PAUL ZINDEL QUANDO CALANO LE TENEBRE (When A Darkness Falls, 1984) Prologo PRIMAVERA 1981 Lichteiman era al volante, lo ...
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PAUL ZINDEL QUANDO CALANO LE TENEBRE (When A Darkness Falls, 1984) Prologo PRIMAVERA 1981 Lichteiman era al volante, lo stomaco in subbuglio per una colazione pesantissima, quando la radio gli comunicò l'inizio di un nuovo incubo. Pochi minuti dopo svoltò in un posteggio alberato e si fermò dietro un mare di auto della polizia e di autoambulanze. Scese un po' a fatica, slacciò la cintura e l'ultimo bottone dei pantaloni ed estrasse la camicia bianca messicana per coprire la pancia gonfia. Attraversando il prato si chiese come avrebbero fatto i maestri, coinvolti in quell'orrore subito dopo essersi laureati all'università di Los Angeles, a spiegare ai bambini quello che era successo: «Vedete, bambini, questa notte nella nostra scuola è entrato qualcuno cattivo, molto cattivo, e ha fatto delle cose, delle bruttissime cose...» I maestri avevano raggruppato i ragazzini nella zona per il picnic e già stavano arrivando i genitori per portarseli a casa. I piccoli facevano la merendina e giocavano con le altalene, ma ogni tanto guardavano il loro asilo in fondo al campo giochi e le toilette del vicino parco, circondati da una barriera. Lichteiman, passando accanto ai bambini, si accorse con sorpresa che stava cercando di entrare nella loro testa, di vedere il fatto con i loro occhi. «Anche il nostro coniglio?» voleva sapere un piccolino con jeans firmati. «Sì», rispose un altro. «Il coniglio, i polli e il pappagallo, anche...» Uno dei bimbi si mise a tremare, poi scoppiò a piangere. «Su su, state tranquilli», disse una maestra dolcemente distribuendo uvetta. «Adesso vengono a prendervi le vostre mamme e i vostri papà...» Lichteiman si fermò prima alla scuola, costruita in mattoni. All'interno fu subito riconosciuto, ma non si unì agli altri detective e a un paio di inservienti del parco che avevano cominciato a pulire. «Il fatto grosso è nel bagno», gli disse Gower, uno dei nuovi detective. Una delle maestre aveva raccolto delicatamente, come fosse un bambino, una piccola forma molle e pelosa. Piangeva disperata e un poliziotto
cercava di confortarla. Tolman si accostò a Lichteiman. «La scuola è cominciata alle otto e quarantacinque. Sapevano già che mancavano gli animali, poi un bambino li ha trovati nell'armadio a muro. Sono solo dieci, quindici minuti che abbiamo trovato il corpo là fuori.» Lichteiman guardò fuori della finestra, dove i bambini avevano dipinto sui vetri fiori trasparenti. Tolman continuò: «Agli animali hanno tagliato la testa con un paio di forbici. Pensa, tagliare la testa degli animaletti. Un paio di pappagallini, una gallina bianca. Hai idea di quanta forza ci vuole per tagliare con le forbici la testa a un coniglio australiano?» Una delle maestre offrì a Lichteiman un cartoccio di latte. Lui lo prese, vi infilò una cannuccia. Sorseggiandolo, sentì che la bevanda fresca gli calmava la rivoluzione nello stomaco. «Grazie», mormorò quand'ebbe finito. Si diresse verso l'aula. Le pareti erano tappezzate con le opere d'arte dei bambini. Disegni di aeroplani, acquarelli di arcobaleni. Su uno scaffale c'era una fila di bamboline con una mela avvizzita al posto della testa. Dalla finestra vedeva i lampi dei flash che si riflettevano sul muro di mattoni del piccolo edificio dei bagni. Era arrivato il medico legale con il suo assistente. Lichteiman concesse loro qualche minuto, prima di andare dov'era successo «il fatto principale», come diceva Tolman. Per un po' lasciò correre lo sguardo sui tabelloni con le lettere dell'alfabeto, le pile di cubi, i tavolini con la targhetta Jimmy W., Sandra, Tommy, Jason, Jimmy K. Fra i colorì, le sedie minuscole, i sillabari e i libri dei bambini c'era il sacco di plastica nera che sarebbe stato portato via dal camion della spazzatura. Lichteiman si ricordò che non era la prima volta che venivano mutilati gli animaletti in una scuola. Qualche volta un bambino un po' più grande si ricordava delle cose che odiava all'asilo, come la maestra che gli faceva mangiare il budino di riso o lo metteva in castigo nell'angolo. Poi una notte si eccitava e decideva di procurare qualche piccolo danno. Le impronte digitali non servivano, perché le impronte di un principiante non sono registrate. E di solito quello non lo faceva una seconda volta. Lichteiman uscì e, senza fretta, percorse le poche centinaia di metri che dividevano la scuola dal piccolo edificio di mattoni nel parco. Sulla sinistra, attraverso un recinto di assicelle di legno, si vedeva il cortile della scuola, pieno di tricicli, di automobiline e con un cavallo a dondolo sospeso su una grossa molla di metallo. Poco distante, vicino alla strada, c'erano due telefoni pubblici, alcune panchine e un pergolato. Accanto al marcia-
piede erano parcheggiati un camion della Theta Cable, un furgone dei telefoni e altri due veicoli. Dei poliziotti stavano interrogando gli operai che si erano fermati per bersi in pace un caffè, mangiare un sandwich, riposare un po' oppure telefonare all'amante o alla moglie. Si fermò. Era arrivato alla barriera. I poliziotti che la presidiavano gli rivolsero un cenno di saluto poco caloroso. Lo conoscevano, era uno specialista, e, mentre toglievano il cavalietto per farlo passare, Lichteiman ebbe la sensazione che tenessero le distanze. Furono sorpresi di vederlo girare a destra ed entrare nel bagno degli uomini. Lichteiman notò che all'interno faceva fresco e non c'erano scritte. Si scaricò. Uscì per entrare nell'altra porta. Il fotografo della polizia stava ancora scattando foto, una squadra rilevava le impronte digitali. Nel tipo accucciato che si stava alzando Lichteiman riconobbe il medico legale, il dottor Heybrown, sempre col suo gessato blu e la cravatta vistosa che faceva a pugni con l'abito. «Chi è?» chiese Lichteiman. «Non so, probabilmente una puttana, ma non se lo meritava», commentò il dottore. Sul freddo pavimento di piastrelle messicane era steso il corpo della ragazza. Era legata con le mani alte sopra la testa, come se stesse pregando quando la morte era arrivata. Fu a questo punto che un presentimento oscuro si impossessò di Lichteiman. Quando si accostò al corpo, non era del tutto preparato alla vista dei luccicanti anelli d'argento di una forbice che spuntavano dal collo. L'arma era stata conficcata proprio sotto l'orecchio sinistro. Sembrava un gioiello mostruoso. Due detective gli diedero informazioni del caso. Nell'ambiente piastrellato le loro voci basse risuonavano come un lamento funebre. «Pensiamo che nessuna delle maestre sia entrata qui stamattina. Se ci fosse stato qualcuno, avrebbe perlomeno notato i graffi sul muro e il metallo intaccato.» Lichteiman ascoltava, ma i suoi occhi erano fissi sul grande specchio rotto sopra il lavandino. Quella che gli tornava era l'immagine di un demonio a pezzi. Poi l'odore gli arrivò al naso, lo soffocò. «Chiunque sia stato, prima l'ha uccisa e poi le ha pisciato addosso», sussurrò uno dei detective. Lichteiman si affrettò fuori, fermandosi solo quando sentì il calore del sole. Le ombre e il fantasma indistinto di un animale selvaggio che abbaiava vagavano in cerca di preda ai margini della sua ragione. «Fa entrare
una bambina dalla finestrina, fa entrare una bambina dalla finestrina», cantavano i bambini nel parco. Sarebbe andato a casa. Avrebbe aspettato una settimana, un mese, qualche volta aveva dovuto aspettare di più. In fondo al cervello qualcosa gli diceva freddamente che era solo questione di tempo. Presto ci sarebbe stato bisogno del suo talento. Parte prima Capitolo 1 8 LUGLIO MEZZANOTTE C'erano rumori. Rumori. Non era abituata ai rumori della casa: gli scricchiolii, gli schiocchi, gli «assestamenti», come li aveva chiamati il geologo. «Sì, la parte orientale della casa si sta assestando. Lo si vide dalle crepe vicino al camino. Poi ci sono le termiti, ma noi imballiamo la casa. La avvolgiamo in un grande telo e lo riempiamo di gas letale, finché le termiti non scappano a nascondersi sotto terra insieme con la loro regina, a settanta, cento metri sotto il livello del suolo. Poi quei piccoli diavoli ricominciano a tornare su finché fra qualche anno l'impacchettiamo e li gasiamo di nuovo.» Era tardi, ma Marjorie stava ancora lavorando al suo romanzo nella camera degli ospiti. Cercava di tenere a mente tutte le regole del narratore. Aveva bisogno di conservare le energie e la tensione. Avrebbe voluto avere qualcuno giovane a cui raccontare la storia da cima a fondo, ma erano otto anni che non insegnava più al liceo, con tutta la sua follia di riunioni di professori, di pianificazioni e di gioventù impaziente. L'ultima volta che aveva avuto l'occasione di parlare un po' più a lungo con uno al di sotto dei vent'anni era stata quando il figlio «fumato» di una star era venuto a tagliare l'eucalipto malato dietro la casa. A New York i giovani le stavano sempre attorno, in classe e per la strada. Ma lì, a Beverly Hills, persi nella droga, mantenevano le distanze. Se ne stavano distesi indifferenti sulla spiaggia e solo qualche volta li sentiva gridare verso di lei da una Lamborghini o da una Trans Am che incrociava il Sunset Boulevard. Ancora rumori. Si alzò dalla scrivania per guardare dalla finestra che dava sulla strada.
Di solito, sotto il lampione più vicino c'era almeno un cane randagio che frugava nervosamente con le zampe negli enormi bidoni verdi della spazzatura fuori delle grandi case. Niente. I suoi occhi vagarono nell'ombra dell'edera in cerca di topi o di gatti. Forse un serpente; sapeva che quando il caldo dell'estate era al massimo, dai canyon in fondo alla strada quelle orrende bestie si spingevano fino al fresco dei grandi prati e delle piscine. Il signor Mercer, un vicino, le aveva raccontato che l'estate prima ne aveva trovati tre e li aveva decapitati con una pala. Ma quel Mercer aveva l'aria di essere sempre a caccia di qualche cosa: di animaletti, di striscianti esseri notturni, di una battuta. Ogni volta che apriva bocca sembrava alla ricerca nevrotica di una battuta! Clink! Clunk! Uscì dalla stanza degli ospiti e si diresse verso l'atrio. Dal suo studio la vista era più ampia. Da una finestra poteva vedere il giardino sul retro: i conigli. Erano bianchi e al sicuro. Li avevano comperati a Tahoe per festeggiare la Pasqua, coi bambini. Nessun procione cercava di forzare la gabbia di metallo. Non c'erano cani che abbaiavano. Niente rospi, serpenti o topi che si agitavano nella piscina. Le luci notturne consentivano di vedere che gli eucalipti giganti erano ancora in piedi e, per il momento, non minacciavano di abbattersi sulla stanza dei bambini. Crunch! Click! Poi toccava alla stanza di Courtney, vicino alla grande scala che univa il piano terreno alla parte alta della casa. L'amata Courtney con un filo di asma, il tesorino che si svegliava a tutte le ore, che correva a saltare sul loro letto e che doveva essere spostata nello speciale lettino di gommapiuma sempre pronto ad accogliere un bambino che aveva paura, sete o bisogno di amore. Con i suoi novantasette centimetri, Courtney era distesa nel suo lettino a castello come una principessa in una nuvola di lenzuola, di bambole e di copertine di pizzo. Una delle finestre che dava sulla strada era aperta. La chiuse. Era troppo vicina all'ingresso. Qualcuno avrebbe potuto arrampicarsi sulla ringhiera di ferro battuto e fare del male al suo diavoletto. Si stupì della perfezione della bambina, la coprì e si diresse verso la porta. Si fermò, con uno di quei ripensamenti che le erano tipici, a guardare a bocca aperta la collezione di bambole, lo stereo, la lavagna, i poster e l'armadio che scoppiava di vestiti. Provò un impeto d'amore per il marito che le permetteva di viziare tanto i bambini.
Di nuovo nell'ingresso, oltre il suo studio, tre gradini e poi la svolta a L. C'era il piccolo ingresso laterale, poi la stanza di Danny, ampia e rossa, grande come lo studio di un artista. Il bimbo di sei anni sporgeva a metà del letto a forma di macchina, col collo abbandonato e i bei capelli castani che pendevano verso il pavimento. Ahi! Calpestò un modellino di auto da corsa ed evitò in punta di piedi i pezzi del domino. Con un po' di fatica lo girò, lo sollevò, e gli risistemò la testa al centro del cuscino con il volto di Superman. Lo baciò, spostò l'orsacchiotto e il cammello di pezza in modo che lo circondassero, lo proteggessero. La parte del suo cervello che apparteneva alla scrittrice cominciò a ronzare: E quando scriveranno la tua storia, mio dolce bambino, non sarà la saga di una famiglia in crisi, né la discordia di Adamo ed Eva. La tua odissea s'intreccerà con quella di tua sorella e di tuo padre e di tua madre che ti amano, sarà conservata in filmini casalinghi e in cassette video proiettate sul nostro Panasonic. Eravamo una famiglia solida, coraggiosa e amorevole... Tornata nello studio, annotò quei pensieri notturni per il suo romanzo. Viene dallo stomaco, dallo stomaco. La paura. Dichiarare la sua paura. Là fuori ci sono delle ombre, che si costruiscono, che si formano per lacerare le famiglie degli altri. Clunk. Di nuovo i rumori. Venivano dal piano di sotto. Non le piaceva scendere per la scala di servizio, ma era da là che proveniva il rumore. In cucina. Tornò nell'atrio, scese fino all'ingresso di servizio e in garage. Controllò le serrature, continuò a scendere. Merda! La vestaglia s'impigliò nella ringhiera. Poi sotto i piedi sentì il linoleum. Sì, la cucina. C'era stato qualcuno. Doveva averlo disturbato. Forse era Maria che s'ingozzava di succo d'uva e di biscotti, saccheggiando il congelatore. Accese la luce. Nessuno. La porta della stanza della cameriera era chiusa. Sentì un respiro, un rumore metallico. Era un suono che le sue orecchie conoscevano: Sandy, il bastardo di terrier, che lei aveva salvato dalla camera di decompressione del canile municipale. Sandy, ospitato nella cuccia tra il bagno della donna e la porta che dava sul retro. Finalmente una traccia: un cartoccio di latte sulla mensola bianca della stufa. Doveva essere Jack. A suo marito piaceva bere un bicchiere di latte durante la notte. Guardò nell'armadietto. Tutto era al suo posto. Le sue mandorle e i suoi semi di girasole, i salatini, i pretzel e i semi di zucca sa-
lati di Jack. La grande riserva di biscotti e biscottini dei bambini. Solo il latte. Strano che l'avesse lasciato fuori; per fortuna era arrivata lei a fare ordine. Aprì il frigorifero per rimettere il latte sull'ultimo ripiano quando le venne in mente di annusarlo. Il suo olfatto le disse che andava quasi bene, quasi, non del tutto. Controllò la data. Doveva essere ancora buono, ma non lo era. Il latte era freddo, ma puzzolente. Lo versò nell'acquaio. Quando tornò di sopra Jack dormiva. Non poteva passare davanti alla fila di finestre del corridoio senza sentirsi come un orso di plastica in un tirassegno. A ogni passo immaginava che il raggio di luce di un fucile la colpisse nella cellula fotoelettrica che aveva sulla spalla, facendola ruggire, alzare le braccia e cadere riversa. Appena avessero potuto permetterselo, le avrebbe coperte con delle tende. Entrò nel letto dalla parte sinistra, la sua parte. Facendo attenzione. Non troppa, però. Poteva essere una delle tante sere in cui il suo dolce e affaticato marito si svegliava, scopriva di desiderarla e la prendeva quasi con violenza. Ultimamente arrivavano a sera stanchi e per lo più facevano l'amore a tarda notte o all'alba. Qualche volta, la domenica o il lunedì, il giorno di libertà della cameriera, se i bambini erano fuori a giocare o in campeggio, lo facevano anche in piscina e persino sull'amaca vicino al roseto. Non quella notte. Decise allora di fabbricarsi i suoi sogni. Accostò la gamba a quella del marito, e presto si trovò a fluttuare in un ricordo notturno. Spingeva un doppio passeggino a Central Park. I bambini avevano due anni e quattro mesi. Il caldo smorzava il rumore della strada e le grida dei neri sugli skateboard. Degli allegri cavalli tiravano le carrozzelle addobbate. Sulle altalene i bambini gridavano. Vecchi amici e bambinaie inglesi. Un caffè con le altre madri. Ricette di torte. Informazioni sulle scuole. Con gli occhi dell'immaginazione vide Courtney con un cavalluccio e Danny con il carro armato. Poi Jack, che si affrettava verso di loro sul viale che costeggiava la Taverna del Verde. La discussione di una sceneggiatura in una televisione, l'ABC o l'NBC. Poi la famiglia che si riuniva fra baci e strilli. Papà, papà, guarda; papà, prendimi in spalla. Ti voglio bene, papà... 21 LUGLIO Il giorno del loro anniversario Marjorie si svegliò per prima. Si infilò la
vestaglia, chiuse la porta del bagno e dello spogliatoio personale del marito. Tutte quelle porte (del tipo che rientrava nel muro) non le erano ancora familiari. Deboli serrature placcate d'ottone che non chiudevano bene. Attraversò il bagno di marmo, troppo grande, e uscì in corridoio, poi andò a chiudere il secondo ingresso della stanza da letto, per proteggere il sonno di Jack. Attaccato alla maniglia c'era un lungo guinzaglio e all'altro capo del guinzaglio c'era Sam. Sam uggiolò e balzò in piedi. Marjorie corse giù, dove c'era la cuccia di Sandy e li fece uscire tutti e due. La tecnica di legare il grande danese in corridoio era l'unico modo di proteggere la casa dalla devastazione mentre dormivano. Da quel punto, Sam poteva vedere chiunque fosse entrato con l'intenzione di fare del male a lei, a Jack o ai bambini. Se ciò fosse successo, il silenzioso, felice e giocherellone Sam sarebbe diventato il nero e digrignante Sam, una leale macchina per uccidere, in grado di strappare il guinzaglio che lo legava alla maniglia. Otto e dieci. Il caos del mattino. «Mamma, in classe c'è una bambina che dice che nel suo vestito c'era un'altra persona», disse Court, divorando il suo piatto di corn flakes e rovesciando sul legno del tavolo, già abbastanza conciato, il succo d'arancia. Maria aveva preparato il caffè. Tomás, il giardiniere, era arrivato, aveva già fatto un giro in giardino ed era già intento a pulire le piastrelle della grande piscina, come se fosse un'enorme vasca da bagno da cui togliere l'anello di unto. «Ti sei lavato i denti, Danny?» Jack arrivò a piedi nudi, ancora addormentato, con la sua maglietta e con la scritta «Superpapà» sul petto. Un bacio a Marjorie, poi a Danny e un bacino speciale a Court. «Svelti, è arrivato l'autobus del campeggio.» Di corsa a prendere gli zaini. «Guarda, papà, con un pezzo di legno ho fatto un'anguria.» «Papà, comprami lo spazzolino da denti di E.T.» «Ti voglio bene, papà.» «Vincete un sacco di premi», gridò loro dietro Jack. Marjorie li spinse fuori dalla porta di servizio. Visto il prezzo, non le faceva molto piacere vedere l'autobus del campeggio, con su scritto a lettere gigantesche CAMP KUSHAQUA. Ma vi andavano tutti i bambini della scuola. Un pezzetto di terra situato, pensate un po', fra l'ospedale dei veterani e il cimitero. «Sii prudente, Joey», disse Marjorie mezzo scherzando al giovane autista. «Ci può contare, signora Krenner. Oggi i bambini apriranno un sentie-
ro.» «Magnifico», assentì Marjorie; poi ebbe una visione di trottolini che falciavano come forzati. L'autobus partì e Marjorie tornò di fretta al tavolo del breakfast. Un'altra tazza di caffè con il suo amante e marito. Estrasse dalla tasca della vestaglia una scatolina avvolta nella carta d'argento e la posò di fronte a Jack. «Buon anniversario», disse. Jack guardò il regalo. «Grazie, Marjorie.» Si chinò a baciarla, ma le labbra sfiorarono appena la guancia. Lei sapeva che era il rituale a imbarazzarlo; non era mai riuscito a ricevere un regalo con grazia. Sapeva anche che non l'avrebbe aperto finché non fosse stato solo, ma che, quando avesse visto i gemelli ricavati dalle opali comperate durante il viaggio che avevano fatto a marzo in Australia, allora sarebbe stato fiero di portarli e di ricordare i canguri, la grande barriera corallina e l'ornitorinco. «Senti, Marjorie, mi è scappata un po' di mano la situazione. Devo consegnare ad Aris una seconda stesura per venerdì. Sto lavorando un po' troppo. Non ti ho preso niente.» «Non preoccuparti, Jack. Capisco.» «Va' in Rodeo Drive e comprati qualcosa. Volevo farti un altro abbonamento da Elizabeth Arden, ma mi sono dimenticato. Mi sento a terra.» «A me sembri in gamba», disse Marjorie strizzando l'occhio e facendolo sorridere. Era vero. Lo aveva sempre trovato bello in ogni senso, aveva sempre desiderato di essergli così vicino da poter entrare nella sua pelle, da essere una cosa sola con lui. Lo adorava anche nelle poche occasioni in cui le sembrava completamente esaurito, perché la stanchezza non faceva altro che rendergli più languidi gli occhi scuri e più magnetiche le labbra piene. Erano le stesse labbra e gli stessi capelli scuri con la scriminatura a metà che aveva il padre di Marjorie. «A proposito, stanotte hai lasciato fuori il latte», disse Marjorie. «No, non credo.» «Be', allora è stato qualcun altro», sorrise. «Vuoi un altro caffè?» Le piacevano quei pochi momenti in cui lui restava seduto, prima di alzarsi e andare nel suo studio-biblioteca. Coi bambini fuori, i domestici indaffarati, lui poteva bersi una seconda tazza di caffè e spargere su di lei la sua saggezza. Si sentì legata a lui, come se soltanto attraverso lui potesse diventare quella che aveva sempre desiderato essere. Eppure sentiva che quel dono non era più grande di quello che lei aveva fatto a lui.
«Jack, a proposito della ragazza del mio romanzo», cominciò, timida. «Sai, quella che non riesce ad ammettere che il padre è morto? Ti ricordi?» «Sì, mi ricordo.» «Pensavo che sarebbe meglio fare esplodere il conflitto nel momento in cui lei viene a contatto col mondo impazzito del ragazzo. Secondo te funziona? Non potrebbe essere un buono spunto?» Jack, l'oracolo, diede il responso: prima di assegnare un qualsiasi compito a un personaggio, doveva decidere quale problema voleva risolvere. Poi sparì, per immergersi nel suo lavoro in biblioteca. Neanche un'ora dopo arrivò la telefonata da New York e Marjorie dovette riferirgli che sua madre stava morendo. Capitolo 2 22 LUGLIO 4.30 In un primo momento, quando sentì squillare il telefono a quell'ora del mattino, Lichteiman pensò che dovesse essere il suo vecchio amico Harry; ma prima di portare il ricevitore all'orecchio sapeva che non poteva essere lui perché Harry Duckman era andato alle Hawaii per passare il resto della sua vita con un orologio d'oro o qualsiasi altra cosa che i ragazzi avevano deciso di regalargli. «Chi è?» gridò nel ricevitore. «George Lichteiman?» «In persona.» «Tenente Straub. Ho preso il posto del tenente Duckman.» «Cosa vuole?» domandò in un soffio Lichteiman. Era seduto sull'orlo del letto e si guardava la grossa coscia che spuntava dalla maglietta. Centoquaranta chili. Altro che dieta. Chissà se davvero non c'era niente da fare? A cinquantasette anni, con tutta quella ciccia e quella voce importuna nell'orecchio a quell'ora del mattino. Un nuovo tenente poteva rompere le balle, ma Lichteiman avvertì del rispetto nella sua voce. Significava che qualcuno gli aveva già parlato di lui: dell'imprevedibile e impulsivo Lichteiman, l'uomo che a un pranzo politico aveva dato del «coglione» al commissario di polizia davanti a ottocento ricche matrone. Oh, sì, per questo caso dovrebbe chiamare Lichteiman. Quel vecchio grassone di Lichteiman che vive sul Mulholland Drive, in quella brutta vecchia casa in
cima alla montagna. Buon vecchio Lichteiman, duro, franco, gran bevitore, attaccabrighe e giocatore incallito. Oh, Eddie Straub, direi che ne hai sentite di cose sul mio conto. Quella volta che mi hanno dato una coltellata proprio in mezzo al torace a San Francisco e le voci per cui avrei rotto settantasette ossa a un magnaccio e buttato giù uno spacciatore dal tetto. Sì, sì, te l'hanno raccontata tutta... «È una cosa per lei», gli disse Eddie Straub. Lichteiman posò il ricevitore senza rispondere. Infilò i piedi negli stivali — non c'è tempo per le calze — niente mutande, bastano i pantaloni, con la maglietta infilata dentro. Non è ancora ora di cominciare a pensare. Prima di un'altra ora la mente non parte. Raccolse qualche moneta sul comodino e si chiuse la porta alle spalle. Fuori cominciarono a lacrimargli gli occhi. Sentì delle fitte al petto, del tipo che associava a un attacco cardiaco o a un enfisema avanzato. Tanto tempo prima gli avevano insegnato che era solo un segnale della gravità dello smog. Entrò nella sua Fleetwood del 73 e girò la chiavetta. Il motore tossì risentito. Discese per il viale sterrato e girò a destra. Tenendo il volante con una sola mano, schiacciò il bottone del cassetto dei guanti e prese una bottiglia di Jack Daniels. Eddie Straub aveva l'aria di un pivello, più di quanto Lichteiman avesse immaginato: giovane, bello, coi capelli color sabbia, uno di quelli che respirano a bocca aperta. Lo aspettava accanto al corpo, che era stato scoperto in un mucchio di rifiuti lungo un campo di pallone. Le luci ruotanti di quattro macchine della polizia parcheggiate sul campo fendevano l'alba. Il furgone del servizio investigativo era subito dietro il corpo coperto, disteso accanto a un materasso sfondato. Straub si presentò e parlò in fretta. «È stato un fabbricante di sapone miliardario a trovare il corpo, mentre portava a spasso il cane. La vittima è una donna, circa vent'anni, forse un'autostoppista, del tipo hippy.» «Non le piacciono gli hippy, Straub?» chiese Lichteiman. Straub esitò, poi decise di ignorare la domanda. «È morta da nove giorni. Colpita trentasette volte con qualcosa che potrebbe essere una piccozza da ghiaccio.» «Ha detto che è una cosa per me?» disse Lichteiman lentamente. «Era sotto il materasso. Ogni giorno i bambini usano il campo per imparare a giocare al pallone. Il tipo teneva il cane al guinzaglio e ha visto il braccio sinistro spuntare dal materasso.» «E allora?»
«Allora, il corpo è stato sotto il materasso per nove giorni, ma stanotte qualcuno deve aver spostato il braccio. Altrimenti i bambini lo avrebbero visto prima.» Lichteiman si oscurò, irritato che il sonno del mattino potesse essere alla mercé dell'ultimo arrivato. Osservò i tecnici intenti a prelevare il sangue essiccato dagli abiti e dalla terra. Passavano il materasso con un pettine fitto. Lichteiman pensò che Straub tecnicamente fosse a posto, ma che gli mancasse il sesto senso. Si trattenne dallo sbraitargli in faccia. E allora, che cosa vuol dire? Ieri un paio di bambini hanno giocato sul materasso. Lo hanno sollevato e hanno visto il cadavere, hanno gridato, lo hanno lasciato ricadere e il braccio è scivolato fuori. Controlli in giro. Dev'esserci un bambino spaventato con qualcosa da dire. Ecco com'è la storia del braccio, pallone strapagato... «Dei bambini possono aver scoperto il corpo», ribatté dominandosi. «C'è qualcosa di più della mano», disse Eddie Straub. Sollevò il telo grigio, scoprendo la giovane forma inanimata. Il corpo era svestito. La maggior parte delle ferite erano nella zona del basso addome. Gli occhi di Lichteiman si spostarono dalle ferite essiccate, nerastre, a quella che doveva essere stata una faccia giovane e carina. Era un caso per lui. A quel punto lo sapeva, anche senza che Straub gli dicesse il perché. «Il fatto è», confermò Straub, «che è morta nove giorni fa per ventotto colpi, ma nove delle ferite sono più recenti. Chiunque sia stato, è ritornato a infierire sul cadavere, nove giorni dopo.» Lichteiman si girò e si avviò verso la sua auto. Straub gli gridò dietro. «È una roba per lei, vero, Lichteiman! Non avevo ragione?» Lichteiman ricordò il corpo rattrappito ai gabinetti nel parco, un cadavere che sapeva di urina. C'era un pazzo che girava libero per il mondo. Un altro. Avevi ragione, Straub. 23 LUGLIO A tavola si decise che Jack sarebbe partito da solo. Jack disse che non c'era abbastanza denaro per andare tutti, inoltre Marjorie non era mai stata vicina a sua madre o a sua sorella. Le aveva sempre considerate persone piuttosto eccentriche e dominatrici nelle quali la lotta per la sopravvivenza dopo il divorzio precoce della madre di Jack aveva lasciato profonde ferite. Marjorie soffriva di complessi nei loro confronti, quasi come se Jack l'a-
vesse imbrogliata sposandola e odiava il loro modo di parlare di suo marito come di una specie di enfant terrible il cui temperamento artistico meritava una dedizione totale, soprattutto da parte di quella cretina di ebrea di sua moglie. Marjorie accompagnò Jack all'aeroporto a prendere un volo notturno speciale e in macchina decisero di dire ai bambini che la nonna stava morendo. Quella sera, tornata a casa, Marjorie tirò giù dallo scaffale alcuni libri di quelli che aveva comperato tre anni prima quando stava morendo suo padre. Allora i bambini non le avevano fatto le domande che le avrebbero rivolto ora. I titoli erano Cos'è la morte, La decima buona cosa a proposito di Barney e Oggi è morto il nonno. Il giorno dopo, quando i bambini tornarono dal campo, lei era abbastanza pronta. Per cena preparò loro l'amato vitello impanato, carote bollite per Courtney e crude per Danny. Poi, come dessert, lasciò loro mangiare un enorme gelato di cioccolato. Poi, poco prima dei Muppets, Courtney chiese che cosa voleva dire morto. «Non avete mai visto niente di morto?» chiese Marjorie. «Erba», sbottò Danny, e rise. «Uno è morto quando non si muove», disse Courtney. «Ho visto un topo morto, un pesce rosso e una mosca.» «Morto è quando il papà ti sgrida e tu dici che vorresti essere morta, vero, mamma?» La domanda di Danny sorprese Marjorie. Non si ricordava di aver detto una cosa del genere. «No. Se l'ho detto, l'avrò detto senza volerlo e mi scuso con tutti e due.» Aveva dimenticato come i bambini prendono alla lettera frasi come «mi stai uccidendo», o «oh, sì, ti prego, muoio dalla voglia di andarci». Alla fine della discussione doveva ricordarsi di chiedere ai bambini di ripetere con le loro parole quello che avevano capito. «Parlo di morte quando litigo con papà?» chiese. «Questa è roba brutta», disse Courtney. «Non parliamo della roba brutta.» «No invece. Penso che dovremmo parlarne, se volete.» Marjorie vide che Danny e Courtney cominciavano a essere a disagio. «Vi ricordate quando ho detto che volevo essere morta?» «È stata quella volta che è arrivato quell'uomo che ti ha abbracciato e messo un braccio sulle spalle... e papà ha detto...» «Che cosa ha detto papà, Courtney?» «Papà si è messo a gridare», disse Danny ridendo.
«E perché papà si è messo gridare?» «Perché quell'uomo arrivò qui a casa il mattino dopo e svegliò papà, e l'uomo disse che era venuto perché la festa per il compleanno di suo figlio sarebbe stata alla sala Santa Monica sulla Quarta Strada mentre sull'invito c'era scritto Ottava Strada... papà si mise a gridare e gridare.» «La mia festa non la voglio nella sala Santa Monica...» Marjorie si stupì che i bambini ricordassero quell'incidente molto innocente. A una riunione di genitori, dove c'erano più di quattrocento persone, uno dei padri l'aveva salutata abbracciandola. Era alticcio, aveva conosciuto lei e Jack per via della squadra di pallone dei bambini. Aveva una figlia incantevole, Holly, una piacevole moglie con l'aria svanita, e Jack con la sua esplosione di gelosia aveva perso il senso delle proporzioni. La più offesa in tutta la storia era stata lei, che si era stancata della campagna condotta da Jack per controllare ogni suo movimento. Per tre interi mesi l'aveva interrogata su dov'era andata, chi aveva visto, perché ci aveva messo tanto ad andare al supermercato e al negozio di giocattoli. Alla fine aveva dovuto rendere conto di ogni mezz'ora ed era esplosa e aveva detto a Jack di smetterla, eh, sì, probabilmente aveva drammatizzato dicendo che avrebbe voluto essere morta. Non aveva parlato sul serio. «Dio ci protegge dalla morte», sparò Danny. «Oh, sì. È molto bravo, lui», insistette Courtney, ridendo. Dovettero ridere anche Marjorie e Danny. Courtney era sempre al centro dell'attenzione. «E se incontro Dio», continuò Courtney, «mi piacerebbe dirgli grazie per la terra, grazie per la California, New York, l'Africa, e grazie a Giovannino Semedimela per gli alberi.» «E tu, non vorresti ringraziare Dio per qualche cosa?» chiese a Danny. «Sì, voglio ringraziarlo per le scoregge...» Danny e Courtney scoppiarono a ridere divertiti. Marjorie fece una faccia severa, col risultato di far ridere i bambini ancora di più. «Dio è un uomo che è in un bastone, in un osso, nelle rocce e nelle nuvole!» continuò Courtney. «È nella signorina Maggie nuda...» «Attento a quello che dici, Danny.» «Ed è nel burro di noccioline», aggiunse Courtney. «Dio è nelle ombre e negli alberi...» «È un omino che vive nei posti piccoli, negli aeroporti, piccoli cerveliet-
ti...» «Ed è nei topi...» «E fa questo...» aggiunse Danny muovendo la mano destra dall'alto al basso e poi da destra a sinistra. Marjorie rimase stupita nel vedere Danny che si faceva il segno della croce. Lei e Jack non avevano mai parlato di religione coi bambini. Aspettavano, che cosa non sapeva bene. Che educazione religiosa dovessero dare ai figli due agnostici, non lo sapeva proprio. «Sai quello che hai fatto?» gli chiese Marjorie. «È un segno.» «Che segno pensi che sia?» «Ebreo.» «Ebreo?» «Sì. Un segno dei bambini ebrei o cattolici per benedirsi.» «Che cosa vuol dire benedirsi?» domandò Courtney. «Non lo so», confessò Danny. «Qualcosa che c'entra coi vampiri. Lo fanno quando succede un incidente o quando qualcuno fa male o qualchedun altro. Lo fanno quando le mamme e i papà fanno male ai bambini e i bambini sono messi sottoterra in casse di legno.» Marjorie prese un sorso di caffè, cercò di essere naturale, di non mostrarsi emozionata. La guardavano tutti e due, attenti a ogni suo movimento, a ogni suo respiro. La stavano mettendo alla prova. «Dove avete visto i bambini nelle casse di legno?» chiese. «Al telegiornale», rispose Danny. «Li ho visti al telegiornale.» «Come in guerra?» «Sì, i bambini morti in guerra e il posto dove tutte quelle bande spagnole e i drogati si sparavano fra loro», spiegò Danny. «E qualche volta una mamma butta i suoi bambini giù dal ponte e abbiamo visto un papà che ha sparato a tutti. Un bambino e una bambina erano nelle casse di legno...» «È questo che faranno alla nonna? Finiranno in una scatola e la 'pianteranno'?» Marjorie sentì ansia, meraviglia e insicurezza montare nei bambini. I giochi e gli scherzi si stavano trasformando in qualcos'altro e lei dai libri sapeva che i bambini sentono molto la morte, e che evitare di fornire loro parole per indicare l'esperienza può non solo confonderli, ma anche essere all'origine di idee profondamente sbagliate. Qualcosa di nuovo di cui preoccuparsi. Come i recenti attacchi d'asma di Courtney. Certo, erano legge-
ri, di solito venivano dopo un raffreddore, ma erano abbastanza gravi da essere curati con medicinali. I dottori avevano detto che era un fenomeno abbastanza comune fra i secondogeniti. Nasceva dallo sforzo di tener dietro a un fratello maggiore e dal fatto che spesso, la seconda volta, i genitori sono meno premurosi. Marjorie era pronta a lanciarsi in una descrizione di una cerimonia funebre, quando i bambini si distrassero. I Muppets. Ecco i maledetti Muppets. Marjorie guardò le facce sorridenti di Courtney e Danny, che strillavano, alzavano il volume della TV e finivano il loro gelato. Pensò quanto era saggia la natura a dare un respiro così breve alla tristezza dei bambini. 24 LUGLIO Quando Jack atterrò all'aeroporto Kennedy era già l'ora di punta. Prese le valigie, ritirò la macchina a nolo della Hertz, e imboccò la strada intasata che portava a New York. Sul ponte Verrazano fu sopraffatto dai ricordi. Senza un padre, la sua infanzia non era stata facile. Dall'alto del ponte poteva ricordare solo dolore. Quella volta che qualcuno lo aveva colpito in testa con una mazza da baseball. Quell'altra quando una banda lo scherniva e lui aveva tirato fuori da una scatola di scarpe un petardo e lo aveva fatto scoppiare sulle spalle di uno dei ragazzi. Maledetta infanzia, pensò. Maledetti tutti quei piccoli sussurri nevrotici di quell'impoverito paesaggio irlandese italiano da cui era scappato. Uscì a Todt Hill Road. Fin da quando la madre vi si era trasferita anni prima, l'ironia del nome non aveva mai smesso di tormentarlo: «Death Hill Road, la collina della morte». Parcheggiò davanti alla casa della madre, con la staccionata bianca e una Karmann Ghia scassata nel vialetto. Sua sorella Bernice lo aspettava sulla porta. Gli venne incontro nel portico. Poi l'abbracciò. Poi disse la parola. «Cancro, Jack. Glielo hanno trovato persino nel liquido polmonare.» La sorella si ritrovò a piangere sulla balaustrata del portico, sopra un'aiuola di gigli. Lui lasciò che si riprendesse, poi entrò. Nel soggiorno, di fronte a un lungo stereo di mogano, la madre giaceva esausta su un letto d'ospedale affittato. L'odore acre gli colpì le narici. Lei tese la mano, mormorando il suo nome. Lui le andò a sedersi accanto e l'abbracciò. Una grande fragilità sotto i cuscinetti di grasso che ancora circondavano il suo corpo. La faccia era sparuta. Gli occhi spalancati. Il teschio spuntava tra le pieghe della pelle di quella che una volta era stata una bella faccia dolce.
«Come sta Danny? Courtney?» «Benissimo, mamma. E tu?» «Vengono a infilarmi un altro ago. Continuo a riempirmi di liquido.» Non sapeva del cancro. Più tardi, un'amica, Anna Testa, rimase con lei mentre Jack e la sorella andavano a pranzo per parlare. C'erano questioni di cui discutere, decisioni da prendere. A tavola litigarono. Bernice sosteneva che non dovevano dirle che aveva il cancro, che aveva solo pochi giorni da vivere. Jack le urlava: «Dalle una possibilità. Forse c'è un modo. Qualche nuova cura. Ha diritto di sapere, per poter fare tutto il possibile!» «Ha tutto il corpo infestato», disse Bernice. «Le divora i polmoni...» «Dovrebbe essere al Memorial. Il miglior ospedale...» «Magnifico. Infilala su un jet privato e falla ricoverare al Beverly Wilshire, già che ci sei. Tu non mi stai a sentire. Al massimo, ha una settimana di vita. Una settimana, Jack!» Alla fine Jack si calmò. Col genere di spese che si era accollato sapeva che avrebbe preso la linea di minor resistenza. No, sua madre non avrebbe voluto essere toccata dai dottori. Non avrebbe voluto che quegli uomini le mettessero le mani addosso. In vita sua si era liberata di un uomo molti anni prima e aveva deciso di chiudere definitivamente con la porzione maschile della razza umana. Si ricordava che aveva cercato anche di paralizzare la sorella. Bernice, gli uomini cercheranno di toccarti, di portarti in macchina, e di fare con te cose sporche. Gli uomini vogliono farti del male, Bernice...» Il giorno dopo la madre volle un piccolo ventilatore a batteria per respirare meglio mentre guariva da quella che fingeva di credere fosse una polmonite. La seconda richiesta della lista erano degli scampi in salsa d'aragosta, che non poté mangiare. Terzo, volle che Jack strappasse le erbacce in giardino. Nel pomeriggio, accanto al suo letto c'era già una bombola d'ossigeno da cui partivano tubicini di plastica che le entravano nelle narici. 5 AGOSTO Manhattan, Prima Avenue, Ospedale James Ewing. Quinto piano. La madre nella corsia dei morenti, prima di una fila di sette povere donne che si stanno spegnendo. Fra raggi X e dosi massicce di medicinali, con le mani gonfie perché un'endovenosa era riuscita male ed
era diventata una sottocutanea, la madre non parlava di nient'altro che del padre. Lo avresti amato, Jack. Quando morì, la vita se ne andò con lui. È stato l'unico uomo buono che abbia mai conosciuto. Aveva un camion e andavamo in giro a vendere la frutta per le strade di Stapleton. Si preoccupava che ogni mattina avessi un cucchiaio di succo di arancia. Ci sedevamo sul condotto dell'aria calda in corridoio e facevamo volare gli aeroplani di carta. Ci faceva le frittelle e si addormentava sul vecchio sofà. Una volta mi portò a South Beach. Andavo sulle giostre e lui vinse per me un serpente fatto di fili colorati... Jack, seduto a sinistra sul letto, ascoltava le parole che le uscivano a fatica. Mamma, pensava, perché non ti ricordi delle altre cose? Il ricordo più vivo della vita di Jack era un tremendo cliché. Era troppo pazzo e troppo comune, e lui era stanco di guardare all'infanzia per capire la sua vita. Aveva pisciato in una bambola. Aveva tre anni e Bernice ne aveva sei e stava esibendo la sua bambolina che faceva pipì. Vedi, le metti l'acqua in bocca, le schiacci il pancino e lei fa pipì dal buco. In realtà era stata la sorella che gli aveva chiesto che cosa sarebbe successo se avesse messo il suo coso nel foro della bambola e avesse fatto acqua; chissà se l'acqua sarebbe salita e uscita dalla bocca? Proviamo, Jackie. Proviamo... Proviamo... Jack era abbastanza persuaso di procedere in quello che gli sembrava un esperimento ragionevole, quando la madre entrò nella stanza e cominciarono quelle terribili urla. Lui non poteva capire. Perché, mamma, perché mi sgridi, mi stringi il braccio e mi tiri. Mi fai piangere mamma, non tirarmi sul pavimento, dove mi stai portando, mamma... Lei lo aveva trascinato in cucina vicino la stufa. Aveva acceso il gas, preso un fiammifero e gli si era avvicinata. Allora aveva capito quello che gridava. Te lo brucio, te lo brucio... Jack dovette ridere in silenzio a quel ricordo. Era lì che guardava sua madre morire, che la ascoltava mentre parlava del suo papà, dei camion, della piccola stalla dietro la casa di Grove Street dove lui teneva un cavallo e intanto gli tornava continuamente in testa quella storia noiosa da manuale di psicanalisi. Te lo brucio, ti brucio via quel coso sporco.... Naturalmente non glielo aveva bruciato davvero. Lo sapeva, era un fatto noioso, ridicolo, una storia di madri d'altri tempi.
