allora può continuare ad essere di umore cupo in un posto che non sia la mia taverna. — Benissimo. Del resto abbiamo finito questa brodaglia che chiami birra. Avevano appena raggiunto la porta quando il taverniere li richiamò; Aethan non si girò neppure e lasciò il locale, ma Maddyn si fermò e attese che l'uomo lo raggiungesse. — So dove si trova uno di quei contingenti di cui tu e il tuo amico stavate parlando. Maddyn tirò fuori un paio di monete di rame, facendole tintinnare in mano, e il taverniere gli rivolse un sorriso sdentato che puzzava di aglio. — Hanno svernato non lontano da qui. Di tanto in tanto venivano in città per comprare da mangiare e all'inizio noi eravamo terrorizzati, pensando che avrebbero rubato quello che volevano, ma invece hanno pagato in denaro sonante... devo riconoscerglielo, anche se erano un mucchio di arroganti che andavano in giro pavoneggiandosi come signori. — Questa sì che è fortuna. — Ecco, oramai potrebbero essersene andati, perché non li vediamo da giorni. Il fabbro forse vorrebbe rivederli, dato che il ventre di sua figlia si sta gonfiando come un melone, ma anche se tornassero lei non saprebbe neppure chi di loro è il responsabile... quella sgualdrinella era sempre pronta ad andare con chiunque di loro glielo chiedesse. — Davvero? E dove erano accampati? — Non lo hanno certo detto a gente come noi, ma scommetto che riesco a indovinarlo senza difficoltà. Appena a nord di qui, direi ad una quindicina di chilometri, c'è un tratto di foresta: un tempo era una riserva di caccia del Tieryn, ma circa vent'anni fa il Tieryn e tutti i suoi parenti maschi si sono fatti ammazzare in una faida e con l'imperversare delle guerre nessuno ha ancora preso possesso delle loro terre. Quindi la foresta è cresciuta folta e selvatica... però scommetto che da qualche parte la vecchia capanna di caccia del Tieryn è ancora in piedi. Maddyn gli porse le monete di rame e ne tirò fuori altre due. — Non è che in questo villaggio ci sia qualche ragazzo che sa dove si trova quella capanna? — domandò, esibendo le monete. — Mi sembra
probabile che qualcuno dei ragazzi più giovani possa essere andato a vedere per curiosità. — Neppure per idea, e non lo dico soltanto per avere da te altre monete. Quel tratto di foresta è un posto pericoloso: dicono che sìa infestato da spiriti malvagi, e poi ci sono gli uomini selvaggi. — I cosa? — Ecco, immagino che non dovrei definirli selvaggi, poveracci, perché gli dèi mi sono testimoni che al loro posto anch'io avrei fatto come loro — replicò il taverniere, poi si protese in avanti e aggiunse, in tono da cospiratore: — A te posso dirlo, perché non hai l'aria di un tipo pronto a correre dal nostro signore per informarlo... le persone che vivono nella foresta sono servi vincolati, o forse dovrei dire che lo erano un tempo. Il loro signore è stato ucciso, quindi se ne sono andati per vivere liberi, e non posso dire di biasimarli per questo. — Neppure io. I tuoi uomini selvaggi non corrono pericoli da parte mia, ma dalle tue parole devo supporre che abbiano la tendenza a derubare i viandanti. — Credo che ritengano di averne il diritto, dopo tutto il duro lavoro che hanno svolto. Maddyn gli diede lo stesso le altre due monete e uscì a raggiungere Aethan, che era fermo sulla strada con le redini dei cavalli in mano. — Stavi spettegolando, vero? — Senti, Aethan, il taverniere aveva qualche informazione da darci e potrebbe valere la pena di seguirla. Pare che nei boschi a nord di qui ci sia un contingente indipendente. Aethan fissò le redini che aveva in mano e le sfregò con dita stanche. — Ah, dannazione! — commentò infine. — Tanto vale andare a dare loro un'occhiata. Quando lasciarono il villaggio si diressero a nord seguendo il fiume. Anche se Aethan stava ormai cominciando a guarire, la schiena gli doleva ancora e furono costretti a fermarsi spesso per riposare, un'andatura lenta che permise loro di arrivare alla foresta quando era ormai prossimo il tramonto e gli alberi incombevano oscuri e fitti dal lato opposto del prato; al limitare del bosco si levava una massiccia stele di pietra che senza dubbio proclamava l'appartenenza di quel bosco al clan ormai estinto che un tempo l'aveva posseduto. — Non voglio andare in giro là dentro con il buio — dichiarò Aethan. — Hai ragione, ci accamperemo qui. Grazie al fiume, c'è acqua in ab-
bondanza. Mentre Aethan si occupava dei cavalli Maddyn andò a raccogliere legna sul limitare del bosco e subito intorno a lui si raccolse una folla di membri del Popolo Fatato che gli correvano intorno o gli saltellavano accanto... verdi gnomi nodosi, tre enormi creature gialle con il ventre gonfio e le zanne rosse, e il suo fedele spiritello azzurro che gli si era sistemato sulla spalla e gli stava passando fra i capelli le minuscole mani. — Stanotte dovrò suonare qualcosa per voi — disse loro. — È passato del tempo dall'ultima volta che ne ho avuto voglia, ma forse la nostra fortuna sta cambiando. Quando però giunse il momento di suonare Maddyn aveva ancora il cuore così turbato che gli riuscì difficile scegliere un brano o una ballata e dopo aver accordato l'arpa si limitò a suonare pezzi e frammenti di svariate canzoni oppure ad esercitarsi nelle scale e negli accordi. Ben presto Aethan si addormentò prono, con la testa sulle braccia conserte, ma il Popolo Fatato rimase fino all'ultima nota, una vasta folla che si stendeva sul prato oltre la chiazza di luce del fuoco, e Maddyn si sentì pieno di reverenziale meraviglia, quasi stesse suonando alla corte del re in una sala piena di cortigiani. Quando smise, percepì più che sentire una sorta di applauso irreale, poi gli esseri scomparvero improvvisamente. Con un profondo brivido, Maddyn ripose l'arpa, e dopo aver spento il fuoco da campo passeggiò un poco sul prato, spinto più che altro dall'inquietudine. Poteva vedere la buia foresta che incombeva oscura non lontano da loro e poteva percepire la sua presenza, la sua esalazione di selvaggio; era certo che in essa non vivessero soltanto pochi fuggiaschi umani, e d'un tratto si rese conto che quelle lunghe guerre che erano una tragedia per gli uomini costituivano invece una benedizione per il Popolo Fatato, in quanto restituivano ad esso terre che un tempo l'uomo aveva preso e addomesticato. Mentre sostava sul prato silenzioso gli parve di sentire una tenue musica che era un eco della sua: di nuovo ebbe un brivido convulso e si affrettò a tornare al campo. Il mattino successivo lo spiritello azzurro lo svegliò all'alba con il semplice espediente di tirargli violentemente i capelli, e quando lui cercò di assestargli uno sculaccione scoppiò in una risata silenziosa e gli mostrò i denti aguzzi. Poco lontano, Aethan dormiva ancora ma si girava e si muoveva con l'irrequietezza di chi è prossimo a svegliarsi. — Ascolta attentamente, piccolo — disse Maddyn allo spiritello. — Da qualche parte nella foresta c'è un gruppo di uomini come me ed Aethan,
guerrieri muniti di spada; devono avere anche dei cavalli e vivono in una casa di pietra. Puoi guidarmi là? Lo spiritello rifletté per un momento, poi annuì in segno di assenso e scomparve. Maddyn si disse che non doveva aver capito la sua richiesta o che doveva averla subito dimenticata, ma non appena lui e Aethan furono pronti a partire lo spiritello riapparve, danzando e saltellando sulla riva del fiume e indicando verso nord. — Non è che quel dannato taverniere ti ha fornito le indicazioni per raggiungere questo posto, vero? — chiese Aethan. — Ecco, aveva qualche idea, ma un po' confusa. Cercherò di arrivare fin là, ma non essere sorpreso se sarà un percorso un po' tortuoso. Fu un bene che Maddyn avesse dato quell'avvertimento, perché l'idea che il Popolo Fatato aveva di fare da guida a qualcuno lasciava molto a desiderare. Non appena i due uomini si furono avviati verso nord un paio di gnomi vennero a raggiungere lo spiritello, ma subito presero a pizzicarlo e a pizzicarsi a vicenda con l'effetto di distrarlo dal suo incarico. Una volta che si furono addentrati nella foresta, poi, i membri del Popolo Fatato scomparvero del tutto, lasciando i due uomini a seguire una rozza pista tracciata dai daini, e proprio quando Maddyn aveva ormai rinunciato alla speranza di rivederli tornarono ad apparire, appollaiati sul collo del cavallo e sul pomo della sella, indicando a occidente giù per un sentiero erto ed aspro. Anche se Aethan brontolò (piacevole segno di un suo ritorno alla vita), Maddyn insistette per seguire la pista e ogni volta che arrivarono ad un bivio seguì fedelmente la direzione suggerita dallo spiritello... con il risultato che entro mezzogiorno si era ormai perduto senza speranza e senza altra scelta che continuare a seguire la guida del Popolo Fatato. Saltellando di albero in albero, le creature ridevano e puntavano nelle più diverse direzioni, ma Maddyn seguì soltanto lo spiritello azzurro, che minacciava di mordere i suoi compagni grigi ogni volta che lo contraddicevano. — Maddo, nel nome di ogni dio e del suo cavallo, spero che tu sappia quello che stai facendo. — Lo spero anch'io, ma ho l'orribile sensazione di essere riuscito a far perdere entrambi qui dentro. Aethan emise un gemito tanto drammatico da essere degno di un bardo, ma proprio quando Maddyn cominciava a pensare che le sue parole avessero descritto la tragica verità di fatto, lo spiritello li condusse in un'ampia radura circondata da ceppi d'albero, al cui centro si levava una capanna di tronchi disposti in modo da ottenere una struttura squadrata... una casa diversa da qualsiasi altra Maddyn avesse mai visto. Il tetto era ordinatamente
coperto di paglia e un filo di fumo usciva da un buco praticato in esso. — Nel nome dei tre inferni, cosa hai trovato? — esplose Aethan. — Quella casa non è abbastanza grande per una banda di mercenari. — Infatti. È più probabile che si tratti di qualcuno di quei servi fuggiaschi a cui ha accennato il taverniere. Al suono delle loro voci un uomo uscì all'esterno. Era uno degli individui più bassi che Maddyn avesse mai visto, alto non più di un metro e mezzo ma con spalle larghe e braccia massicce che lo facevano sembrare un fabbro in miniatura e con le gambe perfettamente proporzionate al resto del corpo. La sua lunga barba nera gli scendeva oltre il collo della tunica di lana che indossava sopra i calzoni e l'uomo brandiva una lunga ascia da boscaiolo come un'arma da difesa; quando parlò, la sua voce risultò avere un rozzo accento gutturale. — Chi siete voi due, ragazzi? — Soltanto un paio di viandanti smarriti — rispose Maddyn. — È più probabile che siate ladri — replicò l'uomo, soppesando l'ascia. — E cosa vi ha portati in questo maledetto bosco? — Stavamo cercando un contingente di mercenari — intervenne Aethan. — Un taverniere di Gaddmyr ci ha detto che potevano essere accampati da queste parti. — Tutto quello che vogliamo è vedere se sono disposti a prenderci con loro — aggiunse Maddyn. — Giuro che non siamo ladri, e del resto non so proprio quali oggetti di valore potrebbe avere un eremita come te. L'uomo rifletté senza abbassare l'ascia, e nell'osservarne la lama Maddyn per poco non imprecò ad alta voce per la sorpresa: pur avendo uno splendore metallico uguale a quello dell'argento, essa sembrava affilata come l'acciaio e non era minimamente intaccata. — Senti — riprese Aethan, — saremo più che lieti di lasciarti in pace se soltanto ci mostrerai come uscire da questo dannato bosco. — Naturalmente basterà che torniate da dove siete venuti. — Ci siamo persi, buon signore — si affrettò a intervenire Maddyn, perché non gli piaceva la cupa espressione apparsa sul volto di Aethan. — Davvero? Avete trovato me abbastanza facilmente. — Ecco, io stavo seguendo uno dei... — cominciò Maddyn, interrompendosi appena in tempo. Come se avesse saputo che stava pensando a lui, lo spiritello azzurro si materializzò all'istante, sistemandosi sulla sua spalla e baciandogli i capelli. L'uomo fissò la scena con sconcerto, poi abbassò l'ascia e si appoggiò
ad essa come ad un bastone, saettando una rapida occhiata da cospiratore in direzione di Aethan... che naturalmente non aveva visto nulla... prima di rivolgere a Maddyn un riluttante sorriso. — Ecco, forse dopo tutto vi potrei accompagnare alla vecchia capanna di caccia, ma i vostri cavalli appaiono sfiniti per aver camminato troppo fra questi dannati alberi quindi prima date loro da bere... laggiù vicino a quel ceppo c'è una sorgente. A proposito, io mi chiamo Otho. — Io sono Maddyn e questo è Aethan. Ti ringrazio per il tuo aiuto. Conosci questo contingente? — Alquanto. Ho fatto un po' di lavoro per i suoi componenti durante l'inverno, aggiustando fibbie e cose del genere... vedi, io sono un fabbro. Questa volta fu Maddyn a fissarlo: cosa ci faceva un fabbro in una zona così desolata? Poi si rese conto che anche Otho poteva essersi lasciato alle spalle qualcosa di disonorevole. — Considerando ciò che è, il loro capo Caradoc non è un uomo cattivo — proseguì Otho. — Quando partirà vuole che vada al sud con i suoi uomini, e in effetti ci stavo riflettendo sopra. Mentre Aethan abbeverava i cavalli Otho entrò nella sua capanna e di lì a poco ne riemerse con un giustacuore di cuoio sopra la tunica e brandendo un'ascia diversa, con una lunga impugnatura fasciata di metallo al posto del manico e ovviamente fabbricata come arma, che usò abilmente per aprire un varco fra i cespugli e i rami che pendevano dall'alto. La pista risultò essere così stretta e serpeggiante che i due uomini furono costretti a condurre a mano i cavalli e fu quindi soltanto verso la metà del pomeriggio che arrivarono in vista di una vasta radura di circa cinque acri al cui centro scorsero le alte mura di pietra di quella che era stata un tempo la dimora di caccia di un nobile. Le porte di legno erano ormai marcite e al di là di esse si potevano scorgere la rocca, che era ancora in condizioni ragionevolmente buone, e un assortimento di baracche in rovina. Quando i tre si avvicinarono Caradoc venne loro incontro di persona e Otho effettuò le presentazioni. Il comandante mercenario era un uomo alto e snello con le braccia lunghe e dinoccolate di uno spadaccino nato, mentre gli zigomi alti e i capelli chiari denotavano che era originario del sud; Come Aethan, sembrava avere un po' più di trent'anni e sebbene fosse un uomo disonorato in luì c'era qualcosa che impressionava... forse il portamento orgoglioso o il modo penetrante con cui i suoi occhi, che sembravano aver visto molto della vita, scrutavano gli altri. — Dal momento che stavi cercando corpi in vendita, te ne ho portati un
paio — commentò Otho. — Interessante — replicò Caradoc, con un gradevole sorriso. — Allora, abbiamo Aethan che porta il cinghiale di Cantrae sulla camicia e Maddyn che veste come un contadino ma ha la spada alla cintura. Una volta ho avuto anch'io un aspetto simile al vostro, dopo aver lasciato una banda di guerra di Cerrmor un po'... ecco, diciamo all'improvviso, tanto che non ho mai salutato adeguatamente il mio signore. A giudicare dalle macchie che hai sulla camicia, Aethan, scommetterei che ci devono essere delle cicatrici sulla tua schiena. — Parecchie, ma che io sia dannato se te ne dirò il perché. — Non lo chiederò mai. Dunque, ragazzi, queste sono le condizioni: io sono disposto ad accettare chiunque per l'estate. Se non sapete combattere morirete in qualche scontro e ci libereremo di voi, altrimenti otterrete una parte equa del denaro che ci verrà pagato. Inoltre ricordate che sono io il capo di questo branco di cani: datemi il minimo problema e ve ne farò pentire. Mettetevi bene in mente che cavalcate ai miei ordini oppure non cavalcate affatto. Non appena entrarono nella rocca i due si resero conto che Caradoc aveva detto sul serio, perché invece del covo di sporcizia degno di un gruppo di banditi che Maddyn aveva temuto di trovare il campo risultò pulito quanto gli alloggiamenti delle truppe di un nobile. Il contingente era formato da trentasei uomini e il loro equipaggiamento era ben curato, i cavalli erano bestie sane e forti, la disciplina ancora più rigida di quella della banda di guerra da cui lo stesso Maddyn proveniva. Quando Caradoc presentò loro le nuove reclute gli altri membri della banda gli dimostrarono un'attenzione così assoluta e rispettosa che Maddyn cominciò a chiedersi se per caso il comandante fosse di nobile nascita; dietro di loro, Otho ascoltò le parole di Caradoc accarezzandosi pensosamente la barba ma non disse neppure una parola finché non tornarono tutti fuori per permettere a Maddyn e ad Aethan di togliere la sella ai cavalli e di scaricare il loro equipaggiamento. — Bene, Otho — disse allora Caradoc, — noi partiremo presto. Vuoi venire con noi in Eldidd? — Potrei anche farlo. Mi sono abituato ad avere compagnia, soprattutto compagnia che può pagare un fabbro meglio di come possano fare i puzzolenti servi che popolano questa foresta. — Questo è vero, e una volta che ci arriveremo Eldidd ti piacerà. — Hah! Ho i miei dubbi al riguardo: dicono sempre che nelle vene della
gente di Eldidd c'è sangue elfico. — Non ricomincerai con questa storia! — esclamò Caradoc, fingendo un'espressione dolente. — Per quanto ammiri la tua arte, buon artigiano, devo dire che in certi momenti sembra proprio che ti manchi qualche rotella. Sangue elfico... come no! — Deridimi finché vuoi, ma ti garantisco che il sangue elfico rende un uomo inaffidabile. — Qualsiasi uomo che contasse un mito fra gli ascendenti del suo clan sarebbe inaffidabile — ritorse Caradoc, passando un dito lungo il filo della lama argentea dell'ascia di Otho. — Comunque parla pure di elfi finché vuoi a patto che continui ad operare la tua magia con i metalli. Quando saremo tutti ricchi come nobili e saremo diventati il più famoso contingente indipendente di tutto Deverry, ci dovrai fabbricare delle spade con quel tuo metallo magico. — Hah! Dovresti essere un re per poterti permettere una cosa del genere, amico mio... sarai dannatamente fortunato se riuscirai a diventare abbastanza ricco da ottenere una daga fatta con quel metallo. Dopo che Maddyn ed Aethan ebbero nutrito e sistemato nella stalla i loro cavalli, uno degli uomini del contingente, un tizio chiamato Stevyc, venne ad aiutarli a portare il loro equipaggiamento nella rocca, e un ampio sorriso gli apparve sulle labbra quando sollevò la sacca di cuoio che conteneva l'arpa di Maddyn. — Chi di voi due è un bardo? — chiese. — Io — rispose Maddyn, — ma non valgo granché e sono piuttosto un gerthddyn che un bardo, davvero. So cantare, ma non posseggo la vera cultura dei bardi. — E a chi importa un accidente di sapere chi fosse il trisnonno di qualche grande signore? Questo è davvero uno splendido colpo di fortuna — dichiarò Stevyc, poi si girò e si rivolse a Caradoc: — Capitano, adesso abbiamo un nostro bardo. — E fra un po' potremo mangiare in piatti d'argento da quei grandi signori che siamo — commentò Caradoc, avvicinandosi. — Comunque un bardo ci sarebbe stato utile quest'inverno, quando avete cominciato a provocare guai soltanto perché non avevate niente altro da fare. Benissimo, Maddyn, se dimostrerai di saper cantare abbastanza bene sarai esentato dal turno di cucina e dal lavoro nelle stalle, ma mi aspetto in cambio che tu componga canzoni che decantino le nostre battaglie, proprio come faresti per un nobile.
— Farò del mio meglio perché le mie canzoni siano all'altezza dei nostri meriti, capitano. — Dovranno essere superiori ai nostri meriti, Maddyn, altrimenti sembrerai un gatto in calore. Dopo una rozza cena a base di cacciagione e di rape, a Maddyn venne data l'occasione di esibirsi nel canto, seduto su un vecchio tavolo traballante in quella che era stata un tempo la grande sala della rocca, e dopo aver eseguito appena una ballata lui si rese conto di essersi già conquistato un posto all'interno del contingente perché gli uomini lo stavano ascoltando con l'assoluto interesse di chi in precedenza si sia sempre profondamente annoiato, senza badare se qualche nota non era proprio intonata o se lui incespicava su qualche verso. Dopo un inverno in cui non avevano avuto altri diversivi che qualche partita a dadi e le visite alla figlia del fabbro, quegli uomini lo applaudirono come se fosse stato il bardo migliore della corte del re e quella notte lo costrinsero a cantare fino ad essere rauco, permettendogli soltanto allora di smettere, e con riluttanza. Naturalmente, soltanto Maddyn e Otho furono consapevoli della presenza dei membri del Popolo Fatato che affollavano la sala e ascoltavano con lo stesso interesse degli esseri umani. Quella notte Maddyn rimase sveglio a lungo ad ascoltare il suono familiare di altri uomini che dormivano poco lontano da lui nell'oscurità di un alloggiamento: era di nuovo in una banda di guerra, era tornato alla sua vecchia vita in maniera così completa che giunse a chiedersi se quei mesi incantati vissuti a Brin Toraedic non fossero stati un sogno. L'inverno appena trascorso gli appariva adesso come una sorta di paradiso perduto, nel quale lui aveva avuto una piacevole compagnia e una donna tutta sua, un periodo di tempo in cui aveva potuto intravedere un mondo più ampio e libero fatto di pace e di dweomer... un'occhiata appena, poi la porta gli era stata sbattuta in faccia e adesso era di nuovo sul punto di affrontare la guerra, ora nei panni di un guerriero disonorato la cui unica meta nella vita era quello di guadagnarsi il rispetto di altri uomini disonorati. Se non altro, in Cantrae Belyan avrebbe dato alla luce un figlio suo, una piccola vita che sarebbe durata più a lungo di lui e che avrebbe vissuto meglio come contadino di quanto suo padre avrebbe fatto come guerriero. Pensando al bambino, infine si addormentò con un sorriso sulle labbra. Il giorno stesso in cui Maddyn lasciò Brin Toraedic, Nevyn trascorse parecchie ore impegnato a chiudere le caverne in previsione della sua assenza
estiva e a riporre erbe e medicine nei sacchi di tela da caricare sul mulo: lo aspettava un lungo viaggio di oltre milletrecento chilometri nel corso del quale avrebbe dovuto effettuare soste di cruciale importanza per il successo del suo piano a lungo termine. Se voleva riuscire a far sì che un re dotato di dweomer portasse la pace al regno avrebbe avuto bisogno dell'aiuto di amici potenti, soprattutto all'interno degli ordini sacerdotali, ed avrebbe anche dovuto trovare un uomo di sangue reale che si adattasse al suo piano... il che riteneva essere la parte più difficile di tutto il progetto. La prima settimana del suo viaggio fu scevra da difficoltà. Anche se le strade di Cantrae erano piene di bande di guerra che si stavano radunando in previsione dei combattimenti estivi nessuno gli diede fastidio grazie al suo aspetto di vecchio e trasandato erborista i cui capelli bianchi erano rispettati dai soldati locali come segno di un'età molto avanzata. Nevyn seguì quindi il corso del Canaver fino al punto in cui esso si univa al fiume Nerr vicino alla città di Muir, un luogo che per lui conservava ricordi risalenti a circa duecento anni prima. Come sempre faceva quando attraversava Muir, il vecchio si recò in ciò che restava della foresta selvatica di un tempo... ora riserva di caccia del clan meridionale del Cinghiale... dove in mezzo ad una macchia di querce secolari si ergeva l'antico tumulo coperto di muschio che contrassegnava la tomba di Brangwen del Falcone, la donna che lui aveva amato, a cui aveva fatto torto e che aveva perduto tanti anni prima. Si sentiva sempre una sorta di idiota ad effettuare quel pellegrinaggio, considerato che il corpo di lei era ormai marcito da tempo e che la sua anima era rinata già parecchie volte da quel giorno infelice in cui lui aveva scavato quella tomba e aiutato ad accumulare quelle rocce, e tuttavia quel luogo aveva ancora significato per lui, se non altro per il fatto che lì aveva pronunciato l'impulsivo voto che era la causa della sua vita innaturalmente lunga. Per rispetto verso la tomba, pur non sapendo a chi appartenesse, i guardiacaccia del Cinghiale non avevano toccato il tumulo, e Nevyn fu contento di vedere che qualcuno se ne era perfino preso cura, sostituendo alcune pietre cadute e strappando le erbacce che crescevano alla sua base... un piccolo atto di decenza in un mondo in cui la decenza stava correndo il rischio di scomparire. Per qualche tempo rimase seduto accanto al tumulo, osservando i giochi di luci e ombre della foresta e chiedendosi quando avrebbe ritrovato l'anima di Brangwen; quella meditazione gli portò infine un piccolo messaggio introspettivo: Brangwen era rinata ma era ancora
bambina... e tuttavia Nevyn era certo che prima o poi Maddyn l'avrebbe portato da lei. Una vita dopo l'altra, il suo Wyrd era stato legato a quello di lei, al punto che nella loro ultima reincarnazione l'aveva seguita nella morte, vincolando entrambi con una catena ancora più stretta. Lasciata Muir, Nevyn si diresse ad ovest verso Dun Deverry, per dare personalmente un'occhiata all'uomo che sosteneva di essere il re della Città Santa. In un caldo giorno di primavera in cui i raggi del sole picchiavano soffocanti quanto la spessa polvere della strada, arrivò alle rive del Gwerconydd, il vasto lago formato dalla confluenza di tre fiumi, e mentre permetteva al cavallo e al mulo di riposare per qualche tempo sulla sponda coperta di canne venne raggiunto da un paio di giovani preti di Bel, con la testa rasata e vestiti di tuniche di lino, che erano a loro volta diretti alla Città Santa. Dopo aver conversato piacevolmente per qualche momento, i tre decisero di proseguire il cammino insieme. — E chi è adesso il sommo sacerdote? — domandò Nevyn. — Ho vissuto a lungo in Cantrae e sono un po' a corto di notizie. — Sua Santità Gwergovyn — rispose il più anziano dei due preti. — Capisco — replicò Nevyn, sentendo il cuore che gli veniva meno, in quanto ricordava fin troppo bene come Gwergovyn fosse un uomo con la correttezza morale di un furetto. — Ditemi un'altra cosa... ho sentito dire che i Cinghiali di Cantrae sono persone che contano nei circoli di corte. Anche se erano completamente soli sulla strada, il giovane prete rispose in tono di voce sommesso. — Infatti è così, e ci sono molti che borbottano al riguardo. So che Sua Santità non ha una buona opinione degli uomini del Cinghiale. Finalmente arrivarono alla città, che si ergeva su quattro colline al riparo di una doppia cerchia di mura massicce dotate di bastioni e di torri; le porte di legno su cui era intagliato un grifone rampante erano rinforzate in ferro e sorvegliate su entrambi i lati da guardie che portavano camicie adorne di pesanti ricami, e tuttavia una volta che Nevyn le ebbe oltrepassate ogni impressione di splendore scomparve. Un tempo quelle mura erano state riempite da una città opulenta mentre adesso case su case apparivano abbandonate, con il cortile invaso dalle erbacce, le finestre vuote, la paglia del tetto che marciva nelle strade sporche. Gran parte della città aveva un aspetto propriamente diroccato, mucchi di pietre miste a travi carbonizzate, perché negli ultimi cento anni Dun Deverry era stata assediata e presa da forze contrapposte tante di quelle volte che a quanto pareva nessuno aveva più la forza, i soldi e la speranza per ricostruirla. Ciò che restava della po-
polazione, numericamente appena superiore a quella dei tempi di Re Bran, viveva ormai intorno e in mezzo alle due colline principali, e in quell'area c'erano dovunque guerrieri che si aggiravano fra la gente e si facevano largo a spallate fra essa. Guardandosi intorno, Nevyn ebbe l'impressione che ogni uomo fosse al servizio di questo o di quel nobile e che ogni donna vivesse nel terrore o si fosse ormai piegata all'inevitabile e data alla prostituzione per compiacere i guerrieri. La prima locanda che trovò era piccola, sporca e malandata, poco più di una grande casa divisa fra una taverna e alcune camere d'affitto, ma lui si fermò lo stesso lì perché gli era simpatico il proprietario, Draudd, un vecchio magro con i capelli bianchi quanto i suoi e un sorriso che rivelava una capacità quasi sovrumana di conservare una traccia di umorismo anche in mezzo a tanta rovina. Quando scoprì che Nevyn era un erborista, Draudd insistette per farsi pagare la camera con le sue prestazioni professionali. — Dopo tutto, io sono vecchio quanto te e consumerò senza difficoltà una quantità di erbe pari al costo della stanza... perché dovresti darmi delle monete che poi ti dovrò rendere subito dopo? — Ben detto. Ah, la vecchiaia! Ho studiato il corpo umano per tutta la vita, e tuttavia giuro che la vecchiaia mi ha causato dolore a giunture di cui non avevo mai scoperto l'esistenza. Nevyn trascorse il primo pomeriggio nella taverna, dispensando erbe per l'assortimento di malanni che affliggevano Draudd e ascoltando in cambio tutti i pettegolezzi locali, che erano naturalmente incentrati sugli eventi di corte. A Dun Deverry, infatti, anche le persone più povere sapevano tutto quello che era possibile sapere sul conto del re e della sua corte, perché i pettegolezzi erano il loro bardo e i reali la loro unica ragione di orgoglio, e Draudd era una fonte di informazioni particolarmente buona perché sua figlia, una donna sulla quarantina, lavorava nelle cucine del palazzo e aveva quindi la possibilità di sentire i pettegolezzi che si scambiavano i servitori di nobile nascita come il ciambellano e il cameriere personale del re. In base a ciò che Draudd gli disse quel giorno, Nevyn apprese che i Cinghiali avevano sul re un controllo così assoluto che la cosa era ormai quasi uno scandalo e che tutti ritenevano che Tibryn, il Cinghiale di Cantrae, fosse ormai prossimo a essere lui il vero re. — E adesso che il nostro povero sovrano è tanto malato, con una moglie così giovane e Tibryn che è vedovo... — Draudd fece una pausa per ottenere un effetto drammatico, poi concluse: — Allora? Riesci a immaginare ciò che la gente si sta chiedendo?
— Ci riesco senz'altro, ma i preti permetterebbero alla vedova del re di risposarsi? Per tutta risposta Draudd sfregò insieme l'indice e il pollice, come un mercante che stesse gongolando per il denaro accumulato. — Ah, per tutti gli inferni! — imprecò Nevyn. — La situazione è marcia fino a questo punto? — Ormai i preti sono corruttibili soltanto con il denaro, perché hanno già avuto tutte le concessioni terriere e legali che volevano. A quel punto Nevyn decise che incontrarsi con Gwergovyn... sempre ammesso che fosse riuscito a vederlo... sarebbe stato uno spreco di tempo. — Ma di cosa soffre il re? — domandò invece. — È ancora un uomo giovane. — Ha ricevuto una brutta ferita nel corso dei combattimenti della scorsa estate. Per caso, mi trovavo sulla strada reale quando lo hanno riportato a casa, perché ero andato al mercato a comprare delle uova. Ho sentito un fracasso misto al suono dei corni che si avvicinava e poi ho visto il re disteso su una lettiga e pallido come la neve. È sopravvissuto, anche se tutti pensavano che quest'inverno suo figlio sarebbe stato messo sul trono nonostante la sua giovane età, ma non si è mai ripreso del tutto e mia figlia mi ha detto che gli devono preparare pasti speciali... tutte cose morbide e senza traccia di spezie del Bardek. Così gli danno carne bollita, mele cotte e roba del genere. Adesso Nevyn era del tutto sconcertato in quanto quella dieta particolare non aveva il minimo senso per un uomo che, stando a quanto risultava, era stato ferito al petto e cominciò a chiedersi se qualcuno non stesse mantenendo di proposito il re in condizione di indebolimento, magari per ottenere il favore di Tibryn del Cinghiale. Naturalmente il modo migliore per appurarlo era quello di parlare con i medici del re, quindi l'indomani il vecchio si recò a palazzo con il suo mulo carico di medicinali. Il palazzo sorgeva sulla collina settentrionale, avvolto da cerchi su cerchi di mura difensive, alcune di pietra altre semplici terrapieni, che dividevano la collina in fette strette e facilmente difendibili. Ad ogni porta in ogni cerchia di mura alcune guardie lo fermarono e gli chiesero cosa volesse, ma lo lasciarono sempre passare con le sue erbe. Infine, oltre l'ultima cerchia di mura, il vecchio raggiunse il palazzo e gli edifici di servizio che lo circondavano. Al centro, una fortezza di sei piani cinta da quattro semirocche più basse si levava come una cicogna in mezzo ai polli: se tutte le difese fossero cadute, gli attaccanti avrebbero ancora
dovuto aprirsi un varco in quel dedalo di passaggi per arrivare fino al re, ma del resto in tutti quegli anni di guerra il palazzo non era mai caduto di fronte ad un attacco violento ma sempre e soltanto per fame. L'ultima guardia chiamò un garzone che si precipitò subito all'infermeria reale per avvertire che un erborista era in attesa all'esterno; cinque minuti più tardi il ragazzo tornò e guidò Nevyn verso un grande edificio rotondo di pietra dietro il complesso della rocca, dove venne loro incontro un uomo massiccio i cui occhi avevano un'espressione di furia costante sotto le cespugliose sopracciglia ma che rivelò un tono sommesso e pacato quando si presentò come Grodyn, il capo chirurgo. — Un erborista è sempre il benvenuto. Vieni a mostrarmi le tue mercanzie, buon signore... il tavolo accanto alla finestra è il migliore, credo, perché esposto alla luce e all'aria fresca. Mentre Nevyn tirava fuori i pacchetti di erbe secche, di corteccia di svariati alberi e di pezzi di radici secche, Grodyn andò a chiamare il suo apprendista Caudyr, un giovane dai capelli color sabbia, gli occhi azzurri e una mascella tanto affilata da sembrare un coltello, afflitto da un piede equino che gli conferiva un'andatura ondeggiante come quella di un marinaio. Fra tutti e due, i medici cominciarono a vagliare le mercanzie di Nevyn, e tanto per cominciare misero da parte l'intera scorta di valeriana, di enula e di consolida. — Non è che di tanto in tanto ti spingi fino alla costa, vero? — chiese poi Grodyn, in tono un po' troppo noncurante. — Ecco, quest'estate ho una mezza idea di cercare di scivolare fra le linee e di arrivarvi, perché di solito agli eserciti non importa molto di un vecchio. Ti serve qualcosa dal mare? — Fuco rosso, se riesci a trovarne, e un po' di muschio di mare. — Sono sostanze che operano meraviglie per dare sollievo ad uno stomaco ulcerato o ad un intestino infiammato — osservò Nevyn, e dopo una fugace esitazione aggiunse: — A dire il vero, ho sentito delle voci in merito alla strana cosiddetta ferita del nostro signore il re. — Cosiddetta? — ripeté Grodyn, concentrando la propria attenzione su un pacchetto di corteccia di betulla che aveva in mano. — Una ferita al petto che lo obbliga a mangiare soltanto cibo morbido. — Si è trattato di veleno, naturalmente — ammise Grodyn, sollevando lo sguardo con un sorrisetto contorto. — La ferita era guarita splendidamente, ma quando il re era ancora debole, qualcuno ha messo del veleno nel suo sidro. Dopo una lunga lotta siamo riusciti a salvarlo ma il suo sto-
maco è ulcerato e sanguinante, proprio come tu hai intuito, e c'è sangue anche nelle sue feci. Sono però notizie che cerchiamo di tenere nascoste al popolo. — Oh, ti garantisco che io non andrò a parlarne in giro. Hai idea di quale veleno si sia trattato? — Nessuna, ma dal momento che conosci le erbe forse tu potresti individuarlo. Quando il re ha vomitato, si è sentito un odore dolciastro, una specie di misto di rose e di aceto. È stato grottesco scoprire che esiste un veleno che ha l'odore di un profumo, ma la cosa più strana è questa: il paggio del re ha assaggiato il sidro ma non ne ha riportato nessun danno... e tuttavia so che il veleno era nel sidro perché i resti nel boccale avevano uno strano colore rosato. Nevyn rifletté per un momento, esaminando la grande massa di informazioni racchiuse nella sua memoria. — Ecco — replicò infine, — non posso indicare il nome dell'erba in questione ma sono pronto a scommettere che sia originaria del Bardek. Ho sentito dire che laggiù gli avvelenatori usano spesso due essenze differenti ciascuna delle quali è di per sé innocua. Senza dubbio il paggio addetto alla tavola ha ingerito una dose della prima quando ha assaggiato il sidro del re, e il paggio nelle sue camere ha ingerito una dose della seconda. Il re, purtroppo, le ha bevute entrambe ed esse si sono combinate nel suo stomaco formando il veleno. Mentre annuiva per indicare che aveva capito Grodyn apparve così nauseato e furente che Nevyn mentalmente decise che non poteva aver avuto parte alcuna in quel crimine. Anche Caudyr appariva molto turbato. — Io ho effettuato studi approfonditi degli antichi volumi di erboristeria di cui disponiamo — osservò il giovane medico, — ma non ho mai trovato traccia di questo bestiale veleno. Però se è originario del Bardek il fatto che non sia citato ha una sua spiegazione. — Infatti — convenne Nevyn. — Bene, signori, io farò del mio meglio per procurarvi il fuco rosso e qualsiasi altro emolliente mi riesca di trovare, ma sarà ormai autunno quando tornerò da queste parti. Il nostro signore vivrà tanto a lungo? — Sì, se nessuno lo avvelenerà ancora — dichiarò Grodyn, gettando sul tavolo il pacchetto di corteccia. — Oh, dèi, riesci a immaginare quanto mi sento impotente? Sono qui che lotto per eliminare gli effetti di un veleno mentre senza dubbio qualcuno sta complottando per rifilarne al re un secondo.
— C'è stata qualche indagine sull'avvelenamento? — Certamente — replicò Grodyn, assumendo improvvisamente un tono cauto, — però non è risultato nulla. Noi sospettiamo che si sia trattato di una spia di Cerrmor. — Oh, ci scommetto che lo sospettate — commentò Nevyn, ma fra sé si disse che quel sospetto era plausibile soltanto se a Cerrmor c'erano dei Cinghiali. Avendo saputo tutto quello che gli interessava, si sforzò di esibire lo stesso curioso interesse che qualsiasi altro visitatore avrebbe avuto di vedere il luogo dove viveva il re e Caudyr, che sembrava essere un ragazzo di buon cuore, si offrì di accompagnarlo in una visita dei giardini semipubblici e degli edifici esterni. A Nevyn bastò ricorrere in maniera soltanto superficiale al dweomer per avvertire che il palazzo era pervaso dalla corruzione: i segni gli vennero sotto la forma di un fetore di carne marcia e della vista di larve putrescenti che uscivano dalle fessure delle pietre, e lui si affrettò a bandire quella visione il più in fretta possibile dal momento che il suo significato era inequivocabile. Mentre si avviavano verso le porte principali, i due videro tornare un gruppo di nobili usciti per una battuta di caccia: il Gwerbret Tibryn, accompagnato da un seguito di servi e di cacciatori e affiancato dalla sorella vedova. Nel condurre di lato il mulo perché non fosse d'intralcio ai nobili, Nevyn notò che Caudyr stava fissando con malinconico desiderio Lady Merodda: appena ventenne, la dama aveva lunghi capelli biondi raccolti in morbide pieghe sotto il velo nero della vedovanza, grandi occhi verdi e lineamenti che erano perfetti senza essere freddi. Nel complesso era davvero splendida, ma nel guardarla Nevyn provò nei suoi confronti un senso di disgusto: anche se non era in grado di stabilirne il motivo, non aveva mai visto una donna che gli riuscisse tanto repellente. Era però evidente che Caudyr la pensava in maniera opposta alla sua, e con estrema sorpresa di Nevyn nell'oltrepassarlo Merodda elargì al giovane chirurgo un sorriso smagliante e un cenno della delicata mano guantata a cui Caudyr rispose con un profondo inchino. — Attento, ragazzo — avvertì Nevyn, con una risatina. — Stai prendendo di mira una selvaggina di rango piuttosto elevato. — Credi che non lo sappia? Potrei anche essere nobile quanto lei, ma sarei comunque sempre deforme. — Oh, ti chiedo scusa! Non intendevo dire nulla del genere. — Lo so, buon signore, lo so. Temo che anni di derisione da parte degli
altri mi abbiano reso suscettibile. Con quelle parole Caudyr si inchinò e si allontanò con il suo passo ondeggiante e strascicato, lasciando Nevyn mortificato per il proprio errore involontario... era duro essere deformi in un mondo in cui tutti, uomini e donne, idolatravano i guerrieri. Alcune ore più tardi, il vecchio ebbe però modo di appurare che Caudyr non gli portava rancore, perché appena dopo il tramonto il giovane medico si recò nella locanda dove lui alloggiava, insistette per offrirgli da bere e sedette con lui ad un tavolo d'angolo ben lontano dalla porta. — Mi stavo chiedendo, buon Nevyn, se tu per caso non avessi della corteccia di olmo del nord nella tua scorta di erbe — esordì il giovane. — Un momento! Io non vendo erbe abortive, ragazzo! Caudyr sussultò e si mise a fissare l'interno del proprio bicchiere. — Ecco — disse infine, — la corteccia di olmo è molto meno pericolosa del giusquiamo. — Non ne dubito, ma la domanda di base è perché pratichi aborti. Di questi tempi mi sembra che ogni neonato sia prezioso. — Non se è generato da una persona diversa dal marito. Ti prego, non mi disprezzare. Ci sono una quantità di nobildonne che trascorrono tutta l'estate a corte mentre il marito è lontano in guerra per mesi di fila... e sai anche tu come succede... e poi vengono da me in lacrime e... — E ti coprono d'argento, senza dubbio. — Non si tratta dei soldi! — Davvero? E di cosa, allora? È la sola occasione che hai nella vita perché una donna venga a implorarti di qualcosa? Quando gli occhi di Caudyr si riempirono di lacrime Nevyn rimpianse l'aspra precisione con cui aveva colpito nel segno e distolse lo sguardo per dare al giovane medico la possibilità di asciugarsi il volto. Ciò che lo preoccupava erano più le infedeltà coniugali che gli aborti: il pensiero che quelle nobildonne, la cui vita estremamente riparata non dava loro altro che l'onore di cui andare fiere, si fossero prima date ad amori illeciti e poi avessero cercato di nasconderli, gli dava la sensazione che il regno fosse marcio al centro e che quel marciume si stesse espandendo verso l'esterno. Quanto agli aborti, il dweomer insegnava che l'anima veniva ad occupare il feto soltanto fra il quarto e il quinto mese dopo il concepimento, per cui qualsiasi aborto praticato prima di quel momento consisteva soltanto nella rimozione di un pezzo di carne e non di un essere vivente. Dal momento che una volta giunta al quinto mese nessuna nobildonna avrebbe più potuto
tenere nascosta la propria infedeltà, Nevyn ebbe la certezza che Caudyr avesse sempre risolto il loro piccolo problema prima che il feto potesse dirsi effettivamente vivo. — Un momento! — esclamò poi, assalito da un pensiero improvviso. — Non starai usando il fungo della segale cornuta, vero, giovane idiota? — Mai! — garantì Caudyr, con sincera ripugnanza. — So quali pericoli comporta. — Bene. Tutto quello che ti ci vorrebbe per trovarti nei guai fino al collo sarebbe che una delle tue nobili pazienti morisse o impazzisse a causa delle tue cure. — Lo so. Se però non trovassi le giuste erbe per queste dame esse verrebbero ripudiate dal marito e probabilmente finirebbero comunque per soffocare il neonato... oppure si rivolgerebbero a qualche strega o ad una praticona e allora morirebbero davvero. — Sei così bravo a cavillare che avresti dovuto fare il prete. Caudyr tentò di sorridere ma non ci riuscì, assumendo piuttosto l'aspetto di un bambino che stesse subendo un rimprovero per qualcosa che lui era sinceramente convinto fosse una cosa giusta. All'improvviso Nevyn sentì il potere del dweomer che si raccoglieva dentro di lui e gli poneva in bocca parole che provenivano dal futuro. — Non puoi tenere del tutto nascosto questo genere di cose. Quando il re morirà i suoi assassini avranno bisogno di un capro espiatorio e si tratterà di te, a causa di queste cure segrete che stai dispensando. Vivi pronto a fuggire al primo segno che il re stia per morire. Tibryn del Cinghiale ha modo di scoprire il tuo sconsiderato uso delle erbe? — Potrebbe, perché Lady Merodda... voglio dire... oh, dèi! Chi sei, vecchio? — Non sai riconoscere il dweomer quando lo senti parlare? Il Cinghiale userà la testimonianza della sorella contro di te e ti farà mettere alla ruota per allontanare i sospetti da se stesso. Se fossi al tuo posto me ne andrei molto prima della fine, altrimenti ti daranno la caccia come ad un regicida. Caudyr scattò in piedi così in fretta che rovesciò tanto il proprio boccale quanto quello di Nevyn e lasciò a precipizio la taverna mentre il vecchio Draudd lanciava a Nevyn un'occhiata interrogativa e poi scrollava le spalle come per dire che quelli non erano affari suoi. Recuperati i boccali dal pavimento, Nevyn si girò sulla panca in modo da poter fissare direttamente il fuoco di torba che ardeva nel focolare e non appena si concentrò su Aderyn il volto del suo antico apprendista apparve fra le fiamme, con gli oc-
chi scuri ed enormi e i capelli bianchi che si sollevavano sulla fronte in due picchi simili ai ciuffi di un gufo argenteo. — Come procedono i tuoi piani? — gli chiese mentalmente Aderyn. — Abbastanza bene, suppongo. Ho comunque appreso una cosa molto importante, e cioè che morirei piuttosto che mettere sul trono un qualsiasi re di Cantrae. — La situazione è tanto brutta? — Il palazzo puzza come il più grande cumulo di letame mai visto nel giorno più caldo dell'estate più lunga. Non vedo come una giovane anima possa crescere in esso senza essere corrotta dalla nascita e non intendo neppure prendermi il disturbo di parlare con i preti di qui perché sono corrotti anche loro, senza dubbio in maniera nuova e insolita. — Erano all'incirca cento anni che non ti vedevo così furente. — Perché era da cento anni che non incontravo nulla di così irritante. L'uomo più rispettabile che ho incontrato qui è un medico che pratica aborti... questo ti fa capire qualcosa? L'immagine di Aderyn levò gli occhi al cielo in un'espressione di disgusto. Caradoc e la sua banda di mercenari lasciarono la casa di caccia abbandonata poco tempo dopo che Maddyn ed Aethan si erano uniti a loro. Anche se tutti stavano avanzando supposizioni su dove sarebbero andati, il capitano non ne fece parola con nessuno fino alla mattina della partenza; una volta che gli uomini furono in sella e disposti in file ordinate che avrebbero fatto onore alla guardia personale del re, Caradoc li ispezionò con cura e poi arrestò il cavallo di fronte a loro. — Andiamo in Eldidd, ragazzi. Fra noi ci sono troppi uomini che non si possono far vedere nelle vicinanze di Dun Deverry perché possiamo farci assoldare dalla fazione di Slwmar, e io non oso farmi vedere in Cerrmor. Dal momento che quest'inverno non abbiamo speso niente per l'alloggio e il resto, ho messo da parte un po' di denaro che ci permetterà di puntare direttamente verso Eldidd. Anche se a nessuno faceva piacere la prospettiva di lasciare la propria patria alla volta di una terra straniera non ci furono espressioni di scontento. Caradoc attese un momento, come per aspettare eventuali proteste, poi scrollò le spalle e sollevò una mano. — Otho il fabbro ci raggiungerà sulla strada con un carro. Avanti... in marcia!
Con un tintinnio di finimenti il contingente esegui una svolta perfetta e cominciò a oltrepassare in colonna per due le porte delle mura. Come segno d'onore nei confronti di un bardo, Maddyn cavalcava accanto a Caradoc in testa alla colonna, e nel corso dei giorni successivi in cui puntarono a sudovest il più in fretta possibile questo gli diede una quantità di occasioni per osservare il suo nuovo capo. Ciò che più tormentava la curiosa anima da bardo del giovane era se Caradoc fosse o meno di nobile nascita. A volte, quando il capitano era intento a discutere qualche punto della legge reale o a impartire ordini con fermezza e autorità, Maddyn si sentiva certo che di nascita dovesse essere il figlio minore di qualche nobile, ma quando si trattava di gestire il denaro Caradoc dimostrava tutta l'astuta parsimonia di una vecchia contadina, un atteggiamento che non poteva certo aver imparato in mezzo alla nobiltà. Di tanto in tanto, Maddyn provò a lasciar cadere nella conversazione accenni o vaghe domande relativi al passato, ma Caradoc non abboccò mai alle sue esche; quando poi il contingente si accampava per la notte, il capitano mangiava solo come un signore, mentre Maddyn divideva il suo fuoco con Aethan e con una piccola folla di membri del Popolo Fatato. Dopo una settimana di viaggio la colonna attraversò il fiume Trebyc in un punto circa centocinquanta chilometri a ovest di Dun Deverry, e Caradoc diede ordine agli uomini di procedere armati e pronti a qualsiasi evenienza, disponendo un'avanguardia e alcuni esploratori, in quanto si stavano avvicinando al confine fra il territorio tenuto da Cantrae e quello nelle mani di Cerrmor. Quelle precauzioni fornirono una ricompensa alquanto strana. Il secondo giorno dopo che erano stati impartiti quegli ordini, la colonna si stava infine avvicinando al confine di Eldidd e si arrestò per il riposo di mezzogiorno su un prato erboso che non aveva mai conosciuto il solco dell'aratro. Quando rientrarono per farsi dare il cambio, gli uomini dell'avanguardia portarono con loro un individuo disarmato e vestito in maniera costosa, che cavalcava uno splendido cavallo e aveva con sé un mulo da soma che era stato evidentemente generato in un buon allevamento. Nel vederlo, Maddyn rimase sorpreso che quel povero stupido fosse riuscito a sopravvivere tanto a lungo, e dall'aspetto spaventato del giovane sconosciuto dai capelli biondi suppose che questi stesse pensando esattamente la stessa cosa. — Dice di provenire da Dun Deverry — affermò il capo dell'avanguardia, — quindi lo abbiamo portato al campo nel caso che possie-
da notizie interessanti. — Bene — approvò Caradoc. — Dunque, giovanotto, non abbiamo intenzione di tagliarti la gola o di derubarti, quindi vieni a mangiare con me e con Maddyn. Con un gemito quasi scortese lo sconosciuto osservò il contingente di uomini ben armati che lo attorniava, poi emise un sospiro rassegnato. — D'accordo. Io mi chiamo... uh... Claedd. Caradoc e Maddyn soffocarono un sogghigno di fronte alla goffaggine di quella menzogna; quando lo sconosciuto scese di sella, Maddyn si accorse che aveva un piede equino, che sembrava dolergli dopo tanti giorni trascorsi in sella. Mentre dividevano un semplice pasto a base di pane non lievitato e di formaggio, il presunto Claedd riferì loro il poco che sapeva in merito ai movimenti di truppe intorno alla Città Santa, spiegando che correva voce che le forze del nord stessero progettando un forte attacco lungo il confine orientale del regno di Cerrmor. — Se è vero — commentò pensosamente Caradoc, — non avremo problemi a farci assoldare in Eldidd perché con ogni probabilità il re di Eldidd vorrà trarre vantaggio dalla situazione per rischiare una scorreria in Pyrdon. — Allora siete truppe indipendenti! — esclamò Claedd. — Questo è davvero un sollievo. — Lo pensi proprio? La maggior parte degli uomini non sarebbe d'accordo con te — replicò Caradoc, scuotendo il capo come se l'ingenuità di quel ragazzo lo avesse stupefatto. — Benissimo, allora, chi ti sta inseguendo? Puoi dirmelo senza pericolo, ragazzo, perché anche se sono sceso piuttosto in basso non sono ancora arrivato al punto di consegnare un uomo per riscuotere la taglia sulla sua testa. Claedd si concentrò sul pezzo di pane che stava riducendo a briciole infinitesimali. — Non sei obbligato a dirmelo, se non vuoi — aggiunse Caradoc, dopo un momento, — ma prendi in considerazione la possibilità di continuare il viaggio con noi... in questo modo sarai dannatamente più al sicuro. Hai mai avuto voglia di visitare Eldidd? — È dove stavo cercando di andare, ed hai ragione sul fatto che con voi sarei più al sicuro, visto che non ho mai impugnato una spada in tutta la mia vita. Io sono... uh... uno studioso. — Splendido! Magari prima o poi avrò bisogno di farmi scrivere una lettera.
Anche se riuscì ad esibire un tenue sorriso in risposta a quello scherzo, Claedd era ancora spaventosamente pallido. Quando però il contingente si rimise in marcia si unì ad esso, cavalcando da solo dietro il carro di Otho. Quella notte, Maddyn ebbe compassione e gli offrì di dividere il fuoco con lui e con Aethan, ma anche se portò la sua razione di cibo prelevata dal bagaglio sul mulo, Claedd mangiò pochissimo e si limitò a restare seduto in silenzio, osservando Aethan che lucidava la propria spada. Dopo cena, Caradoc raggiunse il loro fuoco per fare due chiacchiere, e di nuovo Claedd rimase in silenzio mentre il capitano e il bardo discorrevano dei loro progetti una volta in Eldidd. Ad un certo punto, però, approfittò di una pausa per intervenire nella conversazione. — Ho riflettuto sulla tua offerta, capitano. Ti servirebbe un chirurgo per il tuo contingente? Ho concluso il mio apprendistato appena un anno fa, ma ho avuto una pratica dannatamente abbondante nel curare le ferite. — Per il ghiaccio di tutti gli inferni! — esclamò Maddyn. — Vali il tuo peso in oro! — Dannatamente esatto — aggiunse Caradoc, chinando il capo da un lato per scrutare il giovane medico. — Ora, di solito io non sono un uomo curioso e mi piace rispettare l'intimità dei miei ragazzi, ma nel tuo caso devo proprio chiedertelo: come mai un uomo della tua cultura sta viaggiando da solo in questo modo? — Tanto vale che tu sappia la verità. Innanzitutto, il mio nome è Caudyr, ed ero medico di corte a Dun Deverry. Di tanto in tanto, mi è capitato di preparare delle pozioni e cose del genere per qualche dama di nobile nascita per liberarla... ah, ecco... di qualche problema, ma la cosa si è risaputa in maniera piuttosto distorta e antipatica. Caradoc e Aethan si scambiarono un'occhiata perplessa. — Sta parlando di aborti — spiegò Maddyn con un sogghigno. — Nulla che ci debba interessare. — Con il branco di cani che ho con me, la cosa potrebbe perfino tornarci comoda — convenne Caradoc. — Benissimo, allora, avrai diritto ad una porzione piena dei nostri guadagni, proprio come un combattente, perché ho scoperto che il medico di un nobile tende a curare prima gli uomini del suo signore e poi i mercenari, quando e se ne ha voglia. Ho avuto degli uomini che sono morti dissanguati e che sarebbero vissuti se fossero stati curati adeguatamente. Nel guardare in direzione di Aethan, Maddyn scoprì che questi stava fissando Caudyr con cupo sospetto.
— Vieni da Dun Deverry, vero? — chiese, con voce che era un sussurro secco e duro. — Una delle tue nobildonne era per caso Lady Merodda del Cinghiale? Con una confessione più esplicita di qualsiasi parola Caudyr sussultò e arrossì. Alzatosi in piedi, Aethan esitò per un momento, poi si allontanò di corsa nel buio. — Che diavolo significa? — scattò Caradoc. Senza prendersi la briga di rispondere, Maddyn si alzò a sua volta e seguì Aethan attraverso il campo sconcertato, correndo ciecamente dietro di lui nella notte rischiarata dalla luna fino ad arrivare alla riva del fiume. Alla fine, Aethan si fermò e gli permise di raggiungerlo e i due rimasero a lungo vicini, ansanti e con lo sguardo fisso sulle acque lucenti del fiume che scorrevano davanti a loro. — Con una cagna del genere — osservò infine Maddyn, — come puoi essere certo che il bambino fosse tuo? — L'ho tenuta d'occhio come un falco per tutto l'inverno. Se soltanto avesse guardato un altro uomo lo avrei ucciso, e lei lo sapeva. Maddyn si sedette con un sospiro, e dopo un momento Aethan lo imitò. — Avere con noi un chirurgo sarà una cosa dannatamente buona — avvertì Maddyn. — Pensi di poter sopportare Caudyr? — E chi lo sta accusando di niente? È lei che vorrei uccidere. A volte sogno di mettere le mani intorno al suo grazioso collo bianco e di strangolarla. Improvvisamente, Aethan si girò e si gettò fra le braccia dell'amico, che lo tenne stretto e lo lasciò piangere, ascoltando i singhiozzi soffocati e repressi di un uomo che si vergognava delle proprie lacrime. Due giorni più tardi il contingente attraversò il confine di Eldidd. A quell'epoca, la parte settentrionale della provincia era una zona quasi selvaggia coperta da foreste e da ampi pascoli interrotti soltanto di tanto in tanto dalla fortezza di qualche piccolo nobile o da un villaggio di liberi contadini. Molti di quei nobili avrebbero voluto assoldare il contingente in quanto vivevano nel costante pericolo di essere soggetti ad una scorreria dal regno di Pyrdon nel nord o da Deverry ad est, ma nessuno di essi poteva pagare l'ingaggio che Caradoc riteneva equo per i suoi uomini: contando trentasette combattenti, un fabbro, un medico e un bardo, il contingente era infatti più grande della banda di guerra della maggior parte dei nobili dell'Eldidd settentrionale. Quando ormai Caradoc cominciava a imprecare
contro la propria decisione di dirìgersi in quell'area, la colonna raggiunse la nuova città di Camynwaen che sorgeva sulle rive di un fiume dallo strano nome, l'El, nel punto in cui esso si univa ad un corso d'acqua dal nome ancora più strano, il Cantariel, che scorreva da nordovest. Anche se là sorgeva da secoli un villaggio di contadini, soltanto venti anni prima il Gwerbret di Eldidd aveva deciso che il regno aveva bisogno di una vera e propria città alla confluenza dei due fiumi: dal momento che la guerra contro Pyrdon poteva scoppiare da un momento all'altro, infatti, il Gwerbret voleva un luogo dove insediare delle truppe al riparo di mura che potessero essere ben difese. Trovare dei coloni non era stato un problema, in quanto c'era abbondanza di figli minori di nobili disposti a correre il rischio di trasferirsi pur di potersi accaparrare della terra a loro nome, e una quantità di servi vincolati pronti a seguirli perché sarebbero divenuti liberi una volta lasciata la terra a cui erano vincolati. Di conseguenza, quando entrò in Camynwaen, il contingente di Caradoc trovò una città decente composta da mille case rotonde riparate da alte mura di pietra dotate di torrette e di torri di guardia. A circa un chilometro e mezzo dall'abitato si levava la fortezza del Tieryn Maenoic, e in essa Caradoc ottenne il tipo di ingaggio che stava cercando. Anche se riceveva di che mantenersi dal Gwerbret del sud, Maenoic si trovava costantemente a corto di combattenti nel suo vasto dominio e aveva per le mani una guerra privata: poiché l'autorità conferita al suo clan era una cosa piuttosto recente, il Tieryn era costantemente tormentato dalle ribellioni, e al momento il principale fomentatore di disordini era un certo Lord Pagwyl. — Ha raccolto intorno a sé una quantità di bastardi come lui — spiegò Maenoic, — che affermano di voler chiedere al Gwerbret di dare loro un diverso Tieryn perché non intendono sottomettersi a me. È un atteggiamento che non posso tollerare. Ed era vero, perché una cosa del genere non lo avrebbe soltanto privato di metà delle sue terre, ma ne avrebbe fatto anche l'oggetto di riso di ogni abitante di Eldidd. Maenoic, un uomo robusto e muscoloso con una spessa striscia di grigio nei capelli neri come l'ala di un corvo, ribolliva di furia nel camminare avanti e indietro per esaminare gli uomini del contingente che erano schierati sui loro cavalli fuori delle porte della sua fortezza; Caradoc e Maddyn lo seguivano a rispettosa distanza mentre il nobile esaminava i cavalli e l'equipaggiamento degli uomini con occhio attento. — Molto bene, capitano. Una moneta d'argento a testa alla settimana più
il vostro mantenimento, e naturalmente rimpiazzerò qualsiasi cavallo possiate perdere... — Davvero generoso, mio signore... per un periodo di pace — replicò Caradoc. Maenoic si girò per fissarlo con espressione accigliata. — Un altra moneta d'argento a testa per ogni battaglia che sosterremo — aggiunse Caradoc, — moneta che verrà pagata anche per ogni uomo che dovesse morire. — È davvero troppo. — Come preferisce vostra signoria. Io e i miei uomini possiamo anche andarcene. Magari per farci assoldare dai tuoi nemici... quel pensiero non espresso rimase sospeso nell'aria fra loro per un lungo momento, e alla fine Maenoic imprecò sottovoce. — Affare fatto, allora. Una seconda moneta d'argento a testa per ogni combattimento. Caradoc s'inchinò al nobile con un sorriso aperto e innocente. La fortezza di Maenoic, costruita da poco, era abbastanza grande da avere due alloggiamenti distinti costruiti a ridosso delle mura... una benedizione perché in questo modo i mercenari potevano restare separati dagli sprezzanti cavalieri della banda di guerra del nobile; nel corso dei pasti, però, i cavalieri e i mercenari dividevano gli stessi tavoli e i membri della banda di guerra si lasciarono andare spesso a commenti appena tollerabili sugli uomini che combattevano per denaro e ad altri del tutto intollerabili sulle origini e il carattere di individui del genere. Fra tutti e due, Caradoc e Maenoic dovettero porre fine a sette risse nei due giorni che trascorsero prima che le truppe fossero pronte a partire. Una volta chiamati a sé i suoi fedeli alleati, Maenoic si trovò a disposizione oltre duecentocinquanta uomini da condurre ad ovest contro i ribelli. Durante la marcia la colonna di Caradoc venne schierata per ultima, addirittura dopo i carri con le provviste, e costretta a mangiare polvere per tutta la strada; quando le truppe si accamparono per la notte, i mercenari piantarono il campo per conto loro, lontano dalle bande di guerra, ma Caradoc venne convocato al consiglio tenuto dai nobili e quando fece ritorno con le notizie raccolte tutti i suoi uomini gli si radunarono intorno per ascoltare. — Domani vedremo la prima battaglia. Le cose stanno così, ragazzi: stiamo per arrivare ad un fiume su cui c'è un ponte. Maenoic reclama le tasse su di esso ma Pagwyl si rifiuta di pagare. Gli esploratori dicono che
Pagwyl intende difendere il ponte per impedire al Tieryn di oltrepassarlo, perché una volta che ci sia riuscito contro la sua volontà agli occhi di tutti il ponte tornerà ad appartenere a Maenoic. Saremo noi a guidare la carica... naturalmente. Tutti annuirono, accettando il fatto di essere in fin dei conti mercenarii sacrificabili, ma Maddyn si sentì oppresso da una strana sensazione di freddo e di pesantezza... anche se gli ci volle parecchio tempo per ammetterlo, alla fine dovette riconoscere di avere semplicemente paura. Quella notte sognò la sua ultima carica in Cantrae e si svegliò intriso di sudore gelido. Razza di vigliacco, si disse, razza di piccolo, brutto vigliacco. Quel rimprovero gli bruciò nel profondo dell'anima, ma la verità era che per poco non era morto nell'ultima carica e adesso sapeva cosa si provasse ad essere prossimi a morire, per cui la paura lo soffocava palpabilmente, come se avesse inghiottito un ciuffo di lana di pecora. La cosa peggiore era la consapevolezza che quello era l'unico problema che non avrebbe mai potuto dividere con Aethan. Per tutta la notte e il mattino successivo la sua paura andò aumentando così vertiginosamente che quando infine l'esercito raggiunse il ponte, Maddyn era ormai preda di un'isterica gioia al pensiero che la battaglia fosse prossima ad iniziare e che presto sarebbe finito tutto. Il giovane stava alternativamente canticchiando e fischiettando sottovoce quando infine le truppe superarono una bassa altura e videro che, come si erano aspettate, Lord Pagwyl e i suoi alleati erano schierati sulla riva del fiume ad aspettarli. La formazione del contingente nemico costituiva però una sorpresa, perché appena un centinaio degli uomini che li stavano attendendo erano guerrieri a cavallo, ai fianchi dei quali erano schierati due contingenti di popolani armati di lancia e piazzati in maniera tale da chiudere qualsiasi possibile approccio al ponte. — Ma guarda — commentò Maddyn, costringendosi a ridere. — Pagwyl è stato uno stolto a ribellarsi se quelli sono tutti i cavalieri che è in grado di mettere insieme. — Dannazione! — scattò però Caradoc. — Sua Signoria sa quello che sta facendo. Ho già visto combattimenti come questi, con i lancieri che proteggono una postazione fissa, e ti posso garantire che ci aspetta una galoppata attraverso l'inferno, ragazzo. Mentre le truppe di Maenoic si agitavano a vuoto in preda alla confusione, Caradoc guidò con calma il suo contingente fino alla prima lìnea. Il
nemico aveva scelto un posto perfetto per opporre resistenza, un lungo prato verde davanti al ponte fiancheggiato da un lato dal fiume e dall'altro dai resti del terrapieno di un antico recinto per animali di una fattoria. Disposti su tre file, i lancieri erano scudo contro scudo, con le punte lucenti delle lance che brillavano sopra i bianchi scudi ovali, e da un lato dei lancieri i guerrieri a cavallo stavano tenendo a freno i cavalli irrequieti in attesa di caricare sul fianco e di bloccare gli uomini di Maenoic fra loro stessi e il fiume. — Dannazione — borbottò ancora Caradoc. — Non possiamo girare intorno a quei bastardi senza cadere in quel dannato fiume. Maddyn si limitò ad annuire perché aveva la gola troppo serrata per poter formulare una risposta... stava ricordando la sensazione del metallo che gli penetrava in profondità nel fianco. Sotto di lui, il cavallo scrollò la testa e batté a terra lo zoccolo come se stesse ricordando anch'esso la sua ultima carica. Quando Caradoc si allontanò al trotto per andare a conferire con Lord Maenoic, Aethan si portò accanto a Maddyn, con lo scudo già fissato sul braccio sinistro e un giavellotto in pugno; mentre seguiva il suo esempio, Maddyn fu costretto a lottare così duramente per tenere calmo il cavallo che ad un certo punto si rese conto che anche la povera bestia ricordava davvero la sua ultima carica... era in sella ad un cavallo che aveva paura della battaglia e non aveva il tempo di cambiarlo. Intanto i lancieri avevano cominciato a scagliare grida provocatorie e insultanti all'indirizzo del nemico, definendolo una marmaglia a cavallo, ma le urla si persero sotto il sole e il vento portò fino agli uomini di Maenoic soltanto qualche incomprensibile frammento di parola. Alcuni degli uomini del nobile risposero con altri insulti ma il contingente di Caradoc si limitò a restare in sella in silenziosa attesa finché il suo capitano tornò indietro al trotto, rilassato e con un giavellotto in pugno. — D'accordo, ragazzi. Muoviamoci. Fra gli uomini si levò qualche risata mentre il contingente cominciava ad avanzare seguito da una parte degli uomini di Maenoic, il resto dei quali deviò invece da un lato per tenersi pronto a caricare i cavalieri nemici schierati su un fianco. Le truppe assunsero la formazione con uno strano tintinnio metallico simile al sobbalzare di un carico di metallo su un carro; girandosi sulla sella, Caradoc vide Maddyn alla sua destra e gli si rivolse gridando per farsi sentire al di sopra del rumore. — Torna indietro! Stanotte voglio sentir cantare il nostro bardo. Torna nell'ultima fila.
Maddyn avrebbe voluto eseguire quell'ordine più di qualsiasi altro mai ricevuto in vita sua, ma lottò con se stesso soltanto un momento prima di gridare la sua risposta. — Non posso. Se non partecipo a questa carica non avrò più il coraggio di prendere parte a un combattimento. Caradoc lo scrutò con la testa piegata da un lato. — Come vuoi, ragazzo. Del resto potremmo trovarci tutti ad ascoltare e a cantare nell'Aldilà. Girato il cavallo, Caradoc sollevò il giavellotto e si lanciò al galoppo verso lo schieramento nemico; con un ululato di grida di guerra il suo contingente si affrettò a seguirlo, un'irregolare massa di uomini urlanti che si scagliava attraverso il prato. Davanti a loro Maddyn vide la fanteria in attesa rabbrividire collettivamente di terrore, ma non ci furono cedimenti. — Segui il mio esempio! — urlò Aethan. — Scaglia quel giavellotto e devia. Le distanze si accorciarono sempre più in una nuvola di polvere e di zolle d'erba scalzate dagli zoccoli, mentre la fanteria serrava le file dietro la linea di scudi bianchi... poi ci fu una pioggia di metallo quando Caradoc e i suoi uomini lasciarono i giavellotti contro lo schieramento nemico. Gli scudi si sollevarono di scatto, intercettando alcuni proiettili, ma ci furono anche grida e imprecazioni mentre i cavalieri continuavano ad avvicinarsi, deviando e descrivendo un cerchio ampio e irregolare. Alle proprie spalle Maddyn sentì levarsi altre urla di battaglia quando le truppe di riserva si lanciarono alla carica contro la cavalleria di Pagwyl. Sbuffando e sudando, il cavallo di Maddyn lottò per prendere il morso fra i denti e per poco non scagliò entrambi nel fiume, ma il giovane estrasse la spada e colpì di piatto il fianco dell'animale, girandogli la testa con uno strattone e spronandolo per rientrare fra i compagni. Il primo schieramento degli uomini di Maenoic si stava agitando confusamente davanti al muro si scudi, urlando e brandendo la spada; accorgendosene, Caradoc tornò al galoppo verso i suoi uomini e urlò loro di riassumere lo schieramento e di tentare una carica dal fianco... e Maddyn si accorse di ciò che lui aveva già visto, e cioè che gli alleati di Maenoic avevano spinto indietro la cavalleria di Pagwyn, esponendo così il punto più debole della fanteria. In una confusione di cavalli che s'impennavano, il contingente cambiò direzione per lanciarsi di nuovo alla carica, e nella confusione Maddyn perse di vista Aethan quando questi venne spinto di lato dagli uomini di Maenoic, che nell'indietreggiare alla cieca per caricare
ancora si erano venuti a trovare mescolati con i mercenari già scagliati all'attacco. Uno o due cavalli crollarono a terra e i loro cavalieri vennero calpestati prima che Caradoc riuscisse a dare un certo ordine a quella confusione, e alla fine Maddyn si ritrovò nella banda di guerra di Maenoic. Per un breve istante poté ancora scorgere Caradoc e gli altri che piombavano di fianco sul muro di scudi, poi la sua unità si gettò in avanti per attaccare. Avanti, sempre più avanti... il muro di scudi tremò e si girò per proteggere il fianco esposto ma rimase compatto nel punto proprio davanti a Maddyn. Dietro di lui alcuni uomini scagliarono i loro giavellotti e intanto il suo cavallo sgroppò e cercò di prendere il morso. Con un colpo di speroni, Maddyn lo costrinse ad avanzare ancora e affrontò una battaglia personale di una frazione di secondo... un confronto di nervi, non di acciaio: davanti a sé vide un giovane che stringeva con mani tremanti una lancia e che incontrò il suo sguardo nel momento in cui Maddyn puntava contro di lui con il cavallo. Con un urlo, il ragazzo lasciò cadere la lancia per gettarsi da un lato, e Maddyn passò oltre mentre l'uomo accanto al lanciere fuggiasco cadeva a sua volta imprecando e dibattendosi. Vagamente, il giovane scorse un altro cavaliere alla sua destra e capì che il muro di scudi stava cedendo; colpendo con la spada e lanciando una folle risata che non aveva nulla di umano, Maddyn spronò il cavallo fra i lancieri in preda al panico, schivando e piegandosi sulla sella nel colpire a sua volta senza vedere chi abbatteva e senza curarsene. Una lancia saettò contro di lui e il giovane la intercettò appena in tempo con lo scudo, che si crepò con uno schiocco sonoro; respingendo la lancia, Maddyn si piegò sulla sella per parare un altro attacco da destra e intanto continuò a emettere una fredda risata gorgogliante, la risata isterica di un berserker che non riusciva mai a controllare durante una battaglia. All'improvviso il suo cavallo s'impennò con un nitrito di agonia e nel ricadere barcollò e piegò le ginocchia, senza però riuscire ad accasciarsi al suolo nella pressa circostante di fanti in preda al panico, di cavalieri intrappolati, di cavalli che nitrivano e di uomini che gridavano nello spintonarsi ciecamente a vicenda. Disperatamente, Maddyn vibrò un fendente che raggiunse un lanciere al volto proprio mentre il suo cavallo morente avanzava barcollando di qualche passo. All'improvviso la linea cedette, una massa di uomini in preda al panico che gettavano a terra le lance e urlavano, spingendo i compagni di lato nel tentativo di allontanarsi dai cavalieri armati di spada. Il cavallo di Maddyn si accasciò e lui ebbe appena il
tempo di liberare i piedi dalle staffe prima di colpire il terreno in un groviglio di uomo e di cavalcatura, cadendo supino con lo scudo sulla faccia: incapacitato a vedere o a respirare, lottò disperatamente per rialzarsi prima che un lanciere potesse infilzarlo come un maiale, e quando infine si sollevò in ginocchio alzò lo scudo appena in tempo per parare un attacco a casaccio; la violenza del colpo finì però di spezzare lo scudo e lo fece barcollare all'indietro sui talloni. Maddyn vide il lanciere ridere nel sollevare ancora l'arma con entrambe le mani per il colpo finale, ma in quel momento un giavellotto volò in mezzo alla massa di uomini in lotta e raggiunse l'assalitore alla schiena. Il lanciere crollò in avanti con un urlo e gli uomini che erano intorno a lui si diedero alla fuga. Barcollando e tossendo per la polvere mentre continuava a ridere, Maddyn si alzò in piedi. Intorno a lui il campo si stava sgombrando a mano a mano che i cavalieri inseguivano e abbattevano i fanti in fuga, menando fendenti pieni di cieca furia contro quegli uomini che non erano più in grado di difendersi. Sentendo qualcuno che gridava il suo nome, Maddyn si girò e vide Aethan dirigersi verso di lui al trotto. — Hai scagliato tu quel giavellotto? — gli chiese. — Chi altri se no? Ho già sentito altre volte la tua risata e sapevo che quello stridio da gatto in amore significava che eri in difficoltà. Monta dietro di me. Abbiamo vinto questa battaglia. Immediatamente Maddyn si sentì abbandonare dalla febbre del combattimento e fu assalito da un dolore violento a causa delle costole incrinate che bruciavano come fuoco; annaspando per respirare si aggrappò alla staffa dell'amico per sorreggersi ma quel movimento intensificò il dolore al punto da strappargli un urlo. Con un'imprecazione, Aethan smontò di sella e lo prese per le spalle, un gesto benintenzionato che però gli causò un altro gemito. — Sono caduto malamente da cavallo — spiegò Maddyn. Con Aethan che lo spingeva da dietro riuscì quindi ad issarsi in sella, ma per quanto continuasse a ripetersi che cavalcare era comunque meglio che camminare si tenne aggrappato con entrambe le mani al pomo della sella per puntellarsi contro il movimento mentre Aethan conduceva il cavallo fuori dal campo di battaglia costellato di cadaveri; nel passare, Maddyn vide alcuni uomini di Caradoc che stavano depredando i morti senza fare differenza fra amici e nemici. Sulla riva del fiume i chirurghi e i loro apprendisti erano in attesa dei feriti. Aethan portò Maddyn da Caudyr, poi tornò verso il terreno dello scon-
tro per raccogliere altri feriti. Quando cercò di camminare fino al carro del medico, Maddyn cadde però a terra e rimase disteso dove si trovava per un'ora mentre Caudyr lavorava freneticamente per curare uomini che si trovavano in condizioni molto peggiori delle sue; il calore del sole era intenso e il giovane stava sudando copiosamente all'interno della cotta di maglia che non era in grado di togliersi da solo, tanto che il suo unico pensiero era quello di avere un po' d'acqua... ma nessuno ebbe il tempo di portargliene finché Aethan non fu di ritorno. Immediatamente l'amico gli diede da bere, gli slacciò la cotta di maglia e lo aiutò a sfilarsela, sedendosi poi per terra accanto a lui. — Abbiamo conseguito una vittoria schiacciante, per quello che ci può servire. Maenoic ha il corpo di Pagwyl ai suoi piedi e gli alleati del ribelle stanno chiedendo la pace in questo preciso momento. — Caradoc è vivo? — Sì, ma ben pochi di noi sono sopravvissuti. Siamo ridotti a dodici uomini, Maddo. — Ah. Posso avere un altro po' d'acqua? Aethan gli resse la borraccia perché potesse bere ancora, e soltanto dopo essersi dissetato Maddyn comprese appieno il significato delle parole dell'amico. — Oh, dèi! Soltanto dodici? — Esatto. Dopo un'ora Caudyr venne da lui, con la camicia sporca di sangue sul davanti e fino ai gomiti, ma tutto quello che poté fare per curarlo fu di avvolgergli intorno alle costole una fascia di lino bagnata che, una volta asciugatasi al sole, si sarebbe stretta abbastanza da permettergli di sedersi. Inoltre la spalla sinistra di Maddyn risultò essere una massa di sanguinosi lividi circolari, il segno che la sua stessa cotta di maglia gli aveva fatto trapassando i vestiti quando era caduto al suolo. Caudyr lavò le lacerazioni con parte di una coppa di sidro e Maddyn si lasciò sfuggire un solo grido, mordendosi subito dopo le labbra per contenere il dolore. — Bevi il resto — consigliò Caudyr, porgendogli la coppa di sidro. — Ci ho messo dentro anche delle erbe per attutire il dolore e dovrebbe esserti d'aiuto. La pozione era amara e di odore sgradevole ma Maddyn riuscì a berla a piccoli sorsi e la stava finendo quando Caradoc lo raggiunse e si lasciò cadere seduto accanto a lui. Il volto sudato del capitano era spruzzato del sangue di un altro uomo e i suoi occhi erano cupi e sfiniti mentre lui si pas-
sava le mani sporche fra i capelli con un lungo sospiro. — È stato lo scontro peggiore che abbia mai combattuto — dichiarò, con voce che era una via di mezzo fra un ringhio e un sussurro, — ma del resto che altro mi aspettavo? Il nostro branco di cani disonorati serve proprio a questo, ad essere mandato davanti a tutti. È una cosa che succederà ancora, ragazzi, e poi ancora. Dal momento che il sidro misto alle erbe gli stava facendo girare la testa, Maddyn dovette concentrare tutta la propria forza di volontà per capire quello che Caradoc stava dicendo, mentre Aethan lo circondava con un braccio per aiutarlo a mettersi a sedere. — La nostra sarà una vita decisamente corta — continuò intanto il capitano. — Ah, dannazione! Ora ascoltami, Maddo, so che hai partecipato alla battaglia anche se non te la sentivi e ti onoro per questo, ma una volta è più che sufficiente. Hai dimostrato di non essere un vigliacco, quindi d'ora in poi restane fuori... un bardo è un uomo troppo prezioso per perderlo in battaglia. — Non posso farlo. Che razza di onore dimostrerei di avere? — Onore? — ripeté Caradoc, gettando indietro il capo e scoppiando in un'acuta risata. — Onore! Ma sentilo! Non hai più onore, piccolo dannato bastardo! Nessuno di noi ne ha! Non hai sentito neppure una dannata parola di quello che ho detto? Nessun nobile manda uomini d'onore incontro ad una carica suicida, ma noi siamo stati mandati ed io l'ho accettato perché dovevo farlo. Abbiamo altrettanto onore quanto un branco di prostitute e la sola cosa che conta è l'abilità con cui esercitiamo il nostro mestiere, quindi d'ora in poi restane fuori. — Rise ancora, ma questa volta si trattò di un suono più vicino al suo normale timbro di voce. — Ascolta, quando il mio Wyrd mi raggiungerà, voglio poter sapere che c'è in vita ancora un uomo capace di assumere il comando di ciò che resta del mio contingente... voialtri bastardi siete tutto quello che ho nella vita, e che io sia dannato se so il perché ma voglio che questo gruppo viva più a lungo di me. D'ora in poi, bardo, tu sarai il mio erede. Con quelle parole Caradoc si alzò e si allontanò a grandi passi mentre Maddyn si lasciava ricadere disteso al suolo, con il mondo che gli ruotava intorno. — Fa' quello che ti ha detto — ringhiò Aethan, accanto a lui. Maddyn tentò di rispondere ma svenne prima di poterlo fare. Entro il tempo che l'esercito impiegò a tornare alla fortezza di Maenoic, un altro uomo del contingente di Caradoc morì, il che lasciò undici uomini
oltre allo stesso Caradoc, ad Otho e a Caudyr raccolti con aria avvilita in un angolo degli alloggiamenti che fino a poco tempo prima avevano ospitato quasi quaranta persone. Adesso che la guerra era finita, Lord Maenoic si dimostrò generoso, dicendo a Caradoc che avrebbe potuto restare presso di lui finché gli ultimi feriti del suo gruppo (Maddyn e Stevyc) non fossero guariti, e si mostrò anche pronto a pagare la tariffa convenuta, aggiungendo perfino un paio di monete d'argento come premio ulteriore. — Bastardo — commentò Caradoc. — Se non mi avesse assoldato per fare il lavoro al suo posto avrebbe dovuto comandare la carica di persona e lo sa benissimo, quella maledetta parodia di nobile. — E sarebbe morto — aggiunse Maddyn. — Sul campo non vale neppure la metà di te. — Non adulare il tuo capitano, cucciolo di bardo, comunque a titolo di fredda valutazione di fatto devo ammettere che hai ragione. Dopo aver trascorso un paio di giorni a letto, Maddyn si sentì abbastanza bene da potersi recare nella grande sala per la cena. Caradoc e i suoi uomini sedevano il più lontano possibile dal resto della banda di guerra, bevendo abbondantemente e parlando molto poco anche fra loro; di tanto in tanto, Caradoc tentava di scherzare con il suo gruppo demoralizzato ma era difficile che qualcuno rispondesse con un sorriso. Quando Maddyn si sentì troppo stanco per continuare a restare seduto, il capitano lo aiutò a tornare negli alloggiamenti, dove i due trovarono Otho, intento a rigirare fra le dita gli anelli di un pezzo di cotta di maglia alla luce di una lanterna. — Stavo pensando ad una cosa, fabbro — gli disse Caradoc. — Ricordi il nostro scherzo a proposito delle daghe d'argento? Adesso abbiamo un bel po' di denaro che ci cresce, quindi che ne diresti di fabbricarcene qualcuna? — È possibile, ma come farò a lavorare il metallo mentre viaggiamo? — Resteremo qui ancora per una settimana almeno, e se Maddyn e Stevyc si metteranno a gemere e a lamentarsi come moribondi forse riusciremo a fermarci anche per quindici giorni. Qui alla fortezza c'è una fucina, e il fabbro locale dice che funziona bene. Otho rifletté, passandosi le dita nodose nella barba. — Hai bisogno di qualcosa per risollevare un poco il morale dei ragazzi — disse infine. — Infatti, e già che ci siamo anche il mio spirito avrebbe bisogno di essere un po' risollevato. Una daga d'argento... è un bel gioiello da portare indosso, per un uomo — replicò Caradoc, poi indugiò per un momento a
fissare il fuoco e aggiunse: — Sto cominciando ad avere un'idea. Sai come farà questo contingente a sopravvivere? Diventando il più dannato branco di bastardi dal cuore nero che Eldidd abbia mai visto, facendo sì che sia un onore portare una daga d'argento... che sia un onore essere un certo tipo di uomo, voglio dire. Un uomo come il nostro Aethan, che corteggia la morte ed è l'individuo più duro che abbia mai visto, tanto che io stesso non gli attraverserei mai la strada. Non ho mai desiderato morire in una lite con la gola tagliata. Nel sentire quelle parole, Maddyn rimase sconvolto nel profondo del cuore perché si rese conto che Caradoc aveva ragione sul conto di Aethan: il suo vecchio amico non sarebbe mai più stato l'uomo che un tempo era solito ridere, scherzare e risolvere i piccoli problemi che insorgevano all'interno della banda di guerra di Cantrae. Pensarci gli causò un dolore maggiore di quello provocato dalle costole incrinate. — Quando si spezza un uomo fino a ridurlo a niente — stava intanto proseguendo Caradoc, in tono riflessivo, — lo si trasforma in un animale; se poi gli si dà di nuovo qualcosa per cui vivere quell'uomo torna ad essere tale, ma più duro, come la lama di una spada. Questo è il genere di ragazzi che voglio con me, e le daghe d'argento saranno ciò per cui vivranno. — Improvvisamente sorrise e il suo hiraedd si dissipò. — Oh, un giorno ci imploreranno per averne una, ma giuro su ogni capello del Signore dell'Inferno che se la dovranno guadagnare. Di che genere di metallo hai bisogno, Otho? Domani andrò in città e vedrò se potrò comprarlo per te. — Niente affatto! Mi darai il denaro e lascerai che sia io a vedere se riesco a trovare quello che mi serve. Nessun uomo può imparare la formula di questa lega... e dico dannatamente sul serio. — Allora faremo a modo tuo, ma voglio una daga per ogni uomo che ci rimane e altre cinque per eventuali reclute... ammesso che si riesca a trovare uomini degni di portare la daga d'argento. — Allora comincerò subito — decise Otho, e improvvisamente esibì il primo sorriso che Maddyn avesse mai visto sul suo volto. — Ah, mi sento davvero bene al pensiero di poter lavorare di nuovo il metallo come si deve. Otho si mostrò fedele alla parola data. L'indomani mattina convinse dapprima il fabbro di Lord Maenoic a lasciargli usare la sua fucina, poi si recò in città con il suo carro, facendo ritorno verso la fine della giornata con un assortimento di misteriosi e pesanti fagotti che non permise a nessuno di toccare, neppure per aiutarlo a scaricarli. Quella stessa notte il fab-
bro si rinchiuse nella fucina e vi rimase per un'intera settimana, dormendo accanto al suo lavoro ammesso che si concedesse qualche ora di sonno. Una volta nel cuore della notte Maddyn si recò in fondo al cortile per usare le latrine e sentì un rumore di martello che proveniva dalla fucina, accompagnato da un bagliore rosso che filtrava attraverso la finestra. Il mattino stesso in cui le daghe vennero ultimate Caradoc decise che era venuto il momento di lasciare l'ospitalità di Lord Maenoic, sia perché ormai tanto Maddyn quanto Stevyc erano completamente guariti sia perché voleva che Otho mostrasse il risultato del suo lavoro in un posto dove non venissero poste domande imbarazzanti al riguardo. Congedatisi rapidamente dal Tieryn, gli uomini sellarono i cavalli e uscirono dalla fortezza, ma dopo aver percorso appena un chilometro abbandonarono la strada e si portarono su un ampio prato selvatico, formando un cerchio approssimativo intorno al fabbro e al suo carro. — Tirale fuori, Otho — ordinò Caradoc. — E voi smontate di sella, uomini, in modo da poter vedere bene. Il gruppo si raccolse intorno al fabbro stanco ma piuttosto orgoglioso di sé che stava aprendo un grosso sacco di cuoio: riposte nella paglia, all'interno c'erano daghe per ciascuno di loro, splendide armi con la lama che brillava come l'argento ma era più dura del migliore acciaio. Maddyn si accorse di non aver mai maneggiato un'arma o un attrezzo così affilato. — E non dovrete neppure lucidarle molto — commentò Otho. — Non si oscurano neppure se macchiate di sangue. Ora, se qualcuno di voi vuole che sulla sua daga sia intagliato un simbolo o uno stemma sono disposto a farlo, ma voglio in pagamento una moneta d'argento. — Andrebbe bene per tagliare una gola, non trovi? — commentò Aethan, rivolto a Maddyn. — Hai dannatamente ragione. Non ho mai visto un coltello che mi piacesse maggiormente. Con mosse solenni e accurate simili a quelle di un prete che officiasse un rito, ogni uomo si sfilò dal fodero la vecchia daga e la sostituì con quella nuova, e anche se Caradoc non parve neppure guardare la scena Maddyn non si lasciò ingannare dalla sua espressione pigra e distratta e comprese che il capitano stava valutando l'effetto ottenuto dal suo gesto. Adesso gli uomini sorridevano e si assestavano a vicenda pacche sulla schiena, dimostrando nel comportamento un morale più alto di quanto non lo avessero avuto da giorni. — Benissimo, allora — dichiarò infine Caradoc. — Adesso siamo tutti
daghe d'argento, ragazzi. Suppongo che non significhi molto, tranne che combattiamo come figli di buona donna e ci guadagnamo la nostra paga. I suoi uomini, per quanto miseramente ridotti di numero, applaudirono spontaneamente e quando rimontarono in sella assunsero di loro iniziativa uno schieramento dotato di un assoluto ordine militare, avviandosi al trotto lungo la strada di Camynwaen, dove Caradoc aveva promesso loro un giorno di libertà prima di iniziare la ricerca di un nuovo ingaggio. Accanto alla porta occidentale trovarono una locanda che sembrava abbastanza grande da poterli ospitare tutti, ma il magro e tremante proprietario annunciò loro che la sua locanda era al completo. — A me la stalla sembra vuota — obiettò Caradoc. — Siamo disposti a pagare il tuo prezzo abituale. — E se doveste demolirmi il locale? Allora le vostre dannate monete non mi serviranno a nulla. — E se lo demolissimo senza averti prima pagato? Pur gemendo e torcendosi le mani il locandiere si arrese ben presto. In effetti, nella locanda c'erano alcuni clienti, abbastanza perché Aethan e Maddyn finissero per dividere una piccola camera nel sottotetto; mentre consumavano il pasto di mezzogiorno, tutti gli uomini non fecero che parlare di donne, e alla fine Caradoc elargì loro alcune monete insieme ad ordini precisi. — Siamo in una città che potremmo voler visitare ancora in futuro, quindi tenete giù le zampe da qualsiasi ragazza che non vi voglia e i pugni lontani dalla faccia dei buoni cittadini... così come non voglio vedere nessuno liberarsi i visceri nel giardino di qualcuno. Fatelo nei canali di scolo e lasciate in pace le figlie degli abitanti. Bevuto affrettatamente un boccale di sidro Maddyn e Aethan uscirono per fare una passeggiata. Ormai era metà pomeriggio e le strade erano piene di gente della città impegnata nei propri affari; dopo aver dato una rapida occhiata ai due mercenari, tutti si affrettavano ad attraversare il marciapiede o a svoltare in un vicolo per evitarli. Compiuto senza fretta il giro della città, i due trovarono una piccola taverna vicino alla bottega del panettiere ed entrarono, scoprendo di avere il locale praticamente tutto per loro, con la sola eccezione della cameriera, una bionda un po' spettinata con il volto rotondo e il seno pronunciato. Quando portò loro i boccali di birra scura, la ragazza indugiò sorridendo imparzialmente ad entrambi e Maddyn la giudicò gradevole, accorgendosi dall'espressione predatoria di Aethan che anche lui la pensava nello stesso modo.
— Come ti chiami? — le chiese Aethan. — Druffa, e tu? — Aethan, e questo è Maddyn. Non è che per caso hai un'amica graziosa come te, vero? In quel caso ci potremmo sedere tutti e chiacchierare un poco. — Chiacchierare, come no! Suppongo che voi ragazzi siate interessati anche ad una bella partita a carnoic o a gwyddbwcl. — Hai in mente qualche gioco migliore? — Può darsi... dipende da quanto siete generosi. Aethan indirizzò a Maddyn un'occhiata interrogativa. — Cosa mi dici di quell'amica? — chiese questi. — Ecco, la maggior parte di loro sono occupate a quest'ora del giorno. È un peccato che non siate venuti di sera. — Ah, per gli inferni, perché tirarla in lungo? — fece Aethan, scrollando le spalle. — Che ne dici di tornare con noi alla nostra locanda? Abbiamo un vero e proprio letto, meglio di un fienile, e possiamo offrirti del sidro. A metà strada fra l'ubriachezza e l'irritazione, Maddyn scoccò un'occhiataccia all'amico ma Aethan stava prestando attenzione esclusivamente alla ragazza, che emise una risatina sorpresa e soddisfatta. — Potrebbe essere piuttosto divertente — dichiarò poi. — Datemi un momento per prendere il sidro e avvertire mio padre di dove sto andando. La ragazza si allontanò con passo ondeggiante e Aethan si voltò verso Maddyn scrollando le spalle. — Pelo bagnato, pelo asciutto... che importanza ha? — commentò, con voce incrinata. — Tanto sono tutte cagne. Maddyn finì la birra nel proprio boccale in due lunghi sorsi e contemplò vagamente l'idea di sgusciare via e di lasciare che Aethan si godesse quella ragazza, ma era troppo stordito dal bere per riuscire a trovare da solo la strada del ritorno in quella città sconosciuta. Quando arrivarono alla porta della locanda, Aethan indugiò quanto bastava per spingere Druffa contro la parete e baciarla, e Maddyn trovò quella vista eccitante in una maniera che lo lasciò turbato, ma non protestò quando la ragazza suggerì di salire tutti di sopra. Una volta che furono nella stanza silenziosa, la timidezza di Maddyn tornò però ad assalirlo con violenza mentre lui sbarrava la porta e frugava nelle sacche della sella per tirare fuori una coppa di legno, lasciando ad Aethan il compito di aprire l'otre di sidro. — Rimandiamo il bere a dopo — ridacchiò Druffa, togliendogli l'otre di
mano. — Mi avevi promesso un po' di divertimento, Aethan. — Infatti. Allora togliti quel vestito. Ridacchiando ancora, Druffa cominciò a slacciare la sua tutt'altro che appropriata gonna da vergine. Con la coppa stretta in mano, Maddyn rimase a guardare mentre lei si spogliava... lentamente e senza cessare di sorridere a tutti e due... e quando la ragazza emerse dalla sottoveste rivelando una pelle chiara e capezzoli scuri lui sentì la tensione sessuale ormai accumulata nella stanza scaricarsi come una fitta all'inguine. Druffa diede un bacio ad Aethan, poi si girò verso Maddyn e gli tolse la coppa di mano, baciando anche lui e trascinando entrambi a sedersi sul letto con lei. La lasciarono andare via soltanto parecchie ore dopo il tramonto, quando dichiarò ridendo di essere sfinita. In preda ad uno stato di soddisfatta ubriachezza, Maddyn fu tanto galante da rivestirsi quanto bastava per poterla accompagnare dabbasso, dove le mise in mano una manciata di monete di rame, pensando che anche se la cifra era forse eccessiva Druffa se l'era certo guadagnata. Quando tornò barcollando nella stanza, scoprì che la candela si era consumata nella lanterna e che Aethan stava dormendo profondamente sul suo lato del letto; sfilatosi i calzoni, Maddyn gettò una coperta addosso all'amico, estinse la fiammella della candela e si sdraiò a sua volta, con la stanza che ruotava in maniera lenta e maestosa intorno a lui nell'oscurità punteggiata d'oro. Cosa penserebbe adesso Nevyn di me? si chiese d'un tratto. Per fortuna, se gli dèi vorranno, non saprà mai che fine ho fatto. E con quel pensiero si addormentò di colpo, come se avesse spento una candela. Quando lasciò Dun Deverry, Nevyn puntò dritto a sud seguendo l'ampia strada che correva lungo il Belaver, e dopo aver percorso appena sei o sette chilometri incontrò una pattuglia di cinque cavalieri del re che veniva dritta verso di lui. Automaticamente, senza dare importanza alla loro presenza, il vecchio si trasse di lato per lasciarli passare, ma il capo del gruppo lo chiamò e si diresse verso di lui, bloccandogli il passo. — Quello che hai con te è un bel mulo, erborista, e adesso scoprirà come si sta al servizio del re. — Ma davvero? — ribatté Nevyn, fissando l'uomo negli occhi ed emettendo dalla propria aura un flusso di forza magnetica. — Non vuoi questo mulo: si azzoppa troppo spesso per esserti di qualche utilità. — Credi che possa cascare in una scusa così goffa? — replicò l'uomo,
accennando a scoppiare a ridere, poi scrollò il capo e assunse un'espressione confusa. — Una goffa scusa. Non voglio questo mulo. — È vero, non lo vuoi. Il guerriero sbadigliò, si riscosse e girò il cavallo. — Andiamo, ragazzi, non ci serve questo mulo. Si azzoppa troppo spesso per esserci di qualche utilità. Per quanto perplessi, gli altri obbedirono senza fare domande e lo seguirono al trotto in direzione di Dun Deverry. Di pessimo umore, Nevyn riprese il cammino e questa volta tenne gli occhi ben aperti per avvistare eventuali uomini a cavallo. Quell'incidente lo indusse inoltre a rivedere il suo piano di viaggio, perché anche se voleva arrivare in Eldidd non aveva però intenzione di usare la magia su un numero illimitato di pattuglie addette alla confisca lungo tutta la strada. A causa della guerra non poteva più imbarcarsi semplicemente da Cerrmor, ma era possibile che ci fossero navi fuorilegge che varcavano il confine in alto mare dove non c'era nessuno che potesse fermarle. Di conseguenza, anche se costituiva una notevole deviazione, decise di puntare verso Dun Manannan e di veder cosa sarebbe riuscito a trovare. A quell'epoca Dun Manannan era una piccola e piacevole cittadina di appena duemila abitanti, con case rotonde che si allargavano intorno al porto in semicerchi successivi. Nonostante la guerra, ogni abitazione aveva un aspetto stranamente prospero, con la paglia fresca sul tetto, le pareti imbiancate e una mucca ben nutrita o un po' di polli in ogni cortile; la locanda cittadina era pulita e ordinata, con una vera e propria stalla sul retro, ma la sorpresa maggiore per Nevyn fu quando nell'entrare nella stanza principale della taverna dove il locandiere che stava cucinando uno stufato accanto al fuoco vide che lo spiedo, la pentola stessa e il lungo cucchiaio erano fatti di bronzo e non di ferro. Quando avanzò un commento al riguardo, il locandiere emise un ringhio sommesso. — Non troverai un solo pezzo di ferro lungo tutta la costa di Cerrmor, buon signore. Vedi, al sud non arriva più niente attraverso le linee di battaglia di Cantrae e il nostro splendido re con le sue meravigliose bande di guerra deve avere ferri per i suoi dannati cavalli e spade e altre cose del genere. Di conseguenza, le sue guardie hanno sequestrato ogni pezzo di ferro che sono riuscite a trovare, perfino le fibbie delle cinture, e se ci si azzarda a chiedere un indennizzo lo si ottiene sotto forma di lividi. — L'uomo fece una pausa per sputare nel fuoco, poi aggiunse: — Perfino gli aratri hanno la punta di bronzo e ti garantisco che non tagliano la terra ab-
bastanza in profondità. Di conseguenza i raccolti sono sempre più scarsi anno dopo anno, ma quel dannato re continua ad esigere da noi le stesse tasse. — Capisco. Oh, dèi! Non avrei mai immaginato che le cose fossero arrivate a questo punto. — C'è solo da chiedersi fino a che punto arriveranno. Presto avremo cardini d'oro alle porte della latrina, perché sarà meno costoso che realizzarli in ferro. Con l'avvicinarsi della sera un notevole numero di clienti affluì nella locanda e non appena si resero conto che Nevyn era un erborista questi fu costretto ad improvvisare una sorta di banco di vendita su un tavolo in una curva della parete, in modo da non essere d'intralcio al taverniere. Quando ebbe finito, un giovane marinaio di nome Sacyr, che aveva comprato delle erbe per attenuare i postumi di una brutta sbornia, si sedette accanto a lui e insistette per offrirgli da bere in modo da poter ricominciare a spiegargli tutti i propri sintomi. — Ti fermerai a lungo a Dun Manannan, signore? — chiese. — No. Spero di trovare una nave con pescaggio sufficiente a trasportare il mio mulo e il mio cavallo e che sia diretta a Morlyn... sul confine con Eldidd. Ci sono alcune erbe preziose che crescono soltanto in quella parte del regno. Sacyr annui, accettando quella menzogna con la buona fede che deriva dall'ignoranza, e rifletté sul problema. — Ecco, io conosco un uomo che sta per andare ad ovest con una nave di buone dimensioni e che potrebbe fermarsi a Morlyn. — Fermarsi là? Quanto più a ovest si può andare, di questi tempi? Sacyr assunse un'espressione improvvisamente turbata e si concentrò sul proprio boccale. — Suvvia — lo incitò Nevyn, riducendo la propria voce ad un sussurro. — Ho davvero bisogno di arrivare in Eldidd e sono disposto a pagare bene per avere un passaggio. È possibile ottenerlo? — Potrebbe esserlo. Aspetta qui per un po'. Circa un'ora più tardi un uomo robusto e brizzolato che indossava i calzoni a scacchi tipici dei mercanti apparve sulla soglia della taverna e si fermò sulla porta guardandosi attentamente intorno prima di avanzare di un solo passo. Quando Sacyr gli rivolse un saluto, l'uomo si avvicinò al tavolo con disinvoltura, indirizzando però una cauta occhiata a Nevyn. — Siediti Cabydd — lo invitò Sacyr. — C'è in ballo del denaro.
