STEVEN ERIKSON MEMORIE DI GHIACCIO (Memories Of Ice, 2001) Ringraziamenti Desidero esprimere la mia riconoscenza per il ...
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STEVEN ERIKSON MEMORIE DI GHIACCIO (Memories Of Ice, 2001) Ringraziamenti Desidero esprimere la mia riconoscenza per il loro appoggio e la loro amicizia alle seguenti persone: Clare, Bowen, Mark, David, Chris, Rick, Cam, Courtney, Susan e Peter, David Thomas Sr. e Jr., Harriet e Chris e Lily e Mina e Smudge; Patrick Walsh e Simon e Jane. Grazie anche a Dave Golden e al suo amichevole staff (Trincia, Cindy, Liz, Tanis, Barbara, Joan, Nadia, Amanda, Tony, Andi e Jody) del Pizza Place, per il tavolo e le provviste. E grazie a John Meaney per i ripugnanti dettagli sui semi morti.
ELENCO DEI PERSONAGGI
Il Caravanserraglio Gruntle, guardia di carovana Stonny Menackis, guardia di carovana Harllo, guardia di carovana Buke, guardia di carovana Bauchelain, esploratore Korbal Broach, il suo socio silenzioso Emancipor Reese, domestico Keruli, mercante Marble, mago A Capustan Brukhalian, Spada Mortale di Fener (Spade Grigie) Itkovian, Incudine-Scudo di Fener (Spade Grigie) Karnadas, Destriant di Fener (Spade Grigie) La recluta Velbara (Spade Grigie) Il sergente maggiore Norul (Spade Grigie) Farakalian (Spade Grigie) Nakalian (Spade Grigie) Torun (Spade Grigie) Sidlis (Spade Grigie) Nilbanas (Spade Grigie) Jelarkan, principe e governante di Capustan Arard, principe e governante in absentia di Coral Rath'Fener (Sacerdote del Consiglio Mascherato) Rath'Tronod'Ombra (Sacerdote del Consiglio Mascherato) Rath'Regina dei Sogni (Sacerdotessa del Consiglio Mascherato) Rath'Hood (Sacerdote del Consiglio Mascherato) Rath'D'rek (Sacerdote del Consiglio Mascherato) Rath'Trake (Sacerdote del Consiglio Mascherato) Rath'Burn (Sacerdotessa del Consiglio Mascherato) Rath'Togg (Sacerdote del Consiglio Mascherato) Rath'Fanderay (Sacerdotessa del Consiglio Mascherato) Rath'Dessembrae (Sacerdotessa del Consiglio Mascherato) Rath'Oponn (Sacerdote del Consiglio Mascherato)
Rath'Beru (Sacerdote del Consiglio Mascherato) L'Armata di Un-braccio Dujek Un-braccio, comandante dell'esercito Malazan disertore Whiskeyjack, comandante in seconda dell'esercito Malazan disertore L'Ardito, comandante dei Moranth Neri Artanthos, alfiere dell'esercito Malazan disertore Barak, ufficiale di collegamento Hareb, capitano di nobili natali Ganoes Paran, capitano, Arsori di Ponti Antsy, sergente, 7° squadrone, Arsori di Ponti Picker, caporale, 7° squadrone, Arsori di Ponti Detoran, soldatessa, 7° squadrone Spindle, mago e zappatore, 7° squadrone Blend, soldatessa, 7° squadrone Mallet, guaritore, 9° squadrone Hedge, zappatore, 9° squadrone Trotts, soldato, 9° squadrone Ben lo Svelto, mago, 9° squadrone Aimless (caporale degli Arsori di Ponti) Bucklund (sergente degli Arsori di Ponti) Runter (zappatore degli Arsori di Ponti) Mulch (guaritore degli Arsori di Ponti) Bluepearl (mago degli Arsori di Ponti) Shank (mago degli Arsori di Ponti) Toes (mago degli Arsori di Ponti) L'esercito di Brood Caladan Brood, Alto Comandante dell'esercito di liberazione a Genabackis Anomander Rake, Signore della Progenie della Luna Kallor, l'Alto Re, comandante in seconda di Brood La Mhybe, matrona delle tribù Rhivi Volpe d'Argento, la Rhivi rinata Korlat, una Soletaken Tiste Andii Orfantal, fratello di Korlat
Hurlochel, ricognitore dell'esercito di liberazione Crone, Grande Corvo, al servizio di Anomander Rake I Barghast Humbrall Taur, capo dei Clan del Viso Bianco Hetan, sua figlia Cafal, il suo primo figlio Netok, il suo secondo figlio Gli inviati di Darujhistan Coll, ambasciatore Estraysian D'Arie, membro del Consiglio Baruk, alchimista Kruppe, cittadino Murillio, cittadino I T'lan Imass Kron, comandante dei Kron T'lan Imass Cannig Tol, Capoclan Bek Okhan, Divinatore Pran Chole, Divinatore Okral Lom, Divinatore Bendai Home, Divinatore Ay Estos, Divinatore Olar Ethil, Primo Divinatore e Primo Soletaken Tool, il Tonsurato, un tempo Prima Spada Kilava, Divinatrice traditrice della sua gente Lanas Tog, dei Kerluhm T'lan Imass Il Dominio di Pannion Il Veggente, sacerdote-re del Dominio Ultentha, Eptarca di Coral Kulpath, Eptarca dell'esercito assediante Inal, Eptarca di Lest
Anaster, Figlio del Seme Morto, membro del Tenescowri Il Seerdomin Kalt Altri K'rul, Dio Antico Draconus, Dio Antico Sorella delle Fredde Notti, Dea Antica Lady Invidia, abitante di Morn Gethol, Araldo Treach, Primo Eroe (la Tigre dell'Estate) Toc il Giovane, Aral Fayle, ricognitore Malazan Garath, grande cane Baaljagg, lupa ancora più grande Mok, Seguleh Thurule, Seguleh Senu, Seguleh L'Incatenato, ignoto ascendente (noto anche come il Dio Storpio) La strega di Tennes Munug, artigiano Daru Talamandas, figura-stecco Barghast Ormulogun, artista dell'Armata di Un-braccio Gumble, il suo critico Haradas, padrona di carovana della Corporazione Commerciale Trygalle Azra Jael, soldato di marina dell'Armata di Un-braccio Straw, Irregolare di Mott Sty, Irregolare di Mott Stump, Irregolare di Mott Job Bole, Irregolare di Mott PROLOGO Le antiche guerre dei T'lan Imass e degli Jaghut lacerarono il mondo. Vasti eserciti combatterono sulle terre devastate; i morti si ammassavano in alte pile, le loro ossa formavano colline, il loro sangue mari. La magia infuriò finché il cielo stesso diventò di fuoco...
Storie Antiche, Vol. I Kinicik Karbar'n I Maeth'ki Im (Il Massacro del Fiore Marcio), la 33esima Guerra Jaghut 298.665 anni prima del Sonno di Burn Rondini sfrecciavano attraverso i nugoli di moscerini che danzavano sopra le pianure fangose. Il cielo sopra la palude restava grigio, ma aveva perso l'argenteo bagliore invernale, e il vento caldo che sibilava sopra la terra devastata recava in sé il sentore della guarigione. Quello che era, un tempo, il mare interno di acqua dolce chiamato Jaghra Til dagli Imass - nato dallo scioglimento dei ghiacciai Jaghut - viveva ora la sua agonia. Il riflesso della pallida cortina di nubi nelle distese d'acqua alta fino al ginocchio continuava verso sud a perdita d'occhio e, tuttavia, la terra appena nata dominava il paesaggio. La rottura dell'incantesimo che aveva provocato l'era glaciale restituiva alla regione le antiche, naturali stagioni, ma il ricordo dei ghiacci alti come montagne restava. La roccia esposta a nord era graffiata e scrostata e i suoi bacini pieni di massi. Lo spesso strato di limo che era stato il fondo del mare ribolliva ancora di gas, mentre la terra, libera del peso enorme dei ghiacciai scomparsi otto anni prima, continuava la sua lenta ascesa. La vita dello Jaghra Til era stata breve, ma il limo che si era depositato sul fondo era alto. E infido. Pran Chole, Divinatore del clan di Cannig Tol dei Kron Imass, sedeva immobile in cima a un masso, lungo un'antica spiaggia. Il pendio davanti a lui era ricoperto di un groviglio di erba bassa, sottile, e di pezzi di legno malconci, portati dalla corrente. Dodici passi più in là, la terra declinava leggermente, poi si apriva in un ampio bacino fangoso. Tre ranag erano rimasti intrappolati in una pozza paludosa all'interno del bacino. Un maschio, la sua compagna e il loro vitello, stretti in un patetico cerchio difensivo. Prigionieri, vulnerabili, dovevano essere sembrati facili prede al branco di ay che li aveva trovati. Ma la terra era veramente infida. I grossi lupi della tundra avevano subi-
to lo stesso destino dei ranag. Pran Chole contò sei ay, compreso un cucciolo di un anno. Impronte indicavano che un altro cucciolo aveva girato intorno alla pozza dozzine di volte prima di vagabondare verso ovest, destinato senza dubbio a morire in solitudine. Quanto tempo prima si era verificato questo dramma? Non c'era modo di dirlo. Il fango sì era rappreso su ranag e ay, formando mantelli di argilla percorsi da crepe. Macchie di verde brillante spuntavano là dove avevano germinato i semi portati dal vento e il Divinatore ricordò le visioni avute nel camminare in forma di spirito: una moltitudine di dettagli mondani distorti in immagini irreali. Per le bestie, la lotta era diventata eterna: prede e cacciatori erano stretti in un abbraccio fino alla fine dei tempi. Qualcuno arrivò quasi senza rumore, accoccolandosi al suo fianco. Gli occhi bronzei di Pran Chole rimasero fissi su quella statica scena. Il ritmo dei passi aveva rivelato al Divinatore l'identità del suo compagno e ora gli odori, tipici di una creatura a sangue caldo, erano eloquenti tanto quanto la visione diretta del suo volto. Cannig Tol parlò. «Che cosa giace sotto l'argilla, Divinatore?» «Solo ciò che ha plasmato l'argilla stessa, Capoclan.» «Non vedi alcun presagio in queste bestie?» Pran Chole sorrise. «E tu?» Cannig Tol rifletté per un attimo, poi disse: «I ranag sono scomparsi da queste terre. E anche gli ay. Quella che ci sta davanti è una battaglia antica. E queste constatazioni hanno un significato profondo, poiché agitano il mio animo». «E anche il mio», ammise il Divinatore. «Cacciammo i ranag finché non ce ne furono più, e questo fece morire di fame gli ay, perché avevamo cacciato anche i tenag fino all'ultimo esemplare. Gli agkor che camminano con i bhederin rifiutarono di dividere con gli ay le loro prede, e ora la tundra è vuota. Da ciò, concludo che la nostra caccia è stata avventata e rovinosa.» «Però il bisogno di nutrire i nostri piccoli...» «Il bisogno di altri piccoli era grande.» «E lo è ancora, Capoclan.» Cannig Tol grugnì. «Gli Jaghut erano potenti in queste terre, Divinatore. Non fuggirono; non all'inizio. Conosci il prezzo in sangue Imass.» «E la terra cede le sue ricchezze per pagare quel prezzo.» «Per servire la nostra guerra.» «E così, si smuovono gli abissi.»
Il Capoclan annuì, ammutolendo. Pran Chole aspettò. Nella loro conversazione, avevano toccato solo la pelle delle cose. La rivelazione di muscoli e ossa doveva ancora venire, ma Cannig Tol non era uno sciocco, e l'attesa non fu lunga. «Noi siamo come quelle bestie.» Il Divinatore socchiuse gli occhi, volgendoli verso l'orizzonte meridionale. Cannig Tol continuò: «Noi siamo l'argilla, e la nostra guerra infinita contro gli Jaghut è la bestia che lotta al di sotto. La superficie è plasmata da ciò che giace sotto». Indicò con una mano. «E davanti a noi, ora, in queste creature che lentamente diventano pietra, sta la maledizione dell'eternità.» Non era finita. Pran Chole rimase in silenzio. «Ranag e ay», riprese Cannig Tol. «Prede e cacciatori, entrambi quasi scomparsi dal regno mortale.» «Ossa comprese», mormorò il Divinatore. «Vorrei che avessi visto un presagio», borbottò il Capoclan, alzandosi. Pran Chole l'imitò. «Lo vorrei anch'io», concordò in un tono che solo debolmente riecheggiava l'asciutto sarcasmo di Cannig Tol. «Ci siamo quasi, Divinatore?» Pran Chole lanciò un'occhiata alla sua ombra, studiando le corna ramificate, la figura che traspariva da sotto il mantello di pelliccia, le pelli logore e il copricapo. L'angolazione del sole lo faceva sembrare alto quasi quanto uno Jaghut. «Domani», annunciò. «Si stanno indebolendo. E una notte di viaggio li indebolirà ancora di più.» «Bene. Allora il clan si accamperà qui stanotte.» Il Divinatore tese le orecchie, mentre Cannig Tol tornava là dove aspettavano gli altri. Con il buio, Pran Chole avrebbe camminato in forma di spirito, dentro la terra percorsa da bisbigli, alla ricerca dei suoi simili. Anche se la loro preda si stava indebolendo, il clan di Cannig Tol era ancora più debole. Restava meno di una dozzina di adulti. Quando si inseguivano gli Jaghut, la distinzione fra cacciatore e cacciato aveva scarso significato. Sollevò la testa, annusando l'aria del crepuscolo. Un altro Divinatore percorreva quella terra: la traccia era inconfondibile. Si chiese chi fosse, e perché viaggiasse da solo, senza clan né parenti. E sapendo che, come lui, Pran Chole aveva avvertito la presenza dell'altro, quello doveva aver avvertito la sua, e si chiese perché non fosse ancora venuto alla loro ricerca.
Si tirò fuori dal fango e si lasciò cadere sulla riva sabbiosa; respirava faticosamente, in ansiti rochi. Il figlio e la figlia sgusciarono fuori dalle sue braccia di piombo, correndo su per la bassa gobba dell'isola. La madre Jaghut abbassò la testa, fino ad appoggiare la fronte sulla sabbia fresca e umida. La graniglia le premette contro la pelle con cruda insistenza. Le ustioni erano troppo recenti per essere guarite; era stata sconfitta, e aspettava solo l'arrivo dei suoi cacciatori per morire. Per fortuna, erano estremamente competenti. A quegli Imass non interessava la tortura. Un colpo rapido, micidiale; per lei, poi per i suoi figli. E con loro - con quella scarna, malandata famiglia - gli ultimi Jaghut sarebbero scomparsi dal continente. La fortuna arrivava sotto molte forme. Se non si fossero uniti nell'imprigionare Raest, tutti quanti - Imass e Jaghut insieme - si sarebbero ritrovati inginocchiati davanti a quel Tiranno. Una temporanea tregua di convenienza. Era stata abbastanza saggia da fuggire una volta completata la missione; aveva saputo, anche allora, che il clan Imass avrebbe ripreso l'inseguimento. La madre non provava amarezza, ma non per questo era meno disperata. Avvertendo una nuova presenza sulla piccola isola, alzò la testa di scatto. I suoi figli erano impietriti, e fissavano inorriditi la donna Imass che si ergeva sopra di loro. La madre strinse gli occhi grigi. «Bella mossa, Divinatrice. Avevo i sensi rivolti solo a chi ci stava alle spalle. Avanti, fa' quel che devi fare.» La donna giovane, dai capelli neri, sorrise. «Niente patti, Jaghut? Voi andate sempre in cerca di patti per risparmiare la vita ai vostri figli. Hai spezzato i legami di parentela con quei due? Sembrano giovani per una cosa simile.» «I patti sono inutili. La tua gente non li accetta mai.» «No, ma la tua gente ci prova comunque.» «Io non lo farò. Uccidici, allora. In fretta.» L'Imass indossava una pelle di pantera. I suoi occhi erano altrettanto neri e sembravano uguagliarne la lucentezza nel chiarore morente. Sembrava ben nutrita e i seni ampi, gonfi, indicavano che aveva partorito da poco. La madre Jaghut non poteva leggere la sua espressione; vide solo che mancava della tipica, cupa certezza che era solita associare agli strani visi rotondi degli Imass. La Divinatrice parlò. «Le mie mani hanno già versato abbastanza sangue Jaghut. Vi lascerò al clan di Kron che vi troverà domani.» «A me», ringhiò la madre, «non importa chi di voi ci uccide: basta che
lo facciate». La donna increspò la bocca larga. «Capisco il tuo punto di vista.» La madre Jaghut si sentiva sopraffare dalla debolezza, ma riuscì a mettersi in posizione seduta. «Che cosa vuoi?» chiese ansimante. «Offrirti un patto.» Il respiro fermo in gola, la madre Jaghut fissò gli occhi scuri della Divinatrice, e non vi trovò traccia di inganno. Poi il suo sguardo cadde, per un attimo soltanto, sul figlio e sulla figlia, prima di tornare a incontrare fermamente quello della donna. L'Imass annuì lentamente. A un certo punto del passato, nella terra si era aperta una ferita, una ferita così profonda da dare origine a un fiume di materia liquefatta, abbastanza largo da estendersi da un orizzonte all'altro. Vasto e nero, il fiume di pietra e ceneri si allungava ora verso sud, fino al mare lontano. Solo le piante più piccole erano riuscite ad attecchirvi, e al suo passaggio la Divinatrice - un bambino Jaghut stretto sotto ciascun braccio - alzava soffocanti nuvole di polvere che aleggiavano immobili nella sua scia. Il maschietto, stimò, doveva avere cinque anni; sua sorella forse quattro. Né l'uno né l'altro sembravano del tutto svegli, ed era evidente che né l'uno né l'altro avevano capito quando la madre li aveva salutati per sempre con un abbraccio. La lunga fuga giù per il L'amath e attraverso lo Jaghra Til li aveva ridotti entrambi in stato di choc. E, senza dubbio, assistere all'orribile morte del padre non li aveva aiutati. Aggrappati a lei con le mani piccole, sporche, le ricordavano tristemente il figlio che lei stessa aveva perso da poco. In breve, entrambi le si attaccarono al seno, mostrando una fame disperata. Dopo un po' si addormentarono. Il flusso di lava si restrinse, mentre la donna si avvicinava alla costa. Alla sua destra, una catena di colline si sollevava in montagne lontane. Davanti a lei, si stendeva una pianura uniforme, che terminava in una cresta distante mezza lega. Anche se la vista le era preclusa, sapeva che, dall'altra parte, la terra digradava bruscamente verso il mare. La pianura era costellata da monticelli, che la Divinatrice si fermò a esaminare. Erano disposti in cerchi concentrici, e al centro c'era una cupola più alta, ricoperta da un mantello di cenere e lava. Il dente marcio di una torre in rovina si levava dal bordo della pianura, alla base della prima linea di colline. Quelle colline, come aveva notato la prima volta che era venuta in quel posto, erano
allineate a intervalli di gran lunga troppo regolari per essere naturali. La Divinatrice alzò la testa. Gli odori, per quanto mischiati l'uno all'altro, erano inconfondibili: uno antico e morto, l'altro... meno. Il maschietto si mosse sotto la sua stretta, ma non si svegliò. «Ah», mormorò lei, «lo senti anche tu». Costeggiando la pianura, camminò verso la torre annerita. La porta del canale si trovava appena oltre il malconcio edificio, sospesa nell'aria a un'altezza di circa sei volte la sua. La vide come una cicatrice rossa, il segno di un antico taglio che aveva smesso di sanguinare. Non riuscì a riconoscere il canale; il danno oscurava le caratteristiche dell'ingresso. Si sentì percorrere da vaghi brividi di inquietudine. La Divinatrice posò i bambini accanto alla torre, poi si sedette su un blocco di pietra caduto. Lo sguardo le cadde sui due piccoli Jaghut, che, ancora raggomitolati nel sonno, giacevano sui loro letti di cenere. «Cosa devo fare?» mormorò. «Quello deve essere Omtose Phellack. Certo non è Tellann. Starvald Demelain? Improbabile.» Spostò lo sguardo sulla pianura, puntandolo sui cerchi di monticelli. «Chi abitava lì? Chi altro aveva l'abitudine di costruire con la pietra?» Rimase in silenzio per un lungo momento, poi riportò l'attenzione sulla rovina. «Questa torre è la prova definitiva, perché è sicuramente Jaghut, e una struttura simile non sarebbe stata innalzata così vicino a un canale nemico. No, il canale è Omtose Phellack. Per forza.» Tuttavia rimanevano dei rischi. Uno Jaghut adulto nel canale, che incontrasse due bambini estranei al suo sangue, avrebbe potuto tanto adottarli quanto ucciderli. «E allora la loro morte sporcherà le mani di un altro, di uno Jaghut.» La distinzione le era di magro conforto. Non mi importa chi di voi ci uccide: basta che lo facciate. La donna emise un sospiro sibilante. «Cosa devo fare?» chiese di nuovo. Li avrebbe lasciati dormire ancora un po'. Poi, li avrebbe infilati nel canale. Una parola al maschietto: abbi cura di tua sorella. Il viaggio non sarà lungo. E a entrambi: vostra madre vi aspetta al di là. Era una bugia, ma avevano bisogno di consolazione. Se lei non riuscirà a trovarvi, lo farà uno dei suoi parenti. Su, andate, verso la sicurezza, verso la salvezza. Dopo tutto, cosa c'era di peggio della morte? La donna si alzò mentre si avvicinavano. Pran Chole saggiò l'aria; la fronte gli si increspò in un cipiglio. La Jaghut non aveva aperto il suo canale. E, cosa ancora più sconcertante, dov'erano i suoi figli?
«Ci accoglie con tranquillità», borbottò Cannig Tol. «Già», concordò il Divinatore. «Non mi fido; dovremmo ucciderla subito.» «Vuole parlare con noi», replicò Pran Chole. «Soddisfare quel desiderio è un rischio mortale.» «Non posso darti torto, Capoclan. Però... cosa ne ha fatto dei figli?» «Non riesci ad avvertire la loro presenza?» Pran Chole scosse la testa. «Prepara i tuoi lancieri», disse, avanzando. Negli occhi di lei c'era la pace, un'accettazione così chiara della morte imminente che il Divinatore ne fu scosso. Pran Chole camminò attraverso l'acqua alta fino agli stinchi, poi mise piede sulla riva sabbiosa dell'isola, per ritrovarsi faccia a faccia con la Jaghut. «Che cosa hai fatto di loro?» domandò. La madre sorrise; le labbra si ritrassero a rivelare le zanne. «Se ne sono andati.» «Dove?» «Oltre la tua portata, Divinatore.» Pran Chole assunse un'aria ancora più torva. «Queste sono le nostre terre. Qui non c'è luogo che sia oltre la nostra portata. Li hai uccisi con le tue stesse mani, allora?» La Jaghut inclinò la testa, studiando l'Imass. «Avevo sempre creduto che foste uniti nel vostro odio per la nostra gente. Avevo sempre creduto che concetti come la pietà e la compassione fossero estranei alla vostra natura.» Il Divinatore la fissò per un lungo attimo, poi il suo sguardo la superò, per esaminare il morbido terreno argilloso. «Un'Imass è stata qui», osservò. «Una donna. La Divinatrice...» quella che non sono riuscito a trovare camminando in forma di spirito. Quella che ha scelto di non farsi trovare. «Che cosa ha fatto?» «Ha esplorato questa terra», rispose la Jaghut. «A sud, ha trovato la porta di un canale. Un canale Omtose Phellack.» «Sono felice», commentò Pran Chole, «di non essere una madre». E tu, donna, dovresti essere felice del fatto che non sia crudele. Fece un gesto. Aste pesanti sfrecciarono oltre il Divinatore. Sei lunghe, scanalate punte di pietra trafissero la pelle che ricopriva il petto della Jaghut. La donna barcollò, poi crollò a terra in un fracasso di lance. Così finì la trentatreesima Guerra Jaghut. Pran Chole si girò. «Non c'è tempo per allestire una pira. Dobbiamo di-
rigerci a sud. In fretta.» Cannig Tol avanzò, mentre i suoi guerrieri andavano a recuperare le armi. Il Capoclan strinse gli occhi sul Divinatore. «Che cosa ti angustia?» «Una Divinatrice traditrice ha portato via i bambini.» «Verso sud?» «A Morn.» Il Capoclan aggrottò le sopracciglia. «La traditrice voleva salvare i figli di questa donna. Crede che lo Squarcio sia Omtose Phellack.» Pran Chole vide Cannig Tol sbiancare in volto. «Va' a Morn, Divinatore», bisbigliò il Capoclan. «Noi non siamo crudeli. Va' subito.» Pran Chole si inchinò. Il canale Tellann lo inghiottì. Bastò una debole emissione del suo potere a spedire i due bambini Jaghut verso l'alto, nella porta spalancata. Prima di raggiungerla, la femmina cacciò un breve lamento, un grido di desiderio per la madre, che immaginava li aspettasse al di là. Poi le due figurette svanirono all'interno. La Divinatrice sospirò e tenne lo sguardo puntato verso l'alto, in cerca di eventuali segni che il trasferimento fosse andato storto. A quanto pareva, tuttavia, non si era riaperta nessuna ferita, nessun fiotto di potere selvaggio zampillava dalla porta. Aveva un aspetto diverso da prima? Non sapeva dirlo con certezza. Questa era terra nuova per lei; la donna era completamente priva di quella sensibilità istintiva che aveva provato per tutta la vita nelle terre del clan di Tarad, nel cuore del Primo Impero. Il canale Tellann si aprì dietro di lei. La Divinatrice si girò; nel giro di pochi attimi avrebbe assunto la sua forma Soletaken. Una volpe artica apparve saltellando, rallentò nel vederla, poi riprese la forma Imass. La donna si trovò davanti un giovane, che portava sulle spalle la pelle del suo animale totemico, e sulla testa un logoro copricapo con corna ramificate. L'espressione distorta dalla paura, teneva lo sguardo non su di lei, ma sulla porta alle sue spalle. La donna sorrise. «Ti do il benvenuto, compagno Divinatore. Sì, li ho infilati dentro. Sono al di là della tua vendetta, e questo mi rende felice.» I suoi occhi bronzei si fissarono su di lei. «Chi sei? A quale clan appartieni?» «Ho lasciato il mio clan, ma una volta facevo parte dei Logros. Mi chiamo Kilava.» «Avresti dovuto lasciare che ti trovassi ieri notte», ribatté Pran Chole.
«Allora, Kilava, sarei riuscito a convincerti che, per quei bambini, una morte rapida era una soluzione più misericordiosa di quello che tu hai fatto qui.» «Sono abbastanza piccoli per essere adottati...» «Sei arrivata nel posto di nome Morn», la interruppe Pran Chole, con voce fredda. «Alle rovine di un'antica città...» «Jaghut...» «Non Jaghut! Questa torre, sì, lo è, ma fu costruita molto dopo, nel periodo fra la distruzione della città e il T'ol Ara'd, il flusso di lava che seppellì quasi del tutto qualcosa che era già morto.» Alzò una mano a indicare la porta sospesa. «Fu questo - questo taglio - a distruggere la città, Kilava. Il canale al di là... non capisci? Non è Omtose Phellack! Dimmi: come si chiudono ferite del genere? Tu conosci la risposta, Divinatrice!» La donna si girò lentamente, studiò lo Squarcio. «Se un'anima ha chiuso quella ferita, allora avrebbe dovuto essere liberata... quando sono arrivati i bambini...» «Liberata», sibilò Pran Chole, «in cambio di altre!». Tremando, Kilava si volse verso di lui. «Allora dov'è? Perché non è comparsa?» Pran Chole si girò a esaminare la cupola centrale sulla pianura. «Oh», mormorò, «sì che lo è». Lanciò uno sguardo alla Divinatrice. «Dimmi, rinunceresti alla tua vita per quei bambini? Ora sono intrappolati in un eterno incubo di dolore. La tua compassione si estende fino a farti sacrificare in un altro scambio?» La scrutò, poi emise un sospiro. «No; lo immaginavo. Per cui, asciugati quelle lacrime, Kilava. L'ipocrisia mal si addice a una Divinatrice.» «Che cosa...» riuscì a dire la donna dopo un po', «che cosa è stato liberato?». Pran Chole scosse la testa. Studiò ancora la cupola centrale. «Non ne sono sicuro, ma dovremo fare qualcosa al riguardo, prima o poi. Abbiamo molto tempo, presumo. La creatura deve liberarsi dalla sua tomba, che è stata circondata di difese. Inoltre, il mantello di pietra del T'ol Ara'd ricopre ancora il tumulo.» Dopo un attimo, aggiunse: «Ma il tempo non ci mancherà». «Che cosa intendi dire?» «È stato indetto il Raduno. Il Rituale di Tellann ci aspetta, Divinatrice.» La donna sputò a terra. «Siete tutti pazzi. Scegliere l'immortalità nell'interesse di una guerra... è una follia. Ignorerò la chiamata, Divinatore.»
Lui annuì. «Ma il Rituale sarà compiuto. Ho esplorato il futuro in forma di spirito, Kilava. Ho visto il mio volto avvizzito, a oltre duecentomila anni da adesso. Avremo la nostra guerra eterna.» La voce di Kilava era piena di amarezza. «Mio fratello sarà contento.» «Chi è tuo fratello?» «Onos T'oolan, la Prima Spada.» A quelle parole, Pran Chole si girò. «Tu sei la Sfidante. Tu hai massacrato il tuo clan... i tuoi parenti...» «Per rompere il legame e conquistare la libertà, sì. Ahimè, l'abilità del mio fratello maggiore era più che pari alla mia. Ma ora siamo entrambi liberi, anche se Onos T'oolan maledice ciò di cui io gioisco.» Si strinse le braccia intorno al corpo, e Pran Chole vide su di lei strati su strati di dolore. La sua era una libertà che non le invidiava. La donna parlò di nuovo. «Questa città, allora. Chi l'ha costruita?» «I K'Chain Che'Malle.» «Conosco il nome, ma poco altro di loro.» Pran Chole annuì. «Impareremo, immagino.» II I continenti di Korelri e Jacuruku, all'Epoca dell'Agonia 119.736 anni prima del Sonno di Burn (tre anni dopo la Caduta del Dio Storpio) La Caduta aveva distrutto un continente. Foreste erano bruciate e incendi avevano acceso gli orizzonti in tutte le direzioni, bagnando di cremisi le nubi tumultuose, piene di cenere, che velavano il cielo. La conflagrazione aveva divorato il mondo per settimane, mesi; e per tutto quel tempo, apparentemente infinito, erano risuonate le grida di un dio. Dal dolore nacque la rabbia. Dalla rabbia, il veleno, un'infezione che non risparmiò nessuno. I pochi superstiti, ridotti allo stato selvaggio, vagavano per un paesaggio punteggiato di enormi crateri pieni di acqua fosca, priva di vita. Il cielo ribolliva senza posa sopra di loro. Le famiglie erano state smembrate; l'amore si era dimostrato un peso troppo costoso da portare. Mangiavano quello che potevano, spesso i loro simili, e setacciavano il mondo devastato con intento rapace.
Una figura percorreva da sola questo paesaggio. Avvolto in laceri stracci, l'uomo era di altezza media; i suoi lineamenti erano brutti, angolosi. Il volto aveva un'aria cupa, gli occhi un'inflessibilità ferrea. Camminava come trascinandosi dietro la sofferenza, indifferente al suo peso enorme; camminava come se fosse incapace di cedere, di negare i doni del suo spirito. In lontananza, bande di vagabondi tenevano d'occhio la figura che avanzava, passo dopo passo, per i resti del continente che avrebbe avuto, un giorno, il nome di Korelri. La fame avrebbe potuto spingerli più vicino, ma i superstiti della Caduta non erano sciocchi, e mantenevano una cauta distanza; la paura smussava la loro curiosità. Perché l'uomo era un Dio Antico, e camminava fra loro. Oltre a tutta la sofferenza già assorbita, K'rul avrebbe abbracciato volentieri le loro anime spezzate; tuttavia, già si era nutrito - e andava nutrendosi - del sangue versato su quella terra. E, in effetti, il potere da esso scaturito sarebbe stato necessario. Sulla scia di K'rul, uomini e donne uccidevano uomini, donne, bambini. Una cupa carneficina era il fiume su cui navigava il Dio Antico. Gli Dei Antichi nutrivano sentimenti decisamente sgradevoli. Il Dio Straniero aveva subito una lacerazione durante la sua discesa sulla terra. Era stato ridotto in pezzi, in lingue di fuoco. Il suo dolore era fiamma, tuono e grida, una voce che era stata sentita da mezzo mondo. Al dolore si era aggiunta l'indignazione. E, rifletté K'rul, l'angoscia. Sarebbe passato molto tempo prima che il Dio Straniero potesse rivendicare i frammenti sparsi della sua vita, e così cominciare a rivelare la sua natura. K'rul temeva l'arrivo di quel giorno. Da un simile disastro poteva venire solo la follia. Gli evocatori erano morti, distrutti da ciò che avevano richiamato su di sé. Era inutile odiarli, inutile evocare immagini delle punizioni che, in verità, meritavano. In fin dei conti, erano disperati. Abbastanza disperati da spezzare il tessuto del caos, da aprire un passaggio verso un regno remoto, alieno; da attirare poi più vicino, sempre più vicino alla trappola che avevano preparato, un dio curioso di quel regno. I richiamanti cercavano il potere. E tutto per distruggere un uomo. Il Dio Antico aveva attraversato il continente in rovina, aveva visto la carne ancora viva del Dio Caduto, le larve che strisciavano sinistramente
dalle ossa rotte e dalle membra marce, pulsanti. Aveva visto in quali creature sbocciavano quelle larve. In quel momento, mentre stava per raggiungere la costa danneggiata di Jacuruku, l'antico continente fratello di Korelri, turbinavano sopra la sua testa con le ali larghe, nere. Avvertivano il potere dentro di lui, e bramavano di assaggiarne il sapore. Ma un dio forte poteva ignorare i predatori sulla sua scia, e K'rul era un dio forte. Templi erano stati eretti in suo nome. Sangue aveva, per generazioni, bagnato innumerevoli altari a lui dedicati. Le città nascenti erano state avvolte nel fumo di pire e fucine, nel rosso chiarore dell'alba dell'umanità. Il Primo Impero era sorto, su un continente distante mezzo mondo dal punto in cui ora K'rul camminava. Un impero di umani, nato dall'eredità dei T'lan Imass, da cui prendeva il nome. Ma non era rimasto a lungo da solo. Lì, a Jacuruku, all'ombra di antichissime rovine K'Chain Che'Malle, era emerso un altro impero. Il suo sovrano era un guerriero senza pari, un brutale divoratore di anime. K'rul era venuto a distruggerlo, a rompere le catene di dodici milioni di schiavi. Nemmeno i Tiranni Jaghut avevano imposto un dominio così spietato ai loro sudditi; no, solo un mortale umano poteva raggiungere un tale livello di sopraffazione sulla propria gente. Altri due Dei Antichi convergevano sull'Impero di Kallor. La decisione era stata presa: i tre - gli ultimi Antichi - avrebbero posto fine al dominio dispotico dell'Alto Re. K'rul avvertiva la presenza dei suoi compagni. Entrambi erano vicini e, un tempo, erano stati amici; ma poi tutti loro - K'rul compreso - erano cambiati, avevano preso strade molto diverse. Quello sarebbe stato il loro primo incontro in millenni. Avvertiva anche una quarta presenza, quella di una bestia antica, feroce, che seguiva la sua pista. Una bestia appartenente alla terra, al respiro gelido dell'inverno, una bestia con la pelliccia bianca insanguinata, ferita quasi a morte dalla Caduta. Una bestia cui restava un solo occhio per guardare la terra distrutta che era stata la sua dimora, molto prima dell'ascesa dell'impero. Lo seguiva, ma non si avvicinava. E, come K'rul ben sapeva, sarebbe rimasta un lontano osservatore di tutto quanto stava per accadere. Il Dio Antico non poteva risparmiarle alcun dolore, ma non era indifferente alla sua sofferenza. Sopravviviamo tutti come è nostro compito e, quando arriva il momento di morire, troviamo il nostro posto solitario... L'Impero di Kallor si era esteso a ogni costa di Jacuruku, eppure K'rul non vide nessuno, mentre percorreva i primi passi verso l'interno. Terre
desolate, prive di vita, si allungavano in tutte le direzioni. L'aria era grigia di cenere; i cieli sulla sua testa ribollivano come piombo nel calderone di un fabbro. Il Dio Antico sentì un brivido di disagio che gli raffreddò l'animo. Sopra di lui, i predatori nati dal corpo del dio volteggiavano gracchiando. Una voce familiare parlò alla mente di K'rul. Fratello, sono sulla costa settentrionale. «E io su quella occidentale.» Sei inquieto? «Sì. Tutto è... morto.» Incenerito. Ma il calore rimane sotto il letto di cenere. Di cenere... e ossa. Una terza voce intervenne. Fratelli, vengo dal sud, dove una volta troneggiavano le città. Tutte distrutte. Gli echi del grido di morte di un continente aleggiano ancora nell'aria. Siamo vittime di un inganno? Questa è forse un'illusione? K'rul si rivolse al primo Antico che gli aveva parlato alla mente. «Draconus, anch'io sento quel grido di morte. Un tale dolore... ancora più spaventoso di quello del Caduto. Se non si tratta di un inganno, di che cosa, allora?» Tutti abbiamo messo piede su questa terra, per cui condividiamo le tue percezioni, K'rul, rispose Draconus. Nemmeno io sono sicuro della loro verità. Sorella, ti stai avvicinando alla dimora dell'Alto Re? Sì, fratello Draconus, rivelò la terza voce. Tu e fratello K'rul vorreste raggiungermi ora, cosicché possiamo affrontare insieme questo mortale? «Lo faremo.» Due canali si aprirono, uno a nord, in lontananza, l'altro proprio davanti a K'rul. I due Dei Antichi si unirono alla sorella sulla scabra cima di una collina, dove il vento turbinava fra le ceneri, intrecciando ghirlande funerarie nel cielo. Davanti a loro, sopra un mucchio di ossa bruciate, si ergeva un trono. L'uomo che vi stava seduto sorrideva. «Come potete vedere», esordì aspro, dopo averli guardati con aria sprezzante, «ho... fatto preparativi per il vostro arrivo. Oh sì, vi aspettavo. Draconus, della stirpe di Tiam. K'rul, Apritore dei Sentieri». I suoi occhi grigi si girarono sulla terza Antica. «E tu. Mia cara, avevo l'impressione che avessi abbandonato la tua... vecchia
identità. Camminare fra i mortali, recitare la parte della maga mediocre... un rischio letale, anche se, forse, è questo ad attirarti a tal punto verso il gioco. Sei stata sui campi di battaglia, donna. Una freccia mal diretta...» Scosse lentamente la testa. «Siamo venuti», annunciò K'rul, «per porre fine al tuo regno di terrore». Kallor alzò le sopracciglia. «Vorreste togliermi tutto quello che ho ottenuto con tanta fatica? Cinquant'anni, cari rivali, per conquistare un intero continente. Oh, forse Ardatha si ostinava a resistere: mi mandava sempre in ritardo i tributi che mi spettavano, ma io ignoravo questi atti meschini. È fuggita, lo sapevate? Quella strega! Credete di essere i primi a sfidarmi? Il Cerchio ha abbattuto un Dio Straniero. Sì, il tentativo è andato... storto, risparmiandomi così il compito di uccidere quegli sciocchi con le mie mani. E il Caduto? Be', impiegherà un po' di tempo a riprendersi e, anche allora, credete veramente che aderirà alle richieste di chicchessia? Avrei...» «Basta», ruggì Draconus. «La tue ciance diventano pesanti, Kallor.» «Benissimo», sospirò l'Alto Re. Si chinò in avanti. «Siete venuti a liberare il mio popolo dal mio dominio tirannico. Per vostra sfortuna, non sono tipo da cedere il mio potere. Né a voi, né a nessun altro.» Si riappoggiò allo schienale, agitando languidamente una mano. «Così, ciò che volevate negare a me, ora lo nego a voi.» Anche se la verità stava davanti agli occhi di K'rul, egli non poteva crederci. «Che cosa...» «Sei cieco?» urlò Kallor, afferrando i braccioli del trono. «È scomparso! Loro sono scomparsi! Rompete le catene, avanti! Coraggio... no, ve li cedo! Tutto ciò che vi circonda è ora libero! Polvere! Ossa! Tutto libero!» «Hai veramente incenerito un intero continente?» mormorò l'Antica. «Jacuruku...» «Non esiste più, e non esisterà mai più. Ciò che ho scatenato non guarirà mai. Avete capito? Mai. Ed è tutta colpa vostra. Vostra. È lastricata di cenere e ossa, questa nobile strada che avete scelto di percorrere. La vostra strada.» «Non possiamo permetterlo.» «È già successo, sciocca!» K'rul parlò alla mente dei suoi simili. Deve essere fatto. Forgerò un... un posto allo scopo. Dentro di me. Un canale per contenere tutto questo? chiese Draconus, inorridito. Fratello mio... No, deve essere fatto. Unisciti a me ora, quest'opera non sarà facile...
Ti spezzerà, K'rul, osservò sua sorella. Ci dev'essere un altro modo. No. Lasciare questo continente così com'è... No, questo mondo è giovane. Portare una cicatrice simile... E Kallor? indagò Draconus. Cosa avverrà a questa... questa creatura? Lo terremo d'occhio, rispose K'rul. Conosciamo il suo più profondo desiderio, no? E l'estensione della sua vita? Lunga, amici miei. D'accordo. K'rul batté le palpebre, puntando sull'Alto Re gli occhi scuri, intensi. «Per questo crimine, Kallor, ti infliggiamo una punizione adeguata. Sappi questo: tu, Kallor Eiderann Tes'thetula, conoscerai la vita mortale eterna. La vita mortale, nella devastazione della vecchiaia, nel dolore delle ferite e nell'angoscia della disperazione. Nei sogni che finiscono in rovina. Nell'amore che appassisce. Nell'ombra dello spettro della Morte, che minaccerà perpetuamente di porre fine a ciò che non vorrai cedere.» Draconus parlò: «Kallor Eiderann Tes'thetula, tu non ascenderai mai». La sorella aggiunse: «Kallor Eiderann Tes'thetula, ogni volta che ti innalzerai, sarai destinato a ricadere. Tutto ciò che otterrai si trasformerà in polvere nelle tue mani. Ciò che hai fatto qui di tua volontà colpirà a sua volta tutto ciò che farai». «Tre voci ti maledicono», salmodiò K'rul. «Così sia.» L'uomo sul trono tremò. Le sue labbra si ritrassero in un ghigno convulso. «Vi spezzerò. Tutti quanti. Lo giuro sulle ossa di sette milioni di sacrifici. K'rul, tu sparirai dal mondo, verrai dimenticato. Draconus, tutto quello che farai si rivolterà contro di te. E quanto a te, donna, mani non umane faranno a pezzi il tuo corpo, su un campo di battaglia, ma non conoscerai sollievo; questa è la mia maledizione contro di te, Sorella delle Fredde Notti. Kallor Eiderann Tes'thetula, una voce, ha espresso tre maledizioni.» Lasciarono Kallor sul suo trono, sul suo cumulo di ossa. Unirono i loro poteri per avvolgere in catene un continente massacrato, poi lo attrassero in un canale creato per quell'unico scopo, lasciando la terra completamente nuda. A guarire. Lo sforzo lasciò K'rul spezzato, vittima di ferite che, sapeva, l'avrebbero accompagnato per tutta la vita. Inoltre, cominciava a sentire l'influenza maligna della maledizione di Kallor: l'adorazione dei suoi fedeli era in declino. Ma, con sua grande sorpresa, la perdita lo affliggeva meno di
quanto avrebbe immaginato. In piedi ai margini del regno nascente, privo di vita, i tre contemplarono a lungo la loro opera. Poi Draconus parlò: «È dall'epoca dell'Oscurità Totale che forgio una spada». A quelle parole, sia K'rul sia la Sorella delle Fredde Notti si girarono: non ne sapevano niente. «Il lavoro ha richiesto... molto tempo», continuò Draconus, «ma ora ho quasi finito. Il potere investito nella spada possiede una sua... determinazione». «Allora», sussurrò K'rul, dopo aver riflettuto per un attimo, «devi compiere delle modifiche nella sagomatura finale». «Così pare. Dovrò pensarci a lungo.» Dopo un lungo momento, K'rul e il fratello si volsero verso la sorella. Lei scosse le spalle. «Cercherò di proteggermi. Quando arriverà la mia rovina, sarà a causa del tradimento, e di nient'altro. Non posso prendere precauzioni contro una cosa simile, o la mia vita diventerà un incubo di diffidenza e di sospetto. Non intendo arrendermi a questo. Continuerò a recitare il gioco mortale fino alla fine.» «Attenta, allora», mormorò K'rul, «a scegliere bene per chi combattere». «Trovati un compagno», le consigliò Draconus. «Uno valido.» «Sagge parole da tutti e due. Vi ringrazio.» Non c'era altro da dire. I tre si erano riuniti, con un'intenzione che era stata realizzata anche se, forse, non nel modo che avevano desiderato. E il prezzo era stato pagato. Volentieri. Tre vite e un'altra ancora, tutte distrutte. Per una singola, l'inizio dell'odio eterno. Per le altre tre, uno scambio equo. Gli Dei Antichi, come si diceva, nutrivano sentimenti decisamente sgradevoli. In lontananza, la bestia guardò le tre figure dividersi. Lacerata dal dolore, la bianca pelliccia sporca e gocciolante di sangue, l'orbita dell'occhio perduto lucida di viscidume, essa sorreggeva la massa sgraziata del corpo sulle zampe tremanti. Desiderava la morte, ma la morte si rifiutava di venire. Desiderava la vendetta, ma quelli che l'avevano ferita erano morti. Rimaneva soltanto l'uomo seduto sul trono, che aveva distrutto la sua dimora. Sarebbe giunto il momento di regolare quel conto. Un ultimo desiderio riempì l'animo devastato della creatura. Da qualche
parte, in mezzo alla conflagrazione della Caduta e al caos che ne era seguito, aveva perso la sua compagna, e ora era sola. Forse lei era ancora viva. Forse, ferita a sua volta, setacciava le lande desolate in cerca delle sue tracce. O forse era fuggita, in preda al dolore e al terrore, verso il canale che aveva immesso il fuoco nel suo spirito. Ovunque fosse andata - sempre che fosse ancora viva - lui l'avrebbe trovata. Le tre figure lontane aprirono i canali; ognuna svanì nel proprio Regno Antico. La bestia scelse di non seguirne nessuna. Erano entità giovani, per quanto riguardava lui e la sua compagna, e il canale in cui lei, forse, era fuggita era, in confronto a quello degli Dei Antichi, vecchio. Il sentiero che lo aspettava pullulava di pericoli, e il suo cuore addolorato era gonfio di paura. La porta che gli si aprì davanti rivelò una turbinosa tempesta di potere, striata di grigio. Dopo un attimo di esitazione, la varcò. E scomparve. LIBRO PRIMO LA SCINTILLA E LE CENERI Cinque maghi, un Aggiunto, innumerevoli Demoni Imperiali e il disastro di Darujhistan: tutto servì a giustificare pubblicamente la proscrizione di Dujek Unbraccio e delle sue malconce legioni da parte dell'Imperatrice. E ciò rese liberi Un-braccio e la sua Armata di lanciare una nuova campagna, stavolta come forza militare autonoma, di forgiare le loro empie alleanze destinate a sfociare nella continuazione della terribile Infilata dei Maghi a Genabackis è, si potrebbe sostenere, incidentale. Certo, le incalcolabili vittime di quell'epoca di devastazione potrebbero, se Hood concedesse loro tale privilegio, esprimere un'opinione completamente diversa. Forse il dettaglio più poetico di quelle che sarebbero state chiamate le Guerre Pannion fu, in effetti, un segno precursore dell'intera campagna: la noncurante distruzio-
ne di un ponte di pietra solitario, da parte del Tiranno Jaghut durante la sua sfortunata marcia verso Darujhistan... Campagne Imperiali (Le Guerre Pannion) 1194-1195, Volume IV, Genabackis Imrygyn Tallobant (n. 1151) CAPITOLO PRIMO I ricordi sono arazzi intessuti a nascondere dure pareti... ditemi, amici, che colore ha il vostro filo preferito e io, a mia volta, vi dirò che tonalità ha la vostra anima... Vita di sogni Ilbares la Strega 1164esimo anno del Sonno di Burn (due mesi dopo la Festa di Darujhistan) 4° anno del Dominio di Pannion Anno Tellann del Secondo Raduno I blocchi di calcare Gadrobi del ponte giacevano sparsi, rotti e bruciacchiati nel fango smosso della riva, come se la mano di un dio fosse scesa a frantumare la struttura di pietra in un solo, meschino gesto di disprezzo. E, sospettava Gruntle, la cosa non era molto lontana dalla verità. La notizia era filtrata a Darujhistan meno di una settimana dopo la distruzione, quando le prime carovane dirette a est, nel raggiungere il punto di attraversamento del fiume, avevano scoperto che, al posto di un ponte funzionale, non c'era altro che un mucchio di macerie. Voci sussurrarono di un antico demone che, scatenato da agenti dell'Impero Malazan, era uscito dalle Colline Gadrobi deciso ad annientare la stessa Darujhistan. Gruntle sputò nell'erba annerita accanto alla carrozza. Aveva i suoi dubbi su quella storia. Certo, due mesi prima, la notte della Festa della città, c'erano stati strani eventi - non che fosse stato abbastanza sobrio da notare granché - e testimoni a sufficienza da far prestare fede all'avvistamento di draghi, di demoni e della terrificante discesa della Progenie della Luna; ma qualunque creatura soprannaturale con il potere di devastare un'intera regione avrebbe potuto arrivare a Darujhistan. E, dal momento che la città
non era ridotta a un cumulo di detriti fumanti - o almeno, non più di quanto non fosse, di norma, dopo i festeggiamenti - ciò non si era evidentemente verificato. No, era molto più probabile che fosse opera della mano di un dio, o forse di un terremoto, anche se le Colline Gadrobi non erano famose per i loro sommovimenti. Forse Burn si era mossa, inquieta, nel suo sonno eterno. A ogni modo, ora la verità delle cose gli si ergeva davanti. O, meglio, giaceva sparpagliata fino alla Porta di Hood e oltre. E il fatto era che, quali che fossero i giochi degli dei, erano i bastardi come lui, lavoratori indefessi ma poveri in canna, a soffrirne. Era tornato in uso il vecchio guado, trenta passi a monte di dove era stato costruito il ponte. Non vedeva traffico da secoli e una settimana di piogge fuori stagione aveva trasformato entrambe le rive in una palude. Carovane affollavano quel punto, alcune sulle antiche rampe, altre impantanate senza speranza nel fiume in piena; e altre dozzine ancora aspettavano sulle piste, mentre l'umore di mercanti, guardie e animali peggiorava di ora in ora. Gruntle, che da due giorni aspettava di attraversare, era soddisfatto della sua scarna truppa. Erano un'isola di calma. Harllo aveva raggiunto sguazzando i resti delle fondamenta di sinistra del ponte, e ora vi sedeva in cima, con in mano la canna da pesca. Stonny Menackis aveva condotto una banda di lacere guardie di carovana al carro di Storby, e Storby non era troppo dispiaciuto di vendere boccali di birra Gredfallan a prezzi esorbitanti. Che i barili fossero destinati a una locanda sulla strada nei pressi di Saltoan era una sfortuna per l'oste che li aspettava. Se le cose continuavano a quel modo, lì sarebbe sorto un mercato, e poi una maledetta cittadina. Alla fine, qualche zelante funzionario di Darujhistan avrebbe concluso che sarebbe stato meglio ricostruire il ponte, e in una decina d'anni l'opera sarebbe stata compiuta. A meno che, naturalmente, la cittadina non fosse diventata un florido centro d'affari, nel qual caso avrebbero mandato un esattore delle imposte. Gruntle era egualmente soddisfatto della serenità dimostrata dal suo principale davanti al ritardo. Era arrivata notizia che il mercante Manqui dall'altra parte del fiume si era fatto scoppiare un'arteria in testa, morendo sul colpo; il che era tipico della professione. No, il loro padrone Keruli era un fuori razza, tanto da minare il disgusto che Gruntle coltivava per i mercanti in genere. Ma, del resto, la lunga lista di caratteristiche insolite di Keruli aveva spinto il capitano delle guardie a credere che egli non fosse
affatto tale. Non che avesse importanza. Il denaro era denaro, e la paga di Keruli era buona, addirittura superiore alla media. Per quel che importava a Gruntle, avrebbe potuto essere il principe Arard travestito. «Voi, signore!» Gruntle distolse lo sguardo dalla pesca infruttuosa di Harllo. Un vecchio brizzolato stava accanto alla carrozza, e lo guardava con gli occhi socchiusi. «Un tono maledettamente imperioso, il vostro», ruggì il capitano, «dal momento che, a giudicare dai vostri stracci, dovete essere il peggior mercante del mondo, o il servo di un poveraccio». «Sono un domestico, per la precisione. Mi chiamo Emancipor Reese. Quanto al fatto che i miei padroni siano poveri, tutt'altro. Tuttavia, siamo sulla strada da parecchio tempo.» «Vi credo», ammise Gruntle, «poiché il vostro accento è irriconoscibile, il che, se lo noto io, è tutto dire. Che cosa volete, Reese?». Il domestico si grattò la barbetta argentea sulla mascella squadrata. «Un attento interrogatorio di questa folla ha raccolto l'unanime consenso che, come guardia di carovana, vi siete guadagnato un certo rispetto.» «Come guardia di carovana, immagino che sia vero», replicò seccamente Gruntle. «E allora?» «I miei padroni desiderano parlarvi. Se non siete troppo occupato... siamo accampati non lontano da qui.» Appoggiandosi allo schienale, Gruntle studiò Reese per un attimo, poi grugnì. «Devo chiedere il permesso al mio principale per incontrarmi con altri mercanti.» «Ma certo, signore. E potete assicurargli che i miei padroni non hanno intenzione di corrompervi o compromettere in altro modo il vostro contratto.» «Sul serio? Va bene, aspettate qua.» Gruntle si lasciò scivolare giù dalla piattaforma sul lato opposto a Reese. Andò fino alla porticina dall'intelaiatura ornata e bussò una volta. Essa si aprì silenziosamente e, nell'oscurità relativa della carrozza, si profilò il viso rotondo, inespressivo di Keruli. «Sì, capitano, andate pure. Riconosco di provare una certa curiosità riguardo ai due padroni di quell'uomo. State molto attento a osservare i particolari del vostro incontro imminente. E, se potete, scoprite quali sono state le loro attività, a partire da ieri.» Il capitano grugnì per mascherare la sua sorpresa davanti alla conoscenza stranamente profonda di Keruli - non era ancora sceso dalla carrozza -
poi disse: «Come volete, signore». «Oh, e recuperate Stonny sulla via del ritorno. Ha bevuto di gran lunga troppo, ed è diventata molto polemica.» «Forse dovrei farlo subito, allora. Rischia di riempire qualcuno di buchi, con quel suo stocco. Conosco i suoi umori.» «Ah, d'accordo. Fatela prendere da Harllo.» «Uh, lui si unirebbe al suo gioco, signore.» «Eppure parlate bene di loro.» «Sì», rispose Gruntle. «Non per peccare d'immodestia, signore, ma noi tre insieme valiamo due volte tanto, quando si tratta di proteggere un padrone e la sua mercanzia. Per questo siamo così cari.» «Le vostre tariffe erano alte? Capisco. Uhm. Informa i tuoi due compagni, allora, che l'avversione ai guai aggiungerà una gratifica sostanziale alla loro paga.» Gruntle riuscì a non spalancare la bocca. «Uh, questo dovrebbe risolvere il problema, signore.» «Ottimo. Da' la notizia a Harllo, allora, e mandalo dove deve andare.» «Sì, signore.» La porta si richiuse. Per combinazione, Harllo stava già tornando, con la canna da pesca in una mano massiccia, e un misero pesce, simile a una suola di scarpa, stretto nell'altra. I suoi occhi azzurro lucente brillavano di eccitazione. «Guarda, razza di omiciattolo: ho procurato la cena!» «La cena per un topo di monastero, vuoi dire. Potrei risucchiare quella roba da una narice.» Harllo si accigliò. «Zuppa di pesce. Un gusto...» «Grandioso. Adoro la zuppa al gusto di fango. Guarda, non respira nemmeno; probabilmente era già morto quando l'hai preso.» «Gli ho picchiato una pietra in mezzo agli occhi, Gruntle...» «Dev'essere stata una pietruzza.» «Non ne avrai una briciola!» «Grazie al cielo. Ora ascoltami. Stonny si sta ubriacando.» «Strano, non sento nessun chiasso.» «E Keruli vi darà una gratifica se non se ne sentirà mai. Capito?» Harllo lanciò un'occhiata alla porta della carrozza, poi annuì. «Glielo dirò.» «Meglio che ti sbrighi.» «Bene.»
Gruntle lo guardò trotterellare via, con ancora in mano la sua canna e il suo trofeo. L'uomo aveva braccia enormi, troppo lunghe e muscolose per il resto della corporatura scarna. La sua arma di elezione era una spada a doppio taglio, acquistata da un fabbro di Deadman's Story; fra quelle braccia scimmiesche, sembrava fatta di bambù. La chioma arruffata, color biondo chiaro, gli copriva la zucca come un groviglio di lenze. Nel vederlo per la prima volta, la gente scoppiava a ridere, ma Harllo usava il piatto della spada per zittirli. Bruscamente. Con un sospiro, Gruntle tornò al punto in cui lo aspettava Emancipor Reese. «Fatemi strada», lo esortò. Reese chinò la testa. «Splendido.» La carrozza era imponente, una casa appollaiata su ruote alte, munite di raggi. Elaborate incisioni affollavano la struttura stranamente arcuata, figurette dipinte che saltellavano e si arrampicavano con espressioni beffarde. Tela sbiadita dal sole formava una volta sopra il sedile del vetturino. Quattro buoi si spostavano liberamente in un recinto di fortuna, a dieci passi sottovento rispetto al campo. La riservatezza doveva essere importante per i padroni del domestico, poiché si erano messi a buona distanza sia dalla strada sia dagli altri mercanti, là dove potevano vedere chiaramente i poggi che si innalzavano sul lato meridionale della strada e, oltre quest'ultima, la vasta estensione della pianura. Un gatto rognoso sdraiato sulla piattaforma guardò avvicinarsi Reese e Gruntle. «È vostro?» domandò il capitano. Reese gli rivolse un'occhiata, poi sospirò. «Sì, signore. È una femmina; si chiama Squirrel.» «Un alchimista o una strega della cera potrebbero curare quella rogna.» Il domestico sembrava a disagio. «Me ne occuperò senz'altro quando arriveremo a Saltoan», borbottò. «Ah», indicò con il capo le colline al di là della strada, «ecco che arriva Padron Bauchelain». Gruntle si girò a osservare l'uomo alto, angoloso che aveva raggiunto la strada e ora camminava disinvoltamente verso di loro. Portava un costoso mantello di pelle nera, lungo fino alle caviglie, stivali da cavallerizzo dello stesso materiale sopra calzoni grigi e, sotto una larga camicia di seta - pure nera - s'intravedeva la lucentezza di un'armatura di maglia fine, annerita. «Il nero», disse il capitano a Reese, «era il colore dell'anno scorso a Da-
rujhistan». «Il nero è il colore perpetuo di Bauchelain, signore.» Il viso del padrone era pallido, dalla forma molto simile a un triangolo, impressione accentuata da una barba ben curata. I capelli, lucidi di olio, erano scostati dall'alta fronte. Gli occhi erano grigio scialbo, incolori come il resto della sua persona. Nell'incontrarlo, Gruntle avvertì un'ondata di allarme viscerale. «Capitano Gruntle», esordì Bauchelain con voce morbida, studiata, «le indagini del vostro principale non sono affatto sottili. Ma, nonostante non siamo tipi da soddisfare generalmente tale curiosità riguardo alle nostre attività, stavolta faremo un'eccezione. Venite con me». Lanciò un'occhiata a Reese. «La tua gatta sembra soffrire di palpitazioni. Ti consiglio di confortarla.» «Subito, padrone.» Gruntle posò le mani sul pomo dei suoi coltellacci, gli occhi socchiusi fissi su Bauchelain. Le molle della carrozza cigolarono, mentre il domestico si arrampicava sulla piattaforma. «Ebbene, capitano?» Gruntle non si mosse. Bauchelain alzò un sopracciglio sottile. «Ve l'assicuro, il vostro principale è ansioso che ottemperiate alla mia richiesta. Se, tuttavia, avete paura, forse riuscirete a convincerlo a tenervi per mano per la durata di quest'impresa. Per quanto, vi avverto, trascinarlo all'aperto potrebbe rivelarsi difficile, anche per un uomo della vostra stazza.» «Siete mai andato a pesca?» chiese Gruntle. «A pesca?» «I pesci che abboccano a qualunque esca sono giovani, e lo rimangono. Io accompagno carovane da più di vent'anni, signore. Non sono giovane. Se volete qualcuno che abbocchi, cercate altrove.» Bauchelain fece un sorriso asciutto. «Le vostre parole non fanno che rassicurarmi, capitano. Procediamo?» «Guidatemi.» Attraversarono la strada. Una vecchia pista per le capre li condusse fra le colline. L'accampamento delle carovane dalla parte più vicina del fiume svanì rapidamente alla vista. L'erba bruciacchiata dalla conflagrazione che aveva colpito quella terra deturpava ogni pendio e ogni sommità, anche se avevano cominciato a spuntare steli nuovi. «Il fuoco», osservò Bauchelain mentre avanzavano, «è essenziale per la
salute di queste erbe di prateria. Come lo è il passaggio dei bhederin: le loro centinaia di migliaia di zoccoli rendono compatto il suolo sottile. Ahimè, la presenza delle capre significherà la fine del verde per queste antiche colline. Ma ho cominciato con il fuoco, no? Distruzione e violenza, entrambe indispensabili alla vita. Lo trovate strano, capitano?». «Quella che trovo strana, signore, è la sensazione di aver dimenticato la mia tavoletta di cera.» «Avete ricevuto un'istruzione, allora. Interessante. Siete un uomo di spada, no? Che bisogno avete di lettere e numeri?» «E voi siete un uomo di lettere; che bisogno avete di quello spadone logoro per l'uso e di quella raffinata cotta di maglia?» «Un deplorevole effetto collaterale dell'istruzione delle masse è la mancanza di rispetto.» «Salutare scetticismo, vorrete dire.» «Disprezzo per l'autorità, piuttosto. Avrete notato, per rispondere alla vostra domanda, che abbiamo un solo domestico, piuttosto anziano. Niente guardie prezzolate. Il bisogno di proteggersi è vitale nella nostra professione.» «E di che professione si tratta?» Erano discesi su un sentiero ben battuto che si snodava in mezzo alle colline. Bauchelain si fermò, guardando Gruntle con un sorriso. «Voi mi divertite, capitano. Ora capisco perché i carovanieri parlano bene di voi: siete il solo fra loro a possedere un cervello funzionante. Venite, siamo quasi arrivati.» Aggirando il pendio malconcio di una collina, arrivarono al margine di un cratere recente. La terra alla base era una striscia di fango smosso, costellata di blocchi di pietra spezzati. Gruntle stimò che fosse largo quaranta passi e profondo quattro o cinque braccia. Vicino a loro, seduto sul bordo, c'era un uomo, anch'egli vestito di pelle nera; la testa calva aveva il colore della pergamena sbiancata. Si alzò senza rumore, malgrado la mole considerevole, e si volse verso di loro con movimenti sciolti e aggraziati. «Korbal Broach, capitano. Il mio... socio. Korbal, abbiamo qui Gruntle, un uomo il cui carattere sconfina, a dir poco, nel burbero.» Se Bauchelain aveva suscitato disagio nel capitano, il suo compagno con il viso largo e rotondo, gli occhi sepolti nella carne gonfia e la bocca ampia, dalle labbra carnose, leggermente increspata all'ingiù, una maschera infantile e indicibilmente orribile al tempo stesso - gli procurò brividi di paura in tutto il corpo. Anche stavolta, la sensazione fu puramente istinti-
va, come se Bauchelain e il suo socio emanassero un'aura in qualche modo corrotta. «Per forza la gatta aveva le palpitazioni», borbottò il capitano fra sé. Distolse lo sguardo da Korbal Broach e studiò il cratere. Bauchelain gli si mise accanto. «Capite quello che vedete, capitano?» «Sì, non sono uno sciocco. È una buca nella terra.» «Bella battuta. Una volta qui si ergeva un tumulo. All'interno, era incatenato un Tiranno Jaghut.» «Ma no.» «Davvero. Ci si immischiò un antico impero, o così mi risulta. E, in combutta con un T'lan Imass, riuscirono a liberare quell'essere.» «Prestate fede ai racconti, allora», commentò Gruntle. «Se è successo realmente, allora che cosa gli è accaduto, in nome di Hood?» «Noi ci siamo chiesti la stessa cosa, capitano. Siamo forestieri in questo continente. Fino a poco fa, non avevamo mai sentito parlare dell'Impero Malazan, né della meravigliosa città chiamata Darujhistan. Durante la nostra brevissima permanenza qui, tuttavia, abbiamo udito resoconti di eventi appena accaduti. Demoni, draghi, sicari. E la Casa degli Azath di nome Finnest, in cui è ancora proibito entrare, sembra occupata lo stesso; vi abbiamo fatto visita, naturalmente. Inoltre, abbiamo sentito storie su una fortezza volante, chiamata Progenie della Luna, che una volta aleggiava sulla città.» «Sì, l'ho vista con i miei occhi. Se n'è andata un giorno prima di me.» Bauchelain sospirò. «Ahimè, sembra che siamo arrivati troppo tardi per assistere di persona a tali terribili meraviglie. Un signore dei Tiste Andii governa la Progenie della Luna, a quanto ho sentito.» Gruntle scosse le spalle. «Se lo dite voi! Io non ho simpatia per i pettegolezzi.» Gli occhi dell'uomo si indurirono. Il capitano sorrise fra sé. «Pettegolezzi. Già.» «È questo che volevate mostrarmi, allora? Questa... buca?» Bauchelain alzò un sopracciglio. «Non proprio. Questa buca è solo l'entrata. Intendiamo visitare la tomba Jaghut che giace al di sotto.» «Che Oponn vi benedica, allora», concluse Gruntle, volgendosi dall'altra parte. «Immagino», proseguì l'uomo alle sue spalle, «che il vostro padrone vi esorterebbe ad accompagnarci».
«Può esortare quanto gli pare», ribatté il capitano. «Il mio contratto non parla di affondare in una pozza di fango.» «Non abbiamo intenzione di sporcarci di fango.» Gruntle gli lanciò un'occhiata, storcendo la bocca in un sorriso storto. «Era una metafora, Bauchelain. Le mie scuse, se non avete capito.» Si girò di nuovo, dirigendosi alla pista. Poi si fermò. «Volevate vedere la Progenie della Luna, signori?» Indicò con la mano. Simile a un'imponente nube nera, la fortezza di basalto torreggiava appena sopra l'orizzonte meridionale. Le pietruzze irregolari scricchiolarono sotto il peso degli stivali, e Gruntle si ritrovò stretto fra i due uomini, entrambi impegnati a studiare la distante montagna volante. «Difficile determinarne la grandezza», borbottò Bauchelain. «Quant'è lontana?» «Direi una lega, forse più. Credetemi, signori, è abbastanza vicina per i miei gusti. Ho camminato nella sua ombra a Darujhistan - per un po', là, è stato inevitabile - e non è una sensazione rassicurante.» «Presumo di no. Che ci fa qui?» Gruntle scrollò le spalle. «Sembra diretta a sud-est...» «Per questo è inclinata.» «No. È stata danneggiata sopra Pale. Dai maghi dell'Impero Malazan.» «Bell'impresa, da parte loro.» «Hanno pagato con la vita. La maggior parte, comunque; così ho sentito. Inoltre, anche se sono riusciti a danneggiare la Progenie della Luna, il suo signore è vivo e vegeto. Se volete chiamare "una bella impresa" fare un buco in un recinto prima di essere annientati dal padrone di casa, liberissimi.» Korbal Broach infine parlò, con voce acuta e stridula. «Bauchelain, lui avverte la nostra presenza?» Il suo compagno aggrottò le sopracciglia, gli occhi ancora sulla Progenie della Luna, poi scosse la testa. «Non percepisco una simile attenzione verso di noi, amico. Ma per questa discussione è meglio attendere un momento più privato.» «Benissimo. Non vuoi che uccida questa guardia di carovana, allora?» Gruntle si ritrasse allarmato, estraendo i coltelli a metà. «Vi pentirete di averci provato», ruggì. «State calmo, capitano», sorrise Bauchelain. «Il mio socio ha idee semplici...»
«Semplici come quelle di una vipera.» «Forse. Tuttavia, ve l'assicuro, non correte alcun rischio.» L'aria torva, Gruntle si allontanò giù per la pista. «Padron Keruli», mormorò, «se state osservando tutto questo - e non ho motivo di dubitarne confido che la mia gratifica sarà adeguatamente generosa. E, se il mio consiglio ha un qualche valore, suggerisco di stare alla larga da questi due». Attimi prima di perdere di vista il cratere, scorse Bauchelain e Korbal Broach volgere la schiena a lui, e alla Progenie della Luna. Fissarono il fondo della buca per un po', poi cominciarono la discesa, scomparendo. Con un sospiro, Gruntle si girò e tornò all'accampamento, alzando le spalle per allentare la tensione che l'attanagliava. Nel raggiungere la strada, alzò ancora una volta lo sguardo verso sud, a guardare la Progenie della Luna, ora velata dalla distanza. «Signore, vorrei che aveste percepito l'odore di Bauchelain e di Korbal Broach; così avreste fatto loro quello che avete fatto al Tiranno Jaghut, se davvero avete avuto parte in quella faccenda. Medicina preventiva, la chiamano i chirurghi. Prego solo perché, un giorno, non dobbiamo tutti deplorare la vostra indifferenza.» Mentre camminava giù per la strada, si lanciò un'occhiata alle spalle e vide Emancipor Reese che, seduto sopra la carrozza, accarezzava con una mano la gatta malconcia accoccolata nel suo grembo. Rogna? si chiese Gruntle. Probabilmente no. Il lupo enorme girò intorno al corpo, la testa bassa e rivolta all'interno per tenere il mortale esanime nel campo visivo dell'unico occhio. Il Canale del Caos aveva pochi visitatori. Fra quei pochi, i mortali umani erano i più rari di tutti. Il lupo percorreva quel paesaggio violento da un periodo che gli pareva infinito. Sperduta, priva di compagnia per tanto tempo, la sua mente aveva trovato nuove forme nate dalla solitudine; il corso dei suoi pensieri imboccava piste apparentemente casuali, insensate. Pochi avrebbero riconosciuto consapevolezza o intelligenza nel luccichio ferino dei suoi occhi, eppure esse erano presenti. Il lupo girava in tondo; i muscoli massicci si contraevano sotto la pelliccia color bianco sporco. La testa bassa, rivolta all'interno. L'unico occhio puntato sull'umano sdraiato faccia in giù. Quella concentrazione feroce era efficace: teneva l'oggetto della sua attenzione in uno stato senza tempo; conseguenza accidentale dei poteri assorbiti dal lupo dentro al canale. Il lupo ricordava poco degli altri mondi che esistevano oltre il Caos.
Non sapeva nulla dei mortali che lo veneravano come un dio. Eppure aveva acquisito una certa conoscenza, una sensibilità istintiva che gli parlava di... possibilità. Di potenzialità... Di scelte che gli si erano aperte, con la scoperta di quel fragile mortale. E, tuttavia, la creatura esitava. C'erano rischi. E la decisione che si era scavata una pista fino a imporsi al suo pensiero lo lasciava tremante. Il cerchio si strinse più vicino, sempre più vicino alla figura inconsapevole. L'unico occhio si fissò sul volto dell'uomo. Il dono, vide infine la creatura, era genuino. Nient'altro avrebbe potuto spiegare ciò che aveva scoperto nel viso del mortale. Lo specchio di uno spirito, in tutti i dettagli. Un'occasione simile non poteva essere respinta. Eppure il lupo esitava. Finché un antico ricordo non si levò davanti all'occhio della sua mente. Un'immagine pietrificata, sbiadita dall'erosione del tempo. Sufficiente a chiudere il cerchio. E poi tutto fu compiuto. L'unico occhio funzionante si aprì su un cielo azzurro, senza nubi. Il tessuto cicatriziale che copriva i resti dell'altro occhio formicolava terribilmente, come se insetti strisciassero sotto la pelle. L'uomo portava un elmo, con la visiera sollevata. Sotto di lui, pietre dure, aguzze, gli si conficcavano nella carne. Giaceva immobile, cercando di ricordare cosa fosse successo. Ebbe la visione di una fenditura che gli si spalancava davanti; vi era stato spinto dentro. Un cavallo che svaniva sotto di lui, la corda del suo arco che vibrava a ritmo regolare. Un senso di disagio, condiviso con il suo compagno, un amico che cavalcava al suo fianco. Il capitano Paran. Toc il Giovane gemette. Hairlock. La marionetta folle. Siamo stati vittime di un'imboscata. I frammenti si unirono, la memoria tornò insieme a un'ondata di paura. Si girò sul fianco; ogni singolo muscolo protestò. Per il respiro di Hood, questa non è la Pianura Rhivi. Un campo di vetro nero, rotto, si estendeva su tutti i lati. Al di sopra, polvere grigia aleggiava in statiche nubi. Alla sua sinistra, distante forse duecento passi, un monticello si levava a rompere la piatta monotonia del paesaggio. Aveva la gola irritata. L'occhio gli bruciava. Sulla sua testa, il sole scottava. Tossendo, Toc si tirò a sedere. L'ossidiana scricchiolò sotto di lui.
Vide l'arco ricurvo, di corno, al suo fianco e allungò la mano per prenderlo. La freccia era legata alla sella del suo cavallo ma, ovunque lui, Toc, si trovasse, il fedele destriero Wickan non l'aveva seguito. A eccezione del coltello alla cintola e dell'arco momentaneamente inutile, non aveva niente. Niente acqua, niente cibo. Un esame più attento dell'arco lo fece accigliare ulteriormente: la corda di budello si era allentata. Di molto. Il che significa che sono... via... da qualche tempo. Via. Dove? Hairlock l'aveva gettato in un canale e, in qualche modo, il tempo era svanito al suo interno. Non aveva particolarmente sete, né fame. Anche se avesse avuto delle frecce, l'arco aveva perso la sua forza. Peggio, la corda si era seccata, perché la cera aveva assorbito polvere di ossidiana; tenderla avrebbe voluto dire spezzarla. Ciò indicava che erano passati giorni, se non settimane, anche se il suo corpo gli diceva diversamente. Si mise in piedi. L'armatura di maglia sotto la giubba reagì al movimento, spargendo polvere lucente. Sono dentro a un canale? Oppure mi ha sputato fuori? In un caso o nell'altro, doveva trovare la fine di quell'interminabile pianura di vetro vulcanico. Sempre che esistesse... Si avviò verso il monticello. Anche se non era particolarmente alto, qualunque posizione di vantaggio era la benvenuta. Nell'avvicinarsi, ne vide altri al di là, disposti a intervalli regolari. Tumuli. Grandioso: adoro i tumuli. E poi ne trovò uno centrale, più grande dei compagni. Toc aggirò il primo monticello, notando che vi era stato scavato un buco, probabilmente da parte di saccheggiatori. Dopo un attimo, si fermò, si volse e andò ad accovacciarsi accanto al tunnel in pendenza, spingendovi dentro lo sguardo. Per quanto poteva vedere - una profondità superiore all'altezza di un uomo - il mantello di ossidiana continuava. Per emergere, i tumuli dovevano essere enormi, simili più a cupole che a tombe ad alveare. «Comunque sia», borbottò, «la faccenda non mi piace». Rifletté, facendo scorrere nella mente gli eventi che l'avevano condotto a quella... sfortunata situazione. La pioggia letale della Progenie della Luna sembrava aver segnato una sorta di inizio. Fuoco e dolore, la perdita di un occhio, il bacio che aveva lasciato una cicatrice brutalmente deturpante in quello che era stato un viso giovane, bello secondo l'opinione comune. Una cavalcata a nord, verso la pianura, per recuperare l'aggiunto Lorn, una scaramuccia con i Barghast Ilgres. E, di ritorno a Pale, altri guai. Lorn aveva tirato le sue redini, ripristinando il suo vecchio ruolo di corriere dell'Artiglio. Corriere? Parla chiaro, Toc, specialmente a te stesso. Eri una
spia. Ma ti avevano fatto diventare ricognitore nell'Armata di Un-braccio. Quello, e niente di più, finché non è arrivato l'Aggiunto. A Pale c'erano stati problemi. Tattersail, poi il capitano Paran. Fuga e inseguimento. «Che pasticcio», borbottò. L'imboscata di Hairlock l'aveva schiacciato come una mosca, in qualche sorta di canale maligno. Dove ho... indugiato. Credo. Che Hood mi prenda, è ora di ricominciare a pensare da soldato. Orientati. Non fare niente di precipitoso. Pensa a come sopravvivere qui, in questo posto strano, ostile... Riprese la camminata verso il tumulo più grande. Aveva pendii delicati, ma era alto almeno tre volte un uomo. Toc sentì peggiorare la sua tosse, mentre vi si arrampicava. Lo sforzo fu ricompensato. In cima, si ritrovò al centro di un anello di tombe minori. Proprio davanti a lui, trecento passi oltre il bordo dell'anello, ma quasi invisibili a causa della foschia, si levavano i fianchi ossuti di colline ammantate di grigio. Più vicine, alla sua sinistra, c'erano le rovine di una torre di pietra; dietro di essa, il cielo era soffuso di un velo rossastro. Toc levò gli occhi verso il sole. Al suo risveglio, era a poco più di un quarto del suo corso; ora gli stava proprio sopra la testa. Poteva orientarsi. Le colline giacevano a nord-ovest, la torre qualche grado a nord dell'ovest. Il suo sguardo fu di nuovo attratto dalla cicatrice rossastra nel cielo dietro la torre. Sì, pulsava, con il battito regolare di un cuore. Si grattò il tessuto danneggiato che gli copriva l'orbita sinistra, trasalendo alla fioritura di colori che gli invase la mente in risposta. C'è della magia laggiù. Per gli dei, mi sta venendo un odio profondo per la magia. Un attimo dopo, dettagli più immediati richiamarono la sua attenzione. Il pendio settentrionale del tumulo centrale era sfregiato da una buca profonda, dai bordi irregolari e luccicanti. Una massa di pietre tagliate - ancora macchiate di rosso - affollava la base. Il cratere, capì infine, non era opera di saccheggiatori. Qualunque cosa l'avesse creato, era emerso dalla tomba, con violenza. In questo posto, sembra che nemmeno i morti dormano in eterno. Fu colto da un attacco di nervosismo, che scacciò con un'imprecazione sommessa. Hai visto di peggio, soldato. Ricorda quel T'lan Imass che si era unito all'Aggiunto, ha quintessenza della secchezza e della laconicità su due gambe, che Beru ci protegga tutti. Occhi socchiusi senza un barlume di misericordia. Quella cosa aveva infilzato un Barghast come un Rhivi infilza un cinghiale della pianura.
L'occhio ancora sul cratere sul fianco del tumulo, tenne il pensiero rivolto a Lorn e al suo compagno non-morto. Avevano cercato di liberare una creatura così irrequieta, di scatenare sulla regione un potere feroce, selvaggio. Si chiese se ci fossero riusciti. Il prigioniero della tomba su cui ora egli stava si era trovato davanti un compito terribile, senza dubbio alcuno: difese magiche, mura massicce e braccia su braccia di vetro compresso, compatto. Be', date le alternative, immagino che io sarei stato altrettanto disperato e altrettanto determinato. Quanto tempo c'era voluto? E quanto malignamente distorta era stata la sua mente, dopo la liberazione? Rabbrividì; l'idea gli provocò un altro accesso di tosse. Al mondo c'erano misteri, pochi dei quali piacevoli. Scese costeggiando la buca e si diresse verso la torre in rovina. Riteneva improbabile che l'occupante della tomba avesse indugiato a lungo nella zona. Io avrei voluto andarmene da qui il più lontano e il più velocemente possibile. Non c'era modo di dire quanto tempo fosse trascorso dalla fuga della creatura, ma l'istinto diceva a Toc che si trattava di anni, se non di decenni. A ogni modo, si sentiva stranamente tranquillo, malgrado l'ambiente inospitale e tutti i segreti nascosti sotto la superficie devastata di quella terra. Quale che fosse stata la minaccia lì racchiusa, sembrava se ne fosse andata da tempo. A quaranta passi dalla torre, per poco non inciampò in un corpo. Un sottile strato di polvere ne aveva completamente mascherato la presenza; quella stessa polvere, disturbata dal tentativo di Toc di evitare l'ostacolo, si levò in una nuvola. Imprecando, il Malazan sputò graniglia. Attraverso la foschia turbinosa, scintillante, vide che le ossa appartenevano a un uomo, tozzo, dalla corporatura pesante. I tendini si erano seccati in un color noce, e le pelli e pellicce che lo ricoprivano in parte erano ridotte a strisce marce. La testa era protetta da un elmo d'osso, ricavato dal teschio di una bestia cornuta; un corno si era staccato in un lontano passato. Lì vicino, giaceva una spada da reggere con due mani, coperta di polvere. Sembra l'immagine di Hood... Toc il Giovane guardò la figura con aria torva. «Che ci fai tu qui?» chiese. «Sto aspettando», rispose il T'lan Imass, con voce aspra. Toc frugò nella memoria in cerca del nome di quel guerriero non-morto. «Onos T'oolan», disse, soddisfatto di sé. «Del clan di Tarad...» «Ora mi chiamo Tool. Senza clan. Libero.» Libero? Libero di fare cosa, esattamente, sacco d'ossa? Di giacere nel
bel mezzo delle terre desolate? «Che cosa è successo all'Aggiunto? Dove siamo?» «Persi.» «A quale domanda stai rispondendo, Tool?» «A entrambe.» Toc strinse i denti, resistendo alla tentazione di mollare un calcio al T'lan Imass. «Puoi essere più preciso?» «Forse.» «Ebbene?» «L'Aggiunto Lorn è morto a Darujhistan due mesi fa. Siamo nell'antico luogo di nome Morn, duecento leghe a sud. È passato da poco mezzogiorno.» «Passato da poco mezzogiorno, hai detto. Grazie per il chiarimento.» Provava scarso piacere nel conversare con una creatura che esisteva da centinaia di migliaia di anni, e il disagio scatenava il suo sarcasmo; un'arroganza rischiosa, a dir poco. Sii serio, imbecille. Quella spada di selce non è lì solo per figura. «Voi due avete liberato il Tiranno Jaghut?» «Per poco. Il tentativo imperiale di conquistare Darujhistan è fallito.» Aggrottando le sopracciglia, Toc incrociò le braccia. «Hai detto che stavi aspettando. Aspettando cosa?» «È stata via per qualche tempo. Ma ora ritorna.» «Chi?» «Colei che ha preso possesso della torre, soldato.» «Potresti almeno alzarti quando parli con me?» Prima che ceda alla tentazione. Il T'lan Imass si alzò con una serie di scricchiolii di protesta; la polvere cadeva a cascata dalla sua forma massiccia, bestiale. Per una frazione di secondo, qualcosa brillò nelle profondità delle sue orbite mentre fissava Toc, poi Tool si girò a recuperare la spada di selce. Per gli dei, avrei dovuto insistere perché rimanesse sdraiato. Pelle incartapecorita, muscoli tirati e ossa pesanti... che si muovono come se appartenessero a un essere vivente. Oh, quanto li amava l'Imperatore. Un esercito che non doveva né nutrire né trasportare, un esercito in grado di andare ovunque e di fare praticamente qualunque cosa. E niente disertori, tranne quello che mi sta davanti adesso. E comunque, come si fa a punire un disertore T'lan Imass? «Ho bisogno di acqua», decretò Toc, dopo un lungo momento in cui si limitarono a fissarsi. «E di cibo. E devo trovare delle frecce. E una corda
per l'arco.» Sciolse le cinghie dell'elmo e se lo tolse. Il copricapo di cuoio al di sotto era imbevuto di sudore. «Non possiamo aspettare nella torre? Questo calore mi sta cuocendo il cervello.» E perché parlo come se mi aspettassi il tuo aiuto, Tool? «La costa si trova a mille passi a sud-ovest», illustrò Tool. «Là c'è del cibo, e una certa alga che potrà servire da corda per l'arco, finché non troveremo del budello. Non sento, ahimè, odore di acqua dolce. Forse l'occupante della torre sarà generosa, anche se è meno probabile che lo sia se ti troverà lì dentro al suo arrivo. Le frecce si possono fabbricare. Qui vicino c'è una palude di acqua salata, con delle canne rigide. Trappole per gli uccelli della costa ci procureranno le piume. Quanto alle punte...» Tool si girò a esaminare la pianura di ossidiana, «non credo che rimarremo a corto di materia prima». Quindi mi aiuterai. Ringrazio Hood. «Bene, spero che tu sappia ancora rompere la pietra e intrecciare le alghe, T'lan Imass, per non parlare di trasformare le canne in vere aste, perché io certo non ne sono capace. Quando ho bisogno di frecce, le requisisco, e sono dritte come un filo a piombo, con la punta di ferro.» «Non ho perso le mie abilità, soldato.» «Poiché l'Aggiunto non ci ha mai presentato ufficialmente, mi chiamo Toc il Giovane e non sono un soldato, ma un ricognitore...» «Appartenevi all'Artiglio.» «Senza l'addestramento dei sicari, e senza arti magiche. E inoltre, ho più o meno rinunciato a quel ruolo. Tutto ciò che voglio, ora, è tornare all'Armata di Un-braccio.» «Un lungo viaggio.» «Così ho inteso. Prima parto, meglio è, allora. Dimmi, per quanto si estende questa terra di vetro?» «Per sette leghe. Al di là, troverai la Pianura Lamatath. Quando vi arriverai, vai in direzione nord, nord-ovest.» «E questo dove mi porterà? A Darujhistan? Dujek ha preso d'assedio la città?» «No.» Il T'lan Imass girò la testa di scatto. «Ecco che arriva.» Toc seguì il suo sguardo. Tre figure erano apparse da sud e si avvicinavano al bordo dell'anello di tumuli. Delle tre, solo quella al centro camminava dritta. Era alta, snella, vestita di un telaba bianco, morbido, simile a quelli portati dalle nobili di Sette Città. I capelli neri erano lunghi e dritti. Ai suoi fianchi c'erano due cani, quello a sinistra grande come un pony
delle colline e simile a un lupo ispido, l'altro color grigio spento, dal pelo corto e i muscoli massicci. Poiché Tool e Toc stavano all'aperto, era impossibile che non fossero stati visti, eppure i tre non mostrarono alcun turbamento o cambiamento di ritmo nell'avvicinarsi. Arrivato a una decina di passi di distanza, il cane simile a un lupo balzò in avanti e raggiunse il T'lan Imass scodinzolando. Riflettendo sulla scena, Toc si grattò la mascella. «Un vecchio amico, Tool? Oppure la bestia vuole che le getti una delle tue ossa?» Il guerriero non-morto lo guardò in silenzio. «Era una battuta», spiegò Toc, scuotendo le spalle. «Per quanto scadente. Non credevo che i T'lan Imass potessero offendersi.» O, meglio, lo spero. Per gli dei, la mia boccaccia... «Stavo pensando», ribatté Tool lentamente. «Questa bestia è un ay e le ossa le piacciono poco. Gli ay preferiscono la carne, ancora calda se possibile.» Toc grugnì. «Capisco.» «Una battuta», proseguì Tool, dopo un attimo. «Certo.» Oh. Forse le cose non andranno troppo male: Non c'è fine alle sorprese. Il T'lan Imass allungò la mano per appoggiare la punta delle dita ossute sulla larga testa dell'ay. Quello si immobilizzò. «Un vecchio amico? Sì, adottammo questi animali nelle nostre tribù. Altrimenti sarebbero morti di fame. E noi saremmo stati responsabili di quella morte.» «Responsabili? Per colpa della caccia eccessiva? Credevo che la vostra gente fosse in armonia con la natura. Tutti quegli spiriti, tutti quei rituali propiziatori...» «Toc il Giovane», lo interruppe Tool, «mi prendi in giro, o mostri tutta la tua ignoranza? Nemmeno i licheni della tundra sono in pace. Tutto è guerra, tutto è lotta per il dominio. Chi perde, scompare». «E noi non siamo diversi, stai dicendo...» «Sì, invece, soldato. Noi possediamo il privilegio della scelta. Il dono della preveggenza. Anche se spesso giungiamo troppo tardi a riconoscere quelle responsabilità.» Il T'lan Imass inclinò il capo, studiando l'ay che gli stava davanti e, sembrava, la sua stessa mano scheletrica poggiata sulla sua testa. «Baaljagg aspetta i vostri ordini, caro guerriero non-morto», esordì la donna al suo arrivo, con voce cadenzata e melodiosa. «Che scena dolce. Garath, unisciti a tuo fratello nel dare il benvenuto al nostro ospite dissec-
cato.» Incontrando lo sguardo di Toc, sorrise. «Garath, naturalmente, potrebbe decidere che il vostro compagno è degno di essere sepolto; non sarebbe divertente?» «Per un po'», convenne Toc. «Voi parlate Daru, eppure portate il telaba di Sette Città...» Lei inarcò le sopracciglia. «Davvero? Oh, che confusione! A dire il vero, signore, voi parlate Daru eppure venite dall'impero di quella donna complessata... com'è che si chiama?» «Imperatrice Laseen. Dell'Impero Malazan.» E come facevi a saperlo? Non sono in uniforme... Lei sorrise. «Già.» «Io sono Toc il Giovane, e il T'lan Imass si chiama Tool.» «Piacere. Accidenti, fa caldo qui fuori, non vi pare? Ritiriamoci nella torre Jaghut. Garath, smettila di annusare il T'lan Imass e va' a svegliare i servi.» Toc guardò il cane tarchiato trotterellare verso la torre. L'entrata, vide ora, era in realtà un balcone, probabilmente sul primo piano, un'altra indicazione della profondità del vetro compresso. «Questo posto non sembra molto ospitale», commentò. «Le apparenze ingannano», mormorò la donna, rivolgendogli un altro sorriso che gli diede un tuffo al cuore. «Avete un nome?» chiese Toc, mentre cominciavano a camminare. «È Lady Invidia», intervenne Tool. «Figlia di Draconus, colui che forgiò la spada Dragnipur, e fu ucciso dal suo attuale possessore, Anomander Rake, Signore della Progenie della Luna, con quella stessa arma. Draconus, si ritiene, ebbe due figlie, che chiamò Invidia e Ripicca.» «Per il respiro di Hood, non dirai sul serio», borbottò Toc. «I nomi gli saranno sembrati buffi», proseguì il T'lan Imass. «Ora, però», sospirò Lady Invidia, «mi avete rovinato tutto il divertimento. Ci siamo già incontrati?». «No. Tuttavia, io vi conosco.» «Così pare! È stato eccessivamente modesto da parte mia presumere che non sarei stata riconosciuta. Dopo tutto, il mio cammino si è incrociato con quello dei T'lan Imass più di una volta. Almeno due, cioè.» Tool la fissò con il suo sguardo insondabile. «Sapere chi siete non risolverà il mistero della vostra attuale residenza qui a Morn, se doveste mantenere la vostra ritrosia, signora. Vorrei sapere che cosa cercate in questo posto.»
«Bella domanda», replicò lei in tono beffardo. Mentre si avvicinavano alla torre, una figura mascherata, con un'armatura di cuoio, apparve nell'entrata spalancata. Toc s'impietrì. «Quello è un Seguleh!» Si girò verso Lady Invidia. «Il vostro servo è un Seguleh.» «È così che si chiamano?» Lei corrugò la fronte. «È un nome familiare, anche se il contesto mi sfugge. Ah, be', ho scoperto i loro nomi propri, ma poco altro. Si trovavano a passare e mi hanno visto; questo, che si chiama Senu, e altri due. Hanno concluso che uccidermi avrebbe spezzato la monotonia del loro viaggio.» Sospirò. «Per loro sfortuna, ora mi servono.» Si rivolse al Seguleh. «Senu, i tuoi fratelli si sono svegliati del tutto?» L'uomo basso, flessuoso inclinò la testa; gli occhi scuri erano inespressivi dietro le fessure della maschera riccamente ornata. «Ho capito», spiegò Lady Invidia a Toc, «che quel movimento indica acquiescenza. Non sono una razza loquace, ho constatato». Toc scosse la testa, gli occhi sugli spadoni gemelli infilati sotto le braccia di Senu. «È l'unico dei tre a intrattenere rapporti diretti con voi, signora?» «Ora che mi ci fate pensare... significa qualcosa?» «Forse si trova sull'ultimo gradino della gerarchia. Gli altri due sono troppo importanti per parlare con i non-Seguleh.» «Che presunzione!» Il ricognitore sogghignò. «Non ne ho mai visti, ma ho sentito molte storie su di loro. La loro patria è un'isola a sud di qui, e si dice che siano una razza riservata, poco incline a viaggiare. Ma sono conosciuti in terre tanto a nord quanto Nathilog.» Conosciuti? Che Hood mi prenda, famosi, piuttosto. «Uhm, ho avvertito una certa arroganza che si è dimostrata divertente. Portaci all'interno, caro Senu.» Il Seguleh non si mosse. I suoi occhi avevano trovato Tool e ora stavano fissi sul T'lan Imass. Il pelo ritto, l'ay si spostò di lato per liberare uno spazio fra i due. «Senu?» ripeté Lady Invidia, con gentilezza mielata. «Credo», mormorò Toc, «che stia sfidando Tool». «Ridicolo! Perché dovrebbe fare una cosa simile?» «Per i Seguleh, il rango è tutto. Se la gerarchia è incerta, bisogna metterla in discussione. Non perdono tempo.» Lady Invidia guardò Senu con aria torva. «Comportati bene, giovanotto!» Agitò la mano per spingerlo a entrare nella stanza.
A quel gesto, Senu ebbe un sobbalzo. La cicatrice di Toc fu percorsa da uno spasmo pruriginoso. La grattò vigorosamente, cacciando un'imprecazione sommessa. Il Seguleh arretrò nella stanzetta, poi esitò un attimo prima di girarsi e condurre gli altri alla porta dirimpetto. Un corridoio curvo li portò a una camera centrale in mezzo alla quale si levava una stretta scala a chiocciola. Le pareti erano disadorne, di pomice bucherellata. Tre sarcofagi di calcare affollavano l'estremità più lontana della stanza; i coperchi erano appoggiati contro il muro in una fila ordinata. Il cane che Lady Invidia aveva mandato dentro per primo sedeva lì accanto. Appena oltre l'entrata, c'era un tavolo rotondo, di legno, con frutta fresca, carne, formaggio e pane, oltre a una brocca di terracotta tempestata di perline e a una serie di tazze. I due compagni di Senu torreggiavano silenziosi sul tavolo, come se fossero pronti a dare la vita in sua difesa. Entrambi eguagliavano Senu in altezza e corporatura, ed erano armati in modo simile; la differenza fra loro era evidente solo nelle maschere. Mentre la protezione smaltata di Senu era costellata di motivi scuri, tali decorazioni diminuivano gradualmente nelle altre due. Una era solo leggermente meno ornata di quella di Senu, ma la terza non recava che due sfregi gemelli, uno su ciascuna guancia bianca lucente. Gli occhi che trasparivano dalle fessure somigliavano a frammenti di ossidiana. Alla vista del T'lan Imass, il Seguleh dalla doppia cicatrice si irrigidì e fece un passo avanti. «Oh, insomma!» sibilò Lady Invidia. «Le sfide sono proibite! Se non la finite con queste sciocchezze, perderò la pazienza...» Tutti e tre i Seguleh indietreggiarono di un passo. «Ah», sospirò la donna, «così va molto meglio». Si girò verso Toc. «Placate i vostri bisogni, giovanotto. La brocca contiene vino bianco di Saltoan, opportunamente raffreddato.» Toc si scoprì incapace di distogliere gli occhi dal Seguleh che portava la maschera con il doppio sfregio. «Se uno sguardo fisso rappresenta una sfida», disse tranquillamente Lady Invidia, «vi consiglio, nell'interesse della pace - per non parlare della vostra stessa vita - di astenervi dal vostro attuale comportamento, Toc il Giovane». Improvvisamente allarmato, lui grugnì e staccò gli occhi dall'uomo. «Ben detto, Signora. È solo che non ho mai sentito parlare di... be', lasciamo stare. Non importa.» Si avvicinò al tavolo, allungando la mano verso la
brocca. Alle sue spalle esplose un movimento, seguito dal rumore di un corpo che scivolava attraverso la stanza, colpendo il muro con un tonfo sinistro. Girandosi di scatto, Toc vide Tool che, la spada alzata, fronteggiava gli altri due Seguleh. Senu giaceva accartocciato su se stesso a dieci passi di distanza, privo di sensi o morto, entrambe le spade sguainate a metà. In piedi accanto a Tool, l'ay di nome Baaljagg fissava il corpo, scodinzolando. Lady Invidia guardò gli altri Seguleh con occhi di ghiaccio. «Dal momento che i miei ordini si sono dimostrati insufficienti, lascerò gli scontri futuri nelle mani, evidentemente capaci, del T'lan Imass.» Si volse verso Tool. «Senu è morto?» «No. Ho usato il piatto della spada, signora; non ho alcun desiderio di uccidere uno dei vostri servi.» «Gentile da parte vostra, date le circostanze.» Toc strinse una mano tremante sul manico della brocca. «Volete che vi versi del vino, Lady Invidia?» Lei gli lanciò un'occhiata, alzò un sopracciglio e sorrise. «Splendida idea, Toc il Giovane. A quanto pare, spetta a noi due ripristinare la buona educazione.» «Che cosa avete saputo», riprese Tool, «dello Squarcio?». La tazza in mano, la donna si girò verso di lui. «Ah, voi andate dritto al punto in tutte le questioni, a quanto vedo. È stato chiuso. Da un'anima mortale, come voi certamente sapete. La mia attenzione, tuttavia, si è concentrata sull'identità del canale stesso. È diverso da qualunque altro. La porta sembra quasi... meccanica.» Squarcio? Volevano dire la cicatrice rossa nell'aria. Uh. «Avete esaminato le tombe dei K'Chain Che'Malle, signora?» Lei arricciò il naso. «Per poco. Sono tutte vuote, e lo sono da qualche tempo. Decenni.» Toc inclinò la testa con uno scricchiolio sommesso. «Solo decenni?» «Dettaglio spiacevole, invero. Credo che la Matrona abbia incontrato una notevole difficoltà nello svincolarsi; poi ha impiegato altro tempo nel riprendersi dal cimento, prima di liberare i suoi figli. Lei e la sua prole hanno compiuto altri sforzi nella città sepolta a nord-ovest, ma incompleti, come se i risultati fossero stati insoddisfacenti. Poi, a quanto pare, hanno lasciato del tutto la zona». La donna fece una pausa, poi aggiunse: «Può essere significativo il fatto che la Matrona era l'anima originaria che chiu-
deva lo Squarcio. Ora vi abita un'altra creatura sventurata, dobbiamo presumere». Il T'lan Imass annuì. Durante la conversazione, Toc era stato impegnato a mangiare e ora beveva la sua seconda tazza del vino fresco, frizzante. Cercare di trovare un senso a quello scambio gli aveva fatto venire il mal di testa; ci avrebbe pensato più tardi. «Devo andare a nord», annunciò, la bocca piena di pane granuloso. «C'è qualche possibilità, signora, che possiate fornirmi provviste adeguate? Sarei in debito nei vostri confronti...» Le parole gli morirono in gola, davanti al lampo di avidità negli occhi di lei. «Attento a cosa offrite, giovanotto...» «Senza offesa, ma perché mi chiamate "giovanotto"? Voi non dovete avere un giorno più di venticinque anni.» «Molto lusinghiero. E così, malgrado il successo di Tool nell'identificarmi - e ammetto di trovare assai sconcertante la profondità della sua conoscenza - i nomi rivelati dal T'lan Imass significano ben poco per voi.» Toc scosse le spalle. «Di Anomander Rake ho sentito parlare, naturalmente. Non sapevo che avesse preso una spada da qualcun altro; né quando quest'evento si fosse verificato. Capisco, tuttavia, che possiate essere giustificata nel provare risentimento verso di lui, dal momento che uccise vostro padre... come si chiamava? Draconus. L'Impero Malazan condivide quell'avversione. Per cui, avendo i nemici in comune...» «Siamo necessariamente alleati. Un'ipotesi ragionevole ma, purtroppo, erronea. Tuttavia, sarò lieta di fornirvi il cibo e le bevande che riuscirete a portare, anche se non ho armi da darvi, temo. In cambio, forse un giorno vi chiederò un favore; niente di importante, naturalmente. Qualcosa di piccolo e relativamente semplice. Sono condizioni accettabili per voi?» Toc sentì l'appetito abbandonarlo. Lanciò un'occhiata a Tool, ma non ricevette alcun aiuto dal volto inespressivo del guerriero non-morto. Il Malazan si accigliò. «Mi mettete in posizione di svantaggio, Lady Invidia.» Lei sorrise. E io che speravo avremmo superato lo stadio della buona educazione per arrivare a qualcosa di più... intimo. Maledizione Toc, stai di nuovo pensando con il cervello sbagliato... Il sorriso di lei si allargò. Arrossendo, Toc si riaccostò la tazza alle labbra. «Benissimo; acconsento alla vostra proposta.» «La vostra saggezza è una delizia per le orecchie, Toc il Giovane.»
Per poco, lui non si strozzò con il vino. Se non fossi un bastardo sfregiato, con un occhio solo, lo chiamerei un tentativo di seduzione. Tool parlò. «Lady Invidia, se cercate altre informazioni su questo Squarcio, non le troverete qui.» Toc provò piacere nel vedere il leggero choc sul viso della donna, mentre questa si girava verso il T'lan Imass. «Davvero? Sembra che non sia la sola che usa una certa ritrosia. Potete spiegarvi?» Anticipando la risposta, Toc il Giovane grugnì, poi sussultò, vittima di un'occhiata malevola della donna. «Forse», disse Tool, come previsto. Ah! Lo sapevo. «Fatelo, allora», riprese lei, in tono tagliente. «Io seguo una pista antica, Lady Invidia. Morn era solo una tappa su quella pista; ora essa conduce a nord. Trovereste le vostre risposte fra coloro che cerco.» «Volete che vi accompagni?» «Quale che sia la vostra decisione, non m'importa», rispose Tool, con la sua voce inespressiva. «Se doveste scegliere di rimanere qui, tuttavia, ho il dovere di avvertirvi: immischiarsi con lo Squarcio ha i suoi rischi; anche per un tipo come voi.» Lei incrociò le braccia. «Pensate che manchi della giusta cautela?» «Siete arrivata a un punto morto, e la vostra frustrazione cresce. Aggiungerò un incentivo, Lady Invidia: i vostri vecchi compagni di viaggio convergono verso la stessa destinazione, il Dominio di Pannion. Sia Anomander Rake sia Caladan Brood si preparano a muovere guerra al Dominio. È una decisione grave; non vi incuriosisce?» «Voi non siete un semplice T'lan Imass», lo accusò la donna. Tool non rispose. «A quanto pare, vi ha messo alle strette», osservò Toc, trattenendo a malapena il proprio divertimento. «L'impertinenza mi ripugna», sbottò lei. «Che ne è stato della vostra affettuosa serenità, Toc il Giovane?» Con suo grande stupore, egli provò l'impulso improvviso di gettarsi ai suoi piedi, implorando perdono. Scacciando quell'idea assurda con una scrollata di spalle, replicò: «Ha subito una brutta ferita, credo». Il viso di lei si ammorbidì in un'espressione da cerbiatta. Il desiderio irrazionale tornò; Toc si grattò la cicatrice, distogliendo lo sguardo.
«Non intendevo ferirvi...» Già; e la Regina dei Sogni ha le zampe di gallina. «... e vi porgo le mie scuse sincere.» La donna si girò verso Tool. «Benissimo; ci metteremo tutti quanti in viaggio. Com'è eccitante!» Fece un gesto ai servi Seguleh. «Cominciate subito i preparativi!» «Raccoglierò ora il materiale per il tuo arco e le tue frecce», disse il T'lan Imass a Toc. «Li fabbricheremo durante il cammino.» Il ricognitore annuì e dichiarò: «Non mi dispiacerebbe osservarti all'opera, Tool. Potrei imparare qualcosa di utile...». Il T'lan Imass sembrò riflettere per un attimo, poi inclinò la testa. «Probabile.» Tutti si volsero, sentendo un sonoro grugnito provenire dal punto in cui Senu giaceva contro il muro. Riprendendo conoscenza, il guerriero aveva trovato l'ay che, torreggiante su di lui, leccava con ovvio piacere i motivi sulla sua maschera. «La vernice», spiegò Tool, nel suo solito tono incolore, «sembra essere un misto di carbone, saliva e sangue umano». «Questo», borbottò Toc, «è quello che chiamo un brusco risveglio». Nel muovere verso la porta, Lady Invidia lo sfiorò, lanciandogli un'occhiata. «Oh, non vedo l'ora di fare questa gita!» Quel contatto tutt'altro che casuale suscitò un vespaio nelle viscere di Toc. Il cuore gli martellava in petto, e lui non sapeva se fosse per piacere o per paura. CAPITOLO SECONDO L'Armata di Un-braccio sanguinava per innumerevoli ferite. Una campagna interminabile, sconfitte consecutive seguite da vittorie ancora più costose. Ma di tutte le ferite subite dall'esercito di Dujek Un-braccio, le più gravi erano quelle dell'animo... Volpe d'Argento Il Ricognitore Hurlochel Rannicchiata fra le pietre e i massi caduti sul pendio della collina, il caporale Picker guardava il vecchio avanzare faticosamente su per la pista.
La sua ombra scivolò su Blend, ma colui che la gettava non sapeva nulla della vicinanza della soldatessa. Blend si alzò silenziosamente alle sue spalle - una pioggia di polvere si staccò dal suo corpo - e fece una serie di gesti in direzione di Picker. Il vecchio proseguì il cammino, ignaro di tutto. Quando fu distante una mezza dozzina di passi, Picker si raddrizzò; il mantello grigio lasciato dalla tempesta di sabbia del mattino ricadde a cascata mentre la donna puntava la balestra. «Fermo lì, viaggiatore», borbottò. Per la sorpresa, il vecchio barcollò, arretrando di un passo. Una pietra si spostò sotto il suo piede ed egli crollò a terra con un grido; una torsione del corpo, però, gli evitò di atterrare sullo zaino di cuoio legato alla schiena. Scivolò all'indietro, ritrovandosi quasi ai piedi di Blend. Picker avanzò con un sorriso. «Basta così», proclamò. «Non sembri pericoloso, nonnetto, ma, per ogni evenienza, ci sono altre cinque balestre puntate su di te in questo momento. Per cui, perché non mi spieghi cosa ci fai qui, in nome di Hood?» La logora giubba del vecchio era macchiata di polvere e di sudore. La fronte scottata dal sole si apriva ampia su un viso esile, che si restringeva in una mascella dal mento sfuggente. I denti storti, spezzati, sporgevano in tutte le direzioni; il suo sorriso era francamente ridicolo. Tirò a sé le gambe sottili, avvolte nel cuoio, e si mise lentamente in piedi. «Mille scuse», ansimò, gettando uno sguardo a Blend. Quello che vide nei suoi occhi lo fece sussultare e rigirarsi frettolosamente verso Picker. «Credevo che questa pista fosse abbandonata, persino dai ladri. Vedete, ho investito i risparmi di una vita in ciò che porto; non ho potuto permettermi una guardia, nemmeno un mulo...» «Sei un mercante, allora», intervenne Picker, nella sua parlata strascicata. «Diretto dove?» «A Pale. Vengo da Darujhistan.» «Questo è più che evidente», sbottò Picker. «Il problema è che Pale ora è in mano all'impero... come pure queste colline.» «Non sapevo... di queste colline, cioè. Naturalmente sono informato del fatto che Pale è entrata nell'abbraccio Malazan.» Picker sogghignò in direzione di Blend. «Hai sentito? Un abbraccio. Questa è buona, nonnetto. Un abbraccio materno, eh? Cos'hai in quello zaino, dunque?» «Sono un artigiano», rispose il vecchio, chinando la testa. «Fabbrico monili. Osso, avorio, giada, serpentino...»
«Qualcosa investito di incantesimi, o simili?» chiese il caporale. «Qualcosa di benedetto?» «Nella mia opera sono investiti solo i miei talenti, per rispondere alla prima domanda. Non sono un mago, e lavoro da solo. Tuttavia, ho avuto la fortuna di ottenere la benedizione di un sacerdote su una serie di tre fasce d'avorio.» «Quale dio?» «Treach, la Tigre dell'Estate.» Picker fece una risata beffarda. «Quello non è un dio, sciocco. Treach è un Primo Eroe, un semidio, un ascendente Soletaken...» «Gli è stato consacrato un nuovo tempio», l'interruppe il vecchio. «Sulla Strada della Scimmia Glabra, nel Quartiere Gadrobi. Sono stato personalmente incaricato di preparare la rilegatura in pelle per il Libro delle Preghiere e dei Rituali.» Picker alzò gli occhi al cielo e abbassò la balestra. «Va bene, vediamo queste fasce, allora.» Annuendo con fervore, il vecchio si tolse lo zaino dalle spalle, posandolo avanti a sé. Slacciò l'unica cinghia. «Ricorda», grugnì Picker, «se tiri fuori qualcosa di losco ti beccherai una dozzina di quadrella nel cranio». «Questo è uno zaino, non i miei calzoni», borbottò il mercante. «E poi, non erano cinque?» Il caporale aggrottò la fronte. «Il nostro pubblico», spiegò tranquillamente Blend, «è cresciuto». «Esatto», si affrettò ad aggiungere Picker. «Due interi squadroni, nascosti, osservano ogni tuo movimento.» Con cautela esagerata, il vecchio estrasse un pacchetto di pelle di daino, avvolto nello spago. «L'avorio ha fama di essere antico», annunciò in tono riverente. «Viene da un mostro con pelliccia e zanne, che era una volta la preda preferita di Treach. Il cadavere della bestia fu trovato nel fango gelato nella lontana Elingarth...» «Bando alle ciance», sbottò Picker. «Fuori quelle dannate fasce.» Allarmato, il mercante alzò le sopracciglia bianche, ispide. «Dannate! No! Mai! Credete che venderei oggetti maledetti?» «Calma, era solo un dannato modo di dire. Sbrigati, non abbiamo tutto il dannato giorno.» Blend fece un verso, ma un'occhiata del suo caporale la zittì prontamente.
Il vecchio svolse il pacchetto, rivelando tre anelli da braccio, ognuno in un pezzo unico, privo di ornamenti, brillante di una pallida lucentezza. «Dove sono i segni della benedizione?» «Non ce ne sono. Sono stati avvolti, uno dopo l'altro, in un panno intessuto con il pelo sparso dallo stesso Treach durante la muta, per nove giorni e dieci notti...» Blend sbuffò. «Il pelo sparso durante la muta?» Il caporale contorse il viso in una smorfia. «Che pensiero rivoltante!» «Spindle non la penserebbe così», mormorò Blend. «Tre anelli da braccio», riprese Picker, in tono meditabondo. «Braccio destro, braccio sinistro... e poi dove? E bada a quel che dici: Blend e io siamo fiori delicati.» «Tutti per un braccio solo. Sono massicci, eppure si allacciano l'uno all'altro... così ha decretato la benedizione.» «Non hanno giunture, ma si allacciano... vorrei proprio vedere come.» «Non posso, ahimè, dimostrare questa magia, perché si verificherà solo una volta, quando il compratore li avrà infilati sul braccio che regge le armi.» «Questo puzza di truffa lontano un miglio.» «Be', noi l'abbiamo incastrato», intervenne Blend. «Gli inganni funzionano solo se si può filarsela facilmente.» «Come nei mercati affollati di Pale. Ma qui...» Picker rivolse al vecchio un largo sorriso, «non siamo in un mercato affollato, no? Quanto?». Il mercante si agitò, nervoso. «Avete scelto i miei oggetti più preziosi... pensavo di venderli all'asta...» «Quanto, vecchio?» «Tre-trecento consigli d-d'oro.» «Consigli. È la nuova moneta di Darujhistan, vero?» «Pale ha adottato il jakata Malazan come valuta standard», osservò Blend. «Qual è il cambio?» «Che sia dannata se lo so», borbottò Picker. «Con il vostro permesso», azzardò il mercante, «il cambio a Darujhistan è due jakata e un terzo per un consiglio. La commissione di mediazione ammonta a un jakata al minimo. Per cui, strettamente parlando, uno e un terzo». Blend spostò il peso da una gamba all'altra e si chinò a osservare meglio gli anelli. «Trecento consigli manterrebbero comodamente una famiglia
per almeno due anni.» «Questo era il mio scopo», spiegò l'uomo. «Anche se, poiché vivo solo e modestamente, calcolavo quattro anni o più, compreso l'acquisto di materiali per il mio mestiere. Meno di trecento consigli, e sarei rovinato.» «Mi piange il cuore», ribatté Picker. Lanciò un'occhiata a Blend. «Chi protesterà se mancano?» La soldatessa scosse le spalle. «Va' a rimediare tre colonne, allora.» «Subito, caporale.» Oltrepassando il vecchio, Blend avanzò silenziosamente per la pista, fino a scomparire. «Vi imploro», gemette il mercante, «non pagatemi in jakata...». «Calmati», lo zittì Picker. «Oponn sorride su di te oggi. Ora, allontanati dallo zaino. Ho il dovere di perquisirlo.» Inchinandosi, l'uomo indietreggiò. «Le altre opere sono di valore minore, lo ammetto. Addirittura un po' raffazzonate...» «Non ho intenzione di comprare nient'altro», precisò Picker, frugando con una mano in tutto lo zaino. «Sto agendo in veste ufficiale.» «Ah, capisco. Certi articoli sono ora proibiti a Pale?» «I jakata falsi, per esempio. L'economia locale sta prendendo una batosta; nemmeno i consigli di Darujhistan sono molto graditi. La settimana scorsa abbiamo fatto una bella retata.» Il mercante spalancò gli occhi. «Mi pagherete con monete false?» «È un'idea allettante, ma no. Come ho detto, Oponn ti ha fatto l'occhiolino.» Terminata la perquisizione, Picker arretrò, estraendo una piccola tavoletta di cera dalla borsa appesa al cinturone. «Devo registrare il tuo nome, mercante. Sono soprattutto contrabbandieri a usare queste piste, per evitare la postazione sulla strada della pianura che passa per lo Svincolo; a quanto pare, tu sei uno dei pochi onesti. Quegli intelligentoni pagano dieci volte tanto per la loro furbizia, quando la verità è che avrebbero più possibilità di farla franca nel caos della postazione.» «Mi chiamo Munug.» Picker alzò lo sguardo. «Povero bastardo.» Blend riapparve lungo la pista, tre colonne di monete strette fra le braccia. Il mercante scrollò le spalle imbarazzato, gli occhi sulle pile di denaro. «Quelli sono consigli?» «Sì», borbottò Picker. «In colonne da cento; probabilmente, ti rovinerai la schiena portandoli a Pale, per non parlare del ritorno. A dire il vero, ora
non hai nemmeno più bisogno di fare il viaggio, no?» Lo fissò, mentre rimetteva la tavoletta nella borsa. «Il ragionamento non fa una grinza», riconobbe Munug, riavvolgendo le fasce nel pacchetto, che passò a Blend. «Ma andrò lo stesso a Pale, a vendere il resto del mio lavoro.» Spostando nervosamente gli occhi qua e là, scoprì i denti storti in un debole sorriso. «Se la fortuna di Oponn continua ad assistermi, potrei persino raddoppiare i miei guadagni.» Picker lo studiò per un altro attimo, poi scosse la testa. «L'avidità non paga mai, Munug. Sarei pronta a scommettere che, nel giro di un mese, tornerai giù per questa pista, con nient'altro che polvere nelle tasche. Ci stai? Dieci consigli.» «Se perdo, rimarrò in debito con voi.» «Ah, be', accetterei qualche monile al loro posto; sei abile con le mani, vecchio, su questo non c'è dubbio.» «Grazie, ma declino rispettosamente la scommessa.» Picker scrollò le spalle. «Peccato. Ti rimane luce per un'altra campana. Vicino alla cima della collina, c'è un campo a ridosso della strada; se sei abbastanza determinato, potresti arrivarci prima del tramonto.» «Farò lo sforzo.» Munug infilò le braccia nelle cinghie dello zaino, si raddrizzò con un grugnito poi, muovendo leggermente il capo in direzione del caporale, lo oltrepassò. «Aspetta», ordinò Picker. Munug sentì le ginocchia indebolirsi e per poco non crollò a terra. «Ssì?» riuscì a balbettare. Picker prese le fasce da Blend. «Devo mettermi queste, prima. Si allacciano, sostieni. Ma non hanno giunture.» «Oh! Sì, certo. Procedete pure.» Il caporale arrotolò la manica della camicia impolverata, rivelando, al di sotto della lana pesante, la tintura rosso borgogna. Munug ansimò in modo udibile. Picker sorrise. «Esatto, siamo Arsori di Ponti. Incredibile quanto può nascondere la polvere, eh?» Fece risalire gli anelli d'avorio sul braccio robusto, sfregiato; quando arrivarono fra il bicipite e la spalla, ci fu uno scatto sommesso. Aggrottando le sopracciglia, Picker li esaminò e cacciò un sibilo di sorpresa. «Che io sia dannata.» Il sorriso di Munug si allargò per una frazione di secondo, poi l'uomo fece un leggero inchino. «Ora posso riprendere il mio viaggio?» «Va'», rispose lei. Non gli prestava più attenzione: i suoi occhi erano
puntati sulle fasce lucenti. Blend fissò la schiena del mercante; un leggero cipiglio le increspava la fronte coperta di polvere. Munug trovò la traversa poco tempo dopo. Lanciandosi un'occhiata alle spalle per assicurarsi, per la decima volta almeno, di non essere seguito, sgusciò rapidamente fra le due pietre inclinate che incorniciavano l'entrata nascosta. Il passaggio oscuro terminava dopo mezza dozzina di passi, aprendosi su un sentiero che si infilava attraverso una fenditura dalle alte pareti. Ombre inghiottirono il mercante che avanzava a passo frettoloso. Al tramonto mancavano meno di cento battiti del cuore, stimò; il ritardo accumulato con gli Arsori di Ponti poteva rivelarsi fatale, se fosse mancato all'appuntamento. «Dopo tutto», mormorò fra sé, «gli dei non sono famosi per la loro natura misericordiosa». Le monete pesavano. Il cuore gli martellava in petto. Non era abituato a sforzi così gravosi. Era un artigiano, lui. Un po' sfortunato negli ultimi tempi, forse, indebolito dai tumori in mezzo alle gambe, sicuramente, ma il suo talento e la sua immaginazione si erano acuiti grazie a tutto il dolore e alla sofferenza che aveva patito. Ti ho scelto proprio per i tuoi difetti, Munug. Oltre che per la tua abilità, naturalmente. Oh sì, ho grande bisogno della tua abilità. La benedizione di un dio certo avrebbe eliminato quei tumori. E, in caso contrario, trecento consigli avrebbero pagato quasi interamente la cura di un guaritore Denul, a Darujhistan. Dopo tutto, non era saggio confidare soltanto nella ricompensa di un dio per i servigi a lui resi. La storia raccontata da Munug agli Arsori di Ponti sull'asta da tenere a Pale non era pura invenzione: era meglio crearsi alternative, elaborare piani di riserva e, per quanto la scultura e l'incisione non fossero le sue abilità maggiori, egli non era tanto modesto da negare l'alta qualità del suo lavoro. Naturalmente, non valevano nulla in confronto alla sua pittura. Nulla, proprio nulla. Aumentò l'andatura, ignorando la nebbia soprannaturale che gli si chiudeva intorno. Dieci passi dopo, mentre attraversava la porta del canale, i crepacci e i dirupi dei Monti Tahlyn Orientali scomparvero del tutto e la nebbia si diradò, rivelando una pianura sassosa, monotona sotto un cielo pallido. Nella pianura si alzava una tenda di pelle consunta, sopra cui aleggiava una nube di foschia azzurro mare. Munug vi si diresse rapidamente.
Il petto scosso dagli ansiti, l'artigiano si accovacciò davanti all'entrata e grattò sul lembo che la copriva. Dall'interno venne un colpo di tosse stridente, poi una voce aspra intimò: «Entra, mortale». Munug strisciò dentro. Fumo denso e acre gli assalì gli occhi, le narici e la gola ma, dopo il primo respiro, sentì un fresco torpore spandersi dai polmoni. Tenendo la testa e lo sguardo chini, si fermò appena oltre l'entrata e aspettò. «Sei in ritardo», protestò il dio, ansimando a ogni respiro. «C'erano soldati sulla pista, padrone.» «L'hanno scoperto?» L'artigiano sorrise ai giunchi sporchi che ricoprivano il fondo della tenda. «No. Hanno perquisito il mio zaino, come prevedevo, ma non la mia persona.» Il dio tossì di nuovo, e Munug sentì un raschio, mentre il braciere veniva tirato sul pavimento. Semi scoppiettarono sui carboni e il fumo si infittì. «Mostrami.» Infilando le mani nelle pieghe della logora giubba, l'artigiano estrasse uno spesso pacchetto, delle dimensioni di un libro. Lo svolse, rivelando una pila di carte di legno. La testa ancora china, lavorando alla cieca, Munug spinse le carte verso il dio e le dispose l'una accanto all'altra. Sentì il respiro che si fermava in gola al compagno, poi un debole fruscio. Quando il dio parlò di nuovo, la sua voce era più vicina. «Difetti?» «Sì, padrone. Uno per ogni carta, secondo le vostre istruzioni.» «Ah, ciò mi fa piacere. Mortale, la tua abilità è ineguagliata. Queste sono veramente immagini di imperfezione e di dolore. Sono torturate, piene di angoscia. Assalgono gli occhi e fanno sanguinare il cuore. Di più: nei volti che hai forgiato in quelle scene, vedo una solitudine cronica.» Nel suo tono entrò un divertimento ironico. «Hai dipinto la tua stessa anima, mortale.» «Ho conosciuto poca felicità, padr...» Il dio sibilò. «E non dovresti aspettartela! Non in questa vita, né nelle migliaia di altre che sei condannato a sopportare prima di arrivare alla salvezza; sempre che tu abbia sofferto abbastanza da meritartela!» «Prego perché la mia sofferenza non abbia tregua, padrone», bofonchiò Munug. «Bugiardo. Tu sogni l'agiatezza e l'appagamento. Porti l'oro che, credi, te li farà raggiungere, e intendi prostituire il tuo talento per ottenere ancora
di più; non negarlo, mortale. Conosco la tua anima; vedo la sua avidità e la sua bramosia qui, in queste immagini. Non temere, queste emozioni mi divertono, perché sono la via verso la disperazione.» «Sì, padrone.» «Ora, Munug di Darujhistan, la tua ricompensa!» Il vecchio gridò, quando il fuoco divampò nei tumori in mezzo alle sue gambe. Contorcendosi dal male, si raggomitolò sui giunchi sudici. L'orribile suono della risata del dio si ruppe in colpi di tosse tormentosi, lenti a passare. Il dolore, capì Munug dopo un po', stava svanendo. «Sei guarito, mortale. Ti vengono concessi altri anni della tua miserevole esistenza. Ahimè, poiché io aborrisco la perfezione, così devono fare i miei diletti figli.» «P-padrone, non sento più le gambe!» «Sono morte, temo. Tale era il prezzo della guarigione. A quanto pare, artigiano, ti toccherà strisciare lentamente, faticosamente verso la tua meta, qualunque essa sia. Ricorda, figlio, che il valore sta nel viaggio, non nel risultato raggiunto.» Il dio rise di nuovo, scatenando un altro accesso di tosse. Riconoscendo di essere stato congedato, Munug trascinò il peso morto degli arti inferiori attraverso l'entrata della tenda, poi giacque ansimante. Il dolore che sentiva ora veniva dall'anima. Accostando a sé lo zaino, vi posò la testa; le colonne di monete impilate premevano contro la fronte rigata di sudore. «La mia ricompensa», mormorò. «Benedetto è il tocco del Caduto. Conducimi, amato padrone, per i sentieri della disperazione, perché merito la sofferenza di questo mondo in abbondanza infinita...» Dalla tenda alle sue spalle, la risata del Dio Storpio fendette l'aria. «Gioisci di questo momento, caro Munug! Per mano tua, è cominciato il gioco nuovo. Per mano tua, il mondo tremerà!» Munug chiuse gli occhi. «La mia ricompensa...» Blend continuò a fissare la pista per molto tempo dopo che il mercante fu scomparso alla vista. «Non era», borbottò, «quello che sembrava». «Nessuno di loro lo è», convenne Picker, tirando le fasce che portava al braccio. «Queste cose sono maledettamente strette.» «Probabilmente, il braccio marcirà e ti cadrà, caporale.» Picker alzò gli occhi sgranati. «Credi che siano maledette?» Blend scrollò le spalle. «Se fossi in te, le farei esaminare da Ben lo Svel-
to, e al più presto» «Per gli attributi di Togg, se avevi dei sospetti...» «Non ho detto questo, caporale... sei tu che ti sei lamentata perché erano strette. Non puoi toglierle?» Picker aggrottò le sopracciglia. «No, maledizione!» «Oh.» Blend distolse lo sguardo. Picker contemplò l'ipotesi di mollare alla compagna un sonoro ceffone, ma era un'idea che le veniva almeno dieci volte al giorno da quando erano state assegnate insieme a quell'incarico, e per l'ennesima volta resistette. «Trecento consigli per farmi cadere il braccio. Magnifico.» «Guarda il lato roseo, caporale. Così avrai qualcosa di cui parlare con Dujek.» «Ti odio; sul serio, Blend.» L'altra rivolse a Picker un sorriso incerto. «Allora, hai lasciato cadere un ciottolo nello zaino del vecchio?» «Sì, era abbastanza nervoso da giustificare quella mossa. Per poco non è svenuto quando l'ho richiamato, no?» Blend annuì. «Così», proseguì Picker, riallungando la manica, «Ben lo Svelto seguirà le sue tracce». «Sempre che non svuoti lo zaino...» Il caporale grugnì. «Aveva meno interesse di me per il suo contenuto. No, il bottino importante, qualunque esso fosse, ce l'aveva sotto la camicia. Comunque, quando arriverà a Pale spargerà sicuramente la voce e il passaggio di contrabbandieri per queste colline diminuirà di colpo, sono pronta a scommetterci; senza contare che, mentre eri andata a prendere i consigli, gli ho buttato lì che ci sono più possibilità allo Svincolo.» Il sorriso di Blend si allargò. «"Il caos del crocevia", eh? L'unico caos che tormenta gli uomini di Paran laggiù riguarda cosa fare di tutto quello che confiscano.» «Prepariamoci da mangiare; i Moranth saranno, probabilmente, puntuali come al solito.» I due Arsori di Ponti risalirono su per la pista. Un'ora dopo il tramonto, arrivò lo stormo di Moranth Neri, che discesero sui loro quorl in un rumoroso batter d'ali fino al cerchio di lanterne disposto da Picker e da Blend. Uno di loro portava un passeggero che smontò goffamente non appena le sei zampe del suo quorl toccarono il terreno
sassoso. Picker rivolse un ampio sorriso all'uomo che imprecava. «Da questa parte, Ben...» Lui si girò verso la donna. «In nome di Hood, che cos'hai combinato, caporale?» Il sorriso si spense. «Non granché, mago. Perché?» L'uomo magro, dalla pelle scura, lanciò un'occhiata ai Moranth Neri, poi raggiunse rapidamente il punto in cui aspettavano Picker e Blend. Abbassò la voce. «Dobbiamo agire in modo semplice, maledizione! Volando sopra le colline, per poco non sono caduto da quella sella nodosa: quaggiù ci sono canali che turbinano, potere che sgorga da ogni luogo...» S'interruppe e si avvicinò, gli occhi scintillanti. «Anche da te, Picker...» «Sono maledette, allora», borbottò Blend. Picker la fulminò con lo sguardo e le disse, nel tono più sarcastico che le riuscì: «Proprio come avevi sempre sospettato, vero, Blend? Brutta bugiarda!». «Hai acquisito la benedizione di un ascendente!» l'accusò Ben lo Svelto in un sibilo. «Idiota! Quale, Picker?» Lei inghiottì a fatica; aveva la gola improvvisamente secca. «Uh, Treach?» «Oh, grandioso.» Il caporale corrugò la fronte. «Cosa c'è che non va in Treach? È perfetto per un soldato; la Tigre dell'Estate, il Signore della Battaglia...» «Cinque secoli fa, forse! Treach ha assunto la sua forma Soletaken centinaia di anni fa; da allora, quella bestia non ha più avuto un pensiero umano! Non è solo irriflessivo... è pazzo, Picker!» Blend ridacchiò. Il mago si volse di scatto verso di lei. «Che c'è da ridere?» «Niente. Mi dispiace.» Picker arrotolò la manica per mostrare le fasce. «Sono queste, Ben lo Svelto», si affrettò a spiegare. «Puoi togliermele?» Nel vedere gli anelli d'avorio, lui si ritrasse, poi scosse la testa. «Se si trattasse di un ascendente ragionevole, sano di mente, forse sarebbe possibile qualche... trattativa. A ogni modo, non importa...» «Non importa!» Picker allungò la mano ad afferrare il mantello impermeabile del mago. «Non importa? Razza di verme col moccio al naso...» Tacque all'improvviso, sgranando gli occhi. Ben lo Svelto la guardò con un sopracciglio alzato. «Che cosa stai fa-
cendo, caporale?» chiese sommessamente. «Uh, scusa, mago.» La donna lo lasciò andare. Con un sospiro, Ben lo Svelto si aggiustò il mantello. «Blend, porta i Moranth al nascondiglio.» «Certo», rispose lei, andando dai guerrieri in attesa a passo sciolto. «Chi ha fatto la consegna, caporale?» «Alludi alle fasce?» «Dimenticati delle fasce: te le dovrai tenere per sempre. I consigli di Darujhistan. Chi li ha consegnati?» «È una strana storia», osservò Picker, scrollando le spalle. «Un'enorme carrozza è apparsa, come dal nulla. Un momento la pista era vuota, e un momento dopo c'erano sei cavalli scalpitanti e una carrozza; e, mago, questa pista non può accogliere un carro a due ruote, figuriamoci una carrozza. Le guardie erano armate fino ai denti, per giunta, e nervose; ma si capisce, dal momento che portavano diecimila consigli.» «Trygalle», mormorò Ben lo Svelto. «Quella gente mi mette in ansia...» Dopo un attimo, scosse la testa. «Ora, la mia ultima domanda. L'ultimo ciottolo che hai mandato per la sua strada... dov'è?» Picker aggrottò le sopracciglia. «Non lo sai? Sono i tuoi contrassegni, mago!» «A chi l'hai dato?» «A un fabbricante di monili.» «Monili come quello che porti al braccio, caporale?» «Be', sì, ma quella era la sua unica perla; ho guardato tutti gli altri lavori, ed erano buoni, ma niente di speciale.» Ben lo Svelto lanciò un'occhiata al punto in cui i Moranth dall'armatura nera caricavano colonne di monete sui loro quorl, sotto lo sguardo compiaciuto di Blend. «Be', non può essere distante. Non mi resta che trovarlo. Non dovrei impiegarci molto...» Picker lo vide allontanarsi di un breve tratto, poi sedersi per terra a gambe incrociate. L'aria notturna andava raffreddandosi; dai Monti Tahlyn arrivava un vento occidentale. La distesa di stelle sopra la loro testa era diventata nitida. Picker si girò a osservare le operazioni di carico. «Blend», chiamò, «assicurati che ci siano due selle in più, oltre a quella del mago». «Certo», rispose quella. La città di Pale non era granché, ma almeno le notti erano calde. Picker stava diventando troppo vecchia per accamparsi all'aperto notte dopo notte,
dormendo sul terreno freddo e duro. La settimana trascorsa ad aspettare la consegna le aveva messo un dolore sordo nelle ossa; ma almeno, con il generoso contributo di Darujhistan, Dujek sarebbe stato in grado di completare l'approvvigionamento dell'esercito. Se la fortuna di Oponn li assisteva, nel giro di una settimana sarebbero stati in marcia. Verso un'altra maledetta guerra, come se non fossimo già abbastanza stanchi. E poi, per lo zoccolo di Fener, che razza di roba è il Dominio di Pannion? Da quando aveva lasciato Darujhistan otto settimane prima, Ben lo Svelto era stato destinato allo stato maggiore del comandante Whiskeyjack, con il compito di contribuire al consolidamento dell'esercito ribelle di Dujek. La burocrazia e le magie minori sembravano andare stranamente in sintonia. Il mago era stato occupato a tessere una rete di comunicazioni attraverso Pale e i suoi avamposti. Decime e dazi rispondevano ai bisogni finanziari dell'esercito e l'imposizione del controllo agevolava la transizione dall'occupazione al possesso. Almeno per il momento. L'Armata di Unbraccio e l'Impero Malazan avevano preso strade diverse, dopo tutto, eppure più di una volta il mago aveva provato meraviglia davanti alle responsabilità tipicamente imperiali che gli erano state affidate. Siamo proscritti, eh? Già, e Hood sogna pecore che saltellano in pascoli verdi. Dujek stava... aspettando. L'esercito di Caladan Brood aveva impiegato parecchio tempo a scendere a sud e solo il giorno prima aveva raggiunto la pianura a nord di Pale; aveva Tiste Andii al centro, mercenari e Barghast Ilgres su un fianco e i Rhivi, con le loro enormi greggi di bhederin, sull'altro. Ma non ci sarebbe stata nessuna guerra. Non questa volta. No, per l'Abisso, abbiamo tutti deciso di combattere un nemico nuovo, sempre che il negoziato fili liscio; e dato che i governanti di Darujhistan stanno già trattando con noi, sarà probabilmente così. Un nemico nuovo. Un impero teocratico che divora città dopo città in un'onda apparentemente inarrestabile di fanatica ferocia. Il Dominio di Pannion. Perché ho una brutta sensazione al riguardo? Non importa, è tempo di trovare il mio contrassegno vagabondo... Chiudendo gli occhi, Ben lo Svelto sciolse le catene che gli avvolgevano l'anima e sgusciò via dal proprio corpo. Poiché non riusciva ad avvertire la presenza dell'innocuo ciottolo, levigato dall'acqua, che aveva immerso nel
suo calderone di magie, non gli restò che procedere a spirale verso l'esterno, confidando che la vicinanza dell'oggetto avrebbe, prima o poi, colpito i suoi sensi. Significava andare alla cieca e se c'era una cosa che il mago odiava... Ah, ti ho trovato! Sorprendentemente vicino, come se avesse attraversato una sorta di barriera nascosta. La vista gli mostrava solo oscurità - non una stella brillava sulla sua testa - ma sotto di lui il terreno era diventato pianeggiante. Sono in un canale, chiaro. La cosa preoccupante è che non lo riconosco del tutto. È familiare, ma ha qualcosa di strano. Avanti a sé, distinse un debole chiarore rossastro, che si levava dal suolo. Coincideva con l'ubicazione del suo contrassegno. Un odore di fumo dolciastro aleggiava nell'aria tiepida. Ben lo Svelto sentì aggravarsi la sua inquietudine, ma si avvicinò lo stesso al chiarore. La luce rossa veniva da una logora tenda, vide. A coprire l'entrata c'era un lembo di pelle, sciolto. Il mago non riuscì a percepire nulla di ciò che stava al di là. Raggiunta la tenda, si accovacciò, poi esitò. La curiosità è la mia dannazione, ma riconoscere un difetto non basta a correggerlo. Purtroppo. Scostò il lembo e guardò dentro. Una figura avvolta in una coperta sedeva rannicchiata contro la parete più lontana, distante meno di tre passi, china su un braciere da cui il fumo si levava in serpeggianti volute. Il suo respiro era rumoroso, affannoso. Una mano le cui ossa sembravano tutte rotte si levò alla vista, piegandosi in un gesto di invito. Una voce aspra emerse da sotto la coperta munita di cappuccio. «Entra, mago. Credo di avere qualcosa di tuo...» Ben lo Svelto aprì i suoi canali; riusciva a gestirne solo sette alla volta, anche se ne possedeva di più. Si sentì percorrere da ondate di potere. Aveva agito con riluttanza: svelare contemporaneamente quasi tutto ciò che possedeva lo riempiva di un delizioso fremito di onnipotenza, eppure riconosceva in quella sensazione un'illusione pericolosa, potenzialmente fatale. «Capisci ora», proseguì la figura, fra un ansito sibilante e l'altro, «che lo devi recuperare. Uno come me non può conservare un simile legame con i tuoi ammirevoli poteri, mortale...». «Chi sei?» domandò il mago. «Spezzato. Rovinato. Incatenato a questo corpo febbricitante sotto di noi. Non ho chiesto un destino simile. Non sono sempre stato un essere di dolore...»
Ben lo Svelto premette una mano sulla terra fuori dalla tenda, che sondò con i suoi poteri. Dopo un lungo momento, spalancò gli occhi, poi li chiuse lentamente. «L'hai infettata.» «In questo regno», spiegò la figura, «sono come un cancro. E, ogni giorno che passa, divento più virulento. Lei non può svegliarsi, finché cresco nella sua carne». Si mosse leggermente e, da sotto le pieghe della sudicia coperta, venne lo sferraglio di una catena pesante. «I vostri dei mi hanno legato, mortale, e credono di aver terminato la missione.» «Desideri un qualche servigio in cambio del mio contrassegno», affermò Ben lo Svelto. «Esatto. Se io devo soffrire, lo stesso deve valere per gli dei e il loro mondo...» Il mago scatenò la sua moltitudine di canali. Il potere invase la tenda. La figura gridò, sussultando. La coperta s'incendiò, insieme ai capelli lunghi e arruffati della creatura. Ben lo Svelto sfrecciò dentro la tenda, dietro l'ultima ondata della sua magia. Una mano scattò in avanti, rovesciata, il polso in alto. I polpastrelli si conficcarono nelle orbite oculari dell'altro; il palmo gli batté contro la fronte, spingendo la testa all'indietro. L'altra mano di Ben lo Svelto scese a raccogliere, con precisione infallibile, il ciottolo che rotolava fra i giunchi. Il potere dei canali scemò. Mentre il mago arretrava, si girava e si tuffava verso l'entrata, la creatura incatenata gridava di rabbia. Ben lo Svelto si mise frettolosamente in piedi e corse via. L'onda lo colpì da dietro, lo gettò scompostamente sul terreno caldo, fumante. Gridando, il mago si contorse sotto quell'attacco prodigioso. Cercò di allontanarsi, ma il potere era troppo grande. Cominciò a tirarlo indietro. Ben lo Svelto conficcò le unghie nel terreno, fissò i solchi scavati dalle sue dita, vide il sangue scuro che ne usciva. Oh, Burn, perdonami. La stretta invisibile, implacabile, lo trascinava verso l'entrata della tenda. Brama e furore irradiavano dalla figura all'interno, insieme alla certezza che tali emozioni sarebbero state soddisfatte nel giro di momenti. Ben lo Svelto era impotente. «Conoscerai questo dolore!» ruggì il dio. A quel punto, qualcosa emerse dal terreno. Una mano massiccia si chiuse intorno al mago, come se un gigante bambino afferrasse una bambola. Ben lo Svelto gridò di nuovo, mentre veniva attratto nel suolo ribollente. La bocca gli si riempì di terra dal sapore aspro.
Un urlo di rabbia risuonava debolmente da sopra. Rocce seghettate squarciarono il corpo del mago, che veniva tirato sempre più giù, attraverso la carne della Dea Dormiente. A causa della mancanza d'aria, l'oscurità gli avvolse pian piano la mente. Quando si risvegliò, tossiva, sputando un misto di fango e ghiaia. Aria calda, pura, gli riempì i polmoni. Si ripulì gli occhi dal terriccio, girandosi su un fianco. L'eco di gemiti l'investì; il terreno piatto, duro sotto di lui, si piegava e si muoveva lentamente. Ben lo Svelto si mise carponi. Sangue gocciolava dalla carne lacerata della sua anima, i suoi abiti erano ridotti a logore strisce, ma era vivo. Alzò lo sguardo. E per poco non cacciò un grido. Una figura dalla forma vagamente umana torreggiava su di lui. Lo superava in altezza di almeno quindici volte, e con la sua mole per poco non toccava il soffitto a volta della grotta. La carne scura, fatta di argilla, punteggiata di diamanti grezzi, scintillò mentre l'apparizione si spostava leggermente. La creatura sembrava ignorare Ben lo Svelto, anche se il mago sapeva che era stata lei a salvarlo dal Dio Storpio. Teneva le braccia alzate verso l'alto; le mani scomparivano nel soffitto scuro, macchiato di rosso, nel quale spiccavano ampi archi bianco sporco, disposti a intervalli regolari, simili a una successione infinita di costole. Le mani sembravano stringere due di queste costole, o forse vi erano fuse insieme. A malapena visibile oltre la creatura, forse a un migliaio di passi dentro la grotta, stava accovacciata un'altra apparizione del genere, anch'essa con le braccia alzate. Ben lo Svelto fece vagare lo sguardo per la grotta. Altri servi - il mago ne vide quattro, forse cinque - e tutti con le braccia levate verso il soffitto. La grotta era in realtà un ampio tunnel, che curvava in lontananza. Sono all'interno di Burn, la Dea Dormiente. Un canale vivente. In carne e ossa. E questi... servi... «Ti sono grato!» gridò alla creatura che incombeva su di lui. Una testa piatta e deforme si chinò. Occhi di diamante, simili a stelle, scesero a fissarlo. «Aiutaci.» La voce era infantile, piena di disperazione. Ben lo Svelto spalancò la bocca. Aiutarli? «Si indebolisce», gemette la creatura. «Nostra madre si indebolisce, e noi moriamo. Aiutaci.» «Come?» «Aiutaci, ti prego.»
«I-io non so come.» «Aiutaci.» Ben lo Svelto si alzò barcollando. La carne d'argilla, ora vide, si scioglieva, scivolando in torrenti giù per le braccia massicce del gigante. Pezzi di diamante si staccavano e cadevano. Il Dio Storpio li sta uccidendo, sta avvelenando la carne di Burn. Il mago aveva la mente in tumulto. «Servo, figlio di Burn! Quanto tempo? Prima che sia troppo tardi?» «Non molto», rispose la creatura. «Si avvicina. Il momento si avvicina.» Ben lo Svelto fu invaso dal panico. «Quanto manca? Puoi essere più preciso? Ho bisogno di sapere con cosa posso lavorare, amico. Provaci, per favore.» «Molto presto. Decine. Decine di anni, non di più. Il momento si avvicina. Aiutaci.» Il mago sospirò. Per poteri simili, a quanto pareva, i secoli erano come giorni. Ma la gravità della supplica del servo rischiava di sopraffarlo. Come pure la minaccia. Che cosa sarebbe successo se Burn fosse morta? Che Beru ci protegga, non credo di volerlo scoprire. E va bene, allora; questa è diventata la mia battaglia. Abbassò lo sguardo sul terreno cosparso di fango, indagando con i sensi. Presto trovò il contrassegno. «Servo! Lascerò qui qualcosa, in modo da poterti rintracciare. Troverò aiuto - lo prometto - e tornerò da te...» «Non da me», lo rimbeccò il gigante. «Io muoio. Verrà un altro. Forse.» Le braccia della creatura si erano assottigliate, e ora erano quasi del tutto prive della loro armatura di diamante. «Io muoio adesso.» Cominciò ad afflosciarsi. La macchia rossa sul soffitto si era allargata fino alle costole, ed erano apparse delle crepe. «Troverò una soluzione», mormorò Ben lo Svelto. «Lo giuro.» A un suo gesto, un canale si aprì. Senza un'ultima occhiata - o lo spettacolo gli avrebbe spezzato il cuore - vi entrò, e scomparve. Una mano gli scuoteva incessantemente la spalla. Ben lo Svelto aprì gli occhi. «Dannazione, mago», sibilò Picker. «È quasi l'alba; dobbiamo volare.» Con un gemito, il mago allungò le gambe, sussultando a ogni movimento, poi si lasciò tirare in piedi dal caporale. «L'hai ripreso?» chiese lei, mentre lo sorreggeva nella camminata verso il quorl in attesa. «Ripreso cosa?»
«Quel ciottolo.» «No. Siamo nei guai, Picker...» «Siamo sempre nei guai...» «No, voglio dire tutti quanti noi.» Puntò i piedi, fissandola. «Tutti quanti.» Nella sua espressione, lei vide qualcosa che la lasciò scossa. «Ma adesso dobbiamo andare.» «Sì. Meglio che mi allacci con le cinghie; non riuscirò a stare sveglio.» Arrivarono al quorl. Il Moranth seduto sulla sella anteriore girò la testa munita di elmo a guardarli in silenzio. «Regina dei Sogni», borbottò Picker, mentre avvolgeva l'imbracatura di cuoio intorno agli arti di Ben lo Svelto. «Non ti ho mai visto così spaventato, mago. Per poco non mi hai fatto pisciare cubetti di ghiaccio.» Quelle furono le ultime parole della notte che Ben lo Svelto ricordò; e le ricordò per sempre. Ganoes Paran era tormentato da immagini di annegamento, ma non nell'acqua. Annegava nell'oscurità. Smarrito, si agitava in preda al panico in un luogo sconosciuto e inconoscibile. Ogniqualvolta chiudeva gli occhi, lo coglievano le vertigini, nodi gli serravano le viscere, e tornava a essere un bimbetto impotente. Terrorizzato, incapace di comprendere, sentiva la sua anima contorcersi dal dolore. Il capitano lasciò la barricata presso lo Svincolo, dove gli ultimi mercanti della giornata si aprivano a fatica un varco attraverso la calca di guardie, soldati e funzionari Malazan. Aveva obbedito agli ordini di Dujek, allestendo il suo accampamento dall'altra parte della gola del passo. Imposte e perquisizioni di carri avevano reso un introito sostanziale anche se, man mano che si spargeva la voce, le entrate diminuivano. Era un equilibrio delicato: dovevano mantenere le tasse a un livello sopportabile per i mercanti e far passare abbastanza contrabbando per evitare che il cappio li strozzasse e i viaggi fra Darujhistan e Pale cessassero del tutto. Paran ci riusciva, ma a malapena. Eppure quello era il minore dei suoi problemi. Dal momento del disastro di Darujhistan, il capitano si sentiva alla deriva, gettato qua e là dalla caotica trasformazione di Dujek e della sua armata di disertori. L'ancora Malazan era stata recisa. Le strutture di sostegno erano crollate. Il peso sul corpo degli ufficiali si era fatto schiacciante. Quasi diecimila soldati avevano improvvisamente acquisito un infantile bisogno di rassicurazione.
E la rassicurazione era qualcosa che Paran non era in grado di dare. Il tumulto al suo interno non faceva che aggravarsi. Sangue bestiale sembrava correre nelle sue vene. Frammenti di ricordi - pochi dei quali suoi - e visioni strane, soprannaturali, tormentavano le sue notti. Le ore del giorno passavano in una nebbia confusa. Gli infiniti problemi relativi al materiale e alla logistica, i complicati bisogni della gestione pratica sbattevano ripetutamente contro la marea crescente di disturbi fisici che lo affliggeva. Paran si sentiva male da settimane, e aveva i suoi sospetti riguardo alla causa. Il sangue del Segugio dell'Ombra. Una creatura che si è tuffata nel regno stesso dell'Oscurità... eppure posso esserne davvero sicuro? Le emozioni che mi scuotono... assomigliano più a quelle di un bambino. Un bambino... Respinse il pensiero per l'ennesima volta, sapendo benissimo che sarebbe tornato presto - già il dolore gli divampava nello stomaco - e, con un'altra occhiata al punto in cui Trotts montava la guardia, continuò il cammino su per il fianco della collina. Il patimento della malattia l'aveva cambiato; questo lo percepiva dentro di sé, simboleggiato in un'immagine, una scena strana e pregnante. Si sentiva come se la sua stessa anima fosse stata ridotta a qualcosa di miserevole, un ratto malconcio, coperto di sudore, intrappolato in una frana, che si contorceva e dimenava attraverso ogni fenditura alla ricerca disperata di un luogo in cui la pressione - il peso vasto, in continuo movimento - si allentasse. Uno spazio in cui respirare. E tutte quelle pietre aguzze, dolorose, si depositano, e gli spazi in mezzo svaniscono... l'oscurità sale come acqua... I trionfi raggiunti a Darujhistan ora sembravano banali a Paran. L'aver salvato una città, l'aver salvato la vita a Whiskeyjack e al suo squadrone, l'aver distrutto i piani di Laseen, tutto era crollato in cenere nella mente del capitano. Non era quello di prima, e la sua nuova forma non era di suo gradimento. Il dolore oscurava il mondo. Il dolore disorientava. Trasformava la sua carne e le sue ossa nella dimora di uno sconosciuto, da cui sembrava impossibile fuggire. Il mormorio del sangue bestiale... parla di libertà. Parla di una via d'uscita; ma non dall'oscurità. No. Dentro all'oscurità, dove sono andati i Segugi, fin nel cuore della spada maledetta di Anomander Rake, il cuore segreto di Dragnipur. A quel pensiero, per poco non imprecò a voce alta, mentre avanzava
lungo la pista che sovrastava lo Svincolo. La luce del giorno stava sbiadendo. Il vento che pettinava l'erba aveva cominciato a cadere e il suo canto aspro si affievoliva in un fruscio. Il mormorio del sangue era solo uno fra i tanti; ognuno richiedeva la sua attenzione, ognuno offriva inviti contradditori, disparate vie di fuga. Ma sempre di fuga si tratta. Evasione. La creatura terrorizzata non riesce a pensare ad altro... mentre il peso si deposita... si deposita sempre più. Il disorientamento. Tutto ciò che vedo intorno a me... sembrano ricordi di qualcun altro. L'erba si intreccia su basse colline, spuntoni di roccia punteggiano le cime e, quando il sole tramonta e il vento si raffredda, il sudore sul mio viso si asciuga e scende l'oscurità; e io ne bevo l'aria come se fosse l'acqua più dolce del mondo. Per gli dei, che cosa significa? La confusione al suo interno non si quietava. Sono sfuggito al mondo di quella spada, eppure mi sento addosso le sue catene, che stringono sempre più. E dentro quella tensione, c'era un'aspettativa. Di cedimento, di resa... un'aspettativa di diventare... che cosa? Diventare cosa? Il Barghast sedeva in mezzo all'erba alta, bruna, su una cima che dominava lo Svincolo. Per quel giorno, il flusso di mercanti aveva cominciato ad assottigliarsi su entrambi i lati della barricata; le nuvole di polvere si diradavano sulla strada segnata dai solchi. Altri allestivano i loro accampamenti; la gola del passo stava diventando un ufficioso punto di ritrovo. Se le cose andavano avanti così, esso avrebbe messo radici, diventando un villaggio, poi un paesino. Ma non accadrà. Siamo troppo irrequieti. Dujek ha tracciato la mappa del nostro immediato futuro, ma esso è avvolto nella polvere di un esercito in marcia. Peggio ancora, in quella mappa ci sono delle spaccature, e pare proprio che gli Arsori di Ponti stiano per cadere in una... Profonda. Senza fiato, in lotta contro le fitte, Paran andò ad accovacciarsi accanto al guerriero tatuato, mezzo nudo. «È da stamattina che cammini tutto tronfio come un maschio di bhederin, Trotts», esordì. «Che cosa tramate tu e Whiskeyjack, soldato?» La bocca larga e sottile del Barghast si increspò in una specie di sorriso; i suoi occhi scuri rimasero fissi sulla scena giù nella valle. «La fredda oscurità sta finendo», ruggì. «Di cosa vai cianciando, per Hood? Il sole tramonterà fra pochi attimi, idiota sporco di grasso.» «Fredda e gelida», continuò Trotts. «Cieca al mondo. Io sono il Racconto, e il Racconto è rimasto inespresso per troppo tempo. Ma non più. Io
sono una spada sul punto di lasciare il fodero. Sono ferro, e alla luce del giorno vi accecherò tutti. Ah!» Paran sputò nell'erba. «Mallet ha accennato alla tua improvvisa... loquacità. Ha anche detto che non ha giovato a nessuno, dal momento che con il suo arrivo hai perso il poco buonsenso che possedevi prima.» Il Barghast si batté la mano sul petto; il suono riecheggiò come un colpo di tamburo. «Io sono il Racconto, e presto esso verrà narrato. Vedrai, Malazan. Vedrete tutti.» «Il sole ti ha fritto il cervello, Trotts. Bene, stasera torneremo tutti a Pale, anche se presumo che Whiskeyjack te l'abbia già detto. Ecco che arriva Hedge a darti il cambio.» Paran si raddrizzò, nascondendo il sussulto che accompagnò il movimento. «Vado a finire il mio giro.» Si allontanò a passo stanco. Dannazione, Whiskeyjack, che cosa avete architettato tu e Dujek? Il dominio di Pannion... Perché stiamo provocando un terremoto per qualche fanatico arrogante? Queste cose si estinguono da sole. Tutte le volte. Implodono. Gli imbrattapergamene assumono il controllo - sempre - e cominciano a discutere su oscuri dettagli di fede. Si formano sette. Scoppia la guerra civile, finché non rimane che un ennesimo fiore calpestato sulla strada infinita della storia. Sì, ora tutto è vivido e brillante. Ma i colori sbiadiscono. Lo fanno sempre. Un giorno, l'Impero Malazan si troverà faccia a faccia con la sua mortalità. Un giorno, sull'Impero cadrà il crepuscolo. Si piegò in due, quando un altro nodo di dolore lancinante gli attanagliò lo stomaco. No, non pensare all'Impero! Non pensare alla decimazione di Laseen! Abbi fiducia in Tavore, Ganoes Paran: tua sorella salverà il Casato. Meglio di come ci saresti riuscito tu. Molto meglio. Abbi fiducia in tua sorella... Il dolore si calmò leggermente. Tirando un respiro profondo, il capitano ricominciò a scendere verso il crocevia. Annegando. Per l'Abisso, sto annegando. Arrampicandosi come una scimmia, Hedge arrivò in cima alla collina. Le gambe storte lo portarono vicino al Barghast; mentre gli passava dietro, allungò la mano e diede un violento strattone alla sua treccia nodosa. «Ah», esclamò, sedendosi al suo fianco, «mi piace il modo in cui gli occhi ti schizzano in fuori quando lo faccio». «Tu, zappatore», ribatté il Barghast, «sei la schiuma sotto un ciottolo in
un torrente che scorre attraverso un branco di porci malati». «Buona, anche se un po' lunghetta. Hai fatto girare la testa al capitano, eh?» Trotts rimase zitto; ora teneva gli occhi sui lontani Monti Tahlyn. Hedge si tolse il cappello di cuoio bruciacchiato, grattò vigorosamente i pochi ciuffi di capelli che gli rimanevano sulla zucca e studiò il suo compagno per un lungo momento. «Non male», decretò. «Nobile e misterioso. Sono molto colpito.» «Mi sembra giusto. Simili pose non sono facili da mantenere.» «Tu hai un talento naturale. Allora, perché fai impazzire Paran?» Trotts sogghignò, rivelando una fila di denti limati, macchiati di blu. «È divertente. Inoltre, spetta a Whiskeyjack spiegare le cose...» «Solo che, per adesso, non ha spiegato un bel niente. Dujek vuole che torniamo a Pale, a raccogliere quello che resta degli Arsori di Ponti. Paran dovrebbe essere contento di riavere una compagnia da comandare, invece di un paio di squadroni malconci. Whiskeyjack ha detto niente dell'imminente negoziato con Brood?» Trotts annuì lentamente. Hedge aggrottò le sopracciglia. «Be', e che cosa?» «Che è imminente.» «Oh, grazie tante. A proposito, sei ufficialmente esonerato dal montare la guardia, soldato. Laggiù stanno cucinando una carcassa di bhederin apposta per te. Ho detto al cuoco di farcirla di sterco, perché a te piace così.» Trotts si alzò. «Un giorno, forse, ti cucinerò e ti mangerò, zappatore.» «E morirai soffocato da una delle mie ossa.» Il Barghast si accigliò. «La mia era un'offerta genuina, Hedge. Per onorarti, amico mio.» Lo zappatore guardò Trotts in tralice, poi fece un ampio sorriso. «Bastardo! C'ero quasi cascato!» Arricciando il naso, Trotts si allontanò. «"Quasi", ha detto. Ah, ah.» Whiskeyjack era in attesa quando Paran tornò alla postazione e alla sua barricata di fortuna. Un tempo sergente, ora comandante in seconda di Dujek Un-braccio, il veterano brizzolato era arrivato con l'ultimo stormo di Moranth. Era insieme al guaritore del suo vecchio squadrone, Mallet; i due guardavano una ventina di soldati del Secondo Esercito caricare sui quorl i tributi riscossi nell'ultima settimana. Paran si avvicinò, camminando con cautela in modo da nascondere il dolore che aveva dentro.