Ormai un bambino poteva girare intorno all'albero della cuccagna sventolando il suo pene o infilarlo dove credeva, senza che la madre ci facesse caso. Era stato minacciato di essere castrato col fuoco per un fatto che una madre del giorno d'oggi non avrebbe neppure notato. Non era l'unico a essere stato represso da bambino. Con Marjorie aveva partecipato a diversi gruppi di genitori e un sacco di padri ricordavano reazioni esagerate della madre di fronte a giochi sessuali precoci. Nessuno aveva subito una minaccia come la sua, ma alcuni casi erano interessanti. D'altra parte la signora Mary Krenner aveva avuto le sue ragioni per comportarsi così. Alla fine del terzo anno di matrimonio il dottor Scala, il medico di famiglia, l'aveva chiamata per dirle che il marito aveva la sifilide e che non doveva permettergli di toccarla per tre settimane. Ah, lasciamelo dire, Jack, ho imparato che non possiamo contare su nessuno. Ho tolto tuo padre da quella panetteria di famiglia dove sua madre lo faceva girare la pasta e tagliare i panini, e ne ho fatto un poliziotto. Gli ho fatto fare gli esami per entrare in polizia, gli ho dato dei bambini e lui mi è tornato a casa con la sifilide. Te lo brucio il tuo coso, te lo brucio, te lo brucio... Capitolo 3 7 AGOSTO 10.00 Bella giornata. Neanche una nuvola. Dio, com'era deprimente per Lichteiman uscire in macchina dal suo rifugio. Aveva la scelta di girare a sinistra sulla Mulholland e sorbirsi le curve sulla Benedict o girare a destra e infilare la Coldwater. Tutte le strade per la centrale erano segnate da ricordi di follia. Sulla Benedict. doveva passare dal luogo dove la Tate era stata legata e appesa alle travi con la pancia squarciata. Sulla Coldwater c'era il posto del caso Heather. Anche quella volta avevano chiamato lui. Sangue che filtrava da una doccia, la testa, le mani e le gambe trovate infine incastonate in un chiosco riempito di cemento. Ma sia la Benedict sia la Coldwater convergevano sul Sunset Boulevard, vicino allo splendore delle dimore che partivano dal Beverly Hills Hotel. Ma la cosa che faceva star peggio Lichteiman le rare volte che andava in ufficio era tra la Canon e il piccolo stagno all'incrocio della Beverly. Una casa di stile spagnolo, piccola, semplice, che non doveva valere una gran
fortuna. Una siepe di oleandri e un vialetto bordato di calle e un cerchio per la rete da pallacanestro sopra la porta del garage. La signora Janson era tornata a casa dopo aver testimoniato contro un iraniano al tribunale municipale di Los Angeles, era stata legata e costretta a stendersi a terra da un uomo mascherato che le aveva scaricato tre proiettili nel cranio. Il figlio, un bel ragazzo di quindici anni, di nome Jamie, tornando a casa aveva trovato la madre morta accanto a un vaso di rose e a una candela accesa. Arrivato ai numeri civici dal settecento in su, era praticamente al sicuro. I poveri non fanno cose memorabili. Loro commettono crimini qualunque, di cui chiunque al dipartimento è in grado di occuparsi: sparatorie in famiglia; un oculista tenuto a bada mentre veniva bucato il muro della sua casa per entrare nella vicina banca; un drogato nudo davanti al Beverly Wilshire Hotel. I soliti fatterelli che accadono in qualsiasi piccola città. A Lichteiman piaceva servirsi del parcheggio vicino alla biblioteca, dall'altra parte della strada proprio di fronte al dipartimento di polizia. C'era un settore riservato alle auto della polizia e, di solito, finiva per passare più tempo in biblioteca che negli uffici dei servizi investigativi. La centrale di polizia sembrava uno di quegli edifici che potrebbe costruire un divo del cinema messicano. Lichteiman si diresse alla sala investigativa, che sembrava un labirinto di scrivanie appena sconvolto da un ciclone. Anche se nessuno l'avrebbe detto, ebbe un moto d'affetto per i suoi colleghi detective. Passando col suo corpo voluminoso, poteva sentirne il rispetto. Grugnì, sorrise, ascoltò una storiella da uno dei ragazzi. Ma era il talento speciale di Lichteiman che faceva sì che tutti lo ascoltassero quando parlava, e quel talento era venuto alla luce a San Francisco molti anni prima. Lichteiman era uno degli ottanta detective assegnati al «caso Branchi» quando Rose Miller divenne la settima vittima. Quella persona gentile, premurosa fu trovata il giorno del Ringraziamento con la gola e il petto squarciati. Seguirono le lettere dell'assassino. «Sono lettere di uno che da bambino si sentiva una merda», disse Lichteiman quando sentì parlarne al commissariato. In quel commissariato di San Francisco fare un'osservazione non richiesta era come offrirsi volontario e il tenente lo mise a coordinare i rapporti di laboratorio e psichiatrici. «Sì, forse sua madre gli ha fatto qualcosa di brutto...» Una volta ho colpito una donna in testa con un martello, e ne ho uccisa un'altra con una chiave inglese... «La mia opinione è che il vecchio non doveva essere molto presente, forse se n'era andato dopo la nascita del bambino. Così, quando la madre
gli faceva male, il bambino non sapeva a chi rivolgersi. E lui non l'ha mai perdonata, dentro di lui quel bambino non l'ha mai perdonata...». La voce di Dio mi ha detto di tagliarle, di tagliarle fino in fondo in fondo. «Adesso probabilmente è sposato a una donna volgare, meschina...» Era come se fossi immerso nello sperma. Guardavo lo sperma di Dio dall'universo, la colpii così forte sulla testa che un pezzo di cranio volò via... Il tenente e gli altri detective erano così disgustati dal contenuto di quelle lettere che facevano fatica a leggerle. Erano disorientati dalle affermazioni di Lichteiman in merito al maniaco e dalla folle determinazione dell'assassino. Anche gli psicologi della polizia si arenarono quando tentarono di tradurre le lettere in tracce e indizi. E quando lo squartatore cominciò a telefonare fu Lichteiman a mantenere i contatti perché solo lui poteva dire la cosa giusta, solo la sua voce era in grado di calmare il folle, di infondergli fiducia. Lichteiman aveva parlato con lo squartatore dei più orripilanti particolari come se si fosse trattato della tecnica di irrigare o coltivare un orto. Una parte del talento di Lichteiman era dovuta alla sua capacità di entrare nel mondo di uno psicopatico e di viverci con lui. Il resto era legato a un'intenzione formidabile; la capacità, cioè, di tradurre delle immagini deliranti in realtà comprensibili. Lichteiman sapeva che quella sua dote particolare aveva radici nella sua infanzia. Tutte le volte che lavorava a un caso del genere, gli tornavano in mente immagini del suo passato. L'autore di quelle lettere soffriva in modo insopportabile, e probabilmente da bambino doveva aver visto delle cose orribili, proprio come era capitato a lui. Il tempo non aveva offuscato i ricordi di Lichteiman: il padre che picchiava la madre, che minacciava di sfregiarla con una bottiglia rotta; le giornate passate in tribunale, il padre ridotto alla ragione dai manganelli della polizia mentre tentava di strozzare la madre perché gli aveva chiesto gli alimenti per il bambino; la madre che gli diceva che voleva morire, che avrebbe preso l'autobus per Patterson Bridge e... Sì, Lichteiman aveva capito lo squartatore di San Francisco. Capiva perché un bambino poteva odiare la madre. Conosceva il processo per cui un bambino si può sentire inferiore, il danno che deriva da non avere stima di sé. Lichteiman aveva finito per occuparsi lui del caso, battendo tutta la squadra quando lo squartatore gli ebbe dato un indizio di troppo. Aveva telefonato a Lichteiman, e Lichteiman gli aveva detto che voleva vederlo. Lo
squartatore aveva ribattuto che quella sera doveva lavorare. Poi era scoppiato in lacrime e aveva implorato di essere arrestato perché Dio ha il martello nella mia mano, è nella mia mano, oh Dio, oh Dio... Nel sottofondo Lichteiman aveva sentito una serie di colpi metallici. «Che cosa sono questi rumori?» aveva chiesto. «Stanno... stanno piantando i crocifissi», aveva urlato l'assassino, con la voce rotta dal terrore. «Crocifissi?» «Fuori dalla finestra... piantano i crocifissi... Dio sa che sono qui, e presto sarà il mio turno.... prima il martello, poi i chiodi...» Gli psicologi erano disorientati, ma la testa di Lichteiman ebbe l'intuizione. I crocifissi dovevano essere i pali del telefono. Non gli ci vollero che pochi minuti per sapere dalla compagnia telefonica che erano tre i posti dove si stava impiantando una linea. Due furono scartati immediatamente perché troppo periferici. Quella sera, grazie a Lichteiman, la polizia catturò il suo uomo. Giunto alla sala investigativa, Lichteiman si sedette e cominciò a esaminare i rapporti dell'autopsia di quello che era già stato battezzato «L'assassinio del materasso». Provò un'ondata di disgusto. Dopo aver dato un'occhiata alle fotografie, alle dichiarazioni, sentì il disgusto trasformarsi in apprensione, poi in paura raggelante. C'era in giro un matto e, come per molti altri casi dopo San Francisco, Lichteiman sapeva di essere destinato ad avere un ruolo. E, se tutto andava bene, quel matto sarebbe stato arrestato. Rimase seduto a lungo in silenzio, sommerso dall'orrore di quello che sapeva, di quello che succedeva nella testa di un uomo quando scende il buio. 11 AGOSTO Quando chiaramente non ci fu più speranza, quando capì di dover morire, la madre di Jack chiese di essere portata a casa. «Lasciami morire a casa mia, nel mio letto, Jack!» Di nuovo a Todt Hill Road. Si coprì la faccia mentre i portantini la trasportavano in casa. «Non fatemi vedere dai vicini!» singhiozzò. Bernice, con aria cupa, andava su e giù per la cucina. Era sempre stata contraria al ricovero della mamma in ospedale e a quel punto sperava che Jack fosse contento, contento delle cicatrici della biopsia, delle stanze
bianche, della macabra curiosità degli studenti di medicina. «Adesso è a casa», annunciò Bernice. «E vado a casa anch'io.» La sua macchina partì rombando per Ridgefield, a preparare la cena per il marito ingegnere, lasciando Jack a sopportare le ultime ore con la larva della signora Mary Krenner. «Basta pillole, non ne voglio più», disse la madre. Non vuole medicine, pensò Jack. Vuole morire. «Ho paura, Jack.» Lui trovò il suo grosso crocefisso di legno, glielo infilò in mano, per farglielo vedere. «Odio la Chiesa», aveva detto lei per decenni. «Quando sposai tuo padre, venne a casa nostra un prete e mi urlò che agli occhi della Chiesa cattolica non ero sposata. La gente va in chiesa per sparlare di te. Sparlano dei tuoi vestiti. Ti prendono in giro...» Poi. Il momento. Il cuore si era fermato. «Sei morta, mamma?» Niente battiti. Nessun movimento. Sarebbe bello, se fosse una morte naturale, pensò. Addio, mamma. Addio. Ma improvvisamente il corpo della madre s'inarcò. Si agitò in modo convulso, come per un attacco epilettico. La bocca si spalancò. Ne uscì un fiotto di liquido. È ancora viva. È ancora viva, e ora sta annegando. Infine, il cadavere ricadde sul letto, immobile. È per questo che mi hai fatto venire. Per questo che mi hai lasciato solo, mia dolce Bernice... 11.15 Morte. Morte. Marjorie aveva fatto addormentare i bambini leggendogli una pagina di È ora di andare a letto, Francis, poi si era scaldata una tazza di tè. A quel punto, distesa nel buio della stanza, aspettava di addormentarsi e sentiva un dolore leggero in gola. Non poteva muoversi, faceva fatica a respirare. Dapprima pensò di essere solo spossata per la giornata che aveva avuto, ma era molto probabile che stesse covando qualcosa. Che cosa decido di covare? Un colpo di tosse. Courtney aveva tossito un po' prima di addormentarsi. E Danny aveva detto che gli faceva male la gola. Era ammalata davvero o in quel momento c'era qualcosa in particolare che non funzionava nella sua vita?
Che settimana che ho passato! Courtney aveva avuto un altro attacco di asma. Marjorie rivisse nitidamente il primo attacco, l'ospedale, il petto della sua bambina, che andava su e giù, la tenda a ossigeno. Povera Courtney, in quel letto al Cedars Sinai, ansimante, povera Courtney, e io non potevo fare niente. Tutta la notte in piedi a vegliarla. Si era ripresa. I fiori allegri e i grossi palloni comperati in un negozio di regali. La tenga a casa quando le sembra stanca. Ci penso io. Non succederà più. Mai. Ma non fu così. Il secondo attacco era capitato mentre Jack era a una riunione di commediografi nella valle di San Fernando. Prima che fosse troppo tardi telefonò al dottore. Stia calma, le aveva detto. Avrebbe richiamato di lì a un'ora per vedere come andava. Se almeno Jack fosse stato a casa, l'avrebbe tranquillizzata. Poi l'inimmaginabile. Aveva sollevato il ricevitore e il telefono era muto. Nel pomeriggio aveva visto Jack attaccare al telefono certi congegni elettronici, e quello, probabilmente, aveva guastato la linea. A quel punto era isolata dal mondo. Dovette attraversare la strada di corsa per telefonare al dottore da casa di Mercer. Il dottore le disse di portare Courtney da lui. Le avrebbe fatto una puntura di adrenalina, poi un'altra. Quando fu di nuovo a casa scoprì che Courtney aveva ricominciato a respirare meglio, ma a quel punto era Marjorie che era esaurita, spossata, la stessa spossatezza che sentiva in quel momento. Era spossata dalla famiglia. Un'ora dopo, non potendo dormire, decise di andare in cucina a prepararsi una tazza di camomilla. Mentre aspettava che l'acqua bollisse le venne in mente di mettere i panni in lavatrice e finalmente riuscì ad afferrare quello che la preoccupava veramente. La freddezza e la distanza che Jack aveva dimostrato nel loro anniversario l'avevano delusa. In un certo senso era il ricordo del Jack che aveva conosciuto prima del loro matrimonio, quando lei, Marjorie Hilden, vicina alla trentina e con le ovaie che stavano invecchiando, si era innamorata di lui. Oh, era uscita con qualche uomo, ma non era mai stato niente d'importante. Aveva continuato ad aspettare d'innamorarsi. Aveva continuato a pensare che la sua vita sarebbe cominciata presto. È così che erano svaniti i suoi vent'anni. Condividere quell'attesa. Quella fu la prima solitudine. La seconda solitudine arrivò quando incontrò Jack e incominciò a uscire con lui; dopo poco si misero a vivere insieme, nell'Ottava Strada, nel Georgetown Plaza. Quando tre mesi dopo ruppero lei era di nuovo sola, e la cosa le fa-
ceva anche più male perché lo amava ancora. Passava per l'Ottava Strada e guardava la sua finestra nell'angolo di sud-est del ventitreesimo piano. Pregava che come per magia si affacciasse e la vedesse passare. Nei suoi sogni lui si precipitava giù in ascensore e la implorava di perdonarlo. Jack Krenner. Allora aveva in scena una commedia e aveva cominciato a scrivere il suo primo lavoro televisivo. Naturalmente anche lei aveva i suoi lavori. Al Chicago Summer Theatre dove si erano incontrati. In una ditta di pubbliche relazioni a Newark. Ma allora, dopo aver rotto con Jack, era senza una carriera, in un momento di passaggio. Voleva smetterla col lavoro commerciale e dedicarsi a quello artistico. Aveva cercato di scrivere un soggetto cinematografico, diverse pagine al giorno, e intanto lavorava nell'ufficio che si occupava di ricerche di finanziamenti per il Bowery Street Settlement. Ritornare in metropolitana al suo monolocale nella Sedicesima Strada era un viaggio pericoloso. Ci fu un periodo in cui cercò di mettere ordine nella sua storia nevrotica: le aspettative della madre e la sua morte quando lei aveva solo quindici anni. Guardandosi indietro, si rese conto che non aveva idea del mondo reale. Non sapeva fare le cose più semplici. La madre aveva sempre fatto tutto per lei e non le aveva insegnato come cavarsela. Non sapeva prendere decisioni. Non ne aveva mai presa una. Quella volta Marjorie doveva capire quello che voleva. Chi era Marjorie Hilden? Era stata fidanzata due volte. Una volta nel 1973 e poi di nuovo nel 74, faceva parte dell'epopea che l'aveva portata a Chicago. Poi credeva che il destino le avesse fatto incontrare Jack Krenner. Il suo lavoro di pubblicità per il Summer Theatre voleva scritturarlo per programmi radiofonici e televisivi e per portarlo in giro. Averlo vicino, fece esplodere qualcosa dentro di lei. Le piaceva, si sentiva attratta. Era come rinascere. Jack Krenner, spirito libero, impulsivo, solitario. La lite quando gli aveva detto: «Scopi solo quando siamo a letto, Jack. Altrimenti non lo fai, e se lo faccio io diventi di pietra. Lo trovo molto frustrante, Jack. Io sono molto calda e affettuosa. Ho voglia di baciarti e di stringere. Non so proprio che cosa fare». «Allora esci!» le aveva urlato. E lei era uscita, per trovarsi in un'altra solitudine. E questa solitudine, la seconda, le faceva terribilmente male. Cominciò a pregare perché la riprendesse con sé. Si sarebbe adattata. Le sarebbe bastato che le loro pelli si fondessero nel calore del letto. Avrebbe sopportato il freddo del giorno, sapendo che la notte avrebbe avuto calore.
13 AGOSTO Dopo il funerale andò a Manhattan, scelse un albergo modesto e decise di tornare a casa il mattino dopo. Disteso sullo squallido letto, nella squallida stanza, sentiva una corda che vibrava dentro di lui, il capo di una corda che l'aveva legato. Dopo poco il tempo divenne insopportabile, spaventoso. Per ore precipitò, giù, sempre più giù, finché la sua mente sentì una voce. Era la stessa che aveva già udito in un taxi diversi anni prima, la sera del debutto di una sua commedia, una sera che si sentiva pieno di brutte sensazioni. In quel momento non gli importava se la voce proveniva da un sogno o da un vagheggiamento cosciente, sapeva che quella voce faceva parte di lui fin dall'infanzia. Lui e la voce erano stati bambini insieme ed erano diventati la stessa cosa durante il trauma, quando la madre aveva esposto alla fiamma la sua virilità. Capitolo 4 A Los Angeles era quasi mezzanotte quando Marjorie ricevette la sua telefonata. Sì, sarebbe andata a prenderlo con i bambini all'American Airlines. «Caro, mi dispiace per tua madre. Mi spiace.» Dopo aver appeso le venne in mente di richiamarlo. Aveva voglia di essere con lui, di abbracciarlo. A New York dovevano essere le tre del mattino. Dov'era stato fino a quell'ora? Forse era depresso, qualche bicchiere, al Joe Allen's Bar, con un amico. Avrebbe dovuto accompagnarlo. Guardò la foschia dell'oceano invadere il quartiere. Dalla finestra dello studio, vedeva una luce nell'imponente casa di mattoni scuri del dottore dall'altra parte della strada. Era una luce smorzata, in movimento. Decise che il dottore stava sicuramente guardando la televisione. Aveva dei domestici, una sala operatoria, anestesia, forse delle droghe. Immaginò che qualche notte si sarebbe sentito un rumore di vetri infranti. Una macchina piena di drogati sarebbe entrata prima che fossero ultimati i lavori del muro. Una volta finito, il muro sarebbe stato elettrificato. All'imbrunire, le luci si sarebbero quindi accese automaticamente? Quante telecamere sarebbero state poste all'esterno? Ritornò alla macchina per scrivere e andò avanti con il suo romanzo. La giovane eroina era a cena col padre immaginario. Le avrebbe dato consigli, speranza. «Non essere così impaziente», disse il padre con una voce dolce.
«Con me ti senti distesa perché sai che ti amo. Ma uno di questi giorni arriverà un ragazzo e vedrà tutte le belle cose che vedo io. Sarà un principe, e ti amerà per tutta la vita...» Click! Clunk! Ancora rumori. Decise che era un procione sul tetto. O magari i rumori erano solo nella sua testa. Dannazione! È finita la carta. Crunch! Click! Okay, okay, pensò. Un procione o un opossum. Qualcosa che saltava dalla grondaia a un albero. Si alzò e uscì nell'ingresso, aspettandosi di vedere dei topi correre sul tappeto. Niente. Andò a controllare i bambini. Erano al sicuro. Sulla parete della stanza di Courtney era appeso il calco di gesso di una mano che la bambina aveva fatto quando con Danny frequentava il gruppo della signorina Mandrell all'asilo di Coldwater Canyon. Marjorie non poteva mai passargli davanti senza arrabbiarsi per il comportamento non professionale che la donna aveva avuto quella primavera. La signorina Mandrell era la direttrice dell'asilo e l'aveva chiamata insieme con il marito per dire loro che pensava che Danny soffrisse di dislessia. Era stato messo nel gruppo di prelettura più basso. Era stato bollato. La signorina Mandrell non li aveva avvertiti che molti genitori avevano già comperato ai loro figli i libri sonori e gli facevano prendere lezioni private. La maggior parte aveva già pianificato completamente la vita dei figli. Dalla Beverly Hills Canyon Nursery School sarebbero passati alla Buckley o alla Harvard Boys School nella Valley, e poi ad Harvard o a Yale. E la signorina Mandrell aveva confidato loro che aveva molta, molta paura per Danny, che sembrava così lento. «Molto dolce e molto carino», disse, «un ragazzo davvero carino, ma in un suo mondo di sogno, come sua sorella Courtney. Se in famiglia ci sono stati dei casi di dislessia, fareste meglio a incominciare le analisi sin da ora.» Marjorie e Jack avevano speso ottocento dollari per scoprire che Danny era assolutamente normale, anzi, d'intelligenza superiore, notevolmente superiore. A quel punto non rimase loro che attendere impazientemente giugno, quando il piccolo Danny si mise il berretto e la toga e prese la licenza. Dopo le camere dei bambini, Marjorie andò a controllare in fondo al cor-
ridoio. Poi scese le scale e andò in soggiorno. Aveva lasciato accese le luci nel roseto. Quando Jack era via, illuminava la casa come un albero di Natale. Così doveva passare di fronte alle quattro grandi pareti di cristallo del soggiorno ed entrare in quell'enorme boccia per i pesci rossi che era la biblioteca. Sam balzò su in cucina. Marjorie sentì il suo trotto riluttante, mentre usciva per scortarla. Se c'era qualcuno nascosto dietro gli eucalipti o nella giungla di edera vicino al campo di tennis, l'avrebbero vista con il danese e sarebbero andati a saccheggiare qualche altra casa. Sapeva che Jack teneva la carta per scrivere a macchina nel cassetto superiore sinistro della sua immensa scrivania scura. Accese una lampada da scrittoio e prese diversi fogli. Domani li avrebbe comprati. Era divertita dal sentirsi in colpa, come un'intrusa. Diede un'occhiata al posto di lavoro di lui: la macchina per scrivere, la grande parete di libri che andava dal camino di marmo bianco alla collezione di sceneggiature. Si sedette per un attimo in una delle vecchie, ma costose poltrone di pelle raccolte intorno a un ampio tavolino da caffè in acciaio inossidabile. Percorse con gli occhi i premi e l'esercito di fotografie incorniciate. La madre di Jack in pelliccia su un campo di football, una fotografia di lui con Danny in Australia, un'altra di lei con Courtney nel Connecticut. Una fotografia pubblicitaria di loro quattro circondati da giocattoli. Si sorprese a indugiare al pannello promemoria di lui, un collage di nomi, di numeri telefonici, di messaggi scritti con l'evidenziatore: VA' OLTRE TE STESSO. Shakespeare penetrò il male andando oltre se stesso. I cattivi pensano di essere nel giusto. Piccoli dipinti di paesaggi surrealisti, palloni elaborati, vecchi aerei da caccia. I libri sulla scrivania: tomi di psichiatria, libri di citazioni, analisi letteraria. E i suoi diari, anni di sogni, idee, speranze registrati. Era già partito per diventare una personalità drammatica e letteraria molti anni prima che lei sognasse di essere qualcuno, molti anni prima che le fosse consentito di sognare di essere qualcuno. Si alzò per sorprendersi a curiosare in un grande diario nuovo: «Problemi di caffeina. Mia sorella è quattro anni più avanti di me. Quello che succede a lei, succede a me. Ho una caldaia nello stomaco. Mi metto sopra un coperchio. Credevo che non ci sarebbero state conseguenze. Ieri notte ho perso la vista. Ho perso la parola. Non comandavo più le gambe. Pronto soccorso del Mount Sinai. Pensavo di avere un tumore nel cervello, una linea rossa che dall'attaccatura dei capelli scendeva fin sopra l'occhio destro. Vorrei non essere nato...» Mentre leggeva, Marjorie avrebbe voluto averlo tra le braccia, per poterlo cullare e toccare e dirgli che tutto sarebbe andato bene.
14 AGOSTO 14.00 Marjorie spinse i bambini nella Seville e partì per andare a prendere Jack. All'aeroporto ebbe il tempo di fare una scappata in bagno per darsi un'occhiata allo specchio. Notando dei capelli bianchi nella frangia decise di tingerli; ma fu risollevata nel vedere che gli altri capelli erano ancora neri e luminosi. Si sorprese a spingere un po' in avanti il mento, cercando di farlo sembrare più forte; tirò in dentro la pancia; sempre preoccupata che la gente potesse dire che il suo addome dava segni di rilassamento. Quando scese dall'aereo Jack sembrava distrutto. Lo baciò, cercando di sollevargli il morale mentre impediva ai bambini di aggrapparsi alle sue gambe o tirare la valigia. Danny aprì il suo regalo, un videogame, che lo fece letteralmente saltare per la gioia. Courtney trovò la sua bambola in un sacchetto che Jack si era portato sull'aereo, e cominciò a stringere al petto il vestitino di velluto rosso sangue. Marjorie salì sul tapis roulant, fiera di tenere Jack per mano. Qualcuno sorrideva vedendoli passare. Sapeva che cosa vedeva la gente: una moglie, mano nella mano del marito, bambini con capelli stupendi e giocattoli perfetti. Una famiglia felice. Quella notte fecero l'amore. Dapprima lui la penetrò lentamente e profondamente, poi la impalò, penetrando così in fondo che lei pensò di essere lacerata ma il suo corpo, contraendosi e rilassandosi come mai aveva fatto in sette anni di matrimonio, lo spingeva a entrare. Poi si addormentò nelle sue braccia. Si svegliò poco prima delle tre, e allungò una mano per toccarlo. Lui non c'era. Marjorie era immersa nel torpore quando sentì quell'orribile rumore di passi. Le luci del giardino proiettavano le ombre degli eucalipti sui muri, creando forme minacciose. I passi si erano fatti più frequenti, più pesanti. Qualche mostruoso emissario di Satana stava per balzare su di lei. Non sarebbe riuscita a telefonare per chiedere aiuto. Non ci sarebbe stato tempo per gridare. Perché Sam non abbaiava? Un'ombra arrivò correndo sulla soglia, sfrecciò in mezzo alla stanza, si buttò fra le sue braccia. Era solo Courtney. Quei movimenti erano stati ingigantiti dall'interfono sopra la testiera del letto. Marjorie teneva sempre il volume abbastanza alto per sentire il respiro di Courtney quando dormiva. «Ho fatto un brutto sogno», disse Courtney affannata. «Che cosa hai sognato?»
«Non lo so», piagnucolò la bimba, rannicchiandosi contro il corpo caldo della madre. «Un uomo mi rincorreva. Io scappavo in giardino e un uomo nero mi rincorreva e io cercavo di arrampicarmi sui tubi, poi lui mi prendeva le gambe e mi faceva male e io cadevo sul cemento e lui faceva male alle mie bambole...» «Nessuno ti corre dietro.» «Sì, invece. Mi aveva preso per i capelli. Me li tirava...» Pochi minuti dopo Courtney si era riaddormentata tranquillamente, mentre Marjorie rimase sveglia ad ascoltare il respiro della bambina. Era regolare. Bene. Proprio bene. Faceva dei brutti sogni più o meno una volta alla settimana, ma non piangeva mai. Courtney era coraggiosa. A Marjorie piaceva insegnare ai bambini che la notte era buona. Che quando si dorme succedono cose meravigliose. Abbiamo bisogno di sognare. Ne abbiamo bisogno. Dei sogni belli e di quelli brutti. I nostri sogni ci preparano... Marjorie decise di alzarsi e di andare a bere qualcosa. Scese le scale che portavano nell'atrio. In soggiorno non c'era nessuno. La lama di luce che usciva dalla porta della biblioteca le disse che Jack stava lavorando. Non volle disturbarlo e proseguì per la cucina. Aprì il frigorifero e decise di unire un mezzo bicchiere di succo di pompelmo con della soda. Chissà perché le venne in mente di controllare il latte. Ancora quell'odore. Questa volta più forte. Mentre il contenuto del cartoccio gorgogliava nel lavandino, Marjorie giurò di cambiare supermercato. Doveva essere qualche camionista o qualche confezionatore pigro o incosciente che lasciava il latte al sole. Non poteva essere successo in casa, a meno che Jack l'avesse tirato fuori ore prima, e fosse andato a male molto presto, poi avesse rimesso via il cartoccio... Prese la sua bibita e decise di uscire sul patio di cemento. Si mise a passeggiare attorno alla piscina. Finì per attraversare le ombre in fondo al cortile, per controllare i conigli nella gabbia accanto al recinto posteriore. Bene, avevano pallottoline di cibo e acqua. Per lo meno Maria si ricordava di dare da mangiare a quelle creature. Costeggiò il muretto di pietra per arrivare al roseto. Marjorie aveva lentamente imparato a riconoscere la flora di Beverly Hills. Era così bella ed esotica che per la prima volta in vita sua si era sentita motivata a capire la differenza tra un fiore di magnolia e una margherita, tra il dolce aroma di una pianta di limoni e il ricco profumo del cedro. Aveva cominciato a distinguere una rosa Eureka da una Chrysler. A cogliere le differenze tra le diverse tonalità di buganvillea.
Soffiava un vento leggero e alcuni animaletti balzavano lontano nell'edera. Marjorie si chiese perché all'improvviso si sentiva in colpa. Stava solo prendendo una boccata d'aria. Aveva tutti i diritti di stare nel suo giardino a quell'ora. Poi capì perché si era spostata nell'angolo più lontano della proprietà, vicino al campo da tennis. Da lì dominava il giardino e vedeva tutta la casa, le finestre della cucina, le vetrate della veranda, le luci notturne nel corridoio inferiore e in quello superiore. Vedeva anche Jack alla sua scrivania in biblioteca e sapeva che lui non poteva vederla nel buio. Guardò per diversi minuti, come se fosse uno spettacolo di mimo. Parlava in un registratore. Sarebbe stato un bel diorama, con i libri alle pareti, piante appese. Sapeva che lui apprezzava la cura particolare che aveva messo nell'arredare la sua stanza. Jack aveva addosso la sua maglietta da «Superpapà», e un superpapà doveva essere, per riuscire a pagare il loro terribile mutuo. Stava ritornando in casa, quando lo vide andare a uno scaffale. Forse cercava un'altra cassetta, un rotolino di scotch, una penna. Lui prese qualcosa da dietro libri voluminosi. Un sacchetto di plastica. Poi, per la prima volta, Marjorie vide Jack usare la cocaina. 15 AGOSTO 7.30 Marjorie si alzò, si lavò la faccia, e andò in cucina a prepararsi il caffè. Sentì la cameriera muoversi nella sua stanza, poi uscì a prendere il Times che avevano gettato sotto un cespuglio di azalee. Quando il caffè fu pronto se ne versò una tazza e automaticamente vi aggiunse un po' di latte. Aveva ancora quell'odore stomachevole, nauseabondo, come qualcosa di morto. Un altro cartoccio andato a male. Quando la cameriera entrò, Marjorie decise di parlargliene. «Maria, il latte è andato ancora a male.» «A male?» chiese la donna col suo pesante accento messicano. Maria aveva appena trent'anni, ma sembrava già una vecchia. Era bassa, scura, coi lunghi capelli neri raccolti a coda di cavallo. «Sì, è andato a male.» «Non può essere. L'ha preso ieri.» «Eppure, è così!» Maria si strinse nelle spalle. «Forse compra latte vecchio.» «Ho controllato la data, Maria. Pensavo che forse non avvolgi bene il
tuo aglio e le altre erbe. Forse è questo il problema.» «Forse Danny e Court...» «Non arrivano al latte, Maria.» «No es cosa mia.» Marjorie dovette sorridere, vedendo Maria aprire un altro cartoccio di latte e piegarsi per annusarlo. La pesante coda di cavallo nera le cadde sull'uniforme bianca. «Questo qui è buono.» «Sì, Maria», assentì Marjorie. «Sembra che siano solo quelli aperti ad andare a male...» 9.00 Appena sveglio allungò un braccio per far sentire a Marjorie che aveva bisogno del suo contatto. Questa volta avrebbe tentato davvero. Le dita toccarono le lenzuola spiegazzate e lui capì che lei doveva già essere giù in cucina a dare ordini per la giornata, fare il caffè, organizzare i bambini. Tornò ad appoggiare la testa sul cuscino e il rigonfiamento del pene gli ricordò il sesso della sera prima. Quando arrivò in cucina gli fecero festa. Baci da Marjorie e abbracci da Court e Dànny, che si attaccavano a lui come se dovessero perderlo. «Non andar via, papà, non andar via.» «Non vado via, Court.» «Ho delle macchie bianche sulla mano perché sabato ho toccato un'aragosta», si vantò Danny. «Marjorie», disse Jack, «ho bisogno di vestiti.» «Dovresti comprare anche dei pantaloni nuovi. Da Bullocks e da Robinsons ci sono liquidazioni. Se ci vai, potresti portare Court; voglio dire, quando hai finito di scrivere. Lei adora andare col suo papà, non è vero, Court?» «Posso andare? Posso andare? Posso andare?» «Sì, cara.» «Oh, Jack, ti hanno telefonato dall'ufficio di Niko Aris. Vogliono una riunione per mercoledì.» Alle dieci, Jack, al volante della sua Volvo famigliare bianca, scendeva il Santa Monica Boulevard. Court cantava. «Adesso che so l'alfabeto, dimmi che sono una brava bambina.» A ogni semaforo lui l'abbracciava e lei faceva la vezzosa. Continuava a chiacchierare, senza tregua. «Andiamo al
parco. A spingermi sull'altalena, papà. Danny mi ha dato un pugno. Sono andata a casa di Nora. Comprami un giocattolo. Non potrei avere una cicca? Prendi una bambina dalla finestra. Dimmi che sono brava.» Cantava, batteva le mani, pestava i piedi. Alla fine dovette farla smettere. Pensò che avrebbe fatto bene a portare della cocaina. Il suo piano era di ridurre le dosi a sei volte al giorno, ma evidentemente il mattino non era il momento migliore per farlo. Doveva prenderne due strisce al mattino, poi un'altra dopo pranzo, e poi dopo cena solo tre. Poi se tutto diventava troppo difficile, doveva buttarsi nel letto e, se arrivavano gli incubi, be', allora avrebbe preso qualche decisione. Cominciò a sentire in bocca l'amaro gusto del mattino, ma tentò di convincersi che tutto andava bene. Quello che c'è tra Marjorie e me è un conflitto sano, uno di quei bei conflitti sani di una volta. Che cosa vuol dire se qualche volta sento che c'è qualcosa che non va? È solo un'insicurezza salutare. Questo almeno era il catechismo della cocaina, presa a piene dosi. Ma in quel momento, nella macchina, stava succedendo qualcos'altro. Le crepe nella coscienza rivelavano comportamenti che pensava di aver abbandonato molti anni prima. «Il biglietto, il biglietto», gridò Court. Jack rallentò. Tenne per la vita il piccolo corpo di Court che si sporgeva fuori del finestrino, in modo da arrivare alla macchina emettitrice del parcheggio sotto la Century City Mall. Con il biglietto in mano, la bimba squittì di gioia sentendo suonare il campanello e vedendo alzarsi la sbarra per lasciarli entrare. Lui non voleva disturbarla, non voleva che sapesse quello che stava succedendo dentro di lui. Avrebbe cercato di combatterlo con tutte le sue forze. Avrebbe lottato e vinto. Avrebbe parlato a voce alta, così la bambina non si sarebbe accorta che qualcosa non andava. Adesso andiamo nel negozio e papà si compra i pantaloni, perché papà ha una riunione importante e scriverà un film, ci divertiremo e diventeremo molto ricchi. Sapeva che, se il suo tono fosse rimasto normale, lei non avrebbe sospettato, non si sarebbe spaventata. Avrebbe fatto finta di leggere i fumetti, di aspettare mamma che uscisse da McDonald's con i frappé e gli hamburger, di non vedere l'ora che aprisse Disneyland. Comprerò a Court cioccolato, palatine, bamboline di zucchero e garofani blu e... Presto avrebbe dovuto uscire. Prendere la borsa da ginnastica, e ricordarsi l'asciugamano e un cambio di camicia, sorridere e dire a Marjorie che andava qualche ora in palestra. D'un tratto s'accorse che Court gli sorrideva.
«A che cosa pensi, amore?» «Pensavo, papà, se la nonna era carina nella bara.» 11.15 Quando ebbe finito di lavorare, Marjorie decise di prendere la macchina e andare a fare spese. Infilatasi nella Seville, trovò il bottone che cercava sotto il cruscotto, in mezzo a una quantità di accessori. La porta del garage si aprì. Lei uscì a marcia indietro e fermò l'auto parallela alla casa. Sapeva che a Jack piacevano gli accessori, ma si era un po' stupita quando il marito era andato a farsi installare il telefono e altri congegni elettronici sulla Cadillac. Di più della metà non sapeva neanche a che cosa servissero, ma di una cosa era certa, che non potevano davvero permetterseli. C'erano più registratori e altre diavolerie del genere di quante ne avesse viste una volta su una Mercedes limousine. L'autista aveva parlato con lei, dicendole che apparteneva a Sammy Davis Jr., e che solo due persone al inondo avevano quel modello. L'altro era del papà. Forse erano dei congegni di sicurezza, pensò Marjorie. Si chiese se non avrebbero finito per costruire un muro intorno alla proprietà, come avevano fatto tutti i loro vicini. Sì. Se avessimo più soldi, Jack vorrebbe un muro. Luci che avrebbero abbracciato tutta la proprietà. Due telecamere per spiare, avvertire. Una Lincoln scendeva da Lost Orchard. Doveva essere la signorina Maggie, la star bionda nonostante l'età che abitava nella casa confinante a destra con la loro proprietà. La signorina Maggie salutò con la mano, e a Marjorie tornarono in mente le parole che la donna aveva pronunciato la stessa settimana in cui si erano trasferiti lì: «Salve, penso che è meglio che sappiate che da queste parti non ci si fa visita fra vicini. Si rispetta la privacy degli altri». Marjorie girò intorno al triangolo di cemento dove Lost Orchard sbucava in Valley Road. Un tempo tutto il canyon era stato proprietà di una star del cinema muto. Dall'altra parte della strada c'era la mostruosa casa di mattoni del chirurgo plastico. Grossi operai sudati si tenevano aggrappati a una enorme macchina che andava su e giù come uno di quei giocattoli fatti con un bastone e una molla. Sopra i tonfi si libravano dei suoni acuti come squittii di pipistrelli. Teloni di plastica sbattevano. I messicani si agitavano intorno al campo da tennis, come se stessero scavando qualche pezzo ar-
cheologico. La casa successiva, proseguendo per Valley Road, era quella di Mercer, del produttore, e dopo ancora veniva la casa degli Hutchinses, una strana coppia anziana, che aveva un vero prato all'inglese e uno stagno. Lungo la strada erano parcheggiati diversi camioncini dei servizi di manutenzione piscine. I portatori stavano facendo il loro lavoro. I gigli del Nilo ondeggiavano il loro capo delicato al soffio della brezza mattutina. Qualcuno faceva jogging, correndo veloce, come se avesse fretta. Marjorie viveva lì ormai da mesi, e aveva chiaro in testa la disposizione delle case. Sulla sinistra vivevano gli iraniani, in una casa rosa con un obelisco, e sulla destra G. Frankel, un comico del muto i cui film erano tornati in circolazione. Dietro un monumentale cancello elettrico si agitava in continuazione una muta di dobermann ringhiosi. Poi, sulla destra, in una villa comperata per un milione e seicentomila dollari, abitava il principe dei film polizieschi, mentre sulla sinistra c'era un'attrice vistosa e disperata che amava farsi intervistare alla televisione e far credere di andare a letto con tutto l'esercito israeliano. Un Chicano con un braccio solo guidava un camioncino pieno di facce disperate, una truppa di emigrati clandestini assunti per nutrire i ricchi e potenti che abitavano nella parte alta di Coldwater Canyon. Ma Marjorie si ripeté che lei era solo di passaggio. Non avrebbe mai fatto parte di quella realtà, l'avrebbe combattuta, la sua anima sarebbe sempre appartenuta a Central Park e alle cose semplici di tutti i giorni. Arrivò in cima, dove Valley Road sbucava nella Coldwater. Una Ferrari nera schizzò verso di lei facendo stridere le ruote e mancando di un pelo la Seville. Vide la faccia di quello che era al volante: un qualche ragazzetto sballato che abitava dall'altra parte di Lost Orchard. La sua targa era: SEX 4U, Sex for you, sesso per te. Appena entrati sulla Coldwater, sul lato sinistro c'erano due case che erano in vendita da più di tre anni. Erano entrambe di stucco e nessuna delle due aveva finestre sulla strada. Sembravano dei bunker tedeschi, anche dopo che l'architetto vi aveva aggiunto delle terrazze nel tentativo di addolcire la loro rigidità monumentale. Marjorie sorrise. Le case in fondo alla collina esponevano strane cassette per le lettere che divertivano sempre Danny e Courtney. Alcune avevano la forma di animali. Un cigno. Una colomba. Una era un grosso asino. Un'altra era l'esatta replica della casa. Un'altra ancora era copiata dalla Casa dei Sette Timpani. Marjorie passò davanti alla villa dei Sassoon che si trovava proprio davanti alla Coldwater Nursery School e al campo per il jogging. Una volta,
non molto dopo che il matrimonio dei Sassoon era andato a monte, Marjorie giurava di aver visto Beverly ed Eric Estrada che facevano jogging insieme al tramonto. L'ultima volta che aveva sentito parlare della casa si diceva che era in vendita a più di sei milioni di dollari. Oltrepassata Shadow Hill Way, non era più possibile negare l'opulenza di Beverly Hills. Subito dopo la curva di Lexington, ogni casa aveva una leggenda grande quanto la sua struttura. Un massiccio edificio in mattoni su due piani, nascosto dietro un muro anch'esso di mattoni, era stato costruito per la sorella dello Scià. I cancelli e i muri di quei paraggi facevano sembrare piuttosto fragili quelli di Lost Orchard Road. Molte proprietà occupavano un intero isolato. La più grande era appartenuta un tempo al capo di uno studio cinematografico che poi era fallito. Alle finestre della casa di Beverly Hills c'erano talmente tante inferriate da finire per sembrare ornamentali. La miseria nei quartieri adiacenti di Los Angeles diventava ogni anno più disperata. I furti a Beverly Hills non si contavano più. Le stesse entrate di servizio, sul retro delle case, previste per togliere dalla vista i bidoni della spazzatura e consentire l'ingresso del personale, costituivano un accesso ideale per gli scassinatori. Perciò le misure di sicurezza erano diventate l'ossessione del quartiere, e Marjorie aveva cominciato ad accettare le inferriate e i muri come parte del paesaggio. Mercer, il loro vicino più prossimo, aveva invitato lei e Jack a un barbecue subito dopo che si erano trasferiti in Lost Orchard Road. «Ho delle bombe a mano», aveva ammesso il signor Mercer in tutta serietà. «Se qualcuno si avvicina a casa mia e ho la sensazione che voglia minacciare la mia persona o la mia proprietà, lo faccio saltare in aria con una granata. Frankel, che abita più su, ha cinque dobermann assassini, ma io ho fucili, pistole, un'arma semiautomatica, una carabina automatica e due volte al mese vado a scuola di tiro. Abbiamo un arsenale. Naturalmente mia moglie sa solo usare il randello. Inoltre, dopo le dieci di sera, chiunque tocchi qualcosa in giardino rischia di prendere una scossa da rimanere secco. Passata la mezzanotte, chiunque entri viene fatto a pezzi. Ho munito così la mia casa perché voglio che nessuno si faccia del male. È quello che fanno tutti, in questa zona. Prendiamo tutte queste precauzioni per difendere le nostre case. Per far sapere ai malintenzionati che non è consigliabile rischiare. Quelli là lo sanno che non ci pensiamo due volte a sparargli in mezzo agli occhi.» 1 OTTOBRE
10.45 Jack sentì battere alla finestra della biblioteca. Alzò la testa e vide Danny che, sorridente e con gli occhi scintillanti, lo invitava a uscire come un diavoletto tentatore. Jack amava il suo piccolo principe, il suo bambino, suo figlio, ed era consapevole che era più bello di quanto lui o Marjorie fossero mai stati. In realtà sia Danny sia Courtney erano belli in un modo così stupefacente che Jack spesso scherzava dicendo che doveva essere atterrato un marziano a fecondare Marjorie mentre dormiva. «Vuoi vedere la mia capanna di fango?» diceva Danny, mimando la domanda dietro il vetro. «Altroché», rispose Jack, scostando la sedia e uscendo sulla striscia di cemento che bordava il prato posteriore. In fondo al prato c'era un tappeto di edera che andava ad arrampicarsi sugli eucalipti e un intreccio di buganvillee e di glicini. A destra, alla fine del vialetto, c'era il tennis. «È un segreto», sussurrò Danny, precedendolo nel prato. «Naturalmente.» A Jack faceva davvero piacere che Danny volesse metterlo a parte di qualcosa di suo. Per lo più, il bambino teneva per sé quello che faceva. Si limitava a fare degli accenni a quello che era successo al campeggio o a scuola. In realtà Jack sapeva che la diagnosi infelice che era stata fatta alla scuola materna l'anno in cui erano arrivati in California era dovuta solo alla riservatezza del bambino. Danny non si era mai fatto un problema di parlare di qualche suo piccolo fallimento, ma di solito i successi li teneva segreti. Se in un compito aveva scritto bene tutte le parole, se aveva vinto in un gioco di società o l'avevano passato a un gruppo di lettura più avanzato, Danny non l'avrebbe certo rivelato. Teneva anche nascosto se gli cadeva un dente, ma questo, Jack aveva deciso, era semplicemente una prova per vedere se il topolino gli avrebbe portato ancora dei dollari d'argento. Marjorie aveva sempre insistito su tre dollari d'argento, in diverse monetine, e un pacchetto di gomme da masticare, cosa che Jack trovava tremendamente stravagante. Jack alzò lo sguardo dall'intreccio di fogliame. Poteva scorgere a malapena la forma del figlio seduto in cima al recinto di legno che impediva il passaggio nel giardino della signorina Maggie. Il bimbo sembrava sospeso, fluttuante dietro una cascata di edera e di grandi campanelle blu. «Ehi! È magnifico!» disse molto fiero, con una voce piena di amore. «Fai il giro e vieni qui», ordinò Danny.