Il mercante si sedette con un accenno di sorriso e Sacyr si protese sul tavolo per potergli parlare in tono sommesso. — Questo erborista ha un grande desiderio di arrivare in Eldidd ed ha bisogno di una nave in grado di trasportare bestiame. Non è che per caso tu sai dove trovarne una? — Ecco — replicò Cabydd, valutando Nevyn con lo sguardo, — si tratta di un viaggio pericoloso, buon signore, e non potrò garantire la tua sicurezza nel caso che le galee da guerra di Eldidd ci raggiungano. — Ah, capisco — commentò Nevyn, che pur essendo certo di poter fornire lui quella garanzia non poteva naturalmente dirlo a Cabydd. — Però sgusciare oltre il confine per via di terra non sarebbe molto più sicuro e richiederebbe un tempo dannatamente più lungo. — Verissimo. Che ne diresti di arrivare direttamente da ovest, vicino a Cannobaen? — Perfetto! È esattamente il posto dove voglio andare. — Affare fatto, allora. Quanti capi di bestiame hai? — Soltanto un cavallo e un mulo. — Oh, bene, allora non ci sono problemi. Vedi, io ho una nave per il trasporto del bestiame che può stivare facilmente fino a cento capi ma che nel viaggio di andata sarà vuota. — Credo di cominciare a capire. Hai trovato in Eldidd un uomo non troppo patriottico che ti sta vendendo cavalli da guerra per le truppe di Cerrmor. — Non si tratta di un uomo di Eldidd — precisò Cabydd, protendendosi in avanti e parlando in un sussurro, — ma di alcuni membri del Popolo dell'Ovest. Hai mai sentito parlare di loro? È gente strana che taglia gli orecchi ai suoi bambini come fossero vitelli e parla una lingua tanto strana da farti slogare la mascella per pronunciarla, ma alleva splendidi cavalli. La cosa più interessante, però, è che odia gli uomini di Eldidd, quindi vende le sue bestie a buon prezzo per rifornire i loro nemici. Nevyn trattenne il respiro. Anche se sapeva che gli elfi non dimenticavano mai un rancore, era comunque sorpreso nel constatare fino a che punto fossero disposti a spingersi per soddisfarne uno. La notte successiva Nevyn scese fino al porto buio e silenzioso verso la metà del terzo turno di guardia, quando la marea cominciava a cambiare; all'estremità di un lungo molo di legno alcune lanterne cieche ammiccavano con un raggio di luce sottile accanto alla sagoma tozza di una nave per il trasporto del bestiame, e dopo aver spinto i suoi animali su per la passe-
rella e averli sistemati in solitario splendore nella stiva, Nevyn fece ritorno in coperta. Cabydd gli mostrò allora una bassa cabina costruita sul ponte come una capanna e che il vecchio avrebbe diviso con lui: all'interno c'erano due stretti giacigli fissati alla parete, un piccolo tavolo e una panca inchiodati al pavimento. — I ragazzi dormono sul ponte ma in caso di pioggia approntiamo un telone — spiegò Cabydd. — Vedi, la nave deve avere un aspetto trasandato e io devo apparire povero — proseguì, con un lieve brivido. — Preghiamo che Manannan ap Lier tenga lontane le galee da guerra di Eldidd! Una volta che avremo oltrepassato Cerrmor otterremo una scorta, ma non ho nessun desiderio di trovarmi nel bel mezzo di una battaglia in alto mare. Anche se il vento era teso ci vollero due interi giorni per arrivare a Cerrmor sulla lenta e tozza imbarcazione, ma una volta là non entrarono in porto perché una snella galea da guerra di Cerrmor li stava già aspettando al largo. Cabydd ordinò di abbassare le vele e lasciò andare alla deriva la propria imbarcazione mentre la galea manovrava in modo da affiancarsi ad essa e di abbordarla; i rematori, tutti uomini liberi e marinai, si riposarono contro i remi mentre il loro capitano effettuava il precario salto fino al ponte del trasporto per bestiame. — Seguiremo il solito piano — disse a Cabydd. — Tu ti terrai circa quindici miglia al largo e noi seguiremo una rotta parallela appena all'interno del tuo campo visivo. Ci ricongiungeremo nel solito porto, vicino al campo del Popolo dell'Ovest. — D'accordo, ma di tanto in tanto avvicinati a noi, in modo da confermarmi che non ti ho perduto per strada. Finché rimasero nelle acque di Deverry le due navi procedettero vicine ma verso mezzogiorno dell'indomani Cabydd e il suo equipaggio deviarono il muso del goffo trasporto verso il mare aperto e andarono contro la marea fino a quando il capitano della galea li avvertì che si erano allontanati abbastanza. Anche se Cabydd cambiò direzione, la galea continuò allora la sua rotta verso il mare aperto, e da quel momento Cabydd trascorse la maggior parte del suo tempo a prua, montando la guardia di persona piuttosto che affidare il compito ad uno dei suoi uomini. Quattro lunghi e ansiosi giorni e altrettante notti in alto mare li portarono infine abbastanza ad ovest da permettere loro di tornare verso la costa; ben presto la galea di Cerrmor li raggiunse e le due navi proseguirono insieme fino ad un piccolo porto, poco più di un'insenatura fra le bianche alture gessose, dove c'era un breve e traballante molo. Il trasporto per il bestiame
si accostò ad esso, mentre la galea puntò dritta verso la spiaggia sabbiosa e nel momento stesso in cui la sua alta prua strisciò contro la sabbia alcuni marinai balzarono a terra, afferrando le gomene con un coordinamento che veniva dalla pratica e trascinandola in secca. — Bene, Nevyn — disse allora Cabydd, — vuoi restare a bordo per stanotte? — Ti ringrazio, ma è appena passato mezzogiorno e preferisco mettermi in cammino. Non appena il vecchio portò sul ponte il cavallo e il mulo i due animali sentirono l'odore della terraferma e si lanciarono verso di essa; Nevyn li condusse attraverso la spiaggia sabbiosa e fino all'erba stentata che cresceva al di là di essa, poi tornò a prendere le selle e il carico del mulo, che un paio di marinai aiutarono a portare a riva. — Guarda — indicò poi uno di essi. — Il Popolo dell'Ovest. Due uomini e una donna in sella a cavalli dorati si stavano dirigendo verso la spiaggia, seduti con tranquilla disinvoltura sulle selle di cuoio dai disegni elaborati e con i capelli chiari come la luce della luna che splendevano sotto il sole. I marmai lasciarono cadere la roba di Nevyn accanto ai suoi animali e tornarono di corsa verso la loro nave come se temessero che gli elfi potessero mangiarli o qualcosa del genere. Nevyn rivolse invece un cortese saluto in lingua elfica ai tre cavalieri e la donna girò il cavallo per puntare al trotto verso di lui, mentre i due uomini proseguirono per raggiungere i marinai. — Salute a te, anziano — gli disse la donna, esprimendosi a sua volta nel linguaggio elfico. — Parli troppo bene per essere un mercante. — Infatti non lo sono. Sono un amico di Aderyn dalle Ah Argentee. Lo conosci? — Ne ho sentito parlare ma non ho mai avuto l'onore di incontrarlo. Anche tu studi il sapere della terra della luna? — Sì. Da qui devo puntare verso ovest alla volta di Eldidd. Correrò pericoli lungo la strada? — Un uomo come te è sempre al sicuro fra il Popolo ma guardati da quei porci di Eldidd... non si può mai sapere cosa faranno loro. — Certamente — convenne Nevyn, per cortesia. — Sono sorpreso che voi abbiate acconsentito a commerciare con la mia gente. — Quanto più durerà questa guerra tanto più numerosi saranno gli uomini di Eldidd che moriranno, e poi non cercheranno di prenderci le nostre terre se saranno impegnati a combattere nell'est — replicò la donna, solle-
vando una mano in un finto gesto di saluto. — Possa esserci un re a Cerrmor per i prossimi cento anni! Anche se in seguito lui aveva comunque intenzione di recarsi in Eldidd, l'effettiva destinazione di Nevyn si trovava appena ad occidente del confine, nel punto in cui dal mare si levavano i tre picchi sommersi che formavano l'isola di Wmmglaedd, quindi il vecchio puntò in quella direzione attraverso i prati di alta erba spazzata dal vento e impiegò tutto ciò che rimaneva di quella giornata e quella successiva per arrivare alle basse colline su cui non vivevano né uomini né elfi. Il terzo giorno raggiunse uno stretto passo che dava accesso ad un'ampia spiaggia sassosa dove le onde si riversavano sulla ghiaia con un sordo mormorio, quasi il mare stesse incessantemente parlando fra sé e sé, e ad appena un paio di miglia dalla riva scorse la sagoma scura dell'isola principale che si stagliava sullo sfondo scintillante del Mare Meridionale. Dal momento che la marea era al suo massimo, Nevyn dovette attendere prima di poter passare; condotti i suoi animali fino ai due pilastri di pietra che segnavano l'accesso alla strada per il momento ancora sommersa, rimase a guardare le onde che lambivano le tacche intagliate nei pilastri ad un livello sempre più basso che indicava come la marea stesse ormai cambiando. Stridendo e gridando, gli uccelli acquatici scesero in picchiata per dargli un'occhiata... gli aggraziati gabbiani, qualche falco pescatore e i goffi pellicani che erano sacri al dio Wmm. Mentre osservava distrattamente gli uccelli, Nevyn indugiò a riflettere sul lavoro che lo aspettava... convincere i preti del Tempio Acquatico ad aiutare il dweomer nella sua opera di risanamento del regno lacerato dalla guerra... e si sentì opprimere dai dubbi. Pensare a freddo al suo complicato piano lo faceva apparire una cosa terribilmente stupida. A mano a mano che le onde si ritraevano la lunga strada emerse grondando acqua come un lucente serpente marino. Nevyn attese che il sole e il vento ne avessero asciugato la superficie poi si avviò su di essa con i suoi recalcitranti animali che avanzarono sbuffando e procedendo con riluttanza su quella superficie poco familiare. Davanti a loro si ergeva l'isola, lunga circa dieci chilometri e larga nove, con una bassa collina che si levava in mezzo a prati di rozza erba marina; dal momento che quello era un giorno soleggiato, cosa piuttosto rara per Wmmglaedd, Nevyn riuscì a individuare gli edifici del tempio che sorgevano in lontananza, ben oltre l'arco di pietra eretto all'estremità della strada, su cui spiccavano pannelli decorati da inci-
sioni di pellicani e da un'iscrizione: «L'acqua copre e rivela ogni cosa». Non appena Nevyn lasciò la strada per passare sul terreno solido un giovane prete attraversò in fretta il prato per venirgli incontro. Si trattava di un ragazzo biondo di circa sedici anni, vestito con calzoni scuri e una camicia di lino di taglio normale ma con alcuni pellicani arancione ricamati sul collo, là dove ci sarebbe dovuto essere lo stemma di qualche nobile. — Benvenuto, buon viaggiatore. Cosa ti porta al tempio acquatico di Wmm? — Ho bisogno dell'aiuto dell'oracolo del dio. Il mio nome è Nevyn. — Io sono Cinrae. Il dio concede un oracolo a tutti coloro che lo richiedono. Il complesso del tempio si trovava ad almeno un chilometro e mezzo di distanza, dall'altra parte di un prato spazzato dal vento; mentre i due camminavano, Cinrae non aggiunse un'altra sola parola e Nevyn si chiese come mai quel ragazzo avesse scelto una vita tanto solitaria ad un'età così giovane. Il suo volto era attraente, anche se arrossato dalla continua sferza del vento di mare, ma i suoi occhi azzurri avevano un'espressione stranamente distante e malinconica, come se lui sentisse che la vita normale non aveva nulla da offrirgli. A ridosso del riparo offerto dalla collina sorgeva un'alta rocca di pietra intorno alla quale erano sparse alcune baracche per i viveri, due piccole case rotonde e una stalla; pochi alberi contorti dal vento proiettavano piccole chiazze di ombra e qualche fiore selvatico lottava per sbocciare al riparo delle mura mentre il vento sospirava intorno agli edifici e faceva perpetuamente vorticare nuvole di sabbia. Al di là del complesso, Nevyn poté scorgere un orto, un campo d'orzo e qualche mucca bianca al pascolo... anche se i pii pellegrini effettuavano donazioni a Wmm quando volevano i suoi consigli, quelle monete da sole non sarebbero infatti mai state sufficienti a mantenere gli abitanti del tempio. — Quella è la casa degli ospiti, buon signore — avvertì Cinrae, indicando una piccola capanna rotonda con il tetto coperto di paglia fresca che sorgeva vicino al pozzo adiacente le stalle. — Metterò dentro il tuo bagaglio non appena avremo sistemato nella stalla il tuo cavallo e il tuo mulo. Vedi quella grande casa laggiù? Appartiene al sommo sacerdote e puoi andare subito a porgergli i tuoi rispetti. — Lo farò, ti ringrazio. Adonyc è ancora il capo della congregazione di qui? — Oh, è morto molto tempo fa e Pedraddyn è stato chiamato a sostituirlo.
Come spesso gli succedeva, Nevyn venne colto di sorpresa dalla constatazione di come il tempo sembrasse scorrere in fretta... per gli altri uomini. Nei suoi ricordi Pedraddyn era un serio accolita poco più anziano di Cinrae, ma l'uomo che lo accolse sulla soglia della residenza del sommo sacerdote aveva i capelli scuri strati di grigio e il passo lento e deciso di un uomo reso sicuro dagli anni e dalla sua posizione. — Per le zampe e le piume dei sacri uccelli! Possibile che sia davvero tu, Nevyn? — Sono proprio io. Ti ricordi di me? Devono essere passati vent'anni dall'ultima volta che sono stato qui. — Infatti, ma mi hai fatto una notevole impressione. È incredibile che tu abbia un così buon aspetto, sei davvero la migliore propaganda per le tue erbe... oppure è il dweomer che ti mantiene così in forma? — A dire il vero è il dweomer, a modo suo. Anch'io sono lieto di vederti. Pedraddyn lo fece entrare in una stanza di pietra che ospitava un tavolo, una panca, uno stretto giaciglio e una vasta serie di scaffali coperti di codici e di pergamene racchiuse in custodie di cuoio; nel focolare di arenaria rosa ardeva un fuoco di torba che serviva a smorzare il gelo proveniente dal mare. Il sommo sacerdote batté quindi le mani e un servitore apparve sulla soglia posteriore: si trattava di un uomo di circa trent'anni, con i capelli scuri e il volto segnato dalle peggiori cicatrici che Nevyn avesse mai visto, nodi e gonfiori di tessuto cicatriziale che gli correvano lungo la guancia sinistra e gli distorcevano un angolo della bocca nella perpetua parodia di un sorriso. — Davyn, porta a me e al nostro ospite un po' di latte speziato, poi potrai fare quello che vuoi fino all'ora della cena. L'uomo annuì in silenzio e lasciò la stanza dalla stessa porta da cui era entrato. — Non è in grado di parlare con chiarezza — spiegò allora Pedraddyn. — Un tempo era un marinaio di Eldidd e noi lo abbiamo trovato sospinto dal mare sulle nostre rive e quasi dissanguato a causa di quelle spaventose ferite. Ormai sono trascorsi quasi sei anni da allora... lui ci ha implorati di permettergli di restare con noi e non posso dire di biasimarlo per essersi voluto sottrarre alle guerre. Un uomo silenzioso costituisce un buon servitore per un prete. Dopo che Davyn ebbe portato loro il latte, il prete e il maestro del dweomer sedettero insieme accanto al fuoco e nel sorseggiare la bevanda
Nevyn rimpianse che ai preti di Wmm non fosse permesso di bere sidro o birra. — Con la tua abilità nel dweomer, mi sorprende che tu sia venuto da noi per un oracolo. — L'oracolo di cui ho bisogno riguarda l'intera terra di Deverry e di Eldidd e non soltanto le mie azioni, Vostra Santità. Sono anche venuto a chiedere il tuo aiuto per una particolare questione... dimmi, non ti duole il cuore a vedere queste guerre che infuriano senza fine? — Hai davvero bisogno di chiedermelo? Sono guerre che farebbero dolere il cuore a qualsiasi uomo sano di mente. — Proprio così. Noi che serviamo il dweomer della luce ci siamo uniti e abbiamo elaborato un piano per porre fine ad esse, ma non possiamo portarlo avanti senza la collaborazione di coloro che servono gli dèi, quindi sono venuto a implorarti di aiutarmi a porre sul trono un solo, vero re. Gli occhi di Pedraddyn si sgranarono come quelli di un bambino. — Chi è? — sussurrò. — Non lo so ancora, ma nei tuoi archivi sono registrate tutte le importanti genealogie e tutte le linee di discendenza nobiliari, e una volta che il Grande Wmm ci avrà dato un presagio di certo potremo interpretarlo con l'aiuto degli archivi. — Capisco. E una volta che conoscerai il nome del re? — Allora il dweomer lo porrà sul trono. Lascia che ti esponga il mio piano. Pedraddyn ascoltò dapprima in silenzio, poi si alzò di scatto e prese a passeggiare avanti e indietro per il puro e semplice entusiasmo. — Potrebbe funzionare! — esclamò. — Con l'aiuto degli dèi e con l'intervento del dweomer potremmo farcela. Il prezzo, però... mio nobile signore, in una guerra del genere morirà una notevole quantità di uomini. — Più di quanti ne stiano già morendo? Se non altro questa guerra porrà fine alla cosa, o almeno possiamo sperarlo. Quale altra speranza abbiamo adesso? — Di certo nessuna. Domani consulteremo il dio. Quella sera la cena venne servita nella fortezza, in una vasta stanza rotonda resa fumosa dalle torce e dal fuoco di torba che serviva al tempo stesso da refettorio e da cucina. I cinque preti, i loro tre servitori e gli eventuali ospiti mangiavano tutti insieme a due lunghi tavoli senza divisione di rango e perfino il sommo sacerdote si alzò per servirsi quando volle prendere una seconda porzione di latte e di stufato. La conversazione tranquilla
riguardava libri e giardinaggio, esercizi spirituali e la lenta vita dell'isola, e Nevyn si trovò ad invidiare quegli uomini: come disse a Pedraddyn, presto la sua esistenza si sarebbe accentrata su re e guerre, politica e morte... proprio quelle cose che aveva cercato di lasciarsi alle spalle quando aveva imboccato la via del dweomer. — Un uomo che fugge dal suo Wyrd lo trova ad aspettarlo sulla strada, o almeno così dice il proverbio — replicò il prete. — Il tuo Wyrd sembra però correre insolitamente in fretta. Dopo una notte piacevole trascorsa nella comoda e pulita casa degli ospiti. Nevyn si svegliò in un mondo tinto di grigio dalla nebbia che gravava così densa sull'isola e sul mare da dare l'impressione che terra e acqua fossero lo stesso elemento. Nell'umidità priva di vento ogni parola pronunciata restava sospesa nell'aria come un batuffolo di lana di pecora impigliata in un rovo. Quando venne a prenderlo, Cinrae portava un mantello arancione con il cappuccio alzato a protezione dall'umidità. — Spero che la nebbia non ti dia fastidio, anziano signore — disse. — No, ragazzo, ma ti ringrazio per la tua preoccupazione. Ho un buon mantello pesante. — Bene. A me piace la nebbia... non so come ma mi fa sentire al sicuro. Cinrae lo precedette attraverso il complesso ammantato di grigio e lo guidò fino ai giardini dove Pedraddyn era in attesa... anche se distava appena un centinaio di metri, la sommità della rocca era già svanita nella nebbia. Senza parlare, i tre risalirono la collina erbosa fino al piccolo tempio rotondo posto sulla sua sommità, dentro il quale c'era una sola, semplice stanza di pietra intagliata con otto pilastri individuali disposti tutt'intorno e otto piccole lampade ad olio che rischiaravano l'altare. Pedraddyn e Nevyn s'inginocchiarono davanti all'altare mentre Cinrae accendeva le lampade che proiettarono un pallido e irreale bagliore nell'aria avvolta nella nebbia che sembrava averli seguiti all'interno e aver avviluppato l'altare e la nicchia retrostante in cui si trovava la statua di Wmm, od Ogmios, come era noto nell'Alba dei Tempi. Il dio sedeva a gambe incrociate su uno sgabello, con la mano destra sollevata in una benedizione e la sinistra che stringeva una penna di canna; quando la luce si fece più intensa, il suo volto calmo parve sorridere ai suoi adoratori e Cinrae si inginocchiò accanto a Nevyn, fissando il suo dio con sincera devozione. Pedraddyn si mise quindi a pregare ad alta voce, chiedendo al dio di favorire la richiesta di Nevyn e di concedere ad entrambi la saggezza, continuando a parlare a lungo con voce sonora che echeggiava nella stanza.
Mentre un qualsiasi altro pellegrino si sarebbe limitato ad ascoltare le parole del prete, Nevyn aveva invece le capacità necessarie per collegarsi con la forza... o con quella parte delle Terre Interiori, se si preferisce... che Wmm rappresentava, quindi creò nella propria mente una sagoma del dio alle spalle della statua, intagliandola nella luce azzurra, elaborandola e perfezionandola fino a farla vivere come una cosa separata dalla sua volontà, e a quel punto usò un trucco mentale per costringere quell'immagine ad uscire dai suoi occhi e a porsi accanto all'altare. Lentamente, la forza divina che Pedraddyn stava evocando venne a rivestire quella forma e Nevyn comprese di aver avuto successo quando Cinrae emise un singhiozzo di gioia e sollevò la mano per salutare quella che ai suoi occhi appariva come una visitazione del dio; il vecchio si sentì un po' disonorevole per aver imbrogliato il ragazzo, ma d'altro canto l'immagine rappresentava effettivamente la verità. Alla fine della preghiera tutti e tre sedettero in silenzio per un lungo momento, e un po' per volta Nevyn ritrasse la forza che aveva concentrato nell'immagine, ringraziando il dio per essere apparso loro. La fede di Cinrae mantenne in vita la sagoma ancora per qualche tempo ma ben presto l'instabile sostanza eterica si sparpagliò di propria iniziativa, dissolvendosi mentre la forza del dio lasciava la sua temporanea dimora. Cinrae singhiozzò una volta sottovoce, come un bambino che avesse visto la madre allontanarsi per andare a lavorare nei campi e sapesse di non poterla richiamare, poi Pedraddyn si alzò in piedi e concluse la cerimonia nel tempio intonando un breve canto e battendo solennemente le mani otto volte. — Siamo stati benedetti — disse quindi. — Lui ci è apparso. Di nuovo, Nevyn si sentì un imbroglione e gli dispiacque per i due preti... soprattutto per il giovane Cinrae... che non avrebbero mai conosciuto la verità sull'oggetto della loro devozione né si sarebbero mai resi conto di poter evocare a piacimento il loro dio. Tuttavia, mentre ci pensava sopra, si disse che forse era meglio così... dopo tutto, come si può amare una forza naturale oggettiva che può essere evocata a sangue freddo e introdotta in un'immagine artificiale? In un certo senso, nel dweomer c'era ben poco spazio per l'amore, ed era per questo che l'umanità aveva bisogno di preti come Cinrae. In silenzio e in fila indiana i tre lasciarono il tempio e scesero lungo il lato opposto della collina. La nebbia era ancora densa ma attraverso i suoi umidi veli si poteva sentire il rimbombo lontano delle onde che colpivano la roccia, un suono che divenne più intenso a mano a mano che avanzava-
no attraverso il vasto prato erboso fino a raggiungere l'altura dal lato opposto dell'isola. In basso, oltre la spiaggia sassosa, grandi rocce aguzze si levavano dalla spuma bianca e ribollente, e l'oceano si abbatteva su di esse con veli di spruzzi ampi come ali di uccello, per poi fluire bianco e spumeggiante attraverso gli stretti canali presenti in mezzo ad esse. — Mirate le voci del dio! — esclamò Pedraddyn. L'oceano gli rispose con cento lingue ruggenti, e mentre scendevano gli irregolari e umidi gradini intagliati nel fianco dell'altura rocciosa il rimbombo della risacca divenne così assordante da dare l'impressione di echeggiare nella mente di Nevyn e non soltanto nei suoi orecchi. Arrivati alla linea della marea, i tre si inginocchiarono sulla ghiaia viscida e levarono le mani con il palmo verso l'esterno in direzione dell'oracolo, lasciando che ogni grande onda si riversasse verso terra come un presagio, coprendo di spuma le rocce e vorticando fino a raggiungere quasi le loro ginocchia. — O possente Wmm! — esclamò Nevyn, — noi ti imploriamo di guidarci nella scelta dell'unico vero re di tutto Deverry. O potente Wmm, poni sul trono soltanto il vero re e nessun altro. O grande Wmm, concedici il tuo potere per distinguere la verità dalla menzogna. Una dopo l'altra sulla riva si riversarono dall'oceano caliginoso grandi onde che potevano provenire da Eldidd come dalle rive dell'Aldilà, per quello che i tre uomini erano in grado di vedere, e le loro voci rombarono risposte incomprensibili e assordanti alla domanda di Nevyn. Improvvisamente, poi, Cinrae singhiozzò e si alzò lentamente in piedi, con gli occhi fissi e vitrei a causa di uno stato di profonda trance, e quando parlò la sua giovane voce tenorile risultò mutata in un'altra profonda e cupa come il battere di un'onda sulla roccia. — Guardate nel nord e nell'ovest. Il ragazzo che sarà re è nato nel nord e nell'ovest. Il re di tutto Deverry e di Eldidd è nato in un lago fra i pesci e le canne acquatiche. Colui che darà la pace si addestra per la guerra. Cinrae svenne con un grido acuto, crollando a terra a testa in avanti non appena il dio lo abbandonò. Subito Nevyn e Pedraddyn lo sollevarono e lo trasportarono lontano dalla linea della marea, sotto lo scarso riparo offerto dalla base dell'altura, poi Pedraddyn si tolse il mantello e lo avvolse intorno al ragazzo. — Nevyn, capita sì e no una volta ogni cento anni di trovare un prete come questo. Mi succederà e mi sorpasserà mille volte, e ringrazio ogni giorno gli dèi per averlo portato qui. — È giusto, anche nel suo interesse. Non so che ne sarebbe stato di lui
se non avesse trovato la via di dio. — Infatti la sua famiglia ha pensato che fosse un po' ritardato di mente: i suoi lo hanno portato al tempio per chiedere il consiglio del dio quando era ancora un bambino e non se ne è più andato. A volte mi chiedo se nel nostro Cinrae non ci sia un po' del sangue del Popolo dell'Ovest, ma naturalmente non posso chiedere ai suoi parenti informazioni su una cosa tanto vergognosa — replicò Pedraddyn, posando con fare paterno una mano sulla guancia del ragazzo. — È gelato. Vorrei poterlo portare via da tutta questa umidità. — Nulla di più facile. Lascia che ci pensi io. Nevyn fece appello agli spiriti degli elementi, una cosa quasi automatica in mezzo a quell'infuriare di forze elementari, e chiese loro di sostenere il peso del ragazzo; con il loro aiuto, raccolse quindi Cinrae come se fosse stato un sacco di grano e lo portò su per i gradini senza neppure fermarsi a prendere fiato, allontanandosi di parecchio dal bordo dell'altura prima di adagiare con gentilezza Cinrae sull'erba morbida mentre Pedraddyn lo fissava con assoluto stupore. Pochi minuti più tardi il ragazzo prese ad agitare la testa di qua e di là e infine aprì gli occhi. — Presto potrò camminare, Vostra Santità — sussurrò. — Quando ti sentirai pronto, ragazzo, e non un momento prima — rispose Pedraddyn, inginocchiandoglisi accanto. — Fra non molto imparerai a controllare la forza del dio. Allontanatosi di qualche passo, Nevyn si girò a guardare il distante vorticare della nebbia e dell'oceano, ascoltando le voci del dio che echeggiavano sommesse in lontananza. Nord e ovest, pensò. Avrei sprecato il mio tempo se fossi andato a Cerrmor. Non dubitava infatti che quello fosse un presagio autentico: rinforzato dal rituale e dalla drammatica configurazione fisica dell'oracolo, il grezzo talento psichico di Cinrae aveva attinto in profondità nell'anima razziale di Deverry. Nato fra i pesci e le canne acquatiche... quel particolare lo turbava un poco ma era certo che presto tutto sarebbe risultato chiaro e nel complesso era soddisfatto. Soltanto in seguito rammentò quella frase minacciosa... re di tutto Deverry e di tutto Eldidd... e si chiese quali forze possenti avesse messo in moto. Quel pomeriggio, mentre Cinrae dormiva, Nevyn e Pedraddyn si recarono nella Camera degli Archivi che occupava tutto il secondo piano della fortezza, e con l'aiuto di un altro neofita sedettero ad un tavolo vicino alla
finestra, esaminando un polveroso codice di genealogie dopo l'altro. Mentre compilavano una lista di tutti gli eredi, sia quelli di diretta discendenza maschile che quelli nati da donne di sangue reale, un nome si presentò tre volte: Maryn, principe del piccolo regno di Pyrdon, vagamente imparentato con il trono di Eldidd, più strettamente legato al pretendente di Cantrae dal lato materno e quasi diretto discendente della linea di Cerrmor attraverso il Principe Corbyn, il figlio di Dannyn. Rendersi conto che un giorno un discendente di Dannyn avrebbe potuto sedere sul trono di Deverry generò in Nevyn un brivido portato dal dweomer... quello era proprio il tipo di ironia che i Signori del Wyrd sembravano amare tanto. — Questo ragazzo mi interessa — osservò, battendo sul nome con uno stilo d'osso. — Sai qualcosa sul suo conto? — No. Pyrdon è molto lontano e a volte ho perfino problemi ad ottenere le giuste informazioni per gli archivi. — Pensi che il ragazzo possa essere morto o qualcosa del genere? — Ne dubito. Di solito qualcuno si prende la briga di informarmi di una cosa importante come la morte di un principe ereditario. Volevo soltanto dire che non ho mai visto né lui né sua madre, mentre una volta ho incontrato suo padre Casyl quando aveva... dodici anni, credo. Mi ha colpito come un ragazzo gradevole ma chi può sapere cosa gli è successo da allora? Dal momento che per la riuscita del loro piano era necessario l'aiuto di almeno un potente sacerdote di Bel, Nevyn tornò direttamente a Deverry invece di percorrere centinaia di chilometri alla volta di Pyrdon, assegnando il compito di rintracciare il giovane Principe Maryn ad Aderyn, che con il suo alar era sempre in movimento lungo i confini di quel regno. Nevyn aveva appena attraversato il confine del territorio di Deverry quando Aderyn lo contattò tramite il fuoco del suo campo. — Credo che abbiamo trovato il nostro pretendente — comunicò la sua immagine, atteggiata ad un sorriso pensoso. — Pyrdon è un luogo aspro, ma è il tipo giusto di asprezza, il genere che ricorda ad un uomo che ha bisogno di altra gente per poter sopravvivere. Sono rimasto molto impressionato da Re Casyl, il cui onore è tale da essere una cosa rara anche nei tempi migliori. Il giovane principe sembra intelligente al di là dei suoi anni ma ne ha soltanto cinque, quindi è un po' presto per dire come crescerà. In ogni caso pare godere di buona salute... sarebbe un peccato se morisse nell'infanzia.
— Verissimo, ma del resto Casyl potrebbe avere altri figli. Detesto riporre tutto il mio sidro in una sola fiasca. — Anch'io, ma è necessario. Il nocciolo del problema è che abbiamo troppi dannati aspiranti re. — Proprio così. Cosa mi dici dei presagi? — Non potrebbero essere migliori. Dun Drwloc, che è la residenza principale di Casyl e il luogo dove il giovane principe è nato, è un'isola fortificata che si trova nel centro di un lago. — Eccellente! Ti ringrazio per il tuo aiuto. Adesso sono diretto a Lughcarn perché ricordo che il sommo sacerdote di Bel laggiù era un uomo decente ed onorevole... ecco, sempre che nel frattempo non sia morto. Dal momento che si trovava abbastanza lontano dal confine con Cerrmor da non aver dovuto subire le peggiori devastazioni della guerra, Lughcarn era ancora prosperosa ed era anche la più grande città rimasta in Deverry. Centro della lavorazione del ferro, l'abitato era costantemente coperto da uno strato di cenere scura e sottile proveniente dalle fonderie, dalle fucine e naturalmente dai forni simili ad alveari in cui il legno veniva trasformato in carbone; nell'immota aria estiva la città era coperta da un velo di foschia che tingeva il cielo di giallo. Nevyn raggiunse il centro dell'abitato, dove il tempio di Bel sorgeva in mezzo ad antiche querce coperte di fuliggine, e dal momento che era conosciuto alcuni neofiti arrivarono di corsa per accudire il suo cavallo e il suo mulo non appena lui fu entrato nel bosco sacro. Quando un novizio lo introdusse nella camera del sommo sacerdote, spoglia tranne che per uno stretto e duro pagliericcio posto per terra e una sedia, Nevyn scoprì con suo estremo sollievo che Olaedd era ancora vivo e vegeto, anche se tormentato dai dolori alle articolazioni. — Perdonami se non mi alzo, Nevyn, ma oggi il dolore alla schiena è particolarmente intenso. — Ti devi procurare un letto come si deve: non è necessario che sia morbido o comunque peccaminoso... basta che ti tenga lontano dalle correnti d'aria. — Allora ci penserò. Il neofita portò a Nevyn un basso sgabello e lasciò la stanza. Appena lui e Olaedd rimasero soli, Nevyn si lanciò immediatamente nell'attuazione dei propri piani: i sacerdoti di Bel erano nella posizione migliore per interpretare oracoli e presagi nel modo «giusto» semplicemente perché erano moltissimi coloro che venivano da loro per narrare sogni o eventi sconcertanti, ed anche perché quando fosse giunto il momento sarebbero stati loro
a proclamare il nuovo re e a unirlo alla sovranità del regno. — Non ho dubbi che una volta ottenuto il trono saprà ricompensare i templi — concluse il vecchio. — Non ne dubito neanch'io, ma perché sei venuto da me invece che recarti dal sommo sacerdote della Città Santa? — Ci sono stato di recente e ho saputo che Gwergovyn è il nuovo sommo sacerdote. — Um. Naturalmente lui è un mio superiore, qualsiasi cosa io possa pensare sul suo conto. Per un momento i due si scrutarono a vicenda, ciascuno chiedendosi quante cose poteva dire apertamente, e dal momento che correva il rischio minore Nevyn fu il primo a parlare. — Mi rendo conto che tradizionalmente la classe sacerdotale di Deverry ha sempre proclamato la propria supremazia, ma a quanto ricordo è soltanto una tradizione... e non la legge... a dare loro tale posizione. — Verissimo — ribatté Olaedd, ammiccando appena con i suoi occhi scuri. — È proprio così. — E la tradizione potrebbe restare notevolmente scossa se i sacerdoti di là dovessero sostenere il pretendente sbagliato. — E Lughcarn sostenere quello giusto? — completò Olaedd, congiungendo la punta delle dita e studiandosi le mani per un momento. — Fra appena un mese ci sarà qui a Lughcarn una convocazione dei preti dei templi settentrionali. — Quelli di Dun Deverry non manderanno un loro rappresentante? — Certamente, ma c'è sempre un modo perché pochi uomini fidati possano parlare in privato. Torna dopo la convocazione e discuteremo ancora di questa faccenda. Nevyn si recò in un piccolo villaggio una quindicina di chilometri a nord della città e si accampò nel granaio di un contadino fingendo di raccogliere erbe nel vicinato, e dal momento che non soltanto il contadino in questione ma l'intero villaggio erano felici di avere un erborista nella zona, la sua presenza divenne presto nota a tutti. Durante la sua seconda settimana di permanenza, la bambina del mugnaio venne di corsa a dirgli che era successa una cosa incredibile: una delle capre aveva dato alla luce un piccolo con due teste. Più che altro perché sapeva che la bambina si aspettava che lo facesse, Nevyn andò a vedere e scoprì che la maggior parte dei villaggio si era radunata intorno al recinto; appesantito dalla sua deformità, il capretto non si poteva neppure alzare in piedi mentre la madre belava con im-
potenza e lo leccava per pulirlo. — Senza dubbio non vivrà fino a stasera — commentò Nevyn, rivolto al mugnaio. — Ne sono certo anch'io. Pensi che qualcuno abbia stregato le mie capre? — No — replicò il vecchio, e stava per lanciarsi in una lunga dissertazione sui rapporti fra i quattro umori negli animali quando gli venne un'idea molto migliore. — Io penso che gli dèi hanno inviato un presagio — disse invece. — Infatti, un regno con due re può forse vivere più di questo capretto? La folla annuì con aria saputa di fronte a quello sfoggio di erudizione. — Scommetto che hai ragione — dichiarò il mugnaio, — e manderò il mio figlio maggiore a parlare della cosa con il prete locale. — Fallo. Sono certo che la troverà interessante. Quando tornò a Lughcarn, Nevyn scoprì che la notizia del capretto con due teste lo aveva preceduto, come dimostrò il fatto che Olaedd vi accennò non appena furono soli. — Anche se al villaggio sei stato tu a interpretare il presagio, sono certo che è stato il Grande Bel a inviarlo e la tua interpretazione è stata la stessa che avrei dato anch'io: se queste guerre civili continueranno ancora per molto non resterà più un regno per cui combattere ma soltanto un branco di piccoli nobili che litigano fra loro a proposito dei rispettivi confini. È una cosa di cui abbiamo discusso a lungo durante la convocazione: dopo tutto, senza un re, chi proteggerà i templi? — Proprio così. Olaedd distolse lo sguardo con espressione assente per un lungo momento, e quando infine parlò lo fece senza guardare direttamente verso Nevyn. — Ci sono state piccole discussioni sul conto di Gwergovyn. Pare che ci siano alcuni che sono tutt'altro che soddisfatti della sua presidenza sulla Città Santa. — Ah. Mi ero chiesto se per caso non fosse così. — Ci sono ragioni valide per tale scontento, almeno se si deve credere a certe voci — ribatté Olaedd, poi fece un'altra lunga pausa e aggiunse: — Non credo che siano cose che possono riguardarti, lascia soltanto che ti dica che mi hanno turbato profondamente. — Ho un'assoluta fiducia nella capacità di giudizio di Vostra Santità. — Ti ringrazio. In ogni caso, puoi contare sui templi del settentrione per qualsiasi aiuto noi ti possiamo dare. A volte mi sento così stanco! Stiamo
parlando di un piano che richiederà molti anni, ma chi è più adatto ad avviarlo di due vecchi che hanno la saggezza di scegliere uomini giovani perché lo portino a termine? — Proprio così. Devo dedurre che nessuno dei sacerdoti della Città Santa sarà consultato al riguardo? Olaedd sorrise e rispose alla domanda nel solo modo in cui è possibile rispondere a interrogativi del genere: con il silenzio. Nel tardo autunno, quando gli alberi spiccavano ormai nudi lungo la strada e al mattino il cielo odorava di neve, Nevyn fece ritorno a Brin Toraedic. Dal momento che le grotte erano umide e odorose di muffa per essere rimaste chiuse tanto a lungo, accese alcuni fuochi e incaricò gli spiriti elementari dell'aria di liberare le stanze dall'aria fetida, poi prese il mulo e scese al villaggio per comprare del cibo. Al suo ingresso nell'abitato, tutti gli vennero incontro per accoglierlo, perché sapevano quale fosse il suo vero lavoro ed erano orgogliosi di avere qualcosa che nessun altro villaggio aveva, o almeno nessuno che essi conoscessero: il loro mago locale. Mentre comprava un po' di formaggio, un prosciutto e l'orzo per il porridge, Nevyn ascoltò anche/ i pettegolezzi dell'estate, la maggior parte dei quali riguardava Belyan che stava aspettando un figlio bastardo e si rifiutava di dire a chiunque chi fosse il padre. Nevyn portò quindi le sue bestie dal maniscalco perché cambiasse loro i ferri e la moglie del fabbro, Ygraena, lo invitò ad entrare a bere un po' di birra. — Non hai ancora visto Belyan? — gli chiese, quasi con noncuranza. — Sapevo già del bambino prima di partire e dal momento che voglio passare dalla fattoria per comprare un po' di mele secche vedrò presto come sta. — Non ho dubbi che avrà un parto facile e sono disposta ad ammettere di essere un po' invidiosa del modo in cui sforna i figli, come fosse una gatta — commentò Ygraena, poi esitò e i suoi occhi assunsero un'espressione astuta quanto quelli di Olaedd. — Sai, buon Nevyn, ci sono alcuni che sostengono che lei abbia avuto questo figlio da uno dei tuoi spiriti. Quando il vecchio scoppiò a ridere con tanto vigore che quasi si soffocò con la birra, Ygraena si mostrò amaramente delusa: una teoria davvero splendida era appena andata in frantumi. — Ti garantisco che quel ragazzo era in carne ed ossa, ed aveva anche un sangue piuttosto caldo, a giudicare da quello che è successo a Bell. Se lei non ne vuole parlare sono affari suoi, e del resto è sempre stata una ra-
gazza riservata. Belyan mise al mondo il figlio appena quattro giorni più tardi. Nevyn stava spazzando le sue grotte quando il maggiore dei figli della donna arrivò di corsa per avvertirlo che sua madre stava cominciando a partorire, e nel tempo che lui impiegò a preparare le sue erbe e a raggiungere la fattoria la predizione di Ygraena risultò essersi avverata: il figlio di Bell era già nato e con estrema facilità. Mentre la levatrice lavava il piccolo e sistemava Belyan comodamente nel letto, Nevyn e Bannyc sedettero insieme accanto al fuoco. — Come ti senti ad avere questo nuovo cucciolo nella nidiata? — chiese Nevyn al contadino. — Ecco, se desiderava tanto un bambino avrei preferito che sposasse un ragazzo, ma Bell è sempre stata troppo cocciuta perché potessi controllarla. La levatrice dice che il piccolo è sano, quindi è il benvenuto, perché in una fattoria un altro paio di braccia fa sempre comodo. Con un profondo sospiro Bannyc uscì a occuparsi delle sue capre e Nevyn stese i piedi verso il calore del fuoco, pensando a Maddyn. Rapidamente, l'immagine del giovane prese consistenza fra le fiamme, dapprima minuscola e poi sempre più grande fino a quando Nevyn poté vedere comodamente la scena che lo circondava: Maddyn era seduto in una sporca taverna con una dozzina di altri uomini, stava bevendo abbondantemente e rideva. Alla cintura ciascuno di quegli uomini aveva una daga con un pomo identico decorato da tre sfere d'argento, e quando uno di loro la estrasse per staccare una scheggia dal tavolo Nevyn vide che la lama era fatta di uno strano metallo... gli parve che fosse una sorta di argento, ma l'immagine non era abbastanza nitida o dettagliata perché potesse esserne certo. Quello che sembrava ovvio, comunque, era che Maddyn si era trovato un posto in un contingente mercenario. Dapprima Nevyn pensò che quello era un peccato, ma poi gli venne in mente che un contingente del genere libero da qualsiasi giuramento di fedeltà avrebbe potuto tornargli molto utile nel lavoro che lo aspettava e prese nota mentalmente di tenere d'occhio in futuro i movimenti di Maddyn. Più tardi, il vecchio andò a trovare Belyan che era seduta sul letto con il piccolo al seno: Daumyr era un neonato piuttosto robusto che pesava almeno quattro chili, con una morbida peluria dorata che gli copriva la testa, e stava succhiando avidamente il latte con qualche occasionale ciangottio di soddisfazione. — Da come questa piccola bestia affamata sta succhiando, presto avrò
vero latte — commentò Belyan. — Non ne dubito. Senti la mancanza di suo padre? Mentre spostava il piccolo all'altro seno, Belyan rifletté sulla domanda. — Un poco — ammise infine. — Con tutto quello che ho dovuto fare qui alla fattoria non ho quasi pensato a lui per tutta l'estate, ma adesso che l'inverno sta per arrivare mi trovo a ricordarlo spesso. Spero che sia sano e salvo e che stia bene, dovunque si trova, ed è meglio nutrire questa speranza che visitare la sua tomba. — In questo hai ragione. Con un sorriso, Belyan accarezzò con delicatezza i capelli del piccolo. — È un po' diverso dagli altri miei figli quando erano appena nati, e senza dubbio ha un aspetto differente, con i capelli ricciuti di Maddyn e tutto il resto, ma con il tempo crescerà e diventerà come noi. Avere un bambino è come fare un lavoro di cucito: hai un panno ed hai i colori per ricamare, ma sta a te decidere il disegno. Improvvisamente Nevyn sorrise, perché Bell gli aveva appena fornito il pezzo che mancava ancora al suo piano: quale modo migliore per avere un vero e nobile re che allevare un principe? Maryn era ancora giovane e malleabile, aveva bisogno di tutori e avrebbe reagito bene alla giusta influenza. Uno di noi troverà il modo di infiltrarsi a corte, pensò, e faremo in modo che il ragazzo cresca bene mentre prepariamo il terreno per lui. Quella notte, Nevyn uscì sulla collina proprio mentre la luna piena era al suo zenit: nubi cupe giungevano da nord, gettando ombre in movimento sulla campagna addormentata, ma ormai da troppo tempo ombre scure uccidevano la gioia in Deverry. Nevyn sorrise fra sé e nel profondo del suo cuore vide arrivare la pace e la vittoria della luce. TRE Anno 837. Il sommo sacerdote Olaedd morì durante la primavera e Retyc di Hendyr venne nominato sommo sacerdote dal conclave settentrionale. Durante l'estate un bambino che soffriva di epilessia venne portato al tempio, fu assalito da una crisi ai piedi di Retyc e gridò che il re stava giungendo da ovest. Quando si riprese, il bambino ripeté che il re stava giungendo da ovest ma non seppe spiegare perché lo avesse detto. Retyc dichiarò che quelle parole erano una vera profezia...
Le Sacre Cronache di Lughcarn Sulla piattaforma della grande sala Ogretoryc, re di tutto Eldidd e di quel poco di Deverry che era in grado di occupare con le sue truppe, sedeva su un seggio intagliato dall'alto schienale. Sulla parete dietro di lui si allargava uno splendido arazzo che rappresentava Epona che cavalcava nell'Aldilà con il suo seguito, e ai lati dell'arazzo erano appese lunghe bandiere di tessuto azzurro e argento su cui lo stemma del drago di Eldidd era raffigurato in verde, mentre ai piedi del re era steso un tappeto azzurro e verde che copriva il pavimento di lastre di pietra intagliate. Il bardo di corte sedeva accanto al re, la guardia scelta era alle sue spalle e due paggi erano in attesa poco lontano con una brocca di sidro e un boccale d'oro. Ogretoryc però stava dormendo accasciato da un lato, russando e con un filo di bava che gli colava dalla bocca sdentata sul mento flaccido e rugoso, mentre nella vasta sala circolare i nobili, le loro bande di guerra e gli uomini stessi del re continuavano a banchettare e cercavano di ignorare il loro signore. Poiché erano mercenari, le daghe d'argento erano sedute in fondo alla sala e da un lato, dove erano esposte alle correnti provenienti dalla porta e al fumo del camino, ma appoggiandosi all'indietro sulla panca Maddyn poteva tenere d'occhio la piattaforma e il re addormentato. Pochi minuti più tardi il Principe Cadlew, l'erede al trono, salì sulla piattaforma e si accostò con esitazione al padre. Snello e magro di viso, Cadlew era un uomo muscoloso e indurito dai lunghi anni trascorsi in sella, e anche se i suoi capelli corvini erano striati di grigio e i suoi occhi azzurrissimi circondati di rughe, era ancora capace di maneggiare la spada come il migliore fra i guerrieri. Preso il padre per un braccio, Cadlew lo scosse fino a svegliarlo, poi lo condusse via circondato dalle guardie e con i paggi che venivano dietro con aria incerta. Quando uscirono da tutta la sala si levò un sussurro di sollievo e Caradoc si protese verso Maddyn. — Scommetto che c'è una quantità di uomini che vorrebbe vedere il nostro principe seduto su quella sedia — sussurrò. — Una scommessa vinta, senza dubbio. Senti, sto ribollendo dalla curiosità: cosa ti ha detto il principe quando ti ha convocato nella sua stanza, questo pomeriggio? — Mi ha offerto di prenderci nella sua banda di guerra, ma ho rifiutato. — Hai fatto cosa? — Ho rifiutato — rispose Caradoc, poi fece una pausa per bere un sorso
di sidro e aggiunse: — Naturalmente l'ho ringraziato per l'onore, ma preferisco contrattare le nostre paghe di estate in estate piuttosto che giurare fedeltà a qualcuno. — Ah, che tu sia dannato! — Ascoltami, Maddo. So che sembra splendido pensare di essere di nuovo uomini d'onore e tutto il resto, ma una daga d'argento deve essere libera di cambiare fazione se non vuole essere impiccata dopo una sconfitta. — Questo è vero. In passato abbiamo cambiato fazione troppo spesso per poter essere trattati in maniera onorevole, qualsiasi cosa il principe dica su di noi. — Esatto. Non una parola di questo con gli altri, bada bene. — Al tuo posto non mi preoccuperei troppo. Ti seguirebbero fino alla morte. Caradoc distolse lo sguardo con le lacrime agli occhi e Maddyn si sentì troppo imbarazzato per aggiungere altro. Mentre sorseggiava il suo sidro, il giovane osservò il loro gruppo, settantacinque uomini assetati di sangue che combattevano come demoni usciti dall'inferno. Caradoc ci aveva impiegato tre anni, ma aveva frugato, cercato e contrattato fino a mettere insieme un contingente così prezioso che il principe aveva perfino preso in considerazione la possibilità di annetterlo alla propria banda di guerra. Ognuno di quegli uomini portava alla cintura una delle daghe di Otho, ma sebbene i migliori fabbri del regno avessero implorato in ginocchio per ottenere dal nano il segreto del suo metallo questi non si era lasciato convincere neppure dall'offerta di sacchi d'oro e di gioielli; una volta però il fabbro aveva confidato a Maddyn che intendeva tramandare il suo segreto quando avesse trovato un ragazzo degno di apprenderlo ma che finora non si era imbattuto in nessun campione di virtù di tale calibro. Dopo una dura estate di combattimenti gli uomini di Eldidd, mercenari e non, erano tornati ai loro alloggi invernali nel palazzo del re di Abernaudd; quell'autunno avevano combattuto fino a stagione inoltrata, impegnando sulle colline una scaramuccia dopo l'altra contro le truppe di Cerrmor oppure razziando i confini di Pyrdon, che la gente di Eldidd persisteva nel considerare una provincia ribelle. Adesso correvano voci che a primavera sarebbe stato sferrato un vero e proprio attacco contro Pyrdon, ma si trattava di dicerie che circolavano ogni inverno e la verità era che Eldidd non si poteva permettere di raccogliere uomini e provviste per conquistare
Pyrdon quando già aveva altri due nemici più potenti lungo i suoi confini orientali. A Maddyn francamente non importava dove sarebbero andati a combattere quella primavera, tutto quello che gli interessava era che per quell'inverno sarebbero stati al caldo e ben nutriti. Per evitare risse da ubriachi fra i suoi uomini e quelli del re, Caradoc ricondusse le daghe d'argento agli alloggiamenti prima che il banchetto si fosse effettivamente concluso, e mentre attraversavano il cortile Maddyn indugiò per aspettare Caudyr, che era rallentato nell'andatura dal piede equino. Con un tintinnio di finimenti e un calpestio di zoccoli, una squadra di uomini della guardia personale del re oltrepassò le porte: di ritorno da un lungo e freddo turno di pattuglia, quegli uomini erano affamati e impazienti di andare dentro al caldo per unirsi al banchetto e anche se c'era spazio a sufficienza per passare cominciarono a imprecare e a gridare a Maddyn e a Caudyr di trarsi di lato. Entrambi si dimostrarono pronti ad assecondarli, ma Caudyr non ebbe altra scelta che farlo lentamente e zoppicando, e questo indusse uno dei cavalieri a sporgersi dalla sella verso di lui. — Muovi il tuo dannato sedere, coniglio! Gli storpi come te dovrebbero essere affogati alla nascita! Quando la maggior parte della squadra scoppiò a ridere, Maddyn si girò di scatto portando la mano alla spada, ma Caudyr si affrettò a bloccargli il braccio. — Non ne vale la pena. Sono abituato ad essere deriso — disse, e cercò di affrettare il passo. — Guarda come saltella! — esclamò un altro cavaliere. — Avevi ragione a proposito dei conigli! In quel momento il capo della squadra, che aveva preceduto gli altri di qualche passo, girò il cavallo e tornò indietro al trotto. — Tenete a freno la lingua, bastardi! — esclamò furibondo il giovane Owaen. — Chi siete per deridere un uomo per una disgrazia che gli dèi gli hanno inflitto? — Ma sentitelo! Come una freccia, Owaen balzò di sella e corse verso l'uomo che aveva parlato, tirandolo a terra e sbattendolo sull'acciottolato prima che lo stupore gli permettesse di reagire. L'uomo si rialzò di scatto con un'imprecazione e tentò di sferrare un pugno ma Owaen lo abbatté con un colpo solo e subito le risate e le beffe cessarono. — Non voglio sentire nessun altro deridere un uomo per un difetto a cui
non può porre rimedio. Sul cortile scese un silenzio mortale infranto soltanto dal battito inquieto degli zoccoli dei cavalli nervosi. Perplesso e al tempo stesso compiaciuto, Maddyn tenne lo sguardo fisso su Owaen, che aveva appena diciassette anni ma che aveva combattuto in guerra durante tutte le tre estati passate e che di solito era l'uomo più arrogante che lui avesse mai incontrato. Portare il drago di Eldidd sulla sua camicia non era sufficiente per Owaen, che aveva fatto aggiungere il proprio simbolo del falco in picchiata sulla camicia, sulla daga, sulla sella... praticamente su ogni oggetto che possedeva. Inoltre il giovane era il miglior spadaccino della guardia se non addirittura di tutto il regno, e il resto dei cavalieri lo sapeva, per cui gli altri smontarono di sella soltanto per raccogliere il compagno svenuto e caricarlo di traverso sulla sella per portarlo via. Dopo aver indirizzato a Caudyr un fugace cenno amichevole con il capo, Owaen seguì gli altri. — Questa è davvero una cosa sconcertante — commentò allora il chirurgo. — Owaen è l'ultima persona da cui mi sarei aspettato una cosa del genere. — Anch'io. So che Caradoc ha una grande opinione di quel ragazzo e forse ha ragione lui, dopo tutto. Negli alloggiamenti un paio di uomini stavano accendendo un fuoco nel focolare di pietra e gli altri sedevano sulla fila di cuccette intenti a parlare di partite a dadi. Il pallido Argyn dal volto da furetto, che era uno dei più feroci assassini a sangue freddo della banda di guerra, era già addormentato ma sebbene stesse russando fragorosamente come i tuoni di una tempesta estiva nessuno osava disturbarlo per farlo tacere. La stanza puzzava di sudore, di fumo e di cavalli, soprattutto di cavalli dal momento che essi erano sistemati nello stallaggio al di sotto del pavimento di pietra, ma per Maddyn quello era un odore confortante che per lui sapeva di casa, dopo tre anni passati a cavalcare in questa o quella banda di guerra. Sedutosi sulla sua cuccetta, il giovane tirò fuori l'arpa dalla custodia di cuoio. — Per l'amore di ogni dio dell'Aldilà, Maddo — avvertì Aethan, — non cantare ancora quella dannata canzone sulla razzia di bestiame da parte di Re Bran, d'accordo? — Ah, lasciami stare. Sto cercando di impararla. — Come se non lo sapessimo — intervenne Caradoc. — Sono stufo di sentirti saltare quella stanza nel mezzo e ricominciare tutto daccapo. — Come ordina il mio capitano, ma poi non prendetevela con me accusandomi di non conoscere mai nuove canzoni.
In preda ad un impeto di irritazione, Maddyn ripose l'arpa e uscì a grandi passi dagli alloggiamenti, seguito da una piccola folla di delusi membri del Popolo Fatato che gli tiravano le maniche e i calzoni nel tentativo di convincerlo a tornare dentro a cantare. Quando lui li ignorò, gli esseri scomparvero alla spicciolata, tutti con un'espressione di rimprovero sul volto minuscolo, e lui si recò dritto verso la baracca delle cucine, dove c'era una sguattera di nome Clwna che lo trovava abbastanza di suo gusto da sgusciare di tanto in tanto con lui nel fienile e che ormai avrebbe dovuto aver finito il suo lavoro. La porta della cucina era aperta e rivelava un fiotto di luce allegra che si riversava sull'acciottolato buio, un semicerchio di chiarore dove erano raccolti i cani da caccia del re, in speranzosa attesa di qualche avanzo. Apertosi un varco a calci fra di essi, Maddyn si arrestò sulla soglia e vide gli sguatteri che stavano finendo di lavare le pentole vicino al focolare, mentre la cuoca, una donna brizzolata con enormi braccia muscolose, se ne stava appollaiata su uno sgabello intenta a mangiare la propria cena da una ciotola di legno. — So cosa stai cercando, daga d'argento. Clwna se ne è già andata, senza dubbio con un altro di voi ragazzi. — È probabile. Con il tuo gentile permesso aspetterò qui per un po' per vedere se torna indietro. Sbuffando, la cuoca si allontanò una ciocca di capelli dalla fronte con il mignolo. — Voi daghe d'argento siete davvero strani. La maggior parte degli uomini si metterebbe ad ululare di rabbia nel sentire che la sua ragazza è sgusciata via con un altro uomo. — Noi dividiamo ciò che abbiamo quando riusciamo a trovarlo e sono soltanto contento che Clwna sia una ragazza ragionevole. — Ragionevole, hah! Se definisci ragionevole farsi conoscere come una delle donne delle daghe d'argento! Ho proprio una mezza idea di inculcare un po' di buon senso in quella ragazza a suon di botte, davvero. — Suvvia! Come puoi essere tanto crudele da negarci un po' di conforto quando stiamo combattendo per l'onore stesso di Eldidd? — Ma sentitelo! — commentò la cuoca, levando gli occhi al cielo come per invocare gli dèi a testimoni. — Fuori della mia cucina, bardo! Stai facendo venire idee sbagliate ai miei sguatteri! Indirizzando alla donna un inchino beffardo, Maddyn se ne andò spingendo di lato i cani, ma mentre attraversava il cortile gli venne in mente che tutto il loro contingente si era trovato nell'alloggiamento quando lui se
ne era andato. Se da un lato era disposto a dividere Clwna con un'altra daga d'argento, il pensiero di dividerla con un uomo estraneo alla banda lo irritava profondamente, quindi oltrepassò la soglia posteriore della grande sala e sfilò una torcia dai sostegni affissi alle pareti, procedendo a cercare per tutto il cortile con un crescente senso di indignata irritazione. Ora che il banchetto si era concluso in giro c'erano molte persone: servi che portavano legna da ardere e botti di birra, cavalieri satolli che si avviavano a passo lento verso gli alloggiamenti o le latrine, cameriere che si recavano a qualche incontro d'amore o che stavano andando a prendere un appuntamento per conto della loro nobile padrona. Quando era ormai a circa metà strada dalle stalle, il giovane scorse la sua preda... Clwna che camminava sottobraccio ad uno degli uomini della guardia, e dal disordine del suo vestito e dai fili di paglia che aveva nei capelli Maddyn comprese che i suoi sospetti erano giustificati. Clwna stessa mise in fuga ogni dubbio residuo. — Allora! — esclamò Maddyn, sollevando la torcia come un padrone di casa che avesse colto un ladro in flagrante. — Cosa significa questo, ragazza? Clwna emise un miserabile stridio e si premette le nocche contro la bocca. Con la mano sull'elsa della spada Owaen entrò nel cerchio di luce della torcia e soltanto allora Maddyn si rese conto che la situazione sarebbe potuta passare dalla semplice irritazione al pericolo. — A te che importa, cucciolo di cane? — scattò Owaen. — Si dà il caso che la signora preferisca un vero uomo anziché un servo munito di spada. Maddyn dovette fare appello ad ogni brandello di volontà di cui era dotato per impedirsi di colpire Owaen in faccia con la torcia accesa. In preda all'ira, si accorse soltanto in modo vago che intorno a loro si stava raccogliendo una folla, ma sentì Clwna che farfugliava istericamente nell'orecchio di qualche ascoltatore comprensivo mentre Owaen lo fissava con la bocca distorta da un sorriso di assoluto compiacimento. — Avanti, vecchio — commentò infine. — Non hai niente da dirmi? — Oh, le parole non mi mancano, ragazzino. Dimentichi che stai parlando con un bardo ed è davvero molto tempo che non compongo una canzone di derisione. — Non oseresti! — esclamò Owaen, con voce che era un infantile ululato di indignazione. — Non è giusto! A quel punto la folla degli spettatori scoppiò a ridere: nonostante tutta la sua abilità con la spada, infatti, Owaen aveva a tal punto l'aria del ragazzino indignato che lo stesso Maddyn fu costretto a ridacchiare fra sé, pen-
sando che in realtà non aveva importanza chi fosse la persona con cui Clwna si divertiva nel fieno. Era sul punto di dire qualche parola conciliatoria quando Owaen, rosso in volto, si slacciò la spada e la scagliò sull'acciottolato. — Benissimo allora, bardo! — ringhiò. — Estrarre la spada contro di te significa infrangere un geis, ma se porgi quella torcia a qualcun altro ti spiaccicherò la faccia sulle pietre del cortile. — Oh, per l'amore di ogni dio del cielo, Owaen — replicò stancamente Maddyn. — Lei non vale di certo che... Owaen attaccò per primo, uno schiaffo con la mano aperta che lui schivò appena in tempo. A quel punto si levarono delle grida e un paio degli uomini presenti fra la folla balzarono in avanti per bloccare il ragazzo. Urlando e imprecando, Owaen cercò di liberarsi ma i due lo trascinarono indietro e lo trattennero con forza, e dallo stemma sulla loro camicia Maddyn si accorse che anche loro erano due guardie. Un momento più tardi il motivo di quel comportamento insolitamente civile si fece largo fra gli astanti. — Che significa tutto questo? — domandò Wevryl, il capitano della guardia del re. — Owaen, per il nero posteriore del Signore dell'Inferno, giuro che i guai erano i tuoi genitori e guai doppi i tuoi nonni! Cosa stava facendo, bardo? — Nulla, davvero, tranne la figura dello stupido. — Scusami! — esplose Clwna, con un sottile gemito. — Non intendevo provocare guai, Maddo. — Fece una pausa per concedersi un paio di singhiozzi, poi aggiunse: — Non volevo, davvero. — Oh, allora è stato a causa di una ragazza, vero? — commentò il capitano, che appariva profondamente seccato. — Sempre la stessa noiosa storia. Dèi, ed è soltanto autunno! In che condizioni sarete voi ragazzi quando arriverà l'inverno? Benissimo, bardo, portati via la ragazza, d'accordo? Owaen, quanto a te ti toccheranno un paio di frustate nel cortile, domattina. Non intendo avere guai a causa di una sgualdrina delle cucine. Il volto di Owaen si tinse di un pallore mortale mentre fra la folla un paio di uomini ridacchiavano. — Suvvia, capitano — intervenne Maddyn, — se vuoi frustarlo a causa mia non ce n'è bisogno. — Non per causa tua... ma per mantenere la pace nella fortezza. E puoi riferirlo a quel contingente con cui cavalchi... non intendo tollerare questo genere di liti. Risparmiate la vostra sete di sangue per la primavera e per i nemici.
Il mattino successivo, quando Owaen venne trascinato nel cortile per ricevere le frustate, Maddyn si rifiutò di guardare anche se la maggior parte delle daghe d'argento e dell'altra gente della fortezza si raccolse tutt'intorno, considerando la cosa una sorta di divertimento. Con la compagnia del suo spiritello azzurro e di un paio di gnomi, il giovane si allontanò dalla scena e aggirò le stalle, sedendosi a pensare su una balla di fieno sotto i caldi raggi del sole e fu là che alla fine Caradoc lo trovò. — È finito? — chiese Maddyn. — Sì. Wevryl mi ha detto che Owaen non ha causato altro che guai fin da quando è andato in battaglia per la prima volta, vantandosi e pavoneggiandosi, quindi ha deciso che era arrivato il momento di insegnargli a stare al suo posto. È una cosa che mi fa dolere il cuore. Hanno messo quella giovane testa calda nella guardia personale del re perché è il migliore spadaccino che abbiano mai visto e così lui cosa fa? Resta in ozio per la maggior parte dell'anno a guardare il vecchio re dormire... non mi meraviglia che sia pronto a prendere fuoco come l'esca in estate. Starebbe meglio fra le daghe d'argento. — Continui a ripeterlo e se persiste ad essere così dannatamente arrogante può darsi che ti capiti l'occasione di reclutarlo. Come spesso si dice, i bardi hanno una sfumatura di potere profetico. Per quasi una settimana Maddyn non vide traccia di Owaen, neppure nella grande sala durante i pasti, perché a quanto pareva il ragazzo si stava tenendo assolutamente in disparte in attesa che le sue ferite guarissero... e per quanto due frustate potessero essere dolorose, Maddyn supponeva che ciò che più doveva farlo soffrire era di certo la vergogna. Dal momento che ogni daga d'argento sapeva bene che sapore avesse la vergogna, quando infine Owaen riapparve in pubblico ciascuna di esse fece tutto il possibile per trattarlo come se non fosse successo nulla, ma i giovani cavalieri scelti della guardia del re non possedevano altrettanta compassione acquisita a duro prezzo e non appena riprese il suo posto a tavola per la prima volta, rigido e controllato, Owaen fu accolto da un coro di fischi e da qualche commento davvero pesante sui cani frustati e sui canili. Dal momento che Wevryl non si vedeva da nessuna parte, Caradoc si addossò l'onere di svolgere in sua vece la funzione di capitano e si avvicinò per porre fine alla cosa. Rosso in volto, Owaen stava trangugiando birra con lo sguardo fisso sul piano del tavolo. Quando tornò indietro, Caradoc si sedette accanto a Maddyn. — Piccole vesciche piene di pus — commentò. — Quello è un modo
davvero stupido di trattare un uomo quando la tua vita potrebbe un giorno dipendere da lui in un combattimento. — Ed è ancora più stupido se si tratta di un uomo che ti potrebbe fare a pezzi senza neppure impegnarsi. — Purtroppo anche questo è vero. Più tardi quel mattino Maddyn era intento a strigliare il proprio cavallo davanti alle stalle quando Clwna gli si avvicinò con un sorriso nervoso e un'occhiata intralice. Se non fosse stata tanto magra e pallida, sarebbe stata una bella ragazza, ma i suoi capelli biondi puzzavano sempre di carne arrostita e c'era sempre del grasso sotto le sue unghie. — Non mi hai ancora perdonata, Maddo? — chiese. — Oh, certamente. Stanotte ci vediamo nel fienile? Clwna ridacchiò, nascondendosi la bocca dietro una mano con un gesto da dama di corte che in lei era in qualche modo patetico. — Senti, oggi devo scendere in città e voglio comprarti dei nastri dal sarto — continuò Maddyn. — Quali colori preferisci? — Oh, azzurro e verde. Ti ringrazio, Maddo, sei così dolce. Mi piaci più di chiunque altro. — Oho! A quanti ragazzi hai già detto la stessa cosa? — Soltanto a te, e forse ad Aethan, qualche volta, anche se ci sono dei momenti in cui mi fa paura — rispose Clwna, portandosi inconsciamente una mano alla gola. — A volte mi guarda in maniera tale che penso che stia per picchiarmi, ma poi dice soltanto qualche parola sgarbata e si allontana. — Quando si comporta così sta pensando ad un'altra donna, ragazza, non a te. Tieniti alla larga da lui se lo vedi di quell'umore. — Lo farò — rispose Clwna, poi si tese improvvisamente lanciandosi un'occhiata alle spalle. — Oh, dèi! Girandosi a sua volta, Maddyn scorse un gruppo di uomini della guardia che stava passando poco lontano, e Owaen in mezzo agli altri. Alla vista di Clwna, le guardie cominciarono a darsi di gomito a vicenda, ridacchiando. — Ecco la tua bella damigella, Owaen. Oh, non appare altrettanto appetitosa alla luce del giorno... ne valeva la pena, Owaen? Ne valeva la pena? In questo caso deve essere piccante come le spezie del Bardek. Owaen si allontanò in fretta con la bocca rigida e la testa alta, mentre Clwna fuggiva via scoppiando in pianto. Per un momento Maddyn pensò di seguirla, poi si disse che anche lei doveva imparare la lezione. Quella notte le prime sferzanti piogge invernali arrivarono dal mare me-
ridionale. Bloccati al chiuso senza altro divertimento che i dadi e la birra, gli uomini della guardia del re continuarono con le loro insistenti provocazioni, tanto che a Maddyn parve che ogni volta che vedeva Owaen c'era qualcuno dei suoi compagni che lo stava deridendo. C'erano battute a proposito di Clwna, battute sulla necessità di frustare i cani per farli obbedire, battute sugli uomini tanto stupidi da sfidare un bardo... prese in giro che si ripetevano incessanti, ognuna più stantia e priva di divertimento della precedente. Maddyn si accorse anche che Caradoc stava tenendo attentamente d'occhio la situazione, intervenendo spesso a porre fine alle prese in giro quando esse si facevano troppo cattive. Infine, dopo quattro giorni consecutivi di pioggia, la situazione esplose. Dopo cena, quella sera, Caradoc indugiò nella grande sala e tenne Maddyn con sé una volta che il resto delle daghe d'argento ebbe fatto ritorno nelle baracche. Dopo essersi fatti dare un paio di boccali di birra da una cameriera, i due si spostarono ad un tavolo nella curva della parete, da dove non potevano quasi essere visti a causa dell'ombra ma potevano scorgere bene Owaen, che sedeva ad un'estremità del tavolo riservato alle guardie. — Domani questa dannata tempesta finirà — commentò Caradoc. — Spero che qualcun altro faccia una stupidaggine per dare a tutti loro un nuovo capro espiatorio per gli scherzi. I due indugiarono nella sala per circa mezz'ora, mentre il bardo del principe si sforzava di cantare al di sopra delle risate e delle chiacchiere, e a causa di tutto quel rumore Maddyn non riuscì a sentire ciò che fece cominciare la lite. Improvvisamente Owaen e un altro ragazzo scattarono in piedi gridando uno contro l'altro in preda ad un'ira incontrollata e Caradoc scattò verso di loro, arrivando però troppo tardi. L'altro ragazzo afferrò la spada, estraendola, e Maddyn quasi non riuscì a distinguere il movimento di risposta di Owaen. Ci fu un bagliore di acciaio alla luce delle torce, poi il suo avversario barcollò all'indietro con il sangue che gli scorreva lungo la faccia. Caradoc lo sostenne e lo adagiò sulla paglia proprio mentre Maddyn li raggiungeva e tutt'intorno la sala esplodeva in un caos di grida e di urla. Accanto a loro, Owaen gettò sul tavolo la spada insanguinata e rimase a fissarla a bocca aperta, in preda allo shock, arrendendosi senza opporre resistenza quando alcuni uomini lo afferrarono alle spalle. Maddyn intanto si inginocchiò accanto a Caradoc e alla vittima sanguinante. — Quanto è grave la ferita? — Ferita? È morto. Quasi incredulo, Maddyn fissò il cadavere steso sul pavimento. Owaen
aveva colpito due volte in un solo velocissimo movimento, squarciando metà della faccia dell'avversario e poi tagliandogli la gola con un colpo di rovescio. Urlando e imprecando, gli altri uomini si raccolsero tutt'intorno e Caradoc e Maddyn affidarono a loro il corpo, facendosi largo fra la ressa in tempo per vedere una guardia che spingeva Owaen fuori della grande sala. Il ragazzo stava piangendo. — Maledizione! — ringhiò Caradoc. — È soltanto dannatamente troppo abile con quella spada. Se si fosse trattato di chiunque altro avrei potuto fermarlo in tempo. Ah, sterco di cavallo! — E un mucchio puzzolente, per di più. Sei disposto a scommettere che non si è neppure reso conto di aver ucciso quel ragazzo finché non ha sentito te che dicevi che era morto? Caradoc borbottò un'imprecazione sottovoce, poi andò in cerca dei loro boccali. Per una lunga ora lui e Maddyn rimasero in attesa del giudizio del Principe Cadlew insieme ad una folla nervosa, e alla fine due paggi con gli occhi brillanti per l'eccitazione scesero di corsa le scale per annunciare che il principe avrebbe fatto impiccare Owaen l'indomani. Dal momento che l'altro ragazzo aveva estratto la spada per primo, tutti ritennero ingiusta quella sentenza, ma nessuno poteva discutere con il principe; gli stessi compagni che avevano contribuito a portare Owaen a perdere il controllo furono i primi a difenderlo con chiunque altro mentre le cameriere si mettevano a piangere dicendo che Owaen era troppo attraente per morire così giovane. Per qualche tempo Caradoc continuò a bere incessantemente, poi sbatté di colpo il boccale sul tavolo. — Non intendo accettarlo! Che ne pensi, Maddo? Devo tirare fuori il collo di quel ragazzo dal cappio? — Senza dubbio, ma come? — Tu sta' a guardare. Chiama uno di quei dannati paggi. Dietro adeguato compenso, un paggio fu più che disposto a portare al principe la richiesta di un'udienza e dopo qualche minuto di attesa tornò per accompagnarli in una delle camere di ricevimento regali, una stanza sontuosa con mobili di quercia intagliata, spessi tappeti del Bardek azzurri e verdi e vero vetro alle finestre. Cadlew era in piedi accanto al focolare con un boccale d'oro pieno di sidro in mano, e quando Maddyn e Caradoc gli si inchinarono davanti rivolse loro un cenno cortese. — Alzatevi. Avete il permesso di parlare. — Vostra Altezza ha i miei umili ringraziamenti — replicò Caradoc. —
Molto tempo fa, nel cuore dell'estate, mi hai promesso di concedermi un favore, in qualsiasi momento lo avessi richiesto. — Infatti. Ricordo quella carica che hai guidato così abilmente. Per ricompensa ti posso dare un bel cavallo oppure un fodero ingioiellato per la tua daga. Ah, ci sono anche quelle nuove spade arrivate dal Bardek, che hanno un acciaio particolarmente fine. — Ecco, mio signore, io desidero qualcosa che ha molto meno valore, e che io sia dannato se non penso che in questo modo sto sprecando la mia richiesta. — Davvero? — commentò il principe, con un fugace sorriso. — È piacevole vedere che anche le daghe d'argento hanno dei capricci. Chiedi pure. — Mio signore, dammi la vita del giovane Owaen. Non impiccare quel ragazzo. Onestamente sorpreso, il principe si portò il boccale alle labbra e bevve un piccolo sorso, poi scrollò le spalle con nobile indifferenza. — Affare fatto, allora, ma ad una condizione: prendilo nella tua banda di guerra, perché non voglio altri problemi per causa sua. — Ringrazio umilmente Vostra Altezza. Non ti preoccupare, prima o poi riuscirò a forgiare quel ragazzo. — Capitano, non dubito che sapresti forgiare anche il Signore dell'Inferno, e più prima che poi. Lascia che convochi una guardia, perché non ho idea di dove lo abbiano messo. Guardie munite di torce accompagnarono Maddyn e Caradoc sul retro del cortile, dove alcune baracche rotonde che fungevano da magazzino si levavano a ridosso delle mura; un'altra guardia che stava appoggiata ad una minuscola costruzione priva di finestre e con una porta dotata di sbarre di ferro si trasse di lato con piacere nel sentire la notizia. — Non mi sembrava proprio giusto e sono felice che tu abbia fatto cambiare idea al nostro signore, capitano. Con una scrollata di spalle Caradoc sollevò la sbarra e aprì la porta. All'interno Owaen era seduto su un mucchio di paglia sporca con le braccia strette intorno alle ginocchia e la faccia segnata dal pianto. Nel vedere il gruppo sulla soglia, il ragazzo si affrettò ad alzarsi in piedi e ad assumere una rigida posizione di attenti, con la testa alta. — Siete già venuti ad impiccarmi? — chiese, con voce assolutamente piana. — Sarò felice di farla finita subito. — Non sarai impiccato, giovane idiota — replicò Caradoc. — Ho com-
prato il tuo perdono, ed ora esci di qui. Senza distogliere lo sguardo dal capitano, Owaen mosse qualche cauto e lento passo verso la porta, come se temesse di svegliarsi da un sogno meraviglioso; Caradoc lo afferrò per un braccio con una mano e con l'altra gli assestò uno schiaffo in pieno volto. — Questo è per aver dimenticato che ti trovavi nella grande sala del re — disse, affibbiandogli un secondo schiaffo ancora più forte. — E questo è per aver colpito due volte. Un'altro errore del genere e ti taglierò la gola. Mi hai capito? — Sì — riuscì a stento a sussurrare Owaen, con la bocca che senza dubbio gli doleva per gli schiaffi. — Ma perché perdonarmi? — Ti voglio nel mio contingente. Come daga d'argento avrai comunque una vita piuttosto corta. Owaen annuì, tremando, poi si girò a fissare il cortile come se costituisse lo spettacolo più bello del mondo; nel guardarlo Maddyn pensò che il ragazzo era andato molto vicino alle porte dell'Aldilà e che la sua non sarebbe stata una bella morte. — Ora ascoltami — continuò Caradoc. — Per te ho rinunciato alla possibilità di avere una di quelle spade del Bardek, quindi farai dannatamente meglio a combattere come un figlio di buona donna e a guadagnarti la tua paga. Adesso vieni con me. Manderò qualcun altro a prendere la tua roba negli alloggi delle guardie perché non voglio che ti avvicini per nessun motivo ai tuoi vecchi compagni. Senza smettere di tremare, Owaen annuì ancora, apparentemente incapace di parlare, e Maddyn gli posò una mano sulla spalla. — Nella nostra banda non c'è un solo uomo che non si sia coperto di vergogna almeno quanto te — gli disse, — e molti di noi hanno fatto cose dannatamente peggiori. Vieni, ragazzo, ti troverai meglio fra quelli come te. Owaen cominciò a ridere, una risata bassa e isterica che si protrasse per tutto il tragitto attraverso il cortile e fino agli alloggiamenti. Il cielo basso aveva il colore dell'ardesia e un vento gelido sferzava i rami degli alberi spogli che sorgevano come sentinelle sulle sponde dell'ampio lago artificiale. Una strada sopraelevata di pietra correva per circa un chilometro attraverso le acque grigie e fino all'isola su cui si ergeva la fortezza che era il palazzo di Casyl, re di Pyrdon. Sollevandosi sulle staffe, Nevyn poteva a stento vedere l'alta rocca al di sopra delle mura di pietra e
fece fermare il cavallo e il mulo da soma per studiare il posto che, se tutto fosse andato bene, sarebbe diventato la sua casa per alcuni anni a venire. Senza dubbio Drwloc corrispondeva alla descrizione data dall'oracolo di Wmm, dal momento che tutt'intorno all'isola erano raccolte macchie di canne acquatiche e che sulla spiaggia sabbiosa piccole imbarcazioni di cuoio erano tirate in secca in previsione dell'imminente tempesta. Il vecchio arrivò in fondo alla strada, dove due guardie stavano oziando davanti alle porte; nel vederlo i due uomini si raddrizzarono e assunsero un atteggiamento più attento perché con sua irritazione Nevyn si era vestito per l'occasione come un personaggio importante, sfoggiando ottimi calzoni grigi, una camicia del lino più candido e un mantello azzurro fermato da una splendida spilla ingioiellata, il tutto nuovo di zecca. Adesso non era più un erborista ma uno studioso girovago con lettere di presentazione da parte di importanti preti al servizio delle divinità principali. — Buon giorno, signore — salutò una delle guardie, con un profondo inchino. — Posso chiederti cosa ti conduce in questo palazzo? — Mi chiamo Nevyn e sono stato mandato da Retyc, il sommo sacerdote di Bel a Lughcarn, per offrirmi per la posizione di tutore del giovane principe. A quelle parole entrambe le guardie si inchinarono. — Ma certo, signore, ci era stato detto di aspettare il tuo arrivo. Prosegui pure, ma guarda dove metti i piedi perché ci sono alcuni punti scivolosi... colpa del muschio e dell'acqua. Per sicurezza, Nevyn smontò di sella e condusse a mano le sue bestie: larga appena quanto bastava per permettere a due cavalli di procedere affiancati, quella strada era una splendida misura difensiva perché in caso di necessità dieci uomini abili avrebbero potuto tenere a bada un esercito per un intero giorno... ma del resto la libertà di Pyrdon era stata conquistata e mantenuta grazie all'ingegno militare e a niente altro. La strada finiva su una piccola striscia di terreno spoglio che si stendeva davanti alle porte doppie e rinforzate in ferro della fortezza vera e propria. Là altre guardie accolsero il vecchio e lo fecero entrare nel cortile lastricato che era occupato da magazzini, stalle e alloggiamenti, segno evidente che la fortezza era stata organizzata avendo in mente la possibilità di un lungo assedio. Alcuni paggi vennero a prendere il cavallo e il mulo e un altro ragazzo scortò Nevyn nella rocca. Anche se lo stemma reale dello stallone rampante era stampato o intagliato dovunque, sulle sedie, sul focolare, sulle bandiere rosse e argento
appese alle pareti, gli arredi erano radi e fatti di legno scuro tagliato rozzamente, e al tavolo d'onore il re stesso sedeva su una comune sedia dal basso schienale, intento a bere birra da un semplice boccale di peltro. Casyl era un uomo alto e snello con radi capelli biondi e infossati occhi azzurri; le sue mani massicce erano segnate qua e là da cicatrici lasciate da piccole ferite subite in battaglia. Quando Nevyn accennò a inginocchiarsi davanti a lui il re lo bloccò con un cenno della mano e un cordiale sorriso. — Alla tua età puoi evitare il consueto strisciare, buon signore. Paggio, porta un po' di birra allo studioso. Nevyn occupò una sedia alla destra del re e tirò fuori dalla camicia le lettere di presentazione che aveva portato addosso per non rischiare di perderle; dopo aver dato un'occhiata ai sigilli, il re annuì per indicare che li aveva riconosciuti e gettò le lettere sul tavolo. — Più tardi chiederò al mio scriba di leggermele. Sfortunatamente, mio padre era un uomo all'antica e non mi ha mai insegnato a leggere una sola parola quando ero ragazzo. Adesso non ho più il tempo per concedermi simili lussi ma non voglio ripetere lo stesso errore con mio figlio. — È quanto mi hanno detto i preti di Wmm, Altezza, e ammiro un uomo che mostra rispetto per l'istruzione. — Non ne dubito, visto il tuo mestiere. Dunque, il mio scriba ha cominciato a insegnare al ragazzo a leggere, ma voglio qualcuno che lo possa istruire anche nella storia, nelle leggi e in altre cose del genere. Nella sua ultima lettera Pedraddyn di Wmmglaedd ha detto che avresti portato dei libri con te. — Li ho sul mulo da soma, Altezza, e nel caso che non dovessi aver bisogno dei miei servigi te li lascerò per il prossimo candidato. — Oh, puoi dare per scontato che ti fermerai qui. È stato tutto molto strano. Quando mi sono rivolto per la prima volta al tempio per avere un tutore, mi aspettavo che mi mandassero un prete, perché è questo il genere di tutore che inviano di solito nella fortezza di un re, invece mi hanno risposto di non avere a disposizione l'uomo giusto. Ho ottenuto la stessa risposta dovunque mi sono rivolto, e ti garantisco che ho chiesto in più di un luogo sacro. — Davvero? Senza dubbio è molto strano, Altezza. — Così sono stato dannatamente felice quando Pedraddyn mi ha scritto che eri saltato fuori tu. Senza dubbio è opera del Wyrd... chi può metterlo in discussione? Nevyn sorrise cortesemente e non rispose. Nonostante tutti quei suoi di-
scorsi sul Wyrd, Casyl trascorse comunque quasi un'ora ponendogli astute domande sul tipo di educazione che aveva in mente di impartire al principe; come la maggior parte degli uomini illetterati, il re aveva una memoria prodigiosa e da essa attinse riferimenti ad ogni libro o autore che aveva sentito menzionare nel corso degli anni, soltanto per vedere se anche Nevyn li conosceva. Avevano appena cominciato a discutere del mantenimento e della paga di Nevyn quando alla porta scoppiò una certa confusione: una cameriera strillò, una guardia imprecò e gridò, poi un enorme cane da cinghiali nero e grigio si precipitò nella grande sala stringendo in bocca un pollo decisamente morto, inseguito da un ragazzino biondo e pallido quanto Casyl che, urlando con quanto fiato aveva, inseguì il cane in preda al panico fin sotto il seggio reale, in maniera tanto improvvisa che per poco il cane non fece cadere per terra il re. Imprecando, Casyl si spostò di scatto e il ragazzo si lanciò in avanti, afferrando il cane per il collare. — Restituiscilo, Spider! Cane cattivo! — Maryn, per la grassa groppa del cavallo di Epona! Non vedi che sto parlando con un ospite importante? — Chiedo scusa, padre — rispose il principe, procedendo a tirare fuori il cane da sotto la sedia, — ma lui lo ha rubato ed io ho detto al cuoco che lo avrei recuperato, perché è il mio cane. Con un drammatico sospiro il re si trasse di lato e lasciò che il ragazzo strappasse l'ormai malconcio e senza dubbi non più commestibile volatile dalle fauci del cane, mentre Nevyn osservava la scena fra l'affascinato e il divertito: dunque era quello il futuro re di tutto Deverry e di Eldidd. Com'era necessario per la riuscita del piano, si trattava di un bel ragazzo con grandi e solenni occhi grigi, un roseo volto ovale e ordinati capelli dorati. — Vuoi portare quel pollo sanguinante fuori dalla mia grande sala? — ringhiò Casyl. — Avanti, chiamerò un paggio. — Per favore, padre, è meglio che lo riporti indietro di persona, perché l'ho promesso al cuoco. — Benissimo, allora, ma torna indietro quando avrai finito — decise il re, assestando senza troppa decisione un calcio al cane. — Vattene, cane! Il quadrupede e il principe ereditario si affrettarono ad allontanarsi dalla presenza reale e con un sospiro Casyl si rimise a sedere, prendendo il boccale che aveva posato sul tavolo. — È un ragazzo selvaggio, buon studioso, e questa è una corte piuttosto rude, come avrai senza dubbio notato. — Ecco, Altezza, c'è molta virtù in una vita semplice in condizioni me-
no che facili. — Ben detto. Vedo che se non altro sarai in grado di insegnare al principe ad avere tatto. Non ho motivo di fingere una pompa che non mi posso permettere. La gloria del mio regno è sempre stata costituita dai miei soldati e non dalle buone maniere. — Ed è meglio che il giovane Maryn lo impari, mio signore, se vorrà avere un regno da governare, quando arriverà il suo turno. Nevyn impiegò qualche tempo ad adeguarsi alla vita del palazzo. La mattina impartiva le lezioni a Maryn ma nel pomeriggio il principe andava ad addestrarsi a cavalcare e a usare la spada con il capitano della banda di guerra e in un primo tempo Nevyn si trovò a trascorrere molto tempo da solo nella sua grande stanza a forma di cuneo sulla sommità della rocca. La camera era ben arredata con un letto, uno scrittoio e una pesante cassapanca intagliata per il suo vestiario, ma la caratteristica migliore in assoluto era il panorama, la vasta distesa del lago sottostante e dell'ondulato terreno agricolo al di là di esso. Durante i pasti il vecchio mangiava con gli altri servitori di alto lignaggio e i loro parenti: il bardo, il ciambellano, lo scudiero e il chirurgo del re. In un primo tempo essi lo tennero d'occhio con cautela perché volevano conservare per sé lo speciale favore del re, ma dal momento che a Nevyn non interessavano né i privilegi né le piccole dimostrazioni di rango ben presto lo accettarono fra loro. Per gli studi di Maryn il vecchio aveva portato con sé una quantità di testi importanti, fra i quali i precetti generali delle leggi per principianti e parecchi volumi di storia che partivano dall'Alba dei Tempi e proseguivano attraverso gli armali di svariati re di Deverry e di Eldidd. In seguito era intenzionato a mandare a chiedere ad Aberwyn una copia dei libri del Principe Mael e in particolare del trattato sulla nobiltà, ma per ora quei volumi sarebbero risultati troppo difficili per un principiante. Ogni mattina faceva leggere per qualche tempo il ragazzo ad alta voce, e Maryn arrivava fino in fondo incespicando ma senza arrestarsi, poi prendeva il libro e finiva lui stesso il brano, procedendo quindi a discutere con il ragazzo quello che avevano letto. Non appena si fu reso conto che la storia era piena di battaglie e di scandali in pari misura, Maryn sviluppò un interesse sempre maggiore per lo studio. Una volta che fu diventato una figura ormai nota a palazzo, Nevyn cominciò a passare qualche tempo con la regina, che era lieta di avere nella fortezza una persona istruita. Seryan apparteneva alla discendenza dei pretendenti al trono di Cantrae ed era una lontana cugina dell'attuale re,
Slwmar Secondo. A diciannove anni era stata data in sposa a Casyl... decisamente contro la sua volontà perché non soltanto il re era di cinque anni più giovane di lei ma per di più il suo regno era un luogo aspro e selvaggio se paragonato alla sua casa di Lughcarn. Adesso però aveva le due figlie maggiori e il giovane Maryn a tenerla occupata e, come confessò un giorno a Nevyn, con il tempo si era affezionata a Casyl. — Se ad un vecchio è permesso di parlare con franchezza — replicò questi, — lui è un uomo molto migliore del branco di furetti raccolto intorno al trono di Cantrae. — Oh, sono d'accordo con te, adesso, ma cosa ne può sapere una ragazza di diciannove anni? Tutto ciò a cui riuscivo a pensare era che lui era un ragazzo terribilmente giovane e che non avrei mai più potuto partecipare alle splendide feste date da mia madre. Con un sospiro, la regina cambiò quindi argomento, spostandolo dalle questioni personali ad una particolare canzone che il bardo aveva eseguito nella grande sala la sera precedente. La prima neve cadde non molto tempo dopo l'arrivo di Nevyn: il lago si trasformò in una solida lastra ghiacciata e le campagne circostanti furono avvolte da un bianco sudario, con distanti fili di fumo a contrassegnare i punti in cui sorgevano le case. La vita nella fortezza si assestò in una lenta routine accentrata intorno agli ampi focolari della grande sala, dove i nobili sedevano vicino alle fiamme e i servi se ne stavano sdraiati sulla paglia calda insieme ai cani. A mano a mano che le settimane si susseguivano sonnolente, Nevyn cominciò sinceramente ad affezionarsi a Maryn, che era un ragazzo difficile da trovare antipatico... sempre allegro, sempre cortese, estremamente sicuro di sé a causa della propria posizione di principe ereditario e tuttavia onestamente preoccupato per il benessere degli altri. Nevyn sapeva che se la sua opera fosse stata coronata da successo e Maryn fosse effettivamente salito sul trono di Deverry, tutti avrebbero guardato indietro alla sua fanciullezza e avrebbero detto che il ragazzo era nato per essere re. Senza dubbio sarebbero sorte piccole leggende che avrebbero parlato di un coraggio superiore ai suoi anni e i normali eventi della sua infanzia sarebbero stati visti come presagi... e il fatto che sua madre fosse una donna molto intelligente e suo padre un uomo insolitamente d'onore non sarebbe mai rientrato in quei ragionamenti. Del resto, Nevyn era più che disposto a lasciare che le cose prendessero quella piega... dopo tutto lui voleva creare un mito, non scrivere la storia. E quel mito parve deciso a crearsi da solo. Poco tempo dopo la Festa del
Sole, che contrassegnava anche il decimo compleanno di Maryn, il principe si presentò nella stanza del suo tutore per la solita lezione in preda ad un umore insolitamente pensoso, e poiché la sua mente continuò a vagare per tutto il tempo della lettura alla fine Nevyn gli chiese cosa ci fosse che non andava. — Oh, in realtà nulla. Signore, tu sei però un uomo saggio... sai dirmi cosa significano i sogni? — A volte sì, ma alcuni sogni significano soltanto che hai mangiato troppo prima di andare a letto. Maryn ridacchiò, poi piegò il capo da un lato in atteggiamento assorto. — Non credo che si sia trattato di quel genere di sogno: mentre dormivo sembrava molto reale ma quando mi sono svegliato mi è parso stupido — replicò, contorcendosi sulla sedia per l'imbarazzo. — Mio padre dice che un vero principe non si deve mai dare delle arie. — Tuo padre ha ragione, ma nessuno ti può biasimare per quello che fai nei sogni. Se vuoi, puoi raccontarmi di cosa si tratta. — Ho sognato di essere il re di tutto Deverry, ed era terribilmente realistico. Vedi, ero alla testa del mio esercito e potevo sentire l'odore dei cavalli e tutto il resto. Eravamo in Cantrae e stavamo vincendo. C'eri anche tu, signore, ed eri il mio consigliere. Io ero tutto sporco e sudato perché avevo combattuto, ma gli uomini mi stavano applaudendo e mi chiamavano re. Per un momento Nevyn fece fatica a respirare. Era possibile che il principe avesse soltanto raccolto qualche immagine dalla mente del suo tutore, nello strano modo in cui a volte i bambini riescono a leggere nella mente degli adulti che vogliono compiacere, ma i dettagli come l'odore dei cavalli erano così precisi da indurlo a dubitarne. — Credi che sia pazzo, vero? — chiese il principe. — Per nulla. Sei bravo a tenere i segreti? — Molto, e se vuoi sono pronto a giurare. Nevyn fissò il ragazzo negli occhi, là dove l'anima arde come un fuoco disposto nel focolare e in attesa soltanto di una scintilla nell'esca. — Giurami che non ripeterai mai quanto sto per dirti né a tuo padre né a tua madre, né a un prete o a chiunque altro. — Lo giuro sull'onore del mio clan, sulla mia discendenza reale, e sugli dèi del mio popolo. — Benissimo. Un giorno tu sarai re... re di tutto Deverry. Il grande dio Wmm ti ha contrassegnato tramite il suo oracolo e mi ha mandato qui per
aiutarti. Quando Maryn distolse lo sguardo, pallido in volto, la sua morbida bocca di bambino era spalancata, ma i suoi occhi erano quelli del re futuro. — Tu possiedi il dweomer, vero, signore, proprio come nelle storie? Oh, ma mio padre dice che non esiste più una cosa come il dweomer, che è finito tutto nell'Alba dei Tempi. — Davvero, mio signore? Guarda il focolare. Nevyn convocò il Popolo Fatato, che cortesemente estinse dapprima il fuoco e poi lo riaccese con una grande fiammata quando Nevyn schioccò le dita. Maryn scattò in piedi e sorrise. — Oh, è splendido! Allora il mio era un sogno vero? — Sì, ma non ne fare parola con anima viva finché io non ti dirò che i tempi sono maturi. — Morirò piuttosto che parlarne. Il ragazzo pronunciò quelle parole tanto solennemente da sembrare più un uomo che un bambino, intrappolato in uno di quei rari momenti in cui i livelli dell'anima di un individuo si fondono e lasciano affiorare qualcosa del suo Wyrd fino alla mente cosciente. Poi quel momento svanì. — Bene, se dovrò essere re suppongo che farò meglio a imparare tutte queste dannate leggi, ma sono così noiose! Non possiamo leggere qualcosa che parli di battaglie, almeno per un po'? — Molto bene. Come desidera il mio principe. Quella notte, Nevyn dovette ammettere con se stesso di essere soddisfatto per come le cose stavano andando. Adesso poteva soltanto sperare di avere tempo a sufficienza per addestrare adeguatamente il ragazzo, almeno altri cinque anni: anche se sapeva che non si sarebbe mai allontanato dal fianco di Maryn finché le lunghe guerre non fossero finite, voleva infatti mettere sul trono un vero re e non un fantoccio. QUATTRO Anno 842. Mentre stava passeggiando lungo la riva del fiume, il sommo sacerdote Retyc vide questo presagio: uno stormo di passeri stava becchettando fra l'erba e improvvisamente vicino ad essi passò un corvo. Subito tutti i passeri si levarono in volo per seguirlo come se fosse stato un altro passero e il capo del loro stormo. Da questo sua santità dedusse che un giorno un uomo di un altro popolo sarebbe venuto per guidare in guerra gli uomini di
Deverry... Le Sacre Cronache di Lughcarn Sul finire di un caldo giorno di autunno le daghe d'argento si accamparono sulla riva erbosa del Trebycaver, un'operazione caratterizzata da un caos organizzato, con novanta uomini che si occupavano di centocinquanta cavalli, quindici donne che seguivano la banda intente a piantare le tende e a tirare fuori le scorte di viveri da un paio di carri e una manciata di figli bastardi che correvano di qua e di là finalmente liberi di muoversi dopo una giornata trascorsa in sella dietro a questo o a quello. Mentre gli altri lavoravano, Maddyn e Caradoc passarono in mezzo alla confusione, gridando un ordine o scambiando una battuta scherzosa; accanto ad un mucchio di selle una stanca Clwna stava allattando la figlia avuta da poco, Pomyan, e la ragazza aveva l'aria tanto pallida e malata che Maddyn le si accoccolò accanto. — Come ti senti? Non avresti dovuto cavalcare tanto dopo aver avuto il bambino. — Oh, sto bene a sufficienza. È stato meglio che non riuscire mai a raggiungerti. — Avremmo potuto aspettare qualche giorno. — Già, sono certa che il capitano avrebbe aspettato una come me — ribatté la ragazza, spostando la piccola da un seno all'altro e fissando Maddyn con occhi un po' annebbiati. Mentre le sorrideva, lui si chiese chi fosse il padre della piccola, una perenne domanda che riguardava ogni bambino che nasceva dalle donne che seguivano la banda, anche se lui era il solo a cui sembrasse importare della cosa. Quando Caradoc lo chiamò perché proseguisse il giro con lui, Maddyn gli accennò della propria impressione che Clwna fosse malata. — Adesso avrà comunque un paio di giorni per riposare — replicò Caradoc. — Credo che lascerò qui questa marmaglia che passa per una banda di guerra mentre tu e io andiamo a far visita a questo cosiddetto Re Casyl. — Benissimo. Ammetto che ultimamente non abbiamo un aspetto particolarmente bello. — Non lo abbiamo mai avuto, e tutte queste dannate donne con i loro marmocchi non ci aiutano certo a darci un bel contegno militare. — Avresti potuto ordinarci di lasciarle indietro quando ce ne siamo andati da Eldidd. — Stupidaggini. Che tu ci creda o meno, ragazzo, nel cuore del tuo vec-
chio capitano c'è ancora un po' di onore. Quelle donne sono un mucchio di sgualdrine, ma sono stati i miei uomini a gonfiare loro il ventre, giusto? E poi erano già in troppi a borbottare per il fatto che stavamo partendo da Eldidd e non volevo rischiare un ammutinamento vero e proprio — replicò Caradoc, con un profondo e malinconico sorriso. — Ci siamo rammolliti, laggiù. È questo il pericolo di fermarsi troppo a lungo nello stesso posto. Avremmo dovuto lasciare Eldidd molto tempo prima. — Ancora non capisco perché lo abbiamo fatto adesso. Caradoc gli lanciò un'occhiata in tralice e lo precedette fuori del campo e fino alla riva del fiume, le cui acque scintillavano dorate fra le rive erbose sotto i raggi del sole al tramonto. — Non ripetere a nessuno quello che sto per dirti, se non vuoi che ti fracassi la faccia — avvertì, — ma ce ne siamo andati perché ho fatto un sogno. Maddyn si limitò a fissarlo, francamente a corto di parole. — Nel sogno qualcuno mi diceva che era giunto il momento... non chiedermi perché o per che cosa, ma ho sentito la sua voce e sembrava quella di un re, arrogante e imperiosa, che mi diceva che era tempo di andarcene e di puntare a nord. Se qui in Pyrdon moriremo di fame allora sapremo che quel messaggio veniva dai demoni ma gli dèi mi sono testimoni che non avevo mai fatto un sogno come quello. Ho cercato di ignorarlo per un dannato mese, ma ha continuato a perseguitarmi. Se vuoi, puoi anche pensare che sia impazzito. — Nulla del genere, ma devo ammettere che sono sorpreso dal profondo del mio cuore. — Mai quanto lo sono io. Sto diventando vecchio e stupido, e presto me ne starò seduto a farfugliare su una sedia accanto al fuoco di una taverna — sospirò di nuovo Caradoc, scuotendo il capo con finta tristezza. — Adesso però siamo a circa quindici chilometri dalla fortezza di Re Casyl. Domani andremo là e verificheremo con esattezza quanto sono stato pazzo. Ora però torniamo al campo: intendo affidare il comando ad Owaen e voglio impartirgli degli ordini. L'indomani Maddyn e Caradoc lasciarono il campo di buon'ora e seguirono il fiume fino alla città di Drwloc; dopo lo splendore di Abernaudd, la città non apparve loro granché come capitale reale, appena duemila case addossate le une alle altre all'interno di mura di pietra e di legno, e mentre percorrevano le strade pavimentate con pezzi di tronco infossati nel terreno per mancanza di ciottoli, Maddyn cominciò a chiedersi se per caso Cara-
doc non fosse effettivamente impazzito... se quella era la perla del regno, sembrava infatti che il re non sarebbe stato in grado di permettersi di assoldare le daghe d'argento. I due trovarono una taverna vicino alle porte settentrionali, ordinarono della birra e posero alcune noncuranti domande sul conto del re e sulle sue tenute, e quando il taverniere parlò loro dell'onore, del coraggio e della lungimiranza del suo signore, senza accennare a lussi o a riserve di contanti, Caradoc si fece decisamente cupo. — Dimmi una cosa — chiese infine. — Sua Grazia mantiene un grande esercito permanente? — Nella misura in cui è in grado di mantenerlo. Non si può mai sapere cosa faranno quei cani di Eldidd. Quelle notizie servirono a migliorare l'umore di Caradoc mentre i due uscivano con i loro boccali per sedersi su una piccola panca di legno davanti alla taverna, osservando la gente che passava loro davanti nell'aria calda e pigra... un vecchio contadino che tirava un mulo carico di cavoli, un giovane mercante che indossava calzoni a scacchi abbondantemente rammendati, una ragazza graziosa che li ignorò entrambi in maniera decisamente voluta. — Saremmo dovuti venire al nord prima di adesso — commentò Caradoc. — Sua Altezza non vorrà nutrire altri uomini per tutto l'inverno ora che i combattimenti estivi si sono conclusi. Ah, dannazione a quel sogno! Possa il demone che me lo ha mandato annegare in un abbeveratoio pieno di urina di cavallo! — Ecco, non corriamo nessun rischio ad andare fino alla fortezza per valutare la situazione. Caradoc riprese a sorseggiare la sua birra con un cupo cenno di assenso, e in quel momento in fondo alla strada tortuosa echeggiò il suono di un corno d'argento, annunciando una squadra di cavalieri che venne avanti mantenendo i cavalli ad un'andatura lenta e solenne. In capo al gruppo procedevano due uomini che portavano sulla camicia lo stemma dello stallone che si impennava, e altri quattro cavalieri di scorta chiudevano la colonna al centro della quale c'era un ragazzo attraente di circa quattordici anni in sella ad uno splendido castrato baio; il plaid bianco, rosso e oro del ragazzo era gettato all'indietro e fermato su una spalla con un'enorme spilla d'oro e rubini, e accanto a lui su un baio uguale a quello del giovane procedeva un vecchio con una massa di capelli bianchi e penetranti occhi azzurri. Maddyn rimase a fissarlo per un momento, poi balzò in piedi con un grido. — Nevyn! Per tutti gli dèi!