«Come va la gamba, comandante?» chiese. Whiskeyjack scosse le spalle. «Ne stavamo giusto parlando», intervenne Mallet, il viso rotondo arrossato. «È guarita male. Ha bisogno di cure serie...» «Più tardi», ruggì il barbuto comandante. «Capitano Paran, fate riunire gli squadroni fra due campane; avete deciso cosa fare con i resti del Nono?» «Sì; si uniranno ai resti dello squadrone del sergente Antsy.» Whiskeyjack corrugò la fronte. «Datemi dei nomi.» «Antsy ha il caporale Picker e... vediamo... Spindle, Blend, Detoran. Per cui, con Mallet, Hedge, Trotts e Ben lo Svelto...» «Ben lo Svelto e Spindle sono ora maghi del quadro, capitano. Ma li avrete comunque nella vostra compagnia. Altrimenti, immagino che Antsy sarà più che contento.» Mallet sbuffò. «Contento? Antsy non conosce il significato di quella parola.» Paran strinse gli occhi. «Devo dedurre, allora, che gli Arsori di Ponti non marceranno con il resto dell'Armata?» «No, non lo farete... ma ne parleremo a Pale.» Gli occhi grigi, piatti di Whiskeyjack studiarono il capitano per un momento, poi scivolarono via. «Rimangono trentotto Arsori di Ponti; come compagnia, non è granché. Se preferite, capitano, potete rifiutare l'incarico. Ci sono alcune compagnie di soldati scelti di marina a corto di ufficiali, e sono abituate a essere comandate da nobili.» Cadde il silenzio. Paran distolse il viso. Stava scendendo il crepuscolo; l'ombra della valle risaliva su per i pendii delle colline circostanti e una spruzzata di stelle spuntava dalla volta del cielo. Potrei beccarmi un coltello nella schiena, mi sta dicendo. Gli Arsori di Ponti hanno una radicata avversione per gli ufficiali di nobili natali. Un anno fa, l'avrebbe affermato chiaro e tondo, secondo la convinzione che fosse giusto svelare le verità spiacevoli. L'idea erronea che questo fosse un comportamento da soldati... quando in realtà un comportamento da soldati è proprio l'opposto. In un mondo pieno di trappole e di trabocchetti, si balla lungo i bordi. Solo gli sciocchi si buttano a capofitto, e gli sciocchi non vivono a lungo. Aveva sentito coltelli entrargli nel corpo, una volta, infliggendogli ferite che avrebbero dovuto essere fatali. Al ricordo, si ricoprì di sudore. Quella minaccia non era qualcosa che potesse scacciare con una semplice alzata di spalle, in un'ostenta-
zione di spavalderia giovanile. Lo sapeva, e lo sapevano anche i due uomini davanti a lui. «Considererei comunque un onore», rispose Paran, gli occhi sull'oscurità che divorava la strada meridionale, «comandare gli Arsori di Ponti, signore. Forse, col tempo, potrò avere l'opportunità di dimostrarmi degno di quei soldati». Whiskeyjack grugnì. «Come volete, capitano. L'offerta rimane valida, caso mai doveste cambiare idea.» Paran lo guardò. Il comandante fece un largo sorriso. «Per un po', almeno.» Dal buio emerse una figura enorme, dalla pelle scura; armi e armatura tintinnavano sommessamente. Vedendo Whiskeyjack e Paran insieme, la donna esitò, poi, puntando lo sguardo sul comandante, annunciò: «È in corso il cambio della guardia, signore. Stiamo tornando tutti, secondo gli ordini». «Perché lo dici a me, soldato?» tuonò Whiskeyjack. «Parla con il tuo superiore diretto.» La donna si accigliò e si girò verso Paran. «È in corso...» «Ho sentito, Detoran. Di' agli Arsori di Ponti di raccogliere la loro attrezzatura e di riunirsi nello spiazzo.» «Manca ancora una campana e mezzo alla partenza.» «Lo so benissimo, soldato.» «Sì, signore. Subito, signore.» La donna si allontanò a passo sciolto. Whiskeyjack sospirò. «A proposito di quell'offerta...» «Il mio precettore era Napan», ricordò Paran. «Devo ancora incontrare un Napan che conosca il significato della parola "rispetto", e Detoran non fa eccezione. Sono anche consapevole del fatto», proseguì, «che non fa eccezione nemmeno per quanto riguarda gli Arsori di Ponti». «A quanto pare, il vostro precettore era un buon insegnante», borbottò Whiskeyjack. Paran aggrottò le sopracciglia. «Che cosa intendente dire?» «La sua mancanza di rispetto per l'autorità vi ha contagiato, capitano. Avete appena interrotto il vostro comandante.» «Uh, le mie scuse. Continuo a dimenticare che non siete più sergente.» «Anch'io; per questo ho bisogno che quelli come voi non sbaglino.» Il veterano si volse verso Mallet. «Ricorda ciò che ho detto, guaritore.» «Sì, signore.» Whiskeyjack lanciò un'altra occhiata a Paran. «Quello "sbrigatevi e a-
spettate" è stata una buona mossa, capitano. I soldati amano cuocere nel loro brodo.» Paran guardò l'uomo allontanarsi verso il corpo di guardia, poi disse a Mallet: «A proposito del tuo colloquio privato con il comandante, guaritore. C'è qualcosa che dovrei sapere?». Mallet batté gli occhi con aria assonnata. «No, signore.» «Benissimo. Puoi riunirti al tuo squadrone.» «Sì, signore.» Rimasto solo, Paran sospirò. Trentotto veterani pieni di amarezza e di risentimento, già traditi due volte. Io ero estraneo al tradimento avvenuto all'assedio di Pale, e la proscrizione di Laseen ha colpito tanto me quanto loro. Non mi si può dare la colpa né nell'uno né nell'altro caso, eppure lo fanno lo stesso. Si fregò gli occhi. Il sonno era diventato un... evento sgradito. Notte dopo notte, fin dal momento della fuga da Darujhistan... dolore e sogni, no, incubi, per gli dei dell'Abisso... Trascorreva le ore di buio accartocciato sotto le coperte; il sangue gli correva tumultuoso nelle vene, acidi gli ribollivano nello stomaco e il suo sonno era irregolare, tormentato da immagini di lui che correva. Corro a quattro zampe. E poi annego. È il sangue del Segugio, che fluisce intatto dentro di me. Dev'essere così. Più di una volta aveva cercato di dirsi che il sangue del Segugio dell'Ombra era anche la causa della sua paranoia. Quel pensiero gli suscitò un sorriso amaro. Non è vero. Ciò che temo è fin troppo reale. E peggio ancora, questo grande senso di perdita... senza la possibilità di fidarmi... di nessuno. E senza questa possibilità, cosa vedo nella vita che mi aspetta? Nient'altro che solitudine e, quindi, niente di valore. E ora, tutte queste voci... che parlano di fuga. Fuga. Si riscosse, sputando per liberarsi del muco acre che aveva in gola. Pensa a quell'altra cosa, a quell'altra scena. Solitaria. Sconcertante. Ricorda, Paran, la voce che hai sentito. Apparteneva a Tattersail; non ne hai dubitato allora, perché ne dubiti adesso? Lei è viva. In qualche modo, sotto qualche forma, la maga vive... Ahhh, il dolore! Un bambino che gridava nell'oscurità, un Segugio che ululava, perso nella sua sofferenza. Un'anima inchiodata al cuore di una ferita... e io mi credo solo. Per gli dei, almeno lo fossi! Whiskeyjack entrò nel corpo di guardia, si chiuse la porta alle spalle e si
avvicinò a grandi passi al tavolo dello scrivano. Vi si appoggiò, tendendo la gamba dolorante. Il suo sospiro allentò una serie infinita di nodi; alla fine, l'uomo tremava. Dopo un attimo, la porta si aprì. Raddrizzandosi, Whiskeyjack guardò Mallet con aria torva. «Credevo che il tuo capitano avesse indetto una riunione, guaritore.» «Paran è in condizioni ancora peggiori delle vostre, signore.» «Ne abbiamo già parlato. Devi coprirgli le spalle... o ci stai ripensando, Mallet?» «Mi avete frainteso. Ho appena sondato nella sua direzione... il mio canale Denul si è ritratto, comandante.» Solo in quel momento Whiskeyjack notò il pallore sul viso rotondo del guaritore. «Ritratto?» «Sì. Non mi era mai successo. Il capitano è malato, sul serio.» «Tumori? Cancri? Sii più preciso, maledizione!» «Niente del genere, signore; non ancora, ma verranno. Si è scavato un buco nelle viscere; colpa di tutto quello che si tiene dentro, presumo. Ma c'è dell'altro; abbiamo bisogno di Ben lo Svelto. Paran è invaso dalle magie, che gli si spargono nel corpo come la gramigna.» «Oponn...» «No, il Giullare della Fortuna se n'è andato da tempo. Il viaggio di Paran verso Darujhistan... gli è accaduto qualcosa lungo la strada. No, non qualcosa: molte cose. Comunque, combatte contro quelle magie; è questo che lo sta uccidendo. Ma forse mi sbaglio. Abbiamo bisogno di Ben lo Svelto...» «D'accordo. Sottoponigli la cosa quando arriveremo a Pale. Ma digli di essere diplomatico; inutile aumentare l'inquietudine del capitano.» Mallet si fece ancora più cupo. «Signore, è solo che... è in grado di assumere il comando degli Arsori di Ponti?» «E lo chiedi a me? Se vuoi parlare con Dujek delle tue preoccupazioni, ne hai il diritto, guaritore. Se pensi che Paran non sia idoneo alle sue mansioni... è questo che credi, Mallet?» Dopo un lungo attimo, l'uomo sospirò. «Non siamo ancora a questo punto, presumo. È testardo come voi... signore. Per Hood, siete sicuro che non siate parenti?» «Sicurissimo», ruggì Whiskeyjack. «Un qualunque cane di accampamento ha sangue più puro di quello che scorre nella mia famiglia. Per il momento lasciamo stare, allora. Parla con Ben e Spindle. Scopri quello che
puoi su quelle magie nascoste: se ci sono ancora dei che tirano i fili di Paran, voglio sapere di chi si tratta, e poi potremo pensare al perché.» Mallet strinse gli occhi, scrutando il comandante. «Signore, dove ci stiamo andando a cacciare?» «Non so bene, guaritore», ammise Whiskeyjack con una smorfia. Con un grugnito, spostò il peso dalla gamba malata a quella buona. «Se la fortuna di Oponn mi assiste, non dovrò estrarre la spada; i comandanti di solito non lo fanno, no?» «Se mi deste il tempo, signore...» «Dopo, Mallet. Adesso devo pensare al negoziato. Brood e il suo esercito sono arrivati fuori Pale.» «Sì.» «E il tuo capitano si starà chiedendo che fine hai fatto, in nome di Hood. Fuori di qui, Mallet. Arrivederci dopo il negoziato.» «Sì, signore.» CAPITOLO TERZO Dujek Un-braccio e il suo esercito aspettavano l'arrivo di Caladan Brood e dei suoi alleati: i terribili Tiste Andii, i clan Barghast provenienti dal lontano nord, una decina di contingenti mercenari e i Rhivi, gli abitanti delle pianure. Lì, sul campo di battaglia ancora sfregiato fuori dalla città di Pale, le due forze si sarebbero incontrate; non per farsi la guerra ma per forgiare, da una storia amara, la pace. Né Dujek, né Brood, né nessun altro della loro leggendaria compagnia avrebbe potuto prevedere lo scontro che seguì; uno scontro non di spade, ma di parole... Confessioni di Artanthos Creste poco profonde ornavano, simili a festoni, i lati delle colline una lega a nord di Pale, cicatrici a malapena sanate dell'epoca in cui l'arroganza della città si era spinta a voler divorare le steppe al margine della Pianura Rhivi. A memoria di essere vivente, le colline erano sempre state sacre ai Rhivi; i contadini di Pale avevano pagato la loro impudenza col sangue. Eppure la terra era lenta a guarire; pochi menhir, cerchi di massi e cripte
di roccia erano ancora al loro posto. Ora le pietre erano ammucchiate alla rinfusa in cumuli senza senso lungo gli antichi campi di granturco terrazzati. Tutto quello che era stato sacro in quelle colline lo restava solo nella mente dei Rhivi. Come dice la fede, così è la realtà. La Mhybe si accostò la pelle di antilope alle spalle esili, ossute. Quella mattina, una nuova serie di dolori le punteggiava il corpo, segno che, nella notte appena trascorsa, la bambina le aveva sottratto altre energie. Si diceva che la vecchia non provasse risentimento: quei bisogni andavano soddisfatti e, a ogni modo, la bambina aveva ben poco di naturale. Spiriti potenti, dal cuore freddo e incantesimi ciechi avevano concorso a forgiare un essere nuovo, unico. E il tempo stringeva, stringeva sempre più. Gli occhi scuri della Mhybe scintillarono nei loro nidi di rughe, mentre la donna guardava la bambina scorrazzare sulle terrazze segnate dalle intemperie. Gli istinti materni non venivano mai meno. Non era giusto maledirli, condannare i legami d'amore che accompagnavano la divisione della carne. Malgrado tutte le pene che la tormentavano, e malgrado tutte le distorte esigenze di cui era impregnata sua figlia, la donna non poteva - non voleva - intessere ragnatele di odio. Tuttavia, il deperimento del suo corpo indeboliva i doni del cuore cui si aggrappava tanto disperatamente. Meno di una stagione addietro, la Mhybe era stata una ragazza, non ancora sposata. Era stata orgogliosa, riluttante ad accettare le mezze spighe d'erba che molti giovani virili avevano deposto davanti all'entrata della sua tenda; non era ancora pronta a intrecciarvi la sua spiga, legandosi così in matrimonio. I Rhivi erano un popolo danneggiato; come si poteva pensare a un marito e a una famiglia, in quei tempi di guerra infinita, devastante? Lei non era cieca come le sue sorelle; non abbracciava il dovere, che si diceva benedetto dallo spirito, di produrre figli maschi da porre davanti alla Falce della Mietitrice. Sua madre era stata una lettrice di ossa, dotata dell'abilità di racchiudere in sé l'intero patrimonio di ricordi del suo popolo; risaliva di generazione in generazione, fino alla Lacrima dello Spirito Morente. E suo padre aveva tenuto la Lancia della Guerra, prima contro i Barghast Viso Bianco, poi contro l'Impero Malazan. Sentiva una profonda nostalgia di entrambi, ma capiva come la loro morte e il suo rifiuto di accettare il tocco di un uomo avevano concorso a renderla la scelta ideale agli occhi della moltitudine di spiriti. Un contenitore senza legami, un contenitore in cui mettere anime spezzate - una al di
là della morte e l'altra sottratta alla morte attraverso antiche magie, due identità intrecciate insieme - un contenitore che sarebbe stato usato per nutrire il figlio innaturale così creato. Fra i Rhivi, che viaggiavano con le greggi e non innalzavano muri di pietra o di mattoni, un contenitore simile, destinato a essere eliminato dopo un uso specifico, era chiamato mhybe; così la donna si era trovata un nuovo nome, che ora conteneva tutta la verità della sua vita. Vecchia senza saggezza, segnata dal tempo senza i doni degli anni, eppure dovrei guidare questa bambina - questa creatura che guadagna una stagione per ogni stagione che perdo io, il cui svezzamento significherà la mia morte. Eccola intenta ai giochi di ogni bambino; sorride, completamente ignara del prezzo che la sua esistenza, la sua crescita, mi impongono. La Mhybe sentì dei passi alle sue spalle; un attimo dopo, una donna dalla pelle nera arrivò al suo fianco. Gli occhi obliqui si volsero sulla bambina che giocava sul pendio della collina. Il vento della prateria le spingeva sul viso lunghe ciocche di capelli neri; un'armatura a scaglie fini luccicava sotto la camicia di pelle non conciata, tinta di nero. «Ingannevole», mormorò la donna Tiste Andii, «non trovi?». La Mhybe sospirò, poi annuì. «Non sembra il tipo da suscitare paura», proseguì la donna dalla pelle scura come la notte, «o essere il fulcro di alterchi violenti...». «Ce ne sono stati altri, allora?» «Sì. Kallor rinnova il suo assalto.» La Mhybe s'irrigidì. Alzò gli occhi verso la Tiste Andii. «E? C'è stato un cambiamento, Korlat?» «Brood rimane costante», rispose Korlat, dopo un attimo. Scosse le spalle. «Se ha dei dubbi, li nasconde bene.» «Ne ha», rivelò la Mhybe. «Ma il suo bisogno dei Rhivi e delle nostre greggi pesa di più. Agisce per calcolo, non per fiducia. Tale bisogno rimarrà, una volta forgiata l'alleanza con il Malazan dal braccio solo?» «Si spera», azzardò Korlat, «che i Malazan possiederanno una conoscenza più approfondita delle origini della bambina». «Abbastanza da alleviare la potenziale minaccia? Korlat, devi far capire a Brood che quello che le due anime erano un tempo non è niente in confronto a quello che sono diventate.» Gli occhi sulla bambina che giocava, la Mhybe continuò: «È stata creata nell'ambito dell'influenza di un T'lan Imass; il suo canale senza tempo ha fornito i fili, che sono stati intrecciati
da un Divinatore Imass, Korlat. Questa bambina appartiene ai T'lan Imass. Possiederà anche la forma esteriore di un Rhivi, e conterrà anche le anime di due maghi Malazan, ma ora è una Soletaken; di più: una Divinatrice. E questa verità è soltanto un pallido abbozzo di ciò che diventerà. Dimmi, che bisogno hanno gli immortali T'lan Imass di una Divinatrice in carne e ossa?». Korlat fece una smorfia beffarda. «Non sono la persona giusta a cui chiederlo.» «Neanche i Malazan lo sono.» «Ne sei sicura? I T'lan Imass non marciavano sotto le bandiere Malazan?» «Non lo fanno più, Korlat. Quale frattura nascosta li divide ora? Quali segrete motivazioni potrebbero giacere sotto tutto ciò che i Malazan caldeggiano? Non abbiamo modo di intuirlo, no?» «Presumo che Caladan Brood sia consapevole di simili possibilità», replicò seccamente la Tiste Andii. «A ogni modo, potrai vedere con i tuoi occhi che cosa succede, Mhybe. Il contingente Malazan si avvicina e l'Alto Comandante richiede la tua presenza al negoziato.» La Mhybe fece un giro completo su se stessa. L'accampamento di Caladan Brood si stendeva davanti a lei, organizzato con la precisione di sempre. Forze mercenarie a ovest, i Tiste Andii al centro e le tende Rhivi, con le greggi di bhederin, a est. La marcia era stata lunga: partita dall'Altopiano del Vecchio Re, aveva superato le città di Cat e di Patch, per approdare infine alla vecchia Pista Rhivi che puntava a sud, attraversando la pianura, tradizionale dimora dei Rhivi. Una dimora lacerata da anni di guerra, di eserciti in marcia, di esplosivi Moranth caduti dal cielo... di quorl che turbinavano nel silenzio screziato di nero, di orrore che discendeva sui nostri accampamenti... sulle nostre greggi sacre. Eppure ora dobbiamo porgere la mano al nemico. Con gli invasori Malazan e i crudeli Moranth, dopo esserci puntati i coltelli alla gola per tanto tempo, dobbiamo intrecciare le spighe del matrimonio. Ma non un matrimonio in nome della pace; no, questi guerrieri ora cercano un altro nemico, un nemico nuovo... Oltre l'esercito di Brood, a sud, si ergevano le mura appena riparate di Pale; le macchie rimaste erano un raggelante memento delle violente magie Malazan. Un manipolo di cavalieri aveva appena lasciato la porta settentrionale della città; una bandiera grigia, priva di contrassegni, annunciava a tutti il loro stato di proscritti mentre attraversavano lentamente il
campo di battaglia verso l'accampamento di Brood. Gli occhi della Mhybe si strinsero, sospettosi, su quello stendardo. Vecchia, le tue paure sono una disgrazia. Dimentica la diffidenza, dimentica gli orrori che questi invasori ci hanno un tempo inflitto. Dujek Un-braccio e la sua Armata sono stati proscritti dall'odiata Imperatrice. Una campagna è terminata; ne comincia una nuova. Spiriti della terra, ci sarà mai fine alla guerra? La bambina raggiunse le due donne. Abbassando lo sguardo su di lei, la Mhybe vide, nei suoi occhi saldi, risoluti, una conoscenza e una saggezza che sembravano il frutto di millenni; e forse le cose stavano davvero così. Eccoci qui, noi tre, esposte alla vista di tutti: una bambina di dieci o undici anni, una donna dal viso giovane e gli occhi non umani e una vecchia curva, e si tratta, dal primo all'ultimo particolare, di un'illusione: perché la verità al nostro interno è proprio l'opposto, lo sono la bambina. La Tiste Andii ha conosciuto migliaia di anni di vita e la bambina... centinaia di migliaia. Anche Korlat aveva guardato la bambina. La Tiste Andii sorrise. «Ti sei divertita a giocare, Volpe d'Argento?» «Per un po'», replicò lei, con voce sorprendentemente sommessa. «Poi sono diventata triste.» Korlat alzò le sopracciglia. «E perché?» «Una volta esisteva una fiducia sacra fra queste colline e gli spiriti dei Rhivi. Ma ora si è spezzata. Gli spiriti non sono che contenitori di perdita e di dolore. Le colline non guariranno.» La Mhybe si sentì gelare il sangue. Ogni giorno di più, la bambina mostrava una sensibilità da far concorrenza alle maggiori sapienti delle tribù; tuttavia, quella sensibilità possedeva una certa freddezza, come se dietro ciascuna parola compassionevole ci fosse un interesse nascosto. «Non si può fare niente, figlia?» Volpe d'Argento scrollò le spalle. «Non è più necessario.» Come adesso, per esempio. «Che cosa intendi dire?» La ragazzina dal viso rotondo levò un sorriso verso la Mhybe. «Se dobbiamo assistere al negoziato, madre, è meglio che ci sbrighiamo.» Il luogo dell'incontro si trovava su un basso poggio, trenta passi oltre i picchetti più esterni. A ovest, erano visibili i tumuli innalzati di recente per ospitare i morti dopo la caduta di Pale. La Mhybe si chiese se quelle innumerevoli vittime non stessero osservando da lontano la scena che si di-
spiegava davanti ai suoi occhi. Gli spiriti nascono dal sangue versato, dopo tutto. E senza riti propiziatori, spesso si trasformano in forze nemiche, tormentate da visioni da incubo e piene di risentimento. Sono solo i Rhivi a conoscere queste verità? Dalla guerra all'alleanza: come avrebbero accolto la cosa quei fantasmi? «Si sentono traditi», osservò Volpe d'Argento al suo fianco. «Darò loro una risposta, madre.» Allungò la mano a prendere quella della Mhybe, mentre camminavano. «Questo è il tempo dei ricordi. Ricordi antichi e ricordi recenti...» «E tu, figlia», chiese la Mhybe in tono basso, febbrile, «sei il ponte fra i due?». «Sei saggia, madre, malgrado la tua mancanza di fiducia in te stessa. Ciò che è nascosto viene lentamente rivelato. Guarda questi antichi nemici. Nella mente tu combatti, evocando tutte le differenze fra noi; ti aggrappi disperatamente alla tua avversione, al tuo odio per loro, perché essi ti sono familiari. I ricordi sono le fondamenta di quell'odio. Ma, madre, i ricordi racchiudono un'altra verità, una verità segreta, e cioè la somma delle nostre esperienze, no?» La Mhybe annuì. «Così ci dicono i nostri anziani, figlia», rispose, reprimendo una leggera irritazione. «Le esperienze. Quelle le abbiamo in comune. Vissute da sponde opposte, forse, ma sono le stesse. Le stesse.» «Questo lo so, Volpe d'Argento. Il biasimo non ha senso. Siamo tutti mossi da forze esterne, come le maree sono mosse da una volontà invisibile, implacabile...» La mano della bambina strinse più forte quella della Mhybe. «Allora chiedi a Korlat, madre, cosa le dicono i suoi ricordi.» Lanciando un'occhiata alla Tiste Andii, la donna Rhivi alzò le sopracciglia e disse: «Sei rimasta in ascolto, ma non hai aperto bocca. Che risposta si aspetta mia figlia da te?». Korlat fece un sorriso triste. «Le esperienze sono le stesse. Per i vostri due eserciti, sicuramente. Ma anche... lungo lo scorrere del tempo. Per tutti coloro che possiedono ricordi, individui o popoli che siano, le lezioni della vita sono sempre le stesse.» Gli occhi della Tiste Andii, ora violetti, si posarono su Volpe d'Argento. «Anche fra i T'lan Imass; è questo che ci stai dicendo, bambina?» Lei scosse le spalle. «Davanti a tutto ciò che verrà, pensate al perdono.
Tenetelo presente, ma sappiate anche che non può essere sempre liberamente concesso.» Volpe d'Argento puntò lo sguardo sonnolento su Korlat; i suoi occhi scuri s'indurirono di colpo. «A volte il perdono deve essere negato.» Seguì il silenzio. Spiriti diletti, guidateci. Questa bambina mi spaventa. In verità, capisco Kallor... e questa è la cosa più preoccupante di tutte. Si fermarono a una certa distanza dal luogo del negoziato, appena oltre i picchetti dell'accampamento di Brood. Qualche attimo dopo, i Malazan raggiunsero il poggio. Erano in quattro. La Mhybe non ebbe difficoltà a riconoscere Dujek, il Gran Pugno disertore. L'uomo dal braccio solo, tuttavia, era più vecchio di quanto si aspettasse e stava in sella al suo castrato roano nella posizione di chi è tormentato dalla rigidità ossea e da antichi dolori. Magro, di altezza media, portava una sobria armatura e una spada corta d'ordinanza, priva di ornamenti, appesa al cinturone. Il viso stretto, dai lineamenti affilati, era privo di barba e mostrava le cicatrici accumulate in una vita di battaglie. Non aveva elmo; l'unica indicazione del suo rango era il lungo mantello grigio, con il suo fermaglio di argento battuto. Alla sinistra di Dujek cavalcava un altro ufficiale, dalla barba grigia e dalla corporatura robusta. Un elmo munito di visiera e di camaglio nascondeva gran parte delle sue fattezze, ma la Mhybe avvertì in lui un'enorme forza di volontà. Sedeva dritto in sella, anche se lei notò che teneva la gamba sinistra in una strana posizione, senza infilare lo stivale nella staffa. La maglia della sua cotta d'arme, lunga fino ai polpacci, era ammaccata e costellata di punti di cuoio. Alla Mhybe non sfuggì che stava sul lato non protetto di Dujek. Alla destra del Gran Pugno disertore cavalcava un giovane, certo un aiutante di qualche tipo. Il suo aspetto non aveva nulla di saliente, ma la Mhybe notò che faceva vagare incessantemente gli occhi, assorbendo nei dettagli tutto ciò che vedeva. Era questi a reggere la bandiera dei proscritti in una mano protetta da un guanto di pelle. Il quarto cavaliere era un Moranth Nero, completamente avvolto in un'armatura di chitina, nero lucente, seriamente danneggiata da innumerevoli graffi di spada. Il guerriero aveva perso tutte e quattro le dita della mano destra, eppure continuava a indossare ciò che restava della sua manopola. Al fianco della Mhybe, Korlat emise un grugnito sommesso. «Un gruppetto agguerrito, non ti pare?» Lei annuì. «Chi è quello alla sinistra di Dujek Un-braccio?»
«Whiskeyjack, immagino», rispose la Tiste Andii, con un sorriso obliquo. «Fa una certa figura, eh?» Per un attimo, la Mhybe si sentì come la ragazza che in verità era. Arricciò il naso. «I Rhivi non sono così pelosi, grazie agli spiriti.» «Però...» «Però... hai ragione.» Volpe d'Argento parlò. «Mi piacerebbe come zio.» Le due donne la guardarono sorprese. «Come zio?» ripeté la Mhybe. La bambina annuì. «Ci si può fidare di lui. Mentre il vecchio con un braccio solo nasconde qualcosa... no, lo fanno entrambi e si tratta dello stesso segreto, ma mi fido lo stesso di quello con la barba. Il Moranth... dentro di sé ride. Ride sempre e nessuno lo sa. La sua non è una risata crudele, ma piena di dolore. E quello con la bandiera...» Volpe d'Argento aggrottò le sopracciglia. «Ho dei dubbi su di lui. Credo di averli sempre avuti...» La Mhybe incontrò gli occhi di Korlat sopra la testa della bambina. «Suggerisco di avvicinarci», disse la Tiste Andii. Mentre si recavano al poggio, due figure si staccarono dai picchetti, seguite da un ricognitore che portava un vessillo privo di pennone. Tutti e tre erano a piedi. Vedendoli, la Mhybe si chiese cosa avrebbero pensato i Malazan dei due guerrieri alla testa. In Caladan Brood c'era sangue Barghast, evidente nella sua sagoma alta, goffa e nel viso largo, piatto; e anche in qualcos'altro, qualcosa di non completamente umano. La corporatura enorme faceva il paio con il martello di ferro legato alla sua schiena. Lui e Dujek combattevano su quel continente da oltre dodici anni, uno scontro di volontà che aveva visto più di venti battaglie campali e altrettanti assedi. Più di una volta, i due soldati si erano trovati in circostanze terribili e ne erano usciti, sanguinanti ma vivi. Da molto tempo avevano misurato le rispettive capacità sui campi di battaglia, ma ora, finalmente, stavano per incontrarsi faccia a faccia. Al fianco di Brood camminava Kallor, alto, magro e grigio. La sopravveste di maglia che lo copriva per l'intera statura scintillava nella luce diffusa del mattino. Una spada bastarda, disadorna, pendeva dagli anelli di ferro della sua armatura, ondeggiando al ritmo dei passi pesanti. Se in quel gioco letale c'era un giocatore che era rimasto un mistero per la Mhybe, questi era l'Alto Re, nome che si era dato personalmente. In verità, l'unica cosa di cui la donna Rhivi poteva essere certa era l'odio di Kallor per Vol-
pe d'Argento, un odio nato dalla paura, e forse da una conoscenza che solo egli possedeva, una conoscenza che non era disposto a dividere con nessuno. Kallor sosteneva di vivere da millenni, di avere una volta governato un impero che lui stesso aveva distrutto, per ragioni che non voleva rivelare. Eppure non era un Ascendente; la sua longevità veniva probabilmente da alchimie, ed era tutt'altro che perfetto, perché il suo volto e il suo corpo erano tanto devastati quanto quelli di un uomo che si avvicina al secolo di vita. Brood sfruttava la sua conoscenza della tattica, quella che sembrava un'istintiva padronanza della conduzione di vaste campagne, ma era evidente a tutti che, per l'Alto Re, tali combattimenti erano solo giochi passeggeri, cui si dedicava con disattenzione e disinteresse malamente velati. Kallor non suscitava nessuna lealtà nei soldati. Tutto ciò che riusciva a ottenere era una sorta di forzato rispetto e, sospettava la Mhybe, così era e sarebbe sempre stato. Quando raggiunse il poggio con Brood, guardò Dujek, Whiskeyjack e il comandante Moranth con un'espressione di acuto disprezzo. Sarebbe stato difficile non offendersi, eppure tutti e tre smontarono da cavallo ignorandolo e tenendo l'attenzione fermamente puntata su Caladan Brood. Dujek Un-braccio fece un passo avanti. «I miei ossequi, Alto Comandante. Permettetemi di presentare il mio modesto contingente. Il comandante in seconda Whiskeyjack. Artanthos, il mio attuale alfiere. E il capo dei Moranth Neri, il cui titolo, tradotto, suona più o meno come "Conquistatore" e il cui nome è completamente impronunciabile.» Il Gran Pugno disertore rivolse un largo sorriso alla figura avvolta nell'armatura. «Da quando ha stretto la mano a uno spirito Rhivi nella Foresta del Cane Nero, lo chiamiamo "l'Ardito".» «Artanthos...» mormorò Volpe d'Argento. «Non usa quel nome da molto tempo. E non è quello che sembra.» «Se è un'illusione», bisbigliò Korlat, «allora è magistrale. Non avverto niente di sospetto». La bambina annuì. «L'aria della prateria l'ha... ringiovanito.» «Chi è, figlia?» indagò la Mhybe. «Una chimera, in verità.» Quando Dujek finì di parlare, Brood grugnì e disse: «Al mio fianco c'è Kallor, il mio comandante in seconda. In rappresentanza dei Tiste Andii, c'è Korlat. Per i Rhivi, ci sono la Mhybe e la sua giovane figlia. A portare ciò che resta del mio vessillo c'è il ricognitore Hurlochel».
Dujek aggrottò le sopracciglia. «Dov'è la Guardia Cremisi?» «Per il momento, il principe K'azz D'Avore e le sue forze si stanno occupando di questioni interne, Gran Pugno. Non si uniranno ai nostri sforzi contro il Dominio di Pannion.» «Peccato», borbottò Dujek. Brood scosse le spalle. «Al loro posto, sono state messe insieme unità ausiliarie. Un reggimento a cavallo di Saltoan, quattro clan di Barghast e una compagnia mercenaria di Cat lo Sguercio e un'altra di Mott...» Whiskeyjack sembrò sul punto di soffocare. Tossì, poi scosse la testa. «Non starete parlando degli Irregolari di Mott, Alto Comandante?» Il sorriso di Brood rivelò denti limati. «Sì. Avete avuto qualche esperienza con loro, vero? Quando facevate il soldato negli Arsori di Ponti.» «Erano tosti», affermò Whiskeyjack, «e non solo in battaglia; a quanto ricordo, passavano gran parte del loro tempo a rubarci le provviste, per poi scappare via». «Talento per la logistica, si chiama», commentò Kallor. «Confido», disse Brood a Dujek, «che gli accordi con il Consiglio di Darujhistan si siano rivelati soddisfacenti». «Sì, Alto Comandante. Le loro... donazioni... ci hanno permesso di completare l'approvvigionamento.» «Credo che da Darujhistan stia arrivando una delegazione; dovrebbe essere qui fra poco», aggiunse Brood. «Se doveste avere bisogno di altro aiuto...» «Generoso da parte loro», osservò il Gran Pugno, annuendo. «La tenda di comando ci aspetta», decretò l'Alto Comandante. «Ci sono dettagli da discutere.» «Come volete», convenne Dujek. «Alto Comandante, ci siamo fatti la guerra per molto tempo; aspetto con ansia il momento in cui combatteremo fianco a fianco. Speriamo che il Dominio di Pannion si dimostri un degno nemico.» Brood fece una smorfia. «Ma non troppo.» «Certo», approvò Dujek, con un sogghigno. Ancora leggermente separata dal gruppo, insieme alla Tiste Andii e alla Mhybe, Volpe d'Argento sorrise e parlò sommessamente. «Ecco, è successo. Hanno incrociato lo sguardo. Si sono valutati a vicenda, ed entrambi sono soddisfatti.» «Un'alleanza insolita», borbottò Korlat, scuotendo debolmente la testa. «Rinunciare volontariamente a così tanto...»
«I soldati pragmatici», sentenziò la Mhybe, «sono gli individui più pericolosi che abbia mai conosciuto nel corso della mia breve vita». Volpe d'Argento fece una risata grave, di gola. «E poi dubiti della tua stessa saggezza, madre...» La tenda di comando di Caladan Brood era situata al centro dell'insediamento dei Tiste Andii. Per quanto avesse visitato quest'ultimo molto spesso, acquisendo qualche familiarità con quel popolo, la Mhybe fu ancora una volta colpita da un senso di stranezza mentre vi entrava con gli altri. L'antichità e il pathos erano gli aliti gemelli che riempivano i corridoi e i sentieri in mezzo alle tende a punta. Non correvano molte parole fra le poche figure alte, vestite di scuro, che oltrepassarono, né a Brood e al suo seguito fu accordata particolare considerazione; persino Korlat, la comandante in seconda di Anomander Rake, ricevette scarsa attenzione. La Mhybe faticava a capire: un popolo afflitto dall'indifferenza, da un'apatia che rendeva troppo faticosi persino i tentativi di civile conversazione. C'erano tragedie segrete nel lungo, tormentato passato dei Tiste Andii; ferite che non sarebbero mai guarite. Persino la sofferenza, aveva infine compreso la Rhivi, poteva diventare uno stile di vita; ma che una simile esistenza potesse estendersi da decenni in secoli, e poi in millenni, le provocava ancora una sorda fitta di orrore. Quelle tende misteriose avrebbero potuto essere la dimora di fantasmi, una necropoli nomade, irrequieta, infestata da spiriti perduti. I nastri logori, stranamente macchiati, legati ai pali di ferro, aggiungevano alla scena un tocco votivo; e lo stesso valeva per le figure scarne, spettrali dei Tiste Andii stessi. Sembravano in attesa, un'attesa eterna che sempre faceva rabbrividire la Mhybe. E ciò che era peggio, conosceva le loro abilità: li aveva visti estrarre le spade in preda alla collera e maneggiarle con spaventosa efficienza. E aveva visto le loro arti magiche. Fra gli umani, la fredda indifferenza si manifestava spesso in atti di crudeltà brutale, era spesso l'autentico volto del male - se una cosa simile esisteva in realtà - ma i Tiste Andii dovevano ancora mostrarsi capaci di tale ferocia. Combattevano agli ordini di Brood, per una causa non loro, e quei pochi che erano uccisi venivano semplicemente abbandonati. Era toccato ai Rhivi raccogliere quei corpi, trattarli alla loro maniera e piangerne la morte. I Tiste Andii guardavano quegli sforzi senza espressione, come divertiti dall'attenzione accordata a semplici cadaveri. La tenda di comando si ergeva proprio davanti a loro, ottagonale, dalla struttura di legno; l'antico rosso della tela, punteggiata di riparazioni, era
diventato un arancio sbiadito dal sole. Una volta apparteneva alla Guardia Cremisi, ed era stata abbandonata su un mucchio di immondizie prima che il ricognitore Hurlochel la recuperasse per l'Alto Comandante. Come era evidente dal vessillo, Brood non teneva particolarmente all'equipaggiamento sfarzoso. Il grande lembo all'entrata era stato tirato indietro. In cima al palo di sostegno anteriore sedeva un Grande Corvo, la testa inclinata verso il gruppo, il becco aperto come in una silenziosa risata. Nel vedere Crone, la Mhybe increspò le labbra sottili in un mezzo sorriso. La servitrice preferita di Anomander Rake si era messa a perseguitare Caladan Brood, dispensandogli incessantemente consigli, come una coscienza troppo zelante. Più di una volta, il Grande Corvo aveva messo alla prova la pazienza dell'Alto Comandante; eppure Brood la tollera, proprio come tollera lo stesso Anomander Rake. Un'alleanza impacciata... tutte le storie concordano sul fatto che Brood e Rake lavorano fianco a fianco da molto, molto tempo, ma c'è fiducia fra loro? Il loro rapporto è difficile da comprendere, con tutti i suoi strati di complessità e ambiguità; e il dubbio ruolo di Crone come intermediaria fra i due guerrieri non fa che confondere ulteriormente le carte. «Dujek Un-braccio!» gridò Crone; l'esclamazione fu seguita da un sonoro schiamazzo. «Whiskeyjack! Vi porto i saluti di un certo Baruk, un alchimista di Darujhistan. E da parte del mio padrone, Anomander Rake, Signore della Progenie della Luna, Cavaliere dell'Alta Casa dell'Oscurità, figlio di Madre Oscurità in persona, vi reco... no, non i suoi saluti... ma il suo divertimento. Sì, divertimento!» Dujek si accigliò. «E cosa diverte tanto il tuo padrone, uccello?» «Uccello?» stridette il Grande Corvo. «Io sono Crone, l'ineguagliata matriarca della catastrofica, cacofonica folla della Progenie della Luna!» Whiskeyjack grugnì. «Matriarca dei Grandi Corvi? Parli a nome di tutti, vero? Non ho difficoltà a crederlo: Hood sa se fai abbastanza chiasso.» «Che arroganza! Dujek Un-braccio, il divertimento del mio padrone è impossibile da spiegare.» «Il che significa che non lo sai», l'interruppe il Gran Pugno disertore. «Un'audacia oltraggiosa la tua; mostra rispetto, mortale, oppure sceglierò la tua carcassa per nutrirmi quando arriverà il momento!» «Probabilmente ti romperai il becco contro la mia pellaccia, Crone, ma provaci pure, se vuoi.» «Per caso hai ancora quella cinghia da becco, Hurlochel?» ruggì Brood.
«Sì, signore.» Il Grande Corvo sibilò, scostando la testa e alzando le grandi ali a metà. «Non osare, razza di bue! Se ripeterai quell'affronto, sarà a tuo rischio e pericolo.» «Allora tieni a freno la lingua.» Brood si volse verso gli altri, incitandoli a entrare con un gesto. Crone, dalla sua posizione di vantaggio, abbassava la testa ogni volta che un soldato passava sotto di lei. Quando fu il turno della Mhybe, il Grande Corvo chiocciò. «La bambina che porti per mano sta per sorprenderci tutti, vecchia donna.» La Rhivi si fermò. «Che cosa percepisci, vecchio corvo?» Crone rise fra sé prima di rispondere. «L'immanenza, cara pentola di terracotta, e nient'altro. Saluti, Volpe d'Argento.» La bambina studiò il Grande Corvo per un attimo, poi disse: «Ciao, Crone. Non mi ero mai resa conto che la tua specie fosse nata dalla carne marcescente di un...». «Silenzio!» urlò Crone. «Tale conoscenza non andrebbe mai palesata! Devi imparare a rimanere zitta, bambina, per il tuo stesso bene...» «Per il tuo, vuoi dire», la rimbeccò Volpe d'Argento, con un sorriso. «In questo caso, sì, non lo nego. Però ascolta questa creatura vecchia e saggia prima di entrare nella tenda, bambina. Fra coloro che aspettano dentro ci sono alcuni che considereranno la vastità della tua consapevolezza se tu dovessi essere tanto sciocca da rivelarla - la più insidiosa delle minacce. Le rivelazioni potrebbero significare la tua morte. E sappi questo: non sei ancora in grado di proteggerti. Né può la Mhybe, che amo e ho cara, sperare di difenderti: il suo non è un potere violento. Entrambe avrete bisogno di protettori, capisci?» Senza smettere di sorridere, Volpe d'Argento annuì. La Mhybe strinse istintivamente la mano intorno a quella di sua figlia, mentre un turbine di emozioni la assaliva. Non era cieca alle minacce contro Volpe d'Argento e contro lei stessa, né era ignara dei poteri che germogliavano nella bambina. Ma non avverto nessun potere dentro di me, violento o no. Anche se ha parlato con affetto, Crone mi ha chiamato «pentola di terracotta» a buon diritto; e tutto ciò che un tempo essa proteggeva non è più in me, ma qui in piedi al mio fianco, esposto e vulnerabile. Mentre Volpe d'Argento la conduceva dentro, alzò lo sguardo verso il Grande Corvo un'ultima volta, incontrando i suoi occhi neri, scintillanti. Mi ami e mi hai cara, eh, corvo? Che tu sia benedetta per questo. La stanza centrale della tenda di comando era dominata da un grande ta-
volo delle mappe in legno sbozzato, deforme come se fosse stato messo insieme da un falegname ubriaco. Quando la Mhybe e Volpe d'Argento entrarono, il veterano Whiskeyjack - l'elmo sottobraccio, con le cinghie slacciate - rideva, gli occhi fissi sul tavolo. «Siete un gran bastardo, Alto Comandante», commentò, scuotendo la testa. Brood guardava con aria torva l'oggetto dell'attenzione di Whiskeyjack. «Sì, riconosco che non è bello...» «È perché quella maledetta roba è stata fatta da Fiddler e Hedge», proseguì il Malazan. «Nel bosco di Mott...» «Chi sono Fiddler e Hedge?» «Erano i miei due zappatori, quando comandavo il Nono Squadrone. Avevano organizzato una delle loro famigerate partite a carte con il Mazzo dei Draghi e avevano bisogno di una superficie su cui metterle. Cento Arsori di Ponti si erano raccolti per il gioco, malgrado fossimo sotto attacco costante, e per di più impantanati in mezzo a una palude. La partita fu interrotta da una battaglia campale - fummo sopraffatti e respinti, poi riguadagnammo la posizione, il tutto nello spazio di una campana - e... sorpresa! nel frattempo, qualcuno si era portato via un tavolo da duecento libbre! Avreste dovuto sentire le imprecazioni degli zappatori...» Caladan Brood incrociò le braccia, mantenendo l'aria accigliata. Dopo qualche attimo, grugnì. «Una donazione degli Irregolari di Mott. Mi ha servito bene; i miei... uhm... complimenti ai vostri zappatori. Posso farlo restituire...» «Non c'è bisogno, Alto Comandante.» Il Malazan sembrava sul punto di aggiungere qualcosa, qualcosa di importante, ma poi si limitò a scuotere la testa. Un ansito sommesso di Volpe d'Argento fece sussultare la Mhybe. La donna abbassò lo sguardo, inarcando le sopracciglia con aria interrogativa, ma la bambina spostava continuamente l'attenzione dal tavolo a Whiskeyjack, con un sorrisino sulle labbra. «Zio Whiskeyjack», disse all'improvviso. Tutti gli occhi si volsero verso Volpe d'Argento, che continuò con noncuranza: «Quegli zappatori e le loro partite... barano, non è vero?». Il Malazan barbuto si accigliò. «Non è un'accusa che ti consiglio di ripetere, ragazzina, specialmente se ci sono degli Arsori di Ponti nelle vicinanze. Durante quei giochi, molte monete sono andate in una direzione soltanto. Fid e Hedge baravano? Rendevano le regole così complicate che nessu-
no era in grado di dirlo. Quindi, per risponderti, non lo so.» Scrutò Volpe d'Argento con aria sempre più torva, come se qualcosa fosse intervenuto a turbarlo. Qualcosa... come un senso di familiarità... la Mhybe ebbe un'illuminazione. Naturalmente, non sa niente di lei; di quello che è, di quello che era. Per quanto lo riguarda, questo è il loro primo incontro, eppure lei lo ha chiamato zio; e poi, c'è quella voce: gutturale, consapevole... Conosce non la bambina, ma la donna che era una volta. Tutti aspettavano che Volpe d'Argento continuasse, offrendo una spiegazione. Invece, lei andò al tavolo, passando lentamente la mano sulla superficie malconcia. Un sorriso fuggevole le attraversò i lineamenti. Poi tirò a sé una delle sedie male assortite e vi si lasciò cadere. Brood sospirò, facendo un gesto a Hurlochel. «Trovaci quella mappa dei territori del Dominio di Pannion.» Quando la grande mappa fu spiegata sul tavolo, gli altri vi si raccolsero lentamente intorno. Dopo un attimo, Dujek grugnì. «Nessuna delle nostre mappe è così dettagliata», osservò. «Avete segnato la posizione di vari eserciti Pannion... quanto sono recenti le annotazioni?» «Hanno tre giorni», rispose Brood. «I figli di Crone sono là, a seguire i movimenti. Le informazioni sui mezzi organizzativi e sulle passate tattiche Pannion sono state raccolte da varie fonti. Come potete vedere, sono pronti a prendere la città di Capustan. Maurik, Setta e Lest sono già tutte cadute. Le forze Pannion sono ancora sul lato meridionale del fiume Catlin, ma sono cominciati i preparativi per la traversata.» «L'esercito di Capustan non ha intenzione di opporsi alla traversata?» obiettò Dujek. «In tal caso, stanno praticamente invitando un assedio. A quanto pare, nessuno si aspetta che Capustan reagisca seriamente.» «La situazione a Capustan è un po' confusa», spiegò l'Alto Comandante. «La città è governata da un principe e da una coalizione di Gran Sacerdoti e le due fazioni sono sempre in lotta l'una contro l'altra. Ad aggravare i problemi c'è il fatto che il principe ha ingaggiato una compagnia mercenaria per rimpinguare le sue scarse forze...» «Quale compagnia?» indagò Whiskeyjack. «Le Spade Grigie. Le avete mai sentite nominare, comandante?» «No.» «Nemmeno io», ammise Brood. «Si dice che vengano da Elingarth, e che abbiano un effettivo rispettabile: più di settemila uomini. Che siano degni dei compensi esorbitanti che hanno strappato al principe è ancora
tutto da vedere. Hood lo sa, il loro cosiddetto contratto standard ammonta a quasi due volte quello che chiede la Guardia Cremisi.» «Il loro comandante ha interpretato la situazione», commentò Kallor; il suo tono indicava una grande stanchezza, se non noia bella e buona. «Il principe Jelarkan ha più denaro che soldati e i Pannion non si possono comprare: dopo tutto, per ciò che riguarda il Veggente, si tratta di una guerra santa. A peggiorare le cose, il consiglio dei Gran Sacerdoti ha il sostegno delle compagnie private di soldati legate a ciascun tempio: uomini ben equipaggiati, finemente addestrati. Sono quasi tremila fra i combattenti più abili della città, mentre il principe è rimasto con la feccia per la sua Capanthall cui, per legge, ha proibito di espandersi oltre le duemila unità. Da anni, il Convocatore - la coalizione dei templi - usa la Capanthall come terreno di rifornimento per le sue compagnie, attirando i migliori a suon di soldoni...» La Mhybe, evidentemente, non era la sola a sospettare che, data l'opportunità, Kallor avrebbe continuato per tutto il pomeriggio, perché Whiskeyjack interruppe l'uomo non appena questi tirò il fiato. «Così, questo principe Jelarkan ha aggirato la legge assoldando dei mercenari.» «Esatto», convenne subito Brood. «A ogni modo, il Convocatore è riuscito a far entrare in vigore un'altra legge, che impedisce alle Spade Grigie di impegnarsi attivamente oltre le mura della città, per cui la traversata non verrà contrastata...» «Idioti», ruggì Dujek. «Dal momento che questa è una guerra santa, i templi dovrebbero fare tutto il possibile per opporre ai Pannion un fronte unito.» «Presumo che siano convinti di farlo», osservò Kallor, con un sogghigno beffardo che poteva essere rivolto a Dujek, ai sacerdoti di Capustan, o a entrambi. «E, nel contempo, tengono a bada il potere del principe.» «La faccenda è più complicata di così», lo rimbeccò Brood. «La sovrana di Maurik ha capitolato con poco spargimento di sangue arrestando tutti i sacerdoti della sua città, e consegnandoli ai Tenescowri dei Pannion. Con una mossa sola, ha salvato città e cittadini, riempito i forzieri reali con il bottino estorto ai templi ed eliminato una perenne spina nel fianco. Il Veggente Pannion le ha concesso il governatorato, il che è meglio che essere fatti a pezzi e divorati dai Tenescowri, come è successo ai sacerdoti.» La Mhybe cacciò un sibilo. «Fatti a pezzi e divorati?» «Sì», confermò l'Alto Comandante. «I Tenescowri sono l'armata dei
contadini del Veggente; fanatici cui il Veggente non si prende la briga di mandare rifornimenti. Anzi, ha dato loro la sua santa benedizione perché facciano qualunque cosa sia necessaria per nutrirsi e armarsi. Se certe altre voci sono vere, allora il cannibalismo è il minore degli orrori.» «Abbiamo sentito voci simili», borbottò Dujek. «Allora, Alto Comandante, la domanda che ci si pone è: cerchiamo di salvare Capustan o la lasciamo cadere? Il Veggente deve sapere che stiamo arrivando; i suoi seguaci hanno diffuso il culto molto oltre i suoi confini, a Darujhistan, a Pale, a Saltoan, per cui sa che in qualche punto, in qualche momento attraverseremo il fiume Catlin. Se prende Capustan, il guado più ampio del fiume sarà nelle sue mani. Il che ci lascia soltanto il vecchio guado a ovest di Saltoan, dove un tempo c'era il ponte di pietra. Certo, i nostri genieri potrebbero costruirci un ponte galleggiante, se portiamo la legna con noi. Questa è l'opzione di terra. Naturalmente, ne abbiamo altre due...» Crone, appollaiata su un'estremità del tavolo, stridette: «Ascoltatelo!». La Mhybe annuì, comprendendo le intenzioni del Grande Corvo e condividendo la sua incredulità divertita. Dujek lanciò uno sguardo minaccioso dall'altra parte del tavolo. «Hai qualche problema, uccello?» «Sei proprio la degna controparte dell'Alto Comandante! Parola per parola, pensi a voce alta proprio come lui! Oh, come si può non vedere il taglio affilato della poesia nella vostra guerra reciproca degli ultimi dodici anni?» «Sta' zitta, Crone», ordinò Brood. «Capustan sarà presa d'assedio. Le forze Pannion sono formidabili; abbiamo saputo che l'Eptarca Kulpath comanda la spedizione, ed è il più abile di tutti gli Eptarchi del Veggente. Ha con sé la metà di tutti i Bekliti - cinquantamila fanti regolari - e una divisione di Urdomen, oltre ai soliti distaccamenti di supporto e le solite unità ausiliarie. Capustan è una città piccola, ma il principe ha lavorato per rinforzare le mura e la sua disposizione è tale da renderla particolarmente adatta alla difesa distretto per distretto. Se le Spade Grigie non si ritirano alla prima scaramuccia, può darsi che Capustan resista per un po'. Tuttavia...» «I miei Moranth Neri potrebbero far atterrare qualche compagnia in città», intervenne Dujek, lanciando un'occhiata al silenzioso Ardito, «ma, senza un esplicito invito a farlo, la tensione potrebbe rivelarsi problematica». Kallor sbuffò. «Bell'eufemismo. Quale città di Genabackis accogliereb-
be con favore legioni Malazan al suo interno? Inoltre, dovreste portarvi dietro il cibo - siatene certo, Gran Pugno - per non parlare dell'aperta ostilità, se non del tradimento vero e proprio, da parte dei Capan.» «È chiaro», azzardò Whiskeyjack, «che dobbiamo stabilire un contatto preliminare con il principe di Capustan». Volpe d'Argento ridacchiò, facendo trasalire tutti i presenti. «Tutta questa orchestrazione, zio! Hai già messo in moto un piano al riguardo. Tu e il soldato con un braccio solo avete architettato tutto fino all'ultimo dettaglio. Progettate di liberare Capustan, anche se, certo, non direttamente: voi due non fate mai niente direttamente, vero? Volete nascondervi dietro agli eventi, la più classica delle tattiche Malazan.» Da giocatori provetti quali erano, i due restarono impassibili davanti alle sue parole. Il risolino di Kallor somigliava a un sommesso acciottolio d'ossa. La Mhybe scrutò Whiskeyjack. La bambina è molto inquietante, vero? Per gli spiriti, inquieta anche me, e io so molto più di voi, signore. «Bene», tuonò Brood, dopo un attimo, «sono felice di sentire che siamo tutti d'accordo: Capustan non deve cadere se possiamo evitarlo, e uno strumento di aiuto indiretto è probabilmente l'opzione migliore, tutto considerato. Esternamente, dobbiamo essere visti - la maggior parte delle forze mie e vostre, Un-braccio - marciare via terra, ad andatura prevedibile. Questo determinerà la tabella di marcia dell'assedio dell'Eptarca Kulpath, con le conseguenti ripercussioni su di lui e su di noi. Se ho ben capito, conveniamo anche sul fatto che Capustan non dovrebbe essere il nostro unico fulcro». Dujek annuì lentamente. «Potrebbe ancora cadere, malgrado i nostri sforzi. Se vogliamo sconfiggere il Dominio di Pannion, dobbiamo mirare al suo cuore.» «D'accordo. Ditemi, Un-braccio, quale città avete scelto come bersaglio per la prima stagione della campagna?» «Coral», rispose prontamente Whiskeyjack. Tutti gli occhi tornarono alla mappa. Brood esibiva un ampio sorriso. «A quanto pare, la pensiamo proprio allo stesso modo. Una volta raggiunto il confine settentrionale del Dominio, punteremo come una lancia verso sud, liberando città dopo città in rapida successione... Setta, Lest, Maurik - la governatrice sarà contenta - e poi arriveremo alla stessa Coral. In una sola stagione, annulleremo tutte le conquiste fatte dal Veggente. Voglio veder vacillare quel maledetto culto; voglio che si riempia di crepe.»
«Sì, Alto Comandante. Per cui, marceremo via terra, no? Niente navi; affretterebbero la mano di Kulpath. Però c'è un'ultima questione da chiarire», continuò Whiskeyjack, volgendo gli occhi sull'unico rappresentante - a parte il comandante Moranth Nero - che non aveva ancora parlato, «e sarebbe, cosa possiamo aspettarci da Anomander Rake? Il Tiste Andii sarà con noi, Korlat?». La donna si limitò a sorridere. Brood si schiarì la gola. «Come voi», attaccò, «abbiamo avviato alcune mosse per conto nostro. Mentre parliamo, la Progenie della Luna sta viaggiando verso il Dominio. Prima di raggiungere il territorio del Veggente... scomparirà». Dujek alzò le sopracciglia. «Una bella prodezza.» Crone chiocciò. «Non sappiamo nulla della magia che sta dietro il potere del Veggente», proseguì l'Alto Comandante, «a parte il fatto che esiste. Come i Moranth Neri per voi, la Progenie della Luna rappresenta un'opportunità tattica che saremmo stupidi a non sfruttare». Il sorriso di Brood si allargò ulteriormente. «Come voi, Gran Pugno, cerchiamo di evitare la prevedibilità.» Indicò Korlat con un cenno del capo. «I Tiste Andii dispongono di magie formidabili...» «Non abbastanza», intervenne Volpe d'Argento. La donna Tiste Andii la guardò accigliata. «Questa è un'affermazione azzardata, bambina.» Kallor sibilò. «Non prestate fede a una sola parola di quel che dice. Come Brood ben sa, considero sciocca la sua presenza a questa riunione: non è nostra alleata. Ci tradirà tutti, ricordate le mie parole; il tradimento è il suo più vecchio amico. Statemi a sentire, tutti quanti: questa creatura è un obbrobrio.» «Oh, Kallor», sospirò Volpe d'Argento, «non potresti finirla con questa storia?». Dujek si rivolse a Caladan Brood. «Alto Comandante, riconosco di provare una certa confusione riguardo alla sua presenza; chi è, in nome di Hood? Sembra in possesso di conoscenze soprannaturali. Per essere una bambina di dieci anni...» «È molto più di questo», sbottò Kallor, fissando Volpe d'Argento con occhi duri, pieni di odio. «Guardate la strega che le sta al fianco», ringhiò. «Ha visto a malapena venti estati, Gran Pugno, e questa bambina le è stata strappata dal ventre nemmeno sei mesi fa. Quest'obbrobrio si nutre della
forza vitale della madre; anzi, non la madre, ma lo sfortunato contenitore che una volta l'ospitava. Tutti siete rabbrividiti davanti al cannibalismo dei Tenescowri; cosa pensate di una creatura che divora la linfa di colei che le ha dato la luce? E c'è dell'altro...» s'interruppe, mordendosi visibilmente la lingua, e si appoggiò allo schienale. «Dovrebbe essere uccisa. Ora. Prima che il suo potere ci annienti tutti.» Nella tenda cadde il silenzio. Che tu sia dannato, Kallor. È questo che vuoi mostrare ai nostri nuovi alleati? Un campo diviso. E, per gli spiriti della terra, che tu sia doppiamente dannato, perché lei non sapeva. Non sapeva niente... Tremando, la Mhybe abbassò lo sguardo su Volpe d'Argento. Gli occhi della bambina erano sgranati, e si stavano riempiendo di lacrime. «Davvero?» mormorò, fissando la madre. «Davvero mi nutro di te?» La Mhybe chiuse gli occhi, desiderando di poterle nascondere la verità ancora una volta, e per sempre. Invece rispose: «Non per tua scelta, figlia; fa semplicemente parte di ciò che sei, e io l'accetto - anche se questa terribile crudeltà mi riempie di collera - come devi accettarlo tu. In te c'è un impeto, Volpe d'Argento, una forza antica e innegabile; anche tu lo sai, lo senti...». «Antica e innegabile», proruppe Kallor, con voce aspra. «Tu sai ben poco, donna.» Sporgendosi di scatto lungo il tavolo, afferrò Volpe d'Argento per la giubba e l'attirò a sé. Quando i loro volti furono vicini, l'Alto Re scoprì i denti. «Ci sei immischiata, vero? Lo so. Lo sento. Confessa, bestiaccia!» «Lasciala», ordinò Brood a voce bassa. Il ghigno dell'Alto Re si fece ancora più evidente; ma egli lasciò la presa, tornando lentamente a sedere. Il cuore che le martellava in petto, la Mhybe si portò una mano tremante al viso. Quando Kallor aveva afferrato la figlia, l'aveva invasa il terrore, un torrente gelido che l'aveva lasciata priva di forze, sconfiggendo agevolmente l'istinto materno a difendere e rivelando a se stessa, e a tutti i presenti, la sua codardia. Sentì lacrime di vergogna spuntarle negli occhi e scivolare lungo le guance rugose. «Toccala di nuovo», proseguì l'Alto Comandante, «e ti tramortirò a suon di botte». «Come vuoi», replicò l'antico guerriero. Si sentì un fruscio di maglia, mentre Whiskeyjack si volgeva verso Caladan Brood. L'uomo aveva il volto cupo, l'espressione dura. «Se non l'a-
veste fatto voi, Alto Comandante, avrei espresso la mia minaccia personale.» Puntò occhi ferrei sull'Alto Re. «Fare del male a una bambina? Non vi tramortirei a suon di botte, Kallor, vi strapperei il cuore dal petto.» L'Alto Re rispose con un ampio sorriso. «Ma guarda. Tremo di paura.» «Quando è troppo è troppo», borbottò Whiskeyjack. La sua sinistra, avvolta nel guanto, guizzò in un manrovescio, colpendo Kallor in viso. Sangue schizzò sul tavolo, mentre la testa dell'Alto Re scattava all'indietro. La forza del colpo lo fece barcollare. D'un tratto, l'elsa della spada bastarda fu nelle sue mani, e la lama sibilò; poi si fermò, sguainata per metà. Kallor non poteva più muovere le braccia, perché Caladan Brood gli aveva afferrato entrambi i polsi. Le vene gonfie, pulsanti, sul collo e le tempie, lottò contro la costrizione, ma invano. Brood doveva aver intensificato la stretta delle mani enormi, perché l'Alto Re ansimò, lasciando andare l'elsa della spada, che ricadde nel fodero con un tonfo. Brood si avvicinò a lui, ma la Mhybe udì lo stesso le sue parole sommesse. «Accetta la lezione, Kallor. Ne ho abbastanza del disprezzo che hai mostrato in questa riunione. Metti ancora alla prova la mia pazienza e sarà il mio martello a colpirti in faccia. Intesi?» Dopo un lungo momento, l'Alto Re grugnì. Brood lo lasciò. Il silenzio riempì la tenda. Nessuno si muoveva; tutti gli occhi erano puntati sul viso sanguinante di Kallor. Dujek estrasse dal cinturone un panno, incrostato di sapone da barba essiccato, e lo gettò all'Alto Re. «Tenete», ruggì. La Mhybe si portò dietro a Volpe d'Argento, che era pallida, con gli occhi spalancati, e le posò le mani sulle spalle. «Basta», sussurrò. «Per favore.» Whiskeyjack si volse di nuovo verso Brood, ignorando Kallor, come se avesse smesso di esistere. «Spiegateci, vi prego, Alto Comandante», disse con voce calma. «Chi è questa bambina, in nome di Hood?» Liberandosi dalle mani della madre con una scrollata di spalle, Volpe d'Argento si alzò; sembrava sul punto di scappare. Poi scosse la testa, si asciugò gli occhi e tirò un respiro profondo. «No», intervenne. «Devo essere io a rispondere.» Alzò lo sguardo verso la madre - i loro occhi si incontrarono per una frazione di secondo - poi lo spostò dall'uno all'altro dei presenti. «In tutte le cose», mormorò, «devo essere solo io a rispondere». La Mhybe tese una mano, ma non la toccò; non poteva. «Devi accettarlo, figlia», disse, avvertendo la fragilità della sua stessa convinzione e capen-
do - con un'altra ondata di vergogna - che anche gli altri la sentivano. Devi perdonare... perdonare te stessa. Oh, spiriti della terra, non oso pronunciare tali parole; ho perso questo diritto, certo l'ho perso ormai... Volpe d'Argento si volse verso Whiskeyjack. «La verità, ora, zio. Io sono nata da due anime, una delle quali era a te ben nota. La donna di nome Tattersail. L'altra anima apparteneva ai resti devastati di una Grande Maga di nome Nightchill; in verità, poco più della carne e delle ossa carbonizzate, anche se altri suoi frammenti furono preservati in virtù di un incantesimo di conservazione. La... morte... di Tattersail avvenne dentro la sfera del canale Tellann, proiettato da un T'lan Imass...» Soltanto la Mhybe vide trasalire l'alfiere Artanthos. E voi cosa ne sapete, signore? La domanda le attraversò fugacemente il cervello; considerazioni e congetture erano compiti troppo impegnativi al momento. «All'interno di quell'influenza, zio», proseguì Volpe d'Argento, «accadde qualcosa. Qualcosa di imprevisto. Apparve un Divinatore dal lontano passato, insieme a un Dio Antico e a un'anima mortale...». Il panno premuto sul viso, Kallor emise uno sbuffo soffocato. «Nightchill», mormorò. «Che mancanza di fantasia... K'rul lo sapeva? Ah, quale ironia...» «Furono questi tre a raccogliersi ad aiutare mia madre», riprese Volpe d'Argento, «questa donna Rhivi che si era ritrovata misteriosamente incinta. Sono nata in due luoghi contemporaneamente: fra i Rhivi in questo mondo, e fra le mani del Divinatore nel canale Tellann». Esitò e rabbrividì, come improvvisamente stremata. «Il mio futuro», mormorò dopo un attimo, stringendosi il corpo con le mani, «appartiene ai T'lan Imass». Si volse di scatto verso Korlat. «Si stanno radunando, e avrete bisogno del loro potere nella guerra che viene.» «Un'unione empia», commentò Kallor con voce aspra, abbassando mano e panno. Aveva gli occhi stretti e il viso bianco come la pergamena sotto le macchie di sangue. «Come temevo... oh, sciocchi. Tutti quanti. Sciocchi...» «Si stanno radunando», ripeté la Tiste Andii, anch'essa ignorando l'Alto Re. «Perché? A quale scopo, Volpe d'Argento?» «Questo spetta a me deciderlo, perché io esisto per comandarli. Per comandarli tutti. La mia nascita ha proclamato il Raduno; una chiamata che tutti i T'lan Imass a questo mondo hanno sentito. E ora, quelli che possono stanno venendo. Stanno venendo.»
Whiskeyjack sentiva vacillare la mente. Le divisioni nel contingente di Brood erano già abbastanza preoccupanti, ma le rivelazioni della bambina... i suoi pensieri turbinarono, scesero in un baratro, per poi riemergere in un luogo nuovo. La tenda di comando e i suoi confini scivolarono via ed egli si ritrovò in un mondo fatto di piani contorti, di tradimenti oscuri e delle loro conseguenze impreviste, crudeli: un mondo che odiava con tutto se stesso. Ricordi sorsero simili a spettri. L'Infilata di Pale, la drastica riduzione degli Arsori di Ponti, l'attacco alla Progenie della Luna. Un torrente di sospetti, un vortice di intrighi disperati... A'Karonys, Bellurdan, Nightchill, Tattersail... l'elenco dei maghi le cui morti potevano essere attribuite al Grande Mago Tayschrenn era scritto col sangue della paranoia più insensata. A Whiskeyjack non era dispiaciuto vedere il Grande Mago andarsene, anche se sospettava che non fosse tanto lontano quanto pareva. La proscrizione, il decreto di Laseen ci ha divisi dall'Impero... ma è tutta una menzogna. Solo lui e Dujek conoscevano la verità dei fatti; gli altri membri dell'Armata credevano veramente di essere stati proscritti da Laseen. La loro lealtà apparteneva a Dujek Un-braccio e, forse, anche a me. E, Hood lo sa, la metteremo alla prova prima che tutto sia finito... Eppure lei sa. La bambina sa. Non dubitava minimamente che si trattasse di Tattersail rinata; la maga era lì, nella forma dei lineamenti, nel portamento, nello sguardo assonnato, consapevole. Le ripercussioni di quella verità erano tali da sopraffarlo; aveva bisogno di tempo, tempo per pensare. Tattersail rinata... che Hood ti maledica, Tayschrenn... volontariamente o no, che cosa hai combinato? Whiskeyjack non aveva conosciuto Nightchill; non si erano mai parlati e le sue conoscenze si basavano solo sulle storie che aveva sentito. Compagna di Bellurdan, il Thelomen, e praticante dell'Alta Magia Rashan, era stata fra gli eletti dell'Imperatore. E alla fine era stata tradita, proprio come gli Arsori di Ponti... Si diceva che avesse in sé un certo mordente, una punta di ferro frastagliata, macchiata di sangue. E, Whiskeyjack poteva vedere, ciò che restava di quella donna aveva gettato un'ombra sulla bambina: la morbida luce degli occhi assonnati di Tattersail si era, in qualche modo, incupita, e questa consapevolezza logorava i nervi già scossi del comandante. Oh, per Hood. Una delle ripercussioni si era appena insediata nella sua
mente con fragore tonante. Oh, che gli dei ci perdonino i nostri giochi sciocchi... A Pale aspettava Ganoes Paran. L'amante di Tattersail. Come tratterà Volpe d'Argento? Da donna a neonata in un istante, e da neonata a bambina di dieci anni in sei mesi. E di qui a sei mesi? Donna di vent'anni? Paran... ragazzo... è il dolore a scavare buchi nelle tue viscere? E in tal caso, cosa ti succederà se risponderai alla sua chiamata? Mentre si sforzava di comprendere le parole della bambina, e tutto ciò che le leggeva in viso, i suoi pensieri si volsero sulla Mhybe in piedi accanto a Volpe d'Argento. Si sentì invadere dal dolore. Gli dei erano proprio crudeli. La vecchia sarebbe probabilmente morta entro l'anno. Un sacrificio brutale ai bisogni della bambina. Una distorsione maligna, da incubo, del ruolo materno. Le ultime parole di Volpe d'Argento tornarono a scombussolarlo. «Stanno venendo.» I T'lan Imass. Per il respiro di Hood, come se le cose non fossero già abbastanza complicate. Dove posso riporre la mia fiducia in tutta questa storia? Kallor - quel bastardo freddo, misterioso - la chiama obbrobrio e l'ucciderebbe, se potesse. Questo è chiaro. Non tollererò che faccia del male a una bambina... ma è una bambina, poi? Per il respiro di Hood! E anche Tattersail rinata, una donna piena di integrità e di coraggio. E Nightchill, una Grande Maga che ha servito l'Imperatore. E ora, cosa più strana, più inquietante di tutte, è la nuova sovrana dei T'lan Imass... Whiskeyjack batté le palpebre e la tenda e i suoi occupanti tornarono a fuoco sotto i suoi occhi. Il silenzio era agitato da pensieri tumultuosi. Il suo sguardo riandò a Volpe d'Argento - egli vide il pallore del viso giovane, rotondo, notò con una fitta di commiserazione il tremito delle sue mani - poi se ne distolse. La Tiste Andii, Korlat, lo stava fissando. I loro occhi si incrociarono. Una bellezza straordinaria, mentre Dujek è brutto come un lupo, ulteriore prova del fatto che, tanti anni fa, ho scelto il lato sbagliato. Non la interesso minimamente in quel senso, no, sta cercando di dirmi qualcosa di completamente diverso... Dopo un lungo attimo, annuì. Volpe d'Argento... è ancora una bambina, sì. Una tavoletta d'argilla a malapena scalfita. Sì, Tiste Andii, ti capisco. Con ogni probabilità, coloro che sceglievano di starle al fianco sarebbero stati in grado di influenzare il suo divenire. Korlat voleva parlargli in privato, e lui aveva appena accettato l'invito. Whiskeyjack rimpianse di non avere Ben lo Svelto con sé in quel momento: il mago di Sette Città ci sa-
peva fare in situazioni del genere, mentre il comandante si sentiva già mancare il terreno sotto i piedi. Paran, povero bastardo. Cosa posso dirti? Dovrei organizzare un incontro fra te e Volpe d'Argento? Sarò in grado di impedirne uno quando avrai saputo la verità? E in fin dei conti, sono affari miei? Crone spalancò il becco, ma non per ridere silenziosamente, stavolta. Un terrore insolito l'attraversò. I T'lan Imass! E K'rul, il Dio Antico! Detentori della verità sui Grandi Corvi, una verità che nessun altro conosce... tranne Volpe d'Argento, per l'Abisso... Volpe d'Argento, che ha letto tutto quanto nella mia anima. Bambina sconsiderata! Vorresti costringerci a difenderci da te? Da coloro che sostieni di comandare? Noi Grandi Corvi non abbiamo mai combattuto le nostre guerre; vorresti vederci scatenati dalle tue avventate rivelazioni? Se Rake lo venisse a sapere... ogni protesta di innocenza sarebbe inutile. Eravamo presenti all'Incatenamento, no? Eravamo presenti alla stessa Caduta! I Grandi Corvi nacquero come larve nella carne del Caduto e questo, oh, questo ci condannerà! Ma un momento! Non siamo forse stati guardiani onorevoli della magia del Dio Storpio? E non siamo forse stati noi a riferire a tutti quanti la notizia del Dominio di Pannion, della minaccia che rappresenta? Possiamo scatenare quella magia, se vi siamo costretti. Ah, bambina, le tue incaute parole costituiscono un tale pericolo... Gli occhi neri, lucenti, cercarono Caladan Brood e si fissarono su di lui. Quali che fossero i pensieri dell'Alto Comandante, essi rimanevano nascosti dietro la maschera piatta, ferina, del suo volto. Controlla il tuo panico, donnetta. Ritorna alle questioni presenti. Pensa! L'Impero Malazan si era servito dei T'lan Imass ai tempi dell'Imperatore; il risultato era stato la conquista di Sette Città. Poi, con la morte di Kellanved, l'alleanza si era sciolta, e a Genabackis era stata risparmiata la devastante implacabilità di decine di migliaia di guerrieri non-morti in grado di viaggiare come polvere sulle ali del vento. Questo aveva permesso a Caladan Brood di affrontare la minaccia Malazan in termini di eguaglianza... o forse così era soltanto sembrato. Ha mai veramente scatenato i Tiste Andii? Ha mai liberato la forza di Anomander Rake? Ha mai mostrato il suo vero potere? Brood è un Ascendente; si tende a dimenticarlo, in tempi tranquilli. Il suo canale è Tennes: il potere stesso della terra, la terra che
è la dimora di Burn, la dea che dorme in eterno. Caladan Brood ha il potere - nelle sue braccia e in quel formidabile martello sulla sua schiena di frantumare le montagne. Un'esagerazione? Un volo basso sulle vette spezzate a est dell'Altopiano Laederon basta a catturare la prova dei suoi giorni più giovani e precipitosi... Nonna Crone, dovresti saperlo! Il potere attira potere. È sempre stato così, e ora sono venuti i T'lan Imass e l'equilibrio si modifica di nuovo. I miei figli scrutano il Dominio di Pannion; sentono levarsi l'odore del potere da quelle terre consacrate nel sangue; eppure esso rimane senza volto, come nascosto sotto una serie di strati ingannatori. Che cosa si nasconde nel cuore di quell'impero di fanatici? Quella bambina spaventosa lo sa... lo giurerei sul letto di carne spezzata del dio, oh sì. E condurrà i T'lan Imass dritti a quel cuore. Lo capisci questo, Caladan Brood? Credo di sì. E, mentre quel vecchio, canuto tiranno di Kallor proferisce i suoi ammonimenti con volontà spietata... mentre tu sei turbato dall'arrivo imminente degli alleati non-morti, sei ancora più sconvolto dal fatto che saranno necessari. Contro cosa abbiamo proclamato guerra? Che cosa resterà di noi, alla fine? E, per l'Abisso, quale verità segreta possiede Kallor su Volpe d'Argento? Sfidando il proprio, schiacciante, disgusto di sé, la Mhybe si costrinse a pensare con chiarezza brutale, ascoltando tutto ciò che diceva Volpe d'Argento, ogni parola e ogni sottinteso fra le parole. Davanti alla raffica di affermazioni della figlia, strinse le braccia attorno a sé, in atteggiamento difensivo. Il dispiegamento dei segreti andava contro ogni suo istinto; tale rivelazione era fitta di rischi. Tuttavia, finalmente capì qualcosa della posizione in cui si era trovata Volpe d'Argento: quelle confessioni erano una richiesta d'aiuto. Ha bisogno di alleati. Sa che io non basto; spiriti della terra, ne ha avuto una dimostrazione qui. Di più: sa che questi campi - nemici per tanto tempo - devono essere riuniti. Nata in uno, tende la mano all'altro. L'eredità di Tattersail e di Nightchill chiama i vecchi compagni. Risponderanno? Non riusciva a decifrare le emozioni di Whiskeyjack; i suoi pensieri avrebbero potuto riflettere la posizione di Kallor. Un obbrobrio. Vedendolo incontrare gli occhi di Korlat, si chiese cosa stesse passando fra loro. Pensa! Qui tutti, per natura, affrontano ogni situazione in modo tattico,
mettono da parte i sentimenti personali, valutano, misurano, soppesano. Volpe d'Argento si è messa in prima linea; ha rivendicato una posizione di potere tale da farla competere con Brood, Anomander Rake e Kallor. Dujek Un-braccio si sta chiedendo con chi trattare. Si rende conto che eravamo tutti uniti grazie a lui; che, per dodici anni, i clan Barghast e Rhivi, le disparate compagnie di venti o più città, i Tiste Andii, Rake, Brood e Kallor, per non parlare della Guardia Cremisi, tutti noi stavamo fianco a fianco a causa dell'Impero Malazan? A causa dello stesso Gran Pugno. Ma ora abbiamo un nemico nuovo, la cui natura rimane in gran parte sconosciuta, e che ha suscitato in noi una specie di fragilità - oh, bell'eufemismo - ben visibile a Dujek Un-braccio. Volpe d'Argento afferma che avremo bisogno dei T'lan Imass. Solo il vecchio, feroce Imperatore poteva trovarsi a suo agio con alleati del genere; persino Kallor si ritrae davanti a ciò che ci viene imposto. La fragile alleanza scricchiola e vacilla. Sei un uomo troppo saggio, Gran Pugno, per non nutrire seri dubbi. L'uomo dal braccio solo fu il primo a parlare dopo il discorso di Volpe d'Argento; si rivolse alla bambina con parole lente, scelte con cura. «I T'lan Imass che conosce l'Impero Malazan sono l'esercito comandato da Logros. Dalle tue parole, dobbiamo presumere che esistano altri eserciti, eppure non ce ne è mai arrivata notizia. Perché, figliola?» «L'ultimo Raduno», rispose Volpe d'Argento, «avvenne centinaia di migliaia di anni fa; e in quell'occasione si svolse il Rituale di Tellann, che legò il canale Tellann a ogni T'lan Imass. Il Rituale li rese immortali, Gran Pugno. La forza vitale di un intero popolo fu imbrigliata in nome di una guerra santa destinata a durare millenni». «Contro gli Jaghut», intervenne Kallor, con voce aspra. Il viso stretto, avvizzito, si contorse in un ghigno dietro il sangue che cominciava ad asciugare. «A parte una manciata di Tiranni, gli Jaghut erano un popolo pacifico. Il loro unico delitto era quello di esistere...» Volpe d'Argento si volse di scatto verso di lui. «Non parlare di ingiustizie, Alto Re! Possiedo abbastanza ricordi di Nightchill da avere presente il Canale Imperiale, il luogo che tu una volta governavi, Kallor, prima che lo rivendicassero i Malazan. Hai distrutto un intero regno; l'hai spogliato di ogni vita, lasciando solo cenere e ossa carbonizzate. Un intero regno!» Il sogghigno sporco di sangue del guerriero era raccapricciante. «Ah, ci sei ancora, eh? Ma ti nascondi, distorci la verità in falsi ricordi. Ti nascondi, donna ridicola, maledetta!» Il sogghigno si indurì. «Dovresti avere ab-
bastanza buonsenso da non provocare la mia pazienza, Divinatrice. Tattersail. Nightchill... bambina cara...» La Mhybe vide impallidire sua figlia. Fra questi due... corre una lunga inimicizia; come ho fatto a non accorgermene prima? Qui ci sono vecchi ricordi, c'è un legame fra loro. Fra mia figlia e Kallor... no, fra Kallor e una delle anime dentro di lei... Dopo un attimo, Volpe d'Argento riportò l'attenzione su Dujek. «Per rispondervi, a Logros e ai clan sotto il suo comando fu affidato il compito di difendere il Primo Trono. Gli altri eserciti partirono alla ricerca delle ultime roccaforti Jaghut. Gli Jaghut avevano eretto barriere di ghiaccio. L'Omtose Phellack è un canale di ghiaccio, Gran Pugno, un luogo mortalmente freddo e quasi privo di vita. Magie Jaghut minacciavano il mondo... il livello dei mari si abbassò, intere specie morirono, ogni catena montuosa era una barriera. Il ghiaccio scendeva dai versanti in fiumi candidi; in certi punti, si ergeva per una lega. Come mortali, gli Imass erano sparpagliati, la loro unità perduta. Non potevano attraversare simili barriere. Morivano di fame...» «La guerra contro gli Jaghut era cominciata molto prima», sbottò Kallor. «Cercarono di difendersi, e chi non l'avrebbe fatto?» Volpe d'Argento si limitò ad alzare le spalle. «Come non-morti Tellann, i nostri eserciti potevano superare le barriere. I tentativi di sradicamento si rivelarono... dispendiosi. Non avete sentito parola su quegli eserciti perché molti sono stati decimati, mentre altri forse continuano la guerra in luoghi lontani, inospitali.» Sul viso del Gran Pugno c'era un'espressione addolorata. «Gli stessi Logros lasciarono l'Impero e scomparvero nello Jhag Odhan per un po'; quando tornarono, il loro numero era grandemente diminuito.» La bambina annuì. «I Logros hanno risposto alla tua chiamata?» Aggrottando le sopracciglia, lei rispose: «Non posso esserne sicura; nei riguardi di nessuno dei T'lan Imass. Hanno sentito. Tutti verranno se possono, e avverto la vicinanza di un esercito, o almeno mi sembra». C'è così tanto che non ci stai dicendo, figlia. Te lo leggo negli occhi. Temi che la tua richiesta d'aiuto non venga soddisfatta se riveli troppo. Dujek sospirò, girandosi verso l'Alto Comandante. «Caladan Brood, riprendiamo la nostra discussione sulla strategia?» I soldati si chinarono di nuovo sul tavolo delle mappe; Crone li imitò, con un chiocciolio sommesso. Dopo un attimo, la Mhybe prese la figlia per
mano, guidandola verso l'entrata. Mentre uscivano, Korlat le raggiunse e, con sorpresa della Mhybe, Whiskeyjack la seguì. La fresca brezza del pomeriggio era la benvenuta dopo gli stretti confini della tenda di comando. Senza una parola, il gruppetto camminò fino a una radura che si trovava lì vicino, fra gli insediamenti Tiste Andii e quelli Barghast. Non appena si fermarono, l'uomo puntò gli occhi grigi su Volpe d'Argento. «Vedo molto di Tattersail in te, ragazzina; cosa conservi della sua vita, dei suoi ricordi?» «Volti», rispose lei, con un sorriso esitante. «E le emozioni che li accompagnano, comandante. Tu e io siamo stati alleati per un certo tempo. Eravamo, credo, amici...» L'uomo annuì gravemente. «Sì, esatto. Ricordi Ben lo Svelto? Il resto del mio squadrone? E Hairlock? Tayschrenn? Ricordi il capitano Paran?» «Ben lo Svelto», mormorò lei, dubbiosa. «Un mago? Sette Città... un uomo pieno di segreti... sì», sorrise ancora, «Ben lo Svelto. Hairlock... non un amico, ma una minaccia... mi ha causato dolore...». «È morto, ora.» «Ne sono sollevata. Tayschrenn è un nome che ho sentito di recente: il Grande Mago preferito di Laseen. Abbiamo litigato, lui e io, quando ero Tattersail e, invero, anche quando ero Nightchill. Nessun senso della lealtà; impossibile farvi affidamento. Pensare a lui mi confonde.» «E il capitano?» Qualcosa, nel tono del comandante, catturò l'attenzione della Mhybe. Volpe d'Argento distolse lo sguardo da quello di Whiskeyjack. «Sono ansiosa di rincontrarlo.» L'uomo si schiarì la gola. «È a Pale, adesso. Anche se non sono affari miei, ragazzina, forse dovresti pensare alle conseguenze del fatto di rivederlo, che lui scopra...» S'interruppe, evidentemente imbarazzato. Spiriti della terra! Questo capitano Paran era l'amante di Tattersail; avrei dovuto prevedere qualcosa del genere. Le anime di due donne adulte... «Volpe d'Argento... figlia...» «L'abbiamo incontrato, madre», disse la bambina. «Mentre conducevamo i bhederin a nord; ricordi? Il soldato che ha sfidato le nostre lance. L'ho riconosciuto allora; sapevo chi era.» Si volse di nuovo verso il comandante. «Paran sa. Comunicategli che sono qui. Per favore.» «Benissimo, ragazzina.» Whiskeyjack alzò la testa, studiando l'insediamento Barghast. «Gli Arsori di Ponti verranno... in visita... comunque. Il
capitano li guida, ora. Sono sicuro che Ben lo Svelto e Mallet saranno felici di rifare la tua conoscenza...» «Volete che mi esaminino, cioè», ribatté Volpe d'Argento, «per aiutarvi a decidere se sono degna del vostro appoggio. Non temete, comandante, la prospettiva non mi preoccupa. Per molti versi, sono un mistero per me stessa; quindi sono curiosa di vedere cosa scopriranno». Whiskeyjack fece un sorriso obliquo. «Possiedi la schietta onestà della maga, ragazzina, se non il suo tatto di circostanza.» Korlat parlò. «Comandante Whiskeyjack, voi e io abbiamo questioni di cui discutere, se non sbaglio.» «Sì», convenne lui. La Tiste Andii si girò verso la Mhybe e Volpe d'Argento. «Adesso vi lasceremo sole.» «Certo», rispose la donna, sforzandosi di dominare le sue emozioni. Il soldato che ha sfidato le nostre lance... oh sì, ricordo, bambina. Vecchie domande... finalmente trovano risposta... e mille altre ne sorgono a tormentare questa povera vecchia... «Vieni, Volpe d'Argento, è il momento di riprendere le lezioni sui costumi dei Rhivi.» «Sì, madre.» Whiskeyjack guardò le due Rhivi allontanarsi. «Ha rivelato troppo, di gran lunga», osservò, dopo un attimo. «Il negoziato stava funzionando, si stavano stringendo dei legami... e poi la bambina ha parlato.» «Sì», mormorò Korlat. «Possiede conoscenze segrete... le conoscenze dei T'lan Imass. Ricordi che abbracciano millenni dell'esistenza di questo mondo. Quella gente ha assistito a tanto... la Caduta del Dio Storpio, l'arrivo dei Tiste Andii, l'ultima fuga dei Draghi nello Starvald Demelain...» Ammutolì; un velo discese sui suoi occhi. Whiskeyjack la scrutò, poi riattaccò: «Non ho mai visto un Grande Corvo... agitarsi tanto». Korlat sorrise. «Crone crede che il segreto della nascita della sua specie ci sia sconosciuto. È un'origine vergognosa, capite; o così loro la considerano. Rake è indifferente al suo... contesto morale, e noi tutti pure.» «Cosa c'è di tanto vergognoso?» «I Grandi Corvi sono creature innaturali. L'abbattimento dell'essere alieno che sarebbe stato chiamato il Dio Storpio fu un... episodio violento. Parti gli furono strappate dal corpo e ricaddero come palle di fuoco, distruggendo intere terre. Pezzi della sua carne e delle sue ossa giacquero
marcescenti, ma aggrappati a una sorta di vita, nei loro crateri massicci. Da quella carne nacquero i Grandi Corvi, che portano in sé frammenti del potere del Dio Storpio. Avete visto Crone e i suoi simili: divorano la magia, è il loro vero sostentamento. Attaccare un Grande Corvo con la magia serve solo a renderlo più forte, a rinsaldare la sua immunità. Crone è la Prima Nata. Rake crede che abbia potenzialità... spaventose, per cui si tiene vicini lei e i suoi.» Dopo una pausa, si girò verso di lui. «Comandante Whiskeyjack, a Darujhistan ci siamo scontrati con un vostro mago...» «Sì. Ben lo Svelto. Sarà qui fra poco, e avrò la sua opinione su tutto questo.» «L'uomo di cui avete parlato prima alla bambina.» Korlat annuì. «Riconosco di provare una certa ammirazione per lui, per cui sono ansiosa di rivederlo.» I loro sguardi si incrociarono. «E sono contenta anche di avere conosciuto voi. Volpe d'Argento è stata veritiera quando ha detto di fidarsi di voi; credo che sia lo stesso per me.» Lui si mosse, a disagio. «C'è stato ben poco contatto fra noi perché mi guadagnassi tale fiducia, Korlat. Nondimeno, farò del mio meglio per meritarmela.» «La bambina ha in sé Tattersail, una donna che vi conosce bene. Anche se non ho mai incontrato la maga, trovo che la donna che era - e che emerge ogni giorno di più in Volpe d'Argento - possedesse qualità ammirevoli.» Whiskeyjack annuì lentamente. «Lei era... un'amica.» «Quanto sapete degli eventi che hanno portato a questa... rinascita?» «Non molto, temo», rispose l'uomo. «Abbiamo saputo della morte di Tattersail da Paran, che aveva trovato i suoi... resti. È morta fra le braccia di un Grande Mago Thelomen, che si era spinto nella pianura con il cadavere della compagna, Nightchill, presumibilmente per darvi sepoltura. Tattersail era già una fuggitiva ed è probabile che Bellurdan avesse avuto ordine di andarla a prendere. Per quanto ne so, Volpe d'Argento dice il vero.» Korlat distolse lo sguardo, e rimase zitta a lungo. Quando, infine, parlò, la sua domanda, così semplice e logica, lasciò Whiskeyjack con il cuore martellante in petto: «Comandante, noi avvertiamo nella bambina la presenza di Tattersail e di Nightchill - e lei stessa ammette di averle in sé - ma ora mi chiedo, dov'è questo Thelomen, Bellurdan?». Per tutta risposta, egli tirò un respiro profondo, scuotendo la testa. Per gli dei, non lo so...
CAPITOLO QUARTO Attenzione a questi tre: sono tutto ciò che dà forma, tutto ciò che giace sotto la superficie del mondo; questi tre sono le ossa della storia. Sorella delle Fredde Notti! Il tradimento saluta il tuo risveglio! Hai scelto di fidarti del coltello, mentre questo ti trapassava il cuore. Draconus, sangue di Tiam! L'oscurità ha abbracciato la tua anima, e queste catene che ora ti stringono sei stato tu a forgiarle. K'rul, il tuo era il sentiero scelto dalla Dea Dormiente, mille e più anni fa, ed ella dorme ancora, mentre tu ti svegli; è giunto il momento, Antico, di tornare a camminare fra i mortali, e di fare del tuo dolore il dono più dolce. Anomandaris Fisher Kel Tath Coperti di fango dalla testa ai piedi, Harllo e Stonny Menackis emersero da dietro la carrozza che saliva ondeggiando per il pendio. Gruntle si mise comodo sulla piattaforma, sorridendo davanti allo spettacolo. «Così impariamo a fare scommesse con te», borbottò Harllo. «Vinci sempre, bastardo.» Stonny guardava con sgomento i vestiti sporchi. «Pelle di Callows. Non verrà mai pulita.» Fissò su Gruntle gli occhi azzurri, duri. «Maledetto; sei il più grosso di tutti. Avresti dovuto essere tu a spingere, invece di startene lì seduto, scommessa o no.» «Le mie sono lezioni dure», spiegò l'uomo, e il suo sorriso si allargò. I fini abiti verdi e neri di Stonny erano coperti di melma marrone. I capelli folti e neri le pendevano sul viso, gocciolando acqua lattiginosa. «Comunque, per oggi abbiamo finito, per cui scostiamo da parte quest'affare; sembra che voi due abbiate bisogno di una bella nuotata.» «Che Hood ti prenda», sbottò Harllo, «che cosa pensi che stessimo facendo?». «A giudicare dal rumore, annegando, direi. A proposito, l'acqua pulita è
più a monte.» Gruntle riprese le redini. La traversata aveva lasciato i cavalli esausti, e ci volle qualche opera di persuasione da parte del capitano per convincerli a muoversi di nuovo. Si fermò a breve distanza, a un lato del guado. Altri mercanti si erano accampati lì vicino; alcuni avevano appena compiuto la traversata e altri si preparavano a farlo, diretti a Darujhistan. Negli ultimi giorni, la situazione era diventata, se possibile, ancora più caotica. I ciottoli del guado rimasti sul letto del fiume erano stati spostati di sbieco o infossati nel fango. Per la traversata, avevano impiegato quattro campane e per un po' Gruntle si era chiesto se ci sarebbero mai riusciti. Scese dalla piattaforma, rivolgendo l'attenzione ai cavalli. Harllo e Stonny, che si erano messi a bisticciare, partirono in cerca dell'acqua limpida. Gruntle lanciò un'occhiata inquieta verso la carrozza imponente che li aveva preceduti sul guado, ora parcheggiata a cinquanta passi di distanza. Era stata veramente una scommessa iniqua. Sono le migliori. I suoi due compagni avevano manifestato la convinzione che quel giorno non avrebbe visto il passaggio della carrozza del loro padrone Keruli. Erano stati certi che il colossale veicolo davanti a loro si sarebbe impantanato, che sarebbe rimasto giorni in mezzo al fiume, finché altri mercanti non avessero perso la pazienza al punto di mobilitare i loro uomini per spostarlo. Gruntle sospettava altrimenti. Bauchelain e Korbal Broach non erano tipi da tollerare il disagio. Sono dei dannati stregoni, no? Il loro domestico, Emancipor Reese, non si era nemmeno scomodato a scendere dal sedile del vetturino: un semplice strattone delle redini aveva fatto avanzare le file di buoi. L'enorme struttura era sembrata scivolare lungo il guado, senza subire nemmeno uno scossone, mentre le ruote si muovevano su quello che Gruntle sapeva essere un fondo smosso, irregolare. Una scommessa iniqua, sì. Ma almeno sono asciutto e pulito. Quell'evento innaturale aveva avuto abbastanza testimoni perché all'accampamento degli stregoni fosse garantita una certa riservatezza; fu quindi con notevole curiosità che Gruntle vide una guardia di carovana avvicinarsi a grandi passi. Conosceva bene quell'uomo. Buke, un Daru, percorreva i caravanserragli più piccoli, offrendo i suoi servigi ai mercanti con pochi mezzi. Preferiva lavorare da solo, e Gruntle sapeva perché. Il padrone di Buke aveva tentato la traversata quel giorno. Il carro malconcio era andato in pezzi in mezzo al fiume; frammenti di legno e preziosi fagotti di derrate si erano allontanati galleggiando, mentre l'uomo annaspava impotente nell'acqua. Buke era riuscito a salvare il mercante, ma con
la perdita della merce il contratto era cessato. Una volta presi accordi perché il padrone accompagnasse una carovana di ritorno a Darujhistan, Buke era stato, con scarsa gratitudine per i suoi sforzi, lasciato a spasso. Gruntle si era aspettato che tornasse in città. Buke possedeva un buon cavallo, in salute e ben equipaggiato; gli ci sarebbero voluti tre giorni al massimo. Eppure era lì; la figura alta, magra, in piena tenuta da guardia, la cotta a scaglie oliata di fresco, la balestra legata alla schiena e lo spadone infilato nel fodero al fianco, parlava sommessamente con Emancipor Reese. Anche se i due erano fuori dalla sua portata d'orecchio, Gruntle poteva seguire la conversazione dai loro cambiamenti di posizione. Dopo un breve scambio di parole, la guardia dalla barba grigia abbassò quasi impercettibilmente le spalle, distogliendo lo sguardo. Emancipor Reese scosse le spalle e si girò a metà, come per esprimere un rifiuto. Poi entrambi volsero gli occhi sulla carrozza e, un attimo dopo, emerse Bauchelain, tirandosi il mantello di pelle nera intorno alle spalle larghe. Sotto lo sguardo dello stregone, Buke si raddrizzò, rispose alle poche, concise domande con frasi altrettanto asciutte, poi annuì rispettosamente. Bauchelain posò una mano sulla spalla del domestico; per poco, il vecchio non si afflosciò sotto quel tocco leggero. Gruntle fece un risolino di solidarietà. Già, la Regina lo sa: il tocco di quello stregone potrebbe riempire i calzoni dell'uomo comune. Che Beru ci protegga, Buke è appena stato assunto. Speriamo che non debba pentirsene. Gli incendi che si sviluppavano nei casamenti popolari erano letali a Darujhistan, specialmente se c'era di mezzo il gas. L'esplosione che aveva ucciso la moglie, la madre e i quattro figli di Buke era stata particolarmente cruenta. Che Buke stesso fosse stato ubriaco e privo di sensi in un vicolo a nemmeno cento passi dalla casa non l'aveva aiutato a riprendersi dalla disgrazia. Come molti suoi colleghi, Gruntle aveva immaginato che Buke si sarebbe dato seriamente alla bottiglia; invece, aveva fatto l'esatto contrario. Lavorare da solo per mercanti poveri, vulnerabili, gli era sembrato più invitante che percorrere la spirale rovinosa di una sbornia permanente. I mercanti poveri venivano rapinati molto più spesso di quelli ricchi. Quell'uomo vuole morire, sì; ma in modo rapido, persino onorevole. Vuole andarsene combattendo, come, a detta di tutti, ha fatto la sua famiglia. E ahimè, quand'è sobrio - e da quella notte lo è sempre stato - Buke combatte estremamente bene, e i fantasmi di una dozzina di banditi almeno lo
testimonierebbero amaramente. Il gelido orrore che sembrava pervadere l'aria intorno a Bauchelain e, specialmente, intorno a Korbal Broach, avrebbe scoraggiato qualunque guardia in possesso delle sue facoltà mentali. Ma un uomo ansioso di andare incontro alla morte avrebbe visto le cose diversamente, no? Ah, amico Buke, spero che tu non debba pentirti della tua scelta. Violenza e orrore turbinano intorno ai tuoi due nuovi padroni, ma è più probabile che tu ne sia testimone, piuttosto che vittima. La sofferenza non ti ha già stretto abbastanza fra le sue braccia? Buke andò a prendere cavallo ed equipaggiamento. Quando il vecchio tornò, Gruntle aveva allestito un fuoco da cucina. Lo guardò riporre il suo equipaggiamento e scambiare qualche altra parola con Emancipor Reese, che aveva cominciato a cucinare il loro pasto. Infine, Buke si girò, incrociando lo sguardo di Gruntle. Si avvicinò al capitano. «Un giorno di cambiamenti, amico Buke», osservò Gruntle, dalla sua posizione accovacciata accanto al focolare. «Sto preparando del tè per Harllo e Stonny, che dovrebbero tornare da un momento all'altro; vuoi prenderne una tazza con noi?» «Gentile da parte tua, Gruntle. Accetterò la tua offerta.» Buke lo raggiunse. «Una bella disgrazia, quello che è successo al carro di Murk.» «Avevo cercato di dissuaderlo. Ahimè, non ha apprezzato il mio aiuto.» «Neanche dopo che l'hai ripescato dal fiume, tirandogli fuori l'acqua dai polmoni?» Buke scrollò le spalle. «Il bacio sulle labbra di Hood doveva averlo messo di cattivo umore.» Lanciò un'occhiata alla carrozza dei nuovi padroni; rughe incresparono gli angoli dei suoi occhi tristi. «Hai parlato con loro, vero?» Gruntle sputò nel fuoco. «Sì. Avresti fatto meglio a cercare il mio consiglio, prima di stipulare il contratto.» «Rispetto il tuo consiglio e l'ho sempre fatto, Gruntle, ma non mi avresti fatto cambiare idea.» «Lo so, per cui non dirò più niente su di loro.» «L'altro», riprese Buke, accettando da Gruntle una tazza di latta e stringendola con entrambe le mani, mentre soffiava sul liquido fumante. «L'ho intravisto prima.» «Korbal Broach.»
«Già. È lui l'assassino, lo sai, no?» «Non vedo grande differenza fra i due, a essere onesti.» Buke scuoteva la testa. «No, non capisci. A Darujhistan, ricordi? Per due settimane di fila, ogni notte nel Distretto Gadrobi furono trovati corpi orribilmente straziati. Poi gli investigatori chiesero l'aiuto di un mago, e fu come se qualcuno avesse scoperchiato un vespaio; il mago scoprì qualcosa e quella scoperta lo terrorizzò. Il tutto fu tenuto segreto, certo, ma per caso venni a conoscenza di ciò che seguì. Fu ingaggiata la Corporazione di Vorcan; il Consiglio stesso offrì il contratto ai sicari. "Trovate l'assassino", dissero, "usando ogni metodo a vostra disposizione, legale o no". Poi gli omicidi cessarono...» «Mi ricordo vagamente dello scompiglio...» commentò Gruntle, aggrottando le sopracciglia. «Tu stavi nel Bar delle Facezie, no? Ubriaco fradicio per giorni e giorni.» Gruntle sobbalzò. «Avevo messo gli occhi su Lethro... partii per una missione e al mio ritorno scoprii...» «Aveva sposato un altro», terminò Buke annuendo. «Non un semplice "altro"», ribatté Gruntle, l'aria cupa. «Quell'imbroglione presuntuoso di Parsemo...» «Un tuo vecchio padrone, se ben ricordo. Comunque. Chi era l'assassino e perché gli omicidi cessarono? La Corporazione di Vorcan non si fece avanti a pretendere il denaro del Consiglio. Gli omicidi cessarono perché l'assassino aveva lasciato la città.» Buke indicò con un gesto la carrozza imponente. «È lui. Korbal Broach. L'uomo dal viso rotondo e le labbra spesse.» «Come fai a esserne così sicuro, Buke?» L'aria si era raffreddata. Gruntle si versò un'altra tazza di tè. L'altro scosse le spalle, gli occhi sul fuoco. «Lo so e basta. Chi Può tollerare l'uccisione di innocenti?» Per il respiro di Hood, Buke, capisco benissimo le implicazioni di quella domanda. Intendi ucciderlo, o almeno morire nel tentativo. «Ascoltami, amico. Saremo anche fuori dalla giurisdizione della città, ma se i maghi erano veramente così allarmati - e dato che la Corporazione di Vorcan potrebbe avere ancora qualche interesse - le questioni di giurisdizione non hanno senso. Potremmo mandare un messaggio a Darujhistan - sempre che tu abbia prove della tua certezza - e nel frattempo terrai d'occhio quell'uomo. Nient'altro. È uno stregone, credimi; non avresti la minima possibilità.
Lascia l'esecuzione a maghi e sicari.» All'arrivo di Harllo e di Stonny Menackis, Buke alzò lo sguardo. I due erano arrivati in silenzio, avvolti in coperte, con gli abiti lavati e stretti in fagotti fra le mani. La loro espressione preoccupata disse a Gruntle che avevano sentito almeno la sua ultima frase. «Credevo che fossi già a buon punto sulla strada per Darujhistan», esordì Harllo. Buke scrutò la guardia da sopra il bordo della tazza. «Sei così pulito che ti riconosco appena, amico.» «Ah, ah.» «Per risponderti, ho trovato un nuovo contratto.» «Idiota», sbottò Stonny. «Quand'è che ti farai entrare nel cervello un po' di buonsenso, Buke? Sono anni e anni che non fai un sorriso o non ti brillano gli occhi. Fino a quando continuerai a cacciare la testa nelle trappole per gli orsi?» «Fino a quando una non si chiude», dichiarò Buke, incrociando gli occhi scuri, irosi di Stonny. Si alzò, rovesciando la tazza per gettare da parte i fondi. «Grazie del tè... e dei consigli, amico Gruntle.» E, con un cenno del capo prima a Harllo, poi a Stonny, si diresse alla carrozza di Bauchelain. Gruntle fissò Stonny. «Un capolavoro di diplomazia, mia cara.» Lei cacciò un sibilo. «Quell'uomo è uno sciocco. Ha bisogno della mano di una donna sull'elsa della spada. Un gran bisogno.» Harllo grugnì. «Ti offri volontaria?» Stonny Menackis scrollò le spalle. «Non è il suo aspetto a respingere, è il suo atteggiamento. Tutto il tuo contrario, scimmione.» «Hai un debole per la mia personalità, eh?» Harllo sogghignò in direzione di Gruntle. «Ehi, potresti rompermi di nuovo il naso; così lo raddrizzeresti e tornerei come nuovo. Che ne dici, Stonny? Allora i petali di ferro del tuo cuore si aprirebbero per me?» Lei fece una smorfia di scherno. «Tutti sanno che quel tuo spadone è solo un patetico tentativo di compensazione, Harllo.» «Ha un'anima da poeta, però», osservò Gruntle. «Petali di ferro... difficile essere più precisi.» «I petali di ferro non esistono», sbuffò Stonny. «E neanche i fiori di ferro. E i cuori non sono fiori, sono affari rossi, sanguinolenti in mezzo al petto. Cosa c'è di poetico nel dire assurdità? Tu sei un idiota come Buke e Harllo, Gruntle. Sono circondata da mentecatti ottusi.» «È il tuo destino in questa vita, ahimè», replicò Gruntle. «Prendi del tè;
ti darà un po' di... calore.» Lei accettò la tazza, mentre Gruntle e Harllo evitavano di incrociare lo sguardo. Dopo qualche attimo, Stonny si schiarì la gola. «Cos'era quella storia sul lasciare l'esecuzione ai sicari, Gruntle? In che razza di pasticcio si è messo Buke adesso?» Oh, per Mowri, le importa davvero di quell'uomo. Il capitano fissò il fuoco con aria torva e vi gettò qualche altro pezzo di sterco prima di rispondere. «Ha dei... sospetti. Noi stavamo, uhm, parlando ipoteticamente...» «Sì, certo, e Togg fa le feste come un cagnolino. Avanti, faccia di bue: sputa l'osso.» «Buke ha scelto di parlare con me, non con te, Stonny», ruggì Gruntle, irritato. «Se hai delle domande, falle a lui e lasciamene fuori.» «Ci puoi giurare, maledizione.» «Dubito che otterrai qualcosa», intervenne poco saggiamente Harllo, «anche se sbatti le ciglia e sporgi le labbrucce rosee». «Quelle saranno le ultime cose che vedrai quando ti pianterò il coltello in quel tubero di latta che hai nel petto. Oh, e ti manderò anche un bacio sulla punta delle dita.» Harllo alzò le sopracciglia folte. «Tubero di latta! Stonny, mia cara... ho sentito bene?» «Chiudi il becco, non sono dell'umore giusto.» «Non sei mai dell'umore giusto, Stonny!» Lei gli rispose con un sorriso beffardo. «Non disturbarti a metterlo in parole, dolcezza», sospirò Gruntle. La baracca stava appoggiata, obliquamente, contro il muro interno della città di Pale, un insieme confuso di assi di legno, lastre di vimini, pelli tese; il cortile era un'accozzaglia di polvere bianca, gusci di zucca, pezzi di stoviglie rotte e trucioli di legno. Frammenti di carte di legno laccate pendevano da uno spago sopra la stretta porta, ruotando lentamente nel caldo umido. Ben lo Svelto si fermò, abbracciò con lo sguardo il vicolo pieno di immondizia, poi entrò nel cortile. Dall'interno risuonò una risata chioccia. Il mago alzò gli occhi al cielo e, borbottando fra sé, allungò la mano verso l'anello di cuoio inchiodato alla porta. «Non spingere!» strillò una voce al di là. «Tira, serpe del deserto!»
Scrollando le spalle, Ben lo Svelto tirò la porta verso di sé. «Solo gli sciocchi spingono!» sibilò la vecchia, che stava seduta a gambe incrociate su una stuoia di canne appena oltre la soglia. «Mi graffiano il ginocchio! Quando gli sciocchi vengono in visita, mi procurano lividi e peggio ancora. Ah, sentivo l'odore di Raraku!» Il mago esaminò l'interno della baracca. «Per il respiro di Hood, qui c'è spazio solo per te!» Oggetti indistinti ingombravano le pareti, penzolando dal basso soffitto. L'ombra inghiottiva ogni angolo, e l'aria conservava il freddo della notte appena trascorsa. «Solo per me!» stridette la donna. Il suo viso era poco più di uno strato di pelle teso sopra le ossa; la testa era calva e costellata di nei. «Mostra quello che hai, serpe dalle molte teste, infrangere le maledizioni è la mia virtù!» Dalle pieghe delle vesti logore, estrasse una carta di legno, sollevandola fra le mani tremanti. «Manda le tue parole nel mio canale e la loro forma verrà incisa qui sopra, fatta avverare col fuoco...» «Niente maledizioni, donna», ribatté Ben lo Svelto, accovacciandosi a portare gli occhi al livello dei suoi. «Solo domande.» La carta scivolò sotto le vesti. Accigliandosi, la donna disse: «Le risposte costano molto. Le risposte valgono più dell'annullamento delle maledizioni. Le risposte non si trovano facilmente...». «Va bene, va bene, quanto?» «Da' un colore alla moneta delle tue domande, dodici-anime.» «Oro.» «Allora consigli d'oro, uno per ogni risposta.» «A patto che siano valide.» «D'accordo.» «Il Sonno di Burn.» «Ebbene?» «Perché?» La donna spalancò la bocca priva di denti. «Perché la dea dorme, strega? Qualcuno lo sa? Tu lo sai?» «Tu sei una canaglia dotta!» «Ho letto solo ipotesi. Nessuno lo sa. Gli studiosi non hanno risposta, ma la più vecchia strega di Tennes di questo mondo forse sì. Dimmi, perché Burn dorme?» «Alcune risposte richiedono che vi si danzi intorno. Fammi un'altra domanda, figlio di Raraku.» Sospirando, Ben lo Svelto abbassò la testa, studiò il terreno per un atti-
mo, poi riprese: «Si dice che la terra tremi e roccia fusa sgorghi come sangue quando Burn si muove, vicina al risveglio». «Così si dice.» «E che, se lei dovesse svegliarsi, ogni forma di vita andrebbe distrutta.» «Così si dice.» «Allora?» «Allora niente. La terra trema, le montagne esplodono, fiumi bollenti scorrono. Sono fenomeni naturali, in un mondo la cui anima è incandescente. Fenomeni che osservano le proprie leggi di causa ed effetto. Il mondo ha la forma di una palla di sterco di insetto, e ruota intorno al sole in un vuoto raggelante. La superficie galleggia in pezzi, su un mare di roccia fusa. A volte i pezzi si scontrano; a volte si staccano. Tirati e spinti dalle maree, come lo sono gli oceani.» «E dov'è la dea, in questo sistema?» «Era l'uovo dentro lo sterco. Un uovo che si è schiuso molto tempo fa. La sua mente cavalca i fiumi nascosti sotto i nostri piedi. Lei è il dolore dell'esistenza. Lei è la regina dell'alveare, e noi siamo i suoi operai e soldati. E ogni tanto... sciamiamo.» «Nei canali?» La vecchia scrollò le spalle. «Per qualunque sentiero troviamo.» «Burn è malata.» «Sì.» Ben lo Svelto vide gli occhi scuri della strega accendersi di un'intensità improvvisa. Rifletté per un lungo momento, poi disse: «Perché Burn dorme?». «Non è ancora giunto il momento. Fammi un'altra domanda.» Il mago corrugò la fronte, distolse lo sguardo. «Operai e soldati... ci dipingi come schiavi.» «Lei non domanda niente; quello che fai lo fai per te stesso. Lavori per guadagnarti il sostentamento. Combatti per difenderlo, o per ottenerne di più. Lavori per sopraffare gli avversari. Combatti per paura, per odio, per ripicca, per onore, per lealtà e per qualsiasi altra causa la tua mente possa forgiare. Tuttavia, ogni tua azione, quale che sia, serve lei. Non è benigna, Adaephon Ben Delat, ma amorale. Che prosperiamo, o ci distruggiamo, non le importa; darà alla luce un'altra discendenza e tutto ricomincerà da capo.» «Parli del mondo come di una cosa materiale, soggetta a leggi naturali. È tutto qui?»
«No, alla fine sono le menti e i sensi di tutto ciò che è vivo a definire cosa è vero; vero per noi, cioè.» «Questa è una tautologia.» «Non lo nego.» «Burn è la causa del nostro effetto?» «Ah, svicoli lateralmente come la serpe del deserto che sei in verità! Fa' la tua domanda!» «Perché Burn dorme?» «Lei dorme... per sognare.» Per lungo tempo, Ben lo Svelto non disse nulla; quando infine guardò negli occhi della vecchia vi trovò la conferma delle sue peggiori paure. «È malata», ripeté. La strega annuì. «Ha la febbre.» «E i suoi sogni...» «Arriva il delirio, ragazzo. I sogni diventano incubi.» «Devo pensare a un modo per eliminare quell'infezione, perché non credo che la febbre di Burn sarà sufficiente. Anzi, quel calore che dovrebbe purificare sta sortendo l'effetto opposto.» «Pensaci allora, lavoratore diletto.» «Potrei avere bisogno di aiuto.» La strega tese una mano avvizzita, il palmo rivolto all'insù. Ben lo Svelto pescò sotto la camicia e tirò fuori un ciottolo levigato dall'acqua, che le fece cadere in mano. «Quando verrà il momento, Adaephon Delat, chiamami.» «Lo farò. Grazie, signora.» Mise un sacchetto di pelle pieno di consigli d'oro sul terreno fra loro. La strega fece una risata chioccia. Ben lo Svelto indietreggiò. «Ora chiudi quella porta... preferisco il freddo!» Mentre il mago percorreva il vicolo a grandi passi, i suoi pensieri vagarono alla rinfusa, cavalcando folate di vento; le correnti erano per lo più fuorvianti e prive di importanza. Una, tuttavia, gli si insediò nella mente e rimase con lui, pur sembrando, di primo acchito, senza senso, una curiosità e nulla più: preferisce il freddo. Strano. Quasi tutti i vecchi amano il caldo, e in abbondanza... Il capitano Paran vide Ben lo Svelto appoggiato contro il muro bucherellato accanto all'entrata del quartier generale, le braccia strette intorno al corpo e l'umore evidentemente nero. I quattro soldati che montavano la
guardia si raccolsero a dieci passi di distanza, palesemente a disagio. Paran tirò avanti il cavallo per le redini; le porse a uno stalliere che apparve dalla porta del complesso, poi si avvicinò rapidamente a Ben lo Svelto. «Sembri messo male, mago, e la cosa mi rende nervoso.» Il nativo di Sette Città aggrottò le sopracciglia. «Credetemi, capitano: è meglio che non sappiate niente di questa storia.» «Se riguarda gli Arsori di Ponti, è meglio che la senta.» «Gli Arsori di Ponti?» Il mago proruppe in una risata aspra, priva di ilarità. «Questa faccenda va ben oltre una manciata di soldati lamentosi, signore. Per il momento, però, non ho trovato nessuna soluzione possibile; se la trovo, ve la esporrò nei dettagli. Nel frattempo, potreste requisire un cavallo fresco... dobbiamo raggiungere Dujek e Whiskeyjack all'accampamento di Brood. Subito.» «L'intera compagnia? Li ho appena fatti sistemare!» «No, signore. Voi, io, Mallet e Spindle. Ci sono stati... sviluppi insoliti, a quanto ho capito, ma non chiedetemi quali perché non lo so.» Paran fece una smorfia. «Ho già mandato a chiamare gli altri due, signore.» «Benissimo. Allora andrò a cercarmi un altro cavallo.» Il capitano si girò di scatto e si diresse verso il complesso, cercando di ignorare il feroce dolore allo stomaco. Ogni cosa sembrava richiedere troppo tempo: l'esercito era a Pale da mesi, ormai, e la città non lo voleva. A causa della proscrizione, non era arrivato nessun appoggio da parte dell'Impero, e senza quella infrastruttura amministrativa non c'era stata alcuna tregua al duro, spiacevole ruolo di occupanti. Il metodo di conquista Malazan seguiva un insieme di regole sistematico ed efficace. L'esercito vittorioso non doveva mai rimanere sul posto dopo la transizione pacificatrice e il passaggio a un governo civile, fermamente radicato e pienamente funzionante, in stile Malazan. Il controllo delle città non era un peso per cui gli eserciti fossero stati addestrati; il modo migliore per raggiungerlo era la manipolazione burocratica dell'economia del luogo conquistato. «Tenete quei fili e la gente danzerà per voi», era stata la convinzione fondamentale dell'Imperatore, la cui verità era stata dimostrata più e più volte; e l'Imperatrice non aveva arrischiato alcuna modifica alla tecnica. Acquisire quel controllo comportava sia l'imposizione dell'autorità legale sia l'infiltrazione capillare del mercato nero attivo al momento. «Poiché è impossibile schiacciare un mercato nero, conviene gestirlo.»
E quel compito spettava all'Artiglio. Ma qui non ci sono agenti dell'Artiglio, giusto? E nemmeno scrivani. Non controlliamo il mercato nero. Non riusciamo nemmeno a dirigere l'economia ufficiale; figuriamoci l'amministrazione civile. Eppure continuiamo a comportarci come se l'appoggio imperiale fosse imminente, quando è ben lungi dall'esserlo. Non capisco; non capisco affatto. Senza l'oro di Darujhistan, l'Armata di Dujek, in quel momento, sarebbe stata in preda ai morsi della fame. Sarebbero iniziate le diserzioni: uno dopo l'altro, i soldati se ne sarebbero andati, nella speranza di tornare nell'abbraccio imperiale, o nel tentativo di unirsi a compagnie mercenarie. L'Armata di Un-braccio sarebbe svanita sotto i suoi occhi. La lealtà non sopravvive mai allo stomaco vuoto. Dopo un po' di trambusto, gli stallieri trovarono a Paran un altro cavallo. Il capitano si issò stancamente in sella e guidò l'animale fuori dal complesso. Il sole del pomeriggio aveva cominciato a gettare ombre rinfrescanti sulle strade della città, sbiancate dal sole. I cittadini di Pale uscivano allo scoperto, anche se pochi sostavano nei pressi del quartier generale Malazan. Le guardie avevano affinato il senso di sospetto nei confronti di chiunque indugiasse troppo a lungo, e le pesanti balestre strette fra le loro braccia erano tenute pronte per l'uso. Sangue era stato versato all'entrata del quartier generale e dentro all'edificio stesso. Un Segugio aveva attaccato, non molto tempo prima, lasciando dietro di sé una ventina di morti. I ricordi di Paran riguardo all'evento erano ancora frammentari. La bestia era stata respinta da Tattersail... e dal capitano stesso. Per i soldati di guardia, però, un incarico tranquillo si era trasformato in un incubo. Erano stati colti del tutto impreparati, una disgraziata negligenza che non si sarebbe più ripetuta. Un Segugio del genere li avrebbe sempre falciati quasi senza sforzo, ma almeno sarebbero caduti combattendo, e non fissandolo a bocca aperta. Paran trovò Ben lo Svelto, Mallet e Spindle che lo aspettavano in sella ai loro cavalli. Dei tre, Spindle era quello che il capitano conosceva meno. Le abilità di quell'ometto basso e calvo andavano dalla magia alle opere da zappatore, o così gli era stato detto. La sua indole perennemente acida non incoraggiava la conversazione, e lo stesso valeva per il cilicio grigio, puzzolente, lungo fino alle cosce, confezionato, se c'era qualche verità nelle voci, con la chioma della madre morta. Avvicinandosi, Paran vi gettò un'occhiata. Per il respiro di Hood, sembrano proprio i capelli di una vecchia! L'idea aggravò la sua nausea.
«Fa' il punto, Spindle.» «Sì, capitano: ci sarà una vera folla da attraversare quando arriveremo alla Rotonda del Mercato Nord.» «Trovaci un modo per aggirare l'ostacolo.» «I vicoli non sono sicuri, signore.» «Apri il tuo canale, allora, e lascialo gocciolare abbastanza da far rizzare i capelli. Puoi farlo, no?» Spindle lanciò uno sguardo a Ben lo Svelto. «Uhm, signore, il mio canale... scatena delle cose.» «Cose gravi?» «Be', non proprio.» «Procedi, soldato.» «Sì, capitano.» Impassibile, Ben lo Svelto prese posizione in fondo al gruppo, mentre un altrettanto silenzioso Mallet si mise a cavalcare accanto a Paran. «Qualche idea su ciò che succede all'accampamento di Brood, guaritore?» chiese il capitano. «Niente di preciso, signore», rispose Mallet. «Solo... sensazioni.» Dopo un'occhiata interrogativa di Paran, continuò: «C'è un vero miscuglio di poteri laggiù, signore. Non solo Brood e la Tiste Andii; quelli li conosco. E anche Kallor. No, c'è dell'altro. Un'altra presenza. Antica, e tuttavia nuova. Con una punta T'lan Imass, forse...». «T'lan Imass?» «Forse; non ne sono proprio sicuro, a dire la verità, capitano. Però è qualcosa che schiaccia tutti gli altri.» A quelle parole, Paran girò la testa a guardarlo. Si udì il miagolio di un gatto, seguito da un lampo grigio mentre la creatura sfrecciava lungo il muro di un giardino, per poi scomparire alla vista. Risuonarono altri versi, stavolta dall'altra parte della stradina. Paran sentì un brivido attraversargli la schiena. Si riscosse. «L'ultima cosa che vogliamo è un giocatore nuovo. La situazione è già abbastanza preoccupante...» Proprio davanti a loro, due cani stretti in una lotta violenta uscirono rotolando dalla bocca di un vicolo. In preda al panico, un gatto zigzagò intorno alle bestie che si azzannavano ringhiando. I cavalli scartarono all'unisono, le orecchie piatte sulla testa. Nel canale di scolo alla loro sinistra, il capitano vide - con gli occhi sgranati - una moltitudine di topi che correva parallela al gruppetto dei cavalieri.
«In nome di Hood, che cosa...» «Spindle!» chiamò Ben lo Svelto alle loro spalle. Il mago alla testa si agitò sulla sella, un'espressione inquieta sul viso segnato dalle intemperie. «Allenta un po'», ordinò Ben lo Svelto, in tono non privo di benevolenza. Spindle annuì. Con la mano, Paran si scostò dal viso uno sciame di mosche ronzanti. «Mallet, a quale canale attinge Spindle?» chiese sommessamente. «Non è il suo canale il problema, signore, ma l'uso che ne fa. Tutto considerato, finora lo spettacolo è stato blando.» «Dev'essere un incubo per la nostra cavalleria...» «Noi siamo soldati di fanteria, signore», gli fece notare Mallet, con un sogghigno ironico. «A ogni modo, l'ho visto spezzare da solo un attacco nemico. Inutile dire che è utile averlo intorno...» Paran non aveva mai visto un gatto gettarsi a testa avanti contro un muro. Il tonfo sordo fu seguito da un frenetico raschiare di unghie, mentre l'animale rimbalzava all'indietro, sbigottito. Le sue manovre bastarono ad attrarre l'attenzione dei cani che, un attimo dopo, si lanciarono al suo inseguimento. Tutti e tre scomparvero giù per un altro vicolo. Ora, in aggiunta ai dolori di stomaco, il capitano aveva i nervi scossi. Potrei ordinare a Ben lo Svelto di sostituirlo, ma il suo è un potere che verrebbe notato - avvertito da lontano, addirittura - e preferirei non rischiare una cosa simile. E credo che sia lo stesso per lui. Ogni quartiere che attraversarono risuonava di una cacofonia: il miagolio di gatti, il latrato e l'ululato di cani, il raglio di muli. Topi circondavano il gruppo in una corsa insensata. Quando stimò che avessero aggirato la Rotonda del Mercato, Paran gridò a Spindle di chiudere il canale. Egli obbedì con un timido cenno del capo. Poco dopo, raggiunsero la Porta Settentrionale e uscirono in quello che era stato un campo di battaglia. Le vestigia ne erano ancora visibili, se si guardava con cura in mezzo all'erba bruna. Frammenti marci di abiti, il luccichio dei chiodi e il bianco lucente delle ossa spezzate. Fiori della mezza estate tappezzavano di strisce azzurro brillante i fianchi dei tumuli recenti, duecento passi alla loro sinistra; il colore si scurì con la discesa del sole dietro ai mucchi di terra. Paran accolse con gratitudine il silenzio relativo della pianura, nonostante l'aria greve, pervasa da un senso di morte tormentata, che si sentiva pe-
netrare nel midollo. A quanto pare, non faccio che incontrare posti del genere. Fin da quel giorno fatidico a Itko Kan, con le vespe che mi pungevano furibonde per aver disturbato il loro banchetto impregnato di sangue, arranco alla cieca lungo la scia di Hood. Mi sembra di non aver conosciuto altro che guerra e morte in tutta la mia vita, anche se, in verità, si tratta di pochi anni soltanto. Regina dei Sogni, come mi sento vecchio... Aggrottò le sopracciglia. L'autocommiserazione poteva facilmente diventare un'abitudine, se non stava attento a ricordarne il carattere insulso. Abitudine ereditata da mio padre e da mia madre, ahimè. E la porzione ricevuta da mia sorella Tavore deve essere stata, in qualche modo, dirottata verso di me. Fredda e astuta da bambina, e ancor più da adulta. Se c'è qualcuno che potrà proteggere il nostro Casato durante l'ultima purga della nobiltà proclamata da Laseen, questa è lei. Sicuramente io rifuggirei dall'usare le sue tattiche, quali che siano, ma Tavore non è tipo da accettare la sconfitta. Per cui, meglio lei di me. Tuttavia, l'inquietudine continuava a rodere i pensieri di Paran. Dal momento della proscrizione, non avevano avuto praticamente più notizie di ciò che si verificava in altri luoghi dell'Impero. Voci di un'imminente rivolta a Sette Città persistevano, anche se si trattava di una promessa spesso sussurrata, ma non ancora realizzata. Paran aveva i suoi dubbi in proposito. Comunque vada, Tavore si prenderà cura di Felisin. Questa, almeno, è una consolazione... Mallet interruppe le sue riflessioni. «Credo che la tenda di comando di Brood si trovi nell'insediamento Tiste Andii, capitano. Dritto avanti a noi.» «Spindle è d'accordo con te», osservò Paran. Il mago li guidava con sicurezza verso quell'accampamento che, anche da lontano, appariva strano e misterioso. Non c'era nessuno di guardia ai picchetti; anzi, il luogo sembrava del tutto deserto. «A quanto pare, il negoziato è andato come previsto», osservò il guaritore. «Non siamo ancora stati abbattuti da una raffica di dardi.» «Anche a me sembra un segno promettente», convenne Paran. Spindle li condusse in una specie di passaggio centrale in mezzo alle tende alte, cupe, dei Tiste Andii. Stava calando il crepuscolo; le lacere strisce di tessuto legate ai pali delle tende perdevano i colori già sbiaditi. Qualche figura indistinta e spettrale apparve dai vari corridoi laterali, prestando scarsa attenzione al gruppo. «Un posto che tira giù di morale», bofonchiò Mallet. Il capitano annuì. Come attraversare un sogno oscuro...
«Quella là avanti dev'essere la tenda di Brood», proseguì il guaritore. Due individui aspettavano fuori dalla sobria tenda di comando, gli occhi fissi su Paran e i suoi soldati. Anche al buio, il capitano non ebbe difficoltà a riconoscerli. I visitatori arrestarono i cavalli, scesero di sella e si avvicinarono. Whiskeyjack non sprecò tempo. «Capitano, ho necessità di parlare con i vostri soldati. E il comandante Dujek vorrebbe fare lo stesso con voi. Forse potremo tutti riunirci in seguito, se ne avrete il desiderio.» L'affettazione delle parole di Whiskeyjack innervosì Paran, che si limitò ad annuire. Poi, mentre il barbuto comandante si allontanava con Mallet, seguito da Ben lo Svelto e da Spindle, il capitano puntò l'attenzione su Dujek. Il veterano lo scrutò in viso per un attimo e sospirò. «Abbiamo avuto notizie dall'impero, capitano.» «Come, signore?» Dujek scosse le spalle. «Niente di diretto, naturalmente, ma le nostre fonti sono affidabili. La decimazione della nobiltà operata da Laseen si è dimostrata... efficace.» Esitò, poi aggiunse: «L'Imperatrice ha un nuovo Aggiunto...». Paran annuì lentamente. La cosa non aveva niente di sorprendente: Lorn era morta; la posizione andava occupata. «Avete notizie della mia famiglia, signore?» «Vostra sorella Tavore ha salvato ciò che ha potuto, ragazzo. Le proprietà Paran di Unta, le tenute esterne... la maggior parte degli accordi commerciali. Però... vostro padre è spirato e, poco dopo, vostra madre ha scelto... di raggiungerlo dall'altra parte della Porta di Hood. Sono dispiaciuto, Ganoes...» Sì, era prevedibile che lei lo facesse, no? Dispiaciuto? Sì, anch'io. «Grazie, signore. A essere onesto, sono meno scioccato di quanto possiate pensare.» «C'è dell'altro, temo. La vostra, uhm, proscrizione ha lasciato esposto il Casato. Non credo che vostra sorella vedesse molte alternative davanti a sé. La decimazione prometteva di essere selvaggia. Evidentemente, Tavore coltivava da tempo i suoi piani; sapeva bene cosa stava per arrivare. I giovani nobili venivano... violentati, poi uccisi. L'ordine di far ammazzare ogni giovane non ancora in età da matrimonio non è mai stato ufficializzato; forse Laseen ignorava veramente cosa stava accadendo...» «Vi prego, signore, se Felisin è morta, ditemelo e omettete i particolari.»
Dujek scosse la testa. «No, questo le è stato risparmiato, capitano. È quanto sto cercando di dirvi.» «E che cosa ha venduto Tavore per raggiungere questo risultato... signore?» «Anche come nuovo Aggiunto, Tavore aveva poteri limitati; non poteva essere vista mostrare particolari... favoritismi; o così ho scelto di interpretare le sue intenzioni...» Paran chiuse gli occhi. Aggiunto Tavore. Be', sorella, la tua ambizione non ti era ignota. «Felisin?» «Le Miniere Otataral, capitano. Non una condanna a vita, potete starne sicuro. Una volta che il fuoco a Unta si sarà placato, verrà certamente recuperata in sordina.» «Sempre che Tavore non veda rischi per la sua reputazione.» Dujek sgranò gli occhi. «La sua rep...» «Non intendo fra i nobili: possono chiamarla mostro quanto vogliono, come sono sicuro che stanno facendo adesso, e non le importerebbe. Non le è mai importato. Mi riferisco alla sua reputazione professionale, comandante. Agli occhi dell'Imperatrice e della sua corte. Per Tavore, nient'altro conterà; per questo, è adatta a essere il nuovo Aggiunto.» La voce di Paran era incolore, le parole tranquille e misurate. «A ogni modo, come avete detto, è stata costretta ad adeguarsi alla situazione, e quanto a questo... sono responsabile di tutto ciò che è successo, signore. La decimazione, gli stupri, gli omicidi, la morte dei miei genitori e tutto quanto deve sopportare adesso Felisin.» «Capitano...» «Va tutto bene, signore.» Paran sorrise. «I figli dei miei genitori sono, dal primo all'ultimo, capaci di qualunque cosa. Possiamo sopravvivere alle conseguenze. Forse manchiamo di una coscienza normale, forse siamo davvero dei mostri. Grazie della notizia, comandante. Com'è andato il negoziato?» Paran fece il possibile per ignorare il tacito dolore negli occhi di Dujek. «È andato bene, capitano», mormorò il vecchio. «Partirete fra due giorni, salvo Ben lo Svelto che vi raggiungerà più tardi. Presumo che i vostri soldati siano pronti per...» «Sì, signore, lo sono.» «Benissimo. È tutto, capitano.» «Signore.»
Come una coltre silenziosa, arrivò il buio. Paran stava in piedi sopra un ampio tumulo, il volto accarezzato da una lievissima brezza. Era riuscito a lasciare l'accampamento senza incontrare Whiskeyjack e gli Arsori di Ponti. La notte invitava alla solitudine, e lui si sentiva il benvenuto su quella tomba con tutti i suoi echi di dolore, angoscia e disperazione. Fra i morti sotto di me, quante voci adulte hanno invocato la madre? La morte e il morire ci fanno ridiventare bambini, un'ultima volta, nel momento dei lamenti estremi. E più di un filosofo ha affermato che restiamo bambini per sempre, sotto gli strati induriti che costituiscono l'armatura dell'età adulta. L'armatura impaccia, limita il corpo e l'anima al suo interno. Ma protegge anche. I colpi sono attutiti. Le emozioni perdono il loro mordente, lasciandoci solo una salva di lividi; e i lividi, dopo un po', sbiadiscono. Inclinando la testa all'indietro, suscitò violente proteste da parte dei muscoli di collo e spalle. Fissò il cielo, sbattendo le palpebre per il dolore. La tensione della sua carne si avvolgeva intorno alle ossa come le corde intorno a un prigioniero. Ma non c'è via di fuga, no? Ricordi e rivelazioni si depositano come veleni, destinati a non essere mai espulsi. Aspirò profonde boccate dell'aria frizzante, come se cercasse di catturare nel respiro delle stelle la freddezza del loro sguardo, la loro severità indifferente. La sofferenza non reca doni. Basta guardare i Tiste Andii. Be', almeno lo stomaco si è calmato... si prepara, sospetto, a un altro attacco così forte da far venire le lacrime agli occhi... Pipistrelli turbinavano nel buio sopra la sua testa, sempre più veloci, spinti dal loro stesso impeto. A sud tremolava la luce della città di Pale, simile a un cuore morente. A ovest, in lontananza, si levavano le vette imponenti dei Monti Moranth. Pian piano, il capitano si rese conto di avere stretto le braccia intorno ai fianchi, nel tentativo di tenere tutto quanto dentro. Non era uomo da piangere, né da lanciare invettive. Era stato educato a un distacco freddo, modellato con cura, che l'addestramento da soldato aveva solo rafforzato. Se queste sono qualità, allora lei mi batte di mille lunghezze. Tavore, sei veramente la maestra di questo insegnamento. O, Felisin carissima, che vita hai trovato là dove sei? Non l'abbraccio protettivo della nobiltà, questo è certo. Un picchiettio di stivali risuonò alle sue spalle. Paran chiuse gli occhi. Basta notizie, per favore. Basta rivelazioni. «Capitano.» Whiskeyjack gli posò una mano sulla spalla.
«Una notte tranquilla», osservò Paran. «Vi cercavamo, capitano, dopo il vostro colloquio con Dujek. È stata Volpe d'Argento a setacciare mentalmente la zona, e a trovarvi.» La mano si ritrasse. Whiskeyjack rimase al suo fianco; anche lui scrutava le stelle. «Chi è Volpe d'Argento?» «Credo», borbottò il barbuto veterano, «che spetti a voi deciderlo». Aggrottando le sopracciglia, Paran si volse verso di lui. «In questo momento ho poca pazienza per gli indovinelli, signore.» Whiskeyjack annuì, gli occhi ancora sulla luccicante distesa del cielo notturno. «Dovrete semplicemente assecondarmi, capitano. Posso portarvi avanti un passo alla volta, o con un unico spintone da dietro. Forse arriverà il momento in cui ripenserete a quest'occasione e riconoscerete quale dei due metodi ho scelto.» Soffocando la risposta che gli saliva alle labbra, Paran rimase zitto. «Ci aspettano alla base del tumulo», continuò Whiskeyjack. «Ho cercato di rendere le cose il più riservate possibile. Ci sono solo Mallet, Ben lo Svelto, la Mhybe e Volpe d'Argento. I membri del vostro squadrone sono presenti caso mai abbiate dei... dubbi; stanotte hanno entrambi esaurito i loro canali... per assicurarsi della veridicità di quanto è accaduto.» «Che cosa», sbottò Paran, «state cercando di dire, signore?». Whiskeyjack incrociò gli occhi del capitano. «La bambina Rhivi, Volpe d'Argento, è Tattersail rinata.» Paran si girò lentamente, spingendo lo sguardo fino ai piedi del tumulo, dove quattro figure attendevano nel buio. E lì stava la bambina Rhivi, con un'aura luminosa all'intorno, una frangia di potere capace di agitare il sangue più selvaggio che scorreva nelle vene del capitano. Sì. E lei. Ora è più grande, e mostra ciò che diventerà. Maledizione, donna, non hai mai saputo mantenere le cose semplici. Tutto ciò che era intrappolato dentro di lui sembrò sommergerlo, lasciandolo improvvisamente debole e tremante. Puntò gli occhi su Volpe d'Argento. «È una bambina.» Ma lo sapevo, no? Lo so da qualche tempo, solo non volevo pensarci... E ora, non ho scelta. Whiskeyjack grugnì. «Cresce in fretta... in lei ci sono forze avide, impazienti, troppo potenti per essere contenute da un corpo di bambina. Non ci vorrà molto...» «Perché le convenienze siano rispettate», terminò seccamente Paran, senza notare il sussulto di Whiskeyjack. «Allora sarà tutto a posto, ma ora? Chi non mi vedrà come un mostro se soltanto dovessimo tenerci per mano? Cosa potrò dirle? Cosa potrò mai dirle?» Si volse di scatto verso il vetera-
no. «È una situazione assurda... è una bambina!» «E dentro di lei c'è Tattersail. E Nightchill...» «Nightchill! Per il respiro di Hood! Che cosa è successo? E come?» «Non sono domande cui si possa rispondere facilmente. Fareste meglio a porle a Mallet e a Ben lo Svelto; e alla stessa Volpe d'Argento.» Paran fece involontariamente un passo indietro. «Parlare con lei? No. Non posso!» «Lei lo desidera, Paran. Vi sta aspettando.» «No.» Gli occhi del capitano guizzarono ancora lungo il pendio. «Vedo Tattersail, sì. Ma c'è dell'altro; non solo quella Nightchill. È una Soletaken ora, Whiskeyjack. La creatura che le ha dato il suo nome Rhivi... il potere di cambiare...» Il comandante strinse gli occhi. «Come fate a saperlo, capitano?» «Lo so e basta.» «Non mi accontento. Non è stato facile per Ben lo Svelto raggranellare quella verità. Eppure voi sapete. Come, Paran?» Il capitano fece una smorfia. «Ho sentito Ben lo Svelto sondare nella mia direzione... quando pensa che la mia attenzione sia altrove. Ho visto la circospezione nei suoi occhi. Che cosa ha scoperto, comandante?» «Oponn vi ha abbandonato, ma qualcos'altro ha preso il suo posto. Qualcosa di selvaggio. Spesso gli si rizza il pelo...» «Il pelo!» Paran sorrise. «Un'espressione più che adatta. Anomander Rake ha ucciso due Segugi dell'Ombra; io c'ero, e ho visto. Ho sentito la macchia del sangue di un Segugio morente... sulla mia carne, Whiskeyjack. Qualcosa di quel sangue ora scorre nelle mie vene.» La voce del comandante era priva di espressione. «Che altro?» «Ci dev'essere dell'altro, signore?» «Sì. Ben lo Svelto ha avvertito delle tracce... in ciò che siete diventato, c'è molto di più che il semplice sangue di un Ascendente.» Whiskeyjack esitò, poi aggiunse: «Volpe d'Argento ha forgiato per voi un nome Rhivi: Jen'isand Rul». «Jen'isand Rul.» «Si traduce con: "Colui che Vaga dentro la Spada". Vuol dire, sostiene, che avete fatto qualcosa che nessun'altra creatura - mortale o ascendente ha mai fatto, e questo qualcosa vi distingue dagli altri. Siete stato segnato, Ganoes Paran, ma nessuno, nemmeno Volpe d'Argento, sa cosa significhi. Raccontatemi cos'è successo.» Paran scosse le spalle. «Rake usò quella sua spada nera. Quando uccise i
Segugi, io li seguii... dentro quella spada. Gli spiriti dei Segugi erano intrappolati, incatenati insieme a tutti... tutti gli altri. Credo di averli liberati, signore. Non posso esserne sicuro; tutto quello che so è che si ritrovarono in un altro luogo, non più incatenati.» «E sono tornati in questo mondo?» «Non lo so. Jen'isand Rul... perché il fatto che io abbia vagato in quella spada dovrebbe avere un qualche significato?» Whiskeyjack grugnì. «Lo state chiedendo all'uomo sbagliato, capitano. Io mi limito a ripetere ciò che ha detto Volpe d'Argento. C'è una cosa, però, che mi è appena venuta in mente.» Si avvicinò. «Non fatene parola ai Tiste Andii; né a Korlat, né ad Anomander Rake. Il Figlio dell'Oscurità è, secondo l'opinione generale, un bastardo imprevedibile. E se la leggenda di Dragnipur è vera, la maledizione di quella spada è che nessuno può sottrarsi alla sua prigione da incubo; le anime rimangono incatenate... per sempre. Voi siete sfuggito a quella cosa, e forse anche i Segugi. Avete stabilito un... precedente allarmante.» Paran fece un sorriso amaro, nel buio. «Sfuggito. Sì, sono sfuggito a molte cose; persino alla morte.» Ma non al dolore. No, il modo di eluderlo ancora mi sfugge. «Credete che Rake tragga grande conforto dalla credenza nel... carattere definitivo della sua spada?» «Sembra probabile, Ganoes Paran, non vi pare?» Il capitano sospirò. «Sì.» «Ora, scendiamo a incontrare Volpe d'Argento.» «No.» «Maledizione, Paran», ruggì Whiskeyjack. «Questa storia va oltre al fatto che voi due vi guardiate con occhi sognanti. Quella bambina possiede potere, un potere vasto e... sconosciuto. Ogni volta che la guarda, Kallor ha l'omicidio negli occhi. Volpe d'Argento è in pericolo. La questione è: la proteggiamo o ci facciamo da parte? L'Alto Re la definisce un obbrobrio, capitano. Se Caladan Brood dovesse girarle le spalle nel momento sbagliato...» «La ucciderebbe? Perché?» «Teme, presumo, il potere che è in lei.» «Per il respiro di Hood, è solo una...» Si fermò, rendendosi conto dell'assurdità di quell'affermazione. Solo una bambina? Proprio no. «Proteggerla contro Kallor, avete detto. Quella è una posizione difficile da adottare, comandante. Chi starà al nostro fianco?» «Korlat e, per estensione, tutti i Tiste Andii.»
«Anomander Rake?» «Questo non lo sappiamo ancora. La diffidenza di Korlat per Kallor, unita all'amicizia che nutre per la Mhybe, l'hanno spinta alla sua decisione. Dice che parlerà con il suo signore quando arriverà.» «Arriverà?» «Sì. Domani, forse sul presto; in tal caso, fareste meglio a evitarlo, se appena potete.» Paran annuì. Un incontro mi è bastato. «E l'Alto Comandante?» «È indeciso, crediamo. Ma Brood ha bisogno dei Rhivi e delle loro greggi di bhederin. Almeno per il momento, rimane il protettore principale della bambina.» «E cosa pensa Dujek di tutto questo?» chiese il capitano. «Attende la vostra decisione.» «La mia? Che Beru ci protegga, comandante; non sono né un mago né un sacerdote. E non posso prevedere il futuro della bambina.» «Tattersail abita in Volpe d'Argento, Paran. Deve essere portata avanti... in primo piano.» «Perché Tattersail non ci tradirebbe mai. Sì, ora capisco.» «Non c'è bisogno di usare un tono così afflitto, Paran.» No? E se vi trovaste al mio posto, Whiskeyjack? «Benissimo; andate avanti voi.» «A quanto pare», concluse Whiskeyjack, dirigendosi al bordo della cima del tumulo, «dovremo promuovervi a un grado uguale al mio, capitano, non foss'altro che per porre rimedio alla vostra confusione su chi comanda chi in questo posto». Arrivarono in modo quasi furtivo, portando i cavalli nell'accampamento con il minor scompiglio possibile. Fuori dalle tende, restavano pochi Tiste Andii ad accorgersi della loro presenza. Il sergente Antsy condusse il gruppo principale di Arsori di Ponti verso il recinto del bestiame perché vi lasciasse i cavalli, mentre il caporale Picker, Detoran, Blend, Trotts e Hedge sgusciavano via in cerca della tenda di comando di Brood. Spindle li aspettava all'entrata. A un cenno del capo di Picker, il mago, avvolto nel cilicio puzzolente con il suo cappuccio egualmente lercio buttato sulla testa, si girò verso il lembo chiuso dell'entrata. Fece una serie di gesti, si fermò, poi sputò contro la tela; la saliva colpì il lembo senza rumore. Spindle si girò per rivolgere a Picker un sogghigno, poi s'inchinò davanti all'entrata in un gesto di
invito. Hedge diede una gomitata al caporale, roteando gli occhi. All'interno c'erano due stanze, sapeva Picker, e l'Alto Comandante dormiva in quella sul retro. O almeno spero. Si guardò intorno in cerca di Blend. Dov'è, maledizione? Era qui un attimo fa. Il tocco leggero di due dita sul braccio per poco non la fece schizzare fuori dagli indumenti di pelle. Al suo fianco, Blend sorrideva. Picker mosse la bocca in un silenzioso fiotto di imprecazioni. Blend allargò il suo sorriso, poi la superò per raggiungere l'entrata della tenda, dove si accovacciò per sciogliere i legacci. Picker si lanciò un'occhiata alle spalle. Detoran e Trotts stavano fianco a fianco qualche passo più in là, entrambi imponenti, colossali. Hedge le assestò un'altra gomitata; girandosi, Picker vide che Blend aveva scostato il lembo della tenda. Va bene, procediamo. Blend aprì la strada; Spindle e Hedge le si accodarono. Con un gesto, Picker incitò a entrare la Napan e il Barghast e li seguì nei confini scuri della tenda. Anche con Trotts a un'estremità e Detoran all'altra, e Spindle e Hedge ai lati, il tavolo li fece barcollare prima che avessero percorso tre passi. Blend andò a tirare indietro il lembo il più possibile. In quel silenzio stregonesco, i quattro soldati riuscirono a portar fuori il tavolo massiccio. Picker osservava le operazioni, lanciando occhiate al divisorio ogni pochi attimi; ma l'Alto Comandante non si fece vedere. Finora tutto bene. Il caporale e Blend aggiunsero il contributo dei loro muscoli, e i sei spostarono il tavolo per cinquanta passi prima che la stanchezza li costringesse a fermarsi. «Non manca molto», mormorò Spindle. Detoran arricciò il naso. «Lo troveranno.» «Scommessa accettata», ribatté Picker, «ma prima portiamo quest'affare a destinazione». «Non puoi renderlo più leggero?» Hedge chiese lamentosamente a Spindle. «Che razza di mago sei?» Spindle aggrottò le sopracciglia. «Un mago debole, e allora? Tu, piuttosto, non sei nemmeno sudato! Mi dai la nausea!» «Buoni, voi due», sibilò Picker. «Avanti, alziamolo, ora.» «A proposito di nausea», borbottò Hedge mentre, fra un coro di grugniti, il tavolo si sollevava ancora da terra, «quand'è che laverai quel tuo disgu-
stoso cilicio, Spindle?». «Lavarlo? Mia madre non si è mai lavata i capelli quand'era viva... perché dovrei cominciare ora? Perderà la sua lucentezza...» «Lucentezza? Oh, vuoi dire cinquant'anni di sudore e di lardo rancido...» «Ma non era rancido quand'era viva, no?» «Grazie a Hood non lo so...» «Volete risparmiare il vostro fetido fiato, voi due? Da che parte ora, Spindle?» «Giù per quel vicolo. Poi a sinistra... la tenda di pelle in fondo...» «Scommetto che ci abita qualcuno», borbottò Detoran. «Accetto anche questa», fece Picker. «È la tenda che i Rhivi usano per mettervi i cadaveri Tiste Andii prima della cremazione. E nessun Tiste è morto ammazzato dai fatti di Darujhistan.» «Come hai fatto a trovarla?» indagò Hedge. «Spindle ne ha fiutato la presenza.» «Sono stupito che gli funzioni ancora il naso...» «Va bene, mettetelo giù. Blend... il lembo.» Il tavolo riempì l'intera stanza all'interno; ai lati restava ben poco spazio libero. Le basse brande che erano state usate per i cadaveri finirono sotto, piegate e impilate. Una lanterna fu accesa e appesa al gancio del palo centrale. Picker guardò Hedge portare gli occhi vicino alla superficie sfregiata, bucherellata del tavolo, e passare le dita tozze, peste, lungo la venatura del legno. «Bellissimo», mormorò. Alzando lo sguardo, incrociò quello di Picker. «Fa' entrare la banda, caporale; la partita sta per cominciare.» Picker annuì con un largo sorriso. «Va' a chiamarli, Blend.» «Tagli regolari», decretò Hedge, fulminando tutti quanti con lo sguardo. «Ora siamo uno squadrone...» «Ci hai rivelato il segreto, cioè», ribatté Spindle, corrugando la fronte. «Se avessimo saputo che, per tutto quel tempo, stavi barando...» «Già, be', la tua fortuna sta per cambiare, no? Per cui smettila di lamentarti.» «Siete proprio una coppia ben assortita», osservò Picker. «Allora, dicci, Hedge, come funziona questa cosa?» «Per opposizioni, caporale. Entrambi i Mazzi sono affidabili. Fiddler aveva la sensibilità migliore, ma Spindle dovrebbe cavarsela.» Si girò verso il mago. «Hai già fatto delle letture, no? Hai detto...» «Sì, sì, soldo di cacio; nessun problema: possiedo il tocco...» «Te lo auguro», l'ammonì lo zappatore. Accarezzò di nuovo il tavolo.
«Due strati, capisci, con il Mazzo fisso nel mezzo. Quando si posa una carta, si forma una tensione, che rivela qual è quella rivolta a faccia in giù. Non fallisce mai. Chi fa le carte conosce tutte le mani che sta distribuendo. Fiddler...» «Adesso non c'è», ringhiò Trotts, le braccia incrociate. Guardò Spindle con i denti scoperti. «Posso farcela, selvaggio dal cervello di cavallo!» farfugliò il mago. «Sta' a vedere!» «Chiudete il becco», sbottò Picker. «Stanno arrivando.» Era quasi l'alba quando i membri degli altri squadroni uscirono in successione dalla tenda, ridendo, dandosi grandi pacche sulla schiena e facendo tintinnare le borse gonfie di denaro. Quando l'ultimo fu uscito, e le voci cominciarono a scemare, Picker si lasciò cadere stancamente sul tavolo. Spindle, il lucido cilicio gocciolante di sudore, gemette e chinò la testa, che sbatté contro il legno massiccio. Arrivando alle sue spalle, Hedge alzò una mano. «Calma, soldato», l'ammonì Picker. «Evidentemente, è stato corrotto... probabilmente non funzionava fin dall'inizio.» «Sì, invece! Io e Fid ci eravamo assicurati...» «Ma fu rubato prima che potessi provarlo per davvero, no?» «Non ha importanza! Ti dico che...» «Zitti, tutti», gridò Spindle, sollevando lentamente la testa; increspò la stretta fronte in un cipiglio mentre esaminava la superficie del tavolo. «Corrotto. Forse hai detto una cosa giusta, Picker.» Annusò l'aria come in cerca di una pista, poi si accovacciò. «Sì. Qualcuno mi dia una mano con queste brande.» Nessuno si mosse. «Aiutalo, Hedge», intimò Picker. «Aiutarlo a strisciare sotto il tavolo? È troppo tardi per nascondersi...» «È un ordine, soldato.» Brontolando, lo zappatore si chinò a terra. Insieme, i due uomini tirarono fuori le brande; poi Spindle scivolò sotto il tavolo. Sbocciò una debole aura di chiarore magico; il mago cacciò un sibilo. «Il disotto!» «Osservazione brillante, Spindle. Scommetto che ci sono anche le gambe.» «No, idiota. C'è un'immagine dipinta sul disotto... una grande carta, sembra; ma non la riconosco.» Aggrottando le sopracciglia, Hedge raggiunse il mago. «Che cosa stai
dicendo? Non abbiamo dipinto nessuna immagine sotto... per i mocassini sciupati di Hood, cos'è quella roba?» «Ocra rossa, direi. Dev'essere stata dipinta da un Barghast...» «O da un Rhivi», borbottò Hedge. «Chi è quella figura nel mezzo... quella con la testa di cane sul petto?» «Come faccio a saperlo? Comunque, direi che l'intera faccenda è piuttosto fresca. Recente, intendo dire.» «Be', cancellala, maledizione.» Spindle uscì strisciando da sotto il tavolo. «Non posso: intorno c'è una rete di difese; e un sacco di altra roba.» Si raddrizzò, incontrò lo sguardo di Picker, poi scosse le spalle. «È una carta nuova. Indipendente; non si trova sotto l'influsso di nessuno. Mi piacerebbe farne una copia, delle dimensioni di una carta del Mazzo, e poi inserirla in una lettura.» «Come meglio credi», approvò Picker. Hedge riapparve, improvvisamente pieno di energia. «Buona idea, Spin; potresti anche farti pagare per le letture. Se questo nuovo Indipendente gioca correttamente, allora potresti scoprire le nuove tensioni, i nuovi rapporti, e una volta che li conoscerai...» Il viso di Spindle si aprì in un gran sorriso. «Potremmo fare un'altra partita. Sì...» Detoran gemette. «Ho perso tutti i miei soldi.» «Non sei la sola», sbottò Picker, fulminando i due zappatori con lo sguardo. «La prossima volta funzionerà», promise Hedge. «Vedrai.» Spindle annuiva vigorosamente. «Scusateci se non sembriamo troppo entusiasti», osservò Blend, strascicando le parole. Picker si girò di scatto verso il Barghast. «Trotts, da' un'occhiata a quell'immagine.» Il guerriero arricciò il naso, poi si mise carponi. Grugnendo, strisciò sotto il tavolo.«C'è di nuovo buio, qua sotto», protestò. Hedge si volse verso Spindle. «Fa' ancora quel trucchetto con la luce, stupido.» Il mago lo guardò con una smorfia sprezzante, poi fece un gesto. Il chiarore sotto il tavolo riapparve. Per qualche attimo, Trotts rimase in silenzio, poi tornò fuori, raddrizzandosi. «Allora?» chiese Picker.
Il Barghast scosse la testa. «Rhivi.» «I Rhivi non giocano con i Mazzi», osservò Spindle. Trotts scoprì i denti. «Neanche i Barghast.» «Mi serve del legno», annunciò Spindle, grattandosi la barbetta che gli ricopriva la mascella esile. «E uno stilo», proseguì, ignorando tutti i presenti. «E colori, e un pennello...» Lo guardarono uscire dalla tenda. Picker sospirò, lanciando un'ultima occhiata a Hedge. «Non lo chiamerei un ingresso fortunato nel Settimo Squadrone, zappatore. Antsy per poco non ha avuto un attacco di cuore, quando ha perso tutta la sua colonna di denaro. Il tuo sergente starà sventrando tortore dal fegato nero e bisbigliando il tuo nome; chissà, forse stavolta ti andrà bene e i demoni non lo sentiranno.» Hedge aggrottò le sopracciglia. «Ah, ah.» «Non era una battuta, credo», affermò Detoran. «Benissimo», sbottò Hedge. «Ho una bomba esplosiva per queste evenienze, e che io sia dannato se non farò in modo di trascinarvi tutti quanti con me.» «Spirito di squadra», commentò Trotts, con un largo sorriso. Picker grugnì. «Va bene, soldati, usciamo di qua.» In disparte rispetto agli altri, Paran e Volpe d'Argento guardavano il cielo orientale schiarirsi in strisce di rame e bronzo. Le ultime stelle si ritraevano; la loro distesa fredda, indifferente, cedeva al calore di una giornata azzurra e senza nubi. Dopo il turbamento delle ore passate, che si stendeva nella mente di Paran in una successione interminabile di ansia e di dolore, era arrivata la spossatezza emotiva, accompagnata da una calma torpida. Il capitano non parlava più, timoroso di infrangere quella pace interiore: sapeva che si trattava soltanto di un'illusione, di un respiro tratto temporaneamente in mezzo a una tempesta. «Tattersail deve essere portata in primo piano». L'aveva fatto. Il primo incrociarsi del loro sguardo aveva liberato ogni ricordo condiviso, e quella liberazione era stata una virulenta calamità per Paran. Una bambina. Ho di fronte una bambina, e perciò rifuggo al pensiero dell'intimità; anche se l'avevo, una volta, con la donna adulta. La donna non esiste più. Questa è una bambina. Ma l'angoscia che gli ribolliva dentro aveva anche un'altra componente. Una seconda entità s'intrecciava in fili di ferro nero a tutto ciò che era Tattersail. Nightchill, la maga, un tempo amante di Bellurdan;
ovunque lei andasse, il Thelomen l'aveva seguita. Una relazione tutt'altro che paritaria e ora, con Nightchill, era arrivata una presenza esigente, amareggiata. Amareggiata, già. Con Tayschrenn... con l'Imperatrice, l'Impero Malazan e Hood sa cosa o chi altro. Sa di essere stata tradita durante l'Infilata di Pale. E, là sulla pianura, lo stesso è successo a Bellurdan. Il suo compagno. Volpe d'Argento parlò. «Non devi temere i T'lan Imass.» Paran batté le palpebre, riscuotendosi. «Così mi hai spiegato. Perché sei tu a comandarli. Tutti ci stiamo chiedendo, però, cosa hai intenzione di fare esattamente con quell'esercito di non-morti. Che significato ha questo Raduno?» Lei sospirò. «È tutto molto semplice, in realtà. Si riuniscono per ricevere la benedizione. La mia.» Paran si girò verso di lei. «Perché?» «Io sono una Divinatrice in carne e ossa; la prima in centinaia di migliaia di anni.» Il suo viso s'indurì. «Ma prima avremo bisogno di loro. In tutto il loro potere. Orrori ci aspettano... nel Dominio di Pannion.» «Gli altri devono sapere di questa benedizione - di ciò che rappresenta, Volpe d'Argento - e soprattutto della minaccia che ci attende nel Dominio di Pannion. Brood, Kallor...» Lei scosse la testa. «La mia benedizione non li riguarda; non riguarda nessuno oltre a me. E i T'lan Imass. Quanto ai Pannion... io stessa devo saperne di più prima di osare parlare, Paran. Ti ho detto queste cose per ciò che eravamo, e per quello che tu - noi - siamo diventati.» E cosa siamo diventati? No, non è una domanda adatta a questo momento. «Jen'isand Rul.» La bambina aggrottò le sopracciglia. «Questo è un lato di te che non capisco. Ma c'è dell'altro, Paran.» Esitò, poi proseguì: «Dimmi, cosa sai del Mazzo dei Draghi?». «Quasi niente», rispose lui. Ma sorrise, poiché aveva sentito la voce di Tattersail, più chiaramente che in qualunque altro dei momenti trascorsi insieme a Volpe d'Argento. Lei fece un respiro profondo, lo trattenne per un attimo, poi esalò lentamente, riportando gli occhi velati sul sole che sorgeva. «Il Mazzo dei Draghi. Una specie di struttura, imposta allo stesso potere. Chi l'ha creato? Nessuno lo sa. La mia convinzione - la convinzione di Tattersail - è che ogni carta sia la porta di un canale, e che una volta ci fossero molte più carte di adesso. Forse c'erano altri Mazzi; forse ce ne sono anche adesso...»