«Okay.» L'igloo di foglie si apriva sulla sinistra, e Jack poté scorgere il figlio all'ombra della capanna. Intanto Samson e Sandy, che erano sdraiati al sole accanto alla piscina, si erano alzati e si erano precipitati al fianco di Danny, come due guardie del corpo professioniste. Samson era alto come Danny, con una grande testa nera e macchie bianche sul petto. Sandy era grosso solo la metà. «Perché vuoi una capanna di terra?» volle sapere Jack. «Non ho mai visto un bambino con una capanna di terra!» «Protezione.» «Protezione?» «Sì.» «Protezione da che cosa?» «Dalla gente.» Jack notò che nella staccionata dietro la capanna mancava un pezzo di legno. «Devi metterlo a posto», fece per indicare con un dito, mentre Samson si mosse ringhiando. «Okay, papà.» Jack guardò i cani che stavano ancora accanto al figlio. Per un momento gli sembrò che facessero veramente la guardia a Danny nella piccola capanna di terra. Sembravano partecipare anche loro al gioco. «È compito tuo preoccuparti che non ci siano buchi nella staccionata», sottolineò Jack. «Sì, papà. Ti piacciono le mie palle di terra?» Il bambino indicò una fila di una trentina di palle di terra delle dimensioni pressappoco di un'arancia. «Sono capace di tirarle, papà», si vantò Danny. Ne raccolse una, uscì dalla capanna e la scagliò contro il tronco di un eucalipto. La palla si sgretolò per aria, ma un frammento piuttosto consistente colpì l'albero e vi restò attaccato. «Bravo.» «In una delle palle di terra c'è dentro un sasso e un verme.» «Fantastico.» 3 OTTOBRE MATTINA Jack aveva avuto una giornata più dura del solito. Doveva trovare il mo-
do di far uscire dalla banalità una storia sulla guarigione di un'alcolizzata che stava preparando per l'ABC. Per le undici aveva dovuto fare le fotocopie di un thriller e portarle alla Warner Brothers sulla Burbank. Gilda Heyler, il suo agente, lo aspettava alle undici e mezzo. Alle due doveva essere a casa di Niko Aris per una riunione in piscina per discutere la seconda stesura dell'unico progetto pagato che aveva in corso in quel momento: Stringimi, toccami. Quando l'anno prima si era trasferito a Beverly Hills con la moglie e i bambini, Jack Krenner pensava di essersi lasciato alle spalle Manhattan e tutti i suoi problemi. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stato un incidente a Central Park. Un ubriaco girava nel campo dei bambini alla Sessantasettesima Strada (si dava il caso che fosse nero, e davvero abbastanza terrorizzante) e aveva deciso di orinare vicino a una vasca di sabbia dove Courtney e Danny giocavano con diversi altri piccoli. Alcuni dei bambini erano stati portati al parco da bambinaie spagnole o giamaicane, ma c'erano anche abbastanza padri, così quando cominciò a urlare contro l'ubriaco, che non si limitava più a orinare, ma si era messo a mirare ai bambini e poi addirittura a masturbarsi, Jack rimase sconvolto di non trovare l'appoggio di nessuno. «Ho una pistola e ti faccio saltare la testa», l'aveva minacciato l'ubriaco. «Vado a chiamare la polizia», gli aveva detto Jack, e si era diretto verso la Quinta Avenue. «Io sono un poliziotto», si era messo a urlare il tipo. «Sono un poliziotto e ti sparo in testa, pompinaro di merda. Pompinaro!» Quando finalmente riuscì a far venire i poliziotti, Jack scoprì che nessuno dei genitori voleva sporgere denuncia. Dovette montare da solo su una macchina della polizia, mentre l'ubriaco saliva su un'altra, per andare al commissariato a mettere in moto il processo della denuncia. Il «processo» consisté nel rilascio dell'ubriaco dopo meno di tre ore, mentre Jack dovette fermarsi ben cinque ore prima di poter fare la sua deposizione. Il ritardo fu in parte dovuto all'arrivo del sindaco, che si era presentato al commissariato con una troupe televisiva perché gli avevano tirato delle uova mentre teneva un discorso vicino al Plaza. Non c'era voluto molto di più per sistemare tutto e trasferirsi a Los Angeles. C'era stato il problema di trovare una sistemazione adatta e di liberarsi del contratto d'affitto triennale per la casa al 25 di Central Park West. Ma, nonostante fosse passato un anno, sapeva che Marjorie continuava a rimpiangere New York. Era consapevole che lei lo aveva seguito solo per-
ché lo amava totalmente e si aggrappava a lui. C'erano dei momenti, quando mangiavano in uno dei terribili ristorantini di L. A., che Jack intuiva perfettamente quanto Marjorie desiderasse uno dei tipici panini che si mangiano da Wolf's, oppure, quando l'accompagnava a fare due passi in giro, lui sapeva che la moglie moriva dalla voglia di passeggiare per la Cinquantasettesima. Aveva visto altre mogli trapiantate diventare così brontolone ed egoiste da far traballare drasticamente il matrimonio. Alle feste, un'altra moglie avrebbe portato il discorso su come si sentiva più viva a New York. Avrebbe continuato a ripetere come a New York la cultura, la gente e il teatro fossero migliori. Nelle vetrine c'erano idee, spirito e il sapore della novità. Ma sua moglie Marjorie filtrava il suo desiderio. Per lei i suoi bisogni venivano dopo quelli di lui. Viveva per lui, per aiutarlo a essere l'uomo, il padre, per combattere al suo fianco, attenta alle sue paure, alle sue speranze, ai suoi bisogni. Anche con la pioggia e col buio, lei non si lamenterà mai... Jack scoprì che l'unica domanda che Niko Aris sapeva fare era «Quando arriva lo stupro?» Non aveva avuto bisogno di arrivare in fondo alla prima stesura, per scoprire che il produttore non aveva la più pallida idea di come maneggiare materiale drammatico. Ogni volta che Jack lo coglieva in flagrante delitto di leso intreccio, cercava di insegnargli i rudimenti dell'arte drammatica. «La nostra eroina ha bisogno di cuore», cercava di spiegargli. «Dobbiamo capire perché beve. È necessario sapere chi sono i personaggi, che relazioni ci sono fra di loro; i loro conflitti; il personaggio principale deve essere più deciso.» «Balle», aveva ribattuto Aris dopo poche settimane di finto coinvolgimento drammatico. «Senti, so che quello che ci vuole sono culi e tette. Cominciamo con un flashback dello stupro della madre e finiamo con lo stupro della figlia. Mi sembra un bel sandwich. E voglio che i titoli di coda scorrano su un'immagine fissa delle tette. Ricordati Bo Derek in Tarzan. Il film è una merda, ma il pubblico se ne stava seduto fino all'ultimo titolo a guardare le tette.» A New York Jack si era sentito maggiormente nel ruolo di marito. In California era una battaglia più difficile portare i bambini allo zoo e al cinema. Una volta finito il lavoro del mattino, squillava il telefono per comunicargli che doveva andare a una riunione con un nuovo produttore o tentare di rifilare un'idea alla Fox o all'ABC. Spesso la storia che tentava di vendere era una variazione della sua vita con Marjorie e i bambini. «Vedete, gente», si esibiva davanti a una platea di giovani dirigenti impassibili,
«questa è la storia di una famiglia che conosciamo tutti. È gente fantastica, con dei bambini fantastici. C'è Richard, un tipo alla Dick Benjamin, serio, posato, dirigente di una società di gestione aziendale. È sposato con Susan, che è come Paula Prentiss, attraente, con i capelli neri e un bel sorriso... lei è a terra, svampita, distratta e vulnerabile, ma nei momenti di difficoltà può essere una leonessa. È qui che sta il nocciolo della serie. Di solito è il marito a essere il leone, ma nelle difficoltà va a pezzi. È una serie sulla sopravvivenza negli anni Ottanta! È piena di tutti quei problemi che una famiglia media riconoscerebbe come suoi. Ogni settimana ne affrontiamo uno, come il tasso d'interesse, la maggioranza silenziosa, il prezzo degli alimentari, la vita da soli, il sesso degli adolescenti, tutte cose così! E i titoli di testa saranno in seppia, come in Assassinio sull'Orient Express...» «Come, come, come...» Ma nessuno comprava l'idea. Gilda, un donnino alto poco meno di un metro e sessanta, era diventata la sua confidente preferita in California. Naturalmente non poteva dirle tutto, perlomeno niente di quello che avrebbe potuto tratteggiarlo come una persona psichicamente debole. Ma con lei discuteva di cose come il mito della famiglia perfetta. Dopo una grande scenata con Marjorie, di solito telefonava a Gilda e l'invitava a colazione. Lei lo aveva aiutato moltissimo a superare gli ostacoli che man mano aveva incontrato sul suo cammino. L'aveva sempre incoraggiato ad aprirsi a Marjorie, a non nascondere mai i suoi sentimenti alla sua famiglia. «Se hai paura della morte, dei conti o di un attacco cardiaco, confidaglielo», gli suggeriva. «E non fare investimenti sui bambini. Lascia che vivano i loro sogni e smettila di insistere che si comportino come degli adulti in miniatura.» Il matrimonio gli dava momenti di forte paranoia, Gilda lo sapeva, ma sapeva anche che non si trattava di follia, ma solo delle fantasie normali che popolano le notti di molti mariti. Una volta che era particolarmente giù, Jack si era lamentato con lei del suo matrimonio, del fatto che fosse così prevedibile, che lui e Marjorie si alzassero ogni mattina alla stessa ora, che facessero le stesse cose, che sua moglie facesse persino la scrittrice come lui. Anche quello che si mangiava a colazione era prevedibile. Gilda sapeva che una volta al mese Jack si ubriacava e si chiedeva che senso avesse continuare col suo matrimonio. Che senso aveva la vita in generale? Allora gli ricordava che la sua depressione era dovuta soprattutto al fatto di essere quasi al verde, ma presto sarebbe arrivata una nuova commissione.
Gilda Heyler andava in ufficio ogni mattina con un paio di occhiali enormi e con i capelli raccolti sopra la testa e così tirati da parere costretta a un perenne sorriso. Portava camicette troppo fini e trasparenti per una donna di cinquant'anni, e si vantava apertamente di avere le gambe di una stellina ventenne. La sua passione era di tenere schede accurate dei clienti: dove li aveva mandati, dove avevano registrato una vittoria e dove una sconfitta. I clienti che non funzionavano per sei mesi venivano automaticamente lasciati perdere, a meno che fossero attori di bell'aspetto o scrittori. Jack l'aveva conosciuta tempo prima a New York. Gilda allora era più giovane, sfrenata, e metteva in mostra la sua esuberanza alle feste del Village saltando per esempio al collo di un amico e avviluppandogli le gambe alla vita. Si diceva che fosse solita farsi l'idromassaggio in compagnia di sette uomini, e solo la sua faccia ossuta da gufo le impediva di venire violentata. Il suo comportamento era considerato allegro, non sexy. Tutti la consideravano «un amicone» e più di una volta si era mormorato che fosse lesbica. Quando Jack la rincontrò in California, si era data una regolata e raramente le capitava di accennare alle follie del passato. Gilda aveva imparato le regole del gioco e le applicava alla perfezione. Nel suo ufficio Jack si sentiva bene. Ammirò la tappezzeria marrone, i toni bruciati del tappeto e del soffitto e il legno lustro della scrivania e degli scaffali. Quella mattina ci aveva messo più tempo del previsto a fotocopiare, e anche la consegna alla Warner Brothers si era rivelata un problema perché il portiere non aveva voluto lasciarlo parcheggiare davanti alla Direzione. Il che aveva voluto dire una lunga camminata per Pass Avenue, senza contare il traffico sulla Highland che aveva trovato tornando a Beverly Hills. A quel punto, con Gilda, per qualche strana ragione aveva lasciato che la conversazione prendesse una piega personale abbandonando la questione fondamentale come, cioè, far sì che una diva portasse almeno in tournée estiva la sua commedia. Se non avesse bevuto troppo, sarebbe riuscita a presentarla sul circuito dei teatri di rivista nel New England. Jack sapeva che per lui questo significava cinquemila dollari alla settimana, abbastanza per pagare i conti fino a quando fosse riuscito a concludere per un secondo film. Ma aveva perso di vista il problema delle prenotazioni a Westport, a Cape Cod, e ad Algonquin nel Maine, per mettersi a parlare senza rendersi conto della menopausa maschile. Raccontava come si sentiva depresso e vecchio, e come per il suo compleanno qualcuno gli avesse regalato un bastone da passeggio. Un bastone a quarant'anni! E Marjorie gli aveva regalato un buono per un corso di aerobica, ma era venuto via
depresso quando aveva scoperto che i partecipanti erano in maggioranza ballerini e gli esercizi assomigliavano a delle prove per un musical di Broadway. Una dattilografa di cui si serviva gli aveva regalato una copia di un LP dei Sex Knights, un gruppo punk-rock di cui non aveva mai sentito parlare, e la dattilografa gli aveva chiesto in che mondo viveva! Era uno dei gruppi del momento; forse avrebbe dovuto prendergli gli Ink Spots o i Mills Brothers? Gilda aveva riso. Era una sua capacità fantastica; poteva simpatizzare completamente con un cliente, senza rinunciare a farsi una risata. Non per crudeltà. Il suo riso era allegro e contagioso. Toglieva la tensione e aiutava a riaggiustare la prospettiva. «È duro avere quarant'anni in questa città», gli disse. «In questo lavoro sono l'unica, uomo o donna non importa, ad aver superato la quarantina e a non essermi ancora fatta un lifting.» Gli aveva preparato una tisana e aveva continuato a giocare con la poltrona girevole della scrivania. Gli citò le storie di una dozzina di clienti dell'agenzia che erano fuori di testa perché si erano resi conto di essere di mezza età e di non aver fatto carriera. «I figli non avevano più bisogno di loro», aveva osservato Gilda. «Le mogli liberate non basavano più la loro vita esclusivamente su di loro. Si precipitano qui in agenzia con scritto in faccia: Chi sono? Che cosa sarà di me? Succede a tutti.» Capitolo 5 17 OTTOBRE 2.00 Il vialetto era bloccato da cavalietti di legno e una dozzina di auto proiettava la sua luce intermittente su Camden Drive. Macchine della squadra omicidi, due ambulanze, due berline anonime (e la vecchia Cadillac di Lichteiman) illuminavano la scena dall'interno. Lichteiman attraversò lentamente lo sbarramento e accolse il saluto di un poliziotto. Dal modo in cui gli altri detective si tenevano lontani dal cadavere, poteva indovinare che lo attendeva qualcosa di spiacevole. La prima comunicazione radio aveva accennato solo al fatto che si trattava di una giovane donna. Sul corpo c'erano segni che indicavano una recente mastectomia, infatti, che aveva fatto pensare immediatamente a un suicidio.
Camden, non era molto lontano dal Cedars of Sinai Hospital. C'erano stati moltissimi altri casi di pazienti che avevano subito un'operazione e si erano svegliati dall'anestesia col desiderio di uccidersi. A Beverly Hills, la perdita improvvisa della bellezza era considerato un motivo più che valido per autodistruggersi. «I seni sono tagliati. Non so chi diavolo sia», disse Straub, osservando il medico legale che si occupava del corpo. Estrasse una sigaretta dalla tasca interna e l'accese. Lichteiman si avvicinò e s'inginocchiò. «Permesso», sussurrò e anche il medico legale gli fece largo. «Allora? Ha avuto un'operazione?» volle sapere Straub. «Mi dia la torcia.» «Non ci sono segni sul cranio», avvertì il detective Tolman. «Solo il petto...» Lichteiman percorse lentamente con la luce il cadavere nudo in cerca di contusioni. «Forse il Sinai. Forse era al Sinai ed è andata fuori di sé quando si è vista dopo la mastectomia...» continuò Tolman. Lichteiman aveva trovato qualcosa, più giù del busto, un po' di sangue attorno alla vagina. «E questo cos'è?» «Dal petto il sangue deve essere colato sulla pancia, prima che la vittima cadesse sulla sinistra e assumesse la posizione fetale», suggerì Tolman. «Bisturi?» chiese Lichteiman. «Qualcosa di molto affilato. Probabilmente uno strumento da chirurgo», confermò il medico legale. «Chiunque può comperarlo, ormai.» «L'ora, dottore?» «Quattro, cinque ore fa. Il tempo per svegliarsi dall'anestesia all'ospedale, strapparsi le bende e voler morire.» «Chi è?» «Stiamo ancora controllando. Stiamo vedendo le ultime operazioni al Sinai e al Midway.» «Chi l'ha trovata?» «Una coppia che era stata a una festa sulla Rodeo e stava tornando a casa a piedi nella Benedict. Hanno visto la pelle bianca, hanno pensato che fosse un manichino...» «Controllate questo», ordinò Lichteiman. «Cosa?» Con un gesto della mano Lichteiman indicò al medico legale la parte che
andava dal petto all'area genitale. «Non si può dire se c'è stata violenza, finché non abbiamo portato il corpo al...» «Che cosa sono questi segni?» chiese Lichteiman, indicando quelli che sembravano gonfiori, forse bolle che partivano dai peli biondo rossi della ragazza per arrivare all'ingresso delle labbra vaginali. Il medico chiese un'altra lampada e con un po' di garza tolse il sangue da una piccola area. Un attimo dopo si sollevò a sedere sui talloni, scuotendo la testa. «Cosa sono?» «Cristo Gesù», disse il medico, «questi sono segni di denti.» «Cosa?» tossì il tenente Straub. «Non le hanno solo tagliato le tette. L'hanno morsicata. Qualcuno l'ha morsicata, Cristo Gesù...» «Maledetto maniaco», disse Tolman. «Abbiamo trovato un maledetto maniaco.» Lichteiman si alzò, guardò Straub, e tornò alla macchina. Sentiva la cintura segargli lo stomaco, grazie a una grossa pizza che aveva divorato solo poche ore prima. Pizza con cipolle e due Heineken, poi quattro Alka Seltzer. Mise in moto. Si sarebbe diretto a Mulholland, per dormire qualche ora prima di tornare in città per il rapporto. Con questa seconda mutilazione il disegno cominciava a prendere forma, confermando che sarebbe stato necessario il suo talento — un talento che all'inizio non credeva gli servisse un gran che, ma che negli ultimi anni non aveva mai lasciato a riposo molto a lungo. C'era stato lo strangolatore di Hillside, lo strangolatore di Silver Lake, gli stupratori all'università di Los Angeles e a quella della California. Poi le mutilazioni e le decapitazioni isolate a Covena e a Riverside, e nel 1978 era stato chiamato a Long Beach per lavorare al caso di una prostituta orrendamente mutilata, come risultò poi, da un marinaio italiano. Quando da alcuni bidoni della spazzatura sul Sunset Boulevard e sul Santa Monica Boulevard erano spuntati fuori i resti di una prostituta e di un imbroglioncello, aveva avuto abbastanza lavoro da fare gli straordinari al dipartimento di Polizia di Los Angeles. Non ci aveva messo molto a scoprire l'orrore che si nascondeva nelle case, il marito che rientrava alla sera e senza una parola sterminava la famiglia e si uccideva con un fucile o con il veleno. Poi c'era stato il Kool Aid e i culti, i guru e le loro donne sterminati nel Laurel Canyon. C'erano crimini sessuali e la guerra della cocaina. Ma sempre più frequenti erano gli uomini che facevano del male a delle donne.
22 OTTOBRE Marjorie aveva messo a punto certi aspetti di Carole Bender: Carole, quarantotto anni, bionda, reduce da numerosi lifting al viso, espansiva, aggressiva. Marjorie se ne sentiva attratta perché non aveva mai incontrato una donna così vivace e poliedrica. E Carole l'aveva puntata, come se avesse fiutato una nuova amica. Alla festa dell'Associazione Scrittori aveva fatto tutti i passi necessari per metterla alla prova. Il suo sguardo si era allacciato a quello di Marjorie come per dire: Dentro di te c'è qualcuno d'importante. E io ho intenzione di scoprirla... Naturalmente, Marjorie all'asilo aveva conosciuto alcune madri, in particolare Joan Barron, ma Joan viveva a Bel Air e per una ragione o per l'altra non si erano incontrate con le famiglie più di una o due volte. Jack non era molto portato a socializzare e i bambini di Joan, Jake e Jenny, erano un po' più grandi di Danny e Courtney. Joan Barron aveva cercato di legare, ma non con la stessa energia di Carole. L'assortimento di cagnolini di Carole scorrazzava per il salotto, mentre oltre la vetrata un giovanotto nudo di nome Nat era disteso voluttuosamente su un lettino accanto alla piscina. «È qui che scrivi?» chiese Marjorie abbracciando con gli occhi il salotto ingombro di carte ed equipaggiato di un word processor. «Sì.» Bevvero del vino. Carole le parlò di un soggetto cinematografico al quale stava lavorando. Poi l'interesse della conversazione si spostò su Marjorie, e Carole non la deluse: «Per scrivere qualcosa di decente è necessario sapere che cosa significhino veramente le lacrime. Sono stata educata in una scuola cattolica e le suore mi hanno insegnato che per Dio la cosa più bella del mondo è la lacrima di un bambino. Sorella Tomasino ripeteva: 'Sì, piccola Carole, che meraviglioso dono di Dio sarebbe se tu riuscissi a versare una lacrima durante la confessione'. 'Che bella stronzata', avrei dovuto risponderle, perché vedi, Marjorie, non avevo peccati. Avevo otto anni e davvero non avevo peccati. Così cominciai a inventarmeli nel confessionale. Affermavo d'aver detto impertinenze a una signora o una bugia a un commesso di Woolworth. Mi sforzavo di piangere per far contento il prete e Dio. Il tuo prete è tuo marito, vero, Marjorie?» Marjorie si sprofondò nei cuscini di un divano troppo imbottito. «Mio marito dice che ho cominciato bene. Vuole che riesca...»
«Altrimenti ti aspettano le fiamme dell'inferno.» Tra le persone che Marjorie conosceva a Beverly Hills, Carole era l'unica che aveva la forza di una donna di New York, anche se questa forza coesisteva con una certa flemma californiana. Viveva nella Trusdale, in una casa che valeva un milione di dollari. Lei sosteneva che Trusdale era abbastanza declassé e brulicante di arabi e di iraniani, con in cima Danny Thomas e il suo immenso palazzo moresco. La facciata della casa di Carole era ricoperta di frammenti di un marmo che Jack definiva in stile «Mussolini». Carole era anche la donna più bianca che Marjorie avesse mai visto. A ogni ora del giorno indossava completi bianchi. Bianca era anche la montatura dei mastodontici occhiali. Talvolta portava gonne bianche cortissime, con vertiginosi tacchi bianchi che servivano a sollevare nell'aria il più possibile la sua breve figura. I capelli, praticamente bianchi, erano acconciati come quelli di una stellina ed erano sormontati da un piccolo toupet che, oltre a slanciarla ulteriormente, serviva a coprire un punto dove la chioma si stava diradando. Marjorie aveva calcolato che abitualmente Carole non si alzava fino alle undici e poi passava almeno due ore in bagno. Grazie a ripetuti lifting, non aveva occhiaie né rughe, tranne un profondo solco sulla punta del naso. Marjorie aveva notato che nelle occasioni importanti Carole riempiva il solco con una pasta che lo rendeva praticamente invisibile. Aveva sentito dire da altre signore che Carole continuava a tormentarsi il naso con l'unghia — una specie di tic che nessuno capiva, ma che nessuno neppure metteva in discussione. La sua mania del bianco e l'autotortura al naso erano accettati come dati di fatto. A quanto si diceva, soltanto una volta qualcuno le aveva chiesto il perché di una di queste sue particolarità. Era stato molti anni prima, quando una moglie di un allenatore del college si era accostata a Carole per ringraziarla della meravigliosa cena che aveva offerto. Dopo un torrente di complimenti, la donna, piuttosto rozza, l'aveva fissata come se la vedesse per la prima volta e le aveva chiesto a voce alta: «Ehi, perché sei così bianca?» Sembrava che Carole non avesse gradito la cosa e che la moglie dell'allenatore non fosse più stata invitata. Era stata sempre Carole a portare Marjorie a fare il primo vero giro dei negozi di Beverly Hills. Da sola Marjorie aveva messo il naso in tutti i negozi più ovvi, nelle filiali di Gucci, Saks e Ted Lapidus. In Rodeo Drive c'era anche Elizabeth Arden, Van Cleef e Arpels, e anche Cartier e Tiffany, nomi abbastanza familiari da mettere Marjorie a proprio agio con le loro vetrine. Carole l'aveva condotta da Devante's: «Le cose di cui sono
fatti i sogni». Vendevano magnifici servizi cesellati e stupende scatole di filigrana. Carole le mostrò Georgette Klinger, il posto dove andava per i suoi trattamenti estetici, il negozio della Gun Trigere Ltd. e della Benetton e il visone Black Willow di Jack Fenster. Qualche volta la faceva entrare da Edwards-Lowell a provare una fila di pellicce lussuose per poi uscire facendo l'offesa perché non c'era niente che le si confacesse. Il giro dei negozi era sempre divertente, e, anche se di solito non comperavano niente di molto costoso, Marjorie capiva che Carole memorizzava ogni aspetto di ogni tessuto che le capitava a tiro. Dell'arte di acquistare e di decorare non le sfuggiva niente. Una volta non era riuscita a trovare la carta da parati che voleva, così si era fatta accompagnare da Marjorie a scegliere un disegno di rosa in una stampa antica e a farlo riprodurre da un artista su un tessuto bianco. Marjorie non aveva mai visto nessuno capace di muoversi in mezzo a ettari di carte e di tessuti da parati con la stessa sicurezza. Carole la iniziò anche ai misteri di Robertson e del Design Center. La illuminò sui meccanismi dell'acquisto di oggetti d'antiquariato. La caccia al mobilio di vimini divenne un'arte. Sapeva localizzare un divano fatto apposta per un cliente ed era capace di aspettare per sei mesi finché la sala d'esposizione non stava per rimandarlo al fabbricante a San Francisco, allora si precipitava a comperarlo sottocosto. Marjorie era appunto con lei quando aveva comperato per millesettecento dollari un salotto di rattan del valore di seimila. Quel caldo pomeriggio Marjorie fece finta di non vedere Carole dire ciao al giovanotto nudo sul bordo della piscina baciandolo sui genitali. «Non stiamo via molto», gli disse Carole, accompagnando Marjorie verso la sua Mercedes scoperta. Aveva riservato un tavolo per loro da Ma Maison. Mentre facevano colazione Carole avvertì che Marjorie era ancora un poco triste e non fece fatica a capire che il motivo era Jack. «Se non è che tensione quella che senti nel tuo matrimonio, sei fortunata», commentò Carole. «Tutti quelli che conosco ancora sposati sono in lotta aperta.» «Perché?» chiese Marjorie. «Cosa sta succedendo?» «La battaglia fra i sessi, no?» disse ridendo Carole. «Penso che ci sia sempre stata. Storicamente, in gran parte risale al periodo vittoriano con tutto quel lavaggio del cervello. Ma anche gli ebrei si sono dati da fare per creare dei problemi. Dicono che per fare un funerale ci vogliono dodici uomini buoni. Ma dove li trovano dodici uomini buoni?»
Marjorie fu costretta a ridere. «Non ce ne sono di uomini buoni», continuò Carole, «ma se consideri la storia con occhi femminili invece che maschili, vedrai che è affascinante e divertente. Io vengo da quattro generazioni di donne californiane che nella vita hanno fatto a modo loro.» «Davvero?» «Mia nonna divorziò dal marito nel 1899. Dopo essere stata picchiata per nove anni, ottenne il divorzio in nove mesi, un vero record. Lui era un pastore battista alcolizzato di San José. Lei si portò via tutti i bambini e li mantenne insegnando musica. Sua madre aveva dovuto prendersi cura di un marito tisico. Da un punto di vista spirituale fu un buon matrimonio, ma lui non poteva fare niente perché era troppo debole. Nella mia famiglia sono state quelle donne forti a mantenere gli uomini. E mio padre credeva tantissimo nelle donne. Ammirava la madre e la nonna e voleva che diventassi come loro, ma avevo un fratello maggiore e durante la depressione c'erano pochi soldi. L'idea era di farlo studiare e di mandarlo al college. Per fortuna rimase qualcosa anche per me. Com'era il padre di Jack?» «A sentire Jack, era completamente succubo della vecchia madre tedesca; finché arrivò la mamma di Jack, si diede da fare per liberarlo e lo incoraggiò perché entrasse nella polizia, insomma ne fece un uomo.» «Chissà poi perché la gente pensa che sia l'uomo a dominare?» sbuffò Carole. «Te lo dico io il perché, è quello che si è sempre sentito dire. Nella mia famiglia per quattro generazioni lo si è saputo maledettamente bene che erano le donne a dominare.» «Ma la battaglia dei sessi, allora?» volle sapere Marjorie. «Una volta, a un party, un uomo disse che alle donne piaceva essere violentate. È una cosa terribile da affermare. Davvero. Ma gli uomini sono convinti che alle donne piace essere dominate.» «Ma se si considerano gli organi sessuali, le differenze anatomiche, noi siamo fatte per concepire.» «Sì, ma mettila in questo modo: le donne diramano l'invito, dicono vieni, con la tua proboscide, entra e fecondami come un fiore. Da sempre le donne hanno tenuto energicamente il timone, ma poi è accaduto che gli uomini sono stati più rapidi a impadronirsi dei mezzi di comunicazione. Hanno annunciato che sono loro la forza dominatrice! E noi diciamo, be', cazzo, prendiamola come viene e spassiamocela. C'è chi dice che la mano che fa dondolare la culla è quella che domina il mondo. O che dietro a ogni uomo forte c'è la donna. Ma è anche vero che le donne non hanno la stessa sma-
nia di grandezza degli uomini. È questo che mi preoccupa dei maschi. Perché lo vogliono? Perché desiderano poter dire; 'Io sono il più grande', mentre tu e io possiamo farci delle risate facendo la spesa sulla Rodeo Drive o seguendo Morgan Fairchild che svolazza da un tavolo all'altro?» «Sembra che un uomo non possa fare a meno di mettersi le penne del virtuoso», osservò Marjorie. «Al diavolo il loro virtuosismo! Che cosa non darei per avere vent'anni di meno», ammise Carole. «Mi piacerebbe davvero, perché sta cambiando tutto. Vent'anni fa avevo la bocca cucita, non potevo andare in nessun posto, non potevo dire niente. Adesso posso andare dovunque, dire tutto quello che voglio.» «È davvero una cosa fantastica.» «Ma per me é un po' troppo tardi. E non pensare che la cosa non mi faccia impazzire. Ma ne parliamo un altro giorno.» Rientrò molto prima che arrivasse l'autobus della scuola. Giunta alla porta del garage, spinse il pulsante e la porta si sollevò, arrotolandosi e scomparendo nel soffitto come una lingua nera. Scese dalla macchina e riuscì a uscire all'aperto appena in tempo prima che la porta si richiudesse. Voleva controllare se Tomás aveva innaffiato i nuovi limoni piantati per nascondere il contatore dell'acqua. Vaso per vaso saggiò con il dito la terra e fu felice di trovarla umida. Si diresse allora verso l'ingresso principale. Nella cassetta non c'era posta. Maria doveva averla già tolta. O forse Jack aveva approfittato di una pausa per leggere la corrispondenza e fare una nuotata in piscina. Sorpassò le grandi lastre bianche che incorniciavano la porta. Voci. Si girò e si sporse a guardare. Alcuni operai si riposavano nel gazebo del chirurgo plastico. Una limousine nera si allungava nell'ingresso. C'era uno chauffeur in attesa. Sulla porta, mezzo coperta dagli alberi di ficus, c'era una donna con la faccia bendata e gli occhiali neri. Aveva l'aria di essersi appena alzata da un tavolo operatorio e teneva la testa bassa. Il dottore, in camicia e cravatta, si prendeva cura di lei. Le circondò le spalle con un braccio e la confortò con una stretta professionale. La donna si girò, corse alla limousine e vi salì. Lo chauffeur chiuse la portiera e si mise al volante. La grossa vettura fece marcia indietro, manovrando a fatica nella piazzola e finalmente si trovò libera sulla strada. Mentre seguiva con gli occhi la macchina che si allontanava, Marjorie sentì su di sé lo sguardo del chirur-
go. Il dottor Huston era un uomo grande e grosso, più vicino ai quaranta che ai trenta. Un sorriso amichevole e un cenno con la mano. Ma l'aveva colta a curiosare. Entrò e si diresse verso la biblioteca, ma sentì che Jack stava dettando. Cambiò idea e andò sul campo da tennis a fare qualche servizio. Alle tre e mezzo, grida e risate. I bambini erano tornati. «Pensa, un nastro rosso. Studente della Settimana! Non mi sembra vero. Oh, sì, Courtney, sono sicuro che ci riuscirai presto anche tu.» Poi fu il momento del latte, della 7Up, dei budini e della liquerizia. Alla fine Marjorie si versò una tazza di tè al lampone e si sedette a guardare i suoi stupendi bambini che divoravano la merenda e si preparavano a mettere in subbuglio la casa. Tirano fuori il meglio che c'è in me, pensò Marjorie, e anche il peggio. La piccola Court, che sarà una ragazza ponpon e poi un'attrice famosa. E Danny, che non ha paura degli extraterrestri elettronici e si arrampica sugli alberi come una scimmia, diventerà Presidente. Che piccoli magnifici. A cena Marjorie fece del suo meglio per tenere allegro Jack. Sapeva che una parte di lui era rimasta sulla tomba di sua madre, continuava a rivivere lo scontro con Bernice. A un certo punto lo sorprese a guardarla fissa. Si chiese che cosa vedesse. Forse si stupiva di come fosse riuscita a rimanere giovane e attraente? Forse dopo sette anni di matrimonio desiderava una donna più giovane e più carina. Si preoccupò. Più tardi le arrivarono tutti quei segni che preludevano a una notte d'amore. Lui fece la doccia, si lavò i denti e fece i gargarismi. Questo voleva sempre dire amore. Dal canto suo lei non era mai stata così accurata nei preparativi, ma lui l'aveva istruita presto e bene. Si fece anche lei la doccia e, quando lui entrò nel letto, lo attendeva nuda. Pensò che il momento di dirglielo fosse quello, prima che facessero l'amore. Dopo si sarebbe addormentato subito. «Pensavo che potremmo invitare qualche vicino», azzardò, sedendosi sul borso del letto. «No, grazie.» «Pensavo che dovremmo conoscerli meglio. Mi sembra che tutti i lunedì da Mercer si giochi a poker. E il chirurgo plastico. Non sei curioso di sapere quello che fa?» «Per favore, Marjorie...» «Penso solo che dovremmo essere più socievoli. Dovremmo vedere più gente. Non abbiamo neppure un amico che sia un amico. Non vorresti ave-
re degli amici, come li avevamo a New York?» Si piegò su di lui, cominciò a percorrergli il petto con la mano, solleticandogli dolcemente i peli. «No, non vorrei.» «Non sei curioso di sapere che cosa succede qui intorno? Di sapere quello che fanno dietro tutto quel ferro battuto e quel marmo di Carrara e quei cancelli elettrificati?» «Marjorie, dovresti rilassarti. Dedicarti alle rose o a qualcosa del genere.» Jack si alzò e andò nel suo bagno e Marjorie captò dei suoni che avevano un nuovo significato. Prima di allora non aveva mai badato a quello che lui faceva nel bagno e quando lo sentiva inalare profondamente col naso pensava che fosse la solita goccia. Ormai sapeva perché continuava a frugare nel comodino. Spesso si era svegliata mentre lui stava facendo qualcosa. Aveva pensato che si inalasse del Vicks o si preparasse un Alka Seltzer. Al massimo avrebbe creduto che usasse un pizzico di pomata per qualche prurito. Quella notte, quando lui spense le luci e si rinfilò nel letto, Marjorie decise di uscire allo scoperto. «Usi la cocaina, Jack?» «Un po'.» Rotolò verso di lei, la strinse fra le braccia e cominciò a baciarle i seni. Le baciava sempre i seni e il collo. Qualche volta i capelli. Ma raramente le sue labbra sfioravano quelle di lei. Se vuoi sapere se ti ama tanto, chiedilo ai baci, Marjorie ricordava le parole di una vecchia canzone. Lei non aveva mai potuto far uso di droghe. Anzi, la droga era stata proprio il motivo per cui aveva lasciato l'insegnamento. Se lo ricordava come se fosse stato il giorno prima. Marjorie Krenner, mentre spiegava alla classe come fare un riassunto, aveva notato che metà dei bambini avevano un'aria addormentata. Lei aveva detto che sapeva che erano cose noiose, ma che mai aveva visto gli studenti dormire in quel modo. «Siamo fuori!» le avevano gridato. Poi gliene avevano fatta vedere persino un po'. Da quel momento sembrò che ce ne fosse dappertutto. Ce l'avevano i suoi amici, si trovava in tutti i bar per persone sole. Provò qualche volta l'erba con Jack perché lui voleva sperimentarla e molte delle coppie che frequentavano a New York ci giocavano. Era una cosa che andava fatta. Bastavano due tiri di marijuana per farla star male. Alla fine aveva capito che l'erba stimolava il sesso e, a quanto aveva capito, la cocaina faceva lo stesso. Se i suoi allievi ai rapporti dell'FBI avessero detto esplicitamente: «E inoltre, gli esseri umani prendo-
no le droghe perché li rendono più scatenati nel sesso», la cosa avrebbe avuto più senso. Sapeva anche che tutta quell'energia le star di Hollywood e di Beverly la trovavano nella cocaina. Era rimasta scossa in modo particolare quando era morto Belushi. L'avevano incontrato diverse volte sullo Strip e, una volta, durante un temporale, uno dei vicini aveva avuto un'interferenza telefonica con lui. Marjorie non era una stupida. Conosceva un sacco di personalità dello spettacolo che avevano problemi con la droga, che ne sniffavano in grandi quantità e poi, alla fine, passavano alle iniezioni di cocaina mista a eroina. Era stata a delle feste rock dove la cocaina veniva offerta come se fosse zucchero. Belushi era stato a cena con De Niro sul Sunset Strip. Poi uno spettacolo alla Improv, e un salto all'On the Rox. Là aveva incontrato un amico e avevano giocato fino all'una e mezzo... Belushi in jeans e con una fascia sulla fronte. Il suo corpo fu scoperto il mattino successivo nel bungalow dell'hotel. Un uomo sotto pressione. Segni di iniezioni sulle braccia. Eccessi. Nessun limite al cibo, al bere o alle droghe. «Avrei voluto essergli vicino per proteggerlo», aveva dichiarato un amico, quando fu trovato il corpo. E Marjorie sentì la stessa cosa nei confronti di Jack. Lei sarebbe stata lì a proteggerlo. «Ne uso solo un pochino. Non ci sono problemi», le disse. E lei gli credette. Jack si era girato sulla schiena e Marjorie si sollevò e si stese su di lui. C'erano altri modi, ma quella era l'estasi suprema della loro unione. Da sopra lei poteva controllare e lui di solito voleva che fosse lei ad avere l'orgasmo per prima. Poi si rilassava e lei poteva dedicare tutte le sue energie a eccitarlo. Anche se non ne avevano mai parlato, lei sapeva che le sue più grandi erezioni arrivavano dopo un'ora di eccitamento, quando smetteva di stringerla e abbandonava le braccia distese sul letto, con le palme all'insù. «Voglio che tu provi una cosa», sussurrò in un orecchio Jack, scostandola. «Non voglio la cocaina, Jack.» «Questo è diverso.» «Non voglio niente...» «Solo un po'.» «Non ho bisogno di niente, amore. E neanche tu...» «Solo un pochino. Ti piacerà...» Le mani di lui presero ad accarezzarla intimamente e lei sentiva il suo
tocco. E il suo calore le bastava. Aveva così bisogno di lui che non voleva più parlare. Era andata al di là delle parole, per essere soltanto accanto a lui. Si sentì pervadere dall'energia del corpo di Jack. Non voleva che l'incanto s'interrompesse. Quando lui si mise a sedere e frugò nel comodino, lei sapeva che avrebbe cercato di fare quello che desiderava, ma nelle sue narici di cocaina non ne sarebbe entrata. Le luci notturne in giardino popolavano la stanza di ombre. Marjorie indovinò che Jack stava svitando il tappo di un flacone, poi alzò la testa in tempo per vedere che le versava un po' di polverina bianca sulla vagina. Si aspettò che bruciasse, fece per protestare, ma la mano di lui la cosparse di polvere. All'inizio non era una sensazione insolita. Lo osservò mentre si metteva della polvere bianca sul pene, se la spalmava con cura sul glande. Poi lui si distese e lei sentì le sue dita frugargli la zona del clitoride. Allungò la mano per prendergli l'organo e lo trovò ancora più pieno, più grande. La cocaina, o almeno l'idea della cocaina, aveva avuto il merito di farlo diventare duro come lei non lo aveva mai sentito. Per un attimo le dita di lui scivolarono, presero il bottoncino in alto fra le pieghe della vagina. Marjorie era sempre in attesa dell'effetto della cocaina, sentì solo il piacere, pieno e soddisfacente come al solito. Era bello. Era abbastanza. Tornò a montargli sopra, guidandolo dolcemente dentro di sé, e sentì di essere bagnata. I capezzoli e i seni erano a sua disposizione, perché li succhiasse e li palpasse, e lei aveva quasi perso il senso del tempo. Quella sensazione. Quella sensazione nuova. Cominciò con un leggero calore, un calore femminile che aumentava, partiva dal clitoride per diffondersi per tutta la superficie della vagina. Poi cominciò a riversarsi dentro di lei, correndo attraverso il canale interno, superare il grembo e interessare tutta la parte inferiore del corpo. Sentì le gambe aprirsi di più, sentì davvero tutta la forma del suo organo mentre Jack la penetrava sempre più a fondo, arrivando dove non credeva fosse possibile arrivare. Nel suo corpo risuonavano nuove sensazioni, prima sentì che ogni pelo del pube era cosciente, poi ebbe la consapevolezza delle membra che si contraevano e si rilassavano. Era come se la vagina fosse diventata un pugno muscoloso che lo afferrava. Sentì la testa del suo pene sfregare contro i suoi tessuti più reconditi, spingere, toccare, baciare la sua più profonda intimità. Era consapevole della irrealtà che stava prendendo
possesso di lei, della cocaina che esasperava tutte le sensazioni. Poi lui si sollevò a sedere, sempre con lei sopra. La sollevò. La sollevò per aria e lei si sentì sospesa su di lui. Si aggrappò al suo collo, gli circondò la vita con le gambe, mentre lui si tirava in piedi accanto al letto. In piedi. Era in piedi. Click! Crunchhh! Non sapeva perché, ma improvvisamente sentiva i suoni con la mente. I suoni erano stati reali, ma riecheggiavano dentro la sua testa e lei sentì un vuoto di paura insinuarsi nel suo piacere sessuale. Pensò di aver visto un'ombra che si muoveva sulla sinistra, qualcosa che sfrecciava dietro la porta. Poi una macchia nera si spostò dalla base del suo occhio destro in alto all'estremità della palpebra. Con loro nella stanza c'era qualcun altro, qualcuno che li osservava fare l'amore. No. Dietro la porta non poteva esserci nessuno. Lui era sempre dentro di lei, era in piedi e si era messo a camminare. La portava in giro, con le anche protese e lei aggrappata. Lui rimaneva dentro di lei e lei gli si avvinghiava, come se fosse una questione di vita o di morte. Poi le ombre del corridoio. Le scale. Poi giù, giù dalle scale, fuori in piscina. Lei sempre abbarbicata, assecondando i suoi movimenti, mentre il suo membro, che pareva di acciaio, la impalava. Niente parole, solo un gemito di piacere, continuo come le fusa di un gatto. E poi furono suoni gutturali, quando lui entrò nell'acqua riscaldata dalla parte in cui la piscina era bassa. Sempre dentro di lei, si sedette sui gradini. Poi; quando lui si distese, Marjorie seppe che quella era l'estasi più grande che avessero raggiunto insieme. Lui cominciò a succhiarle i seni, mentre, sotto l'acqua, con una mano le toccava il clitoride e con l'altra l'ano. Lei si mise a muoversi in su e in giù mentre sentiva il pene che penetrava sempre più a fondo. La cocaina. Era la cocaina. Allora Marjorie si sentì in colpa, in colpa per avergli permesso di metterle la droga addosso. Sto perdendo il controllo, non mi controllo più. La droga, la droga, non è normale. I bambini, i bambini dormono, la cameriera, dov'è la cameriera... Lui si mosse lentamente. Uscì da lei e rimase in piedi. La prese per mano e la condusse nella vasca degli idromassaggi. La girò verso di sé e la fece sedere in grembo nel vortice di acqua più calda. Il pene scivolò dentro di nuovo facilmente e lui la rovesciò all'indietro con le cosce sulle sue e le
gambe avvinghiate alla vita. Di nuovo dentro, era ancora libero di giocare coi suoi seni e protendersi per succhiarle ancora i capezzoli. Vedendosi divorata, lei si rovesciava all'indietro, gridando di felicità. Sentiva l'inguine riempirsi di calore sempre di più e faceva in modo di attirare Jack più dentro, più in profondità. Arrivato in fondo, lui cominciò a girare, lentamente, con movimenti sempre più ampi. Ai margini del campo visivo di Marjorie si muovevano delle ombre. Lei girava bruscamente la testa, per coglierle, per vedere l'intruso. Ma non era mai abbastanza veloce, le ombre tornavano a muoversi all'improvviso. La droga produceva comete nere che le attraversavano la retina, ma lo stesso lei sentiva che qualcuno, qualcosa di malevolo era lì con loro. Da qualche parte c'era un terzo essere che guardava. La cocaina. Tutto era irreale. Irreale. Dentro, vieni dentro, Jack, vieni dentro. Lui la rovesciò ancora più all'indietro, aprì i getti e l'acqua le danzò e le gorgogliò accanto alle orecchie. Con le gambe spalancate contro le ginocchia di Jack, Marjorie s'inarcò quasi con violenza, scoppiando a ridere e a piangere in modo convulso. La sua cavità aveva assunto una vita propria, era un essere indipendente che voleva che il pene scorresse con più forza contro le sue pareti. Quando pensò di essere al massimo, lui s'incuneò con più forza fra le sue gambe, tremando e afferrandola alla vita per mantenere più stretto il contatto. Lei si trovò a sollevare ancora più in alto il pube per aiutare il corpo di lui ad aumentare la pressione sul clitoride mentre andava su e giù con la violenza di una macchina. Poi Jack, facendo perno sulla vagina, si sollevò in modo che le gambe di lei gli passassero sopra le spalle. A quel punto poteva guardarlo negli occhi, mentre continuava ad andare su e giù. Si rese conto che più sollevava le gambe e più si sentiva penetrata in profondità da quell'organo di dimensioni tremende. Al primo stimolo dell'orgasmo voleva gridare: i bambini, i bambini, Maria e i bambini e la signorina Maggie... Marjorie sentì la voce di Jack mormorare nelle sue orecchie: «Esplodo, esplodo, esplodo dentro di te, scoppio, scoppio», e poi precipitarono l'uno nell'altra, scossi da un tremito convulso. Più tardi, conoscendo il segreto della cocaina, lei sentì un po' di nausea e dovette vomitare. Capitolo 6
1 NOVEMBRE Il giorno del compleanno di Danny fu una follia. Jack diresse le decorazioni del giardino. Sull'eucalipto più prosperoso fece appendere a Tomás un grande cartello con scritto «BUON COMPLEANNO DANNY». Controllò che le ghirlande di carta colorata che andavano dai rami alla casa fossero a posto. Dedicò alcune ore a sistemare e a provare la telecamera a colori. Fece alcune foto ai due bambini dei Windsor che abitavano sulla Loonridge Hill. Erano un po' più grandi di Danny e Court, ma si divertivano a venire a giocare a pallamano all'incrocio tra Lost Orchard e la Valley e qualche rara volta giocavano a tennis sul campo dei Krenner. Danny, tutto lustro e pettinato, con il suo primo abito, seguiva dappertutto il padre, con un'aria un po' perplessa, ma segretamente eccitato. Jack non vedeva l'ora di dare a Danny il suo Intellivision. Fra Jack e Marjorie c'era sempre stata una competizione per chi dovesse consegnare materialmente i regali dei bambini anche se era pacifico che era il denaro di Jack, o meglio le sue carte di credito, a consentire l'acquisto di tutti i beni materiali, giocattoli compresi. «Oh, papà, adoro l'Armata dello Spazio.» «Si può giocare anche a poker e a blackjack, ma ti ho preso anche Astro Smash e il baseball.» «Giochiamo, papà? Giochiamo?» «Certo.» Jack inserì il videogame nel grande televisore in camera di Danny e si distese col figlio sul pavimento a studiare l'opuscolo delle istruzioni. Quando giocavano, Jack non trattava il figlio come un bambino, tuttavia riuscì a vincere solo poche partite prima che Danny cominciasse a rimontare. Con l'Intellivision il bambino si difendeva benissimo. Jack fece la sua fatica per cercare di batterlo nella battaglia spaziale. Quello che per lui era sconcertante e complesso, per Danny sembrava più facile. Premeva i pulsanti per far decollare o ritornare alla base la squadriglia blu, bianca o gialla con una certa autorità e intelligenza. Neppure dopo un'ora di gioco Jack era riuscito a essere completamente padrone del significato di «Andare in battaglia» o «Gli schermi radar degli extraterrestri». «C'è soltanto un'altra cosa che avrei voluto», disse Danny. «Cosa?» chiese Jack guardando Danny sullo sfondo della sua stanza che accoglieva un microscopio, una gru, un grande mappamondo, quaranta o cinquanta animali di pezza legati nell'ultimo scaffale, ormai con scopi più
che altro decorativi. C'era una scuderia di auto radiocomandate, una Porsche, un'Alfa Romeo, un gioco per imparare l'ortografia e un football elettronico. La stanza era una foresta di giochi costosi e un po' sconcertanti. «Che cosa vuoi ancora?» «Non lo so», disse Danny. «Ma ci dev'essere qualcos'altro.» Jack rise e abbracciò il figlio. 16.30 Marjorie era indaffarata a raccogliere felci e arbusti per adornare la tavola del buffet quando arrivò l'uomo con la cupola gonfiabile. Ci fu qualche trambusto per trasportare il tutto nel giardino sul retro, accanto al campo da tennis, poi cominciò il processo di gonfiaggio. Danny guardava a bocca aperta la forma espandersi, con lo stesso stupore con cui avrebbe assistito al risveglio di un drago. Poco dopo mezzogiorno su un grande rimorchio arrivò l'elefante. L'addestratore, un giovanotto con l'aria da cowboy e un grande cappello di paglia che gli metteva in ombra un viso spigoloso e abbronzato, portò in cortile le assi per costruire la piattaforma. «Pensavo che fosse un elefantino!» strillò Marjorie. «Senta, signora, lei ha ordinato un elefante.» I bambini erano tutti compagni di classe di Danny alla Douglas School. I genitori erano stati invitati a portare i bambini e a fermarsi per un drink. Non aveva capito bene i nomi, né i divorzi, né le attività, ma sperava che Jack uscisse a intrattenerli. «Che elefante!» Marjorie sentì di provare amore e stupore per la vita guardando quei dolci, adorabili bambini, quei bambini fortunati e ben pettinati, che bisticciavano, discutevano e mangiavano. E quando fu il turno di Court di andare sull'elefante, Marjorie montò con lei. Marjorie aveva invitato molti dei vicini a fare un salto. Melissa Stark venne dalla sua casa situata dove Valley Road incrociava la Coldwater. Portò la sua bambina e Marjorie sentì una particolare affinità nei suoi confronti. Melissa era una dolce ragazza nera sulla trentina, che aveva fatto la segretaria a Washington prima d'incontrare il marito, un compositore di colonne sonore di successo. Era arrivata a Beverly Hills solo un anno prima di Marjorie e Marjorie riteneva di avere molte cose in comune con lei. Melissa, come tutta un'orda di mogli conosciute da Marjorie, stava facendo
di tutto per diventare un'attrice. 18.15 Carole Bender arrivò tardi con il suo giovane amante, proprio mentre l'elefante e la cupola gonfiabile se ne stavano andando e la festa stava diventando un ritrovo di adulti con i pochi bambini rimasti che correvano per la casa giocando coi loro amichetti. Carole era già su di giri e continuava a bere. «Personalmente», disse al dottor Huston, «ho scoperto che qualsiasi emozione che si prova in California può essere attribuita direttamente all'attacco di polline gigante dell'Arizona. Quanti anni hai, Carole?» Gli occhiali cerchiati di bianco le scivolarono sulla punta del naso. «Ti ricordi di Jack, mio marito?» chiese Marjorie, allontanando Carole dal dottore. «Salve», disse Jack. «Ah sì, mi ricordo di te, caro», esclamò la donna, liberando il braccio da Marjorie per non fermarsi con Jack. «Forse è meglio che mangi qualche cosa, Carole.» «Oh, Marjorie, non ti imbarazzerò, spero? Sai», disse alzando la voce in modo da coinvolgere l'intero gruppo degli ospiti, «sono convinta che Dio ci punirà tutti molto presto. Chi conosci a Beverly Hills che vada in chiesa?» «È perché a Beverly Hills il novanta per cento sono ebrei», intervenne improvvisamente Jack. Marjorie non credeva alle proprie orecchie, non poteva essere Jack che aveva deciso di stuzzicare Carole. Ma era proprio lui, vicino al bar, con gli occhi fissi su una Carole leggermente sorpresa, con la faccia più bianca che mai. «Balle», lo liquidò Carole. «Neanche gli ebrei vanno in nessun posto. Nessuno ci va. A Los Angeles la chiesa sono i locali notturni. E tutti quegli accattoni che hanno sulla macchina adesivi con scritto 'Viene Gesù e gli pisceranno addosso'. Vedete, come la immagino io, Dio finirà per causare quell'immane, scusatemi il luogo comune, terremoto che sprofonderà la California nell'oceano. L'unico aspetto che non riesco a prefigurare è la fine che faranno i mormoni.» «Mi sembra abbastanza sicuro», intervenne di nuovo Jack, «non vivono nello Utah?» Il resto degli ospiti si limitava a guardare alternativamente Carole e Jack
come se stessero assistendo a una partita di tennis. 20.00 Maria si occupò degli ultimi bambini che giocavano con il videogame nella stanza di Danny. Marjorie aveva invitato un gruppo di amici, fra cui Gilda, l'agente di Jack, a fermarsi per una cena leggera a base di prosciutto, asparagi e insalata di spinaci. Carole si calmò e si mise in un angolo con il suo amico. Come a tutte le cene a Beverly Hills a cui Marjorie aveva partecipato, la conversazione si concentrò sulle case e sul sottile snobismo di vivere tutti in quel quartiere. Ciò che rendeva interessante una casa era il fatto che ci aveva vissuto Willy Shoemaker o Charles Bronson. Mercer aveva bevuto un po' più del solito, stava preparando un film per la televisione per cui voleva usare il vecchio ranch di Clark Gable a Encino, e un altro ambientato nella cripta accanto a quella di Carole Lombard nel cimitero di Forest Lawn, a Glendale. Disse che stava già preparando un documentario sugli innumerevoli posti dove i divi avevano lasciato le loro impronte. Era impegnato ad acquistare i diritti per girare nel vecchio Montmartre Café. Non solo c'era stata la scuola di recitazione di Strasberg, ma aveva scoperto che Rodolfo Valentino vi danzava con Pola Negri. Nello stesso posto Charlie Chaplin aveva corteggiato Marion Davies e anche Bing Crosby vi aveva fatto la sua apparizione da giovane. Marjorie aveva anche notato come nelle piccole cene, durante e subito dopo il dessert, si finisse spesso per parlare di morte. La prima volta che ci aveva fatto caso era cenando con la madre e la sorella di Jack. Arrivò a concludere che la gente affamata era più animata, più vitale nella scelta degli argomenti. Ma una volta soddisfatti i bisogni alimentari, la mente degli esseri umani diventava filosofica. La signora Hutchins si assicurò che Mercer non scordasse di portare la sua troupe nella casa dove nel 1962 era morta Marilyn Monroe. Si stupì che nessuno filmasse la sua cappella al Westwood Memorial Cemetery. «Non ha mai ripreso la Greystone Mansion?» suggerì Gilda. «Non solo è stata la casa del defunto petroliere E. L. Doheny, ma nel 1929 è stato il teatro di un assassinio e di un suicidio. Non so esattamente chi ha ucciso chi.» Da lì gli ospiti cominciarono a ricordare la necrologia di Beverly Hills con indirizzi come 9820 di Easton Drive, dove Paul Bern, il marito di Jean Harlow, si era ucciso sparandosi alla testa. La stessa casa era stata poi comperata da Jay Sebring, assassinato insieme con Sharon Tate nel 1969. «Dovrebbe girare un documentario sulla maledizione di Hollywood»,
suggerì Carole Bender dandosi una nuova mano di cipria in faccia davanti a tutti. «Stia attento a non dimenticarsi nessun suicidio od omicidio. Mi spiego: Jack Cassidy, Pier Angeli, Janis Joplin, Sal Mineo e Freddie Prinze, lo Stompanato di Lana Turner, Robert Walker, Bugsy Segal. Cristo, potrebbe metterci anche Bobby Kennedy. Gli hanno sparato in quell'hotel.» Fu solo dopo cena che Marjorie si accorse dello strano linguaggio corporeo che si stava sviluppando fra Carole e Jack. Carole aveva cominciato a parlare tranquillamente con quasi tutti, ma stava alla larga da Jack. Aspettò che tutti avessero il loro brandy prima di chiedergli da una parte all'altra del tavolo: «Lavori per Niko Aris?» Jack era tutto preso a parlare con Gilda quando sentì la voce di Carole. «Sì», rispose, attendendo. «Non ti sembra che sia davvero poco pulito?» farfugliò Carole, sempre alle prese con il suo piatto di spinaci. Ogni altra conversazione si arrestò. Marjorie notò che gli ospiti sorseggiavano il loro brandy facendo girare il bicchiere fra le dita. Carole singhiozzò: «Ho scritto una sceneggiatura due anni fa, quando Niko usciva con quel principe indiano. Erano capaci di giocare tre giorni di fila a Montecarlo e poi di mangiare una dozzina di aragoste al tavolo del blackjack. Niko è sempre magro come un chiodo, eppure tutti i giorni che Dio mandava: breakfast, colazione a metà mattina, pranzo, tè, cena, spuntino, lecca-lecca!» Sorrise con dolcezza a Jack e agli ospiti. Poi sorseggiò il suo vino. «La grande ricchezza causa grande invidia», osservò Gilda lentamente, con aria di protezione. «Non farmi ridere», ribatté Carole sommessamente, ma con il tono di quella che ha voglia di litigare. «Sono sicura che Jack gli gira per casa. È una casa fetida, sapete, con mosche morte sui davanzali e i pavimenti pieni di macchie. È l'unica checca che conosca con una casa sporca.» «Io lavoro con Niko», sottolineò Jack. «La sua vita sessuale non m'interessa.» «Allora te lo dico io qual è la sua vita sessuale», proruppe Carole ridendo, «feste greche. La sera prima della festa vera e propria invita un paio di centinaia dei suoi finocchi greci che assaggiano il chili e il pane all'aglio intorno alla piscina e pregano che si presenti qualcheduno tipo Joan Collins. Poi la sera dopo, cioè dopo, diciamo così, la prova generale, arrivano i pezzi grossi del cinema a mangiare gli avanzi dei finocchi e a sporcarsi i
calzoni di Gucci.» Marjorie si alzò e si accostò a Carole. «Carole, mi aiuti a preparare il caffè?» «Col cavolo!» rispose Carole senza tanti riguardi, infilandosi in bocca un'altra forchettata d'insalata di spinaci. 23.00 «Perché hai invitato Carole?» chiese Jack quando finalmente riuscirono ad andare a letto. «Non sapevo che fosse così quando era ubriaca. Non si può dire che non riscaldi gli ambienti... ma, mi spiace. Era orribile. Ho sentito anche che ha messo Gilda al suo posto.» «Gilda non ha bisogno di essere messa a posto. Lei ha già un posto importante e vorrei che continuasse a essere la mia agente. Dovresti vedere quanto guadagna!» Marjorie rifletté un attimo. «Jack, so che devi stare al gioco con tutta questa gente del cinema, ma non è il caso di adorarli. Molti di loro sono l'esatto contrario di quello in cui abbiamo sempre creduto.» «Questa casa ci costa quattordicimila dollari al mese, Marjorie.» «Mi spiace di non guadagnare ancora niente. Faccio del mio meglio. Penso che il mio libro sia buono.» Avvertì il silenzio di Jack e per un attimo l'assurdità del suo entusiasmo colpì persino lei. Anche se il libro fosse stato buono non avrebbe reso che poche migliaia di dollari, certamente non abbastanza per pagare un mese di mutuo. Il suo silenzio la fece sentire inutile. Lo vide alzarsi dal letto e andare verso il bagno. Sapeva quello che stava facendo. Lui ritornò a letto, usò un antistaminico spray e spense la luce. Poi allungò una rnano e afferrò quella di Marjorie. Le si avvicinò, l'abbracciò, ma era qualcosa di diverso. Fu un lungo abbraccio; sembrò che si aggrappasse a lei per un bisogno che andava oltre il sesso. Alla fine le montò sopra, ma il residuo di disperazione aveva rallentato il flusso di lubrificante nel suo corpo. Lui non fece cenno alla cocaina, ma si bagnò le mani di saliva, le passò sul fallo ed entrò in lei con un colpo improvviso. Lei sentì che quello che stava succedendo non era esattamente amore, ma decise di non parlarne. Sentì che sottoponeva il suo corpo a uno sforzo, che si sforzava, e quando ebbe finito rotolò giù esausto e — pensò Mar-
jorie — si addormentò. MEZZANOTTE Jack sapeva di aver preso troppe strisce di cocaina per scivolare in uno spazio così piacevole come il sonno. Voltava le spalle a Marjorie, sollevato di non dover tentare una conversazione. Si sentiva sul punto di alzarsi per correre a mettere la testa fuori della finestra e lasciare che la notte smorzasse l'ansia chimica che lo invadeva. Giacque perfettamente immobile, fingendo quel ritmo di respiro che indica il sonno. Solo pochi minuti dopo seppe che Marjorie era nel mondo dei sogni. Verificò se era addormentata mettendosi prima a sedere e poi rimanendo in piedi accanto al letto. Nessun cambiamento nel respiro. Per un momento ebbe paura di essere sul punto di gridare, di correre al telefono accanto al letto e urlare aiuto. Avrebbe fatto quello che gli aveva consigliato un vicino. Se sei davvero nei guai, chiama i pompieri e di' che ti brucia la casa. Vedeva la scena. Il ricevitore all'orecchio. «Vigili del fuoco! Aiuto! Sta bruciando la casa. Le fiamme sono sempre più vicine! Aiutatemi voi, perché la polizia è troppo lenta.» Forse sarebbe dovuto passare dalla cocaina alle anfetamine. Ma per qualche ragione pensava che le anfetamine gli avrebbero procurato un attacco cardiaco. La cocaina gli dava solo il ritmo che gli era necessario. Se aspettava che il livello dell'overdose si abbassasse un po', sarebbe subentrata una straordinaria sensazione di benessere. Ma a quel punto la coca era meno affidabile che agli inizi. Prendeva delle dosi pericolosamente vicine a dissolvere intere sezioni di tessuto nasale, e aveva già provato che cosa voleva dire avere gli insetti sotto la pelle. Qualche volta lo pizzicavano al gomito, oppure dietro il collo. Lì, fra il ginocchio e la coscia. Talvolta strisciavano vicino a un testicolo. Degli insetti fantasmi che si aprivano la strada a morsi sotto la sua pelle. Andò in bagno a piedi nudi, s'infilò la vestaglia e si fece scivolare in tasca una boccetta e un cucchiaio. Si diresse verso l'atrio e si sorprese a controllare la chiusura delle finestre facendo scorrere un dito sul davanzale. Dopo qualche minuto, forse secondo, sentì l'ansia accelerare, esplodere in una depressione insinuante. Lo sommerse, come la nebbia notturna, mummificandolo, avvolgendolo strettamente e intrappolando gli insetti nei suoi organi vitali.