Con un ampio sorriso, il vecchio allontanò il cavallo dal gruppo e agitò una mano in un cenno di saluto; soffermatosi per un momento per dire qualcosa al ragazzo, raggiunse quindi le due daghe d'argento, e smontò di sella proprio mentre Maddyn gli veniva incontro di corsa per salutarlo, stringendo con vigore la mano che il vecchio gli offriva. — Per gli inferni, sono davvero felice di vederti, signore! — Ed io di vedere te — rispose Nevyn, con un sorriso un po' astuto. — Ti avevo detto che le nostre strade si sarebbero incrociate ancora. — E avevi ragione. Cosa ci fai qui in Pyrdon? — Sono il tutore del principe ereditario. Il resto delle daghe d'argento è con voi? — Non è lontano, perché siamo accampati vicino al fiume. Un momento... come fai a sapere di loro? — Tu che ne pensi? Il tuo capitano ha fatto strani sogni, ultimamente? Maddyn si sentì gelare e un senso di reverenziale meraviglia gli scivolò lungo la schiena come neve sciolta. Intanto il perplesso Caradoc si avvicinò con il boccale in mano per unirsi a loro mentre il giovane principe smontava di sella e li raggiungeva guidando il cavallo per le redini. Maddyn e Caradoc s'inginocchiarono in segno di saluto e il ragazzo rivolse loro un cenno che risultò splendidamente deciso per una persona tanto giovane. Nel guardarlo, Maddyn rimase subito impressionato dalla sua nobiltà, dall'atteggiamento aggraziato, dalla posa orgogliosa della testa e dal modo disinvolto con cui la sua mano poggiava sull'elsa della spada, come se avesse già visto molte battaglie nonostante la sua giovane età, e pensò che quello era senza dubbio un principe nato per essere re. A quel pensiero la sensazione di raggelante meraviglia si intensificò e lui si chiese cosa stesse facendo esattamente Nevyn in quel regno semisconosciuto. — Altezza — stava intanto dicendo il vecchio, — permettimi di presentarti Maddyn la daga d'argento e il capitano della loro banda, Caradoc di Cerrmor. Uomini, siete inginocchiati dinanzi a Meryn, principe ereditario di Pyrdon. Nel sentir menzionare con noncuranza il proprio nome da un uomo che non conosceva, Caradoc fissò Nevyn con occhi roventi ma il vecchio lo ignorò ed esibì un blando sorriso. — Siete daghe d'argento? — domandò Maryn, con un sorriso infantile e accattivante. — Anche se Pyrdon è all'estremo capo della terra abbiamo sentito parlare del vostro contingente. In quanti siete? — Novanta, altezza — rispose Caradoc, — e abbiamo un nostro fabbro,
un chirurgo e un bardo. Maryn lanciò un'occhiata a Nevyn per avere un consiglio. — Varrebbe la pena di dare loro un'occhiata, Altezza, ma prima ti dovrai naturalmente consultare con tuo padre il re. — Benissimo, allora. Uomini, potete alzarvi in piedi alla mia presenza — ribatté il principe, poi scoccò un'altra occhiata a Nevyn e aggiunse: — Non credi che potremmo andare subito a vederli? — Non con il re che ti aspetta di ritorno. Chiedi al capitano di portarti i suoi uomini domani perché tu possa vederli. — D'accordo. Capitano Caradoc, raduna il tuo contingente davanti alle porte del palazzo reale domattina, e fammi avvertire per mezzo delle guardie che sorvegliano la strada. — Come vuole Vostra Altezza. Arriveremo verso mezzogiorno. Con una risata eccitata, il principe tornò a grandi passi verso i propri uomini e Nevyn lo seguì dopo aver strizzato l'occhio in direzione di Maddyn. Caradoc rimase a fissare a bocca aperta la scorta reale fino a quando non fu scomparsa dalla sua vista, poi si chinò a raccogliere il boccale che aveva posato per terra e precedette il compagno verso la panca, su cui si sedette con un sospiro esageratamente accentuato. — D'accordo, Maddo... chi è quel vecchio? — L'erborista che mi ha salvato la vita in Cantrae... ricordi quando ti ho parlato di Brin Toraedic? Inoltre è lo stesso che ha consigliato a Caudyr di andarsene da Dun Deverry. — Un erborista come tutore di un principe? Sterco di cavallo. — Oh, per gli dèi, non riesci a vedere le cose neppure quando le hai sotto il naso? Quel vecchio possiede il dweomer. Caradoc quasi si strozzò con un sorso di birra. — Ha ammesso con me di essere stato lui a mandarti quel sogno — aggiunse Maddyn, quando lui si fu ripreso. — Benissimo, se otterremo questo lavoro di certo non sarà noioso, giusto? Uomini del dweomer, impressionanti giovani principi... sembra una delle tue canzoni. — Oh, è una cosa più strana di qualsiasi canzone che conosca. Se Nevyn è venuto a vivere in Pyrdon scommetto che c'è in gioco qualcosa di grosso e che soltanto gli dèi sanno di cosa si tratti. — Un momento — scattò Casyl. — Quando ho parlato di procurarti una guardia personale stavo pensando a venti uomini, non a novanta.
— Ma è inevitabile che la prossima estate ci siano dei combattimenti, padre, e sarebbe splendido se io potessi comandare quasi cento uomini. — Comandare? Ascoltami, giovane cucciolo: ti ho ripetuto mille volte che resterai nelle retrovie durante la tua prima campagna. — Se sei così preoccupato per me, quanti più uomini avrò intorno tanto più sarò al sicuro. Casyl ringhiò sottovoce, ma la sua era un'esasperazione permeata di affetto. — Mio sovrano? — interloquì Nevyn. — Posso dire una parola? — Ma certo. — Anche se dubito delle motivazioni del principe, la sua affermazione è vera... una guardia più numerosa darà più sicurezza e potrebbe benissimo venire presto il tempo in cui lui avrà bisogno di molti uomini intorno a sé. Casyl si girò a guardarlo con occhi socchiusi; i tre si trovavano nella trasandata sala del consiglio, seduti ad una tavola rotonda decorata soltanto con un paio di traballanti candelabri di bronzo. — Padre — insistette Maryn, protendendosi sul tavolo, — tu sai che i presagi di Nevyn si avverano sempre. — Questa non è una questione di predizioni ma di denaro. Come faremo a pagare e a nutrire cento mercenari? — Ho le tasse che provengono da quel pezzo di terra a mio nome, e serviranno a nutrire le truppe. Tanto per cominciare, quest'autunno mi spetteranno due grasse mucche. — E quanto ci metteranno quegli uomini affamati a mangiare la loro carne? — Padre! Hai sentito anche tu quelle storie sulle daghe d'argento. Se soltanto la metà di quanto dicono è vero, combattono come demoni usciti dall'inferno. Casyl si appoggiò allo schienale della sedia e si massaggiò il mento con il dorso della mano mentre rifletteva; accanto a lui Nevyn attese in silenzio perché sapeva ormai che Maryn l'avrebbe avuta vinta. — Bene — decise infine il re, — non ho ancora dato loro un'occhiata. Domani li passerò in rivista e poi vedremo. — Ti ringrazio, padre. Sai che il principe è sempre sottomesso agli ordini del suo re. — Va' da tua madre, piccolo ipocrita. Prima mi ha detto che voleva scambiare qualche parola con te. Maryn gli rivolse un inchino formale, indirizzò un cenno a Nevyn e uscì
di corsa dalla stanza, sbattendosi la porta alle spalle e mettendosi a fischiare sonoramente nel correre lungo il corridoio. — Ah, dèi, la prossima estate mio figlio andrà in guerra. Questa notte mi sento vecchio quanto te, Nevyn. — Non ne dubito, Altezza, ma quando Maryn parla delle glorie della guerra io sento ancora un ragazzo e non un uomo. — Senza dubbio, ma imparerà. Spero soltanto che la nostra prossima campagna non si riveli difficile. Dimmi, hai davvero avuto qualche presagio? — Una specie. Sua Altezza il re di Cerrmor morirà presto, credo prima della fine dell'inverno. Casyl s'immobilizzò, serrando le mani intorno ai braccioli della sedia. — Il suo unico figlio è morto — continuò intanto Nevyn, — e le sue tre figlie sono ancora troppo giovani per avere degli eredi. Dimmi, Altezza, hai mai pensato di diventare re di Deverry? Quando Glyn morirà, sarai tu il suo erede. — Ah, per gli dèi, non è possibile! È ancora giovane. — Febbri e malattie del genere assalgono i giovani come i vecchi. È meglio che Vostra Altezza rifletta con cautela, perché avendo una moglie di Cantrae non sarà molto popolare presso i suoi nuovi vassalli. Casyl era talmente immobile, con le palpebre pesanti e abbassate, da dare l'impressione di essere addormentato, e Nevyn gli concesse qualche momento di riflessione prima di riprendere a parlare. — Cosa intende fare Vostra Altezza a proposito delle daghe d'argento? Ti serviranno uomini del genere, se vorrai avere una possibilità di reclamare il trono di Cerrmor. — Una possibilità? Non essere idiota, uomo! Anche se il mio esercito fosse il doppio di quello che è le mie possibilità sarebbero all'incirca le stesse di una mosca nell'acqua saponata, e credo che tu lo sappia. — Se i signori di Cerrmor ti accetteranno avrai ottime possibilità, mio signore. Casyl si alzò e si avvicinò alla finestra aperta, da dove l'aria fredda della notte entrava pervasa da un intenso odore di umidità. — Se spoglierò il mio regno di tutti i miei uomini per marciare su Cerrmor le truppe di Eldidd lo invaderanno. Si tratta di barattare un regno con un altro, giusto? Di gettare via la terra che già possiedo per cercare di conquistarne una che non ho mai visto. A Cerrmor ci sono uomini che hanno diritti di successione validi quanto i miei: da qualche parte nel passato del-
la mia famiglia c'è stato un figlio bastardo e le altre fazioni se ne potrebbero servire facilmente contro di me. Intanto, mentre noi litigheremo per la successione al trono di Cerrmor, Cantrae si impossesserà del resto del regno. A te sembra uno scambio vantaggioso? — No, mio signore, soprattutto se si considera che conosco un uomo che ha maggiori diritti sul trono di tutto Deverry di qualsiasi altra persona vivente. — Davvero? — replicò Casyl, girandosi e appoggiandosi con noncuranza all'intelaiatura della finestra, con un sorrisetto di interesse puramente accademico sulle labbra. — E chi sarebbe? — Davvero Vostra Altezza non ne ha idea? Casyl s'immobilizzò e la sua bocca si contorse in una smorfia di dolore. — Credo che tu lo sappia — proseguì Nevyn, inesorabile. — È tuo figlio, mio signore. Mentre una moglie proveniente da Cantrae potrebbe giocare a tuo svantaggio, una madre di Cantrae centuplica la forza della posizione di Maryn, che ha legami potenti con ogni linea di discendenza reale, perfino quella di Eldidd. — È vero — ammise Casyl, con voce ridotta ad un sussurro. — Oh, dèi! Prima d'ora non ci avevo mai pensato perché non avrei mai immaginato che la linea di Cerrmor si spezzasse in questo modo. Pensi che Maryn abbia una possibilità di essere accettato o dovrà arrivare al trono combattendo? — Credo che Cerrmor lo accoglierà volentieri. Pensi forse che vogliano invece sul trono un re di Cantrae? — Certamente no — convenne Casyl, cominciando a passeggiare avanti e indietro. — Quella fino al trono sarà una strada dura e pericolosa, ma posso negare a mio figlio di reclamare il suo Wyrd? — C'è in gioco qualcosa di più importante del Wyrd di Maryn, perché questa è una questione di grave importanza per l'intero regno. Mi rendo conto di aver parlato di strani presagi e di cose del genere senza un brandello di prova, ma tu saprai che ho detto la verità quando ti arriverà la notizia della morte di Glyn. Nel frattempo, potrebbe essere una buona mossa politica assoldare per Maryn la guardia più numerosa possibile. — Una mossa davvero politica, se lui è l'erede di due troni. D'accordo, allora, domani darò un'occhiata a quelle daghe d'argento. L'indomani mattina Maryn si mostrò più inquieto di quanto ci si potesse aspettare dalla semplice eccitazione derivante dalla possibilità di acquisire una sua personale guardia del corpo, e quando Nevyn gli suggerì di scam-
biare due chiacchiere il principe insistette per lasciare la fortezza e scendere sulla stretta spiaggia sabbiosa dell'isola, dove avrebbero potuto parlare in privato. Anche se la temperatura era ancora piuttosto calda per la stagione, sottili nubi tempestavano il cielo e le foglie delle betulle si erano ormai tinte di un giallo malsano. — Molto bene, Altezza — disse Nevyn, non appena si furono sistemati su una sporgenza di roccia. — Quale grave questione ti turba? — Forse non è niente e sto soltanto impazzendo o qualcosa del genere. — Davvero? Dimmi di cosa si tratta. — Ecco... quando ho incontrato quelle daghe d'argento, ieri, ho avuto una sensazione stranissima. Questo è l'inizio, ha detto qualcosa dentro di me. Capita di sentire di uomini il cui Wyrd parla loro, ma prima d'ora non avevo mai veramente capito cosa significasse. Adesso lo so perché ho sentito il mio Wyrd dirmi quelle parole... oppure sto impazzendo? — Non sei affatto impazzito. Senza dubbio il tuo Wyrd si sta avvicinando. Senza replicare, il principe fissò lo sguardo sulle acque del lago che erano mosse da piccole onde a causa del vento che scuoteva le betulle. — Vostra Altezza ha paura? — chiese Nevyn. — Non per me stesso... è solo che mi è appena venuta in mente una cosa. Nevyn, se sono destinato ad essere re, degli uomini moriranno per me perché ci dovrà essere una guerra prima che io possa reclamare il trono. — È vero. Il ragazzo rimase ancora in silenzio a lungo, apparendo così giovane, con il volto assurdamente liscio e gli occhi sgranati, da far sembrare impossibile che lì sedesse il vero re di tutto Deverry. Anche se aveva risposto bene al suo addestramento, a quattordici anni Maryn era ancora tutt'altro che pronto al lavoro che lo aspettava, ma del resto Nevyn dubitava che qualsiasi uomo, per quanto maturo e saggio, lo sarebbe stato. — Non voglio tutte quelle morti sulla mia testa — disse improvvisamente, con una nota di comando nella voce. — Vostra Altezza non ha scelta. Se rifiuterai di addossarti il tuo Wyrd un numero maggiore di uomini morirà lottando per mettere un falso re sul tuo trono. Le lacrime salirono a velare gli occhi di Maryn, che le asciugò con irritazione con la manica prima di rispondere. — Allora seguirò il mio Wyrd — decise, alzandosi, e improvvisamente parve più maturo. — Che nessun uomo mi impedisca di raggiungere il po-
sto che è mio di diritto. A mezzogiorno giunse il messaggio che le daghe d'argento erano arrivate, e Nevyn lasciò la fortezza con Maryn e con il re per effettuare una sorta di verifica dei suoi piani. Sul prato all'estremità della strada sopraelevata le daghe d'argento attendevano in sella disposte in file ordinate, con Caradoc, Maddyn e un altro giovane che Nevyn non conosceva al centro. Alle loro spalle era raccolta una massa disordinata di cavalli da soma, carri, donne e perfino qualche bambino. — Questa è una sorpresa — commentò Maryn. — Non credevo che uomini del genere avessero moglie. — Non definirei precisamente quelle donne con il termine «moglie», ragazzo — replicò Casyl. — Ci sono ancora alcune cose che devi imparare. Nevyn e Maryn seguirono il re quando questi si diresse al trotto verso Caradoc; a prima vista, il vecchio non era rimasto molto impressionato dagli uomini del contingente, che per quanto ragionevolmente puliti e con le armi in buone condizioni, apparivano come individui duri e selvaggi, che scrutavano con appena celata insolenza il re e suo figlio sedendo in sella con aria rilassata e indolente; alla cintura di ciascuno, una daga d'argento brillava come un avvertimento. Caradoc si inchinò però profondamente sulla sella allorché il re gli si avvicinò. — Saluto Vostra Altezza. Ho portato qui i miei uomini come il giovane principe ha ordinato e spero molto umilmente che Vostra Altezza li trovi accettabili. — Vedremo... ma se dovessi offrirvi asilo allora cavalcherete agli ordini del principe e non ai miei. Caradoc lanciò un'occhiata a Maryn con un lieve sorriso scettico, come se stesse calcolando l'età del ragazzo. Nella sua mente, Nevyn invocò i Sommi Signori dell'Aria e del Fuoco, che risposero prontamente al suo segnale prestabilito e vennero a raccogliersi intorno al ragazzo: la loro forza lo avviluppò e gli conferì un vago bagliore, un'aura di potere. Un lieve vento si levò ad arruffargli i capelli e ad agitargli il plaid, e parve che la luce stessa del sole si facesse più luminosa nel cadere su di lui. Caradoc accennò a parlare, poi s'inchinò ancora, quanto più profondamente poteva. — Credo che sarebbe un grande onore cavalcare per te, mio principe. Vuoi passare in rivista i miei uomini? — Sì, capitano, ma lascia che ti avverta di una cosa: se accetterai di cavalcare per me ti troverai a percorrere una strada davvero molto lunga. Naturalmente, soltanto le lunghe strade portano alla vera gloria.
Caradoc s'inchinò ancora, visibilmente scosso di sentire un ragazzo parlare come un eroe delle storie dei bardi, mentre dietro di lui le daghe d'argento assumevano una posizione rigida ed eretta improntata da un improvviso rispetto e il giovane luogotenente accanto a Maddyn tratteneva bruscamente il fiato. Quando guardò nella sua direzione, per poco Nevyn non imprecò ad alta voce: Gerraent, con lo stemma del falco sulla camicia e sull'elsa della spada, come sembrava essere una sua costante caratteristica. — Questo è Owaen, buon consigliere — spiegò Caradoc, notando il suo interesse. — È il mio secondo in comando in battaglia, mentre Maddyn è il nostro bardo e il mio secondo in comando nei periodi di pace. — Sembri tenere bene la situazione sotto controllo, capitano — commentò Maryn. — Faccio del mio meglio, mio principe. Owaen stava intanto scrutando Nevyn con maggiore curiosità di quanta ne avesse dimostrata per il principe o per il re, e nei suoi duri occhi azzurri il vecchio scorse una traccia di riconoscimento e una scintilla del loro antico e reciproco odio che durò per una frazione di secondo prima di essere sostituita dallo sconcerto. Senza dubbio Owaen si stava chiedendo come mai provasse sentimenti così intensi nei confronti di un vecchio disarmato che aveva appena conosciuto. Nevyn gli rivolse un accenno di sorriso e distolse lo sguardo, perché stava a sua volta ribollendo di eccitazione: davanti a lui c'erano Gerraent e Blaen, ora chiamati Owaen e Maddyn, e c'era anche Caradoc, che in una vita precedente era stato lui stesso re di Cerrmor sotto il nome di Glyn Primo. Glyn era stato un così buon re che Nevyn rimase sconvolto di ritrovarlo nei panni di un fuoricasta e di una daga d'argento, ma poi ricordò a se stesso che quello era proprio il tipo di uomo che era essenziale adesso per il benessere del regno, un mercenario come Caradoc che combattesse per una cosa soltanto, la vittoria, senza indugiare nelle sottigliezze dell'onore e ricorrendo ad ogni trucco e inganno pur di conseguire lo scopo ultimo. I membri del cerchio magico del suo Wyrd si stavano raccogliendo tutti per il lavoro imminente, e questo significava che da qualche parte l'anima di Brangwen li avrebbe presto raggiunti. Fra poco lui avrebbe quindi avuto la possibilità di districare il groviglio del suo Wyrd. D'un tratto ricordò le donne che seguivano le daghe d'argento e che si stavano tenendo ad una rispettosa distanza dai loro uomini, e nel chiedersi se lei potesse trovarsi fra loro si sentì quasi male. Possibile che Brangwen
fosse caduta così in basso in questa vita? Per un momento ebbe onestamente paura di andare a guardare, ma poi si fece forza e non appena Casyl e Caradoc cominciarono a discutere i termini della paga lui lasciò il principe affidato ai signori degli elementi e spinse il proprio cavallo fra le file dei mercenari, come se nei panni del consigliere del principe intendesse dare un'ultima occhiata agli uomini che il suo signore intendeva assumere come guardia personale. — Lasciamo la contrattazione a Carro e al tuo re — propose Maddyn, rompendo i ranghi per raggiungerlo. — Per tutti gli inferni, Nevyn, sono davvero felice all'idea che trascorreremo l'inverno nella stessa fortezza e so che anche Caudyr vorrà parlarti. — Caudyr? — ripeté Nevyn, e gli ci volle un momento per ricordare il giovane chirurgo di Dun Deverry. — È quel giovane cucciolo il chirurgo di cui ha parlato Caradoc? Allora deduco che ha seguito il mio consiglio, tanti anni fa. — Infatti, e scommetto che questo gli ha salvato la vita, quando Slwmar è morto. — Bene, e sembra che abbia accolto anche i miei consigli in fatto di aborto, a giudicare dai bambini che vedo laggiù. Quante ragazze hai raccolto lungo la strada, Maddo? Mi pare di ricordare che tu abbia sempre avuto fortuna con le donne. — Oh, non sono certo tutte mie. Vedi, non dividiamo ciò che possiamo quando lo abbiamo. Nevyn capiva anche troppo bene, e il pensiero che Brangwen potesse vivere divisa da più uomini gli lasciò in bocca un amaro sapore di veleno. La maggior parte delle donne cavalcava come un uomo, con le gonne sollevate e a volte con qualche bambino piccolo in sella davanti a sé, ma tutte quante avevano un'aria dura e sospettosa quanto i loro uomini. In fondo al gruppo, una ragazza dai capelli chiari seduta su un carro trainato da un mulo e imbottito di coperte, stava allattando un bambino. — Quella è Clwna — spiegò Maddyn, indicandola. — Quando arriveremo alla fortezza sarò grato se tu o qualche altro erborista le darete un'occhiata perché non è più stata bene da quando è nata la bambina e Caudyr sembra incapace di risanarla. È la mia donna nella misura in cui qualunque di esse può esserlo. — Oh, allora andiamo subito a parlarle — decise Nevyn, pur sentendo il cuore che gli veniva meno per il timore. — Senza dubbio il re e il tuo capitano discuteranno ancora per qualche tempo.
Quando si avvicinarono, Clwna sollevò lo sguardo su di loro con espressione indifferente, mostrando gli occhi azzurri segnati da cerchi tanto scuri da sembrare lividi e la pelle decisamente troppo pallida... e Nevyn sussultò quasi per il sollievo quando si rese conto che non si trattava affatto di Brangwen. — Questo è Nevyn, il migliore erborista del regno — spiegò Maddyn, con allegria forzata. — Vedrai che ti rimetterà in sesto in un momento, dolcezza. Clwna si limitò a sorridere, come se ne dubitasse. — Ecco, a dire il vero si tratta di una diagnosi abbastanza semplice — replicò Nevyn. — Una buona levatrice se ne sarebbe accorta subito, ma le sole donne che Caudyr abbia mai curato erano ricche e ben nutrite. Ragazza, il tuo sangue è debole perché hai appena generato un figlio e scommetto che non stai mangiando come si deve. Prendi una mela, piantaci dentro un chiodo di ferro e lasciala così per una notte, poi tira fuori il chiodo e mangia la mela. Vedrai la scia rossa dell'umore sanguigno, che è ciò che ti serve. Ripeti la cosa ogni notte per quindici giorni, e poi vedremo. — Ti ringrazio — rispose Clwna, balbettando per la sorpresa. — È gentile da parte di un uomo di corte come te dare consigli alla donna di una daga d'argento. — Oh, non sono raffinato come sembro. La tua bambina è davvero graziosa... chi è il padre? — E come posso saperlo, mio signore? — replicò lei, scrollando le spalle con sincera indifferenza. — Probabilmente Maddyn o Aethan, ma potrebbe essere anche il capitano. In cambio del mantenimento per tutto l'inverno e di una moneta d'argento a testa se avessero dovuto combattere, Caradoc votò la fedeltà delle sue truppe a Maryn per tutta la primavera, con la clausola che le condizioni sarebbero state negoziate ancora a Beltane. Alloggiare un contingente tanto vasto sulla piccola isola lacustre era però un problema: il ciambellano e il capitano della banda di guerra di Casyl discussero per un'ora, poi misero al lavoro i servitori in tutto il cortile e alla fine i mercenari ebbero un loro alloggiamento, una stalla per i cavalli e una baracca per i carri e il resto dell'equipaggiamento. Il ciambellano era un uomo anziano con una prodigiosa memoria per i dettagli e uno scrupoloso senso delle convenienze, e come disse a Nevyn rimase profondamente indignato quando scoprì che le daghe d'argento non vedevano nulla di male nel tenere le donne nell'alloggiamento insieme a loro.
— E perché non dovrebbero? — replicò Nevyn. — In questo modo le ragazze saranno al sicuro dai cavalieri del re... oppure vuoi che ci siano scontri per tutto l'inverno? — Ma cosa mi dici di quegli innocenti bambini? — Speriamo che abbiano il sonno profondo. Dopo il pasto serale Nevyn andò a trovare Maddyn negli alloggiamenti, e quando entrò nella lunga stanza vagamente illuminata dal fuoco dovette soffermarsi un momento e trattenere il respiro per il puzzo combinato dei cavalli, del sudore e del fumo. La maggior parte degli uomini stava giocando a dadi, le donne erano raccolte in un angolo a spettegolare fra loro e i bambini dormivano poco lontano. Accanto al focolare Maddyn, Caradoc e Caudyr parlavano seduti per terra mentre Owaen era disteso poco lontano, prono e con la testa appoggiata sulle braccia. Anche se sembrava addormentato, sollevò per un momento lo sguardo quando Maddyn gli presentò Nevyn, poi riprese a fissare le fiamme. — Siediti — invitò Caudyr, spostandosi per fargli posto. — Sono lieto di rivederti. Credevo che un mago come te avesse cose più importanti da fare che vendere erbe. — Oh, anche le erbe sono importanti a modo loro, ragazzo. Ora dimmi, come mai hai finito per portare quella daga d'argento alla cintura? Per parecchio tempo Caudyr, Maddyn e Nevyn parlarono del passato ascoltati con attenzione da Caradoc, mentre Owaen dormiva dietro di loro, ma alla fine la conversazione si spostò inevitabilmente sulla strana posizione che Nevyn occupava a palazzo e il vecchio rispose evasivamente alle domande finché Caradoc non intervenne di persona. — Senti, buon mago, perché il dweomer ha voluto assoldare un gruppo di uomini come il nostro? Credo che abbiamo il diritto di saperlo, dal momento che ci stai probabilmente chiedendo di morire per il principe. — Suvvia, capitano, non vi sto chiedendo nulla. È il principe quello che vi dà da mangiare. — Sterco di cavallo. Il principe fa quello che tu gli dici, almeno quando è in gioco qualcosa di importante — ribatté Caradoc, scambiando un'occhiata con Maddyn. — Comunque il ragazzo mi ha fatto un'impressione notevole, molto notevole. — Davvero? Caradoc esitò, ma Maddyn si protese in avanti. — Hai trovato il vero re, non è così? Ammettilo, Nevyn, quello deve essere il vero re, oppure sulla terra non esiste nessuno che lo sia.
Anche se avrebbe voluto gridare e danzare di trionfo, Nevyn si limitò ad un piccolo ed ermetico sorriso. — Dimmi, capitano — disse invece, con noncuranza, — che ne penseresti di guidare un giorno i tuoi uomini fino a Dun Deverry? Caradoc estrasse la daga d'argento e la tenne con la punta all'insù in modo che intercettasse la luce del focolare. — Questo è il solo onore che sia rimasto ad ognuno di noi, e voglio pronunciare un giuramento su di esso: vedrò il re sul trono oppure morirò per difendere il corpo del principe. — Sei disposto a morire per un uomo che hai visto oggi per la prima volta? — E perché no? È meglio che morire per qualche piccolo arrogante nobile senza importanza — ritorse Caradoc, riponendo la daga con una risata. — E quando comincerà la guerra? — Presto, capitano. Molto presto. Sorridendo fra sé, Caradoc annuì, ma Nevyn sentì il desiderio di piangere, perché negli occhi da berserker del capitano poteva vedere il prezzo sanguinoso che tutti loro avrebbero pagato per la vittoria. Dal momento che tutti in Eldidd sapevano delle daghe d'argento, la notizia che esse erano partite per Pyrdon si diffuse piuttosto in fretta. Apprendendola, Branoic decise che era tipico della sua sfortuna che la banda avesse deciso di spostarsi proprio quando lui aveva bisogno di trovarla: anche se un singolo cavaliere poteva viaggiare più in fretta di un contingente rallentato dai bagagli, la banda aveva su di lui un vantaggio di circa dieci notti e non riuscì a raggiungerla sulla strada. Dopo un'ultima fredda notte trascorsa all'aperto perché non si poteva permettere una locanda, Branoic entrò in Drwloc verso mezzogiorno e trovò una taverna da poco prezzo dove spese le sue ultime due monete di rame per un boccale di birra e un pezzo di pane, che mangiò stando in piedi con le spalle appoggiate alla parete per tenere d'occhio gli altri clienti, che ai suoi occhi apparivano tutt'altro che rispettabili. Quando il lavoro glielo permise, la cameriera venne ancheggiando verso di lui e gli rivolse un sorrisetto invitante; anche se la ragazza sporca e magra lo attirava quanto i cani che dormivano accanto al focolare, Branoic decise che era il caso di ottenere da lei qualche informazione. — Quanto è distante la fortezza del re, ragazza? — Circa tre chilometri sulla strada che porta ad ovest. Devi venire da
molto lontano, se non sai una cosa del genere. — È vero. Ora dimmi, è passata di qui una banda di mercenari? I ragazzi che cerco vengono da Eldidd e portano tutti una daga con il pomo d'argento. — Oh, sono passati di qui, ed erano davvero poco raccomandabili. Non so perché il re li abbia presi al suo servizio. — Senza dubbio perché sono i migliori combattenti dei tre regni — ribatté Branoic, e si allontanò prima che la ragazza potesse rivolgergli qualsiasi invito. Fuori della taverna il suo castrato lo aspettava carico di tutto ciò che lui possedeva al mondo: un rotolo di coperte, un paio di sacche da sella quasi vuote e uno scudo un po' ammaccato sotto lo strato di pittura bianca ormai un po' sporca. Branoic si augurò che Caradoc non trovasse da ridire perché non aveva una cotta di maglia, ma se non altro possedeva una buona spada e sapeva come usarla. Quando però raggiunse la strada sopraelevata che portava alla fortezza di Casyl, le guardie si rifiutarono di lasciarlo passare e si rifiutarono anche di portare messaggi per conto di quello sconosciuto sporco dall'aria pericolosa; non possedendo denaro per corromperle, Branoic tentò dapprima con la cortesia e poi con la discussione, ma le guardie risero e gli risposero che se voleva vedere Caradoc avrebbe dovuto accamparsi e aspettare che il capitano lasciasse la fortezza. Ormai Branoic era talmente furioso che si sentì tentato di estrarre la spada e di risolvere la questione con essa, ma il buon senso ebbe la meglio su di lui... non aveva percorso tutta la strada da Eldidd soltanto per farsi impiccare da qualche re da quattro soldi. — Benissimo, allora — ritorse. — Mi siederò davanti alle vostre porte e soffrirò la fame finché non mi lascerete entrare. Nell'allontanarsi portando con sé il cavallo per la cavezza, sì guardò alle spalle e vide le guardie che lo fissavano con apprensione, come se lo pensassero capace di attuare la sua minaccia... e in verità dal momento che non aveva denaro né cibo non gli restava molta scelta al riguardo. Raggiunto il prato oltre la strada, il giovane allentò il morso del cavallo per permettergli di pascolare e si sedette in un punto da cui poteva fissare le guardie con occhi roventi ed essere visto da loro; con il trascorrere della mattinata, i due continuarono a scoccargli occhiate nervose che avrebbero potuto essere ispirate da un senso di colpa ma che avrebbero potuto anche derivare dal timore della sua ira. Sebbene avesse appena vent'anni, Branoic era alto quasi due metri, con le spalle larghe e le braccia lunghe di uno
spadaccino nato, e la cicatrice che gli solcava la guancia sinistra era un ricordo del duello che gli aveva causato l'esilio dalla fortezza di suo padre... uomini migliori delle guardie di Casyl erano già state intimidite dal suo aspetto in passato. Stava aspettando sulla strada ormai da due ore quando sentì uno squillo di corni d'argento, poi le porte più lontane si aprirono e le guardie scattarono sull'attenti mentre le daghe d'argento guidavano i cavalli lungo la strada sedendo in sella con l'insolente arroganza che lui ricordava. In testa al gruppo c'era un ragazzo di circa quattordici anni con un plaid rosso, bianco e oro che gli pendeva dalla spalla, e allorché Branoic tentò di avvicinarlo le guardie gli gridarono di fermarsi. — Indietro, tu! Questo è il principe ereditario Maryn, quindi non disturbare il capitano quando sta cavalcando con lui. Per quanto la cosa gli seccasse, Branoic si trasse indietro senza discutere, perché era inevitabile che gli affari di un principe avessero la precedenza su quelli di una persona comune. Era sul punto di rimettersi a sedere quando si sentì chiamare, questa volta dal principe in persona, e si affrettò ad avvicinarsi per stringere la staffa del ragazzo in segno di umiltà. — Qualsiasi uomo che lo chieda può parlarmi — dichiarò Maryn, scoccando deliberatamente un'occhiata alle guardie. — Un principe è il pastore del suo popolo e non uno dei lupi... ricordatelo, d'ora in poi. Dunque — proseguì quindi, rivolgendo a Branoic un sorriso distaccato ma gentile, — quale problema mi devi presentare? — Ringrazio umilmente Vostra Grazia — replicò Branoic, che stava praticamente balbettando per lo stupore, — ma tutto quello che volevo era scambiare qualche parola con Caradoc. — È una cosa facile da concedere. Prendi il tuo cavallo e prosegui con noi per un po'. Branoic si affrettò ad eseguire l'ordine e quando si mise in colonna accanto a Caradoc questi gli rivolse un sorriso stranamente astuto. — Sei Branoic di Belglaedd, vero? Cosa ci fai sulla lunga strada settentrionale? — Stavo cercando te. Ricordi l'ultima volta che ci siamo incontrati? Mi hai detto che se avessi voluto cavalcare per te mi avresti accettato. Era uno scherzo? — Era uno scherzo soltanto perché non pensavo che avresti lasciato la nobile corte di tuo padre, non perché non sarei lieto di averti nella mia banda.
— Allora siano ringraziati gli dèi. Un figlio bastardo è ancor meno benaccetto di una daga d'argento a meno che non stia bene attento a quello che fa, ed io sono stato esiliato a causa di un duello d'onore. — Ne ho sentito parlare — ammise Caradoc, inarcando di scatto le sopracciglia. — Hai ucciso il figlio minore del Gwerbret di Elrydd, giusto? Ma perché tuo padre ti ha scacciato per questo? Ho sentito dire che è stato uno scontro leale. — Infatti, ed anche i sacerdoti di Bel lo hanno giudicato tale — confermò Branoic, facendo difficoltà a parlare come se stesse per soffocare fisicamente a causa di quell'ingiustizia. — Il duello ha però procurato a mio padre un potente nemico, quindi lui mi ha buttato fuori per placare quel dannato Gwerbret, e per tutto il viaggio verso nord ho tenuto per la mia vita perché pensavo che Elrydd mi avrebbe fatto assassinare lungo la strada. Però devo aver sbagliato a sospettare di lui oppure sono riuscito ad evitare i suoi uomini. — Da ciò che ricordo di Sua Grazia io propenderei per il secondo caso. Benissimo, ragazzo, sei dei nostri, ma ti dovrai guadagnare la daga... naturalmente se dovremo combattere riceverai la tua giusta paga, ma dovrai dimostrare quello che vali prima che Otho ti fabbrichi una lama come la nostra. D'accordo? — D'accordo... e grazie. Al mondo non c'è una sola anima disposta ad accettarmi tranne voi. Per qualche minuto cavalcarono in silenzio e Branoic ne approfittò per studiare il giovane principe che li precedeva e chiedersi cosa fosse che lo faceva apparire tanto insolito. Era un ragazzo attraente, certo, ma nel regno c'era una quantità di uomini di bell'aspetto e nessuno di essi aveva quell'aura di luminosità e di potere, così come c'erano altri principi che avevano la stessa sicurezza e gli stessi modi cortesi senza però che nessuno di essi sembrasse essere uscito direttamente da un'opera epica com'era invece per Maryn. In certi momenti pareva addirittura che l'aria stessa intorno a lui crepitasse a causa di forze invisibili. — Che ne pensi del nostro signore? — gli chiese Caradoc, in tono sommesso. — Ecco, mi fa ricordare uno strano pettegolezzo che ho sentito in Eldidd. — Un pettegolezzo? — Ecco, roba di presagi e cose del genere. — Presagi di cosa?
In preda all'imbarazzo, Branoic si limitò a scrollare le spalle. — Fuori il rospo, ragazzo. — Ecco, a proposito dell'unico vero re di Deverry. Caradoc scoppiò in una sommessa risata. — Se resterai con noi, ragazzo, ti lascerai molto presto alle spalle sia Eldidd che Pyrdon... te la senti? — Certamente. Un momento... cosa mi stai dicendo? Che un bel giorno percorreremo tutta la strada fino a Dun Deverry? — Infatti, ma ti posso promettere un cammino lungo e sanguinoso fino alla Città Santa — replicò Caradoc, poi si volse sulla sella e chiamò: — Maddyn, vieni qui! Abbiamo una nuova recluta. Chissà come, Branoic non aveva avuto modo di incontrare il bardo nelle precedenti occasioni in cui aveva avuto a che fare con le daghe d'argento... trentatrenne, Maddyn era adesso un uomo snello ma muscoloso con una massa di capelli biondi striati di grigio alle tempie e occhi azzurri che sembravano stanchi del mondo, e Branoic lo trovò simpatico fin dal primo momento che lo vide. In qualche strano modo gli sembrava addirittura che dovessero essersi già conosciuti prima, anche se non riusciva a ricordare quando o come. Per tutto il pomeriggio Maddyn lo accompagnò in giro per presentarlo agli altri, gli spiegò le regole della banda e quando furono tornati alla fortezza gli trovò anche una cuccetta e un posto per il cavallo nella stalla, facendo di tutto per metterlo a suo agio; quella sera consumarono insieme la cena e Branoic scoprì che era facile lasciare che fosse il bardo a portare avanti la conversazione. L'altro luogotenente della banda, Owaen, costituiva però una faccenda del tutto diversa. I due avevano appena finito di cenare quando lui si avvicinò con un boccale in mano, e Branoic si scoprì ad odiarlo, giungendo alla conclusione che quel sentimento doveva essere dettato da qualcosa nel modo in cui quell'arrogante figlio di buona donna si atteggiava, con la testa gettata all'indietro e la mano libera sull'elsa della daga d'argento. — Tu! — esclamò Owaen. — Vedo dal tuo stemma che un tempo cavalcavi per il clan dell'Aquila di Belglaedd. — Infatti, ma a te che importa? — Nulla, tranne che per una piccola cosa — replicò Owaen, indugiando per bere con insolenza un piccolo sorso di birra. — Hai lo stemma del tuo clan su tutto il tuo equipaggiamento, ed io voglio che tu lo rimuova. — Cosa? — Mi hai sentito — scandì Owaen, toccando il collo della propria cami-
cia su cui spiccava lo stemma del falco. — Quelle aquile somigliano troppo al mio falco e voglio che spariscano. — Ma davvero? — Con mosse lente e caute Branoic si alzò dalla panca per fronteggiare l'avversario, rendendosi vagamente conto che sulla sala era caduto un silenzio assoluto. — Io sono nato in quel clan, piccolo cane orgoglioso, quindi ho ogni diritto a quello stemma se voglio tenerlo... e lo voglio. Come il dweomer, Caradoc si materializzò fra loro e posò una mano sul braccio di Branoic per trattenerlo dall'estrarre la spada. — Ascolta, Owaen — disse quindi il capitano, — l'equipaggiamento di questo ragazzo andrà perso o si romperà anche troppo presto e allora le aquile voleranno via di loro iniziativa. — Non è abbastanza presto per me. — Non voglio che ci siano lotte nella sala del nostro principe. — Allora usciamo in cortile — intervenne Branoic, — e sistemiamo la cosa con i pugni fra noi due, Owaen. Chi vince si terrà lo stemma. — Per essere uno nuovo sei un insolente piccolo bastardo — cominciò Owaen, poi notò l'espressione cupa del volto di Caradoc e si arrese. — Oh, benissimo, allora. Accetto. Quando i due uscirono quasi tutti i presenti andarono loro dietro per assistere alla lotta, e mentre un paio di paggi correvano a prendere delle torce i due avversari si tolsero la cintura con la spada e la consegnarono a Maddyn fra il vociare dei presenti che stavano facendo scommesse sull'esito dello scontro. Non appena le torce arrivarono Branoic e Owaen si misero uno di fronte all'altro e cominciarono a girare in cerchio valutandosi a vicenda. Dal momento che aveva vinto ogni scontro del genere a cui avesse partecipato, Branoic era sicuro di sé, troppo sicuro: scattò direttamente in avanti sferrando un pugno, ma sentì Owaen bloccare l'attacco e nello stesso tempo un pugno gli si piantò nello stomaco. Annaspando, indietreggiò cercando di schivare, ma Owaen lo incalzò spostandosi di continuo e raggiungendolo al lato della mascella; anche se il colpo non fu tanto forte da fargli male, Branoic cadde preda di un'ira berserker e prese a colpire forsennatamente, serrando l'avversario senza sentire nulla tranne un crescente stordimento mentre Owaen bloccava, schivava e colpiva a sua volta. — Basta così! — ingiunse la voce di Caradoc, tagliando il velo di nebbia rossastra che lo circondava. — Ho detto basta, per il Signore dell'Inferno! Parecchie braccia lo afferrarono e lo tirarono indietro. Annaspando per respirare, Branoic scosse la testa e vide alcune gocce di sangue schizzare
in giro da un taglio sopra l'occhio sinistro. Owaen era in piedi davanti a lui, con il naso sanguinante, e sorrise quando le ginocchia di Branoic cedettero non appena questi mosse un passo verso di lui. Allorché gli uomini che lo trattenevano lo adagiarono con gentilezza sull'acciottolato, tutto ciò che Branoic riuscì a fare fu restare seduto là annaspando per respirare, con la faccia e lo stomaco che gli pulsavano per il dolore e il sangue che gli scorreva lungo la guancia. — È meglio che la cosa finisca qui — dichiarò Caradoc. — Owaen si potrà tenere quei volatili a cui tiene tanto, ma non voglio che nessuno derida Branoic per questo. Mi avete capito? Ci furono mormorii di assenso dalle altre daghe d'argento, poi la folla si disperse ridendo allegramente mentre gli uomini pagavano le scommesse nel dirigersi verso la grande sala. Branoic rimase all'esterno, perché si sentiva tanto umiliato da essere certo che non avrebbe mai più osato guardare in faccia un altro uomo, e Maddyn restò con lui, prendendolo per un braccio e aiutandolo ad alzarsi. — Senti, ragazzo, prima d'ora non avevo ancora visto un uomo capace di far sanguinare il naso ad Owaen. — Non c'è bisogno che tu lenisca i miei sentimenti. — Non lo sto facendo. Hai conseguito una sorta di vittoria, dal momento che sei riuscito a impedire a Owaen di stenderti privo di sensi sull'acciottolato. Quelle parole furono pronunciate con tale sincerità che Branoic sentì la propria vergogna dissolversi. Incespicando e barcollando, si dovette appoggiare a Maddyn mentre si dirigevano verso gli alloggiamenti; a metà del tragitto furono fermati dal vecchio che Maddyn aveva precedentemente detto essere il consigliere del principe. Nevyn sollevò la lanterna che aveva in mano e scrutò il volto sanguinante di Branoic. — Dirò a Caudyr di venire agli alloggiamenti perché questo ragazzo ha bisogno di un paio di punti a quel taglio sopra l'occhio — disse. — Bada che stia disteso, Maddo. — Oh, scommetto che stasera non ha comunque voglia di ballare. Branoic tentò di sorridere per quello scherzo, ma la bocca gli doleva troppo. D'un tratto Nevyn lo guardò fisso negli occhi e il suo sguardo lo trafisse come una lancia che gli penetrò nell'anima: nel suo stato confusionale, Branoic ebbe la sensazione di aver cercato di trovare quell'uomo per tutta la vita per un motivo che avrebbe dovuto ricordare e che doveva assolutamente rammentare... poi la sensazione svanì e fu rimpiazzata da un ac-
cesso di nausea. — Sta per vomitare — annunciò Nevyn, con calma. — Va bene così, ragazzo, tira fuori tutto. Branoic si lasciò cadere in ginocchio e vomitò, con lo stomaco che gli bruciava per il pugno di Owaen, sentendosi umiliato come non mai in vita sua al pensiero che Nevyn lo stesse vedendo in quelle condizioni, ma quando finalmente riuscì a sollevare la testa per scusarsi il vecchio se ne era già andato. Tornato nella sua camera, Nevyn accese con un cenno della mano il fuoco già predisposto nel camino e si sedette su una comoda sedia per pensare a questo giovane biondo di Eldidd che Caradoc aveva raccolto dalla strada come un cane randagio. Nevyn lo aveva riconosciuto dal primo momento che lo aveva visto, o meglio sapeva benissimo che avrebbe dovuto riconoscere l'anima che lo guardava da quegli occhi azzurri come fiordalisi... soltanto che purtroppo non riusciva a ricordare chi Branoic potesse essere stato in una vita precedente. Mentre Maddyn sembrava ben disposto nei suoi confronti, era evidente che invece Owaen lo aveva odiato a prima vista, sentimento che sembrava reciproco e che da un punto di vista logico avrebbe potuto significare che nella sua ultima vita Branoic era stato un fedele membro della banda di guerra di Gweniver, che conservava ancora il suo antico rancore nei confronti dell'uomo che aveva cercato di violentare una sacerdotessa sacra. Dal momento che Nevyn non aveva mai prestato particolare attenzione ai membri di quella banda di guerra, era anche logico che lui non riuscisse a ricordarli tutti, ma d'altro canto nel vedere il ragazzo aveva avvertito il tocco del dweomer con tale intensità che lui doveva essere stato qualcuno più importante di uno degli uomini di Gwyn e di Ricyn. — Possibile che fosse suo cognato? — rifletté ad alta voce. — Qual era il suo nome? Oh, dèi, non riesco a ricordare neppure questo! Si vede proprio che sto invecchiando. Nei giorni successivi, di tanto in tanto la sua mente tornò ad affrontare il problema dell'identità di Branoic come un cane davanti ad un topo in gabbia che ringhi e digrigni i denti senza però riuscire a tirare fuori il topo, ma giunse comunque alla decisione che l'arrivo di quel ragazzo costituiva una sorta di presagio... un presagio vero piuttosto che quelli fasulli che lui e i preti stavano spargendo in giro a proposito dell'avvento del nuovo re. Uno o due alla volta, gli uomini di cui lui si era fidato nelle vite precedenti sta-
vano venendo ad aiutarlo a portare la pace nel regno. Ben presto però una notizia preoccupante giunse ad occupare i suoi pensieri. Alcune settimane prima, Nevyn aveva mandato a chiedere al tempio di Bel di Hendyr le copie di due importanti opere di legge comune di Deverry, e al suo ritorno il messaggero gli portò anche una lettera di Dammyr, il sommo sacerdote di Cerrmor, lettera che era stata sigillata due volte e scritta nell'antica lingua della Patria che pochi sapevano leggere. «Re Glyn si è ammalato» scriveva Dammyr. «Tutti sussurrano che si tratta di veleno anche se a me sembra una cosa dubbia. Il medico del re ha diagnosticato una congestione al fegato e invero non è un segreto per nessuno il fatto che il re ami concedersi il sidro in quantità spropositate fin da quando è stato abbastanza grande da cominciare a berne. Io ho però ritenuto saggio informarti comunque di queste voci perché non possiamo permettere che si dica che il re è stato avvelenato dai suoi rivali. Qualsiasi consiglio vorrai mandare sarà apprezzato, ma nel nome di ogni dio, scrivi soltanto nella lingua antica.» Quando ebbe finito di leggere Nevyn imprecò a lungo con violenza tanto nella lingua antica quanto in quella moderna perché Dammyr aveva ragione: nessuno avrebbe creduto che Maryn fosse il vero re se si fosse pensato che lui aveva fatto ricorso al veleno per conquistarsi il trono. Di conseguenza ogni colpa... se di colpa si trattava... doveva essere riversata sull'altro pretendente insediato in Dun Deverry, o meglio ancora sui diversi seguaci del clan del Cinghiale che circondavano il re diciottenne. Mentre rifletteva sulla cosa, Nevyn si ricordò di Caudyr e ringraziò i Signori della Luce con tutta l'anima per avergli fornito le armi di cui aveva bisogno per vincere questa battaglia, in quanto la testimonianza del chirurgo in merito alle circostanze che avevano circondato la morte dell'ultimo re avrebbe senza dubbio riversato ogni sospetto su chi lo meritava. Con un cupo sorriso sulle labbra, Nevyn si accostò alla scrivania e scrisse immediatamente una risposta per Dammyr. Quando però ebbe finito la lettera e l'ebbe sigillata per evitare che qualcuno potesse comunque leggerla, rimase a lungo seduto alla scrivania riflettendo sulla questione del veleno. Anche se sembrava che Glyn stesse morendo di una causa naturale e di un danno che lui stesso si era provocato, non c'erano dubbi sul fatto che il veleno fosse diventato una sostanza facilmente ottenibile nei regni tormentati. Chi lo preparava? Possibile che ci fossero in giro seguaci del dweomer oscuro che attendevano l'occasione di gettare la terra di Deverry nel caos? E se esisteva, questa gente sapeva
dell'esistenza di Maryn? All'improvviso si sentì raggelare e si diede dell'idiota, dell'orgoglioso e stupido idiota, per aver pensato di poter tenere nascosto un segreto di importanza tanto cruciale a coloro che erano specializzati nello scoprire segreti. Adesso avrebbe dovuto verificare se i suoi sospetti erano fondati, e se così era una semplice visione attraverso il fuoco sarebbe stata inutile. Sbarrata la porta della propria camera, il vecchio si distese supino sul letto con le braccia incrociate sul petto; dapprima procedette a calmare la respirazione, poi evocò il proprio corpo di luce immaginando la luminosa sagoma umana dapprima nella mente per poi riversare in essa la sua volontà fino a quando parve trovarsi in piedi accanto a lui nella camera. A quel punto trasferì la propria consapevolezza, sentì uno scatto soffocato e si trovò a fluttuare nell'aria, con lo sguardo rivolto verso il suo corpo inerte. Sgusciato fuori da una finestra volò verso l'alto fino a poter guardare la fortezza che costituiva una massa nera e morta in mezzo alla pulsante nebbia argentea delle forze elementari che si levavano dal lago. Anche se la nebbia gli rendeva difficile restare fermo sul posto, costringendolo a combattere contro pericolose correnti, fu comunque lieto di vederla perché la sua presenza avrebbe reso molto difficile evocare qualche immagine dell'interno della fortezza. Il lago l'aveva trasformata in una rocca sicura anche sul piano dell'eterico. Muovendosi con cautela, Nevyn si allontanò dall'aura del lago e sorvolò la campagna addormentata e pervasa di una cupa tonalità rossastra ora che l'autunno stava spegnendo le energie vitali delle piante. Nella loro vera forma di splendide e costantemente mutevoli strutture cristalline di luce multicolore, i membri del Popolo Fatato gli sciamarono intorno e lo accompagnarono nel suo volo. A circa sette chilometri dalla fortezza Nevyn ebbe il primo avvertimento di una presenza malvagia quando gli spiriti si fermarono tremando e poi scomparvero con lampi argentei e lunghi scintillii. Arrestatosi, si librò al di sopra di una chiazza di alberi per sfruttare l'imperfetto riparo del loro bagliore attenuato, ma nessun membro del Popolo Fatato fece ritorno: qualsiasi cosa fosse ciò che li aveva spaventati, il suo effetto era stato potente. Nevyn volò ancora più in alto fino a quando la luce azzurra e vorticante divenne densa come nebbia, nascondendo il paesaggio sottostante, poi visualizzò e concretizzò filamenti di luce che gli scaturivano dalla punta delle dita, una sostanza volatile che rispose immediatamente alla forma che lui le attribuì, e con scintillanti linee di luce tracciò davanti a sé un enorme sigillo di protezione. Dal momento che era
visibile ad una grande distanza, un sigillo del genere sarebbe stato un'esca perfetta per altri viandanti che si fossero trovati quella notte sul piano dell'eterico. Il vecchio attese a lungo come un cacciatore che avesse disposto la sua trappola, e alla fine avvistò un altro corpo di luce di forma umana non lontano da lui nella nebbia argentea. A questo punto disegnò un altro sigillo di saluto e di amicizia e per tutta risposta vide il viandante immobilizzarsi e poi girarsi per fuggire alla massima velocità. Istintivamente, Nevyn accennò a seguirlo ma si fermò prima di essere andato lontano, perché non aveva idea di quanto quel nemico fosse potente e non sapeva neppure se era solo. Era però certo che si trattava di un nemico, perché qualsiasi servitore della Luce avrebbe risposto a quel sigillo con uno simile e gli sarebbe venuto incontro. Piuttosto che rischiare una sconsiderata battaglia, Nevyn fece quindi ritorno alla fortezza e al suo corpo fisico, poi si stiracchiò e si sollevò a sedere sul letto, fissando il fuoco. — Cattive notizie. Credo che qualcuno ci stia spiando. Allarmati, gli spiriti del fuoco si agitarono e mandarono una pioggia di scintille su per il camino. — Se vedete qualcosa anche solo leggermente insolito, avvertitemi. All'interno delle fiamme le lucenti salamandre annuirono. Alzatosi, Nevyn prese il mantello e lasciò la stanza, salendo la scala a spirale che portava all'ultimo pianerottolo della rocca, dove una botola dava accesso al tetto. Dopo essersi guardato rapidamente intorno per accertarsi che in giro non ci fosse nessun servitore che potesse notare quel comportamento eccentrico da parte di un erudito consigliere, aprì la botola e salì sul tetto, dove doveva piazzare uno strano tipo di sentinelle. Innanzitutto levò in alto le braccia e invocò l'invisibile potere della Luce Sacra che è dietro a tutti gli dèi, e il suo simbolo visibile venne a lui sotto forma di una lancia di luce che lo trapassò da capo a piedi. Per un momento Nevyn rimase immobile, rendendo omaggio alla Luce, poi protese in fuori le braccia all'altezza delle spalle e portò con sé la luce perché formasse un'asta attraverso il suo petto. Quando si venne a trovare all'interno di quella croce, la luce crebbe, rinforzandolo, poi svanì lentamente di propria iniziativa. Allorché fu scomparsa Nevyn abbassò le braccia e procedette a visualizzare una spada di luce scintillante nella propria destra; non appena l'immagine prese a vivere indipendentemente dalla sua volontà, descrisse il giro del tetto e si servì della spada per tracciare un'enorme cerchio di luce
dorata nel cielo: nel depositarsi a terra, l'anello si estese fino a formare mura ardenti tutt'intorno alla fortezza, e Nevyn ripeté l'operazione per tre volte, fino a quando il muro prese a vivere di una propria volontà eterica. In ciascun punto cardinale pose quindi un sigillo che aveva la forma di una stella a cinque punte formata di fuoco azzurro, e dopo aver sigillato le quattro direzioni estese la luce finché non fu più un cerchio ma un'emisfero che rivestiva la fortezza come un baldacchino. Piazzò quindi gli ultimi due sigilli allo zenit e al nadir, poi ritrasse la forza dalla spada astrale fino a farla svanire e batté per tre volte il piede sul tetto per indicare che aveva concluso il suo lavoro. La cupola rimase tuttavia visibile, almeno per qualcuno che possedesse la vista derivante dal dweomer, e anche se lui avrebbe dovuto rinnovare i sigilli cinque volte al giorno ad ogni cambiamento della marea astrale, adesso la gente che viveva sotto quella cupola sarebbe stata al sicuro da occhi malvagi e indiscreti. Avvoltosi strettamente nel mantello a causa dell'aria gelida che racchiudeva già una promessa d'inverno, Nevyn si accostò al muro e guardò senza effettivo interesse in direzione del cortile: in basso qualcuno si stava aggirando in maniera sospettosa, muovendo qualche passo, guardandosi intorno con attenzione e poi riprendendo lentamente a camminare. Con la mente pervasa dal timore di spie, Nevyn lasciò il tetto e si precipitò giù per la scala tanto in fretta che per poco non pose fine alla propria esistenza fisica una volta per tutte, ma quando emerse nel cortile la misteriosa figura non si vedeva più da nessuna parte. Borbottando sottovoce, il vecchio convocò alcuni membri del Popolo Fatato, fra cui un grosso gnomo chiazzato che aveva visto di persona l'intruso. Lo gnomo lo guidò subito verso la fortezza principale e le stalle senza il minimo segno di timore, il che indusse Nevyn a pensare di aver drammatizzato eccessivamente nel supporre che il dweomer oscuro avesse una spia all'interno della fortezza. Quando infine vide la sua preda si rese conto che si trattava di Branoic, perché anche nel buio il ragazzo era facilmente riconoscibile a causa delle sue dimensioni e del suo portamento eretto. — Buona sera, ragazzo. Stai prendendo un po' d'aria? — In un certo senso, consigliere. Io... ecco... mi era parso di vedere un fuoco. — Oh dèi! E dove? — Ecco, mi sono sbagliato — affermò il ragazzo, che appariva profondamente imbarazzato, — e adesso sono dannatamente contento di non aver svegliato nessuno. Devo aver soltanto fatto un brutto sogno.
— Davvero? Raccontamelo. — Dunque, dal momento che sono nuovo della banda mi hanno dato la cuccetta vicino alla finestra con più spifferi dell'alloggiamento. Ho sognato di essere sveglio e di guardare fuori, e le mura della fortezza erano avvolte da fiamme abbaglianti. Così ho accennato a lanciare grida di allarme, ma poi mi sono ricordato che la fortezza ha le mura di pietra e non una palizzata di legno o qualcosa del genere... e a quel punto mi devo essere svegliato. Sono però rimasto steso lì a pensarci e il pensiero del sogno non mi lasciava in pace, così ho afferrato gli stivali e sono venuto a dare un'occhiata in giro... e non appena l'ho fatto mi sono reso conto che doveva essere stato un sogno, anche se talmente vivido da essere stato mandato da qualche demone, signore. Nevyn era del tutto sconcertato: evidentemente quel giovane guerriero attaccabrighe aveva una certa propensione al dweomer e nello stato di sonno lo aveva visto sigillare le mura... e tuttavia nessuno degli uomini che rientravano nel cerchio magico del suo Wyrd aveva mai mostrato un talento del genere. Per tutti gli dèi, pensò il vecchio, con irritazione. Ma chi è? — Dimmi, ti capita spesso di fare sogni del genere? — chiese ad alta voce. — Ecco, a volte. Voglio dire... prima d'ora non avevo mai sognato incendi, ma mi è già capitato di avere questi sogni che sembrano così reali che potrei giurare di essere sveglio, e di tanto in tanto... Non concluse la frase. — Di tanto in tanto sogni qualcosa che risulta essere vero — finì per lui Nevyn. Con un sussulto, Branoic indietreggiò bruscamente. — Se sua signoria mi vuole scusare è meglio che vada — balbettò. — Qui fuori si gela. Poi si girò e fuggì praticamente di corsa di fronte all'uomo che aveva scoperto il suo segreto. Giovane idiota, pensò Nevyn, ma con un certo affetto, e si disse che avrebbe dovuto parlare ancora con Branoic, indipendentemente da chi... e di colpo vide ciò che era stato proprio sotto il suo naso ma che gli riusciva così sgradito che per giorni aveva finto di non vederlo. — Non può essere! I Signori del Wyrd non possono farmi questo! Oppure sì? E tuttavia stava ricordando l'ultima incarnazione della sua Brangwen,
quando come Gweniver lei aveva sognato di diventare il miglior guerriero di tutto Deverry. In questa vita, i Signori del Wyrd le avevano dato un corpo tale da permetterle di realizzare il suo sogno e di accantonarlo definitivamente... o almeno così lui sperava. Anche se ogni anima possiede alla base una sola polarità, che si traduce nel sesso del suo corpo fisico, ciascuna trascorre parte delle sue vite in corpi del sesso opposto per avere una piena esperienza del mondo della forma, e Nevyn si era semplicemente rifiutato di vedere che quel momento era giunto anche per Brangwen, la sua amata, delicata, piccola Gwennie, come ancora la pensava. Per quel che poteva saperne, adesso lei stava vivendo una parte del suo Wyrd che non aveva nulla a che vedere con lui personalmente, ma comunque fosse lo aveva ritrovato come Nevyn aveva saputo che avrebbe fatto, ma nei panni di Branoic di Belglaedd. Mentre passeggiava avanti e indietro nel cortile scuro e silenzioso, Nevyn si sentì assalire da una stanchezza quasi dolorosa, perché poteva vedere un cupo messaggio per sé nella scelta del corpo fatta dall'anima di lei. Nel profondo del suo cuore, Nevyn aveva sperato che Brangwen lo avrebbe amato ancora e che avrebbero potuto avere una calda relazione umana e non soltanto il freddo e disciplinato rapporto che esiste fra un maestro e un apprendista, ma a quanto pareva un simile amore era proibito, e adesso lui stava vedendo Branoic come un avvertimento che avrebbe dovuto insegnare il dweomer all'anima di Brangwen e dimenticarsi della sua forma esterna e delle sue emozioni. Per quanto questo gli facesse dolere il cuore, avrebbe accettato la volontà dei Grandi, proprio come aveva accettato molte altre cose nei lunghi anni trascorsi da quando aveva pronunciato quel suo voto impulsivo. Del resto, adesso aveva da svolgere un lavoro così importante che i suoi sentimenti personali e perfino il suo Wyrd sembravano del tutto insignificanti. Pensando alla battaglia che lo aspettava accantonò il proprio dolore e sentì la speranza che gli rinasceva nel cuore: davanti a loro c'erano pericolo e grandi dolori, ma dopo la Luce avrebbe prevalso di nuovo nel regno devastato. L'indomani, un giorno freddo ma soleggiato, Maddyn andò a fare una passeggiata lungo il limitare del lago, e quando trovò un angolo caldo al riparo di un salice ormai spoglio si sedette per accordare la sua arpa. Essa non era mai stata uno strumento di pregio e adesso era malconcia e scheggiata per i lunghi anni trascorsi viaggiando dietro la sua sella, ma nono-
stante questo aveva toni più dolci di qualsiasi altra arpa del regno e anche se parecchi bardi che si esibivano nella sala di più di un grande signore gli avevano offerto dell'oro per averla lui avrebbe piuttosto rinunciato ad una gamba che ad essa, così come non aveva mai rivelato il suo segreto quando quegli stessi bardi lo avevano implorato di rivelarlo. Dopo tutto chi gli avrebbe creduto se avesse detto la verità, e cioè che il Popolo Fatato aveva incantato lo strumento per lui? Spesso vedeva quegli esseri toccare e accarezzare l'arpa come se fosse stato un gatto a cui erano affezionati, e ogni volta che lo facevano essa cantava con nuova e struggente dolcezza. Quel giorno, mentre lui accordava ogni singola corda vicino al lago, i membri del Popolo Fatato vennero ad ascoltare, apparendo dall'aria oppure emergendo dall'acqua, silfidi, spiritelli e gnomi che si raccolsero intorno a quell'uomo che consideravano il loro bardo personale. — Credo che sia arrivato il momento che io componga una canzone sul Principe Maryn. Mi pare che anche voi pensiate che sia lui il vero re, perché vi ho visti sulla sua sella e raccolti intorno a lui nella grande sala. Gli esseri annuirono all'unisono con una solennità che Maddyn non aveva mai visto in loro, finché un'ondina non riuscì più a stare tranquilla: sgocciolando di acqua illusoria, si protese e pizzicò uno gnomo verde con tutta la forza di cui era capace. Per tutta risposta lo gnomo le diede uno schiaffo e i due rotolarono scalciando e mordendosi fino a quando Maddyn urlò loro di smettere. Incupiti, i due si sedettero quanto più lontano possibile uno dall'altra. — Così va meglio. Forse prima farei meglio a cantare la canzone di Dilly il Cieco. Volete? Con piccoli cenni di assenso e sorrisi gli esseri gli si fecero più vicini. Nel corso degli anni Maddyn aveva elaborato la semplice canzone popolare su Dilly il Cieco e il Popolo Fatato fino a farne una sorta di epica, aggiungendo versi su versi e chiarificando parecchie storie, ed aveva insegnato questa sua saga satirica ai bardi che si trovavano nelle fortezze in cui c'erano bambini di nobile nascita fino a quando essa era divenuta nota in metà di Eldidd. In momenti come quello, quando le guerre sembravano molto lontane, lo divertiva pensare che la sua canzone per bambini gli sarebbe sopravvissuta, trasmessa da un bardo all'altro molto tempo dopo che lui avesse raggiunto la tomba. Quando ebbe finito il pezzo... che durava almeno venti minuti... la maggior parte dei membri del Popolo Fatato sgusciò via, ma qualcuno rimase e fra essi il suo spiritello azzurro, che gli sedette accanto mentre lui guardava
le piccole onde del lago con l'arpa silenziosa fra le mani. Maddyn stava ricordando quell'altro lago in Cantrae, una decina di anni prima, che aveva costituito un tormento per la sua sete mentre lui cavalcava prossimo a morire. Ricordando, decise che doveva essere stato più o meno lo stesso momento della giornata, perché anche allora il sole traeva riflessi scintillanti dalle acque di quel lago proprio come ora stava facendo con quelle di Drwloc, davanti a lui. Con l'occhio della mente poteva vedere di nuovo le canne scure e l'airone bianco e gli parve di avvertire anche la sete ardente e il dolore, il nauseante ronzio delle mosche e la propria disperazione. — Ne valeva la pena — disse allo spiritello. — Dopo tutto, mi ha portato da Nevyn. Lo spiritello annuì, battendogli con gentilezza un colpetto su un ginocchio, e Maddyn sorrise nel pensare a quello che li aspettava. Dentro di sé non nutriva il minimo dubbio sul fatto che Nevyn avesse trovato l'uomo nato per essere re di tutto Deverry ed era convinto nell'anima e nel cuore che il giovane principe fosse stato scelto dagli dèi per riunire i tre regni. Presto lui e le altre daghe d'argento avrebbero accompagnato Maryn quando questi fosse andato a far valere il proprio diritto di nascita, e la sola cosa che Maddyn ancora si chiedeva era quando sarebbe venuto quel momento. Mentre la luce del sole cominciava a svanire e il vento notturno prendeva ad alzarsi, gli parve che tutta la sua vita avesse avuto lo scopo di portarlo a quel momento in cui lui, Caradoc, Owaen e gli altri uomini della banda erano tesi e pronti ad agire, come frecce incoccate nell'arco da una fila di arcieri. Presto sarebbe venuto l'ordine di tirare quelle frecce... molto presto. Balzato in piedi, scoppiò nella sua risata berserker che si librò echeggiando sul lago verso il tramonto, e le corde della sua arpa suonarono leggermente in risposta, tremando nel vento. Sorridendo fra sé, Maddyn si appese l'arpa alla spalla e si avviò verso la fortezza, rischiarata dal bagliore delle torce e dei fuochi nel crepuscolo imminente. PARTE SECONDA ESTATE 1065 I Signori del Wyrd non creano la vita di un uomo con la stessa precisione con cui un maestro vasaio modella i suoi vasi, ciascuno perfettamente formato e adatto al suo scopo. Nel flusso e riflusso della nascita e della morte ci sono strane correnti, mulinelli e vor-
tici, la maggior parte dei quali sono al di fuori del potere di controllo dei Grandi. Il Libro Segreto di Cadwallon il Druido UNO Il suono della pioggia che tamburellava all'esterno nel cortile echeggiava piacevolmente nella grande sala. Sulla sua sedia accanto al fuoco, Zia Gwerna stava sonnecchiando con il lavoro di cucito in mano e di tanto in tanto sollevava il capo per rispondere con un doveroso «ben detto» ad una delle domande retoriche del marito. Lo zio di Perryn, il Tieryn Benoic di Pren Cludan, era in uno dei suoi momenti di fervore oratorio e stava esponendo il proprio punto di vista seduto rigidamente sulla sua sedia, con un boccale serrato in una mano massiccia e l'altra che enfatizzava i punti salienti del discorso picchiando sul bracciolo della sedia. Sebbene i suoi capelli fossero ormai ingrigiti, Benoic era ancora forte e muscoloso quanto molti uomini più giovani di lui, e possedeva anche forti polmoni. — È colpa di questi dannati picchieri — tuonò. — Una battaglia non è la stessa cosa quando vi combattono uomini di umile nascita che dovrebbero limitarsi a sorvegliare i carri e niente altro. E una cosa quasi blasfema, se vuoi il mio parere! — Ben detto — approvò doverosamente Perryn. — Hah! È soltanto un'altra manifestazione di quelle dannate manovre da cortigiani, e c'era da aspettarsi che quei dannati del sud se ne saltassero fuori con qualcosa del genere! Non c'è da meravigliarsi che il regno sia in queste condizioni. Mentre Benoic placava i propri sentimenti offesi con un abbondante sorso di birra, Perryn cercò di dare una spiegazione alla connessione fra il gettare di sella un uomo con una lancia e le buone maniere della corte del re. — Voi giovani d'oggi! — riprese suo zio. — Se aveste partecipato a qualcuna delle battaglie a cui ho preso parte ai miei tempi, capireste cosa significa la vita qui nel Cerrgonney. Guardati, ragazzo, te ne vai in giro senza una sola moneta di rame a tuo nome. Dèi! Dovresti trovarti un posto in una banda di guerra e lavorare per raggiungere il rango di capitano. — Non ci badare, Perro — intervenne Gwerna. — Sei il benvenuto presso la nostra tavola ogni volta che ti trovi a passare di qui. — Certo che lo è, donna! — scattò Benoic. — Però non è questo il punto. Dico soltanto che dovrebbe fare qualcosa nella vita, ecco tutto. Non so
cosa ci sia che non va in te, ragazzo, e il tuo dannato cugino Nedd è ancora peggio. Tu hai almeno qualche scusante. — Oh... er... grazie. — Nedd invece ha tanto una fortezza quanto una tenuta, ma non fa altro che andarsene in giro a cavallo per tutto il santo giorno. Per il Signore dell'Inferno! — Suvvia amore — intervenne ancora Gwerna. — Tanto lui quanto Perryn sono ancora giovani. — Hanno tutti e due vent'anni! Sono abbastanza maturi da sposarsi e sistemarsi. — Ecco, zio, non posso certo prendere moglie quando non ho neppure una casa in cui sistemarla. — Era questo che intendevo quando ho detto che tu hai qualche giustificazione. Perryn esibì un debole sorriso. Anche se era un membro del ramo settentrionale dell'antico e congiunto clan del Lupo ed aveva quindi diritto al titolo di signore, lui era anche il quinto figlio di una famiglia che possedeva poche terre, il che significava che aveva a disposizione soltanto il suo titolo e una lunga sfilza di parenti che erano costretti ad ospitarlo quando si presentava alla loro porta. — Andrai verso la fortezza di Nedd quando ci lascerai? — chiese Benoic. — Sì. Pensavo di partire domattina. — Allora digli che voglio sentirlo parlare presto di matrimonio. Il mattino successivo Perryn si alzò all'alba e si recò nella stalla molto tempo prima che la fortezza si svegliasse, portando fuori il suo castrato pomellato grigio, un ottimo cavallo che aveva nelle vene il sangue dei Cacciatori Occidentali, e cominciando a sellarlo. Quando era in viaggio, il giovane portava con sé una stupefacente quantità di bagaglio: due coppie di sacche da sella, un voluminoso rotolo di coperte, una piccola pentola di ferro, e un'ascia da taglialegna che gli pendeva dal pomo della sella là dove la maggior parte dei nobili teneva lo scudo. Perryn aveva quasi finito di sellare il cavallo quando Benoic venne fuori dalla fortezza e diede un'occhiata all'animale carico di bagagli. — Per il posteriore degli dèi, sembri un dannato mercante girovago! Perché non ti prendi un cavallo da soma, se intendi vivere sulla strada in questo modo? — Oh... er... buona idea.
Con uno sbuffo, Benoic passò una mano sul collo del cavallo grigio. — Una splendida creatura. Dove ha potuto un cucciolo giovane come te trovare il denaro necessario per acquistarla? — Oh... er... ah... ecco — balbettò Perryn, sapendo che doveva trovare in fretta una bugia. — L'ho vinto ai dadi. — Avrei dovuto saperlo! Tu e il tuo dannato cugino mi farete andare nell'Aldilà prima del tempo. Quando lasciò la fortezza, Perryn si avviò lungo la strada occidentale alla ricerca di un cavallo da soma. Intorno a lui si stendevano i campi della tenuta di Benoic, tinti di un verde pallido dall'orzo ancora giovane, mentre qua e là i contadini correvano fra il raccolto per allontanare i corvi che si sollevavano in volo con strida di indignazione e un violento sbattere di ali. Ben presto, però, i campi si diradarono a mano a mano che la strada si inerpicava sulle colline rocciose rivestite di pini scuri, e a quel punto Perryn abbandonò il sentiero fangoso che passava per una strada, addentrandosi fra gli alberi silenziosi e ben distanti fra loro: una volta che si trovava in quelle terre selvagge, non aveva bisogno di una strada per trovare la giusta direzione. Nelle prime ore del pomeriggio arrivò alla sua destinazione, un prato montano in una lunga vallata che apparteneva ad un certo Lord Nertyn, uno dei vassalli di suo zio che Perryn trovava particolarmente antipatico; in mezzo all'erba alta, venti cavalli di Nertyn pascolavano tranquilli sotto la sorveglianza dello stallone della mandria, un robusto sauro alto almeno sedici palmi. Quando Perryn si diresse verso la mandria lo stallone si girò verso di lui con uno sbuffo aggressivo e gli altri cavalli sollevarono la testa di scatto, pronti a fuggire, ma Perryn cominciò a parlare allo stallone in tono sommesso e gentile, un insieme di suoni senza senso che alla fine indussero il cavallo a rilassarsi e a permettere a Perryn di accarezzargli il collo. Dietro di loro, il resto della mandria riprese a pascolare. — Ho bisogno di prendere in prestito uno dei tuoi amici — disse Perryn. — Spero che non ti dispiaccia e ti garantisco che avrò cura di lui. Quasi a indicare che era d'accordo, lo stallone agitò la testa e si allontanò; libero di agire, Perryn prese al laccio un castrato baio e si mise ad accarezzarlo e a pettinargli la criniera con le dita. — Non sei stufo di quel grasso signore che ti possiede? Vieni con me e vedi un po' di mondo. Quando il castrato girò la testa, Perryn gli rivolse il suo particolare sorriso profondo che gli dava sempre una sensazione di freddo, come se parte
del proprio calore stesse defluendo verso ciò a cui era diretto il sorriso... e il castrato gli appoggiò la testa contro il petto con uno sbuffo soddisfatto. Il giovane lo accarezzò ancora per qualche minuto poi si avviò per andarsene e il baio lo seguì. Anche se onestamente non ne capiva il perché, Perryn sapeva che se riusciva a restare per qualche minuto solo con un cavallo l'animale poi lo seguiva senza bisogno di corda o di cavezza, e questo costituiva un trucco molto utile, perché quando era a corto di denaro gli bastava prendere un cavallo a qualcuno che gli era antipatico e rivenderlo ad uno dei mercanti disonesti che conosceva. A causa del suo sangue nobile, nessuno aveva mai sospettato che lui fosse il peggiore ladro di cavalli di tutte le province settentrionali, e spesso gli era capitato di rubare un cavallo ad un cugino per poi presentarsi da lui dopo una settimana per esprimere sorpresa e comprensione per la perdita da lui subita. Soltanto Benoic e Nedd erano al sicuro dalle sue scorrerie. Quella notte Perryn e i suoi due cavalli si accamparono comodamente in una radura boschiva, ma il giorno successivo dovettero tornare sulla strada per evitare di percorrere una quantità di chilometri in più per aggirare un'erta collina; avevano appena raggiunto la pista quando cominciò a piovere e Perryn continuò a cavalcare finché il fango non rese il cammino difficile per i cavalli, addentrandosi poi di un breve tratto nella foresta e smontando di sella. Sotto il riparo imperfetto offerto dai pini si accoccolò fra i due cavalli e attese che la tempesta rallentasse. Naturalmente era a disagio, con i vestiti bagnati che gli aderivano addosso e l'acqua che gli colava negli stivali, ma ignorò la cosa nello stesso modo in cui i daini boschivi ignorano la pioggia, pascolando sotto di essa quando hanno fame. Se qualcuno gli avesse chiesto a cosa aveva pensato durante quelle due fredde ore, non sarebbe stato in grado di dirlo perché era consapevole soltanto delle cose che lo attorniavano: la pioggia, l'odore dei pini, i tronchi lisci e umidi, le pallide felci. Ogni suono gli portava un messaggio... gli scoiattoli che cercavano rifugio nelle loro tane, un daino che si muoveva con cautela a poca distanza, un ruscello che scorreva nelle vicinanze. Alla fine la pioggia cessò e quando infine arrivò da Nedd il giovane era ormai asciutto e del tutto dimentico di essere stato sorpreso dalla tempesta. La fortezza si levava su una collinetta fangosa, dietro un fatiscente muro di pietra dotato di un paio di arrugginite porte rinforzate in ferro che stridettero come demoni quando Perryn spinse per aprirle. Invece di una rocca, Nedd aveva una rotonda casa di pietra che faceva acqua dal tetto lungo i contorni e che era dotata di due focolari che non aspiravano molto bene il
fumo; anche se accanto alle stalle c'erano i consueti alloggiamenti per una banda di guerra, il tetto di quella costruzione era in condizioni così precarie che Nedd aveva semplicemente trasferito i suoi dieci uomini nella stanza semicircolare che passava per la grande sala, dove essi dormivano su materassi disposti nel centro della stanza dovunque ci fosse un punto asciutto. Come si confaceva al suo rango, Nedd aveva un vero e proprio letto accanto ad uno dei camini, e persi in mezzo a quel disordine di paglia fatiscente c'erano anche due tavoli, alcune panche e un assortimento di secchi per raccogliere l'acqua, oltre ad un'elegante seggio con lo stemma del lupo intagliato su di esso. Quando entrò dopo aver sistemato i cavalli nella stalla, Perryn trovò il cugino seduto su di essa con i piedi su uno dei tavoli. — Per gli dèi! — esclamò Nedd, con un sorriso. — Giungi come un presagio, cugino. Avanti, versati un po' di birra... c'è un barile aperto vicino all'altro focolare. Dal momento che erano figli di due sorelle, i cugini si somigliavano molto: entrambi avevano i capelli rossi, la faccia lentigginosa e intensi occhi azzurri, ma se da un lato Nedd era un uomo attraente la descrizione più caritatevole dell'aspetto di Perryn avrebbe potuto invece essere «anonimo». Con il boccale in mano, il giovane raggiunse Nedd al suo tavolo, mentre all'altro la banda di guerra era impegnata a bere e a giocare a dadi. — Perché sono giunto come un presagio? — Sei arrivato appena in tempo per partire con me per una guerra — spiegò Nedd con un sorriso, come se stesse offrendo uno splendido dono. — Ho questo alleato dell'ovest, il Tieryn Graemyn... non lo hai mai incontrato, vero?... che mi ha mandato una richiesta di aiuto. Io gli dovrei portare dodici uomini ma ne ho soltanto dieci, quindi ne devo scovare altri due da qualche parte. Vieni con me, cugino! Ti divertirai e mi farai risparmiare il costo di una daga d'argento. Perryn sospirò perché non vedeva modo di uscire da quella situazione: Nedd lo aveva nutrito per più di un inverno e inoltre si supponeva che un nobile dovesse rispondere con gioia ad un invito a combattere. Di conseguenza, si costrinse a sorridere. — Ne sarò lieto — rispose. — E cosa ha provocato questa guerra? — Che io sia dannato se lo so... ho ricevuto il messaggio soltanto oggi. — Mi puoi prestare uno scudo? — Certamente. Per gli dèi, Perro, non mi dirai che viaggi senza uno scudo!
— Er... ah... ecco... a dire il vero sì. Occupa troppo spazio sulla sella. — Giuro che saresti dovuto nascere taglialegna. Perryn si massaggiò il mento e prese in esame quel suggerimento. — Stavo soltanto scherzando — si affrettò ad aggiungere Nedd. — Bene, spero che capiti presto da queste parti una daga d'argento, visto che nel Cerrgonney ce ne sono sempre molte. Aspetteremo un paio di giorni poi partiremo anche se saremo a corto di un uomo. Meglio questo che arrivare a cose finite. A quanto pareva, però, gli dèi avevano deciso che se Lord Nedd doveva andare in guerra poteva farlo subito, perché l'indomani mattina, poco dopo colazione, l'addetto all'orto della cucina venne dentro per annunciare che alle porte c'era una daga d'argento. — Ed ha una donna con sé, per di più — aggiunse il vecchio. — Mi dispiace dannatamente per la sua famiglia. — È graziosa? — domandò Nedd. — Sì. Nedd e Perryn si scambiarono un piccolo sorriso. — Splendido! — commentò poi Nedd. — Mandali dentro. Pochi minuti più tardi la daga d'argento e la sua donna entrarono nella stanza, entrambi sporchi per il viaggio e vestiti rozzamente, la ragazza con abiti maschili e con una spada e una daga d'argento alla cintura. Anche se i suoi capelli biondi erano tagliati corti quanto quelli di un ragazzo, lei era decisamente bella e non soltanto graziosa, con ampi occhi azzurri e una bocca delicata. — Buon giorno, signori — salutò la daga d'argento, con un elegante inchino. — Sono Rhodry di Aberwyn e ho sentito dire nel vostro villaggio che avete bisogno di assoldare una persona come me. — Infatti — rispose Nedd. — Non ti posso offrire più di una moneta d'argento alla settimana, ma se mi servirai bene in guerra darò asilo a te e alla tua ragazza per tutto l'inverno. Rhodry lanciò un'occhiata al tetto, attraverso cui la luce del sole penetrava in lunghi raggi luminosi, poi al pavimento sul quale i cani di Nedd ronfavano in mezzo alla paglia umida. — L'inverno è ancora molto lontano, mio signore, quindi non credo che ci fermeremo qui. — Oh, bene — si affrettò a replicare Nedd. — Allora posso arrivare a due monete d'argento la settimana, e potrai avere anche parte del bottino. — Affare fatto. La generosità di Vostra Signoria è davvero lodevole.
Per riguardo nei confronti di Jill, Lord Nedd diede alla daga d'argento una vera e propria camera in cui dormire invece di un materasso nella grande sala... anche se le pareti di vimini erano sporche, se non altro la stanza aveva una porta. Invece di sedersi sulla paglia del pavimento, che sembrava avere degli inquilini, Jill si appollaiò sulla sommità di una barcollante cassapanca di legno per osservare Rhodry che era intento a pulire la propria cotta di maglia passando uno straccio fra gli anelli per toglier la ruggine; alla luce delle candele, il suo volto appariva accigliato. — A cosa stai pensando? — gli chiese. — A quel vecchio detto... povero come un signore del Cerrgonney. — Lord Nedd è davvero splendido, non trovi? Dobbiamo davvero restare qui tutta l'estate e anche tutto l'inverno? — No. Preferirei dormire all'aperto che stare qui. Sei certa di non avere problemi quando me ne andrò? — Oh, non dubito che questo canile sarà confortevole una volta che i cani se ne saranno andati tutti. Quanto credi che durerà questa guerra? — Guerra? — ripeté Rhodry, sollevando lo sguardo con un sogghigno. — Non le attribuirei la dignità di questa parola, amore mio: se gli alleati di Nedd sono tutti come lui senza dubbio la cosa finirà con un mucchio di grida e qualche scaramuccia. — Spero che tu abbia ragione. Sento che in questa cosa c'è un pericolo. Il sorriso di Rhodry scomparve e lui posò la cotta di maglia. — Ancora il tuo dannato dweomer? — Esatto, ma non si tratta proprio di un pericolo connesso alla battaglia. Non so neppure io cosa intendo dire quindi scusami... non avrei dovuto parlarne affatto. — Vorrei che non lo avessi fatto — replicò Rhodry, poi esitò per un lungo momento, con lo sguardo fisso sulla paglia. — Io... ah, per il nero Signore dell'Inferno, lasciamo perdere. — So quello che vuoi sapere. Non vedo arrivare la tua morte. Oh, dèi, se mai mi capitasse di vederla, non pensi che ti implorerei di non andare in guerra? — E a cosa mi servirebbe? Quando il mio Wyrd mi raggiungerà morirò con la stessa facilità per una febbre o per una caduta da cavallo come per un colpo di spada. Lascia però che ti preghi di una cosa, amore mio: se mai dovessi vedere la mia morte, non mi dire una sola parola al riguardo. — Allora non lo farò, te lo prometto.