Il capitano la scrutò. «Hai un altro sospetto, vero?» «Sì. Ho detto che nessuno sa chi ha creato il Mazzo dei Draghi. Eppure c'è un'altra entità egualmente misteriosa, anch'essa una sorta di struttura, che va a incidere sul potere. Pensa alla terminologia usata insieme al Mazzo dei Draghi. Le Case... la Casa dell'Oscurità, della Luce, della Vita, della Morte...» Si girò lentamente verso di lui. «Pensa alla parola "Finnest". Il suo significato, come lo conoscono i T'lan Imass, è "Fortezza di Ghiaccio". Molto tempo fa, fra le Razze Antiche, Fortezza era sinonimo di Casa nell'uso comune e, in verità, anche sinonimo di Canale. Dove risiede la fonte del potere di uno Jaghut? In un Finnest.» Fece un'altra pausa, scrutando Paran negli occhi. «Tremorlor, in lingua Trell, significa "Casa della Vita".» Finnest... come nella Casa Finnest, a Darujhistan... una Casa degli Azath. «Non ho mai sentito parlare di Tremorlor.» «È una Casa degli Azath a Sette Città. A Città di Malaz, dentro al vostro Impero, c'è la Dimora Fantasma, la Casa della Morte...» «Tu credi che le Case degli Azath e le Case del Mazzo siano la stessa cosa?» «Sì. O collegate, in qualche modo. Pensaci!» Paran lo stava facendo. Sapeva poco sia delle une sia delle altre, e non riusciva a immaginare in che modo egli potesse esservi connesso. La sua inquietudine si aggravò, provocandogli un doloroso rimescolio nello stomaco. Corrugò la fronte; era troppo stanco per pensare, eppure doveva pensare. «Si dice che il vecchio Imperatore, Kellanved, e Dancer riuscirono a entrare nella Dimora Fantasma...» «Da allora, Kellanved e Dancer sono ascesi, e ora governano la Casa dell'Ombra. Kellanved è Tronod'Ombra, e Dancer è Cotillion, la Fune, Patrono dei Sicari.» Il capitano la fissò. «Che cosa?» Volpe d'Argento sogghignò. «Eppure è ovvio, a ben rifletterci, no? Chi fra gli Ascendenti ha dato la caccia a Laseen, allo scopo di distruggerla? Tronod'Ombra e Cotillion. Perché a degli Ascendenti dovrebbe importare del destino di una donna mortale? L'unica spiegazione è la sete di vendetta.» Paran tornò indietro con la mente, a una strada sulla costa di Itko Kan, a un terribile massacro, a ferite inferte da mascelle enormi, bestiali. I Segugi. I Segugi dell'Ombra... i cuccioli di Tronod'Ombra... Da quel giorno, il capitano aveva imboccato un nuovo sentiero, sulle tracce della ragazza
posseduta da Cotillion; da quel giorno, la sua vita aveva cominciato il suo ingarbugliarsi fatale. «Aspetta! Kellanved e Dancer sono entrati nella Dimora Fantasma; perché non hanno subito quell'influsso, l'influsso della Casa della Morte?» «Ci ho pensato anch'io, e ho formulato un'ipotesi. Il Regno della Morte era già occupato, Paran. Il Re dell'Alta Casa della Morte è Hood. Credo che ogni Azath ospiti ogni porta, sia la via per entrare in ogni canale. Chi riesce a entrare nella Casa può... scegliere. Kellanved e Dancer trovarono un trono vuoto e, quando assunsero il loro ruolo come sovrani dell'Ombra, apparve la Casa dell'Ombra, diventando parte del Mazzo dei Draghi. Capisci?» Paran annuì lentamente, sforzandosi di assimilare tutto quanto. Sussulti di dolore gli scuotevano lo stomaco; li respinse. Ma questo cosa c'entra con me? «La Casa dell'Ombra un tempo era una Fortezza», riprese Volpe d'Argento. «Si vede: non possiede la struttura gerarchica delle altre Case. È un luogo selvaggio, bestiale, e a parte i Segugi non aveva sovrani da molto, molto tempo.» «E gli Indipendenti del Mazzo?» Lei scrollò le spalle. «Influssi senza punto d'arrivo? L'imposizione del caso, di forze accidentali? Gli Azath e il Mazzo sono entrambi imposizioni di ordine, ma anche l'ordine ha bisogno di libertà, altrimenti si cristallizza e diventa fragile.» «E qual è il mio posto, secondo te? Io non sono niente, Volpe d'Argento; solo un mortale che zoppica.» Dei, lasciatemi fuori da tutto; tutto quello che sembrate congiurare. Ve ne prego. «Ci ho riflettuto intensamente e a lungo, Paran. Anomander Rake è il Cavaliere della Casa dell'Oscurità», rispose lei, «eppure dov'è la Casa stessa? Prima di ogni altra cosa, c'era l'Oscurità, la Madre che ha dato vita a tutto quanto. Per cui dev'essere un luogo antico, una Fortezza, o forse qualcosa venuto prima ancora delle Fortezze stesse. La porta d'ingresso al Kurald Galain... nascosta, mai scoperta, la Prima Ferita, con un'anima che la chiude, intrappolata nella sua gola». «Un'anima», mormorò Paran, mentre un brivido gli correva su per la schiena, «o una legione di anime...». Volpe d'Argento cacciò un sibilo. «Prima delle Case c'erano le Fortezze», continuò Paran, con logica ferrea. «Entrambe erano fisse, entrambe stabili. Sedentarie. Prima della se-
dentarietà... c'era il vagabondaggio. Casa da Fortezza, Fortezza da... una porta in movimento, movimento incessante...» Serrò gli occhi. «Un carro, schiacciato dal peso delle innumerevoli anime che chiudono la porta d'ingresso all'Oscurità...» E io ho fatto attraversare quella ferita da due Segugi, ho visto infrangersi la chiusura... per l'Abisso... «Paran, è successo qualcosa... al Mazzo dei Draghi. È arrivata una nuova carta. Indipendente ma, credo, dominante. Il Mazzo non ha mai posseduto un... padrone.» La bambina si girò a guardarlo. «Ora credo che ce l'abbia. Tu.» Lui aprì gli occhi di scatto; la fissò prima con incredulità, poi con sdegno. «Sciocchezze, Tatter... Volpe d'Argento. Non io. Ti sbagli. Per forza...» «Non mi sbaglio. La mia mano è stata guidata nel forgiare la carta che sei tu...» «Quale carta?» Lei non rispose, ma continuò come se non l'avesse sentito. «Sono stati gli Azath a guidarmi? O qualche altra forza sconosciuta? Non lo so. Jen'isand Rul, Colui che Vaga dentro la Spada.» Incrociò i suoi occhi. «Sei un nuovo Indipendente, Ganoes Paran. Nato per caso, o per qualche scopo la cui necessità solo gli Azath conoscono. Devi trovare la ragione della tua stessa creazione, devi trovare lo scopo dietro ciò che sei diventato.» Lui alzò le sopracciglia in un'espressione beffarda. «Mi stai assegnando una ricerca? Andiamo, Volpe d'Argento. Gli uomini mediocri, irresoluti non intraprendono ricerche. Quella è roba per gli incrollabili eroi dei poemi epici. Non credo negli obiettivi... non più; sono soltanto illusioni. Se mi dai questo compito, rimarrai gravemente delusa. Insieme agli Azath.» «È cominciata una guerra invisibile, Paran. I canali stessi sono sotto attacco; sento la pressione dentro il Mazzo dei Draghi, anche se devo ancora mettere la mano su uno di essi. Si sta... raccogliendo un esercito, forse, e tu - un soldato - ne sei parte.» Oh sì, così parla Tattersail. «Ho già abbastanza guerre da combattere, Volpe d'Argento.» Lei lo guardò con occhi scintillanti. «Forse, Ganoes Paran, si tratta di un'unica guerra.» «Io non sono né un Dujek, né un Brood... non posso gestire tutte queste... campagne. Sto andando letteralmente in pezzi.» «Lo so. Non puoi nascondermi il tuo dolore... te lo leggo in viso, e mi spezza il cuore.»
Lui distolse lo sguardo. «Faccio anche dei sogni... una bambina dentro a una ferita. Una bambina che urla.» «Scappi via dalla bambina?» «Sì», ammise lui, con voce tremante. «Quelle urla sono... terribili.» «Devi correre verso di lei, amore mio. La fuga ti chiuderà il cuore.» Paran si girò verso di lei. «Amore mio»... parole per manipolare il mio cuore? «Chi è quella bambina?» Lei scosse la testa. «Non lo so. Una vittima della guerra invisibile, forse.» Volpe d'Argento tentò un sorriso. «Il tuo coraggio è già stato messo alla prova, Paran, e non ha fallito.» Con una smorfia, lui borbottò: «C'è sempre una prima volta». «Tu sei Colui che Vaga dentro la Spada. La carta esiste.» «Non me ne importa.» «Neanche alla carta», ribatté Volpe d'Argento. «Non hai scelta...» «Non è una novità!» l'aggredì lui. «Chiedi a Oponn che soddisfazione gli ho dato!» Scoppiò in una risata selvaggia. «Dubito che il Giullare si riprenderà mai. La scelta sbagliata, Tattersail, io sono sempre la scelta sbagliata!» Lei lo fissò, poi si limitò a un'esasperante alzata di spalle. Improvvisamente privo di forze, Paran si girò dall'altra parte. Il suo sguardo cadde sulla Mhybe, Whiskeyjack, Mallet e Ben lo Svelto. In tutto quel tempo, i quattro non si erano mossi. La loro pazienza - la loro fede, maledizione - gli faceva venir voglia di urlare. Avete compiuto la scelta sbagliata. Tutti quanti. Ma sapeva che non l'avrebbero ascoltato. «Non so niente del Mazzo dei Draghi», disse con voce spenta. «Se ne avremo il tempo, ti insegnerò. Altrimenti, troverai la strada da te.» Paran chiuse gli occhi. Il dolore allo stomaco stava tornando; cresceva, come un'onda sempre più forte che non era più in grado di respingere. Sì, certo; Tattersail non avrebbe potuto far meno di quel che ha fatto. Così stanno le cose, Whiskeyjack: ora è lei a comandare, e gli altri obbediscono. Il capitano Ganoes Paran è un buon soldato... Con la mente, riandò a quel regno affollato, angoscioso, dentro la spada Dragnipur, alle legioni di anime incatenate che trascinavano senza posa il loro peso impossibile... e nel cuore del carro c'era un vuoto freddo, scuro, da cui venivano le catene. Il carro regge la porta, la porta del Kurald Galain, il Canale dell'Oscurità. La spada raccoglie anime per chiuderla... dev'essere una ferita formidabile, per richiedere tante anime... Un accesso
di dolore gli strappò un grugnito. La piccola mano di Volpe d'Argento salì a toccargli il braccio. Il contatto lo fece trasalire. Vi deluderò tutti. CAPITOLO QUINTO Egli si leva, esangue, dalla polvere, con occhi morti simili a fosse sentieri gemelli verso il dolore eterno. Lui è la calamita per il clan che si raduna, ricreato a nuovo, tormentato dai sogni. La bandiera una pelle marcia, il trono una gabbia di osso, il re uno spettro proveniente da oscuri campi di battaglia. E ora il corno geme su quest'alba avvolta di grigio attirando l'armata disparata alla guerra, alla guerra, e all'assalto frenetico di tormentose memorie di ghiaccio. Ballata della Prima Spada Irig Thann Delusa (n. 1091) Due giorni e sette leghe di polvere nera, appiccicosa, e il telaba di Lady Invidia non mostrava nemmeno una macchia. Brontolando, Toc il Giovane si scostò dal viso il tessuto incrostato, calando lentamente a terra il suo pesante zaino di pelle. Non avrebbe mai pensato di benedire la vista di una vasta, monotona pianura erbosa ma, dopo la cenere vulcanica, la distesa ondulata che si allungava verso nord lo allettava come il paradiso. «Questa collina andrà bene come accampamento?» chiese Lady Invidia, raggiungendolo a grandi passi. «Sembra terribilmente esposta. E se ci fos-
sero dei predoni?» «I predoni di solito non sono intelligenti, lo ammetto», rispose Toc, «ma persino il più stupido dei banditi esiterebbe prima di attaccare tre Seguleh. Il vento che sentite quassù terrà lontani gli insetti mordaci al calar della notte, signora. Non consiglierei di accamparsi in basso, su nessuna prateria». «Mi inchino alla vostra saggezza, ricognitore.» Toc tossì e si raddrizzò per esaminare la zona. «Non vedo i vostri amici a quattro zampe da nessuna parte.» «E neanche il vostro compagno ossuto.» La donna lo guardò con gli occhi sgranati. «Credete che siano incappati in qualche guaio?» Toc la scrutò, perplesso, e non disse nulla. Lei alzò un sopracciglio, poi sorrise. Toc riportò rapidamente l'attenzione sullo zaino. «Meglio che monti le tende», borbottò. «Come vi ho assicurato ieri sera, Toc, i miei servi sono più che capaci di svolgere tali attività mondane. Preferirei di gran lunga che, durante questa grande avventura, voi adottaste un ruolo più importante di quello del semplice manovale.» Lui si fermò. «Volete che assuma pose eroiche davanti al tramonto, Lady Invidia?» «Sarebbe perfetto!» «Non sapevo di esistere per il vostro divertimento.» «Oh, ora siete di nuovo in collera.» La donna si avvicinò, posandogli sulla spalla una mano leggera come un uccellino. «Vi prego, non arrabbiatevi con me. Non posso certo fare conversazioni interessanti con i miei servi, no? E il vostro amico Tool non è un modello di socialità, pieno di brio. E per quanto i miei due cuccioli siano compagni quasi perfetti per il fatto che ascoltano sempre senza mai interrompere, mi manca il sale degli scambi spiritosi. Voi e io, Toc, avremo solo la reciproca compagnia in questo viaggio, e dovremmo stringere un legame d'amicizia.» Fissando le tende ripiegate in fagotti, Toc il Giovane rimase in silenzio per un lungo momento, poi sospirò. «Negli scambi spiritosi sono una schiappa, ahimè, signora. Sono un soldato e poco altro.» Inoltre, ho le cicatrici di un soldato; chi può evitare di trasalire nel vedermi? «La vostra non è modestia, ma falsità, Toc.» Lui sussultò davanti all'acredine del suo tono di voce. «Avete ricevuto un'istruzione di molto superiore a quella dei comuni
soldati di professione. E ho sentito abbastanza delle vostre vivaci conversazioni con il T'lan Imass per apprezzare il vostro spirito. Cos'è quest'improvvisa timidezza? Perché quest'imbarazzo crescente?» La mano non si era mossa dalla sua spalla. «Siete una maga, Lady Invidia, e la magia mi rende nervoso.» La mano si ritrasse. «Capisco. Anzi, no. Il vostro T'lan Imass fu forgiato da un rituale di una potenza che il mondo non vede più da molto tempo, Toc il Giovane. La sua sola spada di pietra è impregnata di virtù straordinarie: non può essere spezzata, nemmeno scalfita, e penetra senza difficoltà le difese incantate. Nessun canale può proteggere da essa. Quando si trova fra le mani di Tool, non scommetterei su nessuna spada avversaria. E quanto a lui stesso, è una specie di campione, no? Fra i T'lan Imass, Tool è qualcosa di unico. Non avete idea del potere - della forza - che possiede. Tool vi rende nervoso, soldato? Non mi pare proprio.» «Be'», sbottò Toc, «è un cumulo di pelle e ossa rinsecchite, no? Tool non si strofina contro di me alla minima opportunità. Non mi lancia sorrisi che mi trapassano il cuore come lance. Non mi deride per il fatto che una volta avevo un viso che non faceva girare la gente dall'altra parte». Lei aveva gli occhi spalancati. «Non vi derido per le vostre cicatrici», replicò sommessamente. Lui guardò con aria torva i tre Seguleh mascherati, immobili. Oh, per Hood, ho combinato un bel pasticcio. State ridendo dietro i vostri camuffamenti, guerrieri? «Le mie scuse, signora», riuscì a dire. «Mi pento delle mie parole...» «Eppure ci credete lo stesso. Benissimo, a quanto pare devo accettare la sfida, allora.» Toc la fissò. «Sfida?» Lei sorrise. «Già. Evidentemente pensate che il mio affetto per voi non sia sincero. Devo sforzarmi di dimostrare il contrario.» «Signora...» «E nei vostri tentativi di respingermi, scoprirete presto che non sarà facile farlo.» «A che scopo, Lady Invidia?» Tutte le mie difese abbattute... per il vostro divertimento? Gli occhi di lei lampeggiarono e Toc conobbe, con certezza, la verità dei suoi pensieri. Il dolore lo trafisse come una lama gelida. Cominciò ad aprire la prima tenda. Arrivarono Garath e Baaljagg, che si misero a saltare intorno a Lady In-
vidia. Un attimo dopo, un turbine di polvere si levò dall'erba ocra a qualche passo da dove stava accovacciato Toc. Apparve Tool, che portava sulla schiena la carcassa di un'antilope; una scrollata di spalle la fece cadere a terra con un tonfo. Toc non vide ferite sull'animale. Probabilmente, l'ha spaventato a morte. «Oh, splendido!» esclamò Lady Invidia. «Stasera ceneremo come principi!» Si volse verso i suoi servi. «Vieni, Senu, dovrai usare le tue abilità di macellaio.» E non sarà la prima volta. «E voialtri due, uhm, che cosa potrei farvi fare? Non potete stare con le mani in mano. Mok, tu monterai la vasca da bagno di pelli; mettila su quella collina laggiù. Lascia stare l'acqua o gli oli profumati; me ne occuperò io. Thurule, tira fuori dal mio bagaglio il mio accappatoio e il corredo da bagno, da bravo.» Toc si accorse che Tool lo guardava. Il ricognitore fece una smorfia beffarda. Il T'lan Imass lo raggiunse. «Possiamo cominciare a fabbricare le frecce, soldato.» «Sì, non appena avrò finito con le tende.» «Benissimo. Radunerò il materiale che abbiamo trovato. Dobbiamo costruire una serie di arnesi.» Nei suoi giorni da soldato, Toc aveva montato abbastanza tende da poter prestare una certa attenzione ai preparativi di Tool mentre lavorava. Il T'lan Imass si inginocchiò accanto all'antilope e, apparentemente senza sforzo, ruppe entrambe le corna vicino alla base. Poi si scostò, fece scivolare dalla spalla la borsa di pelle e allentò i legacci cosicché si aprì sul terreno, rivelando una mezza dozzina di grossi ciottoli di ossidiana raccolti lungo la traversata del vecchio fiume di lava, e un assortimento di pietre di vario tipo provenienti dalla costa oltre la torre Jaghut, insieme a canne rigide e a una coppia di gabbiani morti, ancora legati allo zaino di Toc. Toc osservava sempre con meraviglia - con sbigottimento, quasi - la destrezza delle mani avvizzite, quasi prive di carne, del guerriero non-morto. Mani da artista. Scegliendo uno dei ciottoli di ossidiana, il T'lan Imass raccolse una fra le più grandi pietre della spiaggia e con tre rapidi colpi staccò tre lamelle lunghe, sottili, di vetro vulcanico. Ripetendo l'operazione, creò una serie di scaglie che variavano per spessore e dimensioni. Tool posò la pietra-martello e il nucleo di ossidiana. Passando in rasse-
gna le scaglie, ne scelse una, la strinse nella mano sinistra poi, con la destra, prese una delle corna. Usando come un pugnale la punta del corno, il T'lan Imass cominciò a incidere scaglie minuscole dal bordo della scaglia più grande. Al fianco di Toc il Giovane, Lady Invidia sospirò. «Una maestria straordinaria. Credete che, prima di cominciare a lavorare il metallo, tutti possedessimo simili abilità?» Il ricognitore scrollò le spalle. «Sembra probabile. Secondo alcuni studiosi Malazan, la scoperta del ferro avvenne solo mezzo millennio di anni fa, per i popoli del continente Quon Tali, almeno. Prima, tutti usavano il bronzo. E prima del bronzo, rame e stagno non legati. E prima ancora, perché non la pietra?» «Ah, sapevo che avevate ricevuto un'istruzione, Toc il Giovane. Gli studiosi umani, ahimè, tendono a pensare solo in termini di conquiste umane. Fra le Razze Antiche, la forgiatura dei metalli era alquanto sofisticata. Si praticavano migliorie al ferro; la spada di mio padre ne è un esempio.» Lui grugnì. «La magia. L'impiego del potere. Sostituisce lo sviluppo tecnologico; spesso è un modo per soppiantare il progresso della conoscenza mondana.» «Soldato, avete certo opinioni originali sulla magia. Tuttavia, mi sembra di aver avvertito una nota meccanica nelle vostre parole. Quale studioso amareggiato - un mago fallito, con ogni probabilità - ha esposto queste tesi?» Suo malgrado, Toc sorrise. «E va bene, lo ammetto. Non uno studioso, in realtà, ma un Gran Sacerdote.» «Ah, be', i culti vedono in qualunque sviluppo - magico o mondano una minaccia potenziale. Dovete guardare le vostre fonti con occhio critico, Toc il Giovane, o non farete che ripetere i pregiudizi altrui.» «Parlate proprio come mio padre.» «Avreste dovuto prestare ascolto alla sua saggezza.» Avrei dovuto. Ma non l'ho mai fatto. Lascia l'Impero, disse. Trova un luogo fuori dalla portata della corte, dei comandanti e dell'Artiglio. Cammina a testa bassa, figliolo... Non appena finì di erigere la terza e ultima tenda, Toc raggiunse Tool. A settanta passi da loro, sulla sommità di una collina vicina, Mok aveva montato la vasca da bagno dalla struttura di legno e il rivestimento di pelli. Lady Invidia vi si dirigeva; Thurule marciava al suo fianco con l'accappatoio ripiegato e il corredo da bagno fra le braccia. La lupa e il cane sedeva-
no vicino a Senu che lavorava sull'antilope, gettando loro ogni tanto pezzetti di carne. Tool aveva completato quattro piccoli arnesi di pietra: un coltello dalla punta smussata, una specie di raschietto, grande come un'unghia, una lama a mezzaluna con il bordo interno finemente lavorato e un punteruolo. Rivolse ora l'attenzione alle tre prime lunghe lamelle di ossidiana. Accovacciandosi accanto al T'lan Imass, Toc esaminò i pezzi finiti. «Va bene», esordì, dopo qualche attimo. «Comincio a capire. Questi servono a modellare l'asta e le piume, vero?» Tool annuì. «L'antilope ci fornirà la materia prima. Abbiamo bisogno di budello per legare. E pelli per la faretra e le sue cinghie.» «E questa lama a mezzaluna?» «Le aste di canna vanno livellate.» «Ah, sì. Non avremo bisogno di qualche tipo di collante, o pece?» «In teoria, sì. Dal momento che questa pianura è priva di alberi, però, dovremo arrangiarci con quel che abbiamo. Legheremo le piume con del budello.» «Tu dai l'impressione che forgiare le punte di freccia sia facile, Tool, ma qualcosa mi dice che non lo è.» «Alcune pietre sono sabbia, altre sono acqua. Gli attrezzi taglienti possono essere fatti con la pietra che è acqua; gli attrezzi che schiacciano sono fatti della pietra che è sabbia, ma solo del tipo più duro.» «E io che ho sempre vissuto pensando che la pietra fosse pietra e basta.» «Nella nostra lingua, possediamo molti nomi per la pietra. Nomi che parlano della sua natura, nomi che descrivono la sua funzione, nomi per quel che le è successo e quel che le succederà, nomi per lo spirito che vi abita, nomi...» «Va bene, va bene! Ho capito. Perché non troviamo un altro argomento di conversazione?» «Tipo?» Toc lanciò un'occhiata verso l'altra collina. Solo la testa e le ginocchia di Lady Invidia erano visibili sopra l'intelaiatura della vasca. Il tramonto fiammeggiava alle sue spalle. I due Seguleh, Mok e Thurule, montavano la guardia, il viso rivolto verso l'esterno. «Lei.» «Di Lady Invidia, so poco più di quel che ho già detto.» «È stata... compagna di Anomander Rake?» Tool ricominciò a staccare scaglie sottili, trasparenti, di ossidiana da quella che stava rapidamente assumendo la forma di una punta di freccia
lanceolata. «All'inizio, ci furono altri tre che camminarono insieme, per un po' di tempo. Anomander Rake, Caladan Brood e una maga che infine ascese, diventando la Regina dei Sogni. In seguito a quell'evento, scoppiarono dei tumulti, o così si dice. Il Figlio dell'Oscurità fu raggiunto da Lady Invidia, e dal Soletaken noto con il nome di Osric. Un nuovo terzetto che si mise a camminare insieme. A quel tempo, Caladan Brood scelse un sentiero solitario e non fu più visto in questo mondo per secoli. Quando infine tornò - forse mille anni fa - portava il martello che ancora porta: un'arma della Dea Dormiente.» «E Rake, Invidia e questo Osric... che cosa andavano macchinando?» Il T'lan Imass scrollò le spalle. «Di questo, solo loro potrebbero parlarti. Ci fu un litigio e Osric se ne andò; dove, nessuno lo sa. Anomander Rake e Lady Invidia rimasero compagni. Si dice che si divisero - con molte discussioni - nei giorni prima che gli Ascendenti si riunissero a incatenare il Caduto. Rake partecipò allo sforzo; la signora no. Non so nient'altro di lei, soldato.» «È una maga?» «La risposta ce l'hai davanti agli occhi.» «Ti riferisci all'acqua calda per il bagno apparsa dal nulla.» Tool posò a terra la punta di freccia finita, allungando la mano verso un altro frammento da modellare. «Mi riferisco ai Seguleh, Toc il Giovane.» Il ricognitore grugnì. «Stregati... costretti a servirla... per il respiro di Hood, li ha fatti suoi schiavi!» Il T'lan Imass si fermò per guardarlo. «La cosa ti disturba? Non ci sono schiavi nell'Impero Malazan?» «Sì. Debitori, piccoli criminali, prigionieri di guerra. Ma, Tool, questi sono Seguleh! I guerrieri più temuti su questo continente. Specialmente per il modo in cui attaccano senza il minimo preavviso, per ragioni che solo loro conoscono.» «La loro comunicazione», spiegò Tool, «è principalmente non verbale. Affermano il dominio con il portamento, lievi gesti, l'inclinazione della testa». Toc batté le palpebre. «Davvero? Oh. Allora perché io, nella mia ignoranza, non sono stato abbattuto già da tempo?» «Il tuo disagio in loro presenza esprime sottomissione», rispose il T'lan Imass. «Codardo per natura, ecco cosa sono. Ne deduco, quindi, che tu non mostri alcun... disagio.»
«Io non cedo davanti a nessuno, Toc il Giovane.» Il Malazan rimase in silenzio, riflettendo sulle parole di Tool. Poi disse: «Il fratello maggiore, Mok... la sua maschera reca solo due cicatrici gemelle. Credo di sapere cosa significa, e se ho ragione...». Scosse lentamente la testa. Lo sguardo velato del guerriero non-morto non lasciava il volto del ricognitore. «Il giovane che mi ha sfidato - Senu - era... bravo. Se non avessi anticipato le sue mosse, se non gli avessi impedito di sguainare le spade del tutto, il nostro duello sarebbe potuto durare a lungo.» Toc aggrottò le sopracciglia. «Come puoi sapere quant'era bravo se non ha nemmeno tolto le spade dal fodero?» «Le ha usate lo stesso per parare i miei attacchi.» L'unico occhio di Toc si allargò lentamente. «Li ha parati con le spade sguainate a metà?» «I primi due attacchi, sì, ma non il terzo. Mi basta vedere i movimenti del maggiore, la leggerezza dei suoi passi - la sua grazia - per avvertire la piena portata della sua abilità. Sia Senu sia Thurule lo riconoscono come loro padrone. Ed evidentemente tu credi, per via della maschera, che occupi un rango elevato fra la sua gente.» «È Terzo, credo. Terzo nella gerarchia. Ci dovrebbe essere un leggendario Seguleh con una maschera senza contrassegni. Pura porcellana bianca. Solo che nessuno l'ha mai visto, tranne i Seguleh stessi, presumo. Sono una casta di guerrieri, governata dal campione.» Toc si girò a esaminare i due guerrieri, poi si lanciò un'occhiata alle spalle, verso Senu, ancora chino sull'antilope a meno di dieci passi da lui e da Tool. «Che cosa li avrà portati sul continente dalla loro isola, mi domando?» «Potresti chiederlo al più giovane, Toc.» Il ricognitore sogghignò in direzione di Tool. «In altre parole, sei curioso quanto me. Be', temo di non potermi sporcare le mani al posto tuo, perché sono un suo inferiore. Può darsi che scelga di parlare con me, ma io non posso avviare la conversazione. Se vuoi delle risposte, toccherà a te fare le domande.» Tool posò corno e frammento da modellare, e si alzò con un sommesso acciottolio di ossa. Puntò dritto verso Senu. Toc lo seguì. «Guerriero», chiamò il T'lan Imass. Il Seguleh interruppe l'opera di macello, chinando leggermente la testa. «Che cosa vi ha spinto a lasciare la vostra patria? Che cosa ha portato in questo luogo te e i tuoi fratelli?»
Senu rispose in un dialetto Daru, che suonò leggermente arcaico alle orecchie di Toc. «Noi siamo l'esercito punitivo dei Seguleh, Spada-diPietra.» Se qualcuno diverso da un Seguleh avesse fatto quell'affermazione, Toc sarebbe scoppiato a ridere. Invece, serrò la mascella. Tool sembrava tanto stupito quanto lui, perché solo dopo un lungo momento riprese: «Punitivo. Chi vogliono punire i Seguleh?». «Gli invasori della nostra isola. Uccidiamo tutti quelli che arrivano, ma il flusso non cessa. Il compito è affidato alle nostre Maschere Nere - gli Iniziati di Primo Livello nell'educazione alle armi - perché il nemico giunge disarmato e non è degno di un duello. Ma tale massacro disturba la disciplina dell'addestramento, corrompe la mente e intralcia un'attenzione rigorosa. Si è deciso di andare nella patria di questi invasori, per uccidere colui che manda la sua gente sulla nostra isola. Ti ho dato la tua risposta, Spada-di-Pietra.» «Conosci il nome di questa gente? Il nome che loro si danno?» «Sacerdoti di Pannion. Vengono per convertirci. Noi non siamo interessati, ma loro non ascoltano. E ora proclamano di voler mandare un esercito nella nostra isola. Per mostrare il nostro entusiasmo per tale evento, abbiamo inviato loro molti doni. Loro hanno scelto di sentirsi insultati dal nostro invito alla guerra. Riconosciamo di non capire; ci siamo stancati di discutere con questi Pannion. D'ora in poi, solo le nostre spade parleranno per i Seguleh.» «Però Lady Invidia vi ha intrappolato con i suoi incantesimi.» Toc sentì il respiro fermarglisi in gola. Senu chinò di nuovo la testa, senza dir nulla. «Fortunatamente», proseguì Tool nel suo tono asciutto, privo di inflessioni, «noi siamo ora in viaggio verso il Dominio di Pannion «La decisione ci rallegra», stridette Senu. «Quanti anni sono trascorsi dalla tua nascita, Senu?» chiese il T'lan Imass. «Quattordici, Spada-di-Pietra. Sono un Iniziato di Undicesimo Livello.» Grasso gocciolava sulle fiamme da quadratini di carne infilzato sugli spiedi. Lady Invidia emerse dall'oscurità con il suo seguito appresso. Era avvolta in una veste pesante, color blu notte, che sfiorava l'erba carica di rugiada. I capelli erano raccolti in un'unica treccia. «Che profumo delizioso... sono affamata!»
A Toc non sfuggì che Thurule si girava con noncuranza, alzando le mani guantate; ma egli sguainò le due spade e sferrò il suo attacco turbinoso più velocemente di quanto potesse seguirlo l'occhio del ricognitore. Lampeggiarono scintille quando l'acciaio lucente colpì la selce. Tool fu spinto indietro di una mezza dozzina di passi; una successione di colpi si abbatté sulla sua arma, sfocandone i contorni. I due guerrieri scomparvero nel buio oltre il chiarore rosseggiante del focolare. Lupa e cane abbaiarono, lanciandosi dietro di loro. «Che seccatura!» sbottò Lady Invidia. Scintille esplosero a dieci passi di distanza; la luce era insufficiente perché Toc potesse distinguere più del vago agitarsi di braccia e spalle. Lanciò un'occhiata a Mok e a Senu. Quest'ultimo, ancora accovacciato presso il focolare, si occupava diligentemente della cena. Il maggiore dalla cicatrice gemella stava immobile a guardare il duello; anche se pareva improbabile che potesse vedere meglio di Toc. Forse non ne ha bisogno... Un'altra pioggia di scintille attraversò la notte. Lady Invidia soffocò un risolino, una mano premuta sulla bocca. «Ne deduco che siete in grado di vedere al buio, signora», mormorò Toc. «Oh sì. Questo è un duello straordinario; non ho mai... No, è più complicato di così. Un vecchio ricordo, liberato quando voi avete riconosciuto costoro come Seguleh. Una volta, Anomander Rake incrociò la spada con una ventina di Seguleh, uno dopo l'altro. Si era recato sull'isola senza preavviso e senza sapere nulla dei suoi abitanti. Assunse forma umana, si fabbricò una maschera e scelse di camminare lungo la principale via della città. Essendo naturalmente arrogante, non mostrò alcuna deferenza a chi incontrava sulla sua strada...» Un altro cozzo illuminò la notte, seguito da un grugnito robusto, sonoro. Poi le spade si scontrarono di nuovo. «Due campane. Tanto durò l'intera visita di Rake all'isola e alla sua gente. Descrisse la violenza di quel breve periodo, e la spossatezza e lo sgomento che lo spinsero a ritirarsi nel suo canale, non foss'altro che per rallentare il martellio del suo cuore.» Una voce nuova, aspra e fredda, parlò. «Spada Nera.» Girandosi, videro Mok che li guardava. «Sono passati secoli», dichiarò Lady Invidia. «Il ricordo degli avversari degni non sbiadisce fra i Seguleh, padrona.» «Rake disse che l'ultimo spadaccino che affrontò portava una maschera
con sette simboli.» Mok inclinò la testa. «Quella maschera lo aspetta ancora. A Spada Nera spetta la Settima Posizione. Deve rivendicarla, padrona.» Lei sorrise. «Forse presto potrai estendergli l'invito di persona.» «Non è un invito, padrona. È una richiesta.» Lady Invidia fece una risata dolce, a piena gola. «Caro servo, non esiste nessuno che il Signore dell'Oscurità non incontri con occhio fermo e risoluto. Consideralo un avvertimento.» «Allora le nostre spade si incroceranno, padrona. Lui è il Settimo. Io sono il Terzo.» Le braccia incrociate, lei lo rimbeccò: «Oh, davvero! Lo sai dove sono finiti quei venti Seguleh quando lui li ha uccisi... compreso il Settimo? Incatenati nella spada Dragnipur, ecco dove. Per l'eternità. Vuoi veramente raggiungerli, Mok?». Dal buio oltre il focolare venne un altro forte tonfo, poi il silenzio. «I Seguleh che muoiono falliscono», ribatté Mok. «Non dedichiamo pensieri ai falliti.» «E questo», chiese sommessamente Toc, «vale anche per tuo fratello?». Tool era riapparso; nella mano sinistra reggeva la spada di selce, con la destra trascinava Thurule per il colletto. La testa del Seguleh ballonzolava. Cane e lupa li seguivano scodinzolando. «Hai ucciso il mio servo, T'lan Imass?» indagò Lady Invidia. «No», rispose Tool. «Ha un polso e delle costole rotte, e ha preso qualche colpo in testa. Credo che si riprenderà, prima o poi.» «Be', così non va, temo. Portalo qui, per favore. Da me.» «Non deve essere guarito magicamente», decretò Mok. A quel punto, la signora perse la pazienza. Si girò di scatto, e da lei uscì un'ondata di potere argenteo che colpì Mok; il guerriero schizzò in aria, atterrando con un tonfo violento. Lo sguardo fiammeggiante svanì. «I servi non mi danno ordini! Ti ricordo qual è il tuo posto, Mok; spero che una volta basti.» Riportò l'attenzione su Thurule. «Lo guarirò. Dopo tutto», continuò in tono più calmo, «come ogni donna di cultura sa, in fatto di servi tre è il minimo assoluto». Posò una mano sul petto del Seguleh, che gemette. Toc lanciò un'occhiata a Tool. «Per il respiro di Hood, sei tutto tagliato!» «È molto tempo che non affronto un nemico così valido», spiegò il T'lan Imass. «Un compito reso più impegnativo dal fatto che ho usato il piatto
della spada.» Mok si stava rialzando lentamente. Alle ultime parole del T'lan Imass, impietrì, poi si girò a guardare il guerriero non-morto. Che io sia dannato, Tool, hai dato da pensare al Terzo. «Stasera non ci saranno più duelli» sentenziò Lady Invidia con voce severa. «La prossima volta non metterò freno alla mia ira.» Mok distolse con noncuranza lo sguardo dal T'lan Imass. Raddrizzandosi, Lady Invidia sospirò. «Thurule sta bene. Sono quasi stanca! Senu, caro, tira fuori piatti e utensili. E il rosso di Elin. Ci vuole un bel pasto tranquillo, direi.» Lanciò un sorriso a Toc. «E conversazione spiritosa, eh?» Stavolta, fu Toc a gemere. I tre cavalieri tirarono le redini, fermandosi in cima alla collinetta. Whiskeyjack girò il cavallo verso Pale e stette per un po' a fissare la città, i muscoli della mascella scossi da uno spasmo convulso. Ben lo Svelto non parlava, ma guardava il comandante dalla barba grigia, il suo vecchio amico, con piena comprensione. Su questa collina siamo venuti a riprendere Hairlock. C'erano pile di armature vuote - per gli dei, sono ancora qui, a marcire in mezzo all'erba - e la maga Tattersail, l'ultima superstite del suo quadro. Eravamo appena usciti dai tunnel crollati, lasciando centinaia di fratelli e sorelle sepolti alle nostre spalle. Bruciavamo di rabbia... bruciavamo della consapevolezza del tradimento. Qui... su questa collina devastata dalla magia, eravamo pronti a commettere un omicidio. Un omicidio a sangue freddo... Il mago lanciò un'occhiata a Mallet. Il guaritore teneva i piccoli occhi stretti su Whiskeyjack, e Ben lo Svelto capì che anche lui riviveva ricordi amari. Non possiamo seppellire la storia delle nostre vite. Unghie gialle e dita ossute spuntano dal terreno ai nostri piedi e ci afferrano saldamente. «Rapporto», ruggì Whiskeyjack, gli occhi grigi sul cielo vuoto sopra la città. Mallet si schiarì la gola. «Chi comincia?» Il comandante girò la testa verso il guaritore. «Bene», rispose Mallet. «Il... morbo di Paran. La sua carne mortale è macchiata dal sangue e da luoghi appartenenti ad Ascendenti ma, come vi dirà Ben lo Svelto, nessuna delle due impronte dovrebbe manifestarsi come malattia. No, quel sangue, e quei luoghi, sono come spinte giù per un corridoio.»
«E lui continua a tornare indietro», aggiunse Ben lo Svelto. «Tenta di scappare. E più ci prova...» «Peggio sta», terminò Mallet. Riportando gli occhi su Pale, Whiskeyjack fece una smorfia ironica. «L'ultima volta che sono stato su questa collina ho dovuto ascoltare Ben e Kalam che finivano le rispettive frasi. A quanto pare, è cambiato meno di quanto pensassi. Il capitano stesso è un Ascendente?» «Ci è molto vicino», riconobbe il mago. E, inutile dirlo, la cosa è preoccupante. Ma lo sarebbe ancora di più se Paran... lo volesse. Del resto, chi sa quali ambizioni si nascondono dietro quel viso riluttante? «Che cosa pensate voi due della sua storia sui Segugi e la spada di Rake?» «È inquietante», replicò Mallet. «Questo è un eufemismo», dichiarò Ben lo Svelto. «È spaventosa.» Whiskeyjack lo guardò con aria torva. «Perché?» «Dragnipur non è la spada di Rake... nel senso che non è stato lui a forgiarla. Quanto ne sa, quel bastardo? Quanto dovrebbe saperne? E, in nome di Hood, dove sono andati quei Segugi? Ovunque siano, Paran ha un legame di sangue con uno di loro.» «Il che lo rende... imprevedibile», intervenne Mallet. «Cosa c'è in fondo a questo corridoio di cui parlavi?» «Non lo so.» «E io nemmeno», ammise Ben lo Svelto, con rincrescimento. «Ma credo che dovremmo aggiungere qualche spinta da parte nostra; non foss'altro che per salvare Paran da se stesso.» «E come potremmo fare?» Il mago sogghignò. «Abbiamo già cominciato, comandante: mettendolo in contatto con Volpe d'Argento. Lei lo legge come Tattersail leggeva il Mazzo dei Draghi; vede più cose ogni volta che gli posa gli occhi addosso.» «Forse sono solo i ricordi di Tattersail... che lo mettono a nudo», osservò Mallet. «Bella battuta», commentò Whiskeyjack con enfasi. «Volpe d'Argento scava nella sua anima; ma non c'è garanzia che condivida le sue scoperte con noi, no?» «Se i caratteri di Tattersail e Nightchill assumono il comando...» «Niente contro la prima, ma Nightchill...» Whiskeyjack scosse la testa. «Era un brutto tipo», convenne Ben lo Svelto. «Con un'aura di mistero
intorno. Però, era una Malazan...» «Di cui sappiamo molto poco», ruggì il comandante. «Fredda. Remota.» «Qual era il suo canale?» chiese Mallet. «Rashan, per quanto ho potuto intuire», rivelò amaramente Ben lo Svelto. «L'Oscurità.» «Si tratta di conoscenza alla quale Volpe d'Argento può attingere, allora», proseguì il guaritore, dopo un attimo. «Istintivamente, forse, a frammenti... non è sopravvissuto molto di Nightchill, mi sembra di capire.» «Ne sei sicuro, mago?» domandò Whiskeyjack. «No.» Riguardo a Nightchill, sono meno sicuro di quanto dia a intendere. Ci sono state altre Nightchill... molto prima dell'Impero Malazan. Nella Prima Era delle Guerre Nathilog. Nella Liberazione di Karakarang, a Sette Città, nove secoli fa. Nei Seti e nella loro espulsione da Fenn, a Quon Tali, quasi duemila anni fa. Una donna, una maga, di nome Nightchill, più e più volte. Se è la stessa... Il comandante si agitò sulla sella e sputò a terra. «Questa storia non mi piace.» Il mago e il guaritore non aprirono bocca. Gli direi di Burn... ma se è preoccupato adesso, come reagirà alla notizia che la fine del mondo è prossima? No, Ben lo Svelto, tienila per te, e sii pronto a muoverti quando verrà il momento... Il Dio Storpio ha dichiarato guerra agli dei, ai canali, a tutto quanto e a tutti quanti noi. Bene, o Caduto, ma questo significa che dovrai dimostrarti più furbo di me. Dimentica gli dei e i loro giochi maldestri, fra non molto ti legherò le mani... Passarono momenti; sotto gli uomini, i cavalli stavano immobili, tranne che per gli scatti della coda e i guizzi di mantello e orecchie, destinati a scacciare le mosche mordaci. «Continuate a guidare Paran nella direzione giusta», concluse infine Whiskeyjack. «Spingete non appena si presenta l'occasione. Ben lo Svelto, scopri tutto quello che puoi su Nightchill; attraverso qualunque fonte. Mallet, tu spiega a Spindle di Paran; voglio che tutti e tre stiate abbastanza vicino al capitano da contargli i peli del naso.» Raccolse le redini e girò il cavallo. «Torniamo indietro; il contingente di Darujhistan dovrebbe raggiungere Brood da un momento all'altro.» Si allontanarono al piccolo galoppo dalla collina e dalle sue vestigia in rovina, lasciando le mosche a ronzare sulla cima, senza più vittime.
Whiskeyjack tirò le redini davanti alla tenda allestita per Dujek Unbraccio; il suo cavallo ansimava pesantemente per la lunga corsa attraverso l'accampamento degli Arsori di Ponti, dove l'uomo aveva lasciato Ben lo Svelto e Mallet, fino al campo disordinato di Brood. Whiskeyjack si calò giù dalla sella e trasalì nell'appoggiarsi alla gamba malata. Comparve l'alfiere Artanthos. «Datemi le redini, comandante», esordì il giovane. «Questa bestia ha bisogno di cure.» «Non è la sola», borbottò Whiskeyjack. «Un-braccio è dentro?» «Sì. Vi aspetta.» Senza un'altra parola, il comandante entrò nella tenda. «Era ora, dannazione», ruggì Dujek dalla sua branda, e si mise a sedere con un grugnito. «Versaci della birra; là, sul tavolo. Trovati una sedia. Hai fame?» «No.» «Io nemmeno. Beviamo.» Nessuno dei due parlò, mentre Whiskeyjack trascinava una sedia e versava la birra. E il silenzio continuò finché entrambi non finirono i primi boccali e il comandante non li riempì ancora dalla brocca. «La Progenie della Luna», attaccò Dujek, dopo essersi asciugato le labbra e aver allungato la mano di nuovo verso il boccale. «Se siamo fortunati, la vedremo di nuovo, ma non finché non arriveremo a Coral, o anche dopo. Anomander Rake ha accettato di far sentire il suo peso - e quello della Luna - nella lotta contro questo Dominio di Pannion. Perché? Non si sa. Forse gli piace fare la guerra e basta.» Whiskeyjack aggrottò le sopracciglia. «A Pale, mi ha dato l'impressione di combattere con riluttanza, Dujek.» «Solo perché i suoi Tiste Andii erano occupati altrove. E meno male, altrimenti saremmo stati annientati.» «Probabilmente hai ragione. A quanto pare, stiamo radunando una moltitudine di forze per attaccare un impero di fanatici, neanche tanto grande. Lo so, il Dominio puzza e l'ha sempre fatto, e qualcosa bolle in pentola. Tuttavia...» «Sì.» Dopo un attimo, Dujek scrollò le spalle. «Vedremo quel che vedremo. Hai parlato con l'Ardito?» Whiskeyjack annuì. «Concorda che i suoi stormi dovrebbero rimanere invisibili; meglio non rifornire le nostre forze in marcia, se è possibile. Ha mandato ricognitori a cercare un luogo strategico presso il confine con il Dominio; nascosto ma abbastanza vicino per poter colpire quando sarà il
momento.» «Bene. E il nostro esercito è pronto a lasciare Pale?» «Prontissimo. Rimane il problema dei rifornimenti lungo la marcia.» «Ne parleremo quando arriveranno gli inviati di Darujhistan. Ora, Volpe d'Argento...» «Difficile fare commenti, Dujek. Il Raduno dei T'lan Imass è preoccupante, specialmente perché lei sostiene che avremo bisogno di tutti quei guerrieri non-morti per combattere contro il Dominio di Pannion. Gran Pugno, non sappiamo abbastanza del nostro nemico.» «Questo cambierà... hai ordinato a Ben lo Svelto di prendere contatto con quella compagnia mercenaria di Capustan?» «Ha architettato qualcosa. Vedremo se abboccano all'esca.» «Per tornare a Volpe d'Argento, Whiskeyjack. Tattersail era un'alleata sicura... un'amica...» «È lì, nella bambina Rhivi. Paran e lei hanno... parlato.» L'uomo rimase in silenzio per un attimo, poi sospirò, gli occhi sul boccale fra le sue mani. «Ci sono cose che devono ancora svelarsi; per cui non ci resta che aspettare e vedere.» «Una creatura che divora il genitore a quel modo...» «Sì, ma quando mai i T'lan Imass hanno mostrato un'ombra di compassione? Sono non-morti, senz'anima e, ammettiamolo, ex alleati o no, francamente orripilanti. Stavano al guinzaglio dell'Imperatore, e di nessun altro. Combattere al loro fianco a Sette Città non è stata un'esperienza tale da metterci a nostro agio; lo sappiamo entrambi, Dujek.» «Le alleanze di convenienza vanno sempre a braccetto con il disagio», borbottò il Gran Pugno. «E ora sono tornati, ma al guinzaglio di una bambina...» Whiskeyjack grugnì. «È un'osservazione curiosa la tua, ma capisco cosa vuoi dire. Kellanved mostrò... controllo con i T'lan Imass, minimizzando il pasticcio di Aren. Mentre una bambina, nata da anime devastate dentro al canale Tellann, che acquisisce un tale potere...» «E quanti bambini hai incontrato capaci di controllo? La saggezza di Tattersail deve prendere il ruolo dominante, e presto.» «Faremo tutto il possibile, Dujek.» Il vecchio sospirò, annuendo. «Che impressione hai dei nostri nuovi alleati?» «La perdita della Guardia Cremisi è un brutto colpo», rispose Whiskeyjack. «Un'accozzaglia di scagnozzi e di mercenari di dubbio valore al suo
posto significa una caduta di qualità. Gli Irregolari di Mott sono i migliori della combriccola, ma non è dir molto. I Rhivi e i Barghast sono abbastanza solidi, come sappiamo entrambi, e i Tiste Andii non hanno eguali. Tuttavia, Brood ha bisogno di noi. Un gran bisogno.» «Forse più di quanto noi abbiamo bisogno di lui e delle sue forze, sì», convenne Dujek. «In una guerra normale, almeno.» «Rake e la Progenie della Luna sono i veri dadi truccati di Brood. Gran Pugno, con i T'lan Imass ad appoggiare la nostra causa, non vedo forza su questo continente, o su qualunque altro, che potrebbe starci alla pari. Hood lo sa, potremmo annettere metà continente...» «Davvero?» Dujek fece un sogghigno amaro. «Seppellisci quel pensiero, vecchio amico, seppelliscilo tanto a fondo che non possa più vedere la luce del giorno. Stiamo per andare a infilzare un tiranno; del dopo dovremo parlare in un altro momento. Adesso, camminiamo tutti sul bordo di una buca letale.» «Sì. Kallor.» «Kallor.» «Cercherà di uccidere la bambina», dichiarò Whiskeyjack. «No», ribatté Dujek. «Se ci prova, Brood gli salterà addosso.» L'uomo dal braccio solo si chinò in avanti con il boccale, e Whiskeyjack lo riempì. Riappoggiandosi allo schienale, il Gran Pugno scrutò il comandante, poi disse: «Caladan Brood è il vero dado truccato, vecchio amico. Ho letto delle sue imprese presso Laederon, nelle Storie di Nathilog. Per il respiro di Hood, non bisogna irritarlo; alleati o nemici, per lui non fa differenza quando si scatena la sua collera. Anomander Rake, almeno, ha un potere freddo, rigido. L'Alto Comandante è diverso. Quel suo martello... si dice che sia l'unica cosa che può svegliare Burn. Se lo picchi contro il terreno abbastanza violentemente, la dea aprirà gli occhi. E la verità è che, se Brood non avesse la forza per farlo, non porterebbe il martello con sé». Whiskeyjack ci pensò sopra per un po', poi osservò: «Dobbiamo sperare che Brood continui a proteggere la bambina». «Kallor cercherà di fargli cambiare idea», asserì Dujek, «a parole, piuttosto che con la spada. Potrebbe anche cercare l'appoggio di Rake». Il comandante lanciò un'occhiata al Gran Pugno. «Kallor ti ha fatto visita?» «Sì, e quel bastardo sa essere molto convincente. Al punto di nascondere la sua ostilità nei tuoi confronti. Erano secoli che non lo colpivano fisicamente, ha detto; e ha anche detto che se l'era meritato.»
«Generoso da parte sua», bofonchiò Whiskeyjack. Quando è politicamente vantaggioso. «Non rimarrò con le mani in mano se viene aggredita una bambina», aggiunse, con voce fredda. «Quale che sia il potere o il potenziale che racchiude.» Dujek alzò lo sguardo. «Sfidando i miei ordini, dovessi darne?» «Ci conosciamo da molto tempo, Dujek.» «Sì. Siamo ostinati.» «Nelle cose che contano.» I due uomini rimasero zitti per un po', poi il Gran Pugno distolse lo sguardo con un sospiro. «Dovrei degradarti di nuovo a sergente.» Whiskeyjack scoppiò a ridere. «Versami altra birra», ruggì Dujek. «Stanno arrivando gli inviati di Darujhistan, e voglio accoglierli con la dovuta allegrezza.» «E se Kallor avesse ragione?» La Mhybe strinse gli occhi. «Allora, Alto Comandante, dovreste ordinargli di uccidere anche me insieme a mia figlia.» L'ampia, piatta fronte di Caladan Brood s'increspò, mentre egli guardava la donna con aria torva. «Mi ricordo di te, sai. Eri fra le tribù quando facevamo le campagne al nord. Giovane, bella, ardente. Vederti - vedere quello che ti ha fatto la bambina - mi provoca dolore, donna.» «Il mio è ancora più grande, ve l'assicuro, Alto Comandante, eppure scelgo di accettarlo...» «Tua figlia ti sta uccidendo... perché?» La Mhybe lanciò un'occhiata a Korlat. La Tiste Andii aveva l'aria sconvolta. L'aria nella tenda era opprimente, le correnti intorno a loro umide, grevi. Dopo un attimo, la vecchia riportò lo sguardo su Caladan Brood. «Volpe d'Argento appartiene al canale Tellann dei T'lan Imass, Alto Comandante. Loro non hanno forza vitale da darle. Sono suoi parenti, ma non possono offrirle sostentamento, perché sono non-morti, mentre la loro figlia è in carne e ossa. Anche Tattersail è morta; e Nightchill pure. La parentela è più importante di quanto possiate pensare. I legami di sangue sono la rete che sostiene ognuno di noi; costituiscono il traliccio su cui si arrampica una vita, dalla nascita all'infanzia, e dall'infanzia all'età adulta. Senza queste forze vitali, si avvizzisce e si muore. Essere soli è essere malati, Alto Comandante, non solo spiritualmente, ma anche fisicamente. Io sono la rete di mia figlia, e in questo sono sola...» Brood scuoteva la testa. «La vostra spiegazione non giustifica la sua...
impazienza, Mhybe. La bambina sostiene che comanderà i T'lan Imass. Sostiene che essi hanno sentito il suo richiamo. Ciò significa, a sua volta, che gli eserciti di non-morti l'hanno già accettata... o no?» Korlat prese la parola. «Alto Comandante, credete che Volpe d'Argento cerchi di affrettare la propria crescita per poter confermare la sua autorità quando si troverà faccia a faccia con i T'lan Imass? Gli eserciti di nonmorti rifiuteranno un capo bambino... è questa la vostra convinzione?» «Sto cercando la ragione per ciò che sta facendo a sua madre, Korlat», disse Brood, con espressione afflitta. «Può darsi benissimo che abbiate ragione, Alto Comandante», convenne la Mhybe. «Carne e ossa possono racchiudere solo una certa quantità di potere; il limite è sempre finito. Esseri come voi e Anomander Rake - e anche tu, Korlat - possiedono i secoli di vita necessari a contenere l'entità del loro comando. Volpe d'Argento no; o meglio, i suoi ricordi le dicono di sì, ma il suo corpo di bambina nega quei ricordi. L'attende un grande potere e per poterlo gestire appieno dev'essere una donna adulta; e anche così...» «L'ascendenza nasce dall'esperienza», riassunse Korlat. «Un'idea interessante, Mhybe.» «E l'esperienza... mitiga», aggiunse la donna Rhivi. «Per cui, ecco cosa teme Kallor», bofonchiò Brood, alzandosi dalla sua sedia con un sospiro di ansia. «Il potere non mitigato.» «Può essere», osservò sommessamente Korlat, «che Kallor stesso sia la causa dell'impazienza della bambina; vuole diventare donna per alleviare le sue paure». «Dubito che apprezzerebbe l'ironia della cosa», borbottò l'Alto Comandante. «Alleviare le sue paure, hai detto? A ben pensarci, probabilmente sa che prima o poi dovrà difendersi contro di lui...» «Fra di loro aleggia un segreto», mormorò Korlat. Cadde il silenzio. Tutti sapevano che era vero, e tutti erano inquieti. Una delle anime all'interno di Volpe d'Argento aveva incrociato il sentiero di Kallor in passato. Tattersail, Bellurdan o Nightchill. Dopo un lungo momento, Brood si schiarì la gola. «Esperienze di vita... la bambina ne possiede, no, Mhybe? I tre maghi Malazan...» La Mhybe fece un sorriso stanco. «Un Thelomen, due donne e io stessa: un padre e tre madri recalcitranti per la stessa figlia. La presenza del padre sembra così debole che comincio a sospettare esista solo come ricordo di Nightchill. Quanto alle due donne, sto cercando di scoprire chi fossero, e
ciò che ho saputo finora - di Tattersail - mi reca conforto.» «E Nightchill?» chiese Korlat. «Non fu uccisa da Rake, qui a Pale?» intervenne Brood. «No, Nightchill fu vittima di un'imboscata, tradita dal Grande Mago Tayschrenn», spiegò la Tiste Andii. «Siamo stati informati», aggiunse, asciutta, «che da allora Tayschrenn è tornato fra le braccia dell'Imperatrice». Korlat si volse di nuovo verso la Mhybe. «Che cosa hai saputo di lei?» «Ho visto lampi di oscurità in Volpe d'Argento», rispose la Rhivi con riluttanza, «che attribuirei a Nightchill. Un fermento di rabbia, una sete di vendetta, forse contro Tayschrenn. A un certo punto, forse presto, ci sarà uno scontro fra Tattersail e Nightchill; la vincitrice dominerà la natura di mia figlia». Brood rimase zitto per qualche secondo, poi chiese: «Cosa possiamo fare per aiutare questa Tattersail?». «I Malazan cercano di fare proprio questo, Alto Comandante. Molto dipende dai loro sforzi. Dobbiamo avere fiducia in loro; in Whiskeyjack e nel capitano Paran, che un tempo era l'amante di Tattersail.» «Ho parlato con Whiskeyjack», rivelò Korlat. «Possiede un'incrollabile integrità, Alto Comandante. Un uomo retto.» «Sento il tuo cuore in queste parole», osservò Brood. Korlat scrollò le spalle. «Un motivo in meno per dubitare di me, allora, Caladan. Non mostro avventatezza in simili questioni.» L'Alto Comandante grugnì. «Non oso fare un altro passo in quella direzione», dichiarò seccamente. «Mhybe, sta' vicina a tua figlia. Se dovessi veder emergere lo spirito di Nightchill e decadere quello di Tattersail, informami subito.» E se ciò dovesse accadere, dicendotelo decreterei la morte di mia figlia. «I miei pensieri in proposito», continuò Brood, gli occhi sottili fissi su di lei, «non sono ancora definiti. Una simile circostanza potrebbe anche spingermi a sostenere direttamente i Malazan nei loro sforzi per conto di Tattersail». La Mhybe alzò le sopracciglia. «E come esattamente, Alto Comandante?» «Abbi fiducia in me», disse Brood. La donna Rhivi sospirò, poi annuì. «Benissimo. Vi informerò.» Il lembo della tenda si scostò ed entrò Hurlochel, l'alfiere di Brood. «Alto Comandante», annunciò, «il contingente di Darujhistan si avvicina al
nostro campo». «Andiamo loro incontro, allora.» Il vetturino incappucciato sembrava essersi addormentato al momento dell'arrivo. L'enorme doppia porta della carrozza riccamente ornata si aprì dall'interno ed emerse un piede infilato in una pantofola blu. Schierati a semicerchio davanti alla carrozza e alla sua colonna di sei cavalli ingioiellati c'erano i rappresentanti dei due eserciti alleati: Dujek, Whiskeyjack, L'Ardito e il capitano Paran alla sinistra, e Caladan Brood, Kallor, Korlat, Volpe d'Argento e la Mhybe alla destra. Gli eventi della notte appena trascorsa avevano lasciato esausta la matrona Rhivi e il colloquio con Brood aveva aggiunto altri motivi di stanchezza: il forte riserbo davanti alle dure domande dell'Alto Comandante era stato arduo da mantenere ma, sentiva, necessario. L'incontro di sua figlia con Paran era stato molto più teso e confuso di quanto lei non avesse lasciato intendere a Brood. Né le ore passate nel frattempo avevano diminuito la difficoltà della situazione. Peggio ancora, forse la riunione aveva scatenato qualcosa in Volpe d'Argento: da allora, la bambina aveva attinto pesantemente alle energie della Mhybe, strappando anni su anni alla sua vita già consumata. C'è Tattersail dietro alla richiesta febbrile del mio spirito vitale? Oppure Nightchill? La cosa finirà presto. Aspetto con ansia la liberazione dell'abbraccio di Hood. Volpe d'Argento ha degli alleati, adesso. Faranno ciò che è necessario, ne sono sicura... spiriti dei Rhivi, vi prego, datemene la certezza. Il mio tempo dovrebbe essere finito, eppure coloro che mi circondano continuano a impormi richieste. No, non posso continuare così... Il piede nella pantofola sondò delicatamente l'aria e scese a terra ondeggiando. Seguirono un polpaccio, un ginocchio e una coscia grassocci. L'uomo basso, rotondetto che apparve indossava sete di ogni colore, con effetto violentemente disarmonico. Un fazzoletto cremisi brillante, stretto in una mano paffuta, si alzò a tamponare una fronte luccicante. Quando entrambi i piedi toccarono finalmente il suolo, il Daru emise un sonoro sospiro. «Per il cuore ardente di Burn, che caldo!» Caladan Brood fece un passo avanti. «Gli eserciti della liberazione ti danno il benvenuto, rappresentante della Città di Darujhistan. Io sono Caladan Brood, e questo è Dujek Un-braccio.» L'uomo basso e rotondetto batté gli occhi miopi, si asciugò di nuovo la fronte, poi fece un largo sorriso. «Rappresentante della Città di Darujhi-
stan? Invero! Nessuno meglio di lui, dice Kruppe, anche se egli è un umile, banale cittadino che la curiosità ha spinto a gettare occhi benevoli su questa occasione straordinaria! Kruppe è naturalmente onorato dal vostro benvenuto formale, anzi rispettoso; quale grande pompa, si chiede, dispiegherete voi formidabili guerrieri nell'accogliere i rappresentanti ufficiali del Consiglio di Darujhistan? Quell'ora di imminente magnificenza fa battere il cuore di Kruppe dall'ansia! Ecco, guardate a sud: la carrozza dei consiglieri si sta avvicinando!» Il chiocciolio di un Grande Corvo si riversò nel silenzio che seguì alla dichiarazione dell'uomo. Malgrado le sue molteplici, agitate emozioni, la Mhybe sorrise. Oh sì, certo: conosco quest'uomo. Avanzò di un passo, incapace di trattenersi nel dire: «Sono stata nei vostri sogni, signore». Kruppe la fissò, spalancando gli occhi allarmato. Si asciugò la fronte. «Mia cara, anche se tutto è possibile...» Crone chiocciò un'altra volta. «Allora ero più giovane», aggiunse la Mhybe. «E incinta. Eravamo in compagnia di un Divinatore... e di un Dio Antico.» Sul viso rotondo, arrossato di Kruppe si dipinse un lampo di riconoscimento, seguito dalla costernazione. Per una volta, egli sembrò senza parole. Tenne lo sguardo sulla donna ancora per un attimo, poi lo fece cadere sulla bambina al suo fianco. La Mhybe vide i suoi occhi stringersi. Ha avvertito come stanno le cose fra noi. Immediatamente. Come? E com'è che sono certa della verità della mia convinzione? Quant'è profondo questo legame? Caladan Brood si schiarì la voce. «Benvenuto, cittadino Kruppe. Siamo ora consapevoli degli eventi che circondano la nascita della bambina, Volpe d'Argento. Voi, allora, siete il mortale coinvolto. L'identità di questo Dio Antico, tuttavia, ci rimane ignota. Di chi si tratta? La risposta a quella domanda potrebbe avere grande influenza sui nostri... rapporti con la bambina.» Kruppe sbatté le palpebre. Si toccò con il fazzoletto di seta la carne flaccida sotto il mento. «Kruppe capisce. Davvero. Un'improvvisa tensione permea questa riunione, vero? Il dio in questione. Sì, uhm. Ambivalenza, incertezza, tutte cose che Kruppe di Darujhistan aborrisce... forse; o forse no.» Si lanciò un'occhiata alle spalle, verso la carrozza della delegazione ufficiale, poi si asciugò nuovamente la fronte. «Risposte affrettate potrebbero fuorviare, anzi, dare l'impressione completamente sbagliata. Oh, che
fare?» «Maledizione!» Il grido venne dal vetturino dell'altra carrozza, altrettanto abbondantemente decorata. «Kruppe! Che ci fai qui, in nome di Hood?» L'uomo vestito di seta si girò, tentando un inchino profondo che, malgrado il suo scarso successo, riuscì comunque a sembrare elegante. «Caro amico Murillio. Questa tua nuova professione è un balzo in avanti nel mondo, o forse solo uno scarto laterale? Kruppe era ignaro del tuo ovvio talento nel condurre muli...» Il vetturino lo guardò con aria torva. «I cavalli scelti del Consiglio sono inspiegabilmente scomparsi appena prima della nostra partenza. Cavalli decisamente simili a quelli che tu e Meese sembrate aver acquisito, se mi è lecito aggiungerlo.» «Una coincidenza straordinaria, amico Murillio.» La porta della carrozza si aprì e uscì un uomo dalle spalle larghe e i capelli radi. Si diresse verso Kruppe; il volto dai lineamenti marcati era cupo di rabbia. Il cittadino basso, rotondetto allargò le braccia, arretrando involontariamente. «Carissimo amico e compagno di una vita. Benvenuto, consigliere Coll. E chi viene dietro di te? Ma nientemeno che il consigliere Estraysian D'Arie! Così tutti i rappresentanti cruciali della bella Darujhistan sono qui riuniti!» «E tu non c'entri, Kruppe», ringhiò Coll, senza smettere di avanzare verso l'uomo che ora tornava verso la sua carrozza. «Ti sbagli, amico Coll! Sono qui come rappresentante di Padron Baruk...» Coll si fermò, incrociando le braccia robuste. «Oh, davvero? L'alchimista ti ha mandato al suo posto, allora?» «Be', senza tante parole, naturalmente. L'amicizia fra Baruk e me è così intima che le parole sono spesso inutili...» «Basta, Kruppe.» Coll si volse verso Caladan Brood. «Le mie più profonde scuse, Alto Comandante. Io sono Coll, e questo gentiluomo al mio fianco è Estraysian D'Arie. Siamo qui per conto del Consiglio Governativo di Darujhistan. La presenza di questo... questo Kruppe... non era voluta, e in realtà non è nemmeno gradita. Se potete concedermi un momento, lo manderò via.» «Ahimè, sembra che avremo bisogno di lui», replicò Brood. «State certo che vi spiegherò. Per ora, tuttavia, forse dovremmo riunirci nella mia tenda di comando.»
Coll scoccò a Kruppe un'occhiata assassina. «Che scandalose menzogne hai raccontato?» L'uomo rotondetto assunse un'aria offesa. «Kruppe e la verità sono compagni da una vita, amico Coll! Un matrimonio beato e benedetto; soltanto ieri la signora della sincerità e io abbiamo celebrato il nostro quarantesimo anniversario. Kruppe è assolutamente necessario: in tutte le cose, in tutti i momenti e in tutti i luoghi! È una responsabilità che Kruppe deve accettare, per quanto umilmente...» Con un ringhio sommesso, Coll alzò una mano per schiaffeggiarlo. Estraysian D'Arie fece un passo avanti, toccandogli la spalla. «Sta' calmo», mormorò il consigliere. «È evidente a tutti che Kruppe non parla che per Kruppe stesso. Non siamo responsabili per lui. Se in verità deve dimostrarsi utile, il compito di fare una buona impressione spetta a lui, e a lui soltanto.» «E una buona impressione farò!» esclamò Kruppe, e proruppe improvvisamente in un altro gran sorriso. Crone scese a saltellare verso Kruppe. «Voi, signore, sareste dovuto essere un Grande Corvo!» «E tu un cane!» gridò lui di rimando. Crone si fermò e vacillò per un attimo, le ali aperte a metà. Inclinando la testa, sussurrò: «Un cane?». «Solo perché io potessi farti una grattatina dietro le orecchie, mia cara!» «Una grattatina? Una grattatina!» «Benissimo, non un cane. Un pappagallo?» «Un pappagallo!» «Perfetto!» «Basta!» ruggì Brood. «Venite con me, tutti quanti!» Si girò di scatto, dirigendosi a passo pesante verso l'insediamento Tiste Andii. Bastò un'occhiata della Mhybe per far scoppiare a ridere Whiskeyjack. Un attimo dopo, Dujek lo imitò, seguito dagli altri. Volpe d'Argento strinse la mano della madre. «Kruppe ha già mostrato il suo valore», mormorò, «non credi?». «Sì, bambina, hai ragione. Vieni, diamo l'esempio nell'obbedire all'Alto Comandante.» Non appena tutti furono dentro la tenda di comando e cominciarono a posare armi e mantelli, Paran raggiunse il consigliere Coll a grandi passi. «È bello rivedervi», esordì, «anche se», aggiunse a bassa voce, «portavate
l'armatura da soldato con più disinvoltura, credo, di queste vesti». Coll fece una smorfia. «Non avete tutti i torti. Sapete? A volte, ripenso a quella notte trascorsa accampati sulle Colline Gadrobi con una specie di nostalgia. Allora eravamo soltanto noi stessi.» Incrociando gli occhi di Paran, provò una punta di preoccupazione per ciò che vide. Si diedero la mano. «A tempi più semplici...» «Un brindisi improbabile», commentò una voce; girandosi, videro Whiskeyjack raggiungerli, con una brocca di terracotta in una mano. «Ci sono boccali dietro di voi, consigliere, su quello che passa per un tavolo. Brood non ha servitori veri e propri, per cui mi sono assunto questo degno compito.» Tirando tre boccali verso di loro, Paran guardò il tavolo accigliato. «Questo è il fondo di un carro; si vede ancora la paglia.» «Il che spiega anche perché questo posto puzza come una stalla», aggiunse il comandante, riempiendo i boccali di birra di Gredfallan. «Il tavolo delle mappe di Brood è scomparso ieri sera.» Coll alzò un sopracciglio. «Qualcuno ha rubato un tavolo?» «Non "qualcuno"», ribatté Whiskeyjack, lanciando un'occhiata a Paran. «I vostri Arsori di Ponti, capitano. Ci scommetterei una colonna.» «E perché mai, in nome di Hood?» «Questo dovrete scoprirlo voi. Grazie agli dei, l'Alto Comandante si è lamentato solo del disagio.» A quel punto, si levò la voce cupa di Caladan Brood. «Se volete sedervi, possiamo cominciare a discutere di equipaggiamenti e rifornimenti.» Kruppe fu il primo a lasciarsi cadere su una sedia, alla testa del tavolo di fortuna. Sollevò un boccale e una manciata di dolcetti Rhivi. «Un ambiente così gradevolmente rustico!» sospirò, il viso rotondo soffuso di piacere. «E paste tradizionali delle pianure per allettare il palato. Inoltre questa birra è deliziosa, fredda al punto giusto...» «Sta' zitto, maledizione», ruggì Coll. «E cosa ci fai su quella sedia?» «Be', sto seduto, amico Coll. Il nostro amico comune, l'alchimista...» «Ti spellerebbe vivo se sapesse che sei qui e pretendi di rappresentarlo.» Kruppe alzò le sopracciglia e per poco non si strozzò con un boccone di dolce; tossì, spruzzando briciole dappertutto. Bevve rapidamente la sua birra, poi ruttò. «Per l'Abisso, che idea spiacevole. E completamente erronea, Kruppe può assicurare a tutti. Baruk è profondamente interessato a una conduzione armoniosa della prestigiosa riunione di persone così leggendarie. Il successo dell'impresa imminente occupa una posizione di pri-
mo piano nella sua mente, ed egli si impegna a fare tutto ciò che è nelle formidabili abilità sue, e del suo servo Kruppe.» «Il vostro padrone ha suggerimenti specifici da offrire?» chiese Brood. «Innumerevoli suggerimenti di natura specifica, signor Alto Comandante. Talmente tanti che, combinati, possono essere visti o capiti solo nei termini più generali!» L'uomo abbassò la voce. «Le generalizzazioni vaghe e apparentemente vuote sono prova degli sforzi onnicomprensivi di Padron Baruk, fa notare saggiamente Kruppe.» Rivolse a tutti un sorriso ampio, sporco di briciole. «Ma, vi prego, cominciamo, o quest'incontro si prolungherà, costringendo a servire una cena sontuosa completa dei vini più secchi per bagnare la gola, e di un tale assortimento di dolci da strappare a Kruppe gemiti di piacere!» «Che gli dei ce ne guardino», borbottò Coll. Estraysian D'Arie si schiarì la voce. «Alto Comandante e Dujek Unbraccio, incontriamo solo difficoltà minori nel mantenere una via di rifornimento ai vostri eserciti riuniti. La più pressante s'incentra sul ponte distrutto a ovest di Darujhistan. Sul fiume Catlin ci sono pochi guadi praticabili, e la distruzione di quel ponte di pietra da parte del Tiranno Jaghut ha creato un'enorme quantità di problemi.» «Ah», intervenne Kruppe, alzando un dito paffuto, «ma i ponti non sono forse un mezzo per passare da un lato all'altro di un fiume? Ciò non implica la presenza di certi presupposti nei piani di spostamento elaborati dai capi degli eserciti? Kruppe non può fare a meno di domandarsi...». Allungò la mano verso un altro dolcetto. «Come tutti noi», dichiarò D'Arie dopo un attimo, con enfasi. Dujek, gli occhi stretti su Kruppe, si schiarì la gola. «Be', sì, per quanto mi dispiaccia doverlo ammettere, c'è del vero in quest'affermazione.» Spostò lo sguardo su Estraysian. «Il fiume Catlin costituisce un problema solo se vogliamo impiegare le strade meridionali. Ed esse ci servirebbero solo se gli eserciti cercassero di attraversare all'inizio della marcia.» Entrambi i consiglieri aggrottarono le sopracciglia. «È nostra intenzione», spiegò Brood, «rimanere a nord del fiume, per marciare direttamente verso Capustan. Il nostro itinerario ci porterà a nord di Saltoan... parecchio a nord. Poi procederemo in direzione sud-est». Coll prese la parola. «Descrivete un itinerario diretto verso Capustan, signore, per le vostre forze. Un simile itinerario, però, ci porrà serie difficoltà nel mantenere i rifornimenti. Non saremo in grado di consegnare via fiume; e un convoglio via terra di tali proporzioni metterà gravemente alla
prova le nostre capacità.» «Dovete comprendere», aggiunse Estraysian D'Arie, «che il Consiglio deve trattare con imprese private per soddisfare i vostri bisogni di approvvigionamento». «Quale diplomazia!» esclamò Kruppe. «La questione, cari compagni di battaglia, è questa. Il Consiglio di Darujhistan consiste di vari casati nobili, e praticamente tutti possiedono interessi in attività mercantili. Data come presupposto la realtà potenzialmente sconcertante del fatto che il Consiglio offre ai vostri eserciti vasti prestiti con i quali a vostra volta comprerete rifornimenti dal Consiglio, la particolare natura della ridistribuzione di detta ricchezza è di capitale importanza per specifici membri del Consiglio stesso. Le dispute, le connivenze e i patti segreti... ebbene... si farebbe fatica a immaginare un tale raccapricciante intrico di pesi, misure, reti e trame, osa dire Kruppe! Questi due onorevoli rappresentanti hanno sicuramente ricevuto istruzioni esplicite, perché obbediscano a una matassa di ordini contradditori. I consiglieri sono perciò legati da un nodo che nemmeno gli dei potrebbero sciogliere! Spetta a Kruppe, quindi, umile ma degno cittadino della bella Darujhistan, proporre la soluzione sua e di Padron Baruk.» Coll si sporse in avanti, strofinandosi gli occhi. «Sentiamola, allora, Kruppe.» «È necessario, naturalmente, un amministratore imparziale ed estremamente competente di tali rifornimenti. Che non appartenga al Consiglio e quindi non subisca in alcun grado le pressioni interne che tanto affliggono i suoi onorevoli membri. Che sia esperto, inoltre, di questioni mercantili. Che abbia forti capacità organizzative. Insomma, un ottimo...» Coll batté violentemente il pugno sul tavolo, facendo trasalire tutti i presenti. «Se ti immagini in un ruolo simile», aggredì Kruppe, «tu, mediocre ricettatore per mediocri borseggiatori e ladri di magazzino...». L'uomo piccolo e rotondetto alzò le mani. «Caro amico Coll! La tua offerta mi lusinga! Tuttavia il povero Kruppe è di gran lunga troppo impegnato con i suoi mediocri affari per occuparsi di una simile impresa. No, dopo uno stretto consulto con il suo saggio e leale servo Kruppe, Padron Baruk propone tutt'altro agente...» «Che cos'è questa storia?» sibilò minacciosamente Coll. «Baruk non sa nemmeno che sei qui!» «Un lieve problema di comunicazione, niente di più. Il desiderio dell'alchimista era chiaro a Kruppe, egli assicura a tutti voi! Anche se Kruppe potrebbe, con qualche giustificazione, rivendicare tutto il credito per l'im-
minente proposta, egli deve, ahimè, inchinarsi alla virtù della sincerità e perciò riconoscere il contributo minore - eppure essenziale - di Padron Baruk. Solo ieri egli rifletteva sui particolari talenti dell'agente in questione, e se questo non era un indizio dei suoi desideri, allora cosa, caro Coll, potrebbe essere stato?» «Avanti, parlate», intimò Estraysian D'Arie con voce aspra. «Kruppe lo farà con molto piacere, amico consigliere; e a proposito, come sta vostra figlia, Challice? Ha stretto il nodo matrimoniale con l'eroe della festa? Kruppe è molto spiacente di aver perso quella cerimonia sicuramente sontuosa...» «Che deve ancora svolgersi», sbottò D'Arie. «Sta bene, signore. La mia pazienza si sta assottigliando, Kruppe...» «Ahimè, quello di "sottile" è un concetto che posso solo sognare. Benissimo, l'agente in questione è nient'altri che la nuova impresa mercantile nota come Corporazione Commerciale Trygalle.» Con un largo sorriso, l'uomo si appoggiò allo schienale, intrecciando le dita sopra la pancia. Brood si volse verso Coll. «Un'impresa che non ho mai sentito nominare...» Il consigliere aveva l'aria accigliata. «Come ha detto Kruppe, sono appena arrivati a Darujhistan. Dal sud; da Elingarth, credo. Ce ne siamo serviti solo una volta, per una consegna di fondi a Dujek Un-braccio particolarmente difficile.» Guardò Estraysian D'Arie, che alzò le spalle, poi parlò. «Non hanno fatto alcuna offerta relativa agli appalti per il rifornimento degli eserciti riuniti. Non hanno nemmeno mandato un rappresentante agli incontri; quell'unico impiego menzionato da Coll era un subappalto, credo.» Si girò verso Kruppe con aria torva. «Data la loro evidente mancanza di interesse, perché voi - o Padron Baruk - dovreste credere che questa Corporazione Commerciale Trygalle possa essere indotta non solo a partecipare, ma addirittura ad assumere un ruolo di punta?» Kruppe si versò un altro boccale di birra, sorseggiò, poi schioccò le labbra in segno di apprezzamento. «La Corporazione Commerciale Trygalle non fa offerte, perché ogni altra impresa ne farebbe di molto inferiori, senza nemmeno provarci. In altre parole, non sono a buon mercato; più precisamente, i loro servigi costano generalmente un occhio della testa. Potete star sicuri, però, che faranno esattamente ciò per cui sono stati ingaggiati, per quanto la logistica possa essere... uhm, tormentosa.» «Hai investito denaro nell'impresa, vero, Kruppe?» Coll si era incupito in volto. «Alla faccia dei consigli imparziali; Baruk non ha assolutamente
niente a che vedere con la tua presenza qui. Agisci per conto di questa Corporazione Commerciale Trygalle, no?» «Il conflitto di interessi, assicura Kruppe, è solo una questione di apparenza, amico Coll! In verità, si tratta più precisamente di una convergenza. I bisogni sono evidenti a tutti noi, e lo stesso vale per il modo di soddisfarli! Fortunata coincidenza! Ora, Kruppe desidera assaggiare ancora un po' di questi deliziosi dolcetti Rhivi, mentre voi discutete dei meriti di detta proposta, per raggiungere, senza dubbio, l'opportuna, inevitabile conclusione.» Crone sentiva nell'aria l'odore della magia. E non riesco a identificarla. No, non sono i Tiste Andii, e nemmeno gli spiriti Rhivi risvegliati... Volò in cerchio sopra l'accampamento, sondando con tutti i suoi sensi. Il pomeriggio era scivolato nel crepuscolo, e poi nella sera, mentre l'incontro nella tenda di comando di Caladan Brood si prolungava sempre più. Crone si era stancata ben presto delle interminabili discussioni sugli itinerari delle carovane e su quante tonnellate di questo e quello fossero necessarie ogni settimana per tenere due eserciti in marcia soddisfatti e con la pancia piena. Certo, quella ripugnante creatura di nome Kruppe era abbastanza divertente, così come un ratto obeso che cercasse di attraversare un ponte di corda le avrebbe strappato qualche risata chioccia. Ma una mente ben affinata abitava sotto le affettazioni antipatiche, grottesche; e la sua capacità di conquistarsi una sedia alla testa del tavolo e di disorientare i severi consiglieri di Darujhistan era stata senza alcun dubbio un'esibizione di maestria alquanto piacevole... finché Crone non aveva avvertito i guizzi della magia, da qualche parte nell'accampamento. Là, in quella grande tenda proprio sotto di me... so di cosa si tratta. Il posto in cui i Rhivi preparano i morti Tiste Andii. Ripiegando le ali, scese in una stretta spirale. Atterrò a qualche passo dall'entrata. Il lembo era chiuso, fermamente legato, ma le cinghie di cuoio e i loro nodi erano ostacoli modesti per il becco acuminato di Crone. Nel giro di momenti, saltellava silenziosamente all'interno, non vista sotto il tavolo enorme - un tavolo che riconobbe con un muto chiocciolio - in mezzo a qualche branda ripiegata nel buio. Quattro figure si piegarono sul tavolo sopra di lei, borbottando e bisbigliando. L'eco smorzato dell'acciottolio di carte di legno raggiunse Crone, che inclinò la testa. «Eccola di nuovo», disse una donna dalla voce stridula. «Sei sicuro di
aver mischiato quella maledetta roba, Spin?» «Perché non... ma certo, caporale. Smettila di chiedermelo. Sono quattro volte ormai, e ogni volta il campo è stato disposto in modo diverso. È semplice: Obilisk domina; il dolmen del tempo è il nucleo. Assolutamente chiaro: è attivo, per la prima volta da decenni...» «Potrebbe essere colpa di quell'inclinazione inopportuna», s'intromise un'altra voce. «Tu non hai la mano naturale di Fid, Spin...» «Basta, Hedge», sbottò il caporale. «Spindle ha fatto abbastanza letture per essere affidabile, credetemi.» «Ma se hai appena...» «Chiudi il becco.» «E poi», bofonchiò Spindle, «ve l'ho già detto: la nuova carta ha un'influenza fissa: è il collante che tiene insieme tutto quanto; quando capite questo, tutto acquista un senso». «Il collante, hai detto», ripeté in tono pensoso la quarta e ultima voce, pure appartenente a una donna. «Legato a un nuovo Ascendente, secondo te?» «Non ne ho idea, Blend», sospirò Spindle. «Ho detto un'influenza fissa, ma non ho detto che ne conoscevo il carattere. Non lo so, e non perché non sono abbastanza bravo. È come se non si fosse ancora... svegliata. Una presenza passiva, per il momento. Nient'altro che questo. Quando si sveglierà... be', le cose dovrebbero riscaldarsi per bene, immagino.» «Per cui», riprese il caporale, «qual è la scena che ci sta davanti, mago?». «La stessa di prima. Il Soldato dell'Alta Casa della Morte sta alla destra di Obilisk. Ci sono i Maghi dell'Ombra, e anche questa è una novità; un grande inganno è all'opera, direi. Il Capitano dell'Alta Casa della Luce offre qualche speranza, ma è ombreggiato dall'Araldo di Hood, anche se non direttamente; qui c'è un po' di distanza, credo. Il Sicario dell'Alta Casa dell'Ombra sembra aver acquisito un nuovo volto; ne percepisco delle tracce... è maledettamente familiare.» L'uomo di nome Hedge grugnì. «Dovremmo chiedere l'intervento di Ben lo Svelto...» «Ci sono!» sibilò Spindle. «Il volto del Sicario... è quello di Kalam!» «Bastardo!» ruggì Hedge. «Lo sospettavo... quando lui e Fid se ne sono andati a quel modo... sapete cosa significa questo, no?» «Possiamo intuirlo», rispose il caporale, in tono mesto. «Ma l'altra cosa è chiara, vero, Spin?»
«Sì. Sette Città sta per insorgere; forse l'ha già fatto. Il Vortice... scommetto che Hood sta sorridendo. Sorridendo di gusto.» «Ho delle domande per Ben lo Svelto», borbottò Hedge. «Dovresti anche chiedergli della carta nuova», lo incitò Spindle. «Se non gli dispiace strisciare, fagli dare un'occhiata.» «Sì.» Una carta nuova nel Mazzo dei Draghi? Crone tese la testa all'insù, pensando freneticamente. Le carte nuove significavano guai, specialmente quelle dotate di potere. La Casa dell'Ombra ne era una prova sufficiente... I suoi occhi - uno e poi, mentre allungava ancora la testa, l'altro - misero lentamente a fuoco i dintorni, strappando la mente dalle elucubrazioni astratte, per fissarsi infine sul disotto del tavolo. Dove trovarono un paio di occhi umani, dalla vernice tanto luccicante da sembrare viva, che la scrutavano di rimando. La Mhybe uscì dalla tenda, la mente intorpidita dallo sfinimento. Volpe d'Argento si era addormentata sulla sua sedia, durante una delle divagazioni in cui Kruppe descriveva l'ennesima peculiarità delle Regole Contrattuali della Corporazione Commerciale Trygalle, e la donna aveva deciso di lasciarla dov'era. In realtà, desiderava stare per un po' lontana dalla figlia. Intorno a Volpe d'Argento si stava accumulando una pressione, un bisogno incessante che, momento dopo momento, sottraeva alla Mhybe quantità sempre maggiori del suo spirito vitale. Naturalmente, quel debole tentativo di fuga era privo di senso. La richiesta era senza limiti, e non c'era distanza che potesse cambiare le cose. Il suo allontanamento dalla tenda, dalla presenza della figlia, aveva solo un significato simbolico. Le sue ossa erano un cumulo di dolori incessanti, un andirivieni di fitte che solo il sonno più profondo poteva temporaneamente zittire; il tipo di sonno che aveva cominciato a eluderla. Paran emerse dalla tenda, avvicinandosi. «Vorrei chiedervi una cosa, Mhybe, e poi vi lascerò in pace.» Oh, pover'uomo assalito da forze rovinose. Che risposte vorreste da me? «Che cosa desiderate sapere, capitano?» Paran puntò lo sguardo verso il campo addormentato. «Se qualcuno volesse nascondere un tavolo...» Lei batté le palpebre, poi sorrise. «Li troverete nella Tenda dei Sudari... per il momento è priva di ospiti. Venite, vi ci porterò.»
«Basteranno le indicazioni.» «Camminare allevia i dolori, capitano. Da questa parte.» Imboccò il corridoio fra le prime file di tende. «Avete svegliato Tattersail», osservò dopo qualche attimo. «Sta diventando la personalità dominante di mia figlia, e sono felice di questo sviluppo.» «Ne sono contento, Mhybe.» «Com'era quella donna, capitano?» «Generosa... forse fin troppo. Una maga del quadro altamente rispettata e, in verità, generalmente amata.» Oh, signore, tenete tante cose incatenate dentro di voi, al buio. Il distacco è un difetto, non una virtù; non lo capite? «Dalla vostra prospettiva di Rhivi», continuò lui, «forse avete considerato le forze Malazan su questo continente un mostro spietato, inarrestabile, che divorava città dopo città. Ma non è mai stato così. Scarsamente approvvigionata, spesso in condizioni di inferiorità numerica, persa in territori sconosciuti... l'Armata di Un-braccio veniva fatta a pezzi dai nemici. L'arrivo di Brood, dei Tiste Andii e della Guardia Cremisi arrestò la campagna. Spesso, i maghi del quadro erano l'unica cosa che si interponeva fra l'Armata e il suo annientamento». «Ma avevano i Moranth...» «Sì, ma non erano tanto affidabili come potete pensare. Tuttavia, le loro munizioni alchemiche hanno cambiato la natura del guerreggiare, per non parlare della mobilità dei loro quorl. L'Armata fa ormai grande assegnamento su entrambi.» «Ah, vedo un debole chiarore di lanterna venire dalla Tenda dei Sudari; là, proprio davanti a noi. È corsa voce che non tutto filasse liscio con i Moranth...» Paran le lanciò un'occhiata, poi scrollò le spalle. «Si è verificato uno scisma, provocato da una successione di sconfitte subita dagli Oro, la loro forza di elite. Al momento, abbiamo dalla nostra i Neri, e nessun altro, anche se i Blu continuano a percorrere le rotte marine verso Sette Città.» Sobbalzarono davanti all'apparizione di un Grande Corvo barcollante davanti all'entrata della tenda. Crone vacillò pesantemente e ricadde in avanti, a soli tre passi dal Malazan e dalla Mhybe. Alzò la testa di scatto, fissando un occhio su Paran. «Voi!» sibilò, poi, spiegando le ampie ali, si librò in volo. Battiti poderosi, violenti, la sollevarono nell'aria; un attimo dopo, era sparita. La Mhybe si volse verso il capitano: l'uomo aveva l'espressione acciglia-
ta. «Crone non ha mai dato segno di temervi prima d'ora», mormorò lei. Paran alzò le spalle. Voci riecheggiarono dalla Tenda dei Sudari; un attimo dopo, ne uscì una fila di figure, la prima delle quali reggeva una lanterna munita di coperchio. «Fermi là», ruggì il capitano. La donna con la lanterna trasalì, poi azzardò un saluto con la mano sbagliata. «Signore. Abbiamo appena fatto una scoperta in questa tenda, signore. Abbiamo trovato il tavolo rubato.» «Davvero», rispose Paran, in tono affettato. «Ottimo lavoro, caporale. Tu e i tuoi soldati avete dato prova di ammirevole diligenza.» «Grazie, signore.» Il capitano si avvicinò alla tenda a grandi passi. «È qui dentro, hai detto?» «Sì, signore.» «Be', l'etichetta militare impone di restituirlo subito all'Alto Comandante; non sei d'accordo, Picker?» «Assolutamente, signore.» Paran si fermò a esaminare i soldati. «Hedge, Spindle, Blend. Quattro in tutto. Confido che ce la farete.» Il caporale Picker batté le palpebre. «Signore?» «A portare il tavolo, naturalmente.» «Uhm, posso suggerire di trovare qualcun altro...» «La mia risposta è no. Al mattino partiremo, e voglio che i membri della compagnia siano ben riposati; per cui è meglio non disturbare il loro sonno. Voi quattro non dovreste impiegare più di un'ora, direi, il che vi lascerà qualche momento libero per preparare la vostra attrezzatura. Be', bando agli indugi, caporale, eh?» «Sì, signore.» Picker si volse verso i suoi soldati con aria cupa. «Scaldatevi le mani, abbiamo del lavoro da fare. Spindle, hai qualche problema?» L'uomo fissava Paran a bocca aperta. «Spindle?» «Che idiota», mormorò il mago. «Soldato?» «Come ho fatto a non accorgermene? È lui. Chiaro come la luce del sole!» Picker raggiunse il mago, mollandogli un ceffone. «Piantala, maledizio-
ne!» Spindle la trapassò con lo sguardo, aggrottando le sopracciglia. «Non colpirmi più, o te ne pentirai fino alla fine dei tuoi giorni.» Il caporale tenne duro. «La prossima volta che ti colpirò, soldato, non riuscirai a rialzarti. Un'altra minaccia da parte tua, e sarà l'ultima; mi sono spiegata?» Il mago si scosse, riportando lo sguardo su Paran. «Tutto cambierà», sussurrò. «Non può succedere ancora. Devo pensare. Ben lo Svelto...» «Spindle!» Lui sussultò, poi annuì vigorosamente in direzione del caporale. «Sollevare il tavolo, certo. Mettiamoci all'opera, subito. Hedge, Blend: avanti.» La Mhybe osservò i quattro soldati rientrare nella Tenda dei Sudari, poi si volse verso Paran. «Che storia era quella, capitano?» «Non ne ho idea», rispose lui, in tono pacato. «Per quel tavolo servono più di quattro paia di mani.» «Presumo di sì.» «Eppure non volete fornirle.» Lui le lanciò un'occhiata. «Per Hood, no. Sono stati loro a rubare quella maledetta roba.» Mancava una campana al sorgere del sole. Lasciando Picker e la sua sventurata banda al loro compito, e allontanandosi anche dalla presenza della Mhybe, Paran si diresse all'accampamento degli Arsori di Ponti, situato sul bordo sud-occidentale del campo principale di Brood. Una manciata di soldati che montavano la guardia ai picchetti salutò stancamente il capitano che passava loro davanti. Fu stupito di trovare Whiskeyjack vicino al focolare centrale. Il comandante era impegnato a sellare un alto castrato castano. Paran gli si avvicinò. «La riunione è finita, signore?» chiese. Quello gli lanciò un'occhiata ironica. «Comincio a sospettare che non finirà mai, se Kruppe vuole spuntarla.» «Quella sua idea della Corporazione Commerciale non è stata ben accetta, allora.» «Al contrario, è stata approvata in pieno, anche se costerà veramente al Consiglio un occhio della testa. Ora abbiamo dei garanti, che assicureranno le linee di rifornimento via terra. Proprio ciò che volevamo.» «Allora perché la riunione continua, signore?» «Be', sembra che avremo degli inviati al seguito del nostro esercito.»
«Non Kruppe...» «Esatto: il degno Kruppe. E Coll... sospetto che non veda l'ora di uscire da quelle vesti eleganti, per rimettersi l'armatura.» «Sì, sono d'accordo.» Whiskeyjack strinse il sottopancia un'ultima volta, poi si girò verso Paran. Sembrava sul punto di dire una cosa, poi esitò, e ne scelse un'altra. «I Moranth Neri porteranno voi e gli Arsori di Ponti ai piedi della Catena Barghast.» Il capitano sgranò gli occhi. «È un bel viaggio. E una volta là?» «Una volta là, Trotts diventerà autonomo dal vostro comando. Dovrà prendere contatto con i Barghast Viso Bianco, con qualunque mezzo riterrà opportuno. Voi e la vostra compagnia dovrete fargli da scorta, ma rimanere estranei alle trattative. Abbiamo bisogno dei Clan del Viso Bianco; di tutti quanti.» «E Trotts condurrà le trattative? Che Beru ci protegga.» «È in grado di sorprendervi, capitano.» «Capisco. Dando per scontato che abbia successo, dovremo poi procedere verso sud?» Whiskeyjack annuì. «In soccorso di Capustan, sì.» Il comandante infilò uno stivale nella staffa e, con un sussulto, si issò sulla sella. Raccolse le redini, abbassando gli occhi sul capitano. «Domande?» Paran abbracciò con lo sguardo l'accampamento addormentato, poi scosse la testa. «Vi augurerei la fortuna di Oponn...» «No, grazie, signore.» Whiskeyjack annuì. All'improvviso, il castrato sobbalzò sotto il comandante, scartando di lato con un nitrito di terrore. Il vento investì l'accampamento, strappando le piccole tende dai loro alloggiamenti poco profondi. Voci gridarono allarmate. Alzando lo sguardo, Paran vide una forma vasta, nera, correre verso l'insediamento Tiste Andii. Una debole aura, argentea, guizzante, attorniava la sagoma enorme, severa. Nello stomaco di Paran divampò un dolore intenso ma fortunatamente breve, che lo lasciò tremante. «Per il respiro di Hood», imprecò Whiskeyjack, cercando di calmare il cavallo. Si guardò intorno. «Che cosa è successo?» Non ha potuto vedere quello che ho visto io; non ha il sangue giusto. «È arrivato Anomander Rake, signore. Sta scendendo fra i suoi Tiste Andii.» Paran studiò il caos seguito al risveglio degli Arsori di Ponti, e
sospirò. «Be', è un po' presto, ma prima o poi doveva succedere.» Avanzò a grandi passi, gridando. «Tutti in piedi! Levate il campo! Sergente Antsy, fa' alzare i cuochi, per favore.» «Uhm, sì, signore! Che cosa ci ha svegliato?» «Una raffica di vento. Ora mettetevi in moto.» «Sì, signore!» «Capitano.» Paran si volse verso Whiskeyjack. «Signore?» «Credo che per le prossime campane sarete parecchio occupato. Io torno alla tenda di Brood; volete che vi mandi Volpe d'Argento per un ultimo saluto?» Il capitano esitò, poi scosse la testa. «No, grazie, signore.» La distanza non è più una barriera per noi; abbiamo un legame personale, privato, troppo intenso per essere rivelato a chicchessia. E comunque, la sua presenza nella mia mente è già abbastanza tormentosa. «Addio, comandante.» Whiskeyjack lo fissò ancora per un attimo, poi annuì. Girò il cavallo, spingendolo al trotto con una gomitata. I Tiste Andii si erano raccolti in un muto cerchio intorno alla radura centrale, in attesa dell'arrivo del loro signore. Il drago nero, dalla criniera d'argento, emerse dall'oscurità sopra le loro teste e scese con grazia, simile a un frammento della notte; gli artigli si posarono con uno scricchiolio sommesso sul suolo pietroso della pianura. I contorni della bestia enorme, terribile, cominciarono subito a offuscarsi; un flusso d'aria calda, odorosa di spezie, si sparse su tutti i lati mentre la trasmutazione smagriva le sue sembianze. Un attimo dopo, fra i solchi lasciati dagli artigli anteriori del drago, comparve il Figlio dell'Oscurità, avvolto in un mantello. Scrutava i suoi simili con gli occhi leggermente a mandorla, color bronzo opaco. La Mhybe guardò Korlat andare a incontrare il suo signore. Aveva visto Anomander Rake solo una volta in passato, vicino al confine meridionale della Foresta del Cane Nero; e in lontananza, mentre il Figlio dell'Oscurità parlava con Caladan Brood. Ricordava la Progenie della Luna, che riempiva il cielo sopra la Pianura Rhivi. Rake era stato sul punto di ascendere verso la fortezza galleggiante. Era stato stipulato un patto con i maghi di Pale, e la città stava per essere presa d'assedio dall'Armata di Un-braccio. E anche allora era stato come ora: alto, implacabile, i lunghi capelli d'ar-
gento oscillanti alla brezza, appesa alla schiena una spada che suscitava onde di puro terrore. Una leggera rotazione della testa fu l'unico segno che aveva percepito la presenza di Korlat. Alla loro destra, apparvero Caladan Brood, Kallor, Dujek e gli altri. L'aria vibrava di tensione; la stessa che, ricordava la Mhybe, era stata presente in quell'ultimo incontro, anni prima. Anomander Rake era un Ascendente tanto diverso da Caladan Brood che i due sembravano le opposte estremità del vasto spettro del potere. Rake era un'atmosfera, una presenza intessuta di fili agghiaccianti, una presenza che faceva martellare il cuore e che nessuno poteva ignorare né, tanto meno, eludere. Violenza, antichità, cupo pathos, orrore sinistro: il Figlio dell'Oscurità era un gorgo gelido nella corrente dell'immortalità, e la Mhybe sentì, in un fremito sotto la pelle, ogni singolo spirito Rhivi svegliarsi dallo sgomento. È la spada, ma anche qualcosa di più. Dragnipur nelle mani della giustizia fredda, fredda e inumana. Anomander Rake, l'unico fra noi la cui presenza accenda la paura negli occhi di Kallor... l'unico... a eccezione, sembra, di Volpe d'Argento, mia figlia. Cosa può temere di più Kallor, se non un'alleanza fra il Figlio dell'Oscurità e Volpe d'Argento? Ogni traccia di stanchezza spazzata via da quel pensiero, la Mhybe avanzò. «Anomander Rake!» tuonò la voce di Kallor. «Cerco la chiarezza della vostra visione; cerco la giustizia della vostra spada. Non permettete a nessuno di influenzarvi con il sentimento; e questo vale anche per Korlat, che ora vorrebbe bisbigliarvi urgentemente all'orecchio!» Il Figlio dell'Oscurità, con un solo sopracciglio alzato, si volse lentamente a guardare l'Alto Re. «Cos'altro, Kallor», ribatté a voce bassa, tranquilla, «tiene lontana la mia spada dal tuo cuore nero... se non il sentimento?». Mentre la luce dell'alba penetrava infine nel cielo, il viso magro, segnato dalle intemperie, dell'antico guerriero assunse una sfumatura più pallida. «Parlo di una bambina», proseguì egli, con enfasi. «Sicuramente avvertite il suo potere, il fiore più putrido...» «Potere? In questo luogo abbonda, Kallor. Questo accampamento è diventato una calamita. Avete ragione a temere.» Rake spostò lo sguardo sulla Mhybe, che si trovava a pochi passi da lui. La donna si fermò. L'attenzione di Rake era una pressione violenta, una poderosa minaccia che bastò a farla ansimare sommessamente, le membra in preda a una debolezza improvvisa.
«Le forze della natura, madre», esordì lui, «sono indifferenti alla giustizia. Non sei d'accordo?». Rispondere le costò fatica. «Sì, Signore della Progenie della Luna.» «Per cui spetta a noi esseri dotati di consapevolezza, per quanto indegni, imporre la barriera morale.» Gli occhi di lei lampeggiarono. «Davvero?» «Lei ha generato quell'obbrobrio, Rake», intervenne Kallor, puntando verso di loro. Guardò la Mhybe con il volto distorto dalla rabbia. «La sua visione è corrotta. Comprensibilmente, certo, ma nemmeno questa è una giustificazione.» «Kallor», mormorò il Figlio dell'Oscurità, lo sguardo ancora sulla Mhybe, «ti stai avvicinando a tuo rischio e pericolo». L'Alto Re si fermò. «A quanto pare», proseguì Rake, «il mio arrivo è stato atteso, con il desiderio collettivo di farmi definire una situazione chiaramente complessa...». «Le apparenze ingannano», replicò Caladan Brood dalla sua posizione fuori dalla tenda di comando; e la Mhybe vide ora che Volpe d'Argento era a fianco dell'Alto Comandante. «Prendete la decisione che volete, Rake, ma non tollererò che Dragnipur venga sfoderata nel mio accampamento.» Cadde il silenzio, il più esplosivo che la donna Rhivi avesse mai sentito. Per l'Abisso, la faccenda potrebbe precipitare... Lanciò un'occhiata ai Malazan. Dujek aveva fatto scendere sul viso la maschera inespressiva del soldato, ma il portamento rigido rivelava la sua inquietudine. L'alfiere Artanthos stava un passo dietro a Un-braccio, leggermente alla sua destra; un mantello impermeabile da soldato di marina l'avvolgeva, nascondendogli le mani. Gli occhi del giovane scintillavano. È potere quello che emana da lui? No, mi sbaglio... ora non vedo più niente... Anomander Rake si girò lentamente verso l'Alto Comandante. «Vedo che le alleanze sono già state decise», osservò tranquillamente. «Korlat?» «Sto dalla parte di Caladan Brood, signore.» Rake fissò Kallor. «A quanto pare, sei rimasto solo.» «È sempre stato così.» Oh, che risposta intelligente! Per un attimo, il volto di Anomander Rake si tese. «Quella posizione non mi è sconosciuta, Alto Re.» Kallor si limitò ad annuire. Risuonò un picchiettio di zoccoli, e i Tiste Andii che componevano il la-
to sud-orientale dell'anello si divisero. Whiskeyjack entrò nella radura; portò il cavallo al passo, poi lo arrestò del tutto. Non era chiaro quanto il comandante avesse sentito, ma egli agì comunque. Scendendo di sella, puntò verso Volpe d'Argento, fermandosi proprio davanti a lei. La sua spada uscì scorrevolmente dal fodero. Whiskeyjack si girò verso Rake, Kallor e gli altri che stavano al centro della radura e piantò la spada nel terreno avanti a sé. Caladan Brood si portò a fianco del Malazan. «Per via delle possibili conseguenze, Whiskeyjack, sarebbe meglio che voi...» «Io rimango qui», ruggì il comandante. La magia sgorgò da Anomander Rake, percorse la radura in un'onda lenta, color grigio granuloso, attraversò facilmente Whiskeyjack e inghiottì Volpe d'Argento in un abbraccio opaco, turbinoso. Con un grido, la Mhybe si lanciò in avanti, ma Korlat chiuse la mano sul suo braccio. «Non temere», le disse, «cerca solo di capirla... di capire chi è...». La magia si logorò all'improvviso, disperdendosi tutt'intorno in frammenti sfilacciati. La Mhybe cacciò un sibilo. Conosceva abbastanza bene la figlia da vedere, non appena riapparve, che era furibonda. Il potere si levò intorno a lei in corde tese, che si riunirono, intrecciandosi. Oh, spiriti della terra, vedo sia Nightchill sia Tattersail... una rabbia condivisa. E, per Hood, c'è un'altra presenza! Una volontà imperturbabile, una coscienza lenta ad arrabbiarsi... così simile a Brood... chi? Si tratta... oh!... si tratta di Bellurdan? Per gli dei! Fra pochi attimi ci faremo reciprocamente a pezzi... «Bene, prima d'ora nessuno mi aveva mai schiaffeggiato la mano in questo modo», riprese Rake, in tono strascicato. «Impressionante, anche se pericolosamente insolente. Cos'è che la bambina non vuole che scopra?» Spinse un braccio oltre la spalla sinistra, per afferrare l'elsa, avvolta nel cuoio, di Dragnipur. Borbottando un'imprecazione feroce, Brood sciolse il martello dai suoi legacci. Whiskeyjack alzò la spada. Per gli dei, no, è tutto sbagliato... «Rake», chiamò Kallor con voce aspra, «mi volete alla vostra sinistra o alla vostra destra?». Lo schiocco dei pali delle tende fece trasalire tutti quanti. Uno strillo sonoro proveniente dalla tenda di comando fu seguito da una sagoma rozza,
massiccia, che esplose fuori dall'entrata. Roteando freneticamente nell'aria, l'enorme tavolo di legno che la Mhybe aveva visto per l'ultima volta emergere dalla Tenda dei Sudari si levò sulla radura; da una gamba penzolava Kruppe, circondato da una pioggia di dolcetti. Strillò di nuovo, scalciando l'aria con le pantofole. «Ah! Aiuto! Kruppe odia volare!» Mentre gli Arsori di Ponti finivano di raccogliere l'attrezzatura, e le sentinelle piazzate a est gridavano la notizia che i Moranth Neri erano stati avvistati e si avvicinavano sui loro quorl alati, il capitano Paran, tormentato da un'inquietudine crescente, avanzò fra i soldati riuniti. Seduta da parte, esausta, Picker lo guardava con un'espressione che era un misto di ammirazione e di sgomento; fu l'unica a vederlo fare un altro passo, e poi semplicemente svanire. Il caporale balzò in piedi. «Oh, per le palle di Hood! Spindle! Va' a chiamare Ben lo Svelto!» A poca distanza, il mago dal cilicio puzzolente alzò gli occhi. «Perché?» «Qualcuno ha appena rapito Paran... trova Ben lo Svelto, maledizione!» La scena dei soldati indaffarati svanì davanti agli occhi del capitano e, al di là di un velo nebuloso che rapidamente si aprì, Paran si ritrovò davanti a Kallor e Anomander Rake, entrambi con le armi in mano. Dietro di loro c'erano la Mhybe e Korlat, con alle spalle un anello di vigili Tiste Andii. Innumerevoli occhi si fissarono su di lui, guizzarono sopra la sua spalla destra, e ridiscesero. Nessuno si mosse, e Paran capì di non essere il solo a essere sconvolto. «Aiuto!» A quel grido lamentoso, il capitano si girò e alzò lo sguardo. Un enorme tavolo di legno volteggiava silenziosamente nell'aria, con appesa la forma rotonda, avvolta nella seta, di Kruppe. Nella parte inferiore del tavolo, dipinta a colori vivaci, ora scintillanti, c'era l'immagine di un uomo. Poiché entrava e usciva dal campo visivo di Paran, egli impiegò qualche attimo a riconoscere il volto. Quello sono io... Il dolore lo assalì, in un'onda nera che lo sommerse completamente. La Mhybe vide il giovane capitano accasciarsi e cadere in ginocchio, come ripiegandosi intorno a un tormento schiacciante. Portò l'attenzione sulla figlia, in tempo per vedere quelle trecce di potere serpeggiare all'esterno, scivolare intorno e oltre le sagome immobili di
Brood e di Whiskeyjack, per poi salire a toccare il tavolo. Le quattro gambe si ruppero. Con un grido, Kruppe precipitò, atterrando in un turbinio di membra e di sete in mezzo a una folla di Tiste Andii. Seguirono urla e grugniti di dolore e di stupore. Il tavolo si fermò: la parte inferiore era rivolta verso Rake e Kallor, e l'immagine di Paran brillava di magia. Pennacchi fatati scesero a ricoprire il capitano curvo, inginocchiato, di catene d'argento lucente. «Be'», cominciò una voce leggermente affannata, accanto alla Mhybe, «è la carta del Mazzo più grande che abbia mai visto». La donna distolse lo sguardo dalla scena e fissò con gli occhi sgranati il mago flessuoso, dalla pelle scura, che le stava al fianco. «Ben lo Svelto...» L'Arsore di Ponti avanzò, alzando le mani. «Vi prego di scusare la mia interruzione! Per quanto sembri che molti di voi, qui, desiderino uno scontro, mi permetto di far notare l'assenza di... uhm, saggezza... nell'invitare la violenza in questo luogo e in questo momento, quando è chiaro che il significato di tutto ciò che sta accadendo è ancora da determinare. Il rischio di un'azione precipitosa... be', confido che capiate cosa intendo.» Anomander Rake scrutò il mago per un attimo, poi, con un debole sorriso, rinfoderò la spada. «Parole circospette, ma sagge. Posso chiedere chi siete, signore?» «Solo un soldato, Figlio dell'Oscurità, venuto a riprendere il suo capitano.» In quel momento, Kruppe emerse dalla folla borbottante e, molto probabilmente ammaccata, che aveva attutito la sua caduta. Ripulendo le sete dalla polvere, avanzò, apparentemente ignaro di tutto, per fermarsi proprio fra Paran e Anomander Rake. A quel punto, alzò lo sguardo, battendo le palpebre. «Che conclusione incresciosa allo spuntino postcolazione di Kruppe! La riunione è stata aggiornata?» Il capitano Paran era inconsapevole del potere che si riversava dentro di lui. Nella sua mente, egli cadeva, cadeva. Colpì mattonelle dure, rozze; il tintinnio dell'armatura riecheggiò all'intorno. Il dolore era sparito. Ansimante, scosso da un tremito incontrollabile, alzò la testa. Nel fioco riflesso di lanterne, si vide sdraiato scompostamente in un corridoio stretto, dal soffitto basso. Una massiccia doppia porta divideva la parete alla sua destra, stranamente scabra; alla sua sinistra, davanti alla porta, c'era un'ampia entrata, le pareti a fianco della quale erano inframmezzate da nicchie. Su tutti i lati, la pietra appariva grezza, non levigata,
simile alla corteccia di alberi. All'estremità più lontana del corridoio, a circa otto passi di distanza, spiccava una porta, ancora più pesante, in lastre di bronzo annerite e bucherellate; sulla soglia interna, stavano due cumuli informi. Che cosa? Dove? Paran si tirò in piedi, appoggiandosi a una parete. Il suo sguardo corse ancora alle forme ai piedi della porta di bronzo. Si avvicinò barcollando. Accanto vi era un uomo, avvolto negli indumenti attillati dei sicari, il volto allungato, ben rasato e atteggiato a un'espressione pacifica, le lunghe trecce nere ancora brillanti d'olio. Al suo fianco, giaceva una balestra di foggia antiquata. Al suo fianco, una donna, dal mantello teso e distorto, come se l'uomo l'avesse trascinata oltre la soglia. Sulla testa aveva una brutta ferita, luccicante d'umori, che, a giudicare dalle macchie di sangue sulle mattonelle, non doveva essere l'unica sul suo corpo. Sono entrambi Daru... un momento, ho già visto quest'uomo. Alla Festa di Lady Simtal... e la donna! E la Signora della Corporazione... Rallick Nom e Vorcan, tutti e due scomparsi la notte di quella malaugurata festa. Sono a Darujhistan, allora. Per forza. Gli tornarono in mente le parole di Volpe d'Argento, che ora riecheggiavano di verità. Aggrottò le sopracciglia. Il tavolo... la carta, con la mia immagine dipinta sopra. Jen'isand Rul, l'Indipendente appena giunto nel Mazzo dei Draghi... con poteri sconosciuti. Ho camminato dentro una spada. Ora, a quanto pare, posso camminare... ovunque. E questo luogo, questo luogo... Sono nella Casa Finnest. Per gli dei, sono in una Casa degli Azath! Udì un rumore di passi strascicati avvicinarsi alla doppia porta; si girò lentamente, allungando la mano verso la spada appesa al cinturone. Le ante di legno si spalancarono. Con un sibilo, Paran arretrò di un passo, sfoderando la spada. Lo Jaghut che gli stava davanti era quasi privo di carne. Le costole spezzate sporgevano dal petto, pelle e muscoli sfilacciati pendevano dalle braccia in brandelli raccapriccianti. Scoprì le zanne, contorcendo il volto ossuto, devastato. «Benvenuto», borbottò. «Io sono Raest. Guardiano, prigioniero, dannato. L'Azath ti saluta, per quanto può farlo la pietra che trasuda. Vedo che, a differenza dei due che dormono oltre la soglia, tu non hai bisogno di porte. Così sia.» Si avvicinò barcollando, poi inclinò la testa. «Ah, non sei qui in verità. Solo in spirito.»
«Se lo dici tu.» La mente di Paran tornò a quell'ultima notte della festa, al fuggi fuggi nel giardino della proprietà. Ricordò incantesimi, esplosioni, il suo viaggio inaspettato nel Regno dell'Ombra, Cotillion e i Segugi. Un viaggio come questo... Scrutò lo Jaghut in piedi davanti a lui. Che Hood mi prenda, costui è il Tiranno Jaghut, quello liberato da Lorn e dal T'lan Imass; o meglio, ciò che ne resta. «Perché sono qui?» Il sorriso dell'altro si allargò. «Seguimi.» Raest girò a destra; i piedi nudi grattavano il suolo come se le ossa sotto la pelle fossero tutte rotte. Dopo sette passi, il corridoio finiva in una porta sulla sinistra e un'altra proprio di fronte. Lo Jaghut aprì quella sulla sinistra, rivelando una stanza circolare, che circondava una scala a chiocciola in legno, fatta di radici strettamente intrecciate. Non c'era luce, ma Paran scoprì di vederci abbastanza bene. Cominciarono a scendere; i gradini sotto di loro somigliavano a rami appiattiti sporgenti dal tronco centrale. L'aria si scaldò, diventò umida e odorosa di humus. «Raest», esordì Paran, mentre proseguivano la discesa, «il sicario e la Signora della Corporazione... hai detto che dormivano; da quanto tempo giacciono lì?». «Non conto i giorni dentro alla Casa, mortale. L'Azath mi ha preso. Da quel momento, alcuni estranei hanno cercato di entrare, hanno usato incantesimi esplorativi, hanno perfino attraversato il cortile, ma la Casa li ha respinti tutti. I due oltre la soglia erano lì quando mi sono svegliato, e non si sono mossi da allora. Evidentemente, la Casa ha già scelto.» Come la Dimora Fantasma scelse Kellanved e Dancer. «Benissimo, ma non puoi svegliarli?» «Non ci ho nemmeno provato.» «Perché no?» Lo Jaghut si fermò, girandosi a lanciare un'occhiata al capitano. «Non ce n'è stato bisogno.» «Anche loro sono guardiani?» chiese Paran, mentre riprendevano il cammino. «Non direttamente. Io sono sufficiente, mortale. Servi inconsapevoli, forse. Servi tuoi.» «Miei? Io non ho bisogno di servi; non ne voglio. Inoltre, non mi interessa cosa l'Azath si aspetta da me. La Casa ha riposto erroneamente la sua fiducia, Raest, e glielo puoi dire da parte mia. Dille di trovare un altro... un altro che ricopra il mio ruolo, qualunque esso sia.»
«Tu sei il Signore del Mazzo. Queste cose non si possono annullare.» «Il cosa? Per il respiro di Hood, l'Azath deve trovare il modo di annullare quella scelta, Jaghut», ruggì Paran. «Non può essere annullata, come ti ho già detto. C'è bisogno di un padrone; per questo sei qui.» «Non voglio farlo!» «Piango un fiume di lacrime per la tua disgraziata condizione, mortale. Ah, eccoci arrivati.» Si trovavano su un pianerottolo. Paran stimò che fossero scesi di sei, forse sette livelli nelle viscere della terra. Le pareti di pietra erano scomparse, lasciando solo il buio; il terreno sotto di loro era un intrico di radici serpeggianti. «Non posso procedere oltre, Signore del Mazzo», annunciò Raest. «Entra nell'oscurità.» «E se rifiuto?» «Allora ti ucciderò.» «È un bastardo spietato, quest'Azath», borbottò Paran. «Ti ucciderò, non per l'Azath, ma per la fatica sprecata di questo viaggio. Non hai senso dell'umorismo, mortale.» «E tu credi di averne?» ribatté il capitano. «Se ti rifiuti di andare oltre, allora... niente. A parte la mia irritazione. L'Azath è paziente. Compirai il viaggio alla fine, anche se il privilegio della mia scorta capiterà solo una volta, e quella volta è adesso.» «Vuoi dire che la prossima volta non avrò la tua allegra compagnia? E come me la caverò?» «Malamente, se ci fosse giustizia a questo mondo.» Paran si volse verso l'oscurità. «E c'è?» «Lo chiedi a uno Jaghut? Ora, dobbiamo restare qui per sempre?» «Va bene, va bene», sospirò il capitano. «Vado in una direzione qualunque?» Raest scosse le spalle. «Per me sono tutte uguali.» Sogghignando suo malgrado, Paran fece un passo avanti. Poi si fermò, girandosi a metà. «Raest, hai detto che l'Azath ha bisogno di un Signore del Mazzo. Perché? Cos'è successo?» Lo Jaghut scoprì le zanne. «È cominciata una guerra.» Paran respinse un brivido improvviso. «Una guerra? Riguardante le Case degli Azath?» «Nessun'entità verrà risparmiata, mortale. Né le Case, né gli dei. Né tu,
umano, né uno solo dei tuoi insignificanti, effimeri compagni.» Paran fece una smorfia. «Ho già abbastanza guerre cui badare, Raest.» «Sono tutte un'unica cosa.» «Non voglio pensare a questa faccenda.» «Allora non farlo.» Dopo un attimo, Paran capì che la sua aria di sfida era sprecata, con lo Jaghut. Si girò di scatto, riprendendo il viaggio. Al terzo passo, il suo stivale colpì una mattonella anziché una radice, e l'oscurità intorno a lui si dissolse, rivelando, in una luce gialla debole, soffusa, un'ampia sala. I bordi, visibili a un centinaio di passi o più in ogni direzione, sembravano sfumare nel buio. Di Raest e della scala di legno non c'era più traccia. L'attenzione di Paran fu attratta dalle mattonelle del pavimento. Incise sulle superfici sbiancate c'erano le carte del Mazzo dei Draghi. No, più del semplice Mazzo dei Draghi: qui ci sono carte che non riconosco. Case Perdute, e innumerevoli Indipendenti dimenticati. Case e... Facendo un passo avanti, il capitano si accovacciò a studiare un'immagine. Mentre vi concentrava l'attenzione, sentì il mondo all'intorno sbiadire, e se stesso entrare nella scena scolpita. Un vento gelido gli batté sul viso; l'aria odorava di fango e di pelo bagnato. Sentiva la terra sotto gli stivali, fredda e cedevole. Da qualche parte, in lontananza, stridevano corvi. La strana capanna che aveva visto nell'incisione ora si ergeva davanti a lui, gibbosa e allungata; le enormi ossa e le lunghe zanne che ne costituivano l'intelaiatura erano visibili nelle fessure fra le pellicce spesse, color terra d'ombra, di cui era ricoperta. Case... e Fortezze, i primi tentativi di costruzione. Un tempo, persone abitavano in strutture simili; era come vivere dentro la cassa toracica di un drago. Per gli dei, quelle zanne sono enormi; la bestia da cui vengono, quale che fosse, doveva essere imponente... A quanto pare, posso viaggiare a mio piacimento. Dentro ogni carta, di ogni Mazzo mai esistito. In mezzo all'onda di stupore e di eccitazione, Paran avvertì una sotterranea corrente di terrore. Il Mazzo comprendeva una moltitudine di luoghi sgradevoli. E questo? Davanti alla capanna, braci ardevano in un piccolo focolare rivestito di pietra. Avvolta nel fumo c'era una rastrelliera fatta di rami, da cui pendevano strisce di carne. La radura, vide ora il capitano, era circondata da teschi rovinati dalle intemperie, certo appartenenti alle bestie le cui ossa formavano l'impalcatura della capanna stessa. I teschi erano rivolti verso
l'interno e, dai lunghi molari ingialliti dentro le mascelle, era chiaro che gli animali erano stati erbivori, non carnivori. Paran si avvicinò alla capanna. Alla cornice d'avorio della porta d'ingresso erano appesi i teschi di carnivori, che lo costrinsero a chinarsi mentre entrava. Abbandonata in tutta fretta, si direbbe. Come se gli abitanti se ne fossero andati solo pochi attimi fa... In fondo alla capanna, si ergevano due troni gemelli, tozzi e robusti, costituiti interamente di ossa, su un palco rialzato di teschi umani dipinti d'ocra. Be', quasi umani. Più T'lan Imass, a dire il vero... Un'illuminazione lo colpì. Conosceva il nome di quel posto, lo conosceva nel profondo dell'animo. La Fortezza delle Bestie... precedente di molto il Primo Trono... quello era il cuore del potere dei T'lan Imass, il loro mondo spirituale, quando erano ancora in carne e ossa, quando ancora possedevano spiriti da riverire e venerare. Molto prima che iniziassero il Rituale di Tellann... sopravvivendo così al loro pantheon... Quello era un reame abbandonato, ormai precluso ai suoi costruttori. Che cos'è, allora, il canale Tellann che i T'lan Imass usano adesso? Ah, quel canale deve essere nato dal Rituale stesso, una manifestazione fisica del loro Voto di Immortalità, forse. Sotto l'influsso non della vita, e nemmeno della morte; sotto l'influsso... della polvere. Rimase immobile per qualche tempo, sforzandosi di comprendere gli strati di tragedia apparentemente insondabili che costituivano il fardello dei T'lan Imass. Oh, perdinci, sono sopravvissuti ai loro stessi dei. Vivono in un mondo di polvere; un'accozzaglia di ricordi, un'esistenza eterna... senza fine. Il dolore l'invase in un'onda possente, straziante. Che Beru ci protegga... così soli, ora. Così soli da tanto tempo... eppure adesso si radunano, vengono dalla bambina in cerca di benedizione... e di qualcos'altro... Paran fece un passo indietro, e si ritrovò di nuovo sulle mattonelle. A fatica, strappò gli occhi dalla Fortezza delle Bestie - ma perché c'erano due troni e non uno soltanto? - come ora sapeva che si chiamava la carta. Un'altra pietra incisa, una dozzina di passi alla sua sinistra, attirò la sua attenzione. Un chiarore cremisi pulsava nell'aria al di sopra. La raggiunse, abbassando lo sguardo. L'immagine di una donna addormentata, vista dall'alto, dominava la mattonella. La sua carne sembrava turbinare incessantemente. Paran si mise lentamente in posizione accovacciata, stringendo gli occhi. La pelle di lei
sembrava senza fondo, e rivelava sempre più dettagli man mano che il capitano avvicinava lo sguardo. Pelle, eppure non pelle. Foreste, distese di roccia, il letto ribollente degli oceani, spaccature nella carne del mondo... è Burn! E la Dea Dormiente. Poi vide la pecca, una vescica scura, in suppurazione. Ma, nonostante le ondate di nausea che l'attraversavano, non riusciva a distogliere lo sguardo. Lì, nel cuore della ferita, c'era una figura inginocchiata, ingobbita, spezzata. Incatenata. Incatenata alla carne di Burn. Dalla figura, lungo le catene, veleno scorreva dentro la Dea Dormiente. Lei sentiva la malattia venire, affondare gli artigli in lei. La sentiva... e sceglieva di dormire. Meno di duemila anni prima, aveva scelto di dormire. Aveva cercato di sfuggire alla prigione della sua stessa carne, per combattere con colui che quella carne stava uccidendo. Lei - oh, dei del cielo e dell'Abisso - aveva fatto di se stessa un'arma! L'intero suo spirito, con tutto il suo potere, era andato in un unico pezzo forgiato... un martello, un martello capace di rompere... rompere tutto. E poi Burn aveva trovato un uomo capace di maneggiarlo... Caladan Brood. Ma rompere le catene significava liberare il Dio Storpio. E un Dio Storpio privo di catene significava lo scatenamento della vendetta, una vendetta sufficiente a spazzare via ogni forma di vita dalla faccia di questo mondo. E tuttavia, a Burn, alla Dea Dormiente, questo non importava: avrebbe semplicemente ricominciato da capo. Ora Paran capiva, capiva la verità: è lui a rifiutare! Quel bastardo rifiuta! Per evitare lo scatenamento della letale volontà del Dio Storpio, che ci distruggerebbe tutti, Caladan Brood rifiuta di accontentarla! Ansimando, Paran si allontanò dalla scena. Tirandosi in piedi, fece un passo indietro... e si ritrovò di nuovo al fianco di Raest. Le zanne dello Jaghut scintillavano. «Hai trovato che la conoscenza è un dono, oppure una disgrazia?» Una domanda troppo preveggente... «Entrambe le cose, Raest.» «E quale scegli di abbracciare?» «Non so cosa vuoi dire.» «Stai piangendo, mortale. Di gioia o di dolore?» Con una smorfia, Paran si asciugò il viso. «Voglio andarmene, Raest», replicò con voce roca. «Voglio tornare indietro...» Battendo le palpebre, aprì gli occhi, e si ritrovò in ginocchio, a poca di-
stanza dal Figlio dell'Oscurità, che lo guardava perplesso. Paran intuì che dal suo arrivo improvviso erano passati solo pochi momenti ma, nel frattempo, parte della tensione che aveva avvertito all'inizio si era allentata. Una mano si posò sulla sua spalla; alzando lo sguardo, vide Volpe d'Argento in piedi al suo fianco. La Mhybe indugiava dietro di lei. A poca distanza, il Daru, Kruppe, si aggiustava con cura gli abiti di seta e canterellava sommessamente a bocca chiusa, mentre Ben lo Svelto si avvicinava al capitano, pur tenendo lo sguardo fisso sul Cavaliere dell'Oscurità. Paran chiuse gli occhi. Aveva la mente in tumulto. Si sentiva senza più radici, a causa di tutto ciò che aveva scoperto... a cominciare da ciò che mi riguarda. Signore del Mazzo. L'ultima recluta di una guerra di cui non so nulla. E ora... questo. «In nome di Hood», ruggì, «che cosa succede qui?». «Ho usato il potere», rispose Volpe d'Argento; i suoi occhi avevano una luce selvaggia. Il capitano tirò un respiro profondo. Il potere; oh sì, comincio a conoscere quella sensazione. Jen'isand Rul. Abbiamo cominciato i nostri rispettivi viaggi, eppure tu e io, Volpe d'Argento, siamo destinati ad arrivare alla stessa meta. Il Secondo Raduno. Chi, mi chiedo, ascenderà a quei due troni antichi, da tempo dimenticati? Dove, bambina diletta, guiderai i T'lan Imass? Anomander Rake parlò. «Non avevo previsto una riunione così... tesa, Caladan.» Girando di scatto la testa, Paran trovò Caladan Brood. E il martello stretto con tanta disinvoltura fra le braccia massicce. Ora ti conosco, Alto Comandante. Ma non rivelerò i tuoi oscuri segreti... a che pro? La decisione è tua e tua soltanto. Uccidere noi tutti, o la dea che servi. Brood, non ti invidio la sventura del privilegio di scelta; proprio no, povero bastardo. E poi, qual è il prezzo di un voto infranto? «Le mie scuse a tutti i presenti», continuò il Figlio dell'Oscurità. «Come quest'uomo», Rake indicò Ben lo Svelto con un gesto, «ci ha fatto saggiamente notare, agire adesso - sapendo così poco della natura dei poteri qui manifestati - sarebbe veramente precipitoso». «Potrebbe già essere troppo tardi», ribatté Kallor, gli occhi antichi, inespressivi, fissi su Volpe d'Argento. «La magia della bambina era Tellann, ed è molto tempo che non viene risvegliata così completamente. Ora siamo tutti in pericolo. Uno sforzo congiunto, immediato, potrebbe riuscire ad abbattere questa creatura; forse non avremo più un'opportunità simile.» «E se dovessimo fallire, Kallor?» domandò Anomander Rake. «Che ne-
mico ci saremo fatti? Per ora, la bambina ha agito per difendersi, niente di più. Non è un atteggiamento ostile, vero? Rischi troppo in un colpo solo, Alto Re.» «E per finire», tuonò Caladan Brood, rimettendo il terribile, micidiale martello nella sua imbracatura, «ci sono questioni di strategia». La sua voce era tinta di rabbia, come se fosse furibondo di dover esprimere ciò che per lui era stato ovvio fin dall'inizio. «La neutralità rimane la linea di condotta più opportuna, finché non si rivelerà la natura del potere di Volpe d'Argento. Abbiamo già abbastanza nemici. Ora, basta melodrammi, per favore. Benvenuto fra noi, Rake. Sicuramente avrete informazioni da darci riguardo alla situazione della Progenie della Luna, oltre ad altri particolari degni di nota.» Si volse verso Paran, con irritazione improvvisa. «Capitano, non potete fare qualcosa riguardo a quel maledetto tavolo volante?» Trasalendo, Paran alzò gli occhi verso l'oggetto incriminato. «Be', sul momento non mi viene in mente niente, Alto Comandante», riuscì a balbettare. «Non sono un mago!» Con un grugnito, Brood si girò dall'altra parte. «Non importa. Lo considereremo un ornamento di pessimo gusto.» Ben lo Svelto si schiarì la gola. «Forse, con un po' di tempo, potrei trovare una soluzione, Alto Comandante.» Caladan lanciò un'occhiata a Dujek, che fece un sogghigno e autorizzò Ben lo Svelto ad agire con un cenno del capo. «Non un semplice soldato, a quanto vedo», osservò Anomander Rake. Il mago di Sette Città scrollò le spalle. «Apprezzo le sfide, signore. Non garantisco che avrò successo, intendiamoci... no, niente indagini sul mio conto, Figlio dell'Oscurità. Tengo alla mia sfera privata.» «Come volete», rispose Rake, girandosi dall'altra parte. «Nessun altro ha fame?» Tutti gli occhi si volsero verso Kruppe. Mentre l'attenzione generale era rivolta altrove, la Mhybe si allontanò pian piano dalla radura, arretrando fra due file di tende Tiste Andii strette l'una all'altra, poi si girò e cercò di correre. Ossa e muscoli protestarono; ma le vene che ardevano di terrore e di panico la spinsero a continuare. Avanzò zoppicando, mezza accecata dalle lacrime, il respiro affannoso, gli ansiti rochi inframmezzati da gemiti sommessi. Oh... spiriti diletti... guardatemi. Mostratemi pietà, ve ne supplico. Guardatemi inciampare e barcollare... guardatemi! Abbiate compassione di me, spiriti della terra!
Lo esigo! Prendete la mia anima, antenati crudeli, ve ne prego! Le fasce di rame che portava ai polsi e alle caviglie - deboli difese tribali contro il dolore alle ossa - le sembravano fredde come il ghiaccio contro la pelle avvizzita, fredde come il tocco di uno stupratore, indifferente alla sua fragilità, sprezzante verso il suo cuore greve. Gli spiriti Rhivi non l'ascoltarono; risero beffardamente di lei. La vecchia gridò, vacillò, cadde violentemente in ginocchio. L'urto le fece sprizzare tutta l'aria dai polmoni. Contorcendosi, si afflosciò a terra, e rimase sola, infradiciata, in un vicolo di terriccio fangoso. «"La carne"», mormorò una voce sopra di lei, «"che è la vita dentro". Queste, amica amatissima, sono le parole della nascita, pronunciate in tante forme, in innumerevoli lingue. Sono gioia e dolore, perdita e sacrificio; danno voce ai legami della maternità... di più: sono i legami della vita stessa». I capelli grigi scarmigliati, la Mhybe alzò la testa. Crone sedeva in cima alla traversa di una tenda, le ali ripiegate, gli occhi lucidi di lacrime. «Non sono immune al dolore, come vedi, mia cara... non dire a nessuno che mi hai visto così indebolita dall'affetto. Come posso consolarti?» Scuotendo la testa, la Mhybe rispose con voce roca: «Non puoi». «Lei è più degli altri; più delle donne Tattersail e Nightchill, più dei T'lan Imass...» «Mi vedi, Crone? Mi vedi veramente?» La Mhybe si tirò carponi, poi si mise a sedere, guardando il Grande Corvo con aria torva. «Non sono altro che ossa e pelle incartapecorita, non sono altro che una serie infinita di dolori. Fragile, prosciugata... per gli spiriti della terra, ogni momento della mia vita, di questa terribile esistenza, mi avvicina sempre di più a... a...» chinò la testa, «all'odio», terminò in un sospiro strozzato. Fu scossa da un singhiozzo. «E così vorresti morire ora», disse Crone. «Sì, capisco. Una madre non deve essere spinta a odiare la figlia che ha partorito... ma tu chiedi troppo a te stessa.» «Lei mi ha rubato la vita!» gridò la Mhybe; le mani nodose si strinsero in pugni da cui tutto il sangue si ritrasse. La donna Rhivi fissò quei pugni, gli occhi sgranati come se vedessero le mani di una sconosciuta, morte e scheletriche, lì, in fondo alle sue braccia sottili. «Oh, Crone», riprese, in un lamento sommesso, «mi ha rubato la vita...». Il Grande Corvo aprì le ali, si piegò in avanti, poi si lasciò cadere in una
morbida curva, atterrando con un tonfo davanti alla Mhybe. «Devi parlare con lei.» «Non posso!» «Deve capire...» «Lei sa, Crone, sa. Cosa vorresti che facessi... che chiedessi a mia figlia di smettere di crescere? Questo fiume scorre incessante, incessante...» «I fiumi si possono arginare. I fiumi si possono... deviare.» «Non questo, Crone.» «Non accetto le tue parole, mia diletta. E troverò una soluzione. Lo giuro.» «Non ci sono soluzioni... non sprecare il tuo tempo, amica mia. La mia gioventù è andata, e non può essermi restituita, né dall'alchimia né dalla magia. Il Tellann è un canale inespugnabile, Crone; le sue richieste non possono essere annullate. E se anche dovessi in qualche modo riuscire ad arrestare questo flusso... vorresti che restassi una vecchia per decenni ancora? Anno dopo anno, intrappolata in questa gabbia? Altro che misericordia: sarebbe una maledizione eterna. No, lasciami al mio destino, te ne prego.» Passi si avvicinarono da dietro. Un attimo dopo, Korlat si chinò al fianco della Mhybe, la cinse con il braccio in un gesto di protezione e l'attirò a sé. «Vieni», mormorò. «Vieni con me.» La Mhybe lasciò che Korlat l'aiutasse ad alzarsi. Aveva vergogna della propria debolezza, ma tutte le sue difese erano crollate, il suo orgoglio era in briciole, e il suo animo era pervaso da un senso di impotenza. Una volta ero una giovane donna. A che serve inveire contro la mia perdita? Le mie stagioni sono franate una addosso all'altra; non esiste rimedio. E la vita dentro si affievolisce, mentre la vita fuori fiorisce. È una battaglia che nessun mortale può vincere, ma dov'è, cari spiriti, il dono della morte? Perché mi negate una fine? Si raddrizzò leggermente fra le braccia di Korlat. Poiché avete già tormentato a tal punto la mia anima, la privazione della vita non può causarmi altro dolore. Benissimo, cari spiriti, vi darò la mia risposta. Sconvolgerò i vostri piani. «Portami alla mia tenda», ordinò a Korlat. «No», replicò questa. La Mhybe si girò, folgorando la Tiste Andii con lo sguardo. «Ho detto...» «Ti ho sentito, Mhybe, anche meglio di quanto non fosse nelle tue intenzioni. La risposta è no. Rimarrò al tuo fianco, e non sono sola nella mia
fede.» La donna Rhivi sbuffò. «Fede? Sei una Tiste Andii! Mi prendi per sciocca, con le tue dichiarazioni di fede?» Korlat s'irrigidì in volto, distogliendo lo sguardo. «Forse hai ragione.» Oh, Korlat, scusami... vorrei ritirare le mie parole, lo giuro... «Però», continuò la Tiste Andii, «non ti abbandonerò alla disperazione». «Sono abituata a essere prigioniera», ammise la Mhybe, di nuovo arrabbiata. «Ma ti avverto, Korlat, avverto tutti voi: l'odio sta trovando terreno fertile in me. E con la vostra compassione, con tutte le vostre buone intenzioni, voi lo alimentate. Vi supplico, lasciate che la faccia finita.» «No, e tu sottovaluti la nostra tenacia, Mhybe. Non riuscirai a mandarci via.» «Allora mi trascinerete nell'odio, e il prezzo da pagare sarà tutto ciò che ho caro in me, tutto ciò che un tempo, forse, apprezzavate.» «Vorresti togliere ogni valore ai nostri sforzi?» «Non per scelta, Korlat; è questo che ti sto dicendo: ho perso ogni facoltà di scelta. A causa di mia figlia. E ora, a causa vostra. Conoscerò soltanto il risentimento; vi supplico di nuovo: se vi importa qualcosa di me, lasciatemi terminare questo terribile viaggio.» «Non ti darò il permesso di ucciderti, Mhybe. Se dev'essere l'odio a ispirarti, così sia. Ora sei sotto la cura - la tutela - dei Tiste Andii.» La donna Rhivi piegò le spalle, sconfitta. Si forzò di forgiare parole che esprimessero le sue emozioni, e quelle che vennero la gelarono. L'autocommiserazione. Sono caduta così in basso... E va bene, Korlat: per adesso hai vinto. «Burn sta morendo.» Caladan Brood e Anomander Rake erano soli nella tenda; rimasugli di tensione turbinavano ancora intorno a loro. A giudicare dal rumore proveniente dalla radura, il mago Ben lo Svelto doveva essere riuscito a riportare a terra l'enorme carta di legno, ed era in corso una discussione su cosa farne. Il Figlio dell'Oscurità si tolse i guanti, lasciandoli cadere sul tavolo, prima di girarsi verso l'Alto Comandante. «Eccettuata l'unica cosa che non dovete fare, non c'è nessun'altra opzione?» Brood scosse la testa. «C'è sempre stata un'unica possibilità. Il mio canale è Tennes, lo stesso della dea, e ciò che attacca lei attacca anche me. A parte liberarla da colui che l'ha infettata in questo modo...»
«Il Dio Storpio», mormorò Rake; era come impietrito. «Ha dedicato un'eternità ad alimentare il suo rancore; non mostrerà alcuna pietà, Brood. Questa è una vecchia storia. Abbiamo convenuto - voi, io, la Regina dei Sogni, Hood - abbiamo convenuto tutti insieme...» Il largo viso dell'Alto Comandante sembrava sul punto di accartocciarsi. Poi, con la grazia di un orso, egli si riscosse, girandosi dall'altra parte. «Questo peso, per quasi milleduecento anni...» «E se muore?» Brood scosse di nuovo la testa. «Non so. Il suo canale morirà, certamente, ma prima il Dio Storpio ne farà il suo sentiero verso ogni altro canale... e allora tutti i canali moriranno.» «E con loro, ogni magia.» L'Alto Comandante annuì, tirò un respiro profondo e raddrizzò le spalle. «Sarebbe una cosa così terribile, secondo voi?» Rake sbuffò. «Come se la distruzione finisse lì! A quanto pare, quale delle due scelte si faccia, il Dio Storpio vince comunque.» «Così pare.» «E tuttavia, con la scelta che avete compiuto, avete concesso a questo mondo, e a tutti i suoi abitanti, qualche altra generazione di vita.» «Di vita e di morte, di guerre e di massacri. Di sogni, speranze e fini tragiche...» «I vostri pensieri stanno prendendo un corso inopportuno, Brood.» Rake si avvicinò. «Avete fatto, e continuate a fare, tutto ciò che vi può essere richiesto. Un tempo, eravamo lì a dividere il peso con voi, ma poi ognuno di noi è stato... distolto dai propri interessi, e vi abbiamo abbandonato.» «Lasciate questa via, Rake: è sterile. Preoccupazioni più immediate possono occupare questa rara opportunità di parlare in privato.» La larga bocca di Rake si atteggiò a un debole sorriso. «Vero.» Lanciò un'occhiata verso l'entrata della tenda. «Là fuori...» si volse di nuovo verso Brood. «Data l'infezione del Tennes, la vostra sfida era un bluff?» L'Alto Comandante scoprì i denti limati. «In un certo senso, ma non del tutto. La questione non è la mia capacità di scatenare potere, ma la natura di quel potere. Intriso di veleno, contaminato dal Caos...» «Volete dire che potrebbe essere più selvaggio del vostro solito maelstrom? Questo è veramente allarmante, Brood. Kallor lo sa?» «No.» Rake fece un grugnito. «Meglio così.» «Sì», ruggì l'Alto Comandante. «Per cui, la prossima volta, anche voi
vedete di trattenervi, Rake.» Il Tiste Andii andò a versarsi del vino. «Strano, pensavo proprio di averlo fatto.» «Ora dobbiamo parlare del Dominio di Pannion.» «Un vero mistero, Brood. Molto più insidioso di quanto non avessimo supposto. Strati di potere, nascosti l'uno sotto l'altro. Al centro giace, sospetto, il Canale del Caos; e i Grandi Corvi sono d'accordo.» «Questo sentiero passa troppo vicino al Dio Storpio perché la cosa sia accidentale, Rake. Dopo tutto, quello dell'Incatenato è il veleno del Caos.» «Già.» Rake sorrise. «Curioso, no? Credo che non ci sia dubbio su chi usa chi...» «Forse.» «Affrontare il Dominio di Pannion ci porrà sfide formidabili.» Brood fece una smorfia. «Come ha insistito la bambina, avremo bisogno di aiuto.» Il Figlio dell'Oscurità aggrottò le sopracciglia. «Spiegatevi, per favore.» «I T'lan Imass, amico. Gli eserciti dei non-morti stanno arrivando.» Il Tiste Andii s'incupì in volto. «È questo il contributo di Dujek Unbraccio, allora?» «No, è opera della bambina, Volpe d'Argento. È una Divinatrice in carne e ossa, la prima da molto, molto tempo.» «Ditemi di lei.» L'Alto Comandante obbedì, in tutti i dettagli, e quando ebbe finito nella tenda calò il silenzio. Osservando Paran con gli occhi socchiusi, Whiskeyjack puntò verso di lui a grandi passi. Il giovane capitano tremava come in preda alla febbre, il volto cereo e lucido di sudore. In qualche modo, Ben lo Svelto era riuscito a portare a terra il piano del tavolo; la magia l'avvolgeva ancora in lampi guizzanti che sembravano riluttanti a sbiadire. Il mago vi stava accovacciato accanto; dall'inespressività del suo viso, Whiskeyjack capì che era in trance. Con i suoi poteri, sondava, indagava... «Siete uno sciocco.» A quelle parole aspre, il comandante si girò. «Spiegatevi meglio, Kallor.» L'uomo alto, dai capelli grigi, fece un sorriso freddo. «Vi pentirete del vostro voto di proteggere la bambina.» Alzando le spalle, Whiskeyjack si volse e riprese il suo cammino.
«Non ho finito con voi!» sibilò Kallor. «Ma io sì», replicò tranquillamente il Malazan, senza fermarsi. Ora Paran teneva il viso rivolto verso di lui; aveva gli occhi spalancati, vacui, di chi non capisce. Alle sue spalle, i Tiste Andii avevano cominciato a disperdersi, spettrali e apparentemente indifferenti ora che il loro signore si era ritirato nella tenda di comando con Caladan Brood. Whiskeyjack cercò Korlat ma non la trovò; e nemmeno la Mhybe, si rese conto dopo un attimo, era in vista. Volpe d'Argento stava a una dozzina di passi da Paran, e guardava il capitano con gli occhi di Tattersail. «Niente domande», ruggì Paran, quando Whiskeyjack gli si fermò davanti. «Non ho risposte da darvi; né riguardo a quel che è successo qui, né riguardo a quello che sono diventato. Forse sarebbe meglio che affidaste a qualcun altro il comando degli Arsori di Ponti.» «Non ce n'è motivo», replicò Whiskeyjack. «Inoltre, odio cambiare idea, a qualunque proposito, capitano.» Ben lo Svelto li raggiunse, con un grande sorriso. «Per un pelo, eh?» «Cos'è quella roba?» gli chiese Whiskeyjack, indicando il piano del tavolo con un cenno del capo. «Quello che sembra. Una nuova carta Indipendente nel Mazzo dei Draghi. È l'Indipendente di tutti gli Indipendenti. Il tavolo contiene l'intero Mazzo, ricordate.» Il mago lanciò un'occhiata a Paran. «Il nostro capitano è sulla soglia dell'ascendenza, come sospettavamo. E questo significa che ciò che fa - o sceglie di non fare - potrebbe avere conseguenze profonde, su tutti noi. A quanto pare, il Mazzo dei Draghi ha acquisito un padrone. Jen'isand Rul.» Paran si girò dall'altra parte; evidentemente, non voleva partecipare alla conversazione. Whiskeyjack guardò il mago con espressione accigliata. «Jen'isand Rul. Credevo fosse un nome che si riferiva alle sue... avventure dentro una certa arma.» «Lo è, ma poiché quel nome è sulla carta, sembra che le due cose siano legate... in qualche modo. Se il capitano è all'oscuro come noialtri, allora dovrò riflettere seriamente sul significato di quel legame. Naturalmente», aggiunse Ben lo Svelto, «può darsi che il capitano ne sappia abbastanza da aiutarmi, sempre che lo voglia». Paran aprì la bocca per rispondere, ma Whiskeyjack lo prevenne. «Non ha risposte da darci... per adesso. E allora, dovremo portare con noi nella marcia quel ridicolo piano del tavolo?»