Pensò che quella era la morte eterna. L'assalto definitivo nel buio che avrebbe fatto esplodere l'aorta. Si spostò nel centro della grande vetrata dell'atrio. Nella luce e nelle ombre del giardino, vide gli animali che lo guardavano. Si chiese perché tanti animali dovessero fissarlo: centinaia di lupi, migliaia di coyote, il giardino pieno di animali ringhianti e pelosi. Sapeva che erano solo ombre. Ma il suono dei coyote che uccidevano in fondo al canyon era reale. Guaiti. Guaiti come se una dozzina di cuccioli si divertisse con un giocattolo. Poi i coyote si avvicinavano alla strada, alla sua casa. Sembrava che ogni notte uccidessero qualcosa, un cane o un gatto. L'estate doveva averne aumentato il numero oltre i duemila che si diceva vivessero entro i confini di Beverly Hills. Poi si trovò nella stanza di Danny. Sulla televisione c'era un'antica veilleuse, che illuminava debolmente una scena di laghi e montagne dipinte su vetro. Alla fievole luce vide che Danny si era scoperto, gli riaggiustò il lenzuolo e ne approfittò per dargli un bacio. Rimase seduto accanto al letto per diversi minuti, con in mano la mano del figlio. Ma la paura di un attacco cardiaco lo riprese. Aveva bisogno di occuparsi di qualcosa, allontanare il pensiero della cocaina. Si distese sul pavimento, accese la televisione e cercò i videogame. Trovò il modulo della battaglia spaziale. Un colpo al pulsante d'inizio e il bip elettronico cominciò a irretirlo. Sullo schermo mezza dozzina di nemici avanzavano a profondità spaziale. La sua base era al centro e lui scatenò tutte le sue squadriglie per arrestare gli invasori. Dal profondo del suo cervello un'altra voce cominciò a parlare. Gli sembrò di avere una piccola bocca nell'ipotalamo. Una piccola bocca con piccole labbra che dicevano: «Non posso prenderne di più. Sono terrificato». Non voglio farlo. Ma lo farò. Per un istante gli attraversò la mente l'immagine della lapide della madre. La madre sepolta accanto al padre nel cimitero di Woodland. «Davvero, Jack, non sei ancora cresciuto. Troppa, troppa pressione. Non sei all'altezza di Mercer o del dottor Huston. Sei socialmente inferiore e non hai il denaro per stare al gioco. Jack, sei l'unico nell'isolato che non ha una Mercedes. Qui sanno tutti che cosa significa una Seville, anche se ci installi tutti i telefoni e i congegni elettronici del mondo.» Stava letteralmente volando fuori dalle orbite per entrare nella televisione. Era dentro fra lampi e bip elettronici. Sulla nave madre con le squadriglie blu extraterrestri che si dirigevano verso di lui, bianche e oro stavano avvicinandosi ai primi invasori. Ma, Dio mio, come faccio a pagare il mu-
tuo? Come faccio a pagare ottomilacinquecento dollari di mutuo tutti i mesi? Come faccio a mandare i bambini alla Douglas School a seimila dollari all'anno? Come faccio a pagare duecento dollari alla settimana di generi alimentari? Come faccio a tenere due persone di servizio a più di mille dollari al mese? Come faccio a fare le riparazioni? Pagare il nuovo tetto? Mettere la moquette? Comperare le lenzuola? Vestire mia moglie? Darle il suo assegno? Dare da mangiare agli animali? Come posso andare avanti a guadagnare quindicimila dollari al mese e a respirare? Come faccio a continuare a mantenere la mia famiglia? 1.00 Marjorie sentì ancora i rumori. Jack non era a letto. Questa volta erano chiaramente rumori che venivano dalla cucina, amplificati dall'interfono. Allungò la mano e abbassò il volume. Si ricordò di quant'era stanca, della festa; vide che era ancora notte piena e cercò di riaddormentarsi. Quel modo di fare l'amore, qualcosa di quel modo di fare l'amore la tormentava ancora. Si alzò, andò alla finestra. Vide delle ombre muoversi nel solarium. Qualcuno passeggiava per la casa. Ma Sandy e Sam non abbaiavano. Doveva essere Jack. Si accorse di avere la gola secca. Sarebbe scesa in cucina a bere qualcosa insieme con Jack. Era troppo tardi per un succo. Magari del tè. A piedi nudi attraversò l'atrio ricoperto di moquette e scese dalla scala centrale. Arrivando nel disimpegno vide, attraverso i vetri delle due porte che si univano ad angolo dove la cucina formava una L con il corpo centrale della casa, la silhouette di Jack. Era di spalle, in piedi, davanti al frigorifero aperto. Sapeva che non l'avrebbe sentita arrivare. Pensò di tossire, di fare qualche rumore per non spaventarlo. Ma un'altra parte di lei la fece camminare ancora più silenziosa. Non si era ancora resa conto di quanto stesse succedendo, ma i suoi sensi le imponevano di stare all'erta. Sentì l'adrenalina scorrerle nel sangue e solo un debole avvertimento attraversarle il cervello, un segnale che era, in qualche modo, in pericolo. Entrando in cucina, vide che Jack era incuneato tra la porta aperta del frigorifero e gli scaffali. Sentì qualcosa che le si lacerava in testa, mentre il suo computer mentale ripescava il ricordo del latte puzzolente, nauseante odore di morte. Tuttavia, chissà come, continuava ad avanzare come un'attrice in un dramma e si sentì dire «ciao», mentre qualcosa dentro di lei voleva urlare.
Jack non sobbalzò. Si girò verso di lei. Marjorie vide quegli occhi, quella faccia patetica, pietrificata, drogata. Che cos'ha in mano? Che cos'ha... Si sentì gelare. Era un cartoccio di latte. Era il cartoccio di latte dei suoi bambini, quello che teneva fra le gambe, il suo pene era infilato dentro. Oh Dio, oh Dio! Jack non cercò neppure di trattenersi, continuò a orinare. «Oh, mio Dio!» Marjorie si precipitò verso di lui e gli tolse il cartoccio dalle mani patetiche. Posando il latte, vide le lacrime nei suoi occhi e lo abbracciò. Lo abbracciò piangendo: «Mio Dio, mio povero marito. Mio Dio, Jack...» «Mi spiace», mormorò. «Sto male, sto molto male...» Parte seconda Capitolo 7 2 NOVEMBRE 2.00 Era riuscito a infilarlo nella vasca. «Ti farà bene, Jack. Vedrai che starai meglio.» Un serpente di paura strisciava dentro di lei, salendo dallo stomaco al cuore, soffocandola di terrore. Era riuscita a prendere il cartoccio, ad abbracciarlo e a chiudere lo sportello del frigorifero. La sua testa lottava per respingere quel sogno. Seppellirlo. Sì, seppellirlo. Mentre lo portava in bagno si era accorta all'improvviso del tremendo uggiolìo che arrivava dal fondo del canyon. Si era convinta che era solo un canile. Cai! Cai! Cai! Un canile, dei simpatici cagnolini. Qualcuno aveva un canile. Uno di quei giorni doveva andare fino in fondo alla strada, a conoscere i vicini e a vedere il canile. Non è un branco di coyote. Non ci sono coyote. Non sono coyote che sbranano un coniglio o un animaletto domestico. S'inginocchiò accanto alla vasca e gli bagnò la schiena. Manteneva il contatto, un legame, tattile e continuo. Lui non la guardava. Lo sguardo fisso era rivolto a sinistra, in basso, come se stesse fissando le ombre di marmo sulla caverna della lussuosa vasca. Com'era bello quel suo marito. Non l'aveva mai visto così perso; ma anche così era elettrizzante. Tale era la confusione e così esplosiva, che le venne voglia di precipitare nelle sue
labbra piene e lucenti. Che magnifici occhi, che ciglia scure ha tuo marito, sei una donna fortunata, proprio fortunata, Marjorie; che bei capelli scuri che si dividono e cadono in modo naturale e straordinariamente mascolino... «Cosa c'è che non funziona in me, Marjorie?» Il suo uomo grande e grosso nella vasca, con le ginocchia contro il petto, coperto di schiuma come in un film un po' porno. «Sei sotto pressione...» Deve pensare. Deve fare di meglio. I nervi, il serpente le era arrivato alla gola. «Sto diventando matto? Sto andando alla deriva, Marjorìe. È come se non avessi più aria.» Lo aiutò ad asciugarsi. Un bambino. L'asciugamano, con il suo innocente disegno di animali che facevano capolino dal grande fogliame della giungla. Fai in fretta, mamma, è freddo. Voglio stare in piscina. Ci dai un altro cigno di plastica? Gli infilò il pigiama. L'aria notturna era fresca. Avrebbe lasciato la finestra aperta. Aria fresca e coperta elettrica al minimo. Sarebbe stato bene. Al mattino lei avrebbe saputo che cosa fare. Clinck! Clunk! Il ricordo dei rumori. Ormai di molti conosceva l'origine. 9.30 «Court?» chiamò Danny, prendendo la colla dal tavolo da giardino e avvicinando la sedia in modo che Maria non potesse sentire dalla cucina. «Qual è l'incidente peggiore che hai visto?» «Non lo so», rispose Courtney. «Perché vuoi saperlo?» Danny inserì le forbici nel tappo di gomma della bottiglia di colla. «Pensavo solo che papà ha avuto un incidente stanotte.» «Dal dottore non si va soltanto per gli incidenti. Si va anche per fare dei controlli, per essere sicuri che il cuore funziona.» Della notte prima Danny si ricordava solo due cose, la fortuna che aveva avuto giocando al videogame contro Courtney e il rumore di qualcuno che piangeva in piena notte. Ma, col passare delle ore, si dimenticò anche di quegli eventi. Era curioso di sapere dove la mamma aveva portato il papà, e se riusciva a tagliare più bamboline di carta di Courtney o di Maria. Alla fine, poco prima di mezzogiorno, fu contento che Maria avesse smesso di giocare con loro e fosse andata a lavare il pavimento in cucina. Sapeva che
mamma voleva che ci fosse sempre qualcuno a giocare con loro, a insegnare loro delle cose e lo apprezzava. Ma è davvero molto difficile parlare di segreti se c'è in giro qualcuno ad ascoltare: «Ehi, giochiamo a prenderci», o «Vuoi piantare un cactus?» «Sai, pensavo che forse sarebbe meglio chiedere a papà di costruirci una casa sull'albero», disse Danny. «Hai la tua capanna di terra. Abbiamo bisogno un'altalena. Digli che abbiamo bisogno un'altalena. Non ce l'abbiamo.» «Magari possiamo farcela noi la casa sull'albero. Possiamo prendere una cosa come un palo e legargli un sasso in cima e uno spago e gettarlo su e poi legare lo spago a una corda e tirare su la corda», ribatté Danny. «Che cosa vuoi metterci nella casa sull'albero?» volle sapere Courtney. «Oh, magari un tavolo.» «E poi?» «Una sedia.» «Vorrei il mio servizio da tè.» «Sì. Ma dobbiamo avere anche la roba per proteggerci.» «Perché abbiamo bisogno di proteggerci?» «Caso mai qualcuno volesse venir su quando ci siamo noi e noi non vogliamo. È per questo che penso che dovremmo usare del cemento. Vedi, se viene un ladro basta che glielo gettiamo addosso. Bang, cade giù. Faremo così. Pum, bang, caduto giù.» «Vorrei che la mamma ci comperasse un topolino bianco.» «Io voglio un topo canguro.» Danny ci pensò su un momento. «Ma prima la casa sull'albero. Prima di tutto abbiamo bisogno di una casa sull'albero. Se la chiediamo tutti e due, il papà ce la dà.» 10.20 I ragazzini thailandesi che presero in consegna la macchina al Wilshire Medical Building erano gentili e sorridenti. Marjorie prese la mano di Jack e aspettò l'ascensore, sperando di riuscire a salire prima che apparisse qualche altro essere umano, ma arrivò un giovanotto, scortando quella che doveva essere sua madre. Poi, prima che le porte dell'ascensore si chiudessero, entrò una signora anziana con una stampella di alluminio e altri due pazienti con le loro scorte. La scatola di metallo li portò in alto, fermandosi a ogni piano, e Marjorie, guardando la faccia di Jack, capiva che doveva soffrire in modo terribile. Lo abbracciava, si stringeva a lui, cercando di
mantenere il contatto. Alla fine raggiunsero il quinto piano. Marjorie lo condusse in fretta nell'ufficio del dottor Bernstein. La sala d'attesa era vuota. Dietro il banco, Marilyn, l'impiegata, parlava al telefono di pagamenti e di prezzi. Marjorie si fece notare e poi si sedette con Jack davanti a una grande stampa di Chagall con degli angeli che trasportavano in volo Cristo. Un altro quadro, astratto, una specie di pastello spruzzato di lacca. 11.00 Un assistente orientale cominciò le prove di routine; Jack firmò il modulo con cui consentiva al test del tappeto mobile. «Non credo che ne abbia bisogno», protestò Marjorie. «L'ha ordinato il dottore. Si stupirebbe di quel che si riesce a scoprire di un soggetto sotto stress.» Sarà facile, era pronta a ribattere Marjorie, ma sapeva di avere i nervi a pezzi. Rimase calma e disponibile, cercando di capire tutto quello che le veniva detto. Doveva capire, per amore di Jack, per lei, per Danny e Courtney. Sentì che stava per piangere. Andò in fretta alla finestra. Scostò le tende a disegni geometrici sgargianti e guardò il parcheggio. L'infermiera voleva campioni di sangue, di orina e di feci. «Per che cosa vi serve il sangue?» chiese Marjorie. Jack rideva, scherzava con l'infermiera, flirtava un po' in mezzo a tutto quel rumore di provette. Stava finalmente uscendo dall'intontimento, pensò Marjorie. Lei vi era ancora intrappolata. A petto nudo, Jack si distese sul lettino di pelle. L'infermiera lo rasò in alcuni punti e gli applicò gli elettrodi. Marjorie sapeva che la cosa non era nel petto, nelle vene o nelle arterie. Qualunque cosa Jack avesse, non si poteva trovare o curare nel corpo. Voleva parlare con il dottor Bernstein, il competente, il raccomandatissimo dottor Bernstein, che curava le celebrità e poteva guarire Jack. 11.25 Marjorie sola con l'infermiera. «Non c'è nessuno qui che maltratta la moglie?» Perché chiedeva una cosa del genere? Avrebbe voluto non averlo fatto. «Dio mio, sì», ammise l'infermiera, rovistando in una pila di garze per
medicazione. «C'era un dottore che portava qui la moglie. Credo che lui avesse una settantina di anni e lei poco meno. Qualche volta la povera donna non riusciva neppure a camminare. Le dava una spinta e la faceva cadere dalle scale. Oltretutto aveva il morbo di Hodgkin.» «Oh, no. E lei che cosa faceva?» «Piangeva.» «Non poteva denunciarlo?» «No, era troppo vecchia. Una donna troppo vecchia non ha voglia di cominciare tutto da capo. Quando la portava qui in studio, la trattava in modo molto dolce e gentile.» «Prima la picchiava e poi la curava?» «Oh, sì, proprio così. Terribile. Sapevamo tutti come andavano le cose, ma nessuno diceva niente, tranne il dottor Bernstein. Lui diceva qualcosa.» «Secondo lei che cosa spinge un marito a fare del male alla sua famiglia?» «Penso che di solito sia qualcosa che il marito ritiene di aver subito dalla moglie molto tempo prima. E non ha mai perdonato. Roba tipo un amante segreto, un altro uomo.» Marjorie si tenne pronta con il camice blu, mentre Jack si svestiva dopo la prova sul tappeto. Lo aiutò a indossarlo e ad allacciare le fettucce di plastica sul petto. Ma, quando rimasero soli, l'energia che lui aveva mostrato in pubblico scomparve di colpo. Senza parlare, seppero che avevano recitato tutti e due. Non era servito ad allontanare il problema. Era ancora lì e doveva essere affrontato. Lei lo aiutò a sedersi sul lettino e gli mise uno sgabello sotto i piedi. Lui rimase lì, come un bambolotto. Un bambolotto a grandezza naturale. E lei lo abbracciò, mentre gli occhi di lui fissavano il muro. Poi lo lasciò ancora solo, per andare a parlare col tecnico in laboratorio. Il tecnico alzò gli occhi e sorrise da dietro due centrifughe e gli strumenti per la cromografia. Marjorie balbettò, poi finalmente riuscì a formare le parole: «È possibile diagnosticare dal sangue una malattia mentale?» «Oh, sì», disse il tecnico. «Ci sono un paio di analisi del sangue che gli psichiatri ordinano sempre.» MEZZOGIORNO Il dottor Bernstein entrò pieno di vita. Poco più alto di un nano, emanava gentilezza. Distinto come un pinguino, pensò Marjorie, voleva aggredirlo
con la gratitudine: Grazie grazie grazie a Dio siamo così soli qui non abbiamo nessuno a cui parlare grazie mio buon dottore grazie. Poi un contrattempo, un intervento d'urgenza per una ragazza di diciassette anni. Probabilmente un attacco cardiaco. Marjorie la vide portar dentro, attaccata a una macchina ansimante. Ebbe paura per lei. Dentro di lei sentì nascere una piccola preghiera per l'estranea. Falso allarme. La ragazza stava bene. Finalmente il dottore poteva dedicarsi a Jack. «Si è fatto visitare quest'anno?» «No», rispose Jack tranquillamente. «Bene, significa che è sano. Ha mai mal di testa?» «No.» «Problemi come piccoli mal di testa nasali o roba del genere?» «Qualche volta mi sembra di avere l'enfisema.» «Non mi piace il termine enfisema. Voglio dire, qualche volta le sembra di essere congestionato, o fa fatica a respirare, ma a Beverly Hills capita a tutti.» «Certo», assentì Jack. «Sangue nelle feci?» «No.» «Le capita spesso di dover urinare di notte? Dopo essere andato a letto?» L'infermiera e il tecnico vennero a prenderlo per il test. Il dottor Bernstein fece segno a Marjorie di fermarsi, che le voleva parlare da sola. Chiuse la porta. «Che storia è, Marjorie?» chiese. Marjorie inspirò, cominciò a parlare rapidamente, sentendosi in colpa perché rivelava informazioni private. «Eravamo molto felici. Lei sa che abbiamo due bei bambini. È sotto una forte pressione. Siamo pieni di debiti. P,ensa che non lo vogliano più per un film. Lei conosce quei tesori dei nostri bambini, Danny e Courtney. Dio mio, dottore, l'ho trovato che urinava nel latte in piena notte.» «In che cosa?» chiese il dottor Bernstein senza dar segni di stupore; non aveva sentito. Un colpo. «L'ho visto pisciare nel latte dei suoi figli.» Un altro colpo. «Ammette di essere malato e di aver bisogno di aiuto», continuò Marjorie. «Lei è l'unico medico che conosciamo qui in città. Sono sicura che ha bisogno di esami. Se no perché un uomo dovrebbe mettersi a urinare nel
latte dei suoi figli?» Il dottor Bernstein si sedette su una piccola sedia di alluminio. La voce era bassa, professionale. «Lei mi sta dicendo che si sta producendo un'alterazione nel carattere normale.» «Questo è certo.» «Dopo i test di oggi, dobbiamo esaminare il cervello per escludere la possibilità che il cambiamento di comportamento sia provocato da qualche massa presente nella testa. Appena fatti gli esami di routine passiamo a un GTG. Una computerizzazione del cervello per vedere se...» «Un tumore?» «Potrebbe anche essere.» «Pisciare nel latte dei suoi figli?» Marjorie ripeté il crimine. «È un cambiamento della personalità, per questo guardiamo nel cervello. La settimana scorsa abbiamo avuto un caso, non esattamente lo stesso, ma una paziente che si sapeva malata di cuore e diabetica era stata invitata a una festa. Vi andò con una camicia da notte sporca. Non era un comportamento che ci si sarebbe aspettato. Si scoprì che non era un tumore, ma che il problema era diverso. Consultammo gli specialisti, i neurochirurgi e i neurologi, fecero tutti gli esami e dissero che non era un tumore. Così presero in considerazione quello che poteva causare un effetto come una massa nel cervello; ciò significava guardare nel sistema arterioso. Che cosa è che irrita il cervello? La paziente ha dei mal di testa, dei forti mal di testa. Facemmo l'arteriogramma alla ricerca di un aneurisma che poteva creare la stessa irritazione di un tumore cerebrale. Scoprimmo alla fine che si era ammalata una delle ovaie che emetteva un veleno che irritava il cervello come se si fosse trattato di un tumore.» «E se tutto fosse risultato normale?» «Se tutto fosse risultato normale, non avremmo saputo che pesci pigliare, perché non si trattava di una vera e propria sindrome psichiatrica.» «Dottore, mio marito ha pisciato nel nostro latte! Ha messo il veleno nel...» «L'urina non è un veleno», la interruppe il dottor Bernstein. «Come?» «L'urina è un rifiuto, non un veleno. Nessuno vorrebbe prenderla in bocca, ma si può bere tutta l'urina del mondo senza morire. Se uno si trova nel deserto e non trova acqua, può sopravvivere bevendo la propria urina.» Marjorie non riusciva a parlare. Quando finalmente riuscì a cacciar fuori qualche parola furono strepiti. Gridava. Urlava al povero dottor Bernstein:
«A sentire lei voleva far festa! Pisciava nel nostro latte, dottore! Non si piscia nel latte di qualcuno se non lo si odia! Non siamo in un deserto, siamo a Beverly Hills, santo Dio!» Il dottor Bernstein prese una mano di Marjorie. Finalmente lei riuscì a controllarsi. «Ci sono un sacco di uomini che sentono di odiare la famiglia, Marjorie. Sono sempre di più gli uomini che si precipitano qui spaventati dai loro sentimenti. Raccontano che sentono l'impulso di schiaffeggiare la moglie e i bambini. Quando l'incontrano nell'atrio e sono seduti a tavola insieme, sentono l'impulso di far loro del male. Infilzarli con la forchetta o un coltello, dargli un pugno. Viviamo un'epoca in cui uomini e donne non si amano particolarmente. Un sacco di uomini si lamentano perché le mogli desiderano carriere per le quali non sono minimamente adatte. Mia moglie è una ex stellina che sa parlare a stento l'inglese e va in giro a offrirsi per lavori dirigenziali. Di fronte agli ospiti, il marito chiede alla moglie se può dargli ancora un po' di agnello e la moglie gli risponde di alzarsi e andarselo a prendere. Sono in competizione, Marjorie. Uomini e donne sono in competizione. I mariti e le mogli, gli amanti, tutti in competizione. Mi capisci? In questo momento anch'io ho un problema in famiglia. Mio figlio e mia nuora sono sul punto di divorziare, una bella ragazza. Ecco che cosa succede, dopo sposati, dopo cinque o sei anni, qualche volta sette, qualche volta nove o dieci, il marito procede nella sua carriera e la moglie vuole rimanere allo stesso livello. Hanno dei bambini, i miei nipotini, e va tutto a pezzi. Louise, la moglie, è tutta casa e famiglia, ama i suoi figli e il marito, vuole cucinare per loro, pulire per loro. Ma a Bert, mio figlio, queste cose non interessano più. Ama la famiglia, ma la famiglia non sta al suo passo, e lui la lascerà indietro. Una donna accorta cerca sempre di stare al passo con il marito. Penso che le più sagge siano le donne che cercano sempre di stare vicino al marito, di mantenersi all'altezza. Come te, Marjorie. Non devi sentirti in colpa se cerchi di costruirti una carriera. Se tu ti fossi impigrita, Jack ti avrebbe lasciato indietro comunque. Quello che gli sta succedendo non ha niente a che fare con la tua ambizione, perché tu sei intelligente. Dovrai sempre rassicurarlo che il numero uno è lui, che tu sei il numero due, un numero due quasi altrettanto intelligente, ma un numero due. Se tu volessi essere il numero uno, tuo marito ti direbbe: 'Al diavolo, io non c'entro niente'. Per lui sarebbe un peso.» «Forse non sono né una cosa né l'altra», disse Marjorie, sommessa. «Come tutti», la confortò il dottor Bernstein. «C'è molta gente insaziabi-
le. Mia moglie, per esempio, se glielo permettessi vorrebbe essere Eva Peron. Ma quando lavoro in una zona e lei si presenta, le dico: 'Dimenticalo, tesoro. Va' a lavorare da qualche altra parte, finché qui ci sto io'.» Il dottor Bernstein si alzò. «Quando avremo esaurito l'aspetto organico», disse, «allora potremo passare a quello psichiatrico.» «Se deve andare da uno psichiatra, è bene che vada qui a Beverly Hills? Lei cosa consiglia?» chiese Marjorie. «A meno che non lo diciate voi, a Beverly Hills nessuno saprebbe che tuo marito va da uno psichiatra.» «Gli strizzacervelli non parlano qui?» «Se parlassero, non vorrei averci niente a che fare. Questa scheda è la storia di tuo marito. Se non foste venuti insieme, non ti darei alcuna informazione. Il paziente ha diritto alla sua privacy. Le sue malattie sono informazioni riservate. Noi lavoriamo insieme per aiutare tuo marito. E questo è diverso, ma se tuo marito mi chiedesse di non riferirti questo o quello, rispetterei i suoi desideri, a meno che non fosse una questione di capitale importanza.» «Capisco», osservò Marjorie. Capitolo 8 14 NOVEMBRE 19.45 Jack si sedette in tinello con Danny a guardare L'incredibile Hulk. Era disteso in fondo ai sofà con i piedi appoggiati all'ottomana. Era un momento speciale della sera, quando Danny e il suo papà guardavano la TV, mentre Marjorie faceva il bagno a Court e la cameriera lavava i piatti in cucina. Jack amava il modo di agitare le gambe di Danny, quando c'era qualcosa di impressionante. Marjorie aveva preparato il loro budino al cioccolato preferito e c'erano caramelle per Courtney e un bastoncino di liquerizia per Danny. Ma a qualche livello del cervello di Jack qualcosa ribolliva e lui sapeva che aspettava solo che si facesse tardi. Vedeva che Marjorie era felice, fiduciosa da quando si era affidato alle cure del dottor Dorin. Oh, sì, uno psicanalista straordinario e brillante. E, a un certo livello, anche a lui faceva piacere di avere l'opportunità di parlare di sé, d'iniziare quella confessione che prima o poi sarebbe arrivata. Durante la prima seduta Jack era scoppiato a piangere. Lo studio del dot-
tor Dorin era sul Ventura Boulevard, a una distanza di sicurezza da Beverly Hills. Nel quartiere nessuno avrebbe sentito la sua confessione. Sulla collina non si sarebbe mormorato. Il dottor Dorin, con la sua poltrona di pelle imbottita, il tavolino e il notes e la matita. Come osava: un notes e una matita! Il dottor Dorin, quarantacinque anni, altezza media, non atletico, con l'aria serafica per il buon cibo e la vita tranquilla di Sherman Oaks, con un abito noioso, la cravatta bella, la voce piacevole e un sorriso. All'inizio della seduta, Jack aveva parlato tranquillamente, ma velocemente, cercando di dire tutto quello che poteva. No, non era molto felice. No, non gli piacevano i suoi vicini. Non aveva amici stretti in California. No, non guadagnava abbastanza. Sì, il mutuo era un contratto straordinario che lo faceva diventare matto. Non riusciva ad andare avanti a guadagnare diciottomila dollari al mese. No, con Marjorie non parlava di problemi economici, non di quelli in particolare. Lei li aveva scoperti solo ultimamente, perché erano state soppresse alcune carte di credito. Le domande che ricordava: Non sai quali sono i tuoi punti deboli e i tuoi punti forti, Jack? Non sai in che cosa credi? Pensi che il tuo passato ti controlli? Non sai come sei arrivato al punto in cui sei ora? Non sai che stai indulgendo a un senso di colpa e di vergogna? Non cerchi le cause dentro di te? Pensi che tutti ti abbandonino? Non hai mai pensato perché non tolleri la gente, i lavori o le situazioni deprimenti? Non ti rilassi, non mediti o non ti ascolti mai? Non hai hobby? Non ti sforzi di essere un animale sociale? Non sai che non sei solo un oggetto a cui le brutte cose capitano? Non sai che puoi cambiare la tua vita? E le risposte: Mi sembra di non saper più a che cosa penso davvero. So di avere un bel po' di paura. Lo so da quando è morta mia madre, l'idea della morte mi terrorizza. So che mi sveglio alla notte sudando freddo, due tre volte. So di avere un forte bisogno di sesso. So che prendo la cocaina, e prima prendevo il Valium, e prima fumavo e bevevo. So che sotto di me, dentro di me, c'è nascosto qualcuno. So che sono spaventato dai miei sentimenti, dalla paura e dalla rabbia che sono dentro di me. So che dentro di me c'è una parte molto brutta. Un bambino perverso. So che se dovessi affrontarlo morirei. So di prendere la droga per tenere tranquillo quel brutto tipo, la parte brutta di me. So di aver bisogno di drogarmi. So che mi sto dando delle martellate in testa e sto tagliandomi a fettine con un rasoio, e che il sangue scorre sempre più veloce. So che quello che mi spingeva dal didentro non è cessato neanche quando le droghe si sono esaurite.
«Che cosa ti spaventa tanto?» chiese il dottor Dorin. «Il dolore», aveva detto Jack. «Dentro di me c'è una spirale di dolore che non riesco a controllare.» «Sei in grado di dare un nome a quel dolore? Puoi dirmi qualche cosa di specifico in proposito?» Le labbra di Jack si mossero, ma non uscì alcun suono. «Non ti sento», disse il dottor Dorin. «Non credo più nella vita», mormorò Jack, e poi si coprì il volto con le mani perché il dottore non fosse costretto a vederlo piangere. Dopo la prima settimana di sedute, il dottore gli consigliò di fare delle passeggiate e di sforzarsi di vedere gente. L'atto fisico di camminare combatte la depressione, gli aveva spiegato. E Jack aveva fatto un vero e proprio tentativo di stringere amicizie. Aveva telefonato al dottor Huston, il chirurgo plastico che abitava di fronte. Gerry Huston lo aveva invitato ad andarlo a trovare e gli aveva fatto visitare la casa e l'ufficio; con il soggiorno arredato con mobili della Barker Brothers e un eccessivo uso di rivestimenti in legno. E, molto interessante, la sala operatoria in acciaio inossidabile. E poi la terribile conversazione: «Oh sì, Gerry, così sei arrivato a Bel Air? Ah, capisco, è la storia di uno che ce l'ha fatta a diventar ricco. Hai quel forte spirito contadino che hanno tutti i divi. Oh sì, vediamo le signore che escono tutte bendate, che salgono sulle loro limousine. Quanti strumenti luccicanti, affilati, centinaia, cassette piene. E un'autoclave, processi di sterilizzazione. Certo, Gerry, rispondi al telefono, io aspetto. Avevo cominciato anch'io a studiare medicina, per tre anni, finché non ho scoperto di essere daltonico e non potevo distinguere le provette». 16 NOVEMBRE 20.00 «Vado in palestra a fare un po' di esercizi prima che chiuda», gridò Jack a Marjorie. «Ti farà bene, caro», assentì Marjorie. Passando per la scala di servizio, Jack poteva arrivare in garage senza incontrare ancora Marjorie. Un bottone schiacciato. La porta automatica cominciò a sollevarsi con rumore metallico e si accesero le due piccole luci automatiche. Si diresse verso lo schedario che teneva in garage; sopra, in vista, c'era la sacca da ginnastica, un'innocua borsa bianca e blu con la sua attrezzatura. Uscì a marcia indietro e schiacciò un altro pulsante. La
porta del garage si chiuse. Continuò a marcia indietro fino alla strada, poi fece manovra e scese la Valley Road. Gli abbaglianti illuminavano i muri e i cancelli e davano alla strada un aspetto quasi marittimo; le case sembravano grandi yacht illuminati a festa, ormeggiati alla grande banchina della strada. Nel suo isolato i suoi vicini più ricchi avevano costruito già da tempo dei muri degni della Bastiglia. In una villa dei messicani lavoravano ancora, gettando pezzi di alberi caduti in un camioncino scassato. Ogni cento metri c'erano segnali che invitavano i veicoli a rallentare, perché potevano esserci bambini che giocavano, come se i bambini fossero potuti scappare fuori da quei muri. Lungo le ultime curve i fari della Seville illuminarono una fila di mostruosi cipressi. Quegli alberi se li ricordava nei cimiteri italiani, gli alberi dei morti. Poi si diresse verso Coldwàter. Guidando gli venne in mente l'ultima seduta col dottor Dorin. «Vede, dottore, posso risolvere i problemi letterari. Sono bravo coi soggetti e con le sceneggiature, ma non con la mia vita. Quando scrivo qualcosa, in prima stesura, sembra sempre che mi manchi della compassione. Ma poi ci torno sopra, e nella seconda stesura ce la metto. Mi sforzo se è necessario. Ma con la mia vita non posso. Nelle prime azioni non provo compassione. Non so se riesco a spiegarmi! C'è qualcosa che m'impedisce di aprirmi al calore di un altro essere umano. Mi capisce, dottore. Dottor Dorin, io soffro in privato. Io piango in privato. Da ragazzo, quando fu il momento di diventare maggiorenne, non c'era nessuno a celebrarlo con me. Di me non importava niente a nessuno. Avevo la voce sbagliata. I miei amici avevano la voce melliflua; la mia era sempre irritante. Feriva le orecchie della gente.» Poi c'era stato silenzio, per un intero minuto. «Ho una figlia giovane e molto seducente», aveva detto il dottor Dorin. «Sono il padre vero, ma mi sembra di essere obiettivo se paragono i rapporti con quelli dei ragazzi dei miei amici. I suoi insegnanti dicono che la sua gentilezza è seducente. La ritraggono come una persona amabile, premurosa. È grassa. Molto grassa. Ma potrà non esserlo più. Vede, una buona notizia. Dice che nella prima stesura le manca sempre la simpatia. Nella vita non c'è una sola stesura. Dobbiamo cercare le buone notizie. Deve dirmi quali sono le risorse di Jack Krenner. Qual è la forza di quell'uomo. Mi dica questo, Jack. Mi dica che cosa c!è di buono in Jack Krenner.» Sulla Loma Vista Jack passò accanto alla casa del suo principale e si ricordò la modella e il lupo siberiano sulla Rolls-Royce bianca come accoglienza a un'orribile festa tutta in bianco e nero. Con gli ospiti vestiti in
bianco e nero, l'orchestra in bianco e nero, gli antipasti in bianco e nero. Tutti avevano almeno quattromila anni. Ora, colombe sulla strada di notte e finalmente lo svincolo in fondo alla collina. Svolta a sinistra. Una donna sta potando in blue jeans. Ha grosse cosce; non va. Poi giù per il viale. Ecco Doheny, coi suoi cartelli chiassosi. Non era certo di quello che voleva. Doveva aspettare la voce. La luce sul cruscotto segnalò che a casa qualcuno stava telefonando. Era Marjorie? Aspettava sempre che lui uscisse, per telefonare; forse un amante? Si era fatto installare i trasmettitori a casa e in macchina per ascoltarla, per ascoltare sua moglie e sentire quello che diceva quando lui non era a casa. Sollevò il ricevitore e lo accostò all'orecchio. «Ha appena finito il quarto capitolo», diceva la voce di Marjorie, «e sono piena di speranze. È solo un anticipo di quattromila dollari, che poi mi hanno dato soprattutto per rispetto a Jack...» Con chi stava parlando? Finalmente l'altra voce: «Ti invidio, Marjorie, davvero. Diciamo tutte che dobbiamo fare qualcosa, ma poi finiamo per rifare la casa o...» Patricia. Parlava con la sua amica Patricia che stava a New York. Aveva chiamato Patricia? Chi pagava la chiamata? «Louise e Joey come stanno?» «Bene. E Jack?» «Bene.» Guida in modo prudente. Non attirare l'attenzione. Non aveva preso abbastanza cocaina per compromettere la guida, ma non si sa mai, mise la boccetta con il tappo e il cucchiaino nello scomparto della portiera. Se i poliziotti lo avessero fatto scendere dalla macchina per un'infrazione, non l'avrebbero mai toccato. Finalmente Marjorie riattaccò. Anche lui staccò il ricevitore dall'orecchio, soddisfatto che Marjorie non parlasse di lui dietro le sue spalle. 21.00 Una donna che camminava troppo velocemente. Aveva una meta. Ecco la strada dov'era stato ucciso Sal Mineo. Un'altra donna, modesta, rugosa. Oh, ma se un poliziotto avesse aperto la sua borsa Adidas e guardato sotto l'asciugamano e le ciabatte per la doccia e le tessere e la stratificazione di anni di iscrizione a centri per la salute? Che cosa sarebbe successo se i poliziotti l'avessero fatto scendere perché era sulla corsia sbagliata e avessero
voluto frugare nella borsa? Ma no, sullo Strip avevano troppo da fare per occuparsi delle piccole infrazioni. Forse era meglio svoltare in una via laterale. Magari c'era una giovane donna smarrita, una giovane donna «fatta». No, avrebbe proseguito sul Sunset. Eccone un'altra, grassa. Il Chateau Marmont. Bobby D. abita qui quando è in città. Oh, splendido, vorrebbe lasciare questa sceneggiatura per Mr. D.? Se la legge bene, se non la legge non mi offendo. Non mi offendo. Ecco, completamente nude. Le nostre ragazze vi mostreranno tutto quello che hanno, o sarete rimborsati. A sinistra sulla La Brea fino al Boulevard. Il retrobottega del Boulevard. Mummie per la strada, case di riposo per vecchi. «Donne, donne. Dov'è la mia donna?» Questa volta aveva portato lo strumento giusto per prendere quello che voleva. E in quel momento cominciò a sentire dentro di sé la voce, la strana voce bassa con cui si era fuso accanto al letto di morte di sua madre. La voce, quella voce eccitante che era stata zittita per tutta la vita, ma che finalmente stava crescendo, diventando più forte per salvarlo dal suo dolore. Ecco il Boulevard e le impronte di piedi e di mani sul cemento. 22.15 La vide, la sua ragazza. La voce gli disse che sarebbe stata sua. Salì in macchina: disponibile, giovane, un'autostoppista della Florida con lo zaino; un bel faccino, le piaceva cucinare, cercava un lavoro temporaneo. Disse che le sarebbe piaciuto andare da qualche parte a bere qualcosa. «Conosco un bel posto sulla Valley», propose Jack. «Che cos'è tutta questa roba elettronica?» chiese lei, guardando i quadranti e le luci sotto il cruscotto. «Non sarai un poliziotto?» «No. Sono un amatore.» «Un amatore?» «Un radioamatore. Voglio sapere tutto quello che succede negli altri Paesi. Ho una radio che può captare un segnale dalla Germania. È quasi tutto materiale CB.» «Non ho mai visto tanta roba per un CB.» Gli piaceva il suono della sua voce. Era consapevole che la ragazza faceva apposta ad abbandonarsi in quel modo sul comodo sedile di pelle. Passando sotto i lampioni, notò che aveva i capelli castano chiaro. «A certe mie amiche gli uomini più vecchi non piacciono, ma a me sì.»