Annuendo, Rhodry si alzò in piedi e si stiracchiò, abbassando lo sguardo sulla cotta di maglia che scintillava alla luce delle candele: appariva così bello che Jill sentì il desiderio di piangere al pensiero che lui dovesse rischiare la propria vita nelle faide meschine di uomini come Lord Nedd. Come sempre le succedeva nella notte prima che lui andasse incontro ad un combattimento, si chiese se sarebbe tornato indietro vivo. — Vieni a sdraiarti qui con me, amore — disse Rhodry. — Passerà molto tempo prima che possa dormire ancora con te. Una volta che si trovò fra le sue braccia Jill sentì il dubbio crescere fino a diventare una fitta gelida che somigliava sempre più alla paura; per reazione lo strinse forte a sé e lasciò che i baci soffocassero quella sensazione. Il mattino successivo di buon'ora la banda di guerra si raccolse senza troppo ordine nel cortile. Ferma sulla soglia, Jill osservò gli uomini disporre i cavalli in una linea imprecisa alle spalle dei due nobili; i quattro in coda alla colonna, fra cui Rhodry, conducevano i cavalli da soma carichi di provviste perché Nedd non possedeva un carro trainato da buoi e non avrebbe potuto comunque distogliere un contadino dal suo lavoro perché lo guidasse. Proprio quando pareva che la linea si fosse finalmente formata, questo o quel cavaliere si accorse di aver dimenticato qualcosa e tornò a precipizio in casa o nelle stalle, e all'ultimissimo momento Nedd scoprì che Perryn non possedeva un elmo. Un servo venne inviato nelle stalle, che a quanto pareva servivano anche da armeria, per cercarne uno. Perryn rimase in silenzio massaggiandosi il collo con una mano mentre Nedd lo rimproverava dandogli del taglialegna e usando nomi anche peggiori, e quando Jill incontrò lo sguardo di Rhodry lui sospirò e levò gli occhi al cielo come per chiamarlo a testimone dell'eccentricità di Perryn. Jill non aveva mai visto un nobile come lui e non sapeva se le faceva venire da ridere o da piangere: Perryn era alto ma troppo snello e sproporzionato, con spalle strette, braccia lunghe e mani grosse e pesanti che male si accordavano con il resto; anche se la sua faccia non si poteva dire veramente brutta, gli occhi erano enormi, la bocca sottile e il naso piuttosto piatto. Quando camminava, poi, aveva la stessa grazia di una cicogna che si stesse pavoneggiando. Il servitore tornò infine indietro con un elmo arrugginito e Nedd annunciò che se qualcun altro aveva dimenticato qualcosa avrebbe dovuto farne a meno. Jill diede a Rhodry un ultimo bacio, poi corse alle porte per assistere alla partenza della banda di guerra, che si avviò ad un trotto disordinato giù per la collina, imboccando la strada e scomparendo a occidente fra
spruzzi di fango. Dopo aver levato una preghiera alla dea perché proteggesse il suo uomo, Jill tornò nella fortezza e alla lunga e tediosa attesa di notizie. La piccola tenuta del Tieryn Graemyn si trovava a tre giorni di cavallo ad est della fortezza di Nedd. La stretta strada passava fra aspre colline e stentate macchie di pini per lo più prive di abitazioni, ma circa quindici chilometri prima della fortezza del Tieryn la banda di guerra arrivò al piccolo villaggio di Spaebrwn, uno dei tre sottomessi a Graemyn, e mentre gli uomini facevano abbeverare i cavalli al pozzo del villaggio, Perryn si accorse che gli abitanti li stavano guardando con occhi spaventati, consapevoli che una guerra del Cerrgonney era come una tempesta del Cerrgonney, che strappava la paglia tanto dal tetto di una capanna quanto da quello della fortezza di un nobile. Nel tardo pomeriggio il gruppo raggiunse la fortezza di Graemyn, che sorgeva su una bassa collina al centro di un tratto di pascolo abbastanza pianeggiante e circondato da alberi. Le grandi porte si aprirono per lasciarli entrare in un cortile affollato di guerrieri e di cavalli, e non appena gli uomini di Nedd smontarono alcuni garzoni di stalla vennero di corsa a prendere i loro animali per portarli via nella confusione generale. Il Tieryn stesso, un uomo dagli scuri capelli brizzolati e con i muscoli che tendevano la camicia di lino, venne quindi a salutare i nuovi rinforzi. — Sono davvero contento di vederti, Nedd — commentò. — I tuoi dodici uomini portano le mie forze al limite massimo che potranno mai raggiungere. Sotto il tono deciso del Tieryn si avvertiva una nota di ansia che mise in apprensione Perryn, e durante il consiglio di guerra nella grande sala risultò che la sua apprensione aveva una valida ragion d'essere. Anche contando Nedd e gli altri suoi tre alleati, Graemyn disponeva soltanto di circa duecento uomini, e contro di lui era schierato il Tieryn Naddryc che ne possedeva trecento. La disputa era insorta a causa di due miglia quadrate di terreno confinante posto fra i loro domini ma aveva assunto proporzioni che andavano al di là della posta in gioco: anche se Graemyn era disposto a sottomettersi al giudizio del sommo re al riguardo, Naddryc aveva rifiutato quell'offerta alcune settimane prima e in una successiva scaramuccia fra pattuglie a cavallo suo figlio era rimasto ucciso. — Adesso lui vuole il mio sangue — concluse Graemyn. — Ho privato le campagne di tutte le provviste per rifornire la fortezza perché non si può
mai sapere cosa succede quando un uomo si trova coinvolto in una faida di sangue. Gli altri nobili annuirono con aria saputa mentre Perryn desiderava intensamente essere nato davvero taglialegna: una faida poteva infatti durare anni e lui era vincolato dall'onore a prendervi parte per amore di Nedd. Dopo il pasto i nobili si raccolsero intorno alla tavola d'onore per studiare una rozza mappa del Cerrgonney orientale, bevendo, discutendo e gridando gli uni contro gli altri mentre Perryn si limitava ad ascoltare, consapevole che la sua partecipazione al consiglio era dovuta soltanto ad un atto di cortesia: non possedendo una banda di guerra non aveva infatti alcun diritto a partecipare alle decisioni. Il giovane rimase con gli altri finché questi non adottarono il piano di Nedd di scatenare un attacco a sorpresa contro le truppe del nemico in marcia, poi scivolò via e prese una candela ad un paggio, avviandosi verso le stalle. Quando trovò il suo grigio pomellato appese la lanterna in cui era chiusa la candela ad un chiodo piantato nella parete della stalla e si sedette su una mangiatoia, grattando gli orecchi del cavallo che aveva appoggiato il muso contro il suo petto con un piccolo sbuffo. — Amico mio, mi chiedo se vivrò abbastanza a lungo da vedere l'inverno... me lo chiedo davvero. Beatamente inconsapevole che ci fosse da considerare una cosa come il futuro, il grigio gli mordicchiò la camicia. — Almeno tu sarai al sicuro e fuori da tutto quanto, e questo è qualcosa di cui essere contento. Infatti se gli uomini del Cerrgonney avessero combattuto a cavallo come i guerrieri facevano nella maggior parte di Deverry, nessuna considerazione d'onore o di obbligo avrebbe potuto costringere Perryn ad andare in guerra, ma dal momento che in quelle province povere di grano i cavalli erano troppo preziosi per essere uccisi, gli uomini del Cerrgonney raggiungevano il luogo della battaglia a cavallo ma smontavano di sella per combattere. Anche se sapeva che il suo amico sarebbe stato al sicuro, Perryn si sentiva comunque dolere il cuore al pensiero della battaglia imminente, e come gli capitava ogni volta che era costretto a combattere, si chiese se era un vigliacco. Indubbiamente ogni nobile della provincia lo avrebbe giudicato tale se avesse scoperto i suoi sentimenti effettivi in merito all'onore e alla gloria conseguita in battaglia, che a lui sembravano assai meno importanti che pescare in un ruscello di montagna o sedere su un prato a guardare i daini che pascolavano, e in momenti come questi un
vecchio problema tornava a tormentarlo: cos'ha un uomo che sia degno di essere posseduto se non il suo onore? Secondo il modo di vedere di Perryn c'erano molte altre cose che valeva la pena di possedere, ma non era mai riuscito a parlarne con nessuno, neppure con Nedd, indipendentemente da quanto fosse intenso il suo desiderio di rifuggire dall'uccidere uomini che non conosceva in una guerra che non avrebbe mai dovuto verificarsi. — Ah, amico mio, suppongo che il mio Wyrd arriverà quando sarà il momento. Mi chiedo se i cavalli abbiano un Wyrd. È un peccato che tu non possa parlare, perché avremmo fatto una bellissima chiacchierata al riguardo, non trovi? All'improvviso tacque, sentendo qualcuno aprire la porta della stalla: con la daga d'argento che brillava alla luce delle lanterne, Rhodry avanzò con passi decisi lungo la fila di stalli. — Oh, sei tu, mio signore. Il capitano del Tieryn mi ha incaricato di tenere d'occhio le stalle e ho sentito qualcuno parlare — spiegò, guardandosi intorno con perplessità. — Qui non c'è nessun altro? — Oh... er... ah... ecco, stavo parlando con il mio cavallo. Negli occhi di Rhodry apparve quella derisione repressa che Perryn era ormai abituato a vedere sulla faccia degli uomini. — Capisco. Mio signore, posso chiederti se domani combatteremo? — Lo faremo. Sferreremo un attacco sul fianco e faremo loro una piccola sorpresa. Rhodry accolse la notizia con un sorriso di sincera soddisfazione. Il giovane era attraente, forte e impaziente di combattere, proprio il genere di uomo che Perryn sarebbe dovuto essere e che di solito lo disprezzava, quindi nel guardarlo Perryn non seppe se invidiarlo o detestarlo... e in seguito decise che si trattava di entrambe le cose. L'indomani l'esercito si raccolse prima dell'alba nel cortile rischiarato dalle torce: gli uomini erano silenziosi, i nobili cupi e i cavalli inquieti, pronti a battere a terra lo zoccolo e a scrollare la testa ad ogni minimo bagliore riflesso su un elmo o su uno scudo. Come al solito, la banda di guerra di Nedd fu l'ultima a prendere posto, con gli uomini che gridavano e litigavano per stabilire con chi avrebbe cavalcato ciascuno. Nell'affiancarsi al cugino, Perryn notò che Rhodry stava sorridendo fra sé come se stesse pensando ad una bellissima donna. — Taglieremo direttamente attraverso la campagna — decise Nedd, — quindi avremo bisogno che tu ci faccia da esploratore, Perro. — Non ne dubito: nessuno di voi riuscirebbe a trovare la strada attraver-
so un bosco montano. — Anche i taglialegna servono a qualcosa. Perryn si limitò a scrollare le spalle. L'inquietudine degli animali cominciava a fargli dubitare che per loro si stesse prospettando qualche disastro, perché l'esperienza gli aveva insegnato che a volte gli animali riuscivano a percepire le cose in anticipo. Alla fine Graemyn suonò il suo corno d'argento e le porte si spalancarono mentre i primi chiarori dell'alba rischiaravano il cielo. Con la spada tenuta in alto, il Tieryn uscì per primo con la sua banda di guerra schierata per quattro, e la linea di cavalieri prese a snodarsi giù per la collina. Improvvisamente Perryn sentì lontane grida di guerra, come se qualcuno stesse avanzando di corsa per incontrare Graemyn oltre le mura, e gli uomini più vicini alle porte lanciarono grida rabbiose che si mescolarono allo squillo dei corni che avvertivano di prendere le armi e caricare: a quanto pareva, Naddryc aveva preparato a sua volta una sorpresa. Il cortile si trasformò in un caos di spintoni e di urla mentre gli uomini si affrettavano a smontare di sella e ad afferrare scudi ed elmi per poi precipitarsi fuori delle porte. Perryn imitò gli altri e diede un'ultima pacca al suo grigio. — Addio, e prega Epona che ci incontriamo ancora. Poi seguì di corsa Nedd oltre le porte. Intanto la battaglia stava già infuriando su per la collina, un furibondo e irregolare vortice di uomini e di cavalli senza cavaliere che si allargava a metà del pendio, con i guerrieri di Naddryc che lottavano per avanzare e quelli di Graemyn che si sforzavano di tenerli indietro. In mezzo alle nubi di polvere Perryn perse quasi subito di vista Nedd, poi un individuo massiccio che portava sullo scudo lo stemma nemico giallo e azzurro gli si scagliò contro e colpì con violenza da destra. Sollevando di scatto lo scudo Perryn parò il colpo e lo respinse, reagendo con un cotrattacco che raggiunse con forza l'avversario alla coscia di piatto. Imprecando l'uomo incespicò e Perryn riuscì a ferirlo profondamente al braccio destro; sanguinando, il guerriero si ritirò eseguendo finte e parate più che fendenti e nel seguirlo Perryn si rese conto che la marea nemica si stava ritirando giù per la collina, inseguita dagli uomini di Graemyn che lanciavano grida di guerra. Dovremmo attestarci su questo tratto di terreno più elevato, pensò, ma ormai era troppo tardi e del resto nessuno avrebbe accettato ordini da lui anche se avesse tentato di darne. Una volta sul pascolo pianeggiante la battaglia tornò ad assumere la
forma di capannelli e di masse separate di combattenti, e mentre correva verso il più vicino di essi Perryn sentì improvvisamente da un lato una strana risata gorgogliante che di tanto in tanto su levava in un ululato che sovrastava il fragore delle spade che colpivano gli scudi e le cotte di maglia. Quel suono aveva una qualità talmente irreale che lo indusse a fermarsi per un momento e a guardarsi intorno per cercare di individuarne la fonte... e quella fugace curiosità gli costò cara. Un grido alle sue spalle lo spinse a girarsi appena in tempo per vedere tre uomini che gli correvano contro e che portavano tutti lo scudo giallo e azzurro: con uno strillo di terrore sollevò lo scudo e la spada appena in tempo per parare due duri fendenti che gli piovvero addosso. Anche se il terzo uomo lo schivò e continuò la sua corsa, gli altri due nemici lo serrarono da vicino per eliminarlo in fretta; fra una disperata parata e l'altra, Perryn sentì di nuovo quella risata stridula e singhiozzante, ora ancora più forte, poi Rhodry eseguì un improvviso affondo contro l'uomo che lo stava pressando sulla destra e lo uccise con due rapidi fendenti di dritto e di rovescio, con la stessa disinvoltura con cui avrebbe allontanato una mosca. Annaspando per respirare, Perryn tentò un incontrollato fendente contro l'altro avversario, mancò il bersaglio e per poco non inciampò, recuperando l'equilibrio appena in tempo per vedere l'uomo cadere trapassato alle spalle attraverso una giuntura della cotta di maglia e Rhodry che liberava la spada con uno strattone che spruzzò tutt'intorno gocce di sangue. — Ti ringrazio, daga d'argento — annaspò Perryn. Per tutta risposta Rhodry si limitò a ridere, e nei suoi occhi c'era un bagliore così selvaggio che per un momento Perryn temette che il giovane potesse rivoltarsi anche contro di lui. Urlando con quanto fiato avevano, cinque guerrieri della banda di Nedd sopraggiunsero di corsa e trascinarono con loro Rhodry e Perryn in direzione di un serrato gruppo che stava combattendo intorno allo stesso Graemyn, e anche se Perryn cercò di tenere il proprio terreno ben presto l'intera linea cominciò a infrangersi e a indietreggiargli intorno a mano a mano che la superiorità numerica di Naddryc iniziava a farsi sentire. Il giovane nobile rimase tagliato fuori quando due dei suoi alleati lo oltrepassarono con un spintone fuggendo per salvarsi la vita, e allorché spiccò a sua volta la corsa verso un individuo che credeva appartenere alla banda di guerra di Nedd, questi tentò di colpirlo e sollevò lo scudo decorato con le ghiande rosse che erano lo stemma di un'altra banda di guerra nemica. Imprecando, Perryn si scagliò in avanti,
ma qualcosa lo raggiunse alla schiena. Una fitta infuocata gli attraversò la spalla e all'improvviso le sue dita si allargarono di loro iniziativa intorno all'elsa della spada. Girandosi di scatto, intercettò un altro colpo con lo scudo, ma quando cercò di sollevare il braccio destro la spada gli sfuggì di mano e subito dopo sentì il sangue che gli scorreva lungo il braccio e gli si riversava nel guanto. Dal momento che il nemico lo stava pressando, Perryn sollevò lo scudo come se fosse stato un'arma e lo vibrò con forza nell'indietreggiare schivando e incespicando sul terreno ineguale. Però anche alle sue spalle c'erano altri nemici. Con un grido di disperazione Perryn si scagliò in avanti e sbatté lo scudo contro l'avversario che aveva davanti: colto del tutto alla sprovvista da quella manovra suicida l'uomo scivolò, cadendo all'indietro, e lo stupito Perryn gli crollò addosso con lo scudo intrappolato fra loro e sospinto da tutto il suo peso. La testa del nemico ebbe uno scatto all'indietro e lui giacque immobile... morto o svenuto Perryn non avrebbe saputo dirlo nella sua condizione di stordimento; rialzatosi, gettò via lo scudo senza pensarci due volte e corse verso la fortezza... ma soltanto per pochi metri. All'improvviso si rese infatti conto che la battaglia era perduta, che il campo apparteneva al nemico e che gli ultimi suoi compagni stavano oltrepassando a precipizio le porte precedendo di poco una fila di scudi azzurri e gialli. Crollando sulle ginocchia, guardò le porte della fortezza che si richiudevano e lasciò che i nemici lo oltrepassassero correndo e gridando. — Vogliono farsi assediare, quei bastardi... arrivate alla pusterla! Nessuno degnò di una sola occhiata il guerriero malconcio accasciato al suolo e di colpo Perryn si rese conto che senza scudo in quella confusione nessuno avrebbe potuto riconoscere in lui un nemico. Con la testa che gli girava, si issò in piedi e afferrò con la sinistra la spada appartenuta ad un morto che giaceva poco lontano, avviandosi poi di corsa dietro agli altri e lanciando grida simili alle loro. Sebbene non gli importasse un accidente di Graemyn, Nedd era intrappolato in quella fortezza male equipaggiata a sostenere un assedio e senza nessuna possibilità di ricevere soccorsi in quanto Graemyn aveva chiamato a sé tutti i suoi alleati per quella battaglia. In mezzo alla massa confusa e coperta di polvere il suo inganno funzionò bene e dopo aver percorso con gli altri una ventina di metri Perryn rimase indietro, correndo verso gli alberi che costeggiavano il campo di battaglia. Se anche qualcuno lo vide andarsene non ebbe però il tempo di inseguirlo e fra i pini lui trovò ordinatamente impastoiati i cavalli degli uomini di Naddryc, sorvegliati soltanto da un paio di servitori. Brandendo la
spada, si lanciò verso il primo dei due che si diede subito alla fuga, poi tagliò una cavezza, gettò via la spada e afferrò le redini di un massiccio castrato sauro. — Buon cavallo, per favore aiutami. Il sauro rimase pazientemente fermo mentre lui si issava in sella, allontanandosi poi dalla battaglia sotto il riparo degli alberi. Ogni passo del cavallo faceva ondeggiare il mondo davanti a lui e gli faceva pulsare il braccio ferito, ma Perryn si morse il labbro inferiore fino a farlo sanguinare e continuò a cavalcare: aveva delle notizie da dare a Benoic... quello era il solo pensiero che si concesse di formulare. Arrivato alla strada spinse il cavallo al galoppo e rimase in sella con la pura forza di volontà. Galoppo, trotto, galoppo, trotto, passo... cocciutamente Perryn continuò il suo viaggio ricordando di continuo a se stesso che a Spaebrwn avrebbe potuto trovare aiuto, e anche se a volte si chiese se sarebbe vissuto abbastanza a lungo da raggiungere il villaggio ben presto il sangue sul braccio cessò di scorrere e cominciò a seccarsi. Poco prima di mezzogiorno superò l'ultima collina che sovrastava Spaebrwn e fece fermare il cavallo, rimanendo a lungo a fissare l'ancora ardente distesa di cenere e di travi carbonizzate che giaceva seminascosta sotto una nube di fumo. La brezza portò fino a lui un odore nauseante che somigliava troppo a quello del maiale arrosto, e Perryn comprese che alcuni abitanti avevano atteso troppo a fuggire. — Oh dèi, se volete il mio parere Naddryc ha preso un po' troppo seriamente il concetto di vendetta. Il castrato sbuffò e scrollò la testa, spaventato dall'odore di bruciato, ma Perryn lo incitò a proseguire, aggirò le rovine e tornò ad addentrarsi nella foresta di pini. Sebbene non potesse sollevare il braccio destro o muovere le dita, avrebbe dovuto comunque tentare di tornare con i propri mezzi alla fortezza di Nedd... e prendendo alcune piste secondarie che passavano per zone selvagge avrebbe potuto accorciare la strada di circa sessanta chilometri. Una volta ben addentro negli alberi, arrestò di nuovo il cavallo e pensò alla fortezza, immaginandola con chiarezza nella sua mente e ricordando tutti i momenti caldi e tranquilli che vi aveva goduto in compagnia di Nedd, poi riprese il cammino puntando dritto verso di essa: ogni volta che accennava a deviare dal sentiero più rapido e diretto avvertiva un profondo disagio simile ad una fitta di paura o di ansia che svaniva non appena tornava nella giusta direzione. Anche se non riusciva esattamente a capire come funzionasse, in passato quel trucco gli aveva permesso più volte
di arrivare senza ostacoli a posti che lui considerava casa propria. Fino al tramonto continuò ad avanzare nella foresta, poi smontò di sella e conducendo a mano il cavallo proseguì a piedi nel buio per qualche altro chilometro, incespicando soltanto per costringersi a rialzarsi, fino a quando non raggiunse un piccolo corso d'acqua. Allentare con la sinistra il morso del cavallo parve richiedere un'eternità, ma alla fine riuscì a toglierlo e lasciò che il castrato bevesse. — Ti chiedo scusa, ma non ho avena — disse. Nella nebbia dorata la foresta stava vorticando lentamente intorno a lui, e fece appena in tempo a sedersi prima di svenire. Come pecore in una tempesta di neve, quella notte i resti dell'esercito si raccolsero nella grande sala di Graemyn... ottanta uomini circa in buone condizioni e una ventina feriti gravemente. Rhodry sedette per terra con gli ultimi sei uomini della banda di guerra di Nedd, e nessuno di essi parlò nel tenere lo sguardo fisso sulla tavola d'onore dall'altra parte della sala, dove Graemyn e i suoi alleati stavano discutendo con il volto cupo e le labbra tese alla luce delle torce. Serve spaventate passavano intanto fra i membri delle bande di guerra, distribuendo con parsimonia boccali di birra annacquata e vicino al focolare della servitù un giovane paggio sedeva piangendo e chiedendosi probabilmente se avrebbe mai rivisto sua madre. Alla fine Nedd lasciò la tavola d'onore e raggiunse zoppicando i suoi uomini, scivolando lungo la parete piuttosto che sedendosi fino a potersi accasciare semiseduto sulla paglia. — Dovresti stare disteso, mio signore — osservò Rhodry. — Quel dannato taglio non è poi così grave — replicò Nedd, posando una mano sulla coscia come per nascondere la benda insanguinata. — Ti chiedo scusa, mio signore. — Oh, sono io a chiederti scusa. Dovremo stare tutti attenti a non perdere il controllo. Gli altri annuirono, guardando il pavimento, il vuoto, qualsiasi cosa piuttosto che il volto dei compagni. — Abbiamo viveri per almeno sei settimane — proseguì il nobile... — di più se cominceremo a mangiare i cavalli. — C'è qualche possibilità di parlamentare? — domandò Rhodry. — C'è sempre una probabilità, e domattina Graemyn manderà fuori l'araldo. Dal momento che gli venne assegnato per estrazione il turno di guardia
sui bastoni a partire dall'alba, Rhodry poté assistere da lontano alle trattative. All'esterno gli uomini di Naddryc avevano liberato il campo di battaglia dai cadaveri, lasciando un tratto di nudo terreno smosso e macchiato di sangue largo circa trecento metri al di là del quale c'erano le tende e i cavalli degli assedianti. Intorno alla fortezza, ben fuori dalla portata dei giavellotti, trottava di continuo una pattuglia di cavalieri; con un conto approssimativo, Rhodry stabilì che a Naddryc restavano più o meno centotrenta uomini. Quando il sole era sorto ormai da un'ora, le porte si aprirono e ne uscì il ciambellano di Graemyn, che portava una lunga asta intorno alla quale erano avvolti alcuni nastri rossi: subito la pattuglia lo raggiunse e dopo avergli rivolto un cortese inchino dalla sella lo scortò al campo. Protendendosi in fuori dai bastioni, Rhodry rimase in attesa dei risultati, invidiando la capacità di volare di uno stormo di corvi che passò gracchiando poco lontano. L'araldo tornò indietro dopo appena mezz'ora, ma per sapere cosa era successo Rhodry dovette attendere che venissero a dargli il cambio. Appena libero di affrettò a scendere la scala e a raggiungere la grande sala, dove le bande di guerra stavano mangiando immerse in un minaccioso silenzio; anche se gli altri nobili se ne erano già andati, Nedd stava mangiando con i suoi uomini, e dopo aver preso un pezzo di pane da un cesto Rhodry lo fissò con aria piena di aspettativa. — Naddryc non intende trattare — gli disse Nedd, in tono quieto. — Ha fatto a Graemyn una sola offerta: se ci arrenderemo senza combattere risparmierà le donne e i bambini, altrimenti raderà al suolo la fortezza e ucciderà ogni essere vivente al suo interno. Rhodry imprecò sottovoce e gli altri uomini annuirono con stupito sconcerto. — Naddryc è un uomo duro — proseguì Nedd, — e ha giurato che questa è una faida di sangue. — E se ci arrendiamo cosa farà? — domandò Rhodry. — Impiccherà ogni uomo della fortezza? — Proprio così, daga d'argento. Rhodry tornò a posare nel cesto il suo pezzo di pane. Per un momento desiderò che potessero fare una sortita e morire combattendo invece di essere impiccati come ladri di cavalli, ma bisognava pensare alla moglie del Tieryn, alle sue donne, alle loro figlie e al figlio ancora piccolo. — Ah, bene — commentò quindi. — Una corda è sempre meglio che morire di febbre. Dicono che si sussulti una volta e che poi sia finita.
— Nonostante la tua daga d'argento sei un uomo per bene, Rhodry di Aberwyn, e spero soltanto che i miei nobili alleati siano onorevoli quanto te. — Suvvia, mio signore, non mi dirai che hanno trovato da ridire in merito. — Infatti. Per tutti gli inferni, vorrà dire che resisteremo per un po' prima di decidere il da farsi. Quel bastardo può aspettare qualche giorno mentre assapora la sua misera vittoria. — Perché non aspettiamo di essere alla fame per arrenderci? — E se lui cambiasse di nuovo le condizioni? Non mi stupirebbe che quel figlio di un cane pretendesse una resa immediata per salvare la vita anche ad una sola donna. Perryn si risvegliò con la luce del sole che filtrava fra gli alberi e che al suo sguardo abbagliato apparve come una pioggia di lance dorate. Quando si sollevò a sedere lanciò un urlo a causa della fitta di dolore al braccio ferito, e strisciò sulle ginocchia fino al ruscello per bere, raccogliendo l'acqua nella mano sinistra. Soltanto allora si rese conto che il suo cavallo era scomparso e si alzò barcollando, ma dopo aver mosso pochi passi capì che non sarebbe mai riuscito a percorrere a piedi i rimanenti trenta chilometri che lo separavano dalla fortezza... ma per fortuna non aveva nessun motivo di farlo. Dopo aver camminato ancora per un paio di metri si immobilizzò completamente, aspettando senza quasi pensare finché non avvertì la solita strana sensazione, una vibrante consapevolezza che racchiudeva la certezza che da qualche parte nelle vicinanze c'era un cavallo... un altro se non il suo. Seguendo quell'indizio cambiò direzione, ignorando il disagio che lo avvertiva di essersi allontanato dalla linea più diretta verso la fortezza e avanzò lentamente fra gli alberi fino a notare un intensificarsi della luminosità che indicava la l'allargarsi di un pascolo montano. Adesso l'attrazione generata dalla presenza di un cavallo era tanto intensa che lui affrettò il passo, dimentico delle proprie condizioni, e sbatté con il braccio ferito contro un albero: l'impatto gli strappò un grido di dolore a cui rispose un nitrito che proveniva da poco più avanti. Muovendosi con maggiore cautela riprese allora ad avanzare ed emerse dalla foresta in una valletta erbosa dove il sauro stava brucando con le redini che pendevano nell'erba; quando Perryn gli si avvicinò barcollando, il cavallo sollevò la testa e gli sfiorò il braccio sano con il muso. — Sarà meglio togliere quelle redini, amico mio, perché se dovessi mo-
rire per strada rischieresti di morire anche tu di fame nel caso dovessero impigliarsi in un cespuglio o qualcosa del genere. Togliere le brighe con una sola mano fu uno sforzo lungo e faticoso ma alla fine ci riuscì; appoggiandosi al cavallo per sostenersi, frugò nelle sacche della sella e trovò la camicia di riserva del precedente proprietario dell'animale e un pezzo di carne secca. Servendosi dei denti ridusse a strisce la camicia e approntò una rozza fascia con cui tenere appeso al collo il braccio ferito, poi mangiò la carne mentre riprendeva il cammino guidando il cavallo con le ginocchia. Continuò lentamente la marcia per tutto il pomeriggio, zigzagando fra gli alberi ben distanziati fra loro e salendo e scendendo per le colline, ed entro il tramonto riuscì a percorrere altri quindici chilometri. Non appena trovò un altro prato lasciò che il cavallo pascolasse e si sedette poco lontano invidiando la possibilità dell'animale di nutrirsi nel sentire la fame che gli serrava lo stomaco; anche se era stata sua intenzione concedersi soltanto qualche momento di riposo, non appena si fu seduto il sonno ebbe la meglio su di lui. Si svegliò quando ormai la luce della luna si riversava sul prato; poco lontano il cavallo dormiva con la testa china e la notte era innaturalmente silenziosa, senza che il grido di un gufo o il canto di un grillo ne infrangessero la quiete. Mentre si sollevava a sedere, chiedendosi il perché di quel silenzio, vide qualcosa... qualcuno... fermo al limitare della radura e si alzò in piedi con un'imprecazione soffocata, rimpiangendo la spada che aveva lasciato sul campo di battaglia. Poi la figura mosse un passo in avanti, alta e torreggiante nella luce lunare... oppure non era la luce della luna? La presenza sembrava infatti grondare una luce pallida e palpabile come acqua che gli scorreva lungo le braccia forti e nude, brillava sul collare d'oro che gli cingeva il collo, scintillava sulle corna massicce e ramificate che si levavano da una testa che era quasi quella di un cervo, anche se gli occhi che stavano fissando Perryn erano umani. Il giovane cominciò a piangere in preda ad una gioia intensa e ardente. — Kerun — sussurrò. — Mio sacro signore. La grande testa si girò verso di lui e i liquidi occhi scuri lo scrutarono non senza gentilezza ma con distacco, poi il dio sollevò una mano per benedire quello che era forse il suo ultimo vero adoratore in tutto Deverry e svanì, lasciando Perryn avviluppato in un reverenziale timore che cancellò tutta la sua sofferenza e il suo sfinimento. Con le lacrime che gli solcavano il volto si avvicinò al punto in cui Kerun gli era apparso e si inginocchiò sull'erba, ora sacra perché toccata dal dio.
Qualche tempo dopo il sauro sollevò la testa con un nitrito assonnato e infranse l'incantesimo. Rimontato in sella, Perryn riprese il cammino guidando in maniera istintiva l'animale attraverso la foresta buia, e anche se cavalcò per tutta la notte non sentì né fame né dolore e la ferita gli causò soltanto un fastidio remoto come quello dovuto alla puntura di un'ape. Circa un'ora dopo l'alba emerse dagli alberi ad appena un chilometro dalla fortezza di Nedd e dopo aver risalito al trotto la collina scese di sella per guidare a mano il cavallo stanco oltre le porte. Intorno a lui ci furono delle grida di gente che accorreva, ma di colpo vedere gli divenne molto difficile e lui si concentrò per restare in piedi mentre Jill gli si precipitava incontro. — Lord Perryn! Allora sono sconfitti! — Quasi: sono assediati — rispose Perryn, poi svenne e scivolò in una pietosa oscurità in cui un grande cervo parve venirgli incontro. Fra tutti e due, Jill e un servitore di nome Saebyn trasportarono Perryn su un tavolo della grande sala, e mentre bagnava la camicia incrostata di sangue per staccarla dalla ferita Jill si trovò a cercare di ricordare ogni piccola cosa che Nevyn le aveva detto sull'arte delle erbe... ma anche ricordarlo non le servì a molto perché non aveva gli attrezzi e le erbe necessarie. La sola cosa che Saebyn riuscì a procurare come cicatrizzante fu il rosmarino che cresceva nell'orto della cucina, ma se non altro Nevyn aveva sempre detto che qualsiasi erba verde era meglio che niente. Quando ebbe finalmente staccato la camicia dalla ferita Jill mandò Saebyn a prendere dell'altra acqua calda e un po' di sidro, e in quel momento il suo gnomo grigio si materializzò sul tavolo per guardare. — Non è grave quanto temevo — gli disse Jill. — Vedi, ha soltanto trapassato il muscolo senza tagliare quei grossi vasi sanguigni che passano dall'ascella. Con un solenne cenno di assenso lo gnomo piegò la testa da un lato per osservare l'uomo privo di sensi, e improvvisamente si alzò in piedi di scatto soffiando come un gatto, con la bocca aperta a mostrare le piccole zanne e le mani protese e piegate come artigli. Jill rimase così sorpresa nel sentirgli emettere un suono che riuscì appena in tempo ad afferrarlo e a trattenerlo quando lo gnomo si scagliò in avanti con l'intenzione di mordere Perryn. — Smettila! — ingiunse, assestandogli un piccolo scrollone. — Cosa c'è che non va? Con la piccola faccia contorta dall'odio lo gnomo le si accasciò fra le
mani. — Non puoi mordere Lord Perryn. È già malato e poi non ti ha mai fatto nulla di male. Lo gnomo assentì vigorosamente come per sostenere il contrario. — Cosa? Senti, piccolo fratello, perché non torni più tardi e cerchi di spiegarti? L'essere svanì e proprio allora Saebyn tornò seguito dal garzone di stalla, e dopo aver usato l'acqua per lavare la ferita Jill ordinò a Saebyn di trattenere Perryn per le braccia e al garzone di bloccargli i piedi. Serrando i denti, versò poi direttamente il sidro nella ferita aperta e Perryn tornò in sé con un ululato di dolore, contorcendosi in maniera tale che i due uomini riuscirono a stento a bloccarlo. — Chiedo scusa, milord — dichiarò Jill, con fermezza, — ma devo disperdere gli umori immondi in questa ferita. Per un lungo momento lui annaspò soltanto per respirare, poi girò la testa per guardarla. — Ho dimenticato dov'ero — borbottò. — Procedi. Jill arrotolò un pezzo di stoffa, glielo diede da mordere e lavò ancora la ferita. Perryn tremò una volta, poi rimase così immobile che la ragazza pensò che fosse svenuto ancora, ma i suoi occhi erano aperti in una cocciuta resistenza al dolore che lei non poté che ammirare. Per fortuna, comunque, il peggio era passato, e dopo aver preparato un impiastro di foglie di rosmarino lei lo posò sulla ferita e procedette a fasciarla con una benda pulita. — Benoic — disse allora Perryn. — Devo raggiungere Benoic. — Non puoi: se ci provassi moriresti dissanguato. Riferiscimi il messaggio e lo porterò io. — Va' da mio zio e digli che Nedd è intrappolato nella fortezza di Graemyn — replicò Perryn, e con voce ridotta ad un sussurro aggiunse: — Il tuo Rhodry era vivo, l'ultima volta che l'ho visto. — Ti ringrazio — rispose lei, sforzandosi di mantenere salda la voce. — Pregherò perché lo sia ancora. Mentre Saebyn le spiegava chi era Benoic e quale strada prendere per arrivare a Pren Cludan, Jill tagliò uno dei lupi ricamati sulla camicia di Perryn per usarlo come simbolo di riconoscimento, poi partì portando con sé due cavalli, perché spostando il proprio peso da uno all'altro avrebbe potuto mantenere la velocità di un corriere. Non appena si fu sufficientemente allontanata dalla fortezza, chiamò a sé lo gnomo grigio che si affret-
tò ad apparire sul pomo della sella. — Puoi trovare Rhodry e dirmi se è ancora vivo? — gli chiese. Lo gnomo annuì, le batté un colpetto sulla mano e scomparve. Sola sulla strada, dove nessuno poteva vederla, Jill si concesse infine di piangere. Poco dopo l'alba, il giorno successivo, Rhodry salì sui bastioni per guardare oltre le mura della fortezza. L'accampamento nemico si stava svegliando nell'aria nebbiosa del mattino: i fuochi da campo sbocciavano fra le tende di tela e gli uomini andavano in giro sbadigliando nell'accudire ai cavalli. Appena oltre il campo si scorgeva l'inizio di un lavoro di fortificazione, un compatto terrapieno per ora lungo una decina di metri e completato da una trincea che presto avrebbe avvolto l'intera fortezza e bloccato qualsiasi tentativo di fuga. Quella fortificazione costituiva però anche uno sforzo inutile da parte di Naddryc perché i nobili avevano preso la loro decisione e presto si sarebbero arresi e lasciati impiccare per risparmiare le donne e i bambini. Tutto quello che Rhodry voleva era che questo succedesse presto per porre fine all'attesa. Quando aveva quattordici anni aveva cominciato a imparare come vivere preparandosi alla morte ed ora che ne aveva ventitré era un maestro in quella parte dell'arte di un guerriero... soltanto che adesso che il momento era giunto il suo Wyrd si sarebbe presentato all'estremità di una corda. Morire impiccato, essere gettato in una fossa comune con altri cento uomini che avevano incontrato la sua stessa sorte maledetta dai preti, giacere lontano da Eldidd in una tomba senza nome e senza nessuno che lo piangesse, soltanto una daga d'argento che aveva avuto la sfortuna di accettare il lavoro sbagliato... questo era il suo Wyrd, giusto? Rhodry scosse il capo per pura incredulità al pensiero che tutto il suo impeto berserker in battaglia, le strane profezie del dweomer e le lotte di magia lo avessero portato a questo, ad una cosa tanto sconvolgente che non provava paura e neppure dolore, soltanto un cupo hiraedd all'idea che non avrebbe mai più rivisto Jill. Se soltanto si fosse diretto ad est invece che ad ovest sarebbe stato assoldato da Naddryc e non da Nedd. Fare parte di questo disonorevole piano sarebbe stato però ancora peggiore, e anche se adesso la sua vita sarebbe finita mentre Naddryc avrebbe continuato a vivere, lui avrebbe però conservato il suo onore al contrario del nobile che aveva gettato via il proprio in nome dell'odio. Era così immerso in quelle meditazioni che quando qualcosa gli tirò una manica si girò di scatto ed estrasse la spada prima ancora di rendersene
conto. Lo gnomo grigio di Jill era apparso sui bastioni e sogghignava saltellando su e giù in preda all'eccitazione, e nel vederlo Rhodry sentì rinascere la speranza: se soltanto fosse riuscito a farsi capire da quella piccola creatura, se soltanto avesse potuto avvertire Jill... ma lei cosa avrebbe potuto fare? Correre da qualche grande signore e dirgli che aveva appreso ogni cosa dal Popolo Fatato? La sua speranza si spense sul nascere. — È dannatamente piacevole vederti, piccolo fratello, ma ti rendi conto del male che si è abbattuto su di me? Con sua sorpresa lo gnomo annuì e sollevò un dito per indicargli che doveva prestare attenzione. Improvvisamente altri membri del Popolo Fatato apparvero tutt'intorno... piccoli spiritelli azzurri, grassi gnomi gialli, strani esseri grigi e brutte e multicolori creature all'apparenza femminili. Rhodry non ne aveva mai visti tanti in una volta, una massa che si affollava sui bastioni. — Cosa significa? — chiese. Quando lo gnomo grigio schioccò le dita, i membri del Popolo Fatato si disposero in coppie e cominciarono a saltellare ritmicamente, ciascuno con la mano protesa davanti a sé, mentre lo gnomo grigio si metteva davanti a tutti, con una mano protesa come i compagni e l'altra sollevata come se impugnasse una spada. Dopo un momento, Rhodry finalmente comprese. — Un esercito! Oh, per il grande Bel! Vuoi dire che qualcuno sta per venire a liberarci dall'assedio? Lo gnomo annuì freneticamente e non svanì neppure quando gli altri esseri scomparvero con un suono frusciante. Gli occhi di Rhodry si riempirono di lacrime e lui dovette asciugarli con una manica, deglutendo a fatica prima di riuscire a parlare. — Sei stato tu a dire a Jill che ero intrappolato qui? Questa volta lo gnomo fece un gesto di diniego, poi si succhiò un dito per un momento, riflettendo, e infine cominciò a camminare avanti e indietro imitando l'andatura rigida e goffa di qualcuno che aveva le gambe storte. — Lord Perryn? È sfuggito alla battaglia? Lo gnomo annuì, sua pure con espressione stranamente acida, quindi scrollò le spalle come per accantonare qualcosa e balzò sulla spalla di Rhodry, baciandolo su una guancia prima di svanire. Il giovane gettò indietro il capo e rise... smettendo di colpo quando si rese conto che adesso avrebbe dovuto convincere i nobili che i soccorsi stavano per arrivare e che non c'era bisogno di arrendersi, e tutto questo senza naturalmente no-
minare il Popolo Fatato. — Oh, dannazione! Per tutta la mattina, mentre osservava le pattuglie di cavalieri che giravano intorno alla fortezza, Rhodry rimuginò sul problema, cercando un modo di esporlo e scartando ogni volta le frasi per elaborarne altre; dopo qualche tempo Lord Nedd salì goffamente la scala che portava ai bastioni e gli si avvicinò zoppicando. — Ho pensato di venire a dare un'occhiata a quei bastardi — commentò, appoggiandosi alle mura e guardando in basso, i capelli rossi stranamente opachi come se fosse stato malato. — Ah, se non altro presto ci impiccheranno e la faremo finita. — Ecco, mio signore, ci stavo giusto pensando, e... — Se non altro, io non ho una vedova che possa piangermi — proseguì il nobile, quasi non avesse sentito le esitanti parole di Rhodry. — Per il Signore dell'Inferno, ho sempre sperato che la mia terra andasse a Perryn nel caso della mia morte, ma ora lui è morto prima di me. Nedd era prossimo alle lacrime al pensiero della morte del cugino e questo sorprese Rhodry, che non considerava Perryn una grave perdita, o almeno non lo aveva considerato tale fino a poche ore prima. — Suvvia, mio signore, e se fosse riuscito a fuggire dal campo di battaglia? — Ma davvero! E se un corvo si mettesse a cantare come un'allodola? Perryn non valeva molto come spadaccino, daga d'argento, e dopo la battaglia i bastardi di Naddryc hanno massacrato i feriti. — È vero, ma... — So cosa stai pensando — ringhiò Nedd. — Perché piangere il povero Perryn? Sta meglio da morto. — Mio signore, non stavo pensando nulla del genere! — Scusami, dimenticavo che tu non lo conoscevi bene. Per gli dèi, ero dannatamente nauseato da tutte le chiacchiere sul suo conto! Cos'ha che non va quel tuo miserevole cugino? Come puoi sopportarlo nella tua fortezza? È stupido, è un mezzo scemo, è questo ed è quello. Non era per nulla stupido, per gli dèi! Era un poco... eccentrico, forse, ma non stupido. — Nedd s'interruppe ed emise un profondo sospiro. — Bene, comunque non ha importanza. Domattina lo vedrò nell'Aldilà. — Non è morto, mio signore. Nedd lo fissò come se stesse pensando che era lui il pazzo, dopo tutto: sapendo che quello era il momento cruciale, Rhodry si fece forza e trasse
un lungo respiro, prima di proseguire. — Mio signore, tu devi aver sentito quel vecchio detto secondo cui gli uomini di Eldidd hanno un tocco della seconda vista. È vero, ed io sono pronto a giurarti che so nel profondo del mio cuore che Perryn è vivo e che sta portando qui un esercito per togliere l'assedio. Il nobile lo scrutò socchiudendo gli occhi. — Guardami, sono soltanto una misera daga d'argento. Ho partecipato a più battaglie e risse da taverna della maggior parte degli uomini ed ho anche già affrontato la prospettiva di un'impiccagione... ti sembro il genere d'uomo che possa darsi alle fantasticherie perché non sa affrontare la morte? Non mi hai forse lodato per il mio coraggio sul campo? — È vero — ammise Nedd, distogliendo lo sguardo con espressione riflessiva. — Ti ho visto anche diventare berserker, quindi per quel che ne so potresti anche avere un po' di seconda vista. Però... — So che sembra pazzesco, ma ti imploro di credermi perché è vero. Acquisto consapevolezza delle cose come in un sogno e adesso so che un esercito sta venendo a soccorrerci. — Ma chi... oh, dèi, mio zio! — esclamò Nedd, sorridendo all'improvviso. — Ma certo, Perryn deve essere andato dritto da Benoic... ecco, se è veramente vivo. — So che lo è, mio signore. Lo giuro sulla mia daga d'argento. — E questo è il giuramento più sacro che un uomo come te possa proferire. Ah, per il nero posteriore del Signore dell'Inferno, che importanza ha se saremo impiccati domani o fra un mese? Vieni con me, daga d'argento, dobbiamo convincere di questo i miei alleati, ma sono pronto a scommettere che si aggrapperanno ad ogni brandello di speranza che riusciranno a vedere. Quattro giorni dopo aver lasciato la fortezza di Nedd, Jill fu di ritorno con un esercito di duecento uomini, tutti quelli che il Tieryn Benoic era riuscito a raccogliere facendo leva su antiche alleanze o ricorrendo addirittura alle minacce. Quando la banda di guerra entrò nel cortile Saebyn corse fuori a stringere la staffa del Tieryn in segno di fedeltà e cominciò a spiegargli tutto quello che Perryn gli aveva detto negli ultimi giorni. Gettate le redini ad un garzone di stalla, Jill si affrettò ad entrare nella grande sala, dove Perryn giaceva sul letto di Nedd con un paio di cani da cinghiali ai lati e tre di quei piccoli segugi noti come gwertraeion ai suoi piedi. Spingendo via un cane, la ragazza si appollaiò su un lato del letto per dare u-
n'occhiata al suo paziente, notando che gli occhi erano limpidi e attenti, le guance non arrossate dalla febbre. — La ferita si sta risanando bene? — chiese. — Sì. Dal rumore che sento fuori deduco che devi aver portato mio zio con te. Sapevo che sarebbe venuto: se non avesse me e Nedd di cui lamentarsi la sua vita sarebbe dannatamente monotona. In quel momento lo stesso Benoic venne dentro battendo con impazienza contro la coscia con i guanti. — Sei un idiota, Perro! E Nedd è due volte più idiota di te! Però Naddryc è un bastardo figlio di buona donna che ha il coraggio di assediare i miei parenti. Benissimo, lo spazzeremo via dal campo di battaglia. Tu verrai con noi? — Sì. Un lupo può correre su tre gambe. — Aspetta un momento, mio signore — intervenne Jill. — Se ti metti in viaggio potresti ricominciare a sanguinare. — Non importa. Devo andare con loro perché posso guidare l'esercito attraverso la foresta e in questo modo risparmieremo venti chilometri e una notte di viaggio. — Splendido! — approvò Benoic. — Sono lieto di vedere che finalmente cominci a dimostrare un po' di spirito. Non ti preoccupare, Jill, tireremo fuori il tuo uomo da quella fortezza infestata dai vermi più in fretta che potremo. — Vostra Grazia è estremamente onorevole e cortese. Se fossi un bardo loderei il tuo nome per questo. Con un piccolo inchino, la ragazza si ritirò e li lasciò soli; fuori nel cortile un paio dei vassalli di Benoic stavano conferendo con i loro capitani mentre gli uomini toglievano la sella ai cavalli e li impastoiavano all'esterno per mancanza di spazio nelle stalle, quindi Jill lasciò la fortezza e scese circa metà del pendio della collina dove si sedette in solitudine e chiamò a sé lo gnomo grigio, che apparve immediatamente. — Rhodry sta sempre bene? Lo gnomo annuì, poi le si accoccolò davanti e cominciò a pulirsi i denti. — Non mi hai ancora detto perché odi tanto Lord Perryn. La creatura interruppe le sue attività per aggrottare la faccia in un'espressione irritata, quindi riprese il lavoro fino ad avere le zanne abbastanza pulite da essere soddisfatta. — Avanti, piccolo fratello, puoi almeno dirmi il perché. Oppure è così difficile da spiegare?
Con una certa riluttanza lo gnomo annuì in risposta a quell'ultima domanda. — Dunque, vediamo. Ha fatto del male a te o a qualche altro membro del Popolo Fatato? La risposta dello gnomo fu negativa. — Ti può vedere? Ci fu un altro diniego. — È un uomo malvagio? Accigliandosi per la concentrazione lo gnomo agitò le mani come per dire che non era proprio così. — Sai, comincio ad avere difficoltà ad elaborare altre domande. La creatura sorrise e si premette le mani contro le tempie come per simulare un mal di testa, poi scomparve. Jill si disse che probabilmente non avrebbe mai scoperto il perché dell'avversione dello gnomo per Perryn, ma fintanto che la creatura si fosse comportata bene e non lo avesse pizzicato o tirato per i capelli, la cosa non avrebbe al momento avuto importanza, non quando lei aveva la sicurezza di Rhodry di cui preoccuparsi. Non sopportando di restare seduta ad aspettare nella fatiscente fortezza di Nedd e possedendo una sua cotta di maglia e uno scudo, l'indomani mattina Jill si alzò e si armò contemporaneamente alla banda di guerra e quando l'esercito si fu raccolto fuori delle porte andò ad allinearsi alla retroguardia; dal momento che quegli uomini erano stati messi insieme in fretta attingendo agli effettivi degli svariati alleati e vassalli di Benoic, chiunque la notò suppose automaticamente che si trattasse di una daga d'argento agli ordini di qualche altro nobile e del resto tutto ciò che interessava sapere a quegli uomini era che la sua presenza garantiva una spada in più. Tenendosi appartata e non parlando con nessuno Jill evitò di essere scoperta per tutto il giorno perché ben presto Perryn guidò l'esercito lontano dalla strada e attraverso la foresta su un sentiero tanto stretto che i guerrieri dovettero procedere in fila per uno, vagando fra colline e alberi lungo un percorso così tortuoso che ben presto Jill si trovò a pregare che Perryn sapesse davvero quello che stava facendo. Al tempo stesso, comunque, capì perché le scorte di viveri erano state caricate su muli e non su carri: a quanto pareva Benoic conosceva molto bene il folle comportamento del nipote. Quando però si accamparono per la notte su un prato montano, Jill venne infine scoperta; da quell'eccellente comandante che era, infatti, Benoic era solito aggirarsi per il campo e parlare di persona con gli uomini, e
quando arrivò da Jill rimase a fissarla per un momento prima di scoppiare in una sonora risata. — Possibile che tutti i miei uomini abbiano perso la vista? Con la cotta di maglia o meno, tu non mi sembri proprio un ragazzo, Jill. Cosa ci fai con l'esercito? — Vostra Grazia, il mio uomo è tutto ciò che ho al mondo e devo poterlo vedere con i miei stessi occhi il più presto possibile. — Capisco. Bene, adesso non ti possiamo più rimandare indietro perché finiresti soltanto per perderti lungo le dannate piste per la selvaggina seguite da Perro. Comunque è meglio che tu venga ad accamparti con me, così terrai d'occhio la ferita di Perro e tutti sapranno che sei sotto la mia protezione. Allorché trasferì il proprio equipaggiamento accanto al fuoco da campo del Tieryn, la ragazza trovò là Perryn, accasciato contro la propria sella; anche se era pallido per lo sfinimento, il giovane sollevò lo sguardo e le sorrise. — Immaginavo che avresti trovato il modo di seguirci — commentò. — Perché, mio signore? — Oh... er... ah... pensavo soltanto che fossi una ragazza del genere. Spero che Rhodry sia degno di te. — Io ritengo che lo sia, mio signore. Annuendo distrattamente, Perryn fissò lo sguardo sul fuoco e nel guardarlo Jill rimase sorpresa dalla sua espressione triste e dalla perpetua malinconia che stava cominciando a segnare il volto di una persona ancora troppo giovane per avere tante rughe, quasi lui fosse stato un esule da un'altra terra e non un nobile fra la sua gente. Perryn costituiva davvero un enigma. L'indomani, Jill scoprì un'altra cosa sconcertante a proposito del nobile. Dal momento che adesso cavalcava direttamente dietro di lui, ebbe modo di vedere bene in che modo sceglieva la direzione: quando arrivavano in un punto in cui due piste si congiungevano oppure quella che stavano seguendo scompariva, lui faceva fermare l'esercito e lo precedeva di qualche passo per poi fermarsi e guardarsi intorno con lo sguardo vacuo, la testa piegata da un lato quasi stesse fiutando il vento. Per un momento assumeva poi un'espressione di profondo disagio e all'improvviso sorrideva, riprendendo a guidare gli uomini con assoluta sicurezza. Per la maggior parte del tempo, inoltre, lasciava le redini avvolte intorno al pomo della sella e dirigeva il cavallo con le ginocchia ondeggiando con esso in equilibrio
perfetto pur avendo un braccio appeso al collo. A cavallo, il nobile appariva molto più aggraziato, come se le sue strane proporzioni fossero state studiate apposta affinché lui e un cavallo costituissero un insieme artistico. Circa due ore prima del tramonto Perryn trovò all'esercito un ampio prato su cui accamparsi e annunciò che si trovavano a meno di nove chilometri dalla fortezza di Graemyn. Dopo che ebbero accudito i cavalli, Jill applicò una fasciatura pulita sulla ferita di Perryn da cui avevano preso a filtrare sangue e siero, e tornò ad appendergli il braccio al collo, obbligandolo poi a mangiare qualcosa anche se lui tentò di protestare di essere troppo stanco per farlo. — Domani arriveremo alla fortezza e allora potrò riposare... dopo la battaglia, intendo — replicò il giovane. — Ascoltami, mio signore, tu non puoi combattere, perché cercare di maneggiare una spada farebbe soltanto riaprire quella ferita. — Non ti preoccupare di questo. Mi limiterò a tenermi ai margini di ciò che succederà, per vedere ciò che potrò vedere. Era una risposta così assurda che Jill non seppe cosa replicare. — Oh... ah... er... ecco, ho sentito mio zio parlare con gli altri nobili e so che stanno pensando di attaccare immediatamente — proseguì Perryn, che appariva sinceramente turbato. — Ci saranno inevitabilmente dei cavalli che resteranno feriti e forse io li potrò portare al sicuro. — Oh, continuo a dimenticare quanto siano preziosi qui i cavalli. Perryn annuì, fissando il fuoco come se stesse elaborando qualche complicato pensiero, e trascorsero alcuni minuti prima che parlasse ancora. — Spero soltanto che Nedd e Rhodry siano ancora vivi. Jill sapeva che era così, ma purtroppo non aveva modo di dirglielo. — Lo spero anch'io — replicò invece. — Sembri onorare molto tuo cugino, mio signore. — Non lo faccio, perché non è effettivamente onorevole, ma gli voglio bene. Siamo stati paggi insieme nella fortezza di Benoic, e credo che sarei impazzito se non fosse stato per Nedd. — Il Tieryn era dunque così aspro? — In realtà non lo era. Si trattava di me, vedi, io... ecco... ah... er... Mentre aspettava di sentirgli finire la frase, Jill si chiese se gli sforzi di Nedd per mantenere il cugino sano di mente non fossero andati sprecati, e dopo un po' lui si alzò per andare ad avvolgersi nelle coperte senza aggiungere una sola parola.
— Sei certo che arriveranno oggi? — chiese Graemyn. — Come del fatto che sta splendendo il sole — replicò Rhodry. — So che sembra pazzesco, Vostra Grazia, ma giuro che l'esercito venuto a soccorrerci è vicino, tanto che faremmo meglio ad armarci e a tenerci pronti ad una sortita. Se poi le truppe non arriveranno allora Vostra Grazia saprà che io sono pazzo e ci potremo arrendere comunque e farla finita. Per un lungo momento Graemyn lo fissò con un'espressione combattuta fra la meraviglia e il dubbio; appollaiato sulla spalla di Rhodry, lo gnomo grigio continuò intanto a contorcersi con impazienza finché il Tieryn non annuì in segno di assenso. — Hai ragione, daga d'argento — disse, quindi si girò verso il suo capitano e aggiunse: — Ordina agli uomini di armarsi. In un modo o nell'altro la giornata di oggi vedrà la fine di questa faccenda. La banda di guerra si raccolse dietro le porte e alcune sentinelle salirono sui bastioni, poi l'attesa si protrasse sotto il sole rovente e gli uomini finirono per sedersi sull'acciottolato. Nessuno parlava, e di tanto in tanto qualcuno scoccava un'occhiata perplessa in direzione di Rhodry, come se pensasse che fosse pazzesco prestare fede alle parole di quella daga d'argento. D'un tratto, una delle vedette lanciò un grido di gioia. — Cavalieri che escono dalla foresta! Vedo lo stemma del lupo! È Benoic, per tutti gli dèi! Ridendo e applaudendo gli uomini balzarono in piedi e Nedd passò un braccio intorno alle spalle di Rhodry, stringendolo a sé, mentre una mezza dozzina di altri guerrieri gli assestavano pacche sulle spalle. Ad un ordine del Tieryn due servitori sollevarono la sbarra che chiudeva le porte e si precipitarono a manovrare gli argani; dall'esterno cominciavano intanto a giungere rumori di lotta... uomini che urlavano, corni che suonavano, cavalli che nitrivano in preda al panico e, al di sopra di tutto, lo stridere delle spade che si abbattevano sugli scudi e sulle cotte di maglia. Nell'udire quei rumori Rhodry scoppiò in una fredda e sommessa risata, sentendosi così leggero da avere l'impressione di librarsi al di sopra dell'acciottolato. — Ricorda! — gli sibilò Nedd. — Noi dobbiamo puntare su Naddryc. Pur annuendo per indicare che aveva capito, Rhodry continuò a ridere. Con un gemito scricchiolante le grandi porte si aprirono verso l'interno e la banda di guerra si lanciò fuori gridando e spingendosi a vicenda nello stesso modo in cui le foglie e i rami che hanno intasato un torrente vengono sballottati e smossi dalla corrente fino a sbloccarsi e a scorrere liberi nelle acque bianche e ribollenti. Ai piedi della collina, il campo nemico era
un folle caos di urla e di sangue: la metà degli uomini di Naddryc non aveva avuto il tempo di armarsi e quelli che avevano addosso la cotta di maglia cercavano di tenere con l'ausilio delle sole spade la breccia nel terrapieno contro una carica di cavalleria sferrata con la massima violenza. Alcuni cavalli crollarono al suolo, altri nitrirono e s'impennarono, ma per ogni cavallo perduto tre o quattro nemici furono calpestati a morte. Poi dagli uomini di Naddryc si levò un improvviso grido che annunciava una sortita alle loro spalle e la risata di Rhodry echeggiò in un acuto e irreale ululato quando i cavalieri di Benoic riuscirono infine a passare. A quel punto i difensori cedettero e si voltarono per correre ad affrontare la nuova minaccia alle loro spalle costituita dagli uomini che Graemyn stava guidando giù per la collina. — Eccolo là! — urlò Nedd. — Quello con lo scudo bordato d'argento! Un uomo massiccio in cotta di maglia ma senza elmo si stava ritirando a precipizio attraverso il campo di battaglia, impugnando uno scudo il cui bordo argenteo brillava dotto il sole. Deviando ad angolo, Rhodry si diresse verso di lui cessando di ridere per concentrarsi esclusivamente sulla corsa, e ben presto si lasciò alle spalle il ferito e ansante Nedd. Davanti a lui Naddryc cominciò a rallentare con il respiro affannoso e ad un certo punto incespicò, permettendo così a Rhodry di cambiare direzione per isolarlo dai suoi uomini. Per un momento i due si limitarono a fissarsi a vicenda mentre cercavano di riprendere fiato, Naddryc con la bocca che si contorceva sotto i baffi biondi. — Così è questo l'uomo che intendeva uccidere donne e bambini — commentò Rhodry. Poi la solita fredda e folle risata gli impedì di aggiungere altro. Il giovane scattò in avanti e Naddryc indietreggiò schivando e sollevando tanto la spada quanto lo scudo, eseguendo un'abile parata e tenendo lo scudo in modo da proteggersi la testa nuda mentre rispondeva con un rapido affondo che però Rhodry deviò senza difficoltà. All'improvviso ci fu un bagliore accompagnato da una nuvola di fumo: qualcuno aveva appiccato il fuoco alle tende. Eseguendo una finta laterale, Rhodry attaccò di nuovo e Naddryc parò appena in tempo, ritraendosi e prendendo a girare in cerchio; mentre Rhodry si voltava per fronteggiarlo, l'aria intorno a loro si fece opaca a causa della coltre di fumo e di polvere densa ormai come nebbia ed entrambi si arrestarono per un istante per tossire... poi l'odore di bruciato parve far impazzire Rhodry. Con un ululato strozzato e annaspante si scagliò alla carica con la stessa
ferocia di un leone ferito, colpendo e parando fra un accesso di tosse e un'imprecazione in una girandola di fendenti che costrinse Naddryc a parare disperatamente con la spada e con lo scudo senza riuscire a contrattaccare a sua volta. La consapevolezza che il nobile si stava stancando si fece quindi strada nello stato di pazzia di Rhodry, che abbozzò di nuovo una finta sulla sinistra, schivò in fretta sull'altro lato e colpì mentre ancora Naddryc tentava di rispondere... troppo lentamente... ai suoi movimenti. La spada di Rhodry raggiunse con violenza il nobile su un lato del collo: con uno spettrale urlo gorgogliante Naddryc crollò sulle ginocchia e si accasciò in avanti con la vita che gli fiottava insieme al sangue dall'arteria recisa. A quel punto l'attacco di follia berserker abbandonò di colpo Rhodry come un mantello strappato via dal vento e lui fu assalito da una forma di panico ancora più folle perché ebbe l'improvvisa convinzione che da qualche parte fra le fiamme Jill stesse giacendo morta o ferita. Ne era certo, e pur sapendo che era una cosa irrazionale ignorò Nedd che stava gridando il suo nome e si girò si scatto per spiccare la corsa verso le tende in fiamme con la stessa cieca frenesia con cui aveva poco prima assalito Naddryc. D'un tratto sentì un rumore di zoccoli e vide un cavallo emergere dalla foschia: anche cosparso di fuliggine, il mantello color oro pallido di Sunrise continuava a splendere sotto il sole. — Rhoddo! — gridò Jill. — Monta dietro di me! I cavalli di Naddryc stanno per darsi alla fuga. Riposta la spada, Rhodry balzò in sella dietro di lei, e si era appena assestato che la ragazza stava già spronando Sunrise al trotto. — Cosa ci fai qui? — Ti sto salvando. Ti ho sentito ridere ed ho puntato verso il suono della tua voce. Guarda alle nostre spalle... stanno arrivando? Nel guardarsi indietro Rhodry riuscì a scorgere ben poco fra il fumo e la polvere, ma distinse comunque un'ordinata processione di cavalli che si stava allontanando dal campo in fiamme. — Per gli dèi! — esclamò. — Qualcuno li sta portando fuori di là. — Allora si deve trattare di Epona stessa. Quando sono passata loro accanto, pochi momenti fa, stavano nitrendo e strappando per infrangere la cavezza. Fatto arrestare Sunrise, Jill si volse sulla sella per guardare il giovane con un'espressione un po' perplessa; per tutta risposta Rhodry l'afferrò e la baciò, baciandola ancora nel rammentare il proprio irrazionale panico finché lei non si ritrasse ridendo.
— Mi stai rompendo il collo, girata come sono. Aspetta che siamo soli, amore mio. Rhodry ricordò allora che si trovavano nel centro di una battaglia, ma quando si guardò intorno con un certo stordimento, come sempre gli capitava dopo uno dei suoi attacchi di follia berserker, si rese conto che il combattimento era finito: le forze di Naddryc erano state così inferiori numericamente che la maggior parte dei suoi uomini era stata massacrata e i pochi fortunati rimasti vivi erano ormai stati presi prigionieri. Quando lui e Jill smontarono per raggiungere gli altri, conducendo il cavallo a mano sul terreno ineguale, Rhodry si accorse che Nedd stava parlando con Graemyn accanto al cadavere di Naddryc. — Vieni qui, daga d'argento — lo chiamò Nedd, a gran voce. — Vostra Grazia, questo è l'uomo che ha ucciso quel bastardo. — Sarai ben ricompensato per questo, daga d'argento — garantì Graemyn, — e per tutto quello che hai fatto per me. Il Tieryn s'inginocchiò quindi accanto al corpo, brandì la spada con entrambe le mani e recise il collo di Naddryc con un unico, rapido colpo, un gesto che fece contrarre lo stomaco a Rhodry, in quanto si trattava di una cosa empia. Afferrata la testa per i capelli, Graemyn si alzò in piedi e si guardò intorno come per sfidare gli uomini che aveva intorno a dire una sola parola sbagliata, poi si allontanò a grandi passi con la testa che gli pendeva da una mano. Sebbene i preti avessero da tempo messo al bando con potenti maledizioni la pratica di prendere come trofeo la testa dei nemici, la vista di Graemyn con la testa del suo nemico in mano toccò qualcosa nel profondo dell'animo di Rhodry, nello stesso modo in cui una corda d'arpa vibra quando se ne pizzica un'altra, e anche se Jill e Nedd seguirono il Tieryn con uno sguardo pieno di schietta repulsione lui provò invece dentro di sé una certa cupa soddisfazione. — Anch'io farei lo stesso ad un uomo che avesse minacciato la mia famiglia — commentò. — Ecco — ribatté Nedd, dopo un momento di riflessione, — senza dubbio ha avuto una provocazione notevole. Prima di tornare alla fortezza, Rhodry si inginocchiò accanto al corpo decapitato e lo depredò metodicamente di ogni oggetto di valore... le monete, un anello, il fodero bordato in oro e una fibbia da cintura in argento. Infatti ciò per cui era stato assoldato era finito e una daga d'argento doveva sempre pensare alla lunga strada che aveva davanti a sé.
Quando il fuoco dilagò fra le tende, Perryn stava cavalcando lungo il limitare della battaglia vera e propria per raccogliere i cavalli feriti e portarli al sicuro oltre il terrapieno, e il significato dell'allargarsi di quella nube di fumo sempre più vasta non gli risultò chiaro finché il sauro che stava montando non cominciò a sbuffare e a scartare nervosamente. Soltanto allora Perryn ricordò che i cavalli di Naddryc erano impastoiati dietro le tende, e subito girò il sauro con un'imprecazione per puntare al galoppo verso il campo. In un primo tempo il cavallo cercò di ribellarsi, ma Perryn gli parlò e lo accarezzò fino a quando esso raccolse il coraggio e si lasciò condurre vicino al fuoco. Intrappolati fra le fiamme e il terrapieno, i cavalli di Naddryc stavano nitrendo con quell'orribile suono semiumano che un cavallo emette soltanto quando è in preda al terrore, scalciando contro gli stallieri che cercavano di salvarli e assestando strattoni disperati alle corde che li impastoiavano. Avvolte le redini intorno al pomo della sella Perryn guidò il cavallo soltanto con le ginocchia e puntò dritto verso gli animali in preda al panico; il castrato tentò di tanto in tanto di scartare tremando, ma continuò a muoversi quando Perryn prese a parlargli con il suo speciale sorriso, allungando la mano sana per accarezzare questo o quel cavallo, assestando qualche pacca decisa come se fosse stato lo stallone di una mandria che asseriva il proprio controllo con morsi e calci oltre che strofinando affettuosamente il muso contro gli altri animali. A poco a poco il panico diminuì, e pur continuando ad agitarsi e a sudare per la paura gli animali si disposero intorno e dietro di lui nel fumo vorticante. Finalmente gli stallieri riuscirono a tagliare le cavezze. — Portali via! — gridò uno di loro. — E possano gli dèi benedirti! Con un cenno e un grido, Perryn fece avviare la mandria ad un trotto tranquillo, aggirando il lato interno del terrapieno per poi allontanarsi dal campo in fiamme proprio mentre una pioggia di scintille e di pezzi di tela in fiamme cominciava a cadere tutt'intorno. Il giovane nobile emise quindi un grido inarticolato e i cavalli galopparono oltre la breccia nel terrapieno fino a raggiungere la sicurezza del prato al di là di essa. Guardandosi alle spalle, Perryn poté distinguere a stento la sagoma della fortezza che si levava seminascosta nel fumo, e con i cavalli raccolti tutt'intorno attese una buona mezz'ora che il fumo si riducesse a qualche pigra voluta; stava ormai tornando indietro con la mandria quando Nedd gli venne incontro a cavallo. — Ti stavo cercando — disse — Supponevo che fossi tu il solo uomo
sulla terra capace di salvare i cavalli di Naddryc. — Oh... er... ah... ecco, i cavalli si fidano di me. Per un momento i due cugini si limitarono a fissarsi a vicenda. — Er... ecco... — balbettò infine Perryn. — Credevi che mi avessero ucciso nel primo scontro? — Sì, ma ora vedo che non sono stato tanto fortunato. Protendendosi sulla sella i due si strinsero la mano, sorridendo con tale entusiasmo da sembrare incapaci di smettere. Tornati alla fortezza, i cugini consegnarono i cavalli ai servitori e si recarono nella grande sala dove al tavolo d'onore era in corso una riunione: Benoic e Graemyn stavano litigando, rossi in volto e urlanti, mentre i nobili di rango minore si limitavano ad ascoltare. — Ora sentimi tu! — tuonò Benoic. — Hai reso terribilmente difficile al fratello di Naddryc sistemare pacificamente la questione. Cosa dirà quando si vedrà restituire in due pezzi il corpo del fratello? — Dirà qualsiasi dannata cosa abbia viglia di dire! Con che cosa mi potrà combattere? Con cavalieri fantasma evocati dall'aldilà? — E cosa mi dici degli alleati di Naddryc? Le loro madri erano così poco fertili da aver avuto un solo figlio a testa? Credi che non abbiano degli zii disposti ad accorrere per vendicare il nipote? A quel punto Graemyn si controllò e si accarezzo i baffi. — Se vuoi chiudere definitivamente questa faccenda — proseguì Benoic, in tono più normale, — farai meglio a mandare immediatamente dei messaggeri a Dun Deverry per implorare l'intervento del sommo re. Se lo farai, io ti sosterrò in questa guerra... per amore dei miei strampalati nipoti, se non altro... altrimenti porterò via subito i miei uomini e quelli di Nedd. Benoic era sempre stato un campione di ricatti. — Affare fatto, allora — si arrese Graemyn. — Farò partire i messaggeri oggi stesso. Con un soddisfatto cenno di assenso Benoic si alzò in piedi e segnalò a Nedd e a Perryn di seguirlo. — Venite, ragazzi. Abbiamo dei feriti a cui prestare attenzione e c'è una daga d'argento che merita delle lodi. È stato lui ad uccidere Naddryc, vero? Hah! Proprio quello che il bastardo si meritava... abbattuto da una miserabile daga d'argento. Anche se la testa gli girava per lo sfinimento, Perryn andò con gli altri perché aveva paura di confidare a suo zio quanto si sentisse debole. I tre trovarono Rhodry in piedi sulla porta intento a bere birra come se fosse
stata acqua mentre accanto a lui Jill gli sorrideva in modo tale da far supporre che ai suoi occhi lui avesse vinto da solo la battaglia. Perryn sospirò di fronte alla crudele ingiustizia del fatto che lei amasse sinceramente quel suo arrogante berserker. Jill infatti lo interessava molto, una ragazza adorabile, un po' selvaggia e girovaga, con quel suo cavallo dorato che le si adattava così bene, ma c'era il problema che lei era legata al miglior spadaccino che Perryn avesse mai visto... sebbene detestasse ammetterlo, il giovane nobile era terrorizzato da Rhodry. — Bene, daga d'argento — dichiarò Benoic, — ti sei guadagnato due volte la tua paga. Si sente spesso parlare di persone con la seconda vista che prevedono la morte di qualcuno o un naufragio o altre sciagure del genere, ma nel nostro caso il tuo talento ci è tornato dannatamente utile. — Infatti, Vostra Grazia. Noi uomini di Eldidd siamo a volte gente strana. Anche se gli altri risero della battuta, essa ebbe l'effetto di accentuare il senso di disagio di Perryn: in quella daga d'argento c'era davvero qualcosa di strano che lui non riusciva ad esprimere a parole ma che lo disturbava, un senso di disagio molto simile a quello che lo avvertiva quando si stava allontanando dal giusto sentiero. Rhodry era per lui qualcosa di più di un pericolo: era un rimprovero vivente o parte di una maledizione, oppure... qualcos'altro. Perryn si sentiva così sconcertato che scosse il capo, e quel gesto si rivelò un errore perché all'improvviso la stanza parve vorticargli intorno e una crepitante nebbia dorata si levò dal nulla. Perryn sentì Nedd chiamarlo per nome, poi svenne, e anche se tornò fugacemente in sé mentre Nedd e Benoic lo adagiavano su un letto, si riaddormentò prima che i due fossero usciti dalla stanza, dormendo per tutto il giorno e sognando Jill. L'indomani tutti gli uomini fisicamente abili presenti nella fortezza partirono con i nobili, apparentemente come scorta d'onore che accompagnasse la restituzione del corpo di Naddryc e dei suoi alleati ma in realtà come banda di guerra nel caso che i parenti di Naddryc avessero deciso di portare avanti la faida di sangue. Alla fortezza, Jill trascorse una lunga mattinata aiutando la moglie di Graemyn, Camma, a curare i feriti... incombenza che di solito ricadeva sulle mogli dei nobili del Cerrgonney a causa del fatto che nella provincia non c'erano medici a sufficienza. A mezzogiorno, entrambe furono liete della possibilità di lavarsi e di sedersi per un po' a consumare un pasto leggero a base di pane e formaggio.
— Ti ringrazio per il tuo aiuto, Jill. Ti intendi parecchio di chirurgia. — Non c'è di che, mia signora. Me ne intendo perché nella mia vita ho visto molti spargimenti di sangue. — Deve essere così, dato che segui dappertutto la tua daga d'argento. Lui è senza dubbio un uomo attraente, vero? Mi rendo conto di come possa far girare la testa ad una ragazza giovane, ma non rimpiangi mai di essere andata via con lui? Devi aver rinunciato a molte cose per il tuo Rhodry. — No, mia signora. Tutto ciò che ho conosciuto nella mia vita è stata la povertà. Rhodry non mi ha mai fatto patire la fame, e per me questo è sufficiente. Camma la fissò per un momento, poi si rese conto della propria indiscrezione e le rivolse un piccolo sorriso di scusa. A quel punto Jill decise che era il momento di cambiare argomento. — Sembra che la ferita di Lord Perryn stia guarendo bene — commentò, — e ne sono davvero lieta. Dopo tutto, Rhodry deve a lui la vita. — Come tutti noi — assentì Camma, il cui viso si era fatto teso. — In ogni caso, il suo clan produce uomini cocciuti, i più cocciuti di tutto il Cerrgonney... e questo vuol dire molto. — Infatti. Conosci bene il suo clan? — Sì. Sua zia e sua madre sono entrambe mie cugine, o forse dovrei dire che sua madre era mia cugina, perché la poveretta è morta alcuni anni fa. In ogni caso la zia di Perryn, Gwerna, ed io ci incontriamo spesso. In effetti è stata Gwerna ad allevare Perryn, perché lui era l'ultimo di sette figli e sua madre non si è mai più veramente rimessa dopo la sua nascita. La gravidanza era stata difficile, con perdite di sangue e dolori, e lui le è rimasto in grembo per soli sette mesi, e non nove. — Per la dea! Sono sorpresa che il bambino sia sopravvissuto! — Lo siamo state anche Gwerna ed io. Era una cosina magra, ma era più sano di qualsiasi altro neonato io abbia mai visto. Dal momento che sua madre stava tanto male, Gwerna gli ha trovato una balia ed ha ordinato alla ragazza di portare Perryn appeso contro il seno in una sorta di fascia, tenendolo giorno e notte al caldo sotto i vestiti; la ragazza stava tutto il giorno accanto al fuoco e dormiva anche lì... e credo che l'essere stato tenuto costantemente al caldo per un paio di mesi sia stato ciò che ha salvato Perryn. — Camma fece una pausa, come per riflettere, poi riprese: — Forse è stato questo duro inizio dell'esistenza che lo ha reso tanto strano, povero ragazzo. Gwerna lo definiva sempre un bambino scambiato, perché vederlo faceva pensare a quelle vecchie fiabe in cui si parla del Popolo Fa-
tato che ruba un bambino umano e lo sostituisce con uno dei propri. Per un momento Jill si sentì stranamente portata a chiedersi se nel caso di Perryn la vecchia superstizione non potesse essere vera, ma il suo gnomo grigio si materializzò sulla tavola e rivolse a Camma un sogghigno così cattivo da mettere assolutamente in ridicolo quell'idea. Lo gnomo sedette quindi sul vassoio del formaggio e si sistemò con la testa appoggiata sulle mani per ascoltare il resto della storia. — Non sta bene che io parli così di lui ora che è un uomo adulto, ma se lo avessi visto capiresti, Jill. Era un ragazzino magro e quei suoi capelli rossi erano sempre arruffati come un cespuglio per quanto Gwerna cercasse di pettinarli continuamente — sorrise Camma, traendo un evidente piacere dal ricordo di quelli che erano stati tempi migliori. — Inoltre era sempre fuori sulle colline o nei boschi alla minima occasione, ed era solito singhiozzare ogni autunno all'arrivo della neve perché sapeva che sarebbe stato costretto a restare in casa per mesi. Poi una volta, quando aveva circa otto anni, è scappato di casa. Graemyn ed io eravamo andati a fare visita a Gwerna e a Benoic, e un giorno Perryn è stato sorpreso a rubare un dolce al miele in cucina. Ecco, ogni ragazzo di tanto in tanto fa una cosa del genere, ma Benoic ha avuto uno dei suoi accessi di rabbia e voleva picchiare il ragazzo, soltanto che il piccolo Nedd lo ha implorato a tal punto che alla fine lui ci ha rinunciato. Ebbene, il mattino dopo non c'era traccia di Perryn da nessuna parte. Gwerna ha mandato ogni uomo della fortezza a cercarlo ma durante le due settimane in cui noi siamo stati là nessuno ci è riuscito, e Gwerna era ormai in lacrime, certa che il nipote fosse morto di fame o affogato... cosa che sinceramente pensavo anch'io. Qualche tempo più tardi, però, quando già si stava avvicinando l'inverno, Gwerna mi ha mandato un messaggio: con le prime nevi Perryn si era presentato alle porte della fortezza, sporco e lacero ma ben nutrito. Era vissuto da solo sulle colline per tre mesi. — Dèi! E cosa ha detto per giustificarsi? — Ecco, aveva sentito tutti definirlo un bambino scambiato, quindi si era messo in testa che sarebbe dovuto andare a vivere con il Popolo Fatato dato che apparteneva ad esso... però non era riuscito a trovarne traccia, povero ragazzo. A quel punto la povera Gwerna si è messa a piangere e perfino Benoic ha smesso di essere tanto duro con lui... per qualche tempo, almeno. A Jill sarebbe piaciuto sapere dell'altro, ma in quel momento l'oggetto di tali reminiscenze si avvicinò con passo tranquillo al loro tavolo. Subito lo
gnomo gli ringhiò contro e scomparve. — Dovresti essere a letto, Perro — rimproverò Camma. — Uno dei servi ti può portare da mangiare. — Stare a letto è dannatamente noioso. Sto meglio qui. Proteggendo con l'altra mano il braccio appeso al collo, Perryn sedette al tavolo di fronte a Jill, che notò come sotto i suoi occhi ci fossero segni tanto scuri da sembrare macchie di fuliggine. — Mio signore, davvero dovresti riposare — gli disse. — Non guarirò mai rinchiuso come un maiale in un recinto. Voglio andare nei boschi e starmene seduto là per qualche tempo. Abbinata alla storia di Camma, quella richiesta a suo modo aveva senso, quindi per dovere nei confronti dell'uomo che aveva salvato la vita a Rhodry la ragazza sellò il castrato grigio di Perryn, lo aiutò a montare e condusse il cavallo fuori della fortezza. All'esterno il terrapieno fatto erigere da Naddryc sussisteva ancora soltanto in parte, perché il giorno precedente gli uomini di Benoic avevano gettato i cadaveri nemici nella trincea e l'avevano riempita con il terriccio del terrapieno. Aggirata quella cupa cicatrice nel terreno, i due raggiunsero il limitare della foresta e trovarono fra gli alberi un punto in cui il terreno era reso morbido da uno strato di aghi di pino e la luce del sole pioveva a fasci fra il fogliame. Con un sospiro di piacere Perryn si sedette con la schiena contro un tronco e parve effettivamente stare meglio ora che si trovava all'esterno, con le guance più colorite e un'espressione più viva negli occhi. — È meraviglioso che tu ti prenda tanti disturbi per me, Jill — osservò. — Oh, tutt'altro! Ti devo molto per aver salvato la vita a Rhodry. — Non è vero. Ho agito nell'interesse di Nedd e nel mio. Che dovevo fare? Restarmene sdraiato là ad aspettare che mi uccidessero? Non stavo neppure pensando a Rhodry, quindi non c'è bisogno che tu mi ringrazi. — Non ho mai conosciuto nessuno che pensi come te: sei scrupoloso come un prete. — Lo dicono tutti, e in effetti volevo diventare un prete, sai, ma mio zio si è infuriato quando ne ho parlato e mio padre si è limitato a ridere. — In effetti, non riesco a vedere Benoic che permetta ad un suo parente di servire Bel anziché usare la spada. — Oh, non Bel... io volevo essere un prete di Kerun, ma non sono neppure riuscito a trovare un suo tempio. Jill rimase notevolmente sorpresa perché sapeva ben poco dell'adorazione di Kerun, tranne il fatto che si trattava di uno degli dèi oscuri
dell'Alba dei Tempi che era stato poi accantonato quando i templi di Bel e di Nudd avevano acquisito potere sempre maggiore. Il dio cervo era signore della caccia, mentre Bel presiedeva alla vita tranquilla di chi coltiva il grano; vagamente, la ragazza ricordò che si supponeva che si dovesse offrire a Kerun il primo cervo abbattuto ogni anno, ma si chiese se qualcuno si prendesse ancora quel disturbo. — È un dio meraviglioso — commentò Perryn. — Lo sono tutti gli dèi — replicò Jill, nell'eventualità che qualcuno potesse sentirli. — È vero, ma Kerun è il solo che... oh...er... ah... ecco, suppongo di voler dire che sia il solo che sembri adattarsi a me. — Perryn rifletté per un lungo momento, poi aggiunse: — Oh... er... forse dovrei dire che è il solo dio per cui io sia adatto, o qualcosa del genere. Ho sempre sentito che se avessi pregato gli altri le mie preghiere sarebbero state accolte come un'offesa. — Cosa? Oh, suvvia, non essere tanto aspro con te stesso. La Dea della Luna è la madre di tutti noi, e lei e le Tre Madri sono pronte ad ascoltare la preghiera di chiunque. — Non la mia, e la Luna non è mia madre. Pur supponendo che una simile affermazione rasentasse l'eresia, Jill non ne sapeva a sufficienza sull'adorazione degli dèi da poterla confutare, né le interessava di farlo. — Non è che mi piaccia essere fatto in questo modo, bada bene — continuò Perryn. — È solo che nel mio cuore so che è così: Kerun è il solo dio disposto ad accogliermi e mi sarebbe piaciuto essere un suo sacerdote, vivere da qualche parte nei boschi e svolgere i suoi riti, quali che siano, però non sono riuscito a trovare qualcuno che ne sapesse qualcosa al riguardo. — Ecco, forse dovresti andare a Dun Deverry. Mi hanno detto che negli antichi templi ci sono preti che sanno tutto quello che c'è da sapere. Scommetto che esiste un libro o qualcosa del genere in materia, e potresti pagare qualcuno perché te lo legga. — Questa sì che è una buona idea! — esclamò Perryn, sorridendole. — Mi stai prendendo sul serio, non è vero? — Certamente. Mi padre diceva sempre che se un uomo vuole fare il prete gli dèi favoriscono coloro che lo aiutano a realizzare il suo desiderio. — Tuo padre sembra una persona meravigliosa. Il problema è però che nessuno mi prende sul serio, neppure Nedd: gli importa di me e mi difende, ma mi crede pazzo anche se non lo vuole ammettere.
— Io non credo che tu sia pazzo. — Davvero? — Davvero. Voglio essere sincera con te. Ritengo che tu sia un uomo decisamente eccentrico, ma sulla lunga strada ho incontrato persone più strane di te, e paragonato ad alcune di esse tu sei... ecco, sei del tutto normale. Perryn gettò indietro il capo e scoppiò a ridere, un suono profondo, fluido e genuinamente divertito che sorprese Jill finché lei non si rese conto di essersi aspettata che la risata del giovane fosse incerta e strana come il suo modo di parlare. — Bene, forse dovrei andare a Dun Deverry e vedere qualcosa di più del mondo — disse infine Perryn. — Potrei chiedere un po' di denaro ai miei fratelli, che probabilmente me lo darebbero soltanto per liberarsi di me per qualche tempo. Ti ringrazio, Jill, non avevo mai pensato a questo... detesto le città e non avevo mai supposto che in una di esse potesse esserci qualcosa di valore. — Ecco, a me piacciono: puzzano, ma fra gli odori ci sono sempre molte cose da vedere. Perryn le sorrise con tale calore che Jill si mise immediatamente sul chi vive, ricordando che erano soli e nascosti. Dal momento che avrebbe potuto batterlo facilmente in qualsiasi tipo di confronto fisico non aveva effettivamente paura di lui, ma era decisa a non fornirgli il minimo incoraggiamento che avrebbe potuto provocare problemi a Rhodry, in quando non desiderava vedere il povero Perryn morto a causa della gelosia del suo uomo. Consapevole che l'umore di lei era cambiato, Perryn sospirò e distolse lo sguardo. — Oh... er... ah... ecco, sarei stato un buon prete, mentre di certo non valgo molto come guerriero. — Suvvia, non gettare fango sul tuo nome. Perryn annuì distrattamente e Jill attese per qualche tempo che riprendesse a parlare, finché una ventina di minuti più tardi non si rese conto che lui era capace di restarsene seduto in silenzio per ore. Anche se non provava nessun interesse per lui come uomo, dovette ammettere con se stessa che quel nobile costituiva un enigma affascinante. Quella notte l'esercito si accampò circa trenta chilometri a nordest della fortezza di Graemyn, proprio nel tratto di terra che era stato l'oggetto iniziale della contesa, per restare là mentre un messaggero raggiungeva il fra-
tello di Naddryc. Dal momento che faceva caldo, il carro contenente i resti del nobile verme posto sottovento lontano dal campo a causa del fetore, tanto intenso che indusse Nedd a commentare con Rhodry che forse Aegwyc non avrebbe neppure scoperto il corpo e non ne avrebbe notato la mutilazione. — È sperabile, mio signore — replicò Rhodry. — Quanto dista ancora la fortezza di Lord Aegwyc? — Quindici chilometri. Con un po' di fortuna arriverà qui entro il tramonto. Insieme i due tornarono al campo che si allargava su un prato; anche se la polvere si stava inspessendo in un grigio velo che offuscava l'aria, Rhodry non aveva naturalmente difficoltà a guardarsi intorno grazie alla sua acuta vista elfica, e nel passare accanto ad alcuni stentati cespugli scorse in essi qualcosa che si muoveva. Dal momento che era improbabile che un coniglio o un altro animale si avvicinassero tanto ad un così folto gruppo di esseri umani, la curiosità lo indusse a fermarsi per guardare meglio: tremante e raggomitolato fra i rami contorti c'era un membro del Popolo Fatato, diverso però da qualsiasi altro lui avesse mai visto in quanto si trattava di uno gnomo nerastro e deforme con lunghe zanne, occhi sporgenti e artigli rossi. Per un momento l'essere lo fissò con terrore, poi scomparve. — Qualcosa che non va? — chiese Nedd. — Nulla, mio signore. Mi sembrava soltanto che... oh, che qualcuno avesse fatto cadere lì dentro un pezzo di equipaggiamento, ma era soltanto un sasso. Più tardi, mentre sedevano accanto al fuoco da campo, Rhodry avvertì la netta sensazione di essere osservato, ma anche se si guardò attentamente intorno non riuscì a cogliere nessuno, né uomo né spirito, che stesse guardando verso di lui. — Usare il Popolo Fatato per spiarlo potrebbe essere dannatamente pericoloso — osservò l'uomo che si faceva chiamare Gwin. — Lo so, ma non posso fare altro fino a quando non sarò riuscito a dare un'occhiata a Rhodry in carne ed ossa — ribatté il suo compagno, sollevando lo sguardo dallo specchio per evocare immagini, posato su un pezzo quadrato di velluto nero sul tavolo davanti a lui. — Se non altro è uscito indenne dall'assedio. Quella dannata piccola faida avrebbe potuto essere la rovina di tutti i nostri piani. Gwin si limitò ad annuire, perfettamente consapevole di quanto fossero
andati vicini a vedere la loro preda cadere vittima del Wyrd dei guerrieri. Intanto l'uomo che si celava dietro il nome di Merryc avvolse con cura lo specchio nel velluto e lo ripose in una tasca segreta delle sue sacche da sella. Pur essendo entrambi del Bardek, i due uomini erano stati scelti per quella caccia perché nelle loro famiglie c'era del sangue di Deverry e quindi entrambi avevano lisci capelli castani e la pelle abbastanza chiara da passare inosservata soprattutto nelle province settentrionali del regno, dove era raro che si vedessero individui provenienti dal Bardek. In effetti, la madre di Gwin era stata una ragazza di Deverry che il suo clan caduto in povertà aveva venduto come concubina ad un mercante del Bardek; Gwin ricordava vagamente che anche suo padre aveva avuto una pelle piuttosto chiara rispetto agli standard della sua terra, ma del resto gli era capitato di vederlo soltanto poche volte prima di essere venduto all'età di quattro anni come figlio indesiderato di una concubina schiava. Quanto al suo compagno, Gwin non sapeva nulla delle sue origini e non conosceva neppure il suo vero nome, perché gli uomini scelti come Falchi della Confraternita mantenevano i loro segreti e permettevano agli altri di fare lo stesso. — Sai dove si trova adesso? — Sì — replicò Merryc, richiudendo le sacche della sella. — Non è lontano e credo che domani non correremo il minimo rischio a passare di là. Ci potremo fermare a guardare l'esercito con aria ammirata senza che nessuno badi a noi più che tanto: quale viandante non si fermerebbe ad osservare le attività guerresche dei nobili? — Venissimo. E poi? — Lo sorveglieremo e niente di più. Ricordalo bene: tutto quello che dobbiamo fare è tenerlo d'occhio a distanza finché lui e la ragazza non saranno in viaggio da soli. Allora potremo chiamare gli altri e agire. — D'accordo, ma in questo piano c'è qualcosa che mi irrita: è troppo complesso e contorto come quei gioielli elaborati che piacciono alla gente di qui. — Devo ammettere che la penso così anch'io, ma chi siamo noi per discutere con gli ufficiali? — Nessuno, naturalmente. — Questa non è una battuta divertente. — Non volevo fare una battuta — replicò Gwin, ma al tempo stesso avvertì un brivido di paura, come se pronunciando quella comunissima parola «nev yn» avesse rischiato di evocare Nevyn nella loro camera di locanda come un demone che si levasse al semplice sentir pronunciare il proprio
nome. Un momento più tardi accantonò quel pensiero irrazionale, considerandolo soltanto un sintomo del proprio disagio di fronte allo schema contorto che i suoi superiori nella corporazione di sicari avevano imposto a lui e a Merryc. Per loro che si trovavano al sicuro sulle isole non c'era problema a parlare di rapire Rhodry senza usare le armi e senza attirare l'attenzione del dweomer della luce. — Qualcuno ti ha detto cosa ne dovremmo fare della ragazza che è con lui? — chiese Merryc. — Sì. Dobbiamo ucciderla, ma se ci sarà tempo ci potremo prima divertire un po' con lei. — Splendido. A quanto si dice è bellissima. — Però soltanto se non ci saranno rischi. Lei non ha nessuna importanza per quello che è lo scopo ultimo di tutto questo, o almeno così mi hanno detto... deve soltanto essere tolta di mezzo. Merryc annuì, riflettendo su quella nuova informazione. Tanto lui quanto il suo compagno avevano un rango troppo basso nelle file dei Falchi perché fosse stato detto loro più dello stretto necessario che dovevano assolutamente sapere, ma pur accettando quell'ignoranza come parte della disciplina, dentro di sé Gwin si chiedeva cosa la corporazione intendesse fare di Rhodry una volta che loro lo avessero portato nel Bardek. Senza dubbio non si trattava di nulla di piacevole, ma del resto non erano affari suoi e comunque né lui né Merryc sapevano chi avesse assoldato la corporazione e affidato loro questo incarico, perché la corporazione accettava incarichi da chiunque potesse pagare il prezzo elevato da essa richiesto, e tanto in Deverry quanto nel Bardek erano in molti a saperlo. L'indomani i due lasciarono Bobyr, il villaggio in cui si trovavano, e si diressero verso nordest, raggiungendo dopo un paio d'ore l'ampio pascolo su cui era accampato l'esercito... una massa di tende che si allargava ad una decina di metri dalla strada e dietro le quali si vedevano i cavalli intenti a pascolare; anche se la maggior parte degli uomini era seduta qua e là per lo più intenta a giocare a dadi, alcune guardie erano piazzate ad intervalli regolari lungo tutto il perimetro dell'accampamento. — Speriamo che Rhodry non sia al di là dei cavalli — borbottò Merryc. Un momento più tardi i due ebbero cose più gravi di cui preoccuparsi che non stabilire dove potesse essere la loro preda perché mentre procedevano lentamente lungo la strada, fermandosi di tanto in tanto per fissare con finto stupore il campo militare sentirono un grido levarsi fra le tende e un momento più tardi una squadra a cavallo di dieci uomini lasciò il cam-
po al galoppo dividendosi in due gruppi e circondandoli prima che potessero pensare di fuggire... e del resto tentare di scappare sarebbe stato un errore. Il capo della squadra, un uomo dai capelli grigi che portava i calzoni di stoffa di plaid propri di un nobile, fece avanzare il cavallo verso di loro. — Non c'è bisogno di causare guai, ragazzi — avvertì. — Vogliamo soltanto sapere chi siete e per chi cavalcate. — Io mi chiamo Gwin e questo è Merryc, mio signore, e non cavalchiamo per nessun nobile. Lavoriamo per la corporazione dei mercanti giù a Lyn Ebon, soprattutto come scorta per carovane, ma adesso ci hanno mandati quassù con delle lettere e dei documenti per la nuova corporazione di Dun Pyr. — Hai qualche prova da darmi, ragazzo? Qui è in corso una guerra, e per quel che ne sappiamo potreste essere delle spie. Gwin infilò una mano nella camicia e tirò fuori una sottile catena a cui era attaccato un anello rubato con il sigillo della corporazione in questione. Il nobile lo esaminò, emise un grugnito di approvazione e lo restituì. — Vi porgo le mie scuse. Continuate pure ma state attenti lungo la strada perché anche se è probabile che non incontrate difficoltà è sempre meglio stare con gli occhi bene aperti. — Infatti, mio signore, ti ringrazio. Ad un cenno del nobile la squadra si aprì per lasciarli proseguire, e i due passarono proprio davanti ad un uomo che doveva essere Rhodry, a giudicare dalla descrizione che ne avevano avuto. Gwin pensò che erano decisamente fortunati ma badò a non lasciar trasparire dal proprio volto nulla tranne un'assoluta indifferenza nel lanciare con noncuranza un'occhiata in direzione della daga d'argento. Rhodry ricambiò l'occhiata con la stessa indifferenza e fece quindi girare il cavallo per seguire la squadra verso il campo. Né Gwin né Merryc pronunciarono una sola parola prima di aver percorso un paio di chilometri, poi Merryc scoppiò in una cupa e sommessa risatina. — Benissimo. D'ora in poi non avrò più bisogno di servirmi del Popolo Fatato. — Gli altri non lo hanno ancora visto? — No. La scorsa notte ho parlato con Briddyn attraverso il fuoco e ho appreso che sono ancora troppo a sud. In ogni caso non dovranno cercare di vedere Rhodry con i loro mezzi a meno che non mi succeda qualcosa. — Non ti succederà nulla. È per questo che ci sono io. — Sei arrogante, vero? — commentò Merryc, girandosi sulla sella per
sorridere al compagno. — Però non voglio negare che tu sia il migliore spadaccino di tutta la Confraternita... speriamo che tu possa avere la meglio su Rhodry se si dovesse arrivare ad uno scontro. — Speriamo invece che non succeda. Ricorda che lo vogliono vivo. Durante i primi giorni che seguirono la partenza dell'esercito, mentre alla fortezza si attendevano con tensione delle notizie Jill trascorse una notevole quantità di tempo con Perryn, di solito nei boschi. La cura del sole e dell'aria aperta... se poi di cura si trattava... sembrava giovargli più del riposo a letto: ben presto i cerchi scuri sotto gli occhi scomparvero e lui riuscì a restare sveglio tutto il giorno, ma per quanto tempo passasse con lui, Jill non sentì mai di cominciare a conoscerlo perché il giovane nobile era guardingo e geloso della sua intimità quanto gli ammali selvatici che amava tanto. Dopo quel primo giorno non aveva più accennato al sacerdozio di Kerun e ogni volta che lei aveva cercato di farlo parlare della sua famiglia o della vita alla fortezza, Perryn aveva sempre finito per dire qualcosa di assurdo che aveva posto fine alla conversazione. Anche se il giovane sembrava felice della sua compagnia, a volte Jill si chiedeva se forse non avrebbe preferito restare solo, ma il terzo giorno ebbe una sgradevole rivelazione in merito ai suoi sentimenti. Nel pomeriggio i due uscirono per la consueta passeggiata, ma questa volta Perryn le chiese di condurre il cavallo un po' più addentro nella foresta, dove c'era un piccolo ruscello fiancheggiato da felci che desiderava mostrarle. Dopo aver abbeverato il cavallo grigio, Jill ammirò doverosamente le felci e si sedette accanto a Perryn nell'ombra fresca delle piante. — Ormai dovremmo avere presto notizie dell'esercito — commentò il giovane. — Se c'è stata una battaglia manderanno un messaggero. — Preghiamo invece che stiano tornando a casa senza un altro esercito al loro inseguimento. — Ben detto. Tuttavia... ah... er... oh... ecco... Jill attese pazientemente che Perryn rimettesse ordine nei propri pensieri, perché ormai si stava abituando a questi suoi momenti di confusione. — Er... ah... è stato splendido starsene seduto qui nel bosco con te, e senza dubbio non potremo più farlo quando Rhodry tornerà a casa. — Senza dubbio. Rhodry può diventare spaventosamente geloso, anche se non ha ragione di esserlo. — Oh... er... ah... non ha ragione di esserlo? — No, mio signore — ribadì Jill, e si mise in guardia, aspettando di ve-
dere come lui avrebbe accolto il suo fermo diniego. Per un momento, Perryn contemplò le felci con espressione triste. — Non ne ha? — chiese infine. — Davvero? Nel parlare girò la testa e le rivolse uno strano sorriso aperto e intenso, che parve protendersi e avvilupparla, turbando la sua volontà con un calore palpabile quanto il tocco di una mano. Jill distolse con violenza lo sguardo e quando Perryn allungò con gentilezza una mano a sfiorarle una guancia l'allontanò con un colpo secco... ma lui continuò a rivolgerle quel sorriso che sembrava farlo risplendere interiormente. Jill lo fissò, per un momento incapacitata a muoversi, e Perryn la baciò con labbra morbide e gentili ma rese sensuali da un migliaio di promesse. — Sei davvero bellissima — sussurrò. Lei lo respinse con uno sforzo di volontà. — Suvvia! — scattò. — Non ci può essere nulla del genere fra noi. — E perché no? Il suo sorriso era così sconcertante che Jill si affrettò ad alzarsi e indietreggiò come se lui fosse stato un nemico armato di spada, ma Perryn non fece nessuno sforzo per seguirla e si limitò ad osservarla con la testa piegata da un lato in un atteggiamento interrogativo e infantile. Lei indietreggiò di qualche altro passo e sentì l'incantesimo che si spezzava. — Torno alla fortezza — ringhiò. — È ovvio che tu hai forze sufficienti per rientrare da solo. Mentre camminava verso la fortezza, esaminò quel nuovo problema. Da un lato Perryn non poteva avere il dweomer ma d'altro canto cos'era quello se non dweomer? Però dove lo aveva imparato? E che altro poteva essere quel suo potere? Adesso che era lontana da luì, l'incidente era stranamente confuso nella sua mente, come se non si fosse mai effettivamente registrato nella sua memoria razionale, quindi decise che da quel momento avrebbe evitato Perryn... sia che possedesse il dweomer o meno. Allorché lui fece ritorno, nel tardo pomeriggio, Jill lo vide arrivare dalla parte opposta della grande sala, e il suo atteggiamento apparve così blando, così vago e goffo che lei si trovò a chiedersi se non aveva sognato quell'incidente vicino al ruscello. Accoccolati nel centro del campo i nobili stavano parlamentando, Aegwyc con una scorta di dieci uomini e Graemyn con dieci dei suoi fra cui Rhodry. Dal momento che era stato lui ad uccidere il fratello di Aegwyc, il giovane doveva essere presente per ammetterlo se il nobile lo avesse chie-
sto, ma anche se Graemyn gli aveva promesso che avrebbe pagato lui il Iwdd, il giovane si augurava che la cosa non risultasse necessaria. Fino a quel momento, comunque, Graemyn non aveva avuto la possibilità di dire molto perché era stato Benoic a portare avanti la maggior parte della conversazione. — Allora siamo d'accordo? — chiese infine questi. — Sì — confermò Aegwyc, che appariva molto stanco. — Mi atterrò all'arbitrato del sommo re... a patto che ritenga che sia condotto lealmente. — Anch'io farò lo stesso — intervenne Graemyn, prima che Benoic potesse assentire per lui. — Lo giuro sull'onore del mio clan. — Ed io su quello del mio. — Con un sospiro Aegwyc si alzò in piedi e guardò verso l'esercito raccolto oltre le loro spalle in un modo che indusse Rhodry a supporre che stesse calcolando di quanto fosse superiore ai pochi uomini che lui poteva raccogliere. — Mandatemi un araldo quando arriveranno gli inviati del re. — Lo farò — promise Benoic, alzandosi in piedi con i suoi uomini. — Hai la mia parola al riguardo. I due si strinsero solennemente la mano, poi Aegwyc indugiò per un momento a scrutare i dieci uomini che circondavano il Tieryn: sapeva che uno di essi doveva essere quello che aveva ucciso suo fratello e fissò ciascuno di loro in volto, soffermandosi un po' più a lungo su Rhodry. Questi ricambiò con decisione il suo sguardo e vide la bocca del nobile serrarsi in una linea amara... dopo tutto, c'era un solo motivo per cui una daga d'argento potesse essere stata ammessa a partecipare alle trattative. Con un gesto brusco e improvviso Aegwyc si girò e condusse via i suoi uomini, mentre dietro di lui Rhodry esalava un lungo sospiro di sollievo. — Hai ucciso lealmente quel bastardo, daga d'argento — commentò Benoic. — Infatti, ma è duro guardare in faccia i parenti di un uomo a cui hai inflitto il suo Wyrd. Mentre montavano in sella per tornare al campo Rhodry ebbe la sensazione che qualcuno lo stesse fissando, ma quando si girò sulla sella per verificare tutti coloro che lo circondavano erano impegnati a salire a cavallo. Nessuno mi sta fissando, si disse, a meno che Aegwyc possa mandare il malocchio da molto lontano. La sensazione persistette tuttavia per un momento prima di svanire e durante tutta la lunga cavalcata fino alla fortezza di Graemyn lui ebbe di tanto in tanto l'impressione che lo stessero spiando per qualche strano motivo.
— Sono dannatamente contento di vedere che non hai più il braccio al collo — commentò Nedd. — Lo sono anch'io — replicò Perryn, prendendo una palla di cuoio imbottita di paglia e cominciando a stringerla ripetutamente per ridare forza alla mano; presto avrebbe dovuto cominciare ad esercitare anche il braccio, ma esso gli doleva tanto che preferiva aspettare ancora un paio di giorni. — Guarirà bene? — gli chiese Nedd, che stava passeggiando avanti e indietro per la piccola camera da letto con espressione preoccupata. — Non lo so ancora, ma del resto non sono mai stato granché con una spada... non è che abbia delle straordinarie abilità da perdere. — Comunque la guerra è finita, se vuoi il mio parere. Aegwyc non può causare molti problemi perché suo fratello ha dissanguato le risorse del loro dominio per la sua guerra contro Graemyn. — Allora nostro zio se ne tirerà fuori? — Per nulla. Si sta divertendo troppo a farla da padrone con Graemyn e a parlare in sua vece. So però che a te duole il cuore a restare chiuso in questo modo dentro una fortezza, quindi se vuoi tu ed io possiamo ripartire. — Ti ringrazio ma preferisco rimanere, nel caso... oh... ah... er... ecco... nel caso che accada qualcosa. — Anche se ci fossero altri combattimenti tu non potresti parteciparvi, con quel braccio tanto debole. — Lo so, ma non è questo il punto, capisci? — E quale sarebbe? — Oh... ah... er... Jill. — Cosa? Sei impazzito! Rhodry ti potrebbe ridurre a brandelli e lo dico senza offesa perché potrebbe fare lo stesso anche con me... e senza difficoltà. — Non c'è motivo che si debba arrivare ad uno scontro diretto, giusto? — Oh, certo, proprio come il sole non ha motivo di sorgere ogni mattina ma chissà come lo fa lo stesso — ritorse Nedd, fissando il cugino con le mani piantate sui fianchi e con un'espressione da cui pareva che stesse prendendo in considerazione l'idea di affogarlo. — Scommetto che gli posso portare via Jill — insistette Perryn. — È ovvio, ed è per questo che sono così dannatamente preoccupato. Dèi, non ho mai conosciuto un uomo fortunato quanto te con le ragazze. A proposito, come fai a conquistarle?