Ben lo Svelto annuì lentamente. «Sarà meglio, almeno per un po', così potrò studiarlo più approfonditamente. Però, consiglierei di liberarcene prima di entrare nel territorio Pannion. La Corporazione Commerciale Trygalle potrà lasciarlo in custodia all'alchimista di Darujhistan.» «La carta non ci lascerà», intervenne una voce nuova. Girandosi, i tre uomini trovarono Volpe d'Argento lì vicina. Dietro di lei, una dozzina di guerrieri Rhivi sollevavano il piano del tavolo. Guardando gli uomini flessuosi, dalla pelle scura, portarlo via, Ben lo Svelto corrugò la fronte. «È rischioso portare in battaglia un oggetto di tale potere, figliola.» «Dobbiamo correre quel rischio, mago.» Whiskeyjack grugnì. «Perché?» «Perché la carta appartiene a Paran, e lui ne avrà bisogno.» «Puoi spiegarti?» «Combattiamo contro più di un nemico, come vedremo.» «Non voglio quella carta», sbottò Paran. «Fareste meglio a dipingere un'altra faccia su quella roba. Ho il sangue di un Segugio dell'Ombra dentro di me. Sono un pericolo ambulante; quand'è che lo capirete? Hood sa se lo capisco io!» Il tintinnio di un'armatura li avvertì dell'arrivo di Kallor. Whiskeyjack lo guardò con aria torva. «Non siete parte di questa conversazione.» Kallor fece un sorriso ironico. «Parte mai, ma spesso l'argomento...» «Non stavolta.» Gli occhi grigi, inespressivi dell'Alto Re si fissarono su Ben lo Svelto. «Voi, mago, accumulate anime... Io le libero. Devo rompere le catene al vostro interno? È facile ridurvi all'impotenza!» «È ancora più facile», ribatté Ben lo Svelto, «fare una buca nel terreno». Il suolo si aprì sotto i piedi di Kallor, che scomparve alla vista. Si udì un clangore di armatura, seguito da un urlo di rabbia. Volpe d'Argento ansimò, guardando Ben lo Svelto con gli occhi sgranati. Il mago scrollò le spalle. «Hai ragione: non m'importa di chi, o cosa, sia Kallor.» Whiskeyjack si avvicinò al bordo della buca, abbassando lo sguardo. «Sta risalendo... niente male, per un vecchio.» «Ma dal momento che non sono stupido», si affrettò ad aggiungere Ben lo Svelto, «ora mi defilo». Il mago fece un gesto; la sua sagoma si offuscò
per un attimo, prima di svanire del tutto. Volgendo le spalle a Kallor che borbottava e imprecava - e le cui mani guantate si vedevano ora armeggiare intorno al fragile margine della buca Whiskeyjack disse a Paran: «Tornate dagli Arsori di Ponti, capitano. Se tutto va bene, ci rivedremo a Capustan». «Sì, signore.» Paran si allontanò a passo alquanto malfermo. «Suggerisco», concluse Volpe d'Argento, gli occhi fissi sugli sforzi di Kallor per liberarsi, «che anche noi lasciamo questo luogo». «D'accordo, figliola.» Curvo sulla sella, Whiskeyjack guardò le colonne dell'Armata di Unbraccio marciare fuori dalla città di Pale. La giornata era calda; nell'aria umida aleggiava un sentore di temporali. Sopra i due eserciti, in sella ai quorl, volavano alti in cerchio i Moranth Neri, meno numerosi del solito: il loro Conquistatore, l'Ardito, si era messo in viaggio con il capitano Paran e gli Arsori di Ponti quattro giorni prima, e otto degli undici Stormi se n'erano andati la sera precedente, diretti ai Monti della Visione, sul confine nord-occidentale del Dominio. Il comandante era esausto. Il dolore alla gamba gli impediva di dormire, e ogni giorno era assillato dai problemi sul rifornimento e sui dettagli dello schieramento previsto per la marcia, e dallo sciame incessante di messaggeri che arrivavano con ordini e rapporti e ripartivano con altri. Era impaziente di cominciare il viaggio che li avrebbe portati attraverso metà continente, non foss'altro che per rispondere alle mille domande su ciò che li aspettava. Ben lo Svelto sedeva in silenzio accanto a Whiskeyjack; il cavallo del mago si muoveva nervosamente sotto di lui. «Hai influenzato la bestia con il tuo stato d'animo, Ben», commentò il comandante. «Già.» «Ti stai chiedendo quando ti lascerò libero, cosicché potrai inseguire e raggiungere Paran e gli Arsori di Ponti e mettere qualche distanza fra te e Kallor. Inoltre, non vedi l'ora di allontanarti il più possibile da Volpe d'Argento.» Davanti a quest'ultima osservazione, Ben lo Svelto ebbe un sussulto, poi sospirò. «Sì. Presumo di non essere riuscito a nascondere il mio disagio; non a te, evidentemente. Dal momento del nostro arrivo, la bambina è cresciuta di cinque anni o più, Whiskeyjack. Stamattina ho fatto visita alla
Mhybe: Korlat fa quello che può, e anche le sapienti Rhivi, ma Volpe d'Argento le ha sottratto quasi tutte le energie; Hood solo sa cosa la tiene in vita. Nemmeno il pensiero di un raduno di T'lan Imass mi rende troppo felice. E poi c'è Anomander Rake; vuole sapere tutto di me...» «Ha arrischiato altre indagini?» «No, ma perché tentarlo?» «Ho bisogno di te ancora per un po'», spiegò Whiskeyjack. «Cavalca con il mio seguito; manterremo le distanze dal Figlio dell'Oscurità, per quanto è possibile. Quei mercenari di Capustan hanno abboccato alla tua esca?» «Ci stanno giocando.» «Aspetteremo un'altra settimana, allora. Se per allora non succederà niente, partirai.» «Bene.» «Ora», riprese Whiskeyjack, «perché non mi dici cos'altro hai in pentola, Ben lo Svelto?». Il mago batté le palpebre con aria innocente. «Come sarebbe?» «Hai visitato tutti i templi e tutti i veggenti di Pale, mago. Hai speso una piccola fortuna in letture del Mazzo. Per Hood, mi è arrivato un rapporto secondo il quale hai sacrificato una capra all'alba in cima a un tumulo; che stavi combinando, per l'Abisso?» «Va bene», borbottò il mago, «la storia della capra puzza di disperazione. Mi sono fatto trascinare, lo ammetto». «E cosa ti hanno detto gli spiriti perduti del tumulo?» «Niente. Non... uhm... non ce n'erano.» Whiskeyjack strinse gli occhi. «Non ce n'erano? Era un tumulo Rhivi, no?» «Uno dei pochi rimasti nella zona, sì. Ma è stato... uhm... ripulito. Di recente.» «Ripulito?» «Qualcuno o qualcosa li ha rastrellati. Per quanto ne so, non è mai successo prima. È stranissimo; in quei tumuli non è rimasta una sola anima. Dove sono finite?» «Stai cambiando argomento, Ben lo Svelto. Ottima tattica.» Il mago aggrottò le sopracciglia. «Sto facendo delle indagini. Niente che non sia in grado di gestire, e niente che interferisca col resto. Inoltre, ora siamo ufficialmente in marcia, no? Non c'è molto che possa fare, sperso in capo al mondo, vero? E poi, sono davvero curioso... Quegli spiriti scom-
parsi... qualcuno li ha presi, ma chi?» «Quando ci capirai qualcosa, informami, d'accordo?» «Certo.» Whiskeyjack digrignò i denti, senza aggiungere altro. Ti conosco da troppo tempo, Ben lo Svelto. Sei incappato in qualcosa, e ti sta facendo scappare come una donnola con la coda fra le gambe. Sacrificare una capra, per Hood! Lasciata Pale, l'Armata di Un-braccio - quasi diecimila veterani della Campagna di Genabackis - si mosse in direzione del vasto esercito di Caladan Brood, per unirsi alle sue fila. Era cominciata la marcia verso la guerra, contro un nemico che non avevano mai visto e di cui non sapevano quasi nulla. CAPITOLO SESTO Dove loro passano, segue il sangue... La visione di Kulburat Horal Thume (n. 1134) Alla Porta del Tramonto di Saltoan si accedeva attraverso una strada larga, arcuata, che passava sopra il canale. Sia il ponte sia il canale stesso necessitavano seriamente di riparazioni: la malta era sgretolata e percorsa da crepe ampie, piene d'erba, là dove le fondamenta si erano assestate. Una delle città più antiche della Pianura della Visione, un tempo Saltoan sorgeva lungo il fiume Catlin e si arricchiva grazie al commercio intercontinentale; ma la situazione era mutata quando il fiume aveva cambiato corso nello spazio di un'unica primavera di piogge torrenziali. Nel tentativo di ristabilire il proficuo legame con il traffico fluviale, era stato creato il Canale di Korselan, insieme a quattro profondi laghi - due dentro il vecchio letto del fiume - per l'ormeggio delle imbarcazioni. Ma i risultati erano stati minimi, e gli ultimi quattrocento anni avevano visto un lento, inesorabile declino. Gruntle, che cavalcava lungo la strada, assunse un'aria sempre più torva nel vedere avanti a sé le mura basse e spesse di Saltoan, lungo i lati inclinati delle quali macchie colavano in strisce brunastre. Il capitano della carovana sentiva già l'odore della fogna a cielo aperto. Lungo gli spalti merlati c'erano parecchie figure, ma poche - o forse nessuna - erano soldati
o gendarmi. La città aveva inviato la sua famosa Guardia a Cavallo a nord, perché si riunisse alle forze di Caladan Brood nella guerra contro l'Impero Malazan. I membri restanti dell'esercito non valevano il lucido dei loro stivali. Si girò a lanciare un'occhiata alla carrozza del padrone, che avanzava rumorosamente. Dal sedile del vetturino, Harllo lo salutò con un cenno del braccio. Al suo fianco, Stonny reggeva le briglie; Gruntle vide le sue labbra muoversi in un fiotto di imprecazioni e proteste. Riportò l'attenzione sulla Porta del Tramonto. Non c'erano guardie in vista e il traffico era scarso. L'enorme doppia porta di legno era accostata; a giudicare dalle apparenze, non veniva chiusa da molto tempo. Sentendo l'umore abbattersi ulteriormente, il capitano rallentò il cavallo fino a farsi raggiungere dalla carrozza. «Andiamo dritti, vero?» chiese Stonny. «Dritti fino alla Porta dell'Alba, giusto?» «Così ho consigliato io», rispose Gruntle. «A che serve tutta la nostra esperienza se il padrone non dà ascolto ai nostri consigli? Dimmelo, Gruntle!» Il capitano si limitò a scrollare le spalle. Keruli poteva sentire ogni parola, e Stonny lo sapeva benissimo. Si avvicinarono all'entrata ad arco. Il viale all'interno si restringeva rapidamente in un vicolo tortuoso sepolto nell'ombra degli edifici adiacenti, che pendevano l'uno verso l'altro fin quasi a toccarsi. Gruntle passò di nuovo davanti alla carrozza. Polli malconci si dispersero davanti a loro, ma i ratti neri e grassi nei canali di scolo interruppero solo momentaneamente il banchetto a base di spazzatura putrida per guardare le ruote della carrozza superarli con un cigolio. «Fra un attimo, gratteremo», osservò Harllo. «Se riusciamo ad attraversare il Passaggio della Smorfia, è fatta.» «Sì, ma è un grosso "se", Gruntle. Intendiamoci, su quei muri c'è abbastanza roba che passa per grasso...» Il vicolo si strinse fino alla strozzatura nota come Passaggio della Smorfia. Innumerevoli carri mercantili avevano scavato solchi profondi su entrambi i lati; raggi di ruota e accessori rotti costellavano i ciottoli. Come Gruntle ben sapeva, nel quartiere regnava la mentalità del saccheggio: ogni carrozza intrappolata nel passaggio era un bersaglio scontato e gli abitanti non esitavano a incrociare le spade se le loro pretese venivano contrastate. Gruntle aveva sparso sangue in quel punto solo una volta, sei o sette anni
prima. Una notte movimentata, ricordava. In quelle ore buie, angosciose, lui e le sue guardie avevano ripulito mezzo sobborgo popolare di assassini e delinquenti prima di uscire retrocedendo dal vicolo, togliere le ruote dal carro, porvi sotto dei rulli e spingerlo a mano attraverso il passaggio. Non intendeva ripetere l'esperienza. Mentre percorrevano la strozzatura, i mozzi strisciarono due o tre volte, ma infine, fra le imprecazioni di Stonny e i sogghigni di Harllo che si dimenava per evitare i vestiti fradici appesi a un filo del bucato, emersero nella piazza al di là. Non c'era stato un piano preciso dietro al Recinto di Wu. Lo spazio aperto aveva avuto origine dalla convergenza casuale di tredici strade e vicoli di varia ampiezza. La locanda alla quale, un tempo, tutti confluivano non esisteva più: distrutta in un incendio un secolo prima, aveva lasciato una distesa vasta, irregolare, di ciottoli e mattonelle che aveva, per qualche oscura ragione, preso il nome di Recinto di Wu. «Prendi la Via Mucosin, Stonny», ordinò Gruntle, indicando con un gesto l'ampio viale sul lato orientale della piazza. «Sì, mi ricordo», ruggì lei. «Per gli dei, che puzza!» Il loro arrivo era stato scoperto da una banda di monelli, che ora seguivano la carrozza come avvoltoi; i visi sporchi e butterati erano chiusi, fin troppo seri. Nessuno di loro parlava. Sempre alla testa, Gruntle condusse il suo cavallo nella Via Mucosin. Vide qualche viso affacciarsi a finestre incrostate di sudiciume, ma per il resto non c'era movimento. Né qui... né più avanti. Non va bene. «Capitano», chiamò Harllo. Gruntle non si girò. «Sì?» «Quei bambini... sono scomparsi.» «Bene.» Estrasse i coltellacci Gadrobi. «Carica la balestra, Harllo.» «Già fatto.» Lo so, ma meglio annunciarlo. Venti passi più avanti, tre figure apparvero sulla strada. Gruntle strinse gli occhi; riconobbe la donna alta al centro. «Salve, Nektara. Vedo che hai ampliato i tuoi possedimenti.» La donna dal volto sfregiato sorrise. «Oh, ecco il caro Gruntle. E Harllo. E chi altri? Oh, ma quella è Stonny Menackis. Antipatica come al solito, ci scommetto; anche se sono sempre disposta a deporre il mio cuore ai tuoi piedi.» «Decisione poco saggia», replicò Stonny. «Non cammino mai a passo
leggero.» Il sorriso di Nektara si allargò. «E quel cuore lo fai battere, amore. Ogni volta.» «Quant'è il pedaggio?» chiese Gruntle, fermando il cavallo a dieci passi dalla donna e dalle sue due mute guardie del corpo. Nektara alzò le sopracciglia depilate. «Pedaggio? Non stavolta, Gruntle. Siamo ancora nella proprietà di Garno... ci hanno concesso il passaggio. Siamo qui solo in veste di scorta.» «Scorta?» Le ante della carrozza si aprirono rumorosamente, facendo girare il capitano. Questi vide emergere la mano del padrone, che lo chiamò con un gesto languido. Gruntle scese di sella. Raggiunse la porta laterale della carrozza; spingendo dentro la testa, vide il volto pallido, rotondo di Keruli. «Capitano, dobbiamo incontrare i... governanti di questa città.» «Il re e il suo Consiglio? Perché...?» Una risata sommessa lo interruppe. «No, no. I veri governanti di Saltoan. A gran prezzo, e tramite trattative straordinarie, è stata indetta una riunione di tutti i capi della criminalità, alla quale dovrò rivolgermi stasera. Siete autorizzato ad accettare la scorta che vi è appena stata offerta. È tutto a posto, ve l'assicuro.» «Perché non mi avete avvertito prima?» «Non ero certo che le trattative fossero andate a buon fine. La questione è complessa, perché sono i capi stessi ad aver chiesto... assistenza. Io, a mia volta, devo tentare di guadagnarmi la loro fiducia e convincerli che sono l'agente più idoneo a fornire detta assistenza.» Tu? Ma allora chi sei, in nome di Hood? «Capisco. Va bene, fidatevi di questi delinquenti se volete, ma temo che noi non faremo altrettanto.» «Intesi, capitano.» Gruntle tornò al suo cavallo. Raccogliendo le redini, si girò verso Nektara. «Facci strada.» Saltoan era una città con due cuori, le cui cavità contenevano due tipi di sangue di colore diverso, ma egualmente corrotti e guasti. Seduto con le spalle al muro della taverna affollata, dal soffitto basso, Gruntle osservava con gli occhi socchiusi una folla eterogenea di assassini, delinquenti e usurai il cui potere era direttamente proporzionale alla paura che suscitavano. Stonny stava appoggiata al muro alla sinistra del capitano; Harllo divi-
deva la panca con lui, alla sua destra. Nektara aveva portato la sua sedia e un tavolino rotondo vicino a Stonny. Fitte volute di fumo si levavano dal narghilè davanti a quell'autorità del crimine, avvolgendone i lineamenti sfregiati in vapori densi, catramosi. La donna teneva il bocchino del narghilè nella mano sinistra; la destra stava sulla coscia di Stonny, coperta dai calzoni di pelle. Keruli era in piedi al centro della stanza, rivolto verso la maggioranza dei capi. L'ometto teneva le mani incrociate sopra la cintura di seta grigia; il mantello di seta nera luccicava come ossidiana fusa. A coprirgli strettamente la testa calva, c'era uno strano cappello aderente, il cui stile ricordava quello delle figure delle sculture e degli arazzi più antichi di Darujhistan. Aveva cominciato il suo discorso con voce morbida, perfettamente modulata. «Sono lieto di essere presente a questa riunione, che auspico darà buoni frutti. Ogni città ha i suoi veli segreti, e sono onorato che uno si sia aperto davanti alla mia persona. Molti di voi, me ne rendo conto, potrebbero considerarmi fatto della stessa pasta del vostro nemico giurato, ma vi assicuro che non è così. Avete espresso le vostre preoccupazioni riguardo all'influsso esercitato su Saltoan dai sacerdoti del Dominio di Pannion. Essi parlano di città divinamente protette dal culto del Veggente Pannion, e offrono alla gente comune storie di leggi applicate imparzialmente a tutti i cittadini, di diritti e privilegi codificati, di una gradita imposizione dell'ordine a dispetto di costumi e tradizioni locali. Seminano zizzania fra i vostri sudditi... un precedente pericoloso, invero.» Dai capi della criminalità si levarono mormorii di assenso. Per poco, Gruntle non sorrise davanti alle ostentate buone maniere di quegli assassini cresciuti sulla strada. Lanciando un'occhiata verso Nektara, alzò le sopracciglia nel vedere la mano di lei tuffata fra le pieghe dei calzoni di pelle di Stonny, all'altezza dell'inguine. Stonny aveva il viso arrossato, un debole sorriso sulle labbra, gli occhi quasi chiusi. Regina dei Sogni, non c'è da stupirsi che i nove decimi degli uomini in questa stanza stiano ansimando e bevendo vino a grandi sorsi. Lui stesso allungò la mano verso il suo boccale. «Un massacro totale», ruggì una donna. «Questi sacerdoti andrebbero squartati dal primo all'ultimo; è l'unico modo di risolvere il problema, secondo me.» «Sarebbero martiri della fede», ribatté Keruli. «Un attacco tanto diretto è destinato a fallire, come è successo in altre città. Questo, signori e signore,
è un conflitto di informazione o, meglio, di cattiva informazione. I sacerdoti conducono una campagna di inganni. Il Dominio di Pannion, sotto la sua maschera di legge e ordine, è una tirannia, caratterizzata da una crudeltà estrema verso la sua gente. Avrete sicuramente sentito parlare dei Tenescowri, l'esercito di indigenti e derelitti raccolto dal Veggente; ebbene, tutte le storie che circolano non sono esagerazioni. Cannibali, stupratori di defunti...» «I Figli del Seme Morto», intervenne un uomo, chinandosi in avanti. «È vero? È mai possibile? Che donne scendano nei campi di battaglia e soldati dai corpi ancora caldi...» Keruli annuì cupamente. «Fra i Tenescowri più giovani... sì, ci sono i Figli del Seme Morto. Una prova singolare, ma inconfutabile, di tale possibilità.» Dopo una pausa, continuò: «Il Dominio possiede i suoi fedeli consacrati, gli abitanti delle città Pannion originarie, a cui si applicano tutti i diritti e i privilegi di cui parlano i sacerdoti. Nessun altro può acquisire tale cittadinanza. I non-cittadini sono meno che schiavi: oggetto di ogni crudeltà immaginabile, non possono fare appello né alla clemenza né alla giustizia. Essere Tenescowri offre loro l'unica evasione, la possibilità di eguagliare la barbarie inflitta a loro. Se il Dominio dovesse sottomettere questa città, gli abitanti di Saltoan verranno cacciati dalle loro case, privati di tutti i loro averi, lasciati senza cibo né acqua pulita. L'unico sentiero percorribile rimarrà quello della brutale ferocia dei Tenescowri. «Signore e signori, dobbiamo combattere questa guerra con l'arma della verità, svelando le menzogne dei sacerdoti Pannion. Ciò richiede un tipo molto specifico di organizzazione, di fabbricazione e divulgazione di voci, di controspionaggio. Compiti nei quali voi eccellete, cari amici. Dev'essere il popolo della città ad allontanare i sacerdoti da Saltoan; e a guidarlo verso quella causa, verso quella decisione, saranno non i pugni, non le fruste, ma le parole.» «Come fate a essere tanto sicuro che il metodo funzionerà?» chiese un capoccia. «Non avete altra scelta che farlo funzionare», replicò Keruli. «Fallire significa vedere Saltoan cadere nelle mani dei Pannion.» Keruli continuò, ma Gruntle non ascoltava più. Gli occhi socchiusi, scrutava l'uomo che li aveva ingaggiati. A Darujhistan, un intermediario aveva procurato il contratto. Gruntle aveva intravisto per la prima volta il padrone un mattino, all'appuntamento fuori dalla Porta di Worry; si era presentato a piedi, vestito come in quel momento. La carrozza, noleggiata
sul posto, era stata consegnata pochi momenti dopo il suo arrivo; Keruli vi era salito rapidamente e, dall'inizio di quel lungo, estenuante viaggio, Gruntle l'aveva visto e gli aveva parlato solo due volte. Un mago, avevo concluso allora. Ma ora, direi, un sacerdote. Davanti a che dio si inginocchia, mi chiedo? Nessun segno esteriore; il che è già abbastanza rivelatore, presumo. In Keruli non c'è niente di manifesto, tranne, forse, lo scrigno senza fondo che sostiene la sua generosità. Sono sorti templi nuovi di recente, a Darujhistan? Non mi ricordo... oh, quello nel Distretto Gadrobi. Consacrato a Treach, anche se mi sfugge il motivo per cui chicchessia potrebbe essere interessato a venerare la Tigre dell'Estate... «... uccisioni.» «Sono due notti che stanno tranquilli, però.» I capoccia, uomini e donne, parlavano fra loro. Keruli, pur zitto, stava con le orecchie tese. Gruntle batté le palpebre e si raddrizzò leggermente sulla panca, piegandosi verso Harllo. «Cos'è questa storia di uccisioni?» «Misteriosi omicidi per quattro notti di fila, o qualcosa del genere. Un problema locale che, a quanto ho capito, è terminato.» Il capitano grugnì, poi si riappoggiò al muro, cercando di ignorare il sudore freddo che gli pizzicava la pelle sotto la camicia. Hanno fatto molto più in fretta di noi; quella carrozza si muoveva a velocità soprannaturale. Ma non sarebbe mai riuscita a passare per le strade di Saltoan: troppo larga, troppo alta. Deve essersi fermata a Waytown, a una ventina di passi dalla Porta dell'Alba. Una prova delle tue convinzioni, amico Buke? «Mi annoiavo a morte.» Stonny si versò un altro boccale di vino. «Nektara è riuscita a distrarmi un po'. E, a giudicare da tutte quelle facce pelose che sudavano, non solo me. Siete dei porci, dal primo all'ultimo.» «Non eravamo noi a essere in mostra», ribatté Gruntle. «E allora? Chi vi obbligava a guardare? Se avessi avuto un bambino in grembo e una tetta scoperta?» «In quel caso», intervenne Harllo, «avrei guardato a occhi spalancati». «Mi dai la nausea.» «Hai capito male, cara. Non la tua tetta - anche se sarebbe stato certo un bello spettacolo - ma te insieme a un bambino? Un bambino, ah!» Stonny gli fece una smorfia beffarda. Sedevano in una sala appartata della taverna; sul tavolo giacevano i resti
di un pasto. «A ogni modo», sospirò Gruntle, «la riunione durerà per tutta la notte, e domattina il nostro padrone sarà l'unico ad avere il privilegio di poter riposare, nei comodi confini della carrozza. Noi abbiamo stanze con letti quasi puliti, di sopra; suggerisco di usarle». «Sta parlando di dormire, carissima Stonny», spiegò Harllo. «Sta' pur certo che sbarrerò la porta, verme.» «Scommetto che Nektara ha un codice segreto per bussare.» «Tirati via quel ghigno dalla faccia o lo farò io per te, Harllo.» «E comunque, com'è che ti pigli tutto il divertimento?» Lei ridacchiò. «È una questione di educazione, carogna. Quella che io ho e tu no.» «E anche di cultura, eh?» «Esatto.» Un attimo dopo, si aprì la porta ed entrò Keruli. Gruntle si appoggiò allo schienale e osservò il sacerdote. «Allora, siete riuscito ad affiliare alla vostra causa i delinquenti, gli assassini e gli usurai della città?» «Più o meno», rispose Keruli, raggiungendoli per versarsi del vino. «Le guerre, ahimè, vanno combattute su più di un campo di battaglia. La campagna sarà lunga, temo.» «È per questo che stiamo andando a Capustan?» Il sacerdote posò lo sguardo su Gruntle per un attimo, poi si girò dall'altra parte. «Lì ci sono altri compiti che mi attendono, capitano. La nostra breve deviazione qui a Saltoan è accidentale, nel piano complessivo.» E quale sarebbe questo piano, sacerdote? voleva chiedere Gruntle, ma non lo fece. Il padrone cominciava a renderlo nervoso, ed egli sospettava che qualunque risposta a quella domanda avrebbe soltanto peggiorato le cose. No, Keruli, tieniti pure i tuoi segreti. L'arcata sotto la Porta dell'Alba era scura come una tomba; l'aria era fredda e umida. Appena al di là, era visibile l'accozzaglia di baracche di Waytown, attraverso un velo di fumo indorato dal sole del mattino. Con gli occhi che bruciavano per la stanchezza e la pelle che prudeva per i morsi di pulce, Gruntle spinse il cavallo a un trotto leggero, non appena uscì alla luce del sole. Si era attardato presso la Porta per due campane, mentre Harllo e Stonny portavano la carrozza e il suo occupante fuori dalla città, una campana prima dell'alba. Avrebbero già dovuto percorrere
almeno due leghe lungo la strada del fiume, stimò. A Saltoan si concentrava la maggior parte dei delinquenti che si potevano incontrare nella prima metà del viaggio verso Capustan; la seconda metà, in territorio Capan, era infinitamente più sicura. Osservatori indugiavano intorno alla Porta dell'Alba in cerca delle carovane dirette a est, proprio come i loro corrispondenti presso la Porta del Tramonto tenevano d'occhio le carovane dirette a Darujhistan. Il capitano aveva aspettato di vedere se qualcuna delle bande locali avesse formulato dei piani sulla brigata di Keruli, ma nessuno li aveva inseguiti, a conferma delle parole del padrone che era stata garantita loro l'incolumità nel passaggio. Ma non era nella natura di Gruntle fidarsi della parola di delinquenti. Spronò il cavallo al piccolo galoppo per sfuggire al nugolo di mosche di Waytown e, affiancato da cani latranti, semiselvatici, superò le baracche e uscì sulla strada del fiume, aperta e sassosa. La prateria leggermente ondulata della Pianura della Visione si estendeva fino alla lontana Catena Barghast, alla sua sinistra. Alla sua destra c'era una scabra sponda di pietre impilate - per lo più rivestite d'erba - e, al di là, le folte distese di canne della pianura alluvionale. A poche centinaia di passi da Waytown, i cani lo abbandonarono; il capitano si ritrovò solo sulla strada. La pista mercantile non sarebbe durata a lungo, ricordava: l'argine alla sua destra si sarebbe ridotto, e la strada si sarebbe trasformata in una striscia sabbiosa, costellata di nidi di formiche, pezzi di legno sbiancati e ciuffi d'erba gialla. Ogni primavera, le inondazioni spazzavano via i solchi lasciati dai viaggiatori ma, naturalmente, non c'era pericolo di perdersi, finché non si perdeva di vista il fiume Catlin, a sud. Aveva percorso meno di una lega, quando incontrò i cadaveri. I banditi avevano predisposto l'imboscata alla perfezione, emergendo dal letto profondo di un torrente stagionale e, con ogni probabilità, circondando la carrozza della vittima nel giro di pochi minuti. Ma, a quanto pareva, la pianificazione accurata non li aveva aiutati: vecchi di due o tre giorni al massimo, gonfi e quasi neri sotto il sole, i loro corpi erano sparsi su entrambi i lati della pista. Le spade, le punte di lancia, le fibbie e qualunque altro oggetto di metallo si erano sciolti sotto qualche sorta di calore feroce, ma i vestiti e i legacci di cuoio erano intatti. Qualcuno di loro aveva portato speroni e, in effetti, sarebbe stato impossibile arrivare fin lì senza cavalli, ma delle bestie non c'era traccia. Gruntle smontò di sella. Girando in mezzo ai morti, notò che le tracce
della carrozza di Keruli - anche i suoi compagni si erano fermati a esaminare la scena - si sovrapponevano ad altre. Una carrozza più grande e più pesante, trainata da buoi. Sui cadaveri non c'erano ferite visibili. Credo che Buke non abbia nemmeno dovuto estrarre la spada... Rimontando a cavallo, il capitano riprese il viaggio. Scorse gli altri a mezza lega di distanza; poco dopo raggiunse la carrozza. Harllo lo salutò con un cenno del capo. «Bella giornata, non trovi, Gruntle?» «Non c'è una nuvola in cielo. Dov'è Stonny?» «Ha portato avanti uno dei cavalli. Tornerà presto.» «Perché l'ha fatto?» «Voleva solo assicurarsi che il campo accanto alla strada fosse... uhm... libero. Ah, eccola qua.» Quando lei tirò le redini davanti a loro, Gruntle la guardò con aria torva. «Bella stupidaggine hai fatto, donna.» «Tutto questo viaggio è stupido, secondo me. Nel campo accanto alla strada ci sono tre Barghast e no, non hanno arrostito nessun bandito ultimamente. Comunque, è solo questione di giorni prima che Capustan venga presa d'assedio; forse arriveremo alle mura in tempo, nel qual caso rimarremo bloccati là con l'intero esercito Pannion a separarci dalla strada aperta; oppure no, e allora i maledetti Tenescowri si divertiranno con noi.» Gruntle si accigliò ancora di più. «Dove sono diretti quei Barghast?» «Sono scesi dal nord, ma ora seguono il nostro stesso itinerario: vogliono dare un'occhiata a come stanno le cose dalle parti di Capustan e non chiedermi perché... sono Barghast, no? Hanno il cervello grosso come una noce. Dobbiamo andare a parlare con il padrone, Gruntle.» La porta della carrozza si aprì di scatto e Keruli scese. «Non ce n'è bisogno, Stonny Menackis: ci sento benissimo. Tre Barghast, hai detto? Di quale clan?» «Visi Bianchi, a giudicare dalla pittura.» «Li inviteremo a viaggiare con noi, allora.» «Padrone...» cominciò Gruntle, ma Keruli lo interruppe. «Arriveremo a Capustan con largo anticipo rispetto all'assedio, credo. L'Eptarca a capo delle forze Pannion è famoso per il suo approccio metodico. Una volta che sbarcherò là, vi congederò dai vostri doveri e sarete liberi di ripartire subito per Darujhistan.» I suoi occhi scuri, inquietanti, si
strinsero su Gruntle. «Non avete fama di rompere i contratti, o non vi avrei ingaggiato.» «No, signore, non abbiamo intenzione di rompere il contratto. Tuttavia, vale la pena di discutere delle varie possibilità; cosa faremo se Capustan viene presa d'assedio prima del nostro arrivo?» «Allora non intendo vedervi perdere la vita in avventure disperate, capitano. Ho solo bisogno che mi scarichiate fuori dalla portata del nemico; entrerò in città con i miei mezzi, e tali sotterfugi riescono meglio in solitudine.» «Cerchereste di attraversare il cordone Pannion?» Keruli sorrise. «Ho abilità sufficienti per una simile impresa.» Davvero? «E questi Barghast? Cosa vi fa pensare che siano tanto affidabili da poter viaggiare con noi?» «Se non lo sono, meglio tenerli d'occhio che il contrario, non credete, capitano?» Questi grugnì. «Osservazione ragionevole, padrone.» Volgendosi verso Harllo e Stonny, annuì lentamente. Harllo gli fece un sorriso rassegnato. Come c'era da aspettarsi, Stonny non fu così laconica. «Questa è una follia!» Levò le mani al cielo. «Benissimo, allora! Dritti nelle fauci del drago, perché no?» Girò il cavallo. «Coraggio, andiamo a gettare ossa con i Barghast.» Con una smorfia, Gruntle la guardò allontanarsi. «È un tesoro, no?» mormorò Harllo, con un sospiro. «Non ti ho mai visto tanto innamorato», osservò Gruntle, lanciandogli un'occhiata in tralice. «È l'inaccessibilità, amico, ad avermi ridotto così. Vittima di un desiderio senza speranza, passo il tempo a lamentarmi cupamente della mia adorazione non corrisposta. Sogno lei e Nektara... con me infilato comodamente in mezzo a loro...» «Per favore, Harllo, mi dai la nausea.» «Uhm», concluse Keruli, «credo che ora tornerò alla carrozza». I tre Barghast erano evidentemente fratelli; la donna era la maggiore. La pittura bianca sui visi li faceva assomigliare a teschi. Trecce macchiate di ocra rossa, inframmezzate da feticci d'osso, pendevano fino alle loro spalle. Tutti e tre portavano cotte di monete forate; queste andavano dal rame all'argento, e provenivano sicuramente da qualche tesoro saccheggiato, perché la maggior parte aveva un'aria antica e insolita agli occhi di Grun-
tle. Le mani erano ricoperte da guanti rivestiti di monete. Il trio era accompagnato da una raccolta di armi degna di un corpo di guardia: fasci di lance, asce da lancio, asce da combattimento dall'asta lunga e il fodero in rame, spade dalla lama ricurva e coltelli e pugnali assortiti. Stavano dietro a un piccolo focolare - ormai ridotto a uno strato di carboni debolmente rosseggianti - infossato nel terreno e bordato di pietre; Stonny era ancora seduta sul suo cavallo, alla loro sinistra. Un piccolo cumulo di ossa di lepre indicava un pasto appena terminato. Lo sguardo di Gruntle si posò sulla donna Barghast. «Il nostro padrone vi invita a viaggiare in nostra compagnia. Accettate?» Gli occhi scuri di lei guizzarono verso la carrozza, che Harllo guidava verso il margine dell'accampamento. «Pochi mercanti vanno ancora a Capustan», rispose dopo un attimo. «La pista è diventata... pericolosa.» Gruntle aggrottò le sopracciglia. «Come mai? I Pannion hanno mandato compagnie di predoni dall'altra parte del fiume?» «No, a quanto ci risulta. No, demoni si aggirano per le lande. Siamo stati inviati ad accertare la verità della loro presenza.» Demoni? Per il respiro di Hood. «Quando avete saputo di questi demoni?» La donna scosse le spalle. «Due, tre mesi fa.» Il capitano sospirò, scendendo lentamente di sella. «Be', speriamo che quelle storie siano false.» Lei fece un sogghigno. «Noi speriamo il contrario. Io sono Hetan, e questi sono i miei tristi fratelli, Cafal e Netok. Questa è la prima caccia di Netok dalla sua Notte-di-Morte.» Gruntle lanciò un'occhiata al giovane massiccio, dall'aria torva. «Sì, vedo quant'è eccitato.» Hetan si girò, stringendo gli occhi sul fratello. «Hai una vista molto acuta.» Per l'Abisso, un'altra donna priva di senso dell'umorismo come compagna di viaggio... Calando una gamba giù dalla sella, Stonny Menackis balzò a terra in una nuvola di polvere. «Il nostro capitano fa battute troppo scontate, Hetan. Cadono con un tonfo, come lo sterco di bue, e puzzano altrettanto. Non dargli retta, ragazza, se non ti piace essere confusa.» «A me piace uccidere e cavalcare gli uomini, e poco altro», ruggì Hetan, incrociando le braccia muscolose. Harllo scese rapidamente dalla carrozza, avvicinandosi con un largo sor-
riso. «Mi chiamo Harllo e sono lieto di fare la tua conoscenza, Hetan!» «Puoi ucciderlo quando vuoi», concluse Stonny, con enfasi. I due fratelli erano veramente individui tristi, taciturni e, per quanto Gruntle poté giudicare, singolarmente ottusi. I futili tentativi di approccio messi in atto da Harllo nei confronti di Hetan risultarono abbastanza divertenti, mentre tutti sedevano intorno al focolare riacceso, sotto un cielo trapunto di stelle. Poco prima che si preparassero ad andare a dormire, Keruli fece una breve comparsa, ma solo per condividere una scodella di tè alle erbe; poi tornò alla sua carrozza. Toccò a Gruntle - l'ultimo rimasto, con Hetan, a indugiare presso il fuoco - strappare altre informazioni alla Barghast. «Questi demoni», cominciò, «come sono stati descritti?». Chinandosi in avanti, lei sputò solennemente nelle fiamme. «Veloci, su due zampe. E, in fondo a quelle zampe, artigli come quelli di un'aquila, ma molto più grandi. Le loro braccia sono lame...» «Lame? Cosa vuoi dire?» Lei scrollò le spalle. «Lame. Ferro-sangue. I loro occhi sono buche. Puzzano come urne nel cerchio oscuro. Non fanno nessun rumore, assolutamente nessuno.» Urne nel cerchio oscuro? Urne crematorie... in una camera funeraria. Ah, puzzano di morte, allora. Le loro braccia sono lame... in che senso? Che cosa significa, in nome di Hood? Ferro-sangue: ferro temprato nel sangue raffreddato dalla neve... un rituale praticato dai Barghast quando gli sciamani investono le armi di potere, in modo che siano tutt'uno con chi le maneggia... «Qualcuno del tuo clan ne ha visto uno?» «No, i demoni non si sono spinti a nord, fino alle nostre roccaforti montane. Restano in queste praterie.» «Chi, allora, ha raccontato le storie?» «I nostri sapienti li hanno visti in sogno. Gli spiriti hanno bisbigliato loro all'orecchio, avvertendoli del pericolo. I Clan del Viso Bianco hanno scelto un comandante militare - mio padre e stanno a vedere cosa succede. Ma nostro padre vuole conoscere il nemico, per cui ha mandato i suoi figli nelle pianure.» Gruntle rifletté, guardando il fuoco scemare. «Vostro padre il comandante dei Visi Bianchi porterà i clan a sud? Se Capustan viene presa d'assedio, i territori Capan saranno vulnerabili alle vostre scorrerie, almeno finché i Pannion non completeranno la loro conquista.»
«Nostro padre non ha intenzione di condurci a sud, capitano.» La donna sputò un'altra volta nel fuoco. «La guerra dei Pannion ci raggiungerà, col tempo; così hanno letto i sapienti nelle scapole dei bhederin.» «Se questi demoni sono elementi d'avanguardia delle forze Pannion...» «Allora, quando compariranno nelle nostre roccaforti, sapremo che è arrivato il momento.» «Il momento di combattere», borbottò Gruntle. «Quello che vi piace di più.» «Sì, ma, per il momento, vorrei cavalcarti.» Cavalcarmi? Tramortirmi a suon di botte, vuoi dire. Ah, be'... «Quale uomo rifiuterebbe un'offerta così elegante?» Raccogliendo la biancheria da letto, Hetan si alzò. «Seguimi, in fretta.» «Ahimè», rispose lui, tirandosi lentamente in piedi, «non faccio mai niente in fretta, come scoprirai fra poco». «Domani notte cavalcherò il tuo amico.» «Lo stai già facendo, cara, nei suoi sogni.» Lei annuì, seria. «Ha mani grosse.» «Sì.» «Anche tu.» «Credevo che avessi premura, Hetan.» «Infatti. Andiamo.» Con il lento passare del giorno, la Catena Barghast si insinuò gradualmente verso di loro; le montagne lontane lasciarono il posto a colline gibbose, segnate dal tempo. Molte delle colline che bordavano la pista mercantile verso Capustan erano luoghi sacri: sulle cime, spiccavano i tronchi d'albero capovolti con cui i Barghast ancoravano tradizionalmente gli spiriti; o così spiegò Hetan nel cavalcare accanto a Gruntle, che conduceva il suo cavallo per le redini. Per quanto poco interessato alle questioni religiose, il capitano riconobbe di provare una certa curiosità sul perché i Barghast piantassero i tronchi a testa in giù sulle colline. «Le anime dei mortali sono selvagge», illustrò la donna, sputando per sottolineare le sue parole. «Molte vanno trattenute, perché non si diano a vagabondaggi pericolosi. Per questo, portiamo le querce giù dal nord; i sapienti praticano incisioni magiche sui tronchi. Il cadavere viene inchiodato sotto l'albero. Attiriamo anche spiriti, a mo' di guardiani, e mettiamo altre trappole lungo i bordi del cerchio oscuro. Tuttavia, a volte le anime fuggono; prigioniere di una delle trappole, ma in grado di spostarsi. Quelle
che tornano ai clan in cui vivevano una volta vengono rapidamente distrutte, per cui hanno imparato a star lontane... qui, nelle pianure. A volte, queste figure-stecco rimangono leali alla loro stirpe mortale e inviano sogni ai nostri sapienti, per avvertirci dei pericoli.» «Figure-stecco, le hai chiamate. Che cosa significa?» «Forse lo vedrai da te», replicò lei, con un'alzata di spalle. «È stata una di queste figure-stecco a mandare il sogno dei demoni?» «Sì, e anche altri spiriti. Che così tanti abbiano tentato di raggiungerci...» Aggiunge veridicità alla minaccia, capisco. Il capitano scrutò la terra deserta davanti a loro, chiedendosi quali sorprese riservasse. Stonny li precedeva di cinquanta passi, in sella al suo cavallo. Per il momento, Gruntle non poteva vederla, perché la pista girava intorno a una collina punteggiata di massi, scomparendo alla vista una trentina di passi più in là. Aveva una capacità esasperante di ignorare i suoi ordini; le aveva chiesto di restare sempre in vista. I due fratelli Barghast fiancheggiavano la carrozza, a una distanza che variava con le caratteristiche del terreno. Cafal aveva preso il lato interno, e trotterellava su per il pendio sassoso della collina; Netok camminava lungo la riva sabbiosa del fiume, circondato da un nugolo di moscerini che sembrava infittirsi a ogni suo passo. Dato il grasso straordinariamente spesso e rancido con cui i Barghast si coprivano il corpo, Gruntle indovinava la frustrazione di quegli insetti, attirati da un corpo caldo, ma riluttanti, o impossibilitati, a posarvisi. La notte prima, quel grasso si era dimostrato di un certo impiccio, rifletté Gruntle, ma egli era riuscito lo stesso nell'impresa, e ora esibiva una formidabile serie di lividi e morsi a mo' di prova. Hetan era stata... piena di energie. Un grido di Cafal. In quello stesso momento, riapparve Stonny. Il lento piccolo galoppo con cui si avvicinò tranquillizzò alquanto il capitano, anche se era chiaro che sia lei sia il Barghast sulla collina avevano scorto qualcosa. Lanciando un'occhiata a Cafal, Gruntle lo vide accucciato a terra; teneva l'attenzione fissa sulla pista, ma non aveva sguainato le armi. Stonny tirò le redini, il viso teso. «C'è la carrozza di Bauchelain, più avanti. E... danneggiata. C'è stata una lotta di qualche tipo. Una faccenda tempestosa.» «C'è qualcuno ancora in piedi?» «No, solo i buoi, che sembrano abbastanza tranquilli. E nessun cadavere.»
Hetan si volse verso il fratello sulla collina, incrociando il suo sguardo. Fece qualche gesto con le mani; al che Cafal, estraendo una lancia, avanzò silenziosamente e scomparve alla vista. «Va bene», sospirò Gruntle. «Tirate fuori le armi; andiamo a dare un'occhiata.» «Vuoi che io resti indietro?» chiese Harllo, dal sedile del vetturino. «No.» Aggirando la collina, videro che la pista si riapriva; il terreno era di nuovo piatto, su entrambi i lati. Quaranta passi più in là, stava l'imponente carrozza di Bauchelain e Korbal Broach, appoggiata su un lato; l'assale posteriore giaceva, spezzato, nei pressi. I quattro buoi brucavano l'erba della prateria a poca distanza. Dalla carrozza partivano strisce di terra bruciata; l'aria puzzava di magia. Un poggio vicino era stato squarciato da un'esplosione; il suo albero capovolto era divelto e in frantumi, come se fosse stato colpito da un fulmine. Dalla fossa spalancata che aveva ospitato la camera funeraria usciva ancora del fumo. Cafal vi si avvicinò guardingo; con la sinistra tracciava nell'aria gesti di protezione, nella destra teneva la lancia, pronta all'uso. Netok arrivò trotterellando dalla riva del fiume, un'ascia stretta fra entrambe le mani. Si fermò accanto alla sorella. «Qualcosa ha preso il volo», ruggì, facendo guizzare gli occhietti qua e là. «Ed è ancora vicino.» Hetan annuì. «Raggiungi tuo fratello.» Netok si allontanò silenziosamente. Gruntle andò dalla donna. «Quel tumulo... stai dicendo che si è liberato uno spirito o uno spettro?» «Sì.» Estraendo una spada dalla lama ricurva, la Barghast si incamminò lentamente verso la carrozza, seguita dal capitano. Stonny tornò indietro al trotto, per assumere una posizione difensiva accanto alla vettura di Keruli. Il fianco della carrozza era lacerato da un buco impressionante, ai lati frastagliati del quale si aprivano quelli che sembravano tagli di spada, ma più ampi di qualunque lama Gruntle avesse mai visto. Il capitano si arrampicò per guardare dentro allo scompartimento, già mezzo spaventato da quello che avrebbe potuto scoprire. Era vuoto; non c'erano corpi. Le pareti imbottite di cuoio erano ridotte a brandelli, i mobili riccamente ornati sparsi qua e là. Due enormi bauli, una volta fissati al pavimento, erano stati scalzati; i coperchi erano stati aperti e
il contenuto riversato all'intorno. «Che Hood ci prenda», mormorò il capitano, la bocca improvvisamente asciutta. Uno dei bauli racchiudeva piatte lastre d'ardesia - ora in pezzi - sulla quale erano stati meticolosamente incisi simboli arcani, ma fu il contenuto dell'altro a dargli i conati di vomito. Una massa di... organi, viscidi di sangue. Fegati, polmoni, cuori, tutti uniti insieme a costituire una sagoma tanto terrificante quanto familiare. Da viva - come, sentiva, doveva essere stata fino a poco tempo prima - aveva avuto forma umana, anche se alta soltanto fino alle ginocchia di una persona, quando era appollaiata sulle appendici sottili. Senza occhi e, per quanto Gruntle poteva vedere nel buio dello scompartimento, priva di alcunché di simile a un cervello, la creatura ora morta trasudava sangue acquoso. Negromanzia, ma non del tipo demoniaco. Queste sono le arti di chi esplora la mortalità, la resurrezione e la natura dei non-morti. Quegli organi... venivano da vivi. Individui uccisi da un pazzo. Maledizione, Buke, perché hai dovuto immischiarti con quei bastardi? «Sono dentro?» chiese Hetan, dal basso. Lui scosse la testa. «Solo rottami.» Dal sedile del vetturino, Harllo esclamò: «Guarda su per la pista, Gruntle! Arriva compagnia». Quattro figure, due vestite di nero, avvolte in un mantello di pelle, una bassa e dalle gambe storte e l'ultima alta e sottile. Niente perdite, allora. Ma qualcosa di brutto li ha colpiti. Duro. «Sono loro», borbottò. Hetan lo guardò con gli occhi socchiusi. «Conosci questi uomini?» «Sì, ma solo uno bene. La guardia... quello alto, con i capelli grigi.» «Non mi piacciono», ruggì la donna; fece fremere la spada, aggiustando la presa sull'elsa. «Statene lontani», consigliò Gruntle. «Dillo ai tuoi fratelli. Meglio non sfiorarli nemmeno, quei due con i mantelli. Bauchelain, con la barba a punta, e Korbal Broach, l'... l'altro.» Cafal e Netok raggiunsero la sorella. Il fratello maggiore era accigliato. «L'hanno preso ieri», annunciò. «Le difese sono state annullate, lentamente, prima che la collina fosse aperta.» Gruntle, ancora appollaiato in cima alla carrozza, strinse gli occhi sugli uomini che si avvicinavano. Buke e il domestico, Emancipor Reese, sembravano entrambi esausti, profondamente scossi, mentre gli stregoni avrebbero potuto benissimo essere impegnati in una passeggiata, per il disagio che mostravano. Però erano tutti armati. Balestre interamente metalliche, tinte di nero, con i dardi incoccati, stavano appoggiate sugli avam-
bracci protetti dall'armatura. Nelle faretre tozze e nere appese ai loro fianchi rimanevano solo poche frecce. Scendendo dalla carrozza, Gruntle si avvicinò a grandi passi. «Ben trovato, capitano», esordì Bauchelain, con un debole sorriso. «Per vostra fortuna, dalla traversata del fiume siamo stati più veloci. A partire da Saltoan, il nostro viaggio è stato tutt'altro che tranquillo.» «Così mi pare di capire, signore.» Gli occhi di Gruntle guizzarono verso Buke. L'amico sembrava invecchiato di dieci anni dall'ultima volta che l'aveva visto; si rifiutava di incontrare lo sguardo del capitano. «Vedo che il vostro seguito è cresciuto», osservò Bauchelain. «Barghast, vero? È straordinario come tale popolo si trovi anche su altri continenti, chiamandosi con lo stesso nome e coltivando, pare, costumi praticamente identici. Quale vasta storia giace sepolta e ora persa nella loro ignoranza, mi chiedo?» «Di solito», replicò pacatamente il capitano, «quell'uso particolare della parola "sepolto" è figurato. Voi, invece, l'avete inteso letteralmente». L'uomo vestito di nero alzò le spalle. «Colpa della curiosità, ahimè. Non potevamo rinunciare a una simile occasione; è una cosa al di là delle nostre capacità. Da quanto è risultato poi, lo spirito che abbiamo accolto nel nostro abbraccio - per quanto fosse, un tempo, uno sciamano di un certo potere - non ci ha detto nulla che già non avessimo supposto. I Barghast sono un popolo veramente antico e una volta erano molto più numerosi. Navigatori provetti, per giunta.» I suoi occhi grigi e inespressivi si fissarono su Hetan; un sopracciglio sottile si alzò lentamente. «Tuttavia, non si tratta di una caduta allo stato selvaggio da una vetta di civiltà; ma, semplicemente, di un'eterna... stasi. Il loro sistema di credenze, con la sua venerazione per gli antenati, è in antitesi con il progresso, o così ho concluso date le indicazioni.» Hetan rivolse allo stregone un ringhio silenzioso. Cafal parlò, con voce rotta dalla collera. «Che cosa avete fatto del nostro simile?» «Ben poco, guerriero. Era già sfuggito ai vincoli interni, ma era caduto prigioniero di una delle vostre trappole sciamaniche, un fagotto di stecchi, tessuto e spago. È stata la compassione a offrire loro la sembianza di un corpo con quelle trappole? Se è così, è alquanto inefficace.» «La carne» intervenne Korbal Broach con voce sottile, stridula, «sarebbe molto più adeguata ai loro bisogni». Bauchelain sorrise. «Il mio compagno è bravo in queste... composizioni,
una disciplina cui io sono meno interessato.» «Che cosa è successo qui?» chiese Gruntle. «Questo è chiaro», sbottò Hetan. «Sono penetrati in un cerchio oscuro. Poi un demone li ha attaccati; un demone come quello che cacciamo io e i miei fratelli. E questi... uomini... sono fuggiti e l'hanno eluso in qualche modo.» «Non proprio, mia cara», ribatté Bauchelain. «Prima di tutto, la creatura che ci ha attaccato non era un demone; puoi fidarti delle mie parole, perché i demoni sono entità che, guarda caso, conosco molto bene. È vero che siamo stati ferocemente assaliti, mentre ci stavamo occupando di questo tumulo. Se Buke non ci avesse avvertito, avremmo subito danni ancora maggiori all'attrezzatura, per non parlare dei nostri compagni meno abili.» «Allora», intervenne Gruntle, «se non era un demone, che cos'era?». «Ah, una domanda cui non è facile rispondere, capitano. Un non-morto, con ogni probabilità; comandato da un padrone lontano, e assolutamente formidabile. Korbal e io siamo stati costretti a scatenare l'intera schiera dei nostri servi per scacciare l'apparizione e l'inseguimento successivo non ha prodotto alcun risultato. Anzi, la comparsa di altri due cacciatori non-morti ha significato la perdita di molti di quei servi. E anche se i tre sono stati allontanati, il sollievo è solo temporaneo. I non-morti attaccheranno di nuovo, e se si sono raccolti in numero maggiore, saremo - tutti quanti messi duramente alla prova.» «Se è possibile» azzardò Gruntle, «vorrei parlare in privato con il mio padrone e con Hetan». Bauchelain inclinò la testa. «Ma certo. Venite, Korbal e compagni, esaminiamo i danni subiti dalla nostra sfortunata carrozza.» Prendendo Hetan per il braccio, Gruntle la portò nel punto in cui Harllo e Stonny aspettavano, vicino alla carrozza di Keruli. Cafal e Netok li seguirono. «Hanno asservito il nostro simile», sibilò Hetan, gli occhi brillanti come tizzoni. «Li ucciderò... li ucciderò tutti!» «E morirai prima di poter fare un passo», sbottò Gruntle. «Questi sono stregoni, Hetan; peggio, sono negromanti. Korbal pratica l'arte della nonmorte, mentre la specialità di Bauchelain è l'evocazione dei demoni. I due lati della moneta dalla faccia di teschio, maledetta da Hood, abominevole... e letale. Mi capisci? Non pensare nemmeno di sfidarli.» La voce di Keruli emerse dalla carrozza. «C'è di più, amici miei: molto presto, temo, avremo bisogno di quegli uomini terribili e dei loro formida-
bili poteri.» Gruntle si girò verso di lui con aria cupa. Il battente del finestrino sulla porta si era aperto di uno spiraglio. «Chi sono questi cacciatori non-morti, padrone? Lo sapete?» Ci fu una lunga pausa, prima che Keruli rispondesse. «Ho dei... sospetti. A ogni modo, stanno tessendo per questa terra una rete di fili di potere, dalla quale possono avvertire ogni più piccolo tremito. Non possiamo passare inosservati.» «Allora torniamo indietro», saltò su Stonny. «Ora, prima che sia troppo tardi.» «Ma lo è già», la rimbeccò Keruli. «Questi servi non-morti continuano ad attraversare il fiume dalle terre meridionali, tutti al servizio del Veggente Pannion. Si avvicinano sempre più a Saltoan. In realtà, credo ce ne siano più alle nostre spalle che fra qui e Capustan.» Maledettamente conveniente, Padron Keruli. «Dobbiamo», proseguì l'uomo nella carrozza, «stabilire un'alleanza temporanea con questi negromanti, finché non raggiungeremo Capustan». «Be'», riprese Gruntle, «loro la vedono certo come la linea di condotta più ovvia da adottare». «Malgrado tutti i loro altri... difetti, sono uomini pratici.» «I Barghast non viaggeranno con loro», ringhiò Hetan. «Credo che non abbiamo scelta», sospirò Gruntle. «E questo vale anche per te e i tuoi fratelli, Hetan. A cosa serve trovare questi cacciatori nonmorti, per farsi ridurre a brandelli?» «Pensi che siamo impreparati a una simile lotta? Siamo rimasti a lungo nel cerchio di ossa, capitano, mentre tutti gli sciamani dei clan raccolti danzavano la trama del potere. A lungo.» «Tre giorni e tre notti», ruggì Cafal. Non mi stupisce che ieri notte mi abbia quasi squarciato il petto. Keruli parlò. «Potrebbe non bastare, se i vostri sforzi attraggono la piena attenzione del Veggente Pannion. Capitano, quanti giorni di viaggio mancano a Capustan?» Lo sai bene quanto me. «Quattro, padrone.» «Non dirmi, Hetan, che tu e i tuoi fratelli non potete dar prova di un certo stoicismo per un tempo così breve! Comprendiamo benissimo la vostra indignazione. La profanazione dei vostri sacri antenati è un insulto che non si tollera con tanta facilità. Ma non è la stessa vostra gente a usare un certo pragmatismo al riguardo? Le incisioni magiche, le figure-stecco... Consi-
derate questa un'estensione di tale necessità.» Hetan sputò, girandosi dall'altra parte. «Hai ragione», ammise, dopo un attimo. «È necessario. Benissimo.» Gruntle tornò da Bauchelain e gli altri. I due stregoni stavano accovacciati, con l'assale spezzato fra loro. Il puzzo del ferro fuso saliva verso l'alto. «Le nostre riparazioni», mormorò Bauchelain, «non richiederanno molto tempo». «Bene. Avete detto che ci sono tre di queste creature in giro... quanto sono lontane?» «Il nostro piccolo amico sciamano tallona i cacciatori. Meno di una lega e, ve l'assicuro, essi possono - se vogliono - coprire quella distanza nel tempo che il vostro cuore impiega a battere qualche centinaio di volte. Avremo poco preavviso, ma abbastanza per organizzare una difesa, credo.» «Perché state andando a Capustan?» Lo stregone alzò lo sguardo, insieme a un sopracciglio. «Non c'è una ragione particolare. Siamo girovaghi per natura. Al nostro arrivo sulla costa occidentale di questo continente, abbiamo puntato gli occhi a est. Capustan è il luogo più a est che si può raggiungere, no?» «Più o meno. A sud, oltre Elingarth, la terra si protende ancora più a est, ma i reami e le città-stato della zona sono poco più che feudi di pirati e banditi. E poi, per arrivarci dovreste attraversare il Dominio di Pannion.» «E, a quanto ho capito, sarebbe un'ardua impresa.» «Non ce la fareste mai.» Bauchelain sorrise e si chinò di nuovo a studiare l'assale. Sollevando lo sguardo, Gruntle incrociò finalmente quello di Buke. Un leggero cenno del capo spinse questi a spostarsi, con riluttanza, da parte. «Sei nei guai, amico», disse sommessamente il capitano. Buke si accigliò, senza rispondere; ma la verità era evidente nei suoi occhi. «Quando arriveremo a Capustan, prendi quanto ti è dovuto e vattene senza guardarti indietro. Buke, i tuoi sospetti erano esatti; ho visto cosa c'era dentro la carrozza. Ho visto. Se tenti qualcosa, faranno peggio che ucciderti. Mi capisci? Peggio.» L'uomo esibì un sorriso beffardo, volgendo gli occhi socchiusi verso est. «Sei convinto che arriveranno tanto lontano, eh, Gruntle? Be', sorpresa: non vivremo per vedere la prossima alba.» Puntò sul capitano uno sguardo febbrile. «Non crederesti a cosa hanno scatenato i miei padroni: una molti-
tudine spaventosa di servi, guardiani, uccisori di spiriti... e i loro stessi poteri, poi! Che Hood ci prenda! Eppure tutto questo è riuscito a malapena a respingere una di quelle bestie e, quando sono arrivate le altre due, siamo stati noi a ritirarci. Quella moltitudine è ridotta a pezzi di carne fumante, sparsi nella pianura per leghe e leghe all'intorno. Gruntle, ho visto demoni fatti a brandelli. Sì, questi due sembrano tranquilli ma, credimi, non vuole dire niente. Proprio niente.» Abbassò la voce. «Sono pazzi, amico. Pazzi furiosi, dagli occhi di lucertola e il sangue di ghiaccio. E il povero Mancy sta con loro da tre anni... sapessi le storie che mi ha raccontato...» L'uomo rabbrividì. «Mancy? Oh, Emancipor Reese. Dov'è la gatta, a proposito?» Buke scoppiò in una risata aspra. «È scappata, come tutti i nostri cavalli; e ne avevamo una dozzina esatta, dall'attacco di quegli stupidi banditi. È scappata, dopo che le ho staccato le unghie dalla schiena di Mancy, dov'era saltata quando i canali si sono aperti tutti insieme.» Una volta completate le riparazioni e rimessa in piedi la carrozza, il viaggio riprese. Rimaneva luce per un paio di leghe. Ancora una volta, Stonny cavalcava in testa; Cafal e Netok ripresero i loro posti ai lati. Emancipor guidava la carrozza; i due stregoni si erano ritirati all'interno. Buke e Gruntle camminavano qualche passo davanti alla carrozza di Keruli; rimasero muti a lungo, finché il capitano non cacciò un sospiro profondo, lanciando un'occhiata all'amico. «Per quel che vale, ci sono persone che non vogliono vederti morto, Buke. Ti vedono consumarti dentro, e gli importa tanto che ne soffrono.» «Il senso di colpa è una buona arma, Gruntle, o almeno lo è stata per molto tempo. Ma non mi tocca più. Se volete preoccuparvi per me, allora dovrete inghiottire il vostro dolore. Io me infischio altamente.» «Stonny...» «Vale troppo per immischiarsi con me. E, comunque, non mi interessa essere salvato: diglielo.» «Diglielo tu, Buke, e quando ti pianterà un pugno in faccia ricordati che ti avevo avvisato. Diglielo tu; non intendo riferire i tuoi messaggi di autocommiserazione.» «Vattene, Gruntle. Ti concerei per le feste prima che finissi di usare i tuoi coltellacci su di me.» «Oh, che bell'idea... farti uccidere da uno dei pochi amici che ti rimangono. A quanto pare, mi sbagliavo: non si tratta solo di autocommiserazione. Tu non sei ossessionato dalla tragica morte della tua famiglia: sei os-
sessionato da te stesso, Buke. Il tuo senso di colpa è un'onda che cresce senza fine, e quel tuo ego è un argine, cui aggiungi mattoni su mattoni. Il muro sale sempre di più e tu guardi il mondo dalla tua altezza sublime, con un ghigno sprezzante.» Buke era pallido e tremante. «Se è così che la vedi», gracchiò, «perché mi chiami tuo amico?». Per Beru, comincio a chiedermelo anch'io. Tirando un respiro profondo, Gruntle riuscì a calmarsi. «Ci conosciamo da molto tempo. Non abbiamo mai incrociato le spade.» E tu avevi l'abitudine di ubriacarti per giorni di fila, un'abitudine di cui ti sei liberato... e io no. C'è voluta la morte di tutti quelli che amavi per spingerti a questo, e io ho il terrore che debba essere lo stesso per me. Grazie a Hood, la ragazza ha sposato quel grasso mercante. «Non è granché, Gruntle.» Siamo fatti della stessa pasta, bastardo; guarda oltre il tuo ego e te ne accorgerai subito. Ma il capitano non disse nulla. «Il sole è quasi tramontato», osservò Buke, dopo un po'. «Attaccheranno quando sarà buio.» «Come ci si difende contro di loro?» «In nessun modo: è impossibile. Da quanto ho visto, sono difficili da colpire, e veloci. Per gli dei, se sono veloci! Siamo tutti morti, Gruntle. Bauchelain e Korbal Broach non hanno più molte risorse; li hai visti come sudavano nel riparare la carrozza? Sono prosciugati, quei due.» «Anche Keruli è un mago», dichiarò Gruntle. «Be', più esattamente un sacerdote, credo.» «Allora speriamo che il suo dio butti un occhio su di noi.» Non molto probabile, temo. Mentre la luce del sole formava una pozza cremisi sull'orizzonte alle loro spalle, si accamparono. Stonny guidò cavalli e buoi a un recinto di fortuna, bordato da corde, a fianco delle carrozze; posizione che avrebbe dato loro la possibilità di fuggire verso l'interno, all'occorrenza. Una specie di rassegnazione discese insieme all'oscurità crescente, mentre Harllo, che si era eletto cuoco, preparava il pasto su un piccolo fuoco. Né Keruli né i due stregoni uscirono dalle rispettive carrozze per unirsi al gruppetto. Moscerini si raccolsero intorno alle fiamme che non davano fumo. Sorseggiando vino brulé, Gruntle guardò i loro meccanici, palpitanti tuffi nell'oblio con amaro divertimento.
Arrivò il buio, che rese più nitida la spruzzata di stelle sulle loro teste. A cena finita, Hetan si alzò. «Harllo, vieni con me, ora. Sbrigati.» «Signora?» chiese l'uomo. Gruntle spruzzò all'intorno il vino che aveva in bocca. Tossì, ansimò; e, malgrado i colpi di Stonny sulla schiena, impiegò un po' a riprendersi. Gli occhi lacrimanti, sogghignò in direzione di Harllo. «Hai sentito la signora.» Vide gli occhi dell'amico allargarsi pian piano. Hetan avanzò, impaziente, afferrando Harllo per un braccio. Lo tirò in piedi, poi lo trascinò nel buio. Lo sguardo su di loro, Stonny aggrottò le sopracciglia. «Che cos'è questa storia?» Nessuno degli uomini rispose. Lei lanciò un'occhiata minacciosa a Gruntle; dopo un attimo, cacciò un sibilo, in un lampo di comprensione. «Che indecenza!» «Mia cara», rise il capitano, «dopo Saltoan, non hai il diritto di protestare». «Non chiamarmi "mia cara", Gruntle! Cosa dovremmo fare noialtri, stare qui fermi ad ascoltare i rozzi gemiti e grugniti in arrivo da quel cespuglio laggiù? È disgustoso!» «Andiamo, Stonny. Date le circostanze, è perfettamente comprensibile...» «Non è questo, idiota! Quella donna ha scelto Harllo! Per gli dei, mi viene da vomitare! Harllo! Guarda intorno a questo fuoco: ci sei tu e, ammettiamolo, un certo tipo di donna grossolana, ignorante, non potrebbe resisterti. E Buke, alto, col volto segnato dalle intemperie e l'animo torturato... certo vale qualche rotolata nell'erba. Ma Harllo? Quella scimmia dal pelo arruffato?» «Ha le mani grosse», mormorò Gruntle. «Così Hetan ha osservato... uhm, ieri sera.» Stonny sgranò gli occhi, chinandosi in avanti. «Ieri sera è stata con te! Non è così? Quella selvaggia scatenata sporca di grasso è stata con te! Ti leggo la verità su quella faccia compiaciuta, Gruntle, per cui non negarlo!» «Be', l'hai appena sentita... come potrebbe resisterle un uomo dal sangue caldo?» «Benissimo, allora!» sbottò lei, alzandosi. «Buke, in piedi, maledizione!» Lui sussultò, piegandosi all'indietro. «No... non potrei... Io... uhm... no,
mi spiace, Stonny...» Con un ringhio, la donna si girò sui due Barghast silenziosi. Cafal sorrise. «Scegli Netok. È ancora...» «Bene!» Lo chiamò con un gesto. Il giovane si alzò barcollando. «Mani grosse», osservò Gruntle. «Chiudi il becco, Gruntle.» «Va' dall'altra parte, per favore», continuò lui. «Non vorrai incappare in spettacoli... sconvenienti.» «Hai perfettamente ragione. Vieni, Netok.» Si allontanarono. Il Barghast la seguiva come un cucciolo al guinzaglio. Il capitano si girò di scatto verso Buke. «Bello scemo che sei.» L'uomo si limitò a scuotere la testa, abbassando lo sguardo sul fuoco. Emancipor Reese tese la mano verso la pentola di latta che conteneva il vino speziato. «Non ci saranno più notti», borbottò. «Tipico.» Gruntle fissò il vecchio per un attimo, poi sogghignò. «Non siamo ancora morti; chissà, forse la fortuna di Oponn vi sorride.» «Sarebbe una novità», bofonchiò Reese. «E comunque, com'è che siete finito con i vostri due padroni, in nome di Hood?» «È una storia lunga», mormorò lui, sorseggiando il suo vino. «Troppo lunga da raccontare. Mia moglie, vedete... Be', l'incarico offriva la possibilità di viaggiare...» «Avete scelto il minore dei mali, cioè?» «Che i cieli me ne scampino, signore.» «Ah, allora vi siete pentito.» «Non ho detto nemmeno questo.» Un urlo improvviso proveniente dal buio fece sobbalzare tutti quanti. «Chi avrà fatto questo rumore?» indagò Gruntle. «Nessuno», rispose Reese. «È tornata la mia gatta.» Si aprì la porta di una carrozza; qualche attimo dopo, apparve la sagoma vestita di nero di Bauchelain. «La nostra figura-stecco sta rientrando... precipitosamente. Vi consiglio di richiamare gli altri e di preparare le armi. Come strategia, cercate di azzoppare questi cacciatori, e quando vi avvicinate state bassi... preferiscono colpire orizzontalmente. Emancipor, ti invito a unirti a noi. Capitano Gruntle, forse potreste informare il vostro padrone, anche se, con ogni probabilità, è già al corrente della situazione.» Raggelato, Gruntle si alzò. «Saremo fortunati se riusciremo a vedere al
di là del nostro naso, maledizione.» «Questo non è un problema», ribatté Bauchelain. «Korbal, caro amico», chiamò, girandosi, «un ampio cerchio di luce, per favore». D'un tratto, l'aria fu bagnata da un chiarore morbido, dorato, che si estendeva di una trentina di passi in tutte le direzioni. La gatta urlò di nuovo e Gruntle intravide un lampo fulvo, che schizzava di nuovo nel buio. Hetan e Harllo arrivarono da un lato, riaggiustandosi frettolosamente gli abiti. Tornarono anche Stonny e Netok. Il capitano si strappò un sorriso forzato. «Non c'è stato abbastanza tempo, eh?» disse alla compagna. Stonny fece una smorfia. «Dovresti essere più comprensivo; per il ragazzo era la prima volta.» «Oh, già.» «Peccato, davvero», aggiunse lei, infilando i guanti da battaglia. «Aveva potenziale, malgrado il grasso.» I Barghast si erano riuniti; Cafal piantava una fila di lance nel terreno sassoso, mentre Hetan era indaffarata a legare loro tre con una spessa corda, dai nodi della quale pendevano feticci di piuma e d'osso. I guerrieri, stimò Gruntle, distavano cinque o sei bracci l'uno dall'altro. Quando gli altri ebbero terminato la loro opera, Netok porse loro asce a doppia lama. Tutti e tre posarono le armi ai loro piedi, afferrando una lancia a testa. Sotto la guida di Hetan, attaccarono un canto cupo, sommesso. «Capitano.» Distogliendo lo sguardo dai Barghast, Gruntle trovò Padron Keruli al suo fianco. L'uomo aveva le mani incrociate sulla vita; il suo mantello di seta scintillava come acqua. «La protezione che posso offrirvi è limitata. Statemi vicino, voi, Harllo e Stonny; non fatevi attirare avanti. Concentratevi sulla difesa.» Sguainando i suoi coltellacci, Gruntle annuì. Harllo si portò alla sinistra del capitano, lo spadone fermo avanti a sé. Stonny stava alla sua destra, stocco e pugnale pronti all'uso. Gruntle temeva soprattutto per lei: le sue armi erano troppo leggere per quello che era in arrivo. Ricordava i segni sulla carrozza di Bauchelain: lì sarebbe stata questione di forza bruta, non di finezza. «Sta' un passo indietro, Stonny», brontolò. «Non dire sciocchezze.» «Non sto facendo il cavaliere, Stonny: i forellini piccoli come punte di spillo non danneggeranno un non-morto.»
«Vedremo, eh?» «Sta' vicina al padrone; difendilo. È un ordine, Stonny.» «Ti ho sentito», ruggì lei. Gruntle si girò di nuovo verso Keruli. «Signore, chi è il vostro dio? Se lo invocate, che cosa dobbiamo aspettarci?» L'uomo dal viso rotondo inarcò leggermente le sopracciglia. «Aspettarci? Temo di non averne idea, capitano. I... uhm... poteri del mio dio si sono appena risvegliati dopo un sonno di migliaia di anni. Il mio dio è Antico.» Gruntle sgranò gli occhi. Antico? Ma gli Dei Antichi non erano stati abbandonati a causa della loro ferocia? Che cosa potrebbe scatenarsi qui? Che la Regina dei Sogni ci protegga. Vide Keruli estrarre un pugnale dalla lama sottile, con cui si incise profondamente il palmo sinistro. Sangue gocciolò nell'erba ai suoi piedi. D'un tratto, l'aria prese un odore di mattatoio. Un piccolo fagotto in forma umana, composto di stecchi, ramoscelli e spago, entrò correndo nel cerchio di luce, seguito da una scia di magia. Lo sciamano intrappolato. Gruntle sentì il terreno vibrare sotto passi in rapido avvicinamento; un martellio grave, inesorabile, come quello di cavalli da battaglia. No, sembrano più dei giganti. Cinque, forse di più. Venivano da est. Sagome spettrali si profilarono, poi scomparvero. Il tremito del suolo rallentò, si disperse, mentre le figure si allargavano. Il canto dei Barghast terminò bruscamente. Gruntle lanciò loro un'occhiata: i tre guerrieri erano rivolti verso est, le lance pronte. Intorno ai loro piedi si levavano spire di nebbia, sempre più dense; nel giro di minuti, Hetan e suoi fratelli sarebbero stati completamente inghiottiti. Silenzio. Le else familiari, avvolte nel cuoio, dei coltellacci pesanti scivolavano viscide nelle mani di Gruntle, che sentiva il cuore picchiargli pesantemente in petto. Mento e labbra gli gocciolavano di sudore. Si sforzò di vedere nel buio, oltre la sfera di luce. Niente. L'attimo del soldato, prima dell'inizio della battaglia; chi sceglierebbe una vita simile? Sei lì, insieme ad altri; tutti affrontano la stessa minaccia ma tutti si sentono completamente soli. Stretto nel freddo abbraccio della paura, hai la sensazione che tutto ciò che sei potrebbe finire nel giro di pochi attimi. Per gli dei, non invidio la vita del soldato... Volti piatti, larghi, irti di zanne - e morbosamente pallidi, come pance di serpente - emersero dall'oscurità. Gli occhi erano buche; le teste sembraro-
no aleggiare per un attimo, come sospese, a un'altezza pari a due volte quella di un uomo. Enormi spade di ferro, punteggiate di nero, scivolarono nella luce. Le lame erano fuse ai polsi delle creature - non si vedevano mani - e Gruntle capì che un solo colpo avrebbe potuto tranciare facilmente la coscia di un uomo. Le apparizioni, simili a rettili, avanzavano sulle zampe posteriori come giganteschi uccelli privi di ali, curve in avanti con lunghe code affusolate per contrappeso, e indossavano un'armatura stranamente discontinua: sulle spalle, sul petto - a entrambi i lati dello sterno sporgente - e lungo la parte superiore dei fianchi. Elmi a calotta, bassi e lunghi, riparavano testa e nuca; le protezioni delle guance si incontravano sopra il muso, piegandosi bruscamente a coprire il naso. Al fianco di Gruntle, Keruli cacciò un sibilo. «K'Chain Che'Malle. Sono cacciatori K'ell, i primogeniti di ogni parto. I figli della Matrona. Questa è conoscenza che sta sbiadendo anche nella mente degli Dei Antichi. Ora provo sgomento, nel profondo del cuore.» «Che cosa aspettano, in nome di Hood?» ruggì il capitano. «Sono inquieti davanti alla nube vorticosa che è la magia Barghast. Per il loro padrone, si tratta di un'incognita.» Incredulo, il capitano chiese: «Il Veggente Pannion comanda questi...». I cinque cacciatori mossero all'assalto. Le teste scattarono in avanti, le lame si alzarono in una macchia indistinta. Tre puntarono sui Barghast, tuffandosi verso quella nebbia fitta, turbinosa. Gli altri due attaccarono Bauchelain e Korbal Broach. Attimi prima che raggiungessero la nube, tre lance schizzarono fuori, colpendo tutte il cacciatore in testa. La magia lacerò la carne avvizzita, senza vita, della bestia con il rumore di spuntoni che trapassano tronchi d'albero. Tessuto muscolare grigio scuro, ossa color bronzo e strisce di pelle in fiamme volarono in tutte le direzioni. La testa del cacciatore ballonzolava sopra il collo spezzato. Il K'Chain Che'Malle barcollò, poi crollò a terra, mentre i suoi due compagni lo aggiravano, scomparendo nella nube incantata. Dall'interno, risuonò il cozzo del ferro contro il ferro. Davanti a Bauchelain e a Korbal Broach, gli altri due cacciatori furono inghiottiti da onde nere, ribollenti, prima di aver potuto fare due passi. La magia lacerò i loro corpi, spruzzando fiotti acidi, corrosivi, che divoravano la carne. Le bestie avanzarono spedite, per essere accolte dai due stregoni, entrambi i quali indossavano cotte di maglia nera lunghe fino alle caviglie e brandivano spade che emettevano pennacchi di fumo.
«Attenzione, alle nostre spalle!» gridò improvvisamente Harllo. Gruntle si girò di scatto. Vide un sesto cacciatore che sfrecciava attraverso i cavalli nitrenti, agitati, puntando dritto verso Keruli. A differenza degli altri K'Chain Che'Malle, questa creatura aveva la pelle coperta di segni intricati, e portava una cresta di punte d'acciaio lungo la spina dorsale. Gruntle diede una spallata a Keruli, mandandolo a gambe all'aria. Accovacciandosi a terra, alzò entrambi i coltellacci appena in tempo per parare la sferzata orizzontale di una delle lame massicce del cacciatore. L'acciaio Gadrobi stridette in modo assordante; l'impatto mandò scosse su per le braccia del capitano. Gruntle udì - più che avvertire - rompersi il polso sinistro; le estremità delle ossa grattarono l'una contro l'altra, storcendosi terribilmente; infine, mani improvvisamente inerti mollarono i coltellacci, che rotolarono via. La seconda lama del cacciatore avrebbe dovuto segarlo a metà; invece, urtò contro lo spadone di Harllo. Entrambe le armi finirono in frantumi. Harllo si allontanò vacillando; viso e petto, colpiti da una violenta pioggia di schegge metalliche, spruzzavano sangue. Una zampa a tre dita, munita di artigli, si alzò, colpendo Gruntle. Il capitano volò in aria con un grugnito. Il dolore gli esplose nel cranio mentre si scontrava con la mascella del cacciatore, il cui collo si ruppe con uno schiocco sonoro. Stordito, senza più aria nei polmoni, Gruntle stramazzò. Un peso enorme lo inchiodò a terra; artigli forarono l'armatura, trapassandogli la carne, e le tre dita si strinsero intorno al suo petto, spezzando ossa. Si sentì portare in avanti; le scaglie dell'armatura si staccarono con cigolii e scricchiolii, mentre egli veniva trascinato attraverso polvere e ghiaia. Fibbie e fermagli distorti si piantarono nel terreno. Cieco, gli arti molli, Gruntle avvertì gli artigli conficcarsi ancora più profondamente. Tossì, e sangue schiumoso gli riempì la bocca. Il mondo si oscurò. Sentì gli artigli vibrare, come per il riverbero di un colpo possente, cui ne seguì un altro, e un altro ancora. Gli artigli si contrassero in uno spasmo. Gruntle fu rispedito in aria; quando atterrò, rotolò fino a urtare i raggi spezzati della ruota di una carrozza. Sentiva - sapeva - che stava per morire. Si costrinse ad aprire gli occhi: desiderava disperatamente gettare un'ultima occhiata sul mondo; qualunque cosa potesse scacciare quel senso opprimente di tristezza confusa. Non poteva essere una cosa improvvisa? Istantanea? Perché quel lento, frastornante prosciugarsi? Per gli dei, persino il dolore è scomparso; perché
non la coscienza? Perché torturarmi con la consapevolezza di ciò che sto per perdere? Qualcuno cacciava un urlo, un urlo di morte; Gruntle afferrò subito la situazione. Oh sì, urla la tua sfida, il tuo terrore e la tua rabbia; urla contro la ragnatela che ti si stringe intorno. Onde di rumore nel mondo mortale, per l'ultima volta... Le urla cessarono. Ora c'era silenzio, tranne che per il battito irregolare del cuore nel petto di Gruntle. Sapeva di avere gli occhi aperti, eppure non vedeva nulla. O la luce magica di Korbal Broach si era spenta, o il capitano aveva trovato la propria oscurità. Quel cuore vacillava. Rallentava, si affievoliva come i contorni di un cavallo che corre lungo una strada. Sempre più lontano, e vago, sempre più vago... LIBRO SECONDO IL FOCOLARE La mezzanotte arriva spesso nel crepuscolo della mia vita, quando contemplo tutto ciò a cui sono sopravvissuto. La morte di tanti cui tenevo e che amavo nel profondo del cuore ha estirpato dai miei pensieri ogni senso di gloria. Essere sfuggito a quel destino fortuito ha perso ogni qualità trionfale. So che mi hai visto, amico, con il mio viso rugoso e il mio sguardo silente, il gelo che rallenta il mio incedere amareggiato, mentre percorro gli ultimi anni avvolto nell'oscurità come tutti i vecchi, tormentato dai ricordi... La strada davanti a te Jhorum di Capustan CAPITOLO SETTIMO E tutti coloro che percorrono i campi quando il Cinghiale dell'Estate avanza con un martellio di zoccoli e la Foresta di Ferro si dirige
verso il fatidico, inevitabile scontro... tutti sono come bambini, adulti tornati bambini... Il Codice di Fener Il Destriant Dellem (n.?) Nato su un mare scuro come il vino speziato, il vento soffiava gemendo sopra il campo di uccisioni lungo la costa, e intorno alla Guardia Orientale, sulla cui collina punteggiata di mattoni una debole luce di torcia brillava dalle imposte malconce della fortezza. Il vento gridò con voce più acuta, mentre sbatteva contro le mura della città, gettando spruzzi salati contro la pietra smussata, sporcata dalle intemperie. Aumentando d'intensità, il respiro della notte raggiunse i parapetti, imperversò fra i merloni e lungo le piattaforme, poi colpì le strade tortuose, serpeggianti di Capustan, dove non un'anima si muoveva. Dal parapetto della torre d'angolo, che sovrastava l'antica caserma, Karnadas stava da solo davanti alla tempesta; il mantello con la criniera di cinghiale intorno al colletto sbatteva nelle raffiche violente. Anche se l'arco aperto nel parapetto sovrastava l'accesso sud-orientale alla torre, dalla sua posizione egli scorgeva a malapena, a cinquecento passi lungo il muro in direzione nord, l'oggetto della sua attenzione feroce. Il palazzo tetro, simile a una rupe, del principe Jelarkan non somigliava a nessun altro edificio di Capustan. Priva di finestre, la struttura in pietra grigia s'innalzava in una confusione caotica di piani, angoli, sporgenze e cornici apparentemente inutili. Superava di gran lunga in altezza il muro adiacente, rivolto alla costa; con l'occhio della mente, il mercenario vide massi enormi levarsi dal campo di uccisioni verso il fabbricato, cozzare contro i suoi lati e farlo crollare rovinosamente. È indegno di te. Dove sta la confortante conoscenza del vasto, ciclico movimento della storia, del flusso e riflusso della guerra e della pace? La pace è il periodo in cui si aspetta la guerra. Un periodo di preparazione, o di voluta ignoranza; di cieche, oziose chiacchiere al riparo delle mura. Dentro al palazzo, la Spada Mortale Brukhalian era impantanato nell'ennesimo incontro con il principe e una mezza dozzina di rappresentanti del Consiglio Mascherato. Il comandante delle Spade Grigie sopportava quelle maratone intricate con quella che sembrava a Karnadas una pazienza sovrumana. Io non avrei mai tollerato questa danza frenetica, non così a lungo, notte dopo notte, per settimane di fila. Però, è straordinario quanto
si possa realizzare mentre infuriano le discussioni. Quante delle proposte della Spada Mortale - e del principe Jelarkan - sono già state attuate, mentre lo scontro continua senza posa e quei bastardi mascherati enunciano la loro lista di obiezioni, frutto della più totale ignoranza? È troppo tardi, sciocchi: abbiamo già fatto quello che potevamo, per salvare la vostra maledetta città. Davanti alla sua mente, si levò la maschera elaborata, ricoperta di pelliccia, dell'unico sacerdote del Consiglio su cui lui e la compagnia avrebbero potuto contare come alleato. Rath'Fener parlava per il Cinghiale dell'Estate, il dio patrono delle Spade Grigie. Ma sei consumato dall'ambizione politica, come i tuoi rivali del Consiglio. Ti inginocchi davanti alla zanna insanguinata del Cinghiale, eppure... è solo una menzogna? Come unica risposta alla muta domanda di Karnadas venne l'ululato del vento. Il fulmine illuminò le nubi che turbinavano sopra la baia lontana. Rath'Fener era un sacerdote del Rango Scettrato, un veterano della politica del tempio, e quindi in vetta a ciò che un mortale poteva raggiungere all'interno delle mura consacrate a Fener. Ma il Cinghiale dell'Estate non è un dio civilizzato; non fanno per lui ranghi, ordini e vesti chiuse da fibbie d'avorio... pompa secolare, meschini giochi di superbia alla ricerca del potere mondano. Eppure no, non devo contestare Rath'Fener mettendo in dubbio la sua fede; lui serve il nostro dio a modo suo. Il Cinghiale dell'Estate era la voce della guerra. Scuro, sinistro, antico quanto l'umanità stessa. Il canto della battaglia; le grida dei morenti e la musica vendicativa, dissonante, stridula delle armi di ferro, degli scudi risuonanti di colpi, delle frecce e dei dardi sibilanti... E quella voce sta diventando un ruggito. Non è il momento di nascondersi dietro le mura di un tempio; né il momento di sciocchi intrighi politici. Serviamo Fener camminando sulla terra fumante, imbevuta di sangue, le armi sguainate nella promessa dell'azione fulminea. Siamo il cozzo e il clangore, le urla di rabbia, dolore e terrore... Rath'Fener non era l'unico sacerdote del Cinghiale ad aver raggiunto il Rango Scettrato in quella città. La differenza era questa: mentre Rath'Fener possedeva l'ambizione di inginocchiarsi davanti al mantello del Cinghiale e assumere umilmente l'antico titolo di Destriant, rimasto vacante per tanto tempo, Karnadas l'aveva già realizzata. Karnadas avrebbe potuto rimettere Rath'Fener al suo posto semplicemente svelando la propria posizione nella gerarchia mortale. Rimetterlo al suo posto? Potrei deporre quel bastardo con un gesto. Ma Brukhalian gli
aveva impedito di fare quella dolce rivelazione, e la Spada Mortale non poteva essere distolta dalle sue convinzioni. Il momento non era propizio per una simile mossa, aveva detto: avrebbe reso un profitto troppo basso. Abbi pazienza, Karnadas, il momento verrà... Non era una cosa facile da accettare. «Vi piace questa notte, Destriant?» «Ah, Itkovian, non vi avevo visto. Questa è la notte della tempesta del Cinghiale. Da quanto tempo ve ne state lì, Incudine-Scudo?» Da quanto tempo fissi il tuo Gran Sacerdote, nel tuo modo freddo, riservato? Itkovian dai modi oscuri, rivelerai mai la tua vera essenza? Era impossibile leggere l'espressione dell'uomo al buio. «Solo da pochi momenti, Destriant.» «Il sonno vi elude, signore?» «Non quando lo cerco.» Osservando la sopravveste di maglia blu dell'Incudine-Scudo sotto il grigio mantello impermeabile, e i guanti muniti di polsini, ora neri e lucidi di pioggia, Karnadas annuì lentamente. «Non mi ero reso conto che l'alba fosse così vicina. Prevedete di restare lontano a lungo?» Itkovian scosse le spalle. «No, a condizione che veramente abbiano attraversato in forze. Comunque, potrò guidare solo due ali. Però, se dovessimo incontrare solo poco più di semplici squadre di ricognizione, infliggeremo i primi colpi al Dominio.» «Finalmente», replicò il Destriant, reagendo con una smorfia alla sferzata di un'altra raffica di vento contro il parapetto. Per un po', ci fu silenzio. Poi Karnadas si schiarì la gola. «Che cosa vi ha portato qui, IncudineScudo, se posso chiedervelo?» «La Spada Mortale è tornata dall'ultima riunione e desidera parlarvi.» «Ed è rimasto pazientemente seduto mentre chiacchieravamo?» «Presumo di sì, Destriant.» Le due Spade Grigie si volsero verso la scala a chiocciola della torre. Discesero i gradini lucidi, scivolosi, in mezzo ai rivoli d'acqua che scorrevano giù per le pareti di pietra, su entrambi lati. Arrivati alla terza svolta, potevano vedere il vapore del loro respiro. Fino all'arrivo della compagnia, la caserma era stata lasciata praticamente disabitata per quasi un secolo. Il gelo che si era insinuato nell'antica fortezza dalle spesse mura aveva sfidato ogni tentativo di scacciarlo. Fra le principali strutture di Capustan, essa era antecedente al Maschio Daru - che ora si chiamava Thrall e ospitava il
Consiglio Mascherato - e a ogni altro edificio, eccezion fatta per il palazzo del principe Jelarkan. E quel palazzo, sicuramente, non è stato eretto da mani umane. Lo giurerei sul dorso ispido di Fener. Quando giunsero al livello del suolo, Itkovian spinse la porta cigolante che dava direttamente sulla Sala Rotonda. Solo nella camera enorme, a malapena ammobiliata, stava la Spada Mortale Brukhalian, immobile davanti al focolare, figura quasi spettrale malgrado la statura e la stazza formidabili. Volgeva le spalle ai nuovi venuti; i capelli lunghi e ondulati erano sciolti e arrivavano appena sopra la vita stretta da un cinturone. «Rath'Trake crede», borbottò senza girarsi, «che sulle pianure a ovest della città ci siano intrusi sgraditi. Apparizioni demoniache». Karnadas aprì la fibbia del mantello e lo scosse per liberarlo dall'acqua. «Rath'Trake, avete detto. Ammetto di non comprendere l'improvvisa aspirazione della Tigre alla piena divinità. Che il culto di un Primo Eroe sia riuscito a infiltrarsi in un consiglio sacerdotale...» Brukhalian si girò lentamente, fissando i morbidi occhi castani sul Destriant. «La vostra opposizione è irragionevole. La Stagione dell'Estate comprende più di una voce di guerra, od ora forse vorreste contestare anche i feroci spiriti dei Barghast e dei Rhivi?» «I Primi Eroi non sono dei», ruggì Karnadas, massaggiandosi il viso da cui svaniva il freddo torpore indotto dal vento. «Non sono nemmeno spiriti tribali, signore. Qualcuno degli altri sacerdoti ha appoggiato la pretesa di Rath'Trake?» «No.» «Proprio come pensavo...» «Naturalmente», continuò Brukhalian, «nessuno di loro è convinto che il Dominio di Pannion intenda prendere d'assedio Capustan». Karnadas chiuse la bocca di scatto. Un'aggiunta illuminante, Spada Mortale. Lo sguardo di Brukhalian guizzò su Itkovian. «Le vostre ali sono spiegate, Incudine-Scudo?» «Sì, signore.» «Sarebbe sciocco, non credete, signore», disse la Spada Mortale, «ignorare tali avvertimenti durante il vostro pattugliamento?». «Non intendo ignorare nulla, signore. Staremo all'erta.» «Come fate sempre, Incudine-Scudo. Andate pure a prendere il comando delle vostre ali, signore. Che le Zanne Gemelle vi proteggano.» Itkovian s'inchinò, poi uscì dalla stanza a grandi passi.
«E ora, caro sacerdote», riprese Brukhalian, «siete tranquillo riguardo a questo vostro... invito?». Karnadas scosse la testa. «No, non lo sono. Non riesco a capire chi l'abbia mandato, e nemmeno se la sua posizione ci sia amichevole od ostile.» «Eppure attende una risposta?» «Sì, Spada Mortale.» «Allora diamola. Adesso.» Karnadas sgranò leggermente gli occhi. «Signore, allora forse dovremmo far venire una Criniera, caso mai stessimo invitando un nemico fra noi.» «Dimenticate, Destriant, che io sono l'arma stessa di Fener.» Sì, ma sarà abbastanza? «Come volete, signore.» Karnadas si diresse verso uno spazio libero nella stanza; avvolse le maniche fradice della camicia, poi fece un gesto lieve con la mano sinistra. Un piccolo, palpitante globo di luce si delineò davanti al sacerdote. «Questa forma è nella nostra lingua», osservò, studiando l'apparizione. «La lingua del Codice di Fener, il che implica una certa conoscenza della nostra compagnia e del suo immortale benefattore. E tale conoscenza contiene un messaggio.» «Che dovete ancora decifrare.» Il volto segnato dalle intemperie del Destriant si accigliò per un attimo. «Ho ristretto la lista delle possibilità, Spada Mortale. Tale conoscenza potrebbe essere tanto indice di arroganza nel mittente quanto un accenno alla fratellanza.» «Liberate l'invito, signore.» «Ai vostri ordini.» Il sacerdote fece un altro gesto. Il globo divenne più brillante poi, mentre la luce sbiadiva, cominciò a crescere, fino a diventare trasparente. Karnadas arretrò per fargli spazio, soffocando il proprio allarme davanti al puro potere racchiuso in quella comunicazione. «Signore, ci sono delle anime lì dentro. Non due o tre: una dozzina, forse più; eppure sono tutte unite in una sola. Non ho mai visto niente di simile.» Una figura, seduta a gambe incrociate, prese lentamente forma nel globo; magra, dalla pelle scura, indossava una leggera armatura di cuoio. Sul suo volto era dipinta un'espressione di blanda sorpresa. Sullo sfondo, le due Spade Grigie potevano vedere le pareti interne di una piccola tenda. Davanti all'uomo c'era un braciere, che gli faceva brillare intensamente gli occhi scuri. «Rivolgetevi a lui», intimò Brukhalian. «In che lingua, signore? Nel nostro Elin nativo?»
Davanti a quella conversazione sommessa, la figura inclinò la testa. «Quello è un rozzo dialetto», esordì in Daru, «che deriva evidentemente dal Daru. Riuscite a capirmi?». Karnadas annuì. «Sì, la vostra parlata somiglia abbastanza a quella Capan.» L'uomo si raddrizzò. «Capan? Sono arrivato, allora! Siete a Capustan... ottimo! Siete i governanti della città?» Il Destriant aggrottò le sopracciglia. «Non ci conoscete? La vostra... comunicazione suggeriva una certa conoscenza del nostro Codice...» «Ah, sì, be', quel particolare intreccio dei miei canali tende a riflettere coloro che vi incappano, anche se questo vale solo per i sacerdoti, l'obiettivo che doveva raggiungere. Presumo che siate membri del consiglio sacerdotale di Capustan... com'è che si chiama... Consiglio Mascherato, giusto?» «No», bofonchiò Brukhalian, «non lo siamo». «Andate avanti, ve ne prego; ora sono davvero incuriosito.» «Felice di sentirlo, signore», rispose la Spada Mortale, facendosi avanti. «Dietro mia richiesta, il Destriant Karnadas - che è qui al mio fianco - ha risposto al vostro invito. Io comando le Spade Grigie.» «Mercenari! Per il respiro di Hood! Se avessi voluto contattare una manica di spadaccini prezzolati, cari come il fuoco...» «Signore.» La voce di Brukhalian era dura ma sommessa. «Siamo un esercito del Cinghiale dell'Estate, consacrato a Fener. Ogni soldato dei nostri ha scelto questo sentiero. Istruiti nelle sacre scritture, benedetti dalla mano del Destriant nel nome del Dio Zannuto. Sì, siamo una compagnia di... spadaccini prezzolati. Siamo anche il nostro tempio; contiamo più di settemila accoliti, e il numero cresce ogni giorno.» «Va bene, va bene, signore; ora capisco. Aspettate... avete detto che state aumentando? La città vi ha dato il permesso di accettare nuovi seguaci?» Brukhalian sorrise. «Capustan è armata solo a metà, signore. Conserva tracce delle sue origini tribali; tracce singolari, direi. Alle donne è proibito esercitare l'arte della guerra. Il Cinghiale dell'Estate, tuttavia, non riconosce tali esclusioni arbitrarie.» «E riuscite a passarla liscia?» rise l'uomo. «Finora, i nostri nuovi accoliti ammontano solo a milleduecento. Dal momento che molte seconde e terze nate vengono gettate per le strade della città, nessuno fra i governanti ha ancora notato la diminuzione del loro numero. Ora, vi ho già detto abbastanza a mo' di presentazione. E voi, si-
gnore, chi siete?» «Mi scuso per la mia maleducazione. Sono Adaephon Ben Delat. Per semplificare le cose, chiamatemi Ben lo Svelto...» «Siete di Darujhistan?» chiese Karnadas. «Per Hood, no! Ecco, insomma, non lo sono. Sto con... uhm... Caladan Brood.» «Abbiamo sentito quel nome varie volte, dal nostro arrivo al nord», replicò Brukhalian. «Un comandante che guida un esercito contro un impero invasore.» «Be', quell'impero invasore ha... ridimensionato le sue mire. A ogni modo, stiamo cercando di far arrivare un messaggio ai governanti di Capustan.» «Se solo fosse così facile», borbottò Karnadas. La Spada Mortale stava annuendo. «Allora dovete scegliere, signore. Il Consiglio Mascherato e Jelarkan, il principe della città, si contendono il potere. All'interno del Consiglio stesso, ci sono innumerevoli fazioni, e sono sorte discordie. Le Spade Grigie rispondono al principe; il nostro compito è facile: rendere troppo costosa la presa di Capustan da parte del Dominio di Pannion. L'espansione del Veggente si fermerà alle mura della città. Potete trasmettere il messaggio del vostro comandante a me, e quindi al principe. Oppure, potete riprendere i vostri tentativi di contattare il Consiglio Mascherato.» «Temevamo che la cosa diventasse complicata», sospirò Ben lo Svelto. «Non sappiamo praticamente niente della vostra compagnia; o, meglio, ne sappiamo poco. Grazie a questo contatto, non sono più così ignorante.» Il suo sguardo si posò su Karnadas. «Destriant. Nel Codice di Fener significa Arcisacerdote, vero? Ma solo nell'arena militare; in quel tempio di terreno consacrato che è il campo di battaglia. Il rappresentante di Fener nel Consiglio Mascherato sa che lo superate in grado, come una tigre supera un gatto?» Karnadas fece una smorfia. «Non conosce il mio vero titolo, signore; e per validi motivi. Sono impressionato dalla vostra conoscenza del culto di Fener. No, più che impressionato: sono sbalordito.» L'uomo sembrò sussultare. «Be', ecco... grazie.» Si girò a osservare Brukhalian. «Voi siete la Spada Mortale del dio.» Fece una pausa; fu come se avesse realizzato solo in quel momento il pieno significato di quel titolo, perché spalancò lentamente gli occhi. «Uh, va bene. Credo che l'Alto Comandante approverebbe la mia decisione di trasmettere a voi il suo mes-
saggio. Anzi, non ho dubbi in proposito.» Dopo un respiro profondo, riprese: «Caladan Brood sta conducendo un esercito in soccorso di Capustan. L'assedio - come certo avrete capito - non è solo inevitabile, è imminente. Ora, il nostro problema è arrivare lì in tempo...». «Signore», l'interruppe Brukhalian, aggrottando le sopracciglia, «quant'è grande l'esercito di Caladan Brood? Perché dovete sapere che ci troveremo davanti forse sessantamila Pannion; tutti veterani, dal primo all'ultimo. Si rende conto del turbine in cui vuole tanto generosamente tuffarsi nel nostro interesse?». «Be', non possiamo competere per numero. Ma», Ben lo Svelto fece un largo sorriso, «porteremo con noi qualche sorpresa. Dobbiamo incontrarci di nuovo. Devo aggiornare l'Alto Comandante e i suoi ufficiali; posso suggerire di riprendere questa conversazione fra una campana?». «Forse sarebbe meglio rimandarla fino al cuore della notte», ribatté Brukhalian. «Durante il giorno, il mio tempo è piuttosto occupato... e pubblico. E lo stesso vale per il principe Jelarkan.» Ben lo Svelto annuì. «Due campane prima dell'alba, allora.» D'un tratto, si guardò intorno. «Mi servirà una tenda più grande...» Un attimo dopo, impallidì. Il globo si contrasse di nuovo, poi scomparve a un gesto di Karnadas. Il Destriant si volse verso Brukhalian. «Questa è stata una sorpresa.» La Spada Mortale fece un grugnito. «Dobbiamo stare attenti a influenzare il principe nel modo opportuno. Quest'esercito potrà disturbare leggermente le forze assedianti, ma probabilmente otterrà poco altro. Dobbiamo mantenere realistica la visione di Jelarkan... sempre che gli riferiamo il messaggio.» Non vinceremo questa guerra. Bando alle false speranze. «Che cosa pensate di questo Ben lo Svelto?» chiese Brukhalian. «Un uomo dai molti veli. Un ex sacerdote di Fener, forse; la sua conoscenza era troppo precisa.» «Molte anime in una, avete detto.» Karnadas rabbrividì. «Devo essermi sbagliato», replicò. «Forse il rituale richiedeva l'assistenza di altri maghi, e sono questi che ho percepito.» Brukhalian scrutò il suo sacerdote a lungo, e intensamente, ma non disse nulla. Infine, si girò dall'altra parte. «Sembrate esausto, signore. Andate a riposare un po'.» Karnadas s'inchinò lentamente.
Quando l'incantesimo sbiadì, Ben lo Svelto sospirò, lanciando uno sguardo alla sua destra. «Ebbene?» Seduto contro la parete della tenda, Whiskeyjack si chinò in avanti per riempire i loro calici di birra di Gredfallan. «Combatteranno», riferì l'uomo con la barba, «almeno per un po'. Il comandante sembra un soldato di quelli duri, ma potrebbe essere una commedia; dev'essere un mediatore abbastanza scaltro da conoscere il valore dell'apparenza. Com'è che l'hai chiamato?». «Spada Mortale. Figuriamoci. Una volta, molto tempo fa, quel titolo era reale. Molto prima che il Mazzo dei Draghi riconoscesse il posto dei Cavalieri delle Alte Case, il culto di Fener aveva il proprio. Hanno assunto i titoli originari con precisione. Destriant... per il respiro di Hood, sono mille anni che non c'è un vero Destriant nel culto. Quei titoli sono solo per scena, Whiskeyjack.» «Ma allora», intervenne il comandante, «perché mantenere il segreto con il sacerdote di Fener nel Consiglio Mascherato?». «Uhm, be', è semplice. Quel sacerdote saprebbe che mentono, naturalmente. Una risposta facile.» «Una risposta facile, come hai detto. Ma le risposte facili sono sempre quelle giuste, Ben?» Ignorando la domanda, il mago svuotò il suo calice. «A ogni modo, considero le Spade Grigie i migliori elementi della combriccola che si trova laggiù, anche se non è dir molto.» «Hanno creduto alla storia del "contatto accidentale"?» «Penso di sì. Avevo forgiato l'incantesimo in modo che riflettesse la natura della compagnia: avida od onorevole che fosse. Riconosco, però, che non mi aspettavo di trovare una fede devota. Ma l'incantesimo doveva essere malleabile, e lo è stato.» Whiskeyjack si tirò in piedi, trasalendo nell'appoggiare il peso sulla gamba malata. «Meglio che rintracci Brood e Dujek, allora.» «Saranno alla testa della colonna, immagino», suggerì Ben lo Svelto. «Stasera hai la mente pronta», osservò il comandante, dirigendosi verso l'uscita. Un attimo dopo, quando il sarcasmo di Whiskeyjack penetrò finalmente nei suoi pensieri, il mago si accigliò. Dall'altra parte della strada, davanti alla porta della caserma e dietro un antico cancello di bronzo, c'era un cimitero che era un tempo appartenuto a
una delle tribù fondatrici di Capustan. Le colonne di argilla cotta dal sole con le loro incisioni a spirale - ognuna delle quali conteneva un corpo in posizione eretta - si levavano come i tronchi di una fitta foresta nel cuore del cimitero, cinto su tutti i lati dalle più mondane urne di pietra Daru. La città aveva una storia bizzarra, contorta; Itkovian aveva avuto il compito di indagarne i meandri. Quello di Incudine-Scudo delle Spade Grigie era un titolo che richiedeva abilità militari e attività erudite insieme. Anche se molti avrebbero considerato distinte le due discipline, era vero l'opposto. Dalla storia, dalla filosofia e dalla religione veniva la comprensione delle motivazioni umane, e la motivazione stava al cuore di tattiche e strategie. Il comportamento delle persone seguiva certi schemi, e così faceva il loro pensiero. Un Incudine-Scudo doveva prevedere, anticipare, e questo valeva per le azioni potenziali sia di alleati che di nemici. Quando i popoli Daru arrivarono dall'ovest, le tribù che avevano fondato Capustan erano sedentarie da una sola generazione. E i loro morti vengono lasciati in piedi. Liberi di vagare nel loro invisibile mondo spirituale. Quella mobilità inquieta alloggiava ancora nella mente dei Capan e, poiché le comunità Daru facevano vita a parte, si era a stento indebolita malgrado la dozzina di generazioni ormai vissute e morte in quel luogo. Gran parte della storia iniziale di Capustan rimaneva un mistero, e Itkovian si ritrovò a riflettere sulle poche notizie che riusciva a mettere insieme, mentre conduceva le due ali di cavalieri giù per la strada ampia, acciottolata, verso il Viale di Jelarkan, che avrebbero poi superato in direzione della Porta Principale, affacciata a sud. La pioggia stava diminuendo; il chiarore metallico dell'alba filtrava attraverso le dense nubi a oriente, mentre il vento soffiava in raffiche sporadiche. I distretti che componevano la città erano detti Campi; ogni Campo era un insediamento distinto, indipendente, solitamente circolare, con uno spiazzo privato al centro. Gli spazi ampi e irregolari fra i Campi costituivano le strade di Capustan. Questo schema cambiava solo nella zona che circondava il vecchio Maschio Daru - ora Thrall, sede del Consiglio Mascherato - detta Distretto del Tempio, l'unica in cui era stata imposta una disposizione a griglia delle strade, nello stile Daru. I Campi, sospettava Itkovian, una volta erano stati proprio ciò che diceva il loro nome. Accampamenti tribali, legati strettamente fra loro da rapporti di parentela. Situato sulle rive del fiume Catlin, fra popolazioni marinare, quel posto era diventato un fulcro per gli scambi commerciali, inco-
raggiando la sedentarietà. Il risultato era una delle città dall'aspetto più strano che Itkovian avesse mai visto. Viali ampi, aperti, bordati da mura ricurve; supporti argillosi per pilastri funebri sparsi qua e là; pozzi in mezzo a cave di sabbia e, a percorrere gli spazi tortuosi di Capustan, cittadini Daru e Capan: i primi conservavano gli stili e gli ornamenti disparati della loro tradizione - non ce n'erano due vestiti allo stesso modo - mentre i secondi, in omaggio ai legami di stirpe, portavano i colori vivaci delle loro famiglie, creando un flusso che contrastava nettamente con la sobria, spenta architettura delle strade. La bellezza di Capustan sta nella sua gente, non nei suoi edifici... Persino i templi Daru si erano inchinati al discreto stile architettonico del luogo. L'effetto era quello di un movimento incessante, che dominava un ambiente semplice e statico. Le tribù Capan proclamavano la loro presenza: colori in un mondo incolore. Le uniche incognite nello scenario sotto gli occhi di Itkovian erano il vecchio torrione ora occupato dalle Spade Grigie e il palazzo di Jelarkan. Il torrione era stato costruito prima dell'arrivo dei Capan e dei Daru, da mani sconosciute, e sorgeva quasi nell'ombra del palazzo. La fortezza di Jelarkan era una struttura della quale Itkovian non aveva mai visto l'eguale. Superava in antichità tutto il resto; la sua architettura severa era assolutamente aliena e stranamente ostile. Con ogni probabilità, la stirpe reale di Capustan aveva scelto di occuparla per la sua imponente preminenza, piuttosto che per le sue doti difensive. I muri di pietra erano pericolosamente sottili, e l'assenza di finestre o di piattaforme sul tetto rendeva gli occupanti ciechi a tutto ciò che accadeva al di fuori. Peggio ancora, c'era una sola entrata: la via di accesso principale, un'ampia rampa che conduceva in un cortile. I principi precedenti avevano allestito corpi di guardia ai lati dell'entrata e un passaggio pedonale lungo le mura del cortile. Le aggiunte al palazzo, stesso avevano la brutta abitudine di cadere; per qualche ragione, le facciate di pietra respingevano la malta, e i muri non erano giudicati abbastanza forti da poter reggere pesi aggiuntivi di natura sostanziale. Insomma, era un edificio curioso. Attraversando l'affollata Porta Principale - che ospitava armi e armature di ferro nero e cuoio scuro in mezzo a fiumi di colori brillanti - i membri della truppa girarono a destra, percorsero per un breve tratto la strada meridionale delle carovane, ma la lasciarono, insieme al suo traffico, non appena raggiunsero l'aperta pianura; poi puntarono a ovest, superando le poche fattorie e i loro bassi muri di pietra che movimentavano il paesaggio, per emergere infine sulla prateria deserta.
Mentre procedevano verso l'interno, le nuvole sulle loro teste cominciarono a diradarsi, e durante la pausa di mezzogiorno - a quattordici leghe da Capustan - il cielo era ormai di un azzurro uniforme. Il pasto fu breve e fra i trenta soldati corsero poche parole. Non avevano ancora incrociato la pista di nessuno; cosa insolita, essendo vicino il picco della stagione mercantile. Mentre le Spade Grigie finivano di imballare l'attrezzatura, l'IncudineScudo si rivolse loro per la prima volta da quando avevano lasciato la caserma. «Formazione a rapace; procedere al piccolo galoppo. Il ricognitore Sidlis venti lunghezze davanti alla punta. Tutti a caccia di piste.» Una soldatessa, una giovane accolita, l'unica recluta della compagnia, chiese: «Che tipo di piste cerchiamo, signore?». Ignorando la sconvenienza, Itkovian rispose: «Qualunque tipo, soldato. Ali, a cavallo». Guardò i soldati issarsi in sella perfettamente all'unisono, a eccezione della recluta che annaspò per un attimo prima di trovare la posizione e serrare le redini. In quello stadio dell'addestramento, venivano spese solo poche parole; la recluta avrebbe seguito rapidamente l'esempio dei soldati esperti, oppure non sarebbe rimasta a lungo nella compagnia. Le era stato insegnato a montare, abbastanza bene da non cadere nel cavalcare al piccolo galoppo, e indossava armi e armatura per abituarsi al loro peso. L'istruzione nell'arte di maneggiare quelle armi sarebbe venuta più tardi. Se le ali si fossero trovate in una scaramuccia, due veterani l'avrebbero protetta per tutto il tempo. In quel momento, il padrone della giovane donna era il suo cavallo. Il castrato baio conosceva il suo posto nell'ala ricurva della formazione a rapace; in caso di guai, avrebbe saputo allontanare dal pericolo la sua compagna. Era già abbastanza che fosse stata scelta per accompagnare la pattuglia. Addestrare il soldato nel mondo reale era uno dei principi della compagnia. Allargata nella formazione, con Itkovian come testa del rapace, la truppa avanzava al piccolo galoppo. Percorsero una lega, poi un'altra, mentre il caldo diventava sempre più opprimente. Il rallentamento improvviso dell'ala nord fece girare gli altri, come se tutti gli animali fossero legati da corde invisibili. Era stata trovata una pista. Guardando avanti a sé, Itkovian vide il ricognitore Sidlis rallentare e
ruotare il cavallo, a conferma del fatto che sia lei sia la bestia avevano avvertito il cambiamento nel movimento alle loro spalle. La donna rimase ferma, a osservare la scena. L'Incudine-Scudo rallentò a sua volta, mentre si avvicinava ai cavalieri sul fianco destro. «Rapporto.» «La recluta è stata la prima a scorgere la pista, signore», rivelò il portavoce dell'ala. «La punta di una spirale. A quanto abbiamo scoperto, parrebbe puntare a nord-ovest. Una creatura su due zampe, signore. Con tre dita e gli artigli.» «Solo una serie di impronte?» «Sì, signore.» «Vecchie di quanto?» «È passata di qui stamattina, signore.» Una seconda occhiata a Sidlis la fece tornare verso la truppa. «Da' il cambio al ricognitore, Nakalian. Seguiremo questa pista.» «Sì, signore», mormorò il portavoce. Esitò, poi aggiunse: «IncudineScudo, la distanza fra i passi è... vasta. La creatura si muoveva velocemente». Itkovian incrociò gli occhi del soldato. «Quanto velocemente? Come un piccolo galoppo? Come un galoppo?» «Difficile saperlo con certezza. Direi due volte un piccolo galoppo, signore.» A quanto pare, abbiamo trovato la nostra apparizione demoniaca. «Gli arcieri sulle punte laterali. Tutti gli altri, tranne Torun, Farakalian e la recluta, lance a portata di mano. I soldati di cui ho fatto il nome, fuori i lazo.» Precedute ora da Nakalian, le ali ripartirono immediatamente; i cavalieri alle estremità avevano le frecce incoccate negli archi corti, ricurvi. Torun e Farakalian cavalcavano ai lati dell'Incudine-Scudo, lazo in mano. Il sole avanzava lentamente nel cielo. Nakalian li guidò lungo la pista senza grandi difficoltà; le orme disegnavano ora una linea diritta in direzione nord-ovest. Itkovian poté vederle personalmente nella terra dura. Si trattava di una creatura veramente enorme, per aver lasciato impronte così profonde; e, data la sua evidente velocità, l'Incudine-Scudo sospettava che non l'avrebbero mai raggiunta. A meno che, pensò Itkovian fra sé, guardando Nakalian tirare all'improvviso le redini, in cima a una piccola altura, la bestia non abbia deciso
di fermarsi ad aspettarci. La truppa rallentò; tutti gli occhi erano puntati sul ricognitore. Nakalian continuava a fissare l'attenzione su qualcosa che solo lui poteva vedere; aveva estratto la lancia, ma non si preparava all'attacco. Il suo cavallo scartava nervosamente sotto di lui e, avvicinandosi con gli altri, l'IncudineScudo vide che l'animale aveva paura. Raggiunsero l'altura. Davanti a loro si estendeva un bacino; il passaggio recente di un gregge di bhederin selvatici aveva calpestato l'erba in una larga striscia che tagliava diagonalmente la pianura. Verso il centro, lontana almeno duecento passi, stava una creatura con la pelle grigia, due zampe, una lunga coda e due file di zanne frastagliate. Spade dall'ampia lama lampeggiavano all'estremità delle braccia. Immobile, con testa e torso quasi sullo stesso piano, la creatura li osservava. Itkovian strinse gli occhi a fessura. «In cinque battiti di cuore, coprirebbe la distanza fra noi, IncudineScudo», commentò Nakalian, al suo fianco. «Eppure non si muove.» «Veloce com'è, signore, non ne ha bisogno.» Finché non deciderà di farlo, e allora ci sarà addosso. Meglio mettere alla prova le sue capacità. «Decidiamo noi i tempi», sentenziò Itkovian. «Lancieri, colpite la bestia in basso e lasciate dentro le armi, in modo da ostacolarne il cammino, se possibile. Arcieri, mirate a occhi e collo. Se si presenta l'occasione, ficcategli anche una freccia giù per la gola. Tentativi scaglionati, allontanamento in ordine sparso una volta che avrete piantato le armi, poi estraete le spade. Torun e Farakalian», sguainò il proprio spadone, «voi starete con me. Bene, allora: dal piccolo galoppo al galoppo a cinquanta passi di distanza; prima, se la bestia reagisce». Le ali scesero giù per il morbido pendio, le lance puntate verso l'obiettivo. La creatura continuava a guardarli, senza muoversi. Quando furono a cento passi, alzò lentamente le lame, abbassando la testa abbastanza perché i cavalieri vedessero le spalle crestate dietro quello che era chiaramente un elmo di qualche sorta. A settanta passi, la creatura sollevò le lame parallele ai fianchi, dando sferzate con la coda. Alle estremità delle ali, gli arcieri si issarono sulle staffe, tesero le corde degli archi tozzi, potenti, li tennero fermi per un lungo momento, poi tira-
rono. Le frecce confluirono sulla testa della creatura. Punte munite di barbigli si tuffarono nelle orbite nere. Apparentemente indifferente alle armi conficcate in profondità, la bestia fece un passo avanti. Cinquanta passi. Le corde degli archi vibrarono di nuovo. Ora, aste spuntavano dai lati del collo della bestia. Gli arcieri si allontanarono diagonalmente per mantenere la distanza necessaria all'attacco. I cavalli dei lancieri allungarono il collo; la carica era cominciata. Accecato, ma non cieco. Non vedo sangue. Fener, rivelami la natura di questo demone. La creatura si lanciò in avanti a velocità incredibile; in un attimo, fu in mezzo alle Spade Grigie. Lance la infilzarono su tutti i lati. Le lame enormi guizzarono, lampeggiando. Risuonarono grida. Volarono spruzzi di sangue. Itkovian vide il posteriore di un cavallo crollare davanti a sé, vide la gamba destra del soldato, il piede ancora infilato nella staffa, tendersi verso l'esterno. Senza capire, vide il posteriore - le cui zampe scalciavano freneticamente - girarsi, rivelando che la parte anteriore del cavallo non c'era più. Vide una spina dorsale spezzata, mozziconi di costole in file ricurve, viscere che rotolavano fuori, sangue che schizzava dalla carne rossa. Il suo cavallo s'impennò violentemente per scansare quei poveri resti. Una pioggia cremisi bagnò il viso dell'Incudine-Scudo mentre le mascelle possenti della creatura - punteggiate di frecce - cercavano di morderlo. Si piegò a sinistra, evitando a malapena le zanne cosparse di carne, e passò accanto alla bestia, menando una selvaggia sferzata con lo spadone. La lama cozzò contro l'armatura. A metà balzo, il suo cavallo gridò; qualcosa l'aveva colpito da dietro. Senza smettere di nitrire, cominciò ad afflosciarsi sulle zampe anteriori, ma riuscì ad avanzare di un passo, prima che il posteriore franasse dietro a Itkovian. Capendo da quella vacillante, angosciosa andatura che qualcosa era andato terribilmente storto, l'uomo estrasse il coltello, si chinò in avanti e aprì la giugulare dell'animale con un unico fendente. Poi l'IncudineScudo liberò i piedi dalle staffe e si buttò a sinistra, spingendo violentemente la testa del cavallo morente verso destra. Atterrarono, rotolando l'uno lontano dall'altro. Mettendosi infine in posizione accovacciata, Itkovian lanciò un'occhiata al cavallo: scalciava nell'aria e le zampe posteriori terminavano appena sopra le nocche. Entrambi gli zoccoli erano stati mozzati. Ben presto, l'animale fu immobile.
I corpi di cavalli e soldati giacevano su entrambi i lati della creatura, che si stava girando lentamente verso Itkovian. Sangue macchiava le braccia lunghe, coriacee. I capelli castani, striati di rosso, di una donna si erano impigliati in folti ciuffi fra le zanne sporche della bestia. Poi Itkovian vide i lazo. Entrambi penzolavano lenti, uno intorno al collo della creatura, l'altro sulla parte superiore della zampa destra. La terra ebbe una scossa, quando il demone avanzò di un passo verso l'Incudine-Scudo. Itkovian sollevò lo spadone. Mentre la bestia sollevava la zampa a tre dita per fare un altro passo, le due corde si strinsero, tirando il collo a sinistra e la zampa a destra. La creatura venne spinta verso l'alto dai possenti strattoni, perfettamente coordinati, in direzione opposta. La zampa si staccò dall'anca con uno schiocco secco, mentre la testa si separava dal collo con un rumore egualmente sinistro. Il tonfo pesante con cui torso e testa colpirono il terreno fu tale da rompere le ossa. Nessun movimento. La bestia era morta. Colto da un tremito improvviso, Itkovian si raddrizzò lentamente. Torun aveva portato con sé tre cavalieri, e lo stesso aveva fatto Farakalian. Le corde avvolte intorno al pomo di ogni sella, insieme alla forza che stava dietro a quella stretta repentina, esplosiva - la forza di quattro cavalli per lato -, avevano compiuto ciò che non era riuscito alle armi. La coppia di arcieri raggiunse l'Incudine-Scudo. Uno abbassò un braccio. «Svelto, signore, la staffa è libera.» Senza fare obiezioni, Itkovian afferrò il polso offerto, issandosi dietro al cavaliere. E vide cosa stava arrivando. Altri quattro demoni, a quattrocento passi di distanza, si avvicinavano con la rapidità di massi che rotolano giù per il fianco di una montagna. «Non possiamo batterli in velocità.» «No, signore.» «Per cui, dobbiamo dividerci», intimò Itkovian. Il cavaliere spinse il suo animale al galoppo con un calcio. «Sì, signore. Noi siamo i più lenti. Torun e Farakalian ingaggeranno battaglia, per darci un po' di tempo...» Il cavallo scartò all'improvviso sotto di loro. Per la sorpresa, l'IncudineScudo girò bruscamente la testa, cadendo giù di sella. Nell'urto con il terreno compatto, sentì tutta l'aria sprizzare dai polmoni, poi rotolò, stordito, fermandosi infine contro un paio di gambe dure come il ferro.
Ansimando, Itkovian batté le palpebre; i suoi occhi fissavano un cadavere tozzo, coperto di pelliccia. Il volto avvizzito, color marrone scuro, sotto il copricapo dalle corna di cervo si piegò in avanti. Orbite cupe lo studiarono. Per gli dei, che giornata. «Da questo scontro...» gracchiò l'apparizione, in Elin, «... siete dispensati». L'arciere, che ancora lottava, imprecando, con il suo cavallo spaventato, cacciò un sibilo di sorpresa. L'Incudine-Scudo aggrottò le sopracciglia. «Come sarebbe?» «Contro i non-morti», spiegò il cadavere, «si leva un esercito della stessa fatta». In lontananza, Itkovian udì i rumori di una battaglia; niente grida, ma solo il cozzo di armi, ininterrotto, e sempre crescente. Con un gemito, si girò su un fianco. Dolore gli invadeva la parte posteriore del cranio; ondate di nausea lo attraversavano. Stringendo i denti, si tirò a sedere. «Dieci superstiti», annunciò la figura, in tono meditabondo. «Un buon risultato... per dei mortali.» Itkovian abbracciò il bacino con lo sguardo. Un esercito di cadaveri identici a quello che gli stava al fianco circondava i demoni, fra i quali solo due erano rimasti in piedi. La battaglia intorno a quelle due creature era orribile a vedersi. Pezzi dei guerrieri non-morti volavano in tutte le direzioni, ma essi continuavano ad attaccare; enormi spade di selce affettavano i demoni, riducendoli a cumuli di carne. Nel giro di qualche battito di cuore, il combattimento finì. L'Incudine-Scudo stimò che almeno sessanta dei guerrieri coperti di pelliccia fossero stati annientati. Gli altri si accanivano sulle bestie cadute, piegandosi sempre più in basso, mentre i frammenti rimasti si facevano sempre più piccoli. Turbini di polvere si levarono dalle colline in tutte le direzioni: altri guerrieri non-morti, con le loro armi di pietra. Un esercito, immobile sotto il sole. «Non sapevamo che i K'Chain Che'Malle fossero tornati in questa terra», osservò il cadavere. I soldati superstiti di Itkovian si avvicinarono; tesi, indotti a un silenzio guardingo dalle apparizioni che sbocciavano su tutti i lati. «E voi chi siete?» chiese Itkovian, con voce spenta. «Sono il Divinatore Pran Chole, dei Kron T'lan Imass. Siamo venuti al Raduno. E, a quanto pare, anche a una guerra. Credo, mortale, che abbiate
bisogno di noi.» L'Incudine-Scudo guardò i dieci soldati rimasti; fra loro c'era la recluta, ma non i suoi due guardiani. Venti. Soldati e cavalli. Venti... scomparsi. Scrutando i visi schierati davanti a lui, annuì lentamente. «Sì, Pran Chole, abbiamo bisogno.» La recluta aveva il viso color della pergamena sbiancata. Sedeva per terra, lo sguardo vacuo, sporca del sangue di uno o di entrambi i soldati che avevano dato la vita per proteggerla. Itkovian le stava al fianco senza parlare. Temeva che la brutalità di quello scontro avesse spezzato la giovane Capan. Lo scopo del servizio attivo era affinare, non distruggere. Sottovalutando il nemico, l'Incudine-Scudo aveva fatto del futuro della donna un mondo di ceneri; quelle due morti improvvise, maledette, avrebbero ossessionata per il resto dei suoi giorni. E non c'era niente che egli potesse fare, o dire, per alleviare il dolore. «Incudine-Scudo.» Abbassò gli occhi su di lei, stupito dalla sua volontà di parlare, e dalla durezza della sua voce. «Recluta?» La donna si guardava all'intorno; gli occhi socchiusi, osservava i guerrieri non-morti che stavano immobili, in ranghi disordinati, su tutti i lati. «Ce ne sono migliaia.» Figure spettrali, sorte a ricoprire l'erba bruna della pianura, fila su fila. Come se la terra stessa le avesse espulse dalla sua carne. «Sì. Più di diecimila, mi sembra. T'lan Imass. Ci erano giunte storie su questi guerrieri storie cui avevo difficoltà a credere - ma questo rappresenta il nostro primo incontro con loro. Tempestivo, direi.» «Adesso torneremo a Capustan?» Itkovian scosse la testa. «Non tutti. Non subito. Su questa pianura ci sono altri K'Chain Che'Malle. Pran Chole - quello disarmato, una specie di sciamano, o di Gran Sacerdote - ha suggerito di unire le forze, e io ho approvato. Condurrò otto membri della truppa a ovest.» «Un'esca.» L'uomo alzò un sopracciglio. «Esatto. I T'lan Imass viaggiano senza essere visti, e ci staranno sempre intorno. Se restassero visibili nel corso di questa caccia, i K'Chain Che'Malle probabilmente li eviterebbero, almeno finché non si fossero raccolti in un numero tale da sfidare l'intero esercito. Meglio farli tagliare in due o tre pezzi. Recluta, ho intenzione di rimandarti
immediatamente a Capustan, con un soldato per scorta. Occorre fare rapporto alla Spada Mortale. Ad accompagnarvi, invisibile, verrà uno squadrone scelto di inviati T'lan Imass. Mi è stato assicurato che non ci sono K'Chain Che'Malle fra qui e la città.» Lei si alzò lentamente. «Signore, basterebbe un unico cavaliere. Volete farmi tornare a Capustan per risparmiarmi... cosa? La vista dei K'Chain Che'Malle tagliati a pezzi da questi T'lan Imass? Incudine-Scudo, nella vostra decisione non ci sono né compassione, né misericordia.» «A quanto pare», commentò Itkovian, fissando il vasto esercito schierato davanti a loro, «sei ancora dei nostri. Il Cinghiale dell'Estate disprezza l'obbedienza cieca. Cavalcherai con noi». «Grazie, Incudine-Scudo.» «Recluta, confido che non ti sia illusa che assistere alla distruzione di altri K'Chain Che'Malle zittirà le grida dentro di te. I soldati ricevono un'armatura per la carne e per le ossa, ma devono forgiarne da soli una per l'animo. Pezzo per pezzo.» Lei abbassò lo sguardo sul sangue che le sporcava l'uniforme. «Ho già cominciato.» Itkovian rimase in silenzio per un attimo, scrutandola. «I Capan sono un popolo sciocco, a negare la libertà alle loro donne. La prova è qui davanti a me.» Lei scosse le spalle. «Non sono l'unica.» «Provvedi al tuo cavallo, soldato. E di' a Sidlis di venire da me.» «Signore.» La guardò camminare verso i superstiti delle ali, che si erano raccolti intorno ai cavalli per controllare sottopancia, accessori e attrezzatura. Unendosi a loro, la donna parlò con Sidlis, che annuì e si avvicinò all'IncudineScudo. Pran Chole arrivò nello stesso momento. «Itkovian, abbiamo fatto la nostra scelta. Gli inviati di Kron si sono radunati e aspettano il tuo messaggero.» «Intesi.» Sidlis lo raggiunse. «Capustan, Incudine-Scudo?» chiese. «Con una scorta invisibile. Fa' rapporto direttamente alla Spada Mortale e al Destriant. In privato. Gli inviati T'lan Imass devono parlare con le Spade Grigie e con nessun altro, almeno per il momento.» «Signore.» «Mortali», esordì Pran Chole in tono incolore, «Kron ha ordinato che vi
informi di certi dettagli. Questi K'Chain Che'Malle sono coloro che un tempo si chiamavano Cacciatori K'ell. Figli scelti di una matriarca, allevati per combattere. Sono dei non-morti, e ciò che li controlla nasconde bene la propria identità... in qualche punto a sud, crediamo. I Cacciatori K'ell sono stati liberati da tombe situate a Morn, il Luogo dello Squarcio. Non sappiamo se le attuali mappe di queste terre indichino i posti con questi nomi antichi...». «Morn», annuì Itkovian. «A sud della Pianura Lamatath, sulla costa occidentale e immediatamente a nord dell'isola in cui risiedono i Seguleh. La nostra compagnia viene da Elingarth, che confina con la Pianura Lamatath a est. Anche se non conosciamo nessuno che abbia visitato Morn, il nome è stato copiato dalle mappe più antiche, ed è rimasto. L'opinione generale è che lì non vi sia niente. Niente del tutto.» Il Divinatore scrollò le spalle. «I tumuli sono parecchio deteriorati, presumo. È passato molto tempo dalla nostra ultima visita allo Squarcio. È probabile che i Cacciatori K'ell siano agli ordini della loro matriarca, perché crediamo che ella sia finalmente riuscita a sfuggire alla propria prigionia. Questo, dunque, è il nemico che vi trovate ad affrontare.» Aggrottando le sopracciglia, l'Incudine-Scudo scosse la testa e ribatté: «La minaccia del sud viene da un impero chiamato Dominio di Pannion, governato dal Veggente, un uomo mortale. Le notizie su questi K'Chain Che'Malle sono sviluppi recenti, mentre l'espansione del Dominio di Pannion è in corso ormai da qualche anno». Tirò il fiato per continuare, poi ammutolì, rendendosi conto che oltre diecimila volti avvizziti erano rivolti verso di lui. La lingua gli si seccò come una pergamena, il cuore gli martellò improvvisamente in petto. «Itkovian», riprese Pran Chole con voce aspra, «questa parola, "Pannion", ha un significato particolare per gli indigeni?». L'uomo scosse la testa; non si fidava della sua voce. «Pannion», ripeté il Divinatore. «Una parola Jaghut. Un nome Jaghut.» Mentre il pomeriggio scemava, Toc il Giovane, seduto presso il fuoco, studiava con l'unico occhio l'enorme lupa che dormiva al suo fianco. Baaljagg - com'è che l'aveva chiamata Tool? una ay - aveva il muso più lungo e più stretto dei lupi che il ricognitore ricordava di avere visto nella Foresta del Cane Nero, a centinaia di leghe a nord. Prendendo la spalla come punto di riferimento, la creatura lì accanto superava in altezza quelle bestie formidabili di ben due, forse tre palmi. Aveva la fronte inclinata, le orec-
chie piccole, canini tali da sfidare quelli di un leone o di un orso delle pianure. Malgrado i muscoli possenti, la corporatura suggeriva velocità oltre che resistenza. Un'uccisione rapida o un lungo inseguimento: Baaljagg sembrava capace di entrambi. La lupa aprì un occhio per guardarlo. «Dovresti essere estinta», mormorò Toc. «Scomparsa dalla faccia della terra da centomila anni. Che ci fai qui?» Per il momento, l'ay era la sola compagnia del ricognitore. Lady Invidia aveva scelto di spostarsi tramite il suo canale a centoventi leghe a nord, nella città di Callows, per reintegrare le sue scorte. Le scorte di cosa? Di oli da bagno? Toc non era convinto della spiegazione, ma nemmeno la sua natura sospettosa era riuscita a fornirgli indizi sui veri motivi. La donna aveva preso con sé Garath, il cane, oltre a Mok. Lasciare Senu e Thurule non presenta grandi rischi, presumo; dopo tutto, Tool li ha abbattuti entrambi. Però, cosa c'era di tanto importante da farle rompere la sua stessa regola sul numero minimo di tre servi? Tool era svanito in un vortice polveroso mezza campana prima, impegnato in un'altra caccia. I due Seguleh rimasti non erano di umore espansivo, né si degnavano di intrattenere in conversazione il Malazan privo di grado. Si erano ritirati in disparte. Guardano il tramonto? Si rilassano stando lì impalati? L'uomo si chiese cosa stesse succedendo nel lontano nord. Dujek aveva deciso di marciare sul Dominio di Pannion; un'altra guerra, contro un nemico ignoto. L'Armata di Un-braccio era la famiglia di Toc, o almeno ciò che passava per famiglia agli occhi di un bambino nato in seno a un esercito. L'unico mondo che conosceva. Una famiglia sottoposta a un logorio continuo. In che razza di guerra si stavano cacciando? Battaglie vaste, travolgenti, o il ritmo lento delle foreste contese, delle frastagliate catene montuose e degli assedi? Respinse un'ondata di impazienza, un'ondata che, giorno dopo giorno, su quella pianura infinita, si era accumulata in lui fino a minacciare di varcare le barriere che aveva eretto nella mente. Che tu sia maledetto, Hairlock, per avermi mandato così lontano. Va bene, quel canale era pervaso dal Caos; al pari della marionetta che l'aveva usato su di me. Ma perché mi ha sputato fuori a Morn? E dove sono finiti tutti quei mesi? Aveva cominciato a diffidare della sua credenza nel caso, e lo sgretolarsi di tale credenza gli dava l'impressione di trovarsi su un terreno tremante. A Morn, con il suo canale ferito... a Morn, dove un T'lan Imass disertore giaceva nella polvere nera, aspettando... non me, ha
detto, ma Lady Invidia. E non un T'lan Imass qualsiasi; uno - anzi l'unico che avessi già incontrato. E poi c'è la stessa Lady Invidia, con i suoi maledetti servi Seguleh e i suoi compagni a quattro zampe... oh, non pensarci nemmeno, Toc... Comunque, adesso viaggiamo insieme. Verso nord, dove ognuno di noi vuole essere. Che fortuna! Che felice coincidenza! Toc non amava l'idea di essere usato, di essere manipolato. Aveva visto il costo pagato dal suo amico, il capitano Paran. Paran era più resistente di me: l'avevo capito fin dall'inizio. Prendeva i colpi, sbatteva gli occhi, e andava avanti. Da qualche parte, dentro di sé, aveva una specie di armatura nascosta che lo manteneva in equilibrio. Io sono diverso, ahimè. Quando il gioco diventa duro, io mi raggomitolo su me stesso e comincio a piagnucolare. Lanciò un'occhiata ai due Seguleh. Sembravano tanto restii a parlare l'uno con l'altro quanto lo erano con il resto del mondo. Odio quei tipi forti, silenziosi. Prima no; ma adesso sì. Per cui... eccomi qui, in capo al mondo; e come unica compagnia veramente sensata ho una lupa estinta. Riportò lo sguardo su Baaljaag. «E dov'è la tua famiglia, piccola?» chiese, incontrando lo sguardo morbido, castano dell'ay. La risposta arrivò in un'esplosione improvvisa di colori turbinosi, proprio dietro l'orbita dell'occhio perso; colori che si composero in un'immagine. Lupi che assalivano tre buoi muschiati; cacciatori e prede intrappolati profondamente nel fango, condannati a morire. Lo sguardo che osservava la scena era basso, appena oltre la dolina, e si spostava incessantemente in cerchio. Gemiti riempirono la mente di Toc. Un amore disperato, che non riceveva risposta. Un senso di panico che pervadeva l'aria fredda. La confusione di una cucciola. Una cucciola che fuggiva per distese fangose e rive sabbiose, attraversando un mare morente. La fame. Poi, davanti alla bestiola, una figura incappucciata, avvolta in lana nera rozzamente intessuta; una mano - ricoperta di strisce di pelle - che si tendeva. Calore. Benvenuto. Una compassione palpabile, un solo tocco alla fronte abbassata della creatura. Il tocco, capì Toc, di un Dio Antico. E una voce: Sei l'ultima, ora. L'ultima rimasta, e ci sarà bisogno di te, un giorno... Ti prometto che ti porterò... uno spirito perduto. Strappato dalla sua
carne. Uno adatto, naturalmente. Per questo motivo, forse la mia ricerca sarà lunga. Abbi pazienza, piccola... e, nel frattempo, questo dono... La cucciola chiuse gli occhi, sprofondando in un sonno istantaneo... e si ritrovò non più sola. Percorreva a balzi vaste tundre, in compagnia dei suoi simili. Un'eternità di sogni d'amore e di gioia, un dono amareggiato solo dalle ore, gli anni, i secoli, i millenni di veglia, trascorsi... in solitudine. Baaljagg, senza eguali fra gli ay del paese dei sogni, madre a capo di innumerevoli figli in una terra senza tempo. Nessuna penuria di prede, nessun momento di magra. Figure erette su orizzonti distanti, viste solo di rado, e mai avvicinate. Cugini incontrati ogni tanto: agkor abitanti delle foreste, bendai bianchi, ay'tog biondi del lontano sud, nomi che avevano scolpito il loro significato nella mente immortale di Baaljagg. Sussurri eterni da parte di quegli ay che si erano uniti ai T'lan Imass, allora, all'epoca del Raduno. Un tipo di immortalità completamente diverso... Gli occhi vigili, solitari di Baaljagg avevano visto del mondo più di quanto fosse possibile immaginare. Infine, tuttavia, la promessa era stata mantenuta; un'anima strappata dalla carne era stata presentata alla sua, e le due erano diventate una cosa sola. E da ciò, era venuto un altro strato di perdita e di dolore. La bestia ora cercava... qualcosa. Una sorta di... riparazione... Che cosa chiedi a me, lupa? No, non a me; a me non chiedi niente, vero? Al mio compagno, al guerriero non-morto. Onos T'oolan. Era lui che aspettavi, mentre stavi con Lady Invidia. E Garath? Ah, un altro mistero... per un altro momento... Toc batté le palpebre; quando il legame si ruppe, la sua testa ebbe uno scatto all'indietro. Baaljagg dormiva al suo fianco. Stordito, tremante, l'uomo si guardò intorno nel buio. A una dozzina di passi di distanza, Tool lo guardava, con una coppia di lepri penzoloni da una spalla. Oh, che Beru ci protegga. È tenera dentro. Troppo tenera per questo mondo e il suo cumulo di storie, le sue innumerevoli tragedie. «Che cosa?» chiese Toc, con voce aspra. «Che cos'è che questa lupa vuole da te, T'lan Imass?» Il guerriero inclinò la testa. «La fine della sua solitudine, mortale.» «E tu... tu le hai dato una risposta?» Tool si girò dall'altra parte, lasciando cadere a terra le lepri. Quando parlò, la sua voce scioccò il ricognitore con la sua acuta tristezza. «Non posso fare niente per lei.»
Il tono freddo, privo di vita, era scomparso; per la prima volta, Toc intravide qualcosa di ciò che si nascondeva dietro quell'essiccata maschera di morte. «Non ti ho mai sentito parlare con dolore, Tool. Non credevo...» «Hai sentito male», ribatté il T'lan Imass, con voce nuovamente inespressiva. «Hai completato l'impennaggio delle frecce, Toc il Giovane?» «Sì, come mi hai insegnato tu. Sono finite; dodici fra le frecce più brutte che abbia mai avuto il piacere di possedere. Grazie, Tool. È ridicolo, ma sono orgoglioso di averle.» Tool scosse le spalle. «Ti renderanno un buon servizio.» «Spero che tu abbia ragione.» Toc si alzò con un grugnito. «Cucinerò il pasto.» «È compito di Senu.» Toc guardò il T'lan Imass in tralice. «Non comincerai anche tu, adesso! Sono Seguleh, Tool, non servi. In assenza di Lady Invidia, li tratterò come compagni di viaggio, e mi riterrò onorato della loro compagnia.» Volgendo gli occhi all'intorno, vide che i due guerrieri lo fissavano. «Anche se si rifiutano di parlarmi.» Prendendo le lepri dal T'lan Imass, si accovacciò accanto al focolare. «Dimmi, Tool», indagò, mentre cominciava a scuoiare la prima bestia, «quando sei fuori a caccia... vedi segni di altri viaggiatori? Siamo completamente soli su questa Pianura Lamatath?». «Non ho visto prove della presenza di mercanti o di altri umani, Toc il Giovane. Greggi di bhederin, antilopi, lupi, coyote, volpi, lepri e, ogni tanto, un orso delle pianure. Uccelli da preda. Serpenti di varie specie, lucertole...» «Un vero serraglio», borbottò Toc. «Allora com'è che ogni volta che scruto gli orizzonti, non vedo niente? Niente. Niente animali; nemmeno uccelli.» «La pianura è vasta», replicò Tool. «E poi, ci sono gli effetti del canale Tellann che mi circonda; anche se esso, al momento, è molto indebolito. Qualcuno ha attinto alla mia forza vitale, fin quasi a esaurirla; non farmi domande in proposito. Tuttavia, i miei poteri Tellann scoraggiano le bestie mortali. Le creature, quando possono, evitano. Però ci segue un branco di ay'tog, i lupi biondi. Sono ancora timidi, ma forse, alla fine, la curiosità avrà la meglio.» Toc riportò lo sguardo su Baaljagg. «Memorie antiche.» «Memorie di un'epoca di ghiaccio.» Le orbite profonde del T'lan Imass erano puntate sul Malazan. «Da queste tue parole, e da quelle di prima,
capisco che è accaduto qualcosa... un collegamento di anime fra te e l'ay. Come?» «Non so di collegamenti di anime», rispose Toc, senza smettere di fissare la lupa dormiente. «Mi sono state concesse... delle visioni. Abbiamo condiviso dei ricordi, credo. Come? Non lo so. Dentro di lei c'erano emozioni, Tool, abbastanza da condurre un individuo alla disperazione.» Dopo un attimo, tornò a ripulire la bestia scarna fra le sue mani. «Ogni dono è a doppio taglio.» Toc fece una smorfia nello sventrare la lepre. «A doppio taglio. Presumo di sì. Comincio a sospettare che le leggende abbiano ragione... perdi un occhio per ricevere il dono della vista vera.» «Come hai perso l'occhio, Toc il Giovane?» «Un frammento sfrigolante caduto dalla Progenie della Luna; la pioggia mortale di quando l'Infilata era in pieno fervore.» «Pietra.» Toc annuì. «Pietra.» Interruppe il lavoro, alzando lo sguardo. «Obilisk», osservò Tool. «Nell'antico Mazzo delle Fortezze, era noto come Menhir. Toccato dalla pietra, mortale; Chen're aral lich'fayle, lì, sulla fronte. Ti do un nuovo nome: Aral Fayle.» «Non ricordo di aver chiesto un nuovo nome, Tool.» «I nomi non si chiedono, mortale. I nomi si guadagnano.» «Uh, come quello degli Arsori di Ponti.» «Aral Fayle: un'antica tradizione.» Per il respiro di Hood. «Splendido!» sbottò Toc. «Solo, non mi sembra di essermi guadagnato alcunché...» «Sei stato mandato in un Canale del Caos, mortale. Sei sopravvissuto - il che è, di per sé, un miracolo - e hai percorso il lento vortice verso lo Squarcio. Poi, invece di inghiottirti, il Portale di Morn ti ha gettato fuori. La pietra ha preso uno dei tuoi occhi. E la nostra ay ti ha scelto per condividere il contenuto della sua anima. Baaljagg ha visto in te un valore raro, Aral Fayle.» «Ho detto che non voglio nomi nuovi! Per il respiro di Hood!» Toc sudava sotto l'armatura consunta, incrostata di polvere. Cercò disperatamente il modo di cambiare discorso, di distogliere la conversazione da sé. «Cosa vuol dire il tuo? Onos T'oolan... da dove viene?» «Onos è "uomo senza clan". T è "rotto". Ool è "venato", lan è "selce"; T'oolan, tutto insieme, è "selce difettosa".» Toc fissò il T'lan Imass per un lungo momento. «Selce difettosa.»
«Ci sono vari livelli di significato.» «L'immaginavo.» «Da un unico nucleo si ricavano le lame, ognuna per un uso specifico. Se al centro del nucleo sono nascoste vene o nodi di cristallo, la sagomatura delle lame diventa imprevedibile. Ogni colpo al nucleo produce pezzi inutili, con una frattura su un livello o su un altro. Completamente inutili. Così è accaduto nella famiglia in cui sono nato. Siamo usciti male, dal primo all'ultimo.» «Tool, non vedo difetti in te.» «Nella selce pura, i granelli di sabbia sono tutti allineati; tutti rivolti nella stessa direzione. C'è unità di scopo. La mano che forgia quella selce può agire sicura. Io appartenevo al clan di Tarad. La fiducia che Tarad riponeva in me era mal posta. Il clan di Tarad non esiste più. In occasione del Raduno, Logros fu scelto per comandare i clan originari del Primo Impero; egli si aspettava che mia sorella, una Divinatrice, fosse annoverata fra i suoi servi. Lei si oppose al Rituale, e così i Logros T'lan Imass furono indeboliti. Il Primo Impero cadde. I miei due fratelli, T'ber Tendara e Han'ith Iath, condussero cacciatori a nord e non fecero più ritorno. Anche loro fallirono. Io fui scelto come Prima Spada, eppure ho abbandonato i Logros T'lan Imass. Viaggio da solo, Aral Fayle, e perciò sto commettendo il crimine più grave che la mia gente conosca.» «Aspetta un attimo», obiettò Toc. «Hai detto che sei diretto a un secondo Raduno: stai tornando dalla tua gente...» Senza dare risposta, il guerriero non-morto volse lentamente la testa verso nord. Baaljagg si alzò, si stirò, poi andò silenziosamente al fianco di Tool. La creatura imponente si sedette; il suo sguardo muto faceva il paio con quello del T'lan Imass. Toc il Giovane sentì un brivido improvviso guizzargli per il corpo. Per il respiro di Hood, dove ci stiamo cacciando? Lanciò un'occhiata a Senu e a Thurule. I Seguleh sembravano fissarlo. «Avete fame, mi pare di capire. Vedo la vostra indignata impazienza. Se volete, potrei...» Rabbia. Fredda, mortale. Inumana. All'improvviso, Toc si ritrovò altrove, a guardare attraverso gli occhi di un animale. Ma non quelli dell'ay, non stavolta; e non immagini di molto
tempo prima: immagini di quel momento, dietro alle quali rotolava una cascata di ricordi. Un attimo dopo, il suo senso di sé fu spazzato via, la sua identità inghiottita dalla tempesta dei pensieri di un'altra creatura. È passato tanto di quel tempo da quando la vita ha preso forma... con le parole, con la consapevolezza. E ora, è troppo tardi. I muscoli si contrassero spasmodicamente, il sangue colò da sotto la sua pelle squarciata. Moltissimo sangue, che imbeveva il terreno sotto di lui, disegnando un sentiero su per il pendio della collina. Uno strisciante viaggio di ritorno. Per ritrovarsi, ora, proprio alla fine. E i ricordi si risvegliano... Gli ultimi giorni - tanto tempo prima - erano stati caotici. Il rituale si era svolto in modo improvviso, imprevedibile. La follia afferrò i Soletaken. La follia spezzò i più potenti fra i suoi simili, frantumò gli individui in molti altri. Il potere che sbocciava selvaggio, avido di sangue, diede alla luce i D'ivers. L'Impero si stava autodistruggendo. Ma ciò era accaduto molto, molto tempo prima. Io sono Treach, colui dai molti nomi. Trake, la Tigre dell'Estate, gli Artigli della Guerra. Il Cacciatore Silenzioso. Ero lì alla fine, uno dei pochi sopravvissuti una volta che i T'lan Imass ebbero terminato la loro opera con noi. Un massacro tanto brutale quanto misericordioso. Non avevano scelta; ora lo vedo, anche se nessuno di noi era disposto a perdonare. Non allora: le ferite erano troppo recenti. Per gli dei, riducemmo un canale in pezzi su quel lontano continente. Trasformammo le terre orientali in pietra fusa che si raffreddò, diventando qualcosa che sfidava il potere stesso della magia. I T'lan Imass si sacrificarono a centinaia per estirpare il nostro cancro. Fu la fine, la fine di tutta quella promessa, di tutta quella gloria luminosa. La fine del Primo Impero. Che arroganza, aver rivendicato un nome che apparteneva di diritto ai T'lan Imass... Fuggimmo, una manciata di superstiti. Io e Ryllandaras, il mio vecchio amico, litigammo, combattemmo, poi ci scontrammo ancora su un altro continente. Lui si era spinto più lontano di tutti, aveva trovato il modo di controllare i doni, sia Soletaken che D'ivers. Sciacallo Bianco. Ay'tog. Agkor. E il mio altro compagno, Messremb... dov'è andato? Un animo gentile, distorto dalla follia, eppure così leale, sempre leale... Diventare Ascendente. Un arrivo violento... i Primi Eroi. Oscuri, selvaggi. Ricordo una vasta distesa d'erba sotto un cielo che si incupiva nel cre-
puscolo. Un lupo, con l'unico occhio simile a una chiazza di luce lunare, su una lontana cresta di montagna. Questo ricordo singolare mi torna adesso, affilato come un artiglio. Perché? Ho percorso questa terra per migliaia di anni, sprofondato nella bestia, mentre i ricordi umani sbiadivano, sbiadivano fino a sparire. E tuttavia... questa visione del lupo, che mi si risveglia dentro... Io sono Treach. I ricordi tornano in un flusso copioso, e intanto il mio corpo diventa freddo, sempre più freddo. Aveva inseguito le bestie misteriose per giorni, spinto da un'implacabile curiosità. Un odore a lui sconosciuto, una scia turbinosa di morte e sangue vecchio. Impavido, aveva pensato solo a provocare distruzione, come faceva da tanto tempo, anche in assenza di sfide. Lo Sciacallo Bianco era svanito nelle nebbie secoli prima, morto, o come se lo fosse. Treach l'aveva buttato giù da una cengia, mandandolo a contorcersi in una spirale micidiale dentro a un crepaccio senza fondo. Da allora, non c'erano più stati nemici degni di questo nome. L'arroganza della tigre era leggendaria; e non era stato difficile vivere all'altezza di quella fama. I quattro cacciatori K'Chain Che'Malle erano tornati indietro, aspettandolo con fredda intenzione. Li ho aggrediti. Ho squarciato carne, spezzato ossa. Ne ho abbattuto uno, piantandogli profondamente le zanne nel collo inerte. Ancora un attimo, ancora un battito di cuore, e ce ne sarebbero stati soltanto tre. Per un soffio... Treach giaceva morente, vittima di una dozzina di ferite letali. In verità, sarebbe dovuto essere già morto, ma resisteva, con determinazione cieca, bestiale, alimentata dalla rabbia. I quattro K'Chain Che'Malle l'avevano lasciato, sprezzanti, insensibili alla compassione, sapendo che non si sarebbe più rialzato. Sdraiata sull'erba, la Tigre dell'Estate aveva guardato con occhi offuscati le creature allontanarsi in silenzio; aveva notato con soddisfazione che il braccio di uno di loro, appeso a una sottilissima striscia di pelle, si era infine staccato, cadendo a terra, dove era stato lasciato con assoluta indifferenza. Poi, mentre i cacciatori non-morti raggiungevano la cresta di una collina vicina, i suoi occhi si erano illuminati di un lampo. Dall'erba partì una corrente nera, lucente, che s'insinuò fra i suoi avversari. Il potere fluì come acqua scura. Il primo K'Chain Che'Malle si afflosciò sotto l'assalto. L'onda si spostò oltre la cresta, oltre la linea visiva di Treach, eppure,
avvertita confusamente oltre il rombo assordante della vita che svaniva, la battaglia continuava. Cominciò a trascinarsi in avanti, pian piano. Nel giro di momenti, ogni rumore proveniente dall'altra parte della collina cessò, ma Treach arrancò, il suo sangue una scia viscida alle sue spalle, i suoi occhi color ambra fissi sulla cresta, la sua volontà di vivere ridotta a qualcosa di bestiale, a qualcosa che rifiutava di riconoscere una fine all'esistenza. Ho visto questo. Nell'antilope, nel bhederin. La negazione ostinata, la lotta inutile, i tentativi di fuga, mentre la gola vomita tanto sangue da riempire la bocca. Gli arti che scalciano nell'illusione della corsa, mentre io comincio a mangiare. L'ho visto, e ora lo capisco. La tigre è umiliata dal ricordo delle sue prede. Aveva dimenticato il motivo per cui doveva raggiungere la cresta; sapeva solo che doveva compiere quell'ultima salita, vedere cosa c'era al di là. Cosa c'era al di là. Sì. Un sole basso sull'orizzonte. La distesa infinita della prateria incolta, uniforme. Un'ultima visione della terra selvaggia, prima di scivolare oltre la maledetta Porta di Hood. Gli apparve davanti; l'aspetto florido, la pelle liscia. Una donna, minuta ma non fragile; una pelliccia di pantera sulle spalle, i lunghi capelli neri scompigliati ma lucenti nella luce morente del giorno. Occhi a mandorla, color ambra come i suoi. Il viso ovale, dai lineamenti marcati. Rozza regina, perché vederti mi spezza il cuore? Andò da lui, si accovacciò a sollevargli la testa massiccia, se la posò in grembo. Piccole mani accarezzarono il sangue e asciugarono la schiuma intorno agli occhi. «Sono distrutti», annunciò nella lingua antica, la lingua del Primo Impero. «Non è stato difficile... li hai lasciati con poche forze, Cacciatore Silenzioso. Il più leggero dei miei tocchi li ha mandati letteralmente in pezzi.» Bugiarda. La donna sorrise. «Ho già incrociato la tua scia, Treach, ma non ho voluto avvicinarmi; ricordavo la tua rabbia quando distruggemmo il tuo impero, tanto tempo fa.» Si è placata da tempo, Imass. Faceste solo ciò che era necessario. Guariste le ferite... «Gli Imass non possono attribuirsi questo merito. Altri si assunsero il compito di riparare i canali distrutti. Noi non facemmo altro che trucidare i vostri simili, quelli che trovammo, cioè. È la nostra abilità speciale.» Uccidere.
«Sì. Uccidere.» Non riesco a tornare alla mia forma umana. Non riesco a trovarla in me. «È passato troppo tempo, Treach.» Ora morirò. «Sì. Non so guarire.» Mentalmente, egli sorrise. No, solo uccidere. «Solo uccidere.» Allora poni fine alle mie sofferenze, te ne prego. «Questo è l'uomo che parla. La bestia non chiederebbe mai una cosa simile. Dov'è la tua combattività? Dov'è la tua astuzia?» Mi prendi in giro? «No. Sei qui, davanti a me. Dimmi, chi è quest'altra presenza?» Altra presenza? «Chi ha liberato i tuoi ricordi, Treach? Chi ti ha restituito a te stesso? Per secoli, sei stato una bestia, con la mente di una bestia. Una volta raggiunto quel punto, non esiste più ritorno. Eppure...» Eppure sono qui. «Quando la tua vita scomparirà da questo mondo, Treach, sospetto che ti ritroverai non davanti alla Porta di Hood, ma... altrove. Non posso offrirti niente di sicuro. Ma ho sentito il fermento. È tornato in attività un Dio Antico, forse il più antico di tutti. Sono in corso movimenti sottili. Sono stati scelti mortali, che vengono forgiati in modo opportuno. Perché? Che cosa cerca questo Dio Antico? Non lo so, ma credo che agisca in risposta a una minaccia grave e vasta. E il gioco che è cominciato impiegherà molto tempo a dispiegarsi.» Una nuova guerra? «Non sei forse la Tigre dell'Estate? Una guerra in cui, ha stimato questo Dio Antico, ci sarà bisogno di te.» La mente di Treach fu invasa da un divertimento ironico. Non c'è mai stato bisogno di me, Imass. «Sono avvenuti dei cambiamenti. E, a quanto pare, interessano tutti noi.» Ah, allora ci incontreremo di nuovo? Mi piacerebbe. Ti vedrei, ancora una volta, come la pantera di mezzanotte. La donna fece una risata profonda, di gola. «Ecco che si risveglia la bestia. Addio, Treach.» In quell'ultimo momento, aveva visto ciò che solo ora lui cominciava a
sentire. L'oscurità lo circondò, restringendo il suo mondo. La vista passò da due occhi... a uno. Un occhio. Che guardava una distesa d'erba al calar della notte, osservava la massiccia tigre Soletaken fermarsi cautamente sopra il ranag maschio di cui si stava cibando fino a un attimo prima. Vedeva il bagliore gemello dei suoi occhi freddi, carichi di sfida. Tutto... tanto tempo prima... Poi più nulla. Una mano guantata lo colpì duramente. Stordito, Toc il Giovane aprì faticosamente l'unico occhio, ritrovandosi a fissare la maschera dipinta di Senu. «Uh...» «Strano momento per addormentarsi», decretò il Seguleh in tono incolore, poi si raddrizzò e si allontanò. L'aria odorava di carne arrosto. Con un gemito, Toc si girò sulla schiena, mettendosi lentamente a sedere. Echi lo attraversarono: una tristezza indicibile, vaghi rimpianti e la lunga esalazione di un ultimo respiro. Per gli dei, basta visioni. Per favore. Sforzandosi di schiarire la mente, si guardò intorno. Tool e Baaljagg non si erano mossi dalla posizione di prima: entrambi fissavano il nord, immobili e - capì infine Toc - rigidi dalla tensione. Credeva di conoscerne il motivo. «Non è lontana», annunciò. «Arriva rapidamente.» Sulle ali della notte, mentre il sole si dilegua. Una maestosità letale; occhi antichi, antichissimi. Tool si girò. «Che cosa hai visto, Aral Fayle? Dove ti ha portato il tuo viaggio?» Il Malazan si alzò a fatica. «Che Beru ci protegga, ho fame. Tanta fame da mangiare quell'antilope cruda.» S'interruppe, tirando un respiro profondo. «Che cosa ho visto? Sono stato testimone, T'lan Imass, della morte di Treach. Trake, come è conosciuto da queste parti, la Tigre dell'Estate. Dove? A nord di qui. Non lontano. E no, non so perché.» Tool rimase in silenzio per un attimo, poi si limitò ad annuire e disse: «Chen're aral lich'fayle. Il Menhir, il cuore della memoria». Si girò di nuovo quando Baaljagg si alzò all'improvviso, con il pelo ritto. La pantera che Toc sapeva in avvicinamento infine apparve, lunga più di due volte l'altezza di un uomo, gli occhi quasi al livello di quelli di Toc, la pelliccia nero-bluastra lucente. Un aroma di spezie li colpì come il soffio di un respiro, e la creatura cominciò a trasformarsi; fu come se la notte si
ripiegasse su se stessa in una macchia indistinta. Davanti a loro si profilò una piccola donna, che teneva gli occhi su Tool. «Salve, fratello.» Il T'lan Imass annuì lentamente. «Sorella.» «Non sei invecchiato bene», osservò lei, avanzando flessuosa. Baaljagg indietreggiò. «Ma tu sì.» Il suo sorriso ricompose i lineamenti decisi in un insieme attraente. «Generoso da parte tua, Onos. Hai come compagnia un ay mortale, a quanto vedo.» «Mortale quanto te, Kilava Onass.» «Ma davvero? Sospettoso verso quelli della mia specie, naturalmente. Però, è una bestia splendida.» Tese una mano. Baaljagg si avvicinò. «Imass», mormorò lei. «Sì, ma in carne e ossa. Come te. Ricordi, ora?» L'enorme lupa chinò la testa e andò da Kilava, appoggiando una spalla contro quella della donna, che premette il viso contro la criniera dell'animale, ne odorò a fondo il profumo e sospirò. «Questo è un dono inaspettato», bisbigliò. «Più di questo», ribatté Toc il Giovane. Sentì un rimescolio interiore quando la donna alzò la testa verso di lui, rivelando la cruda sensualità dei suoi occhi, una qualità così evidentemente naturale che egli capì subito di non esserne l'obiettivo, non più di qualunque altra cosa su cui lei volgesse lo sguardo. Gli Imass come erano una volta, prima del Rituale. Come sarebbero rimasti se, come lei, avessero rifiutato il suo potere. Un attimo dopo, quegli occhi si strinsero. Toc annuì. «Ti ho visto», cominciò lei, «guardare con gli occhi di Treach...». «Tutti e due?» La donna sorrise. «No. Solo uno... quello che non hai più, mortale. Vorrei sapere quello che il Dio Antico ha programmato... per noi.» Toc scosse la testa. «Non lo so. Non ricordo di averlo mai incontrato, ahimè. Mai nemmeno un sussurro all'orecchio.» «Fratello Onos, chi è questo mortale?» «L'ho chiamato Aral Fayle, sorella.» «E gli hai dato armi di pietra.» «Sì. Ma non è stata una scelta intenzionale.» «Da parte tua, forse...» «Io non servo nessun dio», ruggì Tool.
Gli occhi di lei lampeggiarono. «E io sì? Questi passi non ci appartengono, Onos! Chi osa manipolarci? Una Divinatrice Imass e la Prima Spada dei T'lan Imass... spinti di qua e di là. Egli rischia la nostra ira.» «Basta», sospirò Tool. «Tu e io siamo diversi, sorella. Non abbiamo mai camminato in armonia. Io sto andando al Secondo Raduno.» Lei scoppiò in una risata beffarda, decisamente sgradevole. «Credi che io non abbia sentito il richiamo?» «Lanciato da chi? Lo sai, Kilava?» «No, e non me ne importa. Non intendo partecipare.» Tool inclinò la testa. «Allora perché sei qui?» «Sono affari miei.» Sta cercando... riparazione. La consapevolezza invase la mente di Toc, ed egli capì che l'idea non era sua, ma di un Dio Antico. Che ora parlò direttamente, con voce che gocciolò come sabbia nei pensieri del Malazan. Vuole raddrizzare un vecchio torto, guarire una vecchia ferita. I vostri sentieri si incroceranno di nuovo. La cosa, tuttavia, ha poca importanza. È l'incontro finale a interessarmi e quello, con ogni probabilità, è lontano anni. Ah, ma sto mostrando un'impazienza fuori luogo. Mortale, i figli del Veggente Pannion stanno soffrendo. Devi trovare il modo di liberarli. È un'impresa dura, un rischio inimmaginabile, ma devo mandarti fra le braccia del Veggente. Non credo che mi perdonerai. A fatica, Toc spinse la sua domanda in primo piano. Liberarli. Perché? Strana domanda, mortale. Sto parlando di compassione. Tentativi simili offrono doni incredibili. Me l'ha mostrato un uomo che sogna e, in verità, presto lo scoprirai da te. Doni straordinari... «Compassione», ripeté Toc, la mente scossa dall'allontanamento improvviso del Dio Antico. Battendo le palpebre, vide che Tool e Kilava lo fissavano. La donna era impallidita. «Mia sorella», commentò la Prima Spada, «non sa nulla della compassione...». Toc scrutò il guerriero non-morto, sforzandosi di ricordare le ultime battute prima della... visita. Non ci riuscì. «Fratello Onos, ormai dovresti averlo capito», disse lentamente Kilava. «Tutte le cose cambiano.» Guardandolo di nuovo, la donna fece un sorriso, un sorriso di dolore. «Ora me ne vado...» «Kilava.» Tool avanzò di un passo, con uno scricchiolio di pelle e di ossa. «Il Rituale che ti ha diviso dalla tua gente, la rottura dei legami di sangue... forse questo Secondo Raduno...»
L'espressione di lei si ammorbidì. «Caro fratello, alla Convocatrice non importa nulla di me; il mio antico crimine non può essere annullato. Inoltre, sospetto che al Secondo Raduno ti aspetti qualcosa di diverso da quello che immagini. Ma... ti ringrazio, Onos T'oolan, per il pensiero gentile.» «Ho detto... che non... viaggiamo in armonia», mormorò il guerriero non-morto, strappandosi ogni parola a fatica. «Ero arrabbiato, sorella... ma è una rabbia vecchia. Kilava...» «Una rabbia vecchia, sì; ma avevi ragione lo stesso. Non abbiamo mai camminato in armonia. Il passato non smette mai di perseguitarci. Forse un giorno guariremo le nostre ferite, fratello. Quest'incontro mi ha dato... speranza.» Dopo aver posato una mano sulla testa di Baaljagg per un attimo, la donna si allontanò. Toc la vide svanire nel manto del crepuscolo. Un altro acciottolio di ossa dentro la pelle incartapecorita lo fece girare di scatto. Tool era in ginocchio, la testa china. Un cadavere non poteva spargere lacrime, eppure... Toc esitò, poi si avvicinò al guerriero non-morto. «Le tue parole non erano veritiere, Tool», sentenziò. Un sibilo di spade; voltandosi, il Malazan vide Senu e Thurule avanzare verso di lui. Tool allungò bruscamente una mano. «Fermi! Rinfoderate le armi, Seguleh. Sono immune agli insulti, anche a quelli pronunciati da colui che definirei amico.» «Non era un insulto», ribatté calmo Toc, rigirandosi verso il T'lan Imass. «Solo un'osservazione. Come hai detto? La rottura dei legami di sangue.» Posò una mano sulla spalla di Tool. «Per quel che vale, a me è chiaro che la rottura non è riuscita. I legami di sangue rimangono. Forse questo potrebbe rincuorarti, Onos T'oolan.» La testa si alzò; le orbite essiccate apparvero sotto l'elmo di osso. Per gli dei, io guardo e non vedo niente. Lui guarda e vede... che cosa? Toc il Giovane pensò disperatamente a cosa fare, a cosa dire dopo. Nel silenzio che si allungava, scrollò le spalle, tendendo la mano. Con suo estremo stupore, Tool la prese. E si fece tirare in piedi, anche se il Malazan grugnì per lo sforzo. Tutti i suoi muscoli protestarono. Che Hood mi prenda, è il sacco d'ossa più pesante che abbia mai... non importa. Fu Senu a rompere il silenzio, in tono fermo. «Spada-di-Pietra e Frecciadi-Pietra, venite. Il pasto ci attende.»