Lei continuava a parlare e lui a guidare. Voltò a sinistra e imboccò la freeway. «Sì, è la famosa freeway.» Era una ragazza simpatica, disse alla voce; voleva parlare della madre. La madre non la capiva. Poi divenne indistinta, mentre fu la sua di madre a balzargli in mente. «Aiutami, Jackie...» «L'infermiera... chiamo l'infermiera.» «Non lasciare che mi tocchino, Jackie.» 22.45 Uscirono e si diressero verso il Laurel Canyon. Oh sì, esclamò la piccola passeggera, le sarebbe piaciuto vedere le colline. Ne aveva sentito tanto parlare. Più parlava più sembrava carina e sperduta. La sua ragazza di quella sera era futile ed egoista alla superficie, ma poteva essere redenta. La voce doveva ascoltarlo. «Ti eccito?» chiese lei. «Non molto», rispose. «Perché me lo chiedi?» «Mica per altro, perché mi sembra che tu abbia qualcosa di gonfio nei pantaloni. Se vuoi, se io ti piaccio, potremmo fare qualcosa noi due e tu potresti darmi i soldi che avresti speso per offrirmi da bere.» Poco dopo erano parcheggiati in cima al canyon. Dalla Sierra Madre soffiava un vento freddo. Il sudiciume di Los Angeles era stato spazzato verso il mare e la città sembrava come un campo di candelieri. «Potrei darti cinquanta dollari», le propose. «Quaranta e forse ancora venti... farebbero sessanta bigliettoni.» «Mi farebbero molto comodo, mister.» «Voglio che tu mi faccia una 'fellatio'.» «Che cosa?» «Un pompino.» Gli piaceva sentirsi dire quelle parole e guardò la ragazza abbassarsi e aprirgli la cerniera. «Cristo, ce l'hai grosso, mister, davvero grosso.» Guardarla prendere in bocca il suo organo era la cosa più eccitante che potesse immaginare. Sapeva che la responsabile era soprattutto la cocaina, ma c'erano altri fattori che lo innalzavano oltre i notevoli piaceri che Marjorie gli dava. Quella donna estranea che glielo succhiava, che muoveva la lingua in modo maldestro sul suo glande, che cercava di prenderlo in bocca tutto, era più di quanto avesse sperato. Lei sembrava scusarsi di non riu-
scire a fare di più che permettere al suo pene di baciarle il fondo della gola. Chissà se sapeva che c'erano donne ben contente di accoglierlo fino in fondo, fino a farlo piegare quasi a toccare le corde vocali? L'inesperienza della ragazza e l'ampio panorama notturno gli diedero la sensazione di essere seduto su un veicolo spaziale. Stese il braccio sullo schienale e divenne un osservatore esterno. Quei tentativi da dilettante, quel desiderio di piacere, erano magnifici, perché lo mantenevano appena sotto il punto dell'orgasmo. Lasciò che glielo succhiasse per più di mezz'ora e quando la ragazza cercava di sollevare la testa per riposarsi, per respirare, lui gliela riconduceva delicatamente giù. Sentiva lo sperma che gli si raccoglieva nei testicoli. E con un'altra piccola sniffata di cocaina, ebbe per un attimo la visione di essere diventato un rettile. Era un grande corpo astrale pulsante. Poi, con sua sorpresa, gli sforzi della ragazza si riempirono di passione. In qualche modo lei riuscì a spingersi il pene più a fondo nella gola. Lui capì che aveva appena scoperto la tecnica di divorare tutto un uomo ben fornito. Il caldo liquido bianco cominciò a scorrere dai testicoli e il suo corpo divenne autonomo. Strinse talmente su di sé la testa della ragazza che sentì il primo fiotto urtare contro la gola. Lei inghiottì, prima per caso, poi come una professionista. Venne dentro di lei per più di un minuto, completamente libero da pensieri razionali. Poi aprì la portiera, spostò rapidamente la gamba in una posizione scomoda e allontanò da sé la testa della ragazza. Il pene era duro, tutto tremante, e capì che non era finita. La fece uscire dalla macchina. Oh, sì, le luci. Parleremo del panorama e delle luci, per darle modo di respirare. Per un po' andò bene, e poi dovette spingerla contro un albero. Ogni tanto una macchina saliva per la Mulholland, e in curva i fari arrivavano fino a loro. Avrebbero illuminato il retro dell'albero. Se una macchina si fosse fermata e gli occupanti avessero aguzzato gli occhi avrebbero visto un uomo nudo che schiacciava la sua ragazza contro un albero. Perché lui aveva voluto togliersi gli abiti, li aveva riposti con cura a una certa distanza da dove la stava prendendo, da dove stava entrando perpendicolarmente in lei. I vestiti sarebbero rimasti puliti, non si sarebbero macchiati. Aveva bisogno di aver vicino la borsa Adidas e quando lei gli chiese il perché le rispose che poteva aver bisogno di un lubrificante. Solo una volta, mentre amoreggiavano, ebbe un vuoto di depressione. «Lo so che te lo avevamo promesso, ma sono sicuro che tu capisci. Mr. Wilbert dice che gli attori sono tutti sbagliati. Mi spiace, Jack. Be', che cosa vuol dire? Vuol dire che sei stato sostituito. Che cosa poteva fare questa povera Gilda con uno studio in cui il direttore esecutivo è un finocchio militante e
il presidente un ex giocatore di football che non fa altro che bere dal mattino alla sera. Tu hai fatto di tutto per educarli, Jack. Io gliel'ho detto che eri un bravo scrittore, Jack. Vi rendete conto di che cosa state facendo a questo bravo scrittore? Tu hai fatto le domande giuste e hai esposto le radici dei problemi. Sì, le spiegazioni erano forse un po' lunghe nel tuo bel soggetto, ma gli attori sono sbagliati, perché l'ha detto la sua piccola segretaria, segretaria che non è qualificata a leggere le sceneggiature, ma è l'unica a farlo, perché i dirigenti non se ne occupano...» Tornò con la mente alla donna contro l'albero. Sapeva che era eccitata. Avevo persino smesso di chiedere denaro. La sua potenza l'aveva fatta sollevare in punta di piedi. Aveva gli occhi chiusi. Non notò che lui prendeva qualcosa dalla borsa che aveva lasciato spalancata. Ci fu un cambiamento di ritmo che finalmente le fece aprire gli occhi. Poi sentì che qualcosa di freddo la toccava nel bassoventre. Fissò con gli occhi spalancati quell'uomo ancora dentro di lei. Sulla Mulholland passò una macchina e alla luce dei fari lei poté vedere chiaramente gli occhi di lui. Poi l'uomo uscì per una frazione di secondo come per invitarla a guardare giù. Lei piegò la testa e nello stretto spazio fra i loro corpi vide il luccicore metallico di un piccolo paio di forbici chirurgiche che spingevano sulla sua pelle. «Ssst», disse l'uomo. «Non voglio farti del male.» E poi la voce: «Voglio solo parlare con te». Lei lottò, si divincolò. Lui sentì che la testa gli scoppiava dalla gioia. Un sogno, è un sogno. Il liquido gli riempì ancora i testicoli, e lui la spinse ancora più in su, contro l'albero. «Sta' buona. O ti taglio dentro.» La ragazza s'irrigidì, in silenzio. Lui poté perfino toglierle la mano dalla bocca. «Dio mio, Signore! Dio mio, Signore! Dio mio, Signore!» Cominciò a respirare, cercando di vedere il rivolo di sangue che le scorreva sulla coscia sinistra. «Farò tutto quello che vuole, Signore.» La schiacciò con più forza contro l'albero ed ebbe la sensazione che il suo organo l'avesse trapassata e fosse penetrato nelle fibre viventi dell'albero. «Perché sei sudicia?» le chiese la voce. «Devo sapere del tuo sudiciume.» Lei cominciò a spiegare i suoi peccati, in modo quasi incoerente. «Lake
George, Lake George, Signore. La prego, Signore. Facevo la cameriera. Saratoga. Jimmy, l'autista dell'autobus, andavamo a fare sci d'acqua fra la prima colazione e l'ora di pranzo. Per favore, mi lasci andare, mi lasci pensare. Ero tenuta in una situazione d'inferiorità. Un piccolo scherzo. Un anno al college. Non tagli. Per favore, non mi tagli. Farò tutto quello che vuole, ogni desiderio, droghe. Vuole della droga? Mio Dio, Mister! Un altro pompino, Signore, qualsiasi cosa. Oh, mamma, mi spiace. Mi fa male. Le forbici mi fanno male. Signore, questo è brutto. Mi sta facendo una brutta cosa. So come si sente, Signore...» Improvvisamente la sensazione di essere dentro di lei gli fece ricordare un protettore che aveva conosciuto a Taos. Un protettore che riforniva i casini per marinai a Tijuana. I marinai lo tiravano fuori, graffiavano con un pettine sulla cappella e la spolveravano di cocaina, poi tornavano dentro con la sensazione di chi sta scopando con un palo telefonico, Cristo... «Perché ti sciogli?» chiese la voce. «Cosa, Signore? Cosa?» Voleva dirle altre cose di quello che la voce stava ordinando ma le parole divennero impossibili. E nell'assalto finale, lei lo assecondò, aspettando che il suo inguine convulso si calmasse. Poi, come in una fiaba, sognò che lui uscisse da lei, salisse in macchina e partisse, lasciandola viva. Anche le forbici caddero per terra. Non voglio farlo, ma lo faccio. Non voglio farlo... No. Rimase dentro di lei. Dopo un lungo intervallo cercò nella borsa lo strumento finale. Lichteiman ricevette la telefonata alle quattro e mezzo del mattino. Un giovane messicano e la sua ragazza avevano deciso di parcheggiare ai bordi della Mulholland e avevano trovato qualcosa inchiodato a un albero. In un primo momento avevano pensato che fosse uno spaventapasseri, ma guardando meglio avevano visto che era il corpo crocifisso di una ragazza. L'interiora le pendevano da uno squarcio nell'addome. Il corpo era stato squarciato; non si poteva dire in altro modo, insistette Straub. Come Lichteiman avrebbe verificato più tardi all'obitorio, il conciso resoconto del medico legale era esatto in modo orripilante: l'assassino aveva prima squarciato la donna con un affilato strumento chirurgico e poi aveva infilato una mano strappando fuori i visceri, con un'idea molto sommaria di anatomia. «Cosa pensi di fare?»
«Dormire», brontolò Lichteiman e appese. Il sonno, la grande soluzione per i problemi. E i sogni, il panorama della mente dove Lichteiman cercava i matti. Solo la mente addormentata lo metteva su piedi di parità con gli psicopatici che popolavano il paese. Addormentato, il suo subconscio poteva entrare all'unisono con la follia dei tempi. Sto dormendo, sono sprofondato. Il sonno che rammenda la sfilacciata manica dei pensieri... Qualche volta riusciva a manipolare il flusso delle informazioni anche sognando a occhi aperti. Il dolore provocato dalla necessità di avere una risposta pareva creare un circuito cerebrale che emetteva l'informazione esatta, immersa, naturalmente, in uno sfondo pieno di altre informazioni sbagliate o inutili. Lichteiman, macchina calcolatrice. Lichteiman dalla parte degli dei. Lichteiman che cominciava a trattare l'ultima malattia umana che gli aveva attraversato la scrivania e la vita. Ad Agoura una donna ha voluto che il suo cane fosse seppellito con lei. Notizie d'agenzia. Un tedesco e suo figlio sono stati processati giovedì per uccisione rituale delle rappresentanti femminili della famiglia. Horad e suo figlio Eric sono membri di una setta che crede che il regno di David arriverà quando tutte le donne saranno state sterminate. «L'arcangelo Gabriele ci è apparso e ci ha detto che dovevamo far risorgere il regno. Ma non possiamo farlo senza aver prima eliminato il sesso femminile.» I corpi mutilati della moglie e delle figlie sono stati trovati il 17 dicembre in un appartamento a Santa Cruz. Telefonate: «Oh sì, era solo un marito geloso. L'ha uccisa facendole passare la corrente elettrica nel cervello mentre dormiva. Sì, ho seguito tutto il caso in tribunale». Firenze, Italia: in un paesino italiano una ragazza di ventun anni è stata annegata con il figlio illegittimo in un pentolone di acqua bollente perché si rifiutava di rivelare alla famiglia chi era il padre del bambino. «Be', vi dico, ho dovuto bruciare la tettoia per liberarmi di loro, ma non è servito a molto perché sono riuscito a distruggerne soltanto il sessanta per cento. Ho visto almeno trentaquattro diavoli, sembrava un'immagine di negativi fotografici. Infestavano la mia casa.» Dopo aver guardato un programma televisivo, due bambini hanno trovato in frigorifero un corpo. Era il padre che aveva ucciso una donna. A Buffalo, sabato, la polizia ha trovato il corpo decapitato di una giovane donna nella vasca da bagno e le braccia nell'acquaio in cucina di un appartamento dell'East Side. Sono state arrestate tre persone sospette, fra cui due studenti liceali...
Lichteiman come in sogno. Gli ultimi stadi del mondo. «Li ha interrogati? Ha tenuto conto di tutto, Straub? Che cosa dici, ha parcheggiato con la sua ragazza e l'ha trovata inchiodata a un albero? Sì, in Florida dei motociclisti avevano trovato una ragazza inchiodata a un albero. Non ti ricordi, non lo sapeva forse l'Ombra che il male si annida nel cuore degli uomini? A modo loro lo sapevano anche Jung e Freud.» Anche in sogno, la mente di Lichteiman stava preparando una conferenza stampa: Lichteiman, il nome che sarebbe apparso in tutti gli articoli dei giornali. Persino nei fogli scandalistici di Beverly Hills. L'INCHIESTA È STATA AFFIDATA AL DETECTIVE CHARLES LICHTEIMAN. CHIUNQUE ABBIA INFORMAZIONI È PREGATO DI TELEFONARE AL 278-1000, INTERNO 217... Il rituale che era cominciato in un bagno dell'asilo avrebbe avuto presto bisogno di un confessore. Il protagonista di quel balletto di morte avrebbe presto preteso un testimone e Lichteiman avrebbe fatto il possibile per essere lui. «Mi fermi... oh, mio Dio, per favore, mi fermi prima...» Prima di che? Quali sarebbero stati i tempi, i numeri magici di quella malattia? Natale, pensò Lichteiman. Natale o le feste ebraiche o l'anniversario di una morte. Quell'uomo che odiava le donne avrebbe avuto presto bisogno di lui. Capitolo 9 18 NOVEMBRE 18.00 Marjorie preparò i piatti preferiti di Jack: tacchino arrosto e pasticcio di patate dolci. Mandò fuori i bambini a giocare e convinse Jack a fare un bagno caldo nella vasca dell'idromassaggio. Quando ebbe caricato la lavastoviglie lo raggiunse, sentendosi un po' in colpa. Forse era solo l'acqua calda che la indeboliva oppure sentiva semplicemente che era il momento adatto per essere debole. Non riusciva a sedersi nel vapore della vasca degli idromassaggi senza avere l'impressione di essere ritornata ai tempi della Grecia o di Roma. Era sempre stata affascinata da quel periodo della storia, da certi suoi aspetti deliziosi di cui non parlava più nessuno tranne qualche professore miope alla ricerca di argomenti per tesi di laurea. Anche lei a Hofstra aveva fatto una ricerca sulle donne greche del 400 avanti Cristo che tre volte all'anno piantavano in casa i mariti per andare a cele-
brare riti orgiastici sulle montagne. Aveva inseguito le menadi dell'arte e della letteratura greca, mostrando come fossero le frustrazioni a provocare quelle possessioni dionisiache che facevano rovesciare la testa ed emettere urla convulse... per alleviare il dolore di non essere uomini. Jack sembrava così rilassato che le sembrò il momento buono. Non aveva bisogno delle parole esatte. L'avrebbe detto così, come le veniva. «Sei riuscito a far molto, e so che in una certa misura ne sono stata gelosa. Cioè, penso che sia normale in un matrimonio, o no? Qualche volta, vedendoti lavorare, c'era una vocina dentro che mi diceva 'Voglio farlo anch'io'.» Attese. Aveva detto abbastanza. Se il momento era giusto e lui era interessato, a quel punto sarebbe stato lui a parlare. Vide che abbandonava la presa ai bordi della vasca e lasciava cadere le mani nell'acqua. Rimase con solo la testa fuori. «Secondo te che cosa ne penso della competizione?» chiese tranquillamente senza aprire gli occhi. Marjorie cercò di essere onesta. Doveva essere onesta. «Penso che non ti piaccia. Dentro di me lo so. Penso che ti preoccupi. Penso che qualche volta sono stata troppo possessiva, sto cercando di realizzare qualcosa, di imitarti. Penso che la cosa ti faccia impazzire. Non so come la prenderesti se avessi davvero successo.» E ora quello che c'era di positivo, perché era altrettanto vero. «Mi hai incoraggiato davvero tanto nel mio lavoro.» «Pensi che ti consideri una minaccia?» «No. No...» Si accorse di essersi immersa fino al collo nell'acqua. Ormai spuntavano solo le due teste. Istintivamente aveva seguito il suo linguaggio corporeo. «Cioè», continuò. «Penso che fra noi ci sia competizione in un sacco di cose. Se dipingiamo una parete, facciamo a chi ne fa di più. Chi ha disegnato la linea più dritta? E anche nei giochi, nei fatti... quando dico di sapere qualche cosa, sento di essere in competizione.» Diceva quello che le passava in mente, ma non cercò di fermarsi. Poteva aiutarli. Poteva aiutarli a disinnescare la bomba, a farli sentire così vicini che forse sarebbe riuscita a entrare nella sua testa e a estirpargli la follia che l'aveva fatto pisciare nel latte dei suoi bambini. «Mi sono sentita in un modo terribile. Mi sento in colpa perché ho la sensazione di avere una parte di responsabilità per quello che succede in te. Sono io una delle pressioni. Sento di averti spinto un mucchio di volte.» Rise nervosamente. «Posso pensare di star facendo tutto quello che è giu-
sto, ma non è così.» Sentì che era sul punto di scoppiare a piangere. Si avvicinò a lui, tendendo le mani attraverso un potente getto di acqua. Finalmente le dita incontrarono prima il petto e poi la mano di Jack. Clackkkete click! Con la testa appoggiata sulla spalla di lui, Marjorie si chiese se poi era sempre Jack a provocare i rumori. E che cosa erano tutti quei rumori? Che cos'altro faceva? Che cos'altro aveva fatto? La palestra. Tutte le sere che diceva di andare in palestra. A che ora tornava davvero a casa? Chi era quell'uomo, quell'uomo che stava abbracciando? 19.30 I bambini erano tornati e Jack acconsentì a giocare a Space Armada con Danny. Marjorie vide che Courtney si sentiva molto trascurata. Cercò di portarla a letto, ma voleva giocare anche lei. Notò che Jack si comportava in modo particolarmente brusco con la bambina. Con Danny aveva sempre mostrato più pazienza. Si ricordava l'eccitazione quando era nato. Si trovava nella sala parto, non perché avesse partecipato con lei ai corsi preparto, ma perché all'ultimo momento aveva deciso di voler vedere arrivare il bambino; la gioia e lo stupore sulla sua faccia quando il dottore aveva sollevato il bambino e aveva annunciato: «È un maschio!» Completamente intontita, lei aveva guardato quel suo marito in camice, i suoi occhi che facevano capolino dallo spazio rimasto libero tra la maschera e il berretto. Jack aveva seguito tutte le operazioni dei medici e la sua gioia e il suo orgoglio furono evidenti quando il pianto del bambino risuonò nell'aria. Ma Marjorie si ricordava anche di due anni dopo quando la scena si era ripetuta; ricordava la sua di esaltazione quando il dottore sollevando il suo secondo nato aveva annunciato: «Ora la famiglia è completa, è una bambina!» Quella volta erano stati i suoi occhi a seguire le operazioni dell'équipe. Jack non si era preoccupato d'ispezionare troppo da vicino il nuovo arrivo. Qualcosa nel suo atteggiamento, negli occhi avevano comunicato a Marjorie che era un po' deluso. Poi la prova continua: era sempre e solo Danny che voleva portare con sé. Sopportava con più pazienza se era Danny a interromperlo mentre stava lavorando. Quando Danny imparava l'alfabeto, Jack era sempre più che disposto ad aiutarlo negli esercizi. Ma se Courtney iniziava a piangere dicendo che voleva provare anche lei, Jack l'allontanava gentilmente, frustrandola inconsciamente, e finiva per gridar-
le che Danny era più grande e che era lui che doveva fare i compiti, non lei. Per Courtney non era mai ancora il momento, il momento sarebbe arrivato, un momento che non sembrava mai arrivare. 21 NOVEMBRE 9.00 La comunicazione che Lichteiman aspettava finalmente arrivò. Si era recato al quartier generale per controllare i risultati definitivi delle analisi di laboratorio su Terry Jane Davidson, la figlia carina e ingenua di una coppia di agricoltori della Napa Valley. Un suo collega gli aveva riferito che la signora Davidson pareva perfino soddisfatta che sua figlia fosse stata trovata sventrata e inchiodata a un albero, come se quella fosse la giusta punizione per essersene andata da casa. Ma il signor Davidson aveva pianto. Straub portò personalmente alla scrivania di Lichteiman le fotografie, primi piani dello squarcio nell'addome della ragazza. Triste ripresa dal basso di quella versione femminile di Cristo. Poi le domande di Straub, il suo bisogno di ricorrere a quel Budda di Lichteiman per consolazione e conforto. «È duro doversi guadagnare la vita così», si lamentò Straub. «Non ti sei mai pentito di essere finito a fare questo lavoro?» Lichteiman sorrise. «No, e non devo un bel niente a nessuno.» Schioccò le dita, e con lo sguardo comandò a Straub di versargli un'altra tazza di caffè mentre lui esaminava le fotografie. Il pacco comparì quella mattina. Era arrivato con la posta normale. Non aveva l'aria di una bomba, e fu portato sulla scrivania di Lichteiman alle undici e dieci. Nelle grandi lettere nere che componevano il suo nome e l'indirizzo della centrale di polizia c'era qualcosa che gli diceva che si trattava di ciò che stava aspettando. Non gli interessava il modo in cui Beverly Hills minimizzava i crimini che capitavano da quelle parti. Purché della storia si stampasse abbastanza perché gli autori potessero seguire i loro crimini. IL CASO È STATO AFFIDATO AL DETECTIVE LICHTEIMAN. «Be', vede, non è il caso di allarmare tutti», diceva sempre il commissario. «Non ci siamo ancora rimessi dalla faccenda Manson, lei sa poi come montano queste cose. Magari con le ragazze non c'è nessuna relazione. Sono i camionisti a dare i passaggi a quella marmaglia di autostoppisti. Gli assassini possono" venire fuori da Watts o da Burbank. Gente come Gucci, Hermes, Giorgios, Van Cleef sono venuti qui a pagare una fortuna in affitti e in tendoni a righe.
Quello di cui non abbiamo bisogno è che le signore si mettano in testa che c'è in giro qualcuno capace di seguirle fino a casa per strappare fuori le tube...» Lichteiman aprì lentamente il pacco. Aveva pressappoco le dimensioni, ma non la solidità, di una scatola di sigari. Annusò la carta in cui era avvolto. Non c'erano segni di esplosivi chimici o al plastico. La carta da pacchi scivolò via. Rimase una cosa informe, trasparente. La prima impressione era quella di un pacchetto sigillato con dentro un'anguilla morta. Ma la plastica si era strappata, e un liquido colava sulla scrivania. Il tanfo fece fare a Lichteiman un salto indietro. Furono chiamati i ragazzi del laboratorio, ma non prima che Lichteiman avesse estratto un secondo sacchetto sigillato contenente una lettera. Il detective cercò di contenere la sua eccitazione ed estrasse il messaggio con la stessa precauzione con cui avrebbe maneggiato dell'uranio. Dall'inferno Caro Mr. Lichteiman, le mando metà dell'ovaia che ho tolto alla ragazza. L'altro pezzo l'ho tenuto per un po', finché non ha cominciato ad andare a male. L'ho dato da mangiare a uno dei cani. Donne. Voglio spingere il mio pugno giù per la loro gola finché non muoiono. Ho conservato un po' del suo sangue in una bottiglia ma si è coagulato e l'odore mi dà la nausea. La stessa nausea che ho provato quando mi è stato detto che cosa fare con la prossima. Voglio tagliare la pancia ed entrarvi ancora con tutte e due le mani, ma voglio squarciarle il corpo. Voglio spezzare la donna in due. Voglio che troviate il corpo diviso. Ho bisogno di sentire la colonna vertebrale e di spezzarla. Faccio questo per il sudiciume delle donne e quando c'incontreremo (se sarò morto) la prego di ricordare che ho amato mia moglie e i miei figli. Suo nella follia, Con amore. Capitolo 10 3 DICEMBRE A Marjorie sembrava che Jack stesse molto meglio, dopo alcune setti-
mane di sedute con il dottor Dorin. Lui lasciava intendere di non volerne parlare e lei non lo forzava. Gli chiedeva solo come andava, e Jack rispondeva bene: sentiva di controllarsi molto di più e sapeva esattamente che cosa doveva fare per risolvere i suoi problemi. Marjorie aveva notato che usciva perfino a fare delle passeggiate in macchina e parlava con ottimismo dei suoi progetti. Non che lei avesse dimenticato la cocaina, ma non le sembrava mai il momento giusto per parlarne davvero. Un sacco di scrittori e di attori ne facevano uso. E lui passava diverse sere in palestra. O così diceva. No, pensava Marjorie, non voglio diventare sospettosa. 5 DICEMBRE 21.00 Marjorie decise di controllare la scrivania del marito. Si sentiva in colpa, come se stesse rubacchiando delle idee per il suo romanzo, ma si disse che era per il bene di Jack. Anche se Marjorie sapeva che il marito era al club, in biblioteca ne sentiva la presenza. I cassetti di sinistra della grande scrivania erano chiusi, ma lei aprì quelli di destra e fu sorpresa di trovarvi un minuscolo registratore. Non sapeva che Jack ne avesse uno così. Sul piano della scrivania, in vista, c'era un registratore standard. Lei esaminò le cassette. Erano molte, tutte in ordine ed etichettate. Stava per chiudere il cassetto quando la sua attenzione fu attratta da un'etichetta su cui vi era scritto «Gilda». La prese e la inserì nell'apparecchio. Per un po' il nastro scorse in silenzio, poi le voci. Marjorie capì subito che si trattava della registrazione di una telefonata. La prima voce era del marito, l'altra della sua agente. GILDA: Sono tutti nei guai. Non c'è nessuno che fa soldi. Almeno i critici si stanno scagliando sul cagnolino ringhiante di Neil. Non è divertente? Una risata di Gilda. Poi silenzio. Jack, caro, spero che stiamo facendo la cosa giusta. JACK: Penso che tu stia facendo la cosa giusta, Gilda, purché tu documenti quello che ci stanno facendo. Possiamo citarli. GILDA: Vedrai che il caro Harry finirà per avere una sorpresa. Hai premura, caro? JACK: No. GILDA: Bene. Ho fatto la dieta Pritikin. Mi si sono chiarite le idee su quei figli di puttana dello studio. Lasciamelo dire, Jack, ci sono molte persone che ti vogliono bene. Parlano tutti delle tue qualità. Che onore, ti
considerano il principe degli sceneggiatori. Mi spiace molto per quello che vogliono fare alla tua sceneggiatura. Non so perché vogliono farti fuori. Gli ho detto di scritturare Barbra, se è quello che vogliono. Ma che facciano il film. Hanno detto di no. Jack. Hanno detto di no! JACK: Senti, non puoi farmi accettare per forza. GILDA: Dicono che il tuo lavoro è troppo debole, che ci vuole più mordente. E poi quel pazzo di Tom ripete: «Voglio il mio fidanzato». Sarà l'amante di Harry a sostituirti. E poi il capo dello studio, l'alcolizzato dice: «Gilda, pensi che possiamo vederci domani?» Così dovrei vedermi con loro, un alcolizzato e il numero due, che, non so come descriverlo, un uomo molto malato, che sembra sempre seduto su una supposta gelata... Marjorie ebbe l'impressione di sentire il silenzio di Jack che ascoltava. Il silenzio sul nastro la spaventava. GILDA: C'è quella ragazzina che sta facendo fuori tutto. È una segretaria, è l'unica che legge le sceneggiature. E non ha idea di quello che legge. Alla fine scrive delle brevi annotazioni per cui tutto è merda. Tutto il suo lavoro è dire «no». E loro seguono quello che dice lei... JACK: Gilda, bisogna che ci sia il mio nome su un film. Il mio nome scritto bene in grande per la credibilità. GILDA: Sì, caro. JACK: Sto perdendo un'altra occasione, Gilda. GILDA: Jack, te l'ho detto, sono rimasta male. Ti capisco. Marjorie sentì la risata. Una risata che dominava la registrazione. Prima a intermittenza, e poi quasi isterica. Era Jack che rideva. GILDA: Jack. Mi spiace, non posso fare di più. Silenzio. La risata si smorzava. GILDA: Jack, Jack, che cosa c'è? Jack, non ti sento. Cosa fai, piangi? Jack, mi spiace. Mi spiace tanto. 9 DICEMBRE 15.00 Seduto alla scrivania, Lichteiman beveva un digestivo, mentre sentiva vagamente che uno dei detective ascoltava della musica con un Sony Walkman. Era un sottofondo leggero, un ragazzo dalla voce acuta sostenuto da un gruppo cantava della solitudine: «La de da. Doo be doo. Sei così crudele». Erano settimane che non c'erano novità. Da quando era arrivata la sezio-
ne dell'ovaia. I tessuti corrispondevano. C'era la stessa percentuale di gin e di glucosio. Il bisogno di uccidere doveva rigenerarsi, accumularsi come sperma nel corpo dell'assassino. Sarebbe stata una tregua. Lichteiman voleva sapere com'era il carattere di questo Amore. Voleva che Amore sapesse che il suo regalo era stato ricevuto, e il Times cooperò con un articolo di repertorio, intitolato: LA VIOLENZA PROVOCATA DALL'ALTER EGO. Qualcosa su uno strangolatore di quelle parti, un accenno a Manson, una coppia sgozzata due anni prima a Bel Air. Per lo più l'articolo si teneva sulle generali, basandosi sulle considerazioni di Louis Goldman, uno psichiatra di San Diego. Alla fine di quel pezzo tranquillo veniva il paragrafo ordinato da Lichteiman. Alcune frasi banali su un paio di omicidi non risolti nella zona di Los Angeles. L'unica informazione era che se ne occupava il detective Lichteiman con il quale l'assassino si era messo in contatto. «È chiaro che quell'uomo ha bisogno di aiuto, spero che mi cerchi ancora, ha dichiarato il detective Lichteiman...» Fin dall'inizio della sua carriera Lichteiman aveva deciso che non si cattura un maniaco con il lavoro di routine. Il lavoro di routine si deve fare, ma un vero maniaco come Amore si fa conoscere solo quando vuole lui. Per il momento, Amore, era pieno di vergogna. Quel dono sanguinario era troppo odioso, troppo sudicio. Ma era un inizio. Col tempo Amore avrebbe desiderato buttarsi completamente nelle braccia di Lichteiman. Almeno così il detective credeva. Fino ad allora era sempre andata in quel modo. Straub l'aveva fatto parlare sull'argomento. «Non lo prenderete grazie agli indizi, perché non interessa più a nessuno!» aveva grugnito Lichteiman. «Be', questa è la tua opinione.» «Certo che è la mia opinione! Se tu chiedessi ai poliziotti che cosa pensano del lavoro della polizia e dei tribunali ti direbbero che è tutta cacchetta! È cacchetta a New York! È cacchetta a San Francisco! Ed è cacchetta qui! I tribunali, gli avvocati e i liberali ci hanno messo dei maledetti cappi di filo di ferro intorno alle palle! Cristo, la cosa mi fa diventare matto! I maniaci sono gli ultimi di cui dobbiamo occuparci. Se no non abbiamo più niente da fare.» A mezzogiorno sulla telescrivente arrivò un rapporto da Miami. Diceva che era stato trovato il corpo di un giovane non identificato: gli avevano tagliato la testa, le mani e le gambe che erano state poi scoperte sabato notte in una casa che, secondo la polizia, assomigliava a una camera di tortura. Il rapporto diceva che insieme con le parti tagliate era stato trovato an-
che il torso. Il ragazzo era stato pugnalato diverse volte. Gli inquirenti stavano verificando la possibilità che si trattasse del figlio di un politico la cui scomparsa era stata denunciata il mese prima. Uno studente aveva detto ai detective di Boca Raton che una settimana prima era stato abbordato insieme con un suo amico in un bar e portato in una casa della zona sudoccidentale di Miami. Là sarebbero stati entrambi vittime di violenza sessuale. Poi il suo amico era scomparso. In quell'occasione non era stato fatto alcun tentativo per localizzare la casa. «Non è il nostro uomo», disse Lichteiman. «Perché no?» chiese Straub. «Il nostro uomo ha altro per la testa.». 10 DICEMBRE 14.30 Arrivò un altro pacco per Lichteiman. Questo aveva il peso e le dimensioni di un libro. C'era la possibilità che dentro ci fosse una bomba. Una volta dichiarato sicuro, fu inoltrato alla scrivania di Lichteiman. Il detective scostò la carta già aperta e si trovò di fronte a una videocassetta VHS Hitachi T-120. Si versò la quinta tazza di caffè, prese un paio di cracker dalla scrivania di una recluta grassa e portò la cassetta nella sala dei media al secondo piano. Nella stanza l'aria era viziata per il fumo e l'anidride carbonica lasciata dai partecipanti a un corso sull'uso delle armi. Sulla lavagna erano disegnate sezioni di proiettili dum-dum. Infilò la cassetta nel videoregistratore e si stravaccò su un divano per godersi lo spettacolo. Dapprima sullo schermo apparvero solo le macchie bianche e nere di un nastro non registrato. Aspettò, perché le immagini non arrivavano, premette il bottone per far avanzare rapidamente il nastro. Cominciò a delinearsi un'immagine, ma dapprima non riuscì a capire di che cosa si trattasse. La telecamera era puntata su qualcosa di indecifrabile. Gli oggetti si muovevano, poi furono a fuoco. Lichteiman individuò un pezzo di tappeto, qualcosa di bianco nell'angolo sinistro dell'immagine. Sullo sfondo si intravedeva del verde, come attraverso una finestra. La telecamera era puntata al suolo. Un uomo a piedi nudi entrò da sinistra nell'inquadratura. Poi una parte di tutte e due le gambe, fino a metà polpaccio. Poi il sonoro: un rumore lontano di uccelli e il sibilo di un respiro, una normale inspirazione ed espirazione. E poi la voce... «Ho bisogno di parlarle», cominciò la voce. «Ho bisogno di...»
Il computer nel cervello di Lichteiman cominciò a catalogare, definire, rivedere, correggere, confrontare, cercare, individuare la voce, l'età. Altri matti gli avevano già mandato delle cassette, ma mai video. Osservò i peli sulle gambe, controllò i piedi, se c'erano calli, com'erano le unghie, interrogò lo sfondo, gli alberi. Dov'è? Chi è? «Ho cercato di visualizzare il mio dolore», continuò lentamente la voce. Era faticosa, quasi un sussurro. «Nella mia testa c'è una grande vasca di pesci. Ho cercato di far uscire l'acqua sporca. Sono malato, Mr. Lichteiman. Il dottore mi ha detto... tanti giochi da fare con la testa, tanti... io pensavo di aver trovato un rimedio temporaneo. Avevo pensato di andare in un cimitero, ho bisogno di arrivare alla causa che è dentro di me. Lo so, sensazioni, sensazioni, non pensieri. Talvolta ho delle sensazioni che mi fanno pensare di avere un attacco cardiaco o un cancro. Le sensazioni rendono tutto molto reale; il dottore lo chiama il mio pentolone. Ho una serie di sensazioni molto forti... mi fa male la testa, Mr. Lichteiman, la parte sinistra della mia faccia sta perdendo sensibilità, ed è terrorizzante. Si riforma. Si sta riformando ancora, Mr. Lichteiman. Sento di dover andare da qualche parte e fare ancora qualcosa. Non sono io. Per un po' ho respinto giù la voce. Ci sono dei pezzi di me che mancano. Non sono in grado di... di vivere... loro, ma le fiche hanno sentimenti? Se io non piaccio a loro, è una cosa reciproca, la responsabilità non è più su di me.» La voce tacque. Le immagini continuarono. I piedi. Peli scuri sulle gambe. Marmo bianco. Probabilmente casa sua. Tappeto color vino, un grande ambiente, una striscia di piastrelle di cotto oltre la grande portafinestra. L'immaginazione di Lichteiman si spinse oltre, si allargò, tracciò linee parallele immaginarie che partivano dalle immagini sullo schermo per estrapolare l'ambiente. Oltre le piastrelle c'era un prato, sul prato delle ombre, le ombre di alberi. Tre forme sfocate: alberi di eucalipto, fronzuti, grandi, con la corteccia che si squamava, dei rampicanti riempivano uno spazio tra il prato e qualcosa. Un grande giardino. Uomini materiali. Denaro. Le gambe dell'uomo vibravano, tremavano un poco. I piedi si divaricavano lentamente. Altri rumori. La respirazione era cambiata. La voce di Amore: «Mia figlia...» La voce più debole, più bassa, ancora soffocata, nel tentativo di ottenere un tono disinvolto. «La bambina sta crescendo, diventa grande. Mia moglie dice che non le voglio bene, ma non sa niente. Non posso sempre mostrare quello che sento. Non l'abbandono. Tengo la luce accesa in corridoio e un cane accucciato davanti alla sua stanza. L'ho addestrato per difenderli, è pronto a saltare alla gola di
chiunque cerchi di far loro del male. C'è un altro cane, e qualche coniglio. Mi osservano. Non gli piaccio. Quando mia figlia piange, so che mia moglie si chiede perché non faccio niente per farla smettere. Perché la rendo triste e la faccio piangere? Ma ora i sentimenti di mia moglie vanno contro di me. Penso che dipenda dalla natura, che vengano prima i bambini. I miei bambini sono stupendi. La bambina si alza in punta di piedi per baciarmi. Quando non c'è mia moglie mia figlia mi ama. Capisce quello che provo. Quando mi guarda, mi sembra che mi perdoni. Non ho molto altro da dire. Non so molto altro. Mi spiace di dover parlare con lei, Mr. Lichteiman, ma so che dovrò fare quello che ho detto...» Natale. Lichteiman sentiva l'odore di Natale. Risentì il dolore, la disperazione nella voce di Amore. Le vacanze, il catalizzatore mortale delle vacanze. Arrivava Natale e lui non sospettava di nessuno. Nel 1976, a San Diego, Lichteiman aveva contribuito a restringere la lista dei sospetti perché uno aveva la moglie che si chiamava Natalie. C'erano state mutilazioni, aggressioni per tutto novembre e una parte di dicembre. Il responsabile aveva mandato dei biglietti, precisando il suo odio e annunciando che l'avrebbe uccisa il giorno del suo compleanno. E Lichteiman aveva individuato il marito di Natalie. Natalie, dal latino natalis: «Natale, o il giorno della nascita». Natalie, il nome più comune per le bambine nate nei giorni della più grande festa cristiana. Li ucciderai tutti, Amore? si chiese Lichteiman. Capitolo 11 14 DICEMBRE 10.00 Dalla grande finestra panoramica della loro stanza da letto, Marjorie osservava Jack dare gli ultimi ritocchi alla casa sull'albero dei bambini. Era felice di vederlo lavorare di martello e issare le tavole con l'aiuto di Tomás. Sapeva che l'attività fisica avrebbe allentato le tensioni interne. Il lavoro pericoloso, come arrampicarsi in alto o tenere le tavole mentre Jack le inchiodava, lo faceva per lo più Tomás. Era la prima volta che i bambini avevano avuto il permesso di arrampicarsi sulla scala di corda e di prendere possesso della loro nuova residenza.