— Mi limito a sorridere loro e ad adularle... non può essere molto diverso da quello che fanno gli altri uomini. — Davvero? Con me non ha mai funzionato altrettanto bene. — Probabilmente perché non sorridi nel modo giusto. Devi... oh... er... ecco, devi lasciar fluire con il sorriso un certo calore. È facile, una volta che s'impara come si fa. — Allora dovrai spiegarmi come funziona. Bada però che se piazzi una trappola per Jill hai molte probabilità di catturare invece un lupo. — Il lupo obbedirà agli ordini del mio amato cugino e lo scorterà in giro per tutto il Cerrgonney. — Non posso farlo, è disonorevole. — E cosa mi dici di tutte quelle volte che io ho mentito a tuo zio nel tuo interesse? Anche quello era disonorevole. — È vero. Desideri fino a questo punto passare una notte nel letto di Jill? — Nella mia vita non ho mai desiderato nulla come desidero lei. — Ah, dannazione a te, bastardo! Va bene, allora... Rhodry ed io troveremo un posto dove andare insieme. — Ti ringrazio, cugino, ti ringrazio umilmente. Seguì quindi una lunga attesa mentre il corriere percorreva i circa trecento chilometri che separavano la fortezza da Dun Deverry: anche se avrebbe potuto pagarsi un passaggio su una delle rapide imbarcazioni che scendevano lungo il Camyn Yraen provenienti dalle montagne minerarie, infatti, il corriere sarebbe poi dovuto tornare indietro per via di terra. In altre parti del regno sarebbe stato possibile trovare un Gwerbret locale che potesse risolvere la disputa in questione, ma gli svariati Gwerbret che un tempo avevano regnato sul Cerrgonney avevano combattuto così incessantemente fra loro che nell'estate del 962 Re Maryn Secondo aveva abolito quella carica, e dopo una sanguinosa ribellione suo figlio, Casyl Secondo, aveva reso definitivo quel decreto nel 984. Da quel momento, i re avevano ricevuto di persona il giuramento di fedeltà di ogni signore del Cerrgonney e si erano eretti a giudici delle loro liti. Durante l'attesa, Perryn si tenne alle costole di Jill rimanendo ad una cauta distanza e badando a cogliere sempre le rare occasioni in cui Rhodry la lasciava sola... cosa resa più difficile dal fatto che la ragazza stava facendo del suo meglio per evitarlo. Quella era la prima donna che Perryn avesse incontrato che fosse stata in grado di resistere al suo strano fascino, ma se da un lato questo lo lasciava perplesso, dall'altro rendeva Jill ancora
più desiderabile ai suoi occhi. Alla fine, Perryn ebbe l'occasione di fare la sua mossa. Al tramonto del decimo giorno il corriere di Graemyn fece ritorno con la notizia che il re aveva graziosamente acconsentito a dare un parere regale sulla questione e che un araldo e un consigliere legale lo stavano seguendo a breve distanza sulla strada. — Splendido! — esclamò Benoic. — Graemyn, devi mandare loro incontro una scorta d'onore. — Stavo appunto per dirlo, e se uno dei miei nobili alleati volesse usare la sua banda di guerra per svolgere tale compito gliene sarei estremamente grato. Perryn lanciò un'occhiata esplicita al cugino, che sospirò e si fece avanti. — Sarò lieto di provvedere io, Vostra Grazia — disse. — Mi sono rimasti sei uomini e la mia daga d'argento: ritieni che costituiranno una scorta di dimensioni adeguate? — Direi che è perfetto. Se la banda di guerra fosse troppo numerosa, Aegwyc potrebbe sostenere che abbiamo tentato l'intimidazione degli inviati reali. Ti ringrazio, Lord Nedd. Nedd fissò il cugino con un'espressione accigliata e acida come se avesse appena morso un limone del Bardek, ma Perryn si limitò a rispondere con un sorriso. — Partiremo all'alba, amore mio. Jill si sentì raggelare dalla paura. — Suvvia, cosa c'è che non va? — chiese Rhodry. — Non correrò il minimo pericolo. — Lo so — replicò lei, incontrando un'estrema difficoltà a parlare. — È solo che siamo già stati lontani per tanto tempo. — È vero, ma ho ricevuto una notevole parte di bottino e anche una ricompensa dal Tieryn Graemyn, per cui quando questo incarico si sarà concluso ci potremo sistemare per qualche tempo in una locanda decente. Jill annuì e gli volse le spalle, tentata di dirgli la verità e cioè che aveva paura di essere lasciata nella stessa fortezza con Perryn. Quella verità avrebbe però potuto portare ad uno spargimento di sangue e anche se a lei sarebbe piaciuto vedere Perryn morto dopo i suoi parenti avrebbero a loro volta ucciso Rhodry. — Tornerò presto, amore mio — promise lui, circondandola con le braccia e traendola a sé. — Lo spero — rispose Jill, baciandolo. — Rhoddo... oh, Rhoddo, ti amo
più della mia vita. L'indomani, la banda di guerra finì per partire un'ora abbondante dopo l'alba perché come al solito Nedd e i suoi uomini sembravano incapaci di lasciare con facilità qualsiasi posto. Una volta che si furono incamminati, Jill rimase a lungo ferma sulle porte, desiderando di poter andare con loro e sentendo l'avvertimento del dweomer che le scorreva gelido lungo la schiena. Quando si girò, scoprì che Perryn la stava osservando e dopo averlo oltrepassato senza neanche salutarlo si affrettò a raggiungere la sicura compagnia di Lady Camma e delle sue donne. Per tutto il giorno fece in modo di evitare Perryn e quella sera sbarrò la porta della propria camera dall'interno. Il giorno successivo, però, Perryn riuscì a sorprenderla da sola. Jill era scesa nelle stalle per accudire Sunrise perché non lo lasciava mai affidato alle attenzioni dei trasandati garzoni locali, e stava appunto riportando indietro il cavallo quando Perryn le si avvicinò. — Buon giorno — salutò. — Stavo pensando di andare a fare una cavalcata. Vuoi venire con me? — No, mio signore. — Per favore, non mi chiamare continuamente così — implorò lui, poi le rivolse il suo sorriso stregato che le si avviluppò intorno al cuore. — Io ti amo, Jill. — Non me ne importa un accidente! Lasciami in pace! Indietreggiando, Jill si venne a trovare con le spalle contro la porta della stalla. Con un altro sorriso lui le posò una mano sulla guancia, un tocco che la pervase di calore e che la indusse a pensare che quell'uomo doveva possedere il dweomer; poi lui la baciò, e Jill si rese conto come in un incubo che la sua risolutezza si stava indebolendo e che era fortemente tentata di tradire Rhodry con quell'uomo insignificante, ossuto e folle. — Potremmo uscire a cavallo sui prati — le sussurrò Perryn. — È così bello là fuori al sole. Le sue parole... il semplice atto razionale di parlare... infransero l'incantesimo e Jill gli assestò uno spintone così violento da farlo quasi cadere, divincolandosi da lui. — Lasciami in pace! — ringhiò. — Amami quanto ti pare, ma io appartengo a Rhodry! Non appena fu tornata nella grande sala la sua paura si trasformò in odio, un odio cieco e omicida perché Perryn l'aveva fatta sentire impotente... lei che poteva combattere alla pari con gli uomini migliori e difendersi
da sola sulla lunga strada. Se avesse potuto assassinarlo e cavarsela lo avrebbe fatto volentieri. Più tardi, all'inizio della serata, si accorse che Perryn aveva lasciato la sala e quando chiese spiegazioni un servitore le rispose che Perryn era andato a letto presto perché la ferita gli dava fastidio. Bene! pensò Jill. Che possa bruciargli come il fuoco! Mentre sorseggiava un ultimo boccale di birra in compagnia delle altre donne, non sentì quasi la loro conversazione perché era intenta a riflettere, e quando alla fine giunse alla decisione che doveva fare qualcosa riguardo a Perryn le venne finalmente in mente anche la persona più ovvia a cui rivolgersi. Nevyn! Ma certo! Lui avrebbe capito e avrebbe saputo dirle cosa fare. Presa con sé una candela accesa, grazie alla cui fiamma avrebbe potuto contattare il vecchio dovunque fosse, salì nella propria stanza, posò la candela e sbarrò la porta. Allorché si voltò, vide però Perryn seduto nella curva della parete, tanto silenzioso che non si era accorta di lui, così immersa com'era nei pensieri relativi al dweomer, ma l'imprecazione con cui accolse la sua vista ebbe come sola risposta un semplice e comune sorriso di trionfo. — Vattene! Vattene immediatamente se non vuoi che ti butti fuori di peso! — Che lingua tagliente che hai, amor mio. — Non mi chiamare in quel modo! — Jill, per favore — supplicò lui, rivolgendole un altro dei suoi sorrisi ammalianti. — Lasciami restare con te stanotte. — Non voglio — rifiutò lei, ma sentì la propria voce farsi incerta. Continuando a sorridere, Perryn le si avvicinò. Con la mente annebbiata, incapace di formulare pensieri e tanto meno di esprimerli ad alta voce, lei tentò di tirarsi indietro e barcollò; afferrandola per le spalle, Perryn la baciò e la sua bocca risultò così calda e invitante contro la sua che lei rispose al bacio prima di potersi trattenere, mentre il suo corpo perdeva il controllo come un fiume in piena, tanto che quando Perryn la circondò con le braccia senza cessare di baciarla lei si chiese addirittura se prima avesse mai davvero desiderato un uomo o se si fosse soltanto comportata come una ragazzina che flirtava senza neppure sapere quello che stava offrendo. — So che vuoi che io rimanga — sussurrò lui. — Me ne andrò presto e nessuno si accorgerà di nulla. Costringendosi a pensare a Rhodry, lei trovò a stento la forza di respingerlo, ma Perryn la prese per i polsi e la trasse ancora a sé e per quanto lottasse, Jill ebbe l'impressione che le gambe le si fossero fatte di piombo e le
braccia fossero diventate deboli come acqua. Si sentì cedere con l'ultimo confuso pensiero che Rhodry non avrebbe mai dovuto saperlo, e il piacere che avvertì derivò in pari misura dalla propria resa e dalle carezze di Perryn. Riuscì a staccarsi da lui appena per il tempo sufficiente a infilarsi nel letto e una volta che si furono distesi rimase immobile e tremante. Perryn parve però non avere fretta e continuò a baciarla e ad accarezzarla mentre rimuoveva il loro vestiario un pezzo per volta fra una carezza e l'altra; quando infine perse il paziente controllo che aveva esercitato, la passione che rivelò nei suoi confronti fu una cosa spaventosa e Jill poté soltanto arrendersi alla propria e lasciarsi trasportare. Dopo rimase distesa fra le sue braccia e si tenne aggrappata a lui mentre la luce della candela proiettava un pallido bagliore danzante su un mondo diventato strano. Adesso le pareti di pietra sembravano vive e si gonfiavano e sgonfiavano ritmicamente come se respirassero; la luce stessa s'infrangeva e s'intensificava come se provenisse da un grande falò che si riflettesse su frammenti di vetro. Se Perryn non l'avesse baciata di nuovo, lei si sarebbe spaventata, ma il suo amore richiese la sua concentrazione in maniera tale da impedirle di pensare a qualsiasi altra cosa e quando ebbero finito si addormentò fra le sue braccia. Si svegliò all'improvviso qualche ora più tardi trovandolo addormentato accanto a sé alla luce ormai tremolante della candela quasi consumata. Per un momento si sentì tanto confusa da chiedersi cosa lui ci stesse facendo lì, ma dopo un po' di tempo ricordò e per poco non pianse per la vergogna. Come aveva potuto tradire il suo Rhodry? Come aveva potuto darsi ad un uomo che odiava? Si sollevò a sedere di scatto e lo svegliò. — Fuori di qui — disse. — Non ti voglio vedere mai più. Perryn si limitò a sorridere e a protendersi verso di lei, ma in quel momento la candela si spense con un ultimo bagliore e anche lo stoppino si consumò dopo aver brillato per un istante come un occhio rosso nel buio. Nell'oscurità, Jill fu libera dal sorriso di lui e si alzò prima che Perryn potesse afferrarla. — Vattene, oppure prenderò la mia spada e ti farò a pezzi. Senza discutere, lui obbedì e cominciò a cercare i propri vestiti mentre Jill si appoggiava al muro perché la stanza sembrava girarle intorno e ogni minimo rumore o fruscio provocato da Perryn le sembrava innaturalmente forte, come se avesse echeggiato in un ambiente dieci volte più grande. Finalmente, il giovane ebbe finito. — Ti amo davvero — le disse in tono mite. — Non mi divertirei mai
con te una volta per poi abbandonarti. — Vattene! Vattene subito! Con un drammatico sospiro lui sgusciò fuori richiudendosi la porta alle spalle e Jill si lasciò cadere sul letto, afferrò il cuscino fra le braccia e pianse contro di esso fino a riaddormentarsi. Quando sì svegliò la luce del sole si riversava attraverso la finestra della camera densa come il miele e per un lungo momento Jill rimase distesa chiedendosi come potesse la luce essere divenuta solida. L'ammaccato candeliere di peltro brillava come l'argento migliore e perfino la pietra grigia delle pareti sembrava pulsare all'interno di quella splendida luce. Jill si vestì con una certa difficoltà, perché i disegni formati dalle macchie e dai fili tirati sui suoi abiti erano affascinanti come fini ricami, poi si accostò alla finestra pensando di non aver mai visto una così bella giornata estiva, con il cielo azzurro come uno zaffiro. Nel cortile i garzoni di stalla si stavano occupando dei cavalli e il rumore degli zoccoli sull'acciottolato arrivò fino a lei come un tintinnare di campanelle. Un momento più tardi il suo gnomo grigio apparve sul davanzale della finestra. — Sai che mi sono coperta di vergogna? Lo gnomo le rivolse un'occhiata assolutamente vacua. — Bene. Oh, dèi, può darsi che riesca a convivere con quello che è successo e può darsi di no, ma prego che Rhodry non lo scopra mai. Perplessa, la piccola creatura si accoccolò e cominciò a giocare con i propri piedi e nel guardarla Jill si rese conto che la sua pelle non era di un grigio uniforme come lei aveva sempre creduto ma era invece formata da diversi colori, macchie infinitesimali che da lontano si fondevano fino a dare l'impressione del grigio. Era tanto intenta ad esaminare lo gnomo che non sentì aprirsi la porta finché non fu troppo tardi: voltandosi di scatto si trovò davanti Perryn, che aveva le mani piene di rose selvatiche e stava sorridendo. — Le ho colte sul prato per te. Jill si sentì tentata di buttargliele in faccia ma il loro colore la distrasse e la costrinse a prenderle per esaminarle, perché erano le rose più belle che avesse mai visto, con i petali del colore iridescente del sangue e il centro di un oro intenso, brillante e mutevole. — Dobbiamo parlare — proseguì Perryn, — e non abbiamo molto tempo. Bisogna approntare un piano. — Cosa? Che piano? — Ecco, non possiamo farci trovare qui quando Rhodry tornerà.
— Non intendo andare da nessuna parte con te e non ti voglio mai più nel mio letto. Lui però sorrise ancora e questa volta, dopo che si erano amati, Jill avvertì centuplicata la forza dell'incantesimo; mentre i suoi pensieri si facevano confusi, comprese che in qualche modo Perryn era riuscito a collegarsi a lei e che una strana forza indefinibile stava fluendo attraverso quel contatto. Poi lui la prese per le spalle e la baciò, schiacciando fra di loro i fiori che esalarono un'ondata di profumo. — Ti amo così tanto — le disse. — Non ti lascerò mai andare. Vieni con me, amore mio, vieni con me sulle colline perché quello è il posto a cui apparteniamo. Per tutta l'estate cavalcheremo insieme liberi. Jill ebbe un ultimo pensiero coerente, e cioè che Perryn non era stupido ma decisamente folle, poi lui la baciò ancora e pensare divenne una cosa troppo difficile. La banda di guerra di Lord Nedd incontrò l'araldo del re ad un giorno e mezzo di cammino dalla fortezza. Rhodry stava cavalcando accanto al nobile quando la banda di guerra superò la cresta di una piccola collina e scorse sotto di sé sulla strada gli emissari reali, tutti montati su cavalli bianchi con finimenti rossi e fibbie dorate. In testa al gruppo procedeva l'araldo che reggeva un bastone di lucido ebano con una punta d'oro da cui pendevano nastri di satin, e dietro di lui veniva un uomo anziano che indossava la lunga tunica scura e il mantello grigio che contrassegnavano i consiglieri legali, affiancato da un paggio su un pony bianco. I tre erano poi accompagnati da quattro uomini della banda di guerra del re, con il mantello purpureo e il fodero della spada decorato in oro. — Dèi! — mormorò Nedd, fissandoli a bocca aperta. — Avrei dovuto ordinare ai miei uomini di indossare una camicia pulita. I due gruppi s'incontrarono sulla strada e quando Nedd si presentò, l'araldo, un giovane biondo con il labbro superiore pronunciato e reso maggiormente tale da un'espressione orgogliosa, lo fissò per un lungo momento prolungando il silenzio fino ai limiti della cortesia. — Ringrazio molto umilmente Vostra Signoria per l'onore — disse quindi. — Mi rallegra il cuore sapere che il Tieryn Graemyn accoglie la nostra missione con serietà e gravità. — È ovvio che lo fa — replicò Nedd. — Altrimenti perché avrebbe mandato quel dannato messaggio? L'arando si concesse un sorrisetto gelido e Rhodry si affrettò a far avan-
zare il cavallo, inchinandosi con grazia sulla sella e rivolgendosi di persona all'araldo. — O onorata voce del re, ti porgiamo il nostro saluto e c'impegnamo con la nostra stessa vita a garantire la sicurezza del tuo viaggio — disse. L'araldo s'inchinò a sua volta, visibilmente sollevato di trovare qualcuno che conosceva i saluti di rito, anche se si trattava di una daga d'argento. — I miei umili ringraziamenti — rispose. — Chi sei? — Un uomo che ama il nostro re più della sua vita. — Allora sarò onorato di cavalcare accanto a te nel nostro viaggio inteso a fare giustizia. — Possa la giustizia del re esistere per sempre sulla nostra terra. Rhodry dovette quindi spiegare a Nedd come disporre i suoi uomini: il nobile avrebbe dovuto cavalcare con l'araldo mentre i suoi uomini si sarebbero schierati dietro quelli del re. Quanto a lui, Rhodry aveva intenzione di scegliersi il posto più umile in coda al gruppo ma mentre cavalcava lungo la colonna il consigliere intercettò il suo sguardo e gli fece cenno di affiancarglisi. — Così sei ancora vivo, Rhodry Maelwaedd — commentò. — Lo dirò alla tua onorata madre, la prossima volta che la vedrò a corte. — Te ne sarei molto grato, buon signore, ma dove ho avuto l'onore di incontrarti? Nelle difficili condizioni in cui vivo, temo di aver dimenticato il tuo nome. — Oh, dubito che tu l'abbia mai saputo. Mi chiamo Cunvelyn e conosco molto bene la tua signora madre — replicò l'uomo, fissandolo per qualche momento con espressione penetrante. — Sono davvero lieto di vedere che sei vivo e che stai bene. Senza dubbio non hai sentito le ultime novità da Aberwyn. — No, buon signore, tranne le poche informazioni ricevute da qualche viandante. — Ah. Ecco, pare che la seconda moglie di tuo fratello sia sterile, mentre la dama da lui ripudiata ha messo al mondo un figlio forte e sano. Rhodry imprecò sommessamente in maniera tutt'altro che signorile, ma il consigliere si limitò a sorridere. Per Rhodry quello era un momento che avrebbe ricordato per tutta la vita, un momento improbabile quanto la possibilità che il sole si levasse improvvisamente nel cuore della notte tramutandola magicamente in giorno: quando Rhys fosse morto, lui sarebbe stato adesso l'erede di Aberwyn e questo gli permise di sperare nell'unica cosa in cui aveva rinunciato a sperare... essere richiamato dall'esilio. Aberwyn
era un rhan tanto importante che il re stesso avrebbe potuto decidere di intervenire per riportare a casa l'erede allontanandolo dai pericoli della lunga strada. — Ti consiglierei di tenere la notizia il più segreta possibile — aggiunse il consigliere. — Sei a corto di denaro? — Per nulla. — Bene, allora forse potrai evitare di cercare subito un altro ingaggio. — Infatti, buon signore. Anche se in cuor suo moriva dal desiderio di porre altre domande, Rhodry era consapevole che l'addestramento di corte avrebbe impedito a Cunvelyn di dargli delle risposte. Per qualche momento continuarono a cavalcare in silenzio, poi il consigliere si girò verso di lui. — A proposito, tua figlia sta bene e la tua signora madre la tiene sempre accanto a sé. Rhodry dovette pensare per un momento prima di ricordarsi la bastarda che aveva generato da una ragazza di umili origini e si chiese quanti anni fossero passati... tre, molto probabilmente. — È molto gentile da parte della mia signora madre — si affrettò a rispondere. — Come l'hanno chiamata? — Rhodda, per tenere vivo il ricordo di suo padre. — Capisco. Mia madre ha sempre saputo come irritare Rhys. Il consigliere si concesse un fugace sorriso. Rhodry trascorse il resto dei viaggio in preda alla divorante impazienza di riferire a Jill le notizie avute dal consigliere: se stava interpretando nel modo giusto le informazioni avute, presto sarebbero tornati in Eldidd per vivere nella comodità e nello splendore che lui supponeva Jill desiderasse... e questa volta lei non sarebbe stata soltanto la sua amante. Adesso lui non era più un giovane viziato che aveva bisogno di una moglie forte che lo tenesse sotto controllo, era un uomo di cui c'era bisogno, un uomo che era nella posizione di dettare delle richieste. Le avrebbe procurato un titolo e della terra come dono di nozze, poi l'avrebbe sposata indipendentemente dal parere di sua madre e dello stesso re. Sul finire di una splendida giornata estiva l'araldo e la sua scorta arrivarono alla fortezza di Graemyn e mentre oltrepassavano rumorosamente le porte Rhodry si guardò intorno alla ricerca di Jill. Il cortile era pieno di uomini disposti in maniera ragionevolmente ordinata, mentre i due tieryn erano fermi sulla porta della rocca per accogliere il loro onorato ospite, e nella confusione Rhodry non scorse traccia di Jill, né lei venne a cercarlo
mentre stava sistemando il suo cavallo e quello di Nedd nella stalla. Pur restando piuttosto ferito della cosa, non vi diede eccessiva importanza perché suppose che Lady Camma avesse tenuto Jill accanto a sé per qualche motivo. Poi Nedd entrò con passo affrettato nella stalla. — Mio signore, Jill è nella grande sala? — chiese Rhodry. — No. Perryn è qui? — No. Non è con gli altri nobili? Nedd impallidì leggermente. — Oh, per il nero posteriore del Signore dell'Inferno! — ringhiò poi. — Non può aver... quel marcio piccolo furetto... oh, dannazione a lui! — Mio signore, cosa succede? — Non lo so ancora. Vieni con me. Seguito da Rhodry, Nedd si aggirò nella grande sala alla ricerca di Camma, trovandola infine intenta a impartire ai servitori gli ordini per l'imminente banchetto. Quando Nedd la trattenne per un braccio, la donna si accorse di Rhodry e sussultò leggermente. — Oh, per gli dèi — gemette. — Comunque devi saperlo, e credo sia meglio dirtelo subito. Nedd, se mai metterò le mani su quel miserabile di tuo cugino lo batterò a dovere. — Ed io lo terrò fermo per aiutarti. Che ne ha fatto di Jill? Camma posò con fare materno una mano sul braccio di Rhodry, fissandolo con i suoi occhi scuri pieni di sincero dispiacere. — Rhodry, la tua Jill se n'è andata, e tutto quello che riesco a immaginare è che sia partita con Perryn, perché lui è scomparso meno di un'ora dopo di lei. Mi duole davvero il cuore per te. Rhodry aprì la bocca e tornò a richiuderla senza emettere un suono, poi serrò l'elsa della spada con tale forza da farsi penetrare nel palmo il rivestimento di cuoio. Accanto a lui, Nedd si era tinto di un pallore mortale. — Tu sapevi qualcosa di tutto questo? — ringhiò Rhodry. — Ecco... non proprio. Voglio dire... oh, dèi... sapevo che la tua ragazza gli piaceva, ma non avrei mai pensato che sarebbe successa una cosa del genere! Con un grande sforzo di volontà, Rhodry si ricordò che non sarebbe stato onorevole uccidere il nobile davanti ad una dama. — Suvvia — intervenne Camma, scuotendogli leggermente il braccio. — Quale persona sana di mente avrebbe mai pensato che Jill avrebbe abbandonato te per un uomo come Perryn? Quelle parole placarono il suo orgoglio quanto bastava per indurlo a la-
sciar andare la spada. — Mio zio sa di questo? — domandò Nedd alla dama. — Non posso credere che avrebbe permesso a Perro di fare una cosa tanto disonorevole. — E perché credi che quel miserabile di tuo cugino sia sgusciato via come un furetto? Benoic gli ha dato la caccia con alcuni dei suoi uomini, ma Perryn si è addentrato nella foresta e non hanno più trovato le sue tracce. Nedd accennò a replicare, poi si trattenne e si limitò a fissare Rhodry. Entrambi erano in una terribile posizione e lo sapevano benissimo: se avesse sentito Rhodry giurare vendetta, Nedd sarebbe stato vincolato dall'onore a impedirgli di partire... se avesse potuto... e la paura che lesse negli occhi del nobile riempì il giovane di soddisfazione. — Un momento! — tuonò la voce di Benoic. — Cosa succede? Con le mani sui fianchi, il Tieryn venne avanti e s'interpose fra loro. — Devo dedurre che Rhodry ha scoperto cosa è successo? — chiese. — Infatti — rispose Camma. — Hmmmp! Ascolta, Nedd, quel miserabile di tuo cugino è dalla parte del torto e tu lo sai bene quanto me. D'altro canto, daga d'argento, la ragazza non era legalmente tua moglie, quindi tu non hai il diritto di uccidere Perryn. Hai senza dubbio ogni diritto di pestarlo a dovere, ma non di ucciderlo, quindi se mi giurerai solennemente di non togliergli la vita né di mutilarlo potrai partire di qui con la mia benedizione e con un po' di monete in più... altrimenti non te ne andrai affatto. Rhodry lasciò vagare lo sguardo per la sala, piena di uomini armati. — Avanti, ragazzo, ragiona — continuò Benoic. — So dannatamente bene che la prima cosa a cui un uomo pensa in momenti del genere è quella di versare del sangue, ma chiediti questo: se tagliassi la gola alla tua Jill, non ti troveresti a piangere sul suo corpo appena cinque minuti più tardi? — Lo farei, Vostra Grazia. — Bene. Sento profondamente la vergogna che mio nipote ha gettato sul nostro clan. Allora, rivuoi indietro la ragazza oppure no? Se non la rivuoi sono disposto a pagarti un prezzo dotale come se fosse stata tua moglie. In caso contrario, presta il giuramento che ti ho chiesto e potrai andare a cercarla con il mio aiuto. Posto di fronte a quella scrupolosa onestà, Rhodry sentì la propria ira dissolversi e al suo posto giunse una fredda consapevolezza che per poco non lo fece piangere: Jill non lo amava più. — Vostra Grazia può anche giudicarmi uno stolto ma io la rivoglio. Ho
un paio di cose da dirle e tutti gli dèi dell'Aldilà mi sono testimoni che la troverò anche a costo di cercarla per tutta l'estate. — Questo è un colpo di fortuna — commentò Merryc. — In un certo senso sì — convenne Gwin. — Adesso non ci dovremo preoccupare della ragazza, questo è sicuro, ma Rhodry le andrà dietro e non si muoverà nella direzione in cui noi vogliamo che vada. — Davvero? Rifletti, ragazzo. Sulla base di tutto quello che ho potuto vedere questo Perryn conosce le foreste come le sue tasche, e cosa ne sa un uomo come Rhodry della capacità di orientarsi nei boschi? Quando era un nobile aveva boscaioli e guardaboschi che si preoccupavano di cose del genere, e le daghe d'argento viaggiano sempre sulle strade — replicò Merryc, con un sorriso gentile. — Ne parlerò con Briddyn tramite il fuoco, ma credo che abbiamo trovato l'esca perfetta per attirare il nostro uccellino fino alla costa. I soli indizi che riuscirà a scovare saranno quelli da noi seminati. DUE Per tutta l'estate Salamander, o Ebañy Salomonderiel, per usare il suo nome elfico completo, aveva cavalcato attraverso Deverry per raggiungere il fratello, ma lo aveva fatto con lentezza e lungo una strada lunga e tortuosa perché il Popolo non si affretta mai per andare da nessuna parte e nonostante il suo sangue umano lui era stato allevato fra gli elfi. Fin dall'inizio del viaggio, appena oltrepassato il confine di Eldidd, si era imbattuto in una ragazza graziosa che era rimasta colpita dal suo fascino oltre che dalle sue canzoni e aveva oziato con lei a Cernmetyn per un paio di piacevoli settimane. Poi, una volta arrivato in Pyrdon, un nobile signore lo aveva pagato bene perché intrattenesse gli ospiti alle nozze di sua figlia... sei allegri giorni di festa... e dopo di allora aveva girovagato per Deverry puntando sempre a nord in direzione del Cerrgonney ma a volte indugiando per qualche giorno in una città interessante o per un paio di settimane nella fortezza di un nobile. Allorché nell'evocare l'immagine di Rhodry aveva scoperto che era sotto assedio, Salamander aveva accelerato il passo, ma soltanto fino a quando l'assedio si era risolto senza danni; a quel punto gli era parso che suo fratello sarebbe stato del tutto al sicuro per parecchio tempo e si era concesso di indugiare con un'altra ragazza che lo stava aspettando fedelmente dall'estate precedente... in fin dei conti, gli era parso
disonorevole lasciarla in fretta dopo che lei lo aveva aspettato così a lungo. Per questo motivo, Salamander si trovava ancora a qualche centinaio di chilometri ad est della fortezza di Graemyn il pomeriggio soleggiato in cui Rhodry partì per andare a fare da scorta al consigliere legale del re. Quella sera il gerthddyn si accampò per tempo per il semplice motivo che era stanco di cavalcare, e dopo aver impastoiato i cavalli su un piccolo prato vicino ad un ruscello si avvicinò all'acqua corrente per controllare la situazione di Rhodry. Vide il giovane tremare quando Camma gli diede la notizia, e a causa delle emozioni così intense che c'erano dietro di essa la visione si rafforzò al punto di permettere a Salamander di sentire... sìa pure non fisicamente... parte di quanto veniva detto. Gli parve addirittura di trovarsi accanto a suo fratello mentre Benoic assumeva il controllo della faccenda, poi la visione svanì di colpo, bandita dalle intense emozioni dello stesso Salamander, che balzò in piedi e imprecò con violenza. — Per gli dèi! — esclamò, scuotendo la testa con stupore. — Chi lo avrebbe mai pensato? Non posso credere che Jill lo abbia abbandonato, semplicemente non ci posso credere. Inginocchiatosi di nuovo accanto all'acqua, fissò la corrente rischiarata dal sole e pensò a Jill. La sua immagine affiorò con lentezza e quando giunse risultò stranamente distorta e sfocata: seduta su un prato montano la ragazza guardava Perryn che era intento a impastoiare i cavalli, compreso Sunrise, e il primo pensiero di Salamander fu che la ragazza fosse malata, perché sedeva silenziosa e immobile, con la bocca rilassata; la visione era però così disturbata da rendere impossibile vedere bene, quindi Salamander la bandì scrollando il capo. — Questa faccenda mi appare disastrosa, strana e sconcertante, quindi credo sia meglio cercare di verificare meglio. Lanciò quindi in lingua elfica il richiamo per il Popolo Fatato e subito quattro gnomi e una silfide si materializzarono davanti a lui. — Ascoltatemi con attenzione, piccoli fratelli: ho un incarico da affidarvi e se lo eseguirete canterò per voi una canzone quando avrete finito. Voglio dormire e desidero che restiate qui e montiate la guardia contro qualsiasi pericolo. Se un animale o una persona dovesse venire verso di me pizzicatemi e svegliatemi. Gli gnomi annuirono con aria solenne e la silfide svolazzò nell'aria. Sdraiatosi sulla schiena, Salamander incrociò le braccia sul petto e rallentò il proprio respiro fino a sentire il corpo che si fondeva con la terra scaldata dal sole; a quel punto chiuse gli occhi e evocò il suo corpo di luce. Al con-
trario dei maestri del dweomer umani che usavano una forma solida e azzurrina modellata come quella del corpo fisico, la forma di pensiero elfica era simile piuttosto ad un'enorme fiamma tremolante, dalla cui luce argentea sbirciava però sempre un volto. Non appena quella forma ebbe acquistato vita propria al di fuori della sua immaginazione, Salamander trasferì in essa la propria consapevolezza, dapprima fingendo soltanto di guardare dai suoi occhi il corpo fisico steso a terra e poi contemplando il mondo avvolto nella luce azzurrina dell'eterico. A quel punto sentì uno scatto nitido e secco, segno che adesso era sul piano eterico e dalla sagoma a forma di fiamma stava contemplando il proprio involucro materiale che dormiva sotto la sorveglianza del Popolo Fatato e che era unito a lui da un lungo cordone argenteo. Levandosi verso l'alto provvide ad orientarsi rispetto alle valli, che apparivano di un rosso intenso perché splendevano dell'aura opaca delle piante, e rispetto al ruscello da cui la forza elementare scaturiva in una precipitosa cortina argentea che si sollevava ben al di sopra dell'acqua. Sapendo che finire intrappolato in quella cortina avrebbe potuto ridurlo in pezzi, Salamander si spostò con cautela lontano da essa prima di salire più in alto, poi pensò a Jill e nell'avvertire una lieve trazione proveniente dalla direzione in cui lei si trovava si affrettò a seguirla. Per molto tempo, impossibile a misurarsi sul piano dell'eterico, volò rapido sopra il rosso opaco delle foreste infrante qui e là da tratti più luminosi di terra coltivata curata da contadini la cui aura per lo più gialla e verde chiaro si fondeva con il bagliore azzurro dell'eterico, e a mano a mano che viaggiava divenne sempre più consapevole della presenza di Jill che lo attirava a sé. Alla fine, però, trovò addirittura una guida. Aveva appena preso maggiormente quota per sorvolare un piccolo ruscello quando vide un membro del Popolo Fatato che gli veniva incontro. Nella propria sfera, la creatura era uno splendido nesso di linee luminose e di colori... verde oliva, giallo e rosso con qualche scintilla di nero qua e là... ma era in uno stato evidente di angoscia dimostrato dal modo in cui si gonfiava fino ad assumere dimensioni doppie del normale per poi rimpicciolire e tremare. — Avanti, piccolo fratello — gli trasmise mentalmente Salamander. — Cosa c'è che non va? Per tutta risposta la creatura ruotò su se stessa e danzò, ma Salamander riuscì ad avvertire vagamente le sue emozioni: odio e disperazione per qualcosa che essa amava. Poi si ricordò dello gnomo grigio di Jill. — Conosci Jill?
Lo gnomo annuì e saltellò di gioia. — Sono suo amico. Portami da lei. La creatura scattò davanti a lui con la prontezza di un cane in caccia e mentre la seguiva aggirando le curve di una collina Salamander vide in basso sotto di sé la valle montana, una ciotola d'erba di un rosso intenso punteggiata dalle vaghe aure argentee dei cavalli e da due aure umane: quella di Perryn era di uno strano verde misto a grigio che lui non aveva mai visto prima e quella di Jill era color oro pallido... però era enorme e continuava a gonfiarsi emettendo filamenti tutt'intorno per poi rimpicciolire mantenendo tuttavia dimensioni decisamente troppo grandi per qualsiasi essere umano. Salamander stava scendendo verso di lei quando vide Perryn voltarsi e dire qualcosa: dall'aura del giovane nobile scaturì un fiotto luminoso che si riversò su Jill come un'onda dell'oceano e per tutta risposta l'aura di lei si gonfiò e assorbì l'effluente magnetico. Tremante per lo shock, Salamander si librò su di loro e in quel momento Jill guardò verso l'alto e verso di lui, lanciando un urlo... aveva scorto il suo corpo di luce. — Jill, sono un amico! Pur riuscendo a vederlo, lei non poteva però percepire i suoi pensieri e scattò in piedi, indicandolo e gridando all'indirizzo di Perryn che invece appariva soltanto perplesso. Salamander volò via, seguendo il cordone argenteo con la massima rapidità possibile per tornare al suo corpo. Scendendo verso il basso fino a librarsi su di esso, si lasciò andare: dopo un altro scatto avvertì di nuovo la carne che lo avviluppava e per un momento si sentì caldo e terribilmente pesante. Messo al bando il suo corpo di luce, si alzò a sedere e batté per tre volte la mano sul terreno per sigillare la fine del suo lavoro, mentre gli gnomi lo guardavano pieni di aspettativa. — Vi ringrazio amici miei. Venite, viaggiate con me per un po' e vi canterò la canzone che vi ho promesso lungo la strada, perché mi devo affrettare: una mia buona amica è stata stregata in maniera completa e assoluta. Con un flusso di luce argentea l'alba s'inerpicò su per le montagne purpuree e si riversò sul prato, un verde torrente d'erba che vorticava sotto il sole estivo. Seduta sulle loro coperte, Jill guardò Perryn accoccolarsi accanto al fuoco su cui aveva messo a scaldare l'acqua in una piccola pentola di ferro: tirati fuori un rasoio, un po' di sapone e uno specchio incrinato dalle sacche della sella, il nobile cominciò a radersi con calma ed efficienza come se fosse stato nella sua camera da letto. Nell'osservarlo, Jill
ebbe il vago pensiero di tagliargli la gola con il lungo e affilato rasoio d'acciaio o magari con la propria daga d'argento, ma pensare era molto difficile. — È meglio che mangi qualcosa — le consigliò lui. — Fra poco — rispose Jill... anche parlare le riusciva difficile. — Non ho veramente fame. Pigramente distolse lo sguardo e scorse il suo gnomo grigio accoccolato a qualche metro di distanza dietro le spalle di Perryn. Vedere la piccola creatura la riempì di gioia e la indusse ad alzarsi e a correre verso di lei, ma proprio quando si chinò per raccoglierla essa ringhiò e accennò a colpirla con gli artigli prima di scomparire. Con estrema lentezza, Jill si rimise a sedere dove si trovava, chiedendosi perché lo gnomo fosse arrabbiato con lei... le pareva di saperlo ma il ricordo si rifiutava di affiorare. Raccolto un ciottolo fra l'erba rimase a fissarlo... un costante flusso di strutture cristalline divenute visibili... finché Perryn venne a prenderla. Per tutta la mattina cavalcarono attraverso la foresta seguendo lunghe piste tortuose, e ogni albero era una presenza che si protendeva verso la pista per sfiorare Jill con le sue lunghe braccia frondose: alcuni la spaventavano mentre altri sembravano chiederle la sua amicizia nel protendere le mani tremanti e coperte di foglie. Se poi distoglieva lo sguardo dalla pista, la foresta si trasformava in un labirinto di solide pareti infrante soltanto da raggi di sole massicci come pietre, e anche se a volte prendeva in considerazione la possibilità di piantare semplicemente Perryn in asso, Jill sapeva di essere sperduta senza speranza. Di tanto in tanto, poi, pensava a Rhodry e si chiedeva se lui stesse cercando di seguirla: dubitava che le avrebbe creduto quando gli avrebbe detto che non lo aveva lasciato di propria libera volontà... sempre ammesso che li avesse mai raggiunti, e come avrebbe potuto trovarli quando tutto il mondo era mutato? Ogni colore, perfino il cupo grigio delle rocce, sembrava luminoso e splendente come una gemma e ogni volta che giungevano in una radura o su un prato montano il sole si riversava su di lei come acqua, tanto che avrebbe potuto giurare di sentirlo sgocciolare e colare lungo le sue braccia; in alto il cielo era una solida cupola di lapislazzulo e per la prima volta nella sua vita nel guardarlo lei si sentì pronta a credere che gli dèi potessero attraversarlo come gli esseri umani viaggiano sulla terra, perché quel colore sembrava perfettamente adatto alle divinità. Sotto il pesante fardello di tanta bellezza a tratti si sentiva barcollare sulla sella e in altri momenti si trovava le guance solcate di lacrime causate da tanto splendore; una volta,
mentre attraversavano un prato, un paio di allodole lasciarono il loro riparo e volarono intonando il loro verso struggente, librandosi nell'azzurro cristallino del cielo con le ali che frusciavano e battevano come piccoli tuoni, e allora Jill si rese conto che qualsiasi altra cosa fosse successa quell'istante, quel battito di ali, quella scia di suono sarebbero durati in eterno come avrebbe fatto ogni altro istante, una limpida nota della musica in continua evoluzione dell'universo. Quando cercò di spiegare a Perryn quella sua introspezione lui si limitò a fissarla e a dirle che era impazzita, e Jill scoppiò a ridere dandogli ragione. Quel pomeriggio si accamparono vicino ad un ruscello abbastanza grande e profondo, e Perryn tirò fuori amo e lenza dal proprio equipaggiamento, allontanandosi verso monte con l'intenzione di pescare qualche pesce. Per lungo tempo Jill rimase distesa sulla riva a fissare l'acqua, osservando nei mulinelli i volti del Popolo Fatato, i piccoli corpi agili, ascoltando le loro voci e le loro vite che si fondevano e mescolavano le une con le altre. Le sembrava che ci fosse qualcosa che volevano dirle e alla fine si tolse i vestiti per raggiungerli: ridendo si mise a spruzzare e a sguazzare con le ondine, cercò di prenderle quando si allontanavano da lei e per la prima volta le sentì nitidamente ridacchiare a loro volta e chiamare più e più volte il suo nome. Poi improvvisamente le creature stridettero e scomparvero. Girandosi nell'acqua, Jill vide Perryn fermo sulla riva con tre trote che gli pendevano da una mano e il cuore le venne meno, proprio come quando un allievo distoglie lo sguardo dal gioco e scopre che il suo tutore lo sta fissando con occhi roventi e con un compito lasciato a metà in mano. Allorché risalì sulla riva Perryn si mostrò però tutt'altro che arrabbiato con lei e la strinse a sé baciandola e avviluppandola nel proprio desiderio fino a quando anche lei lo desiderò e si distese spontaneamente con lui nell'erba. Dopo Perryn si alzò, si rivestì e cominciò a pulire il pesce, ma Jill rimase distesa sull'erba morbida e cercò di ricordare il nome dell'uomo che un tempo aveva amato e che sospettava essere ancora innamorato di lei, ma sebbene riuscisse a rammentare il suo volto la memoria si rifiutava di supplirle anche il nome. Riflettendoci sopra, si alzò e si vestì, guardando per caso in direzione del ruscello: i membri del Popolo Fatato erano riapparsi e la stavano fissando con rimprovero. — Rhodry, Jill — le sussurrarono. — Come hai potuto dimenticare il tuo Rhodry? Piegandosi su se stessa lei scoppiò in un pianto violento e quando Perryn si precipitò a confortarla lo respinse con tanta violenza da farlo incespicare
e cadere all'indietro, spiccando poi la corsa come un animale spaventato attraverso la radura e lanciandosi nella foresta soltanto per restare impigliata in una radice con una caviglia e crollare per terra a testa in avanti. Per un momento rimase distesa là ansante, notando quanto gli alberi apparissero cupi e come si protendessero minacciosi per afferrarla, simili ad una fila di guardie con le armi sollevate. Allorché Perryn venne per riportarla indietro, lo seguì senza discutere. Quella sera lui accese un fuoco e infilzò le trote su alcuni rami verdi per arrostirle. Jill mangiò qualche boccone ma il cibo sembrava restarle in gola e il pesce aveva un sapore dolciastro e stomachevole quanto quello del miele. Perryn invece trangugiò la sua porzione come se stesse morendo di fame e si addormentò accanto al fuoco. Jill rimase a lungo a fissarlo, e anche se adesso sarebbe stato assurdamente facile ucciderlo fu trattenuta dall'agire dal ricordo della foresta: se lui fosse morto si sarebbe trovata intrappolata là, affamata, a girare in cerchio senza sapere dove andare e in preda ad un panico crescente... con quanto restava della sua forza di volontà si costrinse a rifuggire da quei pensieri che minacciavano di renderla isterica. Tremante e in preda ad un freddo improvviso fissò lo sguardo sul fuoco, dove gli spiriti si formavano in, continuazione fra le fiamme e danzavano lungo i pezzi di legno che quei due umani avevano così gentilmente fornito loro. Poi un ceppo si consumò completamente e cadde con una pioggia di scintille dorate; nella vivida danza di lingue di fiamma che seguì, una vera e propria faccia dorata e mutevole apparve nel fuoco, parlando con voce reale e piena di autorità. — Cosa significa questo, bambina? Cosa c'è che non va? — Che non va? — riuscì a stento a balbettare lei. Per un momento il volto la fissò, poi scomparve. In preda allo sconcerto, incapace di pensare, Jill si sdraiò accanto a Perryn e si addormentò. Prive di forma come l'acqua, le giornate si susseguirono una dopo l'altra. Jill non riusciva a contarle, aveva perso la nozione del concetto stesso di contare, come se la parte della sua mente che si occupava di cose come la distinzione fra il giorno e la notte e il calcolo delle monete fosse caduta dalle borse della sella e si fosse persa fra l'erba. Ogni volta che Perryn le parlava lei aveva difficoltà a rispondergli perché le sue parole si perdevano nello splendore della foresta, ma per fortuna lui la interpellava di rado e sembrava accontentarsi della sua silenziosa presenza al suo fianco. La notte, quando si accampavano, Perryn si dimostrava un amante impaziente e a volte l'aspettava sulle coperte ancora prima di cena per poi portarle da
mangiare come un paggio mentre lei giaceva assonnata accanto al fuoco. La sua lenta esitazione, il suo passo strascicato, i sorrisi vaghi e le parole incespicanti erano scomparsi: adesso Perryn era tutto risa e tranquilla efficienza, era tutto forza e vita mentre viaggiava attraverso quelle terre montane e selvagge, e Jill giunse alla conclusione che quell'atteggiamento da goffo un po' stupido fosse soltanto uno schermo che lui sollevava quando era costretto a vivere in mezzo agli altri uomini. La sua teoria trovò dimostrazione allorché si recarono in un villaggio per comprare dei viveri al mercato. Subito Perryn tornò ad essere quello di un tempo, guardandosi intorno senza scopo e balbettando ad ogni frase nel contrattare l'acquisto di formaggio, di pesche e di alcune forme di pane, e dal momento che non riusciva a parlare con maggiore chiarezza di lui Jill non ebbe modo di aiutarlo. Una volta notò la moglie di un contadino che li stava osservando con espressione perplessa, come se si stesse chiedendo come faceva un paio di simili idioti a sopravvivere lungo la strada. Conclusi gli acquisti, si recarono in una taverna per bere un po' di birra e dopo tanti giorni senza aver avuto a disposizione altro che acqua la birra parve a Jill tanto buona che ne assaporò ogni sorso. Anche se la piccola stanza della taverna aveva il pavimento coperto da paglia sporca, il focolare pieno di cenere e i tavoli malconci, lei lì si sentiva felice perché era bello vedere altra gente e ascoltare voci umane invece dell'incessante sibilo del vento nella foresta e del chiacchiericcio dei ruscelli. Un uomo massiccio e stempiato che portava i calzoni a scacchi propri dei mercanti le rivolse un sorriso amichevole. — Dimmi, ragazza — le chiese, — perché porti una daga d'argento? — Oh... ah... er... ecco, era la daga di mio padre e la tengo in suo ricordo — rispose lei. — Un gesto davvero meritevole — commentò l'uomo. Nel guardarlo, Jill ebbe l'improvvisa e sconvolgente esperienza di sentirlo pensare: una ragazza graziosa ma stupida... ah, bene, del resto l'intelligenza non conta in una ragazza. Il pensiero risuonò chiaro nella sua mente come se lui lo avesse pronunciato ad alta voce, ma Jill si disse che era soltanto un'illusione. Quando poi giunse il momento di lasciare la taverna pianse al pensiero che stavano per tornare alla desolazione delle montagne. Quel pomeriggio attraversarono alcune basse colline ondulate dove le foreste di pini erano meno fitte e alcune fattorie occupavano le valli più riparate. Jill non aveva idea di dove si trovassero, sapeva soltanto che il sole sorgeva da est e tramontava ad ovest, ma Perryn affermò invece di cono-
scere bene il luogo in cui si accamparono, una minuscola valle lungo un ruscello circondata da betulle bianche. Prima di accendere il fuoco diede un bacio a Jill. — Sdraiamoci — le suggerì. All'improvviso il pensiero di fare l'amore con lui la riempì di repulsione, ma quando lo allontanò con una spinta Perryn l'afferrò per le spalle e la trasse a sé, e per quanto lei cercasse di lottare e di dibattersi la forza superiore di lui ebbe il sopravvento. Tenendola stretta, Perryn la sollevò e la costrinse a sdraiarsi... e pur continuando a lottare Jill comprese che si stava già arrendendo in maniera lenta e inesorabile, lasciandogli rubare prima un bacio qua e là, poi una carezza e infine arrendendosi e permettendogli di prenderla e di trasformare il suo mondo in un fuoco di piacere. Quando si distese accanto a lei, Perryn accennò a parlare ma subito si addormentò con la bocca aperta, spossato. Sdraiata al suo fianco, Jill osservò il tramonto riversarsi fra i rami come una pioggia di monete d'oro, mentre le betulle bianche splendevano di un fuoco interno come se li stessero osservando e benedicendo con la loro silenziosa presenza; poco lontano poteva sentire il ruscello scorrere e i membri del Popolo Fatato che chiacchieravano con le loro vocette sottili. Il tramonto stava ormai cedendo il posto al crepuscolo quando infine Perryn si sollevò a sedere con uno sbadiglio e un sussulto, e Jill scorse sotto i suoi occhi due cerchi scuri che erano livide polle d'ombra. Per un momento Perryn la fissò come se non sapesse neppure dove si trovavano. — Stai bene? — gli chiese Jill. — Oh... er... ecco, sono soltanto stanco. E tuttavia con il passare della sera Jill si rese conto che non si trattava soltanto di stanchezza: allorché la cena fu pronta Perryn trangugiò il cibo e si riaddormentò subito dopo mentre lei se ne restava seduta accanto al fuoco a guardare le betulle che splendevano e si chinavano in avanti per osservare quei due intrusi giunti nel boschetto. Per un momento le parve di vedere qualcuno in piedi fra gli alberi che la osservava, ma quando si alzò per vedere meglio la forma incorporea scomparve. Qualche tempo dopo Perryn si svegliò di nuovo e si avvicinò incespicando al fuoco: le fiamme danzanti rivestirono di luce il suo viso e parvero coprirlo di sangue, facendo apparire i suoi occhi come grandi lacerazioni in una maschera... una vista che strappò un grido a Jill. — Cosa c'è che non va? — domandò lui. Jill però non aveva parole per dirgli ciò che istintivamente sapeva e cioè
che il loro amore di quel pomeriggio lo aveva spinto ad un punto di crisi, proprio come quando un guerriero si lancia alla carica senza pensare ad altro che al lampeggiare dell'acciaio intorno a lui soltanto per trovarsi al di là delle linee nemiche, tagliato fuori e solo, quando ormai è troppo tardi per tornare indietro. Rhodry lasciò la fortezza di Graemyn senza avere la minima idea sulla direzione da seguire. Per tutto il primo giorno puntò verso ovest ma al tramonto lo gnomo grigio apparve nel suo campo e gli si gettò fra le braccia, stringendosi a lui come un bambino spaventato. — Eccoti qui! Senti, amico mio, dov'è Jill? Lo gnomo rifletté, indicò verso est e scomparve. Rhodry stava imprecando fra sé al pensiero di aver sprecato un'intera giornata quando pur nel profondo della sua disperazione avvertì ancora la strana sensazione di essere spiato. Viaggiò verso est per altri tre giorni, sentendosi più simile ad una tempesta che ad un uomo, perché in lui l'ira e la disperazione si mescolavano sospingendo la sua mente di qua e di là, riducendo a brandelli la sua capacità di ragionare. A volte voleva trovare Jill soltanto per tagliarle la gola mentre in altri momenti giurava a se stesso che se soltanto fosse riuscito a riaverla non le avrebbe mai posto una sola domanda su quello che aveva fatto con Perryn. A poco a poco, poi, la sua ira si trasformò in avvilimento senza speranza perché Perryn poteva aver portato Jill dovunque, penetrando nelle foreste più fitte dove lui non lo avrebbe mai trovato. La sua sola speranza era lo gnomo che veniva da lui di tanto in tanto per indicargli di andare ad est e che al solo sentir nominare Perryn s'infuriava serrando i denti e stringendosi la testa fra le mani. Prima o poi, Rhodry sperava che lo gnomo lo avrebbe portato da Jill. Sul finire di un giorno in cui le nubi bianche si accumulavano nel cielo e minacciavano pioggia, Rhodry stava percorrendo in solitudine uno stretto sentiero quando giunse ad una radura dove accanto alla strada sorgeva una piccola casa rotonda di legno con due querce che crescevano davanti alla porta principale. Sceso di sella si avvicinò conducendo a mano il cavallo e lanciò un richiamo; qualche momento più tardi dalla costruzione emerse un uomo anziano con la testa rasata e con il collare d'oro di un sacerdote di Bel. — Buon giorno, Vostra Santità — salutò Rhodry. — Che gli dèi ti benedicano, ragazzo. Cosa turba tanto il tuo cuore?
— Per gli dèi, ho dunque un'aria tanto miserevole? Il prete si limitò a sorridere e i suoi occhi scuri si persero quasi completamente nelle pieghe rugose delle palpebre gonfie; il vecchio era magro come uno stecco, con la tunica lacera che gli pendeva di dosso e le dita simili a ramoscelli contorti. — Sto cercando una persona — proseguì Rhodry, — ed ho quasi rinunciato alla speranza di trovarla. Una ragazza bionda e molto bella che veste sempre come un ragazzo e porta alla cintura una daga d'argento. Viaggia con un tizio ossuto con i capelli rossi. — Tua moglie ti ha lasciato per un altro uomo? — È così, ma tu come lo sai? — È una storia abbastanza comune, ragazzo, anche se non dubito che ti faccia soffrire come se fossi il primo uomo ad essere stato abbandonato da una donna — replicò il vecchio, scuotendo tristemente il capo. — Io non l'ho vista, ma puoi venire dentro a chiedere agli dèi di aiutarti. Più per compiacere il solitario eremita che perché avesse un'effettiva speranza di ottenere qualche presagio, Rhodry segui il vecchio nel tempietto dall'odore ammuffito che occupava una metà della casa rotonda. Sul lato piatto c'era l'altare di pietra coperto da un rozzo panno di lino che nascondeva le macchie di sangue dei sacrifici e dietro di esso si levava una massiccia statua di Bel ricavata da un tronco d'albero, con il corpo modellato rozzamente, le braccia segnate da semplici tagli nel legno e la tunica tracciata con pochi graffi. Il volto però era splendidamente modellato, con grandi occhi che sembravano vedere davvero e una bocca tanto mobile da dare l'impressione di poter parlare. Rivolto un formale inchino al re del mondo, Rhodry s'inginocchiò davanti alla statua mentre il prete rimaneva da un lato, e nella penombra parve che gli occhi del dio si abbassassero sul suo adoratore. — O potentissimo signore, dov'è la mia Jill? La rivedrò ancora? Per un momento un pesante silenzio pervase il tempio, poi il prete prese a parlare con voce cupa e tonante molto diversa dal suo tono normale. — Lei percorre strade oscure. Non la giudicare aspramente quando la incontrerai di nuovo perché qualcuno che non mi presta fedeltà la tiene sotto il suo incantesimo. Rhodry avvertì un freddo brivido di paura mista a reverenza. Gli occhi del dio lo scrutarono ancora e la voce riprese a parlare. — Tu hai uno strano Wyrd, uomo di Eldidd, che non sei veramente un uomo come gli altri uomini. Un giorno morirai servendo il regno, ma non
sarà la morte che tu puoi aver sognato per te stesso. Gli uomini ricorderanno il tuo nome nel lungo scorrere degli anni anche se il tuo sangue scivolerà sulla roccia e scomparirà. In vero, essi lo ricorderanno due volte, perché due volte tu morirai. D'un tratto il prete sollevò di scatto le mani e le batté con forza; stordito Rhodry si guardò intorno e vide che la statua era soltanto un pezzo di legno ben intagliato. Il dio se ne era andato. Per tutto il giorno, mentre proseguiva il cammino, Rhodry rifletté sul presagio. Cosa significava che Jill stava percorrendo strade oscure? Pur desiderando disperatamente che questo significasse che Perryn l'aveva in qualche modo costretta a seguirlo e che lei non lo aveva fatto spontaneamente, trovava difficile convincersene perché Jill avrebbe potuto facilmente uccidere quel nobile se avesse tentato di ricorrere alla violenza. Nonostante i dubbi, Rhodry sì aggrappò comunque a quel primo brandello di speranza che Jill potesse ancora amarlo, e a causa del cuore lacerato fra l'amore e il timore per lei non pensò neppure al resto del presagio secondo cui, contrariamente alla natura e alla razionalità, sarebbe morto due volte, rammentandosene soltanto alcuni anni più tardi. Il giorno successivo il significato di parte del presagio che riguardava Jill gli risultò chiaro quando raggiunse un piccolo villaggio e in una taverna si concesse il primo pasto caldo e il primo boccale di birra che avesse avuto da giorni. Mentre consumava lo stufato di montone vicino al focolare sporco, il taverniere gli si avvicinò per scambiare qualche chiacchiera. — Tu sei la seconda daga d'argento che si sia vista ultimamente da queste partì — commentò l'uomo, — anche se non penso che quella ragazza fosse davvero una daga d'argento. — Una ragazza bionda? — chiese Rhodry, con il cuore che gli martellava in petto. — Molto bella ma vestita come un ragazzo? — Proprio così. La conosci? — Sì. Quanto tempo fa sono stati qui lei e quel ragazzo con i capelli rossi? Mi piacerebbe rivedere Jill e Perryn. Il taverniere rifletté grattandosi la testa pelata — Non è stato più di quattro notti fa, direi. Sono amici tuoi? A me pare che nessuno dei due sia molto loquace. — Oh, in effetti Perryn non parla molto, ma di solito alla ragazza piace chiacchierare — replicò Rhodry, cercando di apparire allegro e cordiale. — Davvero? Allora deve essere malata o qualcosa del genere, perché non mette quasi insieme due parole di fila, tanto che avevo pensato che
fosse una di quelle ragazze carine ma senza cervello fra gli orecchi. — Spero proprio che non stesse male. Di solito è intelligente e allegra come un'allodola. Il taverniere rifletté per un altro lungo momento. — Ecco, forse lei e il suo uomo avevano litigato. Dal modo in cui lei lo guardava direi che deve picchiarla spesso, perché sembrava terrorizzata. Rhodry serrò la mano intorno al boccale con tanta forza da farsi sbiancare le nocche, pensando che adesso capiva quella faccenda delle strade oscure. — Comunque sia, ragazzo, quando sono andati via di qui si sono diretti a sud. Lei ha detto che voleva andare a sud per trovare suo nonno. Per un momento Rhodry rimase perplesso, poi pensò a Nevyn e si rese conto che era lui che Jill aveva inteso descrivere. — Benissimo, allora ti ringrazio — replicò, lanciando al taverniere una delle monete d'argento di Benoic. Lasciata la birra a metà, si allontanò quindi in tutta fretta dal villaggio e si diresse verso il crocevia e la pista che lo avrebbe condotto a sud. Il taverniere lo seguì con lo sguardo giocherellando con la moneta fino a quando non fu scomparso dalla vista, poi si sentì di colpo al tempo stesso colpevole e spaventato. Perché aveva mentito in quel modo in cambio del paio di monete che quello sconosciuto gli aveva dato? Lui detestava mentire e ricordava di aver discusso con quel tizio... eppure adesso aveva finito per fare come voleva lui. Per un momento desiderò di possedere un cavallo per poter seguire la daga d'argento e dirgli la verità, poi scrollò le spalle e sollevò lo sguardo. L'idiota del villaggio, il povero Marro, stava passando lentamente lungo la strada e il taverniere gli lanciò la moneta di Rhodry. — Porta questa a tua madre, ragazzo, e dille da parte mia di comprarti la stoffa per una camicia nuova. Marro scappò via con un ampio sorriso e il taverniere tornò ai suoi clienti. — A sud? — esclamò Salamander. — Per ogni vescica del posteriore del Signore dell'Inferno, come ha fatto Rhodry a sapere che doveva piegare a sud? I membri del Popolo Fatato che affollavano il suo accampamento parvero meditare sulla cosa. — Vi chiedo scusa, piccoli fratelli, era soltanto una domanda retorica. Stiracchiandosi, Salamander si alzò in piedi e scrutò il cielo notturno,
desiderando di aver evocato prima l'immagine di Rhodry. Dal momento però che lui stesso era poco più che un apprendista del dweomer, gli riusciva difficile evocare visioni senza un mezzo di focalizzazione e impossibile quando era impegnato a fare qualche altra cosa come per esempio cavalcare. Ripensandoci, si disse che probabilmente Rhodry aveva puntato a sud per pura disperazione e per la fortuna delle daghe d'argento. Senza il dweomer, infatti, lo stesso Salamander avrebbe avuto problemi a seguire Jill perché lo strano uomo con cui era conosceva i boschi bene quando un daino; così come stavano le cose, sapeva invece benissimo dove si trovavano i due, appena quindici chilometri a nordest rispetto a lui, e sapeva anche che Rhodry era a nord rispetto a loro e che quindi aveva imboccato la pista giusta dirigendo a sud. L'interrogativo era come avesse fatto Rhodry a saperlo. — Domani, piccoli fratelli, domani daremo la caccia al leone nella sua tana. In preda al disagio, i membri del Popolo Fatato gli si strinsero incontro spingendosi e pizzicandosi a vicenda con la bocca aperta in espressioni di disperazione e di odio che strapparono a Salamander un brivido di sincero timore: per quel che ne sapeva lui, l'uomo che aveva rapito Jill poteva essere un potentissimo maestro del dweomer e lui poteva essere diretto alla propria morte. — Sapete, credo proprio che dovrei contattare Nevyn e informarlo di quello che sta succedendo. Tutti gli esseri fatati annuirono vigorosamente. — D'altro canto, però, sono certo che se lo faccio lui mi dirà di non interferire assolutamente con questo brutto pasticcio, e in quel caso come potrei redimermi per tutto il tempo che ho perduto durante l'estate? Penso che farò meglio a proseguire. I membri del Popolo Fatato sollevarono le mani in un gesto di disperazione, gli mostrarono la lingua e scomparvero in preda ad un sincero disgusto. Il mattino successivo i cerchi scuri sotto gli occhi di Perryn apparivano purpurei come lividi recenti sullo sfondo della pelle innaturalmente pallida, mentre i suoi capelli rossi avevano perso ogni lucentezza ed erano opachi e arruffati come il pelo di un gatto malato. Il giovane si muoveva anche lentamente, tirando fuori le sue cose dalle sacche della sella, fissandole per un momento e poi riponendole mentre Jill lo osservava.
— Hai davvero un aspetto malato — osservò la ragazza. — Sono soltanto stanco. Lei si chiese se le importasse o meno che Perryn potesse morire, ma in realtà cominciava a vederlo come una vittima dei suoi strani poteri nella stessa misura in cui lo era lei stessa. Quel pensiero le affiorava però nella mente in maniera intermittente, perché di recente pensare le riusciva difficile. I pezzi di equipaggiamento nelle mani di Perryn sembravano cambiare continuamente dimensioni, ora ingrandendo e ora rimpicciolendo, e non avevano contorni nel vero senso della parola, soltanto linee scintillanti di forza che contrassegnavano il punto in cui incontravano l'aria. Alla fine lui tirò fuori una semplice sbarra di ferro spessa un dito e inserita in un'impugnatura di cuoio. — Sia ringraziato ogni dio — disse. — Credevo di averlo perso. — Che cos'è? — Un ferro da marchio universale, ma non dire a nessuno che lo posseggo, d'accordo? Nel Cerrgonney si viene impiccati se se ne ha uno. Quel discorso non aveva nessun senso per Jill, che si costrinse ad esaminarlo un pezzo per volta. — Siamo ancora nel Cerrgonney? — chiese infine. — Certo, ma nella zona meridionale, vicino a Gwaentaer. — Oh. E a cosa serve quell'affare? — Per cambiare il marchio di un cavallo. — E come mai ti impiccherebbero perché ne possiedi uno? — Perché sono soltanto i ladri di cavallo ad averlo. — Allora perché tu ce l'hai? — Perché sono un ladro di cavalli. Jill lo fissò a bocca aperta. — Dove credi che trovi i soldi che sto spendendo? — commentò lui con un sorriso divertito. — Prendo un cavallo a qualche nobile signore, lo rivendo ad uno degli uomini che conosco e il gioco è fatto. Da qualche parte nel profondo della sua mente Jill ricordò che il furto era una cosa cattiva e ci pensò su mentre guardava Perryn riporre le sue cose nelle sacche della sella. Il furto era sbagliato ed essere un ladro di cavalli era la cosa peggiore di tutte perché un uomo poteva morire se privato del cavallo in zone selvagge. Suo padre era solito dirglielo, e suo padre non sbagliava mai. — Non dovresti prendere quei cavalli — osservò. — Oh, li prendo soltanto a uomini che si possono permettere di perderli.
— Comunque è una cosa sbagliata. — Perché? A me servono, a loro no. Anche se sapeva che c'era un modo di controbattere a quell'argomentazione Jill non riuscì a ricordare quale fosse; appoggiandosi all'indietro osservò le silfidi giocare nella brezza leggera, sagome alate di vivido cristallo che saettavano e schivavano nell'inseguirsi con lunghi tuffi e picchiate. — Più tardi dovrò lasciarti qui sola — avvertì Perryn. — Siamo a corto di denaro e mi devo procurare un cavallo. — Ma tornerai, vero? — domandò Jill, all'improvviso terrorizzata al pensiero che senza di lui sarebbe stata perduta senza speranza. — Non mi lascerai qui. — Cosa? Certo che no. Ti amo più della mia stessa vita e non ti lascerò mai — rispose lui, prendendola fra le braccia e baciandola per poi tenerla stretta a sé. Jill non avrebbe saputo dire per quanto tempo rimasero seduti vicini sotto il sole caldo, ma quando Perryn la lasciò andare l'astro era vicino allo zenit; avvicinatasi al ruscello, Jill si distese per osservare i membri del Popolo Fatato che giocavano nell'acqua e si addormentò. Sul finire di quello stesso pomeriggio Rhodry giunse a Leryn, una delle più grandi città di Cerrgonney che contava circa cinquecento case raccolte dietro un basso muro di pietra sulle rive dei Camyn Yraen. Dal momento che Leryn era un importante porto per i barconi fluviali che portavano in Deverry il ferro delle montagne, il giovane aveva intenzione di pagarsi un passaggio verso valle per un tratto in modo da risparmiare un po' di tempo e di dare a se stesso e al cavallo il riposo di cui avevano molto bisogno. Prima però si recò nella piazza del mercato e fece in giro qualche domanda su Jill e Perryn, scoprendo che fra i locali erano in parecchi a conoscere l'eccentrico Lord Perryn. — È pazzo — dichiarò il venditore di formaggio, — e se quella ragazza viaggia in sua compagnia vuol dire che è più pazza di lui. — Per me non è soltanto pazzo — sbuffò il fabbro. — Mi sono chiesto parecchie volte dove si procuri tutti quei cavalli. — Ah, ma lui è un nobile — intervenne il mercante di stoffe, — e i nobili hanno cavalli in abbondanza. Però sono molte settimane che non vedo Lord Perryn, daga d'argento, e non ho mai visto la ragazza da te descritta. — Neppure io — confermò il venditore di formaggi. — Sembra proprio
un tipo duro. Mentre tornava all'economica taverna in cui aveva preso alloggio in precedenza, Rhodry si chiese se Jill e Perryn avessero preso una strada diversa per andare a sud, perché in quel caso avrebbe dovuto rinunciare a sfruttare i barconi fluviali per non correre il rischio di sorpassarli. Mentre stava mettendo il cavallo nella stalla, venne avvicinato da un uomo dall'aspetto anonimo e con la schiena curva tipica dei venditori ambulanti. — Sei tu la daga d'argento che stava chiedendo di Lord Perryn? — Infatti, ma a te che importa? — Nulla, ma per un giusto prezzo potrei avere qualche informazione per te. Rhodry tirò fuori di tasca due monete d'argento, tenendole bene in vista fra le dita, e il venditore sorrise. — Sono arrivato qui da sudest e una notte sulla strada mi sono fermato per dormire in una piccola locanda di villaggio a circa quaranta o cinquanta chilometri da qui. Mentre stavo cercando di dormire ho sentito qualcuno gridare nel cortile delle stalle e quando mi sono affacciato alla finestra ho visto il nostro Perryn che litigava con questa ragazza bionda. Pare che lei lo stesse lasciando, e lui le gridava di non andare via. Rhodry porse all'uomo la prima moneta d'argento. — La ragazza ha detto che voleva trovare nessuno — proseguì il venditore. — Mi è sembrata una cosa strana da dire e quindi mi è rimasta in mente. — È naturale. Ha detto chi era questo «nev yn»? — No, però ha detto a Sua Signoria che se avesse cercato di seguirla a Cerrmor gli avrebbe tagliato le parti tenere con la sua daga d'argento. Con una risata Rhodry consegnò all'uomo la seconda moneta e per buona misura ne trasse di tasca una terza. — Ti ringrazio, venditore, il fatto che tu abbia perso quell'ora di sonno rallegra il mio cuore infelice. Non appena Rhodry ebbe lasciato la stalla Merryc rise sommessamente fra sé: era davvero un bello scherzo indurre la daga d'argento a pagare per le voci fasulle che l'avrebbero portata incontro al suo destino. Jill fu svegliata all'improvviso da un rumore di cavalli che si avvicinavano e si sollevò a sedere, chiedendosi perché non avesse cercato di scappare prima del ritorno di Perryn. Adesso era troppo tardi, quindi si sollevò in piedi con estrema lentezza perché le sembrava che il terreno non fosse
stabile; mentre tornava al campo l'erba intorno a lei si alzava e si abbassava come se stesse camminando su un enorme materasso di piume. — Jill, non temere! Il salvataggio è vicino anche se invero come scintillante vendicatore si potrebbe desiderare qualcuno che sia meglio di me. Stupefatta lei si volse di scatto e fissò a bocca aperta l'uomo che stava smontando da cavallo dall'altro lato della radura: in un primo momento pensò che fosse Rhodry, ma la voce e i capelli chiarissimi non erano i suoi. Poi si ricordò di lui. — Salamander! Oh, dèi! — esclamò, e subito dopo scoppiò a piangere, piegata in due dai singhiozzi e dondolandosi su se stessa finché lui non la raggiunse, stringendola con forza a sé. — Zitta, zitta, piccola. Più o meno va comunque tutto bene... sei stata sottoposta a incantesimo, ma adesso è finita. Le lacrime cessarono e Jill sollevò lo sguardo su di lui. — Allora è vero? Perryn possiede il dweomer? — Non ne sono certo, ma sono sicuro che tu sia stata stregata. Lui dov'è? — A rubare un cavallo a qualcuno. — E anche lo sterco del cavallo, senza dubbio. Questo ragazzo sembra proprio stranissimo. — Puoi dirlo forte. Per favore, dobbiamo andare via prima che torni. — No, perché ho un paio di cose da dirgli. — Ma lui possiede il dweomer! Salamander le sorrise pigramente. — Questo pare sia il momento di svelare tutte le verità. Lo possiedo anch'io. Jill si trasse indietro per fissarlo. — Altrimenti come farei a sapere che sei stata sottoposta a incantesimo e come avrei potuto trovarti? Ora vieni, sistemiamo la tua roba sul tuo cavallo perché voglio gettare una tripla maledizione su questo tizio e poi mettermi subito in cammino con te. Rhodry ha un lungo vantaggio su di noi. Nel sentir nominare Rhodry, Jill ricominciò a singhiozzare e Salamander la strinse ancora fra le braccia. — No, no, no, piccola. Ricorda che sei la figlia di un guerriero. Ci sarà tempo più tardi per le lacrime, quando saremo lontano da qui. Penseremo noi a trovare il tuo Rhodry per te. — Oh, dèi, non so neppure se tuo fratello mi rivorrà indietro.
— Mio... un momento! Come lo hai scoperto? L'urgenza del suo tono la indusse a smettere di piangere. — Io... ho avuto un sogno vero. Ho visto tuo padre. — Dèi! Se possiedi questo genere di potere e quel tizio è riuscito... ecco, può darsi che sia più potente di quanto pensassi, ma che io sia dannato se scapperò prima di avergli dato un'occhiata. Lascia che ti selli il cavallo e poi potrai raccontarmi la tua storia. Come meglio poteva, Jill gli parlò di Perryn e degli eventi degli ultimi giorni, ma le riusciva difficile trovare le parole per dare un minimo di ordine al discorso o anche soltanto ricordare per quanto tempo aveva viaggiato con Perryn. A volte le pareva che si fosse trattato di qualche anno, in altri momenti le pareva questione di mesi, e rimase sconvolta quando Salamander le disse che erano invece stati al massimo quindici giorni. Mentre la ascoltava, lui si infuriò sempre di più e alla fine troncò a metà una sua frase incespicante con un cenno della mano. — Ho sentito abbastanza, piccola. Quel brutto bastardo dovrebbe essere fustigato e impiccato, se vuoi il mio parere. Mi chiedo se riuscirò a farlo sottoporre alla giustizia di qualche nobile. — Non qui, dove tutti i nobili sono suoi parenti. — E poi chi mi crederebbe se mi presentassi parlando di dweomer? Bene, comunque nel regno ci sono altri tipi di giustizia. Quando lo guardò, Jill vide la sua ira sotto forma di fiamme spettrali che gli danzavano sul viso e sebbene si affrettasse a distogliere lo sguardo quell'immagine le rimase impressa nella memoria. — È stato te che ho visto qualche tempo fa? Ho scorto nel cielo un elfo coperto di fuoco argenteo. — Ero io, ma quella che stavi vedendo era... ecco, era soltanto una mia immagine. Jill annuì, mentre tanto il pensiero quanto il ricordo le scivolavano via dalla mente, e anche se le pareva che avrebbe dovuto conoscere la risposta si chiese per quale motivo Salamander fosse tanto infuriato con Perryn. Il gerthddyn aveva appena finito di legare il rotolo delle coperte di lei dietro la sella quando si fermò e piegò il capo come per ascoltare, ma dovettero passare ancora parecchi minuti prima che Jill sentisse il suono degli zoccoli che accompagnò tre cavalli che si stavano avvicinando in fretta. Abbassandosi per schivare i rami e zigzagando fra gli alberi, Perryn arrivò al campo portandosi dietro due puledri sauri, e mentre Salamander avanzava verso di lui scese di sella e percorse correndo gli ultimi metri.
— Chi sei tu? — gridò. — Jill, cosa stai facendo? Anche se lei stava tremando con troppa violenza per riuscire a parlare, il suo cavallo sellato e pronto a partire era di per sé una risposta evidente, ma quando Perryn accennò a scattare verso di lei Salamander s'interpose fra loro. Il nobile tentò di colpirlo di piatto con la spada e improvvisamente un centinaio di esseri del Popolo Fatato si concretizzò intorno a lui e lo aggredì pizzicando, scalciando e mordendo con la ferocia di un cane a cui fosse stato gettato un osso. Perryn urlò e gridò, colpendo alla cieca un nemico che non poteva vedere, e alla fine crollò sotto il loro attacco in un mucchio che si agitava e si contorceva. — Basta così! — esclamò Salamander. I membri del Popolo Fatato scomparvero, lasciando Perryn tremante e gemente al suolo. — Così va meglio, cane — ringhiò Salamander. — Sei davvero un nobile rampollo del clan del lupo, ladro sia di cavalli che di mogli! Sollevando di scatto una mano, Salamander recitò quindi sottovoce una lunga sfilza di parole in lingua elfica e all'improvviso Jill vide un bagliore fra il grigio e il verde concretizzarsi intorno a Perryn... no, stava invece emanando da lui in una nube di luce da cui si estendeva un filamento che la avviluppava. Poi si accorse di essere anche lei all'interno di una simile nube, soltanto che la sua aveva il colore dell'oro pallido. — Vedi questo, Lord Perryn? Vedi cosa hai fatto? Perryn spostò lo sguardo da Jill a se stesso e poi su Salamander, quindi gemette improvvisamente e si coprì gli occhi con una mano. Il gerthddyn scandì qualche altra parola in lingua elfica e schioccò le dita: una spada dorata che sembrava fatta di luce solida gli apparve in mano e lui la calò avanti e indietro, recidendo ogni filamento che legava Jill a Perryn. Le linee di luce si spezzarono schioccando come cavezze tese e sbatterono con violenza contro Perryn, che urlò. Al tempo stesso, però, Jill cominciò a ritrovare la propria mente e la propria volontà, e con esse un senso di repulsione e un odio bruciante per quell'uomo che l'aveva domata come un cavallo selvaggio. Intanto Salamander recitò qualche altra parola e tanto le nubi lucenti quanto la spada scomparvero. — Non mi guardare in quel modo, amore mio — sussurrò Perryn, sollevando il capo. — Oh, per Kerun, non mi vorrai lasciare, vero? — È ovvio che intendo lasciarti, bastardo! Non voglio vederti mai più in tutta la mia dannata vita! — Jill, Jill, ti imploro, non te ne andare! Io ti amo!
— Mi ami? — ripeté lei, sentendo l'odio arderle in bocca. — Io sputo sulla tua idea dell'amore. Perryn scoppiò in pianto e quel suono giunse come musica agli orecchi di Jill; accanto a lei, Salamander fu tentato di prendere a calci il nobile ma poi si trattenne. — Ascoltami, tu! — ringhiò invece. — Per pura e semplice compassione ti voglio dire una cosa: devi smetterla di rubare donne e cavalli in questo modo altrimenti ne morirai. Mi hai sentito? Lentamente Perryn si issò in piedi per fronteggiare il gerthddyn, e il suo volto si contrasse mentre lui lottava disperatamente per ritrovare un po' di dignità. — Non so chi sei — sussurrò, — ma non sono costretto a restare qui a sentirti versare aceto nelle mie ferite. Non posso impedirti di portare via Jill, quindi vattene. Mi hai sentito, vattene! — inveì, con la voce che si levava in un urlo stridulo. — Andate via tutti e due! Poi crollò di nuovo in ginocchio piangendo. — Benissimo — replicò Salamander, quindi si girò verso Jill e aggiunse: — Lasciamo questo idiota piagnucolante alla giustizia che gli dèi hanno in serbo per lui, quale che sia. — Ne sarò lieta. In mezzo ad un vorticare di gioiosi esseri fatati i due montarono a cavallo e un grosso gnomo nero con chiazze purpuree lanciò a Salamander la cavezza del cavallo da soma prima di scomparire. Mentre si allontanavano, Jill si guardò alle spalle una volta, e vide Perryn steso nell'erba che piangeva ancora immerso in quell'ondeggiante mare di smeraldo, mentre il suo cavallo grigio gli sfiorava la spalla con preoccupazione. Nulla le aveva mai dato tanta soddisfazione come il suo dolore. Per circa un chilometro cavalcarono in silenzio, fino a quando non emersero dagli alberi per seguire uno di quei sentieri fangosi che nel Cerrgonney passavano per strade. Lì Salamander fece arrestare il cavallo, segnalò a Jill di fare altrettanto e si girò sulla sella per guardarla con espressione di sincera preoccupazione mentre lei lo fissava a sua volta senza capire. — Come ti senti, Jill? — Sfinita. — Non ne dubito, ma fra un po' recupererai le forze. — Bene. Il mondo tornerà mai ad essere immobile? — Cosa? Perché, che sta facendo adesso? — Ecco, tutto è... non proprio sfocato, ma nulla sta fermo e questi colo-
ri... tutto è così intenso e brillante. — Jill esitò, alle prese con il compito non più familiare di mettere insieme frasi compiute. — Non c'è nulla che abbia contorni, capisci, gli oggetti sono masse di scintille che confluiscono le une nelle altre, e il tempo non c'è più. No, questo non è esatto, ma al tempo stesso lo è. — Oh, dèi! Cosa ti ha fatto quell'idiota? — Non lo so. — Scusami, era soltanto una domanda retorica. Jill, questa è una faccenda dannatamente seria. — Lo avevo capito da sola, grazie. Tornerò mai a vedere il mondo com'è realmente? — Vuoi dire se tornerai a vederlo com'eri abituata a fare, perché in effetti, mia piccola tortora, esso è esattamente come lo stai vedendo adesso. Prima vedevi soltanto la superficie spenta, cupa e ingannevole che vede la maggior parte della gente. — Ma questi colori e il modo in cui tutto si muove... — Sono verissimi, ma ammetto che possono essere tutt'altro che comodi da vedere. Gli dèi sono gentili, tortorella, e lasciano che la maggior parte degli uomini veda soltanto quello che ha bisogno di vedere, nascondendo la bellezza. Se non lo facessero, moriremmo tutti di fame perché un atto semplice come cogliere una mela da un albero ci apparirebbe incredibile e minaccioso. — Non ci posso credere. — In realtà non c'è bisogno che tu ci creda, perché questo non ha nessuna ripercussione sulla nostra attuale e disgraziata situazione. Credere in qualcosa è un'illusione e in realtà ciò che gli uomini vedono è anch'esso illusione perché l'universo non è altro che una rete luminosa di puro potere. — Non può essere vero. — Lo è, ma non è questo il momento di discutere su questioni recondite come un paio di saggi del Bardek. Quel piccolo bastardo dagli orecchi rotondi ti ha danneggiata più di quanto avessi temuto, Jill — replicò Salamander, concedendosi una lunga e turbata pausa di silenzio prima di aggiungere: — Non so esattamente come affrontare questa situazione, ma per fortuna il nostro stimato Nevyn saprà cosa fare. — Salamander, stai parlando in maniera incomprensibile! Cosa mi ha fatto esattamente Perryn? — Ecco, hai visto quelle linee di luce, vero? Quello che lui stava facendo era riversare forza vitale dentro di te, più di quanta tu ne potessi gestire.
Ascoltami, ogni volta che voi due giacevate insieme, lui emanava una quantità spaventosa di forza vitale, che pur non essendo solida come acqua è più consistente del pensiero e può essere trasmessa avanti e indietro. In condizioni normali, quando un uomo e una donna si amano, ciascuno emana e riceve in pari misura, mantenendo un equilibrio. Dubito però che tutto questo abbia senso per te. — Oh, ne ha — negò Jill, la cui mente ancora confusa stava evocando immagini di Sarcyn e di Alastyr e del dweomer oscuro che l'estate precedente aveva contaminato la sua vita. Per un momento fu quasi sul punto di vomitare, e quando parlò ancora la sua voce suonò ridotta ad un sussurro. — Continua. Devo sapere. — Ecco, in Perryn c'è qualcosa che non funziona e lui si è messo a riversare fuori forza vitale come sidro al banchetto di un nobile, più di quanta tu ne potessi rimpiazzare nel normale andamento delle cose. Intanto tutto quel potere aggiuntivo scorreva libero nella tua mente, pronto per essere usato in qualsiasi modo tu volessi, ma purtroppo tu non avevi idea che ci fosse o di cosa farne, quindi esso ha imboccato il primo canale che ha trovato, come acqua che esca da un fiume per entrare in un canale, se vogliamo espandere e abbellire l'immagine. Sai, piccola tortora, non puoi mentire e sostenere di non avere talento per il dweomer. — Non m'importa! Non ho mai voluto possedere nulla del genere! — Oh, certo che no, stupidina! Non è questo che sto dicendo. Ascolta bene, perché si tratta di materie oscure e pericolose, e fonte di molte cose strane, e nessuno che studi il dweomer della luce giocherebbe noncurantemente con esse nel modo in cui sembra aver fatto Perryn. — Mi stai dicendo che lui segue il sentiero oscuro? — No, perché è evidente che quel povero debole idiota farneticante non è un maestro oscuro. Non so cosa possa essere Lord Perryn, mio piccolo pettirosso, ma so che ti devo portare molto, molto lontano da lui. Avanti, muoviamoci. Raggiungeremo un posto sicuro e poi vedremo cosa ne pensa Nevyn di tutto questo. Dopo che Jill se ne fu andata, Perryn ebbe a stento la forza di togliere la sella al cavallo per lasciarlo pascolare, poi si stese sulle coperte e si addormentò, destandosi per qualche momento verso il tramonto e ricadendo quindi in un sonno ininterrotto per tutta la notte. Quando si svegliò, il mattino successivo, si girò automaticamente per cercare Jill e scoppiò ancora a piangere non appena ricordò che se ne era andata. — Come hai potuto lasciarmi? Ti amavo così tanto!
Alla fine si costrinse a smettere di piangere e si sollevò a sedere, guardandosi intorno; nonostante la lunga dormita si sentiva ancora stanco e aveva il corpo indolenzito come se avesse sostenuto una lotta. Nel ricordare l'uomo che gli aveva portato via Jill, si sentì poi raggelare perché soltanto il dweomer poteva avergli mostrato quella strana visione di nubi di luce e di spade dorate. Guarda cos'hai fatto, Lord Perryn! Ma lui non aveva fatto assolutamente nulla, aveva soltanto amato Jill, e cosa c'entravano le corde di luce magica con l'amore? Rammentando come lei avesse detto di odiarlo fu sul punto di rimettersi a piangere ma scosse con decisione il capo, rifiutandosi di cedere nuovamente alle lacrime. Dopo un po' si costrinse ad alzarsi e a riporre il suo equipaggiamento, perché aveva già corso un notevole rischio fermandosi li tanto a lungo... il nobile a cui erano appartenuti quei due puledri avrebbe infatti potuto venire a cercarli. Mentre lavorava, si chiese da quale parte dovesse dirigersi, in quanto non sarebbe potuto tornare da Nedd per parecchio tempo a causa dell'ira di Benoic che certo stava spettando di riversarsi su di lui; dandosi due volte dell'idiota, prima per aver portato via la donna ad un altro uomo e poi per averla persa, si disse che Benoic lo avrebbe tormentato per anni per quella faccenda. Dopo lo splendore di aver avuto qualcuno da amare e che lo amasse... rifiutava infatti di credere che Jill non lo avesse mai amato... la vita si stendeva ora davanti a lui come una strada cupa e nebbiosa e gli parve che ci volessero secoli a lasciare quel luogo: portava a termine qualche piccolo lavoro, come arrotolare le coperte, poi qualcosa lo induceva a pensare a Jill e lo costringeva a fermarsi a causa delle lacrime. Per tutto il tempo il grigio pomellato gli rimase accanto, sfiorandogli la spalla con il muso e spingendolo alle spalle come per incitarlo a tirarsi su di morale. — Almeno tu mi ami, vero? — sussurrò Perryn. — Ma un cavallo è una creatura dannatamente facile da compiacere. Finalmente fu pronto a partire, con il grigio sellato e gli altri tre animali... il cavallo da soma e i due puledri... legati con lunghe cavezze. Montato in sella, rimase però fermo a lungo a fissare quel luogo che conteneva i suoi ultimi ricordi di Jill. Adesso dove sarebbe andato? L'interrogativo sembrava privo di risposta ma dopo qualche tempo la nervosa irrequietezza del grigio lo costrinse a decidersi e lui si diresse a nordovest, verso la vicina città di Leryn dove conosceva un mercante disonesto che avrebbe accettato i puledri senza fare domande. Per tutto il giorno cavalcò lentamente, con il pianto che di tanto in tanto tornava ad assalirlo di propria ini-
ziativa. Rhodry avrebbe cercato subito un passaggio su un barcone se non fosse stato per lo gnomo grigio che venne da lui nelle prime ore della stessa mattina in cui Salamander infine raggiunse Jill. Estatica di gioia, la piccola creatura danzava e sorrideva in maniera così accentuata da mettere in mostra i piccoli denti aguzzi. — Mi pare di capire che Jill ha lasciato Perryn, piccolo fratello — osservò Rhodry. Lo gnomo annuì e indicò verso sudovest. — È là che Jill si trova adesso? Lo gnomo scosse il capo e si affrettò ad imitare l'andatura sgraziata di Perryn. — Oho! E quanto è lontano il nostro caro Lord Perryn? Lo gnomo scrollò le spalle, agitando le mani come per dire che il nobile non era molto lontano, e quell'informazione indusse Rhodry a riflettere a lungo perché da un lato voleva seguire Jill ma dall'altro il suo desiderio di vendetta era cresciuto fino a diventare una bramosia incontrollabile. Alla fine vinse la vendetta. — Benissimo, piccolo fratello. Non appena avrò sellato il cavallo mi potrai guidare da lui. Lo gnomo sogghignò, saltellò e indicò di nuovo verso sudest. Era ormai tardo pomeriggio quando Rhodry arrivò in un misero villaggetto, una manciata di case sulla sommità di una collina senza neppure un vero e proprio muro di cinta. Anche se non c'era una taverna, la moglie del fabbro teneva in cucina alcune botti di birra per i viandanti assetati, e pur rifiutandosi di far entrare nella sua casa una daga d'argento permise comunque a Rhodry di comprare un boccale di birra a patto che lo bevesse nel cortile fangoso dove i polli razzolavano accanto ad una piccola stia che conteneva un paio di maiali ormai quasi adulti. La moglie del fabbro, una donna robusta con lanugginosi capelli grigi, si piantò poi le mani sui fianchi e fissò per tutto il tempo il giovane con occhi roventi come se pensasse che lui potesse volerle rubare il boccale; quando ebbe finito di bere, Rhodry le restituì l'oggetto in questione con un inchino esagerato. — Ti ringrazio, bella signora. Suppongo che di qui non passino molti viandanti. — Perché lo vuoi sapere? — Sto soltanto cercando un mio amico, un uomo ossuto con i capelli
rossi e... — Allora è meglio che tu vada dal fornaio. Un tipo come quello ha comprato da me un boccale di birra meno di mezz'ora fa e ha detto che doveva acquistare del pane. — Davvero? Non aveva con sé una ragazza, vero? — No, soltanto un paio di cavalli di scorta... troppi, se vuoi il mio parere. Il suo aspetto non mi piaceva proprio. Seguendo le indicazioni della donna, Rhodry percorse in fretta la strada tortuosa e quando arrivò davanti alla casa con i grandi forni di argilla a forma di alveare nel cortile anteriore la vista del pomellato grigio di Perryn, del suo cavallo da soma e di un paio di puledri legati poco lontano gli strappò un fugace accenno della sua folle risata berserker, e lo spinse a ringraziare Bel dal profondo del cuore. Mentre legava il proprio cavallo, vide attraverso la porta aperta Perryn che porgeva alcune monete di rame ad un uomo con un grembiule bianco e subito entrò a grandi passi nella casa; con le mani piene di pagnotte Perryn si girò e si lasciò sfuggire un soddisfacente strillo di terrore. — Razza di bastardo! — ringhiò Rhodry. — Dov'è mia moglie? — Oh... er... ah... ecco... non lo so. Pallido in volto, il fornaio cominciò a scivolare verso la porta ma Rhodry lo ignorò e si scagliò invece contro Perryn, afferrandolo per la camicia e sbattendolo contro la parete di pietra con tale violenza che il nobile lasciò cadere il pane. Allontanate a calci le pagnotte, Rhodry gli assestò un secondo spintone. — Dov'è Jill? — Non lo so — annaspò Perryn, senza fiato. — Mi ha lasciato, lo giuro. Mi ha lasciato lungo la strada. — Questo lo so, idiota! Dov'è? Per tutta risposta Perryn sogghignò e Rhodry lo colpì allo stomaco, raddrizzandolo e picchiandolo ancora quando lui si piegò in due tossendo. — Dove ti ha lasciato? Semiaccecato dalle lacrime che gli velavano gli occhi, Perryn sollevò il capo e Rhodry lo schiaffeggiò con forza. — So che mi ucciderai — annaspò Perryn, — e non ho intenzione di dirti un accidente di niente. Non vedendo motivo di rivelare al nobile il giuramento fatto di lasciarlo in vita, Rhodry lo afferrò per le spalle, lo tirò in avanti e lo sbatté di nuovo contro la parete.
— Dov'è? Se me lo dici, vivrai. — Non lo so, per gli dèi! Rhodry era sul punto di colpirlo allo stomaco una seconda volta quando udì dei rumori dietro di sé e nel guardarsi alle spalle vide il fornaio pallido in volto, fiancheggiato dal fabbro che brandiva una sbarra di ferro e da altri due uomini muniti di bastoni per la trebbiatura. — Cosa significa tutto questo, daga d'argento? Non puoi venire qui e ammazzare qualcuno come se niente fosse. — Non intendo ammazzare nessuno. Questo bastardo figlio di buona donna mi ha rubato la moglie e adesso non vuole dirmi dove si trova. I quattro uomini del villaggio rifletterono un momento, guardandosi a vicenda e scoccando occhiate furtive alla spada del giovane: anche se in quattro avrebbero avuto buone probabilità di riuscire a sopraffare un uomo solo, per quanto armato di spada, parvero infine preferire una linea di condotta più prudente. — Ah, bene — disse il fabbro. — Se c'è di mezzo la tua donna, allora non sono affari nostri. — Però fallo uscire dalla mia casa — gemette il fornaio. — Ne sarò lieto, i topi non devono stare dove c'è del grano. Torcendo il braccio di Perryn dietro la schiena, Rhodry spinse il nobile fuori della casa del fornaio e quando la sua vittima cercò di lottare le assestò una spinta laterale che la mando a sbattere contro la parete della costruzione vicina con tale violenza da strapparle un urlo. — Dov'è Jill? — Non lo so e se anche lo sapessi non te lo direi. Rhodry lo colpì allo stomaco con tanta forza che Perryn crollò in ginocchio e vomitò; quando ebbe finito, Rhodry lo issò in piedi e gli torse ancora il braccio, costringendolo ad aggirare il forno fino ad una grossa baracca di pietra, per poi spingerlo a faccia in avanti contro la parete soltanto per tirarlo indietro e ripetere l'operazione una seconda volta. Ormai, Perryn riusciva a stento a reggersi in piedi. — Per l'ultima volta, dov'è? Annaspando, Perryn si asciugò debolmente il sangue che gli colava dal naso e da un taglio sopra l'occhio, mentre Rhodry slacciava la cintura della spada e la lasciava cadere a terra. — Avanti, vigliacco! Estrai la spada, se hai coraggio! Perryn si limitò a sussultare e a piagnucolare, una vista che serrò lo stomaco di Rhodry in una morsa di disprezzo.
— Miserabile porco semicastrato! — imprecò quindi, balzando in avanti e afferrando Perryn con una mano mentre con l'altra lo colpiva più forte che poteva: ormai il piacere di percuotere il nobile gli stava pervadendo la mente come quando un muro di fiamme avanza precipitoso attraverso una foresta cancellando ogni cosa davanti a sé, ma poi ricordò di colpo il giuramento fatto a Benoic e lasciò andare la sua vittima, appoggiandola contro la parete. Per fortuna il nobile stava ancora respirando e dopo aver guardato Rhodry con occhi vitrei, uno dei quali già semichiuso, scivolò lentamente a terra su un fianco. Assestatogli un ultimo calcio Rhodry si girò e si trovò oggetto dell'attenzione dei quattro uomini del villaggio che stavano fissando la scena con un solenne aspetto da giudici e di tre ragazzini che lo guardavano con occhi sgranati per l'eccitazione; poco lontano lo gnomo grigio stava battendo le mani mentre eseguiva sogghignando una piccola danza di vittoria. Recuperata la cintura con la spada, Rhodry se l'affibbiò e cercò di riprendere fiato. — Ecco fatto. Non l'ho assassinato, giusto? Tutti gli spettatori scossero il capo all'unisono in segno di assenso. — Pensavo che le daghe d'argento non avessero moglie — osservò uno dei ragazzi. — Io l'avevo. Lasciate che vi dica una cosa: se mai troverete un'altra daga d'argento che ha una moglie, tenete lontane da lei le vostre dannate mani. I ragazzi guardarono verso Perryn annuendo, e quando Rhodry avanzò verso di loro si divisero per farlo passare e gli si accodarono come una scorta d'onore mentre lui andava a prendere il cavallo. Montato in sella, Rhodry si diresse verso nordovest per tornare al fiume; le sue mani erano insanguinate, ammaccate e dolenti ma nessun dolore gli era mai riuscito altrettanto gradito in tutta la sua vita. Non appena il villaggio fu scomparso alla vista, lo gnomo grigio apparve sul pomo della sua sella. — È stato proprio divertente, vero, piccolo fratello? — commentò Rhodry. Lo gnomo annuì con un sogghigno cattivo. — Dimmi, sto andando nella direzione giusta? Jill sta puntando verso il fiume? Di nuovo, lo gnomo annuì. — È diretta a Cerrmor? La creatura agitò le mani e scrollò le spalle per dire che non lo sapeva con certezza, e nel guardarlo Rhodry si rese conto che i nomi che gli umani
davano ai posti non dovevano avere significato per il Popolo Fatato. — Bene, se è lungo il fiume di certo la raggiungerò. Ti ringrazio, piccolo fratello, ma ora è meglio che torni da Jill e la tenga d'occhio. Spinti da un lato dalla compassione e dall'altro dall'impressione di aver visto fare giustizia, il fabbro e il fornaio sollevarono Perryn e lo trasportarono nella stalla che ospitava la mucca del fornaio, adagiandolo su un mucchio di paglia. Perryn riusciva a stento a vederli attraverso gli occhi gonfi, il petto gli doleva a tal punto da dargli la certezza che Rhodry gli avesse rotto un paio di costole e il labbro inferiore era spaccato e sanguinante. La moglie del fornaio arrivò poi con una ciotola d'acqua e dopo avergli dato da bere gli lavò la faccia. — Non mi piaceva proprio l'aspetto di quella daga d'argento. Gli hai davvero portato via la moglie? Perryn borbottò qualcosa che suonava come una conferma. — Uh. Non capisco come possa aver preferito te a lui, ma del resto a volte le donne sono volubili. Comunque, ragazzo, potrai restare qui per un paio di giorni se mi darai qualche moneta di rame per pagare il foraggio dei cavalli. Perryn annuì e svenne. Seduto nella propria camera e irritato al punto di essere quasi furente, Nevyn stava fissando con occhi roventi l'immagine di Salamander che danzava sui carboni ardenti del braciere. Il gerthddyn appariva sinceramente sconcertato. — Ma non potevo lasciare Jill con quel... — Certo che no, razza di idiota! Non è questo il punto ma piuttosto lo stesso Perryn. Ti sei lasciato alle spalle un uomo gravemente malato... — Che ha violentato più volte la donna di mio fratello. — Lo so e ne sono furioso, ma quello che sto cercando di dirti è che quel ragazzo è mortalmente malato. — Se anche morisse non sarebbe una grave perdita, non credi? — Tieni a freno la lingua, elfo chiacchierone! L'immagine di Salamander rimpicciolì e perse colore, una vista che indusse Nevyn a trarre un profondo respiro per controllarsi. — Ascoltami, Ebañy. Se continuerà in questo modo, Perryn finirà per riversare all'esterno tutta la sua forza vitale fino a quando gliene resterà ben poca: a quel punto contrarrà qualche malattia... probabilmente la tisi...
e morirà, proprio come tu hai intuito. Nel frattempo, però, avrà modo di fare del male ad altre donne per il semplice motivo che non può evitarlo: è come un appestato che sparge umori malsani e contagio dovunque va anche se non desidera fare del male a nessuno. Hai capito, adesso? — Sì, e ti chiedo scusa — replicò Salamander, che appariva decisamente avvilito. — Ma cosa avrei potuto fare? Sottoporlo a incantesimo? Legarlo come uno dei suoi cavalli e trascinarlo con noi? Jill non sopporta l'idea di rivederlo e nelle sue condizioni... — Questo è vero. Lasciami pensare... il maestro del dweomer più vicino è Liddyn di Cantrae, e lui potrebbe forse trovare Perryn e bloccarlo. Quanto a te, la tua prima preoccupazione deve effettivamente essere Jill: forma un legame con la sua aura e poi prosciuga... con estrema lentezza, bada bene... un po' di quel magnetismo in eccesso. È un procedimento che dovrebbe durare alcuni giorni perché dovrai assorbire tu quel magnetismo di troppo... oppure, meglio ancora, cerca di consumarlo. Qualcuno di quei tuoi miseri trucchetti dovrebbe servire allo scopo e potrebbe divertire Jill. — Dubito che ora come ora qualsiasi manifestazione del dweomer possa avere altro effetto che quello di terrorizzarla. — Può darsi. Oh, dèi! Che spaventoso pasticcio ci avete scaricato in grembo! — Proprio così. Senti, c'era un'altra cosa strana in Perryn: la prima volta che l'ho incontrato ho usato la mia seconda vista per guardare nella sua anima perché pensavo che potesse essere un uomo legato a Jill dal suo Wyrd o qualcosa del genere. — Lo era? — Non saprei dirtelo, perché non sono riuscito a decifrare la sua anima — confessò Salamander, con espressione improvvisamente contrita. — A dire il vero, devo aver lasciato che la mia ira avesse la meglio sulla ragione, perché continuavo a vederlo come una sorta di mostro semiumano e non come un uomo. — Tanto Valandario quanto io stesso abbiamo continuato a ripeterti che il dweomer richiede che un uomo tenga i propri sentimenti sotto controllo. Adesso capisci cosa intendevamo dire? Oh, dèi! — Ti porgo le mie più umili e sincere scuse, o maestro. Comunque, dal momento che ho visto Perryn di persona, potrei rintracciarlo nel caso che tu o Liddyn abbiate bisogno del mio aiuto. — Come senza dubbio sarà. Dobbiamo prenderlo. — Hai ragione, non stavo riflettendo. È solo che vedere la nostra Jill co-
sì... ecco, così distrutta e piena di vergogna mi fa dolere il cuore. — Anche a me — ammise Nevyn, rendendosi conto che parte della sua ira nei confronti di Salamander era soltanto una reazione alla furia destata in lui dall'accaduto. — Vorrei soltanto poter venire a raggiungervi, e se siete diretti a sud forse lo farò... dipende da come andranno le cose qui. — A proposito, dove ti trovi? — Adesso tocca a me scusarmi — rispose Nevyn, con una risata sforzata. — Sono nella fortezza del Gwerbret di Aberwyn. — Dèi! Mi sorprende che Rhys ti abbia permesso di varcare la sua soglia. — Oh, non nutre nessun particolare risentimento nei miei confronti. Lady Lovyan mi ha chiesto di accompagnarla fingendomi un consigliere legale, perché ha intenzione di chiedere un'ultima volta a Rhys di richiamare Rhodry. — E senza dubbio il ghiaccio dell'inferno si scioglierà prima che lui acconsenta. — Senza dubbio. D'altro canto, però, Rhys ama Aberwyn e alla fine potrebbe decidere di fare ciò che è meglio per esso. Salamander assunse un'espressione profondamente scettica e Nevyn fu costretto ad annuire con un sospiro: essere cocciuti era un elemento fondamentale dell'onore di un nobile e Rhys, come tutti i Maelwaedd, non avrebbe mai tradito il proprio onore. Concluso il colloquio con Salamander, Nevyn si accostò alla finestra e si appoggiò al davanzale per guardare fuori: dalla sua camera in alto nella rocca poteva vedere i giardini, un lungo prato rischiarato da centinaia di piccole lampade dove le dame di corte stavano godendo di un intrattenimento serale, danzando al suono della musica dei menestrelli, e le loro risate un po' affannate miste al battere dei piedi al ritmo delle arpe e dei flauti arrivava nel buio fino a lui. Ah, mia povera Jill, pensò, potrai mai essere di nuovo felice come loro? L'ira sorse di nuovo in lui così intensa da minacciare di soffocarlo, una fredda furia rivolta contro Perryn e contro Rhys, uomini cocciuti che insistevano per avere quello che volevano indipendentemente dal costo che questo poteva comportare per chiunque altro. Alla fine decise che Rhys era il peggiore dei due, perché il suo rifiuto di richiamare il fratello avrebbe potuto far precipitare Eldidd nella guerra civile e allora tutti quei nobili che danzavano dabbasso si sarebbero trovati a eseguire una danza di morte, dimentichi di ogni divertimento. Il vecchio richiuse le imposte con tanta
violenza da farle sbattere con un rumore che echeggiò come un tuono nella camera, poi volse le spalle alla finestra e prese a camminare avanti e indietro. Dopo qualche tempo si riscosse da quell'umore cupo e tornò a girarsi verso il braciere. Non appena pensò a Rhodry, la sua immagine apparve in un istante: il giovane era fermo con le spalle contro la parete in una taverna affollata e stava assistendo ad una partita a dadi mentre sorseggiava un boccale di birra. A volte, quando Rhodry era di umore particolarmente malinconico, Nevyn riusciva a raggiungere la sua mente e a trasmettergli dei pensieri, ma questa sera lui era distratto e appariva tutt'altro che infelice, anzi a volte sorrideva fra sé come se stesse ricordando un trionfo di qualche tipo. La cosa parve davvero strana a Nevyn e lo indusse a chiedersi perché il giovane non apparisse abbattuto a causa di Jill. In quel momento qualcuno bussò alla porta e lui cancellò l'immagine mentre Lady Lovyan entrava nella stanza con il plaid fissato sulla spalla mediante una spilla ad anello decorata da rubini che brillavano alla luce delle candele. — Ti sei stancata di danzare, mia signora? — Ne avuto più che abbastanza, ma sono venuta da te per un altro motivo: un veloce corriere è appena arrivato da Dun Deverry — replicò la dama, porgendogli una pergamena strettamente arrotolata a causa della sua lunga permanenza nel tubo che l'aveva contenuta. — Si suppone che soltanto io debba vedere questo messaggio, ma non credo che a Blaen dispiacerebbe sapere che lo hai letto anche tu. Dopo i lunghi saluti di rito, il contenuto vero e proprio della lettera era conciso «Mi trovo a Dun Deverry al seguito del re, che mi ha detto soltanto di essere molto interessato a parlare con una certa daga d'argento a te nota. Pensi che il drago ruggirebbe se il nostro signore dovesse usurpare uno dei suoi privilegi? A proposito, pare che Lord Talidd abbia trovato un amico in Savyl di Camynwaen. Blaen, Gwerbret di Cwm Pecl.» — Hump — sbuffò Nevyn. — Blaen non è molto portato ai sotterfugi. — Rhys avrebbe capito il contenuto del messaggio in un istante, se avesse avuto modo di leggerlo — convenne Lovyan, recuperando la lettera e lasciandola cadere sui carboni ardenti. L'odore del cuoio che bruciava si diffuse per la stanza e Nevyn si affrettò a riaprire la finestra mentre Lovyan aggiungeva: — La notizia a proposito di Savyl di Camynwaen mi preoccupa: non mi piace l'idea che Talidd possa aver trovato un altro Gwerbret disposto a sottoporre il suo caso al nostro signore.