Come ho fatto a guadagnarmi tutto questo, in nome di Hood? L'amicizia di Onos T'oolan. E il rispetto di un Seguleh, nientemeno... fra le meraviglie di questa notte, è certamente il massimo. «Ho conosciuto veramente solo due mortali umani», disse Tool, al suo fianco. «Entrambi si sottovalutavano, la prima in modo fatale. Stanotte, amico Aral Fayle, cercherò di raccontarti della caduta dell'Aggiunto Lorn.» «E la storia ha una morale, senza dubbio», commentò seccamente Toc. «Certo.» «E io che pensavo di passare la notte a gettare ossa con Senu e Thurule.» «Vieni a mangiare, Freccia-di-Pietra», sbottò Senu. Uh oh, credo di aver esagerato con la confidenza. Il sangue aveva riempito i canali di scolo, non molto tempo prima. Il sole e l'assenza di pioggia avevano conservato quel fiume turgido come annerito e intorbidito dalla polvere; abbastanza profondo da nascondere i ciottoli sottostanti, scendeva giù fino alle acque limacciose della baia. Nessuno, a Callows, era stato risparmiato. Avvicinandosi lungo la strada interna, la donna aveva incontrato le pire impilate; le vittime del massacro dovevano essere trentamila. Garath corse avanti, scivolando sotto l'arco della porta. Lei seguiva ad andatura più lenta. La città era stata bella, un tempo. Cupole rivestite di rame, minareti, strade poeticamente sinuose, sovrastate da balconi riccamente ornati, lussureggianti di piante fiorite. La mancanza di mani che nutrissero le piante preziose aveva trasformato i giardini in distese marroni e grigie. Foglie scricchiolarono sotto i piedi di Lady Invidia, che percorreva il viale centrale. Una città commerciale, il paradiso dei mercanti. Nel porto erano visibili gli alberi di innumerevoli navi, tutte immobili: segno che erano state forate e ora sedevano adagiate sul fango della baia. Dal massacro erano passati dieci giorni, non di più. La donna avvertiva il respiro di Hood, il suo sospiro davanti a tanta inaspettata abbondanza, un lieve fremito di disagio per ciò che significava. Sei turbato, caro Hood. E, in verità, si tratta di un cattivo auspicio... Garath la guidava sicuro, come previsto. Un vicolo antico, quasi dimenticato, i ciottoli scalzati, spaccati e coperti da decenni di rifiuti. Una casa piccola, curva su se stessa, le fondamenta tagliate molto più nettamente
delle pietre che sorreggevano. All'interno, un'unica stanza, dal pavimento di spesse assi di legno, ricoperto di stuoie di canne. Un'accozzaglia disordinata di mobili scadenti, una piastra di bronzo sopra un focolare di mattoni, cibo marcescente. Da una parte, il carrettino giocattolo di un bimbo. Il cane girava in tondo al centro della stanza. Lady Invidia si avvicinò, scostando con un calcio le stuoie di canne. Nessuna botola. Gli abitanti non avevano avuto idea di cosa giacesse sotto la loro casa. La donna aprì il proprio canale, passò una mano sulle assi del pavimento e le vide dissolversi in polvere, creando un buco circolare. Un alito umido, salmastro, salì dal buio sottostante. Garath trotterellò fino al bordo, poi si tuffò dentro, scomparendo alla vista. Lady Invidia udì il raschio di artigli, a una certa distanza. Con un sospiro, lo seguì. Niente scale; e passò molto tempo prima che le mattonelle del pavimento arrestassero la sua caduta, rallentata dai poteri del canale. La vista acuita dalla magia, la donna si guardò intorno con aria sprezzante. Il tempio consisteva di quell'unica, squallida camera; le travi del soffitto, un tempo basso, erano svanite molto prima. Non c'era altare sopraelevato, ma lei sapeva che, per quel particolare Ascendente, l'intero pavimento di pietra tagliata adempiva a quella sacra funzione. All'epoca dei giorni di sangue... «Posso immaginare cosa abbia ridestato questo luogo in te», osservò, gli occhi su Garath, che si era sdraiato e stava per addormentarsi. «Tutto quel sangue, che filtrava e colava sul tuo altare. Però, lo confesso, preferisco la tua dimora di Darujhistan. Molto più lussuosa, un complemento quasi degno della mia stimata presenza. Questa, invece...» Arricciò il naso. Garath, gli occhi chiusi, ebbe un sussulto. Benvenuta, Lady Invidia. «La tua chiamata aveva un tono insolitamente sconvolto, K'rul. È colpa della Matrona e dei suoi cacciatori non-morti? In tal caso, convocarmi qui è stato inutile. Sono più che consapevole della loro efficienza.» Questo dio sarà anche storpio e incatenato, Lady Invidia, ma non è mai cosi scontato. Il suo gioco mostra la destrezza di un maestro. Niente è come vorrebbe farci credere, e il suo uso dei servi ignari è tanto brutale quanto il suo trattamento dei nemici. Pensa, in fin dei conti, al Veggente Pannion. No, per Callows, la morte è venuta dal mare. Una flotta danneggiata da un canale. Assassini disumani, dagli occhi gelidi, che ora percorrono gli oceani del mondo, cercando, cercando senza posa. «Cercando cosa, se posso chiederlo?»
Una sfida degna di loro, nientemeno. «E questi terribili assassini portati dal mare hanno un nome?» Un nemico per volta, Lady Invidia. Devi imparare a coltivare la pazienza. Lei incrociò le braccia. «Tu mi hai cercata, K'rul, e puoi star certo che non prevedevo di incontrarti di nuovo. Gli Dei Antichi se ne sono andati, e per fortuna, a parer mio; questo vale anche per mio padre, Draconus. Eravamo compagni duecentomila anni fa, tu e io? Credo di no, anche se i miei ricordi sono vaghi, lo riconosco. Non nemici, certo. Ma amici? Alleati? Sicuramente no. Eppure eccoti qui. Ho raccolto la tua quota di servi ignari, come mi hai chiesto. Hai idea di quante energie mi costi tenere a bada quei tre Seguleh?» Ah, sì, e dov'è il Terzo, adesso? «Giace svenuto a mezza lega dalla città. Era essenziale allontanarlo da quel T'lan Imass; solo gli dei sanno che non me lo sono portato dietro per compagnia. Ti ostini a non capire, K'rul. I Seguleh non si fanno controllare. In verità, quando ho a che fare con quei tre spaventosi guerrieri, mi chiedo se non giochino semplicemente ad assecondarmi. Mok sfiderà Tool, credimi, e anche se una parte di me si eccita all'idea - assistere a un simile scontro! - la distruzione dell'uno o dell'altro mal si accorderebbe con i tuoi piani, presumo. La Prima Spada è stata quasi sconfitta da Thurule, sai. Mok lo trasformerà in combustibile per il fuoco... La risata morbida di K'rul le invase la mente. Spero non prima che Mok e i suoi fratelli siano riusciti a insinuarsi nella sala del trono del Veggente Pannion. Inoltre, Onos T'oolan è molto più astuto di quanto tu possa immaginare, Lady Invidia. Lasciali combattere, se Mok lo vorrà. Sospetto, però, che il Terzo potrebbe sorprenderti con il suo... ritegno. «Ritegno? Dimmi, K'rul, immaginavi che il Primo Seguleh avrebbe scelto qualcuno tanto alto in grado quanto il Terzo per comandare il suo esercito punitivo?» No, lo ammetto. Per questo compito, la divisione in due fronti delle forze del Veggente, mi aspettavo forse tre o quattrocento iniziati di Undicesimo Livello. Sufficienti a disturbare il Veggente abbastanza perché distogliesse un esercito o due dai Malazan in arrivo. Tuttavia, data l'assenza del Secondo, e la crescente abilità di Mok, il Primo aveva sicuramente le sue ragioni. «Un'ultima domanda. Perché ti sto facendo questi favori?» Petulante come sempre, vedo. Benissimo. Hai scelto di non rispondere
al bisogno, l'ultima volta che è sorto. Questa è stata una delusione; i partecipanti sono comunque bastati a portare a termine l'Incatenamento, ma a un costo che la tua presenza avrebbe ridotto. Tuttavia, anche incatenato, il Dio Storpio non riposa. Spezzato dentro e fuori, esiste in preda a un dolore tormentoso, infinito; ma ha trasformato la sua afflizione in una forza. È il combustibile della sua rabbia, della sua sete di vendetta... «Gli sciocchi che l'hanno abbattuto sono morti da molto tempo, K'rul. La vendetta è solo una scusa; il Dio Storpio è spinto dall'ambizione. Al centro del suo cuore marcio, avvizzito, c'è la fame di potere.» Forse, ma forse no. Lo dirà il tempo, come ripetono sempre i mortali. A ogni modo, hai disatteso la chiamata in occasione dell'Incatenamento, Lady Invidia. Non tollererò la tua indifferenza una seconda volta. «Tu?» La donna scoppiò in una risata sprezzante. «Sei forse il mio padrone, K'rul? Da quando?» Visioni le invasero la mente, facendola barcollare. Oscurità. Poi Caos, potere turbinoso, selvaggio; un universo senza controllo, senza significato. Entità gettate nel vortice; perse, terrorizzate dalla nascita della luce. Una fitta lancinante, improvvisa: il dolore come di polsi che si aprono, il calore che zampillava fuori; la feroce imposizione dell'ordine, un cuore da cui il sangue sgorgava in un flusso uniforme, regolare. Quel cuore aveva due cavità: il Kurald Galain, il Canale di Madre Oscurità, e lo Starvald Demelain, il Canale dei... Draghi. Ora il sangue - il potere - si riversava in correnti attraverso le vene, le arterie, ramificandosi per tutta l'esistenza; e il pensiero che colpì Lady Invidia la gelò in tutto il corpo. Quelle vene, quelle arterie, sono i canali. «Chi ha creato questo? Chi?» Cara la mia signora, tu conosci la risposta, e che io sia dannato se intendo continuare a sopportare la tua impertinenza. Sei una maga. Per la Criniera Selvaggia della Luce, il tuo potere si nutre del sangue della mia anima eterna; avrò la tua obbedienza! Lady Invidia avanzò, vacillante, di un altro passo; le visioni erano cessate all'improvviso, lasciandola disorientata, con il cuore martellante in petto. Tirò un respiro profondo. «Chi conosce la... la verità, K'rul?» Che, percorrendo i canali, viaggiamo attraverso la tua stessa carne. Che, quando attingiamo al potere dei canali, succhiamo il tuo stesso sangue. «Chi lo sa?» La risposta arrivò in tono noncurante. Anomander Rake, Draconus, Osric, e pochi altri. E ora tu; Perdonami, Lady Invidia, non ho alcun desiderio di fare il tiranno. La mia presenza nei canali è sempre stata passiva: sei libera di agire come credi, al pari di
ogni altra creatura che nuota nel mio sangue immortale. E ho una giustificazione, in un certo senso: questo Dio Storpio, questo sconosciuto proveniente da un regno ignoto... Lady Invidia, ho paura. Un brivido attraversò la donna, mentre quelle parole penetravano nella sua mente. Dopo un attimo, K'rul proseguì. La nostra stoltezza ci ha fatto perdere degli alleati. Dassem Ultor, spezzato dal fatto che Hood avesse preso sua figlia all'Epoca dell'Incatenamene... questo è stato un colpo devastante. Dassem Ultor, la Prima Spada rinata... «Credi», chiese lei lentamente, «che Hood l'avrebbe presa per l'Incatenamento, se io non avessi ignorato la chiamata?». Sono forse responsabile - si domandò la donna - della perdita di Dassem Ultor? Solo Hood potrebbe rispondere a questa domanda, Lady Invidia. E, a ogni modo, probabilmente mentirebbe. Dassem, il suo Campione - Dessembrae - era giunto a rivaleggiare con il suo potere. Tormentarsi su queste questioni dà scarsi frutti, al di là dell'ovvia lezione che l'inerzia è una scelta mortale. Pensa: dalla caduta di Dassem, un impero mortale si è avvicinato all'orlo del Caos, su cui ora vacilla. Dalla caduta di Dassem, il Trono dell'Ombra ha trovato un nuovo occupante. Dalla caduta di Dassem... ah be', sono crollate innumerevoli tessere del domino. «Cosa vuoi che faccia, ora, K'rul?» C'era bisogno di mostrarti la vastità della minaccia. Questo Dominio di Pannion è solo un frammento del tutto, eppure devi condurre il mio eletto fin nel suo cuore. «E una volta lì? Posso competere con il potere che vi abita?» Forse, ma quello è un sentiero che potrebbe essere imprudente prendere, Lady Invidia. Confido nel tuo giudizio e in quello degli altri, ignari e no. Potresti benissimo scegliere di tagliare il nodo che si trova nel cuore del Dominio. Oppure, potresti trovare il modo di allentarlo, di liberare tutto ciò che è stato legato per trecentomila anni. «D'accordo, giocheremo a seconda della situazione. Che gioia! Posso andare, adesso? Non vedo l'ora di tornare dagli altri, da Toc il Giovane specialmente. È un tesoro, no?» Prenditi molta cura di lui, signora. È fra gli sfregiati e gli imperfetti che il Dio Storpio cerca i suoi servi. Cercherò di tenere l'anima di Toc lontana dalla morsa dell'Incatenato ma tu, ti prego, mantieni la guardia. Inoltre... c'è qualcos'altro in quell'uomo, qualcosa di... selvaggio. Però, per comprenderlo appieno dovremo aspettare che si risvegli. Oh, un'ultima cosa...
«Sì?» I membri della tua comitiva si avvicinano al Dominio. Quando li raggiungerai, non dovrai usare il tuo canale per affrettare il vostro viaggio. «Perché?» Dentro al Dominio di Pannion, signora, il mio sangue è avvelenato. E tu puoi sconfiggere quel veleno, ma Toc il Giovane no. Garath si svegliò, si alzò e si stirò davanti a lei. K'rul era sparito. «Oh, perdinci», mormorò Lady Invidia, improvvisamente coperta di sudore. «Avvelenato. Per l'Abisso... ho bisogno di un bagno. Vieni, Garath, andiamo a riprendere il Terzo. Devo svegliarlo con un bacio?» Il cane le lanciò un'occhiata. «Una maschera con le cicatrici gemelle, e l'impronta di labbra dipinte! Diventerà il Quarto, allora, o il Quinto? Come contano le labbra i Seguleh, secondo te? Quello superiore più quello inferiore, o tutte e due insieme? Andiamo a scoprirlo.» Mulinelli oscuri di polvere e di magia si levarono oltre le colline davanti a loro. «Incudine-Scudo», chiese Farakalian, «i nostri alleati hanno già fatto scattare una trappola?». Itkovian aggrottò le sopracciglia. «Non lo so. Certo scopriremo la verità quando decideranno di ricomparire e di informarci.» «Be'», borbottò il soldato, «quella che ci precede è una battaglia. E brutta, a giudicare dalla magia scatenata». «Acuta osservazione», replicò l'Incudine-Scudo. «Cavalieri, disponetevi a mezzaluna invertita, mani alle armi. Trotto lento fino al primo avvistamento.» L'ala decimata si mise in formazione, avanzando. Ormai erano vicini alla pista mercantile, stimò Itkovian. Se una carovana era stata colpita da qualcuno di quei K'Chain Che'Malle, l'esito era scontato. Ma una carovana con un mago o due al seguito avrebbe potuto opporsi e, dal puzzo di zolfo che aleggiava verso di loro, sembrava che fosse andata proprio così. Mentre si avvicinavano a un'altura, in piedi lungo la cresta apparve una fila di T'lan Imass, la schiena rivolta verso Itkovian e i suoi cavalieri. L'Incudine-Scudo ne contò una dozzina; forse gli altri erano impegnati a combattere, oltre la sua linea visiva. Vedendo il Divinatore Pran Gioie, diresse il cavallo nuovo verso lo sciamano non-morto.
Arrivarono all'altura. Le esplosioni stregonesche erano cessate; i suoni della battaglia stavano svanendo. Al di sotto, correva la pista mercantile. A comporre la carovana c'erano state due carrozze, una molto più grande dell'altra. Entrambe erano state fatte a pezzi. Frammenti di legno, imbottiture lussuose e indumenti giacevano sparsi da tutte le parti. Su una collinetta, a destra, stavano sdraiate tre figure, circondate dalla terra annerita. Nessuna si muoveva. Intorno ai veicoli erano visibili altri otto individui, solo due dei quali coscienti: uomini in armatura di maglia nera che si rialzavano lentamente in piedi. Ma l'Incudine-Scudo fece poco caso a questi particolari; a vagare fra i cadaveri smembrati di cinque cacciatori K'Chain Che'Malle c'erano centinaia di lupi enormi, scarni, i cui occhi incavati facevano il paio con quelli dei T'lan Imass. Studiando le creature silenziose, terribili, Itkovian si rivolse a Pran Chole. «Questi animali... sono vostri, signore?» Il Divinatore al suo fianco scrollò le spalle. «Hanno lasciato il nostro seguito da qualche tempo. I T'lan Ay non sono legati a noi... al di là del Rituale stesso.» Dopo una lunga pausa, continuò: «Li credevamo perduti. Ma sembra che anche loro abbiano sentito la chiamata. Sono passati tremila anni da quando abbiamo posato gli occhi sui T'lan Ay per l'ultima volta». Itkovian abbassò infine lo sguardo sullo sciamano non-morto. «C'è una punta di piacere nella vostra voce, Pran Chole?» «Sì. E di dolore insieme.» «Perché dolore? A quanto pare, questi T'lan Ay non hanno subito una sola perdita contro i K'Chain Che'Malle. Quattro, cinquecento... contro cinque. Una distruzione rapida.» Il Divinatore annuì. «La loro specie è abile nello sconfiggere le bestie possenti. Il mio dolore nasce da una sorta di compassione mortale. In occasione del Primo Raduno, il nostro malinteso amore per gli ay - i pochi che rimanevano - ci condusse su un sentiero crudele. Decidemmo di includerli nel Rituale. I nostri bisogni egoistici si dimostrarono una disgrazia. Tutto ciò che faceva degli ay in carne e ossa creature nobili, fiere, fu strappato loro. Ora, come noi, sono solo dei gusci, tormentati da ricordi inanimati.» «Anche da non-morti, possiedono maestosità», riconobbe Itkovian. «Come voi.» «Maestosità nei T'lan Ay, sì. Ma nei T'lan Imass? No, mortale, nessuna.» «Le nostre opinioni divergono, allora, Pran Chole.» Itkovian si girò a
parlare ai suoi soldati. «Controllate i caduti.» L'Incudine-Scudo cavalcò fino ai due uomini avvolti nella maglia, che si erano riuniti accanto ai resti della carrozza più grande. L'armatura ad anelli era ridotta a brandelli. Sangue colava dai corpi, formando pozze sul terreno. Qualcosa, in loro, metteva Itkovian a disagio, ma egli scacciò frettolosamente quell'emozione. Il barbuto si volse verso l'Incudine-Scudo, che tirava le redini davanti a loro. «Vi do il benvenuto, guerriero», esordì, con un accento che suonò strano alle orecchie di Itkovian. «Eventi straordinari, quelli appena accaduti.» Malgrado la sua disciplina interiore, Itkovian sentì acuirsi il disagio; tuttavia, riuscì a rispondere in tono tranquillo: «Proprio così, signore. Sono sbalordito, data l'attenzione che i Cacciatori K'ell vi hanno evidentemente accordato, di vedervi ancora in piedi». «Siamo individui resistenti, è vero.» Il suo sguardo scialbo esaminò il terreno dietro l'Incudine-Scudo. «Ahimè, i nostri compagni si sono dimostrati carenti di simili risorse.» Farakalian, che aveva discusso con i soldati accovacciati fra i caduti, cavalcò ora verso Itkovian. «Incudine-Scudo, dei tre Barghast sulla collina, uno giace morto; gli altri due sono feriti, ma sopravvivranno con l'assistenza adeguata. Dei restanti, solo uno non respira più. C'è una schiera di feriti da curare; e due dei superstiti forse moriranno, signore. Nessuno ha ancora ripreso conoscenza; sembrano tutti immersi in un sonno stranamente profondo.» Itkovian lanciò un'occhiata al barbuto. «Sapete qualcosa di più su questo sonno innaturale, signore?» «Temo di no.» L'uomo si girò verso Farakalian. «Signore, fra i superstiti potete includere un uomo alto, magro, piuttosto anziano e uno basso, molto più vecchio?» «Sì. Il primo, però, indugia davanti alla Porta di Hood.» «Preferiremmo non perderlo, se è possibile.» Itkovian intervenne: «I soldati delle Spade Grigie sono abili nell'arte della guarigione, signore. Faranno del loro meglio; non si può chiedere loro di più». «Certo. È solo che sono... sconvolto.» «Capisco.» L'Incudine-Scudo si rivolse a Farakalian. «Attingete al potere del Destriant, se necessario.» «Sì, signore.»
Guardò l'uomo allontanarsi. «Guerriero», riprese il barbuto, «mi chiamo Bauchelain, e il mio compagno è Korbal Broach. Volevo chiedervi... questi vostri servi non-morti... a quattro zampe e non...». «Non servi, Bauchelain. Alleati. Questi sono T'lan Imass; e i lupi, T'lan Ay.» «T'lan Imass», mormorò con voce sottile e acuta quello di nome Korbal Broach, fissando le figure sul crinale con occhi improvvisamente lucenti. «Non-morti, nati dal più grande rituale negromantico mai avvenuto! Vorrei parlare con loro!» Si girò di scatto verso Bauchelain. «Posso? Per favore.» «Come vuoi», rispose Bauchelain, scrollando le spalle con noncuranza. «Un momento», obiettò Itkovian. «Entrambi avete ferite che vanno curate.» «Non ce n'è bisogno, Incudine-Scudo, anche se vi ringrazio per la vostra premura. Noi guariamo... rapidamente; vi prego, concentratevi sui nostri compagni. Che cosa strana... le nostre bestie da soma e i nostri vari cavalli sono illesi... vedete? Data questa fortuna, non mi resta che completare le riparazioni alla nostra carrozza.» Itkovian studiò il relitto sul quale Bauchelain aveva rivolto lo sguardo. Riparazioni? «Signore, noi torniamo a Capustan immediatamente. Non rimarrà tempo per eseguire... riparazioni... alla vostra carrozza.» «Non ci impiegherò molto, ve l'assicuro.» Un grido proveniente dal crinale fece girare l'Incudine-Scudo, in tempo perché vedesse Korbal Broach volare all'indietro, colpito da un manrovescio assestato dal Divinatore Pran Chole. L'uomo atterrò sul pendio, rotolando fino alla base. Bauchelain sospirò. «Le sue maniere lasciano a desiderare, ahimè», osservò, gli occhi sul compagno, che si rialzava lentamente. «Il prezzo di un'infanzia protetta, anzi, isolata. Spero che i T'lan Imass non siano troppo offesi. Ditemi, Incudine-Scudo, questi guerrieri non-morti sono tipi da nutrire rancore?» Itkovian si concesse un sorriso fra sé. Puoi chiederlo al prossimo Jaghut che ci capiterà di incontrare. «Non saprei dirvelo, signore.» Con i pezzi della carrozza più piccola, vennero messi insieme tre ampi carretti; i T'lan Imass forgiarono finimenti di cuoio per gli ay scelti per trainarli. I vari cavalli della carovana furono affidati alle cure di Farakalian e della recluta.
Itkovian guardò Korbal Broach riportare i buoi alla carrozza. Ben presto, però, l'Incudine-Scudo distolse gli occhi: i dettagli delle riparazioni gli facevano accapponare la pelle. Bauchelain aveva scelto di usare per la ricostruzione le ossa dei Cacciatori K'Chain Che'Malle smembrati. Magicamente fuse alla struttura della carrozza, le ossa formavano uno scheletro bizzarro, che Bauchelain aveva poi coperto con strisce di pelle grigia, zigrinata. L'effetto era raccapricciante. Ma non più dei padroni della carrozza, immagino... Pran Chole apparve al fianco dell'Incudine-Scudo. «Abbiamo terminato i preparativi, soldato.» Itkovian annuì, poi chiese a bassa voce: «Divinatore, che cosa pensate di questi due stregoni?». «Quello senza attributi è pazzo, ma la minaccia più grave è l'altro. Non sono una compagnia propizia, Incudine-Scudo.» «Senza attributi?» Itkovian strinse gli occhi su Korbal Broach. «Un eunuco: sì, certo. Sono negromanti?» «Sì. Quello senza attributi percorre il Caos ai margini del regno di Hood. L'altro possiede interessi più arcani... è un evocatore, dal potere formidabile.» «Tuttavia, non possiamo abbandonarli.» «Come desiderate.» Il Divinatore esitò, poi aggiunse: «Incudine-Scudo, i mortali feriti stanno tutti sognando, dal primo all'ultimo». «Sognando?» «Un sogno dal sapore familiare», commentò il T'lan Imass. «Li sta... proteggendo. Aspetto con ansia che si risveglino, specialmente il sacerdote. I vostri soldati si sono dimostrati molto abili nell'arte della guarigione.» «Il nostro Destriant, Karnadas, è un Gran Sacerdote Denul; all'occorrenza, possiamo attingere al suo potere. Al momento, sarà esausto, dopo l'avvenuta guarigione, e di umore nero, poiché non ama l'incertezza. E lo stesso vale per la Spada Mortale, Brukhalian.» Itkovian raccolse le redini, raddrizzandosi sulla sella. «L'evocatore ha terminato il suo compito. Possiamo procedere. Cavalcando per tutta la notte, saluteremo l'alba presso la Porta di Capustan.» «E la presenza dei T'lan Imass e dei T'lan Ay?» indagò Pran Chole. «Tenetela nascosta, ve ne prego. Tranne per quegli ay che trainano i carretti; essi porteranno i loro occupanti attraverso la città e nel cortile della nostra caserma.» «E avete delle ragioni per questo, Incudine-Scudo?»
Itkovian annuì. Il sole basso alle spalle, la comitiva partì. Le mani intrecciate in grembo, il Destriant guardò il principe Jelarkan con profonda comprensione; no, di più: con solidarietà, data la palese spossatezza dell'uomo. Karnadas sentiva la testa martellargli dietro gli occhi. Il suo canale Denul gli appariva vuoto, rivestito di cenere. Se avesse lasciato le mani sul piano del tavolo, il loro tremito sarebbe stato evidente. Dietro di lui, la Spada Mortale camminava avanti e indietro. Itkovian e due ali percorrevano la pianura a ovest, ed era successo qualcosa. La preoccupazione riecheggiava in ogni passo agitato alle spalle del Destriant. Il principe di Capustan teneva gli occhi serrati; le dita massaggiavano le tempie sotto il cerchietto di rame martellato a freddo che era la sua corona. Aveva ventidue anni, ma il viso rugoso, tirato, sarebbe potuto appartenere a un quarantenne. Il cranio rasato mostrava i nei che indicavano la sua discendenza reale, quasi fosse stato spruzzato di sangue poi asciugatosi e scuritosi. Dopo un lungo sospiro, il principe parlò. «I membri del Consiglio Mascherato sono irremovibili: insistono perché i loro Gidrath occupino i capisaldi avanzati.» «Quelle fortificazioni saranno isolate una volta iniziato l'assedio, principe», replicò Brukhalian, con voce tonante. «Lo so. Lo sappiamo entrambi. Isolate, smantellate... e ogni soldato al loro interno è stato ucciso... e poi stuprato. I sacerdoti si credono maestri di strategia bellica. In fin dei conti, si tratta di una guerra di religione; i guerrieri scelti dei templi devono sferrare i primi colpi.» «I primi colpi, certo», osservò Brukhalian. «E poco altro.» «E poco altro. Forse potranno creare corridoi, compiere una serie di sortite per aiutare una ritirata...» «Il che costerà altre vite, principe, e probabilmente senza alcun risultato. I miei soldati non parteciperanno a imprese suicide. E, ve ne prego, non cercate di impormi la vostra volontà in proposito. Ci siamo impegnati a difendere la città; a nostro giudizio, il modo migliore per farlo è mantenere le mura. Le ridotte sono sempre state un problema; saranno più utili ai nemici che a noi, come quartier generale o luoghi di raccolta difensivi. I Gidrath consegneranno all'avversario delle fortificazioni sulla terra di nessuno; e una volta che vi saranno poste armi da assedio, subiremo bombardamenti incessanti.»
«Il Consiglio Mascherato non prevede che i capisaldi cadano, Spada Mortale. Davanti a questa specifica credenza, tutte le paure da voi espresse sono insignificanti.» Cadde il silenzio, tranne che per l'inconsueto, inquieto passeggiare di Brukhalian. Infine, il principe alzò lo sguardo su di lui; gli occhi castani seguirono i suoi movimenti felini. Jelarkan aggrottò le sopracciglia, poi si tirò in piedi con un sospiro. «Ho bisogno di appoggi, Spada Mortale. Trovatemeli, e in fretta.» Girandosi di scatto, andò a grandi passi alla doppia porta, dove aspettavano le sue due guardie del corpo. Non appena la porta massiccia si chiuse alle spalle del principe, Brukhalian si volse verso Karnadas. «Stanno ancora attingendo ai vostri poteri, signore?» Il Destriant scosse la testa. «Hanno smesso da breve tempo, poco dopo l'inaspettata visita del principe. Comunque, hanno esaurito ogni mia risorsa, e impiegherò giorni a riprendermi del tutto.» Brukhalian esalò un lungo, lento respiro. «Be', il rischio di una scaramuccia era previsto. Da quanto è avvenuto, dobbiamo concludere che i Pannion hanno mandato forze dall'altra parte del fiume; la domanda è: in quale quantità?» «Abbastanza da massacrare due ali, a quanto sembra.» «Allora Itkovian avrebbe dovuto evitare lo scontro.» Karnadas fissò la Spada Mortale. «Osservazione inopportuna, signore. L'Incudine-Scudo conosce la cautela. Se fosse stato possibile evitarlo, l'avrebbe fatto.» «Sì», ruggì Brukhalian. «Lo so.» Voci provenienti dall'entrata del cortile arrivarono ai due uomini. Zoccoli picchiarono sul terreno. La stanza si riempì di un'improvvisa tensione, ma nessuno dei due parlò. La porta si spalancò; girandosi, videro il ricognitore di Itkovian, Sidlis. La soldatessa avanzò di due passi, poi si fermò, inclinando la testa. «Spada Mortale. Destriant. Reco un messaggio dell'Incudine-Scudo.» «Avete visto battaglia», mormorò Brukhalian. «Sì. Un momento, signori.» Sidlis andò a chiudere silenziosamente la porta; poi si volse verso il comandante e il sacerdote. «Servi demoniaci del Veggente Pannion sono presenti sulla pianura», annunciò. «Ne abbiamo incontrato uno, con cui siamo venuti alle prese. La tattica impiegata avrebbe dovuto essere sufficiente; abbiamo inflitto un danno grave, in modo impeccabile. Ma la bestia era non-morta, un cadavere animato; e la scoper-
ta è arrivata troppo tardi perché potessimo ritirarci. Era praticamente insensibile alle ferite da noi inferte; tuttavia, siamo riusciti a distruggerla, anche se ad alto prezzo.» «Ricognitore Sidlis», obiettò Karnadas, «la battaglia da te descritta deve essere avvenuta qualche tempo fa - altrimenti non saresti qui -, eppure la richiesta di attingere ai miei poteri di guarigione è appena terminata». Sidlis corrugò la fronte. «I superstiti di quello scontro non hanno richiesto l'utilizzo dei vostri poteri, signore. Se mi è possibile, completerò il mio racconto, e allora forse avrete ulteriori... chiarimenti.» Alzando un sopracciglio davanti a quella goffa risposta, Brukhalian borbottò: «Procedi». «Dopo aver distrutto il nemico, ci siamo radunati, solo per scoprire che erano arrivati altri quattro demoni.» Il Destriant ebbe un sussulto. E allora, come mai non siete morti tutti? «In quel momento, per nostra fortuna», proseguì Sidlis, «sono giunti degli alleati imprevisti. I demoni non-morti sono stati rapidamente distrutti. La natura di detta alleanza, naturalmente, necessita di essere formalizzata. Per ora, è stato il riconoscimento di un nemico comune a permettere gli sforzi congiunti, che tuttora persistono: l'Incudine-Scudo e la truppa cavalcano in compagnia dei nostri benefici compagni, con l'intenzione di estendere la caccia ad altri di questi demoni micidiali». «A giudicare dallo sfinimento del Destriant», commentò la Spada Mortale, «devono averli trovati». Sidlis annuì. «C'è dell'altro?» chiese Karnadas. «Sì, signore. Ad accompagnarmi ci sono inviati di questi potenziali alleati. L'Incudine-Scudo ha giudicato opportuno che eventuali trattative avvengano unicamente fra le Spade Grigie e i nostri ospiti; e che ogni decisione di rivelazione, al principe o al Consiglio Mascherato, debba seguire solamente a una consultazione ponderata fra di voi, signori.» Brukhalian fece un grugnito di assenso. «Gli inviati aspettano nel cortile?» La risposta alla sua domanda si levò in turbini di polvere alla sinistra del ricognitore. Tre figure essiccate, rivestite di pelliccia, emersero scintillanti dal pavimento di pietra. Pelliccia e cuoio marci, pelle marrone scuro lucente, spalle massicce e braccia lunghe, fitte di muscoli sinuosi. Il Destriant si alzò barcollando dalla sedia, gli occhi sgranati. Brukhalian, che non si era mosso, strinse gli occhi sulle tre apparizioni.
D'un tratto, l'aria fu pervasa da un odore di fango. «Si definiscono Kron T'lan Imass», spiegò Sidlis, in tono tranquillo. «Secondo l'opinione dell'Incudine-Scudo, i loro guerrieri ammontano a forse quattordicimila.» «T'lan Imass», mormorò Karnadas. «Si tratta di una... convergenza molto inquietante.» «Se posso fare le presentazioni», continuò Sidlis, «questi sono Divinatori, cioè sciamani. Quello più a sinistra, che porta sulle spalle la pelliccia di un orso delle nevi, è Bek Okhan. Accanto a lui, con la pelliccia di un lupo bianco, c'è Bendai Home. Il Divinatore al mio fianco, con la pelliccia di un orso delle pianure, è Okral Lom. Specifico la natura delle pellicce poiché essa è direttamente collegata alla loro... forma Soletaken. O così mi hanno detto». Quello di nome Bendai Home fece un passo avanti. «Porto i saluti di Kron dei Kron T'lan Imass, mortale», esordì, in un morbido sussurro. «Inoltre, ho notizie recenti da parte dei clan che scortano il vostro IncudineScudo e i suoi soldati. Sono stati trovati altri Cacciatori K'ell dei K'Chain Che'Malle, impegnati in un attacco contro una carovana. Essi sono stati eliminati. I vostri soldati hanno curato le ferite dei superstiti della carovana; in questo momento, stanno tutti tornando a Capustan. Non si prevedono altri scontri, e il loro arrivo coinciderà con l'alba.» Tremando, Karnadas si rimise seduto. La gola improvvisamente riarsa gli rendeva difficile parlare. «K'Chain Che'Malle? Animati?» «Grazie, Sidlis», concluse Brukhalian. «Puoi andare, ora.» Si girò verso Bendai Home. «Ho ragione di ritenere che Kron cerchi un'alleanza contro il Dominio di Pannion e questi... K'Chain Che'Malle?» Il Divinatore inclinò la testa; i capelli lunghi, chiari, spuntavano dal cranio di lupo che gli faceva da elmo. «Tale battaglia non è il nostro compito principale. Siamo venuti in questa terra in risposta a una chiamata. La presenza dei K'Chain Che'Malle era inaspettata... e inaccettabile. Inoltre, siamo curiosi riguardo all'identità del cosiddetto Veggente Pannion; sospettiamo che non sia il mortale umano che voi credete. A giudizio di Kron, il nostro coinvolgimento nel vostro conflitto è necessario, per il momento. C'è una condizione, però. Colei che ci ha chiamato si avvicina. Al suo arrivo, comincerà il Secondo Raduno dei T'lan Imass; a quel punto, spetterà a lei decidere del nostro comportamento. Per di più, è possibile che... al termine del Raduno diventiamo... meno utili per voi.» Brukhalian si girò lentamente verso Karnadas. «Signore? Avete doman-
de per il Divinatore Bendai Home?» «Così tante che non so da che parte cominciare, Spada Mortale. Divinatore, cos'è questo "Raduno" di cui parlate?» «Ciò riguarda solo i T'lan Imass, mortale.» «Capisco. Così si chiude la porta su una linea di indagine, e la moltitudine di domande che l'accompagna. Per quanto riguarda il Veggente Pannion, è proprio un mortale umano. L'ho visto con i miei occhi, e non c'è traccia di illusione nella sua carne e nelle sue ossa. È un vecchio, e nient'altro.» «E chi sta nella sua ombra?» domandò con voce aspra il Divinatore di nome Bek Okhan. Il Destriant batté le palpebre. «Nessuno, per quanto posso dire.» I T'lan Imass rimasero muti, ma Karnadas sospettò che fra i tre fosse intercorso uno scambio silenzioso, forse esteso ai loro simili lontani. «Spada Mortale», riprese il sacerdote, a voce bassa, «dobbiamo informare il principe di questo? E il Consiglio Mascherato?». «Servono altre discussioni prima di poter prendere una simile decisione, signore», rispose Brukhalian. «Per lo meno, dovremmo aspettare il ritorno dell'Incudine-Scudo. E poi, questa notte devono giungere altre comunicazioni, o mi sbaglio?» Che Fener mi benedica, me nero dimenticato. «Ma certo.» Ben lo Svelto... per lo zoccolo fesso, abbiamo alleati che escono da tutti gli armadi... Bendai Home prese la parola. «Spada Mortale Brukhalian, il vostro soldato Itkovian ha deciso che il pubblico arrivo dei vostri soldati in città - in compagnia dei feriti della carovana - comprenderà sei dei T'lan Ay che ora accompagnano i nostri simili.» «T'lan Ay?» chiese Karnadas. «Non ho mai sentito questo nome.» «Lupi appartenenti alla lontana era del ghiaccio. Non-morti, come noi.» Brukhalian sorrise. Un attimo dopo, Karnadas lo imitò. «Il principe aveva chiesto degli... appoggi, non è vero, Spada Mortale?» «Ora li avrà, signore.» «Sì.» «Se avrete ancora bisogno di noi, stasera», concluse Bendai Home, rivolto a Brukhalian, «non dovrete far altro che chiamarci». «Grazie, signori.» I tre T'lan Imass crollarono in nuvole di polvere. «Vedo», mormorò il Destriant, «che non c'è bisogno di offrire alloggio
ai nostri ospiti». «Evidentemente no. Venite a camminare con me, signore, abbiamo molto di cui parlare e poco tempo per farlo.» Karnadas si alzò. «Niente sonno questa notte.» «No, ahimè.» Due campane prima dell'alba, Brukhalian stava in piedi, solo, nella sua stanza. Lo sfinimento gli pesava addosso come un mantello fradicio di pioggia, ma non intendeva cedervi. L'Incudine-Scudo e le sue truppe sarebbero arrivati presto, e la Spada Mortale era deciso ad aspettarli, com'era dovere di un comandante. Una sola lanterna sfidava il buio della stanza, gettando ombre rosseggianti avanti a sé. Il focolare centrale era una macchia grigia di cenere e tizzoni spenti; solo l'aria pungente teneva sveglio Brukhalian. L'incontro magico con Ben lo Svelto e Caladan Brood si era rivelato, sotto le cortesie di superficie, teso: era chiaro sia alla Spada Mortale sia a Karnadas che i loro lontani alleati tentennavano. La loro incertezza riguardo alle intenzioni ultime, e la loro cautela, per quanto comprensibili date le circostanze, avevano lasciato le due Spade Grigie in preda a un senso di disagio. Aiutare Capustan non era, a quanto pareva, il loro scopo principale. Avrebbero fatto un tentativo, ma la Spada Mortale cominciava a sospettare che sarebbe stato caratterizzato da finte e scaramucce minori - offerte in ritardo, nella migliore delle ipotesi - piuttosto che da un confronto diretto. Il famoso esercito di Caladan Brood, logorato da anni di guerra con l'Impero Malazan, doveva aver perso la voglia di combattere o essere ridotto così in cattivo stato da essere praticamente inefficiente. Tuttavia, Brukhalian aveva in mente alcuni modi in cui sfruttare questi alleati in arrivo. Spesso, la percezione della minaccia era sufficiente... se riusciamo a infliggere all'Eptarca un danno sufficiente perché si perda d'animo davanti all'arrivo imminente dell'esercito di Caladan Brood. O, se le difese fossero crollate, quest'ultimo avrebbe reso possibile una via di ritirata per le Spade Grigie. La domanda cui rispondere era questa: a quale punto le Spade Grigie avrebbero potuto onorevolmente considerarsi svincolate dal contratto? Alla morte del principe Jelarkan? Alla caduta delle mura difensive? Alla perdita di un settore della città? D'un tratto, sentì dividersi l'aria alle sue spalle, con il debole fruscio di un tessuto che si rompe. Un soffio di vento senza vita gli aleggiò all'intorno. La Spada Mortale si girò lentamente. Una figura alta e magra, avvolta in un'armatura, era visibile all'interno
del grigio portale del canale. Apparve un viso dalla pelle pallida, rugosa, dalle ossa sporgenti, dagli occhi infossati nelle orbite, dalle zanne che si allungavano con un luccichio sopra il labbro inferiore. La bocca dell'uomo si increspò in un sorriso lieve, beffardo. «Spada Mortale di Fener», esordì questi, con voce morbida e sommessa, nella lingua Elin, «ti porto i saluti di Hood, il Signore della Morte». Brukhalian si limitò a grugnire. «Guerriero», continuò l'apparizione dopo un attimo, «la tua reazione al mio arrivo sembra alquanto... laconica. Sei veramente calmo come vorresti farmi credere?». «Sono la Spada Mortale di Fener», ribatté Brukhalian. «Sì», riconobbe lo Jaghut, «lo so. Io, invece, sono l'Araldo di Hood, una volta noto come Gethol. La storia che sta dietro alla mia attuale... schiavitù è più che degna di un poema epico. O di tre, addirittura. Non sei curioso?». «No.» Il volto assunse un'aria di esagerato sconforto; gli occhi lampeggiarono. «Che mancanza di immaginazione, Spada Mortale! Benissimo, allora; ascolta senza consolanti preamboli le parole del mio signore. Anche se nessuno potrebbe negare la fame eterna di Hood, e la sua ansia per l'assedio che deve venire, certe complessità del quadro più ampio hanno spinto il mio signore a rivolgere un invito ai soldati mortali di Fener.» «Allora dovreste parlare con lo Zannuto stesso», ribatté Brukhalian, con voce tonante. «Ah, ahimè, questo non è più possibile, Spada Mortale. L'attenzione di Fener è altrove. Il tuo signore ha dovuto recarsi, con grande riluttanza, all'estremo confine del suo regno.» Gli occhi inumani dell'Araldo si strinsero. «Fener è in grande pericolo. Il tuo patrono sta per perdere il suo potere. È giunto il momento, ha deciso Hood, dei gesti caritatevoli, dell'espressione della genuina fratellanza che esiste fra il tuo signore e il mio.» «Che cosa propone Hood, signore?» «La città è condannata, Spada Mortale. Tuttavia, il tuo formidabile esercito non deve per forza unirsi all'inevitabile calca davanti alla Porta di Hood. Un tale sacrificio sarebbe inutile; di più, una grave perdita. Il Dominio di Pannion è soltanto un unico, relativamente insignificante, elemento di una guerra molto più vasta, una guerra cui tutti gli dei parteciperanno... alleati l'uno con l'altro... contro un nemico che non cerca niente di meno che la distruzione di ogni rivale. Hood vi offre il suo canale, una via di fuga per te e i tuoi soldati. Però devi decidere in fretta, perché la porzione
del canale che si trova qui non può sopravvivere all'arrivo delle forze Pannion.» «Accettare la vostra offerta, signore, significa rompere il nostro contratto.» L'Araldo scoppiò in una risata sprezzante. «Come ho detto a Hood con la massima convinzione, voi umani siete veramente patetici. Un contratto? Scarabocchi su una pergamena? L'offerta del mio signore non è soggetta a trattative.» «E se accettiamo il canale di Hood», riprese sommessamente Brukhalian, «il volto del nostro signore cambierà, non è vero? L'inaccessibilità di Fener lo ha reso un problema. E così Hood agisce rapidamente, ansioso di accaparrarsi i servi mortali del Cinghiale dell'Estate, preferibilmente integri, perché d'ora in poi servano lui e lui soltanto». «Sciocco», lo schernì Gethol. «Fener sarà la prima vittima nella guerra con il Dio Storpio. Il Cinghiale fallirà; e nessuno può salvarlo. La protezione di Hood non viene offerta a chiunque, mortale. Ricevere un tale onore...» «Onore?» l'interruppe Brukhalian; la voce strideva come il ferro che scivola sulla pietra, gli occhi brillavano di una strana luce. «Permettetemi», aggiunse, in un sussurro, «di commentare, da parte di Fener, sulla questione dell'onore». Lo spadone dell'uomo uscì fulmineo dal fodero, con un fischio; la lama scattò all'insù, colpendo l'Araldo in viso. Ossa si ruppero, sangue scuro schizzò all'intorno. Gethol arretrò di un passo, alzando le mani avvizzite sui lineamenti disfatti. Brukhalian abbassò l'arma; i suoi occhi bruciavano di una rabbia profonda. «Vieni avanti, Araldo, e riprenderò il mio commento.» «Io non...» ansimò Gethol attraverso le labbra lacerate, «... apprezzo il tuo... tono. Dovrò ripagarti con la stessa moneta, e non per conto di Hood. Non più. Questa risposta sarà mia e solo mia». In ciascuna mano guantata apparve una spada; le lame scintillavano come oro liquido, rispecchiandosi negli occhi dell'Araldo. Questi avanzò di un passo. Poi si fermò, alzando le spade in posizione difensiva. Una voce tranquilla parlò dietro Brukhalian. «Ti porgiamo i nostri saluti, Jaghut.» Girandosi, la Spada Mortale vide i tre T'lan Imass, ognuno stranamente inconsistente, come se fosse a pochi attimi dall'assumere una forma nuova. A pochi attimi dal trasformarsi nella propria bestia Soletaken, capì Bru-
khalian. L'aria si riempì di uno stantio odore di spezie. «Questa lotta non vi riguarda», sibilò Gethol. «La lotta con questo mortale?» chiese Bek Okhan. «No. Ma tu, Jaghut, sì.» «Io sono l'Araldo di Hood; osate forse sfidare un servitore del Signore della Morte?» Le labbra essiccate del T'lan Imass si ritrassero. «Perché dovremmo esitare, Jaghut? Ora chiedi al tuo signore: lui osa sfidare noi?» Gethol cacciò un grugnito, mentre qualcosa lo trascinava indietro di peso; il canale si richiuse di scatto, inghiottendolo. L'aria turbinò per un po' sulla scia della scomparsa improvvisa del portale, poi si calmò. «Evidentemente no», concluse Bek Okhan. Con un sospiro, Brukhalian rinfoderò lo spadone, girandosi verso i Divinatori T'lan Imass. «Il vostro arrivo mi ha causato un'amara delusione, signori.» «Lo capiamo bene, Spada Mortale. Eravate sicuramente ben assortiti. Tuttavia, la nostra ricerca di questo Jaghut richiedeva questa... interruzione. A quanto pare, il suo talento nello sfuggirci è intatto; persino al punto di farlo inginocchiare al servizio di un dio. La vostra sfida di Hood vi rende un degno alleato.» Brukhalian fece una smorfia. «Non foss'altro perché migliora le vostre possibilità di venire alle prese con questo Jaghut.» «Esattamente.» «Per cui, siamo intesi su questo.» «Si, così pare.» L'uomo fissò le tre creature per un attimo, poi distolse lo sguardo. «Possiamo presumere, credo, che l'Araldo non tornerà più stanotte. Perdonatemi la bruschezza, ma desidero rimanere solo.» I T'lan Imass s'inchinarono, a turno, poi scomparvero. Brukhalian andò al focolare, estraendo di nuovo la spada. Posò la punta smussata in mezzo alla brace fredda e la rimescolò lentamente. I carboni rosseggiarono, avvolti da lingue di fuoco; le strisce e gli schizzi di sangue Jaghut sulla lama si annerirono sfrigolando, poi arsero fino a scomparire. La Spada Mortale fissò il focolare per lungo tempo; malgrado il potere palese della sua arma consacrata, non vide altro che ceneri davanti a sé. Dall'oscurità salivano gli ansiti e i raschi di una lotta. Fioriture esplosive di dolore si levavano dietro ai suoi occhi come un muro di fuoco; gli echi
tremanti di ferite, della perforazione e della lacerazione della carne, la sua carne. Gli sfuggì un gemito sommesso, che lo ridestò. Giaceva scompostamente su un fondo di pelli tese. C'era stato del movimento - scossoni, grattate ma ormai era tutto cessato. Aprendo gli occhi, si ritrovò immerso nell'ombra. Alla sua sinistra, a portata di mano, si ergeva un muro di pietra. Nell'aria c'era odore di polvere e di cavalli e, molto più vicino, di sudore e di sangue. Il sole del mattino bagnava il cortile alla sua destra, riflettendosi contro le figure indistinte che lì si muovevano. Soldati, cavalli e lupi magri, incredibilmente grandi. Stivali scricchiolarono sulla ghiaia e l'ombra su di lui s'infittì. Battendo le palpebre, Gruntle alzò lo sguardo. Stonny aveva il viso tirato, schizzato di sangue asciutto; i capelli scendevano raccolti in ciocche folte, ingarbugliate. Gli posò una mano sul petto. «Siamo arrivati a Capustan», annunciò con voce aspra. Lui riuscì ad annuire. «Gruntle...» Gli occhi le si riempirono di dolore, e l'uomo si sentì gelare. «Gruntle... Harllo è morto. Loro... l'hanno lasciato lì, seppellendolo sotto le rocce. L'hanno lasciato lì. E Netok... Netok, quel caro ragazzo... così ingenuo, così innocente. Ma, almeno, l'ho fatto diventare un uomo, Gruntle, almeno questo. Morti... li abbiamo persi entrambi.» Si allontanò barcollando, fuori dal suo campo visivo, anche se riusciva ancora a sentire i suoi passi affrettati, sempre più deboli. Apparve un altro viso, un viso sconosciuto; una giovane donna, con l'elmo in testa e l'espressione gentile. «Siamo al sicuro, ora, signore», dichiarò, parlando con accento Capan. «Siete stato guarito a forza. Sono addolorata per le vostre perdite. Lo siamo tutti; tutti noi delle Spade Grigie, intendo. Ma vi assicuro, signore, che avete avuto vendetta contro i demoni.» Gruntle smise di ascoltare, spostando lo sguardo sul cielo azzurro, limpido sopra la sua testa. Ti ho visto, Harllo, razza di bastardo. Ti sei gettato davanti a quella creatura, fra lei e noi. Ti ho visto, maledizione! Un cadavere sotto le rocce, un volto sepolto nell'oscurità, sporco di polvere, che non avrebbe più sorriso. Una voce nuova. «Capitano.» Gruntle girò la testa, parlando a fatica oltre il nodo che gli serrava la go-
la. «È finita, Keruli. Siete stato portato a destinazione. E ora, che Hood vi maledica, fate che non debba più vedervi.» Il sacerdote chinò la testa; attraverso la nebbia della sua rabbia, Gruntle lo vide ritirarsi fino a sparire. CAPITOLO OTTAVO Più duro è il mondo, più ardente è l'onore. Dancer Le colline si estendevano su tutti i lati, con la loro impalcatura di ossa, e queste si muovevano con un acciottolio sotto Gethol che cercava un appiglio sul pendio. Il sangue aveva rallentato il suo corso giù per il volto sfregiato, ma la vista da un occhio era ancora impedita da una scintillante scheggia bianco-rosa; il dolore era scemato in un martellio sordo. «La vanità», borbottò attraverso le labbra coperte di croste, «non è un mio problema». Ritrovò l'equilibrio; si raddrizzò, barcollando, sul fianco della collina. «I mortali umani sono imprevedibili... no, nemmeno Hood avrebbe potuto immaginare una simile... insolenza. Ma... ah! Ora il viso dell'Araldo è rotto, e ciò che è rotto va eliminato. Eliminato...» Gethol si guardò intorno. Le colline infinite, il cielo informe, l'aria fredda, morta. Le ossa. Lo Jaghut sollevò il sopracciglio intatto. «Tuttavia, apprezzo lo scherzo, Hood. Ah, ah. Mi hai gettato qui. Ah, ah. E ora, ho il permesso di strisciare libero. Libero dall'obbligo di servirti. Così sia.» Lo Jaghut aprì il suo canale, fissando il portale che si formava davanti a lui, l'accesso al regno freddo, quasi privo di aria, dell'Omtose Phellack. «Ti conosco, ora, Hood. So chi - che cosa - sei. Un'ironia deliziosa, rispecchiare il tuo volto. E tu, a tua volta, conosci me, mi chiedo?» Entrò nel canale. Il familiare, gelido abbraccio alleviò il suo dolore, il fuoco dei suoi nervi. Le mura di ghiaccio ripide, frastagliate su entrambi i lati, lo bagnarono di luce verde-blu. Si fermò, saggiando l'aria. Nessun odore di Imass, nessun segno di intrusione; eppure, il potere che avvertiva intorno a sé era indebolito, danneggiato da millenni di impudenti violazioni T'lan. Come gli stessi Jaghut, l'Omtose Phellack stava morendo, lentamente, per consunzione. «Ah, amico mio», mormorò, «è quasi finita, per noi. Tu ed io stiamo scivolando... nell'oblio. Una semplice verità. Devo scatenare la mia rabbia?
No. Dopo tutto, la mia rabbia non è abbastanza. Non lo è mai stata». Continuò a camminare, attraverso i ricordi congelati che avevano cominciato a marcire; e che lo circondavano, facendosi sempre più vicini. La fenditura arrivò inaspettata, una crepa profonda che tagliava diagonalmente il suo sentiero. Ne saliva un alito caldo, odoroso di malattia e di decomposizione. Il ghiaccio intorno ai bordi era ammaccato e bucherellato, venato di scuro. Fermandosi, Gethol esplorò con i sensi. Cacciò un sibilo di riconoscimento. «Non sei rimasto con le mani in mano, eh? Cos'è quest'invito che mi metti davanti? Io appartengo a questo mondo, mentre tu, sconosciuto, no.» Fece per superare l'ostacolo, torcendo le labbra lacerate in un ghigno. Poi si arrestò, girando lentamente la testa. «Non sono più l'Araldo di Hood», bisbigliò. «Sono stato congedato, per mancanze inaccettabili nell'adempimento del servizio. Che cosa vuoi dirmi, Incatenato?» Non ci sarebbe stata risposta, finché non fosse stata presa la decisione, fino alla fine del viaggio. Gethol entrò nella fenditura. Il Dio Storpio aveva creato una piccola tenda intorno al luogo in cui stava incatenato, notò lo Jaghut con un certo divertimento. In quell'essere spezzato, coperto di ferite trasudanti che non sarebbero mai guarite, stava il vero volto della vanità. Gethol si fermò davanti all'entrata. «Elimina il sudario; non intendo strisciare fino a te», annunciò a voce alta. La tenda brillò, poi si dissolse, rivelando una figura avvolta in una lunga veste con cappuccio, seduta su un cumulo di argilla. Un braciere sollevava veli di fumo fra loro; una mano straziata si tese a dirigere le volute fragranti verso il volto ombreggiato dal cappuccio. «Un bacio micidiale», esordì l'Incatenato, ansimando. «La tua improvvisa sete di vendetta è stata... avvertita, Jaghut. La tua ira ha messo a repentaglio i minuziosi piani del Signore della Morte, lo capisci, vero? È stato questo a... deluderlo a tal punto. Il suo Araldo deve essere obbediente, non deve possedere desideri o ambizioni personali. Un padrone... scomodo... per un tipo come te.» Gethol si guardò intorno. «C'è del calore sotto di me. Ti abbiamo incatenato alla carne di Burn, ancorato alle sue ossa... e tu l'hai avvelenata.» «Esatto. Sono una spina infetta nel suo fianco, che un giorno l'ucciderà. E con la morte di Burn, morirà questo mondo. Il suo cuore freddo, inanimato, cesserà di dispensare la vita in abbondanza. Queste catene devono
essere rotte, Jaghut.» Gethol scoppiò a ridere. «Tutti i mondi muoiono. Non sarò io l'anello debole, Dio Storpio. Dopo tutto, ho partecipato all'Incatenamento.» «Ah», sibilò la creatura, «ma tu sei l'anello debole. Lo sei sempre stato. Credevi di poterti guadagnare la fiducia di Hood, e hai fallito. E non è stato neanche il tuo primo fallimento, come sappiamo tutti e due. Quando tuo fratello Gothos ha chiesto il tuo aiuto...». «Basta! Chi è quello vulnerabile, qui?» «Lo siamo entrambi, Jaghut. Lo siamo entrambi.» Il dio alzò di nuovo la mano, agitandola lentamente fra loro. Apparvero carte di legno laccato, sospese nell'aria; immagini si dipinsero davanti a Gethol. «Guarda», bisbigliò il Dio Storpio, «la Casa delle Catene...». Lo Jaghut strinse l'unico occhio funzionante. «Che cosa... che cosa hai fatto?» «Non sono più un emarginato, Gethol. Volevo... partecipare al gioco. E guarda meglio: il ruolo di Araldo è... vacante.» Gethol grugnì. «E non solo quello...» «Sì, questi sono solo gli inizi. Chi, mi chiedo, si guadagnerà il titolo di Re nella mia Casa? A differenza di Hood, io apprezzo l'ambizione personale. Apprezzo il pensiero indipendente; persino gli atti di vendetta.» «Il Mazzo dei Draghi ti opporrà resistenza, Incatenato. La tua Casa verrà... assalita.» «È sempre stato così. Tu parli del Mazzo come di un'entità, ma il suo creatore è in polvere, come entrambi sappiamo. Non c'è nessuno che possa controllarlo. Pensa alla resurrezione della Casa dell'Ombra: un degno precedente. Gethol, ho bisogno di te. Accetto i tuoi... difetti. Nessuno, nella mia Casa delle Catene, sarà integro, nel corpo o nello spirito. Guarda me, guarda questa povera figura spezzata: la mia Casa riflette ciò che vedi. Ora volgi gli occhi al di là, sul cumulo angoscioso di dolori e di fallimenti che è il mondo mortale. Ben presto, Gethol, avrò legioni di seguaci. Ne dubiti, forse?» Lo Jaghut rimase a lungo in silenzio, poi ruggì: «La Casa delle Catene ha trovato il suo Araldo. Cosa vuoi che faccia?». «Ho perso il cervello», borbottò Murillio, ma gettò lo stesso le ossa. Le falangi intagliate rimbalzarono e rotolarono, prima di fermarsi. «La mano degli dei, caro amico! Sfortunatamente per te, ma non per la mia degna persona!» esclamò Kruppe, chinandosi a raccogliere le ossa. «E
ora Kruppe raddoppia la posta su una fila composta... ah, poesia squisita, squisitamente espressa!» Le ossa rimbalzarono, fermandosi con il lato liscio rivolto verso l'alto. «Ah! Ricchezze cadono sull'ampio grembo di Kruppe! Valle a prendere, mago formidabile!» Scuotendo la testa, Ben lo Svelto raccolse le falangi. «Ho visto tutti gli imbrogli possibili e immaginabili - dai più atroci ai più sublimi - ma tu, Kruppe, continui a ingannare il mio occhio più attento.» «Imbrogli? Che gli dei non vogliano! Ciò cui le sventurate vittime assistono in questa notte straordinaria è soltanto la simpatia cosmica per il degno Kruppe!» «Simpatia cosmica?» sbottò Murillio. «Che roba sarebbe, in nome di Hood?» «Un eufemismo per imbroglio», bofonchiò Coll. «Fa' il tuo gioco, Ben, sono ansioso di perdere un altro po' del mio denaro duramente guadagnato.» «È colpa del tavolo», osservò Murillio. «Falsa tutti i tiri e, in qualche modo, Kruppe ha individuato lo schema... Non negarlo, blocco di lardo rancido!» «Kruppe nega tutto ciò che è palesemente negabile, diletti compagni. Non si è ancora formato nessuno schema, ve l'assicuro in tutta sincerità, poiché il responsabile in questione è fuggito dal ruolo assegnatogli. Detta fuga è solo un'illusione, naturalmente, anche se questo ritardo nel riconoscimento di sé potrebbe avere conseguenze terribili. Per fortuna di tutti, Kruppe è qui con il suo sguardo esperto.» «Come vuoi», l'interruppe Ben lo Svelto. «Cuore scuro nel punto più opportuno e teschio nell'angolo.» «Una scommessa ardita, mago misterioso. Kruppe triplica la posta su una mano completa, e non un dettaglio fuori posto!» Il mago sbuffò. «Non ho mai visto niente del genere. Mai. Nemmeno una volta.» Fece scivolare le ossa sul tavolo. Le falangi lucide si fermarono, disposte in una mano aperta; tutti i simboli erano perfettamente allineati. «C'è sempre una prima volta, mago diffidente! I forzieri di Kruppe traboccano!» Ben lo Svelto fissò la mano scheletrica sul piano malconcio del tavolo. «A che serve continuare?» sospirò Coll. «Kruppe vince sempre. Non sei abbastanza sottile, caro il mio ometto: un buon baro fa in modo di perdere, di tanto in tanto.»
«Così si dimostra la completa innocenza di Kruppe! Un imbroglio fatto di una vittoria dopo l'altra sarebbe una follia... no, questa simpatia cosmica è sinceramente al di là del controllo di Kruppe.» «Come hai fatto?» mormorò Ben lo Svelto. Estraendo dalla manica un fazzoletto macchiato, Kruppe si asciugò la fronte. «I canali d'un tratto abbondano, lambendo l'aria con fiamme invisibili! Kruppe avvizzisce sotto il tuo esame minuzioso... abbi misericordia, Kruppe ti implora, mago maligno!» Ben lo Svelto si appoggiò allo schienale; lanciò uno sguardo al punto in cui Whiskeyjack sedeva in disparte, la schiena rivolta alla parete della tenda, gli occhi semichiusi. «C'è sotto qualcosa... lo giuro... ma non riesco a incastrarlo. È sfuggente; per gli dei, se lo è!» Whiskeyjack grugnì. «Lascia perdere», consigliò, con un sogghigno. «Non lo inchioderai.» Il mago si girò di scatto verso Kruppe. «Tu non sei quello che sembri!» «Oh sì, invece», intervenne Coll. «Guardalo. Grasso, lucido, viscido: un'anguilla imburrata raggomitolata in una palla gigante! Kruppe è esattamente quello che sembra, credimi. Guarda il sudore improvviso sulla sua fronte, la faccia simile a un'aragosta bollita, gli occhi fuori dalle orbite... guarda come si agita! Quello è Kruppe, dalla testa ai piedi!» «Kruppe è sconcertato! Esame crudele! Kruppe crolla sotto quest'indebita attenzione!» Lo guardarono torcere il fazzoletto, allargando gli occhi davanti al torrente di acqua oleosa che si riversava sul piano del tavolo. Whiskeyjack proruppe in una risata aspra. «Vi tiene in pugno, tutti quanti! Agitazione? Sudore? Tutta un'illusione!» «Kruppe si piega sotto osservazioni così acute! Appassisce, si scioglie, si dissolve in un allocco piagnucoloso!» Si chinò a raccogliere la sua vincita. «Kruppe ha sete. È rimasto del vino in quella brocca sporca, si chiede? Ma, soprattutto, si chiede: cosa ha portato Korlat qui all'entrata della tenda, nel cuore della notte, quando tutti sono sfiniti dall'ennesima giornata di marce interminabili?» Il lembo della tenda si ritrasse e la donna Tiste Andii avanzò nella luce della lanterna. I suoi occhi viola trovarono Whiskeyjack. «Comandante, il mio signore richiede il piacere della vostra compagnia.» Whiskeyjack alzò le sopracciglia. «Ora? Benissimo, accetto l'invito.» Si tirò lentamente in piedi, attento a non pesare sulla gamba malata. «Riuscirò a decifrarti, prima o poi», dichiarò Ben lo Svelto, con un'oc-
chiata pungente a Kruppe. «Kruppe nega l'esistenza di arcane complessità riguardo alla sua persona, mago inquieto. La semplicità è l'amante di Kruppe... in gioiosa intesa con la sua diletta moglie, la verità, naturalmente. Forte della sua lunga alleanza, il felice terzetto...» Stava ancora parlando, quando Whiskeyjack lasciò la tenda e si recò con Korlat verso l'insediamento Tiste Andii. Dopo qualche minuto, l'uomo lanciò un'occhiata alla donna al suo fianco. «Credevo che il vostro signore se ne fosse andato; non si vede da giorni.» «Rimarrà con noi per qualche tempo», replicò Korlat. «Anomander Rake ha poca pazienza per riunioni strategiche e simili. Crone lo tiene informato sugli sviluppi.» «Sono curioso... cosa vuole da me?» Lei fece un lieve sorriso. «Questo spetta al mio signore rivelarlo, comandante.» Whiskeyjack non parlò più. La tenda del Cavaliere dell'Oscurità era indistinguibile da tutte le altre tende dei Tiste Andii; priva di guardie, posta a poco più di metà di una fila, debolmente illuminata da un'unica lanterna all'interno. Korlat si fermò davanti al lembo. «Il mio compito è terminato. Potete entrare, comandante.» Anomander Rake era seduto su una sedia pieghevole, dallo schienale di cuoio; teneva le lunghe gambe tese avanti a sé. Davanti a lui c'era una sedia uguale; da un lato, a breve distanza da entrambe, un tavolino ospitava una caraffa di vino e due calici. «Grazie di essere venuto», salutò il Cavaliere dell'Oscurità. «Accomodatevi, ve ne prego.» Whiskeyjack si lasciò cadere sulla sedia. Chinandosi in avanti, Rake riempì i due calici; ne passò uno al comandante, che lo accettò con riconoscenza. «Dalla giusta prospettiva», esordì il Tiste Andii, «anche una vita mortale può sembrare lunga. Soddisfacente. A occupare i miei pensieri, ora, è la natura del caso. Uomini e donne che, per qualche tempo, si trovano a camminare in armonia, su sentieri paralleli, le cui vite si sfiorano, sia pure per poco, e vengono radicalmente cambiate da quel contatto casuale». Whiskeyjack scrutò il suo interlocutore con gli occhi socchiusi. «Non considero il cambiamento particolarmente minaccioso, signore.» «Chiamatemi Rake. Credo che abbiate ragione... nella maggior parte dei casi. Nel comando corrono tensioni, di cui siete, sono sicuro, perfettamente
consapevole.» Il Malazan annuì. Gli occhi velati di Rake si puntarono su Whiskeyjack per un attimo, poi scivolarono via con noncuranza. «Preoccupazioni. Ambizioni, a lungo trattenute, che ora rifioriscono. Rivalità vecchie e nuove. Questa situazione ha l'effetto di... separare. Ognuno di noi da tutti gli altri. Però, se resisteremo, la calma voce dell'istinto tornerà a farsi sentire, con il suo sussurro di... speranza.» Gli occhi straordinari stabilirono con il comandante un contatto breve quanto il primo. Whiskeyjack inspirò lentamente, silenziosamente. «E qual è la natura di questa speranza?» «Il mio istinto - nel momento in cui le vite si sfiorano, per quanto brevemente - mi dice chi è degno di fiducia. Ganoes Paran, per esempio. L'abbiamo incontrato per la prima volta su questa pianura, non troppo lontano da dove siamo accampati ora. Uno strumento di Oponn, stretto fra le mascelle dei Segugi di Tronod'Ombra, a pochi attimi dalla morte. Un mortale, con tutte le sue sconfitte scritte chiaramente negli occhi. Che vivesse o morisse, il suo destino non significava nulla per me. Eppure...» «Vi piaceva.» Rake sorrise, sorseggiando il suo vino. «Un riassunto corretto.» Cadde il silenzio, che sì allungò mentre i due uomini sedevano immobili. Dopo un bel po', Whiskeyjack si raddrizzò piano; un'idea gli si era imposta tranquillamente alla mente. «Immagino», disse infine, studiando il vino nel suo calice, «che Ben lo Svelto vi incuriosisca». Anomander Rake inclinò la testa. «Certo», rivelò, in tono solo debolmente sorpreso o interrogativo. «L'ho conosciuto a Sette Città... nel Deserto Santo Raraku, per la precisione», spiegò Whiskeyjack, chinandosi a riempire entrambi i calici, e riappoggiandosi allo schienale prima di continuare. «Si tratta di una storia piuttosto lunga, per cui confido nella vostra pazienza.» Rake rispose con un mezzo sorriso. «Bene. Credo che ne varrà la pena.» Lo sguardo di Whiskeyjack vagò all'intorno, trovò la lanterna appesa a un palo e si posò sulla sua tenue, tremolante fiamma dorata. «Ben lo Svelto. Adaephon Delat, un modesto mago alle dipendenze di uno dei Sette Santi Protettori durante un fallito tentativo di rivolta nato ad Aren. Delat e altri undici compagni componevano il quadro del Protettore. I maghi del nostro esercito assediante li superavano di gran lunga in abilità; Bellurdan, Nightchill, Tayschrenn, A'Ka-
ronys, Tesormalandis, Stumpy: un gruppo formidabile noto per la sua esecuzione brutale della volontà dell'Imperatore. Le mura della città in cui era rintanato il Protettore furono aperte, gli abitanti massacrati per le strade. La follia della battaglia ci afferrò tutti. Dassem abbatté il Santo Protettore; insieme alla banda di seguaci che egli chiamava la sua Prima Spada, demolì pian piano le fila nemiche. Il quadro del Protettore, davanti alla morte del padrone e alla distruzione dell'esercito, fuggì. Dassem ordinò alla mia compagnia di inseguirlo per il deserto. Come guida avevamo un indigeno, un uomo appena reclutato nel nostro Artiglio...» Il volto largo, scuro come la notte, di Kalam Mekhar luccicava di sudore. Whiskeyjack guardò l'uomo agitarsi sulla sella, guardò le ampie spalle sollevarsi sotto il telaba macchiato e polveroso. «Restano insieme», bofonchiò la guida. «Credevo che si sarebbero divisi... costringendovi a fare lo stesso. O a scegliere fra loro, comandante. La pista prosegue verso il cuore di Raraku, signore.» «Quanto mancai» chiese Whiskeyjack. «Mezza giornata, non di più. A piedi.» Stringendo gli occhi, il comandante volse lo sguardo sulla foschia ocra del deserto. Dietro di lui cavalcavano venti soldati, un'accozzaglia di marinai, genieri, fanti e cavalieri; ognuno proveniente da squadroni che avevano cessato totalmente di esistere. La maggior parte di loro aveva alle spalle tre anni di assedi, battaglie campali e inseguimenti. Erano quelli che, a giudizio di Dassem Ultor, potevano essere lasciati andare e, all'occorrenza, sacrificati. «Signore», riprese Kalam, interrompendo i suoi pensieri. «Raraku è un deserto santo. Un luogo di potere...» «Andiamo avanti», ruggì Whiskeyjack. Turbini di sabbia creavano un intrico di sentieri sulla pianura spoglia, desolata. La truppa procedeva al trotto, con brevi intervalli al passo. Il sole saliva nel cielo. Da qualche parte, dietro di loro, una città stava ancora bruciando, ma anche il paesaggio sotto i loro occhi sembrava illuminato dal fuoco. Il primo cadavere fu scoperto all'inizio del pomeriggio. Un telaba lacero, bruciacchiato, che sventolava nel vento caldo; e sotto di esso, una figura avvizzita, la testa alzata verso il cielo, le orbite oculari come buche profonde. Kalam smontò di sella ed esaminò il corpo a lungo. Infine, si alzò, girandosi verso Whiskeyjack. «Kebharla, credo. Era più una dotta
che una maga, una studiosa di misteri. Signore, c'è qualcosa di strano...» «Ma davvero?» ribatté il comandante. Chinandosi in avanti, osservò il cadavere. «A parte il fatto che sembra morta cento anni fa, che cosa ci trovi di strano, Kalam?» L'uomo si accigliò. Dietro Whiskeyjack, un soldato fece un risolino. «Prego lo spiritosone di avvicinarsi», ordinò il comandante, senza voltarsi. Un cavaliere lo raggiunse. Giovane, magro, con un elmo di Sette Città, riccamente ornato, troppo grande per la sua testa. «Signore!» esclamò. Whiskeyjack lo fissò. «Per gli dei, ragazzo, togliti l'elmo, o ti friggerai il cervello. E butta via il violino; quel maledetto affare è rotto, comunque.» «L'elmo è rivestito di sabbia fredda, signore.» «Di che cosa?» «Sabbia fredda. Somiglia a limatura di ferro, ma potreste gettarne una manciata nel fuoco e non si scalderebbe. Una cosa stranissima, signore.» Il comandante scrutò attentamente l'elmo. «Per l'Abisso, lo portava il Santo Protettore!» L'altro annuì solennemente. «E quando la spada di Dassem l'ha colpito, è volato via. Dritto nelle mie braccia.» «E poi è arrivato il violino?» Il soldato strinse gli occhi, con diffidenza. «No, signore. Il violino è mio. L'ho comprato nella Città di Malaz; volevo imparare a suonarlo.» «Allora, chi è che gli ha mollato un pugno?» «È stato Hedge, signore... quell'uomo laggiù, vicino a Picker.» «Non è capace di suonarlo!» gridò il soldato in questione. «Be', ora non potrò più imparare, giusto? È rotto. Ma quando la guerra sarà finita, lo farò riparare.» Whiskeyjack sospirò. «Torna al tuo posto, Fiddler, e non voglio più sentirti fiatare, intesi?» «Ancora una cosa, signore. Ho una brutta sensazione riguardo... riguardo a tutto questo.» «Non sei l'unico, soldato.» «Be'... uh... è solo che...» «Comandante!» chiamò il soldato di nome Hedge, spronando il suo cavallo in avanti. «I presagi del ragazzo non hanno mai fatto cilecca, signore. Aveva detto al sergente Nubber di non bere da quella brocca, ma lui l'ha fatto comunque, e ora è morto.»
«Avvelenato?» «No, signore. Una lucertola morta. Gli si è bloccata in gola. Nubber ucciso da una lucertola!» «Per gli dei», borbottò Whiskeyjack. «Basta.» Si girò di nuovo verso Kalam. «Andiamo avanti.» L'uomo annuì, rimontando in sella. Undici maghi che fuggivano a piedi, senza provviste, per un deserto senza vita; la caccia sarebbe dovuta finire rapidamente. Nel tardo pomeriggio, incontrarono un altro corpo, raggrinzito come il primo; poi, mentre il sole spandeva una chiazza cremisi sull'orizzonte, un altro ancora. Proprio davanti a loro, a mezza lega di distanza, si ergevano le rupi di calcare sbiancato, simili a denti seghettati, tinti di rosso dal tramonto. La pista dei maghi superstiti, Kalam informò il comandante, portava in quella direzione. I cavalli erano esausti, come pure i soldati. L'acqua stava diventando un problema. Whiskeyjack ingiunse l'alt, e fu allestito un accampamento. Dopo il pasto, e con i soldati di guardia ai picchetti, il comandante raggiunse Kalam Mekhar presso il fuoco. Il sicario gettò nelle fiamme un altro mattone di letame, poi controllò l'acqua nella pentola malconcia sospesa sul fuoco con un treppiede. «Entro domani, le erbe di questo tè diminuiranno la perdita d'acqua», bofonchiò il nativo di Sette Città. «Sono fortunato ad averlo; si fa sempre più raro. Rende la pipì densa come la minestra, e scarsa. Suderete ancora, ma questo è necessario...» «Lo so», intervenne Wkiskeyjack. «Siamo su questo dannato continente da abbastanza tempo per aver imparato un po' di cosette, Artiglio.» L'uomo lanciò un'occhiata ai soldati. «Continuo a dimenticarlo, comandante. Siete tutti così... giovani.» «Giovani come te, Kalam Mekhar.» «E che cosa ho visto del mondo, signore? Ben poco. Guardia del corpo di un Sacro Falah ad Aren...» «Guardia del corpo? Perché non parlare chiaro? Eri il suo sicario personale.» «Il mio viaggio è appena cominciato; questo volevo dire, signore. Voi... i vostri soldati... quello che avete visto, quello che avete attraversato...» Scosse la testa. «Avete tutto scritto negli occhi.» Calò il silenzio, mentre Whiskeyjack studiava il suo interlocutore. Kalam tolse la pentola dal fuoco; riempiendo due tazze dell'infuso dal-
l'odore medicinale, ne porse una al comandante. «Li raggiungeremo domani.» «Sì, certo. Abbiamo cavalcato per tutto il giorno, a velocità doppia rispetto all'andatura di un soldato. E di quanto ci siamo avvicinati a questi maledetti maghi? Di una campana? Di due? Non più di due. Usano dei canali...» Il sicario aggrottò le sopracciglia, scuotendo lentamente la testa. «In tal caso, avrei perso la pista, signore. Nel caso fossero entrati in un canale, ogni loro traccia sarebbe svanita.» «Sì. Eppure le impronte continuano, ininterrotte. Come mai?» Kalam fissò il fuoco con gli occhi socchiusi. «Non lo so, signore.» Whiskeyjack finì il tè amaro, lasciò cadere la tazza di latta accanto al sicario, poi si allontanò a grandi passi. I giorni si susseguivano; l'inseguimento li portò attraverso le gole e i burroni accidentati delle colline. Scoprirono altri corpi, figure avvizzite che Kalam identificò una dopo l'altra: Renisha, stregone dell'Alto Meanas; Keluger, Settimo Sacerdote di D'riss, il Verme dell'Autunno; Narkal, il mago-guerriero, consacrato a Fener e aspirante al titolo di Spada Mortale del dio; Ullan, la sacerdotessa Soletaken di Soliel. Le privazioni imposero un grave prezzo ai cacciatori. Cavalli morirono, e furono macellati e mangiati. Le bestie superstiti si ridussero pelle e ossa. Se la pista dei maghi non avesse portato Kalam e gli altri, senza fallo, da una sorgente nascosta all'altra, sarebbero morti tutti, li, sull'implacabile suolo di Raraku. Trovarono Set'alahd Crool, un mezzosangue Jhag che, una volta, aveva respinto Dassem Ultor di una mezza dozzina di passi con il suo feroce contrattacco, la spada fiammeggiante della benedizione di qualche ignoto Ascendente; Etra, signora del canale Rashan; Birith'erah, mago del canale Serc, in grado di scatenare tempeste nei cieli; Gellid, strega del canale Tennes... E ora, davanti a loro, ne restava uno solo; la sua presenza elusiva rivelata unicamente dalle leggere impronte che si lasciava alle spalle. I cacciatori, temprati dal sole, erano avvolti dal silenzio. Il silenzio di Raraku. I cavalli facevano il paio con loro: scarni ma instancabili, ostinati e con lo sguardo febbrile. Whiskeyjack fu lento nel leggere l'espressione del volto di Kalam, quando questi guardò lui e i suoi soldati; lento nell'afferrare che gli occhi stretti del sicario contenevano incredulità, sgomento e parecchio timore. Ma
Kalam stesso era cambiato. Non si era spinto lontano dalla terra che chiamava «casa», eppure sotto di lui era passato un intero mondo. Raraku si era impossessato di tutti loro. Risalirono un canale ripido, roccioso; attraversarono un crepaccio, dalle pareti macchiate, bucherellate, erose dalle intemperie, emergendo in un anfiteatro naturale; e lì, seduto a gambe incrociate su un masso in fondo alla radura, aspettava l'ultimo mago. Era emaciato, vestito di poco più che qualche straccio. La pelle scura era crepata, squamata; gli occhi scuri, simili a pezzi di ossidiana, mandavano un luccichio duro, intenso. Kalam tirò le redini con quello che sembrò uno sforzo tormentoso. Riuscì a girare il cavallo, incrociando gli occhi di Whiskeyjack. «Adaephon Delat, un mago di Meanas», annunciò con voce secca, aspra; le labbra spaccate gli si contorsero in un ghigno. «Non è mai stato granché, signore. Dubito che riesca a opporre resistenza.» Whiskeyjack non disse nulla. Aggirando il sicario con il cavallo, si avvicinò al mago. «Una domanda», fece questi; la sua voce era un sussurro, ma riecheggiò chiaramente per tutto l'anfiteatro. «Di che si tratta?» «Chi siete, in nome di Hood?» Whiskeyjack alzò un sopracciglio. «Ha importanza?» «Abbiamo attraversato tutto Raraku», spiegò il mago. «Dall'altra parte di queste rupi, c'è la pista che porta giù a G'danisban. Mi avete inseguito per l'intero Deserto Santo... per gli dei, nessun uomo vale un'impresa simile. Nemmeno io!» «Avevi undici compagni, mago.» Adaephon Delat scrollò le spalle. «Ero il più giovane - e il più sano - di gran lunga. Ma ora, persino il mio corpo ha ceduto. Non posso procedere oltre.» Spinse lo sguardo oltre Whiskeyjack. «Comandante, i vostri soldati...» «Ebbene?» «Sono più... e meno di prima. Diversi da com'erano una volta. Raraku, signore, ha bruciato i loro ponti col passato. Non hanno più una storia.» Guardò Whiskeyjack con meraviglia. «Ora sono vostri. Vostri nel cuore e nell'animo.» «Più di quanto tu creda», ribatté Whiskeyjack. Alzò la voce. «Hedge, Fiddler, siete ai vostri posti?»
«Sì!» esclamarono le due voci all'unisono. Whiskeyjack vide il mago irrigidirsi all'improvviso. Dopo un attimo, il comandante si mosse sulla sella. Kalam sedeva rigidamente sul suo cavallo a una decina di passi dietro di lui; rivoli di sudore gli colavano sulla fronte. Al suo fianco e alle sue spalle, Fiddler e Hedge tenevano le balestre puntate su di lui. Sorridendo, Whiskeyjack si girò nuovamente verso Adaephon Delat. «Voi due avete giocato un gioco straordinario. Fiddler aveva fiutato le comunicazioni segrete - le pietre graffiate, le posizioni dei cadaveri, le dita ripiegate - una, due, tre, a seconda del messaggio da trasmettere; avremmo potuto dare un taglio a tutto quanto una settimana fa, ma a quel punto ero diventato... curioso. Undici maghi. Una volta che la prima vi aveva rivelato le sue conoscenze arcane - conoscenze che non era in grado di usare - era solo una questione di patti. Che scelta avevano gli altri? Morire per mano di Raraku, o mia. Oppure... una sorta di salvezza. Ma lo è stata, dopo tutto? Le loro anime urlano dentro di te, ora, Adaephon Delat? Domandano a gran voce di sfuggire alla loro nuova prigione? Ma sono comunque perplesso. Questo gioco tuo e di Kalam... a che scopo serviva?» Il falso aspetto stentato svanì lentamente dal mago, rivelando un giovane arzillo, in forma. Questi si strappò un sorriso forzato. «Lo schiamazzo si è un po'... attenuato. Persino uno spettro di vita è meglio dell'abbraccio di Hood, comandante. Abbiamo acquisito un... equilibrio, si potrebbe dire.» «E tu, una moltitudine di poteri straordinari.» «Formidabili, certo, ma non ho alcun desiderio di usarli adesso. Lo scopo del nostro gioco, Whiskeyjack? La pura sopravvivenza; all'inizio, almeno. A essere assolutamente onesti, non credevamo che ce l'avreste fatta. Pensavamo che Raraku vi avrebbe divorato; cosa che ha fatto, anche se in modo diverso da come avevo previsto. Quello che voi e i vostri soldati siete diventati...» Adaephon Delat scosse la testa. «Quello che siamo diventati», replicò Whiskeyjack, «l'hai condiviso anche tu. Insieme a Kalam». Il mago annuì lentamente. «Così si spiega quest'incontro fatidico. Signore, Kalam e io vi seguiremo d'ora in poi. Se accetterete la nostra presenza.» Whiskeyjack grugnì. «L'Imperatore vi strapperà da me.» «Solo se glielo dite voi, comandante.»
«E Kalam?» Whiskeyjack lanciò un'occhiata al sicario. «L'Artiglio rimarrà... scontento», bofonchiò l'uomo. Poi sorrise. «Peggio per Surly.» Con una smorfia, Whiskeyjack si girò a guardare i suoi soldati. I loro volti erano tanto impassibili da sembrare scolpiti nella pietra. Una compagnia formata dai reietti dell'esercito era diventata uno zoccolo duro, efficiente. «Per gli dei», mormorò fra sé, «che cosa mai abbiamo creato?». La prima impresa cruenta degli Arsori di Ponti fu la riconquista di G'danisban: un mago, un sicario e settanta soldati invasero una roccaforte ribelle di quattrocento guerrieri del deserto e la schiacciarono in un'unica notte. La luce della lanterna si era affievolita, ma dalle pareti della tenda filtrava il delicato chiarore dell'alba. I rumori dell'accampamento che si svegliava e si preparava per la marcia salirono lentamente a riempire il silenzio seguito al racconto di Whiskeyjack. Anomander Rake sospirò. «Trasmigrazione di anime.» «Sì.» «Ho sentito parlare della trasmigrazione di un'anima, inviata in un contenitore pronto a riceverla. Ma spostarne undici - appartenenti a undici maghi - nel corpo di un dodicesimo individuo...» Scosse la testa, incredulo. «Una bella audacia, non c'è che dire. Ora capisco perché Ben lo Svelto mi ha chiesto di interrompere le indagini nei suoi confronti.» Sollevò lo sguardo. «Eppure, questa notte, voi mi avete svelato la sua natura. Non avevo chiesto...» «Chiederlo, signore, sarebbe stata pura arroganza», ribatté Whiskeyjack. «Allora mi avete compreso.» «Grazie all'istinto.» Il Malazan sorrise. «Anch'io mi fido del mio, Anomander Rake.» Il Tiste Andii si alzò dalla sedia. Whiskeyjack lo imitò. «Sono rimasto colpito», proseguì Rake, «quando vi siete proclamato pronto a difendere Volpe d'Argento». «E io sono rimasto colpito a mia volta, quando vi siete trattenuto.» «Sì», borbottò il Cavaliere dell'Oscurità, distogliendo improvvisamente gli occhi, la fronte increspata da un lieve cipiglio. «Il mistero del cherubino...» «Come?»
Il Tiste Andii sorrise. «Stavo ricordando il mio primo incontro con l'uomo di nome Kruppe.» «Temo, signore, che Kruppe sia un mistero che non sono assolutamente in grado di svelare. Anzi, è probabile che qualunque tentativo in tal senso ci lasci tutti sconfitti.» «Forse avete ragione, Whiskeyjack.» «Ben lo Svelto partirà questa mattina, per unirsi a Paran e agli Arsori di Ponti.» Rake annuì. «Cercherò di tenermi a distanza, per non innervosirlo.» Dopo un attimo, il Tiste Andii tese la mano. Premettero i polsi l'uno contro l'altro. «È stata una serata gradevole», dichiarò Rake. Whiskeyjack fece una smorfia. «Non sono molto bravo a raccontare in modo divertente. Apprezzo la vostra pazienza.» «Forse potrò ristabilire l'equilibrio in un'altra occasione; anch'io ho in serbo qualche storia.» «Ne sono sicuro», bofonchiò Whiskeyjack. Staccarono le mani; il comandante si girò verso l'entrata. Alle sue spalle, Rake riprese: «Un'ultima cosa. Volpe d'Argento non ha nulla da temere da me. Di più: dirò a Kallor di comportarsi conformemente alle mie intenzioni». Whiskeyjack fissò il suolo per un attimo. «Vi ringrazio, signore», sussurrò. Uscì dalla tenda. Per gli dei dell'Abisso, stanotte mi sono fatto un amico. Quand'è stata l'ultima volta che sono incappato in un simile dono? Non ricordo; per il respiro di Hood, non ricordo proprio. In piedi davanti all'entrata della tenda, Anomander Rake guardò il vecchio zoppicare giù per la pista. Zampe munite di artigli gli si avvicinarono da dietro, con un picchiettio sommesso. «Padrone», borbottò Crone, «avete agito in modo saggio?». «Che cosa intendi dire?» chiese lui, distrattamente. «Farsi amici fra i mortali dalla vita così breve ha il suo prezzo, come dimostrano i vostri tragici ricordi.» «Bada a quel che dici, megera.» «Vorreste negare la verità delle mie parole, signore?» «La brevità può racchiudere un valore prezioso.» Il Grande Corvo inclinò la testa. «Un'osservazione obiettiva? Un'ammo-
nizione minacciosa? Saggezza nata da esperienze infelici? Dubito che mi offrirete spiegazioni. Mi lascerete a tormentarmi, a beccare ossessivamente nel vuoto. Bruto che non siete altro!» «Non senti odore di carogna nel vento, mia cara? Io giurerei di sì. Perché non vai a cercarla? Ora; subito. E una volta che ti sarai riempita la pancia, trova Kallor e mandamelo!» Con un ringhio, il Grande Corvo balzò fuori. Le ali si aprirono con violenza, sollevandola nel cielo. «Korlat», mormorò Rake. «Vieni da me, per favore.» Si volse di scatto verso l'interno della tenda. Quando, qualche attimo dopo, la donna arrivò, Rake teneva gli occhi puntati sulla parete di fondo. «Signore?» «Mi allontanerò per qualche tempo. Sento il bisogno del conforto di Silanah.» «Sarà felice del vostro ritorno, signore.» «Un'assenza di qualche giorno, non di più.» «Intesi.» Rake si girò a guardarla. «Estendi la tua protezione a Volpe d'Argento.» «Accolgo con piacere questi ordini.» «E fa sorvegliare anche Kallor da osservatori nascosti. Se dovesse sbagliare, informami subito, ma non esitare a scatenare su di lui tutta la forza dei Tiste Andii. Almeno potrò assistere alla raccolta dei suoi pezzi.» «Tutta la forza, signore? Non accade da molto, molto tempo. Credete sia necessario per distruggere Kallor?» «Non posso saperlo con certezza, Korlat. Perché rischiare?» «Benissimo. Comincerò i preparativi per l'unione dei nostri canali.» «Vedo che la cosa ti turba, però.» «Ci sono mille e cento Tiste Andii, signore.» «Lo so.» «All'Incatenamento, eravamo solo in quaranta, eppure abbiamo distrutto l'intero regno del Dio Storpio. Certo, si trattava di un regno nascente; tuttavia, signore, con mille e cento di noi... rischiamo di devastare quest'intero continente.» Gli occhi di Rake si velarono. «Consiglio di usare una certa misura, se dovesse rivelarsi necessario liberare il Kurald Galain da parte di tutti. Brood non ne sarebbe molto contento. Comunque, ritengo che Kallor non farà nulla di precipitoso; le nostre sono solo precauzioni.» «Intesi.»
Rake tornò a guardare l'interno della tenda. «È tutto, Korlat.» La Mhybe sognava. Ancora una volta - dopo tanto tempo - si ritrovò a vagare nella tundra; muschio e licheni le scricchiolavano sotto i piedi, mentre l'investiva un vento secco, odoroso di ghiaccio stantio. Camminava senza dolori; nel respirare l'aria frizzante, non udiva alcun raschio in fondo al petto. Era tornata, capì, al luogo della nascita di sua figlia. Il canale Tellann: un luogo non nello spazio, ma nel tempo. Il tempo della gioventù, per il mondo e per me. Sollevando le braccia, ne vide la levigatezza color ambra; i tendini e le vene delle mani erano quasi indistinguibili sotto la carne grassoccia. Sono giovane. Sono come dovrei essere. Non era un regalo, ma una tortura. Sapeva che si trattava di un sogno; sapeva cosa avrebbe trovato al risveglio. Un piccolo gregge di bestie antiche, estinte da tempo, mandò un rombo sommesso lungo il suolo duro sotto i suoi mocassini; correva parallelo al sentiero che lei aveva scelto, accanto a una cresta. Di tanto in tanto, sopra la sommità apparivano i dorsi gobbi: un flusso indistinto color terra bruciata. Un moto di tranquilla esultanza la pervase in risposta alla maestosità di quelle creature. Simili ai bhederin, ma più grandi, con corna che si allargano ai lati, massicce, regali. Abbassando lo sguardo, si fermò. Impronte attraversavano il suo cammino; piedi avvolti in pelli avevano schiacciato i fragili licheni. Otto, nove individui. Imass in carne e ossa? Il Divinatore Pran Chole e i suoi compagni? Chi percorre il paesaggio dei miei sogni stavolta? Sollevando gli occhi di scatto, si ritrovò nell'oscurità stagnante. Un dolore sordo le permeava le ossa sottili. Mani nodose le sistemarono le pellicce fino al mento, per proteggerla dal freddo. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime; battendo le palpebre davanti al soffitto inclinato, fluttuante della tenda esalò lentamente un sospiro d'angoscia. «Spiriti dei Rhivi», mormorò, «prendetemi ora, ve ne supplico. Ponete fine a questa vita, per favore. Jaghan, Iruth, Mendalan, S'ren Thal, Pahryd, Neprool, Manek, Ibindur... vi invoco tutti; prendetemi, spiriti dei Rhivi...». Il raschio del suo respiro, l'ostinato battito del suo cuore... gli spiriti erano sordi alla sua preghiera. Con un gemito sommesso, la Mhybe si tirò a sedere, allungando le mani verso i vestiti.
Uscì barcollando nella luce nebbiosa. Intorno a lei, l'accampamento Rhivi si stava svegliando. Da un lato, udì il muggito dei bhederin, il fragore agitato che attraversava il terreno, poi le grida dei giovani della tribù che tornavano da una notte trascorsa di guardia al gregge. Figure emergevano dalle tende vicine; voci cantavano sommessamente nel rituale saluto all'alba. Iruth met inal barku sen netral... ah'rhitan! Iruth met inal... La Mhybe non si unì al canto. Non c'era gioia in lei per l'arrivo di un nuovo giorno. «Cara ragazza, ho proprio quel che fa al caso tuo.» Al suono della voce, la donna si girò. Il Daru di nome Kruppe avanzava goffamente verso di lei, una scatoletta di legno stretta nelle mani paffute. Lei si strappò un sorriso ironico. «Perdonami se esito davanti ai tuoi doni. L'esperienza passata...» «Kruppe vede oltre il velo grinzoso, mia cara. In tutte le cose. La sua amante notturna è la Fede, un'assistente leale il cui tocco amorevole Kruppe apprezza profondamente. Gli interessi mercantili», proseguì, arrivando davanti a lei, gli occhi fissi sulla scatola, «fruttano doni inaspettati, ma opportuni. Dentro a questo modesto contenitore aspetta un tesoro, che io offro a te, cara». «Non mi servono tesori, Kruppe; anche se ti ringrazio.» «La storia è degna di essere raccontata, Kruppe ti assicura. Nell'estendere la rete dei tunnel che collegava le famose grotte colme di gas sotto Darujhistan la bella, qua e là furono trovate camere sotterranee, le cui pareti racchiudevano i colpi di innumerevoli corna ramificate; tali superfici increspate ospitavano scene gloriose del lontano passato. Dipinte con il carboncino, l'ematite, la saliva, il sangue, il muco e Hood sa cos'altro; ma c'era dell'altro. Oh, sì. Piedistalli, scolpiti a mo' di rozzi altari, e sopra di essi... questi!» Aprì il coperchio della scatola. Dapprima, la Mhybe pensò di stare guardando una serie di lame di selce, appoggiate su cerchi dalla strana fattura, apparentemente dello stesso indocile materiale. Poi la donna strinse gli occhi. «Proprio così», mormorò Kruppe. «Oggetti forgiati come se fossero di selce. E invece si tratta di rame, martellato a freddo. Il minerale è stato estratto grezzo da vene nella roccia, e appiattito sotto pietre. Strato dopo strato, è stato lavorato, modellato in modo da rispecchiare un retaggio.» I suoi occhietti si alzarono a incontrare quelli della Mhybe. «Kruppe vede il
dolore delle tue ossa distorte, mia cara, e soffre. Questi non sono attrezzi, ma ornamenti, da indossare sul corpo; vedrai che le lame hanno fibbie adatte per attaccarsi alle pelli. Troverai bracciali da polso e da caviglia, fasce da braccio e uhm... collane a girocollo. Tali articoli sono efficaci... nell'alleviare le tue pene. Il rame, il primo dono degli dei.» Imbarazzata dal proprio sentimentalismo, la Mhybe si asciugò le lacrime dalle guance rugose. «Ti ringrazio, amico Kruppe. La nostra tribù conserva la conoscenza delle proprietà terapeutiche del rame. Ahimè, esso non difende dalla vecchiaia...» Gli occhi del Daru lampeggiarono. «La storia di Kruppe non è ancora finita, ragazza. In quelle camere furono portati studiosi, menti acute votate ai misteri dell'antichità. Gli altari - uno per camera, otto in tutto - erano ognuno sotto un influsso diverso; i dipinti mostravano immagini rozze ma innegabilmente chiare. Rappresentazioni tradizionali. Otto caverne, ognuna con la sua individualità. Conosciamo le mani che le hanno fregiate: gli artisti hanno dichiarato la propria identità, e i migliori veggenti di Darujhistan hanno confermato quella verità. Conosciamo, mia cara, i nomi di coloro ai quali appartenevano questi ornamenti.» Infilando una mano nella scatola, estrasse una lama. «Jaghan.» Posandola, prese un bracciale da caviglia. «S'ren Thal. E questa piccola, fanciullesca punta di freccia era di Manek, il monello Rhivi... era proprio un birbante, eh? Kruppe avverte un'affinità con questo imbroglione, oh sì. Manek, malgrado tutti i suoi giochi e i suoi inganni, ha il cuore grande, vero? E poi c'è questa collana. Apparteneva a Iruth; vedi com'è lucida? Il bagliore dell'alba, catturato qui, in questo metallo battuto.» «Impossibile», bisbigliò la Mhybe. «Gli spiriti...» «Un tempo erano fatti di carne, mia cara. Mortali. Il primo gruppo di Rhivi, forse? La fede», aggiunse l'uomo, con un sorriso meditabondo, «è un'amante molto accogliente. Ora, quando avrai completato le abluzioni mattutine, Kruppe si aspetta di vederti indossare tali ornamenti. Nei giorni che devono venire, nelle notti che devono passare, aggrappati saldamente a questa fede, Sacro Contenitore». La donna era senza parole. Quando Kruppe le offrì la scatola, ne accolse il peso fra le mani. Come facevi a saperlo? Proprio stamattina, mi sono svegliata fra le ceneri dell'abbandono. Privata delle credenze di una vita. Come facevi a saperlo, mio caro, elusivo ometto? Sospirando, il Daru arretrò di un passo. «Le fatiche della consegna han-
no lasciato Kruppe esausto e affamato! Quella scatola ha immesso un tremito nelle mie membra troppo raffinate.» Lei sorrise. «Le fatiche, Kruppe? Potrei raccontarti un paio di cosette in proposito.» «Ne sono certo; ma non dubitare mai che riceverai la giusta ricompensa, ragazza.» Le strizzò l'occhio, poi si allontanò rapidamente. A qualche passo di distanza, si fermò, girandosi a guardarla. «Oh, Kruppe ti informa inoltre che la Fede ha un gemello, egualmente dolce: il Sogno. Ignorare tale dolcezza significa respingere la verità dei suoi doni, ragazza.» Agitando una mano in segno di saluto, ripartì. Attimi dopo, era uscito dal suo campo visivo. Somiglia davvero a Manek. Mi bai messo la pulce nell'orecchio, eh, Kruppe? La Fede e il Sogno. Il sogno della speranza e del desiderio? O il sogno del sonno? A chi apparteneva il sentiero che ho attraversato ieri notte? A ottantacinque leghe a nord-est, Picker si sdraiò sul pendio erboso, osservando con gli occhi socchiusi gli ultimi quorl - puntini minuscoli contro il cielo azzurro mare - sbiadire in direzione ovest. «Se devo sedermi un'altra volta su uno di quelli», ruggì una voce al suo fianco, «qualcuno mi uccida adesso e lo benedirò per il suo atto di misericordia». Il caporale chiuse gli occhi. «Se stai dando il permesso di torcerti il collo, Antsy, scommetto che uno di noi accetterà l'offerta prima della fine del giorno.» «Che cosa terribile da dire, Picker! Perché sono così impopolare? Non ho mai fatto niente a nessuno in nessun modo, no?» «Dammi un attimo per capire cos'hai appena detto, e ti risponderò onestamente.» «Sono stato perfettamente chiaro, donna, e lo sai benissimo.» Antsy abbassò la voce. «Comunque, è tutta colpa del capitano...» «No che non lo è; questi brontolii sono maledettamente ingiusti, e qualcuno potrebbe risputarti il tuo veleno nell'occhio. L'accordo è stato architettato da Whiskeyjack e Dujek; se vuoi maledire qualcuno, prenditela con loro.» «Maledire Whiskeyjack e Un-braccio? Nemmeno per sogno.» «Allora smettila di lamentarti.» «Rivolgerti al tuo superiore con quel tono ti guadagna il titolo di rompiscatole per oggi, caporale. E forse anche per domani, se così mi girerà.»
«Per gli dei», bofonchiò lei, «come odio gli uomini bassi con i baffi folti». «Andiamo sul personale, eh? Benissimo, stasera potrai fregare pentole e piatti. E ho in mente una cena molto sofisticata. Lepre ripiena di fichi...» Picker si tirò a sedere di scatto. «Libri? Vuoi farci mangiare dei libri? Coi fichi?» «Lepre, idiota! Animali a quattro zampe, che vivono in tane. Ne ho viste un paio nello zaino delle provviste. Con i fichi, ho detto. Bolliti. E salsa di ribes, con ostriche d'acqua dolce...» Con un gemito, Picker si riappoggiò al pendio. «Preferisco i libri, grazie.» Il viaggio era stato estenuante, con poche pause, di gran lunga troppo brevi. E i Moranth Neri non erano molto di compagnia. Cupi, distanti, praticamente muti; e Picker doveva ancora vedere uno di quei guerrieri liberarsi dell'armatura di chitina. La indossavano come una seconda pelle. Il loro comandante, l'Ardito, e il suo quorl erano tutto ciò che restava dello stormo che li aveva trasportati ai piedi della Catena Barghast. A Paran era stato addossato il compito di comunicare con il comandante dei Moranth Neri. Che la fortuna di Oponn l'assista. I quorl li avevano portati ad alta quota, volando per tutta la notte; l'aria era stata gelida. Picker aveva male dappertutto. Chiudendo di nuovo gli occhi, ascoltò gli altri Arsori di Ponti preparare l'attrezzatura e le provviste per il viaggio che li aspettava. Al suo fianco, Antsy borbottava fra sé una lista di lamentele praticamente infinita. Stivali si avvicinarono a passo pesante; purtroppo, si fermarono proprio davanti a lei, oscurando il sole del mattino. Dopo un attimo, Picker aprì un occhio a fatica. L'attenzione del capitano Paran, però, era rivolta ad Antsy. «Sergente.» I borbottii cessarono di colpo. «Signore?» «Sembra che Ben lo Svelto sia stato trattenuto. Dovrà raggiungerci, e il vostro squadrone gli farà da scorta. Noialtri, con Trotts, partiremo. Detoran ha messo da parte l'attrezzatura di cui avrete bisogno.» «Come volete, signore. Aspetteremo il sergente, allora. Quanto tempo dobbiamo dargli prima di seguirvi?» «Spindle mi assicura che il ritardo sarà contenuto. Aspettatelo per oggi.» «E se non arriva?» «Arriverà.»
«Ma se non lo fa?» Con un ruggito, Paran si allontanò. Antsy guardò Picker con aria perplessa. «E se Ben lo Svelto non arriva?» «Antsy, sei un idiota.» «È una domanda legittima, maledizione? Perché si è arrabbiato tanto?» «Da qualche parte, hai un cervello, sergente: perché non lo usi? Se il mago non arriva, qualcosa è andato gravemente storto, e in quel caso faremmo meglio a fuggire. E non importa dove: basta che sia lontano. Da tutto.» Il viso rubicondo di Antsy impallidì. «Perché non dovrebbe farcela? Che cosa è andato storto? Picker...» «Niente è andato storto, Antsy! Per il respiro di Hood! Ben lo Svelto verrà qui oggi, sicuro come il fatto che il sole è appena sorto e ora ti sta friggendo il cervello! Guarda i nuovi membri del tuo squadrone, sergente Mallet e Hedge - ci stai mettendo tutti quanti in imbarazzo!» Con un ringhio, Antsy si tirò in piedi. «Che cosa avete da fissare, rospi? Al lavoro! Tu, Mallet, da' una mano a Detoran; voglio le pietre del focolare tutte allo stesso livello! Se la pentola si rovescia perché non lo erano, ve ne pentirete, e non sto esagerando. E tu, Hedge, va' a cercare Spindle.» Lo zappatore indicò col dito su per la collina. «È là, sergente. Sta esaminando quell'albero a testa in giù.» Le mani sui fianchi, Antsy si girò, poi annuì lentamente. «Non mi stupisce. Che razza di albero cresce a testa in giù? Un uomo intelligente non può che essere curioso.» «Se sei tanto curioso», borbottò Picker, «perché non vai a guardare di persona?». «E a cosa servirebbe? Va' a prendere Spindle, Hedge. Di gran carriera.» «Di gran carriera su per una collina? Che Beru ci protegga, Antsy, non stiamo procedendo verso una meta!» «Mi hai sentito, soldato.» L'aria torva, lo zappatore cominciò a correre su per il pendio; ma dopo pochi passi, il ritmo cambiò in una camminata barcollante. Picker fece un risolino. «Dov'è Blend?» chiese Antsy. «Proprio qui accanto a voi, signore.» «Per il respiro di Hood! Smettila con questo giochetto! E dove te l'eri filata, comunque?»
«Da nessuna parte», rispose lei. «Bugiarda», ribatté Picker. «Ti ho visto sgattaiolare via con la coda dell'occhio, Blend. Sei una mortale, in fin dei conti.» La donna scrollò le spalle. «Ho sentito una conversazione interessante fra Paran e Trotts. A quanto pare, quel bastardo Barghast una volta occupava un rango elevato nella sua tribù; c'entrano tutti quei tatuaggi che ha addosso. Comunque, si è scoperto che siamo qui per trovare la più grande tribù locale, i Visi Bianchi, allo scopo di ottenere il loro aiuto. Un'alleanza contro il Dominio di Pannion.» Picker sbuffò. «Trasportati per aria e poi mollati ai piedi della Catena Barghast, cos'altro ti aspettavi?» «C'è un problema, però», continuò Blend, laconica, osservandosi le unghie. «Trotts ci porterà davanti a loro senza farci infilzare, ma forse dovrà regolare qualche conto personale. Se vince, rimarremo tutti in vita. Se si fa uccidere...» Antsy spalancò la bocca; i baffi vibravano come dotati di vita propria. Picker cacciò un gemito. Il sergente si girò di scatto. «Caporale! Trova Trotts! Fallo sedere con quella tua bella cote e fagli affilare le sue armi alla perfezione...» «Oh, insomma, Antsy!» «Dobbiamo fare qualcosa!» «A che proposito?» domandò una voce. Antsy si voltò di nuovo. «Spindle, grazie alla Regina! Trotts ci farà uccidere tutti...» Il mago scrollò le spalle sotto il cilicio. «Ecco la ragione di tutti gli spiriti agitati in questa collina. Fiutano i suoi piani, presumo.» «Fiutare? Agitati? Per le ossa di Hood, siamo rovinati!» Paran, in compagnia degli altri Arsori di Ponti, strinse gli occhi sullo squadrone ai piedi del tumulo. «Perché Antsy è tanto scombussolato?» si chiese ad alta voce. Trotts scoprì i denti. «Blend era qui», bofonchiò. «Ha sentito tutto.» «Oh, che magnifica notizia; perché non hai detto niente?» Il Barghast rimase in silenzio, scrollando le spalle larghe. Con una smorfia, il capitano si avvicinò al comandante dei Moranth Neri. «Quel vostro quorl si è riposato abbastanza, Ardito? Voglio che voliate alto sopra di noi; voglio sapere quando siamo stati individuati.»
L'elmo di chitina nera si girò verso di lui. «Sono già al corrente della nostra presenza, nobile.» «Basta "capitano", Ardito. Non ho bisogno che mi ricordino il mio sangue prezioso. Sono al corrente, avete detto? Come e, cosa altrettanto importante, come sapete che sanno?» «Siamo sulla loro terra, capitano. L'anima sotto di noi è il sangue dei loro antenati. Il sangue mormora; i Moranth sentono.» «Mi stupisce che riusciate a sentire alcunché, dentro quel vostro elmo», borbottò Paran, stanco e irritato. «Non importa. Voglio lo stesso che voliate sopra di noi.» Il comandante annuì lentamente. Il capitano si girò a esaminare la sua compagnia. Veterani, praticamente tutti. Silenziosi, spaventosamente professionali. Paran si chiese come sarebbe stato vedere con gli occhi di uno di loro, attraverso gli strati dello sfinimento spirituale che egli aveva appena cominciato a percepire in sé. Soldati ora e soldati fino alla fine dei loro giorni; nessuno oserebbe andarsene per trovare la pace. La calma e la gentilezza abbatterebbero quella sicura prigione di freddo controllo, l'unica salvaguardia della loro sanità mentale. Whiskeyjack aveva detto a Paran che, una volta finita la guerra, gli Arsori di Ponti sarebbero stati messi a riposo. A forza, se necessario. Gli eserciti possedevano tradizioni, tradizioni che avevano meno a che fare con la disciplina che con le molteplici verità dello spirito umano. Rituali all'inizio, condivisi da tutte le reclute. E rituali alla fine, una conclusione formale che rappresentava il riconoscimento, in ogni senso possibile e immaginabile. Erano necessari. Donavano una sorta di equilibrio, il modo di affrontare la realtà. Un soldato non poteva essere mandato via senza guida, non poteva essere abbandonato a qualcosa di irriconoscibile, di estraneo alla sua vita. Alla fine del servizio, che ne è del soldato di una volta? Che cosa diventa? Un intero futuro trascorso a camminare all'indietro, gli occhi sul passato, sui suoi orrori, sulle sue perdite, sulle sue sofferenze, sulle sue esperienze strazianti? Il rituale è una svolta, un volgersi avanti, una mano sulla spalla che indirizza con delicatezza e rispetto. In Paran, il dolore era un sussurro debole ma costante, una marea che né saliva né decresceva, ma minacciava lo stesso di sommergerlo. E quando i Visi Bianchi ci troveranno... ogni nostra donna, ogni nostro uomo potrebbe finire sgozzato e, che la Regina mi aiuti, comincio a chiedermi se non sarebbe una benedizione.
Un rapido frullo d'ali e il quorl si librò in volo; il comandante dei Moranth Neri stava appollaiato sulla sella finemente modellata. Paran, lo stomaco in subbuglio, li guardò alzarsi per un altro attimo, poi si girò verso la sua compagnia. «In piedi, Arsori di Ponti. È tempo di mettersi in marcia.» L'aria scura e soffocante era pervasa da una foschia malsana. Ben lo Svelto l'attraversava con uno sforzo di volontà, lottando come un nuotatore contro una corrente violenta. Nel giro di qualche attimo, abbandonò le sue ricerche, scivolando lateralmente in un altro canale. Non andava molto meglio. Qualche sorta di infezione filtrata dal mondo fisico al di là corrompeva ogni sentiero magico che tentava di imboccare. Respingendo un'ondata di nausea, si costrinse ad avanzare. Qui c'è il puzzo del Dio Storpio... eppure il nemico al cui territorio ci avviciniamo è il Veggente Pannion. Certo, si tratta di uno strumento di autodifesa, il che basta a spiegare la coincidenza. Però, da quando in qua credo nelle coincidenze? No, quella commistione di odori suggeriva una verità più profonda. Quel bastardo di ascendente sarà anche incatenato, con il corpo spezzato, ma posso sentire la sua mano - persino qui - intenta a tirare fili invisibili. Le labbra del mago si incresparono nel più leggero dei sorrisi. Una bella sfida. Cambiò ancora canale, e si ritrovò sulla pista di... qualcosa. Davanti a lui c'era una presenza che lasciava una scia fredda, stranamente inanimata. Be', forse non c'è da stupirsi; dopo tutto, sto costeggiando il regno stesso di Hood in questo momento. Tuttavia... Il disagio picchiettava sul suo animo come nevischio. Cercò di soffocare il nervosismo; il canale di Hood resisteva al veleno meglio di molti altri che aveva provato. Il terreno argilloso sotto di lui era umido e viscido; il freddo gli penetrava attraverso i mocassini. Una luce debole, incolore, trapelava da un cielo informe, che sembrava non più alto di un soffitto. La nebbia che riempiva l'aria, dalla consistenza oleosa, era abbastanza fitta su entrambi i lati da far somigliare il sentiero a un tunnel. Ben lo Svelto rallentò il passo. Il terreno non era più liscio. Lo attraversavano incisioni profonde, geroglifici disposti a colonne e a riquadri. Una scrittura primitiva, sospettava il mago, eppure... si accovacciò, abbassando la mano. «Scolpiti di recente... oppure senza tempo.» Avvertendo un leggero pizzicore, ritirò la mano. «Difese, forse.»
Facendo attenzione a evitare i geroglifici, Ben lo Svelto avanzò silenziosamente. Aggirò un'ampia dolina piena di ciottoli dipinti: con ogni probabilità, offerte a Hood da parte di qualche tempio sacro; preghiere in mille lingue diverse, da parte di innumerevoli supplici. E qui giacciono. Ignorate o dimenticate. Anche i funzionari muoiono, Hood: perché non sfruttarli per fare un po' di ordine? Di tutti i nostri tratti che sopravvivono alla morte, certo l'ossessività occupa un ruolo preminente. Le incisioni si infittirono, costringendo il mago a rallentare ancora. Cominciava ad avere difficoltà a trovare uno spazio libero in cui posare i piedi. Legami stregoneschi; le evanescenti matasse del potere rese manifeste, lì sul pavimento del regno di Hood. Una dozzina di passi più avanti, c'era un oggettino malridotto, circondato da geroglifici. Proseguendo, Ben lo Svelto s'incupì in volto. Gli ingredienti di un fuoco, pareva... stecchi di legno ed erba ritorta su un focolare rotondo, biancastro. Poi vide l'oggetto tremare. Ah, questi legami magici riguardano te, piccolo. La tua anima è prigioniera. Qualcuno ha fatto a te ciò che io una volta ho fatto a quel mago, Hairlock. Proprio curioso. Si avvicinò il più possibile, poi si accovacciò lentamente. «Non hai un bell'aspetto, amico», osservò. La minuscola testa di ghianda oscillò leggermente, poi scattò all'indietro. «Mortale!» sibilò la creatura, nella lingua dei Barghast. «I clan devono essere informati! Io non posso procedere oltre; guarda... le difese mi hanno seguito, le difese hanno chiuso la rete. Sono in trappola!» «Lo vedo. Eri dei Visi Bianchi, sciamano?» «E lo sono ancora!» «Eppure sei sfuggito al tuo tumulo; hai eluso gli incantesimi della tua gente, almeno per un po'. Credi veramente che accoglierebbero con favore il tuo ritorno, Vecchio?» «Sono stato trascinato via dal mio tumulo, sciocco! Tu stai andando dai clan; te lo leggo negli occhi. Ti racconterò la mia storia, mortale; e perché conoscano la verità di tutto ciò che dirai loro, ti rivelerò il mio nome autentico.» «Un'offerta audace, Vecchio. Che cosa mi impedisce di piegarti alla mia volontà?» La creatura ebbe uno spasmo e replicò ringhiando: «Non puoi essere
peggiore dei miei ultimi padroni. Io sono Talamandas, nato dal Primo Focolare nel clan Nodoso. Il primo bambino partorito su questa terra... sai cosa significa questo, mortale?». «Temo di no, Talamandas.» «I miei padroni precedenti - quei maledetti negromanti - si erano scavati il cammino, e per poco non riuscirono a scoprire il mio vero nome; si erano scavati il cammino, ti dico, con artigli brutali, indifferenti al dolore. Con il mio nome, avrebbero scoperto segreti che persino la mia gente ha dimenticato da molto tempo. Sai cosa significano gli alberi sui nostri tumuli? No, non lo sai. Racchiudono l'anima, le impediscono di vagare, ma perché? «Siamo arrivati in questa terra dai mari, solcando le vaste acque in canoe; il mondo era giovane, allora, e il nostro sangue denso delle verità segrete del nostro passato. Guarda i visi dei Barghast, mortale; no, anzi: guarda un cranio Barghast, privo di pelle e di muscoli.» «Ho visto... crani Barghast», disse lentamente Ben lo Svelto. «Ah, e li hai visti in versione... animata?» Il mago si accigliò. «No, ma qualcosa di simile, più tozzo... con i lineamenti leggermente più pronunciati...» «Leggermente, sì, leggermente. Più tozzo? Non c'è da stupirsi; non abbiamo mai sofferto la fame: il mare provvedeva alle nostre necessità. Inoltre, fra noi c'erano dei Tartheno Toblakai.» «Eravate T'lan Imass! Per il respiro di Hood! Allora... tu e la tua gente dovete aver sfidato il Rituale.» «Sfidato? No. Semplicemente, non arrivammo in tempo; l'inseguimento degli Jaghut ci aveva costretto ad avventurarci nei mari, a dimorare fra i ghiacci galleggianti e su isole prive di vegetazione. E, isolati dalla nostra gente, tuffati in mezzo ai popoli antichi - i Tartheno - cambiammo... a differenza dei nostri simili lontani. Mortale, ovunque la terra si dimostrasse abbastanza generosa da concederci di generare, seppellimmo le nostre canoe, per sempre. Da qui nacque l'usanza degli alberi sui tumuli, anche se nessuno della mia razza lo ricorda. È passato tanto tempo...» «Raccontami la tua storia, Talamandas. Ma prima, rispondimi: cosa faresti, se ti liberassi da questi legami?» «Non puoi farlo.» «Non è una risposta.» «Benissimo: parlerò, anche se è inutile. Cercherei di liberare le Prime
Famiglie; sì, siamo spiriti, ora venerati dai clan viventi. Ma gli antichi legami ci hanno mantenuto bambini per molti versi. Una disgrazia imposta con buone intenzioni, ma pur sempre una disgrazia. Dobbiamo essere liberati, per acquisire il vero potere...» «Per diventare veri dei», mormorò Ben lo Svelto, fissando con gli occhi sgranati la logora figura di stecchi ed erba. «I Barghast rifiutano di cambiare; quelli di ora la pensano come i loro predecessori. E questo si ripete, generazione dopo generazione. La nostra razza sta morendo. Stiamo marcendo da dentro. Perché agli antenati viene impedito di fornire una vera guida, di maturare raggiungendo il loro potere... il nostro potere. Per rispondere alla tua domanda, mortale, salverei i Barghast viventi, se potessi.» «Dimmi, Talamandas», chiese Ben lo Svelto, con gli occhi velati, «la sopravvivenza è un diritto o un privilegio?». «Un privilegio, mortale. Un privilegio da guadagnare. Desidero che ce ne venga data la possibilità; lo desidero per tutto il mio popolo.» Il mago annuì lentamente. «Un degno desiderio, Vecchio.» Tendendo la mano con il palmo all'insù, la fissò. «C'è del sale in quest'argilla, vero? Ne sento l'odore. L'argilla, di solito, è priva di aria, priva di vita. Si oppone agli sforzi degli instancabili lavoratori del suolo. Ma il sale, be'...» Sul palmo di Ben lo Svelto, prese forma una zolla che si contorceva. «A volte», proseguì, «la più semplice delle creature può sconfiggere la più potente delle magie, nel modo più semplice immaginabile». I vermi - rossi come sangue, lunghi, sottili e rivestiti completamente da ciglia che fungevano da gambe - si agitavano spasmodicamente, cadendo in gruppi sul terreno disseminato di geroglifici. «Questi sono originari di un continente lontano. Si nutrono di sale, o così pare; le miniere sui fondali marini asciutti di Setta ne sono piene, soprattutto nella stagione secca. Possono trasformare l'argilla più dura in sabbia; in altri termini, portano l'aria là dove non c'è.» Lasciò cadere la zolla e guardò i vermi sparpagliarsi all'intorno e cominciare a scavare. «E si riproducono più in fretta delle larve di insetti. Ah, vedi quei geroglifici... là, sui bordi? La loro forza sta scemando... senti i legami allentarsi?» «Mortale, chi sei?» «Agli occhi degli dei, Talamandas? Solo un umile verme mangia-sale. E adesso, sono pronto ad ascoltare la tua storia, Vecchio...» CAPITOLO NONO
Sul subcontinente di Stratem, oltre la Catena Meridionale di Korelri, si trova una vasta penisola ove nemmeno gli dei osano avventurarsi. Su un'area di migliaia di leghe quadrate, che tocca tutte le coste, si estende un'ampia piazza. Sì, cari lettori, non c'è altra parola per descriverla. Figuratevi questo nella mente: mattonelle che formano un lastrico quasi privo di giunture, di pietra grigia, quasi nera, lasciata illesa dal tempo. A rompere quella stupefacente monotonia, solo increspature di polvere scura, minuscole dune create dai venti gementi. Chi ha posato simili mattonelle? Dovremmo prestare fiducia all'antico tomo di Gothos, alla sua illustre «Follia»? Dovremmo attribuire un nome terribile agli artefici di questa piazza? In tal caso, il nome è quello dei K'Chain Che'Malle. Chi erano, dunque, i K'Chain Che'Malle? Una Razza Antica, o così sostiene Gothos. Estinti ancor prima dell'ascesa degli Jaghut, dei T'lan Imass, dei Forkrul Assail. È la verità? Ah, ma allora, queste pietre furono posate mezzo milione di anni fa, o forse più. Secondo questo cronista, si tratta di un'assurdità. I miei viaggi infiniti Esslee Monot (il Dubbioso) Come si misura una vita, Toc il Giovane? Vi prego, caro, vorrei sentire la vostra opinione. Le azioni sono il criterio più rozzo, non trovate?» Lui le lanciò un'occhiataccia, mentre camminavano. «Intendete dire che bastano le buone intenzioni, signora?» Lady Invidia scrollò le spalle. «Non c'è valore nelle buone intenzioni?» «Che cosa cercate di giustificare, esattamente? E ai miei occhi, o ai vostri?» Lei lo guardò furiosa e affrettò il passo, superandolo. «Non siete affatto divertente», dichiarò, con aria sprezzante, «e siete presuntuoso, per giunta. Andrò a parlare con Tool: il suo umore non oscilla!». No, se ne sta semplicemente lì fermo, come una statua di pietra. Non era l'esatta verità, capì dopo un attimo. Il T'lan Imass aveva mostrato la piena entità delle sue emozioni una settimana prima, in occasione
della partenza della sorella. Nessuno di noi è immune dai tormenti del cuore, presumo. Posando una mano sulla spalla di Baaljagg, Toc osservò con gli occhi socchiusi la lontana cresta collinare a nord-est, e le montagne dal colore smorto, al di là. Il crinale segnava il confine del Dominio di Pannion. Ai piedi di quelle montagne c'era una città, o così Lady Invidia gli aveva assicurato. Bastione. Un nome sinistro. I forestieri non sono ben accolti... e allora, perché, in nome di Hood, stiamo andando là? L'Armata di Un-braccio aveva dichiarato guerra all'impero teocratico; Toc non era sicuro dei particolari, ma non dubitava di quella realtà. Ogni descrizione del Dominio di Pannion non faceva che alimentare le probabilità che Dujek... si adombrasse. Il vecchio Gran Pugno disprezzava la tirannia. Il che è ironico, dal momento che l'Imperatore era un tiranno... credo. Ma forse no. Dispotico, certo, fissato, e persino un po' folle... Si accigliò, lanciando un'occhiata ai tre Seguleh che lo seguivano. Occhi lucenti dietro maschere gelide. Con un brivido, Toc riprese l'esame della cresta collinare. C'è qualcosa di storto, da qualche parte. Forse proprio qui. Da quando lei è tornata da Callows, con Mok al seguito, sulla cui maschera è stampato un bacio cremisi... per il respiro di Hood, lui lo sa? Se fossi Senu o Thurule, oserei dirglielo? Dal ritorno di lei, sì, c'è stato un cambiamento. Nei suoi occhi c'è uno sguardo capriccioso; solo un lampo, di tanto in tanto, ma non mi sbaglio. La posta è stata alzata, e mi trovo in un gioco che non conosco. E non conosco neppure i giocatori schierati contro di me. Battendo le palpebre, trovò Lady Invidia che camminava di nuovo al suo fianco. «Tool ha detto la cosa sbagliata?» chiese. Lei arricciò il naso in segno di spregio. «Non vi siete mai chiesto a cosa pensano i non-morti, Toc il Giovane?» «No. Non ricordo di aver riflettuto sull'argomento, signora.» «Una volta avevano degli dei, sapete.» Lui le gettò un'occhiata. «Oh?» «Be', spiriti, diciamo. La terra e la roccia e l'albero e la bestia e il sole e le stelle e le corna ramificate e le ossa e il sangue...» «Sì, sì, signora, ho afferrato il concetto.» «Le vostre interruzioni sono estremamente scortesi, giovanotto... siete un rappresentante tipico della vostra generazione? In tal caso, il mondo sta veramente precipitando verso l'Abisso. Spiriti, stavo dicendo. Ora sono tutti estinti; niente più che polvere. Gli Imass sono sopravvissuti alle loro
divinità. Difficile da immaginare, ma sono senza dei, in ogni senso, Toc il Giovane. La fede... ridotta in cenere. Ditemi, mio caro: immaginate mai l'aldilà?» Lui grugnì. «La Porta di Hood? In verità, evito di pensarci, signora. A che serve? Moriamo, e la nostra anima l'attraversa. Presumo che spetti a Hood o a uno dei suoi scagnozzi decidere cosa farci, ammesso che ci facciano qualcosa.» Gli occhi della donna lampeggiarono. «Ammesso che ci facciano qualcosa. Sì.» Un brivido pizzicò la pelle di Toc. «Come reagireste», chiese Lady Invidia, «all'idea che Hood non fa niente della vostra anima? Che essa viene lasciata a vagare, priva di scopo, eternamente persa? Che esiste senza speranza, senza sogni?». «Dite la verità, signora? Possedete veramente queste conoscenze? O mi state solo punzecchiando?» «Vi sto punzecchiando, naturalmente, mio giovane amore. Come potrei sapere qualcosa dell'arcano regno di Hood? Però, pensate alle manifestazioni fisiche di quel regno: ai cimiteri delle vostre città, ai tumuli dimenticati e abbandonati. Non si tratta certo di luoghi propizi alla baldoria, no? Pensate a tutte le feste e alle cerimonie di Hood. Sciami di mosche, accoliti coperti di sangue, corvi gracchianti e visi macchiati delle ceneri delle cremazioni; non so voi, ma io non ci vedo un grande divertimento.» «Non potremmo cambiare argomento, Lady Invidia? Questo non è che mi rallegri molto.» «Mi stavo semplicemente interrogando sui T'lan Imass.» Davvero? Oh... giusto. Toc sospirò. «Combattono gli Jaghut, signora. Questo è il loro scopo, e certo sembra sufficiente a sostenerli. Presumo che abbiano scarso bisogno di spiriti, dei, o fede religiosa. Esistono per condurre la loro guerra, e finché rimarrà in vita un solo Jaghut a questo mondo...» «E ce ne sono? Ancora in vita, intendo?» «Come faccio a saperlo? Chiedetelo a Tool.» «L'ho fatto.» «E?» «E... non lo sa nemmeno lui.» Toc incespicò, rallentando il passo; fissò prima lei, poi il T'lan Imass che li precedeva. «Non lo sa?» «Proprio così, Toc il Giovane. Cosa ne pensate?»
Lui non riuscì a trovare risposta. «E se la guerra finisse? Cosa verrebbe, per i T'lan Imass?» Toc rifletté, poi disse lentamente: «Un secondo Rituale di Raduno?». «Uhm...» «La fine? La fine dei T'lan Imass? Per il respiro di Hood!» «E non un solo spirito che aspetti di abbracciare tutte quelle anime stanche, tanto stanche...» La fine, la fine. Per gli dei, forse ha ragione. Fissò la schiena ricoperta di pelliccia di Tool, e fu quasi sopraffatto da un senso di perdita. Una perdita immensa, inesprimibile. «Potreste sbagliarvi, signora.» «Potrei», convenne lei, affabile. «Sperate che sia così, Toc il Giovane?» Lui annuì. «Perché?» chiese la donna. Perché? Erano creature inumane, votate al genocidio. Implacabili, letali. Brutali oltre ogni ragionevolezza. Toc indicò col capo il T'lan Imass. «Perché lui è mio amico, Lady Invidia.» Non avevano parlato a voce bassa. Alla frase di Toc, Tool si girò; la fronte ombreggiava le orbite oculari, che sembrarono fissarsi sul Malazan per un attimo. Poi la testa tornò a guardare avanti. «La Convocatrice del Raduno», spiegò lentamente Lady Invidia, «fa parte del vostro esercito punitivo Malazan, Toc il Giovane. Convergeremo tutti sul Dominio di Pannion: noi, loro e i clan superstiti dei T'lan Imass. Ci saranno, senza dubbio, battaglie in abbondanza. Schiacciare un impero non è mai facile; dovrei saperlo, avendone schiacciati diversi in vita mia». Lui la fissò senza dire nulla. La donna sorrise. «Ahimè, loro arriveranno da nord, mentre noi da sud. Ci aspetta un viaggio avventuroso.» «Ammetto la mia perplessità», replicò Toc. «Come, esattamente, riusciremo ad attraversare un territorio ostile, pieno di fanatici?» «Semplicemente, ci scaveremo il cammino.» Per gli dei, se rimango con questa gente, sono un uomo morto. Lady Invidia sorrideva ancora, gli occhi su Tool. «Come un coltello incandescente che trapassa il ghiaccio, colpiremo al cuore... un'anima gelida, senza tempo.» Alzando leggermente la voce, aggiunse: «O così la crediamo, non è vero, Onos T'oolan?». Il T'lan Imass si fermò. Baaljagg si sottrasse alla mano di Toc, avanzando silenziosamente. Il cane Garath la seguì.
Il Malazan si girò di scatto, sentendo tre spade uscire dai foderi. «Oh», mormorò Lady Invidia, «c'è in arrivo qualcosa». Toc appoggiò l'arco a terra, verticalmente, per incordarlo, studiando l'orizzonte. «Non vedo niente... ma mi fido dell'opinione generale.» Pochi attimi dopo, un K'Chain Che'Malle apparve sulla cresta montuosa a cento passi di distanza: enorme, chino in avanti, sembrava scivolare sulle due zampe. Lame lampeggiavano all'estremità delle braccia. L'ay e il cane indietreggiarono. Il ricordo di una creatura simile - insieme a quello della dolorosa scena della morte di Trake - riassalì Toc, provocandogli un sussulto che gli mozzò il respiro. «Cacciatori K'ell», decretò Tool. «Senza vita.» Non aveva ancora preso la spada di pietra. Si girò verso i tre Seguleh; fra loro calò un momento di gelo, poi il T'lan Imass annuì. Con Senu alla destra di Mok, Thurule alla sua sinistra ed entrambi i fratelli un passo avanti rispetto al Terzo, i Seguleh andarono incontro al K'Chain Che'Malle. «Un bel rischio», mormorò Lady Invidia. «È arrivato il momento», spiegò Tool, «di misurare il loro valore, signora. Qui, al confine con il Dominio. Dobbiamo conoscere... l'efficacia del nostro coltello». Toc incoccò una freccia. «Qualcosa mi dice che tanto varrebbe lanciargli addosso dei ramoscelli», borbottò, ricordando la morte di Trake. «Sbagliato», ribatté Tool, «tuttavia non c'è bisogno di collaudare il potere della pietra delle tue frecce». «Potere, eh? Buono a sapersi; ma il problema è un altro. Io ho un occhio solo, Tool. Sono una schiappa nel giudicare le distanze; e quell'affare è veloce.» «Lascialo ai Seguleh», suggerì il T'lan Imass. «Come vuoi», concluse Toc, scrollando le spalle. Il cuore gli martellava in petto. Il K'Chain Che'Malle piombò fra i tre fratelli in un lampo indistinto. Ma i Seguleh furono più rapidi di lui: Senu e Thurule l'avevano già superato; senza girarsi, inflissero colpi violenti, infallibili alle loro spalle, evitando la coda sferzante del cacciatore con l'agilità di serpenti. Mok, in piedi proprio davanti alla creatura, non era arretrato di un passo. Le braccia enormi della bestia scattarono ai lati del Terzo; ma i due fratelli le mozzarono, all'unisono, all'altezza della spalla. La spada di Mok
sfrecciò verso l'alto; trapassò, tagliò, torse, agganciò, poi riemerse con la testa massiccia del cacciatore appollaiata sulla punta; ma subito il Terzo gettò da parte quel peso importuno e balzò verso destra, evitando per un soffio il crollo in avanti del corpo decapitato. Il K'Chain Che'Malle colpì il terreno con un tonfo; le zampe scalciavano e la coda si agitava all'impazzata. Poi ogni movimento cessò. «Bene», commentò Toc, dopo aver ripreso fiato, «non è stato poi così difficile. Queste bestie, evidentemente, sembrano più forti di quel che sono. E meno male. Il resto del viaggio sarà una passeggiata, no? Presto resteremo a bocca aperta davanti alle meraviglie di Bastione, e poi...». «Tutte sciocchezze», lo rimbeccò Lady Invidia. «Così non mi piacete affatto, Toc il Giovane. Smettetela subito, per favore.» Chiudendo la bocca di scatto, Toc annuì. «Ora, andiamo a guardare il K'Chain Che'Malle. Quanto a me, sono molto curiosa...» Lui la guardò avanzare, poi la seguì barcollando. Passando davanti a Tool, gli rivolse un debole sorriso. «Ora puoi rilassarti, no?» Il viso senza tempo si girò verso di lui. «L'attacco del Terzo...» «Sì?» «Io non ci sarei mai riuscito. Non ho mai visto una simile... abilità.» Toc si fermò, stringendo gli occhi. «Tool, quella era una dissezione pura e semplice... non sei forse veloce quanto lui?» «Forse.» «E avrebbe potuto riuscirci senza che i suoi fratelli mozzassero quelle braccia? E se la bestia avesse attaccato con i piedi, anziché con le mascelle? Tool, quel K'Chain Che'Malle si è buttato contro tutti e tre contemporaneamente. Stupido. Arrogante.» Il T'lan Imass inclinò la testa. «L'arroganza. Un vizio dei non-morti, Toc il Giovane.» Il sorriso del Malazan si allargò. «E la tua è appena stata scossa, Tool?» «Una sensazione insolita.» Toc alzò le spalle; fece per raggiungere Lady Invidia. Tool teneva la spada di pietra fra le mani. «Devo sfidarlo.» Smettendo di sorridere, Toc gli si avvicinò. «Un attimo, amico... non vorrai...» «Devo sfidarlo. Ora.» «Perché?» «La Prima Spada dei T'lan Imass deve essere senza eguali, Aral Fayle.»
«Per gli dei, non anche tu!» Il T'lan Imass partì in direzione del Seguleh. «Aspetta! Tool...» La Prima Spada si girò a lanciargli un'occhiata. «Malgrado le tue parole, sei turbato quanto me, mortale.» «Maledizione, Tool, non è il momento adatto! Pensa! Abbiamo bisogno di tutti voi... intatti...» «Basta parlare, Aral Fayle.» I fratelli stavano intorno al K'Chain Che'Malle caduto. Lady Invidia li aveva raggiunti e ora esaminava il cadavere, accovacciata. Pieno di spavento, Toc accompagnò Tool, imitando il suo passo costante, determinato. Senu fu il primo dei Seguleh ad accorgersi di loro; ringuainò pian piano la spada, arretrando. Un attimo dopo, Thurule seguì il suo esempio. Mok si girò lentamente verso il T'lan Imass. «Per l'Abisso!» sbottò Lady Invidia, raddrizzandosi con aria torva. «Non ora.» Agitò una mano. Mok si afflosciò a terra. Tool si fermò barcollando. «Svegliatelo, signora», intimò con voce aspra. «Niente affatto. Senu, tu e Thurule allestite un carretto per vostro fratello addormentato. Poi lo tirerete.» «Signora...» «Non sto parlando con te, T'lan Imass.» E, per sottolineare il concetto, la donna incrociò le braccia e girò le spalle a Tool. Dopo un lungo momento in cui nessuno dei due si mosse, la Prima Spada rinfoderò infine la lama. «Non potrà dormire per sempre, Lady Invidia», commentò. «State solo rimandando l'inevitabile.» Lei non rispose. Toc tirò un respiro profondo. «Che donna incantevole», sospirò sommessamente. Invidia si girò con un sorriso da fermargli il cuore. «Grazie!» «Non era...» Il Malazan s'interruppe. Lei corrugò la fronte. «Scusate?» «Niente.» Niente, per gli dei! Fatto di cinghie, reticoli di cuoio e due aste di lancia che Lady Invidia aveva fatto apparire dal nulla, il carretto che trasportava il Terzo era traina-
to da Senu e Thurule attraverso imbracature sulle spalle. I due fratelli erano evidentemente turbati dal corso degli eventi ma, come era chiaro a Toc - e senza dubbio anche al T'lan Imass - non si sarebbero opposti alla volontà della donna. Risalirono verso la cresta sul calar del pomeriggio. Nuvole gonfie di pioggia si avvicinavano da nord, oscurando le montagne al di là. L'aria si raffreddò. Il confine era segnato da una serie di cippi lungo il crinale. Qua e là, erano visibili appezzamenti abbandonati da tempo; i muretti di pietra, privi di malta, erano segno di una maggiore prosperità passata. Stradine lastricate intersecavano la terra davanti a loro, coperta di erbacce. Le colline cedevano il posto a una valle larga, poco profonda, fiancheggiata da alberi alla base, dove un torrente scorreva serpeggiante verso nord. Tre tozze fattorie spiccavano sul fondo della valle e un pugno di costruzioni lungo il torrente costituiva un villaggio presso quello che doveva essere un guado. Non si vedeva bestiame e i comignoli non mandavano fumo; quella scena pastorale aveva un che di misterioso. Tuttavia, il passaggio dalla pianura spoglia ai pascoli verdi e ai segni dell'attività umana arrecò un certo choc a Toc il Giovane. Egli si rese conto, con un debole, sordo moto di disagio, di essersi abituato alla solitudine della pianura che gli Elin chiamavano Lamatath. L'assenza delle persone quelle fuori dalla solita cerchia, gli estranei - aveva alleviato una tensione che aveva permeato costantemente la sua vita. E forse la vita di tutti noi. Una sfilza di visi inconsueti, l'esame degli sguardi, tutti i sensi all'erta nel tentativo di leggere l'ignoto. Le normali fatiche della vita sociale. Possediamo tutti il desiderio di rimanere nascosti, invisibili? Il fatto che gli altri assistano alle nostre azioni è forse la nostra più grande costrizione? «Sembrate pensieroso, caro», mormorò Lady Invidia al suo fianco. Lui scrollò le spalle. «Non passiamo... inosservati, vero? Guerrieri mascherati, una lupa gigante, un cane e un T'lan Imass...» Tool si fermò, girandosi verso di loro. «Adesso farò in modo di sparire.» «Quando ti riduci in polvere», chiese Toc, «entri nel tuo canale Tellann?». «No. Ritorno semplicemente a ciò che sarei dovuto essere, se il Rituale non avesse avuto luogo. Usare il Tellann in questo Dominio, Toc il Giovane, sarebbe inopportuno. Tuttavia, rimarrò vicino e vigile.» Toc grugnì. «Ero abituato ad averti intorno. In carne e ossa, intendo.» Aggrottò le sopracciglia. «Per così dire.»
Il T'lan Imass scrollò le spalle, poi svanì in un turbine di polvere. «Quanto ai nostri compagni canini, si offrono altre soluzioni», spiegò Lady Invidia. «State a vedere.» Camminò verso Baaljaag. «Tu, cuccioletta, hai un aspetto di gran lunga troppo... allarmante, così come sei. Dobbiamo rimpicciolirti un po'?» L'ay non si era mossa; guardò la donna allungare una mano esile e posare un dito sulla sua fronte. Fra un battito di palpebre e l'altro, Baaljaag abbandonò la forma alta e magra per assumere le dimensioni del cane, Garath. Sorridendo, Lady Invidia lanciò un'occhiata verso sud. «Strano: quei lupi biondi ci seguono ancora, ma non dovrebbero avvicinarsi ora che siamo in mezzo agli esseri umani. Ahimè, ridurre i Seguleh alla stregua di bambini non contribuirebbe molto al nostro anonimato; siete d'accordo, Toc il Giovane?» Il Malazan evocò nella mente l'immagine di due «bambini» mascherati, dispensatori di morte; un attimo dopo, la sua fantasia si ritrasse, inorridita. «Uh», si strappò di bocca. «No. Cioè sì, sono d'accordo.» «Quel villaggio laggiù», proseguì lei, «ci darà una piccola prova di come gli abitanti del luogo reagiscono ai Seguleh. Se si renderanno necessarie altre modifiche al nostro gruppo, potremo operarle più tardi. Ho preso in considerazione ogni elemento, mio caro?». «Sì», bofonchiò lui, con riluttanza. «Credo di sì.» «Nel villaggio potrebbe esserci una locanda.» «Non ci conterei, signora. Queste piste mercantili non vengono usate da anni.» «Che mancanza di civiltà! Che dite, ci andiamo lo stesso?» Le prime gocce di pioggia macchiettavano la pista sassosa, quando raggiunsero la prima delle poche costruzioni del villaggio, squallide e cadenti. Una volta, era stata una locanda per viandanti, completa di stalle e di uno spiazzo, cinto di un basso muro, per i carri dei mercanti; ma ora era disabitata e quasi demolita: il legno e la pietra levigata delle pareti della cucina erano stati parzialmente prelevati per altri usi, lasciando l'interno esposto agli elementi. Erba alta e mazzi di piante aromatiche si levavano in mezzo ai forni di mattoni. Appena oltre la locanda abbandonata, si trovavano tre piccoli edifici: l'officina di un fabbro, una bottega di alimentari e l'ufficio-dimora di un esattore delle decime. Tutti senza vita. L'unica struttura che dava qualche segno di manutenzione era dall'altra parte del basso guado. Al di là di alte
mura - le cui pietre rivelavano la provenienza più diversa - e di una porta di legno sotto un arco, si intravedeva una piramide coperta di scaglie di rame lucente. «Immagino si tratti di un tempio», borbottò Toc; in piedi al centro dell'unica strada del villaggio, strinse l'occhio sullo strano palazzo. «Proprio così», confermò Lady Invidia. «E i suoi occupanti sanno di noi.» Toc le lanciò un'occhiata. «Sanno quanto?» La donna scosse le spalle. «Siamo forestieri provenienti da Lamatath; un sacerdote all'interno ha il potere di indagare, ma è facile sviarlo. Non dimenticate», sorrise, «che ho avuto generazioni per forgiare il mio insignificante personaggio». Insignificante? Per il respiro di Hood, donna, come vi sbagliate! «Tengo già quel sacerdote in pugno, mio caro; senza che sospetti alcunché, naturalmente. Anzi, credo che, se lo chiediamo, ci concederanno alloggio. Venite con me.» Lui la seguì barcollando. «Alloggio? Siete impazzita, signora?» «Zitto, giovanotto. Al momento sono di umore amichevole; non volete vedermi arrabbiata, vero?» «No, certo che no. Però, Lady Invidia, questo è un rischio che...» «Sciocchezze! Dovete imparare ad aver fiducia in me, Toc il Giovane.» Cingendogli con il braccio la parte inferiore della schiena, lo attirò a sé. «Camminate con me, carissimo. Ecco, non è piacevole? Lo sfioramento delle anche, l'improvvisa intimità che fa battere forte il cuore. L'umidità della pioggia, che si accompagna a...» «Sì, sì, signora! Vi prego, basta dettagli, o la mia andatura si dimostrerà particolarmente goffa.» Lei scoppiò a ridere. «Credo di essere finalmente riuscita ad affascinarvi, amore mio. E ora mi chiedo, per quale sentiero dovrò condurvi? Ci sono così tante possibilità! Com'è eccitante. Ditemi, mi considerate crudele, Toc il Giovane?» Lui tenne lo sguardo sul tempio. Entrarono nel freddo torrente; l'acqua turbinava intorno alle caviglie, ma non più in alto. «Sì», rispose lui, infine. «Posso esserlo; anzi, lo sono spesso. Lo avete sempre saputo, vero? Comprendo il vostro desiderio di resistere. Che cosa ci aspetta, secondo voi?»
«Non lo so. Bene, eccoci arrivati. Bussiamo alla porta?» La donna sospirò. «Sento il picchiettio di piedi.» La porta alla loro sinistra si aprì con un cigolio, rivelando un uomo alto, emaciato, di età indefinita; la pelle chiara, la testa e le sopracciglia rasate, teneva gli occhi grigi e acquosi fissi su Lady Invidia. «Benvenuta, signora», esordì. «Entrate, vi prego. Il Dominio di Pannion offre la sua ospitalità», lo sguardo guizzò oltre di lei, per abbracciare la lupa e il cane, e poi i Seguleh, «a voi e ai vostri compagni». Arretrò di un passo. Con un'occhiata indecifrabile a Toc, Lady Invidia seguì il sacerdote. L'aria calda e umida del cortile era pervasa dal puzzo di decomposizione e, non appena uscì dall'ombra della porta, il Malazan ne trovò la fonte. Una ventina di corpi rivestivano le mura interne, con grandi uncini di ferro sporgenti dallo sterno, e i piedi penzoloni all'altezza di un braccio sopra il suolo. La pietra alle loro spalle era macchiata di giallo e di rosso cupo. Teste prive di occhi, chine all'ingiù, erano circondate di ciocche di capelli gocciolanti di pioggia. Il sacerdote, vedendo dove si era concentrata l'attenzione dei suoi ospiti, osservò i cadaveri con un debole sorriso. «Gli abitanti del villaggio sono stati liberati. Una volta completata la fatica di costruire questo tempio, hanno ricevuto la loro ricompensa. Rimangono davanti a noi a ricordo della misericordia del nostro signore.» «Un tipo di misericordia piuttosto originale», borbottò Toc, lottando contro un'ondata di nausea. «Col tempo, comprenderete, signore», ribatté il sacerdote. «Seguitemi, prego. Stanno preparando un pasto. Il Seerdomin Kahlt - il padrone di questo tempio - vi aspetta nella sala degli ospiti.» «Molto gentile da parte sua», commentò Lady Invidia. «Una costruzione straordinaria, questo vostro tempio.» Strappando lo sguardo dagli uomini uccisi, Toc studiò l'edificio che si ergeva davanti a loro. La forma piramidale continuava fino a terra; il rivestimento di rame era rotto solo da una dozzina di lucernari, disposti a caso, ognuno con un sottile vetro di quarzite rosa. A segnare l'entrata, c'era un portale stretto ma alto, incorniciato da quattro massicce pietre levigate: un'ampia soglia di sotto, due menhir affusolati ai fianchi e un'unica architrave di sopra. Il corridoio al di là, lungo tre passi, rivelava l'ampiezza delle fondamenta della piramide. Emersero in una stanza larga, poco profonda, la cui aria era più calda di
quella del cortile esterno; la luce, dalla sfumatura rosa, filtrava irregolarmente dalle finestre. Li aspettava un tavolo basso, coperto di cibo e circondato da cuscini su cui adagiarsi. Davanti a un'altra apertura triangolare - posta proprio di fronte all'entrata - stava un'enorme figura avvolta in un'armatura nera, dalla foggia arcana. Un'ascia a doppia lama, dall'asta lunga, era appoggiata all'intelaiatura della porta, alla sua sinistra. Il capo scoperto del guerriero era rasato; il viso glabro, angoloso, mostrava vecchie cicatrici lungo la mascella e i bordi verticali del naso. Per il respiro di Hood, riconosco quelle cicatrici... le provoca un elmo con le protezioni per le guance e il naso... quando qualcuno vi picchia contro una mazza. La fronte corrugata, Lady Invidia esitò, poi si volse verso chi li aveva accolti. «Non avevate detto che il Gran Sacerdote ci aspetta?» L'uomo magro sorrise. «E così è, signora.» Fece un inchino al guerriero. «Questo è il Seerdomin Kahlt, il padrone di questo tempio. I Seerdomin sono i Dotati fra i figli del Veggente Pannion. Guerrieri senza eguali, ma anche dotti studiosi. Ora, per completare le presentazioni, volete concedermi l'onore dei vostri nomi?» «Io sono Lady Islah'Dracon», annunciò Lady Invidia, gli occhi sul Seerdomin. «Il mio compagno si chiama Toc il Giovane; le mie guardie del corpo sono Senu e Thurule e quella che adesso dorme è Mok. Vi interessa conoscere anche i nomi delle mie bestioline?» Li avete appena dati, no? Il sacerdote scosse la testa. «Non è necessario. Nel Dominio, non tributiamo alcun rispetto agli animali privi di ragione. Se li avete sotto controllo, verranno tollerati, in nome dell'ospitalità. Vi ringrazio delle presentazioni, signora. È tempo che mi congedi.» Con un altro inchino, si girò, zoppicando verso una porticina laterale. Il Seerdomin Kahlt fece un passo avanti, con uno sferragliare di armatura. «Sedetevi», li invitò, con voce calma, sommessa. «Non abbiamo spesso il privilegio di ricevere ospiti.» Lady Invidia alzò un sopracciglio. «Non spesso?» Kahlt sorrise. «Be', in effetti, siete i primi. Il Dominio di Pannion è un territorio isolato; pochi vengono in visita, e raramente più di una volta. Ci sono alcuni, naturalmente, che vedono la luce e accettano la nostra fede; essi vengono accolti come fratelli e sorelle. Grandi ricompense aspettano chi abbraccia la fede.» I suoi occhi luccicarono. «Spero ardentemente che questo sia il vostro destino.»
Toc e Lady Invidia si sistemarono sui cuscini. Baaljaag e Garath rimasero con i Seguleh, appena oltre l'entrata. Il Seerdomin Kahlt si sedette di fronte ai suoi ospiti. «Uno dei vostri servi è malato?» chiese. «Devo far mandare un guaritore, signora?» «Non ce n'è bisogno; Mok si riprenderà, prima o poi. Toglietemi una curiosità, Seerdomin: perché costruire un tempio in un insediamento così misero? Specialmente se poi giustiziate tutti gli abitanti.» «Gli abitanti sono stati ricompensati, non giustiziati», precisò Kahlt, scurendosi in volto. «Noi giustiziamo solo i criminali.» «E le vittime erano soddisfatte della distinzione?» «Forse, presto, avrete la possibilità di chiederlo loro di persona, signora.» «Forse.» «Per rispondere alla vostra domanda: questo tempio è uno dei settanta recenti, simili edifici; ognuno domina un tradizionale punto di confine. I confini del Veggente Pannion sono spirituali oltre che geografici. Spetta ai suoi fedeli più fervidi accettare la responsabilità di regolare e proteggere l'accesso al Dominio.» «Siamo vostri ospiti, allora, perché possiate valutarci e giudicare se siamo degni o no di entrare nel vostro impero?» Kahlt scosse le spalle, allungando la mano verso lo spicchio di un frutto locale che Toc non riconobbe. «Prego, rifocillatevi. Il vino è di Gredfallan, molto piacevole. Le bistecche sono di bhederin...» Chinandosi in avanti, Lady Invidia prese con grazia una fetta di carne, che gettò poi verso l'entrata. Garath fece un passo avanti, l'annusò e la mangiò. La donna sorrise al Gran Sacerdote. «Grazie, accetteremo il vostro invito.» «Fra la nostra gente», osservò Kahlt con voce aspra, le mani scosse da uno spasmo, «quello che avete appena fatto è un grave insulto». «Fra la mia, è una questione di realismo.» Il Seerdomin scoprì i denti in un freddo sorriso. «L'onore e la fiducia sono caratteristiche molto stimate nel Dominio di Pannion, signora. Il contrasto con la vostra cultura non poteva essere reso più evidente.» «Già. Oserete rischiare di esporvi alla nostra influenza corruttrice?» «Voi non possedete alcuna influenza, signora. Ma noi, forse, sì.» Toc si versò del vino, chiedendosi cosa avesse in mente Lady Invidia. Erano penetrati in un vespaio e lei, sorridendo, stava staccando le ali a uno degli insetti.
Kahlt aveva ripreso il controllo. «È saggio mascherare i vostri servi, signora? Ciò sembra contrastare con le esigenze della vostra sciagurata paranoia.» «Ah, ma essi sono più che semplici servi, Seerdomin. Sono, in realtà, degli inviati. Ditemi, conoscete i Seguleh?» Kahlt si mise comodo, studiando i guerrieri silenziosi. «Gli abitanti dell'isola... che uccidono tutti i nostri monaci. Ci hanno chiesto di dichiarare loro guerra, e di allestire una flotta da invasione. L'arroganza si ripaga con la stessa moneta, come avranno modo di scoprire. Dopo tutto, è facile uccidere sacerdoti disarmati... Diecimila Seerdomin si prenderanno la rivincita sui Seguleh. Benissimo», sospirò, «questi inviati sono venuti a implorare perdono?». «Oh, no», rispose Lady Invidia. «Sono qui per...» La mano di Toc scattò in avanti, chiudendosi sul suo braccio. Lei lo guardò sorpresa. «Signora», mormorò l'uomo, girandosi verso Kahlt. «Sono stati mandati a trasmettere un messaggio al Veggente Pannion. In persona.» «Certo si può dire anche così», osservò seccamente Lady Invidia. Toc ritirò la mano, aspettando che il suo cuore cessasse il martellio selvaggio. «L'udienza verrà concessa a certe condizioni», annunciò Kahlt, gli occhi ancora sui Seguleh. «Dovranno essere disarmati. Senza maschera. E forse ci sarà dell'altro; ma non spetta a me decidere.» Riportò lo sguardo sulla donna. «Come possono questi inviati essere vostri servi?» «Arti femminili», rispose lei, lanciandogli un sorriso. L'uomo sussultò visibilmente. Ah, so cosa provi. Il cuore ti si è appena sciolto. Stai lottando per non prostrarti ai suoi piedi. Senza ali, inchiodato, ti dibatti disperatamente... Kahlt si schiarì la gola. «Ora vi lascerò al vostro pasto. Sono state preparate camere da letto; il monaco che vi ha accolto sulla porta vi farà da guida. Il giorno terminerà fra una campana. Vi ringrazio di quest'illuminante conversazione.» Si alzò, raccolse l'ascia dal muro alle sue spalle e uscì dalla porta interna. Mentre questa si chiudeva, Toc cacciò un grugnito. «Illuminante? Era una battuta?» «Mangiate, amore mio», replicò Lady Invidia. «Ci vogliono soddisfatti, con la pancia piena, prima di darci la nostra ricompensa.» Toc per poco non si strozzò con il vino; tossì affannosamente per un po',
poi la guardò con occhi annebbiati. «Ricompensa?» ripeté con voce aspra. «A voi e a me, sì. I Seguleh, presumo, riceveranno una scorta vera e propria. Baaljagg e Garath verranno massacrati, naturalmente. Ecco, assaggiate questo, è delizioso. Prima dell'alba, immagino, il fuoco nelle nostre vene sarà liberato perché saluti il sorgere del sole, o roba simile, altrettanto patetica. Certo, possiamo sempre abbracciare la fede; credete che riusciremo a convincerli? Che razza di frutto è questo? Ha il sapore del calzino di un soldato. Io ne dubito; lui ha già preso la sua decisione.» «E voi gli avete dato una mano, signora.» «Davvero?» La donna sembrò pensierosa per un attimo, poi allungò la mano verso un pezzo di pane. «Non vedo come. Certo, ero irritata. Avete mai notato come si può manipolare il linguaggio per mascherare la brutalità? Ah, quale idea! Guardate i Seguleh: sono mascherati, è vero, ma parlano chiaro e tondo, no? La cosa ha un significato nascosto, non pensate? I nostri visi di carne mobile sono maestri nell'inganno; una maschera molto più sottile di quella che indossano i fratelli laggiù. Altro vino? È squisito. Gredfallan? Non ne ho mai sentito parlare. I Seguleh mostrano solo gli occhi, privi di un'espressione che li incornici, eppure comunque specchio dell'anima. Sbalorditivo. Mi chiedo chi abbia dato origine alla tradizione, e perché.» «Signora, vi prego», l'interruppe Toc. «Se hanno intenzione di eliminarci...» «Le intenzioni non contano, mio caro. Questo miele ha un sentore di trifoglio. Buono. A proposito, le pareti che ci circondano sono per lo più cave, ma non vuote. Vorreste essere così gentile da portare questi piatti di carne ai miei cuccioli? Grazie, siete un tesoro.» «Va bene», ruggì Toc. «Così, sanno che sappiamo. Cosa succederà ora?» «Non so voi, ma io sono stanca morta. Spero che i letti siano morbidi. I Pannion si interessano di comodità come gli impianti idraulici?» «Nessuno si interessa di idraulica, signora, ma sono sicuro che abbiano provveduto in qualche modo.» «Il pasto è finito! Ora, dov'è il nostro povero, piccolo monaco?» Si aprì una porta laterale, e l'uomo apparve. «Una coincidenza straordinaria. Ringraziate il vostro padrone per questo pasto, docile servo, e fateci strada, ve ne prego.» Il monaco s'inchinò, li invitò con un gesto. «Seguitemi, onorevoli ospiti. Ahimè, gli animali devono restare fuori, nel cortile.»