11.00 «Vi piace?» chiese Jack, mentre si spostava da una parte all'altra della capanna per ribattere un centinaio di chiodi sporgenti. «Papà, qual è la cosa più brutta che ti è successa?» chiese Courtney. Era seduta in un angolo con in mano una perfetta riproduzione in plastica di un servizio da tè. «Non lo so», disse Jack. «E a te, qual è la cosa più brutta che ti è capitata?» chiese Danny a Courtney. «Oh, è stata alla televisione, un giorno che sono tornata da scuola: papà era in casa e io sono entrata e ho acceso la televisione... e c'era quella ragazza che uccideva la gente con un coltello, almeno sembrava un coltello. Alla fine è stata catturata dalla polizia. Si vede che sono andati in quel posto a mangiare e l'uomo vede una sua amica e finalmente la scoprono. E poi erano in una chiesa e quello di prima si accorge che era stata la sua ragazza a uccidere e allora torna fuori e dice agli altri: «Ehi, conosco quella ragazza. 'È un'assassina'. Allora la polizia entra, ma lei taglia la gola di un prete prima che la mettano in prigione.» «Non voglio che tu veda quella roba, Courtney», disse Jack, sempre martellando in un angolo della capanna dove i chiodi erano particolarmente storti. «C'è della roba peggiore nei libri illustrati», ribatté Danny ridendo. «Qual è la roba più brutta che hai letto in una fiaba?» chiese Courtney a Danny. «Non lo so.» «Ma è la Bella addormentata», disse Courtney con voce decisa. «La sai la storia della Bella addormentata, papà?» Jack si sforzò di sorridere: «Sì, l'ho sentita». «Dovete sapere che c'era questa ragazza», cominciò Courtney mentre cercava di sistemare in un altro modo le tazze e i piattini. «Era una bella ragazza e si chiamava la Bella addormentata. C'erano una volta anche i suoi genitori. La mamma si chiamava Clara e il nome del papà era Jake.» «È molto carino», ammise Jack. «Non ho mai saputo come si chiamassero i suoi genitori.» «Dice le bugie», fece notare Danny. «Non dico bugie, stupido. Clara e Jake si prendevano cura della Bella
addormentata finché un giorno, quando abitava al castello, successe qualcosa. Fece una passeggiata e incontrò la fata che era la sua madrina. La fata le ordinò: 'Vai a lavarti. E indossa un bel vestito nuovo'. Poi la Bella addormentata ricevette un bel vestito nuovo e disse alla fata 'Molte grazie'.» «Di' come va a finire», la sollecitò Danny. «Allora lei s'incamminò e vide quella bella casa. Pensava che fosse la casa della nonna. Così, bussò alla porta e chiese se poteva riposarsi. 'Chi è?' domandò una voce. 'È la Bella addormentata', rispose la Bella addormentata. Quando aprì la porta c'era un coyote! Un coyote con un arcolaio.» «Il mio maestro a scuola è un lupo mannaro.» «E questa è la fine della Bella addormentata», disse Courtney. Alla base dell'albero Samson cominciò ad abbaiare furiosamente. «Smettila», gli gridò Danny, tirando su una fune con attaccato il suo zaino. Poi si sedette in un angolo a giocare in silenzio. «Chissà se Sam qualche volta piange?» chiese improvvisamente al padre. «Tu che cosa ne pensi?» chiese Jack. «Oh, penso che i cani piangono», interruppe Courtney. «Io penso che piangono quando gli uccidono le mogli.» «O quando gli uccidono i cuccioli», aggiunse Danny. Jack rise. «Chissà se Samson qualche volta ha voglia di andare al ristorante?» scherzò. «Oh», gorgheggiò Courtney. «Mi piacerebbe andare a un ristorante di bestie, non a un ristorante di persone. Ci vuole un cartello con scritto si ammettono solo i cani.» «Secondo te Samson ama Sandy?» chiese Danny. «Oh, penso di sì, perché si sono sposati», rispose Courtney. «Penso che gli piacerebbe andare a cena e a ballare», continuò la bambina, non riuscendo più a controllare le risa. E Danny rise anche lui. I due bambini ridevano così forte che l'albero tremò. «Che cosa fareste se un lupo marinaro cercasse di arrampicarsi sulla vostra casa sull'albero?» chiese allora Jack. Danny lo guardò. Courtney divenne molto pensierosa. «Lo riempirei di botte», disse Danny. Marjorie era stupita che Carole Bender trascorresse tanto tempo con Rajweesk Bhagree Swahn. Ogni volta che uscivano per compere o a pranzo Carole citava il suo nuovo guru. «In un coito Tantra si può rimanere per ore con l'intera area vaginale che pulsa. Mi ha detto che per le donne il fine
è di essere così istintive, così libere dalla mente, da poter fondersi con il nostro destino ultimo... che come donne possiamo vaporizzarci e diventare grandi veicoli per arrivare all'essere supremo, e durante questo coito l'uomo può in realtà sparire nelle nostre braccia e diventare anche lui una porta per l'ente supremo. Ecco ciò che lui definisce sessualità. Questo è ciò che si considera la base della sessualità Tantra. È un ritorno alla nostra grande innocenza. L'assoluta unicità quando siamo puri come bambini è vedere l'amore e il sesso, il maschio e la femmina, per quello che sono sempre stati. Si è trovato uno bravissimo a leggere il passato, Marjorie. Devi andarci. Scoprirai di che cosa si tratta.» L'idea della «ricerca della Verità» che circolava a Beverly Hills aveva spesso colpito Marjorie per la sua bizzarria. L'uomo che aveva fatto il rapporto geologico per la sua casa le aveva confessato che colpevole di tutto era lo zucchero. Per vedere come avessero ragione i nutrizionisti psichici, aveva detto, non si doveva far altro che distendersi sul pavimento e appoggiare sul petto una tavoletta di cioccolato. Il cioccolato sul petto avrebbe causato una completa debilitazione, la perdita delle forze e l'immobilità. Il cioccolato è il demonio dei nostri tempi, le aveva detto. 16 DICEMBRE Carole portò Marjorie a colazione al Le Bistro insieme con uno dei suoi medium. A Marjorie l'idea non piaceva per niente, ma fu gradevolmente sorpresa quando si scoprì che il medium era una giovane donna dolce e carina che si chiamava Gow. Non fece molta attenzione alla conversazione senza senso delle due donne. Con i suoi occhiali da sole personalizzati e con un solitario da due carati, la medium sembrava saldamente radicata nella realtà. La storia aveva a che fare con i tarocchi e le candele, ma tutto sembrava gioviale e abbastanza divertente. Marjorie non si fece problema di prendere il caffè da sola con la signorina Gow mentre Carole correva a una liquidazione. Anzi si azzardò persino a chiedere alla medium se sapeva dirle che cosa c'era che non andava in tutti gli uomini del mondo. «Forse», sorrise la donna. «Penso che la maggior parte degli spiriti maschili che si trovano ora sulla terra sono molto incerti rispetto alla loro femminilità. Sono spaventati, questi spiriti maschili. Credono che tutto quello che è femminile voglia essere maschile. E ciò che è maschile voglia essere femminile. Gli uomini sono confusi. Sono feriti, risentiti e insicuri. Sono, nel più profondo senso spirituale, persi. Tutto il movimento delle
donne non è qualcosa di nuovo, ma parte del ciclo che esisteva già. Per capire questo movimento bisogna vederlo in termini politici, in termini di evoluzione e di sovrappopolazione. Si capisce anche meglio in rapporto ai disegni del mondo spirituale che pochi esseri sulla terra possono conoscere coscientemente.» «Secondo lei che cosa spinge un padre a voler far del male alla sua famiglia?» «Far del male? O voleva dire uccidere?» «Perché dice uccidere?» «Sento intorno a lei un'aura scura. È provocata da questa faccenda di cui parla ora.» «Le spiace rispondere alla mia domanda? Cosa può spingere un padre a voler far del male alla sua famiglia?» «Be', possono essere molte cose. L'aspetto distruttivo di tutte le nostre esistenze comprende molti impulsi complessi verso la crescita. Quando questo impulso diventa violentemente distruttivo, dobbiamo percepirlo come uno spirito che si è scatenato. Uno spirito scappato dalla luce. Ciò che dobbiamo vedere è che uccidere è un atto creativo. L'assassinio e la mutilazione sono atti di creazione deviati. Una confusione della creazione. Sappiamo che nel mondo spirituale ci sono stati moltissimi uomini che hanno ucciso tutta la loro famiglia. E noi lo consideriamo come un'indicazione che questi mariti e padri hanno raggiunto un certo livello di dolore. L'idea che facciamo del male solo alle cose che amiamo può spesso essere espressa dal fatto che noi uccidiamo quelli che amiamo. Non deve far altro che considerare la sua vita e vedrà quanto spesso ha fatto del male a quelli che amava. Talvolta ci si sente profondamente coinvolti con una persona, travolti dai sentimenti, immensi sentimenti che non possono essere interpretati in modo corretto dalla mente cosciente. Spesso il più pericoloso dei sentimenti è quello dell'inadeguatezza, perché il fallimento davanti agli occhi dell'amore può essere un grande dolore. Spesso, quando un uomo si erge per paragonarsi all'universo, si crea un profondo groviglio nell'animo spirituale. L'amore è la grande fonte della confusione. Oggi molti uomini sentono che la loro virilità è soffocata. Devono impegnarsi in una feroce lotta per mantenere viva la pura dimensione sessuale della virilità. Spesso questi uomini diventano satiri, conducono una vita sessuale straordinaria per mantenersi in contatto con quella virilità.» «Cosa farà mio marito?» chiese Marjorie direttamente. «Suo marito vorrebbe fare qualche cosa di grande», rispose tranquilla-
mente la medium. «Non crede più nella speranza. Considera la speranza un'illusione, Marjorie. Per tutta la vita è stato un sognatore, crede che l'unica sua speranza sia l'azione. Non ha trovato molto efficace sognare. Vedo la carta di suo marito, Marjorie. Vuole sapere qual è?» «Sì.» «La carta di suo marito è l'asso di spade. Vedo una mano che esce da una nuvola, brandendo una spada, la cui punta è circondata da una corona. La carta di suo marito è una carta di trionfo. L'eccesso in tutto, conquista e trionfo mediante la forza. La carta di suo marito è una carta di grande forza nell'amore come nell'odio, e sta in grande prossimità con il nove di pentacoli. Questa carta le da la risposta, Marjorie. È una donna con i'uccello sul polso, in mezzo a una grande abbondanza di vite nel giardino di una casa feudale. È una grande proprietà che suggerisce abbondanza di tutto.» La signorina Gow si interruppe per respirare profondamente. Marjorie sentì la tensione che impregnava l'aria e da qualche parte del ristorante udì piatti che cadevano e si frantumavano. «Perché si è fermata?» volle sapere Marjorie. «A causa di una visione, terribile e raggelante.» «Quale?» «È sicura di volerlo sapere, Marjorie?» «Sì», esclamò Marjorie con fastidio. «Vedo quello che tuo marito vuole da te.» «Che cosa?» «Il tuo utero. Tuo marito vuole il tuo utero.» 20 DICEMBRE MEZZANOTTE Qualcosa... Rumori. Marjorie alzò la testa dal cuscino allo strepito terrificante dell'interfono. Il rimbombo da incubo dei passi del mostro che si dirigevano verso la sua stanza. Sempre più veloci. Un bambino che piangeva. Stava arrivando qualcosa di terribile, come dei morti che si precipitassero fuori da un mausoleo. Danny urlava sempre più forte. Era più di un incubo, era una specie di principio d'isteria. Jack. La voce di Jack. Jack arrabbiato. Courtney che piange. «Gesù! Dio mio! Che cosa succede? Cosa c'è che non va?»
La mente di Marjorie lottò per riprendere pienamente coscienza. Un attimo dopo era fuori dal letto e correva attraverso il tappeto bianco della stanza. Danny le corse incontro, vacillando, scivolando e cadendo per terra. Si aggrappò alle ginocchia della madre, urlando di andare nell'atrio. «Svelta, mamma! Svelta! Vieni a vedere quello che fa papà. Vieni a vedere!» Dov'è Sam? La voce di Courtney che piagnucolava nell'interfono: «No, papà! No! Per favore, papà, no!» Sam! Sandy! Dov'è Sam?! Marjorie si precipitò nell'atrio. Per poco l'adrenalina le faceva scoppiare il cuore. Attraversò l'atrio, passando sotto il grande lampadario e volò per il corridoio che portava alia stanza di Courtney. Il braccio urtò contro la cornice della porta, fermandola e facendola rimbalzare nella stanza. Alla vista di quello che succedeva sul letto da casa da bambola rimase pietrificata, mentre le urla si trasformavano in tremito. Courtney giaceva sulla schiena, con la testa tenuta sollevata dal braccio del padre nudo. La guardavano tutti e due. Courtney piangendo, spaventata, incapace di muoversi perché il padre pesava su di lei. Era costretta a tenere le gambe spalancate, come quelle di una piccola bambola. Tese una mano verso la mamma. «Mamma! Mamma!» Era accecata dal terrore, si dibatteva mentre Jack premeva sulle sue spalle candide. Il padre teneva la testa appoggiata a quella della figlia e parlava. «Voglio entrare dentro di lei. Voglio entrare dentro di lei. Lei. Lei», sussurrava Jack. Le lacrime gli scorrevano sulle guance. Aveva un'aria stupita, patetica. «Aiutami. Aiutami. Voglio entrare dentro di lei...» Marjorie si mosse con rapidità. Gettò le braccia attorno alla bambina. La sollevò, liberandola e facendole quasi battere la testa contro la barra del letto. Si fermò un attimo, per sistemarsi la bambina in braccio. Poi abbaiarono i cani. «Voglio entrare dentro di lei, il mio cazzo dentro di lei, nella sua fica...» Inarcò in avanti il corpo nudo, offrendo la sua virilità, il supplichevole dono dei suoi genitali. Si piegò, afferrò il suo organo e cominciò a masturbarsi violentemente. «Lasciami entrare dentro di lei, ti prego, lasciami entrare...»
Marjorie si nascose in seno la faccia di Courtney e scappò dalla stanza. Prese Danny. Senza vestiti. Non c'era tempo per vestirsi. Giù per le scale, ringhiera a spirale di ferro battuto, attraverso il soggiorno, in cucina, le chiavi della macchina. Dov'erano le chiavi della macchina? La voce di Jack, che implorava nell'interfono: «Aiutami. Non lasciarmi, Marjorie. Voglio entrare dentro di lei. Voglio entrare in lei...» Marjorie trovò le chiavi nel primo cassetto del tavolo di cucina. Inciampando si precipitò verso le scale posteriori. L'ultima rampa. La porta del garage. L'aprì. Schiacciò il pulsante. La porta si aprì, le luci si accesero automaticamente. La Volvo. Fuori. I cani legati chissà dove, che abbaiavano, arrabbiati. Presto. Spalancò la portiera dalla parte del volante, spinse Danny sull'altro sedile. Si mise al volante, chiuse la portiera. Courtney era ancora avvolta intorno a lei come una bandiera, quando mise le chiavi nell'avviamento. Il motore partì, poi si fermò, poi partì ancora. Sam e Sandy abbaiavano... Uscì sulla strada a marcia indietro. Mentre faceva manovra, la luce dei fari colpì le finestre della stanza degli ospiti e si diffuse sullo stucco bianco. Nella finestra accanto, le persiane di legno aperte, incorniciato da uno scaffale di bambole, c'era suo marito. Faceva segni imploranti, appoggiato ai vetri. Il suo pene era enorme, schiacciato contro la finestra, e piangeva disperatamente mentre il seme sgorgava e andava a imbiancare il vetro. Capitolo 12 MEZZANOTTE Lichteiman non poteva dormire, non ci riusciva mai quando c'era la luna piena. Non teneva il conto delle fasi lunari, ma, anche se era in un albergo di Londra o a pescare in Canada, non importa dove, era sempre come se fosse nella sua stanza, a cercare di dormire sentendosi con il corpo inondato di caffeina. Si rigirava per tre o quattro ore, finché capiva. Si alzava al buio, tirava giù la camicia da notte, andava alla finestra. Apriva le tende, guardava in cielo ed eccola lì, la luna piena. Se era coperto, controllava. Quando era così agitato di notte, c'era sempre la luna piena. Non c'era niente di mistico o di speciale, niente di cui si dovessero prendere la briga di scrivere tutti quegli scienziati che si occupavano degli effetti lunari. Non
era nient'altro che un fatto della vita e in quelle notti l'unica cosa che poteva fare era ubriacarsi. E le sue sbornie erano sempre uguali: due bottiglie di champagne Korbel. Lichteiman si era ricordato della luna piena poco dopo mezzanotte e aveva cominciato a bere. Era uscito a sedersi sul muretto della sua casa sul canyon. Uno dei vantaggi di pesare come lui, aveva scoperto, era che qualunque cosa mangiasse e bevesse non poteva più mettere su altri chili. Teneva sempre nel freezer una mousse da ventisette dollari e se ne sarebbe mangiata una bella porzione coperta di cioccolato bianco. La bottiglia di Korbel era già a raffreddare nel secchiello argentato che aveva comperato a una svendita per sette dollari. E quella sera c'erano due buone ragioni per fare il pieno. Oh, c'era la luna e le cime delle montagne di Santa Monica spuntavano da una lingua di nebbia, ma al di sotto e al di là, metà della città era incendiata dalle luci. In lontananza poteva vedere gli aerei atterrare all'aeroporto e le luci dei condomini a Maria del Rey. Contro l'orizzonte si stagliava Palos Verdes, che si diceva stesse gradualmente sprofondando nel mare, e oltre c'era Catalina. Catalina con i suoi squali e Natalie Wood... sì, quella notte ci sarebbe stata una doppia sbornia: era il periodo di luna piena e il periodo del suo matto. C'era molto di Amore nel suo computer, nelle circonvoluzioni della sua mente. E presto, dopo qualche altro sorso di champagne, le molecole di alcol etilico si sarebbero scatenate nel suo cervello per procurargli visioni non tremendamente lontane da quelle del pazzo. Oh sì, pazzo. Mentalmente non stabile. Sconvolto. Di azioni ebeti, irrazionali, folli: abbiamo mangialo la folle Radice che imprigiona la ragione. Diavolo, Lichteiman sapeva di aver risolto la maggior parte dei suoi casi da sbronzo. E quando era ubriaco aveva l'abitudine di parlare da solo. Qualche volta si raccontava delle barzellette e rideva. Ascolta, la sai quella del tipo che aveva scommesso su un cavallo e durante tutta la corsa continuava a gridare: «Per favore, Dio; fallo vincere! Per favore, Dio, fallo vincere!» Ma sulla direttiva d'arrivo il cavallo era in testa per ventisette lunghezze e il tipo grida al cielo: «Okay, Dio, da qui in poi ci penso io». Ah, ah, ah. Bene, senti, Straub, senti, poveraccio biondo e di bell'aspetto: «Pensi di essere così in gamba, Straub? Che cosa fai stanotte, Straub, con quella tua Jeannette, quella moglie dalla faccia di topo e i tuoi figli addormentati? Chiedi a me il perché? Pensi che sarebbe ora che sapessi qualcosa delle motivazioni? Pensi che sarebbe ora che trovassi qualche cosa per prendere il nostro uomo?»
Lichteiman riempì la coppa e guardò fuori, verso il banco di nebbia che arrivava solo alle pendici del canyon. Io penso che tu sia laggiù, Amore. Che tu sia laggiù con il tuo boschetto di eucalipti. Cosa diceva sempre il buon vecchio frate cherubino di Siena? Che cosa diceva nelle sue regole del matrimonio? «Sgridala aspramente, tiranneggiala e terrorizzala, sii pronto a batterla per il bene sia suo sia del matrimonio.» Chi è che sventri veramente, mio Amore? Oh sì, conosciamo le tue vittime. Conosciamo il tipo di persone che scegli. Le persone che fai a pezzi. Deboli, dipendenti, donne con poche possibilità di scappare e di vendicarsi. Perbacco, te le godi. Ma dietro questi surrogati, Amore mio, chi è il vero bersaglio? Dovunque tu sia, laggiù, coi tuoi eucalipti e i tuoi piedi nudi, quando mutili qualcuno, chi è la figura immaginaria colpita dal tuo bisturi? A chi veramente strappi le interiora? Chi picchi? Qualcosa che ti sembra troppo critico nei tuoi confronti? Qualcuno che ti rende la vita intollerabile? Chi è il bersaglio della tua fantasia, Amore mio? Forse nella tua testa c'è l'Odio. Ma da me vuoi essere conosciuto come Amore. Be', capisco, ragazzo mio. Tu vai indietro e vorresti essere il mio bambino, mio figlio, e io sarò tuo padre, sarò per te qualcuno di forte, qualcuno in cui credere, che ti dica quali sono le leggi e ti punisca. Sarò per te autorità, ragazzo mio... Proprio ora stai preparando qualche cosa. E io non potrò fermarti, vero? Tu vuoi che io capisca che amavi tua moglie e i bambini, ma saranno vivi per dirmi se era vero? Adesso che sono ubriaco ti vedo in modo più chiaro che mai. Sto sempre aspettando. Sto aspettando... 0.10 «Cos'ha il papà?» «Il papà è matto?» «Perché il papà dice quella parolaccia?» I bambini stavano meglio. «Vedrete che adesso andrà tutto bene», continuava a dire Marjorie. «Adesso andrà tutto bene.» Mise una cassetta di canzoni per bambini nel registratore della Volvo e accese il riscaldamento. In fondo alla Valley svoltò per Coldwater e s'immerse nella nebbia marina che aveva incominciato a strisciare su per il canyon. «Allaccia la cintura di sicurezza! Danny, allacciala!» Gli diede una mano ad agganciare la fibbia.
«Io. Mamma. Lo faccio io», insistette Danny. Marjorie si piegò sul volante, accelerando, stando attenta alle curve. L'aria calda che entrava dalla ventola le infiammava il corpo e la faceva boccheggiare. L'eccitazione della fuga stava svanendo, mentre tornava il terrore. Che cosa sarebbe successo se Jack avesse preso la Seville? Se era dietro di loro? Con gli otto cilindri della macchina contro i quattro della Volvo non avrebbe fatto molta fatica a raggiungerli. Continuava a guardare nello specchietto retrovisore, con la paura di trovare il riflesso di due occhi infuocati. Pensò al falco, che si precipita su un gatto, su un grosso uccello, lo artiglia nella pancia morbida, lo porta in alto, settanta, cento metri, lo lascia cadere, perché si sfracelli al suolo senza un lamento. Poi discende. «Pasta per pasticcini. Son buoni i pasticcini...» «Mamma, papà poi guarisce?» «Mamma, per favore, torni indietro con la cassetta?» «... dicci come si va a Sesame Street...» Guarda nello specchietto retrovisore. Fari. Erano dei fari quelli che aveva dietro? No. Imboccando la Beverly Drive, suonò il clacson, pigiò sul clacson e urlò: «Polizia! Polizia! Aiuto!» ma niente polizia. E neanche macchine. In strada non c'era nessuno. E ciò che era peggio, non sapeva neppure se voleva davvero la polizia. «Perché vuoi la polizia, mammina?» «Non lo so, Danny.» Aveva bisogno di qualcosa di più della polizia. Di qualcosa di diverso dalla polizia. A quel punto li stava spaventando. Stava terrorizzando i suoi bambini. Doveva controllarsi. Senza staccare gli occhi dalla strada, schiacciò il bottone del cassettino dei guanti. Lo sportello si spalancò e rivelò un pacchetto di caramelle. Si era ricordata che c'erano delle caramelle. E c'erano sempre delle gomme. Doveva calmarsi per loro. Ma la sua testa non era ancora sotto controllo. Non si sarebbe avvicinato mai più ai bambini. Li avrebbe messi al sicuro. Non sarebbe rientrata; mai più. Il cervello la consigliava: Mio marito è fuori di sé. Non ho un attimo di pace. Non posso stare accanto a lui. Non m'interessa se ha un cancro al cervello. Mio marito con i suoi bei capelli scuri, i suoi profondi occhi appassionati, i suoi occhi appassionati, e smarriti. I suoi occhi che dicono aiutami. Sentì la nausea. Pensò di fermarsi a rigettare. Pensò di precipitarsi in una casa. Pensò perfino di andare al Beverly Hills Hotel. Avrebbe fermato di
fronte alla lunga pensilina, di fronte al portiere. C'erano tante vetture parcheggiate, l'albergo risplendeva di luci. Sarebbe scesa e tutti avrebbero visto la madre e i bambini in pigiama. La madre e i bambini senza il loro marito e papà. «Aiutateci! Aiutateci!» avrebbe gridato, ma sapeva quale sarebbe stata la reazione. Uno spaventoso imbarazzo. Superò il Sunset Boulevard, allontanandosi sempre da Beverly Hills. Li porterò a casa di amici. Quali? Lascerò i miei bambini a casa di amici. Ho bisogno di un posto. Ho bisogno di qualcuno. Qualcuno che non sospetti. Lo metteranno in una casa di cura. Ha bisogno di essere rinchiuso. Sarà rinchiuso. Lo aiuteranno. La luna piena proiettava l'ombra delle palme sull'asfalto. Sono in un luna park. Questo è un tunnel dell'orrore, un doloroso tunnel dell'orrore. Telefonerò al suo psichiatra. Mi dirà che cosa fare. I bambini mi guardano. Alzare il volume. Cantare. Cantare con loro. «Cantate. Cantate una canzone... cantate forte...» I miei bambini sono salvi. Non mi sta inseguendo. Non ha né una pistola né un coltello. Deve avere un tumore. Possono aprirgli il cranio e toglierglielo. Mio marito senza un pezzo del suo cervello. Senza la parte brutta. Ormai c'era gente, rideva, davanti al La Scala un valletto parcheggiava le macchine. Una piccola folla vicino ad Haagen-Däzs. Un valletto parcheggiava al Bistro Garden. Aveva iniziato a piangere. Le lacrime le scorrevano sul volto, ma i bambini cantavano. Erano preoccupati, ma cantavano. I suoi singhiozzi non si sentivano. Ho bisogno di aiuto. Ho bisogno di aiuto. Non posso affrontare questa cosa da sola. Non spetta a me. Il bar del R.J.'s. Sì, quello era l'angolo dove una volta aveva incontrato Madeline K. E a quell'altro angolo aveva visto Fred A. e uno degli Hardy Boys in coda al supermercato. Le boutique. Aiutami. Adesso aiutami tu. Sono io quella che ha bisogno di aiuto, non tu. Non tu. Basta con le liquidazioni. Lo sportello automatico alla First LA Bank. Oh sì, infilo la tessera, e batto il codice. Guarda, il Paris Institute, famoso in tutto il mondo, Florence Bouvier ti offre una bagnoterapia, il nuovo programma per dimagrire con l'idroterapia, oh sì, hai mangiato la loro insalata di pollo? Mio marito tutto imbarazzato con Liza Minnelli e Joel Grey all'inaugurazione del Greek. Quelle erano le vetrine che stavano guardando Neil Simon e Marsha. Mio Dio, che cosa farò? Cosa farò? Gesù! Che cosa farò? Se fosse andata dai vicini li avrebbe trovati. Avrebbe provato prima da Carole. Un posto per i bambini. Qualcuno. Joan Barron, dell'asilo di Roxbury! A Jack non sarebbe mai venuto in
mente. Girò il volante della Volvo. Benedict Canyon. Avrebbe preso Benedict Canyon. Appena oltrepassato Sunset Boulevard notò nello specchietto le luci di una macchina. Girò a sinistra sulla Lexington, poi a destra sulla Roxbury, ma l'auto era sempre dietro. 0.18 Jack era per terra in mezzo ai giocattoli. Poi riuscì a sollevarsi, a tenersi ritto, attraversò l'atrio, passò accanto al soggiorno e andò in bagno. Riposta in una busta di plastica c'era una notevole quantità di cocaina. La infilò nella tasca della sua giacca di renna, insieme con un flacone di Quaaludes puro che aveva comperato per l'evento finale. Aveva già macinato il Quaaludes con il macinino da caffè; più di trecento pillole erano diventate polvere bianca. Sapeva che era giunto il momento che quei due bianchi diventassero uno solo. Posò il sacchetto sul lavabo e con cura mescolò i bianchi cristalli luccicanti. Il dolore divenne troppo forte. Provò la polvere prima di portarsi sul letto. Per un po' rimase supino, con la testa sul soffice cuscino. Aprì la bocca, ma l'urlo gli si strozzò in gola. Sapeva che se avesse permesso all'urlo di venir fuori, sarebbe continuato all'infinito, e lo avrebbero sentito sulla luna. Invece, il corpo cominciò a tremare e scesero le lacrime, insieme con profondi singhiozzi. Poi giacque in silenzio, spaventato di aver urlato davvero. Qualcuno poteva aver sentito. La signorina Maggie poteva essere proprio dietro la siepe di oleandri. Ci fu un nuovo rumore misterioso. Un respiro. Qualcun altro respirava in casa, pensò in un primo momento. O c'è qualcosa sul tetto? No, è il riscaldamento. Il riscaldamento era acceso e l'aria calda usciva da due sfiatatoi. Non aveva mai provato tanta vergogna. Ti amo, Marjorie. Vi amo, moglie mia e miei bambini. Pensò vagamente che avrebbe dovuto abbandonare la casa, perché c'era qualche pericolo. Una parte della mente gli ricordava che era andato troppo oltre. Ma poi, nel suo cervello, gli si presentò una puttana. Era un sogno da sveglio. Era in casa sua, innocente, e la puttana lo molestava. Non ascolti i miei ordini... 0.20 Quando entrò nel Benedict Canyon, la macchina la seguì. Non voleva
che i bambini avvertissero la sua paura mentre il motore della Volvo arrancava sulla salita. La macchina dietro guadagnava terreno. Vai, macchina! Vai! L'auto dietro era più veloce, si avvicinava sempre di più. Pensò d'imboccare il viale di una villa, ma sapeva che finiva in un cancello chiuso. Pensò anche a Hillside. Troppi vicoli ciechi. Si sentì in trappola. Non conosceva abbastanza bene la zona. E poi c'era Ciello, non andava bene, troppo ripido. I fari della macchina dietro le furono addosso, grandi globi bianchi ipnotizzanti, si sentiva come su una pista di decollo, con un jet sul punto di investirla. Stava per scoppiare a piangere, quando l'auto la superò. Una coppia di messicani le lanciarono un'occhiata. Nel breve attimo che le furono accanto, le sembrò di cogliere sulle loro facce una punta di delusione. Rallentò, osservò i fanali posteriori della macchina uscire dalla strada, poi i messicani invertirono la marcia e discesero il canyon. Aveva dimenticato come i ricchi venivano rapinati in quella zona. I messicani non dovevano aver visto la marca della sua macchina. Probabilmente pensavano che fosse una Rolls-Royce o una Mercedes. Probabilmente erano disperati, perché per quella notte non avrebbero trovato un'altra vittima. Speravano d'inseguirla fino a casa, se solo avesse avuto l'aria di avere un po' di soldi. Le avrebbero lasciato schiacciare il controllo a distanza, e quando la porta del garage si sarebbe aperta l'avrebbero seguita dentro o l'avrebbero presa accanto alla casa. Allora anche lei invertì la marcia e ridiscese per il Benedict Canyon. Joan Barron sarebbe stata perfetta. Joan, a Bel Air con il marito Hal e i figli Jake e Jenny. Venivano anche loro da New York. Hal era sempre via a sciare o a occuparsi di investimenti nella Napa Valley o in un posto del genere. Joan, che odiava la California e si sentiva schiacciata, era in un certo senso molto competente anche se si trovava in una posizione frustrante sul tipo di quella di Marjorie: quella di essere una donna senza una grande preparazione per la carriera. Era anche la persona più adatta a cui rivolgersi all'una del mattino: Marjorie sapeva che era proprio il tipo di donna in grado di far fronte a un'emergenza. Tagliò per Camden, dove una casa era inondata dalla luce, mentre una troupe cinematografica stava girando. Svoltò a destra sul Sunset. Courtney le si era addormentata con la testa in grembo. Danny si era accucciato per terra sotto il riscaldamento. Gli piacevano i rifugi. La tenda. La casa sul-
l'albero. «Mamma? Che cos'ha il papà?» Per un momento Marjorie non seppe che cosa rispondere. Era come se gli avesse chiesto: Perché mangiamo le cotolette di vitello? o come fanno i raggi X ad attraversarti la bocca e a fare fotografie dei denti? «Ha una malattia, Danny», rispose Marjorie dolcemente, gratticchiandogli la testa. «Qualche volta il nostro cervello si ammala e abbiamo bisogno di un po' di medicina e poi tutto torna a posto. Papà ama davvero te e Courtney, ma c'è quella malattia.» «Mamma, aiuterai papà?» A questa domanda la sua testa si fermò. Il pensiero umano doveva farsi strada attraverso uno strato di nere sanguisughe primordiali. «Sì, lo aiuterò», si sentì dire. Quando arrivarono all'inizio di Bel Air, Danny si era addormentato. Rimasero ancora un po' sul Sunset, passando davanti al campus dell'università di Los Angeles. Doveva stare attenta a Club Drive. Svoltò troppo presto e si trovò nel labirinto di strade che si incrociavano nelle colline di Bel Air. Fortunatamente, trovò l'unico punto di riferimento che riconosceva ogni volta che andava da Joan Barron: una grande casa di mattoni stile inglese che era appartenuta a Dean Martin. Poi l'aveva comperata Tom Jones e poco dopo la morte di John Lennon vi avevano costruito intorno il più grande muro di mattoni che avesse mai visto. Sembrava una fortezza medioevale. Trovò Stratadella Road e finalmente raggiunse la casa di Joan. Imboccò il vialetto e i fari illuminarono le aiuole di rose e gigli. C'erano delle luci accese e un cervo scappò a precipizio dal giardino laterale per sparire sulla collina. Spostò delicatamente la testa di Courtney, per uscire dalla macchina senza svegliare i bambini. Salì. Per favore. Joan, sii a casa, per favore. 0.30 Jack era disteso tranquillo sul letto, ma la sua mente correva come un fiume, curvando, precipitando, ma non senza destinazione. I pensieri scorrevano tutti in una direzione, e lui sapeva che non ci sarebbe voluto molto prima che tutta la sua esistenza incontrasse la cataratta e precipitasse nel mare. Per un po' credette di essere uno spirito e si chiese che spirito fosse. Di qualunque cosa si trattasse, era entrata dai piedi e si era arrampicata fino al cervello come un mortale germe africano che aspetta di infilarsi nei
capillari per essere trasportato dal sangue fin nei polmoni. Dai polmoni poi esce e si arrampica attraverso la gola e finalmente viene espulso con un colpo di tosse. Fu allora, proprio allora, che la voce gli disse che era il Momento Decisivo. Quando gli fu chiaro, si alzò e si vestì. Quando fu sulla Seville gli venne voglia si usare il telefono. Non sapeva esattamente che cosa avrebbe detto, così la voce gli disse di prendere una grossa striscia di cocaina non tagliata: gli avrebbe dato energia, la vigilanza necessaria. Lista di controllo. Sì, aveva stabilito i contatti con i telefoni di casa; aveva messo in funzione tutto l'equipaggiamento necessario. Si era accorto che lei aveva ficcato il naso, ma sapeva di aver chiuso l'armadio della biblioteca che ospitava tutto l'equipaggiamento elettronico che la voce gli aveva detto di comperare. Non c'era altro mezzo per identificare e difendersi dai nemici dentro casa. Guidando si chiese: Dove? Avrebbe guidato a caso, finché non fosse stato pronto, finché non avesse avuto le informazioni di cui aveva bisogno. Marjorie, guarda, so che cosa senti, avrebbe continuato a parlarle. Sentiva che probabilmente lei poteva leggergli in testa, avvertire i suoi pensieri che uscivano dalla nebbia, i suoi pensieri che andavano a trovarla. Soprattutto voleva che lei sapesse che lui l'amava ancora, che amava i bambini, ma in quel momento vide una macchia sul sedile accanto. La toccò con un dito. Era piccola e appiccicosa. Poco più grande di un'unghia. Chi ha fatto questa macchia? Per un po' non riuscì che a pensare a essa, che diventava sempre più grande. Se ci fosse stata Marjorie, l'avrebbe picchiata perché lei avrebbe detto che non c'era alcuna macchia. C'è. E s'ingrossa, penetra nella pelle, impregna l'imbottitura. E tu non la vedi neppure, Marjorie! Non riesci a vedere quella macchia. Se non puoi vederla da sola, te la faccio vedere io. Devo metterti in ginocchio e sfregarti dentro il naso. È come caramello, Marjorie. È lo zucchero bianco della mia mela caramellata, e tu ti rifiuti di parlarne. Stai cercando di evitare l'argomento. Allora dovrò farti male finché non vedrai la macchia. La vedrai, e questa volta ammetterai... Prese una cassetta nuova e la infilò nel registratore. Schiacciò il tasto di registrazione, e mise a zero il contatore. Era una cosa troppo importante, perché andasse persa. Se lei non poteva sentirlo, gli avrebbe fatto sentire il nastro così non sarebbe stata costretta a frugare fra le sue cose. Sì, allora te lo dico, uno dei grandi segreti della nostra vita, Marjorie. Vedi, cara, il mistero dei nostri io è sparito. Adesso siamo entrambi testimoni del nostro inganno. Cerca di dipingere un urlo, Marjorie. Devi essere una ragazza in
un valzer e lasciarti andare. Devi danzare, e dal riso arrivare agli urli. Alzò il ricevitore e chiese un centralinista. «Sì, la polizia di Beverly Hills. Grazie. Pronto? Pronto? Sì, vorrei parlare con il detective Lichteiman, per favore. Sì, gli dica che sono Mr. Amore. Me lo trovi, per favore...» Sentì che passavano la linea, per un momento fu come se fosse entrato nei fili e arrivato fino al centralino, come se si fosse compenetrato elettronicamente con l'elettricità e il rame. Poiché era piena notte, sentiva tutti i suoni in modo distinto. Linea speciale. Era nella loro linea speciale e stava viaggiando veloce come la luce verso la casa di Lichteiman. Finalmente, la voce di Lichteiman. «Pronto? Pronto, Mr. Amore? Sono il detective Lichteiman. È lì, Mr. Amore?» La voce di Lichteiman lo eccitava. Poteva udire il whisky, i decenni di sigarette. «L'ho svegliata, Mr. Lichteiman?» «No, Amore, dov'è?» «In macchina. Sto parlando dalla macchina, Mr. Lichteiman.» «Sta andando?» Decise di non rispondere subito... ma la voce di Lichteiman continuò: «C'è qualcosa in particolare di cui vorrebbe parlare?» Silenzio. Sentì Lichteiman muovere il filo, spostare il ricevitore da un orecchio all'altro. «Forse è lei che la vuole parlare di qualche cosa», disse Lichteiman. «Possiamo forse parlare di quanti angeli ci stanno sulla capocchia di uno spillo? Immagino che tutti noi vogliamo parlarle, vero, Lichteiman? Voglio dire, non sono il primo, vero?» «Voglio che lei mi parli. È molto importante per me.» «Perché sono importante per lei?» «Be', penso che probabilmente siamo molto simili, forse. Penso che lei avrebbe bisogno di un amico. Vorrei parlare di come posso aiutarla, Amore.» «Be', io non voglio che lei parli di aiutarmi, Lichteiman.» «Di cosa vuole parlare?» Rise: «Voglio parlare de Il nome della rosa». Silenzio. Un colpo. «Il nome della rosa, il film?» «Vuole sapere su che macchina sono?» «Lei vuole dirmelo?»
«Perché non indovina, Lichteiman?» «Una Rolls?» «No.» «Una Mercedes?» «No.» «Ha dei problemi, stanotte, Amore? Vuole che ci vediamo?» «Ha ricevuto il nastro, i miei piedi?» «Sì. L'ho visto. Lei ha bisogno di aiuto, Amore. Lasci che la aiuti.» «No. Lei ha bisogno di aiuto, Lichteiman. Lei ha bisogno di sentire i rumori della mia macchina. So che stanno registrando, Lichteiman. So che state ascoltando il rumore delle frecce direzionali, della radio, ogni rumore del traffico intorno a me perché volete farmi del male...» «Mi ascolti, Amore, la sua testa. C'è qualcosa di diverso nella sua testa. È successo qualcosa che ha reso la sua testa...» «Mr. Lichteiman», cominciò, e sapeva di avere nella voce la furia di un killer, «ho dato loro un bambino che succhiava al petto. Ho dato loro uccelli e animali morti. Re Riccardo dopo la caccia. Dame e gentiluomini che sparavano alle carpe da una canoa. Ho dato loro un ragazzo in costume e due donne che si abbracciavano.» «È uno scrittore?» Jack appese, decidendo di aver parlato troppo a lungo. Stai ridendo, Lichteiman? Staccò di nuovo il ricevitore, e fece il numero delle informazioni. «Pronto. Informazioni? Vorrei sapere come funzionano esattamente le telefonate fatte da un'auto, dalla mia auto.» Una suoneria. Silenzio. Una voce. Pronto? «Pronto, sono di uno studio cinematografico. Sì, di uno studio. Mi sa dire se la polizia può rintracciare una telefonata fatta da una macchina? Sì, è per un racconto, un romanzo. E se è possibile, quanto tempo può parlare il mio personaggio prima di essere rintracciato?» La voce della centralinista: «Mi spiace, signore, ma non so come la polizia faccia a rintracciare una telefonata da un'auto. Dovrebbe chiedere al commissariato». «Grazie.» Riattaccò, poi telefonò a un'altra centralinista. Bene. «Il dipartimento di polizia di Los Angeles, per favore.» «Qualche sezione in particolare?» «Come sono sulla guida?»
«Sotto Hollywood.» «C'è una sezione comunicazione?» «No, c'è solo il numero delle informazioni in generale.» «Me lo dia.» Fece il numero. Finalmente la voce di un uomo. Un uomo avrebbe saputo rispondere. «Pronto, sì. Non so se può aiutarmi. Sto lavorando a un romanzo, un personaggio telefona alla polizia da una macchina... esiste qualche tecnica per rintracciare la telefonata?» «Certo.» «È una cosa come nell'esercito, quando rintracciano i segnali? Non ho idea come funzioni.» «Non conosco i particolari...» «Le spiace mettermi in comunicazione con la sezione che li conosce? Ma lei pensa che possano trovare la macchina, scoprire in quale direzione si sta spostando? Sì, ma hanno bisogno del tempo. Capisco. Sì, tempo.» «In che zona si trova?» «Beverly Hills.» «Le consiglio di chiamare la stazione di polizia di Los Angeles ovest, ma lunedì, durante il giorno, quando il personale è al completo. Saranno in grado di rispondere a qualsiasi domanda.» «Grazie molte, buonanotte.» «Buonanotte.» Era all'incrocio del Santa Monica Boulevard con la Doheny. E si dirigeva a est. Arrivato a Fairfax, incominciò di nuovo a piangere. Cercò di non vedere quelle figure che facevano l'autostop, né le forme nei portoni neri contro i pali del telefono. Alcune erano distese sulle panchine alle fermate degli autobus, e agli angoli ce n'erano gruppi di tre o quattro. Alcuni non sembravano avere più di tredici anni, certamente non più di quindici o sedici. Un ragazzo coi capelli tinti. Alcune lesbiche erano illuminate in un caffè. Tutto era troppo triste. A un semaforo notò un ragazzo, forse di quattordici anni, seduto su un'inferriata. Sembrava tubercolotico, anemico, così trasandato da rasentare la putredine. Sorrise, e si aprirono larghi spazi fra i pochi denti marci rimasti. I capelli erano senza vita, come se si sottoponesse a una terribile cura per la leucemia. Poi continuò a guidare. Quanti ragazzi tristi, molti di loro sarebbero morti prima di arrivare a vent'anni. Sarebbero stati trovati in piscine, pieni di droga, distrutti da quella vita di sodomia. E tutti, la polizia, i preti, i rabbini, i ricchi, sapevano che c'erano. Tutti sapevano che quei bambini erano
lì, ma nessuno sapeva come arrestare la distruzione dell'infanzia. Questa infanzia morente... Parte terza Capitolo 13 Marjorie era stata lì quando Joan e Hal erano stati sul punto di separarsi. Le due donne si erano sedute sulle panchine accanto alla vasca di sabbia dell'asilo di Beverly e si erano scambiate opinioni sui film, sulla pipì a letto e su tutte quelle madri terribili che mandavano i figli a scuola con gli autisti. Si ricordava che Joan le aveva confessato che da ragazza i film erano stati tutto per lei. Erano stati la sua gioventù, la sua infanzia. Ma quello che Marjorie ricordava meglio era il giorno in cui Joan le aveva telefonato implorandola di andare da lei. Hal le aveva detto di non essere più sicuro di amarla. Che era stanco di un matrimonio fatto di ripicche. «Tu non mi ami», le aveva detto. «Il nostro matrimonio è come una corsa di cavalli!» 1.10 Si aprì la porta. Joan sembrò per un attimo sorpresa, e Marjorie si rese conto di essere ancora in camicia da notte. Poi Joan dovette leggere nei suoi occhi la paura; si diede da fare per aiutarla. Marjorie prese in braccio Danny. Joan, Courtney. Entrarono in casa dal piccolo ingresso di sinistra. Poco dopo i bambini erano sistemati accanto a quelli di Joan. Non ci furono domande. Dopotutto, era chiaro che si prospettava un altro divorzio. La madre e i bambini in fuga. Comportamento criminale del marito. Joan fece di tutto per rassicurare Marjorie, riempiendo le pause imbarazzanti. «Puoi fermarti quanto vuoi, non ci sono problemi. Il mese scorso mio marito ha cercato di darmi una sberla, ma l'ho messo a posto. Ho scoperto che sono più forte di lui. Una volta al mese gli tiro dietro qualche cosa, per tenerlo in esercizio. È a Gardena a giocare a poker. Starà via tutta la notte. È una nuova abitudine; con le sue conoscenze di lavoro. Mettono in fila sei bottiglie di vino come in un congresso di assaggiatori. Finiscono tutti ubriachi.» Joan preparò il caffè e si sedettero a berlo in cucina, nell'angolo del breakfast. Nessuna domanda sui particolari. Lasciò che Marjorie dicesse
quello che si sentiva; scherzava, cercava di confortarla. «Sì, mariti; cosa dobbiamo farne? Ho fatto un corso di tecnica immobiliare all'università. Si è sentito così minacciato che ho pensato che volesse uccidermi. Non posso dire che non faccia del suo meglio; una sera ha preparato la cena. Per poco gli ospiti stramazzavano morti per una cosa che lui chiamava stufato, ma almeno aveva fatto uno sforzo. Penso che vada ancora in giro a scopare, ma quando è a casa si sente più a suo agio. Ho cercato di mettere un po' di vita nel nostro matrimonio. Per Ognissanti ho perfino combinato una festa in maschera. La cosa non l'ha divertito. E poi il consigliere ha detto: 'Senta, Mrs. Barron, la smetta di dedicare il cento per cento delle sue energie a cercare di fargli piacere. La smetta di lamentarsi di lui con i bambini. Ha bisogno di riposarsi, pensare alla salute e non dare tutta questa importanza alle macchine e all'arredamento. Dovrebbe essere più indipendente. Dovrebbe imparare "a spendere con più oculatezza, a vivere con meno. Cominci a pensare ai trasporti pubblici e alle scuole pubbliche. Pensi a un parrucchiere più a buon mercato. Impari a badare più a se stessa. Ad aggiustare il rubinetto, a far quadrare i conti, a dire di no ai venditori! Vada in giro da sola. Si faccia una nuova amica...'» Mentre Joan parlava, Marjorie cominciò a vedere le cose con più chiarezza. Ogni volta che le veniva offerta la camera per gli ospiti, diceva che non sarebbe stato necessario. Sarebbe bastato che potessero rimanere Danny e Courtney. Lei doveva fare ancora delle cose. L'indomani ci sarebbe stata la scuola. Scuola? Sono pazza? I bambini avevano bisogno dei grembiulini. Non si poteva andare a scuola senza grembiulini. Si fece prestare un vestito vecchio e delle scarpe. No, Joan, Jack non mi ha picchiato. Una volta che i bambini erano al sicuro, non aveva stranamente paura della violenza fisica del marito. Avrebbe dovuto chiamare lo psichiatra, il dottor Dorin. Avrebbe cercato il numero sulla guida e gli avrebbe chiesto che cosa fare. Ma non aveva il diritto di spiattellare tutto a Joan. I sintomi vergognosi della malattia. Cose che non sarebbe neppure riuscita a proferire; fino a quel punto Joan era andata bene, ma ormai Marjorie aveva bisogno di qualcuno di più solido. «Pensi davvero di rientrare stanotte?» le chiese Joan. «No. Ma devo parlare a qualcuno. Con i bambini qui, andrà tutto bene», rispose Marjorie. «Ma non dire a mio marito dove si trovano. Se per qualche ragione devi telefonare a casa mia, non dirgli chi sei; non parlare neppure se non sono io a risponderti.»