— Non piace neppure a me. Oh, dèi, tutto questo sta diventando irritante. — Pensi che Rhys si ribellerebbe se il re dovesse annullare il suo decreto di esilio? — Di sua iniziativa no, ma potrebbe essere persuaso da uomini che pensano di avere una possibilità di accaparrarsi il rhan nel caso che lui muoia senza eredi. — Proprio così. In ogni caso tenterebbero almeno di spingerlo alla ribellione, ma d'altro canto se il re dovesse intervenire Rhys potrebbe porre fine ai miei discorsi assillanti senza perdere la faccia. — È vero. Potrebbe lamentarsi pubblicamente del decreto davanti agli altri nobili ma accettarlo privatamente. — È quello che spero... bene, del resto non sappiamo neppure davvero se il re ha effettivamente intenzione di richiamare Rhodry — osservò Lovyan, guardando il contorto pezzo di pergamena bruciata che giaceva sul braciere, poi prese un attizzatoio e lo ridusse in cenere, concludendo — Speriamo che Blaen ci faccia avere presto altre notizie. Rhodry non ebbe problemi a ottenere un passaggio su un barcone che scendeva il fiume fino a Lughcarn. Il suo cavallo fu alloggiato a poppa con i muli che avrebbero poi tirato a monte il barcone e lui ottenne un posto per dormire a prua con i quattro uomini dell'equipaggio, che gli rivolsero la parola il meno possibile. Il resto dei trenta metri di lunghezza della barca erano occupati da rozzi lingotti di ferro che provenivano dalle fonderie di Ladotyn, in alto sulle montagne, ma sebbene l'imbarcazione fosse molto pesante la corrente fluviale costante e intensa la faceva viaggiare rapida; per tre giorni il barcone scivolò verso sud mentre Rhodry passava il tempo osservando il panorama che gli mutava intorno: una volta che si furono lasciati alle spalle le colline, i prati erbosi e i ricchi campi di grano di Gwaentaer si allargarono tutt'intorno al fiume, tinti di verde e di oro dal calore della tarda estate, piatti e apparentemente infiniti. Il quarto giorno il barcone attraversò il confine di Deverry vero e proprio, anche se Rhodry non vide nella campagna circostante cambiamenti tali da rivelare l'avvenuto passaggio, e verso il tramonto il padrone dell'imbarcazione lo avvertì che presto sarebbero arrivati a Lughcarn. — Quella è la fine della nostra corsa, daga d'argento, ma scommetto che potrai trovare un'altra barca diretta a Dun Deverry. — Perfetto. Questo modo di viaggiare è dannatamente più rapido che
andare a cavallo ed ho bisogno di arrivare a Cerrmor più in fretta che posso. Il proprietario del barcone si grattò la barba con espressione pensosa. — Non so molto del traffico fluviale a sud della città del re, ma scommetto che ce n'è abbastanza — osservò, scrollando le spalle massicce. — Bene, che ci siano o meno barche a disposizione, a quel punto sarai soltanto ad una settimana di cavallo da Cerrmor. Nel tardo pomeriggio Rhodry scorse i primi segni che indicavano l'avvicinarsi della città. Inizialmente pensò che si trattasse di nubi addensate sull'orizzonte meridionale, ma poi il timoniere gli spiegò di cosa si trattava: l'aria era pervasa da una cupa cortina di fumo proveniente dai forni per la preparazione del carbone e dalle fucine alimentate con quel carbone che provvedevano a trasformare il ferro grezzo in acciaio di Lughcarn. Quando infine il barcone attraccò ai moli appena al di fuori delle mura cittadine, la camicia di lino del giovane era punteggiata di fuliggine; i moli stessi e i magazzini al di là di essi erano di una cupa tinta grigia e nell'oltrepassare le porte delle mura cittadine annerite dalla fuliggine Rhodry si disse che sarebbe stato molto lieto quando avesse potuto lasciarsi Lughcarn alle spalle. Sotto la fuliggine, quella era però una città ricca. Nel cercare una taverna abbastanza povera da accettare di dare alloggio ad una daga d'argento, Rhodry oltrepassò case eleganti, alcune grandi quanto la fortezza di un nobile di rango minore, con targhe intagliate sulla porta che proclamavano il nome di questo o quel grande clan di mercanti. In tutta la città c'erano anche numerosi templi, alcuni dedicati a divinità oscure che di solito erano relegate in qualche minuscola cappella in un angolo del tempio di Bel, spesso grandi quanto fortezze con giardini ed edifici adiacenti, come nel caso del sommo tempio di Bel. Finché non raggiunse la parte povera della città, vicino alla riva meridionale del fiume, incontrò inoltre ben pochi mendicanti, e anche fra le capanne di tronchi dei braccianti dei moli e dei bruciatori di carbone non vide quasi nessuno vestito di stracci né un bambino che sembrasse patire la fame. Finalmente trovò una squallida taverna il cui proprietario acconsentì a permettergli di dormire nel fienile della stalla in cambio di un paio di monete di rame e dopo aver sistemato il cavallo tornò nella sala comune per concedersi la cena migliore che la taverna aveva da offrire... stufato di montone pieno di grasso e accompagnato da pane stantio per tirare su il sugo. Il giovane portò la cena ad un tavolo da cui poteva tenere la schiena
a ridosso della parete e vedere gli altri clienti mentre mangiava: i più sembravano onesti lavoratori ritrovatisi lì per bere un boccale in compagnia e scambiarsi i pettegolezzi locali, ma uno dei presenti avrebbe potuto essere anche lui un viandante... un uomo alto con lisci capelli neri e una pelle color nocciola che rivelava la presenza di sangue del Bardek nelle sue vene. In un paio di occasioni, Rhodry notò che quell'uomo lo stava guardando con curiosità, e quando ebbe finito di mangiare lo sconosciuto si avvicinò al suo tavolo con un boccale in mano. — Vieni dal nord, daga d'argento? — Infatti. Perché? — È là che sono diretto e mi stavo chiedendo quali fossero le condizioni delle strade nel Gwaentaer. — Non te lo saprei dire perché sono venuto qui su un barcone. — È un buon modo di viaggiare quando si discende il fiume, ma non funziona altrettanto bene se lo si vuole risalire. Bene, comunque grazie — replicò l'uomo, ma poi indugiò ancora come se avesse qualche perplessità e alla fine si sedette. — Sai, una volta una daga d'argento mi ha fatto un favore e non mi dispiacerebbe ricambiarlo con un altro uomo della sua banda — affermò, riducendo il tono di voce ad un sussurro. — Tu sembri provenire da Eldidd. — Infatti. — Non è che per caso sei Rhodry di Aberwyn, vero? — Sono io. Dove hai sentito il mio nome? — Oh, lo si sente dappertutto, nel sud. Era questo che intendevo, parlando di ricambiare un favore... ti voglio dare un'informazione: pare che ogni dannato Gwerbret abbia mandato i suoi cavalieri a cercarti, e se fossi in te mi dirigerei ad ovest. — Cosa? Per il nero posteriore del Signore dell'Inferno, per quale motivo mi stanno cercando? — Un certo Tieryn Aegwyc di Cerrgonney ha presentato un'accusa contro di te — spiegò l'uomo, protendendosi verso di lui. — Sostiene che hai preso in battaglia la testa di suo fratello. Rhodry comprese immediatamente... o almeno credette di capire. Senza dubbio Graemyn doveva aver riversato la colpa su di lui al fine di arrivare alla stipulazione di un trattato di pace... del resto, chi avrebbe mai creduto alla parola di una daga d'argento contrapposta a quella di un nobile? — Dèi! Io non ho fatto nulla del genere! — A me non interessa. Come ti ho detto, però, è meglio che tu stia atten-
to alla direzione in cui vai. — Ti ringrazio dal profondo del cuore. Per tutta la sera Rhodry tenne d'occhio la porta della taverna, sapendo che se l'accusa fosse stata presentata davanti alla corte di un Gwerbret lui sarebbe stato decapitato secondo la pena prevista dalla legge sacra. Per fortuna, gli anni trascorsi sulla lunga strada gli avevano insegnato molti sistemi per evitare problemi. Adesso non avrebbe più potuto dirigersi a sud su una barca, non con il rischio che venisse costretta in qualsiasi momento ad attraccare per essere perquisita dagli uomini del re, e avrebbe invece dovuto ricorrere alle strade secondarie, badando naturalmente a non fornire il suo vero nome. Una volta che avesse trovato Jill, avrebbe poi avuto un testimone a suo favore... senza contare che con lei ci sarebbe stato anche Nevyn, e qualsiasi Gwerbret avrebbe senza dubbio dato ascolto alle parole del vecchio. Il mattino successivo lasciò la città dalla porta orientale con lo scopo di seminare una falsa pista; soltanto molto tempo dopo, quando era ormai troppo tardi, si rese conto che il Tieryn Benoic non avrebbe mai acconsentito a permettere un simile inganno. — Qualcuno ti ha pestato per bene, ragazzo — osservò Gwel il cerusico. — Chi è stato? — Oh... ah... er... ecco... — borbottò Perryn. — Una daga d'argento. — Davvero? L'uomo che attira su di sé l'ira di una daga d'argento è davvero uno stolto. — Io... er... adesso lo so. Perryn poteva infatti vedere la propria faccia, ancora gonfia e illividita, riflessa nello specchio appeso alla parete della bottega del cerusico. — Avresti dovuto farti tirare già da tempo questo dente spezzato — commentò ancora Gwel. — È vero, ma fino ad un paio di giorni fa non ero in condizione di muovermi. Lui mi ha rotto anche un paio di costole. — Capisco. Bene, dopo questa faccenda di certo girerai al largo dalle daghe d'argento. — Hai la mia parola al riguardo. Farsi tirare il dente risultò più doloroso che farselo spezzare, perché l'operazione richiese molto più tempo e il solo anestetico che il cerusico gli poté offrire fu un boccale di sidro forte. Fu soltanto alcune ore più tardi che Perryn poté lasciare la bottega e tornare barcollando alla sua locanda
alla periferia di Leryn, dove si lasciò cadere sul letto della sua stanza e rimase a fissare il soffitto con aria infelice mentre la sua mente continuava a girare in cerchio senza speranza, come un asino legato alla ruota di un mulino: che cosa avrebbe fatto? Il pensiero di tornare nel Cerrgonney per fronteggiare il disprezzo di suo zio gli dava un senso fisico di nausea, e poi c'era Jill. Con il passare dei giorni gli sembrava di amarla sempre di più e di non averla mai apprezzata davvero fino a quando non l'aveva perduta, e pensare che la maggior parte degli uomini provava la stessa cosa nei confronti della persona amata non gli era di nessuna consolazione. Se soltanto avesse potuto parlarle, implorarla di permettergli di spiegarsi, dirle quanto l'amava... era certo che lei lo avrebbe ascoltato, se soltanto fosse riuscito a trovarla sola, se soltanto avesse potuto allontanarla da quell'uomo dallo sguardo spaventoso e dal dweomer ancor più spaventoso. Se soltanto. Ma non sapeva neppure in che direzione fossero andati. Ma cosa gli impediva di trovarla? Nel suo stato di confusione, stordito dal dolore e dagli effetti del sidro datogli dal cerusico, si trovò pensare a lei come alla vera casa del suo cuore e con quel pensiero giunse nella sua mente il deciso strattone che sempre gli indicava la strada verso altre case. Lentamente, badando a non disturbare la mascella dolorante, si sollevò a sedere sul letto e rimase perfettamente immobile. Sì, poteva sentirlo davvero: sud, lei era andata a sud. Un momento più tardi scoppiò a piangere, ma questa volta per la crescente speranza di poterla rintracciare, di poterla seguire fino ad avere la possibilità di restare solo con lei e di potere in qualche modo... per il grande Kerun... rubarla di nuovo. — Questo è davvero strano — annunciò Salamander. — Rhodry si sta dirigendo a sud ma perché, in nome degli orecchi del cavallo di Epona, sta prendendo ogni dannato sentiero e viottolo di campagna invece di restare sulle strade del re? Jill si girò a guardarlo. Entrambi erano seduti a prua su una barca fluviale e Salamander si stava servendo dell'acqua rischiarata dal sole come di un punto focale per evocare l'immagine di Rhodry. Dal momento che vedeva ancora ogni cosa distorta dal potere immagazzinato in lei, a Jill l'acqua appariva come una distesa di solido argento intagliato, ma adesso era in grado di ricordare a se stessa che ciò che vedeva era soltanto illusorio... rifiutava infatti di credere che si trattasse invece della realtà nascosta delle cose, per quanto Salamander insistesse al riguardo. — Sembra che stia cercando un ingaggio?
— Per nulla, e ormai sono due giorni che lo tengo d'occhio. Sembra piuttosto che sappia dove sta andando ma che stia dannatamente attento lungo la strada — ribatté Salamander, distogliendo lo sguardo dal fiume con un gesto irritato del capo. — Bene, riprenderò più tardi a spiare il mio stimato fratello. Ora dimmi, come ti senti questa mattina? — Molto meglio. Se non altro le cose restano ferme per la maggior parte del tempo. — Bene, allora significa che la mia cura poco esperta sta funzionando. — E di questo ti sono davvero grata dal profondo del cuore. Per qualche tempo Jill rimase ad osservare pigramente l'orizzonte meridionale, dove il fumo di Lughcarn incombeva nel cielo come una piccola nube, desiderando di poter semplicemente dimenticare Perryn e che con una magia Salamander potesse ripulirle la memoria... ma sapeva che la vergogna che provava avrebbe continuato a tormentarla per anni. Si sentiva immonda come una sacerdotessa che avesse infranto i suoi voti e le pareva di essere in qualche modo da biasimare per il proprio rapimento. Se soltanto ne avesse parlato a Rhodry o avesse deciso prima di chiamare Nevyn, o... i «se soltanto» si susseguivano interminabili nella sua mente. — Dall'hiraedd che scorgo nei tuoi occhi devo dedurre che hai ripreso a rimuginare — osservò d'un tratto Salamander. — Oh, come faccio a non rimuginare? Va benissimo correre dietro a Rhodry, ma suppongo che lui si limiterà a imprecare contro di me quando lo avremo trovato. — Perché? Non hai avuto colpe maggiori di uno dei cavalli rubati da Perryn. Lei si militò a scuotere il capo per cercare di trattenere le lacrime. — Suvvia Jill, mia piccola tortora, adesso hai ritrovato la padronanza della tua mente e riesci di nuovo a pensare, quindi lascia che ti dica qualcosa: ho riflettuto a lungo sul nostro nobile ladro di cavalli e ne ho parlato anche con Nevyn. C'è qualcosa di dannatamente strano in quel ragazzo, è quella che si potrebbe definire una ferita nell'anima, a giudicare dal modo in cui riversa all'esterno la sua forza vitale a piacimento. — Ma sono io quella che è caduta dritta nelle sue miserabili braccia. Oh, dèi, non avrei mai sognato di avere una volontà debole quanto quella di qualche sgualdrina da taverna. — Non hai ascoltato una dannata parola di quanto ti ho detto? — ribatté Salamander, con un ringhio sommesso. — Non si tratta di avere una volontà debole: sei stata stregata, vincolata e confusa con il dweomer. Una
volta che la sua forza vitale si è riversata su di te, tu non hai più avuto una tua volontà, ma sei dipesa interamente dalla sua e tutta la sua lussuria si è riversata in te come acqua attraverso un canale. Per un momento Jill sentì il desiderio di vomitare al ricordo della sensazione che aveva provato quando lui le aveva sorriso in quel suo modo strano. — Perché la definisci una ferita? — chiese. — Perché presto o tardi lo ucciderà. — Bene. Spero soltanto di poter essere là a guardare. — E nessuno si aspetta che tu nutra sentimenti diversi, mia piccola e delicata ragazza. Non capisci, Jill? Sei innocente come se ti avesse legata e violentata con la forza. — Oh, dèi, è questa la cosa che detesto di più. Mi sono sentita così impotente! — Eri impotente. — È vero, anche se è una cosa dannatamente dura da ammettere. — D'altro canto, le vesciche vanno incise. Per tutta risposta Jill finse di assestargli un pugno, e Salamander sorrise. — Stai tornando ad essere te stessa. Dimmi, non ti sei accorta della cosa strana che c'è in tutto questo: considerato che Perryn non possiede un vero dweomer, allora da dove gli viene il suo potere, per tutti gli inferni? Cosa gli ha causato quella ferita? — Per quanto detesti parlare di quel maledetto bastardo, ammetto che è una domanda interessante. — Molto interessante, soprattutto per Nevyn, ma sfortunatamente per ora non abbiamo una risposta. — Se qualcuno la può trovare, quello è Nevyn. — Esatto, soprattutto una volta che sarà riuscito a mettere le mani su Perryn. — Ha intenzione di dargli la caccia? — Non proprio. Intendevo aspettare che fossi più forte per parlarti di questo ma penso che ora tu possa sopportarlo: Perryn ci sta seguendo. Jill sentì il sangue defluirle dalla faccia e Salamander si affrettò a prenderle una mano fra le sue. — Ora non corri più nessun pericolo. — Forse per adesso no, ma che succederà quando riprenderemo a viaggiare sulle strade, seguendo Rhodry? — Per allora Perryn sarà in viaggio alla volta di Eldidd sotto scorta ar-
mata. A corte c'è un uomo del dweomer chiamato Lord Maloc, che farà arrestare Perryn non appena entrerà in città e lo manderà da Nevyn. Stando a quanto mi hai detto, quel ferro da marchio universale che c'è nelle sacche della sella del nostro signorotto dovrebbe costituire una ragione più che sufficiente perché le guardie del re lo arrestino. — Allora andremo a Dun Deverry? — Infatti, e può darsi che non si debba poi proseguire oltre. Conosci il cugino di Rhodry, Blaen di Cwn Pecl? — Sì. — Attualmente il buon Gwerbret si trova a corte e Nevyn vuole che ci incontriamo con lui. Pare che il re abbia fatto circolare la voce che vuole parlare con Rhodry, per cui tutti i Gwerbret lo stanno cercando e quando lo avranno trovato lo manderanno dritto a Dun Deverry. — Il re? Cosa... — Non lo so, ma credo che possiamo indovinarlo, dal momento che ormai il re sa che Rhys non potrà dare degli eredi ad Aberwyn. — Vuole richiamare Rhodry. — Esatto, Jill, quindi presto avrai uno splendido matrimonio. — Oh, davvero? Sembri un idiota di villaggio. Rifletti! Non permetteranno mai che l'erede del più importante rhan di Eldidd sposi la figlia bastarda di una daga d'argento. Il meglio che potrò sperare sarà di essere di nuovo la sua miserabile amante e di vivere alla sua corte odiando sua moglie, questo sempre ammesso che mi voglia ancora. Cosa credi che sia questa, una delle tue storie? — Ho la netta e disgustosa sensazione che stavo pensando esattamente questo. Jill, per favore, perdonami. Lei si limitò a scrollare le spalle, osservando le terre coltivate che scorrevano lungo le sponde e una mandria di bestiame bianco con gli orecchi rosso ruggine che si stava abbeverando sotto la sorveglianza di un ragazzo e di due cani. — Mi hai perdonato? — chiese infine Salamander. — Sì, e ti chiedo scusa anch'io. Sono ancora in pezzi. — È vero, ma dopo aver funto da esca per intrappolare Perryn potrai anche andare via senza vedere Rhodry, se lo vorrai. — Mai. Forse mi manderà all'inferno, ma voglio dirgli che l'ho sempre amato. Salamander accennò a replicare, ma a quel punto Jill si coprì il volto con le mani e scoppiò in pianto.
Il palazzo del re a Dun Deverry era enorme, sei rocche unite da un ampio complesso di torri mozze e circondate da edifici esterni, il tutto protetto da una doppia cinta di mura. Come ospite onorato, il Gwerbret Blaen di Cwm Pecl aveva a sua disposizione un lussuoso appartamento in una delle torri esterne, in modo da poter godere del panorama dei giardini che si stendevano fra le due cinte di mura; nella sua camera di ricevimento c'eiano quattro sedie con i cuscini di velluto purpureo del Bardek, un tavolo e un camino indipendente, e pur non amando di per se stessi tali lussi, Blaen li apprezzava come segno del favore del re. Inoltre, sua moglie Canyffa lo aveva accompagnato in questo viaggio e a lui piaceva vederla circondata da ogni comodità; una donna alta con i capelli scuri e gli occhi da cerbiatta, Canyffa era calma quanto lui era eccitabile e anche se il loro era stato uno dei tanti matrimoni combinati Blaen dentro di sé si considerava un uomo eccezionalmente fortunato, al punto che a volte giungeva perfino ad ammettere con sua moglie che era innamorato di lei. Quella particolare mattina Canyffa era stata chiamata ad assistere la regina nelle sue stanze private... un distinto segno di onore che peraltro le era già stato tributato altre volte in passato. Appollaiato sul davanzale della finestra, Blaen la stava osservando mentre si vestiva con particolare cura: dopo che una cameriera ebbe disposto parecchi vestiti sul letto, Canyffa mandò via la ragazza e rifletté sulle alternative, scegliendo infine un abito di seta del Bardek di un modesto color grigio tortora, un colore che faceva spiccare il rosso e il bianco del plaid del clan del marito. — Penso che anche la moglie del Gwerbret Savyl verrà ad assistere la regina — commentò mentre si vestiva, — e suppongo che il mio signore vorrà che io tenga gli orecchi aperti. — Invero il tuo signore non desidererebbe nulla di meglio. Com'è sua moglie, a proposito? Canyffa rifletté prima di rispondere. — Una donnola, ma adorabile, e mi pare di capire che siano ben assortiti. — Nella loro natura di donnole, forse, perché nessuno definirebbe Savyl adorabile. Che io sia dannato se so perché ha deciso di immergere il suo remo in questo particolare fiume! Camynwaen è molto lontano da Belglaedd, quindi a cosa gli può mai servire Talidd? — Credo che siano consanguinei, ma la tua osservazione è pertinente, mio signore. Vedrò se potrò coltivarmi l'amicizia della deliziosa Lady Bra-
effa — ribatté Canyffa, poi si concesse un fugace sorriso e aggiunse: — Se però mi devo sacrificare in questo modo mi aspetto un bel regalo dal nostro Rhodry, quando sarà richiamato. — Senza dubbio il miglior argento del Bardek — commentò Blaen. — Farò in modo che lui ti onori adeguatamente... ecco, ammesso che riusciamo a farlo richiamare. Mentre Canyffa si trovava con la regina, Blaen ricevette un ospite, un uomo potente che valeva la pena di essere coltivato sotto un altro punto di vista. Dopo aver mandato un paggio a prendere una caraffa d'argento piena di sidro e due boccali di vetro, il Gwerbret congedò il ragazzo e versò di persona il sidro per sé e per il suo ospite, che ne bevve con apprezzamento un sorso. Lord Madoc, un nobile di recente nomina che era terzo scudiere del re, era un individuo snello di circa quarant'anni, con capelli biondi tagliati con cura e quasi privi di tracce di grigio, ed occhi azzurri pieni di umorismo. Inoltre correva voce che fosse un nipote di Nevyn, ma Blaen era invece pronto a scommettere che si trattasse di un altro mago. Dal momento che prima della sua recente nomina a corte era stato un mercante di cavalli di successo, Madoc svolgeva bene il suo lavoro e aveva modi semplici ma cortesi che gli avevano permesso di inserirsi a corte con la stessa disinvoltura di qualsiasi nobile di rango minore... o forse ancora di più. Di tanto in tanto però, c'era qualcosa nel suo aspetto o nel modo in cui sorrideva che lasciava sottintendere che il potere e la pompa della corte non lo impressionavano minimamente. — Ringrazio Vostra Grazia per questo invito — disse Madoc. — A cosa devo tale onore? — In un certo senso si tratta di semplice ospitalità. Conosco bene tuo zio. — Lo so. Ho ricevuto da poco una sua lettera. Sta molto bene. — Splendido. È ancora in Eldidd? — Sì, Vostra Grazia. La Tieryn Lovyan di Dun Gwerbyn lo ha preso al proprio servizio. Ci scommetto, pensò fra sé Blaen. È più probabile che sia stato Nevyn a prendere lei al proprio, che Lovyan lo sappia o meno. — Queste sono buone notizie davvero — commentò ad alta voce. — Il nostro Nevyn sta diventando un po' troppo vecchio per viaggiare sulle strade a dorso di mulo. — La sua salute è davvero incredibile, vero, Vostra Grazia? Del resto mia madre è ancora viva e dritta come una spada, ed ha passato la settanti-
na. — Speriamo allora che gli dèi ti consentano di ereditare la loro resistenza — replicò Blaen, con un sorriso cordiale. — Naturalmente sai che Lovyan è una mia parente, la sorella di mia madre. — L'ho sentito dire, Vostra Grazia, e del resto di recente si è parlato parecchio di tuo cugino Rhodry. — Non ne dubito. Cercare di tenere un segreto a corte è di solito uno spreco di tempo. Scommetto che i pettegolezzi hanno avuto inizio quando il mio signore mi ha convocato qui. — Un po' prima, a dire il vero — rispose Madoc, scuotendo il capo con finta tristezza. — Le prime voci, Vostra Grazia, riferivano che il re ti aveva convocato. — Allora scommetto che sai che il nostro signore sta cercando quella pecora nera di mio cugino. — Infatti, e i pettegolezzi sostengono che il re intenda annullare la sua condanna all'esilio. — Ecco, non posso proprio dirti se sia vero o meno. Bada, non mi è stato richiesto di giurare per mantenere nessun segreto... è solo che il nostro signore non mi ha detto nulla. Suppongo che non abbia ancora deciso. — È molto probabile Vostra Grazia. Annullare il decreto di un Gwerbret non è una cosa da farsi alla leggera. — Infatti — convenne Blaen, facendo una pausa per bere un sorso di sidro. — Però, dannazione, il re non potrà prendere una decisione in un senso o nell'altro finché Rhodry non sarà stato trovato. — Ancora nessuna notizia, Vostra Grazia? — Neppure un brandello. Per ogni dio e la sua sposa, cosa gli ha preso a quel branco di idioti che i Gwerbret definiscono cavalieri? Il regno è grande, certo, ma ormai avrebbero dovuto trovare una singola daga d'argento. — Così sembrerebbe, Vostra Grazia — ammise Madoc, che per un momento parve turbato. — In effetti pensavo che lo avrebbero rintracciato piuttosto in fretta. — Anch'io — replicò Blaen, poi s'interruppe per un momento, perché erano arrivati al nocciolo della questione. — Tant'è vero che mi stavo chiedendo se per caso non potessi aiutarci nelle ricerche. — Io, Vostra Grazia? Di certo sono pronto a fare qualsiasi cosa mi sia permessa dai miei doveri a corte, ma non so di cosa si potrebbe trattare. — Neppure io lo so con certezza, ma ho il sospetto che un uomo noto come il nipote di Nevyn possa vedere cose nascoste agli occhi degli altri.
Madoc sbatté le palpebre un paio di volte, poi sorrise. — Ah, allora Vostra Grazia sa che Nevyn possiede il dweomer. — Sì. La scorsa estate ha fatto del suo meglio per informarmene. Sembrava che gli riuscisse stranamente facile vedere le cose a distanza. — È così, Vostra Grazia. Permettimi di essere franco: se potessi evocare un'immagine di Rhodry lo farei, ma non ne sono in grado perché non l'ho mai visto in carne ed ossa. Blaen trangugiò un sorso di sidro per celare la propria sorpresa. Si era aspettato un lungo duello verbale prima di indurre Madoc ad ammettere la verità, mentre lui gliel'aveva detta senza problemi. — Capisco — commentò infine. — Peccato. — Davvero. Potrei però riuscire a procurarti delle notizie in un altro modo, perché hai ragione nel dire che la situazione si sta facendo preoccupante: ormai Rhodry avrebbe dovuto essere trovato. — Infatti. Sai qual è il mio peggior timore? Che qualcuno degli uomini il cui clan ha qualche probabilità di ereditare Aberwyn alla morte di Rhys possa aver preso adeguate misure per eliminare il legittimo erede. — Dèi! Si abbasserebbero fino a questo punto? — Aberwyn è uno dei rhan più ricchi del regno e diventerà ancora più ricco. Appena un anno fa il re ha concesso alla città uno statuto più liberale, secondo i cui termini Aberwyn avrebbe avuto una porzione del monopolio reale sui commerci con il Bardek. Madoc annuì con le labbra contratte in un sorrisetto cupo. — Vostra Grazia è stato esplicito. Benissimo, allora... vuoi scusarmi un momento? — Certamente. Blaen si aspettava che Madoc lasciasse la camera, invece lui si accostò alla finestra e sollevò lo sguardo verso il cielo, dove bianche nubi temporalesche si rincorrevano lacere al limitare di una tempesta estiva, rimanendo fermo là per qualche tempo mentre Blaen trangugiava un paio di bicchieri di sidro e si chiedeva cosa stesse facendo. Alla fine Madoc tornò a girarsi verso di lui con espressione turbata. — Rhodry è quasi a Drauddbry e sembra diretto a sud. Si è comprato un secondo cavallo per viaggiare più in fretta e pare che voglia andare a Cerrmor. — Mi chiedo cosa vogliano fare a Cerrmor. — Perché il plurale, Vostra Grazia? — Ecco, Jill è con lui, giusto?
— Chiedo scusa, Vostra Grazia, mi ero dimenticato che non lo sapevi. Lui e Jill sono rimasti separati a causa di uno sfortunato evolversi degli eventi e adesso lei lo sta seguendo con un amico, un gerthddyn che si è galantemente offerto di scortarla. L'ultima volta che li ho sentiti erano diretti a Dun Deverry per chiedere il tuo aiuto. — Che naturalmente otterranno — dichiarò Blaen, poi rifletté per un momento e aggiunse: — Hai mai incontrato mio cugino o la sua donna? — No, Vostra Grazia. — Si adattano uno all'altra come un paio di stivali perfetti, e se Rhodry erediterà Aberwyn preferisco vedere accanto a lui Jill piuttosto che qualche pecora di nobile origine che sua madre sceglierebbe per lui. — Ma Jill non è di umile nascita? — Sì, però sono dettagli a cui si è già posto rimedio altre volte in passato. Dovrò pensarci sopra. Parecchie ore più tardi Blaen si rese conto di aver creduto implicitamente a ciò che Madoc gli aveva detto, e pur ricordandosi di aver già visto altre volte il dweomer all'opera non poté trattenere un brivido: cos'aveva visto Madoc nel nuvoloso cielo estivo? A causa della pioggia, i marinai del barcone avevano teso alcuni teli sulla prua dell'imbarcazione, creando un riparo imperfetto che era comunque meglio di niente. Avvolta strettamente nel suo mantello, Jill stava osservando Salamander che teneva lo sguardo fisso sull'acqua e formulava di tanto in tanto qualche parola silenziosa. Ormai la vista della ragazza era quasi tornata alla normalità: l'acqua era soltanto acqua e Salamander non cambiava più colore a seconda delle emozioni che provava... dell'intero fenomeno rimaneva soltanto una certa intensità delle tinte, una nitidezza di linee e di forme che le ricordava lo splendore che aveva visto quando era stata immersa nel potere proibito, e con riluttante autoderisione Jill dovette ammettere che in un certo senso le dispiaceva di aver perso quella pericolosa bellezza. Alla fine Salamander si girò verso di lei e le si rivolse con voce sommessa. — Ho appena parlato con Lord Madoc. Voleva sapere quando era stata l'ultima volta che avevo evocato l'immagine di Rhodry per poterlo dire a Blaen... anche se non potrà servire a molto perché neppure un veloce corriere potrebbe raggiungerlo. — È vero, ma un corriere potrebbe avvertire il Gwerbret di Cerrmor di tenere gli occhi aperti per rintracciarlo.
— Se si fermerà a Cerrmor. Jill sollevò le mani in un gesto di frustrazione, desiderando di non aver insegnato così bene a Rhodry a sopravvivere sulla lunga strada, dato che da giorni ormai lui riusciva a sgusciare fra le maglie della rete di cavalieri che lo cercavano come una volpe fra le siepi. — Domani arriveremo a Dun Deverry — commentò Salamander, — e potremo parlare direttamente con Blaen. — Bene. Sai, nonostante tutto sono davvero impaziente di vedere la città del re perché anche se ho girovagato per il regno da quando avevo otto anni non ci sono mai stata. Nelle terre del re le daghe d'argento non trovano chi le ingaggi. All'improvviso lo gnomo grigio apparve a meno di trenta centìmetri di distanza da lei, e quando Jill lo prese fra le mani esitò, sollevando il volto contratto in una smorfia. — Suvvia, piccolo! Cosa ho fatto perché tu sia tanto arrabbiato con me? — chiese la ragazza. Lo gnomo mantenne il suo atteggiamento per un momento ancora, poi si gettò fra le sue braccia e si lasciò stringere con forza. — Sono davvero felice che tu mi abbia perdonata. Ho sentito la tua mancanza. Sorridendo, la creatura si protese a batterle un colpetto su una guancia. — Con un po' di fortuna, presto saremo di nuovo con Rhodry. Lo hai visto? Sta bene? Lo gnomo annui in risposta ad entrambe le domande e si strusciò contro di lei come un gatto. — Vorrei sapere dove sta andando. Lo gnomo sollevò lo sguardo e indicò verso di lei. — Sta seguendo me? La creatura annuì ancora, ma in maniera così indifferente che Jill non fu sicura che avesse davvero capito la domanda; accanto a lei, Salamander aveva osservato attentamente la scena. — Interessante, davvero molto interessante, — dichiarò — ma mi chiedo cosa significhi. Anche se il cerusico gli aveva consigliato di restare a Leryn per almeno cinque giorni allo scopo di riprendersi dal pestaggio che aveva subito, Perryn lasciò la città non appena fu in condizione di cavalcare perché una volta che aveva sintonizzato la sua mente su Jill la sua presenza era diven-
tata per lui un dolore simile a quello di un'altra ferita che lo attirava verso di lei. Il suo desiderio era però temperato dalla paura di quello strano uomo con i capelli chiari come la luce lunare che gli aveva portato via Jill; nel ripensare all'accaduto, si era spesso chiesto se avesse sognato quella scena spaventosa in cui aveva visto le nubi di luce colorata e le spade lucenti, ma ogni volta che cercava di convincersi di aver sognato andava a sbattere contro l'ineluttabile realtà di fatto che Jill non c'era più... e dal momento che rifiutava semplicemente di ammettere che la ragazza potesse averlo lasciato di propria iniziativa, questo significava che ci doveva essere un altro uomo, molto potente. Sebbene la maggior parte della gente del regno accantonasse come fantasticherie le storie sul dweomer, Perryn aveva sempre saputo a livello istintivo che erano vere, che esisteva una cosa chiamata dweomer e che con esso gli uomini potevano operare meraviglie, ma adesso gli era di ben poco conforto scoprire che aveva avuto ragione. La sua unica consolazione in tutto questo era il fatto che se lui non aveva Jill, neppure Rhodry l'aveva. Tre giorni di cavallo lo portarono a Gaddmyr, una grande e prospera città dietro una doppia cerchia di mura di pietra, e anche se avrebbe preferito evitarla completamente vi entrò perché era a corto di provviste. Di solito odiava le città, piene com'erano di gente puzzolente e sudata prigioniera delle sue meschine preoccupazioni come i maiali lo sono nella stia, ma quella notte trovò un certo conforto nel sedere nella stanza comune di una trasandata locanda, circondato da esseri umani che lo distraevano dal suo costante, doloroso desiderio per Jill. Nella foresta avrebbe sentito di continuo la sua mancanza mentre qui poteva bere birra scura e forte e cercare di dimenticarla, quindi allorché il taverniere venne a chiedergli se intendeva fermarsi per la notte lui diede d'impulso una risposta affermativa. — Però... er... ah... non voglio dover dividere una camera con qualcuno. Potrei... er... ah... dormire nel fienile? — Non vedo perché no. Lassù c'è spazio in abbondanza. Procuratosi un altro bicchiere di birra, Perryn si trovò un posto appartato in un angolo, ma sebbene fosse stata sua intenzione ubriacarsi al punto da non riuscire a pensare, la cameriera della taverna lo indusse a cambiare idea. Si trattava di una ragazza dal viso rotondo con i capelli neri e occhi scuri che parevano saperla lunga, e il suo sorriso prometteva quanto meno alcune ore interessanti, per cui Perryn decise che quello sarebbe stato un modo per non pensare a Jill molto migliore che procurarsi dei postumi di sbornia. Chiacchierò con lei per qualche minuto, scoprendo che si chiama-
va Aladda e che mostrava nei suoi confronti un'assoluta indifferenza... come del resto si era aspettato; quando poi lei si girò per andarsene, le rivolse uno dei suoi sorrisi, e anche se continuava a non capire cos'era che stava facendo, esso funzionò come aveva sempre fatto: Aladda lo fissò con le labbra socchiuse e lo sguardo stordito, indugiando accanto a lui. Quando Perryn le sorrise ancora, la ragazza scoccò un'occhiata nervosa in direzione del taverniere, facendoglisi poi più vicina. — Al locandiere secca se parli un po' con i clienti? — Oh, no, a patto che si tratti soltanto di chiacchiere. — Ma cosa sei, sua figlia? — Hah! Tutt'altro. — Davvero? — ribatté Perryn, sorridendo nuovamente. — Allora... fra i tuoi compiti rientra quello di tenere caldo il suo letto. Aladda arrossì ma gli si avvicinò ancora di più fino a sfiorargli il braccio con i seni rigogliosi, e quando sfoggiò un quarto sorriso Perryn ebbe la ricompensa di vedere il suo sguardo farsi sognante e le sue labbra sorridere in risposta. Non appena si accorse che il taverniere era immerso nella conversazione con un paio di mercanti, Perryn si arrischiò quindi a posare una mano sulla guancia di lei. — Non mi sembra che lui sia granché come uomo — commentò, — e una ragazza come te potrebbe passare la notte in compagnia migliore. Io dormirò nel fienile, vedi... e potrei andarci anche adesso. — Fra un poco potrei seguirti, ma non mi sarà possibile fermarmi a lungo — replicò lei, con una strana risatina ubriaca. — Del resto, non sarà una cosa che richiede molto tempo. Con un'altra risatina Aladda si affrettò a tornare in cucina. Perryn indugiò ancora il tempo necessario per finire la sua birra e fugare ogni sospetto da parte del taverniere, poi sgusciò fuori e salì nel fienile, evitando di prendere con sé una candela in una lanterna perché sapeva che la ragazza non voleva essere notata. Trovato il proprio equipaggiamento nello stallo del suo cavallo, lo trascinò su per la scala e si mosse incespicando nel buio per sistemare le coperte e togliersi gli stivali, poi sedette ad aspettare sulla paglia ammucchiata e cominciò a chiedersi perché si stesse prendendo la briga di sedurre quella ragazza, dal momento che nessuna donna avrebbe mai potuto reggere il confronto con la sua Jill. Quel pensiero gli fece salire le lacrime agli occhi, ma pochi minuti più tardi venne distratto dal rumore che Aladda stava facendo nel salire la scala e subito le andò incontro, baciandola prima che potesse anche soltanto pensare di cambiare idea.
— Oh, dèi — mormorò lei, con voce sinceramente turbata, — non so proprio cosa mi è preso per correrti dietro in questo modo. — Va tutto bene. Adesso vieni qui a sdraiarti con me e ti mostrerò perché lo hai fatto. Senza protestare, lei si lasciò condurre alle coperte e dapprima si mostrò timida fra le sue braccia, ma ad ogni bacio che le dava Perryn poté avvertire non soltanto una crescente tensione sessuale ma anche un potere, una strana e oscura sensazione che nasceva dal profondo del suo intimo e lo inondava fino a diventare quasi più esigente dell'istinto sessuale. A mano a mano che quel potere crebbe, Aladda rispose, gemendo fra le sue braccia ad ogni carezza, e alla fine gli bloccò la mano. — Non ho il tempo di togliermi il vestito, quindi sollevalo, adesso. Per favore. Non appena ebbero finito lei gli diede un ultimo bacio e fuggì via per tornare dal suo uomo geloso dopo aver sinceramente confessato che sarebbe voluta restare per tutta la notte, ma a quel punto Perryn era così esausto che fu contento che se ne fosse andata. Lasciatosi ricadere sulle coperte rimase a fissare la strana oscurità punteggiata di luce che gli vorticava intorno lentamente, e quando cercò di chiudere gli occhi la sensazione di movimento persistette, così intensa da dargli la nausea. Subito risollevò le palpebre e si accorse che il sudore freddo gli stava colando lungo la schiena e il petto e che le sue labbra tremanti sembravano raggelate ed esangui. Avrebbe voluto alzarsi e chiedere aiuto nella taverna, ma sapeva che non sarebbe mai riuscito a scendere la scala senza rompersi l'osso del collo, quindi poté soltanto restare disteso là, serrando la paglia sotto di sé e pregando di non essere prossimo a morire. Il panico lo assalì ad ondate con la violenza di un mare in tempesta che flagellasse un molo, e d'un tratto si trovò a ripensare all'uomo del dweomer che gli aveva portato via Jill, ricordando come questi lo avesse schernito per poi aggiungere un ultimo insulto: devi smetterla di rubare dorme e cavalli, altrimenti questo ti ucciderà. Sul momento, Perryn aveva supposto che quell'uomo avesse inteso fare riferimento a mariti indignati o qualcosa del genere, ma adesso stava comprendendo la verità: c'era qualcosa che non andava, qualcosa di grave, e lui non sapeva cosa fosse. Possibile che l'uomo del dweomer lo sapesse? E in questo caso lo avrebbe aiutato? Era improbabile, a giudicare dalle parole piene di odio che gli aveva scagliato in faccia. Confusi e incoerenti, i suoi pensieri continuarono a girare in cerchio accavallandosi fino a quando alla fine si addormentò, scivolando in
un'oscurità senza sogni. Verso le dieci dell'indomani Jill poté finalmente vedere Dun Deverry per la prima volta quando il barcone attraccò ad un molo fluviale circa un chilometro a nord della città, che si levava sopra di loro sulle sue sette colline. Anche da quella distanza era possibile vedere i tetti del palazzo del re, e in alto sulle torri sbattevano al vento piccoli punti gialli che dovevano essere le bandiere d'oro del trono del grifone. — È davvero uno spettacolo, non trovi? — commentò Salamander. — Portiamo a terra i cavalli e andiamo. Aspetta soltanto di vedere le porte. Le porte in questione misuravano circa quattro metri di altezza e sei di larghezza ed erano coperte da pannelli intagliati e cmti da fasce decorative, mentre i rinforzi in ferro erano abbelliti da file di spirali e di rosette intrecciate. Dal momento che le mura erano spesse almeno sei metri, i due percorsero una specie di galleria e alla sua estremità trovarono altre porte altrettanto elaboratamente decorate quanto le prime, al di là delle quali si allargava uno spazio pubblico formato da una macchia di querce con una fontana centrale su cui un grifone di marmo si levava in mezzo agli spruzzi d'acqua. Da quel parco si snodavano le strette strade che salivano a spirale fra le case e su per le colline oppure scendevano verso il basso in mezzo a botteghe e taverne verso il lago che si allargava ad occidente. Dovunque guardasse, Jill scorse persone che camminavano in fretta per andare a provvedere ai loro affari oppure qua e là i cavalieri splendidamente vestiti della guardia personale del re. Salamander la condusse quindi alla locanda dove intendeva alloggiare, una rocca a tre piani che sorgeva in mezzo ad un giardino erboso: sollevando lo sguardo Jill notò che il tetto era coperto da tegole di ardesia e che le finestre emanavano il bagliore del vetro. — Non possiamo fermarci qui! Costerà una fortuna — protestò. — Jill, mia parsimoniosa tortora — replicò il gerthddyn, scuotendo il capo con finta tristezza, — in questo caso guadagnerò una fortuna nella sala comune per pagare il conto, ma non posso sopportare le locande da poco prezzo perché puzzano e hanno i materassi pieni di insetti. Se avessi voluto dormire per terra sarei nato cane da caccia. — Ma ci sono molte locande decenti che costano meno. — Perché cavillare per poche monete d'argento? E poi, qui dobbiamo incontrarci con qualcuno. Quando condussero i loro cavalli verso le porte della locanda venne loro
incontro un giovane massiccio che guardò con una certa approvazione il bel mantello di Salamander e i finimenti bordati in oro del suo cavallo, per poi inchinarsi. — Questa daga d'argento è con te, signore? — chiese. — Sì, è la mia guardia del corpo. Hai una camera al secondo piano? — Certamente, aspetta soltanto che chiami un ragazzo perché si occupi dei vostri cavalli. — Splendido. La prima cosa che vogliamo è fare un bagno. I due dovettero però rimandare di qualche tempo quel lusso ormai necessario. Allorché entrò nella sala comune che aveva il pavimento coperto da tappeti del Bardek e candelabri d'argento alle pareti, Jill vide un uomo alto con i calzoni di stoffa di plaid di un nobile che stava passeggiando su e giù davanti al focolare, e la sua vista le fece dolere il cuore perché Blaen somigliava moltissimo al suo Rhodry. — Quello è il Gwerbret Blaen! — disse. — Certamente. È con lui che ci dobbiamo incontrare qui. — Lui non sa di... ecco, di Perryn, vero? — Certo che no! Pensi che non abbia nessun rispetto per il tuo onore? Lascia a me questa parte delle spiegazioni. Quando si diressero verso di lui Blaen li vide e venne loro incontro, e senza quasi ricambiare l'elegante inchino di Salamander afferrò la mano di Jill, stringendola con forza. — Sono felice di vederti, Jill, anche se lo sarei molto di più se Rhodry fosse con te — disse, poi si guardò intorno alla ricerca del locandiere, che era rimasto a bocca aperta alla vista del Gwerbret che salutava come un vecchio amico quella daga d'argento, e chiamò: — Locandiere! Manda nelle loro camere una caraffa del sidro migliore e anche un piatto di carne fredda! Le camere giustificarono i peggiori timori di Jill in fatto di spese: non soltanto avevano il pavimento coperto di tappeti ma tutto l'arredo era di splendido legno lucido, decorato da pesanti intagli quanto quello della fortezza di un nobile. La caraffa e il piatto, entrambi d'argento, arrivarono immediatamente e dopo aver dato alla cameriera alcune monete che valevano due volte il cibo, Blaen la congedò seccamente. — Dunque — esordì il Gwerbret, versandosi un boccale di sidro, — Lord Madoc mi ha detto che tu sai fare qualcosa di più che narrare storie, gerthddyn, quindi puoi parlare liberamente. Sai dove si trova Rhodry? — È quasi a Cerrmor. In effetti... — Salamander fece una pausa per
guardare fuori della finestra e controllare la posizione del sole... — direi che deve esservi arrivato in questo momento. Quanto però al perché vi sia andato, purtroppo non sono in grado di dirlo, Vostra Grazia. — Non più di quanto possa farlo chiunque altro, a quanto pare, maledizione — imprecò Blaen, poi guardò verso Jill. — Versati un po' di sidro, daga d'argento, hai fatto un lungo viaggio. A proposito, Jill, com'è successo che Rhodry ti ha lasciata indietro? — Ah, Vostra Grazia, è una storia davvero strana — intervenne con disinvoltura Salamander. — Vedi, Rhodry era stato ingaggiato nel Cerrgonney. — Ho sentito qualcosa a proposito di Benoic e dei suoi poco simpatici parenti. — Benissimo, allora. Ecco, Rhodry aveva lasciato Jill nella fortezza di un certo Lord Nedd, l'uomo per cui cavalcava, ma non è più tornato a prenderla. Per fortuna sono passato di là io... che la stavo cercando per miei motivi personali... e quando ho evocato una visione di Rhodry ho scoperto che stava andando a sud. Mi rifiuto però di credere che l'abbia semplicemente abbandonata. — Anch'io — dichiarò Blaen, sollevando il boccale verso Jill in un gesto di ossequio. — Non lo pensare neppure per un momento, ragazza. Jill si costrinse ad esibire un sorriso coraggioso. — Così, dopo molta riflessione, meditazione e razionalizzazione, sono arrivato alla conclusione che qualcuno, per qualche ragione recondita e ignota, deve aver attirato Rhodry a sud. Abbiamo qualche sospetto che gli sia stato detto che Jill l'aveva lasciato e che sia partito per seguirla, ma comunque sia ha cominciato a comportarsi come un uomo braccato da quando ha lasciato Lughcarn, mentre prima viaggiava apertamente. O gli è successo qualcosa a Lughcarn, oppure gli hanno riferito qualcosa di falso. — Mi sembra una spiegazione ragionevole — sospirò Blaen, bevendo un lungo sorso, — e scommetto che tutto questo ha qualcosa a che vedere con la situazione di Aberwyn. Sai che Rhodry ha dei nemici, vero? — Sì, Vostra Grazia. Il re ha già preso la decisione se richiamarlo o meno? Jill volse le spalle ai due e si versò un bicchiere di sidro, desiderando di poter bere abbastanza da dimenticare che stavano per portarle via Rhodry. — Jill — osservò Blaen, — sembra che tu abbia il cuore spezzato. — E perché non dovrei averlo, Vostra Grazia? Sto per perdere il mio uomo... o forse credi che permetteranno a Rhodry di sposare una donna
come me? — Non vedo perché no, una volta che io ti abbia elevata al rango di nobile. Intendo intestare a tuo nome delle terre in Cwm Pecl... gli dèi sanno che nella mia provincia ce n'è anche troppa. — Vostra Grazia! — esclamò Jill, riuscendo a stento a parlare. — Sei davvero troppo generoso! Come posso... — Zitta, Jill, e ascoltami: Rhodry non è più un debole figlio minore e una volta che saremo riusciti a farlo richiamare sarà l'erede di Aberwyn, il che significa che sarà il Gwerbret una volta che quel suo fratello dal cuore nero sarà morto. Ciò lo porrà nella posizione di esigere la moglie che preferisce, indipendentemente da quello che ne penseranno sua madre e il resto dei nobili. Salamander scoppiò a ridere. — Eccoti servita, mia tortorella... una fine uguale a quella delle mie storie. — Così pare. Jill sorrise, perché entrambi volevano vederla felice, ma avvertì al tempo stesso lungo la schiena il freddo tocco del dweomer, e quando Blaen si lanciò in un monologo sulla politica di Eldidd si avvicinò alla finestra per guardare verso il giardino sottostante. Certo, Salamander aveva raccontato a Blaen una bella storiella ed era facile vedere come essa fosse studiata per proteggerla: se Rhodry non avesse più voluto saperne di lei tutti avrebbero supposto che si fosse semplicemente stancato e l'avesse lasciata, come fanne spesso gli uomini con le loro donne, mentre se l'avesse perdonata... il pensiero che proprio lei, fra tutte le donne di umile nascita, potesse essere un giorno la moglie di un grande Gwerbret la lasciava senza fiato e per il momento era soltanto terrorizzata al pensiero delle responsabilità e del potere che le sarebbero piovuti addosso. Lovyan mi insegnerà ogni cosa, pensò. Sempre che Rhodry mi voglia ancora, naturalmente. Ma mentre formulava quel pensiero nella mente gliene affiorò un secondo... o meglio non proprio un pensiero quanto piuttosto una sensazione di improvvisa urgenza: Rhodry era in pericolo. Con assoluta chiarezza comprese che lui stava correndo il pericolo peggiore della sua vita e che in quel momento spaventoso stava pensando soltanto a lei. Chiudendo gli occhi, si concentrò su di lui nel disperato tentativo di raggiungerlo e di avvertirlo. Alcune immagini le tremolarono nella mente, offuscate come quelle che si vedono nel dormiveglia che precede il sonno profondo: Rhodry in una
strada stretta, Rhodry che sgusciava in un vicolo per evitare alcune guardie cittadine, e a mano a mano che le immagini si susseguivano il senso di pericolo crebbe al punto da permetterle a stento di respirare. Ora Rhodry stava parlando con qualcuno... stava chiedendo di Nevyn, e di lei... e i suoi interlocutori gli mentivano affermando che lei era a Cerrmor e dandogli cordialmente delle indicazioni... — Rhodry, non andare! Jill sentì un tonfo e si guardò intorno stordita, accorgendosi soltanto allora di aver lasciato cadere il boccale che teneva in mano e che tanto Blaen quanto Salamander si erano voltati di scatto a guardarla perché lei aveva gridato l'avvertimento ad alta voce. — Per gli dèi, cosa succede? — esclamò Blaen. — Rhodry è a Cerrmor ed è in pericolo. So che lo è, l'ho visto... l'ho sentito. Ho cercato di avvertirlo — spiegò Jill, gettando indietro il capo e singhiozzando perché sapeva che il suo avvertimento non era arrivato a destinazione. — Dobbiamo andare a Cerrmor, dobbiamo partire subito. Blaen posò il proprio boccale e si avvicinò in fretta per batterle con imbarazzo un colpetto su una spalla mentre lei piangeva, quasi pensasse che il dolore le avesse reso la mente debole e infantile, ma Salamander accolse invece quell'avvertimento con assoluta serietà: fra le lacrime, Jill lo vide schioccare le dita sopra i carboni del braciere e poi fissare con espressione intenta le fiamme lambenti, e si costrinse a ricacciare indietro le lacrime e ad asciugarsi la faccia con una manica. — Oh, dèi! — gridò Salamander, con una nota di panico nella voce. — Non riesco a trovarlo, Jill! Non riesco ad evocare la sua immagine! La camera parve girarle intorno e le luci si fecero dolorosamente intense, mentre la caraffa d'argento sul tavolo sembrava proiettare scintille come un fuoco. — Chiama Nevyn — disse. Poi Blaen l'afferrò e la guidò un po' a forza verso una sedia; accasciandosi su di essa, Jill guardò Salamander chinarsi sul braciere, con la tunica che pareva ondeggiargli intorno come per un soffio di brezza. Tutto era così strano che ebbe paura di guardare gli intricati disegni dei tappeti. — Jill, hai bisogno di un medico? — domandò Blaen. — No, grazie, è soltanto la reazione alla paura — replicò lei, costringendosi a sollevare la testa per guardarlo in faccia. — Vostra Grazia non capisce cosa significa tutto questo? Ti ricordi di Alastyr? Se Salamander non riesce ad evocare l'immagine di Rhodry vuol dire che qualcuno lo sta na-
scondendo... con l'ausilio del dweomer. L'immagine di Salamander che danzava sulle fiamme appariva prossima alle lacrime, e lo stesso Nevyn avvertiva una sorta di stanca ira mentre imprecava contro se stesso per non aver visto giungere quel pericolo. Possibile che i Signori della Luce gli avessero inviato qualche avvertimento che gli era sfuggito? Semplicemente non lo sapeva. — Non riesco a trovarlo neppure io — trasmise mentalmente. — Allora è morto? — Non è possibile perché in questo caso Jill lo saprebbe. Considerato quanto ha visto del pericolo che lui correva, possiamo essere certi che avrebbe percepito la sua morte. Con quanta rapidità puoi arrivare a Cerrmor? — Dovremmo essere là domani. — Dèi! Cosa vuoi fare, trasformare entrambi in uccelli e spiccare il volo? — Nulla del genere — replicò Salamander, sfoggiando a fatica un lieve sorriso. — Il re ha messo una delle barche reali a disposizione di Blaen e partiremo presto, godendo non soltanto della corrente favorevole ma anche di una squadra di rematori. Mi hanno detto che il Belaver ha un corso molto rapido da qui a Drauddbry. — Splendido. Blaen verrà con voi? — No. A corte ci sono intrighi di ogni genere e lui non osa andare via, però abbiamo alcune lettere di suo pugno per il Gwerbret di Cerrmor. Ci raggiungerai là? — Partirò immediatamente. Non avrei mai immaginato che le cose arrivassero a questo punto. Non capisci cosa deve essere successo? Un rivale di Rhodry deve aver assoldato una delle corporazioni di sangue del Bardek perché lo eliminasse. L'immagine di Salamander assunse un'espressione notevolmente perplessa. — Ma come può qualche nobilotto di Eldidd sapere dell'esistenza di quelle corporazioni? — Ecco, deve averlo saputo da qualche mercante o da qualcuno altro, oppure... capisco cosa intendi dire. È un'idea che suona assurda se espressa ad alta voce. — Allora cosa è successo? — Già, cosa? Sta' molto attento finché non avrò raggiunto Cerrmor. Dèi,
dovrò prendere una nave. Naturalmente non posso partire senza avere prima parlato con Lovyan ma posso sempre cominciare a fare i bagagli. In questo momento Sua Grazia è fuori a caccia con il Gwerbret. Lungo la costa di Eldidd la giornata era luminosa e soleggiata, anche se il vento che sferzava le bandiere argento e azzurro di Aberwyn era gelido e le ombre che si annidavano nel grande cortile della fortezza del Gwerbret erano decisamente fredde. Mentre aspettava accanto al suo cavallo, Lady Lovyan lanciò un'occhiata dubbiosa verso il cielo. — Può darsi che il vento sia un po' troppo forte per usare i falchi. — Oh, mettiamo alla prova la nostra fortuna, madre — replicò Rhys, parlando con tale allegria forzata da far capire a Lovyan che quella caccia era soltanto un pretesto per poter parlare con lei da solo. — Allora andiamo. Se non altro faremo una bella cavalcata. Montati in sella uscirono dalla fortezza e si addentrarono fra le strade di Aberwyn, seguiti dai falconieri che reggevano sul polso gli uccelli incappucciati e da quattro uomini della banda di guerra di Rhys come scorta; al loro passaggio per le strade tortuose la gente comune si inchinava al suo signore, che rispondeva al gesto sollevando una mano, e di tanto in tanto ragazzi e uomini levavano applausi spontanei perché nonostante la sua cocciutaggine Rhys era un buon governante, assolutamente giusto nei suoi giudizi con chiunque tranne che con il fratello minore, e la gente della città lo apprezzava per questo. Lasciato il centro abitato il gruppo si diresse a nord sulla strada che seguiva il fiume Gwyn, scintillante e in piena per le pesanti piogge estive; fra i salici che ne costeggiavano le rive, Lovyan ne scorse due o tre che stavano già ingiallendo. — Sembra che quest'anno l'autunno stia giungendo molto in fretta — commentò. — Infatti, ma del resto abbiamo avuto un'estate dannatamente fredda — rispose Rhys, poi si volse sulla sella per accertarsi che i suoi uomini lo stessero seguendo ad una rispettosa distanza e tornò a girarsi verso Lovyan. — Ho una cosa da chiederti, madre... si tratta della piccola Rhodda. — Davvero? — Stavo pensando che potrei adottarla formalmente e legittimarla. Lovyan si venne a trovare a corto di parole e Rhys le rivolse un ironico sorriso che dovette costargli parecchio. — È tempo che io affronti la dura realtà: non darò mai un erede ad A-
berwyn. — Il gwerbretrhyn non può essere trasmesso secondo una linea di discendenza femminile. — Certo che no, ma un giorno quella bambina si sposerà, giusto? Avrà un marito e magari uno o due figli che se non altro avranno un po' di sangue dei Maelwaedd nelle loro vene. — Ammesso che il Consiglio degli Elettori accetti suo marito come suo successore. — Ci sono centinaia di anni di precedenti al riguardo — sottolineò Rhys, scuotendo il capo con rabbia. — E poi, se non altro questo terrà a freno i miei vassalli. Dèi, non credi che mi dolga il cuore? So dannatamente bene che ogni Tieryn di Eldidd sta già tramando e manovrando politicamente per trasmettere le mie terre a suo figlio non appena io morirò. — Purtroppo è vero, ma sai che esiste una soluzione molto più semplice, mio caro... — Non intendo richiamare Rhodry — si affrettò a dichiarare Rhys, serrando la bocca in quella linea tesa che Lovyan conosceva così bene. — Come Sua Grazia decide, naturalmente... ma come potrai adottare la bambina senza il permesso del padre? — Rhodry è un fuorilegge, quindi da un punto di vista legale lei non ha padre. — Benissimo. Allora rifletterò sulla questione, dal momento che Vostra Grazia persiste nel mostrarsi cocciuto quanto un cinghiale selvatico. Rhys accantonò l'offesa con una scrollata di spalle e tornò a fissare la strada davanti a sé, mentre Lovyan si chiedeva perché si stesse prendendo la briga di tramare e di insistere per riavere a casa il figlio minore, dal momento che Rhys non poteva semplicemente sopportare l'idea di avere Rhodry come erede. Se soltanto Rhodry fosse riuscito ad avere un figlio dalla sua Jill, ma quella poveretta era costretta a viaggiare con lui, a dormire per terra all'aperto e soltanto la Dea sapeva a che altro, il che senza dubbio doveva aver alterato completamente i suoi umori femminili... All'improvviso il cavallo di Rhys impazzì... Lovyan non riuscì a trovare un'altra definizione per indicare il comportamento del cavallo nero che si mise a nitrire e a sgroppare per poi impennarsi e colpire con le zampe anteriori un nemico inesistente. Rhys volò in avanti, si aggrappò al collo dell'animale e poi scivolò di lato quando esso sgroppò ancora... anche se era un cavaliere eccellente, il cavallo si stava impennando in preda al panico più totale e lui era stato colto alla sprovvista. Lovyan sentì gli uomini di
scorta gridare e udì un rumore di zoccoli, ma in quel momento il cavallo di Rhys si contorse, sgroppò e scivolò, crollando al suolo e gettando a terra Rhys per poi abbattersi su di lui. Lovyan udì una voce di donna che urlava e soltanto in un secondo tempo si rese conto che era la sua. All'improvviso, la scorta fu tutt'intorno a lei. Un uomo afferrò le redini del suo palafreno spaventato e la allontanò un poco mentre gli altri smontavano di sella e si precipitavano accanto al loro signore. Intanto Lovyan ritrovò il controllo e rivolse un cenno all'uomo che stava trattenendo il suo cavallo. — Torna subito alla fortezza! Porta qui Nevyn e un carro! — Mia signora — rispose l'uomo, con un inchino, poi si allontanò al galoppo. Lovyan smontò quindi di sella e si affrettò verso il figlio proprio mentre il cavallo nero si issava faticosamente in piedi con la zampa anteriore sinistra che pendeva fratturata, ma uno degli uomini le bloccò la strada. — Mia signora, è meglio che non guardi. — Non dire assurdità! Nella mia vita ho curato ferite in abbondanza! Spinto da parte il cavaliere Lovyan si inginocchiò accanto al figlio, che giaceva tanto immobile da farle temere per un momento che fosse morto; quando gli sfiorò una guancia i suoi occhi però si aprirono e lui tentò di parlare, con il volto contratto per il dolore. — Zitto, zitto piccolo mio. Nevyn arriverà qui presto. Lui annuì e fissò il cielo, con la bocca serrata per la sofferenza. Il sangue gli colava lungo il volto da una lacerazione sopra l'occhio ed era evidente che la gamba sinistra era rotta in parecchi punti, ma Lovyan sapeva che i danni peggiori potevano essere stati arrecati internamente, dove nessun chirurgo era in grado di risanarli, neppure Nevyn. Non le restò che pregare la Dea fino a quando il vecchio arrivò al galoppo precedendo il carro e balzò di sella per correre da lei. — È vivo? — A stento. Lovyan si trasse di lato e rimase in piedi accanto alla scorta mentre Nevyn si metteva all'opera, raddrizzando e steccando l'arto fratturato; quando poi passò le mani agili e aggraziate sul corpo di Rhys, Lovyan lo vide scuotere il capo e imprecare sommessamente, e sentì il cuore che le si raggelava. Alla fine Nevyn chiamò il carrettiere e si fece aiutare a sollevare sul carro il Gwerbret ferito che a quel punto era misericordiosamente svenuto. Lovyan salì con lui e prese in grembo la testa insanguinata del fi-
glio sotto lo sguardo indecifrabile degli occhi azzurri di Nevyn. — Voglio la nuda verità — gli disse. — Morirà? — Ecco, mia signora, semplicemente non lo so. Sua Grazia è un uomo molto forte e lotterà per sopravvivere, ma le sue condizioni sono gravi, tanto che un uomo più debole sarebbe già morto. Al fine di assestare meno scossoni possibili al ferito, tornarono ad Aberwyn molto lentamente e per tutto il tempo Lovyan continuò a ripensare alla scena dell'incidente. Perché il cavallo era caduto in preda al panico, dato che non c'era stato neppure un topo di campo che avesse attraversato la strada? Era successo come per opera del dweomer... all'improvviso Lovyan si sentì raggelare e chiamò a sé Nevyn che cavalcava un po' più indietro rispetto al carro. Il vecchio incitò il cavallo fino ad affiancarsi a lei. — Nevyn, questo è stato un incidente estremamente strano. — Me lo ha detto anche l'uomo che hai mandato a chiamarmi, mia signora. Posso suggerirti di discuterne in privato? — Certamente — assentì Lovyan, mentre la paura saliva a serrarle la gola di fronte alla constatazione che il vecchio sembrava condividere la sua sensazione. La moglie di Rhys, Madronna, venne loro incontro alle porte. Bionda ed eterea, Madronna era attraente anche se aveva un aspetto un po' vacuo, ma in quel momento il suo volto infantile era sottoposto al controllo di una volontà ferrea e Lovyan fu costretta ad ammirare la sua nuova nuora, che era sinceramente affezionata al marito. — La sua camera è stata preparata — disse Madronna. — Quanto sono gravi le sue... — È molto grave, ma non moribondo, e fra tutte e due riusciremo a rimetterlo in salute. Gli uomini trasportarono quindi Rhys nella sua stanza e Lovyan andò invece nel proprio appartamento, togliendosi il vestito sporco di sangue e lavandosi da testa a piedi, poi mise un vestito pulito... un triste indumento di Uno grigio, e si guardò nello specchio: il volto che vi scorse specchiato sembrava invecchiato di secoli da quella mattina e lei fu dolorosamente consapevole delle rughe profonde che le segnavano le guance e dell'espressione spenta dello sguardo. — Ah, Dea, devo dunque seppellire un altro figlio? Posando lo specchio, gli volse quindi risolutamente le spalle, ben sapendo che seppellire un altro figlio era proprio ciò che avrebbe fatto, nonostante tutta l'abilità di Nevyn con le erbe... e tuttavia non riuscì a piangere.
Si trovò invece a ricordare il giorno in cui le avevano riportato a casa avvolto in una coperta e legato sulla sella del cavallo il suo secondogenito, il gentile Aedry, che aveva appena compiuto sedici anni quell'estate e che era morto partecipando ad una guerra con suo padre. Ferma nel cortile, lei aveva guardato mentre gli uomini tagliavano le corde e tiravano giù il corpo e non si era concessa una sola lacrima perché sapeva che la banda di guerra stava guardando e che se avesse cominciato a piangere si sarebbe poi messa ad urlare come una pazza. Adesso provava la stessa sensazione... per quanto la facesse infuriare, infatti, Rhys era pur sempre il suo figlio primogenito. Sollevando con decisione il capo lasciò la camera e scese nella grande sala, dove tanto gli uomini di Rhys quanto i dieci che lei aveva portato con sé come scorta stavano bevendo in silenzio nella zona riservata alla banda di guerra; nel passare loro accanto Lovyan rivolse un cenno al suo capitano, Cullyn di Cerrmor, che si affrettò ad accostarsi al tavolo d'onore e le si inginocchiò accanto. — Vivrà, mia signora? — Posso soltanto sperarlo, capitano. Devo mandare un corriere veloce a Dun Deverry perché il re deve essere informato dell'accaduto, quindi scegli l'uomo che ritieni più adatto e digli di prepararsi a partire. — Consideralo fatto, mia signora, ma sarebbe meglio che si trattasse di uno degli uomini di Rhys. — Dal punto di vista formale suppongo che tu abbia ragione, ma io non posso dare loro ordini. — Ma adesso sei tu la reggente, mia signora. — Oh, per gli dèi, è vero! È successo tutto tanto in fretta che non ho quasi avuto il tempo di pensare. — Chiunque avrebbe reagito nello stesso modo, mia signora — la confortò Cullyn poi esitò, combattuto fra una sincera compassione e i vincoli imposti dalla differenza di rango. — Vostra Grazia sa che in passato ho avuto delle divergenze con il Gwerbret — disse infine, — ma vedere il tuo dolore mi fa soffrire. — Ti ringrazio. Quando Cullyn sollevò lo sguardo su di lei, improvvisamente Lovyan si ricordò di Rhodry e di ciò che la morte di Rhys poteva significare. Il cupo guerriero inginocchiato accanto al suo fianco amava Rhodry come un figlio e lei sapeva che l'animo di Cullyn era combattuto quanto il suo perché entrambi sapevano che se Rhys fosse morto... forse anche se fosse soltanto
rimasto malato per mesi... il re avrebbe avuto una motivazione perfetta per richiamare suo fratello e Rhys non avrebbe potuto dire una sola parola di protesta. Era vero che lei desiderava con tutto il cuore che Rhodry tornasse a casa, ma lo voleva anche a questo prezzo? — Oh, dèi — mormorò, e quando la sua voce suonò come un gemito perfino ai suoi stessi orecchi si costrinse a controllarsi per frenare le lacrime incombenti. — Capitano, cercami uno scriba e il capitano della banda di guerra di Rhys. Dobbiamo mandare quel messaggio a Dun Deverry il più presto possibile. Per ore Nevyn lavorò sul Gwerbret ferito, ma mentre sistemava la gamba fratturata e suturava il taglio sull'occhio sentì le sue speranze affievolirsi sempre di più: Rhys sarebbe morto, e fra non molto tempo, perché la caduta gli aveva danneggiato un polmone... cosa che Nevyn aveva verificato posando un orecchio contro il petto del Gwerbret... anche se non poteva sapere con quale gravità. L'unico buon segno era che Rhys non stava sputando sangue... cosa che avrebbe significato che il polmone era stato lacerato da una scheggia di una delle sue molte costole fratturate... per cui forse la lesione sarebbe potuta guarire con il tempo, anche se il vecchio ne dubitava. Il danno più grave era però quello riportato dai reni: mediante la seconda vista Nevyn poteva vedere l'aura del Gwerbret e in essa i centri dei diversi vortici di forza eterica che corrispondevano ai principali organi del corpo, e anche se era una diagnosi un po' approssimativa, quel sistema gli aveva permesso di stabilire che internamente c'era qualcosa che decisamente non andava e che si accentrava nei reni, ma di nuovo non era in grado di stabilire la gravità della cosa. Sapeva soltanto che il tempo l'ayrebbe resa orribilmente chiara. Quando infine ebbe fatto tutto ciò che poteva sistemò Rhys puntellandolo con i cuscini e il Gwerbret giacque sull'enorme letto dalle cortine azzurre e argento decorate con il drago simbolo del suo rhan annaspando per trarre ogni singolo respiro; i suoi capelli corvini erano appiccicati sulla fronte dal sudore e quando aprì gli occhi il loro sguardo era annebbiato. — Vivrò? — chiese. — Questo dipende in notevole misura da Vostra Grazia. Hai intenzione di lottare per vivere? Rhys sorrise, come per dire che era una domanda retorica, poi svenne. Con un sospiro Nevyn si accostò alla porta della camera per lasciar entrare la moglie del Gwerbret, che aveva atteso pazientemente per tutte quelle
lunghe ore. Madronna gli rivolse un tenue sorriso e si affrettò a raggiungere il capezzale del marito. — Se ti sembra che peggiori anche minimamente manda subito un paggio ad avvertirmi, mia signora. Sarò a mangiare nella grande sala. — Lo farò, buon erborista, e grazie. Nevyn trovò la grande sala immersa in un'atmosfera cupa. Le bande di guerra stavano mangiando in silenzio e i servi si muovevano fra i cavalieri senza dire una parola. Sola alla testa della tavola d'onore, Lovyan giocherellava con un po' di pollo arrostito mangiando un boccone e poi posando il coltello per fissare lo sguardo nel vuoto. — Vostra Grazia dovrebbe tentare di mangiare qualcosa — osservò Nevyn, sedendole accanto. — Certamente, ma tutto ha lo stesso sapore della polvere del cortile delle stalle. Ho mandato un messaggero a Dun Gwerbyn perché faccia venire le mie donne... sento il bisogno di averle accanto. — Hai fatto bene. Come reggente avrai molte questioni serie da risolvere. Un servo si avvicinò con un vassoio di pollame arrostito e di cavoli e con un boccale di birra, e Nevyn si mise a mangiare augurandosi che l'appetito che aveva accumulato nel duro pomeriggio di lavoro non offendesse Lovyan. Accanto a lui la nobildonna si costrinse ad inghiottire un pezzo di pane come una bambina obbediente. — Ho mandato anche un corriere veloce a Dun Deverry — disse. — Viaggerà per nave fino a Cerrmor e di là proseguirà a cavallo. — Hai fatto bene, ma credo che invierò anch'io un messaggio, perché il re deve essere informato dell'accaduto prima che... il più presto possibile, e i miei messaggi viaggiano più rapidi di qualsiasi cavallo. — Non ne dubito — convenne Lovyan, rabbrividendo come un cane bagnato. — Dimmi la verità, amico mio. Quando hai detto «prima che» e ti sei interrotto, intendevi dire prima che Rhys muoia, vero? — Temo di sì, e ti prego di scusarmi. Ci potrebbero volere settimane, ma... Lovyan annuì, fissando il vassoio che aveva davanti, poi lo allontanò da sé con un gesto improvviso e sebbene sembrasse sul punto di scoppiare in pianto sollevò la testa con un gesto secco e fissò con espressione ferma il vecchio. — Mentiamo alla sua povera moglie — disse. — Lasciamole un po' di speranza, perché è duro restare vedova dopo essere stata sposata per appe-
na un anno. — È vero e sono d'accordo con te. Inoltre, gli dèi potrebbero intervenire e permettergli di vivere. Ho già visto un paio di casi in cui avevo rinunciato ad ogni speranza e poi il paziente si è invece ripreso. — Benissimo — replicò Lovyan, ma la stanchezza che le permeava la voce indicò con chiarezza che non intendeva concedersi una speranza del genere. — E cosa mi dici dell'incidente? Non c'era neppure una mosca vicino a quel cavallo. — È quanto ho dedotto dalle parole del tuo messaggero — convenne Nevyn, poi esitò come se si stesse chiedendo fino a che punto poteva essere esplicito. — Non posso sapere con certezza cosa sia successo ma ho abbozzato qualche supposizione. Devo pensare che quella povera bestia sia stata soppressa, vero? — Sì. Gli uomini mi hanno detto che sarebbe stata in agonia per tutta la strada fino alla fortezza, quindi le hanno tagliato la gola ed hanno dato la carne ad un contadino delle vicinanze. — Capisco, e del resto dubito che avrebbe potuto comunque dirmi granché. — Un momento... puoi parlare con gli animali? — Per nulla, mia signora, te lo garantisco. Però avrei potuto fare un paio di cose e valutare le sue reazioni. Comunque, come ho detto probabilmente non ne avrei ricavato nulla. In ogni caso, ecco il frutto delle mie riflessioni: la maggior parte degli animali hanno quella che gli uomini definiscono seconda vista... il che significa che possono vedere i membri del Popolo Fatato e alcuni tipi di apparizioni. Di conseguenza è possibile che il cavallo sia stato spaventato da qualche membro del Popolo Fatato in vena di scherzi malvagi o da una visione. — Una visione? Uno spettro o qualcosa del genere? — Qualcosa del genere. Prima d'ora nessuno ha mai riferito che nelle vicinanze del fiume sia stato avvistato uno spettro o un banshee, e in genere quelle entità sono vincolate ad un luogo. — Ma non ho mai sentito neppure dire che lungo quella strada si siano avute visioni di altro tipo. — Proprio così. Penso quindi che possiamo concludere che la visione o il Popolo Fatato o ciò di cui si è trattato sia stato mandato là di proposito. — Mandato? — ripeté Lovyan, facendosi pallidissima. — Esatto, mia signora. Sono pronto a scommettere che qualcuno che possiede il dweomer ha cercato di assassinare tuo figlio, e quando scoprirò
chi è stato giuro che lo farò pentire di essere nato. — Ti ringrazio. — Sebbene la sua voce fosse ridotta ad un sussurro, Lovyan manifestava esteriormente la stessa calma piena di amarezza con cui un guerriero scruta il campo di battaglia. — Mi hai detto che anche dietro la rivolta da parte di Lord Corbyn c'era stata l'opera del dweomer malvagio. Non avrei mai creduto di vedere una faida di sangue portata avanti mediante il dweomer, ma suppongo che si tratti proprio di questo, giusto? Prima hanno cercato di uccidere Rhodry e adesso ci sono riusciti con Rhys. Per qualche ragione, odiano il clan dei Maelwaedd. — Dèi, hai senza dubbio ragione! E Rhodry è... — cominciò Nevyn, trattenendosi appena in tempo. Non c'era infatti motivo di rivelare quell'ulteriore angosciante verità a Lovyan proprio in quel momento. — È lontano da qualche parte sulle strade del regno. Bene, senza dubbio gli uomini de re lo troveranno presto, e gli dèi sanno che adesso hanno più che mai motivo di cercarlo. Lovyan annuì, fissando il suo piatto senza vederlo e un momento più tardi Nevyn si alzò per avvicinarsi al fuoco. Doveva avvertire subito Salamander che lui non poteva più raggiungerlo a Cerrmor, perché ora avrebbe dovuto fare del suo meglio per tenere Rhys in vita fino a quando il re non avesse deciso di richiamare Rhodry e di nominarlo erede di Aberwyn. In aggiunta a questo, aveva anche un'altra informazione da trasmettere, e cioè la tetra verità che Lovyan aveva individuato e cioè che la questione si era spinta ben al di là delle beghe politiche dei nobili di Eldidd e che il dweomer nero aveva dichiarato guerra al clan dei Maelwaedd. Al centro della sua camera privata Lallyn Secondo, sommo re di tutto Deverry e di Eldidd, sedeva su una bassa panca intagliata con grifoni in lotta fra loro mentre il barbiere reale gli drappeggiava alcuni asciugamani sulle spalle, e come segno di onore per il suo rango elevato, Blaen aveva ricevuto il permesso di inginocchiarsi accanto al re e di reggere un vassoio d'argento carico degli attrezzi necessari. Fin da quando Madoc era venuto da lui per riferirgli la notizia, Blaen aveva cercato di farsi concedere un colloquio privato presso Lallyn, ma in tutta la pompa che circondava il re era molto difficile ottenere di poter scambiare qualche parola da soli e anche se il re desiderava sinceramente sentire ciò che lui aveva da dirgli quella era la prima occasione che entrambi erano riusciti a trovare in tutta la serata. Con cura, il barbiere cominciò a ricoprire i capelli umidi del re con la
calce prelevata da una ciotola di legno. Ben presto Lallyn sarebbe somigliato ad uno di quei grandi eroi dell'Alba dei Tempi, con capelli ritti all'indietro come una criniera leonina che avrebbero accresciuto ulteriormente la sua altezza che già superava il metro e ottanta. Quello stile di pettinatura era una prerogativa reale e, come commentò il re, anche una reale seccatura. — Sei davvero fortunato Blaen, non trovi? Guarda la nostra sofferenza e sii lieto di essere nato figlio di un Gwerbret. — Ne sono davvero lieto, mio signore. Il barbiere avvolse due fumanti asciugamani bagnati di acqua calda intorno alla testa del re e li fermò con un cerchietto d'oro. — Ci vorranno alcuni minuti, mio signore — avvertì. — Ci vuole sempre molto più che pochi minuti. Ci puoi lasciare soli. Inchinandosi e camminando all'indietro, il barbiere si ritirò nel corridoio. — Allora, Blaen, quali sono queste notizie urgenti? — chiese allora il re. — Ecco, mio signore — cominciò Blaen, augurandosi che il sovrano credesse alla sua strana storia, — ti ricordi di Lord Madoc? — Il nipote del mago? Certamente. — Un momento! Tu sai che Nevyn è un mago, mio signore? Lallyn gli rivolse un sorriso ironico mentre assestava un asciugamano che era scivolato. — Certo che lo so. Esiste una vera e propria tradizione, trasmessa da re a principe ereditario, circa una serie di maghi chiamati tutti Nevyn. Pare che il nome sia una sorta di titolo onorifico, o almeno così mi ha detto mio padre, trasmesso dall'uno all'altro come il titolo di sovrano, e in tempo di grande necessità un Nevyn o un altro apparirà sempre per aiutare il re. Ho sempre creduto che fosse una storia strana e mi sono chiesto perché mio padre mi avesse raccontato una simile menzogna... finché quelle gemme non sono state rubate e un Nevyn è comparso dal nulla e me le ha restituite. A quel punto ho rivolto una preghiera a mio padre nell'Aldilà e ti garantisco che gli ho presentato tutte le mie scuse. — Capisco. Bene, allora confido che il mio signore mi crederà se affermo che anche Madoc possiede il dweomer. — Ah, lo supponevo ma non ne ero certo. Mi fa molto piacere saperlo, ma era questo quello che mi dovevi dire? — No, mio signore. Ho appreso che gli uomini del dweomer hanno un modo di mandare messaggi con la mente. Poche ore fa Madoc è venuto da me con notizie urgenti da parte di Nevyn e mi ha implorato di riferitele sia
perché riteneva che da parte di un uomo del suo rango sarebbe stato difficile ottenere udienza presso il re sia perché si tratta di una questione che deve essere tenuta segreta il più a lungo possibile. Presto lo saprà l'intera corte, perché un corriere veloce sta venendo qui da Aberwyn, ma Nevyn voleva che Vostra Altezza fosse il primo ad esserne informato. — Capisco. E qual è questa grave questione? — Rhys di Aberwyn è caduto malamente da cavallo oggi durante una caccia, mio signore, e si dubita che vivrà a lungo... forse quindici giorni, un mese al massimo. Il re lo fissò per un momento, poi imprecò in maniera più adatta ad un popolano che ad un sovrano. — Sono d'accordo, mio signore, e adesso puoi capire perché ho pensato che il mio sovrano dovesse apprendere la cosa immediatamente. — Senza dubbio — convenne Lallyn, assestando con cautela un asciugamano mentre rifletteva sulla cosa, — e te ne sono estremamente grato, perché in Eldidd la politica è sempre una cosa pericolosa. — È vero. Ritengo che il mio signore non abbia bisogno che gli venga ricordato che la linea di successione in Aberwyn si spezzerà nel momento della morte di Rhys. — Infatti, e sono anche ben consapevole di quanto il tuo cugino esiliato significhi per Vostra Grazia, che può essere certa che sto prendendo in esame la questione. Blaen recepì quell'improvviso passaggio ad un tono formale come uno schiaffo in piena faccia. Il re gli aveva appena ricordato che per quanto cacciassero e bevessero spesso insieme e indipendentemente da quanto Lallyn fosse disposto a scherzare con lui quando era dell'umore giusto, il re era al di sopra di lui così come era al di sopra della gente comune. — Ti porgo i miei umili ringraziamenti, mio signore. La tua considerazione è tutto ciò che oserei mai chiedere in materia. Il re annuì senza guardarlo. — Vuoi dire al barbiere che può rientrare? Voglio che mi tolga subito questi dannati asciugamani perché devo riflettere con un certo impegno. Sebbene il re fosse tornato ad un tono più familiare, Blaen seppe di essere stato congedato, e mentre si alzava con un inchino si chiese che cosa esattamente Talidd di Belglaedd e i suoi alleati avessero detto e continuassero a dire al loro signore. — So che Blaen avrà cura di lui, ma detesto lasciare qui Sunrise — pro-
testò Jill. — Suvvia, mia tortorella — replicò Salamander, impegnato a chiudere le sacche della sua sella. — Ogni garzone delle stalle reali si preoccuperà di viziarlo e poi con un po' di fortuna non staremo via per molto. — Dubito che avremo mai questo genere di fortuna. Salamander si fermò e si girò verso di lei per guardarla bene. I due si trovavano nella camera della locanda, con il loro equipaggiamento pronto e sparso tutt'intorno. — Allora? — insistette Jill. — Tu credi... — Non lo credo — confessò Salamander, con un elaborato sospiro. — Stavo soltanto cercando di consolarti. In quel momento bussarono brevemente alla porta e Blaen entrò a grandi passi senza neppure attendere una risposta; con lui c'erano due servi che cominciarono immediatamente a raccogliere l'equipaggiamento. — La galea è pronta — annunciò Blaen. — Vi accompagnerò fino ai moli. — Vostra Grazia è molto gentile — ringraziò Salamander, con un inchino, — e così anche il nostro signore, il re. — Davvero? Ho scoperto... o meglio la mia signora ha scoperto... il motivo esatto per cui Savyl di Camynwaen si è inserito in questa faccenda. Il suo fratello minore ha vaghi diritti su Aberwyn. — Davvero? — chiese Jill. — Non l'ho mai sentito menzionare da Lady Lovyan. — Ecco, non è proprio il genere di cose di cui mia zia potrebbe parlare volentieri. Vedi, il padre di Rhodry ha avuto due figlie bastarde da una sua amante, e il fratello di Savyl ha sposato una di loro. — Due figlie? — intervenne Salamander. — Ma guarda! Oppure... ma certo, ti stavi riferendo al Gwerbret Tingyr. — E a chi altri avrei dovuto riferirmi? Senza farsi notare, Jill sferrò di traverso un calcio al gerthddyn. — A nessuno, Vostra Grazia — mentì questi, con disinvoltura. — Avevo semplicemente dimenticato il nome del Gwerbret. — Ah, del resto è difficile tenere a mente tutte le linee di discendenza nobiliari — convenne Blaen, poi gettò a Salamander una sacca di stoffa ricamata e aggiunse: — Prendi e usala saggiamente. Con un fischio sommesso Salamander soppesò la sacca e la fece tintinnare. — A giudicare dal peso e dal suono, Vostra Grazia, qui ci deve essere
una dannata quantità di oro. — Tutto quello che ho potuto mettere insieme, ma bada che intendo riaverlo da quella pecora nera di mio cugino una volta che avrà ereditato Aberwyn. Anche se Blaen si espresse con noncuranza, Jill avvertì la tensione nella sua voce, forse il dubbio di aver messo invano a repentaglio la propria situazione finanziaria. Ancora una volta, si sentì sopraffare dal semplice peso del governo, dalla soffocante ragnatela di obblighi e di intrighi che ricoprivano anche una cosa bella come l'affetto reciproco di Blaen e di Rhodry. — Faremo del nostro meglio per proteggere l'investimento di Vostra Grazia — garantì Salamander, con un esagerato inchino, poi schioccò le lunghe dita e la sacca parve svanire nel nulla. Era ormai il tramonto e lunghe ombre pervadevano le strade tortuose; quando infine raggiunsero i moli di legno a sud della città, il cielo si era ormai tinto di un colore vellutato fra l'azzurro e il grigio per il crepuscolo imminente, mentre le rondini volavano basse sulle rive erbose. A una certa distanza dalla massa di barconi e di altre navi era attraccata la galea reale, lunga circa dodici metri e snella come un furetto, con uno scudo rosso che sfoggiava in oro lo stemma del grifone reale ad ogni scalmo e con i rematori che indossavano una camicia bianca con lo stemma del grifone ricamato fra lunghe linee di spirali e intrecci. — L'elite del re? — domandò Salamander, inarcando un sopracciglio. — Esatto — confermò Blaen, — anche se non saprei dire se il re lo sta facendo per Rhodry o per me. — Di certo il re non vuole vedere Eldidd in preda alla guerra civile, giusto? — osservò il gerthddyn. — E se Rhodry non tornerà avremo proprio una guerra perché ogni clan accuserà gli altri di aver assassinato il legittimo erede per reclamare il rhan. — Sono certo che il nostro signore lo sa bene quanto te — affermò Blaen, ma il suo atteggiamento parve stranamente rigido e forse un po' spaventato. — Io non sono al corrente di tutti i suoi pensieri, gerthddyn. Alla vista di Blaen, il capitano della galea si affrettò a saltare sul molo e ad avvicinarsi con un inchino; mentre i servitori portavano le loro cose a bordo, Jill si girò a fissare le rapide acque del fiume, cercando disperatamente di evocare un'immagine di Rhodry, ma la sua mente priva di addestramento non poté mostrarle nulla. Poi lei avvertì d'un tratto un'altra paura ed emise un grido involontario.
— Cosa succede? — le chiese Salamander. — Perryn. È vicino, lo so. Nel parlare Jill si girò di scatto, quasi aspettandosi di scorgere il nobile fra la folla alle loro spalle, ma non vide nessun altro tranne alcuni passanti curiosi e qualche bracciante dei moli. E tuttavia, nel guardare il cielo vellutato, le parve di vedere un lungo filamento di nebbia che si protendeva verso di lei. Anche Salamander lo vide, e si affrettò a sollevare una mano, borbottando alcune parole in risposta alle quali il filamento scomparve. — È in città, non ci sono dubbi, ma se ne occuperà Madoc. Non ti preoccupare di nulla, Jill. — Comunque, non possiamo salire su quella dannata barca e andare via di qui? — Immediatamente. Il capitano ci sta segnalando di salire a bordo. Perryn si arrestò appena oltre la porta meridionale della città: appena un momento prima aveva avvertito la vicinanza di Jill e adesso la pista si era improvvisamente raffreddata. Il suo grigio pomellato batté a terra uno zoccolo con impazienza e scosse la testa... quando erano entrati nella vasta città per la prima volta, quel pomeriggio, il cavallo per poco non aveva ceduto al panico e ci era voluta tutta l'empatia di Perryn per calmarlo, ma nonostante tutto l'animale era rimasto inquieto. — Ehi, tu, vuoi entrare o uscire? È ora di chiudere le porte. Girandosi, Perryn vide due guardie cittadine, una delle quali munita di una torcia, che si stavano dirigendo in fretta verso di lui; alle loro spalle, la cavernosa apertura delle porte era già completamente buia. — Oh... ah... er... ecco... entrare, penso. — Allora non pensare, uomo, muoviti. Mentre Perryn accennava obbedientemente a guidare i suoi cavalli verso le porte interne, la guardia che aveva in mano la torcia la sollevò maggiormente in modo che la sua luce battesse in pieno sulla sua faccia. — Non è che per caso sei Lord Perryn di Alobry, vero? — Sono io, perché? La guardia con la torcia emise tre acuti fischi e l'altra guardia afferrò la spalla di Perryn con la sinistra per poi sferrargli un destro allo stomaco tanto in fretta che il nobile non ebbe il tempo di schivare il colpo e si piegò in avanti con un conato di vomito, mentre altre due guardie sopraggiungevano di corsa e toglievano dalle sue dita inerti le redini dei cavalli. — Un buon lavoro! Adesso abbiamo la donnola che Lord Madoc voleva.
— Parla come un sempliciotto, ha detto Sua Grazia, e deve anche esserlo, se ha ammesso con tanta facilità la sua identità. Sebbene il mondo continuasse a vorticargli intorno, Perryn si costrinse a sollevare la testa, appena in tempo per vedere una delle guardie che frugava nelle sue sacche della sella e tirava fuori il ferro da marchio universale con un grido di trionfo. Perryn tentò debolmente di riprenderlo, ma una seconda guardia lo schiaffeggiò in pieno viso. — Niente tentativi del genere, ladro di cavalli. Adesso la sola cosa che quel ferro farà per te sarà stilare la tua sentenza di morte. Le guardie lo disarmarono, gli legarono le mani dietro la schiena e lo sospinsero lungo le strade cittadine; le poche persone ancora in circolazione a quell'ora si fermarono a guardarlo e sogghignarono quando le guardie spiegarono che si trattava di un ladro di cavalli. Ad un certo punto incontrarono un giovane snello che sfoggiava i calzoni di stoffa di plaid propria dei nobili e che era seguito da un paggio con una torcia. — Un ladro di cavalli, eh? — commentò il giovane lord. — Quando lo impiccherete? — Non lo so, mio signore. Prima lo dovremo processare. — Giusto. Bene, non dubito che ne sentirò parlare. La mia amante apprezza molto le impiccagioni, capisci — confidò il nobile, ammiccando con fare da cospiratore. — Pare che le trovi molto... ecco, vogliamo dire eccitanti? Quindi io la porto ad assistere a tutte quelle che ci sono. Alla fine raggiunsero la stazione di guardia ai piedi della collina reale dove le guardie consegnarono Perryn agli uomini che vi si trovavano e tornarono indietro, tutte tranne quella che lo aveva riconosciuto e che rimase con lui per scortarlo all'interno del complesso del palazzo reale. Ormai Perryn si era ripreso a sufficienza dai colpi ricevuti per cominciare a provare terrore al pensiero che lo avrebbero impiccato. Sapeva che era inutile cercare di mentire agli ufficiali del re perché il ferro da marchio sarebbe stato una prova sufficiente a condannarlo, e anche se ad un certo momento avvertì una fitta dolorosa al pensiero che non avrebbe più rivisto Jill in realtà era troppo spaventato perché gli importasse molto di averla persa. La sola cosa che contava era che stava per morire, e per quanto cercasse di controllarsi e di affrontare la sua sorte da guerriero continuò a tremare e a sudare, provocando le risa delle guardie quando queste se ne accorsero. — Avresti dovuto pensare a questo tipo di corda ogni volta che ne mettevi una intorno al collo dei cavalli di un altro uomo, piccolo bastardo vigliacco.