«Ma certo.» L'uomo s'inchinò di nuovo. Lady Invidia agitò le dita di una mano esile, e Baaljaag e Garath uscirono a balzi. «Molto ben addestrati, signora», mormorò il monaco. «Non sapete quanto», ribatté lei. Le camere da letto correvano lungo tutto un muro; piccole, quadrate, dal soffitto basso, erano prive di mobili, tranne che per strette brande dai materassi di pelli e una lanterna posata su uno scaffale, addossato a una parete. Una stanza in fondo al corridoio serviva da bagno comune; il pavimento a piastrelle si abbassava a formare pozze di varia profondità e l'acqua scorreva di continuo, fresca e pulita. Lasciando la donna alle sue abluzioni, Toc entrò nella sua camera, facendo cadere lo zaino con un sospiro. Aveva già i nervi a pezzi, e ascoltare il canto melodico di Invidia non lo aiutava di certo. Si gettò sulla branda. Dormire? Impossibile. In questo momento, i bastardi affilano i coltelli per preparare la nostra ricompensa. In un certo senso, stiamo per abbracciare la fede, ed essa ha il volto di un teschio... Aprì gli occhi di scatto, sentendo un grido improvviso, agghiacciante. Era buio: le lanterne si erano spente, o erano state tolte. Toc capì di essersi addormentato, dopo tutto; la cosa puzzava di magia. Il grido risuonò di nuovo, terminando in un gorgoglio sempre più debole. Artigli grattavano nel corridoio, fuori dalla sua stanza. Coperto di sudore ma scosso dai brividi, Toc il Giovane uscì pian piano dal letto. Con la destra, sguainò la spada di ossidiana a lama larga che Tool aveva fatto per lui, serrando l'elsa coperta di pelli; poi estrasse il coltello di ferro con la sinistra. Artigli. O ci sono dei Soletaken là fuori... oppure Baaljagg e Garath mi stanno facendo visita. Pregò silenziosamente che si trattasse della seconda ipotesi. Uno schianto lo fece sussultare; lì vicino, una parete era crollata in pezzi. Qualcuno gemette, poi strillò, all'unisono con uno schiocco di ossa. Il suono di un corpo trascinato proprio fuori dalla sua porta fece acquattare Toc a terra, le armi frementi fra le dita. Buio completo. Che cosa dovrei fare, in nome di Hood? Non vedo un accidente! La porta si staccò dall'intelaiatura; con fragore riecheggiante, essa ricadde verso l'interno... sotto il peso di un cadavere nudo debolmente illumina-
to dalla fioca luce proveniente dal corridoio. Apparve una testa massiccia, gli occhi soffusi da un debole chiarore. Toc emise un sospiro tremante. «Baaljagg», mormorò. «Sei cresciuta dall'ultima volta che ti ho visto.» L'ay, passato il breve attimo del mutuo riconoscimento, superò goffamente la porta. Toc la guardò scivolare oltre per l'intera lunghezza, prima di seguirla. Il corridoio era nel caos. Pietra infranta, brande lacerate e pezzi di carne ovunque. Le pareti erano dipinte di schizzi di sangue e di bile. Per gli dei, questa lupa ha attraversato muri di pietra spessi un braccio? E come? La testa china, gli artigli che picchiavano sul pavimento, Baaljagg si diresse al bagno. Toc si muoveva leggero nella sua scia. Prima che arrivassero, un'altra forma a quattro zampe emerse da un passaggio laterale accanto all'entrata; scura, screziata di nero e grigio, e tanto imponente da far sembrare piccola Baaljagg. Occhi simili a carboni ardenti, incastonati in una testa ampia, inzuppata di sangue, si fissarono lentamente su Toc il Giovane. Garath? La creatura aveva le spalle coperte di polvere bianca. Si spostò da una parte per far passare Baaljagg. «Garath», borbottò Toc, ben alla portata di quelle mascelle enormi, gocciolanti. «Che cosa c'era in quelle bistecche di bhederin che hai mangiato?» Quella notte l'animaletto affettuoso era sparito, cedendo il posto a un assassino dei più abili e spietati. Nei suoi occhi danzava la morte. La bestia gigantesca fece passare Toc, poi si girò e sgusciò via per dove era venuta. Una fila di candele sulla parete illuminava il bagno. Baaljagg, il naso sulle piastrelle, aggirava le pozze. L'acqua era fumante, color cremisi; attraverso la torbidezza, Toc vide quattro corpi, tutti armati, giacere sul fondo. Non poteva esserne sicuro, ma pensò che fossero stati bolliti vivi. Il Malazan si appoggiò a una parete e, in una serie di conati violenti, si liberò della cena offerta tanto gentilmente dal Seerdomin. Uno schianto lontano scosse il pavimento sotto di lui. Garath continua la sua caccia implacabile. Oh, poveri bastardi, avete invitato nel vostro tempio gli ospiti sbagliati... «Oh, eccovi qui!» Ancora in preda alla nausea, Toc si girò e vide Lady Invidia in piedi sul-
la soglia, avvolta nei candidi indumenti da notte, i capelli corvini raccolti e fermati con degli spilloni. «Quell'armatura si è dimostrata fatalmente pesante, ahimè», disse la donna, in tono di rammarico, gli occhi sui cadaveri nelle pozze; ma poi si rianimò. «Oh, bene! Venite avanti, voi due! Senu e Thurule dovrebbero aver finito con i guerrieri Seerdomin.» «Ce n'è più di uno?» chiese Toc, stupefatto. «Ce n'erano circa venti in tutto. Kahlt era il loro capitano, oltre che il Gran Sacerdote di questo tempio. Sacerdoti-guerrieri... che combinazione disgraziata. Tornate alla vostra stanza ora, mio caro. Dovete raccogliere le vostre cose; appuntamento nel cortile.» La donna partì. Barcollando nella sua scia, con Baaljagg alle calcagna, Toc tirò un respiro profondo, tremante. «Tool si è fatto vivo?» domandò. «Non l'ho visto. Comunque, non c'era bisogno di lui. Avevamo in pugno la situazione.» «Con me che russavo come un idiota!» «Baaljagg faceva la guardia per voi, amore mio. Eravate stanco, no? Su, raccogliete le vostre cose. Garath intende distruggere questo tempio...» «Già», sbottò Toc. «A proposito di Garath...» «Siete di cattivo umore al risveglio, eh, giovanotto? Non potremmo discuterne dopo?» «Benissimo», ruggì lui, entrando nella sua stanza. «Lo faremo senz'altro.» Mentre le stanze interne del tempio esplodevano in polvere, Toc stava nel cortile, a guardare i due Seguleh staccare i corpi degli abitanti del villaggio e sostituirli con quelli, appena massacrati, dei guerrieri Seerdomin. Kahlt, che esibiva un unico foro all'altezza del cuore, era fra questi. «Si è battuto ferocemente», mormorò Lady Invidia, al fianco di Toc. «La sua ascia era ovunque, eppure sembrava che Thurule si muovesse appena. Parate invisibili. Poi ha allungato una mano con noncuranza e gli ha trapassato il cuore. Uno spettacolo meraviglioso, Toc il Giovane.» «Non ne dubito», borbottò lui. «Ditemi, il Veggente sa di noi, adesso?» «Oh sì, e la distruzione di questo tempio gli darà un grande dolore.» «Ci scaglierà addosso un maledetto esercito.» «Sempre che riesca a sottrarlo alle imprese settentrionali, è probabile. Certo sentirà il bisogno di reagire in qualche modo, non foss'altro che per rallentare la nostra avanzata.»
«Tanto vale che torni indietro subito», dichiarò Toc. Lei alzò un sopracciglio. «Non avete fiducia in voi stesso?» «Signora, io non sono un Seguleh. Non sono un ay sull'orlo dell'ascendenza. Non sono un T'lan Imass. Non sono un cane tanto grande da poter fissare un Segugio dell'Ombra, gli occhi negli occhi! E non sono una strega che arrostisce uomini vivi con uno schiocco delle dita!» «Una strega! Che insulto!» La donna andò verso di lui, le braccia incrociate, gli occhi scintillanti. «Una strega! E mi avete mai visto schioccare le dita? Per l'Abisso, che idea volgare!» Lui arretrò involontariamente di un passo. «Era un modo di dire...» «Oh, state zitto!» Gli prese il viso fra le mani, attirandolo inesorabilmente a sé. Le sue labbra carnose si aprirono leggermente. Toc cercò di divincolarsi, ma i suoi muscoli sembravano dissolversi intorno alle ossa. Lei si fermò all'improvviso, l'aria torva. «No, meglio di no. Vi preferisco... libero.» Il cipiglio diventò più evidente. «Quasi sempre, cioè, anche se stamattina avete messo a dura prova la mia pazienza.» Lo lasciò andare, lo scrutò in volto per un altro attimo, poi si volse dall'altra parte con un sorriso. «Devo cambiarmi, credo. Senu! Quando hai finito, trovami i miei abiti!» Toc si riscosse lentamente. Tremava, gelato dalla comprensione istintiva ma sicura di quello che gli avrebbe fatto quel bacio. E i poeti scrivono delle catene dell'amore. Ah! Lei è l'incarnazione fisica delle loro metafore. Se il desiderio potesse avere una dea... Un turbine di polvere, e Tool si levò dal terreno accanto a lui. Il T'lan Imass girò la testa, fissò la sagoma di Mok distesa vicino alla porta esterna e disse: «Cacciatori K'ell convergono su di noi. I più vicini sono lontani ancora giorni». Sembrava che stesse per aggiungere altro, ma poi svanì di nuovo. «Visto?» Lady Invidia rimbeccò il Malazan. «Non siete contento che vi abbia spinto a dormire un po'?» Arrivarono a un incrocio segnato da due mehnir, storti e mezzi sepolti su una collinetta in mezzo alle due strade acciottolate. Geroglifici arcani, ora sbiaditi dalle intemperie, erano stati incisi sulle facce. Lady Invidia vi si piantò davanti; il mento appoggiato sulla mano, studiava le immagini. «Molto strano. La radice di questa lingua è Imari. Genostelian, sospetto.»
Toc si ripulì la fronte dalla polvere intrisa di sudore. «Che cosa dicono? Lasciatemi indovinare. "Tutti coloro che vengono qui verranno spezzati in due, scuoiati vivi, picchiati a sangue e decapitati."» Lei gli lanciò un'occhiata, alzando un sopracciglio. «Quello a destra indica la strada per Kel Tor. Quello a sinistra, per Bastione. La mondanità dei messaggi non li rende meno notevoli. Evidentemente, il Dominio di Pannion era un tempo una colonia di Genostel - i Genostelian erano lontani navigatori, mio caro. Ahimè, la loro gloria sbiadì secoli fa. Questo reperto dà la misura della loro grandezza, perché l'arcipelago di Genostel dista mezzo mondo da qui.» Con un grugnito, Toc guardò la strada in salita che portava a Bastione. «Be', forse le loro città sono sopravvissute, ma i Pannion erano una volta popoli delle colline. Barbari. Pastori. Rivali delle tribù Daru e Gadrobi. La vostra colonia fu conquistata, Lady Invidia.» «Succede sempre così, no? Una civiltà fiorisce, poi un'orda di selvaggi grugnenti con gli occhi vicini arriva a calpestarla. Che l'Impero Malazan ne prenda nota.» «"Mai ignorare i barbari"», borbottò Toc. «Parole dell'Imperatore Kellanved.» «Sorprendentemente sagge. Che cosa gli è successo?» «È stato assassinato da una donna con gli occhi vicini... ma lei era di stirpe civile. Napan... se i Napan si possono definire civili. Comunque, veniva dal cuore dell'Impero.» «Baaljagg ha l'aria inquieta, mio caro. Dovremmo riprendere il viaggio, con tutte queste lucertole non-morte a due zampe che ci corrono dietro.» «Avete sentito cos'ha detto Tool sulla loro distanza. Quanto manca a Bastione?» «Dovremmo arrivare domani sera al crepuscolo, se queste pietre miliari sono ancora precise.» Imboccarono la strada; i Seguleh li seguivano trainando il carretto. I ciottoli, pur profondamente logorati in certi punti, ora erano per lo più coperti di erba. In quella stagione c'erano stati ben pochi viaggiatori, e durante la giornata Toc non vide nessuno. Vecchie carcasse di mucche e pecore nei pascoli indicavano razzie da parte di lupi. Non c'erano pastori a occuparsi delle greggi e fra il bestiame addomesticato solo capre e cavalli potevano sopravvivere al ritorno allo stato brado. Durante una pausa di metà pomeriggio ai margini di un altro villaggio abbandonato - stavolta senza tempio - Toc controllò le armi ancora una
volta, poi cacciò un sibilo di frustrazione, fulminando con lo sguardo Lady Invidia, seduta davanti a lui. «È assurdo. Il Dominio si sta espandendo; voracemente. Gli eserciti hanno bisogno di cibo, e lo stesso vale per le città. Se la campagna non ospita altro che fantasmi, chi li rifornisce, in nome di Hood?» Lady Invidia alzò le spalle. «Non chiedetelo a me, amore mio. I problemi di equipaggiamento e provvigioni mi annoiano a morte. Forse a Bastione troveremo la risposta alle vostre insignificanti preoccupazioni.» «Insignificanti?» «Be', sì. Il Dominio si sta espandendo. Ha eserciti e città. Questi sono fatti. I dettagli sono roba da accademici, Toc il Giovane. Non dovreste occuparvi di questioni più importanti, come la vostra sopravvivenza?» Lui la fissò, poi batté lentamente le palpebre. «Lady Invidia, sono già praticamente morto; perché pensarci?» «Assurdo! Tengo troppo a voi per vedervi annientato. Dovete imparare a fidarvi di me, caro.» Toc distolse lo sguardo. «I dettagli, signora, rivelano verità nascoste. Conosci il nemico: è un principio fondamentale. Quello che si sa si può usare.» Esitò, prima di continuare. «I dettagli possono anche condurre alla fiducia, quando riguardano motivazioni e interessi di chi vuole esserci alleato.» «Ah, capisco. E cos'è che vorreste sapere?» Il Malazan incontrò lo sguardo di lei. «Che ci fate qui?» «Come, Toc il Giovane, ve lo siete dimenticato? Il vostro compagno T'lan Imass ha detto che i segreti dello Squarcio di Morn si possono scoprire solo all'interno del Dominio.» «Bella scusa, signora», ruggì lui. «Voi ci state manipolando tutti. Me, i Seguleh, persino lo stesso Tool.» Indicò il cane con un gesto. «Garath, il vostro cucciolo, potrebbe essere un Segugio dell'Ombra...» «Potrebbe», sorrise lei, «ma credo sia riluttante all'idea». «Che cosa vuol dire?» «Cedete facilmente all'esasperazione, mio caro. Se siete una foglia tremante su un fiume largo, profondo, rilassatevi e cavalcate la corrente. Ha sempre funzionato per me, ve l'assicuro. Quanto alla manipolazione, credete veramente che io abbia il potere di piegare un T'lan Imass alla mia volontà? I Seguleh sono... uhm... unici; dopo tutto, viaggiamo in armonia, per cui non è questione di costrizione.» «Non ancora, forse. Ma lo sarà, signora.»
La donna scrollò le spalle. «Infine, non ho alcun controllo su Garath o Baaljagg, ve lo garantisco.» Toc scoprì i denti. «Rimango solo io.» Lady Invidia gli posò leggermente sul braccio una mano sottile. «In questo, caro, mi comporto semplicemente da donna.» Lui respinse il tocco. «C'è della magia nelle vostre attrattive; non cercate di negarlo.» «Magia? Be', sì, potreste chiamarla così, immagino. E anche mistero, meraviglia, eccitazione. Speranza e possibilità. Il desiderio, caro, è una magia potente. E, amore mio, io non vi sono immune...» Si chinò verso di lui, gli occhi semichiusi. «Non vi imporrò il mio bacio, Toc il Giovane. Non capite? La scelta deve essere vostra, altrimenti verrete realmente reso schiavo. Che ne dite?» «È ora di andare», sbottò lui, mettendosi in piedi. «Evidentemente, non otterrò risposte oneste da voi.» «Ve le ho appena date!» ribatté lei, alzandosi a sua volta. «Basta», concluse l'uomo, raccogliendo la sua roba. «Sono stufo di questo gioco, Lady Invidia; usatelo con qualcun altro.» «Oh, come non mi piacete quando fate così!» «I vostri bronci non mi toccano», borbottò lui, avviandosi per la strada. «Perderò la pazienza, giovanotto! Mi sentite?» Toc si fermò, le lanciò un'occhiata. «Ci resta luce per poche leghe.» «Oh!» La donna pestò il piede a terra. «Somigliate tutto a Rake!» Toc allargò lentamente l'unico occhio, poi sogghignò. «Fate qualche respiro profondo, ragazza.» «Anche lui diceva sempre così! Oh, che fastidio! La solita storia; che cosa avete di storto, tutti quanti?» Lui rise, non con asprezza, ma con genuino calore. «Seguitemi, Lady Invidia. Vi annoierò con un dettagliato resoconto della mia giovinezza; ci aiuterà a passare il tempo. Nacqui su una nave, sapete, e passarono diversi giorni prima che Toc il Vecchio si facesse avanti ad ammettere la sua paternità. Mia madre era la sorella del capitano Cartheron Crust, e Crust aveva un caratterino...» Le terre appena fuori dalle mura di Bastione erano devastate. Le fattorie erano cumuli anneriti, fumanti; a entrambi i lati della strada il suolo era stato squarciato come carne lacerata da ferite. Arrivando in vista delle mura tozze della cittadina, notarono che i resti di imponenti falò punteggiava-
no i dintorni come tumuli rotondi cosparsi di cenere bianca. Nessuno percorreva quel paesaggio desolato. Fumo aleggiava sopra gli edifici squadrati, a vari piani. Sulle volute grigie cavalcavano le candide ali dei gabbiani; i loro deboli gridi furono gli unici suoni a raggiungere Toc e Lady Invidia mentre il gruppo si avvicinava alla porta della città. Il puzzo del fuoco mascherava l'odore del lago dall'altra parte dell'abitato; l'aria era calda e densa. La porta era socchiusa. Oltre l'arcata, Toc colse il guizzo di un movimento, come di una figura che passasse rapidamente, scura e silenziosa. I suoi nervi ebbero un sussulto. «Che cosa è successo qui?» si chiese ad alta voce. «Qualcosa di molto spiacevole», convenne Lady Invidia. Attraversarono l'ombra dell'arco; d'un tratto, l'aria si riempì dell'odore nauseabondo della carne che brucia. Toc sibilò fra i denti. Baaljagg e Garath - entrambi tornati a proporzioni ragionevoli - avanzarono a testa bassa. «Credo che la domanda sul sostentamento abbia una risposta molto sinistra», osservò Lady Invidia. Toc annuì. «Stanno mangiando i propri morti. A mio parere, entrare in questa città non è una buona idea.» La donna si volse verso di lui. «Non siete curioso?» «Curioso, sì, ma non suicida.» «Non temete. Andiamo a dare un'occhiata da vicino.» «Invidia...» Gli occhi di lei s'indurirono. «Se gli abitanti sono tanto stupidi da minacciarci, conosceranno la mia ira. E anche quella di Garath. Se queste vi sembrano rovine, presto riceverete una lezione di relatività, mio caro. Venite.» «Agli ordini.» «La familiarità genera impertinenza, vedo. Che peccato!» Seguiti a tre passi di distanza dai due Seguleh e dal loro inerte padrone, Toc e Lady Invidia penetrarono nella piazza. Ossa umane rotte erano impilate contro le pareti interne, alcune calcinate dal caldo, altre rosse, escoriate. Gli edifici affacciati sulla piazza erano anneriti; porte e finestre spalancate. Le ossa di vari animali - cani, muli, cavalli e buoi - giacevano all'intorno, spezzate e rosicchiate. Tre uomini, evidentemente sacerdoti, li aspettavano al centro della piazza; erano rasati di fresco, magri e pallidi nelle vesti incolori. Uno avanzò di
un passo, mentre Toc e Lady Invidia si avvicinavano. «Benvenuti, forestieri. Un accolito vi ha visto sulla strada, e noi tre ci siamo affrettati a darvi il benvenuto. Avete scelto un giorno propizio per visitare la gloriosa Bastione; ma, ahimè, questo giorno pone anche le vostre vite in grande pericolo. Cercheremo di guidarvi, aumentando la probabilità che sopravviviate ai... violenti strascichi dell'Esplosione. Se volete seguirci...» Indicò una via laterale. «All'imbocco di Viale Iltara, saremo fuori dal sentiero dell'esodo, ma ancora in grado di assistere al miracolo.» «Perfetto», commentò Lady Invidia. «Vi ringraziamo, santi uomini.» Arrivarono all'imbocco del viale in non più di cinquanta passi, ma in quel breve tempo il silenzio lasciò il posto a un mormorio crescente, a un sussurro aspro proveniente dal cuore di Bastione. Baaljagg e Garath tornarono al fianco di Lady Invidia. Senu e Thurule posarono il carretto contro la parete di un edificio ad angolo, poi si girarono di nuovo verso la piazza, le mani sulle armi. «Il respiro della Fede ha toccato i cittadini di Bastione», annunciò il sacerdote. «Arriva come una febbre... una febbre che solo la morte può placare. Tuttavia, occorre ricordare che l'Esplosione si fece sentire per la prima volta proprio qui a Bastione, quattordici anni fa. Il Veggente era tornato dalla Montagna, pronunciando le Parole della Verità, e il loro potere si propagò...» La voce gli si ruppe, per qualche emozione suscitata dal suo stesso discorso. Chinò il capo, tremando in tutto il corpo. Un altro sacerdote continuò al suo posto. «Questo fu il primo luogo in cui fiorì la Fede. Una carovana di Elingarth era accampata fuori dalle mura; i forestieri furono ricompensati in una sola notte. E il Primo Figlio del Seme Morto fu donato al mondo nove mesi dopo. Ora quel bambino è diventato adulto, e ciò ha dato un nuovo impeto alla Fede; si è verificata una seconda Esplosione, sotto il comando del Primo Figlio, Anaster. Ora lo vedrete - con la madre al fianco - guidare i suoi Tenescowri. Una guerra li aspetta nel lontano nord; l'empia città di Capustan va ricompensata.» «Santi uomini», obiettò Lady Invidia, alzando la voce per sovrastare il rombo crescente dei canti, «vi prego di perdonare la mia ignoranza. Un Figlio del Seme Morto... di cosa si tratta, esattamente?». «Il momento della ricompensa fra i maschi non credenti, signora, è spesso accompagnato da un'emissione involontaria del seme... che continua dopo che la vita si è involata. In quell'attimo, una donna può prendere in sé il seme di un cadavere sotto di lei. I figli così concepiti sono i più santi della stirpe del Veggente. Anaster è il primo a essere diventato adulto.»
«Tutto ciò», replicò lei, «è straordinario...». Per la prima volta da che la conosceva, Toc vide il suo viso pervaso da un pallore cereo. «Il dono del Veggente, signora. Un Figlio del Seme Morto porta in sé la verità visibile del bacio della vita arrecato dalla morte; è la prova vivente della Ricompensa stessa. Sappiamo che i forestieri temono la morte; ma i Fedeli no.» Schiarendosi la gola, Toc si chinò verso il sacerdote. «Una volta che i Tenescowri avranno lasciato Bastione... sono rimasti dei vivi in città?» «L'Esplosione ha carattere assoluto, signore.» «In altre parole, coloro che non hanno ceduto alla febbre sono stati... ricompensati.» «Esatto.» «E poi mangiati.» «I Tenescowri hanno dei bisogni.» A quel punto, la conversazione finì: le prime linee di una massa umana si riversarono dal viale principale, allargandosi a riempire la piazza. Alla testa c'era un giovane uomo, l'unico in sella a un cavallo, un vecchio roano da tiro con la schiena curva e morsi purulenti di insetti sul collo. Il giovane inclinò bruscamente la testa verso il punto in cui stavano Toc e gli altri; puntò un braccio lungo e sottile e urlò. Il grido era privo di parole, ma i seguaci compresero. Centinaia di individui si girarono a guardare i forestieri, poi attaccarono in un'ondata. «Oh», mormorò Lady Invidia. Il secondo sacerdote arretrò con un sussulto. «Ahimè, la nostra protezione è insufficiente. Preparatevi a ricevere la vostra ricompensa, stranieri!» E con ciò, i tre accoliti fuggirono. Lady Invidia alzò le mani e, tutt'a un tratto, ai suoi fianchi apparvero due bestie enormi, che volarono verso la folla. Corpi e sangue ricoprirono le mattonelle della piazza. I Seguleh superarono Toc con uno spintone. Senu si fermò accanto a Lady Invidia. «Sveglia nostro fratello!» gridò. «D'accordo», assentì lei. «Sicuramente anche Tool sta per apparire, ma credo che saranno troppo occupati per farsi la lotta.» Cinghie di cuoio si spezzarono mentre Mok si raddrizzava di scatto, le armi già in mano. E io sono qua, praticamente dimenticato. Toc prese una decisione. «Buon divertimento a tutti», disse, indietreggiando per la strada laterale.
Mentre l'ay e il segugio penetravano a morsi attraverso la folla urlante, Lady Invidia si girò con gli occhi spalancati. «Che cosa? Dove state andando?» «Ho abbracciato la Fede», esclamò lui. «Questa folla punta dritto verso l'esercito Malazan... anche se non lo sa ancora! E io la seguirò!» «Toc, ascoltate! Annienteremo questi patetici soldati e il pallido omiciattolo che li guida! Non occorre...» «Non distruggeteli, ve ne prego, Invidia. Apritevi un varco e basta; ho bisogno di loro.» «Ma...» «Non c'è tempo! Ho deciso. Se la fortuna di Oponn ci assiste, ci incontreremo di nuovo. Andate a trovare le vostre risposte, Invidia; io devo trovare i miei amici!» «Aspettate...» Con un ultimo sventolio del braccio, Toc corse su per la strada. Si sentì gettare in avanti da uno scoppio magico, ma non si girò. Invidia si stava scatenando. Hood lo sa, potrebbe persino aver perso la pazienza. Per gli dei, lasciane qualcuno in piedi, ragazza... Al primo incrocio che trovò, girò a destra e si ritrovò in mezzo ai contadini urlanti, diretti come lui verso l'arteria principale della città, dove scorreva la massa dei Fedeli. Aggiunse le sue grida inarticolate, simili ai suoni emessi da un muto; avanzava spinto unicamente dall'istinto. Come una foglia su un fiume largo, profondo... CAPITOLO DECIMO Madre Oscurità mise al mondo tre figli, i Primi, i Tiste Andii, erano a lei i più cari, gli abitanti della terra prima della Luce. Poi furono partoriti con dolore i Secondi, i Tiste Lians, l'ardente splendore della Luce stessa; così i Primi rinnegarono la Madre nella loro furia, e per questo furono scacciati, condannati all'esilio. Madre Oscurità, nella sua misericordia, generò i Terzi, progenie della guerra fra Oscurità e Luce, i Tiste Edur, dall'animo velato dall'ombra.
Le leggende di Kilmanar Sebun Imanan La mano lo colpì forte ma, mentre cercava di capire, lo choc svanì, lasciando un torpore bruciante che fu lieto di eludere scivolando di nuovo nell'incoscienza. Arrivò un altro schiaffo. Gruntle aprì gli occhi a fatica. «Andatevene», bofonchiò, richiudendoli. «Sei ubriaco», ringhiò Stonny Menackis. «E puzzi. Per gli dei, la coperta è intrisa di vomito. Basta, per quel che me ne importa può anche marcire: è tutto tuo, Buke, io torno alla caserma.» Gruntle sentì gli stivali allontanarsi rumorosamente, sulle assi irregolari e scricchiolanti del pavimento della squallida stanza, ascoltò la porta aprirsi con un cigolio, poi richiudersi di scatto. Sospirando, fece per girarsi e tornare a dormire. Uno straccio freddo, bagnato gli piombò sul viso. «Ripulisciti», ordinò Buke. «Mi servi sobrio, amico.» «A nessuno servo sobrio», ribatté Gruntle, respingendo lo straccio. «Lasciami stare, Buke. Proprio tu, fra tutti...» «Già, proprio io. Mettiti seduto, maledizione.» Mani lo presero per le spalle, tirandolo su. Gruntle riuscì ad afferrare Buke per i polsi, ma non aveva forza nelle braccia e dovette accontentarsi di qualche debole strattone. Il dolore gli invase la testa, picchiando dietro agli occhi chiusi. L'uomo si piegò in avanti e vomitò: bile fermentata si riversò da bocca e narici sul pavimento, in mezzo agli stivali logori. I conati si placarono. D'un tratto, sentì la testa più limpida. Sputando gli ultimi residui di vomito, assunse un'aria torva. «Lasciami subito, bastardo. Non hai il diritto...» «Chiudi il becco.» Borbottando, il capitano tuffò la testa fra le mani. «Quanti giorni?» «Sei. Hai perso la tua occasione, Gruntle.» «Occasione? Di che cosa stai parlando?» «È troppo tardi. L'Eptarca e il suo esercito di Pannion hanno attraversato il fiume. L'incursione è cominciata. Corre voce che i fortini nel tratto di terra di nessuno, oltre le mura, saranno attaccati prima della fine del giorno. Non resisteranno. Là fuori c'è un bell'esercito; veterani che hanno posto più di un assedio, sempre con successo...» «Basta. Mi stai dicendo troppo; non riesco a pensare.»
«Non vuoi, piuttosto. Harllo è morto, Gruntle. È ora di farsi passare la sbornia e piangerlo.» «Senti chi parla, Buke.» «Io ho pianto le mie lacrime, amico. Molto tempo fa.» «Sì, certo.» «Non capisci; non hai mai capito. Ho pianto, e poi le lacrime si sono asciugate. Sparite. Ora... be', ora non c'è più niente. Una grotta vasta, buia. Ceneri. Ma tu non sei simile a me; forse pensi di esserlo, ma ti sbagli.» Gruntle cercò a tastoni lo straccio bagnato che aveva lasciato cadere sul pavimento. Buke lo raccolse e glielo mise in mano. Premendolo contro la fronte martellante, il capitano gemette. «Una morte inutile, senza senso.» «Come tutte le morti. Finché i viventi non ne ricavano un significato. Che significato hai intenzione di ricavare dalla morte di Harllo, Gruntle? Dammi retta, una grotta vuota non offre alcun conforto.» «Non cerco conforto.» «Dovresti. Non esiste altro scopo degno; io lo so bene. Harllo era anche mio amico. Da come hanno descritto la scena le Spade Grigie che ci hanno trovato, tu eri a terra e lui si è comportato da amico: ti ha difeso. Ti ha coperto col suo corpo e ha preso i colpi. Ed è stato ucciso. Ma ha fatto quello che voleva: ti ha salvato la pelle. E questa è la sua ricompensa, Gruntle? Vuoi guardare il suo fantasma negli occhi e dirgli che non ne valeva la pena?» «Non avrebbe mai dovuto farlo.» «Ma non è questo il punto, no?» Il silenzio riempì la stanza. Gruntle si strofinò il viso ispido, poi alzò lentamente verso Buke gli occhi velati. Rivoli di lacrime solcavano le guance rugose del vecchio. Colto di sorpresa, questi si girò dall'altra parte. «Stonny vorrebbe ucciderti con le sue stesse mani», borbottò, andando ad aprire le imposte dell'unica finestra. La luce del sole invase l'ambiente. «Ha perso un amico, e forse ora anche un altro.» «Ne ha persi due là fuori, Buke. Quel giovane Barghast...» «Sì, è vero. Da quando siamo arrivati, abbiamo visto ben poco Hetan e Cafal. Sono sempre insieme alle Spade Grigie; credo che bolla qualcosa in pentola. Forse Stonny ne sa qualcosa di più; anche lei sta nella caserma.» «E tu?» «Sono sempre alle dipendenze di Bauchelain e Korbal Broach.» «Maledetto idiota.»
Asciugandosi il viso, Buke si staccò dalla finestra con un sorriso tirato. «Bentornato.» «Va' a buttarti nell'Abisso, bastardo.» Scesero per l'unica rampa di gradini incurvati fino al livello della strada; Gruntle si appoggiava pesantemente al magro compagno, mentre il sangue gli rombava nella testa e ondate di nausea gli attanagliavano lo stomaco vuoto. I suoi precedenti ricordi della città si erano dissolti in frammenti, ulteriormente corrotti dallo choc e da ripetute pinte di birra; si guardò intorno in preda alla perplessità. «Che distretto è questo?» chiese. «Il Distretto dei Templi, dietro al Vecchio Daru», rispose Buke. «Una strada più a nord e incontri opulenza e templi con giardini. Hai trovato l'unico brutto vicolo del quartiere e il suo unico casamento disastrato, Gruntle.» «Ci sono già stato, credo», mormorò questi, osservando gli edifici vicini. «Allora avevo qualche altra scusa, chissà quale.» «Le scuse sono abbastanza facili da trovare; me lo ricordo bene.» «Sì, lo sono; e non ho dubbi che tu lo sappia.» Il capitano abbassò lo sguardo sugli abiti, ridotti in condizioni pietose. «Ho bisogno di un bagno. Dove sono le mie armi?» «Le ha prese Stonny. Insieme a gran parte del tuo denaro. Non hai più debiti; per cui puoi volgere la schiena a tutto.» «E camminare.» «E camminare. Ti raggiungerò; alla caserma, almeno...» «Caso mai mi perda», osservò seccamente Gruntle. Buke annuì. «Be', manca ancora qualche campana agli scossoni.» «Già. E può darsi che il Destriant possa dare una mano, se glielo chiedi gentilmente.» Girarono verso sud, costeggiando il malconcio casamento popolare, e si avvicinarono ai vasti viali fra i Campi circolari, cinti da alte mura. Per le strade c'erano pochi cittadini, e quei pochi si muovevano furtivi, come scivolando su una sottile lastra di panico. Una città circondata, che aspettava le prime ferite. Gruntle sputò in un canale di scolo. «Che cosa macchinano i tuoi padroni, Buke?» «Hanno preso possesso di una proprietà abbandonata di recente; vi si
sono insediati.» La tensione improvvisa nella voce dell'amico fece rabbrividire Gruntle. «Continua.» «È per questo... che sono venuto da te. In parte. Un gruppo di guardie Gidrath ha trovato il primo corpo ieri notte, a neanche cento passi dalla nostra proprietà. Sventrati. Senza... senza organi.» «Informa il principe, Buke. Non esitare... un cancro nel cuore di una città assediata...» «Non posso.» L'uomo afferrò Gruntle per il braccio. «Non dobbiamo. Tu non hai visto di cosa sono capaci quando hanno le spalle al muro...» «Bisogna mandarli via, Buke. Lasciamo che i Pannion godano della loro compagnia, e che buon pro gli faccia. Prima, però, sganciati; magari insieme a quel vecchio domestico, Reese.» «Non possiamo.» «Sì, invece.» La stretta di Buke si intensificò, diventò dolorosa. «No», sibilò, «non possiamo!». L'aria torva, Gruntle spinse lo sguardo su per il viale, cercando di pensare. «Cominceranno ad abbattere le mura, Gruntle. Le mura esterne. Spazzeranno via centinaia di soldati, scateneranno demoni, risusciteranno i morti e ce li getteranno contro. Demoliranno Capustan per i Pannion. Ma c'è dell'altro. Considera un'altra possibilità: se saranno i Pannion a infastidirli...» «Se la prenderanno con loro», sospirò Gruntle, annuendo. «Sì. Nel frattempo, però, le vittime degli omicidi cresceranno. Guardati intorno, Buke; questa gente è vicina al panico. Cosa ci vorrà per far precipitare la situazione? Quante altre vittime? I Campi sono comunità basate sulla parentela... ogni quartiere è legato dal sangue e dai matrimoni. Questo si chiama camminare su un confine sottile...» «Non posso farlo da solo», sentenziò Buke. «Fare cosa?» «Pedinare Korbal Broach. Quando esce di notte, se potessi rovinargli la caccia, ma senza farmi notare...» «Ti ha dato di volta il cervello!» sibilò Gruntle. «È un maledetto stregone, vecchio! Fiuterà la tua presenza fin dalla prima volta!» «Se lavorerò da solo, sicuramente.» Gruntle osservò l'uomo al suo fianco; scrutò il viso magro, consunto, gli
occhi duri sopra la barba grigia, arruffata. Aveva gli avambracci punteggiati di vecchie ustioni, risalenti al mattino dopo l'incendio, quando aveva scavato tra braci e carboni nella febbrile, folle speranza di ritrovare viva la sua famiglia, da qualche parte in mezzo alle macerie. Buke abbassò lo sguardo sotto quell'esame risoluto. «Io non ho furbizia, amico», concluse, lasciando il braccio di Gruntle. «Ho bisogno di qualcuno che trovi una soluzione. Ho bisogno di qualcuno che batta in astuzia Korbal Broach...» «Non Broach. Bauchelain.» «Sì, ma non è lui che esce di notte. Bauchelain tollera i... singolari interessi di Korbal. Broach ha il cervello di un bambino... un bambino malevolo, privo di limiti. Conosco quei due ora, Gruntle; li conosco.» «Quanti altri sciocchi hanno cercato di battere in astuzia Bauchelain, mi chiedo?» «Abbastanza da riempire i cimiteri, immagino.» Gruntle annuì lentamente. «E quale sarebbe il risultato? Salvare pochi individui... perché possano farsi massacrare e divorare dai Tenescowri?» «Una morte comunque più misericordiosa, amico.» «Per Hood, Buke, lasciamici pensare.» «Ci vediamo stasera, allora. Alla caserma. Stonny...» «Stonny non deve sapere niente di tutto questo. Se mangia la foglia, inseguirà lei stessa Broach, e non in modo sottile.» «E loro l'uccideranno. Sì.» «Per gli dei, ho la testa che mi scoppia.» Buke sogghignò. «Ti serve un sacerdote.» «Un sacerdote?» «Un sacerdote con poteri da guaritore. Vieni, conosco la persona giusta.» L'Incudine-Scudo Itkovian era in piedi presso la porta della caserma, completo di armatura e di guanti di ferro; la visiera dell'elmo era alzata, ma non le protezioni per le guance. La prima campana del pomeriggio era suonata da cento battiti del cuore. Gli altri erano in ritardo, ma quella non era una novità, come non lo era la sua puntualità. Da tempo si era abituato ad aspettare Brukhalian e Karnadas; e, a quanto pareva, i due Barghast che dovevano unirsi a loro avevano lo stesso difetto. Il Consiglio Mascherato li avrebbe accolti fremendo di rabbia per quell'insulto evidente, e non sarebbe stata la prima volta.
Il disprezzo è reciproco, ahimè. Il dialogo si è deteriorato. In una situazione simile, non ci sono vincitori. E il povero principe Jelarkan è stretto fra due parti che si detestano cordialmente a vicenda. L'Incudine-Scudo aveva trascorso la mattinata sulle mura di Capustan, a esaminare il metodico insediamento dell'esercito assediante del Dominio. Stimò che l'Eptarca Kulpath avesse ricevuto il comando di dieci legioni complete di Bekliti, il corpo di fanteria regolare dall'uniforme rosso-oro e dall'elmo a punta che era il cuore delle forze del Dominio: la metà dei famigerati Centomila. Gli Urdomen di Kulpath - la fanteria pesante d'elite ammontavano ad almeno ottomila; quando fosse stata aperta una breccia nelle mura, sarebbero stati gli Urdomen a penetrare in città. In aggiunta a queste forze, c'erano i Betaklite, la fanteria media, e almeno tre ali di Betrullid, la cavalleria leggera; oltre a una divisione di Desandi - zappatori e genieri - e di Scalandi, soldati specializzati in scaramucce. In tutto, forse ottantamila unità. Al di là dei Campi dell'Eptarca, meravigliosamente organizzati, il paesaggio era una massa ribollente di umanità, che arrivava fino alle rive del fiume a sud, e alle spiagge pietrose della costa a est: i Tenescowri, con le Donne del Seme Morto, dalle chiome incolte e dalla prole selvatica, urlante; cacciatori dei vecchi e dei deboli fra i loro simili e, presto, fra gli sventurati cittadini di Capustan. Un'orda affamata, alla cui vista Itkovian aveva sentito crollare il distacco professionale con cui aveva osservato le legioni di Kulpath. Aveva lasciato le mura scosso per la prima volta in vita sua. I Tenescowri ammontavano a centomila individui, e altri arrivavano a ogni campana su zattere sovraccariche; Itkovian aveva vacillato davanti alle onde palpabili della loro brama. I soldati della Capanthall del principe, di guardia ai merloni, erano pallidi come cadaveri, silenziosi e praticamente immobili. Arrivando sulle mura, l'Incudine-Scudo era rimasto stupefatto davanti alla loro paura; quando ne era disceso, la sentiva con la stessa intensità, come un coltello freddo piantato nel petto. Le compagnie di Gidrath nelle ridotte esterne erano fortunate: la loro morte era imminente, e sarebbe arrivata per mano di soldati professionisti. Il destino di Capustan, e di coloro che la difendevano, sarebbe stato, con ogni probabilità, molto più agghiacciante. Il tenue tintinnio di armature annunciò l'arrivo dei due guerrieri Barghast. Itkovian studiò la donna alla testa. Hetan aveva il viso sporco di cenere, come pure il fratello Cafal. La maschera da lutto sarebbe durata finché l'avessero voluto; l'Incudine-Scudo sospettava che non sarebbe vis-
suto abbastanza da vedergliela togliere. Anche ricoperta di grigio, questa donna possiede una sua brutale bellezza. «Dove sono l'orso delle colline e il suo cucciolo scarno?» indagò questa. «La Spada Mortale di Fener e il Destriant sono appena emersi dall'edificio alle vostre spalle, Hetan.» Lei scoprì i denti. «Bene, andiamo a incontrare questi bizzosi sacerdoti, allora.» «Non ho ancora capito perché abbiate richiesto quest'incontro, Hetan», obiettò Itkovian. «Se volete annunciare l'arrivo imminente in nostro soccorso di tutti i clan Barghast, il Consiglio Mascherato non è il posto adatto per farlo. Inizieranno subito tentativi per manipolare voi e il vostro popolo, attirandovi in un pantano infinito, contagioso di meschini antagonismi e oziosi conflitti di volontà. Se non volete informare le Spade Grigie, allora vi incito caldamente a discuterne con il principe Jelarkan...» «Parlate troppo, lupo.» Itkovian ammutolì, stringendo gli occhi. «Fortunatamente, la vostra bocca sarà troppo occupata quando vi porterò a letto», proseguì la donna. «Ve lo garantisco.» L'Incudine-Scudo si girò verso Brukhalian e Karnadas, che arrivavano in quel momento. Li salutò. «C'è del colore sulle vostre guance, signore», osservò il Destriant. «Non si poteva dire altrettanto, quando siete tornato dalle mura.» Hetan fece una risata squillante. «Sta per giacere con una donna per la prima volta.» Karnadas alzò le sopracciglia. «E i vostri voti, Incudine-Scudo?» «Rimangono validi», ribatté il soldato, con voce aspra. «La Barghast si sbaglia.» Brukhalian grugnì. «E poi, voi non siete in lutto, Hetan?» «Essere in lutto è sentire la lenta morte di un fiore, orso delle colline. Portare a letto un uomo è ricordarne la gloria radiosa.» «Dovrete raccoglierne un altro», spiegò Karnadas, con un debole sorriso. «L'Incudine-Scudo, ahimè, ha preso i voti monastici...» «Allora si prende gioco del suo dio! I Barghast conoscono Fener, lo Zannuto; c'è fuoco nel suo sangue!» «Il fuoco della battaglia...» «Del desiderio, cucciolo scarno!» «Basta», tuonò Brukhalian. «Andiamo al Thrall, subito. Ho notizie da riferirvi e mi serve tempo per farlo. Venite.»
Uscirono dalla porta esterna della caserma, poi girarono a sinistra, attraversando il viale che costeggiava il muro meridionale della città. Gli spazi aperti di Capustan - un prodotto accidentale dei Campi staccati fra loro erano stati agevolmente trasformati in terreni di uccisione. A intervalli regolari, erano stati costruiti capisaldi, con pietra, legno e balle di fieno bagnato. Una volta aperta una breccia nelle mura, il nemico si sarebbe riversato nei viali, subendo un tiro d'infilata. Il principe Jelarkan aveva investito metà del suo tesoro in frecce, archi, baliste, mangani e altre armi. La città era percorsa da una rete difensiva, in armonia con il piano di Brukhalian in favore di una contrazione lenta, organizzata. Non cedere un solo ciottolo finché non sarà ricoperto di sangue Pannion. I pochi cittadini vestiti di colori vivaci si allontanarono dal sentiero delle Spade Grigie e dei Barghast dall'aria barbara e il viso cinereo. Brukhalian parlò. «Il Destriant e io ci siamo consultati con i Kron T'lan Imass. Bek Okhan ci ha informato che la loro offerta di alleanza riguarda solo i K'Chain Che'Malle; non intendono combattere contro mortali umani. Ha anche specificato che i Cacciatori K'ell, un'ottantina in tutto, si sono riuniti mezza lega a nord. Ne desumo che rappresentino la mossa iniziale dell'Eptarca Kulpath: un attacco alla porta settentrionale. La comparsa di creature così formidabili riempirà i nostri difensori di terrore; la porta verrà distrutta, i Cacciatori entreranno in città e comincerà il massacro. Poi Kulpath manderà avanti i suoi Urdomen, contro le altre porte. Entro il crepuscolo, Capustan sarà caduta.» S'interruppe, come rimuginando le sue stesse parole, poi ricominciò: «Senza dubbio, l'Eptarca è molto sicuro di sé. Per nostra fortuna, i Cacciatori K'ell non arriveranno mai alla porta settentrionale, perché quattordicimila T'lan Imass e chissà quanti T'lan Ay si leveranno a fermarli. Bek Okhan ci ha assicurato che l'annientamento sarà assoluto e definitivo». «Se la sua asserzione è veritiera», commentò Itkovian, mentre si avvicinavano al Vecchio Distretto Daru, «l'Eptarca Kulpath dovrà aggiustare il suo piano». «È in uno stato di grande confusione», aggiunse Karnadas. Brukhalian annuì. «Dovremo prevedere i suoi aggiustamenti.» «Non saprà che i T'lan Imass sono interessati solo ai K'Chain Che'Malle», riprese l'Incudine-Scudo. «Almeno non subito.» «E forse quella limitazione sarà solo temporanea», azzardò il Destriant. «Dopo il Raduno, i T'lan Imass potrebbero ritrovarsi diretti verso un nuovo
obiettivo.» «Che altro abbiamo saputo della Convocatrice?» «Accompagna l'esercito di Brood.» «Quanto sono lontani?» «Sei settimane.» Hetan sbuffò. «Sono lenti.» «Sono un esercito piccolo», ruggì Brukhalian. «E prudente. Non ho nulla da obiettare al ritmo che hanno scelto. L'Eptarca vuole prendere Capustan in un solo giorno, ma sa bene che il limite massimo per concludere l'assedio sono sei settimane. Una volta visto fallire il primo tentativo, rivedrà la sua strategia; probabilmente a lungo.» «Non possiamo reggere per sei settimane», mormorò Itkovian, spostando lo sguardo oltre la fila dei templi che bordavano la strada frontale del Vecchio Daru, per fissarlo infine sulle alte pareti dell'antico Maschio, divenuto il Thrall. «Dobbiamo, signore», lo rimbeccò Brukhalian. «Incudine-Scudo, diteci, ve ne prego: nella campagna di Kulpath, a Setta non c'erano K'Chain Che'Malle ad affrettare l'assedio. Quant'è durato?» «Tre settimane», rispose subito Itkovian. «Setta è una città grande, e i difensori erano uniti e ben organizzati; hanno allungato fino a tre settimane un assedio che sarebbe dovuto durarne al massimo una. Capustan, signore, è più piccola, con meno difensori; e litigiosi, per di più. Inoltre, i Tenescowri sono raddoppiati di numero dai tempi di Setta. Infine, i Bekliti e gli Urdomen sono stati affinati da un combattimento impegnativo. Sei settimane, signore? Impossibile.» «Dobbiamo rendere l'impossibile possibile, Incudine-Scudo.» Itkovian strinse la mascella, senza dir nulla. Quando giunsero in vista dell'alta porta del Thrall, Brukhalian si fermò, girandosi verso i Barghast. «Ci avete sentito, Hetan. Se i Clan del Viso Bianco dovessero prendere le lance di guerra, quanti guerrieri marceranno? E quanto presto potrebbero arrivare?» La donna scoprì i denti. «I clan non si sono mai uniti per muovere guerra ma, se lo facessero, i guerrieri del Viso Bianco ammonterebbero a settantamila.» Il sorriso si allargò, freddo e insolente. «Non marceranno adesso. Non avrete nessun aiuto. Non c'è speranza per voi.» «Il vostro popolo sarà il prossimo su cui il Dominio poserà i suoi occhi affamati», decretò Itkovian. Lei scrollò le spalle.
«Qual è allora», tuonò Brukhalian, «lo scopo di questo incontro con il Consiglio Mascherato?». «Questa è una risposta che darò solo ai sacerdoti.» «A quanto mi risulta, siete venuti a sud per scoprire la natura dei K'Chain Che'Malle.» «Non c'era motivo di rimuginare sui motivi della nostra missione, lupo: abbiamo semplicemente eseguito il primo compito affidatoci dai sapienti dei clan. Ora è tempo di eseguire il secondo. Volete presentarci a quegli sciocchi, o dobbiamo continuare da soli?» La Sala Consiliare era una camera enorme, con tre semicerchi di sedili rivolti verso l'ampia entrata. Della lamina d'oro che aveva ornato il soffitto a volta restavano solo poche chiazze. Le immagini in bassorilievo, un tempo illuminate dall'oro e ora sbiadite e quasi informi, lasciavano intravedere una processione di figure umane vestite in abiti da cerimonia. Il pavimento era coperto di mattonelle vivaci, a motivi geometrici, assai logore e disposte senza uno schema preciso intorno a un disco centrale di granito lucente. Torce appese in alto, sui muri di pietra, guizzavano di luce gialla, esalando volute di fumo sospinte qua e là dalle correnti d'aria. In piedi su entrambi i lati dell'entrata e davanti a ciascuna delle quattordici porte, schierate dietro i semicerchi, c'erano guardie Gidrath, con l'elmo dalla visiera abbassata e l'armatura a scaglie. I quattordici sacerdoti del Consiglio Mascherato sedevano in fila sul più alto dei semicerchi, cupi nelle vesti scure e silenziosi dietro le maschere scolpite, articolate, dei loro dei. Le rappresentazioni erano varie ma tutte egualmente spaventose; le espressioni mobili le rendevano quasi caricaturali, anche se, al momento, tutte erano fisse in uno sguardo neutro. Con un martellio riecheggiante degli stivali, Brukhalian si recò al centro della sala, fermandosi sull'enorme pietra da macina dall'appropriato nome di Ombelico. «Consiglio Mascherato», attaccò, «vi presento Hetan e Cafal, inviati Barghast appartenenti ai Visi Bianchi. Le Spade Grigie hanno soddisfatto la loro richiesta di un simile incontro. Ora, però, lasceremo questo consesso». Fece per indietreggiare. Rath'Dessembrae alzò una mano esile. «Un momento, vi prego, Spada Mortale», ribatté la sacerdotessa. «Non sappiamo nulla delle intenzioni dei Barghast, ma vi chiediamo di rimanere presente, perché ci sono questioni che andranno discusse al termine della riunione.» Brukhalian abbassò la testa. «Allora dobbiamo rendere chiara la nostra
distanza dai Barghast e dalla loro ignota petizione.» «Ma certo», borbottò la donna mascherata; il viso dolente del suo dio si increspò in un leggero sorriso. Itkovian guardò Brukhalian raggiungere lui e Karnadas vicino all'entrata. Hetan e suo fratello andarono a prendere posizione sulla pietra da macina. Lei studiò i sacerdoti, poi alzò la testa ed esclamò: «I Visi Bianchi sono in lutto!». Una mano si abbatté sulla ringhiera e Rath'D'rek balzò in piedi. Il viso del Verme dell'Autunno era distorto in una smorfia. «Di nuovo? Per l'Abisso, esprimete le pretese della vostra tribù in un momento del genere? Le stesse parole introduttive! La stessa dichiarazione idiota! La risposta è stata "no" la prima volta, "no" la seconda, "no" sempre e "no" sempre sarà! Questa riunione è chiusa!» «No, invece!» «Osi rivolgerti a noi con questo tono...» «Certo, larva puzzolente!» Con gli occhi sgranati, Itkovian fissò prima Hetan, poi il Consiglio. La donna Barghast allargò le braccia. «Ascoltate le mie parole! Se le ignorerete, sarà a vostro rischio e pericolo!» Suo fratello aveva attaccato un canto sommesso. L'aria turbinava intorno ai due guerrieri selvaggi. Da tutte le parti, le guardie Gidrath misero mano alle armi. Itkovian barcollò quando Karnadas lo superò con uno spintone, le vesti svolazzanti alle sue spalle. «Un momento, per favore!» gridò il Destriant. «Santi fratelli e sorelle! Vorreste vedere uccise le vostre guardie leali? Vorreste vedere lo stesso Thrall distrutto, morendo tutti quanti nel contempo? Guardate attentamente l'incantesimo sotto i vostri occhi, vi supplico! Non si tratta di semplice magia sciamanica... guardate! Gli spiriti Barghast si sono riuniti. Fratelli e sorelle, gli spiriti Barghast sono qui, in questa stanza!» Silenzio, tranne che per il tenue canto di Cafal. Brukhalian si accostò a Itkovian. «Incudine-Scudo», borbottò, «sapete niente di ciò che stiamo vedendo?». «L'idea non mi aveva neanche sfiorato», mormorò Itkovian. «Si tratta di una vecchia petizione. Non credevo...» «Che cosa chiedono?» L'uomo scosse lentamente la testa. «Riconoscimento, signore. La terra
sotto questa città appartiene ai Barghast, o così loro sostengono. A giudicare dai resoconti di riunioni passate, sono sempre stati congedati con un calcio nel sedere, più o meno. Spada Mortale, non immaginavo...» «Ascoltate ora, signore. La donna ha avuto il permesso di parlare.» In obbedienza alle parole del Destriant, i fratelli e le sorelle erano tornati a sedere, esibendo una sfilza di espressioni furibonde. Se il momento non fosse stato così carico di tensione, Itkovian avrebbe sorriso davanti alla palese... costernazione degli dei. «Così va meglio», riprese Hetan con voce stridente, scrutando sacerdoti e sacerdotesse con gli occhi stretti. «La nostra richiesta non può più essere rifiutata. Ora elencherò gli argomenti con cui, in passato, avete respinto la petizione e ripeterò le nostre risposte. Forse stavolta sceglierete di votare in modo ragionevole; in caso contrario, ricorrerò alla forza.» Rath'Hood scoppiò in una risata aspra, chinandosi in avanti. «Ricorrerai alla forza? Cara mia, questa città e tutto ciò che contiene sono forse a qualche campana dalla distruzione completa. E tu ci minacci con la forza? Sei davvero la sciocca ragazzina che sembri?» Hetan fece un sorriso feroce. «I vostri argomenti passati. I primi documenti Daru relativi a questa terra attestavano che essa era deserta, tranne che per antichi edifici, abbandonati da tempo, evidentemente di origine non Barghast. I pochi documenti posseduti dai Campi di pastori confermavano quest'idea. I Barghast vivevano al nord, sui pendii delle colline e all'interno della Catena. Sì, i sapienti facevano pellegrinaggi in questa terra, ma tali viaggi erano rari e di breve durata. Fin qui siamo d'accordo? Bene. A questi argomenti in passato abbiamo opposto una semplice obiezione: i Barghast non vivono su terreno sacro, sul luogo in cui riposano le ossa dei loro antenati. Voi abitate nei vostri cimiteri? Certo che no. E nemmeno noi. Le prime tribù Capan non trovarono altro che i tumuli dei morti Barghast; li demolirono e, con i Daru, eressero una città sul nostro terreno sacro. «Questo affronto non può essere annullato: il passato è immutabile, e non siamo tanto sciocchi da negarlo. No, la nostra richiesta era semplice: un riconoscimento formale della nostra proprietà, e il diritto di operare pellegrinaggi. «Voi l'avete respinta, ripetutamente. Sacerdoti, abbiamo esaurito la pazienza.» Rath'Tronod'Ombra fece risuonare la sua risata, gettando in alto le mani. «Ottimo! Sicuro! Fratelli e sorelle, concediamo ai Barghast tutto ciò che
vogliono! Una deliziosa ironia, regalare generosamente quello che stiamo per perdere! I Pannion onoreranno la nostra scelta?» La sua maschera si contorse in un ghigno. «Credo proprio di no.» Hetan scosse la testa. «Ho detto che abbiamo esaurito la pazienza, immane scarafaggio. La nostra passata richiesta non sta più in piedi: la città cadrà, e i Pannion non ci daranno il benvenuto. Tuttavia, il desiderio dei pellegrini Barghast va comunque soddisfatto.» Incrociò le braccia. Il silenzio si allungò. Poi Rath'Regina dei Sogni emise un ansito. Hetan la guardò dritto in faccia. «Ah, voi conoscete la verità!» L'espressione meditabonda smentita dalla nervosa agitazione del portamento e dei gesti, la sacerdotessa si schiarì la gola. «Non tutti noi. Soltanto pochi, molto pochi.» Girando la testa, osservò i fratelli e le sorelle. Rath'Burn fu la prima a reagire, cacciando un sibilo attraverso la fessura della bocca. Dopo un attimo, Rath'Hood grugnì. «Capisco. Una soluzione veramente straordinaria...» «Semplice!» sbottò Rath'Tronod'Ombra, sobbalzando sul suo sedile. «Non servono conoscenze arcane! Tuttavia, dobbiamo riflettere sulla questione! Che cosa si perde con la rinuncia? Che cosa si guadagna con il rifiuto?» «No», ribatté Hetan. «Il rifiuto non ci costringerà a difendere questa terra. Humbrall Taur, mio padre, aveva intuito la tortuosità dei vostri pensieri. Se necessario, accetteremo la nostra perdita; però, se sceglierete il rifiuto, mio fratello e io uccideremo tutti gli occupanti di questa stanza prima di andarcene. Voi potete accettare la vostra perdita?» Per un lungo attimo, nessuno parlò, poi Rath'Regina dei Sogni tossì. «Hetan, posso fare una domanda?» La donna dal viso grigio annuì. «Come farete a portar via ciò... ciò che cercate?» «Che segreto nascondete?» sbraitò Rath'Oponn. «Tu, Rath'Hood e Rath'Burn! Di che cosa state cianciando? Noialtri dobbiamo saperlo!» «Usa quel tuo cervello da gallina», lo schernì Rath'Tronod'Ombra. «Cos'è che i pellegrini vanno a onorare e a riverire?» «Uhm... reliquie? Icone?» Rath'Tronod'Ombra imitò il paziente, accondiscendente cenno di assenso di un precettore. «Benissimo, fratello. Allora, come si pone fine ai pellegrinaggi?»
Rath'Oponn fissava nel vuoto, l'espressione vacua. «Si spostano le reliquie, idiota!» gridò Rath'Tronod'Ombra. «Ma un momento!» intervenne Rath'Beru. «Ciò non implica che sappiamo dove si trovano? I tumuli non erano stati tutti rasi al suolo? Per l'Abisso, quante proprietà e quanti focolari dei Campi hanno un'urna Barghast malconcia su uno scaffale? Dobbiamo andare a perquisire tutte le case della città?» «Non ci importa nulla dei contenitori», bofonchiò Hetan. «Proprio questo è il segreto!» esclamò Rath'Tronod'Ombra rivolto a Rath'Beru, scuotendo vigorosamente la testa. «Nostro fratello e le nostre due sorelle sanno dove giacciono le ossa!» Si girò verso Rath'Regina dei Sogni. «Non è vero, mia cara? Qualche sciocco, o qualche furbone, le ha raccolte tutti quei secoli fa, depositandole in un posto; e quel posto c'è ancora, no? Spedisci a letto quella tua stomachevole ritrosia e tira fuori il malloppo, donna!» «Non essere volgare», sibilò la sacerdotessa. Itkovian smise di ascoltare il bisticcio. Fissava Hetan con acuta attenzione. Avrebbe voluto poter vedere i suoi occhi, non foss'altro che per confermare i suoi sospetti. Tremava; così leggermente che dubitava se ne fosse accorto qualcun altro. Trema... e io penso di sapere perché. Un movimento catturò il suo sguardo. Karnadas indietreggiava pian piano verso Brukhalian. Gli occhi del Destriant sembravano puntati verso i fratelli e le sorelle del Consiglio, in particolare sulla figura silenziosa, esile, di Rath'Fener, seduto all'estrema destra. La posizione della schiena e delle spalle di Karnadas - e il suo deliberato ignorare Hetan - dissero a Itkovian che il Destriant aveva avuto la sua stessa rivelazione... una rivelazione che gli faceva martellare il cuore in petto. Le Spade Grigie non c'entravano. Erano solo osservatori neutrali, ma Itkovian non poté evitare di aggiungere la sua muta supplica alla causa di Hetan. Il Destriant si fermò al fianco di Brukhalian; lanciando uno sguardo noncurante a Itkovian, incrociò i suoi occhi. L'Incudine-Scudo rispose con un leggerissimo cenno del capo. Karnadas spalancò gli occhi, poi sospirò. Sì. Un'astuta manovra da parte dei Barghast. Generazioni di pellegrini... molto prima della venuta dei Capan e dei Daru, molto prima della nascita dell'insediamento. Di norma, i Barghast non onorano i loro morti
in questo modo. No, le ossa nascoste qui - da qualche parte - non sono semplicemente quelle di un sapiente o di un capo militare. Queste ossa appartengono a qualcuno... di estremamente importante. Tenuto in tale conto che i figli e le figlie di innumerevoli generazioni visitarono la loro leggendaria ultima dimora. E questa grande verità... conduce a un'altra. Hetan trema. Gli spiriti Barghast... tremano. Erano sperduti... accecati dalla profanazione. Per tanto tempo... sperduti. Quelle santissime reliquie... e i Barghast stessi non ebbero mai la certezza che fossero qui, sepolte in questa terra, non ebbero mai nemmeno la certezza della loro esistenza. Le spoglie mortali dei loro spiriti-dei. E ora Hetan sta per trovarle. L'antico sospetto di Humbrall Taur... il suo ordine audace, anzi, pazzesco: «Trovami le ossa delle Famiglie Fondatrici, figlia». I Visi Bianchi sapevano che il Dominio li avrebbe attaccati, una volta conquistata Capustan. Ci sarebbe stata la guerra. I clan, però, non erano mai stati uniti: antiche ostilità e rivalità familiari li rosicchiavano da dentro. Humbrall Taur aveva bisogno di quelle sante reliquie, per alzarle come bandiera, per legare i clan, oltre ogni contesa. Ma Hetan è arrivata troppo tardi. Anche se vince qui, ora, è troppo tardi. Prendi le spoglie, cara, certo; ma come farai a portarle fuori da Capustan? Come farai ad attraversare fila su fila di soldati Pannion? La voce di Rath'Regina dei Sogni interruppe i suoi pensieri. «Benissimo. Hetan, figlia di Humbrall Taur, acconsentiamo alla vostra richiesta. Vi restituiamo le spoglie mortali dei vostri antenati.» Si alzò lentamente, facendo un gesto al capitano Gidrath; quando questi si avvicinò, gli sussurrò istruzioni. Dopo un attimo, la guardia annuì, uscendo dalla porta alle sue spalle. La donna mascherata si rivolse di nuovo ai Barghast. «Sarà necessario qualche sforzo per... raggiungere la tomba. Con il vostro permesso, nel frattempo vorremmo parlare con la Spada Mortale Brukhalian di questioni relative alla difesa di questa città.» Hetan si accigliò, poi scosse le spalle. «Come volete. Ma non aspetteremo a lungo.» La maschera della Regina dei Sogni si atteggiò a un sorriso. «Assisterete di persona al dissotterramento, Hetan.» La donna Barghast scese dall'Ombelico. «Avvicinatevi, Spada Mortale», tuonò Rath'Hood. «Con la spada inguainata, stavolta.»
Itkovian guardò il suo comandante obbedire, perplesso davanti all'ammonizione del sacerdote e al freddo sorriso esibito in risposta da Brukhalian. Rath'Tronod'Ombra si chinò in avanti. «Sappiate, Spada Mortale, che il Consiglio Mascherato riconosce finalmente ciò che era ovvio a voi e a me fin dall'inizio: l'inevitabile distruzione di Capustan.» «Vi sbagliate», ribatté Brukhalian, con una voce profonda che riecheggiò nella sala. «Non c'è niente di inevitabile in questo imminente assedio, a patto che presentiamo un fronte di difesa unito...» «Le ridotte esterne verranno mantenute il più a lungo possibile», sbottò Rath'Beru. «Sarà un massacro, cieco idiota!» lo rimbeccò Rath'Tronod'Ombra. «Centinaia di vite buttate via! Vite che non possiamo permetterci di perdere!» «Basta!» gridò Rath'Regina dei Sogni. «Non è questo di cui dobbiamo discutere. Spada Mortale, molti hanno assistito al ritorno della truppa dell'Incudine-Scudo, e specificamente alla comparsa di... grandi lupi. Lupi che non si vedono da...» Si aprì una porta interna, rivelando una fila di guardie Gidrath prive di armatura, munite di picca, che attraversarono l'ampio pavimento prima di spostarsi verso un lato della stanza, dove si misero a esaminare le mattonelle. Brukhalian si schiarì la gola. «Questo è un argomento, Rath'Regina dei Sogni, che riguarda il principe Jelarkan...» Solo temporaneamente distratta dall'arrivo delle guardie, la sacerdotessa si girò di nuovo verso Brukhalian. «Abbiamo già avuto un colloquio con il principe in proposito. Era restio a rivelare le sue conoscenze, e sembrava ansioso di strappare concessioni al Consiglio in cambio di informazioni. Non parteciperemo a tali volgari contrattazioni, Spada Mortale. Desideriamo conoscere la natura e il significato di quelle bestie, e voi ci fornirete delle risposte.» «Ahimè, in assenza del nostro datore di lavoro», ribatté Brukhalian, «non possiamo accontentarvi. Se il principe ci darà istruzioni in senso contrario...». Le guardie cominciarono a battere le picche contro il bordo del pavimento. Frammenti di ceramica piovvero come grandine intorno ai loro piedi. Itkovian vide Hetan muovere un passo verso gli uomini. Il canto di Cafal era scemato in un sussurro, più tenue di qualunque altro suono nella stan-
za; i suoi occhi lucenti erano fissi sugli sforzi dei Gidrath. Le ossa giacciono sotto di noi. Furono radunate qui, nel cuore del Thrall... quanto tempo fa, mi chiedo? Rath'Tronod'Ombra reagì con uno sbuffo alle parole di Brukhalian. «Andiamo; questo non ci serve a niente. Qualcuno mandi a chiamare il principe. Incudine-Scudo, fra i mercanti che avete salvato c'erano due stregoni; quei lupi non-morti erano i loro animali, forse? A quanto ci risulta, gli stregoni si sono stabiliti qui, nel Quartiere Daru. Un altro membro di quel gruppo di mercanti ha fatto lo stesso: ha acquistato una piccola villa, inoltrando richiesta di restauro al Consiglio delle Opere Cittadine. Che strana compagnia! Ci sono centomila cannibali fuori dalle mura, e questi forestieri comprano case! E tengono lupi non-morti come animali domestici! Che dite voi, Itkovian, di tutto questo?» L'Incudine-Scudo scrollò le spalle. «Il vostro ragionamento ha una certa logica, Rath'Tronod'Ombra. Quanto alle azioni di stregoni e mercanti, non riesco, ahimè, a spiegarmi il loro ottimismo. Forse fareste meglio a chiedere loro delucidazioni di persona.» «Lo farò, Incudine-Scudo, lo farò.» Le mattonelle si rivelarono attaccate a lastre di pietra più grandi, rettangolari. Le guardie erano riuscite a scalzarne una e ora la tiravano da parte, rivelando un'impalcatura di travi di legno, macchiate di pece. L'impalcatura formava una griglia, sospesa su una camera sotterranea da cui saliva aria greve, stantia. Una volta tolta la prima lastra, il procedimento di eliminazione accelerò. «Credo», osservò Rath'Hood, «che dovremmo rimandare la nostra discussione con la Spada Mortale, perché sembra che la sala perderà presto il pavimento, in risposta alle richieste di Hetan. Quando la discussione riprenderà, sarà presente il principe Jelarkan, in modo che possa tenere la Spada Mortale per mano durante il nostro interrogatorio. Nel frattempo, saremo testimoni di una scoperta storica che sta rapidamente catturando l'attenzione di tutti». «Per gli dei», borbottò Rath'Tronod'Ombra, «quanto chiacchieri, Maschera di Morte. Però ascolteremo il tuo consiglio. Svelte, maledette guardie, tirate via quel pavimento! Fateci vedere quelle ossa ammuffite!». Itkovian si avvicinò al fianco di Hetan. «Un gioco da ragazzi», mormorò. Lei respirava affannosamente per la tensione e, non fidandosi della sua voce, non osò rispondere.
Tolsero altre lastre. Lanterne in cima a pali furono trovate e approntate per l'uso ma, per il momento, l'oscurità continuava ad avvolgere tutto ciò che giaceva sotto il pavimento. Cafal andò all'altro fianco di Itkovian; aveva smesso di cantare. «Sono qui», tuonò. «Si affollano intorno a noi.» L'Incudine-Scudo fece un cenno di assenso. Gli spiriti, attirati nel nostro mondo dal canto. Sono arrivati. Avidi, bramosi. Avverto la loro presenza... Era stata aperta una grande buca, dai lati scabri ma regolari, lunga all'incirca sette passi e larga quasi altrettanto; si estendeva fino alla pietra da macina, la quale sembrava appollaiata su una colonna di granito. I sacerdoti e le sacerdotesse del Consiglio avevano abbandonato i loro posti e si avvicinavano per vedere meglio. Una figura si separò dagli altri, avviandosi verso il terzetto delle Spade Grigie. Brukhalian e Itkovian si inchinarono all'arrivo di Rath'Fener. La maschera pelosa e zannuta era priva di espressione; l'uomo rivolse a Karnadas uno sguardo incolore. «Ho spinto le mie ricerche», cominciò, in tono tranquillo, sommesso, «fino agli zoccoli del nostro Signore. Ho digiunato per quattro giorni, sono scivolato attraverso le canne e mi sono ritrovato sulla sponda intrisa di sangue del regno dello Zannuto. Quand'è stata l'ultima volta, signore, che voi avete compiuto un viaggio del genere?». Il Destriant sorrise. «E cos'avete appreso mentre eravate là, Rath'Fener?» «La Tigre dell'Estate è morta, uccisa da scagnozzi del Veggente Pannion. La sua carne marcisce su una pianura molto a sud di qui. Eppure, guardate Rath'Trake: è pervaso da un rinnovato vigore, anzi, da una gioia silenziosa.» «Sembrerebbe, allora», replicò Karnadas dopo un attimo, «che la storia di Trake non sia ancora finita». «Si tratta forse di una mossa verso lo status di divinità? Il signore della guerra è uno solo!» «Non siamo i più adatti a fare simili commenti», mormorò il Destriant. Il sacerdote mascherato sbuffò e si girò di scatto, allontanandosi. Itkovian lo guardò per un momento, poi si chinò verso Karnadas. «Siete immune allo choc e allo sgomento, signore? Conoscevate la notizia?» «Della morte di Trake?» Il Destriant alzò lentamente le sopracciglia, gli occhi ancora su Rath'Fener. «Oh, sì. Il mio collega ha viaggiato a lungo per arrivare agli zoccoli fessi di Fener; mentre io, signore, non ho mai lasciato quel luogo.» Si volse verso Brukhalian. «Spada Mortale, è arrivato il momento di smascherare questo omiciattolo pieno di boria e le sue pretese
di dominio...» «No», tuonò Brukhalian. «Puzza di disperazione, signore. Non possiamo fidarci di una creatura del genere nel nostro gregge...» Brukhalian si piantò davanti a Karnadas. «E le conseguenze di una simile azione, signore? Vorreste prendere il vostro posto nel Consiglio Mascherato?» «La cosa potrebbe avere il suo valore...» «Questa città non è casa nostra, Karnadas. Rimanere intrappolati nella sua rete è un rischio troppo grande. La mia risposta resta "no".» «Benissimo.» Le lanterne, accese, avevano iniziato una cauta discesa collettiva fra le mani delle guardie Gidrath. D'un tratto, l'attenzione generale si fissò su quel che veniva rivelato dalla luce. Il pavimento di terra della camera sotterranea distava dalle travi meno dell'altezza di un uomo. A riempire lo spazio fra i due livelli c'era la prua di legno di un'imbarcazione aperta, intagliata con maestria, coperta di pece nera, distorta dal tempo e, forse, da un antico peso di pietre e terriccio. Dalla sua posizione, Itkovian poteva vedere una ragnatela di rami che si estendeva fino a un bilanciere. Tre guardie si erano calate nella camera, con le lanterne in mano. L'Incudine-Scudo si avvicinò. L'imbarcazione, ricavata da un unico albero, giaceva appiattita nel suo alloggiamento per l'intera lunghezza, più di dieci passi. Al suo fianco, Itkovian ne distinse un'altra, identica alla prima, poi un'altra ancora. Il pavimento nascosto della Sala Consiliare del Thrall era affollato di natanti. Non si era aspettato niente di particolare, ma certamente non questo. I Barghast non sono navigatori... non più. Per gli dei dell'Abisso, queste imbarcazioni devono avere migliaia di anni. «Decine di migliaia», mormorò il Destriant al suo fianco. «Persino la magia che le conserva ha cominciato a vacillare.» Hetan si lasciò cadere agilmente accanto alla prima. Itkovian vide che anche lei era sorpresa: tese una mano incerta, lasciandola aleggiare tremante vicino al parapetto. Una delle guardie allungò la lanterna proprio sopra l'imbarcazione. Voci ansimarono. L'imbarcazione era piena di corpi, impilati a casaccio; tela olona macchiata di rosso, avvolta separatamente intorno a ogni arto, li ricopriva da capo a piedi. A quanto pareva, sotto l'involucro non c'era traccia di dissec-
cazione. Rath'Regina dei Sogni prese la parola. «I primi scritti del nostro Consiglio descrivono il ritrovamento di tali canoe... nella maggior parte dei tumuli demoliti durante la costruzione di Capustan. Ognuna conteneva solo qualche corpo, come quelli che vedete qui, e quasi tutte si disintegrarono durante il tentativo di rimuoverle. Tuttavia, ai morti fu tributato un certo rispetto: i cadaveri che non erano stati involontariamente distrutti nel corso degli scavi furono raccolti e risotterrati dentro le imbarcazioni rimaste. Sotto di noi», proseguì, fendendo il silenzio, «ci sono nove canoe, e oltre sessanta corpi. A quel tempo, gli studiosi ritennero che quei tumuli non fossero Barghast; credo che capiate perché arrivarono a quella conclusione. Noterete inoltre che i corpi sono più grandi di quelli dei Barghast, e raggiungono quasi la statura dei Toblakai; anche se bisogna ammettere che in Hetan e la sua gente ci sono indubbiamente tratti Toblakai. Personalmente, credo che i Toblakai, i Barghast e i Trell discendano tutti dallo stesso ceppo, e che i Barghast abbiano più sangue umano delle altre due razze. Ho poche prove a sostegno della mia opinione, a parte l'osservazione delle caratteristiche fisiche e dei costumi di vita». «Questi sono i nostri Spiriti Fondatori», annunciò Hetan. «La verità grida dentro di me; la verità mi serra il cuore con dita di ferro.» «Stanno trovando il loro potere», tuonò Cafal, dal margine della buca. Karnadas annuì e confermò sommessamente: «Sì. Provano gioia e dolore... un'esaltazione temperata dal dispiacere per i compagni ancora sperduti. Incudine-Scudo, stiamo assistendo alla nascita di dei». Itkovian raggiunse Cafal, posandogli una mano sulla spalla. «Signore, come farete a portare via questi resti dalla città? I Pannion considerano loro nemici giurati tutti gli dei diversi dal loro. Cercheranno di distruggere ciò che avete trovato.» Il Barghast puntò gli occhi piccoli e duri sull'Incudine-Scudo. «Non abbiamo risposta, lupo. Non ancora. Ma non abbiamo nemmeno paura: non più e mai più.» Itkovian annuì lentamente. «È una bella sensazione», replicò, con piena comprensione, «ritrovarsi nell'abbraccio del proprio dio». Cafal scoprì i denti. «Dei, lupo. Ne abbiamo molti. I primi Barghast che vennero in questa terra, i primissimi.» «I vostri antenati sono ascesi.» «Proprio così. Ora, chi oserà sfidare il nostro orgoglio?» Questo resta da vedere, ahimè.
«Hai delle scuse da fare», esordì Stonny Menackis, uscendo dal cerchio delle esercitazioni e prendendo una pezza per asciugarsi il sudore dalla faccia. Gruntle sospirò. «Sì, mi dispiace, ragazza...» «Non a me, idiota. Non ha senso che ti scusi per quello che sei e che sempre sarai, no?» La donna si fermò a esaminare la stretta lama del suo stocco, corrugò la fronte davanti a una tacca vicino al bordo, a una spanna dalla punta, e lanciò un'occhiata alla recluta delle Spade Grigie che, ancora nel cerchio, aspettava un nuovo avversario. «Quella là è una novellina, ma impara in fretta. Le scuse, balordo, le devi a Padron Keruli...» «Non è più il mio padrone.» «Ci ha salvato la pellaccia, Gruntle; anche la tua, per quanto indegna.» Incrociando le braccia, l'uomo alzò un sopracciglio. «Oh, e come avrebbe fatto? È crollato al primo attacco; ed è buffo, ma non mi sembra di aver visto nessun lampo, nessun'esplosione da parte del suo Dio Antico, del suo crudele Signore...» «Siamo tutti andati a terra, sciocco. Eravamo spacciati. Ma quel sacerdote ci ha strappato le anime: per quanto potevano avvertire quei K'Chain Che'Malle, eravamo morti. Non ricordi di aver sognato? Sognato! Siamo stati tirati dritti nel canale di quel Dio Antico. Io rammento ogni dettaglio...» «Credo di essere stato occupato a morire per davvero...» sbottò Gruntle. «Sì, è vero, e Keruli ti ha salvato. Porco irriconoscente. Un attimo ero sballottata qua e là da un K'Chain Che'Malle, e un attimo dopo mi sono risvegliata... da un'altra parte... con un enorme lupo fantasma che mi torreggiava sopra. E ho capito, capito subito, Gruntle, che niente avrebbe potuto superare quel lupo. Stava facendo la guardia... a me.» «Un servo del Dio Antico?» «No, lui non ha servi. Ha amici. Non so tu, ma sapere questo... capirlo come ho fatto là, con quel lupo gigante... be', un dio che si trova degli amici invece di stupidi adoratori... maledizione, Gruntle, sono sua, corpo e anima. E combatterò per lui, perché so che lui combatterà per me. I terribili Dei Antichi, bah! Mille volte meglio lui di quegli imbecilli attaccabrighe, ringhiosi, con i loro templi, i loro forzieri e i loro rituali.» Gruntle la fissò incredulo. «Probabilmente, ho ancora le allucinazioni», borbottò. «Lascia perdere me», concluse Stonny, infilando lo stocco nel fodero.
«Keruli e il suo Dio Antico ti hanno salvato la vita, Gruntle. Per cui, ora andrai da lui, ti scuserai e, se sei furbo, gli prometterai di stare al suo fianco, in tutto ciò che verrà...» «Sì, figuriamoci. Oh, certo, gli dirò scusa eccetera eccetera, ma non voglio aver niente a che fare con Dei, Antichi o no, e questo vale anche per i loro sacerdoti.» «Sapevo che non eri furbo, ma dovevo provarci comunque. Andiamo. Dove si è cacciato Buke?» «Non so bene.» «Il Dio Antico ha salvato anche lui. E Mancy. Hood sa che a quei due stregoni non importava un accidente che si salvassero. Se è furbo, abbandonerà il loro servizio.» «Be', nessuno di noi è furbo quanto te, Stonny.» «Come se non lo sapessi.» Lasciarono il cortile. Gruntle avvertiva ancora gli strascichi degli ultimi giorni, ma grazie alla pancia piena di cibo invece che di vino e birra, e alle brevi ma efficaci premure del sacerdote delle Spade Grigie, Karnadas, la sua camminata era diventata più salda e il dolore dietro gli occhi era mutato in un malessere sordo. Dovette allungare il passo per star dietro a Stonny: anche se la sua bellezza attraeva l'attenzione, il ritmo risoluto e gli sguardi torvi le aprivano un varco attraverso qualunque folla; e i pochi, timidi cittadini di Capustan si allontanavano con particolare rapidità dal suo cammino. Costeggiarono il cimitero, lasciandosi alla sinistra le bare d'argilla ritte in piedi. Davanti a loro giaceva un'altra necropoli, con tombe e urne forgiate nello stile Daru che Darujhistan aveva reso familiare a Gruntle; Stonny piegò alla sua sinistra, infilando lo stretto, accidentato passaggio fra il suo basso muro di cinta e il bordo esterno del Viale Tura'l. Venti passi più avanti c'era una piccola piazza, che attraversarono prima di raggiungere il margine orientale del Distretto dei Templi. Gruntle ne aveva abbastanza di trotterellare nella scia di Stonny come un cagnolino. «Ascolta», ruggì, «ho appena lasciato questo quartiere. Se Keruli è accampato qui vicino, perché non sei venuta a prendermi, risparmiandomi il tragitto?». «È quel che ho fatto, ma tu puzzavi come la latrina di una taverna di infimo ordine. E così che volevi farti vedere da Padron Keruli? Avevi bisogno di una ripulita, e di cibo, e non sarei stata certo io a farti da mamma.» Gruntle cedette, borbottando fra sé. Per gli dei, vorrei che il mondo fos-
se pieno di donne passive, miagolanti. Dopo un attimo, però, si accigliò. A pensarci bene, sarebbe un incubo. L'uomo deve trasformare la scintilla in fiamma, non spegnerla... «Togliti quell'aria sognante dalla faccia», sbottò Stonny. «Siamo arrivati.» Battendo le palpebre, Gruntle sospirò, poi fissò l'edificio piccolo, cadente, che stava loro davanti: blocchi di pietra bucherellati, coperti qua e là di vecchio intonaco, un tetto, percorso da travi, il cui legno antico si incurvava all'ingiù, e una porta per attraversare la quale lui e Stonny avrebbero dovuto piegare la schiena. «Tutto qua? Per il respiro di Hood, che posto pietoso.» «È un uomo modesto», ribatté Stonny con enfasi, le mani sui fianchi. «Il suo Dio Antico non ama il fasto e la pompa. E comunque, data la sua storia recente, l'ha avuto per poco.» «Storia recente?» Stonny aggrottò le sopracciglia. «Sangue va sparso per consacrare il terreno sacro del Dio Antico. Un'intera famiglia si è suicidata in questa casa, meno di una settimana fa. Keruli era...» «Felice?» «Moderatamente. Si è addolorato per quelle morti premature, certo...» «Certo.» «Poi ha fatto un'offerta.» «Naturalmente.» «A ogni modo, adesso è diventata un tempio...» Gruntle si girò di scatto verso la donna. «Aspetta un attimo. Anche se entro, non aderirò a nessuna fede, vero?» Lei fece un sorriso furbo. «Come dici tu.» «Ho detto di no. Capito? E deve capirlo anche Keruli. E quel vecchiaccio del suo dio! Nessuna genuflessione, neanche un cenno del capo verso l'altare; e se non vi va bene, resterò qua fuori.» «Rilassati, nessuno si aspetta niente da te, Gruntle. Perché dovremmo?» Lui ignorò il lampo provocatorio nei suoi occhi. «Benissimo, fammi strada, donna.» «Come sempre.» Stonny andò alla porta e la tirò verso di sé. «Misure di sicurezza locali. Non si può sfondare queste porte con un calcio: si aprono tutte verso l'esterno e sono più grandi dell'intelaiatura interna. Intelligente, eh? Le Spade Grigie si aspettano un'incursione casa per casa dopo la caduta delle mura; ma i Pannion non avranno vita facile.»
«I difensori di Capustan prevedono di perdere le mura? Che ottimismo. Siamo tutti in una trappola mortale e i trucchetti onirici di Keruli non ci aiuteranno granché quando i Tenescowri ci faranno arrosto per pranzo, non trovi?» «Siamo un po' sul depresso, eh?» «È il prezzo della lucidità, Stonny.» Si chinò per entrare, facendo segno a Gruntle di seguirla. Lui esitò, poi, con aria cupa, obbedì. Li accolse un piccolo ingresso, dalle pareti spoglie e il pavimento di argilla. Sulle pareti erano visibili qualche nicchia porta-lanterna e una fila di ganci di ferro, senza abiti appesi. Davanti a loro spiccava un'altra porta, chiusa da un lungo grembiule di cuoio. L'aria puzzava di liscivia, con una lieve sfumatura di bile. Stonny si tolse il mantello, appendendolo a un gancio. «La moglie è strisciata fuori dalla stanza principale per morire qui», spiegò. «Trascinandosi dietro le budella. Così è sorto il sospetto che il suo suicidio non fosse volontario; o forse aveva cambiato idea all'ultimo momento.» «Forse ha bussato alla porta una venditrice di latte di capra», suggerì Gruntle, «e lei voleva annullare il suo ordine». Stonny lo scrutò per un attimo, meditabonda, poi alzò le spalle. «Un po' complicata, come spiegazione, ma chissà? Potrebbe essere andata così.» Si girò di scatto, varcando la porta interna in uno svolazzo di cuoio. Con un sospiro, Gruntle la seguì. La stanza principale correva per tutta la larghezza della casa; una serie di rientranze - ripostigli e camere da letto simili a celle - punteggiava la parete posteriore, divisa in due da un arco centrale, sotto il quale un passaggio conduceva nel giardino. Panche e bauli affollavano un angolo della stanza; davanti a questi, un focolare e un tozzo forno in argilla irradiavano calore. L'aria era pervasa dal profumo del pane. Padron Keruli sedeva a gambe incrociate sul pavimento a mattonelle, alla sinistra del focolare; teneva china la testa, luccicante di sudore. Avanzando, Stonny si lasciò cadere su un ginocchio. «Padrone?» Il sacerdote alzò la testa; il viso rotondo s'increspò in un sorriso. «Ho concesso loro un nuovo inizio; ora sono in pace. Le loro anime hanno forgiato un meraviglioso mondo dei sogni; sento ridere i bambini.» «Il vostro dio è misericordioso», sussurrò Stonny. Alzando gli occhi al cielo, Gruntle raggiunse i bauli. «Grazie per avermi salvato la vita, Keruli», ruggì. «Mi spiace di non aver mostrato adeguata
riconoscenza. A quanto pare, le vostre provviste sono intatte, il che è una buona cosa. Be', ora è meglio che vada...» «Un attimo, per favore, capitano.» Gruntle si girò. «Ho qualcosa», riprese il sacerdote, «per il vostro amico, Buke. Un... aiuto... per i suoi sforzi». «Oh?» Gruntle evitò lo sguardo indagatore di Stonny. «Lì, nel secondo baule, quello piccolo, di ferro. Sì, apritelo. Vedete? Sopra la pezza di feltro grigio scuro.» «L'uccelletto di argilla?» «Sì. Vi prego, ditegli di ridurlo in polvere e di mischiarlo con acqua fredda, che sia rimasta a bollire per almeno cento battiti di cuore. Dopo di che, Buke dovrà bere la brodaglia, interamente.» «Volete che beva acqua fangosa?» «L'argilla gli allevierà il dolore allo stomaco, oltre ad arrecare altri vantaggi, che scoprirà a tempo debito.» Gruntle esitò. «Buke non si fida facilmente, Keruli.» «Ditegli che, se non lo farà, la sua preda gli sfuggirà. Agevolmente. Ditegli anche che, per raggiungere il suo scopo, deve accettare degli alleati. Dovete farlo entrambi. Io condivido le vostre preoccupazioni; e altri alleati lo troveranno, col tempo.» «Benissimo», convenne Gruntle, scrollando le spalle. Prese l'oggettino di argilla, lasciandolo cadere nella borsa appesa alla cintola. «Di cosa state parlando, voi due?» chiese sommessamente Stonny. Gruntle si irrigidì davanti al suo tono cortese, che precedeva di solito un'esplosione di rabbia, ma Keruli allargò semplicemente il sorriso. «È una questione privata, cara Stonny. Ho delle istruzioni per te; ti prego di portare pazienza. Capitano Gruntle, noi due non abbiamo più debiti. Andate in pace.» «Bene. Grazie», concluse questi, burbero. «Allora esco.» «Parleremo più tardi, Gruntle», esclamò Stonny. «Vero?» Prima dovrai trovarmi. «Certo, ragazza.» Pochi attimi dopo era fuori, e si sentiva stranamente oppresso, da nient'altro che dalla natura gentile, indulgente di un vecchio. Per un po', rimase immobile a osservare gli abitanti del luogo che correvano qua e là. Come formiche in un nido preso a calci. E il prossimo calcio sarà micidiale... Stonny lo guardò andarsene, poi si volse verso Keruli. «Dicevate di ave-
re istruzioni per me?» «Il nostro amico capitano ha davanti un sentiero difficile.» Stonny aggrottò le sopracciglia. «Gruntle non prende sentieri difficili. Al primo sentore di guai, sfreccia dall'altra parte.» «A volte non c'è scelta.» «E io che cosa dovrei fare?» «Il suo momento sta per arrivare. Ti chiedo solo di stargli vicino.» Lei fece l'aria ancora più torva. «Questo dipende da lui. Ha un talento speciale per non farsi trovare.» Keruli si girò a occuparsi del forno. «Credo», mormorò, «che il suo talento stia per abbandonarlo». Il chiarore delle torce e la luce solare bagnavano le canoe e i loro corpi avvolti nella tela. Gran parte del pavimento del Thrall era stato tolto: il pilastro di granito e la pietra da macina che gli faceva da cappello si ergevano solitari al centro della buca, con il suo ammasso di imbarcazioni schiacciate, simile al frutto di un antico uragano. Hetan stava inginocchiata, la testa china, davanti alla prima canoa. Non si muoveva da un po'. Itkovian era sceso a esaminare la situazione di persona, e ora si muoveva in mezzo ai relitti a passo guardingo, seguito da un Cafal silenzioso. L'attenzione dell'Incudine-Scudo fu attratta dalle incisioni sulle prue; anche se non ce n'erano due serie identiche, le figure mostravano una certa continuità: scene di battaglie marine, con i Barghast che, chiaramente riconoscibili nelle loro lunghe, basse canoe, combattevano un nemico singolare: una specie alta, flessuosa, dal viso angoloso e gli occhi grandi, a mandorla, a bordo di navi dalle pareti imponenti. Mentre Itkovian si accovacciava a studiare un pannello del genere, Cafal mormorò alle sue spalle: «T'isten'ur». Itkovian si girò a lanciargli un'occhiata. «Signore?» «I nemici dei nostri Spiriti Fondatori. I T'isten'ur, i Pelle-Grigia. I demoni che, nelle vecchie storie, collezionavano teste, però tenevano le vittime in vita... le teste rimanevano vigili, i corpi si agitavano senza posa. I T'isten'ur: i demoni che abitavano le ombre. Gli Spiriti Fondatori li combatterono sulle Distese Azzurre...» S'interruppe, corrugando la fronte, poi proseguì: «Le Distese Azzurre. Non sapevamo che posto fosse. I sapienti credevano si trattasse del nostro Regno Natale; e ora... era il mare, gli oceani».
«Proprio il Regno Natale dei Barghast, allora.» «Sì. Gli Spiriti Fondatori cacciarono i T'isten'ur dalle Distese Azzurre, respinsero i demoni nel loro mondo sotterraneo, la Foresta delle Ombre; un regno situato, si diceva, nell'estremo sud-est...» «Un altro continente, forse.» «Forse.» «State scoprendo la verità dietro le vostre leggende più antiche, Cafal. A Elingarth, la mia patria, molto a sud di qui, girano storie di un lontano continente nella direzione da voi indicata. Una terra, signore, di sequoie e abeti giganteschi; una foresta ininterrotta, con i piedi nascosti nell'ombra e popolata di spettri micidiali. «Come Incudine-Scudo», riprese Itkovian dopo un attimo, riportando l'attenzione sulle incisioni, «sono tanto studioso quanto guerriero. T'isten'ur: un nome dalle associazioni curiose. I Tiste Andii, gli Abitanti dell'Oscurità. E, citati più raramente, con spauriti bisbigli, i loro sinistri parenti, i Tiste Edur, dalla pelle scura, ritenuti estinti; con sollievo generale, perché il loro nome è avvolto nel terrore. T'isten'ur: la prima occlusiva gioitale implica un tempo passato, vero? Tlan, ora T'lan; la vostra lingua è parente di quella degli Imass. Parente stretta. Ditemi, capite il Moranth?». Cafal grugnì. «I Moranth parlano la lingua dei sapienti Barghast: la lingua sacra, la lingua sorta dalla fossa oscura da cui ebbero origine ogni pensiero e ogni parola. I Moranth si dichiarano parenti dei Barghast: ci chiamano la loro Stirpe Caduta. Ma sono loro a essere caduti, non noi. Loro ad aver trovato una foresta ombrosa in cui vivere. Loro ad aver abbracciato le alchimie dei T'isten'ur. Loro ad aver fatto la pace con i demoni molto tempo fa, una pace suggellata dallo scambio di segreti, prima di ritirarsi nelle loro fortezze montane e di nascondersi per sempre dietro le maschere di chitina. Non chiederci più dei Moranth, lupo. Sono caduti e non mostrano pentimento.» «Benissimo, Cafal.» Itkovian si raddrizzò lentamente. «Ma il passato si rifiuta di restare sepolto, come vedete qui. Il passato nasconde verità tormentose, verità spiacevoli oltre a quelle felici. Una volta iniziata l'opera di disvelamento... non si torna indietro, signore.» «Questo lo capisco», ringhiò il guerriero Barghast. «Come ci ha avvisato mio padre, nel successo troveremo i semi della disperazione.» «Mi piacerebbe incontrare Humbrall Taur, un giorno», mormorò Itkovian. «Mio padre può schiacciare il petto di un uomo con il suo abbraccio;
può brandire spade ricurve in entrambe le mani e uccidere dieci guerrieri nello spazio di pochi battiti di cuore. Eppure, ciò che i clan maggiormente temono nel loro comandante è la sua intelligenza. Dei suoi dieci figli, Hetan è quella che più gli assomiglia da questo punto di vista.» «Parla con franchezza quasi brutale.» Cafal grugnì. «Come nostro padre. Vi avverto, Incudine-Scudo, ha puntato la sua lancia nella vostra direzione. Non le sfuggirete. Vi porterà a letto malgrado tutti i vostri voti, e da quel momento le apparterrete.» «Vi sbagliate, Cafal.» Il Barghast scoprì i denti limati senza ribattere. Anche tu hai l'intelligenza di tuo padre, Cafal, nel distogliermi abilmente dagli antichi segreti dei Barghast con un altro audace assalto al mio onore. Una decina di passi alle loro spalle, Hetan si alzò, girandosi verso l'anello di sacerdoti e sacerdotesse schierati lungo il bordo del pavimento. «Potete rimettere a posto le lastre di pietra. L'asportazione dei resti degli Spiriti Fondatori deve aspettare...» Rath'Tronod'Ombra sbuffò. «Fino a quando? Fino a che i Pannion avranno finito di distruggere la città? Perché non chiedete a vostro padre di condurre qui i clan dei Barghast? Fategli spezzare l'assedio, e poi voi e la vostra gente potrete portar via queste ossa in pace e con la nostra benedizione!» «No. Combattete da soli la vostra guerra.» «Dopo averci annientato, i Pannion vi divoreranno!» gridò Rath'Tronod'Ombra. «Siete degli sciocchi! Voi, vostro padre, i vostri clan! Tutti quanti!» Hetan fece un largo sorriso. «È panico quello che vedo sul viso del tuo dio?» Di colpo, il sacerdote raddrizzò le spalle, replicando con voce aspra: «Tronod'Ombra non conosce il panico». «Ma l'uomo mortale dietro la facciata, evidentemente, sì», concluse Hetan, con un sogghigno di trionfo. Sibilando, Rath'Tronod'Ombra si voltò di scatto e uscì rapidamente dalla sala, aprendosi un varco fra i compagni con uno scalpiccio di sandali. Hetan risalì dalla buca. «Qui ho finito. Cafal! Torniamo alla caserma.» Brukhalian si piegò per aiutare Itkovian a uscire; mentre l'IncudineScudo si rialzava, la Spada Mortale lo tirò verso di sé. «Accompagnate quei due», mormorò. «Hanno in mente un piano per l'asportazione delle...»
«Forse», lo interruppe Itkovian, «ma, francamente, signore, non vedo quale potrebbe essere». «Scopritelo, allora», gli ordinò Brukhalian. «Lo farò.» «Con qualunque mezzo, Incudine-Scudo.» Itkovian incrociò gli occhi scuri dell'uomo. «Signore, i miei voti...» «Io sono la Spada Mortale di Fener. Questa richiesta di conoscenza non viene da me, ma dallo Zannuto stesso. Ed è una richiesta nata dalla paura. Il nostro dio, signore, è pieno di paura. Capite?» «No», sbottò Itkovian. «Non capisco. Ma ho sentito il vostro ordine, e obbedirò.» Lasciando il braccio dell'Incudine-Scudo, Brukhalian si girò leggermente a guardare Karnadas, che stava accanto a loro pallido e immobile. «Contattate Ben lo Svelto, con qualsiasi mezzo...» «Non sono sicuro di poterlo fare», replicò il Destriant, «ma proverò, signore». «Quest'assedio», ruggì Brukhalian, gli occhi velati da qualche visione interiore, «è un fiore insanguinato, che prima della fine del giorno sboccerà sotto i nostri occhi. E afferrando lo stelo, ne scopriremo le spine...». I tre uomini si girarono all'arrivo di un sacerdote Rath'. Occhi calmi, sonnolenti, erano visibili dietro la maschera felina, a strisce. «Signori», annunciò l'uomo. «Ci aspetta una battaglia.» «Ma davvero», lo rimbeccò seccamente Brukhalian. «Non ce n'eravamo accorti.» «I nostri Signori della guerra si troveranno nel suo cuore violento. Il Cinghiale. La Tigre. Un Ascendente in pericolo, e uno spirito che sta per risvegliarsi alla piena deità. Non vi chiedete chi riguarda veramente questa guerra? Chi è che osa incrociare le spade con i nostri Signori? Ma in questa storia c'è qualcosa di ancora più curioso... quale volto nascosto sta dietro la fatidica ascensione di Trake? A che servono, in verità, due dei della guerra? Due Signori dell'Estate?» «Non si tratta di un titolo esclusivo», osservò con enfasi il Destriant. «Non abbiamo mai obiettato al fatto che Trake lo condividesse.» «Non siete riuscito a nascondere il vostro allarme davanti alle mie parole, Karnadas, ma lascerò correre. Ho un'ultima domanda, tuttavia. Quando, mi chiedo, deporrete Rath'Fener, com'è vostro diritto in quanto Destriant di Fener, titolo che da mille anni nessuno detiene legittimamente... nessuno tranne voi, naturalmente; e, tra parentesi, perché Fener ha deciso di ripri-
stinare quella suprema posizione proprio ora?» Dopo un attimo, l'uomo scrollò le spalle. «Ah, be', lasciamo perdere. Rath'Fener non è alleato vostro, né del vostro dio; lo saprete sicuramente. Avverte la minaccia che costituite per lui, e farà tutto quanto è in suo potere per spezzare voi e la vostra compagnia. Se doveste aver bisogno di assistenza, rivolgetevi a me.» «Eppure proclamate voi stesso e il vostro Signore nostri rivali, Rath'Trake», ruggì Brukhalian. La maschera si contorse in un sorriso tagliente. «Così pare soltanto, per il momento, Spada Mortale. Adesso mi congederò da voi; addio, amici.» Trascorse un lungo momento di silenzio, mentre le tre Spade Grigie guardavano il sacerdote Rath' allontanarsi a grandi passi; poi Brukhalian si riscosse. «Andate a svolgere il vostro compito, Incudine-Scudo. Destriant, vorrei scambiare ancora qualche parola con voi...» Turbato, Itkovian si girò e partì sulle orme dei due guerrieri Barghast. La terra si è mossa sotto i nostri piedi. Siamo privi di equilibrio, prossimi a uno scontro sanguinoso; il pericolo ci circonda da tutti i lati. Zannuto, ti supplico, liberaci dall'incertezza. Non è questo il momento... CAPITOLO UNDICESIMO La tanto vantata abilità militare Malazan di adattarsi a qualunque stile bellico presentato dall'avversario era, in realtà, superficiale. Dietro all'illusione della malleabilità, restava una ferma certezza nella supremazia del metodo imperiale. A contribuire a tale immagine di flessibilità, c'erano la forte capacità di recupero della struttura militare Malazan e una solida base offerta dalla profonda conoscenza, unita all'analisi penetrante, di numerose e disparate tattiche di guerra. Riassunto (Parte XXVII, Libro VII, Vol. IX) delle tredici pagine del trattato di Temul, «La guerra dei Malazan» Enet Obar (L'inanimato) Il cilicio di Spindle aveva preso fuoco. Gli occhi lacrimanti, tossendo per il puzzo terribile, Picker guardò l'esile mago rotolarsi avanti e indietro
sul suolo polveroso accanto al focolare. Serpentine di fumo irradiavano dai capelli bruciacchiati, scintille accompagnate da imprecazioni salivano nell'aria notturna. Dal momento che tutti gli altri erano troppo occupati a ridere, il caporale tese una mano verso una borraccia, e se l'infilò fra le ginocchia. Togliendo il tappo e premendo le cosce una contro l'altra, innaffiò Spindle con il getto dell'acqua, finché non sentì levarsi dei sibili. «Va bene, va bene!» gridò il mago, agitando le mani sudice. «Basta! Sto annegando!» Scosso dal suo accesso di ilarità, Hedge si era avvicinato pericolosamente alle fiamme. Picker allungò un piede munito di stivale e gli mollò un calcio. «Datevi una calmata, tutti quanti», sbottò. «Prima che vada arrosto l'intero squadrone. Per il respiro di Hood!» Nel buio al suo fianco, si udì la voce di Blend. «Stiamo morendo di noia, caporale: ecco il problema.» «Se la noia fosse fatale non ci sarebbe un solo soldato in vita a questo mondo, Blend. Come scusa non regge. Il problema è semplice: a cominciare dal sergente laggiù, questo maledetto squadrone è composto solo da pazzi.» «Tranne te, naturalmente...» «Mi stai leccando gli stivali sporchi di sterco? Mossa sbagliata. Io sono più pazza di voialtri; altrimenti, me ne sarei già andata da molto tempo. Per gli dei, guarda questi idioti. Abbiamo un mago che indossa i capelli della madre morta, e ogni volta che apre il suo canale veniamo attaccati da talpe ringhiose. Abbiamo uno zappatore con ustioni permanenti, la cui vescica deve essere un canale di per sé: non l'ho visto sgattaiolare via una sola volta, e siamo in questo accampamento ormai da tre giorni. Abbiamo una donna Napan inseguita da un bhederin selvatico, il quale o è cieco, o vede in lei più di quello che vediamo noi. E poi c'è un guaritore che si è scottato al sole così gravemente da farsi venire la febbre.» «Lascia pure stare Antsy», mormorò Blend. «Il sergente starebbe al primo posto in qualunque lista di lunatici.» «Non avevo finito. Abbiamo una donna cui piace avvicinarsi di soppiatto ai suoi amici. E per concludere», aggiunse, con un ringhio sommesso, «c'è il caro vecchio Antsy. Ha la testa bacata, quello. È convinto che gli dei in persona abbiano rapito Ben lo Svelto e che, in qualche modo, sia tutta colpa sua, del sergente stesso». Picker infilò un dito sotto gli anelli da braccio, e la sua espressione si incupì. «Come se agli dei importasse un accidente di Ben lo Svelto, per non parlare del sergente. Come se badasse-
ro a noi e a quel che facciamo.» «Gli anelli di Treach ti danno fastidio, capitano?» «Sta' attenta, Blend», bofonchiò Picker. «Non sono dell'umore giusto.» Triste e bagnato, Spindle si stava tirando in piedi. «Una scintilla perversa!» sibilò. «Mi ha attaccato come un demone fiammeggiante... spiriti maligni si aggirano qua attorno, ascoltate le mie parole.» «Ascoltarle?» sbuffò Picker. «Le inciderò sulla tua lapide, Spindle, lo giuro su Hood!» «Per gli dei, che puzza!» imprecò Hedge. «Dubito che nemmeno un Barghast sporco di grasso oserebbe avvicinarsi a te! Secondo me, dovremmo votare; l'intero squadrone, intendo. Votare per strappare quel disgustoso cilicio dalla schiena pustolosa di Spindle e seppellirlo da qualche parte; idealmente, sotto qualche tonnellata di macerie. Che ne pensi, sergente? Ehi, dico a te, Antsy!» «Ssst!» sibilò il sergente; seduto al margine del bagliore del fuoco, teneva lo sguardo fisso nel buio. «C'è qualcosa là fuori!» «Se è un'altra talpa arrabbiata...» cominciò Picker. «Io non ho fatto niente!» proruppe Spindle. «E nessuno seppellirà la mia camicia, non finché vivrò, almeno. Per cui scordatelo, zappatore! Inoltre, in questo squadrone non si vota. Dio solo sa cosa Whiskeyjack lasciava fare a voi idioti nel Nono, ma non siete più nel Nono, no?» «Sta' zitto!» ringhiò Antsy. «Là fuori c'è qualcosa! Qualcosa che si aggira annusando!» Una sagoma enorme si profilò proprio davanti al sergente, che cacciò un grido e balzò all'indietro; la sua ritirata fitta di borbottii per poco non lo fece cadere nel fuoco. «È quel bhederin selvatico!» gridò Hedge. «Ehi, Detoran! È arrivato il tuo innamorato! Ahia! Con cos'è che mi hai appena colpito, donna? Con una mazza? Una maledetta... con il pugno? Bugiarda! Antsy, questa soldatessa mi ha quasi rotto la testa! Non sa stare allo scherzo... ahia! ahia!» «Lascialo stare», ordinò Picker. «Qualcuno mandi via quella bestia...» «Voglio vedere come», ridacchiò Blend. «Duemila libbre di corna, zoccoli e pisello...» «Basta», ribatté Picker. «Ci sono orecchie delicate in ascolto, ragazza. Guarda, hai fatto arrossire Detoran mentre stendeva Hedge a suon di pugni.» «Quel colorito viene dallo sforzo, caporale. Lo zappatore è bravo a scansare i colpi... oh be', quello l'ha preso in pieno.»
«Vacci piano, Detoran!» urlò Picker. «Già non vede più quello che fa; meglio che cominci a sperare di non aver causato danni permanenti!» «Sì», convenne Spindle. «Il ragazzo ha delle bombe esplosive nella borsa e se non riesce a tirare diritto...» Quell'osservazione fu sufficiente a far indietreggiare Detoran, il pugno abbassato. Hedge vacillò come un ubriaco, poi si sedette con un tonfo pesante; un fiotto di sangue gli colava dal naso rotto. «Non sa stare allo scherzo», borbottò, attraverso le labbra gonfie. Un attimo dopo, perse i sensi. «Grandioso», commentò Picker. «Se domattina non sarà rinvenuto e dovremo marciare, indovina chi tirerà il carretto, Detoran?» Il donnone aggrottò le sopracciglia e si girò a cercare la sua biancheria da letto. «Chi è ferito?» esclamò una voce acuta. Alzando lo sguardo, i soldati videro Mallet, avvolto in una coperta, entrare barcollando nel chiarore del fuoco. «Ho sentito rumore di pugni.» «Il gamberone bollito è sveglio», osservò Spindle. «Basta pisolini sulle colline assolate, eh, guaritore?» «È Hedge che sta male», spiegò Picker. «Ha fatto spaventare Detoran. È steso là, vicino al fuoco... lo vedi?» Mallet annuì e raggiunse Hedge zoppicando. «Il tuo quadretto era allarmante, caporale.» Si accovacciò e cominciò a esaminare il compagno. «Per il respiro di Hood! Naso schiacciato, mascella rotta... e c'è anche una commozione cerebrale: ha vomitato senza accorgersi.» Fulminò Picker con lo sguardo. «Nessuno ha pensato a bloccare questo piccolo litigio?» Con un grugnito sommesso, il bhederin si allontanò nel buio. Mallet girò la testa di scatto. «Per lo zoccolo di Fener, cos'era quello?» «Il rivale di Hedge», mormorò Blend. «Probabilmente, ha visto abbastanza da voler tentare la fortuna altrove.» Con un sospiro, Picker si mise comoda, guardando Mallet occuparsi dello zappatore svenuto. Lo squadrone non promette molto bene. Antsy non è Whiskeyjack, Spindle non è Ben lo Svelto e io non sono il caporale Kalam. Il Nono era il meglio del meglio fra gli Arsori di Ponti. Intendiamoci, Detoran è certamente all'altezza di Trotts... «Quel mago farebbe meglio a comparire presto», bofonchiò Blend dopo un po'. Picker annuì nel buio, poi disse: «Forse il capitano e gli altri sono già con i Visi Bianchi. Forse Ben lo Svelto e noi arriveremo troppo tardi per
fare alcuna differenza nell'esito...». «Non faremo nessuna differenza comunque», intervenne Blend. «Quello che vuoi dire è che ci perderemo lo spettacolo.» «Il che potrebbe essere un bene.» «Cominci a parlare come Antsy.» «Già... be', la situazione non è troppo rosea», dichiarò Picker a bassa voce. «Il miglior mago della compagnia è svanito nel nulla. Aggiungi un capitano inesperto, di famiglia nobile, e l'assenza di Whiskeyjack e capirai che non siamo più la compagnia di una volta.» «Non dai tempi di Pale, sicuramente.» Ricordando il caos e l'orrore nei tunnel il giorno dell'Infilata, il caporale fece una smorfia. «Traditi dai nostri, la cosa peggiore che possa succedere, Blend. Posso accettare di cadere sotto le spade o il fuoco magico dei nemici, o di essere fatta a pezzi dai demoni. Ma che uno dei tuoi sfoderi il coltello quando gli giri la schiena...» Sputò nel fuoco. «Siamo rimasti spezzati», commentò Blend. Picker annuì di nuovo. «Forse», riprese la donna al suo fianco, «Trotts sta perdendo il combattimento con i Visi Bianchi e il fatto di essere giustiziati tutti quanti potrebbe essere una buona cosa. Alleati Barghast o no, non aspetto questa guerra con impazienza». Picker fissò le fiamme. «Stai pensando a cosa potrebbe succedere la prossima volta che entreremo in battaglia.» «Siamo fragili, caporale. Pieni di crepe...» «Non abbiamo nessuno di cui fidarci, questo è il problema. E niente per cui combattere.» «C'è Dujek, per rispondere a entrambe le tue osservazioni.» «Già, il nostro Pugno disertore...» Blend sbuffò sommessamente. Picker le lanciò un'occhiata, corrugando la fronte. «Che cosa c'è?» «Non è un disertore», mormorò Blend. «Siamo stati tagliati fuori a causa di Brood e dei Tiste Andii: non avremmo potuto condurre le trattative altrimenti. Non ti sei chiesta, caporale, chi è quel nuovo alfiere di Unbraccio?» «Come si chiama? Arantal? Artanthos. Uh. È comparso...» «Più o meno un giorno dopo il decreto di proscrizione.» «E allora? Chi è secondo te, Blend?» «Un Artiglio di alto rango, direi. Che è qui per ordine dell'Imperatrice.»
«Hai delle prove per dimostrarlo?» «No.» Picker spostò la sua espressione accigliata verso il fuoco. «Ora, chi è che dà corpo alle ombre?» «Non siamo disertori», dichiarò Blend. «Stiamo obbedendo all'Imperatrice, caporale, malgrado le apparenze. Lo sa anche Whiskeyjack; e forse anche quel guaritore laggiù, e Ben lo Svelto...» «Vuoi dire il Nono.» «Sì.» Con aria sempre più torva, Picker si alzò e andò ad accovacciarsi accanto a Mallet. «Come sta lo zappatore, guaritore?» chiese piano. «Meglio di come sembrava a prima vista», ammise Mallet. «Una leggera commozione cerebrale. Meno male... ho problemi ad attingere al mio canale Denul.» «Problemi? Che genere di problemi?» «Non sono sicuro. Si è... guastato, in qualche modo. È stato infettato... da qualcosa. Spindle si trova nella stessa situazione con il suo. Forse è per questo che Ben lo Svelto ritarda.» Picker grugnì. «Avresti potuto dirlo subito, Mallet.» «Ero troppo occupato a guarire dalla mia scottatura solare, caporale.» Lei strinse gli occhi. «Se non è stato il sole a bruciarti, allora cos'è successo?» «Qualunque cosa abbia avvelenato il mio canale è in grado di trovarsi altre vittime. Almeno, così ho constatato io.» «Mallet», riprese Picker dopo un attimo, «corre voce che, forse, non siamo poi così proscritti come vogliono lasciarci credere Dujek e Whiskeyjack. Anzi, forse l'Imperatrice ha girato lo sguardo verso di noi». Il guaritore alzò le spalle nel chiarore del fuoco; il suo viso rotondo era privo di espressione. «Questa mi giunge nuova, caporale. Sembra una delle invenzioni di Antsy.» «Non lo è, ma quando la sentirà gli piacerà molto.» Mallet posò gli occhietti sul volto di Picker. «Ora, perché dovresti fare una cosa simile?» Picker alzò le sopracciglia. «Perché dovrei dirlo ad Antsy? La risposta è ovvia, guaritore. Mi piace vederlo in preda al panico. E poi», scrollò le spalle a sua volta, «si tratta solo di una sciocca voce, no?». Si raddrizzò. «Assicurati che lo zappatore sia in grado di marciare, domani.» «Andiamo da qualche parte, caporale?»
«Se il mago compare.» «Bene. Farò il possibile.» Artigliando con le mani energia marcia, corrotta, Ben lo Svelto si tirò fuori dal suo canale. Scosso dai conati di vomito, il mago sputò dalla bocca il sapore aspro, nauseabondo e avanzò barcollando di qualche passo, fino a riempirsi i polmoni della limpida aria notturna. Si fermò a schiarirsi i pensieri. Aveva trascorso l'ultima mezza giornata nel tentativo disperato, apparentemente infinito, di sfuggire al regno di Hood, eppure sapeva che quel canale era il meno avvelenato fra quelli da lui usati abitualmente. Gli altri l'avrebbero ucciso. Quella consapevolezza lo faceva sentire nudo: era un mago privato del suo potere, e la vasta padronanza della sua arte era diventata inutile, senza senso. L'aria fredda e pungente delle steppe lo ricoprì, asciugandogli il sudore dalle membra tremanti. Stelle brillavano sopra la sua testa. Un migliaio di passi a nord, oltre la boscaglia e i poggi erbosi, si levava una fila di colline. La luce gialla e debole di un fuoco bagnava la base della prima. Ben lo Svelto sospirò. Fin dall'inizio del suo viaggio, non era riuscito a stabilire un contatto magico con nessuno. Paran mi ha lasciato uno squadrone... migliore di quanto avrei potuto sperare. Chissà quanti giorni abbiamo perso. Dovevo dare il mio appoggio, caso mai Trotts passasse dei guai... Si riscosse e proseguì, combattendo i residui della logorante influenza del canale infettato di Hood. Questo è l'attacco del Dio Storpio, una guerra contro i canali stessi. La magia è la spada che l'abbatté; ora vuole distruggerla, lasciando i suoi nemici disarmati. Impotenti. Il mago si strinse addosso il mantello macchiato di cenere. No, non del tutto impotenti. Abbiamo la nostra intelligenza. E poi, sappiamo fiutare le finte... io, almeno. E questa è una finta... tutta la storia del Dominio di Pannion e della sua perniciosa influenza. In qualche modo, l'Incatenato ha trovato il modo di aprire le porte del Canale del Caos. Ha trovato un condotto, e forse lo stesso Veggente Pannion è inconsapevole di essere usato, di essere solo una pedina spinta avanti in una mossa iniziale, una mossa volta a saggiare la volontà, l'efficienza del suo nemico. Dobbiamo eliminare quella pedina. In fretta. Con decisione. Quando, avvicinandosi al fuoco dello squadrone, sentì un parlottio
sommesso, ebbe l'impressione di star tornando a casa. Un migliaio di teschi infilzati su pali danzavano lungo il crinale; trecce d'erba intrisa d'olio e poi incendiata creavano una criniera di fiamma sopra i ghigni di morte. Voci si alzavano e abbassavano in un canto tremulo, ripetitivo. Più vicini a Paran, giovani guerrieri combattevano con corti coltelli uncinati; ogni tanto, schizzi di sangue penetravano sfrigolando nel recinto del focolare. A quanto pareva, le rivalità avevano la precedenza su tutto. Le donne Barghast si muovevano in mezzo agli squadroni degli Arsori di Ponti, tirando soldati di entrambi i sessi verso le tende di cuoio dell'accampamento. Il capitano aveva pensato di proibire quei contatti amorosi, ma poi aveva abbandonato l'idea, in quanto irrealistica e insensata. Domani o dopodomani potremmo essere tutti morti. I clan dei Visi Bianchi si erano radunati. Tende delle tribù Senan, Gilk, Ahkrata e Barahn - e di molte altre - coprivano il fondo della valle. Paran stimò che centomila Barghast avessero obbedito all'appello lanciato da Humbrall Taur. Ma non solo. Sono venuti per rispondere alla sfida di Trotts. Lui è l'ultimo del suo clan; tatuata sul suo corpo sfregiato c'è la storia della sua tribù, una storia lunga cinquecento generazioni. È qui per rivendicare la parentela, legami di sangue stretti in origine... e altro ancora, anche se nessuno spiega precisamente cosa c'è in ballo. Bastardi taciturni. Ci sono troppi segreti in questa faccenda... Un guerriero Nith'rithal cacciò un grido gorgogliante, quando l'avversario di un clan rivale gli squarciò la gola con il coltello. Voci gridarono, imprecarono. L'uomo colpito si contorceva sul terreno davanti al focolare; la vita lo abbandonava in una pozza che si allargava lucente sotto di lui. Il suo uccisore camminava tronfio in cerchio, fra acclamazioni selvagge. Accolto dai fischi dei Barghast vicini, l'Ardito si portò al fianco del capitano, ignorando le imprecazioni. «Non siete troppo popolare», osservò Paran. «Non sapevo che i Moranth si spingessero tanto a est nel cacciare.» «Non lo facciamo», ribatté l'Ardito; la voce veniva esile e piatta da dietro l'elmo di chitina. «La nostra inimicizia è antica, nata dai ricordi, non dall'esperienza. E quei ricordi sono falsi.» «Ma davvero!? Vi consiglio di non tentare di comunicare loro la vostra opinione.» «Sarebbe inutile, capitano. Toglietemi una curiosità: questo guerriero,
Trotts... mostra abilità straordinarie in battaglia?» Paran fece una smorfia. «È uscito indenne da molte brutte zuffe. Sa difendersi, immagino. A essere onesti, non l'ho mai visto combattere.» «E gli Arsori di Ponti che l'hanno visto?» «Lo criticano, naturalmente. Però criticano tutto, per cui il loro parere non conta. Presto giudicheremo di persona.» «Humbrall Taur ha scelto il suo campione», annunciò l'Ardito. «Uno dei suoi figli.» Il capitano strinse gli occhi per scrutare il Moranth Nero nel buio. «Dove l'avete sentito? Capite la lingua Barghast?» «È parente della nostra. La notizia della scelta è sulle labbra di tutti. Il figlio minore di Humbrall Taur, ancora senza nome, ancora a due lune dalla sua Notte-di-Morte... la sua iniziazione all'età adulta. Nato con lame fra le mani. Mai sconfitto in duello, anche contro guerrieri esperti. Dal cuore duro, privo di misericordia... le descrizioni non sono finite, ma ripeterle mi stanca. Vedremo presto all'opera questo giovane formidabile; tutto il resto è fiato sprecato.» «Mi sfugge la necessità di un duello», dichiarò Paran. «Trotts non ha bisogno di rivendicare niente: la storia è scritta chiaramente sulla sua pelle. Perché dovrebbero esserci dubbi sulla sua veridicità? È un Barghast fatto e finito: basta guardarlo:» «Lui rivendica il comando, capitano. Secondo la storia della sua tribù, la sua stirpe è quella dei Primi Fondatori. Ha il sangue più puro di quello di questi clan; deve sfidarli per affermare il suo rango.» Paran fece una smorfia. Aveva le budella attorcigliate. Gli era salito in bocca un sapore acido che nessuna birra o vino riusciva a scacciare. Quando dormiva, visioni tormentavano i suoi sogni: la gelida grotta sotto la Casa Finnest, le mattonelle di pietra incise con le immagini antiche e arcane del Mazzo dei Draghi. Se, in quel momento, avesse chiuso gli occhi, soffocando la forza di volontà, si sarebbe sentito cadere nella Fortezza delle Bestie - la dimora dei T'lan Imass, con il suo trono vuoto, ornato di corna ramificate - in tutta la ricchezza e l'intensità dei suoi sensi, come se si fosse recato fisicamente in quel luogo. E in quel tempo... a meno che quel tempo non sia adesso e il trono non sia lì, in attesa... in attesa di un nuovo occupante. Fu questa l'impressione che ebbe l'Imperatore? Quando si ritrovò davanti al Trono dell'Ombra? A un solo passo dal potere, dal dominio sui terribili Segugi? «Voi non state bene, capitano.»
Paran lanciò uno sguardo all'Ardito. Il riflesso del fuoco brillava sull'armatura scura del Moranth, dando l'illusione di un paio di occhi all'altezza dell'elmo. Ma l'unica prova che dietro quel guscio di chitina stava un uomo in carne e ossa era la mano straziata che penzolava inerte dal braccio destro. Schiacciata e rinsecchita dalla stretta negromantica di uno spirito Rhivi... ora l'intero braccio è morto. Lento, ma inevitabile, il contagio continuerà la sua salita, diffondendosi alla spalla e poi al petto. Fra un anno, quest'uomo sarà morto; solo il tocco di un dio lo guarirebbe, e quante probabilità ci sono che accada? «Ho il mal di stomaco», spiegò il capitano. «Un ingannevole eufemismo», ribatté l'Ardito. Poi scrollò le spalle. «Come volete. Non indagherò oltre.» «Ho bisogno che facciate una cosa», riprese Paran dopo un attimo, stringendo gli occhi sull'ennesimo duello nel recinto del focolare. «Sempre che voi e il vostro quorl non siate troppo stanchi...» «Abbiamo riposato abbastanza», l'interruppe il Moranth Nero. «Chiedete, e sarà fatto.» Il capitano tirò un respiro profondo, poi annuì con un sospiro. «Bene. Vi ringrazio.» Una macchia di colore apparve sull'orizzonte orientale, insinuandosi fra le fenditure della catena collinare appena a sud dei Monti Barghast. Gli occhi rossi, tremante per il freddo, Paran si strinse addosso il mantello imbottito, mentre osservava i primi movimenti nell'enorme accampamento che, avvolto dal fumo, riempiva l'intera vallata. Grazie alle bandiere che si levavano sopra la disposizione apparentemente casuale delle tende - Whiskeyjack aveva dato istruzioni esaurienti - riuscì a individuare diversi clan barbarici; puntò l'attenzione soprattutto su quelli che il comandante aveva citato come potenziale fonte di guai. A un lato della Radura delle Sfide, dove Trotts e il campione di Humbrall Taur avrebbero combattuto fra breve, c'era il campo degli Ahkrata, che ammontavano a un migliaio di unità. Contraddistinti dagli anelli al naso, dalle trecce solitarie e dalle armature multicolori forgiate dai resti dei Moranth loro vittime - Verdi, Neri, Rossi e, occasionalmente, persino Dorati - erano il contingente più piccolo, avendo coperto la distanza maggiore, ma, secondo l'opinione generale, anche il più crudele. Nemici giurati del Clan Ilgres - che ora combatteva per Brood - avrebbero potuto rendere problematica la costruzione di un'alleanza.
Il rivale più valente di Humbrall Taur era il capo militare Maral Eb, il cui clan Barahn era arrivato in gran numero: oltre diecimila uomini armati, dipinti di ocra rossa e avvolti in armature di bronzo, con i capelli irti di aculei di porcospino. C'era il rischio che, se fosse sorta l'opportunità, Maral contestasse il ruolo di Humbrall; la notte appena trascorsa aveva visto oltre cinquanta duelli fra i Barahn e i guerrieri Senan dello stesso Taur. Una tale sfida avrebbe potuto scatenare una guerra generale fra i clan. Il gruppo di guerrieri più strani che Paran avesse mai visto erano forse i Gilk. Avevano i capelli tagliati a bande strette, rigide, e portavano armature ricavate dai gusci di qualche specie di tartaruga. Notevolmente bassi e tozzi per essere dei Barghast, davano al capitano l'impressione di poter reggere il confronto con qualunque fanteria pesante. Una moltitudine di tribù minori contribuiva al miscuglio caotico che costituiva la nazione dei Visi Bianchi. Dati gli antagonismi reciproci e le rivalità interne, era un miracolo che Humbrall Taur fosse riuscito a riunirli tutti quanti e a mantenere una certa pace per quattro giorni di fila. E oggi è il giorno cruciale. Anche se Trotts vince il duello, non è detto che verrà accettato completamente. Potrebbero scoppiare tumulti sanguinosi. E se perde... Paran distolse i pensieri da una simile eventualità. Una voce si levò, stridula, ad accogliere l'alba e, d'un tratto, i campi si animarono di figure silenziose. Seguì il tenue tintinnio di armi e armature, in mezzo ai latrati dei cani e ai gridi nasali delle oche. Come se la Radura delle Sfide stesse tirando un respiro invisibile, i guerrieri cominciarono a convergervi. Paran vide i suoi Arsori di Ponti radunarsi lentamente, simili a prede avvisate dal corno di un cacciatore. Trenta Malazan e rotti. Il capitano sapeva che erano decisi a prendere le armi se le cose fossero andate storte; ma sapeva anche che il combattimento sarebbe stato di breve durata. Scrutando il cielo sempre più chiaro, strinse gli occhi verso sud-ovest nella speranza di vedere il punto nero dell'Ardito e del suo quorl in rapido avvicinamento; ma niente macchiava la distesa azzurro-argento. Un silenzio profondo fra i Barghast lo avvertì di un cambiamento. Girandosi, vide Humbrall Taur aprirsi un varco in mezzo alla calca, per prendere posizione al centro della radura. Dal momento dell'arrivo, il capitano non gli si era mai trovato tanto vicino. Il guerriero era massiccio, ferino, ornato della pelle avvizzita, irta di capelli, di teste umane disossate. La cotta di monete sovrapposte brillava alla luce del mattino: la massa di denaro antico, sconosciuto, che i Senan dovevano aver trovato in un certo
momento del passato era senza dubbio enorme, dal momento che ogni guerriero della tribù portava un'armatura simile. Navi e navi cariche di quella maledetta roba. Oppure, un tempio pieno fino al soffitto. Il capo militare non perse tempo in chiacchiere. Si staccò dalla cintola la mazza ferrata e la levò al cielo, ruotando lentamente su se stesso. Tutti gli tenevano gli occhi puntati addosso; i guerrieri scelti delle tribù disposti ad anello intorno alla radura, gli altri ammassati dietro di loro, fino ai limiti della vallata. Humbrall Taur si fermò, mentre un cane sciocco attraversava lo spazio trotterellando. Un sasso ben tirato lo fece fuggire con un uggiolio. Il capo borbottò qualche parola ringhiosa, poi agitò l'arma in aria. Paran vide Trotts emergere dalla folla. Il Barghast tatuato portava l'armatura d'ordinanza dei soldati di marina: cuoio bollito, tempestato di borchie, con strisce di ferro su spalle e fianchi. L'elmo era stato preso a un ufficiale morto di Aren, a Sette Città. Para-naso e para-guance esibivano un motivo in filigrana d'argento; un camaglio proteggeva i lati e il retro del collo. Legato al braccio sinistro aveva uno scudo rotondo; un cesto munito di punte e bande di ferro difendeva la mano. Nella destra teneva uno spadone diritto, dalla punta smussata. Il suo arrivo suscitò nei Barghast brontolii sommessi, cui Trotts rispose con un ghigno sinistro, scoprendo i denti limati, macchiati di blu. Humbrall Taur lo fissò per un attimo, come se disapprovasse la scelta di aver preferito armi Malazan a quelle Barghast, poi si girò dall'altra parte, sventolando di nuovo la mazza. Il figlio più giovane emerse dal Cerchio. Paran non nutriva aspettative particolari, ma quel giovane esile, sorridente - vestito solo di calzoni di cuoio, con un unico coltello corto, ricurvo, nella mano destra - non corrispondeva a nessuna delle immagini mentali che si era fatto. Che cos'è questo? Un insulto nei nostri confronti? Oppure Taur vuole garantire la propria sconfitta, a costo della vita del figlio minore? Su ogni lato, i guerrieri cominciarono a pestare i piedi sul suolo duro, causando un picchiettio ritmico che riecheggiò per tutta la vallata. Il giovane senza nome balzò al centro dello spiazzo, davanti a Trotts; li dividevano solo cinque passi. Il sorriso del ragazzo si allargò, mentre questi squadrava l'Arsore di Ponti da capo a piedi. «Capitano», sibilò una voce accanto a Paran, che si girò. «Caporale Aimless, vero? Cosa posso fare per te? E sbrigati a parlare.»
L'espressione accigliata del soldato magro e curvo era ancora più cupa del solito. «Ci stavamo semplicemente chiedendo, signore... se questa lotta finisce male, be', insomma, io e qualcun altro abbiamo raccolto delle munizioni Moranth. Anche bombe esplosive, signore; ne abbiamo cinque sottomano. Potremmo aprirci una specie di varco... vedete quel poggio laggiù? È un buon posto, abbiamo pensato, in cui ritirarci e resistere. Quei pendii ripidi...» «Chiudi il becco, caporale», ruggì sommessamente Paran. «I miei ordini non sono cambiati. Tutti rimangano dove sono.» «Certo è una mezza cartuccia, signore, ma cosa succederà se...» «Mi hai sentito, soldato.» Aimless chinò la testa. «Sì, signore. È solo che... uhm... nove, forse dieci uomini borbottano che potrebbero fare quel che gli gira e lasciare che Hood vi prenda... signore.» Paran distolse lo sguardo dai due guerrieri immobili nella radura, incrociando gli occhi acquosi del caporale. «E tu sei il loro portavoce, Aimless?» «No! Non io, signore! Io non ho opinioni; non ne ho mai e non ne ho mai avute. Sono solo venuto a riferirvi ciò che succede negli squadroni.» «E intanto tutti quanti osservano noi due che parliamo, proprio come volevano. Tu sei la loro bocca, caporale, che ti piaccia o no. Questo è uno dei casi in cui dovrei probabilmente uccidere l'ambasciatore, non foss'altro che per liberarmi della sua stupidità.» Aimless si rannuvolò ulteriormente. «Io non ci proverei, signore», replicò lentamente. «All'ultimo capitano che ha alzato la spada su di me ho rotto il collo.» Paran alzò un sopracciglio. Che Beru mi protegga, sottovaluto persino i veri idioti di questa compagnia. «Stavolta, cerca di trattenerti, caporale», concluse. «Torna a dire ai tuoi compagni di stare fermi fino al mio segnale. Di' loro che non cederemo certo senza combattere, ma tentare una ritirata quando i Barghast più se l'aspettano ci manderà sottoterra in fretta.» «Volete che riferisca loro tutto questo, signore?» «Con le tue parole, se vuoi.» Aimless sospirò. «È facile, allora. Adesso vado, capitano.» «Bravo, caporale.» Riportando l'attenzione sulla radura, Paran vide che Humbrall Taur era andato a mettersi fra i due avversari. Parlò loro brevemente, a voce bassa, poi arretrò, alzando di nuovo la mazza sopra la testa. La danza martellante
dei guerrieri cessò. Trotts ruotò lo scudo, spostando indietro la gamba sinistra e sistemando la spada in posizione difensiva. Il giovane non abbandonò il suo atteggiamento noncurante; il coltello gli penzolava mollemente al fianco. Humbrall Taur raggiunse il margine della radura. Agitò la mazza per l'ultima volta sopra la testa, poi l'abbassò. Il duello era cominciato. Trotts indietreggiò, accovacciandosi con il bordo dello scudo appena sotto gli occhi. Tese il braccio a metà, facendo avanzare lentamente la punta smussata dello spadone. Il giovane si girò a fronteggiarlo; il coltello nella sua mano oscillava come una testa di serpente. A un movimento quasi impercettibile di Trotts, egli balzò agilmente a sinistra, sventolando la lama in una difesa confusa, sconnessa; ma il massiccio Arsore di Ponti non avanzò. Fra loro restavano dieci passi. A ogni mossa del ragazzo, Trotts impara qualcosa di più, a beneficio della sua tattica. Vede a cosa reagisce, cosa lo fa esitare, irrigidirsi, ritirare. Osserva ogni spostamento di peso, il gioco dei piedi sul terreno... e non si è ancora mosso veramente. Il giovane si avvicinò, a un'angolazione cui Trotts contrappose solo lo scudo. Un altro passo. La spada dell'Arsore di Ponti si allungò di lato. Il ragazzo arretrò rapidamente, poi tornò, stringendo l'angolo. Come un fante che esegue ciecamente le mosse di rito, Trotts si girò per ripiantare i piedi sul terreno... e il Barghast attaccò. Paran cacciò uno sbuffo, vedendo sparire la goffaggine dell'Arsore di Ponti. Negando il vantaggio offertogli dalla statura, Trotts rispose all'assalto violento da dietro lo scudo, balzando improvvisamente verso la lama alzata del ragazzo. Il coltello ricurvo rimbalzò debolmente contro l'elmo di Trotts, poi lo scudo rotondo e pesante picchiò contro il petto del giovane, spingendolo indietro. Egli crollò a terra, scivolando; i suoi rotolamenti sollevarono una nuvola di polvere. Uno sciocco l'avrebbe inseguito, solo per incontrare il coltello che sferzava la nuvola illuminata dal sole; ma Trotts si acquattò semplicemente dietro lo scudo. Il giovane emerse dal turbine di polvere, il volto sporco, il coltello ondeggiante. Il sorriso era ancora lì. Non uno stile cui il ragazzo sia abituato. Trotts potrebbe benissimo stare in prima linea in una falange, nella barriera di scudi della dura fanteria
Malazan. Più di un'orda barbarica si è infranta contro quel micidiale muro umano. Questi Visi Bianchi non hanno mai vissuto uno scontro con l'Impero. L'agile Barghast cominciò una danza rapida, guizzante; girava intorno a Trotts, avvicinandosi e allontanandosi ritmicamente; giocava con il brillante riflesso del sole su armi e armatura, sollevando nubi di polvere con i piedi. In risposta, l'Arsore di Ponti si girava semplicemente ora verso un lato, ora verso l'altro e aspettava; come prima, sembrava mantenere ogni posizione troppo a lungo, e ogni volta eseguiva i passi delle esercitazioni di fanteria Malazan come una recluta ottusa. Ignorava ogni finta, senza farsi attirare in avanti dai momenti di squilibrio e di incertezza del ragazzo, che sapeva illusori. L'anello dei guerrieri aveva cominciato a esprimere a gran voce la sua frustrazione. Quello non era un duello come quelli che conoscevano. Trotts si rifiutava di entrare nel gioco del ragazzo. Ora è un soldato dell'Impero, e questo arricchirà il racconto della sua avventura. Il giovane sferrò un altro attacco; la sua lama si mosse indistinta in un intrico selvaggio di finte, poi scese in un fendente, in cerca della giuntura nell'armatura all'altezza del ginocchio destro dell'Arsore di Ponti. Lo scudo si abbassò, respingendo il coltello. Lo spadone sfrecciò orizzontalmente verso la testa del ragazzo. Questi si chinò; la lama ricurva trapassò la mascherina dello stivale di Trotts che, illeso, schiacciò lo scudo contro il viso dell'avversario. Il giovane barcollò; sangue gli schizzava dal naso. Ma il coltello si levò sicuro a costeggiare il bordo dello scudo, usandolo come guida stridente verso la giuntura nell'armatura sul braccio sinistro di Trotts. La lama ricurva agganciò la carne, poi lacerò vene e legamenti. Il Malazan vibrò un colpo con lo spadone, mozzando la mano dell'avversario all'altezza del polso. Entrambi i guerrieri perdevano sangue copiosamente, ma lo scontro ravvicinato non era ancora giunto al termine. Paran guardò stupefatto la mano sinistra del giovane schizzare in alto, le dita rigide, sotto il para-mento dell'elmo di Trotts. Dalla gola di quest'ultimo venne uno schiocco. Sentendo le ginocchia cedere, e il braccio che reggeva lo scudo ricadere inerte in un turbinio di sangue, l'Arsore di Ponti si accasciò al suolo. Come gesto finale, Trotts passò fulmineamente lo spadone sul ventre dell'avversario. La carne liscia si aprì, e il giovane abbassò lo sguardo in tempo per vedere le sue viscere emergere alla vista in un fiotto di umori.
Scosso dagli spasmi, cadde a terra. Trotts giaceva accanto al ragazzo morente; scalciava nell'aria, stringendosi freneticamente la gola. Il capitano scattò in avanti, ma uno dei suoi uomini lo precedette: Mulch, un guaritore minore dell'Undicesimo Squadrone, corse al fianco di Trotts. Un coltellino a serramanico lampeggiò nella mano del guaritore, che si mise a cavalcioni del guerriero fremente e gli spinse la testa all'indietro, esponendo la gola. In nome di Hood, che cosa... Su ogni lato, scoppiò il pandemonio. Il Cerchio si dissolveva: guerrieri Barghast balzavano avanti, le armi sguainate, ma evidentemente incerti su cosa farne. Girando la testa, Paran vide i suoi Arsori di Ponti stretti dentro a un anello di selvaggi bellicosi, urlanti. Per gli dei, sta arrivando la resa dei conti. Un suono di corno ruppe il fracasso. Visi si voltarono. I guerrieri Senan ristabilivano l'integrità del Cerchio; gridando, spingevano indietro gli altri uomini e donne delle tribù. Humbrall Taur aveva sollevato la mazza, in un silenzioso ma ineludibile appello all'ordine. Voci si levarono dai Barghast che circondavano la compagnia di Arsori di Ponti; il capitano vide che i suoi soldati stringevano munizioni Moranth nelle mani alzate. I Barghast indietreggiavano, e tiravano indietro le lance in preparazione all'attacco. «Arsori di Ponti!» gridò Paran, avvicinandosi a grandi passi. «Mettete via quella dannata roba! Subito!» Il corno risuonò un'altra volta, e un'altra volta i visi si voltarono. Le bombe mortali sparirono sotto i mantelli. «Riposo!» ringhiò Paran, raggiungendo i suoi. A voce più bassa, sbottò: «Fermi, maledetti idioti! Nessuno prevedeva un pareggio! Non perdete la testa. Caporale Aimless, va' da Mulch e scopri che cosa, in nome di Fener, ha fatto con quel coltello a serramanico; e vedi come sta Trotts... sì, sì, sembrava spacciato. Ma anche il ragazzo, del resto. Chissà, forse è solo questione di chi muore per primo...». «Capitano», intervenne uno dei sergenti. «Stavano per saltarci addosso, ecco tutto. Noi non avevamo nessun piano... aspettavamo il vostro segnale, signore.» «Felice di sentirlo. Ora tenete gli occhi aperti, ma state calmi, mentre vado a conferire con Humbrall Taur.» Girandosi di scatto, Paran si diresse verso il Cerchio.
Il Barghast era grigio in volto; il suo sguardo tornava ripetutamente alla piccola sagoma ora sinistramente immobile sul terreno intriso di sangue, a poca distanza. Riunita intorno a Humbrall, c'era mezza dozzina di capi minori, ognuno dei quali urlava per farsi sentire sopra gli altri. Taur li ignorava tutti quanti. Paran si fece strada a spintoni. Uno sguardo alla sua destra gli mostrò Aimless accovacciato accanto a Mulch. Il guaritore teneva una mano premuta forte contro la ferita sul braccio sinistro di Trotts e sembrava mormorare fra sé, gli occhi chiusi. Un lieve movimento di Trotts rivelò che egli era ancora vivo. E, comprese il capitano, aveva smesso di agitarsi; in qualche modo, Mulch gli aveva permesso di respirare. Paran scosse la testa, incredulo: se si schiaccia la gola a un uomo, questi muore. A meno che non ci sia un guaritore Alto Denul nelle vicinanze... e Mulch non lo è, è soltanto un chirurgo con una manciata di incantesimi a sua disposizione... gli è riuscito un miracolo... «Malazan!» Humbrall Taur aveva gli occhi piccoli, fissi su Paran. Lo chiamò con un gesto. «Dobbiamo parlare.» Abbandonò la lingua Daru per urlare contro i guerrieri che gli si accalcavano intorno e che si ritirarono accigliati, lanciando sguardi velenosi al capitano. Un attimo dopo, Paran si ritrovò faccia a faccia con il capo militare Barghast. Questi lo scrutò per un attimo, poi esordì: «I vostri guerrieri vi tengono in scarsa considerazione. Avete il sangue molle, dicono». Paran scosse le spalle. «Sono soldati. E io sono il loro nuovo ufficiale.» «Sono disobbedienti. Dovreste ucciderne un paio; allora gli altri vi rispetteranno.» «Il mio compito è quello di tenerli in vita, non di ucciderli, capo.» Humbrall Taur strinse gli occhi. «Il vostro Barghast ha combattuto come voi forestieri, non come uno della nostra gente. Il mio figliolo senza nome ha sostenuto ventitré duelli senza danno, senza nemmeno una ferita. Ho perso uno del mio sangue, un grande guerriero.» «Trotts è ancora vivo», annunciò Paran. «Dovrebbe essere morto. Se si schiaccia la gola a un uomo, questi cade in preda alle convulsioni. Non sarebbe dovuto riuscire a manovrare la spada. Mio figlio ha sacrificato una mano per ucciderlo.» «Un tentativo valoroso, capo.» «E inutile, a quanto pare. Sostenete che Trotts sopravviverà alle sue ferite?» «Non lo so. Devo parlare con il mio guaritore.»
«Gli spiriti tacciono, Malazan», riprese Humbrall Taur, dopo un attimo. «Aspettano. E così dobbiamo fare noi.» «Il vostro consiglio di capi potrebbe dissentire», osservò Paran. Taur aggrottò le sopracciglia. «Questo è un problema dei Barghast. Tornate dalla vostra compagnia, Malazan. Tenetela in vita... se potete.» «Il nostro destino dipende dalla sopravvivenza di Trotts, capo?» L'imponente guerriero scoprì i denti. «Non del tutto. Con voi ho finito.» Volse le spalle al capitano. Gli altri capi lo attorniarono ancora. Paran si allontanò, combattendo una nuova ondata di dolore allo stomaco, e andò a raggiungere Trotts. Gli occhi su di lui, si accovacciò accanto a Mulch, il guaritore. Fra le clavicole del guerriero Barghast c'era un foro, in cui era inserito un tubo di osso che sibilava sommessamente al ritmo del suo respiro. Il resto della gola era accartocciato, una massa di lividi blu e verdi. L'uomo aveva gli occhi aperti, vigili e colmi di dolore. Mulch lanciò un'occhiata al capitano. «Ho riparato i vasi sanguigni e i tendini del braccio», riferì a voce bassa. «Non lo perderà, credo. Rimarrà debole, però, a meno che Mallet non arrivi qui presto.» Paran indicò il tubo di osso. «Che cos'è quello, in nome di Hood?» «Non è facile giocare con i canali in questo momento, signore; e poi, non sarei comunque abbastanza bravo da aggiustare un danno così grave. È un trucco da chirurgo, che mi ha insegnato Bullit quand'ero nel Sesto Esercito... studiava continuamente modi di fare le cose senza la magia, dal momento che non riusciva mai a trovare il suo canale quando l'atmosfera si scaldava.» «Sembra... provvisorio.» «Lo è, capitano. Ci serve Mallet. E presto.» «Hai agito con prontezza, Mulch», commentò Paran, raddrizzandosi. «Ottimo lavoro.» «Grazie, signore.» «Caporale Aimless.» «Capitano?» «Fa' venire qui qualche soldato. Non voglio che qualche Barghast si avvicini troppo a Trotts. Non appena Mulch vi darà il permesso, riportatelo al campo.» «Sì, signore.» Paran guardò il soldato sfrecciare via, poi si girò verso sud, studiando il cielo. «Per il respiro di Hood!» borbottò, con un gemito di sollievo. Mulch si alzò. «Avete mandato l'Ardito a cercarli, non è vero, signore?
Guardate, ha un passeggero. Dev'essere Ben lo Svelto!» Paran sorrise, osservando con gli occhi socchiusi il punto nero lontano, sopra la cresta. «Non se l'Ardito ha seguito i miei ordini, guaritore.» Mulch guardò meglio. «Mallet. Per lo zoccolo di Fener, questa sì che è stata una mossa azzeccata, capitano.» Paran incontrò gli occhi del guaritore. «Nessuno morirà in questa missione, Mulch.» L'anziano veterano annuì lentamente, poi tornò a inginocchiarsi al fianco di Trotts. Picker scrutò Ben lo Svelto, mentre arrancavano su per l'ennesimo pendio erboso. «Vuoi che facciamo venire qualcuno a portarti, mago?» Ben lo Svelto si asciugò il sudore dalla fronte, scuotendo la testa. «No, ora va meglio. Qui gli spiriti Barghast sono fitti, e lo diventano sempre più. Resistono all'infezione. Starò bene, caporale.» «Se lo dici tu; mi sembri piuttosto giù di corda.» Bell'eufemismo. «Il canale di Hood non è mai un posto divertente.» «Questa è una cattiva notizia, mago. Cosa ci rimane su cui fare assegnamento?» Ben lo Svelto non rispose. Picker aggrottò le sopracciglia. «Siamo messi così male? Fantastico. Aspetta che lo sappia Antsy.» Il mago si strappò un sorriso. «Gli dai le notizie solo per vederlo agitarsi, eh?» «Certo. Lo squadrone ha bisogno di un po' di divertimento, no?» La sommità della collina rivelò l'ennesima serie di piccoli tumuli, sparsi qua e là sulla distesa segnata dalle intemperie. Uccelletti grigi, dalle lunghe zampe, uscirono saltellando dal sentiero dei soldati. Questi non sprecarono parole: il caldo era opprimente, e restava solo mezza giornata di luce. Mosche ronzanti tenevano il passo con loro. Lo squadrone non aveva più visto nessuno, dopo la visita dell'Ardito all'alba. Sapevano che il duello doveva aver avuto luogo, ormai, ma non avevano idea dell'esito. Per Hood, potremmo stare andando incontro alla nostra esecuzione. Su Spindle e Ben lo Svelto non potevano contare: riluttanti ad assaggiare il sapore dei loro canali, se non incapaci di farlo, erano pallidi, tremanti e taciturni. Hedge aveva la mascella troppo gonfia per riuscire a emettere più di qualche grugnito, ma le occhiate che lanciava alla schiena di Detoran indicavano piani di vendetta omicida. Blend era in ri-
cognizione più avanti, o dietro... o forse nella mia maledetta ombra. Picker girò la testa per controllare, ma della donna nessuna traccia. Antsy, che veniva per ultimo, era immerso in un colloquio con se stesso; il suo borbottio ininterrotto faceva da contrappunto costante al ronzio delle mosche. Il paesaggio non mostrava segni di vita, al di là dell'erba che rivestiva le colline e degli alberi stentati che spuntavano sporadicamente nelle valli, là dove i torrenti stagionali accumulavano acqua sotto il suolo. Il cielo era privo di nubi; non un uccello macchiava la sua vastità azzurra. A nord e a est, in lontananza, si ergevano le bianche vette della Catena Barghast, frastagliate e impervie. Secondo i calcoli dell'Ardito, il raduno Barghast si svolgeva in una valle quattro leghe a nord. Se tutto andava bene, sarebbero arrivati prima del tramonto. Ben lo Svelto, che camminava al fianco di Picker, cacciò un grugnito sommesso; il caporale si girò in tempo per vedere una moltitudine di mani sporche di terriccio chiudersi intorno alle gambe del mago. Il suolo sembrò schiumare sotto i suoi stivali; poi egli sprofondò verso il basso. Dita ossute lo strinsero, tirando; braccia nodose si levarono ad avvolgersi intorno alla sua sagoma fremente. «Ben!» urlò Picker, lanciandosi verso di lui. Il mago si tese a incontrarla; un'espressione di muto stupore gli si dipinse in volto, quando il suolo gli salì fino alla vita. Grida e passi martellanti si avvicinarono. La mano di Picker gli serrò il polso. La terra lo inghiottì fino al petto. Le mani riapparvero a prendergli il braccio destro, tirandolo giù. Picker incrociò gli occhi di Ben lo Svelto, che scosse la testa. «Lasciami andare, caporale...» «Sei pazzo...» «Adesso, prima di farmi strappare il braccio...» La spalla destra fu trascinata sotto il suolo. Apparve Spindle, che si buttò in avanti ad avvolgergli un braccio intorno al collo. «Lascialo andare!» gridò Picker, mollando il polso del mago. Spindle la guardò con gli occhi sgranati. «Che cosa?» «Lascialo andare, maledizione!» Il mago di squadrone staccò il braccio e rotolò via, imprecando. Antsy irruppe fra loro; fra le sue mani si materializzò la pala a manico corto, mentre la testa di Ben lo Svelto scompariva sotto il suolo. Cominciò
a volare terriccio. «Vacci piano, sergente», sbottò Picker, «o gli staccherai la cima della testa!». Il sergente la fissò, poi balzò all'indietro, come se si trovasse sui carboni ardenti. «Per Hood!» Alzò la pala, scrutando la lama con gli occhi socchiusi. «Non vedo sangue! Qualcuno vede sangue? Per gli dei! Capelli! Sono capelli, questi? Oh, Regina dei Sogni...» «Non sono capelli», ringhiò Spindle, strappando la pala dalle mani di Antsy. «Sono radici, idiota! L'hanno preso. Hanno preso Ben lo Svelto.» «Chi l'ha preso?» indagò Picker. «Gli spiriti Barghast. Un'intera orda! Ci hanno teso un agguato!» «E tu, allora?» chiese il caporale. «Io non sono abbastanza pericoloso, immagino. Almeno», girò la testa di scatto per guardarsi intorno, «spero di no. Devo andarmene da questo maledetto tumulo, ecco cosa devo fare!». Picker lo guardò darsela a gambe. «Hedge, tienilo d'occhio, per favore.» Lo zappatore dal viso gonfio annuì, e inseguì il compagno con passo pesante. «E ora che cosa facciamo?» sibilò Antsy, con i baffi frementi. «Aspettiamo una campana o due e poi, se il mago non è riuscito a riemergere, ce ne andiamo.» Il sergente spalancò gli occhi azzurri. «Lo lasciamo qui?» bisbigliò. «O così, o spianiamo questa maledetta collina. E non lo troveremmo lo stesso; l'hanno tirato nel loro canale. È qui ma non è qui, se capisci quello che voglio dire. Forse quando Spindle ritroverà il coraggio, potrà svolgere qualche indagine.» «Sapevo che Ben lo Svelto avrebbe portato solo guai», borbottò Antsy. «Sui maghi non si può fare affidamento. Hai ragione, a che serve aspettare? Sono dei buoni a nulla comunque. Leviamo le tende e mettiamoci in marcia.» «Non moriremo se aspetteremo un po'», ribatté Picker. «Sì, probabilmente è una buona idea.» Lei gli lanciò un'occhiata, poi si girò dall'altra parte con un sospiro. «Non mi dispiacerebbe mangiare un boccone. Potresti prepararci qualcosa di speciale, sergente.» «Ho datteri secchi e frutti dell'albero del pane, e qualche sanguisuga affumicata presa in quel mercato nella parte meridionale di Pale.» Lei trasalì. «Ottimo.»
«Mi metto subito all'opera.» L'uomo si allontanò in fretta. Per gli dei, Antsy, stai perdendo il bene dell'intelletto. E io, allora? Solo a sentir parlare di datteri e sanguisughe, mi viene l'acquolina in bocca... Le canoe dall'alta prua marcivano nella palude; le corde tese che le legavano ai vicini tronchi di cedro erano coperte di muschio. Si vedevano dozzine di imbarcazioni. Impilati su bassi poggi, giacevano fagotti di provviste, rivestiti di uno spesso strato di muffa, da cui spuntavano funghi. La luce era pallida, giallognola. Ben lo Svelto, gocciolante di fango, si tirò lentamente in piedi e sputò acqua sporca mentre si guardava all'intorno. I suoi assalitori erano spariti. Insetti solcavano l'aria senza fretta e senza meta. Rane gracidavano; il rumore dell'acqua che gocciolava era costante. L'aria era pervasa da un debole odore di sale. Sono in un canale morto da tempo, logorato dalla privazione della memoria mortale. I Barghast viventi non ne sanno nulla, eppure è il luogo in cui vengono i loro morti... sempre che riescano ad arrivarci. «Va bene», esordì, con voce stranamente attutita dall'aria greve, stantia. «Sono qui. Che cosa volete?» Un movimento nella foschia lo mise in allarme. Apparvero delle figure che si avvicinarono esitanti, immerse fino al ginocchio nell'acqua nera e turbinosa. Il mago strinse gli occhi. Quelle creature non erano i Barghast del regno mortale; più larghe, più tozze, dall'ossatura robusta, erano un misto fra gli Imass e i Toblakai. Per gli dei, quant'è vecchio questo posto? Arcate sopracciliari sporgenti nascondevano nell'ombra occhi piccoli, scintillanti. Strisce di pelle nera scendevano lungo guance magre, fin sotto mascelle glabre, dove si avvolgevano intorno a piccoli ossi che correvano paralleli alla mandibola. Gli uomini e le donne che si stringevano intorno a Ben lo Svelto erano tutti quanti vestiti di pelli di foca aderenti al corpo, decorate con ossa, gusci e corna di animali. Appesi ai fianchi, avevano lunghi coltelli dalla lama sottile. Qualcuno dei maschi portava lance con barbigli, che sembravano fatte interamente d'osso. Una figura più piccola balzò su un ceppo di cedro marcio proprio davanti a Ben lo Svelto: un fagotto di stecchi e spago in forma umana, con una ghianda per testa. Il mago annuì. «Talamandas. Credevo che stessi tornando dai Visi Bianchi.» «E così ho fatto, mago, unicamente grazie alla tua astuzia.» «Hai uno strano modo di mostrare gratitudine, Vecchio.» Ben lo Svelto
si guardò intorno. «Dove siamo?» «Nel Primo Approdo. Qui aspettano i guerrieri che non sopravvissero alla fine del viaggio. La nostra flotta era vasta, mago, eppure, quando il viaggio terminò, una buona metà delle canoe conteneva solo cadaveri. Avevamo attraversato un oceano senza mai smettere di combattere.» «E dove vanno ora i morti Barghast?» «Ovunque, e in nessun luogo. Sono sperduti. Mago, il tuo sfidante ha ucciso il campione di Humbrall Taur. Gli spiriti hanno tirato un respiro profondo e ancora lo trattengono, perché egli potrebbe ancora morire.» Ben lo Svelto sussultò. «E in tal caso?» «Anche i tuoi soldati moriranno. Humbrall Taur non ha scelta. Dovrà affrontare la guerra civile; gli stessi spiriti perderanno la loro unità. Voi sareste una distrazione troppo grande, una fonte di ulteriore divisione. Ma non è per questo che ti ho portato qui.» La piccola trappola di stecchi indicò i compagni silenziosi alle sue spalle. «Questi sono i guerrieri. L'esercito. Però... i nostri capi non sono fra noi. Gli Spiriti Fondatori andarono perduti molto tempo fa. E ora, mago, una figlia di Humbrall Taur li ha ritrovati. Ritrovati!» «Ma c'è un problema.» Talamandas sembrò venir meno. «Sì. Sono intrappolati... dentro la città di Capustan.» Le implicazioni di quella notizia penetrarono lentamente nella mente del mago. «Humbrall Taur lo sa?» «No. Io sono stato scacciato dai suoi sapienti. Gli spiriti più antichi non sono ben accetti; solo i giovani possono essere presenti, poiché hanno poco potere. Arrecano il dono del conforto, e il conforto ha assunto una grande importanza per i Barghast. Non è sempre stato così. Siamo un pantheon diviso; il vasto abisso fra noi è costituito dal tempo... e dalla perdita della memoria. Per i nostri figli, siamo come sconosciuti; si rifiutano di ascoltare la nostra saggezza e temono il nostro potenziale potere.» «Humbrall Taur sperava che sua figlia trovasse questi Spiriti Fondatori?» «Corre un grave rischio, però sa che i clan dei Visi Bianchi sono vulnerabili. Gli spiriti giovani sono troppo deboli per resistere al Dominio di Pannion; verranno schiavizzati o distrutti. Quando il conforto sarà strappato via, si rivelerà la mancanza di fede, l'assenza di forza. I clan verranno schiacciati dagli eserciti del Dominio. Humbrall Taur cerca il potere, ma brancola nel buio.»