Poi ci fu il fuoco di fila dei consigli giudiziosi: Sembri molto spaventata; aspetta fino a domattina; telefona alla polizia. Poi probabilmente Joan riuscì a vedere che Marjorie l'implorava in silenzio di smetterla. «Non preoccuparti per i bambini, Marjorie», promise. 1.45 Marjorie ritornò sul Sunset Boulevard e si diresse a est. Aveva bisogno di Carole.. A lei poteva rivelare tutto senza avere paura, senza temere di scandalizzarla. Non doveva neppure temere che la cosa circolasse in società, perché era molta la gente che non voleva aver niente a che fare con Carole. Pensò di telefonarle da quella cabina all'angolo fra il Canon Boulevard e il Sunset Boulevard. Oppure da quella fuori dei bagni sul Santa Monica Boulevard. A quell'ora erano pericolosi tutti e due. Allora andò avanti, uscì dalla Sunset e incominciò ad arrampicarsi per la Trusdale Avenue. Si sorprese di trovare a casa di Carole le luci accese in piena notte. Quando rispose alla porta, Carole era ubriaca. «Cosa c'è? Qualcosa da bere? Vodka? Vuoi della vodka?» Era come entrare in un sogno al rallentatore. Carole, col suo giovanotto scuro disteso accanto al camino in blue jeans e stivali da cowboy. Carole, coi suoi dieci centimetri di tacchi di argento, i pantaloni di pelle nera e una camicia bianca piena di giaboux. «C'è stata una festa per Stella... con tutti i suoi studenti. Parlava di Goldberg, l'agente, è stata davvero una cosa perversa.» Carole, mi spiace d'interrompere...» «Non importa.» Carole si affacciò al salotto e disse: «Cosce d'oro, io e Marjorie dobbiamo parlare per un po'. Resta nei dintorni». Andò in cucina a prendere dell'altro ghiaccio e trovarono un posto appartato all'ombra. Al di là di un arco c'era il bianco abbagliante del soggiorno; Marjorie snocciolò i fatti e Carole l'ascoltò senza turbarsi. Come Marjorie sapeva, per lei le bizzarrie erano il pane quotidiano. Si versò la vodka. «M'immaginavo che tuo marito fosse un piscione, ma non nel latte. Hai mai provato a dirgli: 'Ehi, Jack, per favore, non urinare nel latte di famiglia!' o, se tu fossi stata saggia, avresti comperato più latte e gli avresti detto qual era quello dove poteva pisciarsi la vescica, se voleva.» Carole sorrise. Prese una mano a Marjorie. «Sì, puoi dire che è un esaurimento nervoso, ma io non penso che sia l'unico marito che pisci nel
latte di famiglia. Di questi tempi non fanno altro che pisciare. Oh, sì, sono sicura che hanno qualche cosa che non va nel cervello...» Marjorie raccontò tutta la storia, tutti i perché che l'angosciavano. Suo marito aveva bisogno di aiuto. «Voglio una risposta.» «Be', lasciami dire che anche se non penso che sia la cosa più depravata del mondo pisciare nel latte, sono convinta che tu abbia dei grossi guai. Non starei molto a guardare se è perché avesse bisogno di aiuto o meno. E tu stai a preoccuparti pensando a come fare per aiutarlo? Considera che probabilmente ha preso atto che tu te ne sei andata. Io non mi ci ficcherei dentro più di così. Tu hai paura che dica: 'Perché te ne sei andata, Marjorie? Perché il toast era bruciato?' 'Non è perché cercavi di scopare la tua bambina di quattro anni'. Non credo ci sia molto da discutere. Te ne sei andata perché era ora di farlo. Non credo che sia una cosa su cui ci sia bisogno di ragionare molto. Se non capisce che cosa c'è che non va, diglielo.» Spalancò le braccia e abbracciò Marjorie. «Non pensi che non dovrei sentire solo odio nei suoi confronti?» «Oh, penso che tu dovresti sentire una grande pietà, ma lasciare che la pietà vada a cercarsela altrove. Marjorie, quello che mi hai descritto non è solo un po' strano. È una cosa piuttosto tremenda», continuò Carole, riempiendosi il bicchiere di vodka. «Non diventare matta, lascia che si faccia mandare tutte le bambine di quattro anni che vuole dalle agenzie. Non c'è bisogno che tu provi compassione. Tuo marito è molto ammalato. L'avevo già annusato da tanto tempo. Non m'interessa se c'è qualcosa che non va nel cervello, se ha un tumore grosso come un carciofo.» «Dovrei telefonare al suo psichiatra.» «Oh, io telefonerei allo psichiatra e gli direi: 'Gli tiri fuori il tumore dal cervello'. Ma una cosa non devi concedergli, il diritto di vedere i bambini. Non deve vedere la figlia la domenica. Non è una cosa molto complicata. Tu non hai niente contro di lui, ma i bambini non li vede se non ci sono le guardie armate. Se ci sono due tipi con la pistola che gli sparano appena mette un dito addosso alla bambina, allora va bene.» «Forse potrei fare qualcosa che...» «Marjorie, le tue ipotesi sono straordinarie. Ah, t'implorava, coi suoi grandi occhi neri, piangendo: 'Aiutami! Aiutami!' No, Marjorie, no. Che si prenda una bambola gonfiabile e la faccia finita.» «In realtà non le ha fatto niente. Ha...» «Marjorie, non tornerei mai più da lui. Non lo salverai. Non riuscirai più
ad avere fiducia in lui. È finita, kaputt! C'è solo un motivo per cui dovresti tornare là ora, ed è portar via tutto quello che hai di valore. E quando dico ora, voglio dire in questo istante. Hai gioielli, argento, vestiti e un visone. E adesso noi ci andiamo. Lui è il tipo che esce. È il tipo che si merita il dolore.» Carole era già in piedi e si dirigeva a piccoli passi rapidi verso il soggiorno. «Prenderemo due macchine», insistette. «Se è proprio fuori di testa avremo un sacco di spazio per caricare la tua roba.» 1.50 Jack si fermò da Rand's, vicino all'angolo fra la Wilshire e la Westwood, di fronte al cinema multisale. La realtà di aver fame: un hamburger special affogato nelle cipolle fritte, nel formaggio e nel ketchup. Sulla parete accanto a lui passeggiava uno scarafaggio. C'erano pochi vecchi, poveri pensionati soli come cani che si preparavano i toast sul tostapane che c'era su tutti i tavoli o sorseggiavano il tè dell'insonnia. Accanto a lui una donna, che sembrava appena scappata da Bedlam, beveva acqua calda. Mangiò il suo hamburger in silenzio e quando ebbe finito ordinò un caffè da portar via e lo sorseggiò mentre percorreva il vialetto non illuminato che conduceva al parcheggio. Il grande spiazzo costeggiava il cimitero di Westwood, e Jack sapeva che a dieci metri da lui c'era la cappella che conteneva il corpo di Marilyn Monroe e centinaia di altri corpi impilati l'uno sull'altro. Un ricordo gli guizzò nella mente. Era andato a Forest Lawn, con le sue cripte sotto la Casa della Resurrezione. Tende che si aprivano, musica registrata; la visione di una riproduzione su vetrata dell'Ultima Cena. Salve, guardia, sì, stiamo entrando... 2.15 Marjorie percorse tutta la Loma Vista, poi imboccò la Coldwater dietro la Mercedes scoperta di Carole. La capote era nel bagagliaio, in caso piovesse. L'amico di Carole era troppo «fatto» per andare con loro. Quando arrivarono, la nebbia aveva avvolto completamente la Valley Road. Marjorie si sentì sollevata nel vedere che la Seville non c'era. Sentì Sam e Sandy abbaiare sul retro. «Scommetti che quel figlio di puttana ha portato via tutto», disse Carole,
entrando per prima dalla porta laterale. Controllarono le stanze, gli armadi, in giardino. La casa era vuota. Marjorie lasciò entrare i cani. Anche se avrebbero fatto a pezzi la casa, lei aveva bisogno di protezione. Trovò il numero dello psichiatra nello schedario in biblioteca. Telefonò, sapendo di poter parlare solo col centralino del servizio d'urgenza. «Centralino del dottor Dorin. È per un'emergenza, signora? Sono le due del mattino.» «Be', sì, è un'emergenza. Mio marito è un paziente del dottore. Abbiamo avuto dei problemi. Ho bisogno di parlare al dottor Dorin. No, non posso aspettare fino a domani mattina. Le sto dicendo che è un'emergenza...» Carole strappò il ricevitore dalle mani di Marjorie. «Senta, pezzo di cretino, chiami subito il dottore. Noi aspettiamo qui al 276-9059. Lei gli telefona immediatamente e gli dice che Jack Krenner è andato fuori di testa e che se non vuole trovarsi sulle costole un bel processo deve telefonarci immediatamente!» Carole riappese e si diresse al mobile bar. «Speriamo che ci sia della Stolichnaya.» «Intanto prendo i vestiti dei bambini.» «Oh, un momento di calma», ordinò Carole. «Prima di tutto tu prendi i suoi di vestiti e li impacchetti e li metti fuori della porta. Domani mattina andiamo a prendere i bambini e li portiamo qua insieme con un paio di guardie private e una mezza dozzina di dobermann.» Trovò la vodka e il ghiaccio e si versò un bicchiere. «Non è mai stato violento. Anche con Courtney implorava, supplicava, Courtney piangeva per la paura, non perché lui le facesse davvero male. Non penso che farebbe mai del male ai bambini.» «Marjorie, non gli devi niente. Devi farlo ricoverare. Devi liberartene. Dov'è la cameriera?» «Ha il giorno libero.» «Non ce l'ha più. Chiamala. Dille di correre subito qui. Basta giorni liberi finché non troviamo una guardia del corpo. Solo quando sarà chiuso dietro un bel recinto di filo spinato, pieno di psicofarmaci, potrai dire che non è violento.» 2.30 Era appena risalito in macchina quando lampeggiò la spia del telefono: a
casa qualcuno stava telefonando. Sollevò il ricevitore. Fu contento di sentire la voce di Marjorie, contento che fosse tornata a casa. Aveva bisogno di sapere dov'era, di sapere se i bambini erano ancora con lei, perché avrebbe dovuto occuparsene prestissimo. Poi sentì la voce nello sfondo, un'altra donna. La sentì venire al telefono. Sentì la sua bruttezza, la sentì ragliare ubriaca alla segreteria telefonica del dottor Dorin. Aveva sentito quell'odio corporeo già con altre donne di quel tipo. Sapeva quando gli si avvicinava una donna del genere, sentiva perfino se lo stava guardando. E qualche volta, quando Marjorie diventava sgradevole, provava la stessa sensazione. La telefonata finì e la spia si spense. Meglio ritornare subito. C'era troppo lavoro da fare. Il dottor Dorin chiamò dopo dieci minuti. Marjorie cominciò a dirgli che cosa aveva fatto Jack, che cosa era successo. Ma i nervi le cedettero e il dottore dovette interromperla tre volte per capire quello che stava dicendo. «Mrs. Krenner, suo marito è venuto da me solo tre volte.» «Mi ha detto che veniva tre volte alla settimana.» «Mrs. Krenner, è più di un mese che non lo vedo.» «Dottor Dorin, non so che cosa fare. La prego, mi dica che cosa fare.» Carole era diventata attenta. Fissava Marjorie negli occhi. Bevve un altro sorso di vodka. Marjorie balbettava. «Ma dottor Dorin, lei gli ha parlato. Dottor Dorin, il suo problema. Lei deve conoscere qual è il suo problema. Capisco la riservatezza professionale, ma lei non capisce cosa ha cercato di fare a nostra figlia!» Carole le strappò il ricevitore. «Senta, dottore, sono un'amica di Mrs. Krenner e Mrs. Krenner è molto sconvolta. Sappiamo che il marito ha dei problemi seri, così non ci venga a raccontare storie di segreto professionale. Lei ha incontrato quel matto tre volte, sa che cos'ha che non va, o almeno ne ha un'idea, e farebbe meglio a dircela.» Marjorie cercò di riprendere il ricevitore, ma Carole non glielo permise. Cambiò registro, cercando di essere gradevole. «Senta, dottore, non l'ha mai picchiata, non ha mai picchiato neanche i bambini, dottore, le sto dicendo che non è un problema personale tra marito e moglie, in questa storia non c'è più niente di personale... sì, certo che ricorrerà al tribunale. So che è un suo diritto e so che lei ha ragione, e so anche che sono affari suoi! Adesso senta, brutto stronzo, lei se ne freghi se ricorre in tribunale oppure no. Perché penso che quell'uomo è. molto, molto malato e io non ho tutta la sua pazienza, la sua esperienza e l'allenamento ad ascoltare stronzate.
Quello che voglio sapere è se dobbiamo essere pronti a tagliargli le balle se ritorna qui. Sono riuscita a spiegarmi, dottor Dorin?» 2.40 Jack, con il ricevitore comodamente appoggiato alle spalle, ascoltava la voce di quella brutta, brutta donna, mentre svoltava dal Sunset Boulevard nel Roxbury. Molto sgradevole. Sulla destra c'era la casa di Jimmy Stewart. Aveva sempre pensato che fosse una delle case più belle fra quelle giù in basso. La terra era stupenda, con l'angolo vicino alla casa pieno di alberi e di fiori, di magnifici cespugli fioriti; quell'inverno tiepido aveva fatto sbocciare le azalee. Sì, una volta in quell'angolo c'era una casa e il padrone aveva un albero e le foglie cadevano nella piscina di Jimmy, e a Jimmy questo non piaceva. Jimmy allora chiese a quel signore se poteva potare l'albero in modo che le foglie non cadessero nella sua piscina, ma il vicino gli aveva risposto: «No, arrangiati, Jimmy». Così, quando la casa era stata messa in vendita, Jimmy l'aveva comperata e abbattuta per farne un giardino. Ormai non ha più da preoccuparsi delle foglie nella piscina... e.... Brutta donna... Brutta... Quella voce gli aveva ferito le orecchie. Imboccò la strada delle colline. 2.50 «Tu hai bisogno di un caffè. E io di un'altra vodka.» Carole la mangusta: l'immagine passò veloce nella testa di Marjorie. La mangusta, sempre pronta ad attaccare una vipera di marito. Carole aveva acceso un fuoco di ceppi di eucalipto nel camino del tinello; vi si era raggomitolata davanti. «Conosci la moglie di Grugman», continuò, «il tipo dell'immobiliare. Lui voleva restare in casa, ma noi l'abbiamo messo fuori. È l'unica altra moglie che io abbia conosciuto che volesse andarsene di casa. Il colpevole è lui, non tu. Tu dormi nel tuo bel letto comodo, che vada lui all'albergo. È già fortunato che non debba dormire su un pagliericcio pieno di pulci.» «Forse non avrei dovuto tornare», azzardò Marjorie. «Stai scherzando? Se sua sorella Bernice sente odore di divorzio, arriva
col primo aereo di domani mattina. Si piazza qui e si appropria di tutte le cose su cui può mettere le mani.» «Non m'importa della mia roba. È dei bambini che m'importa. Devo essere impazzita completamente, perché l'unica cosa di cui mi preoccupo adesso sono le uniformi per la scuola», disse Marjorie, ridendo nonostante tutto. «Mi preoccupo di tutte le cose di cui potranno avere bisogno...» «Tu resti qui e non pensi a niente del genere. Se ti senti più sicura, lascia che i bambini stiano lontani per un paio di settimane finché non gli praticano una lobotomia o quello che devono fargli...» «Sono spaventata, Carole.» «Senti, ti ha inseguito con la pistola? Voglio dire, ha cercato di strozzare Courtney?» «No.» «Quando mi sono scontrata con lui alla festa, ho visto che dentro di sé tremava. Riesco a leggergli dentro. Probabilmente ormai ha già lasciato lo Stato.» «Come fai a saperlo? Può fare qualsiasi cosa. Io non so.» «Se te ne vai, perdi il diritto su tutto ciò che c'è in casa...» «Non voglio restare qui. Qualcosa mi dice che non devo.» «Perché no? Perché non dovremmo restare qui? Cara, tengo d'occhio la casa con un fucile a canne mozze. Se ritorna gli trancio le gambe.» «Joan mi terrebbe a casa sua. Potrei star là con i bambini.» «Tesoro, scherzi? Lasci cinquecento metri quadrati tuoi, per andare nella camera degli ospiti di un'altra? Ne ho sentite di punizioni crudeli e innaturali, ma tu le superi tutte. Questa è casa tua. Lui non se la merita più. Ha perso i suoi diritti. Domani la trasformiamo in un bel fortino finché l'arrestano o gli capita quello che gli deve capitare. Tu lo denunci, devi farlo. Non sei tu la criminale. Non è colpa tua. Tu non hai fatto niente di male. Perché dovresti scappare?» Carole abbracciò ancora Marjorie e per un momento le si lesse invece negli occhi quanto fosse preoccupata. L'acqua cominciò a bollire e le due donne si spostarono in cucina. Marjorie prese una bustina di tè e la immerse diverse volte in una tazza di acqua calda. «Dovresti farti mettere davvero un becco a pressione per l'acqua calda. Telefono a Joey, posso?» sussurrò Carole. «Certo.» Carole compose il numero appoggiata al tavolo di cucina illuminato al neon, mentre Marjorie ritornava in tinello. Si trovò davanti agli occhi la
galleria dei ritratti di famiglia. I Krenner ad Atene, i Krenner a Mosca, sembrava che i Krenner fossero dappertutto. Le fotografie terminavano con due grandi manifesti incorniciati d'argento con delle carte d'Etiopia che si erano portati dietro da New York. A Marjorie si presentarono ricordi più dolci del marito. Jack Krenner, il buon marito, il buon padre. Altre fotografie, altri ricordi. Jack che teneva in braccio il piccolo Danny di fronte alla chiesa del Sacro Sangue di Leningrado. Jack e Marjorie coperti con ghirlande di fiori. Jack e Marjorie sulla barriera corallina con Bora Bora sullo sfondo. E mentre facevano delle cose insieme. Bei tempi. Jack con Courtney e Danny di fronte all'Acropoli. Forse, se si fosse rimesso, le cose potevano ritornare quelle di una volta. Non era diventato pazzo da solo. Capitolo 14 3.00 Jack entrò con la Seville in una strada senza sbocco non illuminata sulla Loma Vista. La spia del telefono si era accesa, segnalando che qualcuno in casa stava telefonando di nuovo. Alzò delicatamente il ricevitore e sentì la voce di una donna. Non era Marjorie. Un altro attimo. Sì, la brutta donna, che parlava a un giovanotto «fatto». Carole ubriaca a casa sua. E l'ubriaca Carole che diceva che non poteva andarsene. «Senti, è la mia migliore amica, e sua marito è proprio matto. Voglio dire è una ragazza dolce, adorabile, con dei bambini adorabili. È sposata a questo...» Carole l'ubriaca sussurrava, sussurrava nel telèfono al suo giovanotto. «Tesoro, non posso venir via. Devo restare. È spaventata. A quell'uomo manca davvero una rotella.» Mentre ascoltava, Jack si sentì formare in gola un'imprecazione. Cercò di pronunciare la parola, ispirato dalla voce della donna. Un'invettiva contro quella donna a casa sua, che diceva delle cose a sua moglie, che diceva delle cose su di lui, a sua moglie, a quell'uomo. La frase. La parola divenne una frase. Se senti che una parola non riesce a venir fuori, non devi far altro che trasformare il tuo «IN CULO» in un suono. È un suono quello che emetti. Non dici la parola, emetti un suono... Coprì con la mano il trasmettitore, tremando mentre il suono incominciava a formarsi. Poi il rumore nella macchina fu così forte che dovette riattaccare. Riprese a guidare, scendendo la collina verso il Sunset Boulevard. Quando la spia si spense, seppe che la donna cattiva aveva finito. Staccò di nuovo il ricevitore. La centralinista, poi il centralino della poli-
zia. Finalmente, la voce di Lichteiman. «Pronto?» «Diceva di volere parlare del modo di aiutarmi? L'ho svegliata?» «No, vorrei parlare...» «Sembra ubriaco, Lichteiman.» «Lo sono. Lei ha preso della droga? Sembra 'fatto', Amore.» «Stanno cercando di localizzare la telefonata?» «No.» «Non possono localizzare la telefonata.» «È in macchina?» «Sì. Sono all'angolo della Rexford con Loma Vista. Ma mi muovo e non possono trovarmi.» «Che cosa ha in mente, Amore?» «Ho in mente di andare a trovare un produttore. Di fermarmi a casa sua per parlargli di una nuova idea che mi è venuta.» «Che tipo di idea?» «Un'idea per la televisione. Ho sentito dire che quel produttore si è fatto mettere la museruola per dimagrire, e che va in cucina a mettere la pizza nel frullatore per farla passare, per berla attraverso la museruola...» «Vuol fargli del male, Amore?» «Voglio raccontargli una storia, proporgli una storia su una moglie e un marito, diversi, e ora capisco perché il marito sta male, perché è perseguitato da quell'immagine. Quelle immagini. E perché è circondato, è come il Monopoli, e lui pensa quasi che sia la realtà, Lichteiman, pensa quasi che sia reale...» «Che cosa pensa che sia reale, Amore?» «Possiamo usare questo spettacolo, rappresentarlo contro quello che sopportiamo tutti, che ogni settimana possiamo avere un nuovo problema economico e tutte le cose che ci mettono sotto pressione, mi piacerebbe esprimerlo a lei.» «Lei?» «Lei, la produttrice che beve pizza attraverso la museruola e ho un'ascia nel portabagagli...» Un clink! «Lichteiman, che cos'era quel rumore?» «Sto bevendo. Mi spiace, il bicchiere ha urtato contro il ricevitore.» «Adesso sto passando davanti a Thrifty. Sono in una nuova zona...» «Non posso localizzarla, Amore.»
«Mia sorella mi ha mandato il conto per il saldo della lapide, la lapide di mia madre, e io ho fatto un sogno: ho sognato che ero disteso a letto tutto vestito, ma non morivo... dovevo usare alcune parole sensoriali, uso delle parole sensoriali come chiaramente e tranquillo, mi piace dirle perché quando le dico mi sento bene, bene nelle allucinazioni...» «Ha delle allucinazioni, Amore?» «Sono gli altri a pensare che le abbia, ma non è vero, pensano che agisca come se stessi rivivendo degli elettrochoc.» «È stato sottoposto a degli elettrochoc?» «Nei sogni, sognavo che mia sorella e io leggevamo una rivista e io volevo che mia madre vedesse qualcosa e le infilavo la rivista nell'occhio, e allora mi facevano degli elettrochoc...» «Sogna molto, Amore?» «Vai a fare in culo.» «Perché ha detto così, Amore?» «Stronzo, vuole solo localizzarmi.» «Amore, stanotte sono troppo sbronzo per voler prendere chiunque. Non senti come sono sbronzo?» Risate, risate isteriche. Poi: «Sono molto depresso, Lichteiman». «Lasci che l'aiuti, Amore.» «La prego, mi aiuti...» «Farà del male a qualcuno, stanotte?» «No.» «Ne è sicuro?» «A meno che la voce non me lo dica...» «Che cosa le dice la voce, Amore?» «Mi fa degli scherzi. Mente.» «Per esempio?» «Per esempio, mi ha detto di uccidermi.» «Che cosa ha detto esattamente?» «Voglio che lei sappia, Lichteiman, che non sono uno stupido. Sono molto intelligente. Molto sensibile. Avverto delle cose e ci sono delle voci che mi parlano. Mi dicono delle cose che gli scienziati non capiscono che anni dopo. E così, Lichteiman, immagino che quello che realmente voglio da lei è che mi dica come fare a riavere la mia faccia. Ho perso di nuovo la faccia. Non voglio farlo, ma lo farò. Sto osservando la dinamica del mio sgretolamento, Lichteiman. Ho dei personaggi stupendi. Scrivo di persone
stupende. Mi pagano molto per questo. E so che il personaggio dentro di me sta per fare una cosa tremenda, una cosa tremenda che io non farei mai in tutta la vita. Non voglio farlo, ma devo, ho una cosa che mi manca, Lichteiman. Mi manca l'emozione. Alla mia tavolozza manca qualche colore. Se potessi averla, sarei il primo della classe.» «Le manca un senso di umanità, Amore?» «Se solo potesse dirmi...» «Ma non ne è consapevole? Non sente quello che le manca? Quello che vuole non è un senso di unicità?» «Unicità...» «E lei vuole raggiungere l'unicità.» «Sì, penso che sia questo. Ma che cos'è che mi ferma, Lichteiman?» «Be', penso che abbia a che vedere col fatto che lei si sente tremendamente vulnerabile. Probabilmente la sua vulnerabilità le ha sempre impedito di sentire quella pienezza verso gli altri di cui ha bisogno. Si sente limitato dal suo bisogno di difendersi, Amore? È finalmente stanco di difendersi, di scatenarsi, perché se lo è, Amore, vuol dire che sta incominciando a diventare grande. Sta diventando grande, Amore? Perché quando sarà cresciuto, non avrà più paura. La gente le fa ancora paura. È la paura che la fa scatenare. Io sono sicuro che la voce dentro di lei non è altro che la voce della paura.» «La gente pensa che quello che io scrivo sia odioso.» «Ma lei non è odioso, vero, Amore?» «No.» «Da bambino non la trattavano molto bene, vero, Amore?» «Mi hanno mutilato, Lichteiman. Mi hanno mutilato come bambino.» «Non ha mai scritto di un eroe?» «No, qualcuno sta telefonando di nuovo a casa mia. Devo appendere. La chiamo domani.» «È già domani. Come fa a sapere che stanno usando il telefono?» Jack appese e spinse il pulsante per ascoltare la telefonata. 3.15 Carole si era raggomitolata davanti al fuoco vivace del camino e continuava ad andare forte con la vodka. «A casa ho dell'erba. Vuoi che faccia una corsa a prenderla?» chiese a Marjorie. «Hai l'aria di una cui una canna farebbe bene.»
«No. Sto bene.» E per il momento era abbastanza vero. Le sue ansie riguardavano soprattutto i bambini. Dormiranno? Avranno degli incubi? Courtney starà tossendo, soffocando, avrà i primi sintomi di una sindrome preasmatica? Perché non aveva pensato a portare le medicine? Poteva almeno ricordarsi il Sudafed. Probabilmente Joan ce l'aveva. Pensò di telefonarle, ma si ricordò che in biblioteca c'era tutta quell'apparecchiatura per registrare. Tutto quello che lei e Carole avevano detto al telefono poteva essere finito su qualche cassetta. Jack, ritornando, lo avrebbe ascoltato e si sarebbe arrabbiato molto. Si sarebbe arrabbiato davvero, se avesse sentito quello che Carole aveva detto. Se avesse fatto il numero di Joan lui avrebbe potuto scoprire probabilmente anche dov'erano i bambini. Se era diventato così bravo con l'elettronica, come lei sospettava, ascoltando il suono dei tasti avrebbe potuto ricostruire il numero. Pensò di andare in biblioteca a strappare tutti i fili, ma fu trattenuta dalla paura di restare senza telefono. L'indomani avrebbe chiamato un tecnico della compagnia... Ringgg. Ringgggg! «Cristo, chi sarà?» disse roca Carole. Marjorie staccò il ricevitore. «Pronto.» «Pronto, Marjorie, sono Joan. Non voglio che ti preoccupi, ma...» «Courtney respira male?» «No. Respira bene, ma piange, urla. Dice che non può dormire senza l'orsetto Binky. Ha le convulsioni. Le ho detto che può avere il leone di Jake, e Jenny ha un procione, ma dice che non smetterà di piangere finché non avrà il suo Binky. Non vorrei che...» «Mamma, voglio Binky! Non posso dormire senza Binky! Dove sei, mamma?» Il pianto di Courtney ritrasportò Marjorie nell'incubo. La sua povera bambina spaventata in una casa estranea e in un letto estraneo. «Amore, domani mattina ti porto Binky. Va bene, amore? Tu va' a dormire, dormi un po'. Chiedi a Joan se ti dà uno degli animali di pezza di Jenny.» «Voglio il mio Binky, mamma! Voglio Binky! Lo voglio! Mamma, se no faccio brutti sogni. Faccio brutti sogni, mamma. Dove sei, mamma?» «Non aver paura. Vedrai che tutto tornerà bello, cara. Passami Joan.» «Ti voglio bene, mamma. Per favore, portami Binky.» «Anch'io ti voglio bene, Court. Dai, passami Joan. Ti porterò Binky. Binky arriva», disse senza pensarci.
«Pronto, Marjorie?» «Joan, porto subito le loro cose.» La voce di Joan diventò un sussurro: «Marjorie, non fare il viaggio. Ha sentito la tua voce. Sa che tutto va bene. Può usare un altro animale. Sapevo che era stupido allarmarti, ma aveva bisogno di essere rassicurata, aveva bisogno di sentire la tua voce». «Voglio portare alcune medicine per Courtney, in caso abbia un leggero attacco asmatico. Di solito si presenta dopo diverse ore, ma se senti che tossisce, puoi cominciare a darle le medicine. Così si evita l'attacco.» «Adesso si è calmata, Marjorie. Penso che si possa aspettare fino a domani mattina.» «Vengo subito.» Marjorie appese e corse a riempire un sacchetto di plastica di medicinali e di altre cose. Spazzolini da denti, abiti, vitamine. «Senti, ha detto che andava tutto bene», le ricordò Carole. «Non stare ad andare fino là, adesso. Finirai per viziarli. Ti ha detto che avrebbe dormito bene.» «Puoi venire con me, Carole.» Ma la guardò e capì che non avrebbe potuto andare in alcun posto. L'alcol aveva riscosso il suo pedaggio, i muscoli della faccia si erano rilasciati in una maschera di spossatezza. «Puoi venire con me, Carole.» «Ho appena acceso il fuoco», mormorò Carole. «Cosa dobbiamo fare, lasciarlo morire?» «Be', mi spiace, se tu fossi una madre capiresti.» «Stai diventando ossessiva, Marjorie.» «Non m'interessa se sono ossessiva o meno. Ti dico solo che non mi sentirò tranquilla finché mia figlia non avrà le sue medicine.» «Senti, dove diavolo è la tua cameriera?» disse roca Carole. «Non le hai telefonato, vero?» «Non voglio svegliarla.» «Senti, a cosa servono questi stranieri superpagati, se una volta tanto non possono essere d'aiuto?» farfugliò Carole. Ingollò il resto della vodka e si diresse verso il telefono in cucina. «Le faccio tirar su il culo io...» 3.20 Jack decise di parcheggiare la Seville in fondo al nuovo cantiere di Lo-
onridge. Era meglio abbandonare la macchina il più presto possibile, perché sapeva che Lichteiman gli stava addosso. Avevano potuto usare il trasmettitore, o magari gli avevano infilato una spia in macchina l'ultima volta che aveva fatto benzina. Il giovane meccanico gli era sembrato strano, impiccione e troppo amichevole. Era proprio il tipo del meccanico che mette le spie nelle macchine. O forse nelle conversazioni con Lichteiman aveva menzionato il Climatrol o l'Information Panel, qualche piccolo errore che poteva indicare su che macchina fosse. Lichteiman poteva aver sentito il rumore del segnale luminoso, poteva essere un suono speciale. Oppure la compagnia telefonica poteva aver localizzato la zona, o persino il suo numero, e aver fornito indicazioni sull'auto. Non era sicuro di niente. In vita sua aveva fatto troppe audizioni a troppi attori per non rendersi conto che l'attenzione di Lichteiman non era concentrata tutta su di lui. Lichteiman stava facendo qualcosa. Ma anche se avessero trovato la macchina, non sarebbero riusciti a risalire alla casa. Lichteiman non aveva abbastanza tempo per trovare l'indirizzo. Per trovare la sua casa. Inoltre, ormai poteva andare a piedi a fare quello che doveva essere fatto. Stava per scendere dall'auto quando la spia segnalò che c'era in corso un'altra telefonata. Sollevò il ricevitore, cercò di controllare il respiro. Sentì la voce di Marjorie. Marjorie e una donna che parlavano dei bambini. Joan. E, sì, i bambini. Joan chi? Oh, una Joan col suo giovane Jake. La sua Courtney con un Jenny? No, non era una delle solite case, nessuno dei vicini. Marjorie stava parlando a una Joan che aveva scelto con cura. Una Joan per tenere i miei bambini lontani da me. Una Joan alla quale, secondo Marjorie, lui non avrebbe mai pensato. Una Joan con bambini e la scuola era incominciata da troppo poco tempo per disturbare in piena notte una Joan i cui bambini andavano alla scuola nuova. Doveva essere una vecchia Joan. Una madre dell'asilo di Beverly o del parco, o una maestra. Doveva essere una Joan di cui Marjorie aveva parlato, a meno che non ce ne fossero due. Si ricordò di una che scriveva, o diceva di scrivere, canzoni, vestita di pelle, pelle sporca, puzzolente. Una madre vestita di pelle sporca e un padre scoppiato che vivevano come maiali in una trasversale della Tower. No, non quella Joan. Non era quella la Joan di Marjorie. Doveva essere l'altra. La Joan Hal di New York. Bel Air. 4 luglio. Sei o sette coppie coi bambini, e uno, un maschietto, era caduto in piscina dove l'acqua era alta e stava andando sotto... il padre si era precipitato, si era tuffato e lo aveva tirato fuori. Il bambino era spaventato, piangeva e guardava esterrefatto un 4 luglio che non avrebbe dimenticato più. Quella Joan carina, riservata, di-
stante. Quella era la Joan di Marjorie. Avrebbe aspettato in macchina. Avrebbe aspettato che Marjorie avesse preparato le cose dei bambini, le medicine. Avrebbe aspettato per vedere se Carole andava con lei. E aspettando si sarebbe sentito al sicuro, come un gufo che dall'alto di Loonridge dominava le poche casette scure di Lost Orchard. Se avesse visto arrivare una macchina, sarebbe allora scivolato fuori per scomparire del tutto nella giungla del canyon. 3.30 Ci volle quasi un'ora perché Lichteiman ricevesse la telefonata che gli diceva che la divisione di Hollywood poteva mettergli a disposizione due furgoni della sorveglianza e forse un terzo che veniva da Los Angeles ovest. Quel tempo l'aveva passato a vestirsi e a finire il Korbel. Come ultima cosa, scelse le armi. Una calibro 22 che amava portare nella giacca. Una Magnum per le occasioni speciali in cui aveva bisogno di una potenza capace di penetrare uno scudo di metallo. All'ultimo momento tolse dal baule una carabina con telescopio e la pose sul sedile accanto a lui. Non sapeva assolutamente perché. Non usava mai il fucile, se non per le battute in campagna. In realtà aveva avuto l'occasione di usarlo solo una volta, su un cavallo morente, investito da un camion appena fuori da Mazatlan. Aveva fatto diverse vacanze in Messico e gli erano piaciuti i misteri degli indiani e delle montagne. Una volta aveva parlato con l'equivalente locale di uno sceriffo: «Oh, qui noi non spariamo alla gente, non uccidiamo i nostri assassini. Niente punizioni corporali», gli aveva detto in un inglese stentato. «No, come adesso, abbiamo in prigione un uomo che ha ucciso una strega, e altra gente. Non uccidiamo i nostri assassini, señor. È contro le nostre convinzioni uccidere gli uomini...» «Che cosa fate, li tenete in prigione e basta?» aveva chiesto Lichteiman. «Lo lasciamo andare. Lo accompagniamo fuori della città, dove non ci sono più strade e dove incominciano le montagne. L'uomo scappa sulle montagne, allora noi torniamo in città e diamo notizia che fuori della città c'è una terribile bestia che si dirige verso le montagne. Questa è una bestia, non un uomo. Allora prendiamo i fucili e andiamo a uccidere la bestia...» 3.35 Carole era molto soddisfatta del modo con cui aveva trattato Maria. Ci
voleva un talento speciale per perseguitare per bene le cameriere spagnole. Nell'ultimo anno ne aveva cambiate venti o trenta. Non si erano fermate molto, ma lei conosceva tutti i trucchi del loro repertorio, sia che venissero da Guadalajara, dal Guatemala o dalla Columbia. «Pronto, chi eees?» «Parla Maria?» «Pronto, chi eees?» «Ti dico io chi è. Telefono per Marjorie Krenner e vogliamo che tu venga qua immediatamente. Comprende? Mrs. Krenner non c'è. È appena uscita, ma ritorna!» Carole si versò un altro bicchiere e si lasciò scivolare nel rimpianto. Aveva fatto del sesso soltanto con uno dei camerieri. Era stato Jesus, e l'aveva provato solo perché la matrona alla quale l'aveva portato via le aveva rivelato che i suoi talenti andavano oltre il giardinaggio. Ma a quel punto Carole sperava solo che Maria arrivasse prima del ritorno di Marjorie. Sapeva che Marjorie non aveva abbastanza energia per farsi servire bene. Ci avrebbe pensato lei, Carole. Gli scaffali della cucina non erano foderati di carta. L'argento non era stato lucidato. I bicchieri da vino erano stati riposti in modo sbagliato, pericoloso. Guarda che ho contato l'argento. Non voglio che manchi neanche una forchetta. Questo vale anche per i piatti d'argento e le posate di acciaio inossidabile. Maria, hai rubato sulle ore di lavoro. Sei come tutte le altre, Maria. E se prendi un altro giorno di libertà, Maria, non voglio vederti portar via borse o valigie piene di sapone e di detersivi di Marjorie. Ho detto a Marjorie di contare le scatolette di tonno, di granchio e soprattutto di aragosta. Non ti permetto di portar via neanche una busta di minestra. Lo so che non sei abbastanza stupida per prendere i gioielli o le pellicce, ma lo so, carina, che sai il valore dei cristalli Steuben. Se manca uno Steuben, ti denunciamo. Questo vale anche per i Wedgwood, i Baccarat, i Corning Ware e i Pottery Barn. Se dalla borsa mi manca un centesimo o un rossetto, ti ritrovi sul primo furgone diretto oltre frontiera. Mi sono spiegata? Maria arrivò prima di un'ora, ma a quel punto Carole era troppo ubriaca per tenere la sua lezione. «Aspetta la señora. Ho bisogno di andare alla mi casa per una momentita», le disse Carole. «Ho bisogno di rimettermi un po' in sesto. Se Marjorie arriva prima di me, dille che ritorno subito. Adiós, chiquita. E smettila di guardarmi come se fossi borracho.»
3.50 Carole si disse che sarebbe andata a casa solo per un attimo, il tempo di preparare un paio di canne e sarebbe tornata. Doveva tornare, altrimenti Marjorie non le avrebbe più parlato. Si versò un altro bicchiere e se lo portò via per il viaggio. Il motore della Mercedes partì, poi si spense nella nebbia della notte. Lei girò di nuovo la chiavetta dell'accensione, dando contemporaneamente colpetti sull'acceleratore, e il motore cominciò a ronzare. Lo lasciò riscaldare per un minuto, inserì la marcia e ridiscese la Valley Road. Percorse con cautela il tratto con i dossi per costringere a limitare la velocità e finalmente giunse al segnale di stop. Girò la testa a sinistra per controllare che non arrivasse nessuno dalla curva sulla Coldwater. Da un pezzo aveva imparato che per compensare una sbornia era necessaria la visibilità di una decappottabile. Da sinistra non arrivava nessuno, ma prima che potesse raddrizzare la testa e inviare al piede l'istruzione di schiacciare l'acceleratore, vide un'ombra volare verso di lei. Un attimo dopo la forma scura era già nella macchina. In un primo tempo pensò stupita che fosse un orso, una grossa bestia, ma erano umane le mani e le braccia che l'aggredivano. I suoi riflessi risposero all'istante. Anche da ubriaca, era sempre stata brava ad affrontare gli imprevisti. Pigiò sull'acceleratore e invece di imboccare la Coldwater sterzò a sinistra, creando una forza centrifuga che glielo tolse di dosso. Ma lui era ancora sulla decappottabile. Riprendendosi dalla mossa inaspettata, tornò a stringerle le mani intorno al collo. Carole sentì quasi la pelle lacerarsi e questa volta sterzò a destra e mandò la macchina a sbattere contro il marciapiede. Si tenne aggrappata forte, mentre la frenata brusca le toglieva di nuovo di dosso lo sconosciuto. Aprì la portiera e saltò giù, mettendosi a correre per la Coldwater. Urlava, ci doveva essere una macchina. Doveva arrivare una macchina, una macchina doveva arrivare. Corse per un bel tratto, prima di avere il coraggio di guardarsi indietro. Pregò che fosse rimasto stordito, o che fosse morto, che il cranio avesse battuto abbastanza forte sul parabrezza da frantumarsi. Una macchina doveva ben passare. Cercava di guardare davanti a sé, attenta a evitare l'insidia di un ramo o di una pietra. Poi, senza voltarsi, si rese conto che quello era ben vivo. Sentiva che la rincorreva. Ascoltò con attenzione il rumore dei suoi passi e di quelli di lui. Quelli dell'uomo erano come un'eco dalla parete del canyon, poi un rumore sempre più vicino dietro di lei. Ricordò le sue mani su
di lei, le dita grosse e forti e l'orologio che le raschiava la pelle. Da dietro le giunsero dei gemiti, un pianto. Davanti il canyon sprofondava sempre di più nell'oscurità della nebbia. Ma sulla destra, in fondo al pendio: una luce. Qualcuno abitava là. Qualcuno era a casa. Ma il viale d'ingresso era ancora troppo lontano. Avrebbe tagliato per la boscaglia. Uscì dalla strada asfaltata. Le gambe si affannavano a trascinare il suo busto attraverso l'erba alta e i cespugli del deserto. Un'altra occhiata di sfuggita dietro le spalle: quell'immagine mostruosa la seguiva sempre, piangeva. Piangeva di rabbia. Guadagnava terreno, gettandosi a capofitto tra i rami di un lussureggiante boschetto di limoni. C'era odore di felci e di pini. Sentì i rami spezzarsi sempre più vicini. Lottò per restare in equilibrio mentre la gonna, impigliatasi in un ramo, per poco non la buttava a terra. Il mostro era più vicino. Fu la paura a farla cadere. Rialzandosi, i rami le strapparono i capelli e la colpirono violentemente sulla faccia. Alzò le braccia per coprirsi il volto urlando e correndo alla cieca. Ormai era lei che piangeva. L'uomo era così vicino che ne poteva sentire l'alone di caldo e di sudore. Un ramo per poco non le trapassò la coscia e le graffiò lo stomaco come se fosse un artiglio. Non doveva sentire il dolore finché non raggiungeva la casa. La porta si sarebbe aperta. Ci sarebbe stata una famiglia pronta a salvarla. Una madre, un padre e un ragazzone forte, un innamorato per salvarla dall'aggressione del matto. Poi improvvisamente sentì il peso terribile. Il corpo di lui rotolò addosso al suo, sentì i piedi arrampicarsi letteralmente sulle gambe, finché non cadde. Lui le era sopra, la girava. Urla, si disse. Urla, più forte, più forte. I suoi polmoni fremettero e si scontrarono contro il peso dell'uomo. L'avrebbe colpita alla mascella, forse le avrebbe rotto qualche costola. L'avrebbe messa fuori combattimento, magari scopata anche, e poi si sarebbe svegliata come era successo altre volte quando gli uomini l'avevano picchiata. Anche quando perdeva coscienza, con le dita di lui infilate nella gola, credeva di sopravvivere... Capitolo 15 4.00 Il tenente Levon aspettava Lichteiman davanti alla stazione di polizia con il furgone delle forze speciali. Erano stati chiesti in prestito al dipartimento di polizia di Los Angeles, ma non era la prima volta che l'investiga-
tore se ne serviva. Lichteiman avrebbe diretto le operazioni, ma gli uomini sarebbero stati al comando di Levon. I due mezzi erano equipaggiati per localizzare ogni telefonata di Amore nel raggio di trenta chilometri. Il furgone Alfa, con Levon, sarebbe rimasto nella zona fra Rexford e Santa Monica. Quello Beta doveva spostarsi in quella fra Wilshire e Beverly Glen. Levon e l'equipaggio dell'Alfa avrebbero elaborato i dati e, con un po' di fortuna, sarebbero riusciti a localizzare la prima trasmissione. «Come nella Seconda Guerra», aveva mormorato Straub. Lichteiman non fece commenti. Non era un grande ammiratore di Straub o di Levon. Levon gli era stato molto di aiuto in passato, ma era troppo poco fantasioso. Mai infranto una regola. Professionismo poliziesco a oltranza. «Un sacco di ketchup su questa pizza, eh?» sorrise Levon. Aveva la stessa età di Lichteiman, ma era secco e solido come una quercia. Lichteiman invidiava la sua energia, ma Levon invidiava la celebrità di Lichteiman. Alla luce al fluoro della squadra investigativa, Levon sembrava più un rappresentante di macchine per scrivere che uno specialista in elettronica della polizia. I suoi occhi si muovevano troppo rapidamente, per cogliere ogni movimento. Un tipo insopportabile, pensò Lichteiman, ma farà un buon lavoro. «Fino a quando i furgoni devono restare in posizione?» chiese Straub. «Finché lo dico io.» «È sempre un piacere lavorare con lei, vero, Lichteiman?» Ora, l'attesa. L'attesa di una telefonata di Amore. E Lichteiman sapeva che ci sarebbe stata. Aveva un buon naso sia per la follia sia per i finali. 4.01 Jack guidava lentamente lungo il Sunset Boulevard, ascoltando alla radio uno di quei programmi notturni a cui intervengono gli ascoltatori. Una certa signora Fox aveva chiamato per comunicare il proprio successo. «Volevo che i vostri ascoltatori sapessero che io sono d'accordo con quel nonno che cerca qualcosa che dia senso alla sua vita. Anch'io ero una segretaria e ora ho settantatré anni. Volevo che i vostri ascoltatori sapessero che sono andata da un gruppo di esperti dell'università di Los Angeles perché mi aiutassero a cambiare carriera. L'ho trovato emozionante, so che c'è un sacco di gente che potrebbe trarre benefici da quelle persone. Per me è stato più importante un giorno che anni di consigli.»
«Mi dica com'è cambiata la sua vita», la incoraggiò l'intervistatrice con la sua voce morbida. «Mi ha dato un senso straordinario del mio valore e della mia utilità. Una sensazione che non avevo da anni.» «Come l'ha riacquistata?» «Be', il capogruppo ci ha fatto dire una lista di verbi, tutta una serie di verbi su delle cose che potevamo fare. Verbi come 'organizzare', 'insegnare', 'aiutare', 'amare'. Quell'uomo ci suggeriva i verbi che mi davano la fiducia per tentare di continuare e di non sentirmi totalmente sottovalutata dalla società come...» Poi pubblicità, seguita da altra pubblicità. Il modo americano di vendere per radio. E qui Lloyd Bridges con un messaggio per tutti i proprietari di piscine. «Volete un cloro che duri due volte di più? Ecco la buona notizia, se vi sbrigate, potrete avere una bottiglia di cloro gratis con ogni confezione di cloro in grani Sole.» E qui è Bob Hope che vi parla: «Tutti sognano di andare in pensione con un bel gruzzolo, ma non è sognando che la cosa si realizza. Ecco perché non è mai troppo presto per aprire un nuovo conto alla California Federal Savings». «... Per una famiglia che si sta facendo strada, questa politica può garantire la sopravvivenza di una nuova attività ed evitare i problemi in caso della morte prematura di un dirigente...» A Beverly Glen dovette fermarsi per un semaforo. Marionette. Si ricordava le marionette della sua infanzia. Marionette di marinai, marionette che ridevano, marionette demoniache. Alcune se l'era fatte da solo. Una, un marinaio grottesco, gli era stato regalato quando aveva compiuto due anni. Si ricordava le scatole di carbone che aveva trasformato in diorama, le palme di carta crespa illuminate da dietro da lampadine attaccate con graffette stortate. E gli acquati. Ne aveva avuto uno da cinque litri, uno da venticinque, e uno da cento. Se ne restava seduto per ore a osservare i pesci che nella foresta di elodea andavano a caccia dei propri figli per mangiarseli. E lo strano incidente che gli era capitato proprio quando incominciava a fare qualche cosa. Era andato a Greenwich Village con un amico, per vedere il Sogno americano al Cherry Lane Theatre. Due ore dopo, finito lo spettacolo, erano di nuovo per strada. All'improvviso l'amico si era messo a correre. Correva, gridando: «Nel vicolo sta succedendo qualche cosa». Il vicolo era distante diversi isolati e Jack corse dietro l'amico pensando
che si trattasse solo di uno scherzo. Ma, quando vi arrivarono, videro la gente che si sporgeva dalle finestre, gridando e gettando monete e biglietti da un dollaro a una vecchia che trafficava con una fila di bidoni della spazzatura. La donna si riempiva la bocca di rifiuti e ignorava il denaro che le cadeva attorno. L'incidente l'aveva ossessionato per tutta la vita, finché aveva incontrato uno scrittore e gliene aveva parlato, lo scrittore gli aveva detto che non era per niente strano. Mangiando spazzatura, gli aveva spiegato lo scrittore, la donna faceva penitenza. Beverly Hills si sta trasformando in una città fantasma. Io sto sprofondando con la città. Lo scherzo è che noi stessi non possiamo essere stelle di prima grandezza. Questa immensità è assordante. Che cos'è questo luccichio nei confronti dell'immensità? E la mia crudeltà, la mia crudeltà è grande come la città, la mia crudeltà di portare la gente su questa terra e dar loro dei sogni. Che diritto avevo mai di dar dei sogni ai bambini. A quel punto dovette ridere. Per un momento in un certo senso si rese conto che si era trasformato anche lui in una gigantesca macchina cinematografica. Era diventato davvero quello che aveva osservato. Ma per lui sarebbe stato diverso. Aveva incominciato a fare i propri tagli, il proprio montaggio. Avrebbe fermato la macchina, l'avrebbe spenta per sempre. Il grande inganno della ricchezza. Il grande sforzo per soffocare l'animale che è in noi. Hanno fermato l'animale che è in me. Avevo bisogno che una parte dell'animale restasse vivo. Non posso sopportare i canali pieni della corruzione di King Burger e di Disneyland. Il costante bombardamento per tirarti fuori i soldi dalle tasche. Questa città e questo paese organizzati solo per spillarti quattrini. Bugiardi e imbroglioni e le banche con i loro interessi, la spirale colossale galoppante dell'avidità che in questa città è tutto. E nel granaio ci sono i topi. I topi sono dappertutto. 4.05 Joan aspettava Marjorie sulla porta. «Si sono addormentati. Mi spiace averti disturbato, povera anima. È questo Binky?» «Sì.» Marjorie teneva sollevato quell'orsacchiotto un po' ridicolo con la tuta strappata e senza un occhio. «Non importa. Da come stanno andando le cose, non penso che avrò bisogno di una dieta. È il lato positivo di correre in giro come una pazza.» Mentre Marjorie guardava dormire i suoi bambini, Joan non smetteva di commiserarla: «Ti ricordi quando Hal e io avevamo le nostre piccole di-
scussioni? Persi undici chili, pensando che servisse a qualcosa. Alla fine andai da uno psicologo dietista. Mi disse che soffrivo di bulimia. È così che dicono quando una donna che si sente rifiutata dal suo uomo devasta il suo corpo sviluppando un appetito vorace. Ci crederai? Adesso non discutiamo più, ma Hal si è trasformato in un maniaco di computer. Tutta la casa funziona coi computer. Devo mettere nel computer anche l'elenco della spesa. In casa abbiamo di tutto, tranne forse la fusione nucleare, e lui continua a criticarmi perché non gli appallottolo bene le calze». Marjorie apprezzò il fatto che Joan non cercasse di farla parlare a tutti i costi. A quel punto era molto tentata di rimanere, di accettare la sua offerta della stanza degli ospiti, di non tornare a casa. Ma c'era Carole. In quel momento era probabilmente già addormentata davanti al camino. «Tornerò domattina. Ti telefono», promise Marjorie, «a meno che non ci siano altri problemi coi bambini. Mi hanno consigliato di non allontanarmi dalla casa.» «Io non lo farei. Non preoccuparti per i bambini. Vedrai che staranno bene.» «Mi sembra che Courtney respiri bene», disse Marjorie. «Tu che cosa ne pensi?» «Sta bene, Marjorie. Se succede qualcosa, ti chiamo. Te lo prometto.» Joan rimase a guardare mentre Marjorie saliva sulla Volvo e partiva. Chiudendo la porta, le sembrò un po' strano che ci fosse una macchina parcheggiata un po' più in su nel canyon. La notò soprattutto perché accese i fari appena Marjorie era partita. Poi cominciò a scendere lentamente la strada. Una Seville, notò Joan. Con sua sorpresa la vettura svoltò nel suo ingresso e si fermò. Un attimo dopo si aprì la portiera e un uomo si diresse con ira rapidamente verso di lei. Capitolo 16 4.20 Finalmente la telefonata arrivò. «Zitti», urlò Lichteiman. Nella stanza cadde il silenzio. «Controllate Levon», ordinò, e schiacciò il bottone acceso sul suo apparecchio. «Pronto», disse calmo. Ci fu silenzio, poi qualcuno si schiarì la gola. La linea era aperta. Chi aveva chiamato non parlava.