— Essere impiccato deve essere anche divertente, ragazzo. Pare che un uomo si ecciti enormemente nel momento in cui il cappio si stringe. Le frasi di derisione continuarono per tutto il tempo che le guardie impiegarono a trascinarlo attraverso il labirinto di baracche e di edifici che circondavano il complesso del palazzo reale; nella tremolante luce delle torce, Perryn era ormai del tutto disorientato e quando infine lo spinsero in una piccola cella all'interno di un edificio di pietra non avrebbe saputo ormai dire da quale parte fosse il nord e tanto meno quale fosse la disposizione del complesso del palazzo. La cella misurava all'incirca due metri e mezzo per lato, la paglia sul pavimento era abbastanza pulita e in un angolo c'era un secchio di cuoio coperto di mosche, mentre una piccola apertura sbarrata inserita nella porta lasciava filtrare un po' di luce dal corridoio. Tenendosi accanto ad essa, Perryn cercò di sentire quello che le guardie stavano dicendo, ma nel parlare esse si spostarono lungo il corridoio fino ad uscire dalla sua portata d'udito. — È ovvio che Lord Madoc si interessi ai ladri di cavalli — sentì dire soltanto, prima che se ne andassero. — È un funzionario di corte, giusto? Improvvisamente le gambe rifiutarono di reggerlo oltre e lui si accasciò di sua iniziativa sulla paglia prima di cadere, coprendosi la faccia con le mani. In un modo o nell'altro, aveva offeso uno dei potenti servitori reali, e adesso era condannato. Non ebbe idea di quanto tempo fosse trascorso quando la porta si aprì di nuovo e una guardia gli porse un vassoio contenente mezza pagnotta e un paio di fette di carne fredda. — È un peccato che abbiamo dovuto portarti via la daga, ragazzo — commentò l'uomo, con uno sgradevole sorriso. — Usa i denti come un lupo, d'accordo? Domattina uno dei sottoconsiglieri verrà a vederti. — Per quale motivo? — Per informarti dei tuoi diritti, naturalmente. Vedi, anche se ti hanno preso con le mani nel sacco, avrai comunque un processo e hai il diritto di avere accanto a te un tuo parente. Basterà che tu dica chi vuoi al sottoconsigliere e lui manderà un araldo a convocarlo. — Non voglio che lo sappiano. Ah, dèi, preferirei morire lentamente sotto tortura che guardare mio zio negli occhi dopo che è stato informato di questo. — È un peccato che tu non ci abbia pensato prima, vero? Bene, sono certo che si potrà sistemare tutto. Se non vuoi avere qui i tuoi parenti non
c'è motivo di far sprecare tempo all'araldo. Il guardiano gli diede anche un boccale di birra, poi richiuse la porta e Perryn lo sentì fischiettare mentre si allontanava. Anche se cibo e birra risultarono inaspettatamente buoni, Perryn mangiò soltanto per passare il tempo perché il pensiero che Benoic e Nedd potessero venire a sapere della sua vergogna gli aveva tolto l'appetito. Presto o tardi essi lo avrebbero infatti saputo comunque, sia che fossero stati presenti o meno alla sua impiccagione. Nel ricordare le parole del guardiano... che avrebbe dovuto pensarci prima... versò qualche lacrima per la verità contenuta in esse. — Ma io non li ho veramente rubati. Mi hanno seguito loro. — Soltanto per modo di dire. Con uno strillo Perryn balzò in piedi, sparpagliando il pane tutt'intorno a sé. Dall'altra parte della porta era fermo un uomo dall'aspetto piacevole, con i capelli biondi e gli occhi azzurri, e la semplice massa di ricami sulla sua camicia indicava che era un membro della corte del re. — Io sono Lord Madoc. Guardie, portatelo fuori. — Hai intenzione di impiccarmi subito? — Niente del genere, ragazzo, voglio soltanto scambiare qualche parola con te. Le guardie gli legarono le mani e lo condussero fino ad una stanza lunga e stretta con il soffitto basso e opprimente; su una parete c'era una fila di anelli che reggevano torce accese e dall'altra parte su uno stretto tavolo erano disposti alcuni strumenti di tortura. — Intendo confessare — belò Perryn. — Non c'è bisogno che mi facciate nulla. — Splendido, ma io non avevo nessuna intenzione di torturarti. Voglio soltanto darti un'occhiata. Guardie, legatelo al muro, poi potrete tornare a cenare. — Grazie, Vostra Signoria — rispose il capitano delle guardie, con un inchino. — Hai idea di quando verrà processato? — Oh, non sarà processato qui. Il nostro signore ha intenzione di inviarlo da Rhys, il Gwerbret di Aberwyn. Questo piccolo idiota ha violentato la figlia di uno dei più stimati sudditi del Gwerbret e secondo la legge di Eldidd il padre di lei ha reclamato il diritto di poterlo fare a pezzi. Le ginocchia di Perryn cedettero e lui sarebbe caduto a terra se non fosse stato legato ad un anello di ferro affisso alla parete. — Huh! — sbuffò il capitano. — È davvero un bell'esempio di nobile...
ladro di cavalli e violentatore. Non appena le guardie se ne furono andate, Madoc si girò verso Perryn e lo scrutò con occhi tanto freddi e remoti che il nobile ricominciò immediatamente a sudare. — Sai chi è il padre di Jill, ragazzo? — domandò poi Madoc. — No, mio signore. — È Cullyn di Cerrmor, ecco chi è. Perryn emise un piccolo singhiozzo soffocato. — Proprio così. Daranno a lui scudo e spada e a te una daga con cui difenderti, poi lo lasceranno libero di scatenarsi contro di te. Pensi di poter vincere in un combattimento rituale del genere? Perryn scosse il capo. — Ne dubito anch'io, e anche se possedessi tutto l'oro del mondo da offrire come compensazione Cullyn non lo accetterebbe e vorrebbe invece il tuo sangue. Allora, vuoi affrontarlo oppure preferisci fare ciò che io ti dirò? — Qualsiasi cosa, mio signore, farò qualsiasi cosa. Per favore, non l'ho mai violentata, davvero... credevo che mi amasse, ne ero convinto. — Lo so, e la tua stupidità è una delle cose che ti stanno salvando adesso. Se ti slego, mi darai la tua parola d'onore che non tenterai di scappare? — Certamente. Da come mi sento, mio signore, non credo comunque che potrei farlo. — Lo penso anch'io — replicò Madoc, indietreggiando e guardandolo in modo strano, con gli occhi che si muovevano come se stessero scrutando tutt'intorno a Perryn invece di esaminare lui. — In effetti, sei già mezzo morto, giusto? L'affermazione del lord parve essere più che fondata. Non appena fu libero, Perryn barcollò e sarebbe caduto se Madoc non lo avesse sorretto. In parte sostenendolo e in parte trascinandolo, il funzionario lo portò fino ad una bassa panca vicino al focolare, dove un po' di esca e di sterpi erano pronti per accendere il fuoco: aggiunti un paio di ceppi, Madoc schioccò le dita e subito le fiamme presero a danzare fra la legna. Perryn urlò, poi si premette le mani sulla bocca per reprimere un secondo urlo e si girò di scatto con lo sguardo terrorizzato fisso su Madoc. — Hai l'aria gelata, ragazzo, e ho pensato che un po' di fuoco ti avrebbe fatto bene. E adesso, giovane idiota, capisci in che pasticcio ti sei ficcato? D'ora in avanti farai esattamente quello che ti dirò, altrimenti... — Ti obbedirò in tutto, mio signore, lo giuro sull'onore del clan del Lu-
po e sugli dèi del mio popolo. — Bene. Ricordalo, durante il tuo viaggio fino a Eldidd. — Devo andare là? Avevi detto che non mi avresti... — Ho detto che non avrei permesso a Cullyn di metterti le mani addosso, ma c'è un'altra persona che desidera terribilmente fare due chiacchiere con te. Mio zio. TRE In quei giorni, Cerrmor si doveva ancora espandere fino al punto in cui i fiumi Bel e Gwarmael s'incontrano e in quel luogo sorgeva invece il piccolo villaggio di Del'ver, formato da una quarantina di case, un paio di moli di legno e due locande che servivano i viaggiatori che non riuscivano ad arrivare a Cerrmor prima del tramonto. La galea reale attraccò là, apparentemente per comprare della birra ma in effetti per lasciare a riva Jill. Dal momento che aveva con sé alcune lettere per il Gwerbret, Salamander sarebbe infatti stato subito classificato come un uomo importante non appena fosse giunto in città, e poiché lei intendeva invece porre domande a persone che non volevano di solito avere nulla a che fare con chi era in buoni rapporti con Sua Grazia e le sue guardie, Jill doveva entrare a Cerrmor da sola. Trasportando la sua vecchia sella e le briglie che aveva portato con sé da Dun Deverry per quello scopo e portando in spalla anche il proprio equipaggiamento, la ragazza entrò nel villaggio imprecando e zoppicando vistosamente come se avesse dovuto camminare a lungo con gli stivali da equitazione ai piedi; quando poi arrivò nello spiazzo polveroso che fungeva da piazza cittadina, vide un paio di fannulloni seduti all'ombra di un salice e badò di attirare la loro attenzione. — Cosa ti è successo, daga d'argento? Hai perso il tuo cavallo? — Sì. Si è rotto una zampa sette chilometri a nord di qui. In questo villaggio c'è qualcuno che me ne può vendere un altro? Ogni dio mi è testimone che spero di non dover mai più fare tanta strada a piedi. Dal momento che i cavalli erano un lusso che non si potevano permettere i due uomini risero con una sfumatura di cattiveria, ma uno di essi accennò anche con la mano verso sud. — Prova alla grande locanda vicino alla strada di Cerrmor, ragazzo. A volte il vecchio Mat ha qualche cavallo in più nella sua stalla. — Ti ringrazio. A proposito, di recente è passata di qui un'altra daga
d'argento? Sto cercando un mio amico, un uomo di Eldidd, ma non so sotto quale nome stia viaggiando. I due si scambiarono una rapida occhiata. — Ecco, considerato che sei un'altra daga d'argento, credo che non ci sia nulla di male a dirtelo — affermò poi uno di loro. — un uomo di Eldidd che si faceva chiamare Adoryc è passato di qui due giorni fa, e aveva una daga d'argento alla cintura. — Per che cosa è ricercato? — domandò il secondo uomo. — Che io sia dannato se lo so. Gli uomini del Gwerbret non raccontano i loro affari a quelli come me — replicò Jill, scrollando le spalle come meglio poteva sotto il peso del suo bagaglio. — Ora è meglio che vada perché mi si sta spezzando la schiena. Mentre si allontanava zoppicando, Jill pensò che Rhodry doveva aver speso una notevole quantità di argento nel dirigersi a sud per tenere chiusa la bocca degli abitanti dei villaggi, ma anche così era strano che nessuno degli uomini che lo avevano visto lo avesse rivelato al Gwerbret una volta che lui era stato abbastanza lontano. Probabilmente, suppose, doveva essere stata la fama delle daghe d'argento a indurii ad agire onestamente, o meglio la paura che lo stesso Rhodry o qualcun altro tornasse a tagliare loro la gola se non avessero tenuto fede alla promessa fatta. Trovò con facilità la grossa locanda e il vecchio Mat, che in effetti aveva un cavallo da venderle, un decente castrato grigio con la zampa anteriore e la testa bianche. Jill contrattò abbastanza a lungo da apparire convincente, poi pagò l'animale con alcune monete di Blaen e sellò il castrato, lasciando il villaggio ad un rapido trotto ma passando al galoppo non appena si venne a trovare ben addentro sulla strada. Arrivò in città entro un'ora circa e poco prima del tramonto. Entrare a Cerrmor la rendeva sempre un po' malinconica, perché dal momento che entrambi i suoi genitori vi erano nati e cresciuti ne aveva sentito parlare per tutta la vita e le sembrava che quella avrebbe dovuto essere anche la sua casa... se non fosse stato per il fatto che lei non aveva una casa. Adesso, inoltre, aveva un motivo di più per sentirsi del tutto straniera, perché il dweomer stava entrando in città con lei; con un'amara contrazione della bocca, la ragazza si rese conto che sia che vi si opponesse o meno, il dweomer l'aveva già resa un'aliena fra la sua stessa gente e la stava anche mettendo in pericolo. Mentre guidava il cavallo al passo lungo le strade strette ingombre di mendicanti, di mercanti e di semplici cittadini, era infatti consapevole di come sarebbe stato facile per qualcuno scivolarle alle spalle e
piantarle una daga nelle costole, e durante il lungo tragitto fino al porto si guardò costantemente alle spalle. Fu probabilmente per questo che riuscì a scorgere la vecchia. Nel momento in cui lei attraversava la piazza del mercato, un carro carico di fieno per i cavalli del Gwerbret prese una curva un po' troppo stretta e si rovesciò, bloccando la strada. Imprecando, i carrettieri si sollevarono dall'acciottolato mentre i passanti che si trovavano alle loro spalle si agitavano in preda alla confusione e un nobile a cavallo iniziava a gridare a tutti di togliersi immediatamente dalla sua strada. Fatta girare la cavalcatura, Jill cominciò a farsi largo lungo il limitare della piazza ma all'improvviso ebbe la sensazione di essere osservata e si girò di scatto: appollaiata su un basso muretto con un cesto da mercato in grembo c'era una vecchia dai capelli grigi che portava sulla testa la sciarpa nera della vedovanza. Anche se molto rammendato, il suo semplice vestito blu era pulito e le pieghe della gonna erano ordinate e precise, e lei stava fissando Jill così intensamente che senza riflettere la ragazza posò la mano sull'elsa della spada. — Ti chiedo scusa, ragazzo — disse la vecchia, ritraendosi. — Mi hai soltanto ricordato qualcuno che conoscevo. — Non sono offeso, buona donna. Più avanti la folla aveva intanto cominciato a disperdersi e Jill si affrettò attraverso l'apertura, arrestandosi però di colpo subito dopo: quella voce... la voce della vecchia... aveva avuto un suono familiare. Ma a quale voce aveva somigliato? Si accorse quindi che le aveva ricordato la voce di sua madre... e a sua volta la vecchia aveva trovato lei familiare. Imprecando sottovoce, girò il cavallo fra la folla e tornò verso il muretto, ma la vecchia se ne era andata e per quanto cercasse nella zona intorno alla piazza del mercato per una ventina di minuti non riuscì più a scorgere la donna che avrebbe potuto essere sua nonna. Sentendo gli occhi che le si colmavano di lacrime le asciugò con irritazione e si diresse verso il porto. Rhodry... e il dweomer... dovevano avere la precedenza su di lei e sulla sua famiglia. Tutt'intorno alle immediate vicinanze del porto di Cerrmor si allargava la zona nota come la Sentina, un groviglio di stretti vicoli, di botteghe sporche, di bordelli e di taverne che prosperavano tutti a spese dei marmai... o forse sarebbe meglio dire che prosperavano depredandoli. Per quanto avesse bisogno delle informazioni che poteva trovare soltanto nella Sentina, Jill non aveva intenzione di trascorrervi la notte, quindi si diresse verso un cupo ma decente distretto che si trovava più a monte e che era composto da magazzini e dalle case dei braccianti dei moli, dove c'era una locanda
chiamata l'Argano che aveva una buona reputazione presso le daghe d'argento, almeno nella misura in cui poteva averla una locanda disposta ad ospitarle. Jill sistemò il suo cavallo in una puzzolente baracca dal tetto danneggiato mentre il locandiere calvo e strabico si grattava e la guardava senza accennare ad aiutarla. — Sei dannatamente giovane per avere quella daga. — A te che importa? — ribatté Jill, posando la mano sull'elsa dell'arma in questione. — Nulla, nulla. Se vuoi puoi avere una camera tutta per te, ragazzo, perché in questo periodo dell'anno ci sono pochi clienti. — Affare fatto, allora. La camera risultò essere un piccolo cuneo al secondo piano, con le imposte storte alla finestra e un materasso sul pavimento al posto del letto... quando lei lo spostò di lato con un calcio, ne rotolò fuori una quantità di pulci e altri insetti sgradevoli. Lasciato cadere il proprio equipaggiamento in un angolo, Jill uscì e si chiuse a chiave la porta alle spalle. La sala comune lunga e stretta era scura e fumosa ma il piano dei tavoli e la paglia sul pavimento erano ragionevolmente puliti, e lei vi entrò con passo deciso, cercando di apparire il più mascolina possibile e ordinando un boccale di birra scura. Presto o tardi qualcuno si sarebbe accorto che era una ragazza, ma preferiva che succedesse il più tardi possibile. Dal momento che era ora di cena, la locanda era piena di marinai che stavano spendendo la loro paga con l'aiuto di qualche ragazza e di venditori ambulanti, e fra gli altri si scorgevano anche alcuni individui vestiti in maniera anonima che erano molto probabilmente ladri. — Stanotte abbiamo stufato di manzo, daga d'argento — disse il locandiere, indicando il focolare dove una donna robusta stava accudendo una pentola. — Bene. Salutato il locandiere con il boccale Jill si allontanò e si andò ad appoggiare contro la parete, ma aveva bevuto appena pochi sorsi di birra quando sentì qualcuno gridare nel cortile della locanda. Il taverniere si affrettò a correre alla finestra. — Dèi, sono gli uomini del Gwerbret! — avvertì. — Stanno venendo qui. Parecchi clienti scomparvero dal retro proprio mentre un uomo in cotta di maglia spalancava la porta principale: tre spadaccini che portavano tutti calzoni rosso scuro marciarono dentro e bloccarono il locandiere.
— Ci sono altri clienti di sopra? — chiese il capo delle guardie. — Non che io sappia. Sentite, cosa sta succedendo? — Stiamo cercando qualcuno, ecco tutto — replicò l'uomo, girandosi a scrutare i presenti. — Abbiamo già passato al setaccio la Sentina, anche se puoi scommettere che non siamo stati certo i benvenuti. Ehi, tu, daga d'argento! Vieni qui. Jill si avvicinò con la massima lentezza e insolenza che osava manifestare. — Come ti chiami, ragazzo? — Gilyn, ma a te che importa? — Nulla, furfante, se è questo l'atteggiamento che intendi assumere. Conosci un uomo chiamato Rhodry di Aberwyn? È un membro della vostra banda. — Sì, e l'ultima volta che l'ho visto era su nel Cerrgonney. Per cosa lo state cercando? — Non sono affari tuoi — ritorse la guardia e accennò ad allontanarsi, ma poi si guardò alle spalle con un sorriso conciliante. — Senti, c'è però una cosa che ti voglio dire: ti giuro sul mio onore che abbiamo soltanto buone intenzioni nei suoi confronti e che non è ricercato per un crimine o roba del genere. Se dovessi vederlo, diglielo e digli anche che riceverà dell'oro se si presenterà alla fortezza di Sua Grazia. — Allora lo avvertirò. Gli uomini del Gwerbret se ne andarono e i clienti della taverna emisero un unanime sospiro di sollievo, poi il taverniere si rivolse a Jill. — Credi davvero a quello che hanno detto a proposito del tuo amico? — Sì, perché Rhodry è un uomo strano — replicò lei, facendo una pausa per bere un sorso di birra. — Non ha mai detto una sola parola sul suo passato e le daghe d'argento non chiedono mai cosa abbia fatto un uomo, ma sarei pronto a scommettere che è di nobile nascita. — Davvero? — esclamò il taverniere, sgranando gli occhi. — Un nobile con la daga d'argento? — Ecco — rispose Jill, notando che parecchi clienti si erano soffermati ad ascoltare, — adesso non è più un nobile ma ne ha i modi, tutto inchini e cortesie, e conosce anche il sapere dei bardi. E poi c'è il suo modo di stare in sella... non si cavalca tanto bene a meno che il maestro di equitazione del tuo nobile padre ti abbia messo in sella ad un pony già all'età di tre anni. — Mi chiedo cosa abbia fatto per coprirsi di vergogna — commentò una
ragazza, con un sospiro malinconico. — Sembra davvero una storia triste. È attraente? — Suppongo di sì — affermò Jill, scrollando le spalle con finta indifferenza. — A me interessa di più la sua abilità nel combattere. — Senza dubbio. Uomini! — esclamò la ragazza, allontanandosi per servire un paio di barcollanti marinai in un angolo. Tutti gli altri sorrisero e tornarono alle loro chiacchiere e ai loro boccali. Dal canto suo, Jill era sinceramente stupita della facilità con cui l'avevano accettata come ragazzo; riflettendoci sopra, si rese conto di avere una voce abbastanza profonda in una regione dove una limpida voce tenorile era considerata il tono più apprezzabile in un uomo, e senza dubbio era stata ritenuta anche molto giovane, ma nonostante questo rimase comunque alquanto turbata nel comprendere fino a che punto gli anni trascorsi sulla strada l'avessero indurita. Pochi minuti più tardi il taverniere e le ragazze cominciarono a distribuire le ciotole di stufato, che risultò sorprendentemente buono, e con esso servirono anche del pane. Jill si trovò un posto dove sedersi per mangiare e di lì a poco venne raggiunta da un uomo dai capelli grigi che giudicò essere un venditore ambulante a causa delle spalle curve e del callo sulla fronte dove passava la cinghia per trattenere il bagaglio. — Dimmi una cosa, daga d'argento — esordì l'uomo, senza perdere tempo in convenevoli, — questo Rhodry è un tipico uomo di Eldidd, con i capelli neri e gli occhi azzurro scuro? — Sì, ed ha le spalle larghe e i fianchi stretti. — Hah! Mi pareva di averlo visto due notti fa. Era in una taverna nella parte della città occupata dagli artigiani e mi ha colpito perché non capita spesso di vedere una daga d'argento bere in mezzo a vasai e fabbri. — Verissimo. Forse lo dovresti dire agli uomini del Gwerbret. — Può darsi, e forse mi pagherebbero anche per l'informazione. A proposito, Rhodry si stava facendo chiamare Benoic e mi chiedo se non riescano a trovarlo perché giace malato da qualche parte. — Malato? Aveva un aspetto malato? — Non che io potessi notare, ma stava chiedendo di un erborista. Pareva però che ne volesse uno in particolare... lui e sua nipote. — Nevyn. — Il nome è proprio questo, e mi pare molto strano davvero. — Lo è. Vedi, la nipote è una ragazza graziosa. — Ah — fece il venditore, ammiccando. — Forse dopo cena andrò fuori
per vedere se riesco a trovare qualche guardia cittadina. — Al tuo posto lo farei. Se hanno mandato in giro anche la banda di guerra oltre alle guardie si deve trattare di una cosa importante. Con un cenno il venditore si dedicò al proprio stufato. Sentendosi prossima alla disperazione, Jill si mise a mangiare meccanicamente, portandosi alla bocca il cibo che non desiderava più che altro per non dare nell'occhio. Era evidente che il Gwerbret Ladoic aveva ordinato le ricerche nel momento in cui aveva ricevuto le lettere del re, ma i suoi uomini non avevano ancora trovato Rhodry e lei cominciava a dubitare che ci sarebbero riusciti, per il semplice fatto che la Sentina era il posto più logico dove lui potesse trovarsi. Per un momento le tornarono alla mente quelle vecchie storie secondo cui i ladri avrebbero avuto un vasto sistema di gallerie sotterranee sotto Cerrmor, ma poi le accantonò come fantasie degne di un gerthddyn. Inoltre, pareva anche chiaro che Rhodry era stato certo di trovare lei e Nevyn a Cerrmor, il che significava che qualcuno gli aveva mentito per attirarlo lì... Improvvisamente troncò a mezzo quel pensiero e concentrò la propria mente sul pasto, dedicando tutta la propria attenzione a inseguire un pezzo di carne nel sugo e obbligandosi a pensare soltanto a questo perché per un momento, mentre rifletteva su Rhodry, aveva avvertito il tocco di un'altra mente sulla sua... un contatto lievissimo ma in cui lei aveva potuto percepire una fredda e impersonale malizia. Pochi secondi più tardi la mente si allontanò, abbandonando la sua, e lei posò il cucchiaio nella ciotola perché indipendentemente dalle apparenze non si sentiva più in grado di inghiottire un solo boccone. — Esco un momento sul retro — disse al venditore. L'uomo annuì, continuando a mangiare, e nessun altro sollevò lo sguardo mentre lei usciva dalla porta posteriore e si dirigeva verso la latrina. Immediatamente alle spalle della locanda c'era un abbeveratoio per i cavalli sulla cui acqua si rifletteva la luce che usciva dalle finestre. Jill si fermò accanto ad esso, muovendo pigramente una mano nell'acqua come se la stesse lavando e servendosi dei cerchi provocati per evocare l'immagine di Salamander. Immediatamente avvertì il tocco della sua mente ma passarono alcuni minuti prima che lui le rispondesse e poté scorgere soltanto in modo vago la sua immagine sull'acqua. — Chiedo scusa per averci messo tanto, ma stavo cenando alla tavola del Gwerbret e mi ci sono voluti un po' di tempo e qualche convenevolo prima di potermi allontanare.
— Non importa. Alcuni uomini del Gwerbret sono appena stati all'Argano. A quanto ho dedotto non hanno ancora trovato Rhodry. — Infatti, dannazione a loro. Sei sempre certa che lui sia vivo? — Sì. È la sola cosa che ho a cui aggrapparmi. Ascoltami, il motivo per cui ti ho contattato è però un altro: ho sentito qualcuno toccare la mia mente, qualcuno che mi odiava. — Per il ventre coperto di scaglie di un drago! Per ora non dire altro al riguardo, mia piccola tortora. Ci vedremo domani e ne parleremo... ci sono momenti in cui le parole sono più sicure dei pensieri. E con quell'affermazione l'immagine scomparve. Quando tornò nella sala comune della taverna, Jill trovò che il venditore ambulante se ne era andato, ma l'uomo rientrò pochi minuti più tardi e con un ampio sogghigno sollevò due monete d'argento perché i presenti le vedessero. — Le ho avute da una delle guardie cittadine. Ne ha una sacca piena per pagare qualsiasi informazione su Rhodry di Aberwyn. Direi che sta succedendo qualcosa di grosso. — Pare proprio che valga la pena per chiunque di ricordarsi tutto il possibile sul suo conto — osservò Jill, in quello che sperava fosse un tono di voce noncurante. — Mi duole il cuore al pensiero che non lo vedo da mesi. Tutti quelli che la sentirono scoppiarono a ridere e assentirono, poi presero a discutere della cosa ma sfortunatamente nessuno di loro aveva la minima informazione sul conto di Rhodry e tutti furono concordi nel ritenere che mentire agli uomini del Gweibret fosse una cosa tutt'altro che salutare. Alcune ore più tardi Jill salì nella sua camera e nonostante il suo dolore era talmente stanca per le settimane di viaggio che si addormentò non appena si distese sulle coperte. Nel sonno sognò però Rhodry e le parve di sentirlo chiamare il suo nome da una disperata oscurità. Nevyn trascorse sveglio gran parte di quella notte. Il vecchio si era fatto sistemare una branda nella camera di Rhys in modo da essere svegliato dalla minima alterazione del suo respiro perché sapeva che per un uomo gravemente ferito come lui le ore precedenti l'alba erano sempre le più pericolose, a causa del fatto che le maree astrali della terra si facevano lente e pigre. Anche se Rhys trascorse una notte migliore di quanto chiunque avesse ragione di sperare, Nevyn rimase tuttavia sveglio a riflettere accanto al basso fuoco, usandolo di tanto in tanto per contattare altri maestri del dweomer. Il vecchio aveva incaricato tutti gli uomini e le donne del regno
dotati di dweomer non tanto di cercare Rhodry, perché sarebbe stato inutile, ma di cercare piuttosto strane fratture e discrepanze nelle loro visioni che potessero rivelare un sigillo astrale posto su qualcosa che un maestro del dweomer oscuro potesse desiderare di nascondere. Per il momento però nessuno aveva trovato nulla e se Jill non fosse stata certa che Rhodry era ancora vivo Nevyn lo avrebbe ormai dato per perso... ma il legame sessuale all'interno di quella coppia era molto forte e Jill avrebbe di certo avvertito la sua morte come la perdita di una parte di se stessa. Verso l'alba, quando la marea dell'Aehtyr giunse a portare nuova vita tanto sul piano astrale che su quello eterico, Nevyn si concesse qualche ora di sonno, ma si svegliò allorché un servo venne ad aiutarlo a lavare Rhys e a fargli cambiare posizione nel letto. — Sua Grazia è ancora vivo, buon signore? — chiese l'uomo. — Sì — rispose Nevyn, alzandosi con uno sbadiglio e stiracchiandosi come un gatto. — Riempi quella pentola vicino al focolare, perché oggi devo preparare daccapo i suoi svariati medicamenti. Dopo aver accudito Rhys, Nevyn lo lasciò alle cure della moglie e scese nella grande sala. Essendo ormai mattina inoltrata, essa era quasi vuota ma una serva si affrettò ad andare in cucina per prendere la colazione per Nevyn, che stava mangiando porridge e prosciutto al tavolo d'onore quando Cullyn entrò a grandi passi, si guardò intorno e si diresse verso di lui. La serva portò a Cullyn un boccale di birra, poi si ritirò dall'altra parte della sala. — Hai avuto notizie di Jill? — chiese Cullyn. — Non dalla scorsa notte. Ho saputo da Salamander che era ospite presso il Gwerbret Ladoic, quindi suppongo che Jill sia con lui. Cullyn annuì, fissò con espressione accigliata il proprio boccale per un momento, poi ne tolse un frammento di paglia con un dito e bevve. — Ancora non capisco in che modo lei e Rhodry si siano separati — commentò. — Non lo capisco neppure io — replicò Nevyn, sempre più grato di non aver mai pronunciato il giuramento di non mentire... un voto che faceva piacere ai Signori del Wyrd ma che rendeva a volte la vita inutilmente difficile. — Però posseggo qualche informazione in più. Pare che Rhodry stesse chiedendo in giro di me e di Jill appena prima... ecco prima di ciò che gli è successo, qualsiasi cosa sia. Sarei pronto quindi a supporre che qualcuno gli abbia detto che jill se ne era andata e si era diretta a Cerrmor per raggiungere me, o qualcosa del genere.
— Ha senso. A quel punto avrebbero dovuto soltanto aspettare che lui entrasse nella Sentina, dove nessuno si sarebbe girato per indagare se gli avessero dato una botta in testa o qualcosa del genere. — Proprio così. Bene, spero di avere presto notizie da Salamander e non appena saprò qualcosa ti avvertirò. — Ti ringrazio. Te ne sarò dannatamente grato. Mentre finiva la sua birra, Cullyn lasciò vagare lo sguardo per la sala e all'improvviso sorrise... una rapida contrazione delle labbra che lui si affrettò a soffocare. Seguendo la direzione del suo sguardo, Nevyn vide entrare nella sala Tevylla che stava seguendo e sorvegliando Rhodda. — Invero, capitano, quella bambinaia è una donna molto piacente. Cullyn gli scoccò un'occhiataccia e si concentrò sulla birra fino a quando Tevylla non se ne fu andata. Mentre lui e il capitano sedevano insieme in amichevole silenzio, Nevyn cominciò improvvisamente a sentirsi molto nervoso all'idea di far portare Perryn ad Aberwyn, perché se mai Cullyn avesse scoperto quello che il giovane nobile aveva fatto a sua figlia Perryn sarebbe morto in maniera molto sgradevole qualsiasi cosa Nevyn avesse detto a proposito di malattie e cose del genere. D'altro canto, mentire su una questione tanto grave era impossibile perfino per lui, perché anche se a volte non gli seccava piegare appena la verità con delle mezze bugie rifiutava però di restare invischiato in una ragnatela di menzogne che alla fine lo avrebbe soffocato. Dal momento che mancava ancora molto tempo all'arrivo di Perryn, accantonò il problema come un semplice accesso di irritazione... aveva già troppe cose che gli gravavano sulla mente per preoccuparsi anche di quella. — Allora non intendi andare a Cerrmor? — gli chiese d'un tratto Cullyn. — No, perché non posso semplicemente andarmene. Qui la vita del Gwerbret è appesa ad un filo e ci sono avidi nobili che si aggirano intorno al rhan come mastini intorno ad un pezzo di carne sul tavolo. — Ma che ne sarà di Rhodry? — È questa la ferita nel nostro cuore, vero? Che ne sarà di Rhodry? Temo che dovremo confidare che tua figlia riesca a tirarlo fuori da questa particolare trappola, ed io credo che possa farlo, almeno con l'aiuto di Salamander. L'hai addestrata bene, Cullyn. — Davvero? Adesso lo scopriremo, giusto? — Infatti, infatti, e spero che sia presto. C'era anche un'altra cosa che Nevyn non poteva dire a Cullyn: nel profondo della propria mente, lui sapeva di essere obbligato a restare ad A-
berwyn non soltanto per curare il Gwerbret e aiutare Lovyan ma anche perché così facendo avrebbe ostacolato i suoi nemici in un modo che ancora non poteva prevedere. A Cerrmor c'era un argentiere che faceva affari con le daghe d'argento. Pur non essendo capace di fabbricare le loro daghe, era noto per i prezzi onesti che pagava per le spoglie di guerra e per la sua capacità di riparare bene le armi comuni. La sua bottega era la più piccola e squallida della strada degli argentieri, che correva lungo il fiume un buon tratto a nord rispetto alla Sentina, e tuttavia nonostante lo squallore dell'insegna di legno sbrecciata e delle pareti sporche, quando Jill aprì la porta una serie di campanelle d'argento modellate squisitamente emise un dolce suono di avvertimento. La ragazza si venne a trovare in una stretta fetta di una casa rotonda con di fronte un'altra porta che si apriva in un robusto muro di legno, da cui uscì un momento più tardi un uomo ancora giovane ma magrissimo e con le spalle curve. — Cosa posso fare per te, daga d'argento? Hai qualcosa da vendere? — No, ma potrei essere disposto a comprare... informazioni. Gli uomini del Gwerbret sono stati qui a chiederti notizie di un uomo chiamato Rhodry di Aberwyn? — Lo hanno fatto, e naturalmente ho detto loro di non averlo mai visto. — Deduco che hai mentito. — Certamente. Rhodry è stato qui meno di due notti fa per chiedermi di un erborista. Gliene ho raccomandato uno bravo che conosco e lui è sgusciato via dal retro. Sapeva che le guardie lo stavano cercando. Jill imprecò sottovoce. — Senti, buon argentiere, se dovessi rivedere Rhodry, per l'amore degli dèi digli di andare dal Gwerbret. Non è accusato di nessun crimine, qualsiasi cosa lui creda. Avvertilo anche che la donna che sta cercando è sotto la protezione di Ladoic. Questa volta fu l'argentiere a imprecare. — Se lo avessi saputo avrei detto tutto agli uomini di Sua Grazia! Secondo Rhodry, però, lui sarebbe accusato di aver preso in battaglia la testa di qualcuno, quindi ho mentito perché non volevo che finisse a sua volta decapitato. — È stato onorevole da parte tua — affermò Jill, con assoluta sincerità. — Senti, non ti pare strano che non sia ancora saltato fuori anche se tutti gli uomini del rhan lo stanno cercando?
— Suppongo che se ne sia andato. — Può darsi. Immagina di voler assoldare un paio di ragazzi per liberarti di qualcuno. A chi ti rivolgeresti, nella Sentina? — Capisco cosa intendi dire — mormorò l'argentiere, meditando per qualche momento. — Come mai sei tanto interessato a tutto questo? — Rhodry è mio amico. Abbiamo svolto un paio di incarichi insieme e se gli è successo qualcosa voglio che sia vendicato... qualsiasi daga d'argento lo vorrebbe — spiegò Jill, estraendo dalla sacca alla cultura due monete d'argento. — Sono disposto a pagare le informazioni. — Non intendo accettare le tue monete perché non so nulla di sicuro, ma ho sentito dire che nella Sentina c'è una taverna chiamata l'Uomo Rosso e penso che se si fanno le domande giuste là si possa assoldare chiunque per qualsiasi cosa. — E se si fanno quelle sbagliate? L'argentiere sorrise e mimò il gesto di passarsi un coltello sulla gola. Dopo aver lasciato la bottega, Jill trascorse qualche tempo girando a vuoto per le strade mentre elaborava lo schema della sua visita nella Sentina, perché anche senza l'avvertimento dell'argentiere lei sapeva benissimo che nessuno poteva addentrarsi impunemente in quel quartiere e mettersi a fare domande. Trovato un piccolo spazio aperto intorno ad una fontana pubblica si sedette su una panca di legno per riflettere. Anche gli abitanti della Sentina avevano paura delle daghe d'argento, che vendicavano sempre ogni membro assassinato del loro gruppo, ma d'altro canto se avessero creduto che era intenzionata a vendicare Rhodry avrebbero potuto eliminarla e preoccuparsi soltanto poi di eventuali altre daghe d'argento... però naturalmente Rhodry non era morto. All'improvviso si rese conto di avere a disposizione una mossa valida in quella brutta partita di gwyddbwcl: dal momento che Rhodry non era morto la gente della Sentina lo sapeva, quindi una volta che lei avesse fatto capire di esserne al corrente a sua volta le regole del gioco sarebbero cambiate. Quando infine si avviò verso la Sentina scelse una strada meno diretta che passava però davanti alla bottega di un artigiano del cuoio che aveva notato in precedenza; trovò il proprietario seduto a gambe incrociate su un tavolo intento a cucire con pezzi di sacche da sella sparsi tutt'intorno mentre in un angolo tre bambini sporchi giocavano con un cagnolino e dalla stanza posteriore giungevano un odore di cibo in cottura e il pianto di un neonato. — In cosa ti posso aiutare, ragazzo? — domandò l'uomo, sollevando lo
sguardo. — Voglio un giustacuore di cuoio. — Molto bene. Ti prenderò le misure e sarà pronto in circa tre giorni. — Mi serve adesso. L'artigiano posò il pezzo di cuoio a cui stava lavorando e scese dal tavolo con estrema lentezza, quasi si aspettasse che Jill potesse estrarre la spada e colpirlo da un momento all'altro. — Non ho tempo per aspettare, artigiano. — Er... benissimo, allora, a patto che tu non pretenda qualcosa che ti calzi a pennello. Ho un giustacuore che stavo preparando per il figlio del mugnaio, che ha all'incirca la tua stessa taglia. — Tiralo fuori. L'artigiano passò nel retro, portando con sé i bambini e il cane, e un momento più tardi fu di ritorno con il giustacuore di cuoio, rinforzato lungo i fianchi da borchie di metallo. Jill lo provò sopra la camicia e constatò che, per quanto un po' stretto, l'indumento le andava bene, quindi gettò sul tavolo sei monete d'argento... circa il doppio del valore dell'oggetto... e uscì a grandi passi, lasciandosi alle spalle l'artigiano tremante. Ritiratasi in una latrina pubblica, si infilò questa volta il giustacuore sotto la camicia, allacciandolo strettamente in modo da appiattire i seni: anche se la irritava un poco, era la migliore protezione che poteva ottenere contro un coltello nelle costole in quanto gli uomini del Gwerbret erano contrari a che i civili girassero per le strade cittadine indossando una cotta di maglia. Quando fu pronta si addentrò nella Sentina. Nella mattina soleggiata le strade strette e sporche erano quasi deserte: alcuni bambini laceri giocavano a palla con bastoni storti e una malconcia palla di cuoio e un paio di donne con ceste per la spesa oltrepassarono in fretta Jill per andare a comprare del pesce sui moli, mentre l'unico uomo in vista era un mendicante senza mani e con i capelli bianchi che si stava crogiolando al sole su una porta. La ragazza si avvicinò con passo tranquillo all'ex-ladro e lasciò cadere una moneta d'argento nella sua ciotola. — Dov'è la taverna dell'Uomo Rosso? — chiese. — Non è un posto piacevole, ragazzo. — Ti sembro un tipo d'uomo piacevole? Il mendicante rise, rivelando denti anneriti e spezzati. — Allora continua lungo questa strada fino ad arrivare al cortile di una conceria... ci penserà la puzza a guidarti. A quel punto aggira la conceria e vedrai l'insegna dell'Uomo Rosso giù per un vicolo sulla sinistra.
Mentre riprendeva il cammino, Jill si tenne sul chi vive e qua e là vide una tenda di cuoio che si muoveva ad una finestra o una figura che appariva su una soglia per subito scomparire, il che la indusse a sospettare che il vecchio ladro mendicante avesse già mandato un bambino alla taverna per avvertire che una daga d'argento era diretta là... e fu più che mai grata del giustacuore di cuoio anche se la stava facendo sudare abbondantemente. Se volevano, i suoi nemici avrebbero potuto assassinarla lì in strada senza che nessuno interferisse, e ancora una volta questi pensieri la indussero a chiedersi che ne fosse stato di Rhodry e se magari gli uomini del Gwerbret fossero passati senza accorgersene davanti al posto dove lui era nascosto. In quel piccolo mondo di omertà tutto sembrava possibile. Con sua sorpresa l'Uomo Rosso risultò essere un locale pulito con le pareti imbiancate da poco e un cortile coperto di acciottolato e ben spazzato che girava tutt'intorno alla costruzione. L'insegna che pendeva davanti alla soglia mostrava un gigante di un rosso intenso completamente nudo e con un'enorme erezione, in piedi sulla sommità di una collina con un albero sradicato in ciascuna mano... un'immagine in qualche modo fastidiosa, come una barzelletta sconcia che avesse perso il suo sapore. Quando entrò, Jill scoprì che anche la sala semicircolare della taverna era pulita, con la paglia fresca sul pavimento e i tavoli lavati; tutte le imposte erano chiuse, il che lasciava la stanza al buio tranne che per la luce proveniente dal focolare, dove una manciata di polli venivano fatti girare allo spiedo da un lacero sguattero, e il locale era vuoto a parte una mezza dozzina di uomini seduti ad un tavolo e un tizio che russava sonoramente sulla paglia vicino al focolare, con un paio di cani raggomitolati alle sue spalle. Il taverniere che venne ad accoglierla era un uomo del Bardek, un individuo grasso dalla pelle scura con la faccia e le braccia coperte da vecchie cicatrici che erano tutte dovute a lunghi tagli provocati da un coltello affilato. — Qui non vengono molte daghe d'argento ragazzo. — Suppongo che tu sia troppo superiore alla gente come me per servirla. — Non troppo superiore ma troppo cauto. Se vuoi bere sei il benvenuto, ma non esagerare. Senti, daga d'argento, conosco quelli come te: due boccali, tre e va tutto bene, senza guai, ma basta che ne beviate un altro e in voi salta qualcosa. Allora ci sono degli scontri, spargimento di sangue sulle mie belle pareti bianche e un cadavere sul mio pavimento pulito. Ti servirò due boccali ma non uno di più. D'accordo? Jill si accorse che gli uomini al tavolo stavano ascoltando con la mano
sull'elsa della spada e scoccò loro un'occhiata insolente prima di rivolgersi di nuovo al taverniere. — D'accordo. Dammi un boccale di birra scura. Trovato un tavolo dove potersi sedere con le spalle alla parete, prese mentalmente nota della posizione di ogni finestra e porta; quando il taverniere le portò la birra, gli mostrò quindi una moneta d'argento. — Sto cercando qualcuno, una persona che sembra essere scomparsa — disse. Lo sguardo del taverniere saettò di qua e di là mentre gli uomini al tavolo si protendevano in avanti, ascoltando con attenzione. — Anche qualcun altro lo sta cercando — proseguì Jill, — e scommetto che hai capito a chi mi sto riferendo. — Rhodry di Aberwyn? — Proprio così. Ho un conto da saldare con quel piccolo bastardo mentitore. Non m'importa un accidente dei motivi per cui il Gwerbret lo sta cercando: Sua Grazia potrà impiccarlo dopo che io avrò finito con lui. Il taverniere la scrutò con espressione astuta e poi annuì, accettando per buona la sua storia. — Sono lieto di non essere questo Rhodry, con una persona come te alle calcagna. Cosa ti induce a pensare che io sappia qualcosa sul suo conto? — Scommetto che tu non sai altro che il nome di qualcuno che ne sa di più. — Senti, stanno cercando questo Rhodry dappertutto e nessuno lo ha trovato. Io dico che è morto e che puoi scordarti di lui: nessuno può riportare in vita un morto per ucciderlo una seconda volta. — Morto? — ripeté Jill. Quello era proprio il momento su cui aveva fatto affidamento e si concesse una pausa, fissando il taverniere con un sorrisetto minaccioso e contorto. — Suvvia, amico mio, sappiamo entrambi che non è così. Le notizie circolano. L'uomo esitò e il suo volto scuro si fece un po' pallido per un sincero senso di paura, mentre alle sue spalle un tizio massiccio con i capelli castani si alzava dall'altro tavolo e scavalcava la panca, avvicinandosi con un'espressione che non rivelava nulla dei suoi pensieri. L'uomo aveva le mani più grandi che Jill avesse mai visto, enormi zampe grosse come prosciutti. — Quanto vale esattamente il tuo odio, daga d'argento? — chiese. — Denaro sonante. Con un accenno di sorriso l'uomo si sedette e prese la moneta d'argento
che Jill gli offriva. — Io non sono stato fra quelli che lo hanno portato via, ma mi hanno offerto di entrare nel lavoro ed ho visto chi pagava per assumerci. — Mi piacciono gli uomini che non soppesano le parole — commentò Jill, tirando fuori altre due monete e lanciandogliene una. — Ne avrai una terza alla fine della tua storia. — Benissimo. Dunque, tu hai ragione sul fatto che è vivo perché non si è mai parlato di ucciderlo, almeno per quanto ne so io. Ho un amico che ha fatto fortuna ed è salito di posizione: adesso è al servizio di uno di quei ricchi mercanti che vivono sulle colline, un uomo a cui non piace di essere aggredito di notte in una strada buia, quindi il mio amico va in giro con lui, e i ricchi amici del suo padrone sanno che lui è sempre disponibile per qualche lavoretto un po' duro, come convincere qualcuno che deve loro dei soldi a pagare. Così, questo mio amico è venuto qui tre notti fa e mi ha detto che forse c'era un lavoretto per noi: un conoscente d'affari del suo padrone voleva scambiare qualche parola con una certa daga d'argento ed era disposto a pagare se avessimo prelevato quel ragazzo e lo avessimo portato da qualche parte. — Dove? — Questo non lo so perché non ho accettato — spiegò l'uomo, protendendosi in avanti con espressione sincera. — Se avessi visto questo Briddyn neppure tu avresti accettato una sola moneta da lui. Era un uomo grosso... non grasso ma porcino, aveva la faccia priva di rughe come quella di un ragazzo, capelli e barba tanto neri e lisci che sembrava fossero unti di grasso. — Davvero? Hai notato se anche le sue mani erano prive di rughe e morbide? — Sì, e lo erano. Mi pare di vederlo ancora nella mia mente — affermò l'uomo, con un leggero brivido. — Nella barba portava un fermaglio come quelli che le ragazze mettono nei capelli, soltanto che era una lucertola d'argento con una farfalla in bocca. In lui c'era qualcosa che faceva accapponare la pelle, e non si trattava soltanto del cattivo gusto con cui sceglieva i suoi gioielli. — Era un uomo del Bardek? — Avrebbe potuto esserlo, ma avrebbe anche potuto essere un uomo di Deverry con un po' di sangue del Bardek nel suo clan... la sua pelle era un po' bruna, ma poteva essere abbronzata dal sole. In ogni caso, questo Briddyn ci ha offerto un sacco di denaro, ma non era comunque abbastanza
per prendersela con una daga d'argento e quando abbiamo rifiutato per poco non me la sono fatta nei calzoni per la paura che se ne avesse a male... e mi sono accorto che il mio amico temeva la stessa cosa. Bada, non so proprio cosa avrebbe potuto farci, ma ci ha dato quella sensazione, una cosa da far accapponare la pelle. Jill rifletté sull'uomo e sulla sua storia bevendo un sorso di birra. Anche se era incline a pensare che ogni abitante della Sentina fosse un bugiardo, dubitava fortemente che un individuo come quello potesse essere dotato di una tale immaginazione da elaborare una descrizione tanto strana e dettagliata di quel Briddyn. Quando poi sollevò lo sguardo e osservò gli altri uomini presenti, si rese conto che la storiella del suo interlocutore aveva messo a disagio anche loro... e tuttavia continuava a esserci qualcosa che non quadrava. In ogni caso, consegnò all'uomo l'ultima moneta d'argento. — Ti ringrazio — disse questi. — Quel Briddyn alloggiava alla locanda del Drago Dorato, ma scommetto che se ne deve essere andato da tempo. — Senza dubbio. Con un unico, fluido movimento, Jill estrasse la daga con la destra e afferrò con la sinistra la camicia dell'uomo, trascinandolo in avanti sul tavolo. Tranne per un leggero brivido, lui rimase perfettamente immobile, fissandola negli occhi come un topo incantato da un furetto, apparentemente certo che lei intendesse ucciderlo per il puro gusto di veder scorrere del sangue. — Adesso ascoltami con attenzione altrimenti morirai. La prima cosa che mi hai detto è stata «non sono stato fra quelli che lo hanno portato via». Portato dove? Sai più di quello che mi stai dicendo. A quel punto l'uomo si mise a piagnucolare e scoccò un'occhiata disperata ai compagni seduti al tavolo, ma nessuno di essi si mosse... uno bevve addirittura con ostentazione dal proprio boccale come se in quel momento non ci fosse nulla al mondo che lo stesse turbando. — Miserabile figlio di buona donna — continuò Jill, — io sono venuto qui disposto a pagare in denaro contante quello che sai e tu cerchi di imbrogliarmi. La Sentina è dunque cambiata così tanto? Un tempo un uomo poteva comprare qui tutto quello che voleva. — A questo punto scoppiò in una risatina assolutamente folle e diede al suo interlocutore una spinta all'indietro che lo fece barcollare sulla sedia. — Rispondimi. Dove lo hanno portato? — Non lo so, davvero — implorò l'uomo, piagnucolando come un bambino. — Non lo so, ti prego di credermi. Tutto quello che so è che Briddyn
ha detto che una volta che lo avessimo preso sarebbe stato portato via e che non dovevamo quindi preoccuparci come se ci fosse stato invece chiesto di ucciderlo o qualcosa del genere. Jill era certa che ci fosse dell'altro ma i compagni dell'uomo cominciavano ad essere irrequieti e in fin dei conti erano in cinque senza contare il suo informatore, quindi si alzò e ripose la daga nella cintura. — Tu, con i calzoni azzurri! Allontana la mano da quella daga da lancio se non vuoi che ti inchiodi con la mia. L'uomo obbedì con un sorriso stranamente cordiale, riassestandosi sulla panca, e in quel momento il taverniere decise di intervenire. — Esci di qui, daga d'argento. Esci subito dalla mia taverna. Hai avuto tutte le risposte che potrai ottenere: nessuno sa cosa sia successo a Rhodry... quel Briddyn deve essere riuscito a prenderlo e nessuno sa cosa sia successo dopo. Ora vattene. — Benissimo, allora. Del resto ti credo, perché dopo tutto nessuno sa dove voli il falco, vero? Jill lo aveva detto a casaccio, soltanto per gettare un'esca qualsiasi, ma la trappola scattò immediatamente: il sangue parve prosciugarsi dal volto del taverniere la cui pelle assunse il colore grigiastro e malsano della neve sporca. — Ti ho detto di andartene — ripeté, con voce che era a stento un sussurro. — Vattene prima di morire. Gli uomini di Deverry presenti nella stanza osservarono con perplessità quella sua reazione di terrore, mentre Jill si fece più vicina e sollevò la sua daga, emettendo di nuovo la sua risatina folle che salì sempre più di tono fino a quando il taverniere si lasciò cadere in ginocchio sulla paglia. — Un momento! — esclamò uno dei presenti, balzando in piedi. — Cosa stai facendo al nostro Eraelo? — Lasciatelo stare! — stridette il taverniere. — Lasciatelo stare! Andate via! Tutti quanti! — Poi scoppiò in lacrime e si nascose il volto fra le mani. Gli uomini al tavolo parvero trasformarsi in pietra e Jill dal canto suo smise di ridere, riponendo la daga e lasciando il locale. Dovette fare appello a tutta la sua volontà ma riuscì ad andarsene con calma, procedendo con passi lenti e disinvolti nel centro della strada per circa un centinaio di metri. Quando infine si lanciò un'occhiata alle spalle vide che la porta dell'Uomo Rosso era chiusa... e si sentì pronta a scommettere che fosse stata anche sprangata dall'interno. Emise allora un profondo sospiro di sollievo
e sentì il sudore freddo della paura scorrerle lungo il petto e la schiena sotto il giustacuore di cuoio. Era giunto il momento di lasciare la Sentina, perché la fortuna le aveva fruttato alcune importanti informazioni e voleva vivere abbastanza a lungo da riferirle a Salamander. Anche se rimase con i nervi tesi per tutto il tragitto emerse dalla Sentina senza incidenti e a quel punto chiese ad una delle guardie cittadine dove trovare la locanda del Drago Dorato, che risultò essere vicino alle porte occidentali e non lontano dalla fortezza del Gwerbret, sul lato opposto del fiume. Stava attraversando un ponte di pietra bianca che s'inarcava sul fiume quando sentì la mente di Salamander che cercava di raggiungere la sua e si soffermò per appoggiarsi alla balaustra e guardare le rapide acque sottostanti. Anche se non riuscì a vedere l'immagine di Salamander, poté comunque udire nella mente i suoi pensieri e rispondere ad essi. — Jill, per tutti gli dèi! Stavo cercando di evocare la tua immagine e ti ho vista nella Sentina! Non avresti dovuto andarci da sola! — L'ho fatto e sono sopravvissuta, giusto? Ho alcune orribili notizie, ma dubito che sia il caso di riferirtele in questo modo. — In ogni caso, è ora che tu ti faccia «assoldare» da me. Mi sono trasferito alla locanda del Drago Dorato. — Ti raggiungo subito. Mentre camminava, Jill pensò che quel Briddyn doveva possedere una notevole quantità di denaro, se condivideva i gusti di Salamander in fatto di locande, e la sua supposizione risultò essere esatta perché il Drago Dorato era uno splendido edificio di tre piani nello stile del Bardek, cioè con una pianta lunga e rettangolare sovrastata da un tetto ricurvo, come una nave capovolta, con enormi statue di legno che rappresentavano questa o quella divinità con la mano sollevata in un gesto di benedizione inserite a ciascuna estremità nelle curve travi del tetto; quando girò intorno all'edificio prima di entrarvi Jill scoprì poi che il gradevole giardino sul davanti della locanda si trasformava sul dietro in un cortile fangoso, con il cumulo del letame e il pozzo troppo vicini per un posto tanto costoso. Mentre indugiava nel cortile, la porta del retro si aprì e ne uscì una ragazza giovane che portava un paio di secchi d'acqua e che arricciò il naso quando lei le si avvicinò. — Gira al largo, daga d'argento. Non sono il genere di ragazza che si interessa a quelli come te. — Del resto non sei di mio gusto — ribatté Jill, reprimendo un sorriso. — Tutto quello che voglio sono informazioni su uno dei vostri ospiti, e so-
no disposto a pagare per averle. La ragazza esitò, evidentemente combattuta fra l'avidità e il timore del suo datore di lavoro, ma quando Jill le mostrò una moneta d'argento l'avidità ebbe la meglio. — Chi è quest'ospite? — Un mercante chiamato Briddyn. — Oh, lui! — commentò la ragazza, arricciando ancora il naso. — Lo ricordo benissimo, grazie, ed era davvero fastidioso. Si lamentava sempre di tutto e non gli andava bene nulla, né le lenzuola del letto né la birra e neppure quel dannato pitale. Sia resa lode agli dèi che se ne è andato! Se avessi dovuto servirlo ancora sarei impazzita. — Capisco — commentò Jill, porgendole la moneta. — Sai in cosa commerciasse? — In stoffe. È arrivato con una grande carovana ed ho sentito dire agli stallieri che era un bene che le sue balle di stoffa fossero leggere e facili da scaricare perché quel bastardo non dava mance. Inoltre aveva un rotolo di stoffa molto speciale nella sua camera e mi ha detto che se lo avessi toccato mi avrebbe picchiata... come se mi interessasse la sua maledetta stoffa. — Ha avuto visite mentre era qui? — Non ho mai visto nessuno, ma del resto chi sarebbe venuto a trovare un porco come quello? Quando è partito ha detto che sarebbe andato a nord verso Dun Deverry... come se porci del suo genere fossero adatti alla città stessa del re! Jill si allontanò in preda ad un'assoluta perplessità e decise che quella era la cosa più strana che avesse sentito fino a quel momento: gli stranieri misteriosi e intenzionati a fare del male a qualcuno di solito non davano nell'occhio a tal punto da far sì che ogni servitore si ricordasse di loro. Non appena aprì la porta della locanda il proprietario, un uomo giovane e massiccio, si affrettò ad attraversare la sala comune per sbarrarle il passo. — Niente daghe d'argento nella mia locanda! Prova all'Argano, ragazzo! — Uno dei tuoi ospiti mi ha convocato qui, lardone. Salamander il gerthddyn ha detto di volermi assoldare. Il locandiere ringhiò sottovoce ma si affrettò a indietreggiare bruscamente quando lei posò la mano sull'elsa della spada. — Manderò su un ragazzo a chiedere, daga d'argento — affermò, con voce che tremava notevolmente, — ma è meglio che tu abbia detto la verità, altrimenti chiamerò le guardie cittadine. Jill incrociò le braccia sul petto e lo fissò con espressione accigliata fino
a quando il ragazzo non fu di ritorno con la notizia che in effetti Salamander voleva quella daga d'argento come guardia del corpo. Borbottando sottovoce qualcosa a proposito di possibili tentativi di furto, il locandiere accompagnò di persona Jill nella camera, che si trovava all'ultimo piano, ben al di sopra del fetore della strada, e Salamander venne ad aprire abbigliato splendidamente con un paio di calzoni di morbida lana azzurra, una camicia coperta di ricami floreali e una cintura di cuoio rosso lavorato. — Ah, ti ringrazio, buon locandiere. Mi hai portato una daga d'argento estremamente rinomata che, per quanto giovane, è nota per atti di sangue, di ardimento e di battaglia, come mangiare il fegato dei banditi e il cuore dei ladri. — Continua, signore, continua! Questa sera ci farai l'onore di raccontarci una storia? — Può darsi, può darsi. Entra, Gilyn, e discutiamo del tuo prezzo. A quanto pareva, Salamander non aveva affittato soltanto una stanza ma un intero appartamento, con le pareti rivestite da pannelli di legno scuro e arredato con una poltrona imbottita, un tavolo intagliato, un lungo divano purpureo del Bardek e un letto in una camera separata. — Non lesini proprio per te stesso, vero? — commentò Jill. — E perché dovrei? — ribatté Salamander, versandole un bicchiere di sidro leggero da una caraffa di vetro. — Dunque, scommetto che hai intuito che il Gwerbret non è riuscito a trovare Rhodry. — E non ci riuscirà mai. Salamander sollevò lo sguardo con il bicchiere di sidro ancora in mano e le labbra socchiuse, fissandola con improvviso timore. — Rhodry è nelle mani dei Falchi della Confraternita. Per un lungo momento il gerthddyn non si mosse né parlò, tanto che parve quasi che avesse addirittura smesso di respirare fino a quando non emise alcune parole sommesse. — Oh, dèi, non questo! — sussurrò. — Ne sei certa? — L'uomo che lo stava cercando aveva maneggiato tanto di quell'arsenico che la sua pelle e i suoi capelli erano diventati estremamente lisci, e quando ho pronunciato per puro caso la parola «falco» l'uomo con cui stavo parlando è diventato improvvisamente isterico — spiegò Jill, picchiando un pugno sul tavolo con tanta violenza da far traballare la caraffa e da versare un po' di sidro. — So quello che i Falchi fanno agli uomini su cui mettono le mani, e se hanno torturato Rhodry moriranno... un uomo per ogni segno che gli avranno fatto, lo giuro. Li inseguirò come un furetto
con i topi. Un uomo per ogni segno. Poi scoppiò in una risata folle e incontrollata. — Jill! Smettila! Per gli dèi! Quando lei gettò indietro il capo, continuando a ridere, Salamander l'afferrò per le spalle e la scosse, gridandole ancora di smettere e infine sbattendola contro la parete. La risata cessò, e nel vedere il dolore espresso dagli occhi grigio fumo del gerthddyn, Jill si meravigliò della propria incapacità di piangere. Liberatasi dalle sue mani si accostò alla finestra e abbassò lo sguardo sul giardinetto sottostante: sembrava dolorosamente ingiusto che il sole dovesse splendere così brillante mentre il suo Rhodry era nelle mani dell'oscurità. Sentendo un singhiozzo alle proprie spalle si girò quindi di scatto e vide che Salamander era fermo in mezzo alla stanza, con le braccia abbandonate lungo i fianchi e le lacrime che gli solcavano il volto; il contrasto fra i suoi abiti eleganti e il dolore impotente che lo pervadeva era tale da farlo apparire come un bambino che avesse indossato gli abiti della festa del padre. Incerta su cosa dire, Jill gli si accostò e gli posò con esitazione una mano sulla spalla. — Tu dimentichi che lui è mio fratello. — È vero. Mi perdoni? Salamander annuì, distogliendo lo sguardo senza smettere di piangere, con le spalle scosse da singhiozzi e tuttavia senza emettere un suono, e nel guardarlo Jill si rese conto che non c'era proprio nulla che potesse dirgli. — Vado all'Argano a prendere la mia roba — mormorò. L'elfo annuì per indicare che aveva sentito ma non guardò nella sua direzione. Durante la lunga camminata fino all'Argano, Jill si sentì esausta come se avesse sostenuto una lunga battaglia, prosciugata come se avesse trovato Rhodry morto, e soltanto allora si rese conto che in effetti stava già pensando a lui come se fosse morto e che non lo avrebbe mai potuto piangere se prima non lo avesse vendicato. Se lo avessero ucciso con la tortura, la sua vendetta sarebbe stata una lunga e paziente caccia con molti uomini da uccidere come premio. Dunque i Falchi possedevano il dweomer, giusto? Ma lo aveva anche lei e se avesse dovuto lo avrebbe usato appieno. Quando risollevò lo sguardo, il cielo era di un azzurro intenso e accecante, i ciottoli della strada sembravano intrisi di un bagliore interno: era il potere che stava sorgendo in lei attraverso il canale che l'involontario dweomer di Perryn aveva accidentalmente aperto, e Jill comprese che ora avrebbe potuto evocarlo quando ne avesse avuto bisogno. Quella sarebbe però stata
una cosa pericolosa, perché era inesperta e ignara quanto Perryn e come lui avrebbe rischiato la follia o perfino una forma di morte lenta... ma non le importava più. Tutto quello che contava adesso era la vendetta. Dopo aver preso il cavallo e l'equipaggiamento per precauzione tornò al Drago Dorato tenendosi nei viali più ampi dove poteva cavalcare invece di condurre l'animale per la cavezza lungo le strade strette, e si concesse una deviazione verso il porto dove le navi mercantili erano attraccate ai moli per scaricare le ultime merci estive. Fra un altro mese al massimo il mare sarebbe diventato invalicabile e già l'acqua appariva più scura e di un azzurro più freddo. Qua e là, fra gli altri, scorse alcuni uomini del Bardek impegnati nella conversazione con gli scaricatori e i braccianti dei moli, mentre grandi balle di merci marciavano lungo le passerelle sulle spalle dei portatori. È possibile caricare una dannata quantità di roba su una di quelle navi, pensò distrattamente fra sé. — Dèi! Con quell'esclamazione improvvisa spinse il cavallo al trotto e si affrettò a tornare alla locanda, dimentica di ogni cautela. Trovò Salamander perfettamente calmo, o meglio un po' troppo calmo, proprio come lei, con gli occhi che avevano più il colore dell'acciaio che del fumo e la voce un po' incrinata. — Non abbiamo poi bevuto il sidro che avevo versato — osservò il gerthddyn, indicando i due boccali sul tavolo. — Suggerisco quindi di farlo ora. Stavo pensando ad una specie di voto. — Splendida idea. Vuoi dirmi la parola elfica per indicare la vendetta? Penso che dovremmo giurare in entrambe le nostre lingue. — Anadelonbrin. L'odio che colpisce in fretta. — Affare fatto, allora. Anadelonbrin! — Vendetta! — esclamò Salamander, gettando il capo all'indietro e ululando come un lupo nel cuore dell'inverno. — Questo serve per evocare i lupi della morte, mia piccola tortora, i lupi della vendetta della dea del Sole Oscuro. La conosci? Credo di sì, anche se con un altro nome, perché a volte La vedo guardare attraverso i tuoi occhi. I veggenti elfici insegnano che ci sono due soli, un paio di sorelle gemelle: una è il sole luminoso che noi vediamo nel cielo e l'altra si trova dalla parte opposta del mondo. La sorella luminosa dona la vita e quella oscura, inutile dirlo, la morte. — Allora possano i Suoi lupi correre davanti a noi. I due brindarono e bevvero il sidro insieme.
Naturalmente Salamander aveva contattato subito Nevyn attraverso il fuoco per riferirgli la scoperta fatta da Jill, e per alcune ore quel pomeriggio il vecchio non riuscì a fare altro che passeggiare avanti e indietro per la stanza del Gwerbret malato, lasciando che le proprie emozioni in conflitto si consumassero da sole. Disgusto, dolore, furia si fondevano tutte insieme e gli facevano desiderare di urlare imprecazioni contro gli dèi e contro i Grandi perché avevano permesso che accadesse una cosa simile. Il fatto che Rhodry sarebbe morto era già di per sé abbastanza orribile, ma che dovesse morire lentamente per opera di simili uomini pervertiti era spaventoso. Come sempre, il vecchio stava imprecando anche contro se stesso, perché di certo doveva esserci stato qualche avvertimento che gli era sfuggito, qualche cosa che avrebbe dovuto fare. Ogni volta che guardava verso Rhys, impegnato a lottare per ciascun annaspante e doloroso respiro che traeva, la sua immaginazione ben addestrata gli forniva tutta una serie di orribili immagini di Rhodry nelle mani dei Falchi, e più volte fu costretto a mettere al bando quelle fantasticherie soffocandole con l'immagine di un pentagono fiammeggiante, fino a quando la sua mente si quietò. Soltanto allora riuscì finalmente a pensare. Anche se il suo primo impulso era quello di correre a Cerrmor, non solo aveva pressanti motivi per restare dove si trovava ma il viaggio avrebbe semplicemente richiesto troppo tempo e quando lui fosse giunto a destinazione era possibile che Jill e Salamander si trovassero già a un centinaio di chilometri di distanza. Inoltre, se il nemico era partito per mare, come sembrava che fosse successo, senza dubbio era ormai lontano insieme alla sua vittima. La cosa aveva perfettamente senso: anche se i Falchi non avrebbero mai potuto far passare un uomo privo di sensi sotto il naso delle guardie del porto e degli addetti alla dogana di Cerrmor, nulla sarebbe stato più facile che portarlo fuori città con un carro, caricarlo su un battello costiero e portarlo fino ad un porto meno sorvegliato dove... dove cosa? Era quel «cosa» che sconcertava enormemente Nevyn. Se i Falchi avessero semplicemente desiderato torturare Rhodry a morte o ucciderlo in fretta, perché non lo avevano portato fuori da Cerrmor per via di terra o non erano addirittura rimasti nella Sentina, dove torturare a morte un uomo era considerato un passatempo indipendentemente dal parere degli uomini del Gwerbret? Perché tutta quella faccenda delle navi e questa lenta partita a gwyddbwcl che dava loro ad ogni mossa la possibilità di perdere tutto? E soprattutto, chi aveva assoldato i Falchi?
Sconcertato quanto un orso con le spalle al muro, il vecchio scosse il capo e ringhiò ad alta voce, riprendendo poi a camminare avanti e indietro. Se non altro, quel viaggio per via d'acqua spiegava perché lui non fosse riuscito ad evocare l'immagine di Rhodry: se erano abbastanza lontani dalla terraferma, i maestri oscuri non avevano bisogno di apporre nessun sigillo sulla loro vittima perché neppure il più grande maestro del dweomer era in grado di esplorare con il dweomer un ampio tratto d'acqua, e soprattutto non l'oceano. I vasti movimenti di forza eterica connessi a tanta acqua disintegravano le immagini e al tempo stesso schermavano chiunque stesse cercando di nascondersi, come una densa nebbia o una cortina di fumo fanno con qualcuno che stia usando la vista normale. Finché i Falchi avessero tenuto Rhodry al largo dalla costa nessun dweomer al mondo avrebbe potuto trovarlo. — Suppongo che stiano in qualche modo giocando con noi — commentò, rivolto ad un grasso gnomo giallo. Lo gnomo si accigliò come se stesse pensando, poi saltò su una cassapanca di legno e cominciò a giocherellare con i propri piedi. — Abbiamo però una speranza — proseguì Nevyn, — e cioè che abbiano in mente di chiedere un riscatto o qualcosa del genere. Se è così, almeno terranno lontano da lui le loro sporche mani, per lo meno fino a quando non avranno aperto le trattative. Lo gnomo si girò a guardarlo e annuì per indicare che aveva capito... dal momento che gli gironzolava intorno ormai da molti anni, quella particolare creatura aveva cominciato a sviluppare i rudimenti di una mente. All'improvviso lo gnomo s'irrigidì, balzò in piedi e indicò verso la porta, che si aprì mentre ancora Nevyn si stava girando. — La mia signora Lady Lovyan desidera sapere se sei libero, signore — annunciò un paggio. — Talidd di Belglaedd si è appena presentato alla nostra porta. — Allora chiama la signora del Gwerbret perché vegli il marito. Io scenderò di sotto non appena lei arriverà — rispose Nevyn, borbottando sottovoce qualche imprecazione scelta e predisponendosi quindi a fronteggiare l'intrigante nobile. Quando scese nella grande sala vide con notevole sollievo che Talidd non era il solo ospite presente alla grande tavola. Lord Sligyn sedeva alla destra della Tieryn, intento a bere birra e a fissare Talidd con occhi roventi da sopra il bordo del boccale. Sligyn, un uomo robusto sulla trentina, con il volto arrossato e un paio di folti baffi biondi, si alzò quindi in piedi lan-
ciando un tonante richiamo all'indirizzo di Nevyn. — Eccoti finalmente, erborista! Vieni e cerca di inculcare un po' di buon senso in questo stupido cocciuto di un nobile. — Chiedo scusa, mio signore, non ho capito bene — ritorse Talidd, scattando subito in piedi. — E invece faresti bene a capire! Spargere tutte queste assurdità sul conto del nostro Rhodry! Talidd aprì la bocca, lanciò un'occhiata verso Lovyan e si affrettò a richiuderla, mentre Nevyn si sentiva raggelare e si chiedeva se per caso Talidd avesse scoperto il segreto della paternità di Rhodry; vagamente, si accorse che dall'altra parte della sala Cullyn si era alzato ed era avanzato verso di loro di qualche passo. — Volete per favore sedervi tutti e due? — chiese Lovyan, con una sfumatura d'acciaio nella voce. — Quali assurdità, Sligyn? — Che il ragazzo è morto — rispose questi, tornando a prendere posto sulla panca. — E tu non cercare di negarlo, Talidd, perché ti ho sentito io stesso mentre ne parlavi a quel torneo dato da Peredyr. Un mucchio di... uh... di sciocchezze. Talidd sussultò e si affrettò a sedersi, evitando accuratamente lo sguardo di Lovyan. — Chiedo perdono a Vostra Grazia se le ho causato angoscia. Quel giorno avevo bevuto un po' troppa birra e mi stavo soltanto chiedendo come mai i cavalieri del re non avessero ancora trovato il ragazzo, se è vivo. Sligyn accennò a sbottare rabbiosamente per contraddirlo ma Nevyn gli posò con forza una mano sulla spalla per indurlo a tenere a freno la lingua. — Non mi considero offesa, mio signore — replicò Lovyan, che appariva soltanto un po' stanca e nulla di più. — Io stessa mi sono posta spesso la stessa domanda. Nevyn, vuoi per favore sederti? Non sopporto di vedervi tutti incombermi intorno. — Chiedo scusa a Vostra Grazia — rispose il vecchio, occupando il posto accanto a Sligyn. — Per quanto è possibile stabilire, pare che Rhodry si stia abilmente nascondendo alle guardie del re, ma non ho idea del perché. Sul volto di Talidd passò una strana espressione, un accenno di disprezzo immediatamente soffocato che però non sfuggì a Sligyn. Sbattendo il boccale sul tavolo il nobile si protese in avanti. — Sputa il rospo, uomo — ringhiò. — Ne ho avuto abbastanza dei tuoi sogghigni e delle tue mezze parole. Sentiamo! Talidd arrossì violentemente.
— Mi stavo soltanto chiedendo perché non voglia essere trovato, Lord Sligyn. Ormai è una daga d'argento da anni, giusto? E questo induce a chiedersi cosa possa aver fatto. Sligyn si alzò in piedi con mosse lente e deliberate. — Stai insultando il figlio della mia signora proprio davanti a lei? — Affatto — ritorse Talìdd, alzandosi a sua volta. — Stavo soltanto esprimendo un dubbio. Prima che Lovyan potesse intervenire Cullyn raggiunse a grandi passi la tavola e s'interpose fra i due nobili, inchinandosi con rispetto ad entrambi. — Chiedo scusa, Lord Sligyn, ma se qualcuno deve risentirsi per gli insulti recati alla mia signora quello sono io. Dopo tutto è mio dovere, come suo capitano. Talidd impallidì e si sedette piuttosto in fretta. — Se Vostra Grazia mi vuole perdonare, credo di aver dimenticato quale sia il mio posto. Lo stato di scompiglio in cui si trova il rhan comincia a pesare su tutti noi — mormorò. — Infatti — ammise Lovyan, indirizzandogli un breve cenno del capo. — Prometto che non appena avrò notizie di Rhodry il Consiglio degli Elettori ne sarà a sua volta informato. — Ringrazio umilmente Vostra Grazia. Anche se da quel momento Talidd badò a parlare cortesemente e accorciò al massimo la sua visita, Nevyn si trovò a porsi delle domande sul conto di quel nobile. Come faceva ad essere tanto sicuro che Rhodry fosse morto? Possibile che avesse avuto qualcosa a che fare con il suo rapimento? — Dannazione a tutti quanti! — esclamò Salamander. — Possano marcire loro prima i denti e poi il naso, possano i loro occhi riempirsi di siero e gli orecchi assordarsi. Possa il loro respiro rallentare e il loro cuore tremare nel petto, possa la loro virilità diventare un ricordo del passato. — Era questo che stavi elaborando mentre facevi colazione? — commentò Jill. — Credevo che fosse sbagliato per un uomo del dweomer lanciare maledizioni. — Lo sarebbe se ad esse fosse connesso qualche potere, ma purtroppo le mie imprecazioni sono soltanto parole vane, vuote e prive di significato, il cui unico scopo è quello di dare sollievo al mio cuore tormentato — ribalté lui, alzandosi da tavola e accostandosi a grandi passi alla finestra. — E dannazione anche a questa nebbia! Possa avvizzire, sparire e trasformarsi
in aria! — Cos'ha che non va la nebbia? — volle sapere Jill. — Nessuna nave costiera salpa a causa di essa, e a noi serve una nave. — Davvero? — Sì. Mentre tu stavi dormendo, mia tortorella, io ho riflettuto su piani e astuzie. Il tuo successo nella Sentina mi ha dato un'idea... o per essere precisi parecchie idee, di cui ho però scartato la maggior parte — spiegò lui, girandosi e appollaiandosi sul davanzale. — È ovvio che ci si aspetta da noi che diamo la caccia a questo Briddyn. Se i Falchi avessero voluto davvero nascondersi da noi non avremmo scoperto nulla, per quanto tu avessi terrorizzato l'intera Sentina. Invece i Falchi hanno lasciato indizi tanto evidenti che perfino gli uomini del Gwerbret li avrebbero potuti seguire, quindi a noi restano due alternative: la prima è che Briddyn fosse soltanto una falsa pista destinata ad allontanarci da quella vera, e la seconda è che lui sia invece un'esca per attirarci in una trappola. L'istinto mi avverte che si tratta del secondo caso. — Oho! Ma che succederebbe se seguissimo la sua pista ed evitassimo la trappola? — Esattamente ciò che ho pensato io. Ho il sospetto che ci stiano sottovalutando. Per quel che ne so, potrebbero benissimo essersi resi conto che posseggo il dweomer, ma sono pronto a scommettere la mia ultima moneta di rame che non sanno che lo hai anche tu, così come sono certo che ignorano la tua abilità con la spada. — Bene. Dimostrargliela mi allargherà il cuore. — Non ne dubito. Io... — cominciò Salamander, interrompendosi quando sentì bussare alla porta. Jill andò ad aprire e si trovò davanti un ragazzino assonnato di circa sei armi. — Chiedo scusa, signore, ma fuori c'è un uomo che dice di voler parlare con te e Pà non lo ha voluto lasciar salire: mi ha detto invece di venire a chiederti se può mandarlo su. — Davvero? Che aspetto ha? — È un uomo del Bardek, è tutto coperto di cicatrici ed ha uno strano odore. Uno strano odore? Che diavolo significa, per tutti gli inferni? pensò fra sé Jill, poi diede al ragazzo una moneta di rame e gli disse di accompagnare su quell'uomo. Quando qualche momento più tardi il taverniere dell'Uomo Rosso si pre-
sentò sulla soglia, Jill comprese cosa avesse inteso dire il ragazzo: in effetti l'uomo aveva uno strano odore, che non era però di profumo ma era l'odore della paura, quel particolare sentore acuto che il sudore di un uomo acquisisce quando è spaventato. Non appena la porta si fu richiusa alle sue spalle, il taverniere si gettò ai piedi di Jill. — Uccidimi adesso! Non mi far aspettare ancora, ti prego. Resto sveglio ad attendere per tutta la notte e questo mi fa impazzire. Assolutamente confusa, Jill infilò i pollici nella cintura che reggeva la spada e piegò le labbra in un sorriso crudele nel tentativo di guadagnare tempo, ma Salamander parve comprendere al volo e si allontanò rapidamente dalla finestra per fissare il taverniere negli occhi, mentre questi esalava un sospiro di pura ansia. — Ucciderti mi potrebbe divertire — commentò il gerthddyn con indifferenza, — ma forse non ce n'è bisogno. — Ma ho parlato! Mi sono lasciato sfuggire il nome di Briddyn! Non mi ero reso conto che mi stavate mettendo alla prova. Salamander emise una risatina dal suono sgradevole e di colpo Jill comprese: il taverniere era convinto che entrambi fossero Falchi. — Nulla del genere — intervenne. — La Confraternita è soltanto questo, una banda di fratelli, e tu hai mai conosciuto dei fratelli che in fondo al cuore non fossero rivali fra loro? Hai mai conosciuto un fratello maggiore che dividesse spontaneamente i propri dolci con quello minore? Se sì, allora hai incontrato un uomo in erba davvero raro e santo. Il colore tornò ad affluire sul volto del taverniere. — Capisco. Quindi voi volete davvero trovare questo Rhodry... — Per nostri motivi personali, cane! — esclamò Salamander, sferrandogli allo stomaco un calcio abbastanza forte da strappargli un grugnito. — Ma tu non hai detto al mio compagno tutto quello che sapevi, vero? Dillo subito a me se non vuoi che ti getti addosso un incantesimo che ti induca a gettarti giù da un molo e ad affogarti da solo. L'uomo annuì asciugandosi ripetutamente la bocca su una manica, poi deglutì a fatica e infine parlò. — Lo stano portando a Slaith. Non so il perché, ma ho sentito Briddyn dire qualcosa a proposito di Slaith ai suoi due compagni. Anche se il nome non significava nulla per Jill, il gerthddyn emise un grugnito di sorpresa nel riconoscerlo. — Avrei dovuto immaginarlo — commentò. — Benissimo, cane, torna strisciando nel tuo canile, ma se parlerai di noi a qualcuno...
— Mai! Lo giuro sugli dèi di entrambi i nostri popoli! Tremando e sudando abbondantemente il taverniere si alzò in piedi e fuggì senza vergogna; mentre richiudeva la porta alle sue spalle Jill lo sentì scendere a precipizio le scale. — A Slaith, vero? — ripeté intanto Salamander, con voce cupa. — Questo è un cattivo presagio, piccioncina, un presagio davvero nefasto. — Dove si trova? Non ne ho mai sentito parlare. — Non mi sorprende, visto che sono pochi a conoscerne l'esistenza, ma devo ammettere che di certo hai messo una paura demoniaca nel cuore di quel vigliacco. Con che cosa sto viaggiando, con un serpente velenoso? — Lo spero, visto che dicono che le vipere siano immuni al veleno — replicò Jill, poi s'interruppe, assalita da un pensiero improvviso. — Mi chiedo però se quel tizio non veda Falchi dovunque perché una volta ha avuto a che fare con loro. Quelle cicatrici... — Oh, non c'entrano. Mi dimentico sempre che tu non sai molto a proposito del Bardek. Senza dubbio quell'uomo era solito duellare con il coltello, uno sport praticato da quelle parti. Si tiene il coltello in una mano e intorno all'altro braccio c'è una manica imbottita che serve da scudo... l'uomo che ferisce per primo l'avversario vince. La gente ricca ha i suoi preferiti e li ricopre di doni e cose del genere, per cui è di certo così che il nostro amico ha messo insieme i soldi per costruirsi la sua taverna; visto che si trova nella Sentina non deve però aver avuto molto successo, oppure... — Oh, dèi, non me ne importa un accidente! Devi proprio tenere una conferenza su tutto? — Ecco, in effetti lo faccio perché serve a scaricare le mie emozioni e perché mi fa apparire come uno stupido, il che è esattamente ciò che voglio che i nostri nemici pensino di me. Chi prenderebbe mai sul serio uno sciocco e una vipera? — Affare fatto, allora, tu continua a cianciare ed io penserò a sibilare. — E adesso è ora che io vada a farfugliare un poco giù al porto, perché dobbiamo trovare un passaggio fino a Dun Manannan: è più rapido che cavalcare per tutto il tragitto e potremo comprare poi là i cavalli per il tratto finale del viaggio. — Ma dove stiamo andando? — A Slaith, naturalmente. Ah, mia graziosa tortorella, c'è in serbo per te una sorpresa davvero particolare.
Dal momento che riportare ad Aberwyn un singolo prigioniero non era certo una delle priorità reali, Perryn rimase a marcire nella prigione del re per parecchi giorni, ciascuno più noioso del precedente: senza nulla da fare che dormire e intrecciare fili di paglia, il nobile fu quasi grato quando una mattina Madoc venne ad annunciargli che sarebbe partito quel pomeriggio stesso. — Una galea deve raggiungere Cerrmor con alcuni dispacci e a bordo hanno posto per un ladro di cavalli. Da quel punto in poi ti farò trasferire su una nave mercantile ma ti sconsiglierei di cercare di scappare perché il padrone della nave è un uomo formidabile. — Oh... er... ah... non ti devi preoccupare di questo, perché non so nuotare. — Bene. Ora, quando arriverai ad Aberwyn cerca di essere onesto con mio zio, e lui vedrà cosa si può fare per salvarti il collo. — Suppongo che ti dovrei ringraziare, ma in qualche modo non riesco a trovare questo sentimento nel mio cuore. Con sua estrema sorpresa a quelle parole Madoc scoppiò in una risata genuinamente divertita e lo lasciò solo. Il viaggio sul fiume verso valle fu rapido e facile, e la galea arrivò a Cerrmor proprio quando Jill e Salamander stavano lasciando la città: mentre veniva consegnato agli uomini del Gwerbret, Perryn avvertì per un istante la presenza di lei ma poi tornò a perderla quasi immediatamente. Le guardie lo trascinarono alla fortezza del Gwerbret Ladoic dove lui trascorse una notte orribile in una piccola cella resa fredda e umida dalla densa nebbia di Cerrmor, e l'indomani mattina due cavalieri del Gwerbret vennero a prenderlo, gli legarono le mani dietro la schiena e lo scortarono fino al porto, ignorando le sue giunture che dolevano ad ogni passo. All'estremità di un lungo molo di legno c'era una grossa nave mercantile del Bardek, con la vela latina e lo scafo pesante, e in attesa sulla passerella c'era uno degli uomini più grossi che Perryn avesse mai visto. Alto più di due metri, l'uomo aveva braccia e spalle enormemente muscolose, la sua pelle era talmente scura da sembrare nerissima con riflessi azzurri, e il suo aspetto era formidabile come aveva detto Madoc... il effetti l'espressione fredda e calma dei suoi occhi ricordò a Perryn quella del funzionario reale. — Questo è il prigioniero? — domandò l'uomo, con voce tanto cupa e profonda da rimbombare lungo il molo come il rumore di una botte fatta rotolare.
— È lui, Mastro Elaeno — spiegò una delle guardie. — A vederlo non sembra granché, vero? — Se Lord Madoc vuole pagare il trasporto di un ermellino fino ad Aberwyn non sarò io a discutere. Portiamolo a bordo — replicò Elaeno, afferrando la camicia di Perryn con una mano massiccia e sollevandolo dal suolo di qualche decina di centimetri. — Dammi il minimo fastìdio e ti farò frustare. Mi hai capito? Perryn stridette qualcosa che sembrava un assenso ed Elaeno lo sollevò oltre la murata, lasciandolo cadere sul ponte con un tonfo, poi rivolse un cenno ad un paio di marinai dalla pelle scura quanto la sua. — Mettetelo nella stiva, ma badate che sia nutrito come si deve e che abbia acqua pulita durante il viaggio. Anche se umano da parte del padrone della nave, preoccuparsi del nutrimento del prigioniero risultò essere anche uno spreco di tempo perché non appena la nave lasciò il porto per addentrarsi in mare aperto lo stomaco di Perryn decise di sconvolgersi e mentre il mal di mare gli si riversava addosso a ondate successive, lui rimase disteso sul pagliericcio gemendo e desiderando la morte. Di tanto in tanto uno dei marinai veniva a vedere come stava, ma per tutto il viaggio di trenta ore la risposta fu sempre la stessa: Perryn sollevava gli occhi velati e pregava che lo impiccassero e la facessero finita. Quando infine la nave attraccò ad Aberwyn il nobile era ormai in tali condizioni che dovettero portarlo a terra a braccia. Giacere disteso sul molo fu come raggiungere il paradiso, e Perryn si aggrappò con entrambe le braccia al legno rozzo e sporco, prendendo addirittura in considerazione la possibilità di baciarlo mentre la pungente brezza marina gli sgombrava la mente dagli ultimi residui di nausea. Allorché infine gli uomini del Gwerbret arrivarono dalla fortezza con un carretto, Perryn si sentiva ormai quasi allegro e perfino essere rinchiuso in un'altra cella non poté rovinare il suo buon umore... la paglia poteva anche essere sporca, ma copriva un pavimento solido sulla terraferma. La sua allegria cominciò però ad evaporare allorché si accorse di avere un freddo sempre più intenso. La giornata era resa grigia dalla nebbia, un vento pungente soffiava attraverso la finestra munita di sbarre e lui non aveva una coperta e neppure un mantello; anche se si raggomitolò in un angolo, coprendosi le gambe con un po' di paglia, entro pochi minuti cominciò a tremare in maniera incontrollabile, e quando infine sentì qualcuno che si avvicinava alla sua porta, mezz'ora più tardi, aveva cominciato anche a sternutire. Il battente si spalancò, rivelando un vecchio alto e con i
capelli bianchi, che indossava semplici calzoni grigi e una camicia ricamata al collo con leoni rossi; poi, proprio mentre l'uomo stava per cominciare a parlare, Perryn ebbe un attacco di crampi... o almeno credette che si trattasse di questo perché gli sembrò che innumerevoli gatti gli fossero saltati addosso e lo stessero artigliando così dolorosamente da costringerlo a contorcersi e a gridare. — Basta! — ordinò il vecchio. — Smettetela subito... tutti quanti! Obbediente, Perryn s'immobilizzò e subito i dolori cessarono, mentre lui si chiedeva perché il vecchio gli si fosse rivolto usando l'espressione «tutti quanti». — Ti chiedo scusa, ragazzo. Mi chiamo Nevyn, e sono lo zio di Madoc. — Sei un mago anche tu? — Infatti, e sarà bene che tu faccia esattamente quello che ti dico, altrimenti... altrimenti ti trasformerò in un rospo! Ora vieni con me, dal tuo aspetto è evidente che sei molto malato ed ho il permesso della reggente di tenerti in una camera sotto sorveglianza anziché qui. Perryn sternuti, si asciugò il naso su una manica e si alzò in piedi, ripulendosi dalla paglia e chiedendosi come sarebbe stato saltellare in una palude per tutta la vita.... poi incontrò per caso lo sguardo di Nevyn che gli trapassò l'anima e parve inchiodarlo contro un invisibile muro mentre il vecchio frugava a proprio piacimento nella sua mente. Alla fine Nevyn lo lasciò andare e scosse il capo. — Sei proprio un mistero, e capisco perché Madoc ti abbia mandato da me. Inoltre sei prossimo a morire... te ne rendi conto? — È soltanto un raffreddore, mio signore. Devo averlo preso su quella dannata nave. — Non mi riferivo al raffreddore. Ora vieni con me. Mentre attraversavano il cortile Perryn sollevò lo sguardo verso l'alto complesso della rocca e soltanto allora, vedendo le torri che sembravano ondeggiare avanti e indietro, si rese conto di ardere dalla febbre. Nevyn dovette aiutarlo a salire la scala che portava ad una piccola stanza in una delle torri più basse, e Perryn rimase sconvolto dalla forza fisica dimostrata dal vecchio quando questi lo trascinò oltre la porta e lo issò sullo stretto giaciglio. — Ora togliti gli stivali, ragazzo, mentre io accendo un fuoco. Lo sforzo di sfilarsi gli stivali lo stancò a tal punto che Perryn ebbe appena le energie sufficienti per infilarsi sotto le coperte e stava già scivolando nel sonno quando il capitano della nave, Elaeno, venne nella stan-
za... ma il suo sfinimento era tale che nessuna quantità di chiacchiere poté tenerlo sveglio oltre. — Non è granché, vero? — osservò Nevyn. — È quello che ho detto quando l'ho visto per la prima volta — replicò Elaeno, scuotendo il capo con una leggera perplessità, — anche se naturalmente soffrire il mal di mare per oltre due giorni non aiuta certo un uomo ad avere un bell'aspetto. — Inoltre è stato picchiato duramente da non molto tempo... guarda il dente mancante, le cicatrici recenti e tutto il resto. Salamander mi ha detto che il nostro Rhodry lo ha raggiunto sulla strada. — Mi sorprende che sia ancora vivo. — Sono sorpreso anch'io. Salamander non ha idea del perché Rhodry non lo abbia ucciso e neppure io. Ah, bene, comunque è vivo e spetta a noi districare il mistero che costituisce. Da un'occhiata alla sua aura. Piegando la testa da un lato Elaeno lasciò che la vista gli si appannasse leggermente nell'esaminare l'aura circostante la figura addormentata di Perryn. — È la cosa più strana che abbia mai visto — commentò infine il Bardekiano. — Il colore è del tutto sbagliato e le stelle interne sono fuori posto. Pensi davvero che sia un essere umano? — Cosa? E che altro potrebbe essere? — Non ne ho idea, è solo che non ho mai visto un essere umano con un'aura del genere in tutta la mia vita... e neppure un elfo o un nano. — Questo è vero e vale la pena di rifletterci sopra. Se è un qualche tipo di anima aliena intrappolata in un corpo umano questo spiegherebbe molte cose, ma sfortunatamente non potremo mai scoprire la verità. È molto malato. — Credi di poterlo salvare? — Non lo so, ma mi sento obbligato dal dovere a provarci, nonostante quello che ha fatto a Jill. Sta soffrendo, dopo tutto, e poi mi sembra che dovremmo scoprire tutto il possibile sul conto di questo strano essere... ma gli dèi mi sono testimoni che un altro fardello era l'ultima cosa di cui avevo bisogno adesso. — Ci stavo appunto pensando. Potremmo svernare qui se ti serve il mio aiuto. Posso mandare un messaggio a mia moglie con un'altra nave. Nevyn accennò a parlare ma poi s'interruppe, chiedendosi cosa ci fosse che non andava nella sua voce, e di colpo si rese conto di essere prossimo
alle lacrime. Sorpreso, Elaeno gli posò una mano sulla spalla. — Lo apprezzerei molto — balbettò infine Nevyn. — Oh dèi, quanto sono stanco! — Io non so più cosa il re pensi, Lord Madoc — confessò Blaen, — e ammetto che questo mi fa dolere il cuore. Mi chiedo se non sono stato troppo insistente o qualcosa del genere. — È possibile. Il nostro signore è un uomo suscettibile ed è geloso della sua forte volontà — replicò Madoc, poi esitò osservando il sidro che faceva ruotare nel boccale. — D'altro canto, credo che il Gwerbret Savyl abbia a che vedere con la freddezza del nostro signore più che non la tua mancanza di tatto. Blaen sussultò. Pur sapendo benissimo di non essere un cortigiano dai modi raffinati non gli andava di sentirselo ricordare così apertamente. I due erano seduti nelle comode camere assegnate a Madoc in una delle torri ausiliarie del complesso del palazzo, in cui la stanza principale conteneva oltre a un paio di poltrone imbottite, al solito tavolo e ad un grosso braciere che in quel momento ardeva per tenere a bada il freddo della notte, anche uno scaffale a muro che ospitava ventidue libri. Blaen li aveva contati con stupore, perché mai in tutta la sua vita aveva visto tanti libri tutti insieme fuori da un tempio di Wmm. — Ecco, questo commento è stato invece una mancanza di tatto da parte mia, Vostra Grazia — si scusò Madoc, con un sorrisetto di autodeprecazione. — Chiedo scusa, ma la faccenda di tuo cugino sta cominciando a seccarmi: il suo posto è ad Aberwyn, ma se il re non vuole richiamarlo... — Il funzionario lasciò la frase a mezzo e allargò le mani in un gesto d'impotenza. — Proprio così, e ormai ho paura di richiedere un'altra udienza: se ho irritato il nostro signore, non voglio rendere le cose peggiori. Devo peraltro dire che ho apprezzato tutto quello che hai fatto per me e che puoi contare sul mio aiuto per qualsiasi cosa di cui tu possa avere bisogno. — Ti ringrazio, ma il dweomer ha un suo grande interesse personale per il nostro Rhodry. — Così sembra — convenne Blaen, bevendo un sorso di sidro e tornando a posare il boccale sul tavolo. Quando era a corte preferiva essere sempre sobrio e sul chi vive. — E non credo di poterne chiedere il perché. — Ma certo, perché non è un segreto. Quando Rhodry era ancora un ragazzo, Nevyn ha ricevuto un portento che lo riguardava, secondo il quale
pare che il Wyrd di Eldidd sia il Wyrd di Rhodry. — Oh — mormorò Blaen, tropo stupefatto per dire altro. — Oh. Madoc sorrise, poi si alzò e prese a passeggiare con inquietudine davanti alla finestra, osservando il cielo notturno striato di nubi nella luce della luna piena a metà. In quel momento, nell'osservarlo Blaen ebbe l'impressione che Madoc somigliasse moltissimo a Nevyn per la posa eretta da guerriero e per l'espressione dei suoi occhi, quasi stesse vedendo un panorama molto più ampio di quello offerto fisicamente dalla finestra, e di nuovo si domandò se Madoc fosse davvero un parente del vecchio. .. anche se in passato ne aveva dubitato, ora quella parentela cominciava ad apparirgli plausibile. — Vedrò se riuscirò a parlare di persona con il nostro signore — decise infine il funzionario. — In tutto il tempo che sono stato qui non ho mai richiesto un'udienza privata, quindi forse ora mi sarà possibile ottenerne una. Domani vedremo. Quando la nave costiera attraccò a Dun Manannan, all'alba di un giorno limpido pervaso da un vento freddo araldo dell'autunno, Jill fu profondamente lieta di poter rimettere i piedi sulla terraferma, e nella sua gioia di sentire di nuovo sotto di sé il terreno solido non registrò quasi il flusso di chiacchiere che giungeva da Salamander mentre erano intenti a raccogliere il loro equipaggiamento ad un'estremità del molo. Alla fine, però, alcune delle sue parole la indussero a prestare attenzione. — ... non possiamo fermarci in una locanda, è troppo pericoloso. — È probabile — convenne Jill. — Ho un amico qui in città, ma non credo che gli andrai a genio. — Cosa? Un'affermazione assai scortese, mia tortorella. E perché mai? — Perché è un nano ed è convinto che tutti gli elfi siano ladri — spiegò Jill, protendendosi in avanti per parlare con voce sommessa. — Ed io ritengo che tutti i membri del suo popolo siano ottusi e ubriaconi, e che vada al diavolo. In ogni caso hai ragione, è meglio comprare un paio di cavalli e rimetterci in cammino. — Però possiamo fermarci lo stesso da Otho — suggerì Jill, che avrebbe avuto piacere di rivedere l'argentiere. — Lui potrebbe indicarci il posto migliore dove comprare gli animali. La casa di Otho era all'estremità della città, vicino al fiume, e sulla porta erano appese tre campanelle d'argento che tintinnarono in una gentile cascatella di suono quando Jill aprì il battente. I due entrarono nell'anticame-
ra, una stretta fetta della costruzione rotonda separata dal resto della casa mediante un divisorio in vimini a cui era inchiodata una sporca coperta verde che sostituiva una porta. — Chi c'è? — chiese Otho. — Jill la daga d'argento, con un amico. Pulendosi le mani su uno straccio l'argentiere spinse di lato la coperta e venne fuori, fissando subito Salamander con occhi arroventati da un sospetto eccessivo. — E così, giovane Jill, i tuoi gusti in fatto di uomini peggiorano sempre di più. Hai lasciato un dannato elfo per un altro, solo che questo è un damerino fatto e finito. — Non ho affatto lasciato Rhodry, Otho. Questo è suo fratello e non un mio amante. — Hump! Ti sei imparentata proprio con una bella famiglia — commentò Otho, poi s'interruppe e scrutò il gerthddyn con attenzione. — Devi essere dannatamente abile con le tue dita per avere abiti così belli, ragazzo. Non ti lascerò entrare nella mia bottega, questo è certo. — Un momento! Non sono un ladro! — Hah! Questo è tutto ciò che ho da dire: hah! Ora, cosa desideri oggi da me, Jill? — Soltanto qualche consiglio. Conosci in città un mercante di cavalli onesto? — Non in città, ma ce n'è uno circa un chilometro a nord di qui. Si chiama Bevydd ed è un mio amico, perché nel corso degli anni gli ho fabbricato parecchi finimenti eleganti. Digli che ti ho mandata io. Prendi la strada del fiume puntando dritto fuori città verso nord, poi svolta a sinistra quando arrivi al viottolo costeggiato da faggi. — Un chilometro? — fece Salamander, con un gemito. — Camminare per un intero chilometro? Otho levò gli occhi verso l'alto a tal punto da dar l'impressione che li avrebbe persi. — Sua signoria si sente i piedi teneri, oggi? Per gli dèi, Jill, se fossi in te troverei un altro clan con cui imparentarmi. — Una volta che li conosci impari ad apprezzarli. — Non più del muschio o della muffa, ne sono certo. — Chiedo scusa, ma non sono costretto a stare qui a sentirmi insultare — scattò Salamander. — Non dubito che tu possa essere insultato dovunque vada.