«E quando gli dirò che gli spiriti antichi sono stati trovati... mi crederà?» «Tu sei la nostra unica speranza. Lo devi convincere.» «Ti ho liberato dalle difese magiche», ricordò Ben lo Svelto. «Che cosa chiedi in cambio?» «Trotts deve sopravvivere alle sue ferite. Deve essere riconosciuto come campione, in modo da poter prendere legittimamente il suo posto nel Consiglio dei capi. Ci serve una posizione di forza, Talamandas.» «Non posso tornare fra le tribù, mago. Mi scaccerebbero di nuovo.» «Potete incanalare il vostro potere attraverso un mortale?» La trappola di stecchi inclinò lentamente la testa. «Noi abbiamo un guaritore Denul ma, come me, incontra difficoltà nell'usare il suo canale. Il veleno Pannion...» «Per ricevere il nostro potere», spiegò Talamandas, «deve essere condotto in questo canale, in questo posto». «Bene», concluse Ben lo Svelto, «perché non troviamo il modo di farlo?». Talamandas si girò a guardare i compagni; dopo un attimo, si volse di nuovo verso il mago. «Intesi.» Un giavellotto solitario si levò in un arco verso l'Ardito mentre questi e il suo passeggero cominciavano la loro discesa. Il quorl scartò da un lato, poi si abbassò rapidamente verso il Cerchio. Dai guerrieri riuniti salirono risa e imprecazioni, ma nessuno azzardò altri gesti. Paran osservò un'ultima volta lo squadrone che montava la guardia intorno a Trotts e a Mulch, poi si diresse al punto in cui l'Ardito e un Mallet coperto di piaghe smontavano di sella, fra urla di sfida e armi agitate minacciosamente. «Fateli passare, maledizione!» sbraitò il capitano, gettando da parte un guerriero Senan. L'uomo si raddrizzò con un ringhio, poi scoprì i denti limati in un ghigno provocatorio. Paran lo ignorò. Con altri cinque passi e relative spallate, raggiunse l'Ardito e Mallet. Il guaritore aveva gli occhi sgranati dalla preoccupazione. «Capitano...» «Sì, l'aria si sta scaldando, Mallet. Vieni con me. Ardito, forse fareste meglio a squagliarvela...» «Intesi. Tornerò allo squadrone del sergente Antsy. Che cosa è successo?» «Trotts ha vinto la battaglia, ma forse perderemo la guerra. Andatevene, prima di farvi infilzare.»
«Sì, capitano.» Prendendo il guaritore per il braccio, Paran si voltò e cominciò ad aprirsi un varco fra la folla. «Trotts ha bisogno di te», riferì, mentre camminavano. «Sta male. Ha la gola schiacciata...» «Allora come fa a essere ancora vivo, in nome di Hood?» «Mulch gli ha aperto un foro sopra i polmoni e il bastardo lo usa per respirare.» Mallet aggrottò le sopracciglia, poi annuì lentamente. «Bella mossa. Ma, capitano, forse non potrò aiutarlo granché...» Paran girò la testa di scatto. «Dovrai farlo. Se Trotts muore, moriremo tutti.» «Il mio canale...» «Lascia perdere le scuse; guariscilo e basta, maledizione!» «Sì, signore; ma, giusto per farvelo sapere, probabilmente la cosa mi ucciderà.» «Per le palle di Fener!» «È uno scambio equo, signore; lo vedo chiaramente. Non preoccupatevi: guarirò Trotts. Uscirete tutti vivi da questa situazione, e ora è questo che conta.» Paran si fermò. Chiuse gli occhi, combattendo contro le improvvise ondate di dolore che gli salivano dallo stomaco. A denti stretti, replicò: «Come dici tu, Mallet». «Aimless fa segno di avvicinarsi...» «Allora va', guaritore.» «Sì, signore.» Mallet liberò il braccio, puntando verso lo squadrone. Paran si costrinse ad aprire gli occhi. Guarda quel bastardo. Non la minima incertezza nel passo. Non la minima esitazione davanti al suo destino. Chi... chi mai saranno questi soldati? Spingendo Mulch da parte, Mallet si inginocchiò accanto a Trotts, incrociò gli occhi duri del guerriero e allungò una mano. «Mallet!» sibilò Mulch. «Il tuo canale...» «Zitto», lo rimbeccò Mallet, chiudendo gli occhi nel toccare con le dita la gola stritolata. Aprì il suo canale; la sua mente urlò quando il potere virulento lo invase. Sentì la sua carne gonfiarsi, spaccarsi, udì lo zampillo del sangue e il grido
di sgomento di Mulch. Poi il mondo fisico scomparve in un tumultuoso mare di dolore. Trova il sentiero, maledizione! La strada del risanamento, la vena dell'ordine. Per gli dei! Non perdere la testa, guaritore. Resisti... Ma una forza aliena gli strappava l'equilibrio, divorandolo. Con l'occhio della mente, vedeva la sua identità ridotta a brandelli e non poteva far niente per impedirlo. Attinse al nucleo di sanità al centro dell'animo, attinse al suo potere, lo sentì riversarsi dalle sue dita nella cartilagine straziata della gola di Trotts. Ma il nucleo cominciò a dissolversi... Mani lo afferrarono, lacerandogli il corpo in un nuovo assalto. Il suo spirito lottò, cercò di ritrarsi. Grida lo circondarono su tutti i lati, come di innumerevoli anime distrutte. Le mani caddero dalle sue membra solo per essere sostituite da altre. Veniva trascinato via, e la sua mente cedeva alla spietata determinazione di quella morsa violenta. Una calma improvvisa. Mallet si ritrovò inginocchiato in una pozza fetida, avvolta dal silenzio. Poi, tutt'intorno, si levò un mormorio che gli fece alzare lo sguardo. Prendi da noi, mormoravano mille voci all'unisono. Prendi il nostro potere. Torna dove devi, e usa tutto quello che ti diamo. Ma affrettati... il sentiero che abbiamo predisposto è costoso, molto costoso... Mallet si aprì al potere che gli vorticava intorno. Non aveva scelta: era impotente davanti al suo appello. Le sue membra avevano la consistenza dell'argilla bagnata, come se fossero state forgiate a nuovo. E i frammenti della sua anima venivano rimessi insieme. Balzando in piedi, si girò di scatto e cominciò a camminare. Il terreno sotto i suoi piedi era cedevole, grumoso. Avanzò senza abbassare lo sguardo. Ora il canale Denul lo circondava, selvaggio e letale, ma si teneva a distanza; impossibilitato a reclamare la sua anima, il veleno ululava. Mallet percepì di nuovo le sue dita, premute contro la gola spezzata dell'amico, ma con la mente continuava a procedere. Passo dopo passo, era spinto inesorabilmente in avanti. Questo è il viaggio verso la mia stessa carne. Chi ha fatto questo per me? E perché? Il canale cominciò a sbiadire intorno a lui. Era quasi arrivato alla meta. Mallet abbassò gli occhi, e vide ciò che si aspettava. Camminava su un tappeto di cadaveri; il sentiero attraverso l'orrore avvelenato del suo canale. Costoso, molto costoso... Il guaritore aprì gli occhi di scatto. Sotto le sue dita c'era pelle contusa, ma niente di più. Battendo le palpebre per scacciare il sudore, incrociò lo
sguardo di Trotts. Due sentieri, a quanto pare. Uno per me e uno per te, amico. Il Barghast sollevò debolmente il braccio destro. Mallet lo strinse in una morsa di ferro. «Sei tornato», mormorò, «bastardo dai denti di squalo». «Chi?» gracchiò Trotts, e la pelle intorno agli occhi gli si tese per lo sforzo. «Chi ha pagato?» Mallet scosse la testa. «Non lo so. Non io.» Gli occhi del Barghast guizzarono giù, verso la carne spezzata e sanguinante delle braccia del guaritore. Mallet scosse di nuovo la testa. «Non io, Trotts.» Paran non si muoveva: non osava avvicinarsi oltre. Tutto ciò che poteva vedere era un capannello di soldati intorno al punto in cui stavano Trotts e Mallet. Che gli dei mi perdonino, ho ordinato a quel guaritore di uccidersi. Se questo è il vero volto del comando, allora è il ghigno di un teschio. Non ne voglio più sapere. Basta, Paran: non puoi renderti insensibile a questa vita, a queste scelte. Chi sei tu, per mettere le vite sul piatto della bilancia? Per stimare il valore degli uomini, per misurare la carne a peso? No, devo farla finita con quest'incubo. Mulch emerse barcollante alla vista, girandosi verso il capitano. Aveva il volto pallido, gli occhi spalancati. Lo raggiunse a passo malfermo. No, non dirmi niente. Vattene, maledizione. «Sentiamo, guaritore.» «È... tutto a posto, capitano. Trotts se la caverà...» «E Mallet?» «Ferite superficiali... me ne occuperò io, signore. È vivo... non chiedetemi come...» «Lasciami solo, Mulch.» «Signore?» «Va'. Torna da Mallet. Togliti dai piedi.» Paran gli volse le spalle, lo ascoltò allontanarsi di gran fretta. Chiuse gli occhi, in attesa che il tormento nelle viscere si levasse di nuovo come un pugno di fuoco. Ma dentro di lui tutto era tranquillo. Strofinandosi gli occhi, tirò un respiro profondo. Nessuno morirà. Usciremo vivi da qui. Devo dirlo a Humbrall Taur. Trotts si è guadagnato i suoi diritti... e che Hood si prenda tutti gli altri! A quindici passi di distanza, Mulch e Aimless se ne stavano accovacciati a guardare il loro capitano che raddrizzava la schiena, si aggiustava il cinturone e marciava a grandi passi verso la tenda di comando di Humbrall
Taur. «È un bastardo duro come la pietra», borbottò il guaritore. «E freddo come un inverno Jaghut», aggiunse Aimless, con una smorfia. «Per un po', Mallet è sembrato un uomo morto.» «Per un po', lo è stato quasi.» I due rimasero in silenzio per qualche tempo, poi Mulch si chinò da un lato e sputò. «Forse il capitano ce la farà, dopo tutto», dichiarò. «Sì», convenne Aimless. «Forse sì.» «Ehi!» gridò uno dei soldati vicini. «Guardato il crinale! Non è Detoran, quella? Ed ecco Spindle... stanno trasportando qualcosa!» «Probabilmente Ben lo Svelto», osservò Mulch, alzandosi. «Razza di idiota, ha giocato per troppo tempo nei suoi canali.» «I maghi», sbuffò Aimless. «Chi è che ha bisogno di quei bastardi scansafatiche?» «Niente maghi, eh? E i guaritori?» La mascella dell'uomo si aprì di scatto, allungandogli ulteriormente il viso. «Uhm... i guaritori vanno bene, Mulch. Benissimo. Mi riferivo a stregoni, negromanti e simili...» «Chiudi il becco, prima di dire qualcosa di veramente stupido, Aimless. Ecco, ora siamo tutti qui. Chissà cosa ci faranno questi Visi Bianchi?» «Trotts ha vinto!» «E allora?» Il caporale spalancò la bocca per la seconda volta. Fumo di legna riempiva la tenda di cuoio di Humbrall Taur. L'imponente capo militare era solo, la schiena, rivolta al focolare rotondo, contornata dalla luce delle fiamme. «Che cos'avete da dirmi?» tuonò, mentre Paran lasciava cadere dietro di sé il lembo dell'entrata. «Trotts è vivo. Rivendica il suo diritto al Dominio.» «Ma non ha una tribù...» «Ce l'ha, capo. Trentotto Arsori di Ponti. Ve l'ha mostrato nello stile che ha scelto per il duello.» «So cosa ci ha mostrato...» «Chi ha capito, però?» «Io sì, ed è tutto ciò che conta.» Cadde il silenzio. Paran studiò la tenda e il suo contenuto magro, sparpagliato, in cerca di indizi sulla natura del guerriero che gli stava davanti. Il pavimento era coperto di pelli di bhederin. Da una parte giacevano mez-
za dozzina di lance, una delle quali spezzata. Un solitario baule di legno, ricavato da un unico tronco d'albero, grande abbastanza da contenere tre strati di cadaveri allungati, dominava la parete più lontana. Il coperchio aperto rivelava sulla parte inferiore un meccanismo di chiusura enorme, estremamente complesso. Parallelo al baule, correva un mucchio disordinato di coperte su cui, evidentemente, dormiva Taur. Monete, cucite nelle pareti di cuoio, mandavano un fioco luccichio su tutti i lati, e dal soffitto conico altre monete, annerite da anni di fumo, pendevano a mo' di nappe. «Avete perso il comando, capitano.» Paran batté le palpebre, incrociando gli occhi scuri del capo. «È un sollievo», ribatté. «Non riconoscete mai la vostra riluttanza a dirigere, Malazan. Ciò che temete in voi stesso oscurerà il vostro giudizio su tutto l'operato del vostro successore. La vostra paura vi renderà cieco sia alla sua saggezza sia alla sua stupidità. Trotts non è mai stato un comandante: l'ho visto nei suoi occhi non appena ha mosso il primo passo fuori dai vostri ranghi. Ora dovrete sorvegliarlo... con occhi limpidi.» L'uomo si girò, raggiungendo il baule. «Ho dell'idromele. Bevete con me.» Per gli dei, il mio stomaco... «Vi ringrazio, capo.» Humbrall Taur estrasse dal baule una brocca di terracotta e due tazze di legno. Stappò la brocca, annusò, poi annuì e versò. «Aspetteremo ancora un giorno», sentenziò. «Quindi mi rivolgerò ai clan. Trotts avrà il permesso di parlare: si è guadagnato il suo posto fra i capi. Ma vi dico subito una cosa, capitano.» Porse una tazza a Paran. «Non marceremo su Capustan. Non dobbiamo niente a quella gente. Ogni anno sacrifichiamo molti giovani a quella città, a quello stile di vita. I loro mercanti vengono fra di noi con merce senza valore, pieni di offerte mirabolanti e, se potessero, spoglierebbero il mio popolo di tutto.» Paran bevve un sorso del forte idromele e lo sentì bruciare giù per la gola. «Capustan non è il vostro vero nemico, capitano...» «Il Dominio di Pannion ci muoverà guerra; questo lo so, capitano. Prenderanno Capustan e la useranno per schierare le loro truppe sui nostri confini; poi marceranno contro di noi.» «Se capite tutto questo, allora perché...» «Ventisette tribù, capitano Paran.» Humbrall Taur svuotò la sua tazza, asciugandosi la bocca. «Ma solo otto capi staranno al mio fianco. Non basta; mi occorrono tutti quanti. Ditemi: il vostro nuovo capo è capace di influenzare le menti con le parole?»
Paran fece una smorfia. «Le usa di rado; finora, non ne ha avuto molto bisogno. Vedremo domani, immagino.» «I vostri Arsori di Ponti sono ancora in pericolo.» Il capitano si irrigidì; scrutò il denso vino di miele nella sua tazza. «Perché?» chiese dopo un attimo. «I Barahn, i Gilk, gli Ahkrata... questi clan sono uniti contro di voi. In questo momento, vanno spargendo false storie sul vostro conto: i vostri guaritori sono negromanti, e stanno eseguendo un rituale di resurrezione per riportare Trotts in vita. I Visi Bianchi non amano i Malazan. Voi siete alleati con i Moranth. Avete conquistato il nord; quanto manca a che volgiate su di noi il vostro sguardo avido? Siete gli orsi della pianura al nostro fianco, che ci spingono a incrociare gli artigli con la tigre del sud. Un cacciatore conosce sempre le intenzioni della tigre, ma mai quelle dell'orso della pianura.» «Così, a quanto pare, il nostro destino è ancora in sospeso», concluse Paran. «Fino a domani», replicò Humbrall Taur. Il capitano svuotò la sua tazza, posandola sul bordo del baule. Fuochi gli divampavano nello stomaco e, dietro l'idromele dolciastro che gli intorpidiva la lingua, sentiva sapore di sangue. «Devo occuparmi dei miei soldati.» «Concedete loro questa notte di tranquillità, capitano.» Annuendo, Paran uscì dalla tenda. A dieci passi di distanza, lo aspettavano Picker e Blend. Vedendole avvicinarsi, il capitano aggrottò le sopracciglia. «Altre buone notizie, immagino», ringhiò fra sé. «Capitano.» «Che cosa c'è, caporale?» Picker batté le palpebre. «Uhm... be'... siamo arrivati. Pensavo di dover fare rapporto...» «Dov'è Antsy?» «Non si sente troppo bene, signore.» «Colpa di qualcosa che ha mangiato?» Blend sogghignò. «Questa è buona. Qualcosa che ha mangiato.» «Capitano», intervenne frettolosamente Picker, lanciando un'occhiata di avvertimento alla compagna, «abbiamo perso Ben lo Svelto per un po', poi l'abbiamo recuperato, solo che non si sveglia. Spindle dice che è sotto choc. È stato tirato in un canale Barghast...».
Paran sussultò. «È stato cosa? Portami da lui. Blend, va' a prendere Mallet e raggiungici, di corsa! Allora, Picker? Che fai lì ferma? Guidami.» «Sì, signore.» Il Settimo Squadrone aveva mollato l'attrezzatura nell'accampamento degli Arsori di Ponti. Detoran e Hedge spiegavano le tende sotto lo sguardo cupo di un Antsy pallido, scosso dai brividi. Spindle sedeva accanto a Ben lo Svelto e si passava distrattamente le dita nel cilicio logoro, aggrottando la fronte mentre osservava il mago svenuto. Il Moranth Nero, l'Ardito, era in piedi lì vicino. Soldati di altri squadroni restavano nei rispettivi gruppi; diffidenti verso i nuovi venuti, non si avvicinavano. Paran seguì il caporale da Spindle e Ben lo Svelto. «Che gli prende?» chiese, lanciando un'occhiata agli altri squadroni. Picker grugnì. «Vedete la faccia gonfia di Hedge? Detoran è di umore irritabile, signore. Pensiamo tutti che abbia una cotta per il povero zappatore.» «E gli dimostra il suo affetto picchiandolo?» «È un tipo violento, signore.» Il capitano sospirò; si accovacciò a studiare Ben lo Svelto, tirando Spindle da parte. «Dimmi cos'è successo, Spin. Picker ha parlato di un canale Barghast.» «Sì, signore. Intendiamoci, sono solo supposizioni. Stavamo attraversando un tumulo...» «Oh, che bell'idea», sbottò Paran. Il mago si ritrasse. «Già, be', non era il primo che attraversavamo e gli altri erano abbastanza tranquilli. Comunque, gli spiriti sono emersi e hanno preso Ben, trascinandolo fuori vista. Abbiamo aspettato per un po'; alla fine l'hanno risputato fuori, in questo stato. Capitano, i canali si sono corrotti. Di brutto. Ben ha detto che era colpa del Dominio di Pannion o, meglio, del potere nascosto che ci sta dietro. Ha detto che eravamo tutti nei guai.» Sentendo avvicinarsi dei passi, Paran si girò e vide Mallet e Blend. Alle loro spalle camminava Trotts. Dagli altri squadroni lo accolsero acclamazioni stridule, sardoniche, seguite da una forte pernacchia. Trotts scoprì i denti e cambiò direzione. Una sagoma fuggì come un coniglio. Il Barghast fece un largo sorriso. «Torna qui, Trotts», ordinò Paran. «Dobbiamo parlare.» Scrollando le spalle, l'enorme guerriero puntò di nuovo verso di loro. Mallet si inginocchiò, appoggiandosi pesantemente alla spalla di Paran.
«Scusate, capitano», ansimò. «Non mi sento bene.» «Non ti chiederò più di usare il tuo canale, guaritore», promise Paran. «Ma mi serve Ben lo Svelto sveglio. Hai qualche suggerimento?» Mallet scrutò il mago con gli occhi socchiusi. «Non ho detto che sono indebolito, signore, ma solo che non mi sento bene. Qualcuno mi ha aiutato a guarire Trotts. Spiriti, credo... forse Barghast. In qualche modo, mi hanno rimesso insieme, e Hood sa se ne avevo bisogno. Comunque, mi sembra di avere le gambe di qualcun altro, le braccia di qualcun altro...» Allungò una mano sulla fronte di Ben lo Svelto e grugnì. «Sta tornando. A tenerlo addormentato è una magia protettiva.» «Puoi accelerare le cose?» «Certo.» Il guaritore schiaffeggiò il mago, che aprì gli occhi di scatto. «Ahi! Mallet, brutto bastardo.» «Smettila di lamentarti, Ben. Il capitano vuole parlarti.» Ruotando gli occhi scuri, il mago vide Paran e, torreggiante sulla spalla del capitano, Trotts. Sogghignò. «Siete tutti in debito con me.» «Ignoratelo», disse Mallet a Paran. «Non fa che ripeterlo. Che presunzione. Se Whiskeyjack fosse qui, ti darebbe uno scappellotto, e sono tentato di prendere il suo posto.» «Non pensarci nemmeno.» Ben lo Svelto si tirò lentamente a sedere. «Com'è la situazione qui?» «Le nostre teste sono ancora sul tagliere», rivelò Paran, a bassa voce. «Non abbiamo molti amici qui, e i nostri nemici si fanno sempre più audaci. Il comando di Humbrall Taur è precario, e lui lo sa; il fatto che Trotts abbia ucciso il suo figlio prediletto non l'aiuta di certo. Però, il capo sta dalla nostra parte, più o meno. Forse non gli importa niente di Capustan, ma sa quale minaccia rappresenti il Dominio di Pannion.» «Non gli importa di Capustan, eh?» Ben lo Svelto sorrise. «Posso modificare quella posizione. Mallet, hai compagnia in quel tuo corpo?» Il guaritore batté le palpebre. «Che cosa?» «Ti senti strano, eh?» «Be'...» «Così dice», intervenne Paran. «Tu che cosa ne sai?» «Tutto, semplicemente. Capitano, dobbiamo andare da Humbrall Taur. Noi tre, anzi, noi quattro. Anche tu, Trotts. Per Hood, portiamo anche l'Ardito: lui sa molto più di quanto non abbia dato a vedere. Anche se non posso vedere il tuo sorriso, Moranth, so che c'è. Spindle, quel cilicio puzza. Vattene prima che vomiti.»
«Bella riconoscenza per aver protetto la tua pellaccia», borbottò Spindle, indietreggiando. Paran si raddrizzò, riportando lo sguardo sulla tenda di Humbrall Taur. «Bene. Pronti per il secondo atto.» Arrivò il tramonto, che bagnò di penombra tutta la valle. I Barghast avevano ripreso le loro danze convulse e i loro feroci duelli con un'intensità quasi febbrile. A trenta passi dalla tenda di Humbrall Taur, Picker sedeva con aria torva in mezzo alle armature abbandonate. «Sono ancora là dentro, i bastardi. Ci lasciano qui a non fare un accidente di niente, tranne guardare quei selvaggi che si mutilano a vicenda. Secondo me, non dovremmo pensare che è tutto finito, Blend.» La donna dagli occhi scuri al suo fianco aggrottò le sopracciglia. «Vuoi che vada a recuperare Antsy?» «Non ce n'è bisogno. Senti quei grugniti? È il nostro sergente che se la spassa con quella fanciulla Barahn. Tornerà fra un attimo, con l'aria soddisfatta...» «E la ragazza che lo segue a un passo di distanza...» «Con espressione confusa...» «"È finita qui?"» «Ha battuto le palpebre e si è persa tutto quanto.» Condivisero una risata breve, malevola. Poi Picker si calmò. «Domani potremmo essere morti, indipendentemente da quello che Ben lo Svelto dice a Taur. Così la pensa ancora il capitano, per questo stanotte ci lascia al nostro divertimento...» «E l'alba sorgerà grigia...» «Già.» «Trotts ha fatto quel che doveva fare in quel combattimento», osservò Blend. «Punto e basta.» «Be', sarei stata più contenta se al suo posto ci fosse stata Detoran. Non ci sarebbero stati pareggi, o quasi. Lei avrebbe fatto fuori del tutto quel moccioso. Da quel che ho sentito, il nostro Barghast si è tirato indietro e ha lasciato che quella donnola l'attaccasse. Detoran gli avrebbe semplicemente spaccato la testa senza pensarci su due volte...» «Nemmeno una, se è per questo.» «Come vuoi. Comunque, Trotts non ha la sua crudeltà.» «Nessuno ce l'ha; e fra parentesi, non è ancora tornata dalla macchia, dove ha trascinato quel guerriero Gilk.»
«È la sua compensazione per il fatto che Hedge è scappato a nascondersi. Povero ragazzo... il Gilk, intendo. A quest'ora sarà morto.» «Speriamo che lei se ne accorga.» Le due donne smisero di parlare. I duelli accanto al fuoco si susseguivano veloci e con una brutalità che aveva cominciato ad attirare sempre più spettatori Barghast. Picker grugnì, vedendo un altro guerriero cadere, la gola trapassata da un coltello. Se continua così, domani dovranno costruire un nuovo tumulo. Del resto, forse lo faranno comunque... un tumulo per gli Arsori di Ponti. Guardandosi intorno, scorse alcuni suoi compagni sparsi qua e là fra la folla degli indigeni. Non c'era più disciplina. L'impeto di speranza seguito alla notizia che Trotts sarebbe vissuto era crollato alla voce che i Barghast, forse, li avrebbero uccisi comunque... per puro dispetto. «L'aria sembra... strana», osservò infine Blend. Sì, come se la notte stessa fosse in fiamme... come se fossimo nel cuore di una tempesta invisibile. Le fasce sul braccio di Picker erano calde e lo diventavano sempre più. Presto dovrò andare a rituffarmi in quel barile d'acqua; il sollievo dura poco, ma è pur sempre qualcosa. «Ricordi quella notte nella Foresta del Cane Nero?» riprese Blend, a voce bassa. «La ritirata...» Siamo finiti su una terra bruciata Rhivi... spiriti maligni si levavano dalle ceneri... «Sì, Blend, mi ricordo benissimo.» E se quell'ala di Moranth Neri non ci avesse visto e non fosse venuta a tirarci fuori... «Ho la stessa impressione di allora, Picker. Ci sono spiriti in libertà.» «Non quelli grandi... a riunirsi qui sono semplici antenati. Se fossero quelli grandi, avremmo i capelli ritti sulla testa.» «Giusto. Ma, allora, dove sono? Dove sono i più malevoli fra gli spiriti Barghast?» «Da qualche altra parte, ovviamente. Se la fortuna di Oponn ci assiste, domani non si faranno vedere.» «Io credo di sì. Non vorranno perdersi lo spettacolo.» «Cerca di pensare positivo una volta tanto, Blend. Per il respiro di Hood!» «Era una semplice riflessione.» La donna scrollò le spalle. «Comunque», proseguì, alzandosi, «adesso vado a fare un giro. Vedo che notizie riesco a raccogliere». «Capisci il Barghast?» «No, ma a volte i messaggi più rivelatori non usano le parole.»
«Non sei meglio degli altri, Blend. Questa è probabilmente la nostra ultima notte fra i vivi, e tu te la squagli.» «È proprio questo il punto, no?» Picker guardò l'amica scivolare nell'ombra. Maledetta donna... mi lascia qui sola, più infelice di prima. Come faccio a sapere dove sono i più seri fra gli spiriti Barghast? Forse sono lì che aspettano dietro qualche collina, pronti a saltar fuori domattina e a spaventarci tutti a morte. E come faccio a sapere cosa ci riserverà domani il capo militare Barghast? Un buffetto sulla testa o un coltello in gola? Spindle si aprì un varco fra la folla, avvicinandosi. Aveva l'aria cupa; il puzzo di capelli bruciati gli aleggiava intorno come un secondo mantello. Si accovacciò davanti a lei. «Andiamo male, caporale.» «Tanto per cambiare», sbottò Picker. «Cosa c'è?» «Metà dei nostri soldati è ubriaca e gli altri sono sulla buona strada per diventarlo. Il fatto che Paran e i suoi amichetti siano spariti dentro quella tenda e non escano non è stato preso come un buon segno. All'alba, non saremo in condizioni di fare un bel niente.» Picker lanciò un'occhiata alla tenda di Humbrall Taur. Le sagome all'interno non si muovevano da qualche tempo. Dopo un attimo, annuì fra sé. «Va bene, Spin. Smettila di preoccuparti. Concediti un po' di divertimento.» L'uomo spalancò la bocca. «Divertimento?» «Sì, ricordi? Svago, piacere, un senso di benessere. Coraggio, lei ti aspetta e fra nove mesi sarai lontano. Certo, avresti più possibilità se ti togliessi quel cilicio... almeno per stanotte...» «Non posso farlo! Che cosa penserà la mamma?» Picker studiò l'espressione tesa, inorridita del mago. «Spindle», ribatté lentamente. «Tua madre è morta; non è qui e non ti tiene d'occhio. Puoi comportarti male, Spindle. Sul serio.» Il mago si chinò, come colpito da una mano invisibile; per un attimo, Picker credette di vedere l'impronta di nocche fiorire sulla sua zucca. L'uomo sgattaiolò via, borbottando e scuotendo la testa. Per gli dei... forse tutti i nostri antenati sono qui! Picker lanciò occhiate minacciose all'intorno. Avvicinati, papà, e ti taglierò quella maledetta gola, proprio come ho fatto la prima volta... Gli occhi velati per la stanchezza, Paran uscì dalla tenda. Il cielo era grigio, debolmente luminescente; foschia e fumo di legna aleggiavano immo-
bili sopra la valle. L'unico movimento visibile era quello di un branco di cani che correvano sopra una cresta. Però sono svegli. E tutti qui. La vera battaglia è finita e ora, davanti a me - posso quasi vederli - stanno i cupi semidei Barghast, che contemplano l'alba... per la prima volta in migliaia di anni, contemplano l'alba mortale. Un uomo lo raggiunse. Paran gli lanciò un'occhiata. «Ebbene?» «Gli Spiriti Antichi Barghast hanno lasciato Mallet», annunciò Ben lo Svelto. «Il guaritore sta dormendo. Li sentite, capitano? Gli spiriti? Tutte le barriere sono state infrante; i Vecchi si sono riuniti ai parenti più giovani. Il canale dimenticato non è più tale.» «Fantastico», borbottò Paran, «ma abbiamo sempre una città da liberare. Che cosa succederà se Taur alzerà la bandiera della guerra e i suoi rivali gli si opporranno?». «Non lo faranno. Non possono. Ogni sapiente fra i Visi Bianchi aprirà gli occhi al cambiamento, allo sbocciare di quel potere. Lo sentiranno e lo riconosceranno. Non solo: gli spiriti renderanno noto che i loro padroni - le vere divinità dei Barghast - sono intrappolati a Capustan. Gli Spiriti Fondatori sono svegli. È giunta l'ora di liberarli.» Per un attimo, il capitano studiò il mago al suo fianco, poi chiese: «Sapevi che i Moranth erano parenti dei Barghast?». «Più o meno. Forse Taur non approverà - e le tribù urleranno di sdegno ma se gli spiriti stessi hanno abbracciato l'Ardito e il suo popolo...» Paran sospirò. Ho bisogno di dormire; ma non posso. «Meglio che vada a radunare gli Arsori di Ponti.» «La nuova tribù di Trotts», commentò Ben lo Svelto, con un largo sorriso. «Allora perché lo sento russare?» «È inesperto, capitano; dovrete insegnargli.» Insegnargli cosa? Come vivere sotto il peso del comando? Non ci riesco nemmeno io. E mi basta guardare Whiskeyjack in faccia per capire che non ci riesce nessuno... nessuno che abbia un cuore, almeno. Impariamo una cosa sola: come nascondere i nostri pensieri, come mascherare i nostri sentimenti, come seppellire la nostra umanità nel profondo dell'animo. E questo non si può insegnare, ma solo mostrare. «Va' a svegliare quel bastardo», ringhiò Paran. «Sì, signore.»
CAPITOLO DODICESIMO Nel Cuore della Montagna ella aspettava, sognando la pace, raggomitolata intorno al suo dolore, quando egli la trovò; la ricerca dell'uomo era terminata, e lui assunse su di sé ogni sua cicatrice, poiché l'abbraccio del potere è un amore che ferisce. L'ascesa del Dominio Scintalla di Bastione (1129-1164) Al tramonto, l'Osservatorio, la fortezza montana di spalle al lago, aveva il colore del sangue annacquato. Condor vi roteavano intorno, massicci il doppio dei grandi corvi; piegarono i colli ricoperti di piume nello studiare gli esseri umani turbinanti ai piedi della costruzione, in mezzo ai fuochi da bivacco che punteggiavano il paesaggio come tante stelle. Il Tenescowri con un occhio solo, che era stato ricognitore nell'Armata di Un-braccio, seguiva con concentrazione profonda i cerchi da loro disegnati contro il cielo sempre più scuro, come se fosse possibile leggervi messaggi divini. Egli era stato veramente abbracciato dalla fede, convenivano coloro che lo conoscevano di vista. Era rimasto senza parole dinanzi alla vastità del Dominio quel giorno a Bastione, tre settimane prima. Fin dall'inizio, nel suo unico occhio c'era stata una fame selvaggia, un fuoco antico permeato dal sussurrio crescente di lupi che percorrevano l'oscurità a passo felpato. Si diceva che Anaster stesso, il Primo dei Figli del Seme Morto, l'avesse notato, e attirato verso di loro durante la lunga marcia; finché l'uomo non aveva ricevuto un cavallo, e aveva potuto cavalcare con gli ufficiali di Anaster nell'avanguardia della marea umana. Naturalmente, la compagnia di ufficiali di Anaster cambiava volto con regolarità brutale. L'esercito informe, affamato, aspettava ora ai piedi del Veggente Pannion. All'alba, egli sarebbe apparso su un balcone della torre centrale dell'Osservatorio, alzando la mano in una sacra benedizione. L'urlo bestiale che sarebbe salito ad accogliere il suo gesto avrebbe annientato un individuo di levatura minore, ma il Veggente, per quanto vecchio, non era un uomo comune. Era l'incarnazione di Pannion, il dio, l'unico dio.
Conducendo i Tenescowri a nord, fino al fiume e poi oltre, fino a Capustan, Anaster avrebbe portato con sé il potere proprio del Veggente. E il nemico che si era radunato a combatterli sarebbe stato violentato, divorato, cancellato dalla faccia della terra. Nella mente di quei centomila non c'erano dubbi, ma solo certezza: una spada di ferro affilata come un rasoio, stretta nella morsa della fame incessante, disperata. L'uomo dall'occhio solo continuò a fissare i condor, mentre la luce sbiadiva. Forse, come mormoravano alcuni, era in comunione con il Veggente, e il suo sguardo in quel momento non era sugli uccelli roteanti, ma sull'Osservatorio stesso. Con quell'idea, i contadini non si discostavano molto dalla verità. In effetti, Toc il Giovane studiava quella fortezza maestosa, un antico monastero deformato dalle aggiunte belliche: merlature, ampi corpi di guardia e trincee dalle pareti scoscese. E gli sforzi continuavano: muratori e genieri lavoravano la notte sotto imponenti bracieri colmi di fiamme guizzanti. Oh, sbrigatevi con quest'ultima, frenetica ondata di migliorie. Senti la tua emozione, vecchio. Per te è nuova, ma noialtri la conosciamo molto bene. Si chiama paura. I sette Cacciatori K'ell che ieri hai mandato a sud, quelli che ci hanno superato lungo la via... non torneranno indietro. E quel fuoco magico che vedi illuminare il cielo meridionale, la notte... si avvicina. Inesorabilmente. E la ragione è semplice: hai fatto arrabbiare la cara Lady Invidia. Quando è arrabbiata, non è molto amabile. Hai visto la carneficina di Bastione? Hai mandato lì i tuoi Urdomen prediletti perché tornassero con un rapporto dettagliato? La notizia ti ha fatto tremare le ginocchia? Avrebbe dovuto. La lupa e il cane che, enormi, silenziosi, laceravano la calca. Il T'lan Imass che, con la sua spada color ruggine, faceva a fette le tue tanto decantate elite. E i Seguleh, oh, i Seguleh. L'esercito punitivo di tre soldati, venuto a rispondere alla tua arroganza... Il dolore allo stomaco si era attenuato; il nodo della fame si era ristretto, contratto, diventando un nucleo di bisogno, un bisogno reso inerte dall'inedia. Le costole di Toc sporgevano distintamente sotto la pelle tesa. Fluidi gli gonfiavano il ventre. Le giunture gli dolevano di continuo, e sentiva i denti ballare nelle loro cavità. Ultimamente, l'unico gusto che aveva in bocca era quello degli occasionali avanzi di cibo e quello rancido e amaro della propria saliva, lavato di tanto in tanto dall'acqua stantia, macchiata di vino, conservata nei barili sui carri, o dalla birra delle rare caraffe riservate ai pochi beniamini del Primo Figlio. Gli ufficiali compagni di Toc - e anche lo stesso Anaster - erano abba-
stanza ben nutriti. Salutavano con piacere le infinite vittime che la marcia faceva e continuava a fare. I loro calderoni bollenti erano sempre pieni: il premio del potere. La metafora diventata realtà... mi sembra di vedere annuire i miei vecchi, cinici insegnanti. Qui, fra i Tenescowri, non c'è modo di offuscare la brutale verità. I nostri governanti ci divorano. Lo fanno da sempre. Come ho mai potuto credere il contrario? Una volta ero un soldato; ero la manifestazione violenta della volontà di qualcun altro. Era cambiato; una verità che non faticava a ravvisare in se stesso. L'anima lacerata dagli orrori che vedeva tutt'intorno, dalla pura amoralità frutto di fame e fanatismo, egli aveva assunto una forma nuova, quasi irriconoscibile rispetto a prima. L'estirpazione della fede - in ogni cosa, e specialmente nella fondamentale bontà dei suoi simili - l'aveva reso duro, freddo, spietato. Eppure, si rifiutava di mangiare carne umana. Meglio divorarmi dall'interno, consumare i miei stessi muscoli, strato dopo strato, e digerire tutto ciò che ero. Questa è la mia ultima missione, ed è già cominciata. Di recente, però, si era reso conto di una cosa: la sua determinazione stava crollando. No, sta' lontano da quel pensiero. Non aveva idea di cosa Anaster avesse visto in lui. Toc recitava la parte del muto, era lo Sfidante dei devoti, non aveva altro da offrire al mondo che la sua presenza, l'acutezza del suo unico occhio, capace di vedere tutto il visibile; e tuttavia il Primo l'aveva distinto, in qualche modo, in mezzo alla massa, l'aveva tirato fuori e gli aveva offerto un posto da ufficiale. Però, non comando nessuno. Tattiche, strategie, le infinite difficoltà di gestire un esercito, seppure anarchico come questo... durante le riunioni, sto zitto su tutto. Anaster non mi chiede la mia opinione. Non faccio rapporti. Cos'è che vuole da me? Un cupo turbine di sospetti si agitava ancora sotto la superficie intorpidita del suo animo. Si chiese se Anaster fosse venuto a conoscenza della sua vera identità. Stava per essere consegnato nelle mani del Veggente? Era possibile; nello stato attuale del mondo, tutto era possibile. La realtà stessa aveva rinunciato alle sue regole; ora c'erano i vivi concepiti dai morti, l'amore selvaggio negli occhi delle donne che montavano un prigioniero morente, la scintillante speranza che avrebbero raccolto in sé l'ultimo seme del cadavere: quasi l'estrema possibilità cercata dal corpo di sfuggire all'oblio definitivo, mentre l'anima affondava nell'oscurità. Ed è amore, non lussuria. Queste donne hanno donato il loro cuore alla morte. Se il seme
attecchisce... Anaster era il più vecchio della prima generazione. Un giovane pallido, allampanato, con occhi picchiettati di giallo e capelli neri e flosci, che guidava il vasto esercito dall'alto del suo cavallo da tiro. Il suo viso era di una bellezza inumana, come se non ci fosse anima dietro quella maschera perfetta. Uomini e donne di tutte le età andavano da lui, implorando il suo tocco delicato, ma li respingeva tutti. Solo sua madre lasciava avvicinare, ad accarezzargli i capelli, a posargli sulla spalla una mano rugosa, scurita dal sole. Toc temeva quella donna più di chiunque altro, più di Anaster e della sua crudeltà arbitraria, più del Veggente. Nei suoi occhi brillava una luce demoniaca. Era stata la prima a montare un moribondo, urlando i Voti Notturni di una coppia di sposi, e gemendo poi come una vedova contadina quando l'uomo era spirato sotto di lei. Una storia sulla bocca di tutti. Una moltitudine di testimoni. Le altre donne Tenescowri la cercavano in massa. Forse le attirava il suo atto di potere su uomini inermi, o il furto audace del loro seme sparso involontariamente; o forse, semplicemente, la follia si diffondeva dall'una all'altra. Durante la marcia da Bastione, l'esercito aveva incontrato un villaggio che si era opposto all'Abbraccio della fede. Toc aveva visto Anaster scatenare la madre e le sue seguaci; le aveva viste prendere uomini e ragazzi, impartendo colpi mortali con i coltelli e sciamando sui corpi in un modo sconosciuto alle bestie più disgustose. E i suoi pensieri di allora erano ora profondamente scolpiti nella sua anima. Una volta erano umane, queste donne. Vivevano in paesi e villaggi non diversi da questo. Erano mogli e madri, che badavano alla casa e agli animali da cortile. Ballavano e piangevano, erano pie e rispettose nell'invocare i vecchi dei. Conducevano vite normali. C'era un veleno nel Veggente Pannion e nel dio che - quale che fosse parlava attraverso di lui. Un veleno che sembrava nato da ricordi familiari, ricordi abbastanza potenti da recidere quei legami antichissimi. Un bambino tradito, forse. Un bambino portato per mano... nel dolore e nel terrore. Questa è l'aria che trasuda lo spettacolo intorno a me. La madre di Anaster, ricreata a forza in una forma maligna, fatta rinascere in un ruolo da incubo. Una madre non madre, una moglie non moglie, una donna non donna. Grida si levarono ad annunciare l'apparizione di un gruppo di cavalieri, che emergevano dalla porta del muro esterno dell'Osservatorio. Girando la
testa, Toc osservò i visitatori avvicinarsi nell'oscurità sempre più fitta. Erano armati. Vi era un comandante Urdo, affiancato da un paio di Seerdomin; nella loro scia, cavalcava una truppa di Urdomen, larga tre uomini e profonda sette. Dietro la truppa, veniva un Cacciatore K'ell. Un gesto di Anaster attirò i suoi ufficiali verso la bassa collina che si era scelto come quartier generale; Toc il Giovane li accompagnava. Il bianco degli occhi del Primo era, in realtà, color del miele; le pupille erano grigie come l'ardesia. La luce delle torce illuminava il volto alabastro, rendendo le labbra carnose insolitamente rosse. Seduto con le spalle ricurve sul cavallo imponente, stanco, privo di sella, il Primo studiò i suoi uomini scelti. «Ho notizie per voi», annunciò, aspro. Toc non l'aveva mai udito parlare a voce così alta. Forse non poteva, a causa di un difetto congenito della gola o della lingua; o forse non ne aveva mai sentito il bisogno. «Il Veggente e io ci siamo parlati mentalmente, e ora sono più informato persino dei cortigiani fra le sacre mura dell'Osservatorio. L'Eptarca Ultentha di Coral è stato convocato dal Veggente, il che ha dato adito a molte congetture.» «Quali notizie», chiese uno degli ufficiali, «arrivano dal confine settentrionale, o Glorioso Primo?». «L'incursione è quasi completa. Temo, figli miei, che arriveremo troppo tardi per prendere parte all'assedio.» Respiri sibilanti si levarono su tutti i lati. Temo che la nostra fame non finirà. Questo era il vero significato del messaggio. «Si dice che Kaimerlor, un grande villaggio a est, abbia rifiutato l'Abbraccio», obiettò un altro ufficiale. «Forse, Glorioso Primo...» «No», stridette Anaster. «Oltre Capustan aspettano i Barghast. A centinaia di migliaia, corre voce. Sono divisi, e la loro fede è debole. Lì troveremo tutto ciò che ci occorre, figli miei.» Non ci arriveremo. Toc lo sapeva con certezza, e gli altri pure. Cadde il silenzio. Anaster teneva gli occhi sui soldati in avvicinamento. «Il Veggente», riprese, «ci ha preparato un dono nel frattempo. Riconosce il nostro bisogno di sostentamento. Sembra», proseguì implacabile, «che i cittadini di Coral siano stati trovati... in difetto. Questa è la verità dietro le congetture. Ci basterà attraversare le calme acque dello Stretto di Orinai per riempirci la
pancia, e l'Urdo in arrivo ci comunicherà la notizia che ci aspettano barche... sufficienti a portarci tutti quanti». «E allora», ringhiò un tenente, «banchetteremo». Anaster sorrise. Banchettare. Hood, prendimi ora, ti supplico... Toc sentì montare dentro di sé la brama, un'urgenza palpabile che, capì, l'avrebbe sconfitto, abbattendo le sue difese. Un banchetto... per gli dei, come lo desidero. «Non ho finito con le notizie», continuò il Primo, dopo un attimo. «L'Urdo ha una seconda missione.» Lo sguardo smorto del ragazzo cadde su Toc il Giovane. «Il Veggente richiede la presenza dello Sfidante, l'uomo dall'occhio solo; un occhio che, notte dopo notte, è lentamente cambiato durante il nostro viaggio da Bastione, anche se, probabilmente, all'insaputa del proprietario. Lo Sfidante, con il suo occhio da lupo che tanto risplende al buio, sarà ospite del Veggente. E non gli serviranno quelle sue formidabili armi di osso; me ne prenderò cura io.» Le frecce dalla punta di ossidiana e il pugnale vennero rapidamente tolti dalle mani di Toc e consegnati ad Anaster. I soldati arrivarono. Toc li raggiunse a grandi passi, buttandosi in ginocchio davanti al cavallo dell'Urdo. «È un onore per lui», commentò Anaster. «Prendetelo.» Toc sentiva una sincera gratitudine, un fiotto di sollievo che gli invadeva le esili vene. Non avrebbe visto le mura di Coral, non avrebbe visto i suoi cittadini fatti a pezzi a decine di migliaia, non avrebbe visto gli stupri, non avrebbe visto se stesso fra la folla correre verso la carne che era il suo legittimo premio... La merlatura nascente pullulava di operai, figure sporche di polvere e terriccio, cui la luce del fuoco conferiva un profilo demoniaco. Arrancando nella scia del cavallo di Urdo, Toc osservava i loro sforzi con forte distacco. La pietra, la terra e il legno erano magri ostacoli alla magia di Lady Invidia, che aveva visto scatenare a Bastione. Come nelle antiche leggende, il suo era un potere che avanzava ad ampie ondate, strappando la vita a tutto ciò che sommergeva, divorando fila su fila di soldati, lasciando corpi impilati a centinaia strada per strada. Quella donna, Toc ricordò a se stesso con una sorta di fiero orgoglio, era la figlia di Draconus, un Dio Antico. Da allora, aveva saputo che il Veggente Pannion aveva inviato stregoni sul suo sentiero; ma il risultato non era stato molto migliore. Lei aveva
respinto i loro sforzi con un'alzata di spalle; aveva decimato i loro poteri, poi li aveva lasciati a Garath o a Baaljagg. I K'Chain Che'Malle che avevano cercato di raggiungerla erano avvizziti sotto un fiotto di magia. Garath, il suo cagnolino, faceva un sol boccone di quelli che le sfuggivano, lavorando solitamente da solo, ma a volte in tandem con Baaljagg. Entrambi, si diceva, erano più veloci dei cacciatori non-morti, e molto più intelligenti. Avevano avuto luogo tre battaglie campali, in cui legioni di Betaklite, appoggiati dai Betakullid a cavallo e dagli Scalandi, specialisti in scaramucce, oltre che dagli equivalenti Pannion dei maghi dei quadri, avevano reagito alle loro poche manciate di nemici come a un esercito avversario. Da queste battaglie, erano nate le storie sussurrate sul T'lan Imass - una creatura completamente ignota ai Pannion, da loro chiamata Spada-di-Pietra - e sui Seguleh, due nelle prime due battaglie, cui se n'era aggiunto un terzo nell'ultima. Spada-di-Pietra difendeva un fianco e i Seguleh quello opposto. Lady Invidia stava al centro, mentre Garath e Baaljagg correvano dove volevano, simili a logore cappe di oscurità. Tre combattimenti, tre eserciti spezzati, migliaia di morti; e i superstiti che avevano tentato di fuggire erano sempre stati fermati dall'ira implacabile di Lady Invidia. È terribile come i Pannion, la mia amica dal dolce viso. Altrettanto terribile... e altrettanto terrificante. Tool e i Seguleh rispettano la ritirata degli avversari; si accontentano di appropriarsi del campo. Persino la lupa e il cane hanno cessato i loro inseguimenti. Ma non Invidia. Una tattica poco saggia: ora che il nemico sa che la ritirata è impossibile, resterà a combattere. I Seguleh non sono immuni dalle ferite; e nemmeno Garath e Baaljagg. Persino Tool è rimasto sepolto sotto spadaccini infuriati, anche se lui può dissolversi in polvere e ricomparire da un'altra parte. Una carica di lancieri è arrivata a una decina di passi da Lady Invidia; il prossimo giavellotto ben tirato... Toc non si rammaricava di averli lasciati: in loro compagnia, non sarebbe sopravvissuto. Mentre si avvicinavano alle fortificazioni della porta esterna, vide dei Seerdomin fra le merlature, massicci e silenziosi. Già formidabili in mezza dozzina di numero, lì erano ventine. Forse faranno più che rallentare i Seguleh; forse li fermeranno addirittura. Questa è l'ultima linea di difesa del Veggente... Un'unica rampa portava alla porta esterna dell'Osservatorio, ripida e con i lati a precipizio; ossa umane riempivano le trincee su entrambi i versanti.
Salirono. Dopo un centinaio di passi, passarono sotto l'arco. L'Urdo inviò la sua truppa a sistemare i cavalli nelle stalle e scese di sella. Affiancato dal Seerdomin, Toc guardò il Cacciatore K'ell uscire a passo pesante dalla porta, le braccia munite di lame penzoloni lungo il corpo. Per un attimo, girò sul Malazan occhi senza vita, poi si allontanò lungo un corridoio coperto, non illuminato, che correva parallelo al muro. L'Urdo alzò la visiera dell'elmo. «Sfidante, alla tua sinistra c'è l'entrata alla torre del Veggente. Lui ti sta aspettando... va'!» Forse non sono un prigioniero; forse sono soltanto una curiosità. Toc si inchinò all'ufficiale, arrancando stancamente fino all'entrata. Più probabilmente, il Veggente sa di non avere nulla da temere da me. Sono già nell'ombra di Hood; non mi rimane più molto tempo. Una sola camera occupava l'intero piano principale della torre; l'alto soffitto a volta era un caotico labirinto di contrafforti, campate, archi e falsi archi. Dal centro scendeva, fermandosi a una spanna dal pavimento, una scala a chiocciola bronzea, scheletrica, che oscillava scricchiolando, descrivendo lenti cerchi. Illuminata da un unico braciere accanto al muro opposto all'entrata, la camera era avvolta nella penombra; ma Toc non ebbe difficoltà a distinguere le pareti composte di blocchi di pietra disadorna e la completa assenza di mobilio, che mandava echi a risuonare tutt'intorno a lui, mentre attraversava il pavimento a mattonelle fra basse pozze d'acqua. Posò una mano sulla ringhiera della scala. Nel suo movimento rotatorio, la struttura massiccia lo attirò inesorabilmente da un lato, facendolo barcollare. Con una smorfia, salì sul primo gradino. Il bastardo è in cima, scommetto, in una stanza oscillante. Mi cederà il cuore a mezza strada; e lui rimarrà seduto lì, in attesa di un incontro che non arriverà mai. Bello scherzetto, degno di Hood. Cominciò l'ascesa. Quarantadue gradini lo portarono al livello successivo. Toc si afflosciò sul bronzo freddo del pianerottolo; aveva le membra in fiamme e il mondo gli ondeggiava all'intorno, lasciandolo stordito. Appoggiò le mani madide di sudore sulla superficie granulosa, zigrinata del metallo, battendo le palpebre per mettere a fuoco le immagini. La stanza che lo circondava era buia, ma il suo unico occhio distingueva ogni dettaglio: le rastrelliere stipate di strumenti di tortura, i bassi letti di legno scolorito, i fagotti di stracci scuri, rigidi contro un muro e, a coprire tutte le pareti come gli arazzi di un folle artigiano, pelli umane. Complete di polpastrelli e unghie, tese in un'agghiacciante, imponente imitazione
della figura umana, i visi schiacciati, con la grezza pietra del muro visibile al posto degli occhi. Narici e bocche erano cucite; i capelli tirati da una parte e stretti in un nodo lento. Toc fu invaso da ondate di disgusto, che lo lasciarono debole, in preda ai brividi. Voleva gridare, per allentare l'orrore, ma riuscì solo ad ansimare. Si tirò in piedi; alzando lo sguardo sulla scala, riprese il cammino. Mentre risaliva i gradini apparentemente infiniti, stanze gli sfilavano accanto, scene avvolte in una cupa incertezza. Perse la nozione del tempo. La torre, che ora - scossa dal vento - scricchiolava e cigolava su tutti i lati, era diventata una metafora dell'intera sua vita, del suo compito solitario di mortale. Metallo freddo, pietra, stanze debolmente illuminate che apparivano e sparivano come soli diafani; il passaggio delle ere, la nascita e la morte di civiltà, con solo l'illusione della gloria a separarle. La sua mente sconvolta rimbalzava sulle pareti di precipizi, infossandosi sempre più nel pozzo della follia, mentre il corpo saliva a fatica, gradino dopo gradino. Caro Hood, vieni a prendermi, ti supplico. Toglimi dai piedi di questo dio malato, poni termine a questo vergognoso avvilimento; quando, infine, gli arriverò davanti, non sarò più niente... «La scala è finita», annunciò una voce antica, acuta e tremula. «Solleva la testa, voglio vedere questo tuo volto inquietante. Non hai più forze? Lascia che ti aiuti.» Una volontà si insinuò nella carne di Toc; il vigore di uno sconosciuto infuse salute ed energia in ogni muscolo, ma il suo gusto era sgradevole, ostico. Toc gemette, lottò, ma la capacità di opporsi gli venne meno. Il respiro più regolare, il corpo più lento, alzò la testa. Era inginocchiato sull'ultima piattaforma di bronzo martellato. Seduta scompostamente, le spalle ricurve, su uno scranno di legno c'era la carcassa raggrinzita di un vecchio; gli occhi scintillavano, quasi che la loro superficie fosse solo la membrana lacerata di due lanterne di carta. Il Veggente Pannion era un cadavere, ma dentro il guscio abitava una creatura che l'animava, una creatura visibile a Toc come un'aura di potere, spettrale, dalla vaga forma umana. «Ah, ora vedo», proseguì la voce, anche se la bocca non si aprì. «In realtà, quello non è un occhio di uomo, ma di lupo. Straordinario. Si dice che tu non parli. Lo farai ora?» «Se volete», concesse Toc; la voce aspra per il disuso gli colpì spiacevolmente le orecchie. «Ne sono felice. Sono così stanco di ascoltare me stesso. Il tuo accento
mi è sconosciuto; certamente, non sei cittadino di Bastione.» «Sono un Malazan.» Il cadavere si chinò in avanti con uno scricchiolio; gli occhi si fecero ancora più luminosi. «Ma davvero! Un figlio di quell'impero lontano, formidabile. Eppure sei venuto dal sud, mentre le mie spie mi informano che l'esercito dei tuoi simili marcia da Pale. Come hai potuto perderti a tal punto?» «Non so niente di quell'esercito, Veggente», ribatté Toc. «Ora sono un Tenescowri, e solo questo conta.» «Affermazione audace. Come ti chiami?» «Toc il Giovane.» «Lasciamo perdere l'esercito Malazan per un attimo, eh? Il sud, fino a poco tempo fa, non presentava pericoli per la mia nazione. Ma la situazione è cambiata; sono disturbato da una nuova, ostinata minaccia. Questi... Seguleh... e un gruppo irritante, anche se fortunatamente ridotto, di alleati. Costoro sono tuoi amici, Toc il Giovane?» «Io non ho amici, Veggente.» «Nemmeno i tuoi compagni Tenescowri? E Anaster, il Primo Figlio che un giorno condurrà un intero esercito di Figli del Seme Morto? Lui ti ha notato come... unico. E io? Non sono forse il tuo Signore? Non sono forse stato io ad abbracciarti?» «Non so bene», osservò Toc con voce spenta, «chi di voi sia stato ad abbracciarmi». A quelle parole, entità e cadavere arretrarono con un sussulto; l'offuscamento delle forme ferì l'occhio di Toc. Due esseri: il vivo si nasconde dietro al morto. Il potere lievitò, finché il vecchio corpo non sembrò sul punto di disintegrarsi. Le membra erano scosse da contrazioni spasmodiche. Dopo un attimo, l'emanazione violenta diminuì e il corpo smise di muoversi. «Hai più che un occhio di lupo, se vedi così chiaramente quello che nessun altro è riuscito a distinguere. Oh, stregoni mi hanno osservato, forti della magia dei loro canali, senza notare niente di strano. Il mio inganno resisteva a ogni sfida. Ma tu...» Toc scosse le spalle. «Io vedo quello che vedo.» «Con quale occhio?» Altra alzata di spalle. A quello, non aveva risposte. «Ma stavamo parlando di amici, Toc il Giovane. Dentro il mio sacro Abbraccio, un mortale non si sente solo. Anaster, ora capisco, è stato ingannato.»
«Non ho detto che mi sentivo solo, Veggente. Ho detto che non ho amici. Come Tenescowri, sono in armonia con la vostra sacra volontà. Però, pensate alla donna che mi cammina al fianco, o al bambino stanco che porto in braccio o ai fanciulli che mi circondano... se dovessero morire, li divorerò. In una simile compagnia non può esserci amicizia, Veggente; solo cibo potenziale.» «Eppure non mangiavi.» Toc rimase zitto. Il Veggente si chinò ancora in avanti. «Adesso lo faresti, non è vero?» E così, la pazzia mi ricopre di soppiatto, come il più caldo dei mantelli. «Se devo vivere.» «E vivere è importante per te, Toc il Giovane?» «Non lo so, Veggente.» «Scopriamolo, allora.» Un braccio avvizzito si alzò. La magia increspò l'aria davanti a Toc; prese forma un tavolino, su cui erano ammucchiati pezzi fumanti di carne bollita. «Qui c'è il sostentamento che ti serve», annunciò il Veggente. «Carne fresca; è un gusto che si acquisisce, mi dicono. Ah, vedo la fame brillare nel tuo occhio di lupo. Dentro di te c'è veramente una bestia; cosa le importa da dove proviene il suo pasto? Tuttavia, ti esorto a procedere lentamente, o il tuo stomaco rattrappito rifiuterà tutto ciò che gli offri.» Con un gemito sommesso, Toc cadde in ginocchio davanti al tavolo e tese le mani. Provò dolore ai denti quando cominciò a masticare, aggiungendo il proprio sangue ai sughi della carne. Inghiottì; sentendo le viscere stringersi intorno al boccone, si costrinse a fermarsi, ad aspettare. Il Veggente si alzò dallo scranno; camminò rigidamente fino a una finestra. «Mi sono reso conto», disse, «che gli eserciti mortali non bastano a sconfiggere la minaccia che si avvicina da sud. Perciò ho ritirato le mie forze, e ora respingerò il nemico con le mie mani». L'antica creatura si girò a studiare Toc. «Si dice che i lupi, potendo scegliere, evitino la carne umana. Non credermi senza misericordia, Toc il Giovane. Quella che ti sta davanti è carne di cervo.» Lo so, bastardo. A quanto pare, del lupo non ho solo l'occhio... ma anche l'olfatto. Prese un altro pezzo. «Non ha più importanza, Veggente.» «Mi fa piacere. Senti il tuo corpo riprendere forza? Mi sono preso la libertà di guarirti; lentamente, per attenuare il trauma dello spirito. Tu mi piaci, Toc il Giovane. Anche se pochi lo sanno, posso essere il più gentile dei padroni.» Il vecchio si volse di nuovo verso la finestra.
Toc continuò a mangiare, sentendo la vita tornare in lui; teneva l'unico occhio fisso sul Veggente, concentrato sul potere che aveva cominciato ad accumularsi intorno al suo cadavere animato. Una magia fredda. Un odore di ghiaccio portato dal vento; ci sono sotto ricordi, ricordi antichi. Ma a chi appartengono? La stanza si offuscò, sparì davanti ai suoi occhi. Baaljagg... Un passo che procedeva fermo, un occhio che guizzava a guardare Lady Invidia, in cammino poco lontano. Dietro alla donna, veniva a balzi Garath, massiccio, i fianchi intersecati da cicatrici che ancora trasudavano sangue ribollente, virulento... il sangue del caos. Alla sinistra di Garath, avanzava Tool. Le spade gli avevano ridisegnato il corpo, spezzando ossa, lacerando la carne e i muscoli avvizziti; Toc non aveva mai visto un T'lan Imass così gravemente danneggiato. Sembrava impossibile che Tool riuscisse a stare in piedi né, tanto meno, a camminare. La testa di Baaljagg non si girò a esaminare i Seguleh che marciavano alla sua destra, però Toc sapeva che erano lì, Mok compreso. L'ay, e lo stesso Toc, erano attanagliati dai ricordi risvegliati dall'odore portato da quel nuovo, freddo vento del nord... ricordi che spingevano la loro attenzione congiunta verso Tool. Il T'lan aveva sollevato la testa; rallentò il passo fino a fermarsi. Gli altri lo imitarono. Lady Invidia si volse verso di lui. «Che magia è mai questa, T'lan Imass?» «Lo sapete bene quanto me», rispose Tool in tono aspro, annusando l'aria. «È arrivata all'improvviso, a rafforzare la confusione che circonda l'entità nota come Veggente Pannion.» «Un'alleanza impossibile, eppure pare proprio...» «Pare proprio», convenne Tool. Gli occhi di Baaljagg tornarono al nord, al chiarore soprannaturale che si sviluppava sull'orizzonte frastagliato; esso cominciò a scorrere giù fra le montagne, riempiendo le valli, diffondendosi verso l'esterno. Il vento prese a ululare, gelido e pungente. Ricordi resuscitati... questa è magia Jaghut. «Potete sconfiggerla, Tool?» chiese Lady Invidia. «Io sono senza clan. Indebolito. A meno che voi non riusciate a respingerla, signora, dovremo andare avanti alla bell'e meglio, e nel frattempo continuerà a crescere, opponendosi a noi.» La donna aveva l'aria turbata. Aggrottò le sopracciglia nel guardare
l'emanazione a nord. «K'Chain Che'Malle... e Jaghut insieme. Esistono precedenti a una simile alleanza?» «No», rispose Tool. Sul gruppetto si abbatté del nevischio, che presto si trasformò in grandine. Toc si sentì pungere attraverso il fianco di Baaljagg, mentre l'animale si piegava a terra. Un attimo dopo, tutti ripresero a muoversi, curvi contro il vento violento. Davanti a loro, le montagne si ricoprirono di un mantello bianco venato di verde... Toc batté le palpebre. Si trovava nella torre, accovacciato davanti al tavolo carico di carne. Il Veggente gli girava la schiena, soffusa di magia Jaghut; ora la creatura dentro alla carcassa del vecchio era interamente visibile: alta, magra, glabra, di color verde. Ma no, c'è dell'altro... radici grigie che scendono dalle gambe; un potere caotico, che attraversa il pavimento di pietra e vibra di dolore, o di estasi. Lo Jaghut attinge a un altro potere, qualcosa di più vecchio, e molto più letale, dell'Omtose Phellack. Il Veggente si girò. «Sono... deluso, Toc il Giovane. Pensavi di poter raggiungere la tua parente lupa senza che me ne accorgessi? E così, colui che sta dentro di te si prepara alla rinascita.» Colui che sta dentro di me? «Ahimè», continuò il Veggente, «il Trono della Bestia è vacante; né tu né quel dio-bestia potete eguagliare la mia forza. Però, se fossi rimasto nella mia ignoranza, forse saresti riuscito ad assassinarmi. Tu hai mentito!». Quest'ultima accusa uscì in un urlo, e Toc si vide davanti non più un vecchio, ma un bambino. «Hai mentito! Hai mentito! E per questo soffrirai!» Il Veggente gesticolò febbrilmente. Il dolore afferrò Toc il Giovane, gli avvolse il corpo in fasce di acciaio, sollevandolo in aria. Ossa schioccarono. Il Malazan gridò. «Rompiti! Sì, rompiti! Ma non ti ucciderò; no, non per molto, molto tempo ancora! Oh, guarda come ti agiti; ma cosa sai tu del vero dolore, mortale? Niente. Ti mostrerò io. Ti insegnerò...» Il Veggente riprese i suoi gesti. Toc si ritrovò sospeso nell'oscurità totale. Il tormento che l'attanagliava non cessò, ma nemmeno si inasprì. I suoi ansiti riecheggiavano sordamente nell'aria greve, viziata. Lui... mi ha mandato via. Il mio dio mi ha mandato
via... e ora sono veramente solo. Solo... Qualcosa si mosse nei pressi; qualcosa di enorme, la cui pelle dura raschiava contro la pietra. Alle orecchie di Toc arrivò una specie di miagolio, che si faceva sempre più forte, più vicino. Risuonò un grido; braccia coriacee avvolsero il Malazan in un abbraccio soffocante, disperato. Inchiodato contro un petto flaccido, dalla pelle increspata, Toc si ritrovò in compagnia di venti o più cadaveri, in vari stadi di decomposizione... tutti nell'avida morsa di giganteschi arti da rettile. Le costole spezzate laceravano il petto di Toc. La sua pelle era viscida di sangue, ma la guarigione donatagli dal Veggente persisteva, saldando, riparando, solo perché, un attimo dopo, le ossa si rompessero ancora nella stretta selvaggia della creatura. La voce del Veggente gli riempì il cranio. Mi sono stancato degli altri... ma te, ti terrò in vita. Sei degno di prendere il mio posto in quell'Abbraccio dolce, materno. Oh, sì, è pazza, totalmente irragionevole. Ma in lei abitano le scintille del bisogno, e quale bisogno! Sta' attento, o ti divorerà, come ha fatto con me; finché non sono diventato così nauseabondo che mi ha risputato fuori. Il bisogno, quando è travolgente, si trasforma in veleno, Toc il Giovane. Un veleno corruttore dell'amore; corromperà anche te. La tua carne. La tua mente. Lo senti? Ha già cominciato. Lo senti, caro Malazan? Toc non aveva più fiato per gridare, ma le braccia intorno a lui avvertirono il suo brivido, e strinsero più forte. Gemiti sommessi riempirono la stanza, le voci gemelle di Toc e di chi lo teneva prigioniero. CAPITOLO TREDICESIMO L'Armata di Un-braccio, a quel tempo, era forse l'esercito migliore che l'Impero Malazan avesse mai prodotto, persino dopo la drastica riduzione degli Arsori di Ponti all'assedio di Pale. Provenienti da disparati reggimenti che comprendevano compagnie di Sette Città, di Falar e dell'Isola di Malaz, questi diecimila soldati erano, secondo il ruolo, quattromilanovecento e dodici donne, il resto uomini; milleduecento e sessantasette minori di venticinque anni, settecentoventuno maggiori di trentacinque anni, il resto in mezzo. Veramente notevole, specialmente
se si considera questo: fra i soldati si trovavano veterani delle Guerre Wickan (vedi la Ribellione di Coltaine), della Rivolta di Aren (da entrambi i fronti), della Foresta del Cane Nero e del Bosco di Mott. Come si misura un simile esercito? Dalle sue gesta; e ciò che l'aspettava nel Dominio di Pannion avrebbe fatto dell'Armata di Unbraccio una leggenda scolpita nella pietra. A est di Saltoan, Storia delle Guerre Pannion Gouridd Palah Moscerini sciamavano nella prateria rivestita di erba alta; le nuvole screziate di nero rotolavano sopra il verde sbiadito, ondeggiante. Bhederin gridavano e gemevano sotto i gioghi, gli occhi coperti di insetti frementi. La Mhybe guardava i Rhivi muoversi fra di loro, le mani cariche di grasso misto a semi frantumati di citronella, che spalmavano intorno agli occhi, alle orecchie, al naso e alla bocca delle bestie. L'unguento aveva giovato agli enormi bisonti fin da quando essi erano entrati nelle cure dei Rhivi, i quali ne usavano una versione un po' più leggera per se stessi. Anche la maggior parte dei soldati di Brood aveva adottato quella difesa pungente ma efficace, mentre i Tiste Andii si erano rivelati evidentemente ostici agli insetti mordaci. Stavolta erano stati i ranghi su ranghi di soldati Malazan non protetti ad attirare i moscerini. L'ennesima marcia attraverso questo continente abbandonato da Hood per quello stanco esercito di forestieri, che erano stati, per così tanti anni, sgraditi, temuti, detestati. I nostri nuovi alleati, dalle sopravvesti grigie, le cui bandiere incolori proclamano una lealtà misteriosa. Seguono un solo uomo, senza chiedere né ragioni né cause. La donna si tirò il cappuccio rozzamente intessuto sulla testa, mentre il sole calante penetrava le nubi raccolte a sud-ovest. Volgeva la schiena alla marcia; seduta sul fondo di un carro Rhivi, teneva gli occhi sulle salmerie e sulle compagnie di soldati Malazan che le attorniavano. Brood sa imporre una tale lealtà? Lui fu il primo a sconfiggere l'esercito Malazan. Le nostre terre venivano invase; la nostra causa era chiara, e combattevamo per il comandante in grado di opporsi al nemico. Adesso è sorta una nuova minaccia per la nostra terra, e Brood ha scelto di guidarci. Però, se dovesse ordinarci di scendere nell'Abisso, lo seguiremmo? E
io lo farei, sapendo quel che ora so? I suoi pensieri si spostarono dall'Alto Comandante ad Anomander Rake e ai Tiste Andii. Tutti stranieri a Genabackis, eppure combattevano per la sua difesa, in nome della libertà del suo popolo. Il dominio di Rake sopra i Tiste Andii era assoluto. Sì, loro sarebbero entrati nell'Abisso senza battere ciglio. Gli sciocchi. E ora, a marciare al loro fianco, c'erano i Malazan. Dujek Un-braccio. Whiskeyjack. E diecimila anime inflessibili. Cosa rendeva quegli uomini e quelle donne così rigidi nel loro senso dell'onore? Era arrivata a temere il loro coraggio. Il guscio del suo corpo racchiudeva uno spirito spezzato. Era disonorata dalla sua stessa codardia, priva di dignità, non più una madre. Era persa per gli stessi Rhivi. E per mia figlia, non sono altro che cibo. La vedo, anche se, ormai, solo da lontano: è più alta, ha i fianchi, il petto, il viso più pieni. Quella Tattersail non era una gazzella. Questa nuova donna mi divora, con i suoi occhi sonnolenti, la sua bocca larga e turgida, la sua camminata ondeggiante, sensuale... Un cavaliere arrivò dietro al carro; l'armatura tintinnò, il mantello polveroso sbatté mentre egli rallentava il destriero. La visiera dell'elmo brunito si alzò a rivelare una corta barba screziata di grigio, sotto occhi duri. «Vuoi mandare via anche me, Mhybe?» ringhiò, portando il cavallo al passo. «Mhybe? Quella donna è morta», rispose lei. «Puoi anche andartene, Whiskeyjack.» Lo guardò sfilare i guanti di pelle conciata dalle mani larghe, sfregiate; osservò queste ultime posarsi infine sul pomo della sella. Hanno la brutalità del muratore, ma sono lo stesso tenere. Qualunque donna ancora viva desidererebbe il loro tocco... «Basta con le sciocchezze, Mhybe; ci serve il tuo consiglio. Korlat mi dice che sei tormentata da sogni. Gridi contro una minaccia che si avvicina, qualcosa di vasto e di micidiale. Donna, il tuo terrore è palpabile... In questo momento, vedo che le mie parole te l'hanno riacceso negli occhi. Descrivimi le tue visioni, Mhybe.» Lottando contro il doloroso martellio del cuore in petto, lei scoppiò in una risata rotta, aspra. «Siete tutti degli idioti. Vorresti sfidare il mio nemico? Il mio avversario invincibile, letale? Vorresti sguainare la spada ed ergerti a mio difensore?» Whiskeyjack aggrottò le sopracciglia. «Se potesse aiutarti.» «Non ce n'è bisogno. Ciò che mi insegue nei miei sogni insegue tutti noi.
Oh, forse addolciamo il suo viso terribile: il viso oscurato dal cappuccio, con la sua vaga forma umana; il teschio ghignante che per un attimo sconvolge, però resta profondamente familiare, quasi confortante. Ed edifichiamo templi per attutire il passaggio nel suo dominio eterno. Costruiamo cimiteri, innalziamo tumuli...» «Il tuo nemico è la morte?» Whiskeyjack distolse lo sguardo, poi incontrò di nuovo gli occhi di lei. «Questa è un'assurdità, Mhybe. Tu e io siamo entrambi troppo vecchi per temere la morte.» «Un faccia a faccia con Hood!» sbottò la donna. «È così che la vedi... sciocco! Lui è la maschera dietro cui si nasconde qualcosa che supera la tua comprensione. Io l'ho visto! So cosa mi aspetta!» «Quindi non lo desideri più...» «Allora mi sbagliavo; credevo nel mondo spirituale della mia tribù. Ho sentito gli spettri dei miei antenati. Ma essi sono soltanto ricordi resi manifesti, coscienze di sé tenute disperatamente insieme dalla forza della loro volontà, e da nient'altro. Se quella volontà cede, tutto è perduto. Per sempre.» «L'oblio è così terribile, Mhybe?» Lei si piegò in avanti; afferrò i lati del carro, conficcando le unghie nel legno guastato dalle intemperie. «Ciò che giace al di là non è l'oblio, uomo ignorante! No, immagina un posto affollato di ricordi frammentati, ricordi di dolore, di disperazione; tutte quelle emozioni che si imprimono più profondamente nel nostro animo.» Ricadde all'indietro, indebolita, ed emise un lento sospiro, chiudendo gli occhi. «L'amore si dilegua come cenere, Whiskeyjack. Persino l'identità sparisce. Tutto ciò che rimane di te è condannato a un'eternità di dolore e di terrore: una successione di frammenti appartenuti a chiunque, o a qualunque cosa, come mai è esistita. Nei miei sogni... sono in piedi sull'orlo. In me non c'è forza; la mia volontà si è già dimostrata fiacca, manchevole. Quando morirò... vedo ciò che mi aspetta, vedo ciò che vuole divorare me, i miei ricordi, il mio dolore.» Aprì gli occhi, incrociando quelli di lui. «È il vero Abisso, Whiskeyjack, al di là di tutte le storie e le leggende. E si nutre di se stesso, consumato da una fame vorace.» «A volte, i sogni sono solo la forma che l'immaginazione dà alle proprie paure, Mhybe», replicò il Malazan. «Hai plasmato una giusta punizione per quello che percepisci come il fallimento della tua vita.» Lei strinse gli occhi. «Vattene», ruggì. Si girò dall'altra parte, stringendosi il cappuccio sulla testa per tagliare fuori il mondo esterno, tutto ciò
che giaceva oltre le assi macchiate e distorte del fondo del carro. Vattene, Whiskeyjack, con le tue parole taglienti come lame, con l'armatura fredda, impenetrabile della tua ignoranza. Non puoi rispondere a tutto ciò che ho visto con un'affermazione semplice, brutale. Non sono una pietra per le tue mani rozze; i nodi dentro di me si oppongono al tuo scalpello. Le tue parole taglienti non mi trafiggeranno il cuore. Mi rifiuto di accettare la tua saggezza. Mi rifiuto... Whiskeyjack. Bastardo. Il comandante attraversò la polvere al piccolo galoppo, fino a raggiungere l'avanguardia dell'esercito Malazan. Qui trovò Dujek, affiancato da Korlat da una parte e da Kruppe, il Daru, dall'altra. Quest'ultimo ondeggiava goffamente su un mulo, agitando le mani contro gli sciami. «Che la peste colga questi insetti perniciosi! Kruppe sta per cedere alla disperazione!» «Presto arriverà il vento», ringhiò Dujek. «Non manca molto alle colline.» Korlat si avvicinò a Whiskeyjack. «Come sta, comandante?» Lui fece una smorfia. «Non meglio. Il suo spirito è rattrappito e distorto come il suo corpo. Ha forgiato una visione della morte che la fa fuggire dal terrore.» «Tat... Volpe d'Argento si sente abbandonata dalla madre, e questo le provoca amarezza. Non gradisce più la nostra compagnia.» «Anche lei? Stiamo scivolando in una battaglia di volontà, credo. L'isolamento è l'ultima cosa di cui ha bisogno, Korlat.» «In questo assomiglia alla madre, come avete appena lasciato intendere.» Con un lungo sospiro, l'uomo si mosse sulla sella. La sua mente cominciò a vagare; era stanco, le gambe rigide gli dolevano. Ultimamente, non riusciva a dormire. Praticamente, non avevano avuto più notizie di Paran e degli Arsori di Ponti. I canali erano diventati impraticabili. Né sapevano con certezza se l'assedio di Capustan fosse in corso, o quale fosse stato il destino della città. Whiskeyjack cominciava a pentirsi di aver mandato via i Moranth Neri. Le Armate di Dujek e di Brood stavano marciando nell'ignoto; persino il Grande Corvo Crone e i suoi simili non si vedevano da oltre una settimana. Colpa di questi maledetti canali e dell'infezione che li invade... «Sono in ritardo», bofonchiò Dujek.
«E niente di più di questo, assicura Kruppe a tutti quanti. Pensate all'ultima consegna; era quasi il crepuscolo. Solo tre cavalli nel carro di testa, gli altri uccisi, separati dalle tirelle. Quattro azionisti annientati, le loro anime e i loro guadagni sparsi ai venti degli inferi. E la mercantessa! Vicina alla morte. L'avvertimento era chiaro, amici miei: i canali sono stati corrotti. E tanto più ci avviciniamo al Dominio, tanto più la corruzione si aggrava.» «Eppure voi insistete che riusciranno a passare di nuovo.» «Sì, Kruppe lo sostiene, Gran Pugno! La Corporazione Commerciale Trygalle onora i suoi contratti; non va sottovalutata. Questo è il giorno della consegna, e i rifornimenti saranno consegnati. E, se la richiesta di Kruppe è stata soddisfatta, fra detti rifornimenti ci saranno casse del miglior insettifugo mai creato dai formidabili alchimisti di Darujhistan!» Whiskeyjack si piegò verso Korlat. «A che punto della colonna cammina?» chiese sommessamente. «Proprio in fondo, comandante.» «E qualcuno la sorveglia?» La Tiste Andii gli lanciò un'occhiata, aggrottando le sopracciglia. «Ce n'è bisogno?» «Come faccio a saperlo, in nome di Hood?» sbottò lui. Un attimo dopo, aggiunse, l'aria torva: «Se permettete, Korlat, vado a cercarla». Girò il cavallo, spingendolo al piccolo galoppo con una sferzata. «La pazienza si riduce sempre di più», mormorò Kruppe, mentre l'uomo si allontanava. «Ma non quanto Kruppe, sopra la testa del quale tutte le parole malevole ronzano inoffensive, perdendosi nell'etere. Quanto ai dardi puntati più in basso, ah, non fanno che rimbalzare contro l'ampia serenità d'animo di Kruppe...» «Il grasso, vorrete dire», ribatté Dujek, ripulendosi la fronte dalla polvere e chinandosi a sputare per terra. «Ahem, Kruppe, uniformemente imbottito, sorride con noncuranza della battuta del Gran Pugno. È la franca brutalità dei soldati in cui bisogna bagnarsi durante la marcia a mille leghe dalla civiltà. L'antidoto agli attacchi furtivi dei topi di fogna, un balsamo rinfrescante rispetto alle sardoniche facezie dei nobili... perché pungere con un ago, quando si può usare un martello, eh? Kruppe respira a fondo; ma non tanto a fondo da tossire per il fetore polveroso della natura... l'intelletto deve passare gradualmente dai complessi, delicati passi della danza di corte al martellio tribale degli stivali in una cadenza rombante...»
«Che Hood ci prenda», borbottò Korlat al Gran Pugno, «a quanto pare, siete riuscito a dargli sui nervi». L'ampio sorriso di Dujek era l'immagine della perfetta soddisfazione. Whiskeyjack portò il cavallo a buona distanza dalle colonne, poi tirò le redini in attesa della retroguardia. Ovunque, si vedevano dei Rhivi muoversi singolarmente o a gruppi, le lunghe lance in equilibrio sulle spalle. La pelle scurita dal sole, camminavano a passo leggero, apparentemente immuni al caldo e alle leghe percorse. Il gregge dei bhederin veniva sospinto parallelamente all'Armata, un terzo di lega più a nord. Nella breccia fra i due passava un flusso costante di Rhivi, che tornavano dal gregge o vi si recavano. Di tanto in tanto, all'andirivieni si univa un carro, sgombro all'andata, carico di carcasse al ritorno dal nord. Apparve la retroguardia, fiancheggiata da ricognitori; questi erano in numero sufficiente per reggere un attacco a sorpresa finché non fosse arrivata la forza principale. Il comandante prese dalla sella la borraccia dell'acqua e si riempì la bocca, studiando a occhi stretti la disposizione dei suoi soldati. Soddisfatto, spronò il cavallo al passo, cercando di distinguere la coda della retroguardia in mezzo alla nuvola di polvere. Lei avanzava in quella nuvola come in cerca dell'oscurità; la sua camminata era così simile a quella di Tattersail che Whiskeyjack sentì un brivido lungo la spina dorsale. Venti passi più indietro, marciava una coppia di soldatesse Malazan, le balestre appoggiate sulle spalle, gli elmi sulla testa, con le visiere abbassate. Il comandante aspettò che il terzetto passasse, poi spinse il cavallo nella sua scia; in qualche attimo, raggiunse le due soldatesse. Quelle alzarono lo sguardo. Nessuna delle due salutò, come imponeva la procedura per i campi di battaglia. La donna più vicina a Whiskeyjack gli rivolse un breve cenno del capo. «Vicecomandante, siete qui per mangiare la vostra quota quotidiana di polvere, eh?» «E voi due, come vi siete guadagnate il privilegio?» «Ci siamo offerte volontarie, signore», spiegò l'altra. «Qui c'è Tattersail. Sì, lo sappiamo, adesso si chiama Volpe d'Argento, ma noi non ci facciamo ingannare. E la nostra maga del quadro, senza dubbio.» «Così, avete deciso di guardarle le spalle.» «Sì. A buon rendere, signore. Sempre.» «E voi due bastate?»
La prima donna sorrise sotto la mezza visiera. «Siamo assassine provette, mia sorella e io, signore. Due dardi ogni settanta battiti di cuore. E quando non è più il momento per quello, passiamo agli spadoni, uno per mano. E quando si rovinano, tocca agli spiedi per la caccia al cinghiale...» «E», ringhiò l'altra, «quando finiamo il ferro usiamo i denti, signore». «Con quanti fratelli siete cresciute?» «Sette, ma sono fuggiti il prima possibile. Papà ha fatto lo stesso, ma mamma diceva che stava meglio senza di lui, e non solo per vantarsi.» Whiskeyjack arrotolò la manica sinistra. Chinandosi, mostrò l'avambraccio alle due soldatesse. «Guardate queste cicatrici... no, queste qua.» «Un morso bello regolare», osservò la più vicina. «Piccolino, però.» «Aveva cinque anni, la piccola arpia. Io ne avevo sedici. La prima battaglia che ho perso in vita mia.» «È diventata soldato, poi, comandante?» Lui si raddrizzò, abbassando la manica. «Per Hood, no. A dodici anni, se ne andò a sposare un re. O così disse. Non avemmo più sue notizie.» «Scommetto che lo fece davvero, signore», mormorò la prima donna. «Se vi assomigliava anche solo un po'.» «Ora soffoco, e non solo per la polvere, soldato. Continuate la marcia.» Whiskeyjack proseguì al trotto, fino a raggiungere Volpe d'Argento. «Adesso moriranno per voi», commentò lei. «Lo so», aggiunse, «non lo fate apposta. Non c'è niente di calcolato nel vostro essere umano, amico mio. È questo a rendervi così letale». «Per forza cammini qui da sola, allora», replicò il comandante. Lei fece un sorriso sardonico. «Noi siamo molto simili, sapete. Ci basta unire le mani a coppa, e diecimila anime corrono a riempirle. E di tanto in tanto, uno di noi lo riconosce e la pressione improvvisa, travolgente, ci indurisce un po' più profondamente nell'animo. E la parte tenera diventa un po' più piccola, un po' più debole.» «Non più debole, Volpe d'Argento. Piuttosto, più concentrata, più selettiva. Che sia in grado di sentire il peso dimostra che rimane viva e in buona salute.» «C'è una differenza, ora che ci penso», riprese lei. «Per voi, diecimila anime; per me, centomila.» Whiskeyjack scrollò le spalle. La donna stava per continuare, ma uno schianto violento riempì l'aria alle loro spalle. Girandosi, videro, a mille passi di distanza, un'ampia spaccatura, da cui sgorgava un fiume cremisi. Le sue soldatesse arretrarono, men-
tre il torrente si riversava verso di loro. L'erba alta si annerì, vacillò, poi cadde su tutti i lati. Grida lontane si levarono dai Rhivi che avevano visto la conflagrazione. Il carro Trygalle che emerse dalla fenditura ardeva di fuoco nero; i cavalli strillarono orribilmente, tuffandosi all'impazzata nella pianura. Le fiamme divorarono le bestie nel giro di attimi, lasciando il carro ad avanzare per forza d'inerzia nel fiume rosso che si allargava sempre più. Una ruota anteriore cedette. L'enorme struttura s'inclinò, ruotò su se stessa; corpi bruciati caddero dai fianchi prima che si abbattesse sul lato in un'esplosione di fiamme ebano. Il secondo carro che uscì era lambito dallo stesso fuoco stregonesco, ma non ancora fuori controllo. A circondare gli otto cavalli c'era un alone di magia protettiva, che iniziò a consumarsi mentre essi entravano rombanti nella pianura, sguazzando nel fiume di sangue che continuava a scorrere dal portale. Il vetturino, che si ergeva come un'apparizione da incubo nel mantello avvolto di fuoco nero, urlò un avvertimento alle due soldatesse prima di chinarsi pesantemente da un lato per tagliare le tirelle. I cavalli scartarono, tirando il carro massiccio su due ruote per un attimo; poi esso ricadde di schianto. L'impatto fece staccare una guardia dal lato cui stava aggrappata; l'uomo piombò nel fiume con un tonfo. Un braccio tinto di rosso si alzò sopra la marea, ma ben presto scomparve alla vista. I cavalli e il carro mancarono di poco le soldatesse; uscendo dal fiume, rallentarono e le fiamme si placarono. Apparve un terzo carro, seguito da un altro, e un altro ancora. Poi, emerse un veicolo grande come una casa; racchiuso in una scintillante gabbia di magia, avanzava rotolando su una moltitudine di ruote dai raggi di ferro. A trainarlo c'erano più di trenta cavalli ma, suppose Whiskeyjack, nemmeno così tante bestie sarebbero state sufficienti senza l'evidente magia che trasportava gran parte del peso enorme. Dietro di esso, il portale si chiuse bruscamente con uno zampillo di sangue. Abbassando lo sguardo, il comandante vide che le zampe del suo cavallo erano immerse fino alla caviglia nel flusso che rallentava. Lanciò un'occhiata a Volpe d'Argento: immobile, fissava il liquido che le lambiva gli stinchi. «Questo sangue», mormorò lei lentamente, in tono quasi incredulo, «è suo». «Di chi?» La donna alzò gli occhi; aveva l'aria sgomenta. «Di un Dio Antico. Un...
un amico. È questo che riempie i canali. Egli è stato ferito, in qualche modo. Ferito... forse mortalmente. Per gli dei! I canali!» Con un'imprecazione, Whiskeyjack prese le redini e, con un calcio, spronò il cavallo al piccolo galoppo verso la carrozza gigantesca. Ampie strisce mancavano dai fianchi riccamente ornati; macchie scure mostravano i punti di appiglio delle guardie cadute. Fumo aleggiava sull'intera carovana. Figure avevano cominciato a emergere; barcollavano come se fossero cieche, gemevano come se le anime fossero state strappate loro dai corpi. Vide guardie crollare ginocchioni nel sangue limaccioso; piangevano o restavano lì, chine, in un silenzio raggelante. La porta laterale più vicina a Whiskeyjack si aprì al suo arrivo. Sorretta da compagni, una donna scese debolmente i gradini. Spinse via gli aiutanti non appena i suoi stivali affondarono nel fango cremisi, fitto d'erba. Il comandante scese di sella. La mercantessa chinò la testa; poi si raddrizzò, sostenendo fermamente il suo sguardo con gli occhi cerchiati di rosso. «Vi prego di scusarci per il ritardo, signore», esordì, la voce aspra dallo sfinimento. «Presumo che troverete una strada alternativa per tornare a Darujhistan», replicò Whiskeyjack, osservando la carrozza alle sue spalle. «Decideremo una volta valutati i danni.» La donna si volse verso la nuvola di polvere a est. «Il vostro esercito si è accampato per la notte?» «Senza dubbio l'ordine è stato dato.» «Bene. Non siamo in condizione di inseguirvi.» «Me ne sono accorto.» Tre guardie - azionisti - arrivarono da uno dei carri di testa, arrancando sotto il peso di un enorme braccio di bestia, tagliato all'altezza della spalla, gocciolante sangue. Tre dita artigliate e due pollici opponibili fremevano a una spanna dal viso di una di loro. Tutte e tre avevano un largo sorriso stampato in volto. «Sapevamo che era ancora qui, Haradas! Sfortunatamente, abbiamo perso gli altri tre. Non è una bellezza, però?» La mercantessa chiuse gli occhi per un attimo, sospirando. «L'attacco è arrivato all'inizio», spiegò a Whiskeyjack. «Una ventina di demoni, probabilmente sperduti e spaventati quanto noi.» «E perché avrebbero dovuto attaccarvi?» «In realtà, non è stato un attacco, signore», precisò una delle guardie. «Volevano solo un passaggio per uscire da quell'incubo. Saremmo stati
felici di accontentarli, ma erano troppo pesanti...» «E non hanno neanche firmato un'assicurazione», aggiunse un'altra guardia. «Gli avevamo perfino offerto una quota di partecipazione...» «Basta, signori», intimò Haradas. «Portate via quella roba.» Ma i tre si erano avvicinati troppo alla ruota di testa dell'enorme carrozza. Non appena toccò il bordo, la mano demoniaca vi si chiuse intorno di scatto. Le guardie balzarono all'indietro, lasciando il braccio appeso alla ruota. «Oh, ma che meraviglia!» sbottò Haradas. «E quando mai riusciremo a liberarcene?» «Quando si consumeranno le dita, presumo», rispose una guardia, osservando il braccio con aria torva. «Per un po', il viaggio sarà alquanto scomodo. Mi spiace.» Un drappello di cavalieri arrivò dall'esercito in colonna. «Questa è la vostra scorta», osservò Whiskeyjack. «Vi chiederemo un rapporto dettagliato sul viaggio, signora; vi consiglio di cedere il posto al vostro secondo fino a stasera, lasciando che sia lui a occuparsi della distribuzione.» La donna annuì. «Buona idea.» Il comandante cercò Volpe d'Argento. Aveva ripreso la marcia, seguita dalle due soldatesse. Le gambe della prima, e gli stivali delle seconde, erano macchiati del sangue del dio. Per una grande distanza, la pianura somigliava a una coperta logora, screziata di rosso, l'immagine stessa dello scompiglio. Come sempre, i pensieri di Kallor erano cupi. Cenere e polvere. Gli sciocchi continuano a blaterare nella tenda di comando; che enorme spreco di tempo! La morte scorre nei canali. L'Ordine soccombe al Caos, distrutto dalle sue stesse limitazioni. Ma il mondo starà meglio senza stregoni: personalmente, non piangerò certo la morte della magia. L'unica candela, rigata dai frammenti incrostati di un raro verme di mare, emetteva un fumo greve, denso, che riempiva la tenda. Ombre strisciavano sotto i pennacchi oscillanti. Una guizzante luce gialla si rifletteva sulle armature antiche, tante volte riparate. Seduto sull'elaborato trono di legno di carpine, Kallor inspirava profondamente quei vapori tonificanti. L'alchimia non è magia. Il mondo naturale racchiude molte più meraviglie di quante un mago potrebbe evocare in
mille vite. Queste Candele Secolari, per esempio, hanno il nome giusto. Un altro strato va aggiungendosi alla mia carne, alle mie ossa; lo sento a ogni respiro. Ed è un bene. Chi vorrebbe vivere per sempre in un corpo troppo fragile per muoversi? Altri cent'anni, guadagnati in una sola notte, grazie ai poteri di questa colonna di cera. E ne ho molte altre... Al di là dei decenni, dei secoli di inattività, al di là dell'interminabile noia che costituiva gran parte dell'esistenza, c'erano momenti... momenti in cui devo agire, esplosivamente, con decisione. E tutto ciò che, prima, sembrava il vuoto era, in realtà, preparazione. Certe creature cacciano da ferme; è quando raggiungono l'immobilità assoluta che sono più pericolose, lo sono simile a loro. Lo sono sempre stato, ma tutti coloro che mi conoscono se ne sono... andati. Cenere e polvere. I bambini che ora mi circondano con il loro chiacchiericcio, le loro vacue preoccupazioni, sono ignari del cacciatore in mezzo a loro. Ciechi... Le mani pallide strette intorno ai braccioli del trono, sedeva immobile, percorrendo il paesaggio dei propri ricordi; li tirava fuori come cadaveri dal terreno, avvicinando a sé, e poi gettando da parte, un viso dopo l'altro. Ottanta illustri maghi, le mani intrecciate, le voci levate all'unisono. Bramosi di potere, volevano prenderlo da un reame distante, sconosciuto. Curioso, senza sospettare nulla, lo strano dio di quello strano luogo si avvicinò, e la trappola scattò. Fu fatto a brandelli, ma lasciato in vita. Abbattuto, distrusse un continente, cancellando canali. Era spezzato, danneggiato, storpio... Ottanta illustri maghi che, nel tentativo di opporsi a me, scatenarono un incubo; un incubo che ritorna, a distanza di millenni. Sciocchi. Ora, sono cenere e polvere... Tre dei, venuti ad attaccare il mio regno. La mia mano aveva causato troppi oltraggi. La mia esistenza era più che una semplice irritazione, così si allearono per schiacciarmi una volta per tutte. Nella loro ignoranza, pensavano che sarei entrato nel loro gioco, combattendo o cedendo il mio regno. Quale non fu la loro sorpresa quando, irrompendo nel mio impero, non trovarono... più niente di vivo. Solo ossa carbonizzate e ceneri inerti. Non potevano capire - e non capirono mai - che non avrei ceduto nulla. Piuttosto che rinunciare a tutto ciò che avevo forgiato, lo distrussi. Tale è il privilegio del creatore: dare, e poi togliere. Non dimenticherò mai il grido di morte del mondo, perché era la voce del mio trionfo... E uno di voi rimane, e di nuovo mi insegue. Oh, so che sei tu, K'rul. Ma, al mio posto, hai trovato un altro nemico, che ti sta uccidendo. Con squisi-
ta lentezza. Sei tornato in questo regno solo per morire, come ti avevo predetto. E lo sapevi? Anche tua sorella si è arresa alla mia antica maledizione. Resta ben poco di lei; riuscirà a sopravvivere? Non se posso impedirlo. Un debole sorriso increspò il viso cereo, avvizzito. L'uomo strinse gli occhi, davanti ai quali prendeva forma un portale, da cui usciva un turbine di potere miasmatico. Emerse una figura, alta, magra; ferite aperte, scarlatte, deturpavano il viso, schegge d'osso luccicavano alla luce della candela. Il portale si chiuse dietro allo Jaghut, che stava in posa rilassata, gli occhi simili a tremule pozze di oscurità. «Porto i saluti del Dio Storpio», annunciò, «a voi, Kallor», s'interruppe per esaminare l'interno della tenda, «e al vostro vasto impero». «Mi invogli», ribatté Kallor, aspro, «a peggiorare lo stato della tua faccia, Gethol. Il mio impero è sparito, ma non cederò questo trono. Tu, più di tutti, dovresti riconoscere che non ho ancora soddisfatto le mie ambizioni; e sono un uomo paziente». Gethol fece una risata simile a un grugnito. «Ah, caro Kallor. Voi siete l'eccezione alla regola che la pazienza è una virtù.» «Posso distruggerti, Jaghut, chiunque sia colui che, adesso, chiami padrone. Posso completare ciò che cominciò il tuo abile castigatore. Ne dubiti, forse?» «Niente affatto», replicò Gethol, con disinvoltura. «Vi ho visto maneggiare quella vostra spada.» «Allora ritira i tuoi coltelli verbali e dimmi cosa ci fai qui.» «Mi scuso di aver disturbato la vostra... concentrazione. Ora vi spiego. Sono l'Araldo del Dio Storpio; sì, al Mazzo dei Draghi si è aggiunta una nuova Casa. La Casa delle Catene. Sono state forgiate le prime rappresentazioni; presto ogni Lettore del Mazzo comincerà a cercarne l'immagine.» Kallor sbuffò. «E tu credi che questa mossa funzionerà? Quella Casa sarà attaccata, cancellata.» «Oh, la battaglia è a buon punto, vecchio. Non potete essere cieco a questo, né al fatto che stiamo vincendo.» Kallor strinse gli occhi a fessura. «L'avvelenamento dei canali? Il Dio Storpio è uno sciocco. A che serve distruggere il potere di cui ha bisogno per sostenere le sue pretese? Senza i canali, il Mazzo dei Draghi non è nulla.» «Il nome "veleno" è erroneo, Kallor. Piuttosto, considerate l'infezione un modo per provocare una certa... alterazione... ai canali. Sì, coloro che vi
resistono vi vedono una manifestazione letale, un "veleno"; ma solo perché il suo effetto principale è quello di rendere i canali impraticabili a loro. I Servi del Dio Storpio, tuttavia, saranno in grado di viaggiare liberamente nei sentieri.» «Io non sono servo di nessuno», ringhiò Kallor. «La posizione di Alto Re è vacante nella Casa delle Catene del Dio Storpio.» Kallor scrollò le spalle. «E dovrei sporcarmi le ginocchia davanti all'Incatenato?» «All'Alto Re non si richiedono simili gesti. La Casa delle Catene esiste al di là dell'influenza del Dio Storpio... non è evidente? Dopo tutto, egli è incatenato; intrappolato nel frammento senza vita di un canale morto da tempo. Legato alla carne della Dea Dormiente; sì, quello si è dimostrato il suo particolare strumento di potere, ma ha i suoi limiti. Dovete capire, Kallor, che il Dio Storpio ora lancia la Casa delle Catene nel mondo; l'abbandona al suo destino. La sua sopravvivenza dipende da coloro che verranno a ricoprire i titoli che contiene. L'Incatenato può influenzarne alcuni, anche se mai direttamente; ma altri, come il Re, devono essere assunti liberamente.» «Se è così», borbottò Kallor, dopo una lunga pausa, «perché non sei tu il Re?». Gethol chinò la testa. «Voi mi onorate, signore», replicò seccamente. «Tuttavia, mi accontento di fare l'Araldo...» «In base all'illusione che il messaggero viene sempre risparmiato, quale che sia il messaggio? Non sei mai stato intelligente quanto tuo fratello, eh? Scommetto che, da qualche parte, Gothos sta ridendo.» «Gothos non ride mai. Ma, sapendo dove egli langue, rido io. Spesso. Ora, se dovessi rimanere ancora qui ad aspettare la vostra risposta, la mia presenza potrebbe essere individuata. Ci sono dei Tiste Andii vicini...» «Molto vicini. Per non parlare di Caladan Brood. Per tua fortuna, Anomander Rake se n'è andato; è tornato alla Progenie della Luna, ovunque si trovi...» «Bisogna scoprirlo, e rivelarlo al Dio Storpio.» Il guerriero dai capelli grigi alzò un sopracciglio. «Un compito per l'Alto Re?» «Il tradimento ferisce il vostro senso dell'onore, Kallor?» «Se lo definisci un improvviso cambiamento di strategia, la ferita svanisce. Quella che voglio in cambio è un'opportunità, forgiata come meglio
riterrà il Dio Storpio.» «Che genere di opportunità, Alto Re?» Kallor sorrise, poi la sua espressione si indurì. «La donna Volpe d'Argento... un momento di vulnerabilità... non chiedo altro.» Gethol si inchinò lentamente. «Io sono il vostro Araldo, signore, e trasmetterò i vostri desideri al Dio Storpio.» «Un'ultima cosa», lo fermò Kallor. «Questo trono si addice alla Casa delle Catene?» Lo Jaghut studiò il legno malandato, color ferro, segnato di crepe. «Certamente sì, signore.» «Va', dunque.» Mentre il portale si apriva alle sue spalle, l'Araldo si inchinò di nuovo. Indietreggiò, e sparì. Il fumo della candela turbinò nella scia del portale che si dileguava. Kallor tirò un respiro profondo, guadagnando anni e anni di rinnovato vigore. Sedeva immobile... un cacciatore sull'orlo dell'imboscata. Abbastanza esplosivo. Abbastanza letale. Uscendo dalla tenda di comando, Whiskeyjack alzò lo sguardo verso la distesa di stelle. Da molto tempo non si sentiva così stanco. Sentì un movimento dietro di sé; poi una mano morbida, dalle dita lunghe, si posò sulla sua spalla, mandandogli brividi giù per il corpo. «Sarebbe bello», mormorò Korlat, «sentire buone notizie, una volta tanto». L'uomo grugnì. «Vedo le preoccupazioni nei vostri occhi, Whiskeyjack. Ce n'è una lunga lista, eh? I vostri Arsori di Ponti, Volpe d'Argento, sua madre, e ora quest'attacco ai canali. Avanziamo alla cieca; così tanto dipende da fattori sconosciuti. Capustan resiste ancora, o è caduta? E che ne è di Trotts? Di Paran? Di Ben lo Svelto?» «Conosco la lista, Korlat», borbottò il comandante. «Scusate. Condivido le vostre ansie, ecco tutto.» Lui le lanciò un'occhiata. «Perdonatemi, ma perché? Questa non è la vostra guerra; per gli dei dell'Abisso, non è nemmeno il vostro mondo! Perché cedete ai suoi bisogni?» Con un sospiro profondo, scosse la testa, riportando lo sguardo sul cielo notturno. «Questa è una domanda che ci siamo fatti spesso, all'inizio delle campagne. Ricordo quando, nella Foresta del Cane Nero, ci imbattemmo in una mezza dozzina di vostri simili, uccisi da una bomba esplosiva dei Moranth. Uno squadrone dell'esercito regolare
era impegnato a saccheggiare i corpi. I soldati imprecavano, perché non trovavano niente di valore; poche strisce annodate di tessuto colorato, un ciottolo lucidato dall'acqua, armi semplici... roba in vendita in qualunque mercato di qualunque città.» Dopo una breve pausa, l'uomo continuò: «E ricordo di essermi chiesto: "Qual era la storia della loro vita? Quali erano i loro sogni, le loro aspirazioni? I loro parenti ne avrebbero sentito la mancanza?". Una volta, la Mhybe ha detto che i Rhivi si assumevano il compito di seppellire i Tiste Andii caduti... be', noi facemmo lo stesso, là in quel bosco. Mandammo via i soldati con un calcio nel sedere. Seppellimmo i vostri morti, Korlat. Congedammo le loro anime alla maniera dei Malazan...». Lei lo scrutò con occhi insondabili. «Perché?» domandò sommessamente. Whiskeyjack corrugò la fronte. «Perché li seppellimmo? Per il respiro di Hood! Onoriamo i nostri nemici... quali che siano. Ma soprattutto i Tiste Andii. Loro accoglievano i prigionieri; curavano i feriti. Accettavano persino la ritirata; nemmeno una volta fummo inseguiti, dopo essere fuggiti da una battaglia impossibile da vincere.» «E gli Arsori di Ponti non restituirono ripetutamente il favore, comandante? E così, non molto tempo dopo, fecero anche gli altri soldati di Dujek Un-braccio.» «In genere, le campagne, più durano, più si incattiviscono», meditò Whiskeyjack, «ma non quella. Quella diventò più... civile. Si instaurarono protocolli taciti». «Gran parte di tutto ciò crollò quando prendeste Pale.» Lui annuì. «Più di quanto voi sappiate.» La donna gli teneva ancora la mano sulla spalla. «Accompagnatemi alla mia tenda, Whiskeyjack.» Lui alzò le sopracciglia, poi sorrise e replicò in tono secco: «Non è notte in cui stare soli...». «Non dite idiozie!» sbottò Korlat. «Non ho chiesto compagnia... ho chiesto voi. Il mio non è un bisogno informe, che chiunque può soddisfare. Capite?» «Non del tutto.» «Voglio che diventiamo amanti, Whiskeyjack. A cominciare da stanotte. Voglio svegliarmi fra le vostre braccia. Desidererei sapere se provate dei sentimenti per me.» L'uomo rimase in silenzio per un lungo momento, poi rispose: «Sarei
uno sciocco a non provarne, Korlat, ma avevo considerato ancora più sciocco tentare un approccio. Pensavo foste accoppiata con un altro Tiste Andii, in un'unione che durava sicuramente da secoli...». «E che scopo avrebbe avuto una simile unione?» Lui trasalì. «Be'... uhm... la compagnia? I figli?» «I figli arrivano raramente; e per lo più sono il prodotto della noia. I Tiste Andii non trovano compagnia fra i loro simili; questa consuetudine è morta molto tempo fa, Whiskeyjack. Ma ancora più raro è il caso di un Tiste Andii che emerga dall'oscurità nel mondo mortale, in cerca di un sollievo a... a...» L'uomo le posò un dito sulle labbra. «Basta così. Sono onorato di accettarvi, Korlat; più di quanto non potrete mai sapere. Cercherò di essere degno del vostro dono.» Lei scosse la testa, chinando gli occhi. «È un dono ben magro. Guardate nel mio cuore, e forse rimarrete deluso da quel che troverete.» Il Malazan fece un passo indietro, posando la mano sul sacchettino di pelle appeso alla cintola. L'aprì, capovolgendolo su una mano a coppa. Uscì qualche moneta, poi un piccolo, logoro nodo di strisce multicolori, seguito da un unico ciottolo levigato, scuro. «Pensavo», riprese lentamente, gli occhi sugli oggetti, «che un giorno avrei avuto l'opportunità di restituire ciò che era evidentemente prezioso per quei Tiste Andii caduti. Tutto ciò che fu trovato... capii, anche allora, che non potevo esimermi dal conservarlo». Korlat chiuse la mano sulla sua, intrappolando gli oggetti nella loro stretta congiunta. Lo condusse lungo la prima fila di tende. La Mhybe sognava. Si ritrovò aggrappata all'orlo di un precipizio, le mani dalle nocche bianche strette intorno a radici nodose, il viso sporcato da un rivolo di terriccio che scendeva con un sussurro sul suo corpo fremente. Sotto aspettava l'Abisso, agitato dalla tempesta dei ricordi smembrati, da fiotti di dolore, paura, rabbia, gelosia e cupi desideri. La tempesta la voleva, saliva verso di lei, che era incapace di difendersi. Le sue braccia stavano cedendo. Un vento urlante le avvolse le gambe, la tirò, la strappò dagli appigli; la donna cadde, aggiungendo il suo grido alla cacofonia generale. I venti la sballottavano qua e là. Qualcosa di duro la colpì violentemente sul fianco; rimbalzò via. Una
corrente d'aria la schiaffeggiò. Poi la massa dura tornò; artigli si chiusero intorno alla sua vita, squamosi, freddi come la morte. Un brusco strattone le tirò indietro la testa; la donna aveva smesso di cadere, e veniva portata sempre più in alto. Il ruggito della tempesta scemò sotto di lei, poi sparì da un lato. La Mhybe alzò lo sguardo. Un drago non-morto incombeva su di lei, incredibilmente grande. La creatura essiccata, con lembi di pelle vizza che pendevano dagli arti, le ali quasi trasparenti che tuonavano nell'aria, la stava portando via. La donna si voltò a osservare lo spettacolo sotto di lei. Una pianura monotona, grigio-brunastra. Nel suolo si aprivano lunghe crepe, piene di ghiaccio brillante. Vide una macchia più scura, dai margini frastagliati, estendersi sopra il pendio di una collina. Un gregge. Ho già percorso quella terra. Qui, nei miei sogni... c'erano delle impronte... D'un tratto, il drago si fermò, piegò le ali e si tuffò in una rapida spirale discendente. La Mhybe cacciò un grido; con immenso stupore, capì di non provare terrore, ma esaltazione. Per gli spiriti del cielo, ecco cosa vuol dire volare! Ah, ora sì che so cos'è l'invidia! La terra correva verso di lei. Attimi prima di quello che sarebbe stato un impatto fatale, il drago spalancò le ali poi, raccogliendo le zampe al corpo, scivolò silenziosamente fino a un braccio dal suolo argilloso. Lo slancio diminuì; le zampe si abbassarono e gli artigli mollarono la presa. La donna atterrò con un lieve tonfo, rotolò sulla schiena; tirandosi a sedere, vide l'enorme drago risalire, in un rombo d'ali. La Mhybe abbassò lo sguardo e vide un corpo giovane... il suo. Cacciò un grido per la crudeltà di quel sogno. Con un altro grido, si raggomitolò sulla terra fredda, umida. Oh, perché mi hai salvato? Perché? Solo perché poi mi svegliassi... spiriti dell'Abisso... mi svegliassi... «Stava passando.» Una voce sommessa, sconosciuta, le parlò alla mente, nella lingua dei Rhivi. La Mhybe alzò la testa di scatto. Si guardò intorno. «Chi parla? Chi sei?» «Siamo qui. Quando sarai pronta, ci vedrai. A quanto sembra, tua figlia ha una volontà pari alla tua. Farsi obbedire dalla più grande fra i Divinatori... è vero, essa viene a partecipare al Raduno, per cui la deviazione è minore. Tuttavia... siamo rimasti colpiti.»
«Mia figlia?» «Brucia ancora sotto l'effetto di parole dure; lo sentiamo. Anzi, è per questo che siamo venuti a dimorare qui. Sotto la carne sovrabbondante, quell'ometto nasconde lame di ossidiana. Chi l'avrebbe pensato? "Lei ti ha dato tutto ciò che ha, Volpe d'Argento; è tempo che tu restituisca il dono, ragazza. Kruppe non è solo nel rifiutarsi di abbandonarla al suo destino." Ah, le ha aperto gli occhi, ha spazzato via i pensieri ossessivi riguardo alla sua identità; all'epoca, lei era solo una bambina, ma ha ascoltato le sue parole... anche se, in verità, lui allora le parlava solo in sogno. Le ha ascoltate, sul serio. «Allora», continuò la voce, «ci vedi, ora?». La Mhybe guardò le sue mani lisce, le sue braccia giovani, e urlò. «Smettete di torturarmi con questo sogno! Smettetela, vi supplico!» Aprì gli occhi nell'oscurità della tenda, pervasa dall'odore di muffa. Dolori e fitte le pungevano le ossa sottili, i muscoli rattrappiti. Piangendo, si raggomitolò. «Dei», bisbigliò, «quanto vi odio! Quanto vi odio!».
LIBRO TERZO CAPUSTAN L'Ultima Spada Mortale del Reve di Fener fu Fanald di Cawn Vor, che fu ucciso nell'Incatenamento. L'ultimo Destriant dal manto di Cinghiale fu Ipshank di Korelri, che scomparve durante l'Ultima Fuga di Manask sui Campi di Ghiaccio di Stratem. Un altro si aspettava di reclamare quel titolo, ma fu scacciato dal Tempio prima che esso gli giungesse, e il suo nome fu cancellato da tutti i documenti. È noto però che veniva da Unta, che aveva vissuto come tagliaborse nelle sue sporche strade e che la sua espulsione dal tempio è stata contrassegnata dalla singolare punizione del Reve di Fener... Vite nel Tempio Birrin Thund CAPITOLO QUATTORDICESIMO
Se potete, cari amici, non sopravvivete a un assedio. Ubilast (il Senzagambe) Nella locanda che dominava l'angolo sudorientale della vecchia Via Daru non c'erano più di una mezza dozzina di clienti, per lo più visitatori che, come Gruntle, erano rimasti intrappolati nella città. Da oltre cinque giorni, gli eserciti Pannion che circondavano le mura di Capustan erano inattivi, sebbene nubi di polvere avvistate al di là delle colline a nord avessero indicato qualcosa, stando a quanto aveva udito dire il capitano. Da allora erano però passati dei giorni, e non era successo nulla. Nessuno sapeva che cosa stesse aspettando l'Eptarca Kulpath, ma abbondavano le supposizioni perché erano state viste altre chiatte cariche di Tenescowri attraversare il fiume, fino a dare l'impressione che metà della popolazione dell'impero si fosse unita all'esercito di contadini. «Sono così tanti», aveva detto qualcuno, una campana prima, «che a ciascuno toccherà a stento un boccone di cittadino Capan». Una battuta che soltanto Gruntle aveva apprezzato appieno. Seduto a un tavolo vicino all'ingresso, la schiena rivolta allo stipite, la porta stessa alla sua destra e la sala dal basso soffitto davanti a sé, Gruntle stava osservando un topo intento a sgusciare sotto i tavoli lungo il pavimento di terra battuta, passando di ombra in ombra e fra i piedi dei clienti di cui incrociava la strada. A giudicare dagli odori, in cucina c'era ancora cibo in abbondanza, uno stato di cose che non sarebbe durato con il proseguire dell'assedio. Lo sguardo di Gruntle si spostò sulla trave portante del soffitto, sulla quale il gatto della locanda stava dormendo con le zampe penzoloni, intento a cacciare soltanto in sogno. Raggiunto il bancone, il topo intanto lo stava costeggiando, verso la porta della cucina. Gruntle bevve un altro sorso di vino annacquato, più acqua che vino, dopo quasi una settimana di assedio dei Pannion; intorno, altri sei clienti erano seduti ciascuno a un tavolo, da soli, o erano appoggiati al bancone, e la conversazione languiva, pochi commenti saltuari la cui risposta era di solito poco più di un grugnito. I clienti diurni della locanda differivano da quelli notturni. Quelli che Gruntle aveva ora davanti vivevano praticamente nella sala comune, sor-
seggiando vino o birra: stranieri a Capustan e, all'apparenza, senza amici, avevano creato una sorta di affiatamento generato dalla capacità di non fare nulla insieme per lunghi periodi di tempo. Di notte, invece, affluiva un secondo tipo di clienti, avventori rumorosi che attiravano le prostitute con il denaro che spargevano a piene mani, senza pensare al domani; la loro era un'energia disperata, un rude inno a Hood. Siamo tuoi, bastardo con la falce, sembravano dire, ma non prima dell'alba! Essi ribollivano come marosi intorno alle rocce immobili e indifferenti che erano i silenziosi clienti senza amici. Il mare e le rocce. Il mare inneggia davanti a Hood non appena lo vede apparire, mentre le rocce hanno fissato negli occhi quel bastardo per tanto tempo che non hanno più la forza di respingerlo, e tanto meno di festeggiare. Il mare ride con fragore delle proprie battute, la roccia scandisce parole nitide che possono zittire un'intera stanza. Un boccone di cittadino... La prossima volta, baderò a tacere. Sulla trave, il gatto si alzò e si stiracchiò, le strisce scure che fluivano sulla pelliccia rossiccia, poi guardò in basso, rizzando le orecchie. Il topo s'immobilizzò sulla soglia della cucina. Gruntle si lasciò sfuggire un sibilo sommesso che indusse il gatto a guardare verso di lui, e il topo saettò in cucina, scomparendo alla vista. La porta si aprì scricchiolando, poi Buke entrò nel campo visivo di Gruntle e sedette accanto a lui. «Sei abbastanza prevedibile», borbottò, segnalando al locandiere di portare altri due boccali di vino. «Già, sono una roccia», replicò Gruntle. «Una roccia? Direi più una grassa iguana su una roccia, e quando arriveranno le onde...» «Comunque sia. Mi hai trovato, Buke. Cosa vuoi?» «Solo ringraziarti per tutto il tuo aiuto.» «Fai dell'ironia, vecchio?» «A dire il vero, ero quasi serio. Quell'acqua fangosa, quella medicina di Keruli che mi hai convinto a bere ha fatto meraviglie», insistette Buke, con un sorriso enigmatico. «Meraviglie...» «Lieto di sapere che state tutti meglio. Hai altre notizie sconvolgenti? Se no...» Buke si ritrasse per permettere al locandiere di posare i due boccali. «Ho incontrato gli anziani dei Campi», disse, dopo che l'uomo se ne fu andato. «All'inizio, volevano andare dritti dal principe...»
«Ma poi sono rinsaviti.» «Con un po' di persuasione.» «Perciò adesso hai tutto l'aiuto che ti serve per impedire a quel folle eunuco di fare da portinaio, per Hood. Bene, non ci possiamo permettere il panico nelle strade, con duecentocinquantamila Pannion che assediano la città.» «Ho pensato che lo avresti apprezzato», commentò Buke, fissandolo. «Così è molto meglio.» «Mi serve ancora il tuo aiuto.» «Non vedo come, Buke, a meno che tu non voglia farmi abbattere la porta a calci e staccare la testa a Korbal Broach, nel qual caso tu dovrai badare a distrarre Bauchelain, dandogli fuoco, o qualcosa del genere. A me serve soltanto un momento, ma il tempismo è tutto. Potremmo provare dopo che le mura saranno crollate, quando ci saranno Tenescowri in tutte le strade; in quel modo ci presenteremo tutti a Hood cantando e tenendoci per mano.» «Si può fare», sorrise Buke, sollevando il boccale, poi bevve. Gruntle svuotò quello che aveva già, poi protese la mano verso quello nuovo. «Sai dove trovarmi», osservò quindi. «Finché non arriverà l'onda.» Il gatto balzò giù dalla trave e scattò in avanti, intrappolando fra le zampe uno scarafaggio, con cui prese a giocare. «D'accordo», ringhiò Gruntle, dopo un momento. «Che altro volevi dire?» «Ho sentito che Stonny si è offerta volontaria», affermò Buke, scrollando le spalle. «Secondo le ultime voci, i Pannion sarebbero pronti a sferrare il primo assalto.» «Il primo? Gliene basterà uno solo. Quanto all'essere pronti, lo sono da giorni, Buke. Se Stonny vuole gettare via la sua vita per difendere l'indifendibile, è affar suo.» «Che alternativa c'è? I Pannion non faranno prigionieri, Gruntle. Prima o poi, tutti dovremo combattere.» È quello che credi. «A meno che tu non pensi di cambiare bandiera», continuò Buke, sollevando il boccale. «Se per te la fede è solo un espediente...» «Che altra via c'è?» «Ti riempiresti il ventre di carne umana, Gruntle? Giusto per sopravvi-
vere?» incalzò il vecchio, lo sguardo ora tagliente. «Lo faresti, vero?» «La carne è carne», replicò Gruntle, lo sguardo sul gatto; uno scricchiolio annunciò la fine del suo gioco. «Non credevo fossi in grado di sconvolgermi», osservò Buke, alzandosi. «Pensavo di conoscerti...» «Lo pensavi.» «Quindi questo è l'uomo per cui Harllo ha dato la vita.» Gruntle sollevò lentamente il capo, e nei suoi occhi Buke vide qualcosa che lo fece indietreggiare. «Con quale Campo stai lavorando adesso?» chiese con calma il capitano. «Uldan», sussurrò il vecchio. «Verrò a trovarti. Nel frattempo, Buke, scompari dalla mia vista.» Le ombre si erano ritratte dalla maggior parte del campo, lasciando Hetan e suo fratello Cafal in pieno sole. I due Barghast erano accoccolati su una stuoia logora e sbiadita, la testa china, entrambi grondanti di sudore misto a cenere, e fra loro c'era un ampio braciere poco profondo, retto da un treppiede di ferro e pieno di carboni ardenti; tutt'intorno, soldati e messaggeri andavano e venivano. Fermo vicino alla soglia del quartier generale, l'Incudine-Scudo Itkovian indugiò a osservare i due fratelli. Non sapeva che i Barghast fossero un popolo propenso alla meditazione, e tuttavia pareva che Hetan e Cafal non avessero quasi fatto altro da quando erano tornati dal Thrall: digiunando e rifiutando di comunicare, si erano fastidiosamente piazzati al centro del cortile degli alloggiamenti, trasformandosi in un'isola inavvicinabile. La loro non è una calma mortale, stanno viaggiando fra gli spiriti. Brukhalian esige che io trovi un modo per passare, con qualsiasi mezzo. Possibile che Hetan custodisca un ulteriore segreto? Una via di fuga, per se stessa, suo fratello e le ossa degli Spiriti Fondatori? Un'ignota debolezza nelle nostre difese? Un difetto nell'investitura Pannion? Itkovian sospirò. Ci aveva già provato senza successo, e ora avrebbe tentato ancora; quando stava per avanzare, però, avvertì una presenza accanto a sé, e nel voltarsi vide il principe Jelarkan. Il volto del giovane era segnato dallo sfinimento, le mani snelle ed eleganti tremavano, sebbene lui le tenesse intrecciate appena sopra la cinta della veste. «Incudine-Scudo, devo conoscere le intenzioni di Brukhalian», disse, lo
sguardo fisso sul fervore di attività del cortile. «È chiaro che lui ha quello che voi soldati definite un "asso nella manica", quindi ancora una volta sono qui a chiedere udienza a un uomo che è alle mie dipendenze... inutilmente», continuò, senza sforzarsi di celare l'amara ironia di quelle parole. «La Spada Mortale non ha tempo per me, il principe Jelarkan.» «Signore, potete porre a me le vostre domande, e farò del mio meglio per darvi una risposta», si offrì Itkovian. «Brukhalian vi ha dato il permesso di parlare?» chiese il giovane, girandosi di scatto. «Sì.» «Benissimo. I Kron T'lan Imass e i loro lupi non-morti hanno distrutto i demoni K'Chain dell'Eptarca.» «Infatti.» «Ma il Dominio di Pannion ne ha altre centinaia.» «Sì.» «Allora perché i T'lan Imass non invadono l'impero? Un attacco nel territorio del Veggente potrebbe provocare il ritiro delle forze assedianti di Kulpath, perché il Veggente sarebbe costretto a richiamarle oltre il fiume.» «Se i T'lan Imass fossero un esercito mortale, la scelta sarebbe ovvia, e di conseguenza vantaggiosa per le nostre esigenze», replicò Itkovian. «Purtroppo, però, Kron e i suoi non-morti sono vincolati da esigenze ultraterrene, che noi ignoriamo. Ci è stato detto di un raduno, una silenziosa convocazione dallo scopo sconosciuto che per il momento avrebbe la precedenza su ogni altra cosa. Kron e i T'lan Ay hanno distrutto i K'Chain Che'Malle dell'Eptarca perché la loro presenza è stata ritenuta una diretta minaccia per il raduno.» «Perché? Questa spiegazione è insufficiente, Incudine-Scudo.» «Condivido la vostra valutazione, signore. Pare ci sia un altro motivo per la riluttanza di Kron a marciare verso sud, un mistero che riguarda il Veggente stesso. Sembra che la parola "Pannion" sia Jaghut, come forse saprete, gli Jaghut erano i mortali nemici dei T'lan Imass. È mia personale convinzione che Kron stia aspettando l'arrivo di... alleati, di altri T'lan Imass che devono affluire a questo imminente raduno.» «Vorreste sottintendere che Kron sarebbe intimorito dal Veggente Pannion?» «Sì, in quanto sono convinto che il Veggente sia uno Jaghut.» Il principe tacque a lungo, poi scosse il capo. «Anche se i T'lan Imass dovessero decidere di marciare contro il Domi-
nio di Pannion, per noi sarebbe troppo tardi.» «La cosa sembra probabile.» «Benissimo. Un'altra domanda: perché questo raduno ha luogo qui?» Itkovian esitò, poi annuì fra sé. «Principe Jelarkan, colui che ha convocato i T'lan Imass si sta avvicinando a Capustan... con un esercito», spiegò. «Un esercito?» «Un esercito in marcia per muovere guerra al Dominio di Pannion, con l'ulteriore intento di far togliere l'assedio a Capustan.» «Cosa?» «Signore, sono a cinque settimane di marcia da qui.» «Non possiamo resistere...» «Questa realtà è nota, principe.» «E questo convocatore è al comando di quell'esercito?» «No. Il comando è condiviso da due uomini: Caladan Brood e Dujek Un-braccio.» «Dujek... il Gran Pugno Un-braccio? Il Malazan? Per i Signori degli Inferi, Itkovian, da quanto lo sapete?» «I contatti preliminari sono stati stabiliti qualche tempo fa mediante magia, principe», rispose Itkovian, schiarendosi la gola. «Tali vie sono nel frattempo divenute impercorribili.» «Sì, sì, lo so benissimo. Continuate, dannazione!» «Abbiamo appreso solo di recente della presenza del convocatore in seno a quell'esercito, per bocca di un Divinatore dei Kron T'lan Imass...» «L'esercito, Itkovian! Parlatemi ancora dell'esercito!» «Dujek e le sue legioni, che ammontano a circa diecimila uomini, sono stati dichiarati fuorilegge dall'Imperatrice Laseen e agiscono ora da indipendenti. Caladan Brood ha al suo comando alcune piccole compagnie di mercenari, tre clan dei Barghast, la nazione Rhivi e i Tiste Andii... per un totale di trentamila combattenti.» Fissando gli occhi sgranati del principe Jelarkan, Itkovian vide le sue difese interiori crollare di fronte a quell'informazione e una serie di speranze fiorire e avvizzire in rapida successione. «All'apparenza», osservò, in tono quieto, «tutto quello che vi ho detto sembra di vitale importanza, ma come voi stesso comprenderete, in realtà non ne ha affatto. Cinque settimane, principe... lasciateli alla loro vendetta, se volete, perché non potranno fare altro. Inoltre, considerato il loro numero limitato...».
«Queste sono le conclusioni di Brukhalian o le vostre?» «Di entrambi, purtroppo.» «Stolti», ringhiò il giovane. «Stolti dannati da Hood.» «Signore, non possiamo far fronte ai Pannion per cinque settimane.» «Lo so, dannazione a voi! La domanda ora è: perché tentare?» «Signore, questi erano i termini del contratto. La difesa della città...» «Idiota! Che m'importa del vostro dannato contratto? Avete già stabilito che falliremmo comunque! La mia preoccupazione è per la vita della mia gente. Questo esercito arriva da ovest, vero? Per forza, starà seguendo il fiume...» «Non possiamo uscire, principe. Saremmo annientati.» «Concentreremo tutte le forze a ovest, per una sortita improvvisa che si trasformerà in un esodo.» «Saremo massacrati», lo interruppe Itkovian. «Signore, è una cosa che abbiamo vagliato, e non funzionerebbe. Le ali di cavalleria dell'Eptarca ci circonderanno, costringendoci a fermarci, poi arriveranno Bekliti e Tenescowri, e noi avremo ceduto una posizione difendibile per una che non lo è. Finirebbe tutto nell'arco di una campana.» «Informate Brukhalian di quanto segue», ringhiò il principe, fissando l'Incudine-Scudo con aperto disgusto, quasi con odio. «In futuro, non spetterà alle Spade Grigie pensare al posto del principe, né decidere cosa lui debba o non debba sapere. Il principe dovrà essere informato di tutto, sia che lo riteniate rilevante o meno. Avete capito, Itkovian?» «Riferirò le vostre parole alla lettera, signore.» «Devo supporre che il Consiglio Mascherato sappia anche meno di quanto sapevo io una campana fa», continuò il principe. «Una supposizione esatta, signore. I loro interessi...» «Risparmiatemi altre erudite opinioni, Itkovian. Buona giornata a voi.» Itkovian guardò il principe allontanarsi verso l'ingresso del cortile, il passo troppo rigido per essere regale. E tuttavia è nobile, a suo modo. Sono dispiaciuto, caro principe, anche se non oserei mai ammetterlo. La mia volontà è quella della Spada Mortale, e i miei desideri sono irrilevanti. Soffocando l'ondata d'ira amara che accompagnava quei pensieri, riportò lo sguardo sui due Barghast seduti sulla stuoia. La trance si era spezzata, e adesso Hetan e Cafal erano chini sul braciere, da cui volute di fumo bianco salivano nell'aria soleggiata. Sorpreso, Itkovian impiegò un momento a riprendersi, e quando si avvicinò vide che un oggetto era stato posato fra le braci, una scapola tinta di
rosso lungo i bordi e bianca al centro, troppo sottile per appartenere a un bhederin e troppo lunga per essere umana; forse veniva da un daino, o da un'antilope... i Barghast avevano avviato una divinazione, usando l'oggetto che dava significato al nome tribale dei loro sciamani. Allora non sono soltanto guerrieri! Avrei dovuto immaginarlo dal canto levato da Cafal nel Thrall. È uno sciamano, ed Hetan è la sua controparte femminile. Itkovian si fermò appena fuori dalla stuoia, sulla sinistra di Cafal. La scapola cominciava a mostrare delle crepe e il grasso ribolliva lungo i bordi spessi, sfrigolando e divampando come un cerchio di fuoco. La divinazione più semplice era l'interpretazione delle crepe come fossero una mappa, un mezzo per trovare mandrie selvatiche per i cacciatori della tribù, ma in questo caso la magia all'opera era molto più complessa: le crepe non erano solo una mappa del mondo fisico. In silenzio, l'lncudine-Scudo cercò di cogliere qualcosa della sommessa conversazione fra Hetan e suo fratello. I due stavano parlando in Barghast, una lingua che conosceva poco, ma la cosa più strana era che la conversazione pareva essere a tre, con i due fratelli che assentivano a risposte che loro soltanto potevano udire. Adesso la scapola era un labirinto di crepe azzurre, beige e bianco calce, e presto l'osso si sarebbe sbriciolato, quando lo spirito della creatura avesse ceduto al potere implacabile che scorreva nella sua forza vitale quasi esaurita. La spettrale conversazione finì e, mentre Cafal rientrava in trance, Hetan sollevò lo sguardo su Itkovian. «Ah, lupo, vederti mi fa piacere. Ci sono stati cambiamenti sorprendenti nel mondo.» «Essi vi fanno piacere, Hetan?» «Saresti contento se così fosse?» sorrise la donna. Devo affacciarmi a questo precipizio? «È possibile.» Ridendo, Hetan si alzò lentamente, sussultando nello stiracchiarsi. «Che gli spiriti mi prendano, le ossa mi dolgono e i miei muscoli hanno bisogno di mani gentili.» «Ci sono esercizi per scioglierli.» «Lo so, lupo. Vuoi farli con me?» «Che notizie avete, Hetan?» «Per l'Abisso», sorrise la donna, le mani sui fianchi, «quanto sei goffo. Il tuo incarico è quello di cedermi e di apprendere tutti i miei segreti? Dovre-
sti guardarti da un gioco del genere, soprattutto con me». «Forse avete ragione», ammise lui, voltandosi. «Aspetta!» rise Hetan. «Fuggi come un coniglio? E io che ti ho chiamato lupo! Dovrei cambiarti nome.» «È una vostra scelta», replicò lui, da sopra la spalla, e si avviò. «Ah, questo sì che è un gioco che vale la pena di giocare!» rise ancora lei, alle sue spalle. «Va', dunque, mio caro coniglio! Mia preda sfuggente!» Rientrato nel quartier generale, Itkovian percorse il corridoio lungo il muro esterno fino alla porta della torre; l'armatura si mosse e tintinnò mentre saliva i gradini di pietra e cercava di scacciare l'immagine di Hetan, il suo volto ridente e luminoso, gli occhi danzanti, il sudore che le solcava la fronte fra gli strati di cenere, il modo in cui inarcava la schiena e protendeva il petto in fuori in un invito deliberato e provocante. La rinascita di desideri da tempo sepolti lo tormentava, i suoi voti si stavano sgretolando, ogni sua preghiera a Fener aveva come sola risposta il silenzio, quasi il dio fosse indifferente ai sacrifici che lui aveva fatto in suo nome. E forse questa è l'estrema, più devastante verità: agli dei non importa nulla delle imposizioni ascetiche sul comportamento mortale, delle regole di condotta, della morale distorta dei monaci e dei sacerdoti dei templi. Forse essi ridono addirittura delle catene in cui ci avvolgiamo, del nostro infinito, insaziabile bisogno di trovare delle pecche nelle richieste della vita; o forse non ridono, ma imprecano contro di noi, forse il nostro rifiuto della celebrazione della vita è il più grande insulto a coloro che adoriamo e serviamo. Raggiunta la sala d'armi in cima alla scala circolare, rivolse un cenno distratto ai due soldati di guardia e salì la scala di accesso alla piattaforma sul tetto. Il Destriant era già là. «Avete l'aria turbata, signore», osservò, quando Itkovian lo raggiunse. «Sì, non lo nego. Ho avuto una conversazione con il principe Jelarkan, e le mie parole lo hanno contrariato; poi ho parlato con Hetan. Destriant, la mia fede è in crisi.» «Mettete in discussione i vostri voti?» «Sì, signore. Ammetto di dubitare della loro autenticità.» «Eravate convinto, Incudine-Scudo, che le vostre regole di condotta esistessero per soddisfare Fener?» «Ecco... sì...» Accigliandosi, Itkovian si appoggiò ai merli e fissò il campo nemico avvolto nel fumo.
«Allora avete vissuto in una convinzione errata.» «Spiegatevi, per favore.» «D'accordo. Avete sentito il bisogno di incatenarvi, di imporre alla vostra anima le restrizioni definite dai vostri voti. In altre parole, Itkovian, i vostri voti sono nati da un dialogo con voi stesso, e non con Fener. Vostre sono le catene, e così pure le chiavi con cui aprirle quando non saranno più necessarie.» «Quando non lo saranno più?» «Sì, quando tutto ciò che concerne la vita cesserà di minacciare la vostra fede.» «Affermate quindi che la mia non è una crisi di fede, ma riguarda i miei voti, e che ho confuso le due cose?» «Infatti, Incudine-Scudo.» «Destriant, le vostre parole sono un invito a una piena carnale», osservò Itkovian, lo sguardo sempre fisso sull'accampamento Pannion. «E con essa, si spera, alla scomparsa del vostro umore acido», rise il Gran Sacerdote. «Adesso chiedete un miracolo», sorrise Itkovian. «Si può sperare...» «Guardate!» esclamò Itkovian, indicando. «C'è del movimento fra i Bekliti.» D'un tratto serio, Karnadas lo raggiunse. «E là ci sono gli Urdomen», continuò Itkovian, «con gli Scalandi ai fianchi. I Seerdomin si stanno portando nelle posizioni di comando». «Attaccheranno prima le ridotte», predisse il Destriant. «Le vantate Guardie Gidrath del Consiglio Mascherato, nelle loro roccaforti. Questo potrebbe darci altro tempo...» «Trovate i miei messaggeri, avvertite gli ufficiali e informate il principe.» «Sì, Incudine-Scudo. Voi resterete qui?» «È un buon punto d'osservazione. Ora andate.» Le truppe dei Bekliti si stavano ammassando in cerchio intorno alla roccaforte Gidrath, le punte delle lance che scintillavano al sole. «È cominciato», sussurrò Itkovian, nell'osservare i preparativi. Le strade di Capustan erano silenziose e praticamente vuote sotto un cielo limpido quando Gruntle imboccò il Vicolo Calmanark; raggiunto il muro ricurvo del Campo autonomo noto come Ulden, si fece largo a calci fra i
rifiuti che ingombravano una scala che portava sotto il livello della strada e calò il pugno contro la solida porta inserita nelle fondamenta del muro. Dopo un momento, essa si aprì e Gruntle imboccò uno stretto corridoio dal pavimento inclinato che lo riportò al livello del suolo venti passi più avanti, dove la luce intensa del sole illuminava un cortile centrale circolare. Buke richiuse alle sue spalle la porta massiccia e faticò per rimettere a posto la pesante sbarra, girandosi poi verso Gruntle. «Hai fatto presto. Allora?» «Cosa credi?» ringhiò il capitano. «C'è stato movimento. I Pannion stanno schierando le truppe, ci sono messaggeri che vanno e vengono...» «Su quale muro eri?» «Quello nord, accanto a Casa Lektar, se fa qualche differenza. E tu? Prima ho dimenticato di chiederti se la scorsa notte il bastardo è andato a caccia per le strade.» «No. Come ti ho detto, i Campi mi stanno aiutando, e credo che lui si stia ancora chiedendo perché due notti fa è rimasto a mani vuote; la cosa lo ha irritato tanto che Bauchelain se n'è accorto.» «Non è un bene, Buke. Comincerà a indagare.» «Sì. Ho detto che ci sarebbero stati dei rischi, giusto?» Già, tentare di impedire a un folle assassino di trovare vittime senza che lui se ne accorga, e questo con un assedio che sta per iniziare. Che l'Abisso ti prenda, Buke, in cosa mi stai trascinando? «Hai parlato di aiuto», osservò Gruntle, guardando su per la rampa. «Come la stanno prendendo i tuoi nuovi amici?» «Per i suoi esperimenti, Korbal Broach preferisce raccogliere organi sani», spiegò Buke, scrollando le spalle. «I loro figli sono in pericolo.» «Lo sarebbero meno se fossero rimasti all'oscuro.» «Lo sanno.» «Hai parlato di bambini?» «Sì, abbiamo in ogni momento almeno quattro piccoli osservatori sulla casa. Si fingono marmocchi senza dimora: in giro ce ne sono abbastanza di autentici per non destare sospetti. Tengono d'occhio anche il cielo...» Buke s'interruppe di colpo e una strana espressione furtiva gli apparve nello sguardo. Evidentemente, aveva qualche segreto. «Il cielo?» ripeté Gruntle. «Perché?» «Uh, nel caso che Korbal Broach passi per i tetti.» In una città dalle case ben distanziate?
«Ciò che volevo dire è che la casa è sorvegliata», continuò Buke. «Per fortuna, Bauchelain è ancora rintanato nella cantina, che ha trasformato in una sorta di laboratorio, e non ne esce mai. Quanto a Korbal, di giorno dorme. Gruntle, quello che ho detto prima...» «Ascolta», lo interruppe Gruntle, sollevando di scatto una mano. I due uomini s'immobilizzarono: un tuono lontano vibrava sotto i loro piedi, un crescente ruggito che veniva da un punto al di là delle porte cittadine. Buke imprecò, impallidendo. «Dov'è Stonny?» chiese. «Non provare a dirmi che non lo sai!» «Porta della Strada del Porto. Cinque squadre di Spade Grigie, una compagnia di Gidrath, una decina di Guardie Lestari...» «Là il rumore è più forte.» «Ha supposto che sarebbe iniziato da lì», grugnì Gruntle. «Stupida donna.» «Nel nome di Hood, allora perché sei ancora qui?» sibilò Buke, afferrandolo per un braccio. «L'attacco è cominciato, e Stonny ci è dentro fino al collo!» «Va' a dirlo all'Abisso, vecchio», ribatté Gruntle, liberandosi. «Quella donna è adulta. E io ho detto a lei, e a te, che questa non è la mia guerra!» «Il che non tratterrà i Tenescowri dal tagliarti la testa per cucinarla!» Sogghignando, Gruntle allontanò Buke dalla porta, afferrò la pesante sbarra con la destra e con una sola spinta la sollevò dai sostegni, lasciandola cadere con un clangore che echeggiò nel corridoio, poi spalancò il battente e uscì sulla scala. Il rumore dell'assalto divenne un rombo assordante, non appena raggiunse il livello della strada e si portò nel vicolo. In mezzo al fragore amorfo delle armi c'erano urla, grida e quell'indefinibile vibrazione dovuta a migliaia di corpi in armatura che si muovevano, fuori dalle mura, sui bastioni, sui due lati delle porte... che di certo già gemevano sotto l'urto degli arieti. Infine l'assedio era cominciato. L'attesa era terminata. Non potranno difendere le mura, e neppure le porte. Entro il tramonto arriverà la fine. Poi pensò di ubriacarsi, e trasse conforto da quell'idea familiare. Un movimento dall'alto attrasse la sua attenzione, e nel sollevare lo sguardo vide una cinquantina di sfere di fuoco che solcavano il cielo, provenienti da ovest, seminando fiamme ovunque mentre colpivano edifici e strade con violente esplosioni.
Girandosi, vide una seconda ondata arrivare da nord e una sfera farsi più grande delle altre, come una sorta di sole, nel volare dritta verso di lui. Imprecando, si gettò giù per la scala mentre la massa di pece colpiva la strada, rimbalzava in una tempesta di fuoco e colpiva il muro ricurvo del Campo, a meno di dieci passi da un lato della scala. Il nucleo di pietra della sfera trapassò il muro, trascinando con sé lingue di fuoco, e una cascata di detriti si riversò sulla strada in fiamme. Ammaccato e assordato, Gruntle risalì i gradini. Dal Campo Uldan giungevano ora delle grida, volute di fumo uscivano dalla breccia. Dannati ordigni, le trappole di fuoco. La porta in fondo alla scala si aprì con violenza e Buke trascinò fuori dai detriti una donna svenuta. «Quanto è grave la situazione?» gridò Gruntle. «Sei ancora qui?» chiese Buke. «Va bene, il fuoco è quasi spento. Vattene di qui! Scappa, va' a nasconderti.» «Buona idea», ringhiò Gruntle. Il fumo si levava in nere colonne da tutta la parte est di Capustan, spargendosi nel cielo sulla spinta del vento, e si vedevano fiamme nel quartiere Daru, fra i templi e le case. Ritenendo che l'area più al sicuro dai missili incendiari sarebbe stata quella vicino alle mura, Gruntle si avviò verso est lungo la strada. È solo una coincidenza che Stonny sia qui avanti, alla Porta della Strada del Porto. Ha fatto le sue scelte, ma non è la nostra guerra, dannazione! Se avessi voluto fare il soldato, sarei entrato in un dannato esercito. Che l'Abisso li prenda tutti... Un'altra ondata di proiettili delle lontane catapulte fendette il fumo. Gruntle accelerò il passo, ma essi atterrarono comunque alle sue spalle, nel cuore della città, con una serie di rombi. Se continuano così, finirò per impazzire. Più avanti, c'erano figure che correvano in mezzo al fumo, e il clangore delle armi era più forte, simile alla risacca su una spiaggia sassosa. Ottimo. Troverò la porta e preleverò la ragazza. Non ci vorrà molto, e se protesterà la stordirò con un pugno. Dobbiamo per forza escogitare il modo di uscire da qui. Era ormai alle spalle delle file di bancarelle di fronte alla Strada Interna del Porto; i vicoli fra di esse erano stretti e intasati di rifiuti, la via invisibile a causa di una cortina di fumo. Gruntle la raggiunse facendosi largo fra i rifiuti: la porta era alla sua sinistra, a stento visibile, con i battenti infranti e il passaggio intasato di corpi; le torri laterali avevano i fianchi anneriti sfregiati da frecce, quadrelle e lance di balista, il fumo usciva dalle feritoie di entrambe e dall'interno giungevano urla e un clangore di spade; su en-
trambi i lati dei bastioni, soldati delle Spade Grigie si stavano aprendo un varco verso la sommità delle torri. Un martellare di stivali risuonò sulla destra di Gruntle, e sei squadre di Spade Grigie emersero dal fumo, le prime due file armate di spada e scudo, le altre due di balestre cariche; oltrepassato il capitano, i soldati presero posizione dietro i mucchi di corpi che bloccavano le porte. Una folata di vento liberò la strada dal fumo sulla destra, rivelando altri cadaveri, Capanthall, Lestari e Betakliti, sparsi fino a una barricata lontana sessanta passi, dove c'era un altro mucchio di caduti. Gruntle raggiunse di corsa le Spade Grigie e, non vedendo nessun ufficiale, si rivolse alla balestriera più vicina. «Com'è la situazione qui, soldato?» La donna si girò, il volto una piatta maschera inespressiva coperta di fuliggine, e Gruntle notò con sorpresa che era una Capan. «Stiamo sgombrando la sommità delle torri. La sortita dovrebbe finire presto: li lasceremo passare e bloccheremo la porta.» Gruntle la fissò. Una sortita? Per gli dei, hanno perso il senno! «La bloccherete?» ripeté, guardando verso l'arco del passaggio. «Per quanto tempo?» «Gli zappatori stanno arrivando con squadre di operai», replicò lei, scrollando le spalle. «In un paio di campane ci sarà una nuova porta.» «Quante brecce? E quante perdite?» «Non lo so, cittadino.» «Smettila di cianciare, laggiù», ingiunse una voce maschile, «e manda via il civile...». «Del movimento davanti a noi, signore!» gridò un altro soldato. Le balestre vennero puntate al di sopra degli spadaccini accovacciati. «Truppe Lestari... non tirate», gridò qualcuno, dall'esterno del passaggio. «Stanno rientrando!» Le Spade Grigie non accennarono a rilassarsi. Un momento più tardi, arrivarono i primi membri della sortita: laceri e malconci, carichi dei compagni feriti, i fanti in armatura pesante gridarono alle Spade Grigie di fare loro largo, e le squadre in attesa si aprirono a formare un corridoio. Ognuno dei primi trenta Lestari che vi affluirono trasportava un compagno ferito. L'avvicinarsi dei suoni di lotta che giungevano da oltre le porte attrasse l'attenzione di Gruntle: era in atto un'azione di retroguardia a protezione di chi trasportava i feriti, e la pressione su di essi stava aumentando.
«Contrattacco!» tuonò qualcuno. «Avanguardie Scalandi!» Un corno gemette sulle mura a destra della torre meridionale e il fragore proveniente dal terreno sgombro al di là delle porte andò crescendo fino a far tremare l'acciottolato sotto i piedi di Gruntle. Scalandi. Combattono in legioni di non meno di cinquemila uomini... File di Spade Grigie, spadaccini, balestrieri e arcieri, si stavano schierando più in giù lungo la strada a formare una linea di ripiegamento, e una compagnia ancora più numerosa si stava radunando alle loro spalle, rinforzata da baliste e catapulte, caricate con secchi di ghiaia rovente che fumavano come calderoni. La retroguardia avanzò barcollando nel passaggio sotto una pioggia di giavellotti che rimbalzavano contro armature e scudi; uno di essi trovò una breccia, e un soldato crollò con il collo trafitto, poi apparvero i primi Scalandi. Gli snelli guerrieri in armatura di cuoio, muniti di spade e di lance sottratte ai caduti e di qualche scudo di vimini, incalzavano la fanteria pesante dei Lestari, morendo a decine, ma altri ancora continuavano ad arrivare lanciando acute grida di guerra. «Ritirata! Ritirata!» Quel comando echeggiante ebbe un effetto immediato sulla retroguardia Lestari, che si disimpegnò di colpo e si lanciò lungo il corridoio, lasciandosi alle spalle i caduti che scomparvero sotto l'orda di Scalandi che si riversava nel passaggio. La prima fila di Spade Grigie si riformò alle spalle dei Lestari, le balestre scattarono e gli Scalandi caddero a decine, ostacolando i compagni con i loro corpi che si contorcevano. Gruntle vide le Spade Grigie ricaricare con calma le balestre, mentre gli spadaccini abbattevano i pochi Scalandi arrivati fino a loro. Oltrepassando i compagni caduti, una seconda ondata si lanciò verso la linea, andando a sbattere contro un'altra pioggia di quadrelle. Adesso il passaggio era quasi intasato di cadaveri. L'orda successiva di Scalandi risultò essere disarmata; mentre le Spade Grigie ricaricavano ancora, essi cominciarono a trascinare fuori dal passaggio i compagni morti o morenti. Il fragore della porta della torre di sinistra che si spalancava fece sussultare Gruntle; girandosi di scatto, le mani sulle scimitarre Gadrobi, vide uscire una mezza dozzina di Capanthall, barcollanti e insanguinati, e fra gli altri scorse Stonny Menackis. Il suo stocco era spezzato a una spanna dalla punta e il resto della lama, comprese l'elsa e la guardia, era coperto di sangue, come pure la mano
guantata e l'avambraccio. Qualcosa di lungo e viscido, che grondava liquame marrone, era infilzato nella lama sottile della daga che lei aveva nella sinistra, e la sua costosa armatura di cuoio era a brandelli, perché un fendente era penetrato abbastanza da tagliare anche la sottostante imbottitura, esponendo il seno destro, la cui morbida pelle bianca era segnata dai lividi lasciati dalla mano di qualcuno. La quadruplice linea di Spade Grigie si aprì nuovamente e i soldati si lanciarono verso i vicoli più vicini, su entrambi i lati della Strada del Porto, dove gli arcieri Capanthall attendevano di poter prendere di mira gli inseguitori Scalandi. Stonny impartì un secco ordine ai compagni, che arretrarono parallelamente alle mura, poi vide Gruntle. I loro sguardi s'incontrarono. «Vieni qui, idiota!» sibilò lei. «Per Hood, donna, cosa...» cominciò lui, raggiungendola. «Cosa credi? Ci sono piombati addosso attraverso le porte, su per le torri e per quelle dannate mura.» Stonny ritrasse il capo di scatto, come se avesse ricevuto un colpo invisibile, poi il suo sguardo si fece assente, calmo. «Abbiamo lottato stanza per stanza, uno contro uno. Un Seerdomin mi ha trovata...» Un altro brivido la percorse. «Però quel bastardo mi ha lasciata in vita, e io l'ho rintracciato e ucciso. Vieni, muoviamoci!» Nell'avviarsi, agitò verso Gruntle la daga, spruzzandogli la faccia e il petto di bile e di escrementi. «L'ho sventrato dall'interno, e quanto ha implorato», ringhiò. «Se non ha funzionato per me, perché doveva funzionare per lui? Che stolto! Un patetico, piagnucolante...» Impegnato a seguirla, Gruntle impiegò un momento a capire cosa lei stesse dicendo. Oh, Stonny... Lei si arrestò di colpo, sbiancando in volto, e si girò a guardarlo con espressione inorridita. «Si supponeva che questa fosse una guerra. Quel bastardo... per gli dei!» esclamò, addossandosi al muro. Gli altri proseguirono, troppo storditi per accorgersene, o per preoccuparsi di lei. «L'hai sventrato dall'interno, eh?» chiese Gruntle, avvicinandosi, ma non osando toccarla. Stonny annuì, gli occhi serrati, il respiro aspro, affaticato. «Ne hai lasciato un poco per me, ragazza?» Lei scosse il capo. «Un vero peccato! Del resto, un Seerdomin vale l'altro.»
Stonny gli premette il volto contro la spalla, e lui la cinse con le braccia. «Togliamoci da questi combattimenti, ragazza», mormorò. «Ho una stanza pulita, con una bacinella, una stufa e una caraffa d'acqua. È abbastanza vicina alle mura settentrionali da essere sicura, ed è in fondo a un corridoio, con una sola entrata. Io sarò fuori dalla porta, Stonny, per tutto il tempo che ti servirà, e non farò passare nessuno. È una promessa.» Sentendola annuire, accennò a prenderla in braccio. «Posso camminare.» «Ma vuoi farlo, ragazza?» Dopo un lungo momento, lei scosse il capo. «Dormi, se vuoi», disse lui, sollevandola con facilità. «Sei al sicuro.» E si avviò lungo le mura con la donna raggomitolata fra le braccia, il volto premuto contro la sua tunica, che in quel punto si stava rapidamente infradiciando. Dietro di loro, gli Scalandi stavano morendo a centinaia, massacrati dalle Spade Grigie e dai Capanthall, e lui avrebbe voluto essere là con loro, in prima fila, a mietere vita su vita. Un solo Seerdomin non bastava, non ne sarebbero bastati mille. Non ora. Si sentì raggelare, come se il suo sangue si fosse mutato in qualcosa di amaro che gli scorreva ora nelle vene, pervadendogli i muscoli di una strana forza inflessibile. Non si era mai sentito così, ma non voleva pensarci, perché non c'erano parole per descrivere cosa provasse. E neppure, come presto avrebbe scoperto, ce n'erano per definire ciò che sarebbe diventato, e che avrebbe fatto. Come Brukhalian aveva previsto, il massacro dei K'Chain Che'Malle da parte dei Kron T'lan Imass e degli ay non-morti aveva seminato lo scompiglio fra le forze dell'Eptarca, causando una confusione e un'immobilità che avevano dato altri giorni a Itkovian per prepararsi all'assedio. Ora però il tempo dei preparativi era finito, e Itkovian doveva dirigere le difese cittadine. Senza T'lan Imass o T'lan Ay che venissero in loro soccorso, né un esercito di rinforzo che arrivasse all'ultimo minuto. Capustan era abbandonata a se stessa. E così ci sarebbero state paura, angoscia e disperazione. Dopo che il Destriant se ne fu andato e che i messaggeri ebbero iniziato il loro frenetico viavai, dalla sua posizione in cima alla torre più alta, sul Muro degli Alloggiamenti, Itkovian aveva osservato i primi movimenti del
nemico a est e a sudest, con la rumorosa apparizione delle macchine da assedio, mentre i Bekliti e i Betakliti in armatura pesante si schieravano davanti alla Porta del Porto, una massa di Scalandi alle loro spalle e sui fianchi; gruppi di truppe d'assalto Seerdomin e bande di zappatori Desandi stavano intanto posizionando altre macchine d'assedio, e la massa ribollente dei Tenescowri rimaneva in attesa negli enormi accampamenti lungo il fiume. Itkovian aveva seguito l'assalto alle fortificazioni esterne dalla ridotta orientale dei Gidrath, già isolata e circondata dal nemico, aveva visto abbattere la stretta porta e i Bekliti avanzare di tre passi, di due, poi fermarsi e iniziare a indietreggiare, mentre i cadaveri venivano rimossi e altri si ammucchiavano. I Gidrath, le guardie d'elite del Consiglio Mascherato, avevano dimostrato disciplina e determinazione, espellendo gli intrusi e sostituendo una barricata alla porta. Fuori, i Bekliti avevano rinnovato l'assalto dopo poco. La battaglia continuò così per tutto il pomeriggio, ma ogni volta che riportava l'attenzione su di essi, Itkovian vedeva che i Gidrath resistevano ancora, abbattendo i nemici a decine, una spina nel fianco dell'Eptarca. Infine, verso il tramonto, entrarono in azione le macchine da guerra, tempestando di massi le mura della fortezza, un martellamento che si protrasse anche con il buio. A parte quel dramma secondario, l'attacco alla città era iniziato su tutti i lati. Quello a nord era stato una finta, insignificante e subito riconosciuta come tale, e Itkovian aveva appreso dai messaggeri che la situazione era uguale a ovest. I veri assalti erano stati sferrati a sud e a est, ed erano stati diretti alle porte. Trovandosi in mezzo a esse, Itkovian aveva potuto sovrintendere alla difesa di entrambe, ma era stato anche ben visibile dal nemico, che gli aveva scagliato contro più di un missile dal tiro però troppo corto. Quello era tuttavia il primo giorno, e la mira sarebbe migliorata, al punto che presto Itkovian avrebbe dovuto rinunciare alla sua posizione; nel frattempo, voleva però irritare gli assedianti con la sua presenza. Mentre Bekliti e Betakliti attaccavano le mura, insieme ai Desandi muniti di scale, l'Incudine-Scudo aveva fatto aprire il fuoco dalle mura e dalle torri, causando un'orribile strage, perché gli assalitori non avevano protezioni di sorta ed erano morti a decine. Il loro numero era però tale che erano giunti alle porte, usando gli arieti e praticando delle brecce; una volta oltre i passaggi, tuttavia, i Pannion si
erano trovati in strade scoperte che erano diventate un terreno di morte quando Spade Grigie e Capanthall avevano scatenato una tempesta di frecce dal riparo delle barricate che bloccavano le vie laterali, i vicoli e gli incroci. La strategia per linee di difesa successive di Itkovian si era dimostrata di un'efficacia letale, e i successivi contrattacchi avevano addirittura permesso qualche sortita oltre le porte all'inseguimento dei Pannion in fuga. E, almeno per quel giorno, nessuna delle compagnie da lui inviate fuori si era spinta tanto oltre da non poter tornare. La disciplina aveva retto fra i Capanthall, i Lestari e i Coralessian. La prima giornata si era conclusa a favore dei difensori di Capustan. Itkovian aveva le gambe tremanti, il volto sudato accarezzato dalla brezza costiera che s'insinuava sotto la visiera a sfiorare gli occhi arrossati dal fumo; con il calare dell'oscurità, scandita dal bombardamento della ridotta orientale, si volse per la prima volta dopo ore a guardare la città. Interi isolati erano in fiamme, le lingue di fuoco che si allungavano verso la solida coltre di fumo sovrastante. Sapevo cosa avrei visto, quindi perché mi sconvolge tanto? Assalito da una debolezza improvvisa, si appoggiò al merlo alle sue spalle, una mano contro la pietra grezza. «Avete bisogno di riposo, signore», disse una voce, dall'ombra della soglia della torre. «È vero, Destriant», ammise Itkovian, chiudendo gli occhi. «Ma non ce ne sarà», continuò Karnadas. «L'altra metà delle forze nemiche si sta radunando, e possiamo aspettarci attacchi per tutta la notte.» «Lo so.» «Brukhalian...» «Sì, è necessario. Venite avanti, dunque.» «Simili sforzi sono sempre più difficili», mormorò Karnadas, avvicinandosi e posando una mano sul petto di Itkovian. «La malattia dei canali mi minaccia, e presto potrò a stento difendermi da essa.» «Grazie», sospirò l'Incudine-Scudo, quando la stanchezza lo abbandonò e il vigore lo pervase. «La Spada Mortale è appena stava convocata al Thrall per rendere conto del primo giorno di battaglia. No, non abbiamo avuto la fortuna di vedere il Thrall distrutto da qualche centinaio di sfere di fuoco: è intatto. Tuttavia, considerato chi ospita adesso, non dovremmo più volerne l'olocausto.» «Cosa volete dire?» chiese Itkovian, distogliendo lo sguardo dalle strade per scrutarlo in volto.