«Salve, è lei, Amore?» insistette Lichteiman. Finalmente: «Sì, sono io». Lichteiman fece cenno a Straub che il contatto era stabilito, che, a quanto sentiva, Amore era ancora in macchina. «Stavo prendendo un caffè. Tu che cosa stai facendo?» «Niente. Mi chiedevo dove vivesse. È a casa, Mr. Lichteiman?» Lichteiman respirò profondamente, facendo di tutto per assumere un tono disinvolto. «Sì, vivo in cima alla collina. Cielo, mare, alberi. È molto bello quassù. Lei vive con sua moglie?» «No.» «Adesso è a casa, Amore?» «No.» Ci fu un silenzio troppo lungo. Lichteiman riprese in fretta: «Vivo solo. Mi piace star solo. Mi piace la tranquillità. Leggo molto. Lei legge?» Straub, in piedi con quattro detective, sussurrava nella linea diretta con il furgone Alfa. Lichteiman sapeva che Levon avrebbe sopperito alla mancanza di esperienza di Straub. Lui doveva solo tenere agganciato Amore. Far sì che Amore credesse che loro due erano i soli esseri al mondo. «Non mi vuole parlare della sua casa?» chiese Lichteiman. Non si azzardava a chiedere altre informazioni sulla macchina. «No. Voglio parlarle della mia anima.» Lichteiman si sforzò di essere disinvolto. «Probabilmente lei è l'ultima persona in città che pensa di avere ancora un'anima.» «Lo so che il suo compito è di scoprire dove sono.» «Quando ne avrà voglia, me lo dirà lei.» Lichteiman udì un suono, qualcosa di gutturale, di bestiale. Poi: «Lei vuole che le spiattelli tutto al telefono, vero? Vuole sapere dove sono». «Solo se vuole dirmelo.» La voce di Levon, attutita da un walkie-talkie: «Il furgone Alfa ha preso il segnale. Quello Beta sta ancora tentando. Tre auto all'angolo fra il Sunset e il Doheny. Due macchine all'angolo fra Mulholland e Dixie Canyon. Ora anche il Beta ha il segnale. Segnale in movimento. Si sospetta una vettura in movimento...» «Lichteiman, lei crede che mi piacerebbe farle del male?» «Credo di no.» «Alla gente non piace perdere i loro nemici.» «Pensa a me come a un nemico?» «Non lo è?»
«No. Potrei esserle amico.» (Innocuo, non essere accondiscendente, collega, prendi tempo, coinvolgilo emotivamente.) «Sua moglie e i suoi bambini. Sono sicuro che sono suoi amici. Sono sicuro che li ama.» La voce di Levon, eccitata: «Il furgone Alfa ha sul monitor il segnale della macchina che si avvicina alla Coldwater proveniente dal Laurel Canyon. Fra poco l'auto sarà in vista...» «Non sono stato capace di avere sentimenti, Mr. Lichteiman. Sì, sono uno scrittore, Mr. Lichteiman. Ero uno scrittore...» «Lavora per il cinema, Amore?» «Costruisco piramidi.» «Piramidi come in Egitto.» «No, piramidi di celluloide. Come quelle in cui si fanno seppellire Barbra e i parrucchieri.» «Come fa ad aiutarli a costruire le loro piramidi, Amore?» «Dò le mie visioni. Costruiscono le loro piramidi sulle mie visioni. Dò loro le mie immagini.» LEVON: «Il furgone Beta ha localizzato un veicolo che procede lungo il canyon. Il veicolo sospetto è a meno di trecento metri. Interferenze da macchine che corrono sulla Mulholland. Si suggerisce un blocco sulla Loma Vista all'altezza del Cherokee...» «Le immagini di cui mi ha parlato, Amore?» «Altre.» «Di che tipo, Amore?» «Ho dato loro la morte di Cristo. Una tartaruga e l'Annunciazione. Una donna che beveva in un pub. Un'altra che se ne stava nel bagno. Ho dato loro donne nude che riposavano sotto i lillà. E la ragazza con la maschera.» «E loro che cosa le hanno dato, Amore?» «Un funerale.» LEVON: «Il veicolo che trasmette è proprio davanti. Anticipate l'incontro. Bloccate Loma Vista. Ripeto; bloccate Loma Vista...» «Che cosa vuol dire un funerale?» «Be', mi hanno sepolto un po'. Mi hanno imbalsamato. Non è così che fanno? La gioventù, la bellezza e il talento, tutto è succhiato fuori e offerto ai bruciatori d'incenso. Non si preoccupi, ci occupiamo di tutto... abbiamo
in magazzino moltissime bare, e riempiamo solo le sue cavità addominali con una mistura di segatura e di sabbia. Gli intestini li mettiamo in canopi. Le piacerebbero due montoni a guardia della sua casa, della sua residenza? Basta che lei ci nutra con le sue immagini e noi gliele succhiamo fuori finché lei non si prosciuga. E quando io, la grande stella della nebulosa, morirò, nella piramide ci sarà un posto per lei. Sarà nella stanza laterale, con le anatre mummificate, i topi e i ragni imbalsamati e gli scarabei pietrificati. Saremo conservati tutti, perfetti nella celluloide d'oro.» LEVON: «Il veicolo sta lasciando la strada. Il veicolo sospetto usa la strada d'emergenza che scende dal Franklin Canyon. Ripeto: il veicolo usa la strada d'emergenza. Pensiamo che ci abbia visto, ci ha visto...» Lichteiman sentì piangere, singhiozzare... «C'è qualcosa che non va, Amore?» «Mi hanno strappato le viscere.» «Mi spiace, Amore. Dove si trova? Lasci che venga da lei, ad aiutarla, Amore...» «Sono a casa. Sono quasi a casa.» «Aspetti, Amore...» La trasmissione finì. 4.27 Marjorie decise di girare sulla Roxbury e di attraversare la Lexington per entrare nella Coldwater. Arrivata in cima alla collina, incominciò a sentire le sirene. Una macchina della polizia la sorpassò ad altissima velocità, seguita da un'altra. La cosa per lei non aveva un significato particolare. Non era uno spettacolo insolito, doveva esserci qualche incidente nel canyon o un incendio. Forse un furto nella Laurel Hills. Arrivata sulla Valley Road vide la confusione dei flash e delle macchine della polizia. Decise che c'era stato un incidente; ce n'erano spesso a quella curva e sperò che nessuno si fosse fatto male. Il peggiore che aveva visto era lo scontro di una Lincoln con una Ferrari; miracolosamente erano venuti fuori tutti sani e salvi. 4.31
Lichteiman finì per controllare personalmente i dati, anche se Levon aveva riferito che la trasmissione si era interrotta quando il veicolo poteva uscire dalla Mulholland in un punto qualsiasi per imboccare una strada laterale, sentì che i dati indicavano che Amore viveva da qualche parte in cima al canyon. La macchina di Amore stava risalendo la Coldwater quando la trasmissione si era interrotta sulle parole: «Sono a casa, sono quasi a casa». Lichteiman aveva anche sentito che in qualche modo Amore si era accorto che stavano per localizzarlo. A quel punto, Lichteiman sapeva che l'assassino si trovava nel buio più profondo, sperando in cuor suo di essere preso prima di arrivare da coloro che amava. «Alla macchina quattro, coprire la Loma Vista fino al semaforo di Cherokee», Lichteiman cominciò a dirigere, dalla radio della sua macchina, la coreografia dei mezzi della polizia. «Alla macchina due, a partire da dopo Cherokee, coprire le strade laterali a est e a ovest.» «Alla macchina cinque, Coldwater da Heather a Eden.» Tutte le vetture si misero in contatto, per confermare di avere ricevuto le istruzioni. Setacciavano la zona, nessun movimento strano e nessuna macchina parcheggiata con un'insolita antenna radio. «A tutte le macchine: estrema cautela. Estrema cautela!» Lichteiman decise che lui avrebbe incominciato dalla cima di Coldwater, in un punto dove su un terrapieno era in costruzione una grande casa nuova. Sulla sinistra c'era una scarpata che portava a un serbatoio dell'acqua. Sulla destra dei viali privati, uno che portava alla casa di Charlton Heston, e altri a quelle di altre celebrità. La prima strada sulla sinistra era Deep Canyon Piace. La controllò, ma non vide niente di sospetto. Non c'erano in giro macchine neanche remotamente equipaggiate come doveva essere quella di Amore. Tornato sulla Coldwater, si ricordò della Tree People Road e di un piccolo parco. Da lì ritornò giù sulla Loonridge. Stava infilandosi in quella strada senza uscita quando arrivò un messaggio radio. «A Lichteiman, macchina cinque chiede rinforzi. Urgente. 1080 urgente. Abbiamo un 1080 urgente sulla Coldwater vicino alla Valley...» 4.32 Quando Marjorie raggiunse la cima del canyon, svoltò e prese la Valley Road. Notò che a casa degli Stark erano accese le luci sul cancello e sul muro. Dovevano aver sentito l'incidente, decise Marjorie. Anche se Melis-
sa e suo marito avevano una delle case con più terreno di tutta la Valley Road, Marjorie pensava che il traffico, per non parlare degli incidenti, sulla Coldwater li avrebbe fatti impazzire. Una volta aveva giocato a tennis a casa loro e non aveva potuto concentrarsi per il rumore. Appena oltre la curva i suoi fari illuminarono una figura sul cancello. Era Melissa che, in vestaglia bianca, parlava con una cameriera. Marjorie fermò la macchina e corse da lei. «Melissa, che cosa è successo?» «Penso che sia stato ucciso qualcuno», spiegò Melissa, stringendosi meglio la cintura intorno alla vita. «Qualcuno ha detto che era una donna bionda con una Mercedes; ho mandato un cameriere a vedere.» «Oh, Dio...» «Sembri sul punto di svenire, Marjorie.» «Melissa, posso telefonare a casa mia?» «Certo.» Melissa sorresse Marjorie per un braccio. La cameriera la prese per l'altro, finché arrivarono al portico. Marjorie non voleva fare il collegamento, ma lo sentiva. Lo sentiva e ciò la rendeva debole e istupidita. La sua testa lottava contro quella sensazione e se non fosse stata così disorientata avrebbe notato la Seville che usciva dalla Coldwater e scendeva per la Valley Road, la Seville che rallentava mentre passava accanto alla sua Volvo bianca. Invece, usò tutta la sua forza e il suo equilibrio per raggiungere il telefono e sollevare il ricevitore. Compose il numero di casa e sentì il segnale che dava libero. Lo lasciò suonare per cinque minuti buoni prima di attaccare. 4.41 Lichteiman non ebbe bisogno di restare sul luogo del delitto per aspettare il rapporto finale del medico legale. Poteva vedere lo squarcio, i segni delle unghie sul collo e sul petto. La testa era stata trovata a dieci metri dal corpo. Dai pochi altri casi del genere, sapeva che soltanto la forza della pazzia, prodotta dall'adrenalina, poteva consentire una decapitazione con le mani. Non si fermò più di dieci minuti prima di risalire in macchina. «A tutte le unità, stringete il cerchio finale. Ripeto. Il cerchio finale...» Ritornò al punto di osservazione di Loonridge. Con l'assassino così vicino avrebbe dovuto controllare ogni casa, ogni strada senza uscita. Dietro le sette, otto case già costruite si estendeva l'oscurità del Franklin Canyon. Capì immediatamente che Amore non viveva in quella strada.
Non c'erano eucalipti. Soltanto dei piccoli pini che portavano a una recinzione di metallo che brillava in fondo alla strada. Stava per invertire la marcia quando i suoi fari illuminarono i catarifrangenti di una macchina parcheggiata a destra della recinzione, sull'orlo di un calanco. Una macchina con un'antenna telefonica. Lichteiman parcheggiò, e s'incamminò a piedi fra i sassi e la sabbia di quella strada senza uscita. Dalle due tonalità di marrone, si rese conto subito che si trattava di una Seville. A mano a mano che si avvicinava, rallentava. Poi, quando fu certo che era vuota, cominciò a esaminare ogni dettaglio. Una targa della California numero 1AOF599, ruote coi raggi, molti mancanti. Finestrini aperti. Battistrada in ordine. L'insegna sul cofano era malandata, mancava una foglia d'ulivo. All'interno, sotto il cruscotto, c'era un telefono per auto standard, oltre a un'attrezzatura speciale per trasmettere, ricevere e una radio. Un registratore speciale: per cassette standard più un apparecchio per micro cassette. Un'antenna non di serie, nessun numero telefonico. Niente numero di licenza o della banda di trasmissione. Aprì la portiera dalla parte della guida, cominciò a controllare sotto i sedili, i tappetini. Carte di caramelle. Pezzi di caramelle all'arancia nei portacenere. Un pezzette di cordoncino dorato per la confezione di un regalo. Un modulo per un concorso di McDonald. Scompartimento dei guanti: manuale per l'uso della Seville, una cassetta di Success Motivation... He's Your Dog, Charlie Brown, One Voice di Barry Manilow. «Macchina due, macchina due. Lichteiman a macchina due.» «Siamo in ascolto.» «Veicolo sospetto a Loonridge. Proseguo a piedi. Mantenete i contatti.» «Ce l'ha fatta.» Lichteiman si attaccò la trasmittente alla cintura e aprì il baule della macchina. Amore poteva essere ad aspettarlo sul sentiero, ma non era molto probabile. Non credeva neppure che fosse scappato nella boscaglia del canyon. Più probabilmente aveva fatto quello che aveva detto. Stava andando a casa sua. Lichteiman prese il fucile telescopico ad alta potenza e s'incamminò sul sentiero della forestale. A un certo punto si accorse di essere arrivato proprio sopra la comunità di Lost Orchard. Si fermò a guardare il gruppo di case, lussuosamente annidate tra muri e giardini. Da quell'altezza sembrava un paese di bambole, ma il particolare che attrasse l'attenzione di Lichteiman fu il boschetto di eucalipti che correva per tutta la valle.
4.45 Marjorie rimase sulla panca di vimini nel corridoio di Melissa Stark. Aveva telefonato a casa una seconda volta, ma non aveva risposto ancora nessuno. Melissa era andata a svegliare la cameriera per farle preparare il caffè e il cameriere era ritornato sul posto dell'incidente. Marjorie ricordava che Carole aveva detto che avrebbe telefonato a Maria per farla venire. Forse l'auto di Maria non funzionava e Carole era andata a prenderla. Qualche volta Maria si faceva accompagnare dal suo fidanzato, ma magari quel giorno non c'era, era andato a pescare o in Messico per il fine settimana. Qualche volta andava a Tijuana col camion, lo riempiva di piastrelle a buon mercato che rivendeva bene a Beverly Hills. Ma Carole le era sembrata così ubriaca; e il grande fuoco nel camino del soggiorno! Marjorie aveva chiuso gli occhi contro il biancore del corridoio di Melissa. Bellissimi pavimenti di legno dipinti in bianco, orologi, vasi, pietre di Patos Verdes: tutto dipinto di bianco! Era lì, seduta, dimenticata, mormorando che non era possibile. Le informazioni che fluivano attraverso di lei non le piacevano, nel cervello aveva come un tictac, come un'eco. Le possibilità le rimbalzavano nel cranio, accendendo brevi scintille di comprensione. Nonostante lei non lo volesse, la consapevolezza in quel momento stava facendosi strada. Scoppiò in lacrime. In un attimo Melissa le fu accanto, abbracciandola. «Devo parlare a qualcuno. Dio mio, devo parlare...» Cominciò a raccontare tutto. Non del latte, non poteva parlare a Melissa del latte e di quello che aveva fatto a Courtney. Non voleva neanche raccontarle della cocaina. Invece, con grandi singhiozzi, le raccontò quanto poteva del suo dolore. «Come faccio a vivere, Melissa, oh Dio, come faccio a vivere senza affetto, non mi ha dato calore, non me ne ha mai dato, se mi siedo accanto a lui sul divano, lui si sposta, come a voler mantenere le distanze, diventa di ghiaccio... quando vado da lui e lo abbraccio diventa di ghiaccio, lo tocco e mi sembra di essere seduta vicino a un estraneo, eppure siamo nella stessa stanza, mio marito e io nella stessa stanza e lui...» «Mi spiace, Marjorie, mi spiace...» «... le uniche volte che mi abbraccia, è quando scopiamo: oh, Dio mio, una volta ogni tanto, mi prende la mano camminando, ma è tanto che non
c'è più affetto, che non c'è calore fisico e io non so che cosa fare. Non so che cosa fare. È malato, è molto malato e io non posso, non posso, non mi conosce realmente, non conosce il mio corpo, mio marito non sa realmente chi sono, e io non so chi è lui e non so come comportarmi: sono rimasta seduta ad aspettare che succedesse. Ho sofferto tanto, mi spiace, Melissa, mi spiace tanto di sfogarmi con te...» «Hai fatto bene», la confortò Melissa, abbracciandola più forte, premurosa. «Ti fa bene.» «Lui è fatto così», disse Marjorie piangendo, «non fa che pensare. E gliene ho parlato molto, conosce i suoi limiti, non ha affettività. Proprio non ce n'è, dentro di lui. Ho cercato di dirgli quello di cui ho bisogno, ho bisogno di essere baciata, ho bisogno di essere toccata. Lui sa che quando lo tocco diventa di pietra. Ne abbiamo parlato. Non è un mistero, ma lui non può farci niente, è diventato molto, molto ammalato...» «Che cosa vuoi dire con malato?» «È depresso, ha dei problemi. Oh, Dio, siamo rimasti quasi al verde, lui è sottoposto a una terribile pressione, forse in parte è colpa mia, colpa mia perché non ho il senso del denaro, nessuno mi ha mai insegnato a essere una moglie...» «Sei stata una buona moglie...» «Mi sembra di avere evitato qualche cosa, che ci fosse qualche cosa che dovevo affrontare...» «Non puoi affrontare tutto in una volta», le disse dolcemente Melissa. «Non penso che sia sbagliato voler essere amata, amata...» La parola le si arrestò in gola, si trasformò in un'implorazione. «Amore... non è colpa mia, che colpa ne ho se ho bisogno, se non voglio parlare dei bambini, è qualcosa che riguarda lui e me, solo lui e me! E io non so che cosa fare, non so come aiutarlo, come aiutare me stessa, sono troppo confusa. Non so che cosa fare. Lui è così malato e a me spiace tanto, penso che lui non sappia chi è, si è nascosto a se stesso come a tutti gli altri, e questo l'ha fatto ammalare e lo sta uccidendo. So che c'è qualche cosa che sta morendo, qualche cosa che lo mangia vivo senza che lui lo sappia, lui non lo sa... non lo sa...» 5.00 E poi, il terribile squillo. Melissa rispose al telefono. «È per te, Marjorie», disse. «Ti senti... in grado di rispondere? Stai be-
ne?» «Chi è?» chiese Marjorie, con la voce troppo sottile, troppo debole. Chi può essere, se nessuno sa che sono qui? La Volvo. Qualcuno deve avere visto la Volvo. Prese il ricevitore mentre Melissa si ritirava discretamente in cucina. «Pronto.» Silenzio, ma dall'altra parte c'era qualcuno. Sapeva che qualcuno stava ascoltando. E c'era qualcuno. Finalmente una voce: «Pronto, Marjorie?» Riconobbe la sua voce. Era più bassa, esausta, raggelante. «Che cosa vuoi, Jack?» Sapeva di avere la voce rotta, di non riuscire a trattenere l'urlo ancora a lungo. «Vieni a casa», ordinò la voce. «Ho i bambini, Marjorie. Ho i bambini...» Marjorie non riusciva a parlare. Sentì trafficare col telefono. «Mamma, per piacere, vieni a casa, mamma!» Era Courtney. «Dio mio! Dio mio!» gridava Marjorie. Dal telefono altri rumori. Il mormorio più lontano dei bambini. «Courtney, dove sei?» gridò Marjorie. Poi solo la sua voce bassa: «Vieni a casa, Marjorie», disse, con una voce strisciante, quasi immobile. «Vieni a casa. Voglio che ci seppelliscano tutti insieme.» Click. Aveva appeso. Urlando, Marjorie cercò di fare un numero. Il telefono le cadde dalle mani. Melissa arrivò di corsa dalla cucina. Altri. La cameriera. «Chiama la polizia», implorò Marjorie, precipitandosi per il corridoio bianco, spalancando la porta. «Mio marito ha i miei bambini! Vuole uccidere i miei bambini! Vuole ucciderci tutti!» urlava, barcollando nel portico. «La polizia. Chiamate la polizia...» Inciampò. «Aiutatemi! Oh Dio! Aiutatemi!» urlò dietro di sé. Scese di corsa i gradini, si precipitò nel viale, verso il cancello. Era chiuso. Melissa aveva chiuso il grande cancello bianco irto di punte. «Aprite il cancello! Oh Dio! Aprite il cancello! Per amor del cielo, lasciatemi uscire!» urlava con quanto fiato aveva in gola, tirando e dando calci alle sbarre. Qualcuno schiacciò il pulsante. Il motore partì e il cancello cominciò a scorrere, intrappolando per poco la mano di Marjorie nelle sbarre. Si mise a correre per la strada, senza curarsi della Volvo. Aveva deciso che avrebbe fatto prima a piedi. E aiuto. Avrebbe trovato aiuto. Passò davanti ad altri
cancelli e ad altri muri. «Aiuto! Oh, vi supplico, aiutatemi!» L'unica casa senza un cancello aveva un vialetto d'ingresso così ripido che non ce l'avrebbe mai fatta. Ritornò alla linea gialla in mezzo alla strada. Avrebbe gridato, continuando a correre. «Per piacere.» urlava. «Per piacere, qualcuno mi aiuti!» Passò accanto al grande cumulo di edera; un topo sfrecciò da un nascondiglio all'altro. La prossima casa sulla sinistra era quella di Roger Mercer; il cancello era chiuso, sbatté la faccia contro un cartello bianco e blu della sicurezza. Non riusciva a trovare il campanello, solo una elaboratissima cassetta per lettere, con cavallini di bronzo che tiravano una carrozza. Sulla destra c'era la casa di Gene Frankel. Cominciò ad abbassare il braccio di ferro battuto nero che si protendeva dal cancello, ma sentì un terribile uggiolio e digrignare di denti: i dobermann, che volevano farla a pezzi. Riprese a correre, inciampando nei buchi e nelle erosioni lasciate dagli acquazzoni. Ormai, da entrambe le parti, le proprietà erano protette da recinti metallici, spaventosi rotoli di filo spinato che spuntavano da sotto i rampicanti e le buganvillee. Passò davanti ai campi da tennis, alle macchine dei domestici. A un certo punto vide, in un viale, un coyote fermo a guardarla. Molto prima di arrivare in cima, capì che nessuno l'avrebbe aiutata. Non riusciva quasi a pensare. Girò intorno all'angolo della proprietà del chirurgo plastico, passò accanto al campo da tennis, e vide la sua casa. Non sarebbe riuscita a trovare le chiavi. Il cancello automatico. Avrebbe schiacciato il bottone nascosto a destra del garage. I cani! Perché Sam non abbaiava? E Sandy? Un cigolio iniziale, e poi il ronzio del motore che sollevava e faceva sparire il pesante cancello nell'oscurità del soffitto. Non c'era tempo per fare piani. Doveva fare quello che le diceva l'istinto. «Courtney! Danny!» gridò. Perché i cani non abbaiano? Entrò nel garage, passò accanto a una vecchia scrivania e alla falciatrice elettrica. I suoi occhi assorbivano tutto: le etichette gialle della vernice Olympic; il veleno per le chiocciole e le lumache. La tanica di benzina. Si sorprese a cercare istintivamente delle armi. Improvvisamente il motore automatico si rimise in moto e la porta del garage ricominciò a scendere alle sue spalle. Vide una forma, qualche cosa attaccata alla porta. All'inizio era un'ombra, che calava dal biancore del soffitto. Girandosi vide il corpo rovesciato. Era inchiodato a testa in giù sulla porta del garage. Prima che l'interrut-
tore a tempo spegnesse la luce, riuscì a vedere le scarpe da ginnastica, le calze bianche, la pelle scura, i lunghi capelli neri pendenti. Quella cosa scivolosa sul pavimento, che inconsciamente aveva percepito come olio, non era olio, ma sangue che gocciolava dal cadavere crocefisso di Maria. Capitolo 17 5.05 Lichteiman si sedette per terra, sul bordo del Canyon Sandy, con le spalle appoggiate a un grosso pino. Cercò d'immaginarsi che aspetto aveva Amore, com'era la sua faccia. Sarebbe stato grato? Deluso? Morto? Se fosse stato preso vivo, che cosa avrebbe pensato Amore di quel detective grasso, sciatto, di quel rottame con cui si era confidato al telefono, a cui aveva mandato le ovaie sanguinolente? E se lui, Lichteiman, avesse letto gli scritti di Amore? Se avesse letto qualcosa scritto da Amore nella più profonda purezza? Poi si mise a guardare oltre i canyon, col fucile in grembo, oltre i brandelli della nebbia lontana. Liberò di nuovo la sua mente lasciandola volare fuori dal corpo in un sogno di attesa. Evocò nella sua testa Amore, e incominciò a parlargli. Che cosa vuoi fare, Amore? Vuoi ucciderli tutti? Bambini che gridavano lontani. Marjorie voltò le spalle al corpo mutilato e ciondolante di Maria. Suo figlio e sua figlia vivi! Aprì la porta e arrivò alle scale di servizio. Non le importava di Jack. Se era dietro una porta o vicino alle caldaie. Lei camminava in fretta, sempre più in fretta. Corse per tutta la casa. Attraversò il tinello e il solario, con il fuoco ancora acceso nel camino. Attraversò velocemente l'atrio e il soggiorno vuoto. I cani. Dove sono i cani? Danny la chiamava ancora, piangeva. Quando arrivò in biblioteca, Marjorie lo vide in fondo alla stanza. Il suo bambino era lì, irrigidito, eretto, indifeso, che le tendeva le braccia dalla poltrona Eames. Courtney era accanto a lui. «Mamma! Mamma!» Tranne i bambini, la biblioteca era vuota. Nessuno dietro la scrivania. Nessuno nascosto sotto il marmo d'importazione e la pelle italiana. Nessuno tra Marjorie e i suoi figli. Lei corse da loro e loro le buttarono le braccia
al collo. Li prese in braccio, li baciò, sentì che erano gelati dalla paura. Controllò le loro braccia, le gambe e la gola. Non c'erano segni; erano la sua Courtney e il suo Danny, vivi. «Ci ha detto di stare qui. Che non potevamo muoverci dalla poltrona, mamma», disse Danny piangendo. «Dov'è, Danny?» chiese Marjorie, muovendo appena le labbra. Tremando, Courtney indicò il giardino oltre la grande parete di vetro. Marjorie fece qualche passo, stringendosi i bambini al petto. Poi li mise giù e li tenne per mano. Decise che si sarebbe mossa lentamente. Avrebbe tenuto gli occhi sul tappeto, il tappeto color vino, sarebbe uscita dalla biblioteca. Sapeva che lui la osservava dal giardino. Che seguiva i loro movimenti attraverso i vetri delle porte. Finalmente lo vide. Era in piedi, al limite delle ombre degli eucalipti, accanto al muretto di pietra che circondava il roseto. Era nudo. In attesa. Lei si sarebbe mossa lentamente, coi suoi bambini. Se si fosse mossa troppo in fretta, sapeva che avrebbe scatenato l'istinto animale che era in lui, che le sarebbe corso dietro e l'avrebbe raggiunta prima che potesse arrivare fuori. Se i suoi movimenti erano corretti, pensava, se erano abbastanza umili — la Madonna coi suoi figli — forse la cosa in giardino li avrebbe lasciati andare. E i cani. Finalmente li vide. Scure forme inanimate che galleggiavano nella piscina... e capì perché non avevano abbaiato. In fondo al giardino luccicava la gabbia dei conigli. «Dove sono i coniglietti, mamma?» «Dopo, cara, ne parliamo dopo...» Marjorie sentì un dolore lacerante nel petto. Avrebbe dovuto ancora per qualche attimo farsi paralizzare dall'orrore. Cominciò a sentire il panico, ad accelerare l'andatura. E fece l'errore di guardare verso il giardino. Ora stava correndo, correndo verso di lei. Riuscì ad arrivare in fondo al soggiorno, prima del fracasso. Suo marito si era gettato con tutto il corpo attraverso la parete di vetro, e le piombava addosso. L'urlo di Marjorie sovrastò l'esplosione, mentre il corpo nudo mancava sia lei sia i bambini. Marjorie sollevò da terra Courtney e Danny e si mise a correre nel corridoio centrale, verso le scale a spirale. Si trovò davanti le tre serrature della porta. Con la mano tremante, aprì il chiavistello in alto. Quello di mezzo era incantato. Marjorie lasciò sgorgare un pianto di frustrazione. Poteva sentire l'animale che saliva per le scale. Scappò dalla porta, fece i
pochi gradini che li portarono al secondo pianerottolo. Ormai era nella stanza di Courtney, chiudeva la porta, la fissava incastrando una sedia sotto la maniglia. Courtney piangeva e Marjorie la portò sul letto. Danny le rimase accanto, pronto. Con un solo movimento gettò giù le bambole dal banco di Courtney. Le prese e lo accatastò accanto alla porta, mentre dall'altra parte l'animale cominciava a scagliarvisi contro. La stanza tremava. Ma, in qualche modo, la porta teneva. Corse alla finestra, la aprì a metà. L'unico ostacolo era una ringhiera di ferro battuto dell'altezza di un metro. Avrebbe dovuto arrampicarsi e saltare giù, ma lo spazio era poco, subito sotto si apriva un fossato di cemento. I bambini potevano spaccarsi la testa. E anche se non si facevano male, potevano restare intrappolati. Incominciò a gridare verso la luce guizzante della casa di fronte. Il dottor Huston, il chirurgo plastico, era a casa! Stava guardando la televisione! Avrebbe sentito le sue urla! 5.15 Dall'alto, dov'era seduto, Lichteiman sentì il fracasso. Sapeva che erano vetri. Poteva essere uno scontro di auto, qualcuno che aveva rallentato per vedere l'incidente sulla Coldwater. Nei canyon, gli echi facevano degli scherzi. Ma questo era diverso. E le urla. Una donna urlava. Laggiù, una delle case sembrava un po' troppo illuminata, per l'ora. Il serpente multicolore delle luci dei giardini diventava fioco paragonato al lungo edificio bianco a due piani, dove gli eucalipti fra la casa e la parete del canyon erano particolarmente folti. Lichteiman, dopo aver cercato un punto d'osservazione migliore, diede gli ordini conclusivi. «Tutte le macchine alla Valley Road, a Lost Orchard... Valley Road, Lost Orchard...» «Alla sezione operazioni speciali: mandate subito tre auto pesanti. Tre uomini con giubbotti antiproiettile, tre tiratori equipaggiati completamente.» «Alla sezione comunicazioni: allarme a tutta la zona. Estrema cautela. Pericoloso e imprevedibile, ricercato per omicidi multipli.» La donna gridava ancora. «Squadra omicidi, seconda chiamata. Emergenza Valley Road, Lost Orchard.» Lichteiman si fermò, tenendo il fucile con tutte e due le mani. Quel vecchio manuale del poliziotto che era il suo cervello gli disse di correre alla
macchina, scendere sulla Coldwater e risalire la valle, ma l'istinto lo convinse invece a rimanere dov'era. Sapeva che sotto di lui, in una casa di quel presepio illuminato, Amore stava rappresentando il gran finale. 5.17 Marjorie sentì la calda esplosione delle luci inondare la facciata della casa del chirurgo. Tra le lacrime e le urla vide la porta aprirsi e il dottore uscire a guardare. Per un momento ebbe paura che si girasse e tornasse dentro. Ma no, scendeva di corsa i gradini, apriva il cancello, si precipitava in strada verso casa sua. «Sta tentando di ucciderci! Vuole ucciderci!» urlò alla faccia perplessa e preoccupata. Immediatamente, i colpi alla porta della stanza di Courtney cessarono e Marjorie andò ad ascoltare. Poté sentire i passi dell'animale che si precipitava giù per le scale. Stava trafficando con qualcosa. Rumori metallici. Ottone cavo. Stava prendendo qualcosa dal portaombrelli, dall'attaccapanni. Lo sentì aprire i chiavistelli mentre il dottore suonava il campanello, bussava alla porta. Lei si precipitò alla finestra urlando: «Vada via! Vada via! Dottore, non...» Le sue grida si persero nella stanza dei giochi, furono smorzate dai mucchi di bambole vestite di pizzi. Balzò alla finestra, si sporse, sempre urlando, avvertendolo. Vide il chirurgo che guardava verso di lei. Udì il rumore, la porta si apriva di scatto. Prima che il chirurgo potesse capire o distogliere gli occhi da lei, vide entrare in campo un paio di mani. Tenevano un ombrello chiuso, con la lunga punta di metallo che spuntava dalle pieghe arrotolate di luccicante tessuto nero. Tutto accadeva troppo in fretta, per poterlo fermare. La punta scattò in avanti, perforando il petto del dottore. Il dottore urlò, rumore di ossa spezzate, l'urlo smorzato in rantolo, poi cadde. Marjorie sentì chiudere la porta, rimettere i catenacci. «La casa sull'albero, mamma», disse sicuro Danny. Afferrò Danny e Courtney, spinse via la sedia e il banco. Aprì la porta. Erano fuori, oltre la stanza di Danny, giù per le scale, in cucina. Non c'era tempo di uscire dal garage. Poteva già sentire l'animale alle sue spalle. Corse nel solario, fece scorrere una porta a vetri. Costeggiò la piscina, con le ombre oscure degli animali morti galleggianti, attraversò il prato, il ro-
seto e gli alberi di eucalipto. La sua testa registrò tutto il giardino, individuò ogni oggetto: il trespolo per dar da mangiare agli uccelli, le azalee, la piscina; le spine delle rose, l'arredamento del patio; la canna per innaffiare, la casa sull'albero. «Su, Danny, su! Su, Courtney!» Danny si arrampicò veloce come una scimmia, tirandosi dietro Courtney. Sarebbero stati al sicuro. Se la cosa li avesse inseguiti, avrebbero potuto arrampicarsi sempre più in alto. «Vieni, mamma! Vieni su, mamma!» le gridò Danny. «Svelta, mamma!» «No. State lì, non muovetevi!» Danny incominciò a scendere. «State su!» Si girò a guardare verso la casa. Per un attimo sembrò che l'animale se ne fosse andato. Era solo suo marito nudo, che camminava lentamente, tristemente verso di loro. Aveva in mano un sacchetto di plastica con dentro qualcosa di bianco. Sembrava un regalo. Qualche cosa per lei. Lei scappò dove il giardino era più buio, vicino al tennis. Valutava con cura la distanza. Se avesse inseguito prima i bambini, avrebbe dovuto fermarlo. Jack la seguì, poi si fermò, frugando con gli occhi incerti nella profonda oscurità dei cespugli. Marjorie lo vide esitare, poi sentì le gambe appesantirsi, mentre lui si allontanava per andare verso l'albero su cui c'era la capanna. Lui si fermò. Lei non voleva, non poteva ancora far niente, i bambini erano in alto, sui grandi rami dell'albero, e lei sentiva che se il marito avesse tentato di arrampicarsi i sottili pioli inchiodati nel legno non ne avrebbero retto il peso. Lei avrebbe aspettato lì, nell'ombra. Lui non poteva fare del male ai bambini. Spaventarli sì, ma fargli davvero male, no. «Danny», lo sentì chiamare verso il labirinto di rami e di rampicanti. La voce era bassa, calma. «Non venire su, papà», gli gridò Danny. «Devo, Danny...» «No, papà», disse Courtney. Marjorie faceva grandi sforzi per vedere. Il groviglio di edera e di eucalipti formava un labirinto di foglie nere e argento, reso più intricato da grandi scaglie pendenti e arricciate di corteccia. Spostandosi un po', vide Jack posare il sacchetto di plastica su un intreccio di rami. E incominciare ad arrampicarsi.
5.20 Danny e Courtney erano affacciati alla porticina della loro capanna. Videro il padre che iniziava ad arrampicarsi, sentirono lo schiocco dei pioli che si rompevano. Lo videro scivolare, sul punto di cadere, ma le sue mani forti, come quelle di una scimmia, riuscirono ad aggrapparsi ai rami. Poi sentirono la madre che gridava. «NON LASCIATE CHE VI TOCCHI! NON LASCIATE CHE VI VENGA VICINO!» «Non salire, papà!» gli gridò ancora Danny. «Non salire. Ti prego!» La voce della mamma arrivò di nuovo attraverso il buio. «NON TOCCARLI, JACK! NON TOCCARLI! OH, DIO...» Courtney cominciò a piangere, a spostarsi ansiosa nella piccola casa. Le sottili e fradice assi di legno scricchiolavano persino sotto il suo peso. «NON È VOSTRO PADRE! ADESSO NON È VOSTRO PADRE! È UN ANIMALE! TU LO SAI, VERO, DANNY, LO SAI!» «È papà», gridò Courtney, «è papà...» I bambini sentirono un tonfo, la mamma gridò. Capirono che aveva soltanto inciampato. Le loro orecchie coglievano ogni rumore. Riuscivano a distinguere i movimenti della madre che girava attorno ai cespugli vicino al tennis da quelli del padre-animale nudo che avanzava grugnendo verso di loro. Danny si sporse dalla porta della casetta. Fra un attimo il padre li avrebbe raggiunti. Vide la sorella piangere, seduta in un angolo accanto a una minuscola finestra. La madre continuava a gridare, cercando di dir loro quello che dovevano fare. «Non avvicinarti», avvertì Danny. Poteva vedere gli occhi, il petto ansimante del padre che si teneva aggrappato al tronco con le gambe e i piedi come un operaio della società telefonica sul palo. Incontrò il suo sguardo, vide la luce nei suoi occhi. La mamma aveva ragione. Non doveva toccarli, non doveva prenderli! «È un orco», gridò Danny a Courtney, rientrando nella casetta. «È un orco che ha preso la forma di papà!» Corse alla stufa giocattolo che avevano portato su per preparare in novembre un finto pranzo di Ringraziamento. Aprì lo sportello e prese le sue speciali palle di fango. Con una per mano ritornò di corsa alla porta. «Aiutami a fermare l'orco!» urlò a Court, cominciando a scagliare le palle contro la bestia. «Aiutami!» gridò ancora,
correndo avanti e indietro, scagliando le sue povere armi. Courtney smise di piangere, riuscì a fermarsi, sapendo che doveva aiutarlo. «NON FARGLI DEL MALE, JACK! OH DIO, NON FARGLI DEL MALE!» Courtney cominciò a passare le palle di fango a Danny. Sapeva che dentro lui ci aveva nascosto delle pietre. Quando gli porse l'ultima, rimase accanto al fratello per vedere se l'orco era stato fermato. Saliva ancora, un po' più lentamente, togliendosi la terra dagli occhi. Ma le mani dell'orco avevano già afferrato i rami che reggevano la casa e la casa incominciava a traballare. Quelle dita pelose si aggrappavano al bordo della porta, mentre Danny correva alla stufa, la spostava e scopriva una grossissima palla di fango, la sua «Super Arma». La sollevò con entrambe le braccia, mentre Courtney prendeva il vassoio del tè. Arrivarono alla porta insieme. Courtney scagliò la teiera, le tazze e i piattini sull'orco, che fece una smorfia di rabbia. La mano dell'orco scattò, l'afferrò a una caviglia, e iniziò a trascinarla piangente fuori dalla porta. «No!» urlò Danny, gettando la pietra coperta di fango sull'invasore, colpendolo al braccio finché non lasciò andare la sorella. Corse con Courtney alla finestrella e si arrampicarono sui rami mentre la bestia entrava nella casetta. 5.22 Lichteiman scivolò per il rapido pendio del canyon, avvicinandosi alle urla. Andò a sbattere contro una rete metallica, ricoperta di rampicanti, e fece fatica a trovare un buco attraverso cui guardare. Sentiva la donna urlare. Sembrava più vicina, ma altre grida arrivavano dall'alto. Bambini. Bambini. Qualcosa spaventava dei bambini su un albero. Imbracciando il fucile e guardando nel cannocchiale a raggi infrarossi, non riuscì a vedere altro che due bambini su un albero gigante, aggrappati all'estremità di un ramo. Una forma più grande si spostava verso di loro, qualcosa di primitivo come una grossa scimmia nuda. Voleva chiamare Amore, ma era troppo lontano. Sapeva che doveva sparargli prima che raggiungesse i bambini, ma i rami e le grandi cascate di rampicanti lo nascondevano, lo proteggevano. L'istinto gli fece puntare il fucile in alto e sparare. Forse la bestia si sarebbe calmata. 5.24
Marjorie, ancora graffiata e sanguinante per la caduta, al colpo di fucile si voltò sorpresa e speranzosa. Sembrava venire dalla parte del canyon, dalla recinzione lontana o magari da una delle case su a Loonridge. Ma poi sentì la voce, che rimbombava troppo lontano. «È te che vuole! È te che vuole!» Si voltò verso la voce anonima. Dall'alto del canyon qualcuno li osservava, quelle grida erano per lei. Ripiombò di nuovo nella confusione e nella paura. Ci voleva la luce. Si trascinò lungo la rete che recingeva il campo da tennis, mettendo una mano davanti all'altra, lasciando che le dita entrassero nelle maglie per guidarla, sorreggerla. Finalmente trovò il cancelletto e capì con terrore che stava mettendosi in una gabbia. L'interruttore era in fondo nell'angolo e lei corse ad accenderlo sperando che non saltassero le valvole, come succedeva spesso. In un primo momento dalle grandi dodici lampade non venne che una luce fioca, tremolante. Poi il tremolio si trasformò in un fiotto potente. «SONO QUI, JACK!» urlò verso l'albero. Si sentì gelare vedendo Danny e Courtney aggrappati pericolosamente a un sottile viluppo di rami e rampicanti. Poi, con sollievo, vide che l'attenzione del marito era passata dai bambini a lei. Lo seguì mentre arretrava fino alla casetta e si lasciava calare lentamente al suolo. Frugò fra i rami. Un attimo dopo aveva di nuovo in mano il sacchetto di polvere bianca e si dirigeva verso di lei. Il sollievo si trasformò di nuovo in terrore. «Non fare male alla mamma, papà! Non fare male alla mamma!» La mente di Marjorie continuò a concentrarsi su quello che aveva intorno: lo sparapalle automatico, la rete, il tendirete. Dagli angoli in ombra, delle palle la guardavano come tristi occhi gialli. Lui entrò nella gabbia. Lei si mosse, per mettere fra di loro la rete. «Ti prego, non fare male alla mamma! Non fare male alla mamma, papà. Non farle male!» urlavano i bambini. «Va tutto bene», gridò Marjorie ai bambini, ma sapeva che non era vero. «Non ti farò male, Marjorie», promise Jack, incominciando ad aprire il sacchetto di plastica. Sotto l'assalto delle luci, sembrava una creatura dell'aldilà, con gli scuri capelli arruffati e gli occhi color di notte in contrasto con il pallore della pelle. Era in piedi davanti a lei. Un attimo dopo piangeva. Le gelò il cuore rendersi conto che la guardava con tenerezza.
«Ti amo, Marjorie, ma devo farlo.» «Jack...» Sentì in lontananza le sirene della polizia. Stavano arrivando. Si sarebbero persi. Si perdevano sempre sulla Valley Road. C'erano due strade con numeri uguali. Che fine aveva fatto l'uomo con il fucile? Cominciò a gridare aiuto. Jack andò in fondo alla rete e schiacciò un bottone. La rete si afflosciò fra di loro. Lei smise di gridare. Dal momento che non c'era più niente che li dividesse, gridare le sembrava un po' ridicolo. Lo guardò. Decise di tentare di parlargli in modo ragionevole. Per favote, non uccidermi. Ti farò divertire. Ti permetterò di prendermi, farò tutto quello che vorrai, ti farò felice e ti bacerò, fammi quello che vuoi, ma non farmi del male, non farmi male, e non fare male ai nostri bambini... Improvvisamente il suo corpo smise di tremare. Non riusciva più a parlare. Scoprì che non c'erano più parole e, con sua sorpresa, si vide correre verso di lui. Si vide mentre lo colpiva, lo graffiava. Gli strappò dalle mani il sacchetto bianco, ma le braccia si richiusero lentamente in un abbraccio. Stringevano, stringevano. La stava tirando giù, la trascinava verso terra. Lei cercò di liberare le braccia, ma lui era troppo forte. Sollevò entrambi i pugni e glieli ficcò in faccia. Poi si trovò incuneata fra le sue gambe, mentre lui le piegava le braccia dietro la schiena. Infine, con una mano libera lui prese dal sacchetto una manciata di polvere bianca e cercò di ficcargliela in bocca. «Non fare male alla mamma!» Le sirene erano più vicine. «Aiuto! Mio Dio! Aiuto!» gridò Marjorie, mentre le dita di Jack riuscivano a penetrarle in bocca. La polvere bianca soffocante, bruciante, anestetizzante. «Sarà come un sogno», promise lui. «Sarà come un sogno. Ti amo, ti amo.» Lei era troppo debole. Ormai le era completamente sopra, con altra polvere bianca. Gliela ficcava letteralmente in gola. «No, papà! No!» «Aiuto! Qualcuno mi aiuti!» Quando capì di essere padrone della situazione, Jack la lasciò e si sollevò. Le sollevò la testa all'altezza del suo inguine e continuò a imboccarla, a imboccarla di polvere bianca. Marjorie sentì una lacrima di lui caderle sulla faccia, poi Jack si fermò. La toccò con grande tenerezza.
«Ti vedo, Marjorie», disse. «Tu mi vedi?» Lei abbassò le mani, con le quali si era protetta. «Ti vedo», disse. «Adesso ti vedo, Jack...» «Amore! È finita!» Marjorie sentì la voce rauca e imperiosa. Alzò la testa e in fondo al campo vide un vecchio grasso con addosso una sahariana sdrucita e un fucile in mano. Lichteiman entrò lentamente nel cerchio della luce, rilassato, col fucile abbandonato al fianco. Metà della sua concentrazione era dedicata alla donna: Si allontani, signora, si allontani da lui... Amore si girò, lo guardò in faccia. Sostieni lo guardo. Sostienilo, si. disse Lichteiman. Il poliziotto sorrise dolcemente, nascondendo il turbamento che gli procurava la scena, lo spettacolo nauseante della degradazione completa di un essere umano. Lichteiman voleva che lui lo sapesse: Capisco la tua paura e il tuo desiderio di fare del male. Capisco il tuo bisogno... Cercò di comunicare quei pensieri con gli occhi, rapidamente. C'era a disposizione solo un istante. Sentiva già il rumore degli altri, mentre Amore andava verso di lui a braccia tese. Poi, dal buio, arrivarono gli spari, con echi di tuono. Marjorie vide il corpo del marito sollevarsi, volare all'indietro, come se fosse stato colpito da un oggetto pesante, prima che la sua mente riconoscesse i colpi di fucile. Sotto le luci bianche e calde del campo da tennis il corpo di Jack crollò. Lei rimase immobile, incredula. Poi corse accanto al corpo, il cranio fracassato, frammenti di osso, di cervello e di sangue. Poi lo lasciò, per correre dai bambini, mentre la rete metallica perdeva ai suoi occhi di nitidezza. Danny saltò giù dal ramo più basso. Danny e Courtney salvi. Vivi. Corse con loro lungo la piscina, sentì stridere davanti alla casa i freni di altre macchine della polizia. Scampanellare, bussare alla porta. Coi bambini Marjorie attraversò il solario e corse all'ingresso. Sentì il rumore di uomini che si muovevano, che si agitavano, gridavano. Stavano chiamando lei. Nel buio lasciò le mani dei bambini e incominciò a far scorrere i chiavistelli, girare le serrature. Fra un istante la porta si sarebbe aperta su una folla di rassicuranti poliziotti in uniforme blu. Lei
avrebbe guardato oltre di loro, l'orizzonte lontano, ai primi segni che preannunciano l'alba. FINE