Salamander aprì la bocca per ribattere, ma Jill gli assestò una gomitata nelle costole. — Ti prego di perdonarlo, Otho. Mi stavo chiedendo se tu avessi una mappa dell'Auddglyn da farci vedere, una che mostri ciò che si trova ad est. — Ecco — rifletté l'argentiere, grattandosi la testa con un dito nodoso, — dovrei avere qualcosa del genere e in ricordo dei vecchi tempi andrò a cercarla. Intanto tieni d'occhio quel ragazzo elegante per me. Otho rioltrepassò la coperta e per un paio di minuti i due sentirono i rumori inconfondibili di qualcuno che stava frugando fra mucchi di oggetti che cadevano e rimbalzavano, il tutto mescolato a qualche imprecazione. — Possano gli dèi accorciargli la barba! — sibilò Salamander. — Che coraggio, definirmi un ladro! — Suvvia, non era un'offesa personale. — Humph! E anche tu hai avuto un bel fegato, a chiedere a lui di perdonare me. — Stavo soltanto cercando di sistemare le cose. Zitto... sta tornando. Otho rientrò con aria trionfante, brandendo una pergamena scricchiolante e ingiallita in una mano. Avvicinatosi alla finestra, la srotolò con cura mentre Jill e Salamander gli si accostavano per guardare: la carta mostrava prevalentemente la costa dell'Auddglyn, e Jill ebbe la netta impressione che fosse stata tracciata prima che la provincia venisse effettivamente popolata. Ad est, oltre Dun Manannan, si vedeva il gruppo di isole note come il Maiale e i Porcellini, ma il villaggio di Brigvetyn appena a nord di esse mancava e ancora più avanti il lato orientale della pergamena era del tutto vuoto con l'eccezione di una piccola bandiera recante la scritta «qui ci sono i draghi». — Draghi? — chiese Jill. — Deve trattarsi di un capriccio dello scriba e niente di più. — Proprio così — confermò Salamander. — I draghi di Deverry vivono tutti sulle montagne settentrionali. — Cosa? — Oh, era soltanto uno scherzo — garantì lui, ma parlò tanto in fretta che Jill comprese che stava cercando di nascondere qualcosa. — Una storia per un'altra occasione. Ora, vedi questo piccolo fiume, mia tortorella? Il Tavaber? Il suo estuario è dove siamo diretti. — Non ho mai sentito dire che là ci fosse una città. — Certamente, ed è per questo che ho detto che ti aspettava una sorpre-
sa. Per una volta Salamander stava dicendo la pura e semplice verità. Dopo che ebbero comprato cavalli nuovi, un grigio robusto per Salamander e un sauro per Jill, ed anche un mulo da soma, i due si diressero ad est seguendo la strada costiera fino a Cinglyn, distante circa quattro giorni di viaggio. Durante quella parte del cammino la strada di terra battuta e di ghiaia risultò essere ben tenuta e si snodò attraverso terre coltivate dove i contadini stavano cominciando a raccogliere il grano estivo. Cinglyn stesso era prossimo a trasformarsi da un grosso villaggio in una piccola città e i due non ebbero problemi a rifornirvisi di provviste. Quando però cercarono di informarsi sulla strada da seguire da quel punto, ottennero soltanto sguardi vacui o vera e propria derisione. — Non c'è nulla là fuori — dichiarò il fabbro. — Nulla tranne l'erba, cioè. — Può darsi — ammise Salamander, — ma nessuno ha mai avuto la curiosità di andare a vedere? Di certo qualcuno sarà andato a dare un'occhiata. — E perché? — ribatté l'uomo, sputando nella polvere. — Non c'è nulla là fuori. Per i primi due giorni Jill dovette dirsi d'accordo con il fabbro e cominciò a chiedersi se Salamander fosse impazzito. La strada si ridusse dapprima ad un sentiero di terra e poi ad una pista per la selvaggina finendo quindi per scomparire del tutto ad una ventina di chilometri da Cinglyn; a quel punto Salamander decise di raggiungere la spiaggia e per tutto quel giorno e parte del successivo i due cavalcarono sulla sabbia compatta e bagnata al limitare dell'acqua, mentre i membri del Popolo Fatato si affollavano in sciami intorno a loro, cavalcando sulla sella o sulla groppa dei cavalli, correndo accanto a loro, volteggiando nell'aria e levandosi dalle onde argentee che tuonavano poco lontano. Allorché i due si accamparono per la notte, le creature si sedettero tutt'intorno in file ordinate come se stessero aspettando qualcosa, e Jill scopri che cosa quando Salamander elargì loro una canzone. I membri del Popolo Fatato lo ascoltarono affascinati e scomparvero nel momento stesso in cui ebbe finito. Il quarto giorno, però, Jill ebbe una sorpresa. Lasciato il limitare dell'acqua, deviarono verso l'entroterra fino a trovare un'altra strada da tempo in disuso e ridotta ad uno stretto sentiero fra i prati di erba alta ma che correva dritta e decisa. A mezzogiorno s'imbatterono in un frutteto che si era inselvatichito, dove molte mele giacevano al suolo a marcire sotto un grovi-
glio di alberi che non erano più stati potati, e appena oltre videro un monticello erboso e circolare che sembrava costituire i resti delle mura di un villaggio; al suo interno Jill riuscì a individuare cerchi appena accennati sul terreno dove un tempo erano sorte le case. Non appena i due si avvicinarono alle rovine, i membri del Popolo Fatato scomparvero. — Cosa è successo a questo posto? — domandò Jill. — Tu lo sai? — È stato bruciato dai pirati. — I pirati? E cosa cercavano in un villaggio di contadini? Scommetto che qui non c'era nessun favoloso bottino da raccogliere. — Certo, non c'erano né oro né gioielli, ma c'era comunque una fonte di ricchezza: schiavi, mia innocente tortora, schiavi da vendere nel Bardek. I razziatori uccidevano gli uomini perché causavano più problemi che altro e poi caricavano donne e bambini sulle loro navi. Gli schiavi di Deverry sono una merce rara sulle isole, esotici e quindi costosi, come i Cacciatori Occidentali di Eldidd sul mercato dei cavalli. Un tempo c'erano molti piccoli villaggi sparsi su per il fiume e nell'Auddglyn, ma adesso sono tutti scomparsi. — Per il ghiaccio di tutti gli inferni! Ma il Gwerbret locale non ha posto fine ai saccheggi? Perché ci ha messo tanto? — Il Ggwerbret locale si trova a circa duecento chilometri di distanza, dolcezza mia. Sono stati i pirati stessi a porre fine alla cosa, razziando a tal punto le coste che alla fine non sono rimasti più villaggi che si potessero attaccare senza correre rischi. — Oh. Eppure quel fabbro di Cinglyn avrebbe dovuto sapere queste cose. — Certo che lo sapeva, ma si è rifiutato di parlarne, tutto qui. L'intera città deve vivere nel terrore che un giorno quella marmaglia si possa sentire abbastanza baldanzosa da venire a prenderli. La sorpresa più grande giunse però due giorni più tardi. Le alture costiere si andarono facendo sempre più basse fino a svanire in una lunga distesa di dune coperte di rada erba grezza che si infoltì a mano a mano che procedevano verso est, mentre qua e là comparivano piccoli ruscelli e il terreno più umido permetteva la crescita di qualche albero vicino a polle e rivoli d'acqua. Poi s'imbatterono d'un tratto in una strada formata da tronchi posati sul fango, ma ogni volta che Jill cercò di cavare qualche informazione a Salamander questi si limitò a sorridere e a dirle di aspettare. Dopo un paio d'ore, la strada li portò ad un agglomerato di baracche di pescatori che sorgevano in un'insenatura sabbiosa su un lato dell'ampio estuario po-
co profondo. Tirate in secca nel porto c'erano delle navi... alcune malconce imbarcazioni da pesca, tre snelle caracche e due galee, tutte con attrezzature dall'aria sospetta sulla prua. — Per il Signore dell'Inferno — commentò Jill. — Quelli sembrano rostri e catapulte. — Ed è esattamente ciò che sono. Ricordi quei pirati di cui ti ho parlato? Questo è il posto dove svernano: appena più a monte lungo il fiume hanno una vera e propria città e nell'entroterra ci sono alcune fattorie che l'alimentano. Questa, mia cara tortorella, è Slaith. Per alcuni minuti Jill rimase seduta in sella a fissare il pacifico porto in preda ad una sorta di shock. Attraverso i radi alberi sparsi sulla riva del fiume poteva scorgere altri edifici e più oltre ancora quelli che sembravano i tetti di una cittadina di considerevoli dimensioni. — Dal momento che sai tante cose su questo posto — commentò infine, ritrovando la voce, — perché non ne hai parlato con gli uomini dei gwerbret dell'Auddglyn? — Ci ho provato, ma non mi hanno voluto ascoltare. Vedi, il solo modo per prendere Slaith è quello di possedere una flotta di navi da guerra, e nessuno di quei gwerbret ne ha una. — Potrebbero rivolgere una petizione a re. — Certamente... e cedere al nostro signore una parte della loro indipendenza. Nessun Gwerbret sano di mente chiede l'aiuto del re a meno che non si trovi proverbialmente con le spalle al muro, perché l'aiuto del re porta con sé anche gli obblighi verso il re, piccioncina mia. — Mi stai dicendo che quei dannati gwerbret sono disposti a lasciare che questi porci si riproducano qui soltanto per non dover chiedere un favore al re? — Proprio così. Adesso seguimi e lascia parlare me, perché a Slaith dire la cosa sbagliata potrebbe farti finire con la gola tagliata. Mentre scendevano verso il porto, Jill si accorse che sulla sabbia erano disposte rastrelliere di legno su cui era posto il pesce a seccare per l'inverno e avvertì anche il puzzo di interiora, di teste e di code di pesce che marcivano, l'odore meno intenso dei pesci stessi e un sottostante puzzo di palude. — Si tende a dimenticare come sia Slaith — commentò Salamander, con voce soffocata. — Avremmo dovuto portarci dietro del profumo. La città vera e propria si trovava un chilometro e mezzo a nord rispetto alla riva del fiume, e la strada risaliva precariamente attraverso il terreno
paludoso fino ad una porta aperta in una palizzata di tronchi interi coperti da uno spesso strato di bitume per impedire che potessero marcire. Agli occhi di Jill, quella copertura protettiva parve un'espressione di estrema arroganza perché quelle mura avrebbero potuto essere bruciate con un paio di torce se mai si fosse arrivati ad un assedio; inoltre le porte non erano presidiate da nessuno anche se avevano due battenti rinforzati in ferro come quelli di una fortezza. — Entrare a Slaith è facile — osservò Salamander, — ma uscirne è tutt'altra faccenda. — A proposito, cosa ci sei venuto a fare, in passato? — Questa, mio piccolo usignolo, è una storia per un altro giorno. Per il momento le mie labbra sono sigillate. All'interno delle mura c'erano circa cinquecento edifici disposti lungo strade curve e ben lastricate, ma anche se la maggior parte delle case era ben fatta ed era stata imbiancata di recente, il puzzo di palude gravava intenso su tutto, e Jill suppose che dopo un po' si doveva finire per farci l'abitudine, proprio come in una grande città ci si abituava al puzzo delle strade. Al centro dell'abitato si apriva un'affollata piazza che sembrava quella di qualsiasi altro centro abitato del regno in un giorno di mercato, con venditori ambulanti e artigiani che esponevano le loro mercanzie su bancarelle di legno mentre i contadini avevano steso i loro prodotti su alcune coperte oppure esibivano i conigli chiusi in gabbie di vimini o polli appesi per le zampe a lunghi pali. Molto meno ordinari erano però i clienti, uomini con il passo dondolante proprio dei marinai ma tutti armati di spada e donne dal volto pesantemente dipinto con i cosmetici del Bardek. Mentre Jill e Salamander guidavano i cavalli oltre il mercato parecchie persone sollevarono lo sguardo per scoccare loro un'occhiata e poi tornarono accuratamente ad abbassarlo senza mostrare traccia di curiosità. A quanto pareva a Slaith nessuno faceva domande. Tutt'intorno alla piazza del mercato c'erano locande e taverne, molto più numerose di quelle che si sarebbero trovate di solito in una città di quelle dimensioni, e sembrava che avessero tutte una notevole quantità di clienti. Davanti ad una locanda dall'aria prosperosa quattro cavalli erano legati su un lato del cortile lastricato, e nel vederli Jill sussultò e afferrò Salamander per un braccio. — Vedi quel castrato baio? Apparteneva ad un uomo che conosciamo. Mormorando un'imprecazione, Salamander rallentò l'andatura ma continuò ad avanzare, tenendo d'occhio il cavallo senza parere: adesso l'animale
non portava più l'equipaggiamento di Rhodry e al posto della sua vistosa sella da guerriero aveva invece una sella leggera che era poco più di un'imbottitura con un paio di staffe... il genere di sella che avrebbe usato un messaggero o qualcuno che cavalcasse per divertimento. — È evidente che ha un nuovo proprietario — commentò infine il gerthddyn. — Non fissarlo in questo modo, mia tortorella, è molto scortese. Jill volse le spalle all'animale e prese a osservare con noncuranza le diverse locande accanto a cui passavano, ma dentro di sé stava ardendo di rabbia e adesso tutti coloro che c'erano per strada, tutti gli abitanti di quella puzzolente città erano suoi nemici. Desiderava bruciare le loro mura, bruciare le loro navi, gettarsi su di loro e ucciderli tutti mentre fuggivano urlando dalle fiamme. Poi la voce di Salamander interruppe quella sua piacevole fantasticheria. — Stiamo arrivando alla nostra locanda — avvertì. — L'ho scelta perché è probabile che a parte noi sia vuota, ma bada lo stesso ad ogni parola che dici. In fondo ad uno stretto vicolo sorgeva una piccola locanda costruita secondo lo stile del Bardek, con le tegole sbrecciate sul tetto e le pareti macchiate dalla pioggia; nel cortiletto fangoso c'erano una stalla malconcia, un carro rotto e una stia di maiali. Mentre smontavano di sella vicino all'abbeveratoio, un uomo robusto sulla cinquantina venne fuori dall'edificio principale e guardò Salamander con un certo allarme. — Non mi dire che sei tornato in città, gerthddyn. — Invece sì, buon Dumryc. Come avrei potuto vivere senza vedere di nuovo il tuo volto attraente, senza contemplare ancora la gloriosa Slaith e senza respirare la sua aria dolce e profumata di vino? — Continui a chiacchierare come al solito, vero? Chi hai con te? — La mia guardia del corpo. Lascia che ti presenti Gilyn, una vera daga d'argento, che ha ucciso almeno un uomo per ognuno dei suoi sedici anni di vita. — Uhu! Dannatamente probabile. Jill estrasse la spada e con un fendente tagliò il grembiule di cuoio del taverniere dal collo alla pancia. Con uno strillo, Dumryc si gettò indietro stringendo le due metà svolazzanti del grembiule. — La prossima volta sarà la tua grassa gola — avvertì Jill. — Benissimo, ragazzo, ora metti via quell'arnese e vieni dentro a berti in pace un boccale di birra.
Salamander scelse per loro una camera d'angolo al secondo piano della locanda, con finestre che dominavano il cortile della stalla in entrambe le direzioni, perché a Slaith era sempre una buona idea accertarsi di poter vedere con chiarezza da che parte arrivavano i guai. Riposto il loro equipaggiamento, i due chiusero la porta con un robusto paletto e scesero nella sala comune della taverna, dove un ragazzino stava rigirando una pentola di stufato vicino al focolare mentre Dumryc era intento a tagliare rape con una daga all'estremità del tavolo. Jill e Salamander si servirono da soli la birra da una botte aperta, tirarono fuori un paio di mosche e si sedettero poco lontano dal taverniere. — Cosa ti porta a Slaith questa volta? — domandò Dumryc. — Sempre che non ti secchi che te lo chieda. — Non mi secca, anche se non ho ancora pronta una risposta. Gilyn sta però cercando un suo vecchio amico con cui ha diviso molti fuochi da campo e gloriose battaglie. Pare che il ragazzo si sia diretto ad est da Cerrmor, quindi ho pensato che forse avremmo potuto trovare sue notizie a Slaith perché lui è un uomo di Eldidd, abile tanto con un'imbarcazione quanto con una spada. — Qui c'è sempre lavoro per un ragazzo del genere. — Proprio così. Si chiama Rhodry di Aberwyn. — Non l'ho mai incontrato — dichiarò Dumryc, afferrando un'altra rapa e cominciando a tagliarla con movimenti rapidi e nervosi della daga, — ma questo non significa nulla perché potrebbe aver trovato un ingaggio appena arrivato qui ed essere ripartito subito. — È possibile. È un uomo utile da avere intorno. Con un sorriso teso Dumryc tornò alle sue rape senza rispondere e Salamander rivolse a Jill un sorrisetto con un sopracciglio inarcato come per dirle che non doveva credere ad una sola parola del locandiere, ma del resto non avrebbe dovuto preoccuparsi di questo perché alla ragazza non serviva il dweomer o qualcosa del genere per capire quando qualcuno le stava mentendo in faccia. Dopo aver finito la birra andarono a fare una passeggiata per la città. Il mercato era ormai vicino alla conclusione, con i contadini e i mercanti che riponevano sui carri ciò che restava delle loro merci mentre i loro bambini esausti piangevano e strillavano e le mogli contavano con cura i guadagni della giornata. Qualche ubriaco russava sulla paglia sparsa per terra, alcuni cani fiutavano qua e là e prostitute sgargianti passeggiavano per la piazza squadrando con interesse i pirati che si dirigevano verso questa o quella
taverna. Quando andarono a controllare, Jill e Salamander scoprirono che il cavallo di Rhodry non c'era più. — È inutile chiedere in giro chi sia il suo nuovo proprietario — commentò Salamander, con una certa tetraggine, — perché nessuno ci direbbe la verità. — Non ne dubito. Cosa dobbiamo fare adesso? Stare seduti nella taverna e vedere se riusciamo a sentire qualcosa d'interessante? — Non ne sono certo. Io... — Gerthddyn! Salamander! Per gli inferni, fermo dove sei! Un uomo dai capelli scuri, piuttosto robusto, con la lunga barba nera raccolta in sei trecce ordinate, si stava affrettando verso di loro. — Snilyn, o più splendido fra tutti i topi di sentina! Sei ancora vivo, vedo! — Infatti, e sono lieto di vederti. Hai qualche altra bella storia per noi? — Sì, ma questa volta mi sono portato dietro una guardia del corpo. Con una risata ruggente Snilyn assestò una pacca sulla schiena a Jill. — È un tipo cauto, il tuo datore di lavoro — sogghignò, rivelando qualche dente mancante, — ma ha ragione. Non si sa mai quello che i ragazzi possono fare quando sono ubriachi. Da sobri hanno un enorme rispetto per un uomo capace di raccontare una bella storia, ma ubriachi, ecco... — Scrollò le spalle massicce, lasciando la frase in sospeso, poi concluse: — Vieni a bere un boccale a mie spese, Salamander, e anche tu, daga d'argento. Si recarono nella taverna preferita di Snilyn, ma fu Salamander a scegliere il tavolo, uno da cui poteva tenere le spalle contro la parete e avere dalla finestra una buona visuale della strada. Una bionda dall'aria sciatta portò loro i boccali di birra scura poi indugiò guardando Salamander con malinconico interesse finché Snilyn non la mandò via assestandole una pacca sul posteriore. — Non è certo la lingua che ti vuol veder agitare, gerthddyn — commentò il pirata, soffermandosi a ridere della propria battuta per poi aggiungere: — Allora, quando sei arrivato? — Soltanto oggi. Ci siamo fermati alla locanda di Dumryc perché mi piace stare in un posto appartato quando sono a Slaith. — Davvero una buona idea. E cosa ti ha portato qui, se posso chiederlo? — Ecco, si tratta di una strana faccenda e gradirei moltissimo il tuo consiglio in merito a qualcosa. Stiamo cercando un'altra daga d'argento, ma quando ho chiesto informazioni a Dumryc lui ha fatto finta di nulla. Lascia
quindi che lo chieda a te... non c'è bisogno che tu risponda, ma almeno potrai dirmi se devo o meno dimenticarmi di questo ragazzo e non fare mai più domande in merito. — D'accordo. — Si chiama Rhodry di Aberwyn. — Tieni a freno la lingua e non me ne chiedere neppure il perché. — Allora la terrò a freno — garantì Salamander, assestando a Jill una gomitata nelle costole a titolo di avvertimento. — Ti ringrazio. Salamander cominciò quindi a chiacchierare del più e del meno con Snilyn, mentre Jill sedeva davanti al suo boccale ribollendo di rabbia. Avrebbe voluto estrarre la spada, minacciare con il freddo acciaio, colpire e trapassare fino a strappare la verità a quella massa di cenciosi individui e soltanto il semplice fatto che era numericamente inferiore nella misura di uno contro parecchie centinaia la stava facendo rimanere in silenzio. Salamander ordinò intanto un secondo giro di birra a sue spese, accettò il terzo giro proposto da Snilyn e lo trangugiò in un sorso, restando sobrio come soltanto un elfo sa fare. Al tempo stesso prese a raccontare una barzelletta dopo l'altra, fece ridere Snilyn fino alle lacrime, ordinò dell'altra birra e ben presto raccolse intorno a sé una folla interessata e piena di apprezzamento che voleva ascoltare una storia complessa ma anatomicamente impossibile che riguardava un fabbro e la figlia di un mugnaio. — E così il suo martello andò su e giù — concluse Salamander, — e raddrizzò il ferro di cavallo di lei. Ululando di risate, Snilyn gli assestò sulla schiena una pacca tanto forte che per poco il gerthddyn non cadde dalla panca poi borbottò qualche parola di scusa, afferrò Salamander e lo tirò di nuovo su a sedere. Per tutta risposta il gerthddyn gli gettò amichevolmente un braccio intorno alle spalle e gli sussurrò qualcosa in un orecchio, ma pur vedendo Snilyn sussultare e mormorare una risposta, Jill non poté sentire di cosa si trattava a causa delle grida dei pirati che chiedevano a gran voce altre storie. Lasciato andare Snilyn, il gerthddyn li accontentò con una storia ancora più sconcia della precedente. Trascorse un'ora prima che Salamander riuscisse a districarsi dai suoi ammiratori, che gli misero in mano pezzi d'argento guadagnati poco onestamente mentre lui se ne andava. Con la mano sull'elsa della spada Jill camminò un po' più indietro rispetto a lui e tenne gli occhi aperti per sorprendere eventuali borseggiatori durante il tragitto di ritorno alla locanda. Non appena furono sulla strada principale, però, Salamander le fece cenno
di affiancarglisi. — Ho avuto una cattiva notizia — avvertì. — Davvero? Cos'hai chiesto a Snilyn? — Astuto Gilyn dall'occhio acuto — replicò Salamander, sorridendole. — Non sottovalutare mai il potere del cameratismo, dell'allegria sboccata e di tutto il resto. Ho sfruttato anche il potere della sorpresa e gli ho fatto capire che sapevo più di quanto lui pensava che sapessi. La mia domanda è stata se qualcuno aveva tratto profitto a spese del nostro Rhodry e lui mi ha risposto che ci avevano ricavato circa venti monete d'oro. — Venti? È un lwdd enorme per una daga d'argento. Devono sapere che lui è l'erede di Aberwyn. — Lwdd? Non hai capito. Non si tratta di un prezzo di sangue, mia splendida allodola, ma soltanto di un prezzo. Vedo che tu hai condotto una vita felice e riparata, Gillo, lontana dalle malvagità e dai guai che gli uomini crudeli infliggono... — Taglia corto con le scemenze o ti tagliere la gola. — Davvero indelicato, ma d'accordo. Meno scemenze e più succo: hanno portato Rhodry nel Bardek per venderlo come schiavo. Jill aprì la bocca per parlare ma non ne uscì nessun suono. — Avevo paura di qualcosa del genere — proseguì Salamander, — ed è per questo che siamo venuti nella splendida Slaith. A quanto pare, chiunque ha catturato Rhodry deve essere una persona estremamente sgradevole: hai visto Snilyn sussultare al solo pensare a questa persona, e ti garantisco che lui non è un tipo che sussulta facilmente. Anche se ha molti difetti e perversioni, la vigliaccheria non figura fra essi. — Nel Bardek! Oh, per il ghiaccio di tutti gli inferni, come faremo ad arrivare là? Le ultime navi staranno ormai partendo da Cerrmor e nel tempo che impiegheremo a tornare indietro... — Il crudele inverno starà sferzando il Mare Meridionale fino a mutarlo in una frenesia di marosi, lo so. Ci serve una nave... possiamo camminare, trottare, correre e perfino danzare, ma ahimè non possiamo fare nulla di tutto questo sull'acqua, e il Bardek è troppo lontano per arrivarci a nuoto. Di conseguenza, all'ordine del giorno figura la necessità di trovare una nave e noi siamo in un posto dove ci sono dappertutto navi tirate bene in secca nel porto. Questo cosa ti suggerisce, mia piccola tortora? — Ma questi sono pirati! Se ci imbarchiamo soli con una marmaglia del genere potrebbero prenderci e vendere anche noi come schiavi. Non posso combattere da sola contro venti uomini.
— Ah, che accattivante modestia! Hai ragione, naturalmente, non mi fiderei mai di un pirata. Ho fatto impressione su di loro ma non è abbastanza, perché quando si tratta di questi ragazzi la sola cosa che ha effetto su di loro è il terrore. Ora andiamo a cercare qualcosa da mangiare mentre elaboro un piano. Dopo un pasto a base di frittelle con formaggio e cipolle fritte, tornarono nel centro della città. Ormai il sole stava tramontando e quello era il momento in cui le strade della maggior parte delle città si sarebbero fatte sempre più quiete e silenziose mentre qui c'erano ancora una quantità di persone in giro, alcune munite di lanterne o di torce che procedevano con passo deciso verso una meta prestabilita, altre che si limitavano a oziare agli angoli delle strade o nei vicoli come se aspettassero qualcosa, mentre parecchi individui stavano guidando asini grigi con selle da soma e con briglie abbellite da piccole campanelle che tintinnavano musicalmente. Nel crepuscolo sempre più fitto, una fresca brezza di mare spazzava ora via la maggior parte della puzza di palude e Slaith appariva stranamente allegra, come una città che si stesse preparando ad una festa, ma tutto ciò a cui Jill riuscì a pensare fu uccidere. Quella gente all'apparenza innocente aveva aiutato a mandare il suo Rhodry incontro a qualche orribile Wyrd e tutto ciò che lei ora voleva era vederla morta. Tutto si fece innaturalmente nitido e luminoso: le campanelle che tintinnavano come gong, le torce che si levavano come enormi fuochi, i volti sudati intorno a lei che apparivano incombenti e sempre più grandi, il comune tramonto che bruciava come un mare di sangue. All'improvviso Salamander l'afferrò per un braccio e la scosse con forza, trascinandola nella relativa intimità di un vicolo semibuio. — Cosa c'è che non va? — sussurrò. — Sembri la morte personificata. — Davvero? O, dèi — mormorò Jill, passandosi sul volto le mani tremanti e respirando a fondo l'aria più fresca della sera. — Non so cosa ho fatto. Stavo... stavo rimuginando sulle cose e di colpo il mondo è diventato strano, come quando ero con Perryn. Devo aver attinto al potere senza rendermene conto. Salamander gemette sottovoce. — È una cosa pericolosa come evocare un demone! Non ne possiamo parlare qui, quindi cerca di controllarti. Jill si limitò ad annuire, improvvisamente molto stanca. Il mondo circostante sembrava ancora dipinto in colori più intensi del normale, ma a parte questo la sua vista si era assestata. Insieme andarono in una taverna ad
un angolo della piazza del mercato, un grande locale composto da una stanza rotonda di pietra con il soffitto insolitamente alto; quando la cameriera portò loro da bere, Salamander le chiese il perché dell'altezza del soffitto. — Oh, i ragazzi hanno avuto una piccola rissa ed hanno rovesciato una lanterna nella paglia. C'è stata una grande fiammata... ed è bruciato anche il pavimento del piano di sopra. — Deve essere stato uno spettacolo splendido — commento Salamander. — Scusami un momento, Gillo, devo uscire sul retro. Non appena Salamander ebbe oltrepassato la porta posteriore, la cameriera si sedette sulla panca accanto a Jill. Era una ragazza carina di non più di sedici anni, sotto il khol del Bardek che le segnava gli occhi azzurri; i capelli biondi erano raccolti in un'elaborata pettinatura con pettinini nello stile del Bardek ma ciò che indossava erano comuni abiti di Deverry. — Devi esserti sentito molto solo sulla strada con quel gerthddyn chiacchierone — commentò. — Che ne dici di un po' di compagnia, Gillo? Jill rimase troppo stupefatta per riuscire a parlare: davanti a lei c'era una donna che era stata effettivamente tratta in inganno dalla sua finzione! Anche se la maggior parte degli uomini di solito ci cascava, in genere le donne si accorgevano subito del suo travestimento, ma non quella ragazza bionda che le posò una mano sulla coscia, inducendola a ritrarsi di scatto. — Oho, sei timido, vero? Quel gerthddyn ti definisce la sua guardia del corpo, ma io sono pronta a scommettere che sei qualcosa in più di questo. Oh, bada, non ti voglio offendere: ci sono uomini del genere e siccome non mi danno fastidi io dico sempre che sono liberi di fare quello che preferiscono — proseguì la ragazza, prendendo distrattamente il boccale di Jill e bevendo un sorso di birra. — Mi ero sempre chiesta come mai il gerthddyn fosse tanto timido con noi ragazze — aggiunse poi, con un sorrisetto cattivo. — Ma tu sei così giovane... non credi che per una volta potrebbe piacerti provare qualcosa di diverso? Troppo sconcertata per parlare, Jill si guardò in giro disperatamente e vide che intorno a loro si era raccolto un pubblico sogghignante di pirati e di ragazze. Poi qualcuno sussurrò improvvisamente in tono allarmato: Salamander stava rientrando a grandi passi dalla porta sul retro. — E cosa significa questo? — esclamò il gerthddyn, in un'eccellente dimostrazione di furiosa indignazione, aprendosi a spintoni il varco fra la folla. — Piccola cagna! Stai cacciando nella mia riserva, vero? Con un gesto lento e drammatico, Salamander sollevò quindi la mano e
la puntò verso il boccale che la ragazza teneva ancora fra le mani: una scarica di fuoco azzurro gli scaturì dalle dita, colpì il boccale e levò una fiammata che fece fumare e ribollire la birra. Con un urlo, la ragazza lasciò cadere il boccale sul tavolo e si alzò di scatto, impigliandosi con il vestito nella panca e inciampando mentre il resto del pubblico si tirava indietro con grida e imprecazioni. — Piccolo infedele! — prosegui intanto Salamander, rivolto a Jill. — Sei incostante come una ragazza! Fra la folla un paio di pirati stavano allungando la mano verso la spada, ma il gerthddyn emise una risata ululante e agitò ancora le mani: il tuono crepitò e rimbombò nella taverna accompagnato da volute di fumo, mentre lampi di luce azzurra solcavano l'improvvisa oscurità. Le ragazze urlarono e si precipitarono verso la porta, gli uomini indietreggiarono imprecando e gridando, ma Salamander si voltò di scatto e lanciò un lampo in miniatura molto convincente in direzione della soglia. Strillando istericamente le ragazze tornarono indietro verso la folla. — Nessuno se ne va — esclamò allora Salamander. — Stolti dalla mente immonda! Puzzolenti pezzi di sterco di maiale infestati dalle mosche! Chi pensavate di insultare così sfacciatamente? Con un gesto aggraziato delle braccia balzò quindi su un tavolo nel bel mezzo di un improvviso vorticare di fumo porpora e cominciò a ridere, la profonda e musicale cascata di riso che soltanto un membro del popolo elfico può evocare. Sussultando, pallidi in volto, i pirati e le ragazze si strinsero gli uni alle altre nella curva della parete, e la cameriera che aveva dato il via al tutto strisciò sulle mani e sulle ginocchia per raggiungerli. — Dunque — riprese Salamander, strascicando enormemente la parola. — Porci! Pezzi di letame! Avete creduto che fossi uno stolto chiacchierone, vero? Un semplice giocattolo da usare nella vostra sordida lussuria e sete di sangue! Pensate che un uomo debole oserebbe percorrere le malvagie strade di Slaith? — Fece una pausa, per fissare drammaticamente la folla con occhi roventi, poi riprese: — Se volessi, potrei bruciare questo buco puzzolente fino alle fondamenta, e voi pidocchi friggereste insieme al resto! A titolo di dimostrazione, lanciò una scarica contro una botte di birra che fu avviluppata da fiamme superficiali. Le ragazze strillarono ancora e gli uomini scattarono in avanti, ma in quel momento il fuoco consumò il legno e la birra scaturì all'esterno, spegnendo le fiamme con un puzzo di luppolo bruciato.
— Qualcuno dubita dei miei poteri? — domandò quindi Salamander. All'unisono i presenti scossero la testa come steli di grano che si piegassero al vento, e il gerthddyn si piantò le mani sui fianchi con un sorriso freddo e crudele. — Benissimo, porci, tornate ai vostri meschini divertimenti ma ricordate chi sono e trattatemi con la deferenza che merito. Balzò poi giù dal tavolo e si sedette accanto a Jill. Per un lungo momento il silenzio gravò sulla stanza insieme agli ultimi residui di fumo, poi a poco a poco, uno per volta, i pirati cominciarono a sussurrare fra loro, tornando alla birra che stavano bevendo oppure, nel caso degli animi più pavidi, sgusciando via dal retro. Non appena il rumore fu tornato a livelli normali Salamander passò un braccio intorno alle spalle di Jill e la trasse vicino a sé per parlarle in un sussurro. — Questo dovrebbe infondere in loro un rispetto profondo anche se di breve durata, non trovi? — chiese, quindi sollevò ancora la voce e chiamò: — Ragazza! Vieni a prendere questo boccale bruciato e puzzolente e a portarmi una birra fresca! Tremante e piena di inchini la cameriera si avvicinò e afferrò il boccale ancora fumante con un panno ripiegato, poi ne portò uno fresco eseguendo una riverenza degna di una dama di corte e fuggì via senza vergogna. Salamander intanto sollevò il boccale in un gesto di saluto e bevve un lungo sorso. — Dunque, mio infedele Gilyn, hai imparato la lezione, vero? — Sì — rispose Jill, pensando di strozzarlo per le sue chiacchiere. — Ma non so con certezza quale. La notizia si diffuse in fretta quasi quanto il fuoco magico di Salamander: a gruppetti, pirati e abitanti della città apparvero sulla soglia e alle finestre, facendo capolino per dare un'occhiata prima di ritirarsi in fretta e di allontanarsi. Dopo qualche tempo Snilyn entrò a grandi passi e strinse la mano al gerthddyn con una possente risata: come Salamander aveva commentato, la vigliaccheria non era certo uno dei suoi difetti. — Sono furente con me stesso per essermi perso lo spettacolo — dichiarò, sedendosi senza essere stato invitato. — Mi sarebbe piaciuto vedere quel porco bastardo fuggire davanti a te, mago. — Ne avrai la possibilità se qualcun altro mi causerà dei fastidi. — Si tratta di una possibilità davvero effimera, a meno che naturalmente tu non intenda fermarti a lungo. — A dire il vero no. Il fatto è, amico mio, che forse tu potresti aiutarmi.
Sono intenzionato ad andare nel Bardek prima che arrivi l'inverno. Conosci qualcuno che stia per fare l'ultima corsa della stagione in quella direzione? Potrei pagare bene per un passaggio. Snilyn fece cenno di portare della birra e rifletté sulla domanda. — Ecco, non ne ho idea — disse infine, — ma potresti convincere Buthvyn a prenderti con sé. Per lui svernare qui o a Pastur è la stessa cosa, ed ha avuto una brutta estate. Naturalmente dipende da quanto denaro sei disposto a spendere. — Senza dubbio si tratterà di una somma adeguata. Ho un bruciante desiderio di rivedere il Bardek con le sue splendide palme, le sabbie lucenti e i ricchi mercanti con i loro sacchi di oro e di gioielli. — Invero là ci devono essere notevoli profitti per un uomo come te. Per il nero posteriore del Signore dell'Inferno! Potresti catturare da solo una delle loro carovane! — Preferisco strappare con gli incantesimi l'oro dalle zampe dei mercanti ma hai ragione per quanto riguarda i profitti. Il modo in cui mi piace vivere richiede fondi abbondanti e questo mio compagno sta sviluppando un netto gusto per i lussi... è un peccato come i ragazzi giovani si lascino corrompere facilmente. Quando Snilyn scoppiò a ridere, Jill si chiese se desiderasse maggiormente tagliare la gola a lui oppure a Salamander. — Però è meglio che questo Buthvyn non ci causi il minimo problema — proseguì il gerthddyn. — Io posso incendiare il legno con lo scatto di un dito, e come ben sai le navi sono fatte di legno. Snilyn tacque di colpo facendosi verdastro in volto. — Vedo che hai capito — sorrise gentilmente Salamander. — Non temere, mi accerterò che il glorioso Buthvyn capisca altrettanto bene. Dove possiamo trovare questo principe degli oceani, questo feroce leone di mare? — Giù al Pappagallo Verde, ma non lo definirei precisamente così. Buthvyn era uno degli uomini più alti che Jill avesse mai incontrato ed anche uno dei più magri, con le spalle strette quanto i fianchi, le braccia lunghe come corde e sfregiate, e una faccia che era tutta angoli ed era dominata da un lungo naso sottile. Dalla prontezza con cui accolse la proposta di Salamander risultò evidente che non era un pirata di successo: a sentire lui la sua nave era un po' malconcia ma capace di navigare e aveva per manovrarla quindici ragazzi che era pronto a giurare fossero uomini leali che sapevano tenere la bocca chiusa. Salamander si accertò che tale lealtà
diventasse effettiva accendendo con uno schiocco delle dita la legna nel focolare della taverna, e quando le fiamme scaturirono dal nulla per lambire i pesanti ceppi ebbe la soddisfazione di veder impallidire Buthvyn. — Andremo dritti nel Bardek senza deviazioni di sorta — promise il pirata, deglutendo a fatica. — Rapidi e diretti come i venti ci permetteranno. — Splendido! — approvò Salamander. — Puoi trasportare i cavalli, oppure dobbiamo vendere i nostri gloriosi destrieri? — Al vostro posto lo farei perché il viaggio è faticoso per il bestiame e la mia nave non è un grosso mercantile. In ogni caso, vi potrete procurare buoni cavalli nel Bardek. — È vero. Quando salpiamo? Detesto aspettare. — Domani all'alba, con il salire della marea. Sarà abbastanza presto per te? Allorché rientrarono nella taverna di Dumryc, Jill e Salamander scoprirono che la storia li aveva preceduti e un improvvisamente servile Dumryc diede loro una lanterna con una candela continuando ad inchinarsi ripetutamente mentre salivano le scale fino alla loro camera. Non appena ebbe chiuso e sbarrato la porta, Salamander si lasciò cadere sul materasso ridendo fino a soffocare, ma Jill si limitò a fissarlo con occhi roventi dopo aver appeso la lanterna ad un chiodo. — Oh, dèi! — annaspò Salamander, quando riuscì a parlare di nuovo. — Questo è stato davvero uno degli scherzi più belli della mia vita, e ti garantisco che ne ho perpetrati parecchi, Jill. — Non ne dubito — convenne lei, con voce gelida. — Ah — sospirò Salamander, sollevandosi a sedere con le braccia intorno alle ginocchia e lasciando svanire il proprio sorriso soddisfatto. — Mi pare che tu sia rimasta seccata dell'inganno, delle parole altisonanti, dei fuochi e di tutto il resto, ma a meno che pensino che siamo malvagi... e pericolosi... quanto loro, quei ragazzi non ci rispetteranno, per quanti accenni possiamo seminare in merito al dweomer oscuro, ed io non ho nessun desiderio di essere drogato e buttato fuori bordo di notte non appena saremo in alto mare. — Ben detto, ma per gli dèi, perché tutto quello spettacolo? Non potevi semplicemente incendiare qualcosa e minacciarli? — Jill — dichiarò Salamander, fissandola con occhi colmi di rimprovero, — allora non sarebbe stato per nulla divertente. — Stanno facendo cosa? — esclamò Elaeno, tanto furioso che la sua voce tonante fece vibrare le imposte delle finestre.
— Stanno andando nel Bardek su una nave pirata — ripeté Nevyn, che stentava quasi a credere alle proprie parole. — Quell'idiota ciarliero di un elfo sta portando Jill nel Bardek su una nave pirata. Elaeno aprì e richiuse parecchie volte la bocca senza emettere suono. — Prendi un po' di sidro — consigliò Nevyn. — In genere non ne bevo, ma questa notte per qualche strana ragione ne sento il bisogno. Da alcune notti, Blaen aveva problemi a dormire e in genere si rivestiva per aggirarsi nei lunghi corridoi simili a labirinti del palazzo del re, chiedendosi perché stesse sprecando il proprio tempo restando a Dun Deverry e sapendo bene che presto avrebbe dovuto cominciare il lungo viaggio di ritorno a Cwm Pecl, prima che la neve invernale lo intrappolasse nella città del re e lontano da casa. In quella particolare notte il suo vagare ebbe una meta ben precisa costituita dalle camere di Lord Madoc dove, come in parte si era aspettato, trovò una fessura di luce che filtrava sotto la porta del mago. Mentre esitava, chiedendosi se bussare o meno, la porta si aprì rivelando Madoc che indossava una camicia da notte su un paio di calzoni. — Ah, eccoti qui, Blaen. Neppure io riuscivo a dormire, e gli spiriti mi hanno avvertito che stavi venendo da me. Entra per bere un ultimo bicchiere in mia compagnia. Anche se si affrettò a guardarsi in giro, Blaen non vide spiriti di sorta e decise che non c'erano pericoli ad entrare; Madoc versò ad entrambi un bicchiere di birra scura addolcita con cinnamomo del Bardek e chiodi di garofano. — Vuoi che la riscaldi? — chiese. — Oh, non ti preoccupare, non mi dispiace berla fresca. — Allora ecco — replicò Madoc, porgendogli un boccale. — Siediti. I due si sistemarono accanto al braciere che ardeva di un rosso intenso nella camera piena di correnti e Blaen bevve con approvazione un sorso della birra forte e scura. — Avevo intenzione di venire da te domattina appena avesse fatto giorno — esordì Madoc, — perché ho alcune notizie. Il re si è finalmente degnato di dirmi che manderà un araldo ad Aberwyn domattina all'alba. — Per il Signore dell'Inferno! Perché? — Nessuno lo sa. A quanto pare il nostro signore è irritato con Savyl più di quanto lo sia con te e non intende fare parola con nessuno della questione. Tutto quello che so è che l'araldo porterà un grave e importante proclama, il che potrebbe significare il richiamo per Rhodry oppure la convo-
cazione del Consiglio degli Elettori per scegliere un nuovo erede. Per gli dèi, potrebbe essere semplicemente una richiesta di nuove tasse, per quel che ne so. Blaen emise un gemito sommesso e bevve un altro sorso di birra. — Naturalmente ho già avvertito Nevyn — aggiunse Madoc. — Splendido. Senti, ti posso fare una domanda con franchezza? Dov'è Rhodry? Ho l'impressione che tu lo sappia. Madoc rifletté per un momento, scrutando il volto del suo interlocutore come se vi stesse leggendo un messaggio. — In effetti lo so — ammise infine. — Sei disposto a giurare di tenere la cosa per te? — Lo giuro sull'onore del mio clan. — Affare fatto, allora. Rhodry è nel Bardek: i suoi nemici lo hanno portato là per venderlo come schiavo. — Che cosa? Per ogni dio, li farò impiccare per questo! Li farò impalare e squartare! Che audacia! Vendere un mio parente come un dannato schiavo! — Posso suggerire a Vostra Grazia di sedersi? Blaen rimase alquanto sorpreso di ritrovarsi in piedi e si rimise a sedere traendo un profondo respiro. — Dopo tutto, Vostra Grazia, se non altro è ancora vivo. — Proprio così — ammise Blaen, bevendo un altro sorso e ricordando a se stesso che non poteva fare assolutamente nulla nel cuore della notte. — Mi chiedo se potrei far arrivare una nave nel Bardek in questo periodo dell'anno, una capace di trasportare buona parte della mia banda di guerra. — Non puoi, e non sarebbe saggio da parte tua andare a cercarlo perché credo che sarai più necessario qui questa primavera, quando lui tornerà — consigliò Madoc, e con volto tormentato aggiunse: — A patto che riusciamo a tirarlo fuori da questa situazione, naturalmente. — Io ho una grande fede nel potere del dweomer, mio signore. — Ti ringrazio. Spero che la tua fede sia giustificata. Dal gentile ondeggiare dello scafo il prigioniero comprese che si trovavano all'ancora in un porto. Per qualche tempo rimase semplicemente disteso sul suo pagliericcio lasciando vagare lo sguardo per la stiva quasi vuota, che all'inizio del suo viaggio era stata piena di casse e di balle di mercanzie. Quanto tempo era passato? Settimane, ma non sapeva con certezza quante. Quando si sollevò sulle ginocchia la catena fissata alle sue
caviglie tintinnò, ma era abbastanza lunga da permettergli di raggiungere l'oblò e di sollevare la copertura di cuoio oleato; il bagliore accecante del sole riflesso sull'acqua lo costrinse a sbattere gli occhi velati da lacrime improvvise, ma entro pochi minuti riuscì a distinguere una lunga spiaggia bianca ed un'erta altura alle spalle di un mare di alberi di nave, ma del resto tutti i porti gli apparivano uguali, tanto che per quel che ne sapeva era anche possibile che la nave avesse continuato a fare la spola sempre fra le stesse due città. Una cosa certa, però, era che adesso si trovavano nell'arcipelago del Bardek perché coloro che lo avevano catturato glielo avevano detto innumerevoli volte, come se fosse stato importante che lui ne fosse informato; adesso si ripeté quell'informazione ad alta voce, aggrappandomi perché era una delle poche cose che sapeva su se stesso. Sollevando il braccio destro guardò la propria pelle pallida che lo contrassegnava come un uomo di Deverry, ma pur essendo consapevole di cosa e dove fosse Deverry, non riusciva a ricordare di esserci mai stato di persona, sebbene i suoi catturatori gli avessero assicurato che era nato proprio là, per l'esattezza nella provincia di Pyrdon. Ricordava anche la propria lingua natale e quell'infarinatura di lingua del Bardek che aveva conosciuto prima della sua cattura. In effetti, uno dei suoi pochi ricordi concreti era proprio quello di aver studiato il bardekiano da bambino e conservava ancora una nitida immagine del suo tutore, un uomo dalla pelle scura con i capelli grigi e occhi gentili e sorridenti, che gli ripeteva che doveva studiare intensamente a causa della posizione che avrebbe ricoperto nella vita. Quale fosse quella posizione, però, non riusciva a rammentarlo... forse era stato il figlio di qualche mercante, il che costituiva una supposizione ragionevole. In ogni caso, sebbene non parlasse la lingua del Bardek in maniera fluente, quell'infarinatura giovanile gli aveva reso possibile raccogliere frammenti di conversazioni che aveva sentito qua e là e porre semplici domande, che a volte avevano ottenuto risposta e a volte no. Nel sentire dei rumori dietro di sé il prigioniero volse le spalle all'oblò e lasciò ricadere la copertura di cuoio: l'uomo chiamato Gwin stava scendendo la scala e portava sotto un braccio una sacca di stoffa. — Vestiti per te — spiegò Gwin, gettandogli il sacco. — Una tunica e sandali... vestiti del Bardek. Oggi te ne andrai di qui. Ne sei contento? — Non lo so. Cosa succederà adesso? — Sarai venduto. Il prigioniero annuì, riflettendo su quelle informazioni. Dal momento che gli avevano già detto che era uno schiavo la notizia non costituiva una
sorpresa; aveva perfino sentito qualcuno dire che avrebbe fruttato un buon prezzo a causa del fatto che era un bene esotico, come un cane di una razza rara. Mentre lui si vestiva, Gwin frugò fra le casse e le balle rimaste nella stiva ma senza vero impegno, come se si stesse soltanto accertando di non aver dimenticato nulla. — Gwin, tu conosci il mio nome? — Sì. Nessuno te lo ha ancora detto? Ti chiami Taliaesyn. — Grazie. Era una domanda che mi tormentava. — Non ne dubito — convenne Gwin, poi si soffermò a fissare il prigioniero con una strana espressione che conteneva una compassione molto sottile e fragile. — Qualcuno verrà presto a prenderti. Buona fortuna. — Grazie. Dopo che Gwin se ne fu andato, Taliaesyn tornò a distendersi sul suo pagliericcio, chiedendosi perché un uomo come quello avesse voluto augurargli buona fortuna, poi scrollò le spalle e accantonò il problema come insolubile, quanto lo era la maggior parte dei misteri che lo circondavano. Ripeté quindi parecchie volte il proprio nome ad alta voce, nella speranza che potesse far riaffiorare qualche ricordo ma non ottenne nulla, assolutamente nulla... né un'immagine, né un suono, neppure una singola parola della vita che doveva aver condotto prima della mattina di alcune settimane prima quando si era svegliato nella stiva di quella nave. Poteva ancora ricordare il proprio panico totale non appena si era reso conto di non sapere assolutamente nulla di se stesso, nulla di come avesse fatto a finire incatenato lì. Per qualche minuto si era sentito come un animale isterico che si scagli di qua e di là contro le sbarre di una gabbia e morda anche quelli che cercano di calmarlo, ma la crisi era finita presto, molto prima che i suoi catturatori venissero a gongolare davanti alla loro preda. Quella mattina, nell'affrontarli, aveva scoperto ciò che gli premeva sapere: con o senza memoria, si era detto, era ancora un uomo con la capacità di parlare, e avrebbe lottato per conservare quel senso di identità. Nelle settimane che erano seguite aveva ripescato qualche frammento di ricordi del passato e aveva finito per intesserli in una storia che definiva ciò che lui sapeva di se stesso. Adesso aveva un frammento in più da aggiungere. — Io sono Taliaesyn di Pyrdon, un tempo figlio di un mercante ed ora schiavo... ma uno schiavo prezioso. Mi hanno detto che ho accumulato debiti di gioco qui nel Bardek, e ricordo che la legge di Deverry non può salvare un uomo libero quando si trova tanto lontano da casa. Di conseguenza
sono stato arrestato e venduto per pagare i miei debiti. Devo essere il figlio di un importante mercante, altrimenti perché un uomo di Deverry sarebbe venuto nel Bardek? Per un momento rifletté su quell'interrogativo, non riuscì a trovare una risposta e lo accantonò. Aveva ancora tre ricordi precisi da inserire in quella storia. Il primo era naturalmente quello del suo antico tutore nella lingua del Bardek, un ricordo che combaciava senza problemi con la storia nel suo complesso, ma gli altri due gli causavano notevoli difficoltà e un certo turbamento. Innanzitutto c'era una splendida ragazza bionda... anche se era logico che il figlio di un mercante avesse una moglie o un amante (nel ricordo la ragazza stava andando a letto con lui) per quale motivo però lei si stava sfilando abiti maschili invece di un vestito? Il terzo ricordo aveva ancora meno senso del precedente. Gli pareva di vedere la faccia e le spalle di un uomo che emergevano da quella che sembrava una fitta nebbia o una cortina di fumo; l'uomo portava una cotta di maglia e un elmo e aveva il volto coperto di sangue. Insieme all'immagine nella mente gli affioravano anche le parole «il primo uomo che ho ucciso», ma i figli di mercanti non uccidevano la gente... oppure era possibile che la vittima fosse stata un bandito? Taliaesyn sorrise di sollievo. La cosa avrebbe avuto senso se lui fosse stato a capo di una carovana e quell'uomo fosse stato un bandito, e a mano a mano che ci pensava sopra nella sua mente emerse un altro ricordo, nitido come il sole del mattino. Ma certo. Ma certo! E se la ragazza fosse stata sua moglie, in viaggio con lui? Di sicuro sarebbe stato faticoso cavalcare con il vestito, quindi perché non indossare abiti maschili? Il fatto di aver infine portato tutti i pezzi a combaciare generò in lui una profonda soddisfazione. Quella sensazione fu però soltanto momentanea, perché era pur sempre consapevole che era possibile che i suoi catturatori gli stessero mentendo. Anche se quella storia era ragionevole e combaciava con le cognizioni che lui ricordava del mondo, non poteva però dare conferma a nessuna parte di essa, e poi c'era questa faccenda di non riuscire mai a pensare con chiarezza. A volte era a stento in grado di mettere insieme due parole o a ricordare cose che gli erano state dette appena un minuto prima, mentre in altri momenti il mondo gli sembrava strano, distante e tuttavia tinto di colori intensi, e la sua mente faceva strani balzi seguiti da vuoti vertiginosi. Nel pensarci sopra si rese conto che quelle crisi si verificavano spesso dopo che aveva mangiato, il che significava che probabilmente avevano messo qual-
che strana droga nel suo cibo; al tempo stesso, sapeva che da qualche parte nella sua mente c'era un motivo che lo induceva a supporre che quelle fossero persone che erano solite drogare i loro prigionieri, ma non riusciva esattamente a stabilire quale fosse. Nelle ultime settimane era giunto a pensare a conoscenze che in precedenza aveva sempre dato per scontate nei termini di una metafora estremamente complessa, secondo la quale ogni uomo era come un giglio d'acqua: ogni bocciolo fluttuava sotto il sole sulla superficie della polla della mente ma dipendeva dal suo lungo stelo e dalle radici per restare collegato alla terra e agli altri gigli. A lui sembrava che qualcuno avesse calato una falce attraverso la sua mente, lasciando soltanto qualche fiore infranto ad avvizzire sulla superficie della polla e troncando ogni collegamento e ogni possibile significato delle cose. Anche se si trattava di una concezione strana, sotto un certo aspetto gli dava soddisfazione, perché era certo che qualcosa gli avesse trapassato la mente. Qualche minuto più tardi udì dei rumori sul ponte e la nave beccheggiò una volta mentre si sentivano echeggiare dei richiami. Taliaesyn pensò che qualcuno stava salendo a bordo e questo lo indusse a ricordare di essere stato altre volte su delle navi e di possedere una certa dose di informazioni su di esse, a patto che si trattasse di imbarcazioni piccole come le galee. A quel punto rammentò di essere stato su una galea da guerra, in piedi vicino alla prua intagliata, con gli spruzzi delle onde che gli bagnavano il viso. Ma cosa ci faceva il figlio di un mercante su una galea da guerra? Non ebbe però la possibilità di vagliare quella sconcertante domanda perché qualcuno tirò indietro il boccaporto di prua e un fiotto di luce si riversò nella stiva. Il muto scese la scala ed emise quel suono gorgogliante che in lui sostituiva un saluto; quell'uomo nero, chino e avvizzito come un granchio aveva perso la lingua molti anni prima perché gli era stata tagliata, o almeno così aveva spiegato Gwin, senza aggiungere il perché. Alle spalle del muto sopraggiunse poi l'uomo chiamato Briddyn, con i suoi capelli unti e la barba ancora più liscia, dietro il quale Taliaesyn intravide un Bardekiano alto e scuro di pelle che non aveva mai visto prima. L'uomo era vestito con una fine tunica di Uno bianco con una manica rossa e portava un paio di tavolette di legno coperte di cera e uno stilo d'osso, su cui cominciò a scrivere simboli e cifre non appena Briddyn gli indicò le svariate merci presenti nella stiva. Un funzionario della dogana, pensò Taliaesyn. Intanto il muto gli si era inginocchiato accanto per aprire la catena che
gli tratteneva la caviglia, ma il sollievo di Taliaesyn si spense di lì a poco quando il vecchio gli porse un collare e gli indicò a cenni di metterselo al collo. Allorché Taliaesyn esitò Briddyn si girò verso di lui. — Mettilo subito. Taliaesyn si affibbiò il collare intorno al collo e non avanzò obiezioni allorché il muto lo attaccò alla catena. Anche se non riusciva a ricordare bene i dettagli, sapeva però che una volta, in passato, Briddyn gli aveva causato dolore... un dolore intenso. Quel ricordo sfuggevole persisteva come un timore lacerante che affiorava ogni volta che Briddyn lo guardava con i suoi occhi pallidi e privi di ciglia. In sottofondo, l'ufficiale della dogana si schiarì la gola e pose quindi una lunga fila di domande di cui Taliaesyn non capì assolutamente nulla. — Sì — rispose Briddyn, porgendo una delle sottili strisce di corteccia che nel Bardek sostituivano la pergamena. — Prendi. Annuendo, con le labbra arricciate, l'ufficiale della dogana lesse con cura il documento, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata in direzione di Taliaesyn. — Una merce costosa — commentò infine. — Gli schiavi barbari sono rari di questi giorni. Fu soltanto allora che Taliaesyn si rese conto che l'ufficiale stava esaminando il suo documento di vendita e sentì che le guance gli si arroventavano per la vergogna: lui, un uomo libero di Deverry, stava per essere venduto come uno cavallo in una terra straniera. Briddyn e l'ufficiale avevano però già rivolto altrove la loro attenzione perché per loro quella vendita era soltanto una transazione comune, indegna tanto di compassione quanto di derisione. Quando ebbero finito i controlli nella stiva il muto condusse Taliaesyn sul ponte insieme a loro, e mentre Briddyn e gli ufficiali portuali discutevano sulle tasse e le imposte doganali lui ne approfittò per guardarsi intorno a piacimento per la prima volta da settimane. Il porto era una stretta insenatura larga circa seicento metri e racchiusa da erte alture di arenaria rosa; quattro lunghi moli di legno sporgevano dalla spiaggia su cui un ammasso di baracche e di capanne si levava in mezzo a barche da pesca e palmizi, mentre sulla sommità delle alture sembrava invece che ci fossero costruzioni più massicce nello stile lungo e rettangolare proprio del Bardek. — Una città? — domandò. Il muto annuì e un marinaio che si trovava poco lontano lanciò un'occhiata nella loro direzione.
— Myleton — disse. — Si chiama Myleton. Taliaesyn ripeté quel nome e lo aggiunse al proprio piccolo magazzino di informazioni. A quanto rammentava, Myleton si trovava su un'isola, Bardektinna, che aveva erroneamente dato il suo nome a tutto l'arcipelago quando i primi uomini di Deverry si erano spinti fin là con le loro navi. Riparandosi gli occhi con una mano, osservò quindi i pochi edifici che riusciva a scorgere sulla sommità delle alture e in particolare il suo interesse fu attratto da un'enorme struttura di legno lunga almeno trenta metri e alta tre piani, con il tetto ricurvo che sporgeva come lo scafo rovesciato di una nave. Vicino ad esso si levava una statua di legno alta dodici metri che rappresentava un uomo con un uccello su una spalla — Un tempio? — domandò al marinaio. — Sì. Dalae-oh-contaemo, l'albatross guida, il padre nelle onde. — Ah. Quindi il suo tempio sorge nel porto. Il marinaio annuì e in quel momento il muto assestò uno strattone alla catena e allontanò bruscamente Taliaesyn come se fosse stato pericoloso permettergli di restare così vicino alla passerella. Nel guardare per caso oltre la murata, un momento più tardi il prigioniero trattenne a stento un grido nel vedere che le onde fra il verde e l'azzurro pullulavano di spiriti... facce, mani e criniere di capelli che si formavano soltanto per dissolversi di nuovo, occhi che lo fissavano dai bagliori riflessi del sole, voci che gli indirizzavano sussurri dalla schiuma, lunghe dita sottili che si puntavano verso di lui per poi svanire. Istintivamente, comprese che doveva tacere al riguardo e quando si guardò intorno furtivamente si rese conto che nessuno si era accorto del fenomeno, il che gli conferì un senso di soddisfazione e quasi di astuto compiacimento: il fatto che il Popolo Fatato lo conoscesse e lo avesse riconosciuto lo rendeva in qualche modo superiore ai suoi catturatori... ma avrebbe voluto ricordare il perché di questo. All'improvviso il ponte fu pieno di gnomi... alcuni alti e azzurri, altri grassi e marrone e altri ancora verdi come rane con la faccia piena di bitorzoli e ossuti... che gli si stringevano intorno come per confortarlo, battendogli colpetti addosso e sorridendogli. Le creature scomparvero poi improvvisamente com'erano venute, e nel sollevare lo sguardo Taliaesyn vide che Briddyn gli si stava avvicinando, intento ad esaminare quello che sembrava un documento di attracco; per un momento il cuore gli batté selvaggiamente in gola, ma poi si calmò quando risultò evidente che Briddyn non aveva visto il Popolo Fatato, sempre ammesso che ne fosse in grado. Taliaesyn supponeva che potesse, ma non riusciva a ricordare esattamente il perché.
— Bene, adesso è tutto a posto — affermò Briddyn, dopo un momento, rivolto al muto. — Portiamo lo schiavo al mercato: è inutile continuare ancora a nutrirlo. Il muto ammiccò e sogghignò, scoccando un'occhiata astuta in direzione dell'ufficiale della dogana che si stava allontanando lungo il molo. Quel gesto fu per Taliaesyn la prima conferma di un sospetto che ci fosse qualcosa che non quadrava in quei mercanti: adesso era certo che il contratto di vendita non fosse del tutto legale e per un fugace momento pensò di richiamare indietro l'ufficiale, accantonando però l'idea quando si accorse che Briddyn lo stava fissando di nuovo. La lucertola d'argento che gli fermava la barba pareva ammiccare sotto il sole intenso. — A volte mi fai pensare ad un bambino — gli disse Briddyn, nella lingua di Deverry, — perché riesco a leggere ogni pensiero sulla tua faccia. Ricordi quello che ti ho fatto quando ho ordinato che ti legassero sul ponte? — In realtà no, non nei dettagli — rispose Taliaesyn, ma la paura lo indusse a deglutire a fatica e a forzare le parole ad uscirgli dalle labbra. — Senza dubbio è meglio che non lo ricordi, ragazzo, ma lascia che ti avverta: adesso sei legalmente uno schiavo... capisci cosa significa? Se cercherai di fuggire ti daranno la caccia e ti prenderanno, e in questa terra maledetta dai demoni nessuno alzerà un dito per aiutare uno schiavo fuggiasco. Una volta che ti avranno preso ti uccideranno, ma lentamente, un piccolo pezzo per volta. Quello che ti ho fatto io è nulla se paragonato al modo in cui gli uomini dell'arconte trattano gli schiavi ribelli. Ho sentito dire che un poveretto ci ha messo due mesi a morire. Hai capito? — Sì. Briddyn sorrise, mentre i suoi occhi senza ciglia ammiccavano un paio di volte nel ricordare un passato piacere. Taliaesyn sussultò e distolse lo sguardo perché adesso il ricordo stava pulsando sempre più vicino alla superficie della sua mente... il ricordo di un dolore lancinante come il fuoco, causato dalla pressione delle dita del suo tormentatore. Quando rabbrividì Briddyn scoppiò in una sommessa risata, un suono così pieno di autocompiacimento che Taliaesyn sentì la propria paura spezzarsi come una corda: qualsiasi sofferenza questo potesse causargli, doveva reagire, altrimenti non sarebbe stato mai più un uomo. Si costrinse quindi a guardare Briddyn dritto negli occhi. — Ti faccio una promessa. Un giorno io fuggirò, e quando lo farò ti verrò a cercare. Ricorda: un giorno io ti ucciderò per questo — disse.
Briddyn scoppiò in un'altra risata tranquilla e aperta. — Vogliamo fustigarlo per le sue parole? — chiese al muto, in bardekiano. — No, perché ridurrebbe il suo prezzo, ma forse mi concederò un minuto per dimostrargli chi è che comanda qui. — No — scandì Gwin, interponendosi fra loro. — Hai già fatto abbastanza a qualcuno che è due volte più uomo di te. Briddyn assunse un atteggiamento quieto e calmo che grondava pericolo, ma Gwin lo fissò fino a costringerlo ad abbassare lo sguardo. — In ogni caso non c'è più tempo — disse quindi. — Portatelo via, vendetelo e fatela finita. Borbottando sottovoce, Briddyn rivolse un cenno al muto, che assestò alla catena uno scossone tanto violento da far barcollare Taliaesyn... ma lo sguardo attento di Gwin fece sì che la cosa non si ripetesse lungo il tragitto. Mentre scendevano la passerella e si avviavano lungo la spiaggia, incespicando tutti un poco sulla sabbia sottile e soffice, Taliaesyn cercò di ricordare cosa avesse fatto per guadagnarsi il rispetto di Gwin, ma in lui non affiorò nulla. Una scala zigzagante tagliata in profondità nella roccia li portò sulla sommità dell'altura direttamente davanti al tempio, ma Taliaesyn non ebbe il tempo di esaminarlo, ricavando soltanto l'impressione generale di una vasta soglia ad arco intagliata con file di figure umane e di uccelli prima che il muto gli ringhiasse contro costringendolo ad accelerare il passo. Le porte della città si aprivano direttamente sull'ampia strada antistante il tempio, e allorché le oltrepassarono la prima impressione di Taliaesyn fu di addentrarsi in una foresta. Dovunque guardasse vedeva alberi che affiancavano le lunghe strade diritte e le coprivano con l'ombroso baldacchino dei loro rami intrecciati oppure che erano stati piantati fittamente intorno ad ogni casa ed edificio, e per quanto gli riuscisse di riconoscere qua e là qualche palma la maggior parte delle piante risultò essere di una varietà da lui mai vista prima. C'erano alberi di tipo cespuglioso con piccoli fiori rossi che crescevano a grappoli e tronchi alti e spessi con foglie strette e coperte di polvere che emanavano un odore speziato, e altri ancora che avevano fiori purpurei lunghi quanto il dito di un uomo. I viticci s'intrecciavano intorno agli alberi e minacciavano di sopraffare le svariate statue di legno e di marmo che lui vide sparse nelle piccole piazze pubbliche o alle intersezioni delle strade. In mezzo a tutta quella vegetazione sorgevano lunghe case rettangolari con il loro tetto simile ad una nave rovesciata, alcune protette da alte statue raffiguranti gli antenati degli abitanti, altre da
quelle che sembravano coppie di remi incrociati di dimensioni tali da poter essere usati da un gigante. Un flusso costante di gente si spostava lungo le strade o da una casa all'altra, e tutti erano vestiti con tunica e sandali, con la sola differenza che gli uomini avevano disegni di colore intenso dipinti su una guancia mentre le donne sfoggiavano ornamenti simili a spille infilati nei capelli raccolti in maniera elaborata. Vagamente, Taliaesyn ricordò che tanto gli ornamenti quanti i disegni servivano a identificare la «casata» o il clan di appartenenza. Ciò che più lo sorprese però furono i bambini, che correvano in gruppi lungo le strade e svolgevano giochi impegnativi e complicati nelle piazze pubbliche e nei giardini privati senza che nessuno dicesse loro una parola di rimprovero. Per lo più essi erano nudi, in quanto tanto i maschietti quanto le femmine portavano soltanto un pezzo di stoffa avvolto intorno ai fianchi, e nel guardarli lui si trovò a pensare che doveva proprio essere uno straniero in quel posto perché i bambini di Deverry sarebbero stati vestiti esattamente come i loro genitori e avrebbero lavorato con loro nella bottega o nella fattoria della famiglia. A mano a mano che procedevano, le case divennero più grandi e più distanziate, alcune isolate da alte mura stuccate e dipinte con immagini di animali e alberi, altre cinte da siepi in fiore e da viticci. All'improvviso passarono quindi fra due pareti azzurre e sbucarono in una piazza pubblica larga quanto tre campi per tornei di Deverry: una fila di bassi gradini portava al centro della piazza lastricata, quasi deserta sotto il calore intenso a parte un vecchio che sonnecchiava su una panca di marmo e tre bambini che si rincorrevano intorno ad una fontana di marmo dove alcuni delfini intagliati s'intrecciavano sotto gli spruzzi dell'acqua. — Cos'è questa? — chiese Taliaesyn. — Una piazza del mercato? — No — rispose Gwin. — È il luogo di assemblea, dove i cittadini si radunano per votare. — Votare? Non conosco questa parola. — Votare... scegliere un capo. Nel giorno delle elezioni vengono messe delle urne intorno alla fontana, una per ciascun candidato, ed ogni uomo e donna libero mette un ciottolo nell'urna che appartiene alla persona da lui scelta. L'uomo che ottiene il maggior numero di ciottoli è arconte per tre anni. Gwin avrebbe forse aggiunto dell'altro, ma Briddyn si girò e gli ringhiò di tenere a freno la lingua e di spicciarsi. — Da quella parte, piccolo — sussurrò Gwin a Taliaesyn. — Presto ti
libererai di lui. La «parte» in questione risultò essere uno stretto vicolo privo di alberi che si snodava dietro ad alcuni muri ci recinzione; a mano a mano che camminavano le mura si fecero più basse fino a scomparire del tutto e le case divennero sempre più povere, degenerando a poco a poco in un labirinto di capanne e di cortili posteriori. Qua e là Taliaesyn vide e fiutò delle stie per maiali, ciascuna contenente uno o due piccoli maiali dal pelo grigio; una volta nel passare davanti ad una capanna una donna in stato di avanzata gravidanza uscì per dare da mangiare ai suoi maiali e quando lo vide il suo volto s'addolcì di compassione nei suoi confronti... ogni altra persona che incontrarono si limitò invece ad ignorarlo come ignorava i cani affamati agli angoli delle strade o gli uccelli variopinti che cinguettavano fra gli alberi. Alla fine il vicolo descrisse un'ultima curva e sboccò un una piazza aperta dove le erbacce spingevano di lato i ciottoli del lastricato e i polli razzolavano stridendo di tanto in tanto contro i bambini che dividevano con loro quello spazio: dall'altra parte della piazza si levava un alto muro dipinto in azzurro e in rosso che era evidentemente parte di una recinzione al cui centro spiccava una porta rinforzata in ferro. Tutto l'insieme ebbe l'effetto di mettere Taliaesyn a disagio: il muro spesso e vistoso ma praticamente una fortificazione, la porta robusta e rinforzata come quella di una fortezza di Deverry. Briddyn gli lanciò un'occhiata ed esibì un sorriso particolarmente sgradevole, includendo poi anche Gwin nel gesto. — Qui voi due vi dite addio — commentò, nella lingua di Deverry. Serrato il pugno, prese quindi a picchiare sulla porta fino a quando sentì una voce urlare nella lingua del Bardek che il proprietario stava arrivando: il battente si aprì di una fessura che poi si allargò maggiormente fino a rivelare un ragazzo snello e scuro di pelle che poteva avere circa quindici anni e che indossava una tunica azzurro chiaro. Non appena vide Briddyn, il ragazzo si affrettò ad inchinarsi. — Baruma, padrone! Come posso servirti? — Tuo padre è in casa? Ho qualcosa da vendergli. — Il barbaro? Oh, ne sarà molto interessato. Seguirono il ragazzo per uno stretto corridoio e fino ad una lunga stanza con il pavimento di piastrelle azzurre e bianche e con le pareti verde scuro. Ad un'estremità c'era una bassa piattaforma coperta di cuscini multicolori su cui un uomo grasso con la pelle marrone chiaro e una corta barba ricciuta sedeva a gambe incrociate davanti ad un tavolo. Al loro ingresso, l'uomo
sollevò lo sguardo da quello che Taliaesyn suppose essere un gioco che si giocava su una scacchiera rotonda. — Baruma! — esclamò, issandosi in piedi per eseguire un profondo inchino. — Sono onorato, davvero onorato. E tuttavia, mentre continuava a parlare, troppo in fretta perché Taliaesyn potesse seguire il suo discorso, l'uomo pareva più spaventato che sopraffatto dall'onore di intrattenere Briddyn. I due uomini contrattarono rapidamente con voce acuta, agitando le braccia e facendo smorfie drammatiche, e anche se davano l'impressione di minacciarsi a vicenda Taliaesyn notò che Briddyn continuava a segnare punti a proprio vantaggio. Alla fine il mercante di schiavi, il cui nome risultò essere Brindemo, ordinò poco cerimoniosamente al prigioniero di spogliarsi e passò quindi le mani sulle braccia e sulla schiena di Taliaesyn, controllandogli le gambe come avrebbe fatto un mercante di cavalli e arrivando perfino a guardargli in bocca. Alla fine di quell'operazione, i pensieri di Taliaesyn rasentavano ormai l'omicidio. — Sei di Deverry, vero? — chiese quindi Brindemo, con un accento ragionevolmente comprensibile. — Un uomo pericoloso, allora. Io parlo la tua brutta lingua, vedi? Una parola o una mossa sbagliata e ti farò frustare. Tornò quindi a rivolgersi a Briddyn, che tirò fuori il documento di vendita dalla cintura per consegnarlo al nuovo acquirente, e a Taliaesyn non sfuggì il modo in cui Brindemo socchiuse sospettosamente gli occhi nell'esaminarlo. I due ripresero quindi a parlare più lentamente e Taliaesyn riuscì a cogliere qualche frase qua e là: pareva che Briddyn stesse suggerendo di venderlo alle miniere di rame nelle alte montagne del sudovest o magari alle galee della flotta dell'arconte, e quel pensiero gli fece contrarre lo stomaco per la paura in quanto ricordava che gli schiavi venduti a quel genere di vita morivano presto... e ne erano lieti. Brindemo gli diede un'ultima occhiata, poi si girò ancora verso Briddyn. — Quanto oppio gli hai somministrato, onorato padrone? — Non molto e per non troppo tempo — replicò Briddyn, aggiungendo poi qualcosa di incomprensibile che dovette far piacere a Brindemo a giudicare dal modo in cui questi sorrise e annuì. Alcune monete cambiarono infine di mano... quasi centi pezzi d'oro per quel che Taliaesyn riuscì a vedere, poi Brindemo ripose l'atto di vendita nella propria sacca e scortò Briddyn, Gwin e il muto fino alla porta mentre suo figlio teneva sotto controllo Taliaesyn con la catena. Al suo ritorno, il mercante osservò il nuovo schiavo per un lungo momento, con espressione
astuta. — Non puoi fuggire, Taliaesyn di Pyrdon. Se lo farai gli uomini dell'arconte ti daranno la caccia... — E mi uccideranno. Lo so. — Questo aggeggio ti irriterà la pelle e lascerà brutte piaghe, mentre noi abbiamo bisogno che tu abbia un bell'aspetto. — Che importanza potrà avere nelle miniere? — Oho! Allora capisci un po' la nostra lingua, vero? Di bene in meglio. Le miniere? Hah! Baruma partirà domani e in genere passa di qui al massimo una volta all'anno, quindi come farà a sapere dove ti ho venduto? Le miniere pagano un prezzo fissato per legge mentre i barbari sono molto più costosi di così. Comportati bene, mostra di avere buone maniere e ti venderò presso una casa onorata. Ora siediti e parliamo un po'... a proposito, bada che c'è una guardia armata a portata di voce. — Non tenterò di fuggire. Sono troppo stanco e non so neppure dove mi trovo. Ridendo Brindemo calò la propria massa sui cuscini e segnalò al prigioniero di prendere posto sul bordo della piattaforma, poi tirò fuori l'atto di vendita e l'osservò con le labbra contratte in una smorfia. — Il tuo nome è davvero Taliaesyn? — chiese infine. — Suppongo di sì. — Cosa? Di certo devi conoscere il tuo nome. — Invece no. Non ricordo una sola dannata cosa in merito al mio passato che risalga a più di poche settimane fa. — Com'è possibile? Ti hanno colpito sulla testa o qualcosa del genere? — Potrebbe trattarsi di questo, visto che a volte un forte colpo alla testa fa perdere la memoria, ma non lo so. Nessuno me lo ha detto. Brindemo rifletté, battendo l'atto di vendita contro un dente rinforzato in oro ed esaminando ancora una volta il suo acquisto. — Dimmi una cosa. Baruma ti ha... ti ha fatto del male? Taliaesyn sussultò e abbassò lo sguardo sul pavimento. — Vedo che lo ha fatto, il che ti renderà facile da trattare — commentò Brindemo, e tuttavia sotto le sue fredde parole si avvertiva un velo di pietà. — Non mi va l'idea di inimicarmi Baruma. Mi biasimi per questo? — Assolutamente no. — D'altro canto, non voglio neppure inimicarmi l'arconte e violare le sacre leggi della mia città — continuò il mercante, studiando ancora una volta l'atto di vendita. — Infrangere la legge è doloroso e a volte ancora più
costoso che contrariare Baruma. — Quell'atto è falso, vero? — Ah, si vede che l'effetto dell'oppio si sta esaurendo — osservò Brindemo, sollevando il documento in modo da esporlo alla luce che entrava dalla finestra. — È un falso eseguito con estrema abilità e professionalità, ma del resto è quello che ci si può aspettare da Baruma... che possa scambiare una candela accesa per un cuscino e sedervisi sopra! Cerca di ricordare chi sei, così forse ti potrò aiutare. Hai dei parenti e un clan in Deverry? — Mio padre era un importante mercante di laggiù... questo lo ricordo. — Ah! Allora sarebbe senza dubbio disposto a ricomprare suo figlio per una somma equa se soltanto potessimo ritrovarlo. Se. Sforzati di ricordare, perché non posso tenerti qui troppo a lungo... che succederebbe se Baruma tornasse a chiedere di te? Taliaesyn rabbrividì, ma questa volta si disprezzò per quella reazione. — Vedo che capisci — affermò Brindemo, rabbrividendo a sua volta. — Se non riusciremo a fare altro, ti venderò comunque in un posto decente, così quando il tuo affezionato padre ti verrà a cercare gli potrò dire dove ti trovi e magari lui mi ringrazierà con denaro contante, non credi? — Senza dubbio — rispose Taliaesyn, trovando sorprendentemente facile mentire, considerata la posta in gioco. — È sempre stato generoso. — Bene — concluse Brindano, battendo le mani con forza. — Ora ti daremo da mangiare e un posto dove dormire. Al suo segnale un uomo dalla pelle nera entrò da una porta alle spalle della piattaforma. Alto quasi due metri, era anche molto muscoloso e armato di una corta spada infilata in un fodero ostentatamente coperto di gemme, ma anche senza la spada Taliaesyn non si sarebbe sentito tentato a discutere con qualcuno la cui mano era larga quanto la testa di un uomo normale. — Darupo, portagli qualcosa da mangiare. Scommetto che Baruma gli ha fatto patire la fame. L'uomo annuì, scoccò a Taliaesyn un'occhiata comprensiva e scomparve di nuovo. Durante la sua assenza, Brindemo tornò al suo gioco, spostando i pioli d'avorio lungo i disegni della scacchiera in risposta al risultato del lancio di dadi molto simili a quelli usati in Deverry. Alcuni minuti più tardi, Darupo fece ritorno con una ciotola di coccio che conteneva verdure in una salsa speziata e un cestino di pane molto sottile, fine quasi quanto una pergamena; l'uomo mostrò quindi a Taliaesyn come strappare strisce di
pane e usarle per raccogliere il contenuto della ciotola e anche se la procedura era difficile da eseguire lo stufato risultò delizioso, tanto che Taliaesyn lo divorò con sincera gratitudine. Naturalmente si rendeva conto che nutrirlo bene era una logica tattica commerciale, in quanto gli acquirenti avrebbero pagato di più per uno schiavo sano che per uno malato, ma era troppo affamato per preoccuparsi degli aspetti etici della cosa. Dopo qualche tempo Brindemo smise di giocare e sospirò improvvisamente, sollevando lo sguardo. — I presagi sono cattivi qualsiasi cosa io faccia — dichiarò, accennando con aria infelice alla tastiera. — Ho una cupa sensazione nel cuore... o un presentimento, come dite voi di Deverry: può anche darsi che io ricavi da te un buon profitto, Taliaesyn di Pyrdon, ma maledirò il giorno in cui gli dèi ti hanno portato da me. Una pioggerella sottile si riversava sul porto di Aberwyn e rendeva viscido come vetro l'acciottolato. Avvolto nel suo splendido mantello scarlatto l'araldo reale si affrettò a scendere la passerella fino al molo, facendo così ondeggiare alle proprie spalle la galea reale in maniera tale che il grifone dorato sulla prua parve inchinarsi davanti alla folla riunita a terra. All'estremità del molo Nevyn accennò a farsi avanti per accogliere l'araldo, poi esitò e si rivolse a Cullyn, che era a capo della scorta d'onore. — Vuoi accertarti che i marinai ricevano qualcosa di caldo da bere non appena saranno arrivati alla fortezza? — gli chiese. — Certamente. Poveretti, remare per metà del tragitto da Cerrmor sotto questa pioggia. Nevyn si affrettò quindi a scambiare i saluti di rito con l'araldo, il cui autocontrollo risultò stupefacente: sebbene fosse bagnato, esausto e dolorante la sua voce scandì con forza ogni sillaba e lui s'inchinò con la grazia di un danzatore. — Io, Orys, vengo per assolvere un incarico da parte del re. Chi è colui che mi accoglie? Nevyn esitò per un istante e decise che non se la sentiva di spiegare lo scherzo costituito dal suo nome in un momento del genere. — Mi chiamo Galrion e sono il consigliere di Sua Grazia la Tieryn Lovyan, la reggente. La giustizia del re è sempre la benvenuta ad Aberwyn. — Ti ringrazio, buon consigliere. Vedo che ci avete fornito dei cavalli — replicò l'araldo, poi sorrise improvvisamente ora che il rito era stato concluso e aggiunse: — Vogliamo toglierci da questa dannata pioggia?
— Certamente, Lord Orys. Nella grande sala del Gwerbret di Aberwyn enormi fuochi ruggivano in entrambi i focolari e Lovyan li stava attendendo accanto al tavolo d'onore eretta come un guerriero, con il plaid rosso, bianco e marrone dei Cwl Coc drappeggiato sulla sua sedia e quello azzurro, verde e argento di Aberwyn gettato su una spalla. Quando l'araldo le si inchinò lei gli rispose con un piccolo cenno della mani perché quello non era il momento adeguato per una riverenza: adesso lei era il signore della fortezza nella stessa misura in cui lo era stato suo figlio. — Ti saluto, onorata voce del re. Quali notizie mi porti? — Gravi notizie, Vostra Grazia — replicò l'araldo, infilando una mano nella camicia per estrarne un tubo portamessaggi in argento. — Ho con me un proclama della massima importanza. Sulla sala scese un silenzio assoluto infranto soltanto dal crepitare dei fuochi: dal momento che il contenuto del proclama era stato tenuto segreto anche a tutti i membri della corte, neppure Nevyn sapeva quale esso fosse, e nel guardarsi intorno notò che gli uomini di entrambe le bande di guerra sedevano assolutamente immobili ai loro tavoli all'estremità della sala e che i servitori erano praticamente bloccati ai loro posti. La moglie di Rhys era ferma sulle scale, pallida in volto, mentre Tevylla e Rhodda erano sgusciate dentro dalla porta posteriore e se ne stavano in attesa in un angolo. — Sarei onorata, o voce del re — scandì Lovyan, con voce ferma e tranquilla, — se volessi leggerlo a questa assemblea. Con un gesto elegante Lord Orys liberò la pergamena dal tubo, depose il tubo sul tavolo e srotolò il proclama con uno scatto secco del polso. — «Sia risaputo nella provincia di Eldidd e in ogni altra provincia del regno di Deverry che io, Lallyn Secondo, re per diritto di sangue e di spada, in assoluta obbedienza alle leggi e alla casta sacerdotale del Santo Bel, assumo come mio dovere preoccuparmi della linea di successione dei Gwerbret di Aberwyn, essendo tale Gwerbretrhyn al tempo stesso molto caro al mio cuore e parte importante del mio regno. Finché Rhys Maelwaedd, Gwerbret di Aberwyn, vive che nessun uomo osi convocare il Consiglio degli Elettori per intromettersi nel legittimo passaggio del rhan ai possibili eredi» A questo punto il cuore di Nevyn diede un balzo. — «Inoltre» — proseguì l'araldo, dopo aver fatto una pausa per schiarirsi la gola, — «sia noto in Eldidd e in tutte le parti del mio amato regno che io, Lallyn Secondo, agendo in base all'autorità concessami dal Grande Bel,
sovrano di tutti gli dèi, con questo proclama sconfesso e revoco ufficialmente in maniera assoluta e in tutti i suoi particolari il pronunciamento con cui il suddetto Rhys, Gwerbret Aberwyn, ha posto il bando dell'esilio dal clan su suo fratello Rhodry Maelwaedd di Dun Gwerbyn.» Il proclama conteneva molte altre cose ma nessuno poté sentirle al di sopra degli applausi e delle grida delle bande di guerra, ondata su ondata di approvazione e di risa. Quando lasciò vagare lo sguardo sulla folla, Nevyn trovò Cullyn fermo accanto alla porta posteriore con Tevylla, e anche se nella luce incerta era impossibile stabilirlo con certezza, gli parve di scorgere delle lacrime negli occhi del capitano. Durante tutto il tempo degli applausi, Lovyan rimase perfettamente immobile, con il volto che non esprimeva altro se non un lieve sollievo e un certo piacere che finalmente fosse stata fatta giustizia, cosa che indusse Nevyn ad ammirarla ancora di più. Molto più tardi, mentre l'araldo si stava concedendo il riposo così duramente guadagnato nella migliore camera per gli ospiti, Nevyn ebbe l'opportunità di parlare in privato con la Tieryn nella camera di ricevimento del suo appartamento, dove finalmente lei poté permettersi di gongolare di trionfo e di accennare perfino qualche passo di una danza contadina sul fine tappeto del Bardek che copriva il pavimento. — E così Blaen ha vinto, che gli dèi lo benedicano! Davvero, Nevyn, non sapevo proprio cosa aspettarmi quando Orys ha srotolato quel pezzo di cuoio d'agnello. — E neppure io. Quindi adesso abbiamo un anno e un giorno per riportare indietro Rhodry in tempo per reclamare la sua restaurazione all'interno del clan. Il trionfo di Lovyan scomparve e lei si lasciò cadere su una sedia come una vecchia. — Ah, il mio povero ragazzo! Se soltanto fossimo riusciti a farlo tornare a casa! Nevyn, per gli dèi, tu mi stai nascondendo qualcosa. Dov'è Rhodry? — Imploro Vostra Grazia di fidarsi di me. Non voglio dirtelo, quindi ti prego di accettare la mia parola che è vivo e di lasciar cadere l'argomento. Ti prometto che il dweomer farà del suo meglio per riportarlo a casa da te. — Non so se posso accettare... cosa c'è? Un paggio spaventato entrò quasi strisciando nella stanza. — Vostra Grazia? Mi manda Lady Madronna perché Sua Grazia chiede di te.
Sollevandosi le gonne come una ragazza di fattoria Lovyan lasciò di corsa la stanza seguita a ruota da Nevyn. Al loro ingresso nella camera del malato trovarono Rhys puntellato sui cuscini, con la faccia tinta di un pericoloso colore scarlatto e il respiro che gli rantolava nel petto infossato. Al di sopra di tutto aleggiava il puzzo delle urine di un malato. — Madre! — esclamò, annaspando per respirare ad ogni parola. — Ho sentito parlare i servitori. Quel dannato re ha richiamato Rhodry, vero? Non mi mentire! — Non ho bisogno di mentire a Vostra Grazia — replicò Lovyan, accostandosi al letto e protendendo una mano. Lui la serrò nelle proprie e la strinse con forza come se stesse traendo energia da quel contatto. — Rhys, per favore, è per il bene di Aberwyn e del clan dei Maelwaedd. Lui emise un suono che era una via di mezzo fra un ringhio ed un colpo di tosse; profondamente turbato, Nevyn si affrettò ad avvicinarsi. — Vostra Grazia non si dovrebbe agitare tanto e dovrebbe invece riposare. — Riposare? Quando il re si è fatto beffe di me? — ritorse Rhys, il cui respiro era adesso tanto debole da rendere difficile sentire ogni parola. — Perché non ha potuto aspettare che io morissi? Avrebbe potuto farlo, dannazione a lui! — Non poteva, Vostra Grazia. Se tu fossi morto senza un erede Aberwyn sarebbe diventato un osso conteso da un branco di cani. Per un momento questo parve placare il Gwerbret, poi lui si accigliò come se stesse elaborando un pensiero. — Dov'è Rhodry? — Sta tornando a casa, Vostra Grazia. — Ah. — Rhys fece una pausa, ansando e cercando di ritrovare il fiato, con le costole che si sollevavano spasmodicamente sotto le belle coltri di lana. — Allora non è tornato, vero? Dannato giovane cucciolo, non avrà ciò che è mio, non ancora. — Rhys, per favore — mormorò Lovyan, con le lacrime nella voce. — Non lo puoi perdonare? Rhys volse il capo a guardarla con occhi che esprimevano uno stanco disprezzo, quasi si stesse chiedendo come poteva sua madre fraintendere una cosa tanto ovvia. Improvvisamente fu scosso da un accesso di tosse gorgogliante che lo costrinse a inarcare la schiena e a lottare per respirare. Nevyn si affrettò a sollevarlo e a passargli un braccio intorno alle spalle per sorreggerlo mentre lui sputava fuori una boccata di catarro misto a
sangue. Poi lo sguardo di Rhys cercò quello di Lovyan. — Però, mamma — sussurrò, — era mio. Lo era davvero. E se ne andò con un ultimo spasimo e un colpo di tosse che non gli uscì mai del tutto dalle labbra. Vicino alla porta Madronna gettò indietro il capo ed emise un prolungato urlo di dolore, continuando fino a quando Lovyan si precipitò a stringerla fra le braccia perché potesse piangere liberamente. Sebbene avesse a sua volta il viso rigato di lacrime, la Tieryn rimase in silenzio mentre Nevyn chiudeva gli occhi a Rhys e gli incrociava le braccia sul petto fracassato. — Possa tu avere pace nell'Aldilà — mormorò il vecchio, così sommessamente che le due donne non lo sentirono, — anche se ho l'orribile presentimento che il tuo odio ti impedirà di riposare. Lasciò quindi Lovyan e Madronna al loro dolore e scese nella grande sala, pensando che se non altro poteva fare lui l'annuncio formale e risparmiare a Lovyan quel tetro dovere; ricordandosi poi dell'araldo, mandò un paggio a svegliarlo e si diresse verso il tavolo d'onore. Lungo il tragitto molti fra gli uomini lo salutarono cordialmente ma erano tutti così occupati a festeggiare il futuro ritorno di Rhodry che nessuno di loro parve accorgersi di quanto lui era cupo e affranto, non tanto per Rhys quanto per ciò che la sua morte significava per Aberwyn. Non appena l'assonnato araldo lo ebbe raggiunto, Nevyn salì sul tavolo d'onore e gridò per chiedere silenzio. Sulla sala scese una quiete improvvisa e gli uomini delle bande di guerra si girarono infine con apprensione, attendendo che lui parlasse. Nevyn però non era dell'umore giusto per cercare parole belle e forbite. — Il Gwerbret Rhys è morto — disse soltanto. Nella sala ci fu un sussulto collettivo. — Sua Grazia la Tieryn Lovyan di Dun Gwerbyn è adesso reggente in nome del suo figlio minore, Rhodry Maelwaedd, Gwerbret Aberwyn. Il suono che accolse quelle parole fu inconfondibile, un impulso ad applaudire stroncato sul nascere dal rispetto per la morte, una risata che si spense in colpi di tosse e mormoni, sorrisi che si mutarono in espressioni piene di sconvolta vergogna. Povero Rhys, pensò Nevyn. Adesso credo di cominciare a capirti un po' meglio. E tuttavia nel lasciar vagare lo sguardo sulla sala in cuor suo si chiese con amarezza se Rhodry si sarebbe mai seduto sul seggio del Gwerbret e se quelle fedeli bande di guerra avrebbero mai rivisto il loro giovane signore che tanto amavano.
NOTA DELL'AUTRICE Nel corso degli ultimi anni i lettori mi hanno posto svariate domande in merito alla serie di Deverry. Di solito tali domande ricevono una risposta nelle rumorose sale dei congressi di fantascienza e di fantasy, dove nessuno riesce veramente a sentirle, ma adesso mi è stato gentilmente concesso lo spazio per rispondere ad alcune di esse sulla carta stampata, dove non c'è rumore. A quanto pare, le due cose che la maggior parte dei lettori desidera siano chiarite sono il tipo di magia usata dai protagonisti e il modo in cui ho organizzato i libri. Il dweomer di Deverry si basa in maniera molto elastica sulla «vera magia» della tradizione occidentale, un campo di studio che può forse essere meglio definito attraverso la sua storia. In primo luogo, però, permettetemi di definire l'unica cosa che la magia non è, nonostante le convinzioni popolari e i ripetuti cliché che sostengono il contrario: decisamente, la magia non è un metodo per sostituire la tecnologia e non è neppure un suo equivalente, così come un vero mago non la studierà mai per il proprio tornaconto personale. Un uomo molto saggio l'ha recentemente definita così: «la magia è l'arte di produrre a piacimento cambiamenti nella consapevolezza e di usare tali cambiamenti per espandere la consapevolezza di tutta l'umanità». Notate l'enfasi che viene posta sulla questione della consapevolezza: questo non equivale a dire che la magia non produce mai effetti nel cosiddeto mondo «reale»... al contrario... ma soltanto che nella vera magia la consapevolezza è sempre l'elemento centrale e gli effetti fisici sono secondari. In Deverry, dal momento che sto scrivendo innanzitutto una storia di avventure, gli effetti fisici sono decisamente spettacolari, ma questo è uno dei motivi per cui ho detto che tale magia si basa molto elasticamente su quella della tradizione occidentale. Qual è dunque tale tradizione? Nel corso degli ultimi duemila anni, grazie alle invettive delle diverse chiese e più recentemente della comunità scientifica, la magia nell'occidente è rimasta nascosta, è stata praticata in segreto e perseguitata in pubblico ogni volta che gli inquisitori ne scoprivano l'esistenza... e a causa di tale persecuzione quello che avrebbe dovuto essere un campo organizzato di pensiero filosofico e di pratica spirituale è diventato un miscuglio aggrovigliato e mutilato, mescolato nella mente popolare con la superstizione, con l'adorazione del diavolo e con i trucchi e le stupide storie degli imbroglioni e dei «maghi» da strapazzo. In Asia, do-
ve nessuna religione organizzata ha mai assunto il controllo ferreo dell'anima dell'umanità, la situazione è differente. La maggior parte dei lettori conosce per esempio lo Yoga, una disciplina veramente spirituale che è antica di migliaia di anni, oppure ha sentito parlare della vita monastica dei Buddisti come anche dell'intensa introspezione spirituale e dei poteri che i suoi seguaci ottengono dopo anni di meditazione. La magia occidentale non avrebbe dovuto essere inferiore a questa. Lasciatemi dire che quando parlo dell'Europa e dell'Asia non intendo con questo negare l'esistenza dei sistemi spirituali nativi dell'Africa e delle Americhe, soltanto non ne so abbastanza in merito per poterne discutere con cognizione di causa. Le radici di tutti questi sistemi spirituali, incluso quello che sarebbe dovuto esistere in Europa, si trovano probabilmente tutte in un terreno comune, lo sviluppo dello sciamanesimo nei cacciatori del Paleolitico circa quindicimila anni fa, o forse risalgono ancora più indietro. Dubito moltissimo che qualcuno lo scoprirà mai con esattezza ed io stessa sarei estremamente scettica nei confronti di qualcuno che dicesse di saperlo, soprattutto se tali affermazioni fossero connesse all'avvistamento di dischi volanti, al perduto continente di Atlantide o ad altri elementi sensazionali. Ciò che sappiamo per certo è che al tempo in cui la scrittura si stava lentamente diffondendo nel continente euroasiatico, intorno al 2000 A.C. circa, lo sciamanesimo si era già sviluppato in una varietà di discipline spirituali che in Asia hanno avuto la buona sorte di intrecciarsi strettamente con la vita religiosa di quelle culture. In Europa, nell'Africa Mediterranea e nel Medio Oriente, queste discipline spirituali sono fiorite soltanto fino al diffondersi del monoteismo. Noi conosciamo i loro residui sotto la forma di culti misterici pagani come quello di Eleusi, ne vediamo frammenti nelle religioni dell'Egitto ellenizzato, come per esempio l'adorazione di Isis, e ne possediamo testimonianza in una manciata di testi delle scuole misteriche Gnostiche, alcune cristianizzate e altre no, che sono miracolosamente sopravvissuti alle persecusioni organizzate e alle soppressioni da parte degli Ortodossi, vuoi cristiani o mussulmani, verificatesi negli anni successivi. Ciò che però abbiamo in generale sono resistenti frammenti di radice di una pianta devastata, abbattuta prima del suo massimo fiorire da quel genere di preti che antepongono il potere temporale al benessere spirituale del loro gregge. L'unico vero sistema magico che possediamo è la Cabala giudaica, tenuta in vita da un popolo di enorme coraggio di fronte ad ogni offesa e persecuzione. In quegli anni cupi, il giudaismo è stato l'unica delle
religioni occidentali a rendersi conto che diversi tipi di anime hanno esigenze differenti e che ci saranno sempre alcuni che vorranno conoscere e sperimentare la verità con i loro mezzi e saranno disposti a lasciarsi alle spalle ogni territorio sicuro per farlo. Quelli di noi che credono in questo hanno un grande debito verso il giudaismo e il suo popolo. Non ho qui lo spazio sufficiente per esporre tutta la contorta storia dei diversi maghi e alchimisti, dei Cabalisti cristiani e dei Rosecruciani, per non parlare dei Sufis fra i Mussulmani, che hanno lottato per mantenere viva la magia occidentale durante gli ultimi milleottocento anni circa (se vi interessa l'argomento potete trovare in materia libri dello storico Francis Yates in ogni buona biblioteca pubblica). Il fatto che questi coraggiosi abbiano avuto successo nella loro impresa è già di per sé abbastanza stupefacente e sembra ingiusto sottolineare che una quantità di strane erbacce sono poi spuntate nel campo sgombrato ma mai piantato con i giusti semi, però è anche vero che non tutti coloro che si proclamavano seguaci del vero sentiero erano in effetti tali. E poi, naturalmente, le menzogne e le calunnie sono continuate e continuano tuttora: che la magia porta alla dannazione o alla follia, che le streghe adorano il diavolo, e più di recente che la magia non sarebbe altro che assurdo occultismo della Nuova Era da un lato oppure illusione e frode dall'altro. Come lettori, vi dovrete formare una vostra opinione sulla verità di queste affermazioni, ma per ciò che mi riguarda la mia posizione dovrebbe ormai essere chiara. Per quanto concerne la struttura dei libri di Deverry, molte persone hanno borbottato, fra loro o direttamente al mio indirizzo «a che servono tutti quei dannati flashback?» Ecco, a questo mondo esiste più di un modo per organizzare una storia... o un tomo di informazione effettiva, se è per questo. Il concetto del «cominciare dal principio e prosegure diritti fino alla fine» con cui siamo stati allevati risale ai Greci classici e ci è stato trasmesso dai Romani, e come parte della logica aristotelica costituisce la base della scienza moderna e della visione scientifica del mondo (anche se i fisici moderni stanno cominciando a minarne le fondamenta). In questo modo di guardare al mondo, la freccia del Tempo vola diritta e in una sola direzione, ma la tradizione magica insegna però che non è necessario muoversi in linea retta per arrivare a destinazione. Gli scrittori classici come Diodoro Siculo e Polibio affermano che i Celti, che erano loro contemporanei, credevano nella reincarnazione oltre che in altre dottrine che oggi fanno parte della tradizione magica. Di certo l'arte dei Galli e il successivo fiorire dell'arte celtica nella prima era cristiana
sono prove evidenti che quello era un popolo che organizzava le informazioni in una maniera non classica e non aristotelica, e dal momento che in fin dei conti io sto scrivendo degli antichi Celti, ho preso a prestito anche il loro modo di vedere il mondo, con i cerchi e le spirali che la mia storia disegna nello snodarsi fra le diverse esistenze vissute dai personaggi. Prometto, sugli dèi del mio popolo, se così volete, che ho un piano in mente anche se non si tratta di un piano lineare, e sono convinta sinceramente che se cercherete di vederlo mentre si snoda otterrete qualche piccola ricompensa, se non altro la possibilità di assaporare cosa significhi pensare in maniera non lineare. Se non avete mai visto un oggetto di arte celtica, con le fluide spirali e i triskeli dei Galli, gli splendidi merletti e intrecci dei monaci irlandesi, vi consiglio davvero di fare un favore a voi stessi e di cercare un libro al riguardo in una biblioteca o in una libreria. Vi prometto che la mia piccola opera non è nulla, se paragonata ad esse. RICONOSCIMENTI Come al solito, devo ringraziare numerose persone: Pat LoBrutto, mio curatore e uno dei migliori nel suo campo, che persiste nel tifare per me anche se questo progetto continua a farsi sempre più lungo. Elizabeth Pomada e Michael Larsen, i miei agenti, che sono amici e non semplici conoscenze di lavoro. Marta Grabien, che mi è stata di inestimabile aiuto nell'acquisto del mio computer. Nic e Deborah Grabien, che sono andati al di là dei limiti dell'amicizia per installare il suddetto computer una volta acquistato. Jon Jacobsen, il mio miglior critico e sostenitore, che sarebbe senza dubbio stato una daga d'argento se fosse vissuto a Deverry. Alice Brathin, mia madre, che con sua estrema sorpresa ha scoperto di apprezzare davvero le strane cose che scrivo. E come sempre Howard Kerr, mio marito. FINE