«I Barghast Hetan e Cafal si sono installati nella sala principale.» «Ah, capisco.» «Prima che me ne andassi, Brukhalian mi ha detto di chiedervi se avete scoperto in che modo le ossa degli Spiriti Fondatori saranno risparmiate dalla conflagrazione imminente.» «Ho fallito, e pare improbabile che possa rinnovare i miei sforzi al riguardo.» «È comprensibile. Riferirò alla Spada Mortale le vostre parole, ma non il vostro palese sollievo.» «Grazie.» «Per gli dei!» esclamò il Destriant, guardando verso est. «I Gidrath difendono ancora la ridotta?» «Non lo so», ammise Itkovian. «Se non altro, il bombardamento continua. Può darsi che là ci siano ora soltanto macerie: è troppo buio per vedere, ma mi pare di aver sentito crollare un muro, una campana e mezzo fa.» «Le legioni si stanno schierando ancora, Incudine-Scudo.» «Mi servono altri messaggeri. Gli ultimi...» «Sì, sono esausti», annuì Karnadas. «Ora vi lascio per fare ciò che avete chiesto, signore.» Itkovian lo sentì scendere la scaletta, ma tenne lo sguardo sulle postazioni nemiche a est e a sud, dove lanterne cieche brillavano qua e là fra quelle che sembravano truppe disposte in quadrati che si muovevano, le figure riparate dietro scudi di vimini. Compagnie più piccole di Scalandi stavano avanzando con cautela. Un rumore di passi alle sue spalle annunciò l'arrivo dei messaggeri. «Informate i capitani degli arcieri e degli addetti alle catapulte che i Pannion stanno per attaccare ancora», disse Itkovian, senza voltarsi. «Voglio soldati su mura e bastioni. Riunite le compagnie addette alle porte, complementi e zappatori inclusi.» Una ventina di sfere di fuoco si levò in cielo da dietro la massa dei Pannion, sorvolando Itkovian in un arco sfrigolante; le esplosioni illuminarono la città e fecero tremare il pavimento rinforzato in bronzo della torre. «Andate», ingiunse l'Incudine-Scudo, girandosi verso i messaggeri. Karnadas stava percorrendo al trotto il Viale Tura'l; alla sua sinistra, un enorme arco era appena stato colpito in un punto, spargendo macerie e pece in fiamme sull'acciottolato e sui tetti delle case adiacenti, incendiandole e facendo riversare fuori gli occupanti. Verso nord, al limite estremo
del Distretto dei Templi, un altro isolato era avvolto dal fuoco. Senza far rallentare il cavallo, il Destriant imboccò la Via delle Ombre, con il Tempio delle Ombre sulla sinistra e quello della Regina dei Sogni sulla destra, e svoltò ancora a sinistra nell'arrivare alla Lancia Daru, la via principale del distretto. Più avanti incombeva la scura mole del Thrall, l'antica fortezza che dominava le più basse abitazioni del Daru. Le tre squadre di Gidrath che sorvegliavano le porte, in armatura completa e con le armi in pugno, riconobbero il Destriant e lo lasciarono passare. Smontato nel cortile, lasciò il cavallo a uno stalliere e si diresse alla Grande Sala, dove sapeva che avrebbe trovato Brukhalian. Nel percorrere la navata centrale, diretto alle doppie porte, vide davanti a sé un altro uomo, con il cappuccio della veste alzato e senza la scorta di solito imposta agli sconosciuti che entravano nel Thrall, e tuttavia diretto all'ingresso con aggraziata sicurezza. Mentre ancora si chiedeva come lo sconosciuto fosse riuscito a oltrepassare i Gidrath, Karnadas sgranò gli occhi nel vederlo spalancare le grandi porte con un solo gesto della mano. Voci levate in un alterco emersero dalla Grande Sala, un suono che si spense con l'ingresso dello sconosciuto. Accelerando il passo, Karnadas entrò appena in tempo per sentire la fine dell'invettiva di un sacerdote Rath'. «... in questo istante!» Il Destriant sgusciò oltre la soglia sulla scia dello sconosciuto e vide Brukhalian fermo vicino alla pietra centrale e girato a guardare il nuovo venuto; i Barghast Hetan e Cafal erano seduti sulla stuoia sulla destra di Brukhalian e tutti i sacerdoti e le sacerdotesse del Consiglio Mascherato erano protesi in avanti sui loro seggi, le singole maschere che esprimevano un'estrema contrarietà; tutti tranne Rath'Hood, che era in piedi, la maschera di legno a forma di teschio atteggiata alla massima indignazione. Fermo con le mani congiunte sotto le maniche della veste marrone, lo straniero non pareva turbato dall'ostile accoglienza. Dalla sua posizione, il Destriant non poteva vederlo in volto, ma vide il cappuccio spostarsi quando si girò a scrutare i presenti. «Volete ignorare il mio ordine?» chiese Rath'Hood, in tono controllato ma iroso. «Dove sono i nostri Gidrath? Nel nome degli dei, perché non hanno sentito la nostra convocazione!» «Per il momento, purtroppo, stanno ascoltando il richiamo dei loro sogni, così eviteremo inutili interruzioni», mormorò lo sconosciuto, in Daru,
girandosi verso Brukhalian. Questo permise a Karnadas, che era ora al fianco della Spada Mortale, di vedere per la prima volta il suo viso rotondo, stranamente liscio e anonimo, tranne per la calma espressione equanime. Ah, il mercante soccorso da Itkovian. Si chiama... Keruli. «Mi scuso con il comandante delle Spade Grigie», proseguì l'uomo, fissando Brukhalian, «ma temo di dovermi rivolgere al Consiglio Mascherato, quindi se volesse gentilmente cedermi la parola...». «Ma certo, signore», annuì la Spada Mortale. «Noi non siamo d'accordo!» sibilò Rath'Tronod'Ombra. Lo straniero spostò l'attenzione su di lui, lo sguardo d'un tratto duro. «Purtroppo, non avete scelta. Vi guardo tutti, e vi trovo penosamente inadeguati.» Soffocando a stento una risata, Karnadas si ricompose appena in tempo per sostenere con aria innocente e interrogativa l'occhiata di Brukhalian. «Per l'Abisso, chi siete voi per trinciare un simile giudizio?» chiese Rath'Burn. «Non sono tenuto a rivelare il mio vero nome, sacerdotessa, solo il titolo che esigo.» «Il titolo?» «Rath'K'rul. Sono qui per prendere il mio posto in seno al Consiglio Mascherato e per dirvi questo: c'è fra voi uno che ci tradirà tutti.» Stonny sedeva sul letto con i lunghi capelli arruffati che le ricadevano sul volto; lentamente, Gruntle protese una mano a spingerli indietro. «Questo è stupido», sospirò Stonny. «Cose del genere succedono e non ci sono regole in battaglia. Sono stata un'idiota a cercare di affrontare un Seerdomin armata solo di uno stocco; l'ha spinto di lato con una risata. Non restare con me, Gruntle», continuò, sollevando lo sguardo. «Vedo cosa c'è nel tuo sguardo. Va'. Ho solo bisogno di... di ripulirmi», aggiunse, guardandosi intorno. «Non ti voglio qui, e neppure fuori dalla porta, perché se ti piazzi lì non ti muoverai più. Va'. Sei il combattente migliore che conosca: uccidi un po' di Pannion... uccidili tutti.» «Sei certa...» «Non ci provare», rise lei, in tono aspro. Grugnendo, Gruntle controllò le fibbie dell'armatura, sistemò l'imbottitura e abbassò la visiera dell'elmo, controllando le sciabole nei foderi, mentre Stonny lo fissava in silenzio. «D'accordo», disse, quando fu pronto. «Fa' con calma, ragazza. Ce ne sa-
ranno ancora in abbondanza quando avrai finito.» «Sì, certo.» Gruntle si girò verso la porta. «Ammazzane un po'.» «Lo farò», annuì lui. Bekliti e Scalandi raggiunsero il muro est a migliaia. Nonostante la pioggia di frecce, alzarono le scale e sciamarono su di esse, riversandosi oltre i bastioni. La Porta Orientale venne riconquistata e il nemico dilagò lungo il passaggio, affluendo nel Nuovo Mercato Orientale. A sud, la Porta Principale della città cadde sotto il tiro continuo delle catapulte, e una legione di Betakliti invase il Viale Jelarkan, poi una sfera di fuoco ben diretta centrò gli Alloggiamenti Ovest dei Capanthall in una conflagrazione che illuminò di rosso tutta la città. Truppe d'assalto Urdomen e Seerdomin valicarono la Porta Settentrionale e sciamarono nelle più vicine strade Daru dopo aver distrutto il Campo Nildar, massacrandone tutti gli occupanti. Il nemico era in città, su tutti i lati. Itkovian ne dedusse che la battaglia non stava andando bene. Al rapporto di ogni messaggero, lui faceva seguire una serie di ordini con voce calma e piana. «La Quarta Ala alla Nona Barricata, fra la torre interna Est e la Ne'ror. Rifornite i Capanthall nelle due torri. La Settima Ala alla torre interna Ovest e al suo muro. Mi serve un rapporto sulla situazione della Torre Jehbar. C'erano cinquecento Capanthall negli Alloggiamenti Occidentali: probabilmente sono in rotta. Quinta e Terza Falange nelle strade circostanti il Viale Tular per radunare i Capanthall. Quinta, Settima e Sesta Falange subito al Distretto dei Templi Nord, con l'ordine di resistere e contrattaccare fino a riprendere la Porta Settentrionale... Quarta, Seconda e Ottava Falange al Nuovo Mercato Orientale. Una volta ripresa la Porta Orientale, voglio che le Ali Uno, Tre e Cinque effettuino una sortita, punto di incontro la ridotta della Guardia Est, per neutralizzare le macchine d'assedio che la bombardano e salvare i superstiti Gidrath. Avverti il comandante di venire a rapporto da me...» Fra l'impartire ordini e l'avvicendarsi dei messaggeri, Itkovian stava osservando il combattimento in corso nel Nuovo Mercato Orientale, o almeno ciò che poteva vedere alla luce degli incendi e fra le nubi di fumo. Gli Scalandi stavano facendo di tutto per abbattere le barricate che impedivano loro di raggiungere il palazzo del principe, e una pioggia di massi martel-
lava senza posa le mura esterne dell'edificio, ma senza effetto perché le pareti di pietra lucida e sottile non tremavano neppure e la pece incendiata si consumava lasciando soltanto qualche macchia nera sulla loro superficie uniforme. Il palazzo avrebbe dovuto essere conquistato passo per passo, di stanza in stanza, e i Pannion erano impazienti di cominciare. Il comandante delle Spade Grigie al comando della Prima, Terza e Quinta Ala si avvicinò al parapetto; era uno degli ufficiali più anziani di Itkovian, un uomo alto e snello, la cui barba grigia nascondeva innumerevoli cicatrici. «Mi hanno riferito gli ordini, Incudine-Scudo», disse. Allora perché ti ho convocato? Leggo quella domanda nei tuoi occhi. Non hai bisogno di parole d'incitamento che ti inducano a quella che potrebbe essere una missione suicida. «Sarà una mossa inattesa», affermò Itkovian. «Sì, signore», annuì il Trimastro. «Con tutte quelle brecce, il fronte nemico deve aver perso coesione. Questa notte, mentre regna il caos, distruggeremo le macchine da guerra e preleveremo i superstiti della ridotta.» Sì, vecchio amico, sono io ad aver bisogno di parole d'incitamento. «Tenete gli occhi aperti, perché m'interessa lo schieramento delle riserve Pannion, soprattutto dei Tenescowri.» «Ho capito, signore.» «Incudine-Scudo!» annaspò una messaggera, risalendo la scala con passo incerto. «Rapporto», ordinò Itkovian. «Signore, mi manda il comandante della Prima, Settima e Sesta Falange.» La Porta Settentrionale. Itkovian guardò a nord, dove la maggior parte degli edifici Daru stava bruciando. «Procedi.» «Il comandante riferisce di aver trovato le truppe d'assalto Urdomen e Seerdomin. Sono tutti morti, signore.» «Morti?» La giovane donna annuì, asciugandosi il sudore dalla fronte sporca di cenere; il suo elmo, notò Itkovian, era troppo grande per lei. «Un cittadino ha chiamato a raccolta i resti della Guardia Capanthall, altri civili e alcune guardie di carovana, signore, e hanno affrontato Urdomen e Seerdomin in una serie di scontri di strada in strada... respingendoli. Ora il comandante controlla la Porta Settentrionale, che i suoi zappatori
stanno riparando.» «E questa milizia improvvisata e il suo comandante?» «Il comandante ha trovato solo pochi feriti, signore, perché la... la milizia era diretta a ovest all'inseguimento di una compagnia di Urdomen che tentava di invadere Casa Lektar.» «Messaggero, manda la Prima Ala in loro aiuto, e dopo aver riferito quest'ordine prenditi un po' di riposo.» «Sì, Incudine-Scudo.» «Quello non è l'elmo che ti hanno dato in dotazione, vero?» «Io... l'ho perso, Incudine-Scudo», ammise la donna, mortificata. «Chiedi al quartiermastro di trovartene uno che ti vada bene.» «Sì, signore.» «Va'.» I due veterani guardarono la ragazza allontanarsi. «È stata sbadata a perdere l'elmo», osservò il Trimastro. «Infatti.» «E abile a trovarne uno.» Itkovian sorrise. «Ora vorrei congedarmi, signore.» «Fener sia con voi, comandante.» Karnadas trasse un lungo respiro, mentre il pesante silenzio calato di colpo sulla Grande Sala gli faceva accapponare la pelle. Un traditore? I suoi occhi si posarono su un sacerdote in particolare, in quanto le parole di Rath'K'rul avevano alimentato un sospetto che lui già nutriva; la prudenza lo indusse però a diffidare delle proprie conclusioni e a tacerle, anche se continuò a tenere lo sguardo fisso su Rath'Fener. La maschera da cinghiale era priva di espressione, ma chi la portava pareva essere stato colpito nel vivo. «L'era di K'rul è passata da tempo», sibilò Rath'Tronod'Ombra. «Lui è tornato», ribatté il visitatore, «e questo dovrebbe dare a tutti voi un certo sollievo. Dopo tutto, è il sangue di K'rul che è stato avvelenato. La battaglia che è iniziata non risparmierà nessuno, inclusi gli dei che servite. Se dubitate delle mie parole, viaggiate dentro di voi... ascoltate la verità dai vostri dei. Può darsi che lo facciano con riluttanza, addirittura con risentimento, ma parleranno». «Il vostro è un suggerimento che non può essere attuato in fretta», osservò Rath'Regina dei Sogni.
«Possiamo riunirci di nuovo», replicò Rath'K'rul, inchinandosi. «Badate però che abbiamo poco tempo.» «Avete parlato di tradimento...» «Sì, Rath'Regina dei Sogni.» «Seminate la divisione fra noi.» «Fratelli e sorelle, quanti sanno di avere la coscienza pulita saranno più uniti, e a colui che non può affermare altrettanto penserà il suo dio.» «Colui?» Rath'K'rul scrollò le spalle. Seguì il silenzio, che Brukhalian infranse schiarendosi la gola. «Con il permesso del Consiglio Mascherato, ora io devo andare. L'Incudine-Scudo ha bisogno di me.» «Ma certo», annuì Rath'Hood. «A giudicare dai suoni che si odono fuori dal Thrall, pare che il nemico abbia valicato le mura.» E Hood si aggira nelle strade di Capustan. Un'ambivalenza che basta a rendere fredda la tua voce. «Rath'Hood», sorrise la Spada Mortale, «ci aspettavamo dall'inizio che le mura venissero espugnate, più di una volta. Per favore», aggiunse, rivolto a Karnadas, «venite con me. Mi servono informazioni recenti». Il Destriant annuì. D'un tratto Hetan si alzò, fissando Rath'K'rul con occhi scintillanti. «Uomo che Dorme, l'offerta del tuo dio è sincera? Ci aiuterà davvero?» «Lo farà. Chi di voi due si offre volontario?» Gli occhi dilatati, la Barghast accennò al fratello. L'uomo incappucciato sorrise. «Che significa? Che sta succedendo?» esclamò Rath'Tronod' Ombra. Voltandosi a guardare Cafal, Karnadas vide con stupore che era ancora seduto a gambe incrociate, la testa china come se dormisse. «Se vi preme la vita», ammonì Rath'K'rul, «nessuno di voi lo svegli». Della sessantina di Capanthall che Gruntle aveva guidato a ovest dalla Porta Settentrionale ne restava solo una dozzina, insieme a un solo armigero Lestari, un sergente dalle gambe corte che aveva assunto senza commenti il ruolo di comandante in seconda. Casa Lestari era una delle poche dimore private ben fortificate di Capustan, abitazione dei Kalan D'Arie, una famiglia di mercanti collegata al Consiglio di Darujhistan, come pure all'omonimo casato nobiliare, ora in disgrazia, presente in Lestari. La solida struttura di pietra era addossata al muro settentrionale e il suo tetto piatto era diventato un punto di raccolta
per quanti la difendevano. Al livello della strada, l'ingresso era costituito da una spessa porta di bronzo incassata nella pietra, con i cardini nascosti; un'ampia tettoia sovrastava la soglia, sorretta da colonne di marmo gemelle e decorata con sculture di teste demoniache. Dalle bocche aperte dei mostri colava ancora l'acqua bollente che era stata rovesciata sugli Scalandi urlanti, quando avevano cercato di abbattere la porta. Gruntle e i suoi uomini, ancora sconvolti da un violento scontro con quindici Urdomen che avevano fatto a pezzi la maggior parte della milizia - prima che Gruntle abbattesse di persona gli ultimi due Pannion - avevano attaccato gli Scalandi alle spalle. Lo scontro era stato rapido e brutale, e soltanto il sergente Lestari aveva dimostrato un minimo di misericordia nel tagliare la gola agli Scalandi che erano stati gravemente ustionati dall'acqua bollente; la cessazione delle loro urla aveva fatto cadere sulla scena un silenzio improvviso. Accoccolandosi accanto a un cadavere, Gruntle ne usò la tunica per pulire la lama delle scimitarre; si sentiva i muscoli delle braccia e delle spalle tremanti e come di piombo. La brezza notturna odorosa di salsedine era ora più tesa e stava spingendo il fumo verso l'entroterra; intorno, infuriavano ancora incendi che alleviavano l'oscurità. «Guardate là.» Gruntle guardò nella direzione indicata dal Lestari: il Thrall incombeva a sudest, ad appena poche strade di distanza, e tutta la struttura brillava debolmente. «Cosa ne pensi?» borbottò il veterano. Una magia di qualche tipo. «Suppongo sia una magia rituale», continuò il sergente. «Probabilmente protettiva. Hood sa che ne servirebbe un po' anche a noi. Siamo a pezzi, signore, non ho più molte forze, e gli altri...» Adocchiando la decina di malconci e sanguinanti Capanthall accoccolati, inginocchiati o appoggiati ai muri della casa, il Lestari scosse il capo. «Sono esausti.» Il rumore di un combattimento si andava avvicinando, da ovest. Uno strisciare di armatura contro la pietra del tetto della Casa Lestari attirò l'attenzione di Gruntle: una mezza dozzina di soldati Capanthall li stavano guardando dall'alto. «Un buon lavoro, chiunque voi siate!» gridò uno di essi. «Cosa vedete da lassù?» chiese il sergente.
«La Porta Settentrionale è di nuovo nostra! Sono Spade Grigie, quasi un migliaio! I Pannion stanno cedendo!» «Spade Grigie», borbottò il Lestari, guardando verso Gruntle. «Siamo stati noi a riprendere quella porta...» «Ma non la stiamo difendendo, giusto?» ringhiò Gruntle, raddrizzandosi, poi si girò verso le sue scarse truppe. «Un po' di vitalità, smidollati Capan! Non abbiamo finito.» Occhi opachi, increduli, lo fissarono. «Dai rumori, pare che la Porta Occidentale abbia ceduto e che i nostri si stiano ritirando. Significa che hanno perso gli ufficiali o che li hanno, ma non valgono molto. Sergente, da ora sei un tenente e tutti voi siete sergenti. Dobbiamo radunare quei soldati spaventati. Muovetevi, e di corsa: non voglio che vi si irrigidiscano i muscoli.» Fissandoli con occhi roventi, Gruntle fece tintinnare le sciabole. «Seguitemi.» E iniziò a correre verso la Porta Occidentale. Dopo un momento, gli altri lo imitarono. Mancavano due campane all'alba. A nord e a ovest il ruggito della battaglia si stava affievolendo perché i contrattacchi di Itkovian avevano riconquistato quelle porte e le mura. A quel punto gli assalitori sarebbero stati incalzati da ogni lato, e così sarebbe stato almeno per il resto della notte. Una campana prima, Brukhalian era tornato dal Thrall insieme a Karnadas, aveva radunato le seicento reclute che Itkovian aveva tenuto di riserva e le aveva inviate verso il Viale Jelarkan insieme a due Falangi e a due Ali, perché si diceva che là un migliaio di Bekliti minacciasse di sopraffare le difese interne. La situazione intorno alla Porta Occidentale era anche peggiore, e ben tre messaggeri non erano tornati dopo essere stati mandati laggiù. Gli Alloggiamenti Occidentali erano avvolti dalle fiamme e illuminavano le macerie della porta, una breccia che avrebbe potuto causare la caduta della città, se il nemico fosse riuscito a raggiungere il lato occidentale del Viale Jelarkan. Itkovian era in preda alla frustrazione, perché non aveva più truppe di riserva. Per un momento, era parso che i distaccamenti di Capanthall e di Spade Grigie assegnati alla Porta Occidentale avessero cessato di esistere e che l'infiltrazione nemica fosse diventata una marea; poi quella marea aveva incontrato un muro umano, e non lo aveva ancora oltrepassato. Ora il fato di Capustan era nelle mani di quei difensori, e Itkovian pote-
va soltanto stare a guardare mentre la sua sorte era in bilico. Di sotto, nel cortile, Karnadas stava esaurendo il suo canale Denul, lottando contro l'infezione che lo assaliva e riuscendo comunque a risanare Spade Grigie ferite. Nel Thrall stava accadendo qualcosa, l'intera fortezza pareva brillare, e Itkovian avrebbe voluto interrogare il Destriant al riguardo, ma non ne aveva ancora avuta l'opportunità. Un suono di passi sulla scala lo indusse a girarsi. Il messaggero aveva un'orribile ustione su un lato del volto, la pelle rossa e tempestata di vesciche sulla mascella e la guancia, fin sotto il bordo dell'elmo; su quel lato, l'occhio, maciullato, era coperto di sangue rappreso e scuro come un chicco d'uva passa. Quando l'uomo si allontanò dalla scala, Itkovian vide che era seguito da Karnadas, che parlò per primo, nell'emergere sulla piattaforma. «Signore, ha insistito per venire prima a rapporto. Non posso fare nulla per l'occhio, ma il dolore...» «Fra un attimo», scattò Itkovian. «Messaggero, a rapporto.» «Chiedo scusa per aver tardato tanto», annaspò il giovane. «Tu mi umili», osservò Itkovian, sorpreso. «È passata più di una campana da quando ti ho mandato alla Porta Occidentale.» «I Pannion erano arrivati fino al Campo Tular, Incudine-Scudo, e il Campo Senar era stato preso, i suoi abitanti massacrati tutti. I bambini... chiedo scusa, signore, ma sono ancora inorridito...» «Continua.» «La Torre Jehbar era circondata, i suoi difensori assediati. Questa era la situazione al mio arrivo, signore. I nostri soldati erano sparpagliati, combattevano a gruppetti, molti erano accerchiati e ovunque guardassi vedevo i nostri cadere.» Interrompendosi, trasse un affannoso respiro, poi riprese: «Questa era la situazione al mio arrivo. Quando stavo per tornare da te con queste notizie, sono stato... requisito». «Sei stato cosa?» «Chiedo scusa, signore, ma non trovo altra definizione. È arrivato uno straniero, seguito da una decina di Capan e da un sergente Lestari, e ha assunto il comando di tutti, me incluso. Incudine-Scudo, ho protestato...» «Evidentemente era un uomo persuasivo. Continua.» «Lo straniero ha fatto abbattere dai suoi uomini la porta del Campo Tular e ha preteso che i suoi abitanti uscissero a combattere, per i loro figli.» «E li ha convinti?» «Signore, aveva fra le braccia i resti di un bambino del Campo Senar. I
nemici, signore... i Pannion... qualcuno aveva cominciato a mangiare quel bambino...» Karnadas si avvicinò al giovane e gli posò le mani sulle spalle. «Li ha convinti», affermò Itkovian. «Lo straniero... lui ha preso quanto restava della tunica del bambino e ne ha fatto uno stendardo», annuì il messaggero. «Quando ho visto questo ho smesso di protestare, signore... mi dispiace...» «Lo capisco.» «Le armi abbondavano, e i Tular Capanthall le hanno prese; erano quattro o cinquecento, uomini e donne. Lo straniero ha poi sparpagliato i suoi uomini, che sono tornati con bande di superstiti, soldati Capanthall, qualche Gidrath, alcuni Coralessian e Spade Grigie. Vedete, il comandante era stato ucciso...» «E lo straniero li ha riorganizzati», dedusse Itkovian. «E poi?» «Siamo andati in soccorso della Torre Jehbar, signore, e sotto quell'orribile bandiera abbiamo seminato strage.» «Lo stato della torre?» «Purtroppo è in rovina, signore. Solo venti dei difensori Capanthall sono sopravvissuti, e ora seguono lo straniero. Io... uh... a quel punto mi sono ricordato delle mie responsabilità, e ho avuto il permesso di venire a fare rapporto.» «Generoso da parte dello straniero. Quali erano gli intenti successivi della sua milizia?» «Stavano per fare una sortita oltre le macerie della Porta Occidentale.» «Cosa?» «Una compagnia di Betakliti stava venendo in rinforzo dei nemici penetrati in città, solo che essi erano già tutti morti, e lo straniero voleva prendere i rinforzi di sorpresa.» «Per le Zanne Gemelle, chi è quest'uomo?» «Non conosco il suo nome, signore. So che usa due scimitarre e che con esse combatte come... come un cinghiale, signore.» Itkovian fissò a lungo il giovane, vedendo la sua sofferenza diminuire mentre il Destriant gli stringeva le spalle, a mano a mano che le vesciche si asciugavano e la pelle si rigenerava intorno all'occhio spappolato. Con un tintinnare d'armatura, Itkovian si volse poi verso ovest. La luce dell'incendio degli Alloggiamenti Occidentali arrivava solo fino a un certo punto, e oltre c'era il buio. La sua attenzione si spostò poi sul Viale Jelarkan, dove non si vedevano altre brecce, almeno per quanto poteva stabilire da lì: la
Spada Mortale aveva la situazione sotto controllo, come lui si era aspettato. «Manca meno di una campana all'alba», mormorò Karnadas, «e la città resiste». Itkovian annuì. Altri stivali risuonarono sulla scala, e tutti si volsero all'arrivo di un altro messaggero. «Incudine-Scudo, notizie della terza sortita alla ridotta della Guardia Orientale. I Gidrath superstiti sono stati salvati, signore. Sono stati notati movimenti a sudest e il comandante ha mandato un esploratore. I Tenescowri si stanno muovendo.» Itkovian annuì. Arriveranno all'alba. Trecentomila, forse di più. «Destriant, aprite le gallerie, e cominciate dai Campi interni, evacuando di sotto tutti i cittadini. Requisite tutte le Falangi e le Ali degli alloggiamenti e chi altro trovate per dare rapide indicazioni e controllare gli accessi.» «Incudine-Scudo», osservò Karnadas, con un asciutto sorriso, «è mio dovere ricordarvi che il Consiglio Mascherato non ha ancora approvato la costruzione di quelle gallerie». «La gente di Capustan è fortunata che abbiamo proceduto senza attendere l'approvazione», annuì ancora Itkovian, poi si accigliò e aggiunse: «Pare che il Consiglio Mascherato abbia trovato una sua forma di difesa». «Non lui, signore. Sono Hetan e Cafal, e un nuovo sacerdote... lo stesso "mercante" che hai salvato sulla pianura.» «Non aveva con sé una guardia di carovana... un uomo massiccio armato di un paio di scimitarre?» Scimitarre? Sembravano più le zanne di Fener. «Credo che tu abbia ragione, signore», sussultò il Destriant. «In effetti, giusto ieri ho dedicato un momento a risanarlo.» «Era ferito?» «Postumi di sbronza, Incudine-Scudo.» «Capisco. Procediamo», affermò Itkovian, guardando verso i messaggeri. «È necessario avvertire la Spada Mortale, e questo straniero...» Lo scudo di vimini del Beklita si disintegrò sotto il fendente di rovescio di Gruntle, poi l'insanguinata scimitarra che lui impugnava nell'altra mano calò dall'alto attraversando elmo e cranio. Il Beklita si accasciò sussultando fra spruzzi di sangue e di materia cerebrale. Gruntle si girò di scatto. Alle sue spalle, al di sopra delle file ferine dei suoi seguaci, si ergeva lo Stendardo del Bambino, una lacera tunica di un
giallo acceso, ora chiazzata del rosso cupo del sangue secco. La compagnia di Bekliti era stata annientata fino all'ultimo uomo, quello abbattuto da Gruntle; lui e la sua milizia si trovavano a una quarantina di passi dalle Porte Occidentali, sulla strada principale di quella che era stata un'area di baracche; ora le strutture di legno e ardesia erano state smantellate, e di esse restavano solo sporchi pavimenti di terra battuta e frammenti di vasellame. Duecento passi più a ovest c'erano i primi picchetti del campo nemico, e alla luce dell'alba incipiente Gruntle vide che cinquecento Betakliti si stavano radunando laggiù, affiancati da compagnie di Urdomen e di cavalleria leggera Betrullid. Più oltre, si stava levando una vasta coltre di polvere, tinta d'oro dai raggi del sole. «È... è tempo di... ritirarci, signore», ansimò il tenente, inginocchiato accanto a Gruntle, il respiro affannoso. Accigliandosi, il capitano esaminò la sua milizia. Una sessantina sono ancora in piedi. Con quanti uomini ho cominciato, la scorsa notte? Più o meno lo stesso numero? Per gli dei, è possibile? «Dove sono i sergenti?» «Sono laggiù... quasi tutti. Volete che li convochi, signore?» No. Sì, voglio vederli in faccia. Non riesco a ricordare i loro volti. «Ordina loro di schierare le squadre.» «Signore, se quella cavalleria ci attacca...» «Non lo farà. È una copertura.» «Per cosa?» «Per i Tenescowri. Perché scagliarci contro altri veterani solo per farli ammazzare? E comunque quei bastardi hanno bisogno di riposo. No, è il momento dell'orda famelica.» «Che Beru ci difenda», sussurrò il tenente. «Non ti preoccupare», ribatté Gruntle. «Muoiono con facilità.» «Dobbiamo riposare... siamo a pezzi, signore, e io sono troppo vecchio per una resistenza suicida.» «Nel nome di Hood, allora cosa ci fai a Capustan? Non importa. Vediamo le squadre. Voglio che preleviate le armature di questi cadaveri, solo quelle di cuoio, gli elmi e i guanti. I miei sessanta uomini devono avere l'aspetto di soldati.» «Signore...» «Poi ci ritireremo. Hai capito? Meglio che facciate in fretta.» Quando guidò il suo gruppo esausto verso Capustan, Gruntle trovò dell'attività fra le rovine della Porta Occidentale. I semplici manti grigi delle
Spade Grigie spiccavano nella folla, ma c'erano anche altri... carpentieri e laceri gruppi di operai. Vedendo l'attività che rallentava e le teste che si giravano in un improvviso silenzio, Gruntle si accigliò: odiava essere al centro dell'attenzione. Cosa siamo, fantasmi? Tutti stavano fissando lo Stendardo del Bambino. Un ufficiale dei mercenari, una donna, venne loro incontro. «Bentornati», disse, con un cenno del capo, il volto coperto di polvere e solcato dal sudore che colava da sotto l'elmo. «Troverete alcuni armaioli davanti al Campo Tular. Suppongo che le vostre zanne abbiano bisogno di essere affilate...» «Sono scimitarre.» «Come volete, signore. L'Incudine-Scudo... no, tutti noi vorremmo sapere il vostro nome.» Gruntle però l'aveva già oltrepassata. «Armaioli. Buona idea. Tenente, non credi che noi tutti si abbia bisogno di farci affilare le zanne?» «Signore», avvertì l'ufficiale, girandosi di scatto, «non è analogia da prendere alla leggera». «Ottimo», ribatté lui, da sopra la spalla, senza fermarsi. «Allora perché non le chiamiamo artigli di tigre? Mi pare che tu abbia una porta da ricostruire, ragazza, quindi è meglio che ti muova: i Tenescowri vogliono usarci come colazione.» Gli giunse un sibilo di irosa frustrazione. Pochi momenti più tardi il lavoro riprese. Gli armaioli avevano posizionato sulla strada la ruota per affilare; più oltre, verso il Viale Jelarkan, si sentiva ancora combattere. «Allineatevi», ordinò Gruntle ai suoi uomini. "Voglio che quelle lame siano tanto affilate da potercisi radere.» «La maggior parte dei vostri soldati sono donne, signore», rise il tenente. «Comunque sia.» Un cavaliere sopraggiunse al galoppo lungo la strada; arrestato il cavallo con un martellare di zoccoli, smontò e si soffermò ad aggiustarsi guanti ed elmo prima di raggiungere Gruntle. «Siete il capitano di carovana di Keruli?» chiese, il volto nascosto dalla visiera. «Lo ero. Cosa vuoi, mercenario?» «Vi porgo i complimenti dell'Incudine-Scudo, signore», rispose l'uomo, con voce dura, profonda. «I Tenescowri si stanno ammassando...»
«Lo so.» «L'Incudine-Scudo ritiene che l'assalto principale giungerà da est, perché è là che il Primo Figlio del Seme Morto ha adunato la sua avanguardia.» «Ottimo, e allora?» Il messaggero tacque per un momento. «Signore», riprese poi, «stiamo evacuando i cittadini di Capustan...». «Dove?» «Le Spade Grigie hanno costruito alcune gallerie sotto la città, signore, e vi hanno ammassato viveri sufficienti a sostentare ventimila cittadini...» «Per quanto?» «Due settimane, forse tre. Le gallerie sono estese, vecchi tumuli vuoti sono stati aperti per fungere da magazzini: ce n'erano più di quanti ci si aspettasse. Le entrate sono ben nascoste, e difendibili.» Due settimane. È inutile. «Bene, questo riguarda i non combattenti. E i soldati?» «Combatteremo», spiegò il messaggero, gli occhi d'un tratto opachi dietro la visiera. «Strada per strada, casa per casa, stanza per stanza. L'Incudine-Scudo vuole sapere quale quartiere della città desiderate controllare e se avete bisogno di qualcosa... frecce, viveri...» «Non abbiamo arcieri, ma ci servono cibo e vino. Quale sezione, dici?» Gruntle esaminò il suo contingente. «Sarebbe più esatto dire quale edificio. C'è una casa vicino alla Vecchia Strada Daru, una con le fondamenta di pietra nera. Inizieremo la difesa dalla Porta Settentrionale e ripiegheremo laggiù.» «Benissimo. Vi lasceremo i rifornimenti in quella casa, signore.» «Ah, in una delle stanze del piano superiore c'è una donna... se la vostra evacuazione prevede una ricerca casa per casa...» «È su base volontaria, signore.» «Lei non acconsentirebbe ad andare.» «Allora rimarrà dov'è.» Gruntle annuì. «Le vostre scimitarre», intervenne il tenente, avvicinandosi. «Signore, è tempo di affilare i vostri artigli di tigre.» «Già», annuì Gruntle, girandosi, e non vide il messaggero sussultare per le parole del Lestari. Da dietro la visiera, Itkovian osservò il massiccio capitano dirigersi verso l'armaiolo insieme al Lestari; le scimitarre insanguinate erano fuori dal
fodero, le larghe lame pesanti del colore delle fiamme fumose. Itkovian era voluto venire di persona a conoscere quell'uomo per valutarlo appieno e sapere che faccia abbinare ai suoi straordinari talenti, ma stava già rimpiangendo quella decisione nell'imprecare a mezza voce contro la propria impetuosità. Combatte come un cinghiale? Dei, no, quell'uomo è un grosso felino predatore delle pianure. È massiccio, certo, ma non si nota per via della sua grazia letale. Che Fener ci salvi tutti, lo spettro della Tigre dell'Estate cammina nell'ombra di quest'uomo! Rimontato in sella, Itkovian fece girare il cavallo e sollevò la testa per fissare il sole del mattino. La verità mi brucia nel cuore come fuoco: in questo, che è il nostro ultimo giorno, ho conosciuto quest'uomo senza nome, il servitore di Treach, la Tigre dell'Estate... inizia l'ascesa di Treach. E Fener? E il brutale cinghiale la cui selvaggia astuzia mi domina l'anima... che ne è del mio signore? Fener... sta discendendo, in questo nostro ultimo giorno. Un ruggito ovattato si levò da ogni lato, in lontananza. I Tenescowri si stavano muovendo. «Zanne Gemelle, proteggeteci», invocò Itkovian, spronando il cavallo che scattò in avanti strappando scintille all'acciottolato con gli zoccoli. Grigio in volto per lo sfinimento, Buke raggiunse la tenuta dei negromanti, un ampio edificio che dominava una lunga e bassa collina di forma troppo regolare per essere naturale, circondata da un alto muro con torri decorative agli angoli. Un elegante ingresso dava sulla Via Kilsban, in cima a una rampa d'ingresso, e le porte erano una versione in miniatura di quelle del Thrall, alzate e abbassate da contrappesi che erano macine da mulino forate al centro. Una sfera di fuoco aveva centrato le porte, demolendole: le fiamme avevano infuriato per qualche tempo, annerendo e crepando la pietra, ma la struttura reggeva ancora. Nel risalire la rampa con passo zoppicante, la vecchia guardia di carovana rimase sorpresa nel vedere un uomo alto e magro, vestito di nero, uscire a passo di carica. Incespicando e quasi saltellando come un enorme avvoltoio nero, l'uomo si girò a fissare Buke con occhi roventi, il volto iroso. «Io sono secondo soltanto a Rath'Tronod'Ombra in persona! Non mi conosci? Loro non mi conoscono? Sono Marble, noto anche come il Malefico! Temuto da tutti i pavidi cittadini di Capustan! Un mago dai poteri inimmaginabili! Eppure loro... addirittura un calcio nel posteriore! Mi vendicherò,
lo giuro!» «Ve lo sconsiglio, sacerdote», cominciò Buke, con gentilezza. «I miei padroni...» «Sono feccia arrogante!» «Può darsi, signore, ma non conviene irritarli.» «Irritarli? Quando il mio signore verrà a sapere di questo... questo... insulto al suo più prezioso servitore, allora... oh, allora sì che scorreranno le ombre!» Con un ultimo ringhio, il sacerdote scese la rampa a grandi passi, la veste che gli svolazzava intorno conferendo alla scena un che di drammatico. Buke rimase a lungo fermo a guardarlo finché non scomparve oltre l'angolo. Il rumore della battaglia giungeva da ogni parte, ma non si stava avvicinando. Ore prima, nel cuore della notte, quando lui era stato intento ad aiutare la gente dei Campi e delle case del Distretto Daru a raggiungere i punti di raduno delle Spade Grigie, da dove sarebbe stata guidata alle gallerie nascoste, i Pannion erano arrivati fino alla strada che aveva appena percorso. In qualche modo, l'accozzaglia di difensori di Capustan era riuscita però a respingerli, lasciando la Via Kilsban cosparsa di cadaveri. Buke riprese a camminare, oltrepassando la soglia annerita con la ferma convinzione che non avrebbe mai più lasciato la tenuta di Bauchelain e di Korbal Broach; l'istinto di autoconservazione lo indusse a rallentare il passo, ma ormai era troppo tardi: Bauchelain era fermo nel cortile. «Ah, il mio ex dipendente! Ci chiedevamo dove fossi andato.» «Chiedo scusa, signore», rispose Buke, a capo chino. «Ho consegnato l'atto di esenzione dalle tasse alle autorità civiche Daru, come richiesto...» «Eccellente, ed è stato accolto bene?» «Purtroppo», spiegò la vecchia guardia, sussultando, «gli eventi dell'assedio non concedono riduzioni delle tasse sulle proprietà, padrone. Bisognerà pagare, ma per fortuna, a causa dell'evacuazione, a Casa Daru non c'è nessuno che possa incassare il denaro». «Già, l'evacuazione. Gallerie. Molto astuto. Naturalmente, noi abbiamo declinato l'offerta.» «È ovvio.» Non potendo più tenere lo sguardo fisso sull'acciottolato, Buke si trovò a sollevare il capo e a girarsi appena per guardare la decina di corpi di Urdomen che giacevano esangui su ogni lato, il volto chiazzato di nero sotto la visiera. «Un assalto precipitoso da parte di questi soldati», mormorò Bauchelain.
«Korbal ne è stato felice e sta procedendo a reclutarli.» «Reclutarli, padrone? Ah, sì, signore. Reclutarli.» «Strano», commentò il negromante, guardandolo in tralice. «Il caro Emancipor Reese ha detto la stessa cosa, con lo stesso tono, meno di mezza campana fa.» «Sì, padrone.» I due si fissarono a vicenda per un breve momento, poi Bauchelain si volse. «Hai detto che i Tenescowri stanno arrivando?» chiese, accarezzandosi la barba. «E, con loro, i Figli del Seme Morto. Straordinari, questi figli! Il seme di un morente... Hmmm. Si dice che il maggiore fra essi abbia ora il comando di quell'orda di contadini. Sono impaziente di incontrarlo.» «Padrone? Uh, come... voglio dire...» «Korbal è davvero impaziente di poter esaminare questo figlio chiamato Anaster», sorrise Bauchelain. «Di che genere è la sua biologia? Anch'io me lo domando.» Gli Urdomen morti sussultarono all'unisono, le mani protese verso le armi, la testa che si sollevava. Buke li fissò con orrore. «Ah, Buke, adesso hai delle guardie ai tuoi ordini. Ti suggerisco di mandarle a sorvegliare l'ingresso, e di piazzarne magari una su ciascuna delle torri d'angolo. Difensori instancabili e quindi del tipo migliore, giusto?» Stringendosi al petto il suo gatto rognoso, Emancipor Reese uscì barcollando dalla casa. Sotto lo sguardo di Bauchelain e di Buke, il vecchio si precipitò verso uno degli Urdomen, ora in piedi, e prese a tirare freneticamente la cotta di maglia e il sottostante giustacuore del guerriero nonmorto, infilando la mano sotto entrambi gli strati di vestiario per poi ritrarla e indietreggiare con passo incerto. «Ma... ma», balbettò, girando verso Bauchelain il volto segnato e butterato. «Quel... quell'uomo, Korbal... lui ha... ha detto... io l'ho visto! Ha lui i loro cuori! Li ha cuciti insieme in una sanguinante massa pulsante posata sul tavolo della cucina! Però... niente ferite!» esclamò, girandosi ancora e sferrando un colpo contro il petto dell'Urdomen. «Ah, ecco, con te e l'amico Buke che interferivate con le sue normali abitudini notturne, il mio collega è stato costretto a modificare le sue abitudini... il suo modus operandi, se preferisci», spiegò Bauchelain, inarcando un sopracciglio. «Vedete, amici miei, adesso non ha più bisogno di lasciare la sua stanza per poter soddisfare le proprie esigenze di acquisizione. Tut-
tavia, vi esorto comunque a desistere dai vostri sforzi. Inoltre», continuò, appuntando su Buke lo sguardo indifferente dei suoi occhi grigi, «per quanto concerne la particolare magia del sacerdote Keruli che risiede ora dentro di te, caro servitore, non la far affiorare, perché non amiamo avere compagnia quando assumiamo la nostra forma Soletaken». Buke sentì le gambe che minacciavano di piegarglisi per la sorpresa. «Emancipor, offri la spalla alla nostra guardia», mormorò Bauchelain. Madido di sudore, il vecchio si avvicinò a Buke, fissandolo con occhi tanto dilatati da permettere di vedere il bianco tutt'intorno alla pupilla. «Ti avevo detto che era una follia!» sibilò. «Cosa ti ha fatto Keruli? Dannazione, Buke...» «Taci, Mancy», ringhiò Buke. «Tu sapevi che erano Soletaken e tuttavia non hai detto nulla; solo che anche Keruli lo sapeva!» Mentre Bauchelain si avviava verso la casa canticchiando fra sé, Buke si girò di scatto e afferrò Emancipor per la tunica. «Adesso posso seguirli! Questo è il dono di Keruli: posso seguire quei due ovunque!» «Ti uccideranno! Ti abbatteranno! Razza di idiota dannato da Hood...» «Dannato da Hood?» ripeté Buke, con un pallido sorriso. «Oh, sì, Mancy, lo siamo tutti. Sì, siamo tutti dannati da Hood.» A distanza, uno spaventoso ruggito si levò a interromperli, un suono che si diffuse vibrante per tutta la città, abbattendosi su di essa da ogni lato. «I Tenescowri...» balbettò Emancipor, impallidendo. L'attenzione di Buke era però concentrata sulla torre quadrata dell'edificio principale e sulle imposte aperte della stanza all'ultimo piano, sul cui davanzale erano ora appollaiati due corvi. «Oh, sì, vi vedo», borbottò. «State andando a cercare il Primo Figlio del Seme Morto, Anaster, vero?» I corvi si lasciarono cadere dal davanzale allargando le ali e scendendo in picchiata verso il cortile, poi presero a sbattere rumorosamente le ali e oltrepassarono il muro di cinta, volando verso sudest. «Posso seguirli!» esclamò Buke, allontanando da sé Reese. «Oh, sì, il dono di Keruli...» La mia forma Soletaken, la forma alata, con l'aria che scivola sopra e sotto di me. Dei, che libertà! Ciò che voglio prende forma... Sentì il proprio corpo mutare, un dolce calore che gli pervadeva gli arti e il profumo che emanava dalla sua pelle mentre essa si copriva di piume, poi il suo corpo prese a rimpicciolire, a mutare, le sue ossa pesanti si fecero più sottili e leggere.
Il dolce dono di Keruli, più grande di quanto lui abbia mai supposto! Volare lontano da ciò che ero! I fardelli che svaniscono! Oh, posso seguire quelle sue spaventose creature, quei due incubi alati e, mentre loro sono costretti a faticare per seguire le invisibili correnti del cielo, io posso saettare e zigzagare come un fulmine! In piedi nel cortile, Emancipor fissò con occhi increduli la trasformazione di Buke: la sua forma umana che si faceva indistinta e si contraeva, mentre nell'aria si diffondeva un pungente aroma speziato: subito dopo, il falchetto che era stato Buke saettò verso l'alto in una spirale ascendente. «Certo, puoi volare in cerchio intorno a loro», mormorò Emancipor. «Però, caro Buke, quando decideranno di abbatterti, non sarà un duello di velocità, bensì di magia. Quei pesanti corvi non hanno bisogno di essere veloci o agili... e queste qualità non ti serviranno a nulla, quando arriverà il momento. Buke... povero stolto...» Il falchetto stava volando in cerchio al di sopra di Capustan. I due corvi, Bauchelain e Korbal, erano molto più in basso e tuttavia ben visibili per gli occhi acuti del rapace, intenti a volare faticosamente verso sudest attraverso le cortine di fumo, oltre la Porta Orientale. Qua e là, la città ardeva ancora, proiettando verso il cielo colonne di fumo nero; per un po' il falco studiò l'assedio da una posizione per la quale tutti i generali del mondo sarebbero stati pronti a dare la vita, volando in cerchio, osservando. I Tenescowri circondavano la città in una fitta massa ribollente, forse più di trecentomila individui, una massa di cui Buke non aveva mai visto prima eguale. E quella banda stava cominciando a contrarsi, una sorta di cappio stranamente incolore che si andava stringendo intorno alle deboli mura sbrecciate della città e alla sua manciata di difensori. Sarebbe stato un assalto inarrestabile, sferrato da un esercito che non era pungolato dal coraggio, ma da qualcosa di molto più letale e inarrestabile: la fame; un esercito che non si poteva permettere una ritirata, perché essa equivaleva alla morte per fame. Capustan stava per essere divorata. Il Veggente Pannion è davvero un mostro che sfrutta la tirannia del bisogno. E questa è una cosa che si diffonderà. Sconfiggerlo? Per farlo, bisognerebbe uccidere ogni uomo, donna e bambino di questo mondo che sono piegati dalla fame, tutti coloro che si trovano di fronte al macabro sorriso della carestia. È cominciato qui, in Genabackis, ma questo è sol-
tanto il suo cuore, e da qui la marea si diffonderà e infetterà ogni città di ogni continente, divorerà dall'interno imperi e nazioni. Ora ti conosco, Veggente, da quest'altezza capisco cosa sei e cosa diventerai. Siamo perduti, siamo davvero tutti perduti. I suoi pensieri furono cancellati da una violenta esplosione di magia verso est, dove un nodo di familiare energia magica stava ora vorticando intorno a un drappello dell'esercito dei Tenescowri, onde nere venate di porpora che fluivano verso l'esterno e abbattevano centinaia di contadini urlanti, generando come reazione un flusso di magia grigia. Gli occhi acuti del falco videro i due corvi gemelli nel centro di quella tempesta magica, osservarono i demoni emergere da portali che si erano aperti sulla pianura e seminare strage fra le file di Tenescowri ululanti, solo per essere a loro volta abbattuti dalla stregoneria. Poi i due corvi scesero in picchiata, convergendo su una figura in sella a un cavallo roano imbizzarrito per il terrore; ondate di magia si scontrarono con un divampare di oscurità e uno scoppio di tuono che arrivò fino a dove Buke stava volando in cerchio. Il falco aprì il becco e lanciò un grido penetrante nel vedere i corvi che si allontanavano, martellati dalla stregoneria che continuava a percuoterli nella loro frettolosa ritirata. La figura sul cavallo era illesa, circondata da mucchi di cadaveri su cui ora si stavano gettando gli altri Tenescowri. Per nutrirsi. Lanciando un altro stridio di trionfo, Buke inclinò le ali e scese in picchiata verso terra, raggiungendo il cortile della tenuta con un notevole anticipo sui negromanti; scendendo a spirale e frenando con le ali, si librò per un momento prima di ritornare alla forma umana. Emancipor Reese non si vedeva da nessuna parte e gli Urdomen nonmorti erano ancora fermi nello stesso punto di prima. Sentendosi goffo e pesante nel proprio corpo, Buke si volse a osservarli. «Sei di voi alle porte... tu, e quelli dietro di te», ordinò, indicandoli. «Tu, alla torre più vicina», proseguì, posizionando i guerrieri non-morti come aveva suggerito Bauchelain; stava formulando l'ultimo ordine quando due ombre gemelle solcarono l'acciottolato e i corvi si vennero a posare nel cortile, le penne a brandelli e, nel caso di uno dei due, fumanti. Osservandoli tornare in forma umana, Buke notò con piacere che Korbal Broach aveva l'armatura a brandelli ed era avviluppato da sottili volute di fumo, mentre Bauchelain aveva un lato della mascella segnato da un livido, il fango che gli incrostava i baffi e la barba argentea.
Korbal Broach armeggiò con il fermaglio del mantello con le mani grassocce e tremanti finché l'indumento di cuoio nero cadde al suolo, dove lui prese a calpestarlo per spegnerlo del tutto. Spolverandosi le braccia, Bauchelain scoccò un'occhiata a Buke. «Sei stato paziente ad attendere il nostro ritorno», osservò. «Non lo avete preso», replicò Buke, sforzandosi di non sorridere. «Cosa è successo?» «A quanto pare, dobbiamo perfezionare le nostre tattiche», mormorò Bauchelain. Malgrado l'istinto di autoconservazione lo sconsigliasse dal farlo, Buke scoppiò a ridere e Bauchelain s'immobilizzò, inarcando un sopracciglio. «Sì, certo», sospirò poi. «Buona giornata, Buke.» Buke lo seguì con lo sguardo mentre rientrava in casa. Fuori, Korbal Broach continuò a calpestare il mantello per molto tempo, anche dopo aver spento le ultime fiamme. CAPITOLO QUINDICESIMO Nei miei sogni mi trovo faccia a faccia Con miriadi di riflessi di me stesso Tutti ignoti e strani. Essi parlano senza fine In lingue che non sono la mia E camminano con compagni Che non ho mai conosciuto, in luoghi Verso cui non ho mai diretto i miei passi. Nei miei sogni, percorro mondi Dove le foreste mi arrivano alle ginocchia E metà del cielo è murato dal ghiaccio. Mandrie marroni scorrono come fango, vaste inondazioni con zanne e corna che si riversano sulla pianura, e, mirate, esse sono i miei ricordi, le migrazioni della mia anima. Nel Tempo prima della Notte F'arayans dei Rhivi
Whiskeyjack si sollevò sulla sella mentre il suo cavallo superava d'un balzo i cespugli spinosi sulla cresta della collina, riprendendo a galoppare sulla sommità piatta della mesa, per poi rallentare quando il Malazan accorciò le redini, riassestandosi sulla sella e avviandosi al trotto verso il lato opposto della mesa, dove fece arrestare la cavalcatura. Un irregolare pendio cosparso di massi portava all'ampio letto asciutto di un fiume; in fondo a esso, due esploratori della Seconda Armata sedevano a cavallo con le spalle rivolte verso di lui, e più oltre una mezza dozzina di Rhivi si stava muovendo a piedi in mezzo a quella che pareva una distesa di ossa... ossa enormi. Lentamente, Whiskeyjack condusse il cavallo giù per il pendio, lo sguardo fisso sulle ossa sparse: massicce lame di ferro scintillavano qua e là, insieme a elmi e armature di foggia strana e a lunghe mandibole da rettile con lunghe file di zanne, alcune delle quali recavano ancora attaccati frammenti di pelle grigia. Arrivato ai piedi del ghiaione, si diresse verso l'esploratore più vicino. «Signore», disse questi, salutando, «i Rhivi stanno parlando così in fretta che non riesco a capire cosa dicono. Pare che qui ci fossero una decina di demoni, e quello che li ha fatti a pezzi era un avversario notevole. Forse i Rhivi hanno dedotto qualcosa di più, dato che continuano ad aggirarsi fra i cadaveri». «Tieni gli occhi aperti», annuì Whiskeyjack, smontando. Sapeva che gli esploratori lo stavano già facendo, ma sentiva il bisogno di dire qualcosa, perché quel campo di morte emanava un'aura di terrore, antico e tuttavia nuovo, e - cosa ancora più allarmante - conservava quella particolare tensione che faceva immediatamente seguito a una battaglia. Un silenzio intenso, che vortica come se non si fosse ancora placato dopo i rumori che accompagnano la violenza, come se stesse ancora tremando... Si avvicinò ai Rhivi e alla distesa di ossa, e constatò che in effetti gli esploratori tribali erano eccitati. «Lupi morti...» «Tracce doppie, profonde e tuttavia leggere, più larghe della mia mano. Bestie grosse.» «Grossi lupi morti.» «Niente sangue, giusto? Fetore di tumulo.» «Polvere di pietra nera. Affilata.» «Scintillii sotto gli avambracci... la pelle...» «Frammenti di vetro nero.»
«Ossidiana. Del lontano sud...» «Sudovest, oppure nord, oltre il Pianoro Laederon.» «No, non vedo tracce rosse o marroni, e l'ossidiana di Laederon ha venature color legno. Questo è Morn.» «Se è di questo mondo...» «I demoni sono qui, giusto? Sono di questo mondo, anzi, in esso.» «Fetore di tumulo...» «Ma nell'aria si sente odore di ghiaccio, di vento della tundra, di torba ghiacciata.» «La scia dei lupi, gli uccisori...» «Esploratori Rhivi, prestatemi attenzione, per favore», ringhiò Whiskeyjack. Le teste si sollevarono e si volsero, in improvviso silenzio. «Ora vorrei sentire il vostro rapporto. Chi di voi comanda questo squadrone?» Ci fu uno scambio di occhiate, poi un Rhivi scrollò le spalle. «Io so parlare in Daru meglio degli altri, quindi puoi rivolgerti a me.» «Benissimo. Procedi.» Il giovane Rhivi spinse indietro i capelli intrecciati e intrisi di grasso, poi accennò alle ossa sparse tutt'intorno. «Demoni non-morti, in armatura, con spade invece di artigli. Provenivano da sudest», cominciò, con aria accigliata. «Feriti, inseguiti, braccati, in fuga. Sospinti di qua e di là come bhederin, da silenziosi e pazienti inseguitori a quattro zampe...» «Grossi lupi non-morti», interloquì Whiskeyjack. «Sì, grossi il doppio dei lupi nativi di questa pianura», convenne il giovane, schiarendosi in volto come se avesse avuto una rivelazione. «Sono come gli spettri delle nostre leggende. Quando i nostri sciamani più anziani scivolano nei loro sogni più remoti, è là che vedono i lupi. Mai vicini, sempre in corsa, tutti spettrali tranne quello che li guida, che sembra di carne e ha occhi vivi. Vederli è segno di grande fortuna, di liete notizie, perché c'è gioia nella loro corsa.» «Solo che ora non si limitano più a correre nei sogni dei vostri maghi e delle vostre streghe», obiettò Whiskeyjack, «e questa corsa è stata molto più letale». «Erano a caccia. Ho detto che questi lupi sono come quelli dei sogni, ma non ho detto che sono gli stessi», spiegò il Rhivi, gli occhi ora freddi come quelli di un assassino. «Erano a caccia, e hanno spinto la preda nella loro
trappola, distruggendola. Una battaglia fra non-morti. I demoni vengono da tumuli del lontano sud, i lupi sono sorti dalla polvere sollevata d'inverno dal vento del nord.» «Grazie», disse Whiskeyjack. I modi del Rhivi, la sua esposizione drammatica, avevano descritto alla perfezione ciò che era accaduto nella valle. Altri cavalieri stavano sopraggiungendo, provenienti dalla colonna principale, e nel girarsi lui vide che si trattava di Korlat, di Volpe d'Argento e di quel Daru, Kruppe, che sobbalzava e ondeggiava in groppa al mulo lanciato alla massima velocità dietro ai cavalli delle due donne, lanciando grida d'allarme che echeggiavano per la valle. «Sì.» «Prego?» scattò Whiskeyjack, volgendosi a fissare il capo degli esploratori Rhivi che, insieme ai compagni, stava ora osservando i tre cavalieri. Il Rhivi scrollò le spalle e non replicò. Il ghiaione aveva costretto i nuovi venuti a rallentare l'andatura, con la sola eccezione di Kruppe, che venne catapultato avanti e indietro sulla sella dal mulo lanciato a testa bassa giù per il pendio. In qualche modo, la bestia riuscì a mantenere l'equilibrio, saettando oltre la sorpresa Korlat e la divertita Volpe d'Argento, poi rallentò la sua corsa selvaggia nel raggiungere il terreno pianeggiante e si diresse verso Whiskeyjack al trotto, a testa alta, le orecchie ritte. Kruppe, d'altro canto, rimase aggrappato al collo dell'animale, gli occhi serrati, la faccia paonazza e madida di sudore. «Terrore!» gemette. «Confronto di volontà. Kruppe ha trovato chi gli tiene testa in questa bestia senza cervello! Sì, Kruppe è sconfitto! Oh, risparmiatemi...» Il mulo si arrestò. «Ora potete scendere», suggerì Whiskeyjack. Kruppe aprì gli occhi, si guardò intorno e si raddrizzò lentamente, tirando fuori un fazzoletto con mano tremante. «Naturalmente. Avendo lasciato a questa creatura piena libertà d'azione, ora Kruppe ne richiede altrettanta», disse, prendendosi un momento per asciugarsi la faccia, poi scese di sella e toccò terra con un sonoro sospiro. «Ah, ecco che arriva Kruppe, pigri mangiatori di polvere! Lieto che ce l'abbiate fatta, care signore! Un ottimo pomeriggio per un po' di trotto, vero?» Volpe d'Argento aveva smesso di ridere, e stava ora fissando le ossa con
occhi velati. Che Hood mi porti, quel manto di pelliccia le si addice davvero, pensò Whiskeyjack, poi si riscosse mentalmente nell'incontrare lo sguardo leggermente ironico di Korlat. Però impallidisce al confronto di questa Tiste Andii. Dannazione, vecchio, non pensare alle notti passate, non abbracciare questa meraviglia con tanta forza da toglierle la vita. «Gli esploratori si sono imbattuti nei resti di una battaglia...» cominciò, rivolto a entrambe le donne. «K'Chain Che'Malle», annuì Korlat, osservando le ossa. «Cacciatori K'ell, fortunatamente non-morti e non dotati di vita, cosa che li ha resi più lenti di quanto sarebbero stati altrimenti. Peraltro, essere fatti a pezzi in questo modo...» «T'lan Ay», affermò Volpe d'Argento. «Sono venuta per loro.» «Cosa vuoi dire?» domandò Whiskeyjack. «Per vedere con i miei occhi, comandante», spiegò lei, scrollando le spalle. «Ci stiamo avvicinando tutti alla meta. Voi alla vostra città assediata, e io al destino per cui sono nata. Convergenza, la dannazione di questo mondo. Tuttavia», aggiunse, smontando per aggirarsi fra le ossa, «ci sono dei doni, e il migliore di essi... sono i T'lan Ay». Interrompendosi, lasciò che il vento le accarezzasse la pelliccia di volpe che le copriva le spalle, poi sussurrò di nuovo: «T'lan Ay». «Kruppe rabbrividisce quando li chiama con questo tono... ah, gli dei benedicano questa cupa bellezza nel suo scenario di terra spoglia, da cui scaturiscono sogni stellati così sfocati dal tempo da essere come fiumi arcobaleno nel cielo! Dolce sonno, in cui risiede una poesia nascosta, un flusso di pensieri sconnessi così armonici da sembrare intrecciati, sì?» «Purtroppo, Kruppe», ringhiò Whiskeyjack, «non sono tipo da apprezzare le vostre astrazioni». «Ma certo, rude soldato! Aspettate, però, Kruppe non scorge forse nei vostri occhi una certa... tensione? L'aria è elettrica, incombe imminente un'epifania... osereste negare tale sensazione, Malazan? No, non dite nulla, la verità si legge nel vostro sguardo duro e nella vostra mano guantata che si sta avvicinando all'impugnatura della spada.» Whiskeyjack non poté negare di avere la sensazione che i capelli gli si stessero rizzando sulla nuca, e nel guardarsi intorno notò la stessa tensione nei Rhivi e nei due esploratori Malazan che stavano scrutando i pendii collinari circostanti. «Cosa sta arrivando?» sussurrò Korlat.
«Il dono», mormorò Kruppe, con un sorriso beato, lo sguardo fisso su Volpe d'Argento. Seguendo la direzione del suo sguardo, Whiskeyjack constatò che quella donna, tanto simile a Tattersail, era ferma con la schiena girata verso di loro e le braccia alzate. Ovunque, la polvere prese a vorticare e a sollevarsi in piccoli mulinelli... poi i T'lan Ay presero forma, nel bacino pianeggiante, sui pendii e sulle creste delle colline. A migliaia... La polvere grigia divenne pelo altrettanto grigio e arruffato, spalle nere, gole del colore delle nubi temporalesche, folte code argentate dalla punta nera; altri erano di un colore marrone simile a quello del legno marcio, che schiariva nel fulvo sulla gola e sul ventre. Lupi, alti, magri, con gli occhi che erano pozzi d'ombra, le lunghe teste enormi girate tutte verso Volpe d'Argento. «La mia scorta», sorrise lei, lanciando un'occhiata a Whiskeyjack da sopra la spalla. Lui si limitò a fissarla in silenzio. Così simile a Tattersail, e tuttavia diversa. Una scorta, dice, ma io vedo di più di questo, e la sua espressione mi dice che lei ne è consapevole... adesso. Scorta... e guardia del corpo. Volpe d'Argento potrebbe non aver più bisogno di noi, e adesso che la nostra protezione non le è più necessaria, è libera di fare... qualsiasi cosa le aggradi. Un vento freddo parve soffiare nella mente di Whiskeyjack. Dei, e se Kallor avesse avuto ragione fin dall'inizio? E se noi tutti ci fossimo lasciati sfuggire la nostra sola possibilità? Con un grugnito, si costrinse poi a reprimere quei pensieri indegni. No, abbiamo dimostrato di avere fiducia in lei quando più era importante farlo... quando lei era più debole. Tattersail non lo dimenticherebbe... Così simile... e tuttavia diversa. Nightchill, smembrata dal tradimento. L'odio che cova nei resti della sua anima è per Tayschrenn? O per colui che era stata chiamata a combattere: Anomander Rake e, per estensione, Caladan Brood? I Rhivi, i Barghast... cerca forse vendetta contro di loro? «Sono una scorta adorabile, mia cara ragazza», osservò Kruppe, schiarendosi la gola. «Allarmante per i tuoi nemici, rassicurante per i tuoi fedeli amici! Siamo incantati, perché possiamo vedere che anche tu sei profondamente incantata da questi silenziosi, immobili T'lan Ay. Alla vista di simili cuccioli così obbedienti, Kruppe è impressionato oltre ogni dire, al di là di ogni gesto, di ogni risposta adeguata!»
«Se solo fosse davvero così!» mormorò Korlat, poi si girò verso Whiskeyjack con espressione professionale e neutra. «Comandante, chiedo di potermi congedare per fare rapporto ai nostri capi.» «Korlat», la interruppe Volpe d'Argento, «perdonami se non te l'ho chiesto prima, ma quand'è stata l'ultima volta che hai visto mia madre?». «Questa mattina», replicò la Tiste Andii. «Non può più camminare, uno stato in cui versa ormai da quasi una settimana. S'indebolisce di giorno in giorno, Volpe d'Argento, e forse se tu andassi a trovarla...» «Questo non è necessario», dichiarò la ragazza. «Chi l'assiste, in questo momento?» «Il consigliere Coll e quel Daru, Murillio.» «Kruppe vi garantisce che sono i suoi amici più fedeli. Lei è al sicuro.» «Le circostanze stanno per... farsi tese», aggiunse Volpe d'Argento, rigida in volto. E come sono state fino ad ora, donna? Kallor ti segue come un avvoltoio, tanto che mi sorprende che ti abbia lasciata allontanare da sola, a meno che non sia nascosto oltre la cresta della collina più vicina... «Mi vuoi chiedere qualcosa, Volpe d'Argento?» domandò Korlat. «Sì», annuì la ragazza, facendosi visibilmente coraggio. «Vorrei che qualche membro della tua razza vegliasse su mia madre.» «Considerato quanto sono numerosi i tuoi nuovi protettori», obiettò la Tiste Andii, accigliandosi, «mi sembra che tu ne abbia più che a sufficienza per...». «Temo che lei non li lascerebbe avvicinare. Soffre di... incubi. Mi dispiace, ma devo fare in modo che non veda, né percepisca, i T'lan Ay. Può apparire fragile e sembrare impotente, ma in lei c'è la capacità di scacciare i T'lan Ay. Farai quanto ti chiedo?» «Certamente, Volpe d'Argento.» La donna annuì e riportò la propria attenzione su Whiskeyjack, mentre Korlat faceva girare il cavallo e risaliva il pendio; per un momento lo fissò in silenzio, poi guardò verso Kruppe. «Allora, Daru?» chiese. «Sei soddisfatto, finora?» «Lo sono, carissima», replicò lui, in un tono diverso dal solito, lento e misurato. Soddisfatto di cosa? «Credi che lei reggerà?» «Vedremo», ribatté Kruppe, scrollando le spalle. «Kruppe ha fede.» «Abbastanza per entrambi?»
«Naturalmente», sorrise il Daru. «Benissimo», sospirò Volpe d'Argento. «Sai, faccio molto affidamento su di te per questo.» «Le gambe di Kruppe sono colonne di pietra, e il tuo tocco è tanto lieve da passare inosservato dalla sua degna persona. Mia cara, il rumore di altri cavalieri in arrivo ti impone una rapida decisione... cosa permetterai che vedano coloro che si stanno avvicinando?» «Nulla di speciale», replicò la ragazza, sollevando di nuovo le braccia. I T'lan Ay tornarono a fondersi con la polvere da cui erano emersi. Con un sommesso grugnito, Whiskeyjack raggiunse il proprio cavallo. C'erano troppi misteri che si agitavano sotto la superficie dei due eserciti alleati, segreti che parevano contenere la promessa di una rivelazione esplosiva. E probabilmente violenta, pensò, a disagio. Vorrei che Ben lo Svelto fosse qui... Hood sa che vorrei sapere cosa gli sta succedendo, a lui e a Paran e agli Arsori di Ponti. Hanno avuto successo? Oppure adesso sono tutti morti e i loro teschi sono esposti su pali intorno ai campi dei Barghast? Una parte consistente dell'avanguardia raggiunse la cresta della collina, dove si arrestò in una linea irregolare; montato in sella, Whiskeyjack si avviò verso di essa. Cavalcando un magro cavallo grigio, Kallor si era deliberatamente fermato in disparte dagli altri; lo sbiadito mantello grigio era stretto intorno alle spalle ampie coperte dalla corazza, le ombre accentuavano le linee che solcavano il suo volto antico e il vento gli agitava i lunghi capelli grigi. Lo sguardo di Whiskeyjack indugiò su di lui per un momento, poi si spostò sulle altre figure disposte lungo il crinale. Brood e Dujek erano fianco a fianco, sulla destra dell'Alto Comandante c'era il ricognitore Hurlochel, mentre alla sinistra del Malazan era fermo l'alfiere Artanthos; il mercante-mago della Corporazione Mercantile Trygalle era presente a sua volta, e naturalmente c'era anche Korlat. Tutti attesero in silenzio che Whiskeyjack li raggiungesse. «Korlat ci ha descritto cosa hanno trovato gli esploratori», ringhiò poi Dujek. «Avete qualcosa da aggiungere?» Whiskeyjack guardò verso la Tiste Andii, la cui espressione risultò però indecifrabile. «No, Gran Pugno», disse, scuotendo il capo. «Korlat e i suoi sembrano saperne più del resto di noi riguardo a questo K'Chain Che'Malle... ciò che
c'è laggiù è un ammasso confuso di ossa, armi e armature che io non sarei riuscito a identificare. Gli esploratori Rhivi ritengono si trattasse di nonmorti...» «Una fortuna per tutti noi», borbottò Kallor. «Riguardo a queste creature, non sono ignorante quanto il resto di voi, a parte Korlat. Inoltre, mi sento insolitamente... loquace. È possibile trovare resti della civiltà dei K'Chain Che'Malle praticamente su ogni continente di questo mondo. Addirittura, nell'area del mio antico impero, Jacuruku, i loro strani macchinari riempivano fosse e buchi del terreno... ovunque sia stato costretto a scavare sotto la superficie, il mio popolo ha scoperto macchine del genere. Inoltre, sono stati trovati anche tumuli e gli studiosi ne hanno esaminato a fondo il contenuto. Desiderate sapere a quali conclusioni sono giunti, oppure vi sto annoiando?» «Continua», lo incitò Caladan. «Benissimo. Forse qui è presente più saggezza di quanto ritenessi. Quelle bestie sembrano essere rettili, capaci di riprodursi in modo selettivo per affinare determinati talenti. Per esempio, quelli che i Tiste Andii chiamano Cacciatori K'ell, erano guerrieri nati... e nella valle qui sotto ci sono le loro versioni non-morte, giusto? Niente mani, sostituite da spade, fuse in qualche modo con le ossa dell'avambraccio. I K'Chain Che'Malle avevano una società matriarcale a discendenza femminile. Come una popolazione di api ha la sua regina, così l'avevano quelle bestie. La Matrona era la madre di ogni bambino, la fattrice, e in lei risiedeva il potere magico dell'intera famiglia, un potere tale da far impallidire quello degli dei odierni e da impedire agli Dei Antichi di venire in questo mondo, tanto che se non si fossero autodistrutti, i K'Chain Che'Malle dominerebbero ancora oggi il pianeta.» «Autodistrutti», ripeté Korlat, scrutandolo con attenzione. «Un dettaglio interessante. Puoi spiegarti meglio?» «Certo. Sono stati trovati dei documenti e ne abbiamo decifrato il linguaggio... uno sforzo di per sé degno di un lungo monologo, che però vi risparmierò, vedendo come vi state agitando, simili a bambini impazienti. Dunque, dai documenti ritrovati abbiamo appreso che le Matrone, ciascuna delle quali comandava l'equivalente di una città moderna, si sono riunite per fondere le loro diverse ambizioni. Cosa cercassero, al di là dell'immenso potere che già possedevano, non appare chiaro, ma del resto, che bisogno c'è di motivazioni, quando domina l'ambizione? Basti dire che una specie antica è stata... fatta risorgere, recuperata dall'estinzione per opera delle Matrone, dando vita a una versione più primitiva degli stessi K'Chain
Che'Malle. In mancanza di una definizione migliore, gli studiosi della mia epoca li hanno definiti Coda-Corta.» Whiskeyjack, che stava guardando verso Korlat, fu il solo a vederla irrigidirsi in reazione a quelle parole; alle proprie spalle, sentì Kruppe e Volpe d'Argento risalire il pendio. «La definizione deriva dal fatto che essi si distinguevano dagli altri K'Chain Che'Malle per il fatto di avere la coda corta e tozza invece che lunga e affusolata», proseguì Kallor, con voce monotona e secca. «Questo li rendeva meno veloci e dava loro una postura più eretta, adatta al genere di mondo e di civiltà a cui erano appartenuti in origine. Purtroppo, quei nuovi figli non risultarono dotati della docilità che le Matrone erano abituate ad aspettarsi dalla loro prole... più precisamente, i Coda-Corta non erano disposti a sottomettersi o a fondere i loro talenti magici con quelli della madre. Il risultato è stato una guerra civile, che ha scatenato forze magiche apocalittiche. Per valutare la disperazione raggiunta dalle Matrone basta recarsi nella parte meridionale di questo continente, nel luogo chiamato Morn.» «Lo Squarcio», annuì Korlat. «Hanno cercato di imbrigliare il potere di una porta, ma non di quella di un qualsiasi canale», spiegò Kallor, con un gelido sorriso. «Oh, no, hanno scelto di aprire il portale di accesso al Regno del Caos. Quanta sicurezza di sé, pensare di poter controllare una cosa del genere... di poterle imporre l'ordine.» Fece una pausa, ripensando alle proprie parole, poi rise: «Oh, questa storia racchiude qualche amara lezione, non credete?». «Vogliamo tornare al presente?» grugnì Caladan Brood. «Nella valle qui sotto ci sono Cacciatori K'ell non-morti, e la domanda è: cosa ci fanno qui?» «Stanno venendo usati.» Tutti fissarono Volpe d'Argento, che era ferma davanti al proprio cavallo, le redini in mano. «La cosa non mi piace», borbottò Dujek. «Usati dal Veggente Pannion», precisò Volpe d'Argento. «Impossibile», scattò Kallor. «Soltanto una Matrona K'Chain Che'Malle potrebbe comandare un Cacciatore K'ell... anche uno non-morto.» «Allora parrebbe che abbiamo più di un nemico», osservò Korlat. «Il Veggente Pannion ha un'alleata?» intervenne Dujek. «Non c'è stato nulla che indicasse...» «Nondimeno, la prova è davanti a noi, nella valle qui sotto», replicò
Volpe d'Argento. «Una Matrona non può generare altri della sua specie senza il seme di un maschio vivente», osservò Kallor. «Di conseguenza, ogni Cacciatore K'ell distrutto è un nemico in meno da affrontare.» «Facile da accettare, questa rivelazione», obiettò Caladan Brood, con aria sospettosa. Kallor scrollò le spalle. «Davanti a noi c'è anche un'altra verità», continuò l'Alto Comandante, «una che riguarda la distruzione dei Cacciatori K'ell. Pare che qualcuno li stia sterminando per nostro conto». Seguì una pausa di silenzio, poi l'attenzione generale si concentrò lentamente su Volpe d'Argento. «Non ho forse detto, qualche tempo fa, che voi tutti avreste avuto bisogno di aiuto?» sorrise lei. «T'lan Imass!» ringhiò Kallor. «Spiegaci dunque, cagna, perché si sarebbero dovuti interessare ai K'Chain Che'Malle. Non sono forse gli Jaghut i loro nemici giurati? Perché infliggere ai tuoi seguaci non-morti l'onere di un nuovo nemico? Perché tu e i T'lan Imass state prendendo parte a questa guerra, donna?» «Non stiamo prendendo parte a nulla», replicò lei, impassibile, adottando un atteggiamento identico a quello che avrebbe avuto Tattersail, le mani incrociate sul ventre, il corpo compatto e tuttavia ben modellato sotto la tunica di pelle di daino. Ah, conosco quello sguardo, sta barando. È ora di fare attenzione... «Neghi quindi che siano stati i tuoi T'lan Imass a distruggere questi Cacciatori K'ell?» chiese Brood, lentamente, con aria incerta e rannuvolata. «Nessuno di voi si è mai chiesto perché i T'lan Imass siano entrati in guerra contro gli Jaghut?» ribatté Volpe d'Argento, facendo scorrere lo sguardo sui presenti. «Forse una spiegazione ci aiuterebbe a capirlo», replicò Dujek. «I primi Imass», cominciò lei, annuendo con un gesto secco, «sono stati costretti a vivere all'ombra degli Jaghut. Erano tollerati e ignorati, ma solo in piccoli numeri gestibili che sono stati spinti nelle terre più povere. Poi fra gli Jaghut sono sorti i Tiranni, che si sono divertiti a schiavizzarli e a costringerli a un'esistenza da incubo, e le generazioni successive sono nate in quella condizione di asservimento, senza conoscere altra vita o sapere cosa fosse la libertà. «Quella è stata una dura lezione, difficile da accettare, perché la verità in
essa racchiusa era questa: nel mondo c'erano esseri intelligenti che sfruttavano le virtù degli altri, la loro compassione, l'amore, la fiducia in altri membri della stessa razza... li sfruttavano e se ne facevano beffe. Quante tribù di Imass hanno scoperto che i loro dei erano in effetti Tiranni Jaghut, nascosti dietro una maschera benevola? Tiranni che li manipolavano grazie all'arma della fede? «La ribellione era inevitabile ed è stata devastante per gli Imass, che erano deboli, incerti rispetto all'oggetto della loro ricerca e alle conseguenze che la libertà avrebbe comportato se fossero riusciti a conquistarla... ma non abbiamo ceduto. Non potevamo farlo.» «Fra gli Jaghut non c'è mai stata più di una manciata di Tiranni, donna», sogghignò Kallor. «Erano già troppi, e... sì, abbiamo trovato alleati fra gli stessi Jaghut, fra coloro che trovavano degne di condanna le azioni dei Tiranni. Ora però noi tutti eravamo segnati da cicatrici nate dalla diffidenza, dal tradimento. Potevamo fidarci soltanto della nostra stessa razza, e nel nome delle nostre generazioni future, tutti gli Jaghut sarebbero dovuti morire, non ne sarebbe dovuto sopravvivere nessuno che potesse generare altri figli, fra i quali potesse sorgere un nuovo Tiranno.» «In che modo tutto questo si collega ai K'Chain Che'Malle?» chiese Korlat. «Prima degli Jaghut, erano i K'Chain Che'Malle a dominare questo mondo. I primi Jaghut sono stati per i K'Chain Che'Malle ciò che gli Imass sono stati per gli Jaghut», spiegò Volpe d'Argento, poi scrutò a turno i suoi interlocutori e proseguì: «In ogni specie è insito il seme della dominazione. Le nostre guerre contro gli Jaghut ci hanno distrutti come popolo vivente, come cultura viva e in evoluzione. Questo è stato il prezzo che noi abbiamo pagato per garantire la libertà di cui ora voi state godendo. Il nostro sacrificio eterno». Di nuovo tacque, poi continuò in tono più duro: «Quindi ora io vi chiedo... chiedo a tutti voi che vi siete addossati il compito di muovere guerra a un impero tirannico e divoratore, di sacrificare forse la vostra vita a beneficio di popoli che non sanno nulla di voi, di terre su cui non avete mai messo né mai metterete piede... vi chiedo, cosa c'è in noi, nei T'lan Imass, che sfugge ancora alla vostra comprensione? Distruggere il Dominio di Pannion è una cosa che deve essere fatta. Per me, per i miei T'lan Imass, il compito che ci attende è distruggere la minaccia che si cela dietro il Veggente Pannion, la minaccia costituita dai K'Chain Che'Malle. «Una Matrona è ancora viva», affermò, scrutando ogni volto. «Una in
carne e ossa e, se dovesse trovare un maschio della sua specie, uno vivente, la tirannia degli Jaghut sarebbe nulla, paragonata a quella dei K'Chain Che'Malle. Questo, quindi, sarà il nostro sacrificio». Solo il vento infranse il silenzio che seguì le sue parole. «E tu vedi in questa donna un abominio?» chiese poi Caladan Brood, rivolto a Kallor. «Mente», gracchiò questi. «Tutta questa guerra non ha senso, è solo una finta.» «Una finta?» ripeté Dujek, incredulo. «Da parte di chi?» Kallor chiuse la bocca di scatto, senza replicare. Haradas, il mercante-mago della Corporazione Mercantile Trygalle, si schiarì la gola. «In questo potrebbe esserci qualcosa di vero. Non che la donna chiamata Volpe d'Argento stia mentendo: ritengo che abbia detto il vero, nella misura in cui è disposta a farlo. No, mi riferisco alla finta. Considerate la malattia dei canali. Ammetto che la sua origine sembra essere il Dominio di Pannion, e che la natura del veleno che contamina i canali è quella del Canale del Caos, ma anche ammettendo tutto questo, è necessario chiedersi perché mai una Matrona dei K'Chain Che'Malle, depositaria di una vasta fonte di potere magico, dovrebbe cercare di distruggere i condotti stessi del suo potere. Se era presente quando Morn è stato distrutto, quando è stato creato lo Squarcio, perché dovrebbe tentare di nuovo di imbrigliare il caos? Può darsi che sia ambiziosa, ma è anche una stolta? Questo mi riesce difficile crederlo.» Nel momento stesso in cui assimilava la portata di quelle affermazioni, Whiskeyjack si rese conto anche di un'altra cosa. In effetti c'è un altro nemico e, a giudicare dall'espressione di tutti i presenti, a parte quella di Dujek e, senza dubbio, la mia... questa rivelazione non è sorprendente quanto dovrebbe esserlo. È vero, abbiamo raccolto degli indizi, ma non li abbiamo collegati fra loro. Brood, Korlat, Kallor... per gli dei, perfino Kruppe e Artanthos! Devo ricordarmi di evitare di confrontarmi con uno di loro, la prossima volta che vorrò giocare a dadi! Di scatto, riportò lo sguardo su Volpe d'Argento, che sostenne il suo esame con aria placida e consapevole. No, questo non avrebbe funzionato di nuovo. «Volpe d'Argento», ringhiò, «il tuo racconto mira a generare compassione nei nostri cuori, ma mi pare che i tuoi sforzi siano mal diretti, e che in questo modo tu finisca per distruggere tutto ciò che speri di ottenere. Se esiste una minaccia più pro-
fonda, se una terza mano sta abilmente manipolando sia noi sia il Veggente Pannion, tu e i tuoi T'lan Imass focalizzerete la vostra attenzione su di essa?». «No.» «Perché?» Con sorpresa di Whiskeyjack, la donna distolse lo sguardo. «Perché ci chiedi troppo, Whiskeyjack», sussurrò. Nessuno parlò. Sentendosi assalire dal terrore, Whiskeyjack si volse e cercò con il proprio lo sguardo di Dujek, vedendo dipinto sul suo volto l'orrore che lui stesso provava. Per gli dei, stiamo andando incontro alla morte. Un nemico invisibile... ma uno che conosciamo da tempo, che sapevamo sarebbe giunto prima o poi, un nemico che... per l'Abisso... induce gli stessi T'lan Imass a ritrarsi al suo cospetto... «Una sgomentosità così palpabile!» esclamò Kruppe. «Sgomentosità! Esiste una parola del genere? Se non esiste, allora bisogna annoverare fra gli innumerevoli talenti di Kruppe anche l'inventiva linguistica! Amici miei! Ascoltatemi! Traete conforto, tutti quanti, dalla consapevolezza che Kruppe si è posto fermamente, con i piedi ben piantati e la sua ampia circonferenza, sulla strada del suddetto... e tuttavia innominato... formidabile nemico di ogni forma vivente! Dormite tranquilli la notte grazie a questa consapevolezza, sognate come bambini fra le braccia della madre, come ognuno di voi faceva un tempo... perfino Kallor, anche se una simile immagine sgomenta e sconvolge...» «Dannazione!» ruggì Caladan Brood. «Nel nome di Hood, di cosa stai parlando, ometto? Sostieni di poterti porre sulla strada del Dio Storpio? Per l'Abisso, sei pazzo? Se non fornisci una prova immediata della tua efficacia», proseguì con voce più bassa, scendendo da cavallo e avanzando verso Kruppe, una mano che si protendeva verso l'impugnatura del martello, «non garantisco a quali estremi possa arrivare la mia ira». «Io non lo farei, Brood», mormorò Volpe d'Argento. «Adesso vorresti estendere la tua protezione a questo grasso rospo arrogante?» sibilò l'Alto Comandante, a denti stretti, girandosi a fissarla. «Kruppe, avanzi una richiesta del genere?» replicò lei, sgranando gli occhi nel guardare verso il Daru. «Assurdo! Non c'è offesa, mia cara, in questa esclamazione, Kruppe te lo assicura.» Con incredulità, Whiskeyjack vide quell'ometto rotondo dagli abiti
chiazzati di cibo e di bevande assumere la posa più eretta che gli era possibile e fissare Caladan Brood con i suoi piccoli occhi scintillanti. «Vorreste minacciare Kruppe di Darujhistan? Esigete una spiegazione? E accarezzate quel martello? Mettete a nudo quei fa...» «Silenzio!» tuonò l'Alto Comandante, faticando a contenere la propria ira. Dei, cosa intende fare Kruppe? «Kruppe sfida ogni minaccia! Kruppe ride di qualsiasi dimostrazione un iroso Alto Comandante voglia tentare di...» Il martello apparve d'un tratto nelle mani di Brood, una chiazza indistinta che solcava rapida l'aria in un arco verso il basso per andare a percuotere il suolo quasi ai piedi di Kruppe. La detonazione che seguì, così violenta da dare l'impressione di crepare l'aria stessa, gettò a terra i cavalli e scagliò in aria Whiskeyjack e gli altri; poi il terreno parve sollevarsi e venire incontro al comandante Malazan con un impatto simile a un pugno quando Whiskeyjack atterrò rotolando e precipitò giù per il pendio cosparso di massi. Sopra di lui, i cavalli stavano nitrendo e un vento caldo e ululante stava proiettando verso il cielo polvere e detriti. Il ghiaione si stava muovendo sotto Whiskeyjack, scivolando verso valle con una velocità crescente, accompagnata da un rombo che saliva sempre più di tono; alcune rocce sbatterono contro l'armatura o rimbalzarono contro l'elmo, lasciandolo stordito. Attraverso una lacerazione irregolare apertasi nelle nubi di polvere, intravide per un momento la linea delle colline che si trovavano sul lato opposto della valle: per quanto paresse impossibile, esse si stavano sollevando in fretta, il letto di roccia che spaccava la coltre erbosa liberando getti di terra, schegge di roccia e fumo. Poi la polvere sempre più densa avviluppò ogni cosa, alcuni massi gli rimbalzarono sopra nel precipitare e altri lo centrarono in pieno con una serie di impatti dolorosi che lo fecero annaspare e tossire mentre rotolava. Intanto, il suolo continuava a sussultare sotto la ghiaia franante, distanti detonazioni scuotevano l'aria e gli riverberavano nelle ossa malconce. Alla fine si arrestò, semisepolto sotto la ghiaia e le rocce; sbattendo le palpebre per dare sollievo agli occhi che bruciavano, vide davanti a sé gli esploratori Rhivi che zigzagavano e saltavano per togliersi dal percorso dei massi, come in un bizzarro gioco letale. Più oltre, torreggiava una nera massa di roccia fumante, la spina dorsale di una nuova catena montuosa che continuava a innalzarsi, sollevando e inclinando il fondo della valle su
cui ora giaceva il Malazan; dietro di essa, il cielo grigio ferro ribolliva di fumo e di vapore. Che Hood mi prenda, povero Kruppe... Gemendo, Whiskeyjack si girò quanto più gli era possibile. Era coperto di graffi, poteva avvertire il formarsi di dolorosi lividi sotto la corazza ammaccata, ma le sue ossa erano incredibilmente intatte. Sforzando gli occhi lacrimanti, cercò poi di mettere a fuoco la sommità collinare alle sue spalle. Il ghiaione era scomparso, al suo posto c'era una nuda parete di roccia, e la maggior parte della sommità della mesa era semplicemente scomparsa, cancellata; al suo posto rimaneva una piccola isola dalla sommità piatta su cui alcune figure si stavano muovendo per rialzarsi: cavalli che si dimenavano per issarsi sulle zampe accompagnati dal ragliare lamentoso di un mulo. Verso nord, solcando il fianco di una distante vallata per poi proseguire fra le lontane colline, si stendeva una stretta fessura fumante, un crepaccio nel terreno che pareva senza fondo. Faticosamente, Whiskeyjack si liberò dai detriti e si raddrizzò con lentezza. Vide Caladan Brood con il martello che gli pendeva dalla mano, immobile... e in piedi davanti a lui, su una sua isoletta di roccia, Kruppe, intento a spolverarsi i vestiti. La crepa che si era formata dove il martello aveva colpito il terreno si divideva in modo netto per aggirare il basso e grasso Daru, ricongiungendosi alle sue spalle. Whiskeyjack lottò per trattenere una risata, consapevole che essa sarebbe suonata disperata e stonata. Adesso abbiamo visto la portata della furia di Brood, e Kruppe, quell'assurdo ometto, è sopravvissuto a essa. Se mai avessimo avuto bisogno di una prova che quel Daru non è ciò che sembra essere... Senza dubbio si è trattato di una dimostrazione, ma a beneficio di chi? Un grido di sgomento interruppe le sue riflessioni: Korlat, che stava guardando verso nord, aveva uno strano atteggiamento contratto, come si fosse ripiegata su se stessa. Whiskeyjack sentì svanire il proprio divertimento nel constatare che la fenditura si stava riempiendo di sangue. Sangue corrotto, contaminato. La Dea Dormiente... Burn dorme del sonno dei morenti, avvelenata, rifletté, rendendosi conto che quella era l'ultima, più terribile rivelazione della giornata. La dea è malata... opera della mano nascosta del Dio Storpio.
La Mhybe aprì gli occhi di scatto sul carro che sussultava e sobbalzava. Fuori, un tuono stava scuotendo il terreno e da ogni parte si levavano le urla dei Rhivi, un lamentoso coro allarmato e costernato. Le sue ossa e i suoi muscoli protestarono per lo sballottamento causato dal cataclisma, ma lei si trattenne dal gridare, desiderosa soltanto di nascondersi. Il tuono si placò, sostituito dal lontano muggire dei bhederin e, più da vicino, dai passi sommessi della sua gente che stava oltrepassando di corsa il carro. La mandria era prossima al panico e stava per darsi alla fuga. Portando la rovina a tutti noi. E, tuttavia, quella sarebbe un'opera di misericordia, la fine per la mia sofferenza, per i miei incubi... Nei suoi sogni, lei era di nuovo giovane, ma essi non davano nessuna gioia. Degli sconosciuti si aggiravano nella tundra su cui invariabilmente si ritrovava, e al loro avvicinarsi lei iniziava a fuggire come una lepre, correndo, sempre correndo. Sconosciuti. Non sapeva cosa volessero, ma la stavano cercando, questo era evidente, la braccavano come fanno i cacciatori con le prede, e dormire significava destarsi esausta, con gli arti tremanti e il respiro affannoso. Era stata salvata dall'Abisso, da quelle innumerevoli anime lacere perse in un'eterna fame disperata. Un drago l'aveva salvata, ma a che scopo? Per lasciarla in un luogo dove era inseguita e braccata senza sosta? Trascorse del tempo, scandito dalle parole rassicuranti con cui i mandriani stavano cercando di calmare i bhederin spaventati: a quanto pareva, dopo tutto le bestie non si sarebbero date alla fuga, anche se la terra era ancora scossa da una serie di tremori sempre più deboli e distanziati fra loro. La Mhybe gemette sommessamente quando il carro oscillò di nuovo, questa volta per l'arrivo dei due Daru, Coll e Murillio. «Ti sei svegliata», osservò il consigliere, «ma la cosa non mi sorprende». «Lasciatemi stare», disse lei, stringendosi le pellicce intorno al corpo tremante e raggomitolandosi con le spalle rivolte ai due. Ho tanto freddo... «Hai idea di cosa sia successo, più avanti?» chiese Murillio a Coll. «Sembra che Brood abbia ceduto all'ira.» «Per gli dei! Con chi? Kallor? Quel bastardo merita...» «Non Kallor, amico», ringhiò Coll. «Prova a indovinare... non dovresti metterci molto.» «Kruppe», gemette Murillio.
«Hood sa che prima o poi ha messo a dura prova la pazienza di tutti... solo che nessuno di noi era in grado di spaccare metà del mondo e di far sbucare nuove montagne.» «Quell'ometto si è fatto ammazzare? Non riesco a credere...» «A quanto ho sentito, ne è uscito illeso, lamentandosi con irritazione per la polvere, e nessun altro è rimasto ferito, anche se per poco l'Alto Comandante stesso non ha avuto la testa sfondata da un mulo infuriato.» «Il mulo di Kruppe? Quello che dorme mentre cammina?» «Già, proprio quello.» Dorme. Senza dubbio sogna di essere un cavallo, alto, splendido, fiero... «Quella è davvero una strana bestia. Non ho mai visto un mulo così... così attento a tutto. Per la Regina dei Sogni, quella è la catena di montagne dall'aspetto più strano che abbia mai visto.» «Sì, Murillio, appare più grande di quello che è in realtà, confonde la vista. Una catena che sembra spezzata, come se si trovasse al limite stesso dell'orizzonte, e invece è a meno di mezza lega da noi. È una cosa a cui non è piacevole pensare, se vuoi il mio parere...» Non c'è nulla a cui sia piacevole pensare, né le montagne, né i muli né l'ira di Brood. Tante anime si accalcano dentro mia figlia, due donne e un Thelomen chiamato Skullcrusher. Due donne e un uomo che non ho mai incontrato... e tuttavia ho portato quella bambina dentro di me. Io, una Rhivi, giovane, nel fiore degli anni, trascinata in un sogno che poi è stato reso reale. E tuttavia, dove sono io, dentro mia figlia? Dove sono il sangue, il cuore dei Rhivi? Lei non ha nulla di me, proprio nulla. In realtà, sono stata soltanto un contenitore, destinato a racchiudere e poi dare alla luce una sconosciuta. Lei non ha motivo di vedermi, di farmi visita, di tenermi la mano e di offrirmi conforto. Il mio scopo si è esaurito, è finito, e giaccio qui come una cosa scartata, dimenticata. Una Mhybe. Una mano le si posò con delicatezza sulla spalla. «Credo che stia dormendo di nuovo», osservò Murillio. «È meglio così», mormorò Coll. «Ricordo quando ero giovane», continuò il Daru, in tono sommesso, introspettivo. «Anch'io ricordo quando eri giovane, Murillio.» «Ero selvaggio e sfrenato...» «Una donna diversa ogni sera, se ben ricordo.» «Ero una sorta di calamita, ed era tutto così facile...»
«Lo avevamo notato.» «Ma ora non più», sospirò Murillio. «Sono invecchiato, ho pagato il prezzo dei giorni burrascosi della mia giovinezza...» «Delle notti, vorrai dire.» «Comunque sia. Sono arrivati nuovi rivali, sangue giovane. Marak di Paxto, alto e snello, che fa girare ogni testa femminile ovunque vada, quel compiaciuto bastardo. Poi c'è Perryl di M'necrae...» «Ti prego, Murillio, risparmiami tutto questo.» «Il punto è che si è trattato di un certo numero di anni, anni pieni e piacevoli. E adesso, sebbene sia avviato al declino, se non altro posso guardarmi alle spalle e ricordare i miei giorni - d'accordo, le mie notti - di gloria, mentre questa povera donna...» «Sì, ho capito. Hai mai notato quegli ornamenti di rame che porta indosso: ne puoi vedere un paio al polso. Doni di Kruppe, provenienti da Darujhistan.» «Cos'hanno di speciale?» «Come stavo dicendo, li hai mai notati? Sono strani, si fanno più lucidi e luminosi quando lei sta dormendo.» «Davvero?» «Posso giurarlo su un mucchio di fazzoletti di Kruppe.» «Davvero strano.» «Adesso però appaiono alquanto opachi...» I due uomini accoccolati accanto a lei tacquero, e dopo un lungo momento la mano posata sulla sua spalla si contrasse leggermente. «Ah, mia cara», mormorò Murillio, «vorrei poter cancellare le mie parole...». Perché? Erano la verità, venivano dal tuo cuore, che è generoso, nonostante la tua giovinezza irresponsabile. Hai esposto a parole la mia maledizione, ma questo non cambia nulla. Sono da compatire? Soltanto quando dormo, a quanto sembra, mentre davanti a me non dici nulla e consideri il tuo silenzio come una gentilezza. Esso però mi offende, perché viene recepito come indifferenza. E che dire del mio silenzio nei confronti di questi due uomini gentili che mi stanno guardando? Quale dei miei innumerevoli difetti rivelo con esso? A quanto pare, la vostra compassione non è all'altezza della mia. Poi i suoi pensieri si fecero indistinti e apparve la landa color ocra e priva di alberi del suo mondo di sogno. E cominciò a correre.
Scuro in volto per l'ira, Dujek entrò nella tenda e scagliò i guanti contro la parete di tela, mentre Whiskeyjack stappava una bottiglia di birra e riempiva i due boccali in attesa sul piccolo tavolo da campo che aveva davanti. «Che follia è mai questa?» esclamò il Gran Pugno, soffermandosi lo stretto necessario per afferrare uno dei due boccali prima di cominciare a camminare avanti e indietro. Whiskeyjack si adagiò su una sedia scricchiolante, stendendo le gambe doloranti, e bevve un lungo sorso di birra. «A quale follia ti stai riferendo, Dujek?» sospirò. «Già, l'elenco si sta facendo dannatamente lungo. Il Dio Storpio! Le leggende più terribili riguardano quel bastardo deforme...» «Il poema di Fisher Kel Tath sull'Incatenamento...» «Io non amo leggere poesia, ma Hood sa che ho sentito brani di quell'opera declamati dai bardi nelle taverne. Per gli attributi di Fener, questa non è la guerra che avevo accettato di combattere!» «E allora non lo fare», ribatté Whiskeyjack, fissandolo. Dujek smise di camminare e si volse a fissarlo. «Continua», disse, dopo un momento. «Brood lo sapeva già», replicò il comandante, con una scrollata di spalle che gli strappò un sussulto. E lo sapeva anche Korlat. «E come lui è ragionevole supporre che lo sapesse anche Anomander Rake. E perfino Kallor, sebbene non mi sia piaciuto il bagliore avido che aveva nello sguardo. Quindi abbiamo due ascendenti e un aspirante ascendente. Il Dio Storpio è troppo potente perché persone come me e te possano affrontarlo, Dujek. Lascia che ci pensino loro, e gli altri dei. Dopo tutto, Rake e Brood erano entrambi presenti all'Incatenamento». «Il che significa che è un pasticcio che riguarda loro.» «In parole povere, sì.» «Un pasticcio per cui stiamo pagando tutti quanti, e per il quale entro breve potremmo pagare il prezzo estremo. Non intendo lasciare che il mio esercito venga usato come carne da macello in questo particolare gioco, Whiskeyjack. Stavamo andando ad annientare il Dominio di Pannion, un impero mortale... almeno per quello che noi ne sapevamo.» «Pare che entrambe le parti stiano ricorrendo alla manipolazione, Dujek.» «E dovrei esserne confortato?» Per un momento, il Gran Pugno fissò il
suo comandante in seconda con occhi roventi, poi trangugiò la birra e protese il boccale vuoto. «Non siamo certo noi a poterci lamentare della manipolazione, vero, amico?» obiettò Whiskeyjack, riempiendolo di nuovo. Dujek si fermò per un attimo, poi grugnì. Proprio così. Calmati, Gran Pugno, e pensa con chiarezza. «E poi», continuò Whiskeyjack, «io ho fiducia». «In cosa?» scattò Dujek. «In chi? Avanti, dimmelo!» «In un certo ometto basso, odioso e competente...» «Kruppe! Hai perso il senno?» «Vecchio amico», sorrise Whiskeyjack, «rifletti sulla tua ira, che è dovuta all'essere stato manipolato, usato, forse ingannato, e considera come si debba sentire un ascendente quale è Caladan Brood nel rendersi conto a sua volta di esserlo stato. Si è infuriato abbastanza da perdere il controllo, da impugnare il suo martello e da cercare di annientare quel pomposo, compiaciuto maestro burattinaio». Dujek rimase a lungo immobile, poi un sorriso gli affiorò sulle labbra. «In altre parole, lui ha preso Kruppe sul serio...» «Darujhistan», disse Whiskeyjack. «Il nostro grande fallimento. Per tutto il tempo, ho avuto la sensazione che qualcuno stesse orchestrando ogni cosa. Non Anomander Rake, non la Cabala e neppure Vorcan e i suoi assassini. Qualcun altro, qualcuno nascosto così bene e dotato di un così sgomentante... talento... da renderci del tutto impotenti. «E poi, nel parlamentare, abbiamo scoperto tutti chi fosse stato responsabile della rinascita di Tattersail come Volpe d'Argento, la figlia di una donna Rhivi, chi avesse piantato il seme e gestito la nascita all'interno di un canale ignoto, facendo convergere i diversi fili... Nightchill, Bellurdan, Tattersail stessa e, a quanto ora risulta, un Dio Antico tornato al regno mortale, oltre all'elemento più notevole di tutti, i T'lan Imass. Riassumendo, Tattersail, Nightchill e Bellurdan... tutti appartenenti all'Impero Malazan, sono rinati da una donna Rhivi dell'esercito di Brood nel momento in cui si profilavano le trattative per una grande alleanza. Davvero conveniente che una bambina dovesse fungere da ponte fra i nostri eserciti...» «Con l'esclusione di Kallor», sottolineò Dujek. «Al quale è appena stato ricordato il potere di Brood», annuì Whiskeyjack, «si spera in maniera sufficiente a tenerlo sotto controllo». «È di questo che si è trattato?» «Forse. Lui aveva chiesto una dimostrazione, giusto? Ciò che Kruppe
manipola, in qualche modo, sono le circostanze, ma non ho la sensazione che noi si sia condannati a danzare a suo piacimento. Alle spalle del Daru c'è un Dio Antico, ma ho l'impressione che si tratti più che altro di un'alleanza reciprocamente vantaggiosa, quasi fra eguali... una società, se preferisci. Ammetto che queste sono tutte supposizioni, però ti dico questo: come te, anch'io sono già stato manipolato in passato, ma questa volta la cosa è diversa, meno ostile. Dujek, questa volta, avverto della compassione.» «Un'alleanza fra eguali», borbottò il Gran Pugno, poi scosse il capo. «Chi è dunque questo Kruppe? Un qualche dio sotto mentite spoglie? Un mago molto potente, un arcimago?» «La mia supposizione è che sia un mortale», replicò Whiskeyjack, scrollando le spalle, «però dotato di un'intelligenza che è singolare nella sua acutezza. E intendo alla lettera: è singolare, Dujek. Se un Dio Antico venisse di colpo scagliato di nuovo in questo regno, non credi che come primi alleati cercherebbe le menti più grandi?». «Sì, Whiskeyjack, ma... Kruppe?» obiettò Dujek, incredulo. «Kruppe, che ci ha procurato la Corporazione Mercantile Trygalle, i soli mercanti in grado di rifornirci lungo il percorso che abbiamo scelto di seguire. Kruppe, che ha portato alla Mhybe gli averi ancora esistenti della Prima Rhivi, perché li indossasse e placasse così la sofferenza che la tormenta, ornamenti che comincio a sospettare non abbiano ancora manifestato tutto il loro potere. Kruppe, l'unico con cui Volpe d'Argento sia disposta a parlare, ora che Paran se n'è andato. E, infine, Kruppe, che si è posto sulla strada del Dio Storpio.» «Se è soltanto un mortale, come ha fatto a sopravvivere all'ira di Brood?» «Immagino che il suo alleato, il Dio Antico, non abbia voluto che venisse ucciso e che sia intervenuto. Di che altro si può essere trattato?» «Dannazione», sospirò Dujek, svuotando di nuovo il boccale. «D'accordo, ignoriamo come meglio possiamo il Dio Storpio e rimaniamo concentrati sul Dominio di Pannion, anche se la cosa comunque non mi piace, amico mio. Non posso non essere nervoso per il fatto che non stiamo attivamente prendendo in considerazione questo nuovo avversario...» «Non credo che sia così, Gran Pugno», affermò Whiskeyjack. Dujek gli lanciò un'occhiata, poi contrasse il volto in una smorfia. «Ben lo Svelto.» «Credo di sì», annuì lentamente Whiskeyjack, «anche se non ne sono certo... per Hood, non so neppure se è ancora vivo, ma se lo conosco bene
lo è di certo. Inoltre, considerata la sua agitazione l'ultima volta che l'ho visto, non si sta facendo illusioni ed è ben informato di tutto». «E lui sarebbe tutto ciò che abbiamo per battere in astuzia il Dio Storpio?» «Gran Pugno, se Kruppe è il più grande genio del mondo, Ben lo Svelto è di un solo passo più indietro rispetto a lui. Un passo molto corto.» Fuori della tenda risuonarono delle grida, seguite da un rumore di passi, poi Artanthos entrò nella tenda. «Signori, è stato avvistato un singolo Moranth, proveniente da nordest. È Twist», annunciò. Whiskeyjack si alzò in piedi con un grugnito dovuto alla serie di fitte causate da quel movimento. «Stiamo per avere notizie», disse. «Speriamo che siano buone», ringhiò Dujek. «Il mio morale ne ha bisogno.» Il suo volto era premuto contro le pietre coperte di licheni intrise del suo sudore. Il cuore le martellava, il respiro era affannoso e lei giaceva gemendo, troppo stanca per continuare a correre e perfino per sollevare la testa. La tundra dei suoi sogni aveva rivelato nuovi nemici. Questa volta, a inseguirla, non era il gruppo di sconosciuti. A trovarla, erano stati i lupi: grandi creature scarne, più grandi di qualsiasi lupo lei avesse visto da sveglia, che erano apparse sulle creste che delimitavano l'orizzonte verso nord. Otto bestie dalle zampe lunghe e dal pelo che si confondeva con le tinte smorte del paesaggio; il capo del branco si era girato, come se avesse colto il suo odore sulle ali del vento freddo e secco. Poi la caccia era iniziata. All'inizio, la Mhybe si era compiaciuta per la velocità delle sue giovani gambe agili. Rapida come un'antilope, più di quanto potesse esserlo qualsiasi umano mortale, era fuggita nella tundra spoglia, ma i lupi si erano adeguati alla sua andatura, instancabili, e si erano allargati a ventaglio, mentre qualcuno di essi a tratti scattava in avanti sui fianchi in modo da costringerla a deviare. Ripetutamente, per quanto lei si sforzasse di rimanere fra le colline, su un terreno pianeggiante, i lupi erano riusciti a spingerla verso l'alto. E così aveva cominciato a stancarsi. La pressione non si era mai attenuata, e nella sua mente oppressa dal crescente dolore alle gambe, dal fuoco che le ardeva nel petto e dalle fitte
alla gola, era affiorata l'inorridita consapevolezza che fuggire era impossibile: sarebbe morta, sarebbe stata abbattuta come qualsiasi altro animale condannato a cadere vittima della fame dei lupi. Sapeva che per essi il mare della sua mente, reso ora ribollente dal panico e dalla disperazione, non aveva importanza alcuna. Essi erano cacciatori, e per loro ciò che c'era nell'anima della preda non era rilevante. Come per un'antilope, un vitello di bhederin, un ranag, grazia, promesse di sviluppo e potenziale si riducevano a un ammasso di carne. Quella era la lezione estrema della vita, la sola pervasa di verità e sepolta sotto strati sovrapposti di illusioni: presto o tardi, tutti gli esseri umani si riducevano a cibo, per i lupi o per i vermi, e non aveva alcuna importanza se la fine giungeva lenta o improvvisa. Gemendo, semiaccecata, aveva risalito barcollando un altro crinale. I lupi erano più vicini, poteva sentire i licheni secchi scricchiolare sotto le loro zampe, erano su entrambi i fianchi e stavano per chiudere il cerchio, portandosi un po' più avanti rispetto a lei. Con un grido, la Mhybe aveva barcollato ed era crollata prona sulla sommità rocciosa della collina. A occhi chiusi, attendeva ora la prima esplosione di dolore, quando le zanne le fossero affondate nella carne. Sentiva i lupi muoversi in cerchio, facendosi sempre più vicini, poi un respiro rovente le alitò sul collo. La Mhybe urlò. E si svegliò. Sopra di lei si stendeva un cielo azzurro che si andava scurendo, solcato da un falco. L'aria portava un velo di polvere sollevato dalla mandria e un suono di voci lontane; più vicino, risuonava l'ansito roco del suo respiro. Il carro si era fermato, segno che l'esercito si stava accampando per la notte. Immobile, rimase raggomitolata sotto le pellicce, ascoltando un paio di voci che sussurravano poco lontano e fiutando l'odore di un fuoco di sterco secco su cui cuoceva un brodo di carne ed erbe aromatiche: capra e salvia. Risuonò una terza voce, salutata dalle prime due, tutte stranamente indistinte, tanto che lei non riusciva a identificarle. Non vale la pena di sforzarsi per farlo. I miei sorveglianti. I miei carcerieri. Il carro scricchiolò e qualcuno le si accoccolò accanto. «Dormire non dovrebbe lasciarti così esausta.» «No, Korlat, non dovrebbe. Per favore, permettimi di porre fine io stessa a questo...» «No. Prendi, Coll ha fatto un po' di stufato.»
«Non mi restano denti per masticarlo.» «Sono pezzetti, pezzi piccoli, facili da inghiottire. È soprattutto brodo.» «Non ho fame.» «Non importa. Devo aiutarti a sederti?» «Che Hood ti prenda, Korlat, tu e gli altri! Tutti quanti!» «Avanti, lascia che ti aiuti.» «Le vostre buone intenzioni mi stanno uccidendo. No, non è esatto...» grugnì, tentando debolmente di sottrarsi alle mani di Korlat, quando lei la sollevò a sedere senza sforzo. «Mi state torturando con la vostra misericordia, che non è affatto tale. No, Korlat, non mi guardare in faccia», continuò, tirando avanti il cappuccio, «altrimenti potrei imparare a desiderare la compassione che c'è nei tuoi occhi. Dov'è la ciotola? Mangerò, ma lasciami sola». «Rimarrò qui con te, Mhybe», replicò Korlat. «Dopo tutto, ci sono due ciotole.» La donna Rhivi abbassò lo sguardo sulle proprie mani rugose e scheletriche, poi fissò la ciotola stretta fra di esse, il brodo leggero in cui galleggiavano i pezzetti di carne. «Vedi questo? Chi ha macellato la capra, chi l'ha uccisa, si è fermato di fronte alle strida disperate dell'animale? Ha guardato nei suoi occhi supplichevoli? Ha esitato con il coltello? Nei miei sogni, io sono come quella capra. È questo ciò a cui mi condannate.» «Chi ha ucciso la capra era un Rhivi», replicò Korlat, dopo un momento. «Conosciamo bene entrambe quel rituale, Mhybe, la propiziazione, l'invocazione dello spirito misericordioso il cui abbraccio è necessario, e sappiamo che quello spirito scende sulla capra, o su qualsiasi altra creatura il cui corpo è destinato a nutrire il tuo popolo, la cui pelle vi fornirà di che vestirvi. E così la bestia non stride, non implora. Sono stata testimone di questo... e ne sono rimasta meravigliata, perché è in effetti una cerimonia notevole, propria esclusivamente dei Rhivi non nel suo intento ma nella sua efficacia. È come se lo spirito chiamato dal rituale mostrasse alla bestia un futuro migliore... qualcosa al di là della vita che ha conosciuto fino ad allora...» «Menzogne», mormorò la Mhybe. «Lo spirito inganna quella povera creatura per facilitarne l'uccisione.» Korlat tacque, mentre la vecchia si portava la ciotola alle labbra. «In tal caso», obiettò poi, «forse l'inganno è un dono... di misericordia». «Niente affatto», scattò la Mhybe. «Le parole servono soltanto a confortare chi uccide e la sua famiglia, niente di più. La morte è morte, come
usano dire gli Arsori di Ponti. Quei soldati conoscono la verità, i figli dell'Impero Malazan non nutrono illusioni e non si lasciano incantare facilmente.» «Sembri sapere molte cose su di essi.» «Due soldati di marina vengono ogni tanto a trovarmi, due donne che si sono addossate il compito di vegliare su mia figlia e di darmi sue notizie, dato che nessun altro pare intenzionato a farlo, cosa di cui sono loro grata.» «Non lo sapevo...» «La cosa ti allarma? Ti chiedi se mi siano stati rivelati terribili segreti? Porrai fine a queste visite?» Una mano le si posò sulla spalla. «Vorrei che almeno mi guardassi in faccia, Mhybe. No, non farò nulla di simile, e non mi risulta neppure che ti siano tenuti nascosti spaventosi segreti. Anzi, adesso desidero rintracciare quei due soldati di marina per ringraziarli.» «Lasciali stare, Korlat. Loro non chiedono ringraziamenti, sono semplici soldati, due donne dell'Impero. Tramite loro, so che Kruppe va regolarmente a trovare Volpe d'Argento. Forse si è addossato il ruolo di zio gentile. È un uomo così strano, una cara persona, nonostante la terribile maledizione di cui mi ha gravata.» «Maledizione? Oh, Mhybe, stando a tutto ciò che ho visto di Kruppe, ti posso garantire che non è tipo da maledire nessuno. Non credo che abbia mai pensato a cosa avrebbe comportato per te la rinascita di Tattersail.» «Questo è verissimo e io lo capisco alla perfezione. Lui è stato chiamato in causa da un Dio Antico, che ha scelto di farsi coinvolgere in questa situazione e che già vi era coinvolto. Kallor ha detto che è stato creato un abominio, e così è stato effettivamente: il corpo disseccato di Nightchill, l'anima di Tattersail intrappolata in esso e il tutto intriso della magia dei T'lan Imass. Una creazione da incubo. Il Dio Antico ha cercato di salvarla in qualche modo, con qualche forma, e per questo pare abbia avuto bisogno di Kruppe. Il Daru ha fatto tutto il possibile, convinto che fosse un atto di misericordia, Korlat, però non lasciarti trarre in inganno: Kruppe e il Dio Antico hanno deciso di usare la bambina da essi modellata. Una scelta opportunistica e deliberata fin dall'inizio? E ha importanza che lo sia stata? E adesso Kruppe si accompagna a Volpe d'Argento. Stanno cospirando insieme? Sono cieca...» «Cospirando, Mhybe? A che fine?»
«Non lo sai? Mi riesce difficile crederlo.» «È evidente che sei giunta alla conclusione che stiamo cospirando tutti... contro di te.» «E non è così?» esclamò la Mhybe, scagliando lontano la ciotola con tutte le sue forze, sentendola rimbalzare contro qualcosa, rumore seguito da un grido di sorpresa di Murillio che, a quanto pareva, aveva avuto la sfortuna di trovarsi sulla sua traiettoria. «Mi custodite!» sibilò. «Mi nutrite! Mi sorvegliate perché non mi tolga la vita! Questa non è forse una cospirazione? E mia figlia... mia figlia... viene forse a trovarmi? No! Quando ho visto per l'ultima volta la sua faccia? Quando? Lo ricordo a stento!» La mano sulla sua spalla accentuò la stretta. «Ti ho sentita, amica mia», affermò Korlat, con voce bassa e tesa. «Andrò fino in fondo a questa faccenda, scoprirò la verità e verrò a riferirtela. Te lo prometto, Mhybe.» «Allora dimmi cosa è successo oggi? Ho sentito qualcosa, poi Coll e Murillio mi hanno parlato di una lite fra Kruppe e Brood. Che parte ha avuto Volpe d'Argento in tutto questo?» «Lei era presente», affermò Korlat. «Mi ha accompagnata quando ho risposto alla convocazione di Whiskeyjack. Voglio essere onesta con te, Mhybe. È successo effettivamente qualcosa, prima dello scontro fra Brood e Kruppe. Tua figlia ha trovato... dei protettori, ma non intende estendere a te tale protezione, anche se per qualche motivo si è convinta che tu sia in pericolo, non so a causa di che cosa.» Io lo so. Oh, Korlat, la tua amicizia per me ti ha resa cieca. Sono effettivamente in pericolo, e la causa sono io stessa. «Protettori? Chi? Cosa?» Korlat trasse un profondo respiro, poi esalò lentamente il fiato. «Volpe d'Argento ci ha chiesto di non farne parola con te, e io ho acconsentito, pur non comprendendo il perché, ma ora mi rendo conto che tacere sarebbe sbagliato. Non sarebbe giusto nei tuoi confronti, Mhybe, sarebbe una cospirazione, e io non voglio farne parte. I protettori di tua figlia sono lupi, antiche bestie gigantesche...» Assalita dal terrore, la Mhybe protese ringhiando una mano verso la faccia di Korlat, sentì le unghie lacerare la pelle. «I cacciatori!» stridette, mentre la Tiste Andii si ritraeva con un sussulto. «Mi vogliono uccidere! Mia figlia...» Mia figlia infesta i miei sogni! Per gli spiriti, vuole uccidermi! Coll e Murillio si erano precipitati sul carro gridando con fare allarmato, anche se Korlat stava ingiungendo loro di calmarsi, ma la Mhybe non li stava più sentendo, in quel momento non vedeva più nulla del mondo che
la circondava, mentre continuava a dibattersi e ad artigliare l'aria, il petto che le bruciava per quel tradimento, riducendole il cuore in cenere. Mia figlia! Mia figlia! E la mia voce geme. E i miei occhi supplicano. E il coltello è nelle sue mani, nel suo sguardo c'è soltanto fredda determinazione. Il sorriso accennato da Whiskeyjack all'arrivo di Korlat svanì quando lui si volse e vide che i suoi occhi erano bianchi come il ferro incandescente e che quattro solchi paralleli le rigavano la guancia destra, ancora umidi del sangue che le era colato lungo la linea della mascella e stava ora gocciolando sulle canne che coprivano il suolo. «Korlat, cosa è successo?» chiese, quasi indietreggiando quando la Tiste Andii avanzò verso di lui. «Ascoltami bene, amante», ringhiò la donna, con voce gelida. «Esigo che mi riveli immediatamente qualsiasi segreto tu mi abbia nascosto... riguardo alla rinascita di Tattersail, a quei dannati T'lan Ay, alle istruzioni che hai dato a quei due soldati di marina che sorvegliano la figlia della Mhybe, riguardo a cosa dire alla vecchia.» Lui si sentì raggelare, il volto che gli si contraeva di fronte all'ira di lei. «Istruzioni?» ripeté, in tono pacato. «Non ho dato loro nessuna istruzione, neppure quella di sorvegliare Volpe d'Argento. Hanno agito per loro decisione, e quanto a ciò che possono aver detto per provocare questa tua reazione, essendo il loro comandante, sono pronto ad addossarmene la responsabilità, e ti garantisco che se è necessaria una punizione...» «Fermo! Aspetta un momento, per favore.» Qualcosa si era placato in Korlat, che stava ora tremando. Whiskeyjack pensò di prenderla fra le braccia, ma si trattenne. Sentiva che lei aveva bisogno di conforto, ma l'istinto lo avvertiva che non era ancora pronta a riceverlo. Guardandosi intorno, trovò un panno relativamente pulito, lo immerse in una bacinella d'acqua e glielo porse. Lei lo fissò in silenzio, il colore dei suoi occhi che si scuriva fino a farsi grigio ardesia, ma non accennò a prendere il panno, e infine Whiskeyjack abbassò lentamente la mano. «Perché Volpe d'Argento ha insistito che sua madre non venisse a sapere dei T'lan Ay?» chiese Korlat. «Non ne ho idea, Korlat, al di là della spiegazione da lei offerta. Ho cre-
duto che tu sapessi di cosa si trattava.» «E io credevo lo sapessi tu.» Whiskeyjack annuì. «E tu hai pensato che ti stessi nascondendo un... un segreto, qualcosa che riguardava Volpe d'Argento e sua madre...» Whiskeyjack scrollò le spalle. «Avevi intenzione di affrontarmi al riguardo?» «No.» Lei lo fissò con occhi dilatati, mentre il silenzio si protraeva. «Per amore di Hood, puliscimi le ferite», disse poi. Sollevato, lui si fece più vicino e procedette a tamponare i solchi con tocco leggero. «Chi ti ha colpita?» chiese. «La Mhybe. Credo di aver commesso un terribile errore, per quanto le mie intenzioni fossero buone...» «Capita spesso, con le buone intenzioni», mormorò lui. «Pragmatici Malazan», commentò lei, scrutandolo in volto. «Ci vedete davvero chiaro. Perché continuiamo a pensare a voi come a semplici soldati? Brood, Rake, Kallor... io stessa, noi tutti guardiamo a te, a Dujek e al vostro esercito come a qualcosa di... di ausiliario, una spada che speriamo di impugnare quando arriverà il momento del bisogno, ma mi pare ora che siamo tutti degli stolti. In effetti, nessuno di noi si è reso conto di come stiano davvero le cose, adesso.» «E come starebbero?» chiese lui, accigliandosi. «Siete diventati la nostra spina dorsale. In qualche modo, siete ciò che ci dà forza, che ci tiene uniti. Oh, lo so che hai dei segreti, Whiskeyjack...» «Non quanti credi», sorrise lui. «Ti rivelerò il più grande, e cioè che ci sentiamo inferiori rispetto a voi... a Rake, a Caladan Brood, a Kallor, all'esercito dei Tiste Andii, dei Rhivi e dei Barghast. Per Hood, perfino quel gruppo di mercenari che vi accompagna ci rende nervosi. Noi non abbiamo il vostro potere, siamo soltanto un esercito, il nostro mago migliore non ha neppure un rango ufficiale, è soltanto un mago di quadro, attualmente è molto lontano da qui e, sospetto, si sta sentendo come una mosca in una ragnatela. Quindi, sappiamo che quando ci sarà da combattere noi saremo l'avanguardia, e che questo ci costerà caro. Quanto al Veggente, e a ciò che si cela dietro di lui, speriamo che siate voi a occuparvene, e lo stesso vale per il Dio Storpio. Hai ragione, Korlat, siamo soltanto soldati, e stanchi, per di più. Se davvero siamo la spina dorsale di questo esercito congiunto, allora che Hood ci aiuti, perché è una spina dorsale curva e fragile.»
Korlat si protese a posare la mano su quella di lui, premendola contro la propria guancia, e incontrò il suo sguardo. «Curva e fragile? Non credo proprio.» «Non sto facendo il modesto, Korlat», ribadì Whiskeyjack, scuotendo il capo. «Sto dicendo la verità, anche se temo che tu non sia preparata a sentirla.» «Volpe d'Argento sta manipolando sua madre in qualche modo», spiegò la Tiste Andii, dopo un momento, «forse è addirittura responsabile degli spaventosi incubi che la affliggono». «Mi riesce difficile crederlo...» «Non è una cosa che Tattersail farebbe, giusto? Ma cosa mi dici di Nightchill, o del Telomen? Whiskeyjack, tu li conoscevi meglio di chiunque altro. È possibile che uno di essi o entrambi siano responsabili di questo?» Lui non disse nulla, continuando a pulire i graffi sulla guancia della donna. «Avrai bisogno di vedere un guaritore, Korlat, per evitare che l'infezione...» «Whiskeyjack.» Sospirando, lui indietreggiò. «Temo che Nightchill possa sentirsi tradita, e potrebbe scegliere in maniera indiscriminata i bersagli della sua vendetta. Lo stesso vale per Bellurdan Skullcrusher. Dopo tutto, entrambi sono stati traditi. Se hai ragione riguardo a quello che sta succedendo alla Mhybe, se loro le stanno facendo qualcosa, credo comunque che Tattersail si stia opponendo.» «E se fosse già stata sconfitta?» «Non ho visto nessun segno di...» Gli occhi di Korlat ebbero un bagliore e lei gli pungolò il petto con un dito. «Significa che i tuoi due soldati di marina non hanno riferito di aver notato nulla del genere!» «Sono comunque due volontari, Korlat», osservò lui, con una smorfia. «Considerata l'allarmante portata della nostra ignoranza a questi riguardi, conviene tenere gli occhi aperti. Quei due hanno scelto di vegliare su Volpe d'Argento perché vedono in lei Tattersail, non solo fisicamente ma anche come personalità; se qualcosa fosse mutato, se ne sarebbero accorti e sarebbero venuti da me. Di corsa.» «E io che sono entrata a passo di carica, decisa a strapparti la testa dalle spalle», sospirò Korlat, abbassando la mano. «Dannazione a te, Whiskeyjack, cosa ho fatto per meritarti? E come mai sei ancora qui? Dopo tutte le mie accuse...»
«Qualche ora fa, Dujek ha fatto un'entrata simile alla tua», sorrise lui. «Suppongo sia una di quelle giornate storte. Adesso dovremmo chiamare un guaritore...» «Fra un momento», temporeggiò lei, scrutandolo in volto. «Whiskeyjack, davvero non hai idea di che uomo raro tu sia, vero?» «Raro?» ripeté lui, il sorriso che si accentuava. «Certo che lo so. Ci sono soltanto io come me, per grazia di Hood!» «Non era quello che intendevo.» «È tempo di trovare un guaritore, donna», affermò lui, avvicinandosi e cingendole la vita con un braccio. «Sono un uomo dalle esigenze semplici, e stiamo sprecando tempo.» «Una risposta da soldato», dichiarò lei, «non mi inganni, lo sai». Senza farsi vedere, lui chiuse gli occhi. Oh, invece ti inganno, Korlat. Se sapessi la piena portata delle mie paure... il mio terrore di perderti... Agitando le braccia con fare espansivo Kruppe, Anguilla di Darujhistan, occasionalmente furfante e ladro, colui che aveva sfidato l'Alto Comandante Caladan Brood, percorse con calma la via principale fra le tende, diretto ai carri delle provviste. Kruppe proveniva direttamente dalla tenda dei cuochi degli Irregolari di Mott, e teneva in ciascuna mano una focaccia nera di Nathi, grondante di sciroppo; il mulo lo seguiva a qualche passo di distanza, il muso proteso verso le due focacce, le orecchie orientate in avanti. La seconda campana dopo la mezzanotte aveva appena echeggiato negli accampamenti, generando un dolente coro di muggiti nelle lontane mandrie di bhederin, un coro che si era spento a mano a mano che le bestie riprendevano a dormire. Arrivato ai carri, disposti in fila in modo da formare un rettangolo a protezione del campo, Kruppe notò due soldati di marina Malazan che sedevano davanti a un piccolo fuoco, avvolti nei mantelli, e cambiò percorso per raggiungerli. «Gentili amiche», chiamò a bassa voce, «l'ora è tarda, e non dubito che le vostre graziose persone desiderino qualcosa di dolce». Le due donne sollevarono lo sguardo. «Uh, è quel grasso Daru», grugnì una di esse. «Con il suo mulo fermo laggiù nell'ombra.» «Kruppe è davvero unico! Guardate!» esclamò il Daru, porgendo le focacce gocciolanti. «Per voi, mie care.» «Cosa dovremmo mangiare, le focacce o le tue mani?» chiese una delle
due. L'altra accolse le sue parole estraendo il coltello. «Un paio di rapidi tagli e potremo scegliere da sole, giusto?» «Regina dei Sogni!» invocò Kruppe, indietreggiando. «Parole dure e decisamente poco femminili! Siete le guardiane di Volpe d'Argento, vero? Verità rassicurante. Il cuore di Tattersail, che splende così luminoso nella bambina ora donna...» «Ti abbiamo già visto anche troppo spesso a chiacchierare con la ragazza. Lei è la maga, questo è certo, è facile vederlo, per quelle di noi che la conoscevano tanto bene.» «Straordinariamente incoerente, questo dialogo. Kruppe è deliziato...» «Possiamo avere quelle focacce allo sciroppo oppure no?» «Certamente, anche se il bagliore della lama acceca ancora il generoso Kruppe.» «Non hai il senso dell'umorismo, vero? Unisciti a noi, se osi!» «Focacce nere di Nathi, mie care», sorrise Kruppe, venendo avanti. «Le abbiamo riconosciute. Gli Irregolari di Mott erano soliti scagliarcele contro quando finivano le frecce.» «Se ben ricordo, Jaybar ne ha ricevuta una in piena faccia.» «Infatti, poi è caduto e quando si è rialzato sembrava un suolo di foresta con gli occhi.» «Questo spaventoso sciroppo è un'arma letale», convenne il Daru, tornando a offrire le focacce ai due soldati di marina, che le accettarono. «Un compito coraggioso, proteggere la ragazza Rhivi.» «Non è una Rhivi, lei è Tattersail. Quella pelliccia e le vesti di pelle sono solo per figura.» «Ah, allora le avete parlato.» «Non molto, e non abbiamo bisogno di farlo. Queste focacce vanno giù meglio senza foglie e ramoscelli, non trovi?» Kruppe sbatté le palpebre, poi annuì. «Non ne dubito. Una grande responsabilità, essere gli occhi del vostro comandante, riguardo alla suddetta ragazza.» Entrambe le donne smisero di masticare, si scambiarono un'occhiata, poi una delle due deglutì per rispondere. «Chi, Dujek?» chiese. «Se siamo i suoi occhi, allora lui è cieco come una talpa.» «Ah, Kruppe si riferiva a Whiskeyjack, è ovvio.» «Whiskeyjack non è cieco, e neppure lui ha bisogno che vediamo al suo posto.»
«Comunque», sorrise il Daru, «lui è di certo molto confortato dal compito che vi siete addossate e dai vostri rapporti. Se fosse in Whiskeyjack, Kruppe sa che lo sarebbe». «Sarebbe cosa?» «Confortato, è ovvio.» Entrambe le donne grugnirono. «Questa è bella», sbuffò poi una delle due. «Se tu fossi Whiskeyjack. Hah!» «Era un modo di dire...» «Non esiste nulla del genere, grassone. Stai cercando di metterti al posto di Whiskeyjack? Di vedere con i suoi occhi? Hah!» «Ne convengo», assentì l'altra donna. «Hah!» «E così lo avete fatto», osservò Kruppe. «Fatto cosa?» «Ne avete convenuto.» «Hai ragione. Whiskeyjack, non Laseen, sarebbe dovuto diventare Imperatore quando quello vecchio è stato tolto di mezzo. Lei però sapeva bene chi era il suo rivale, ed è per questo che gli ha tolto il grado, lo ha trasformato in un dannato sergente e lo ha mandato il più lontano possibile.» «Allora questo Whiskeyjack è un uomo ambizioso.» «Per niente, Daru, ed è proprio questo il punto. Come ho detto, sarebbe stato un buon Imperatore, perché non volere la carica è la migliore e unica qualifica per detenerla.» «Un'affermazione curiosa, mia cara.» «Non lo sono.» «Chiedo scusa, cos'è che non sei?» «Curiosa. Ascolta, l'Impero Malazan sarebbe molto diverso se Whiskeyjack fosse salito al trono, tanti anni fa. Se solo avesse fatto quello che noi tutti volevamo che facesse! Se avesse preso Laseen per il collo e l'avesse buttata giù dalla finestra di una torre!» «E lui ne sarebbe stato capace, così su due piedi?» Le due donne parvero confuse, e una delle due si girò verso l'altra. «Lo hai visto senza stivali?» «No», rispose l'altra, scuotendo il capo. «Comunque, potrebbero essere notevoli, non credi?» «In quel caso sarebbe stato un calcio nel sedere, mentre io ho parlato di prenderla per la collottola.» «Piedi capaci di questo sarebbero davvero notevoli, giusto?» «Hai ragione, amica.»
«Ahem», le interruppe Kruppe. «Su due piedi, care, nel senso di agire con decisione.» «Oh.» «Oh, già, certo. Capito. Stai chiedendo se lo avrebbe fatto, se così avesse deciso? Certo. Non conviene sfidare Whiskeyjack, e per di più è intelligente.» «Allora, si chiede Kruppe, stupito, perché non lo ha fatto?» «Perché è un soldato, idiota. L'ascesa al trono di Laseen aveva già provocato guai, tutto l'impero era instabile. In quei casi, la gente comincia a pugnalarsi a vicenda per salire su un trono insanguinato, e a volte la cosa non si ferma, come nel domino, giusto? Uno dopo l'altro, e tutto va in pezzi. Lui era quello a cui tutti guardavamo, per vedere come l'avrebbe presa, e quando lui ha salutato e ha detto: "Sì, Imperatrice"... ecco, tutto si è sistemato». «Le ha dato una possibilità, capisci?» «Certo. E voi ragazze pensate che abbia sbagliato?» Le due donne scrollarono le spalle. «Ora non importa», disse una. «Siamo qui, e questo è quanto.» «Così sia», sospirò Kruppe, alzandosi. «Splendida conversazione. Kruppe vi ringrazia, e ora si congeda.» «D'accordo. Grazie per le focacce.» «È stato un piacere per Kruppe. Buona notte, care.» E si allontanò verso i carri delle provviste. Per un po' i due soldati di marina tacquero, mentre Kruppe scompariva nel buio, impegnati a leccarsi lo sciroppo dalle dita, poi uno sospirò, imitato dall'altro. «Allora?» «Ah, è stato dannatamente facile.» «Lo credi?» «Certo. È venuto aspettandosi di trovare due cervelli e ne ha trovato a stento uno.» «Comunque, potremmo aver parlato troppo.» «È nella natura dei mezzi cervelli, tesoro. Fare diversamente lo avrebbe insospettito.» «Di cosa pensi che parlino lui e Tattersail?» «Della vecchia.» «Lo penso anch'io.»
«Stanno escogitando qualcosa.» «È anche il mio sospetto.» «Ed è Tattersail a comandare.» «Infatti.» «Il che a me va bene.» «Lo stesso per me. Sai, la focaccia non era la stessa, senza foglie e rametti.» «Strano, stavo pensando la stessa cosa...» Dentro il fortino su ruote, Kruppe si avvicinò a un altro fuoco. I due uomini accanto a esso sollevarono lo sguardo al suo arrivo. «Cos'hai sulle mani?» chiese Murillio. «Tutto quello che Kruppe tocca gli si appiccica addosso, amico mio.» «Lo sappiamo da anni», affermò Coll. «E cos'ha quel dannato mulo?» aggiunse Murillio. «Quella bestia mi perseguita, ma non importa. Kruppe ha avuto una conversazione interessante con due soldati di marina, ed è lieto di affermare che Volpe d'Argento è in mani davvero capaci.» «Appiccicose come le tue?» «Adesso lo sono, caro Murillio.» «Quello che dici va benissimo, ma ci è di qualche aiuto?» domandò Coll. «In quel carro dorme una vecchia il cui cuore spezzato è il minore dei suoi mali, e da solo è sufficiente a distruggere il più forte degli uomini, e ancor più una fragile anziana.» «Kruppe è lieto di annunciare che azioni di grande misericordia sono in corso. Le apparenze momentanee vanno ignorate.» «Allora perché non dirglielo?» ringhiò Coll, accennando al carro della Mhybe. «Ah. Purtroppo, lei non è pronta a ricevere simili verità. Questo è un viaggio dello spirito, che deve cominciare dentro se stessa. Kruppe e Volpe d'Argento non possono dare più di tanto, nonostante la loro apparente onnipotenza.» «Onnipotenza?» ripeté Coll. «Solo ieri avrei riso di quest'affermazione. Hai affrontato e sconfitto Brood, vero? Mi piacerebbe sapere come hai fatto, dannato rospo.» «Caro compagno Coll!» esclamò Kruppe, alzandosi. «La tua mancanza di fiducia schiaccia il fragile Kruppe fino alle dita dei piedi, che si stanno agitando per l'angoscia!»
«Per l'amore di Hood, non ce le mostrare», disse Murillio. «Hai indosso quelle scarpe da quando ti conosco, Kruppe. Poleil stessa arretrerebbe di fronte a ciò che contengono.» «E farebbe bene! Per rispondere a Coll con succinta precisione, Kruppe proclama che la rabbia... no, l'ira... non ha efficacia contro uno come lui, per il quale il mondo è una perla annidata nei viscidi confini del suo cervello affilato e muscoloso. Uh, forse a ripensarci la metafora non è adeguata. Kruppe ci riprova! Per il quale il mondo è solo un sogno di colori e meraviglie inimmaginate, dove perfino il tempo stesso ha perso significato, e a questo proposito, è molto tardi, vero? Il sonno chiama, il flusso di calma transubstanziazione che metamorfizza l'oblio in riparazione e ringiovanimento, il che di per sé è meraviglia sufficiente a concludere questa notte inquieta!» Agitate le mani in un ultimo saluto, si allontanò, seguito dal mulo. «Se solo il martello di Brood avesse centrato quella testa unta», sospirò Coll, dopo un momento. «Sarebbe scivolato», ribatté Murillio. «Già, è vero.» «Muscoli, cervello e piedi puzzolenti. Per l'Abisso, mi sento male.» In alto sopra il campo, Crone ripiegò le ali stanche e pesanti per scendere a spirale verso la tenda dell'Alto Comandante. Per quanto sfinita, era percorsa da brividi di eccitazione e di curiosità: dalla fenditura a nord del campo usciva ancora il sangue contaminato di Burn, e nel sentire la detonazione quando ancora si trovava sui Monti della Visione, a sudest, il Grande Corvo l'aveva riconosciuta subito per ciò che era. Frutto dell'ira di Caladan Brood. Il bacio del martello, e con esso un esplosivo rimodellarsi del mondo naturale. Nonostante il buio, Crone poteva vedere la catena di montagne di basalto che incombeva dove non ci sarebbe dovuto essere nessun rilievo, nel cuore della Pianura di Catlin, e riconosceva anche il sentore della magia che emanava dal sangue della Dea Dormiente: il tocco del Dio Storpio. Una trasformazione stava avvenendo nelle vene di Burn, il Caduto stava rendendo proprio il suo sangue. E quello è un sapore che conosco bene, perché per me è stato come latte materno, molto tempo fa. Per me e per la mia specie. Erano avvenuti cambiamenti nel mondo sottostante, e Crone adorava i cambiamenti, la sua anima e quella dei suoi simili erano state ridestate più di una volta, e mai si era sentita più viva di ora.
Sfruttando le correnti termali calde, scese sobbalzando sulle sacche di aria fredda, conseguenze nell'atmosfera della furia di Brood, e atterrò con un lieve tonfo davanti alla tenda dell'Alto Comandante. L'interno era buio. Gracchiando piano, Crone saltellò sotto il telo d'ingresso, socchiuso. «Non una parola riguardo al mio scatto d'ira», tuonò Brood, dal buio. Il Grande Corvo inclinò la testa verso il giaciglio, su cui Brood sedeva con la testa fra le mani. «Come desideri», mormorò. «Sentiamo il tuo rapporto.» «Prima di tutto, Anomander Rake c'è riuscito, la Progenie della Luna è passata senza essere vista, e adesso... si nasconde. I miei figli stanno setacciando dall'alto le terre del Veggente Pannion, ma non solo i loro occhi sono stati testimoni di ciò che essa nasconde. Io stessa ho visto...» «Rimanda a dopo i dettagli. La Progenie della Luna è in posizione. Bene. Sei volata a Capustan, come ti ho chiesto?» «Sì, e ho assistito al primo giorno e alla prima notte di battaglia.» «La tua valutazione, Crone?» «La città non reggerà, anche se non per colpa dei difensori. Il nemico è troppo numeroso.» «Forse avremmo dovuto rivedere la scelta di Dujek riguardo ai Moranth Neri...» grugnì Brood. «Anche loro sono in posizione, esattamente dove li voleva Un-braccio.» Crone esitò, fissando Brood, poi: «C'è un dettaglio insolito, Alto Comandante. Vuoi sentirlo?». «Dimmi.» «Il Veggente conduce una guerra nel sud.» Brood sollevò la testa di scatto. «Sì», annuì Crone. «I miei figli hanno visto armate del Dominio in rotta che si ritiravano verso nord, dirette a Outlook. Il Veggente ha scatenato magie formidabili contro un nemico ignoto. Fiumi e mari di ghiaccio, un freddo intenso, venti e tempeste: era da molto tempo che non vedevo usare quel particolare canale.» «Omtose Phellack, il Canale degli Jaghut.» «Infatti. Alto Comandante, sembri meno sorpreso di quanto mi aspettassi.» «La guerra nel lontano sud mi sorprende davvero, Crone.» Alzandosi, Brood si avvolse in una coperta di pelliccia e prese a camminare per la tenda. «L'Omtose Phellack... no, questo non mi sorprende.» «Quindi il Veggente non è ciò che sembra.»
«Evidentemente no. Rake e io avevamo dei sospetti...» «Se lo avessi saputo», scattò Crone, «avrei esaminato più attentamente la situazione a Outlook. La vostra prudenza ci danneggia tutti». «Non avevamo prove, Crone, e poi la tua pelle piumata è troppo preziosa per rischiare che ti avvicini troppo alla fortezza di un nemico ignoto. Dimmi, il Veggente è sempre a Outlook?» «I miei simili non hanno potuto accertarlo. Ci sono condor nell'area, e non hanno apprezzato la nostra presenza.» «Perché semplici uccelli dovrebbero causarti problemi?» «Non sono così semplici. Sì, gli uccelli mortali sono poco più che lucertole con le piume, ma questi condor erano più rettili degli altri.» «Gli occhi del Veggente?» «È possibile.» «Questo potrebbe causare problemi.» Crone scrollò le ali. «Hai un po' di carne? Ho fame.» «Nella fossa dei rifiuti, dietro la tenda, ci sono i resti della carne di capra della cena.» «Cosa? Vorresti che mangiassi in una fossa dei rifiuti?» «Perché no, Crone? Sei un dannato corvo.» «Indignazione! Ma se è tutto quello che c'è...» «Lo è.» Chiocciando per contenere l'ira, Crone saltellò verso il retro della tenda. «Prendimi a esempio, in futuro», disse, insinuandosi sotto la stoffa. «Cosa vuoi dire?» chiese Brood, alle sue spalle. Crone infilò la testa all'interno, il becco aperto in una silenziosa risata, poi replicò: «Io ho forse perso il controllo?». Brood avanzò ringhiando, e il Grande Corvo fuggì stridendo. CAPITOLO SEDICESIMO Il Primo Figlio del Seme Morto sogna del respiro di morte del padre e ode in un eterno ritornello l'urlo intrappolato nei suoi polmoni... Oseresti guardare dietro i suoi occhi anche per un solo momento? Il Primo Figlio del Seme Morto
guida un esercito di dolore lungo la strada di ossa spolpate dalla fame dove una madre danza e canta... Oseresti seguire i suoi passi e stringere con affetto la sua mano? Il Primo Figlio del Seme Morto è avvolto nella ferraglia di un'armatura fallita che lo ha difeso dal momento della nascita attraverso anni di nefasti insegnamenti... Non osare giudicarlo con durezza se non vuoi trovarti nei suoi panni. Silba dal Cuore Infranto K'alass I Tenescowri si abbatterono contro ogni muro della città come una vera e propria onda di marea che si levò e si riversò oltre, una massa di umanità resa folle dalla fame. Le barricate delle porte tremarono sotto quella pressione, poi cedettero. E Capustan fu sommersa. A quattrocento passi dagli alloggiamenti, Itkovian fece girare il cavallo sporco di sangue, circondato da figure che cercavano di artigliare i fianchi corazzati dell'animale che, con fredda furia, calò ripetutamente gli zoccoli, frantumando ossa, toraci e teste. Tre Falangi delle Spade Grigie circondavano l'Incudine-Scudo, isolate insieme a lui sulla collinetta del cimitero delle colonne, lontano dagli alloggiamenti; la maggior parte delle bare verticali era stata rovesciata, le ossa corrose sparse in mezzo ai corpi dei caduti. Itkovian poteva vedere le porte degli alloggiamenti, contro cui era ammucchiata una massa di cadaveri tale da poter essere scalata, il che era ciò che stavano facendo decine di Tenescowri. S'inerpicavano verso i bastioni laterali soltanto per essere trafitti dalle lame seghettate delle picche, che uccidevano e ferivano quei contadini senza che essi neppure tentassero di difendersi, saettando avanti e indietro, decorate da stendardi di sangue e di intestini. Itkovian non aveva mai visto nulla di tanto orribile. Nonostante tutte le battaglie, tutti i terrori e i pericoli che un soldato come lui non poteva non
aver affrontato, quello spettacolo cancellava ogni altra cosa dalla sua mente. Mentre i contadini abbattuti rotolavano giù lungo la montagna di corpi, molte donne si lanciavano addosso agli uomini morenti, strappavano loro gli abiti e li violentavano, in mezzo al sangue e alle urla. E intorno a quella massa di morti e di moribondi, altri si nutrivano dei loro compagni. Due incubi paralleli. Itkovian non avrebbe saputo dire quale lo sconvolgesse di più. Il sangue gli scorreva gelido nelle vene e sapeva, con timore sconfinante nel panico, che l'assalto era appena cominciato. Un'altra ondata si chiuse intorno all'impotente banda di Spade Grigie, isolate nel cimitero. Su ogni lato, le ampie strade e i viali erano intasati di Tenescowri frenetici, tutti gli sguardi erano fissi su Itkovian e sui suoi soldati, innumerevoli mani si protendevano verso di loro anche da lontano, artigliando fameliche l'aria. Serrando gli scudi, le Spade Grigie riformarono un irregolare quadrato intorno all'Incudine-Scudo. Itkovian sapeva benissimo che sarebbero stati sommersi, come pochi momenti prima, e che il quadrato sarebbe riemerso dalla marea di corpi, se solo i suoi soldati silenziosi fossero riusciti a ripetere la precedente impresa. Si sarebbe aperto un varco, mentre il nemico veniva respinto e una nuova collina fatta di carne e di ossa veniva scalata. Quanto a lui, se fosse rimasto in sella, avrebbe potuto calare la spada da ogni lato, uccidendo chiunque gli arrivasse a tiro, con la certezza che gli avversari feriti sarebbero stati finiti dagli zoccoli della cavalcatura. Prima di allora non aveva mai seminato una simile strage, ed essa lo nauseava, gli riempiva il cuore di un odio divorante... verso il Veggente, che aveva fatto una cosa simile al suo stesso popolo, e verso l'Eptarca Kulpath, per la fredda crudeltà con cui aveva inviato quei contadini impotenti contro un esercito disperato. E il fatto che più lo faceva infuriare era che quella tattica stava avendo successo, anche se a un prezzo inimmaginabile. Con un ruggito, i Tenescowri attaccarono ancora. I primi a raggiungere il quadrato furono fatti a pezzi: barcollanti, urlanti, vennero tirati indietro dai loro compagni, in mezzo a una calca divoratrice ancor più feroce del nemico che avevano affrontato in prima linea. Altri li sostituirono, andando incontro a una sorte identica, ma altri ancora si fecero avanti, arrampicandosi sulla schiena di quanti avevano dinanzi, mentre chi era più indietro faceva lo stesso con loro. Per un istante, Itkovian con-
templò un muro a tre livelli fatto di selvaggia umanità, poi esso collassò in avanti, seppellendo le Spade Grigie. Il quadrato si piegò sotto quel peso, le armi s'impigliarono, gli scudi vennero abbassati, gli elmi furono strappati via, e Itkovian vide sangue ovunque. Alcune figure si muovevano su quella superficie sobbalzante, mannaie, coltelli e accette che colpivano alla cieca, ma Itkovian era il loro bersaglio ultimo, e lo sapeva, quindi preparò la spada a due mani e lo scudo. Una lieve alterazione della pressione delle gambe fece sì che il cavallo prendesse a girare su se stesso, la testa bassa a difendere la gola; l'armatura che gli proteggeva la fronte, il collo e il petto era già ammaccata e insanguinata, gli zoccoli battevano il terreno, impazienti di colpire carne umana. Il primo contadino arrivò a tiro: Itkovian calò la spada, guardò la testa volare lontano dal corpo che si accasciava con un sussulto; intanto, il cavallo scalciò con gli zoccoli posteriori, fracassando qualcosa, poi si arrestò e s'impennò, abbattendo una donna urlante con gli zoccoli anteriori. Un altro Tenescowri cercò di afferrare le zampe dell'animale, ma Itkovian si protese in avanti e gli calò la spada sulla schiena, troncandogli la colonna vertebrale. Quindi il cavallo ruotò, scagliando via il cadavere con le zampe, abbassò la testa di scatto e serrò i denti sulla testa sporca e arruffata di un contadino, trapassando le ossa e asportando un pezzo di cuoio capelluto e di cranio. Altre mani artigliarono la coscia di Itkovian, sul lato dello scudo, ma lui si torse sulla sella e con la spada fendette una spalla. L'assalitore barcollò all'indietro, sanguinante. Il cavallo scalciò ancora, morse, calpestò e girò su se stesso, ma adesso le mani, la pressione e il peso dei contadini erano da ogni lato. La spada di Itkovian saettava alla cieca di qua e di là, senza mai ricadere a vuoto. Qualcuno si arrampicò sulla groppa dell'animale, alle sue spalle, e lui inarcò la schiena, protendendo la mano sopra la testa, calando dietro di sé la punta della lama, che attraversò pelle e carne, scivolò lungo le costole e penetrò in un ventre nemico. Un fiotto di bile e di sangue inondò il retro della sella e la figura scivolò via. Un secco comando fece abbassare la testa al cavallo, e Itkovian protese la spada in un fendente orizzontale, falcidiando assalitori lungo tutta la traiettoria; poi il cavallo ruotò, e Itkovian invertì la traiettoria del fendente, ripetendo la manovra alla rotazione successiva.
In quel modo, uomo e bestia descrissero un cerchio completo, infliggendo ferite spaventose, e intanto attraverso la visiera dell'elmo, Itkovian raccolse immagini frammentarie di quanto accadeva su ogni lato. Le sue Spade Grigie non si sarebbero rialzate, non questa volta. Non riusciva a vedere una sola sopravveste familiare, e i Tenescowri gli si stavano chiudendo intorno da ogni lato, mentre sotto di lui c'era uno strato di corpi alto quasi due metri. Da qualche parte, sotto quella superficie sussultante, c'erano i suoi soldati, sepolti vivi, morenti o forse già morti. Lui e il suo cavallo erano il solo punto focale per centinaia di occhi avidi e disperati. Picche sottratte ai difensori venivano passate ai contadini più vicini a lui: entro poco tempo quelle lunghe armi avrebbero cominciato a protendersi da ogni lato, e contro di esse l'armatura di Itkovian e del suo cavallo non sarebbero state sufficienti. Zanne Gemelle, sono tuo, fino a questo, che è l'ultimo momento. «Va'!» Il cavallo da guerra stava aspettando quel comando e scattò in avanti, fendendo la calca con zoccoli, petto e spalle, mentre Itkovian lavorava di spada su entrambi i lati. Sagome vaghe barcollarono e scomparvero sotto gli zoccoli, numerose picche si protesero verso di lui, scivolando sulla corazza o sullo scudo; quelle alla sua destra, le allontanò invece con la spada. Qualcosa lo colpì alla base della schiena, spezzando gli anelli della cotta di maglia e attraversando l'imbottitura di cuoio. Un dolore lancinante lo assalì quando una punta seghettata gli trapassò la pelle e strisciò contro le costole, vicino alla colonna vertebrale. Nello stesso momento il cavallo nitrì e incespicò, il lato destro del petto trafitto da un'altra picca, poi barcollò verso sinistra e abbassò la testa, addentando l'asta dell'arma. Qualcuno balzò sullo scudo di Itkovian, calando al di là di esso un'accetta da boscaiolo, la cui lama a cuneo si conficcò in profondità fra le spalle e il collo dell'Incudine-Scudo, rimanendovi incastrata. Itkovian colpì il contadino in piena faccia con la spada, attraversandogli le guance, poi impresse una torsione alla lama, il proprio volto a pochi centimetri da quello della sua giovane vittima mentre essa ricadeva all'indietro gorgogliando. Poteva avvertire il peso della testa di picca ancora conficcata nella schiena, la sentiva ticchettare contro il dorso corazzato del cavallo che sussultava e barcollava.
Un coltello da pescatore gli si conficcò nell'incavo del ginocchio sinistro, penetrando fino all'articolazione. Debolmente, Itkovian abbassò lo scudo, respingendo a stento l'assalitore con il suo bordo inferiore: la sottile lama di coltello si spezzò, una decina di centimetri ancora piantati nel ginocchio, dove stava tranciando tendini e cartilagine; ben presto lo spazio fra il polpaccio e l'imbottitura che lo riparava si riempì di sangue. Itkovian non avvertiva dolore, la sua mente era permeata di una brutale chiarezza: adesso, in quel momento estremo, il suo dio era con lui, e con il coraggioso, indomito cavallo da guerra sotto di lui. I sobbalzi laterali dell'animale cessarono quando esso infine estrasse la picca e si raddrizzò nonostante il sangue che ora gli fiottava sul petto, poi il cavallo balzò in avanti, schiacciando sotto di sé una quantità di corpi, scalciando, colpendo e aprendosi così un varco verso quello che sembrava - impossibilmente - un viale sgombro, un luogo dove si scorgevano solo corpi immoti. Comprendendo infine cosa stesse vedendo, Itkovian rinnovò i Propri sforzi. Su tutti i lati, il nemico si stava disperdendo, urla e clangore metallico gli echeggiavano selvaggi nell'elmo. Un momento più tardi, il cavallo emerse dalla calca e s'impennò, non per l'ira ma per il trionfo. Assalito infine dalla sofferenza, Itkovian si accasciò sul collo dell'animale, attanagliato da un dolore di cui non aveva mai conosciuto l'uguale. La picca era ancora conficcata nella schiena, la lama spezzata era piantata a fondo nel ginocchio sinistro e l'accetta era affondata nei resti fratturati della clavicola. Serrando la mascella, Itkovian riuscì a placare le sgroppate della cavalcatura e a farla girare ancora una volta verso il cimitero, dove vide, con incredulità, le Spade Grigie che si scavavano con la spada un varco per emergere da sotto i corpi che le avevano ricoperte, emergendo come da un tumulo, silenziose come spettri, i movimenti irregolari e meccanici, quasi stessero affiorando da un orribile incubo. I soldati visibili erano soltanto una decina, ma Itkovian non si era aspettato di rivedere neppure quelli. Un rumore di passi lo indusse a cercare di mettere a fuoco lo sguardo sulle figure che lo stavano circondando: Spade Grigie, con le sopravvesti lacere e sporche, e i volti erano quelli delle giovani reclute Capan. Poi sopraggiunse la Spada Mortale, in sella a un cavallo degno di quello di Itkovian: Brukhalian, i capelli neri arruffati e insanguinati, la sacra spada di Fener stretta nella mano guantata. Sollevando la visiera, guardò verso
Itkovian. «Signore, chiedo scusa per essere in ritardo», disse, affiancandogli. Alle sue spalle, Karnadas si stava affrettando a venire avanti, e il suo volto, per quanto teso e pallido quanto quello di un cadavere, sembrò bellissimo a Itkovian. «Destriant!» annaspò, barcollando sulla sella. «Il mio cavallo... i miei soldati...» «Fener è con me, signore», replicò Karnadas, con voce tremante, «e quindi posso soddisfarvi». Poi il mondo si oscurò, e Itkovian avvertì di colpo delle mani sotto di sé, come se fosse caduto nel loro abbraccio. I suoi pensieri si fecero vaghi... il mio cavallo... i miei soldati... poi svanirono nell'oblio. I Tenescowri abbatterono le fragili imposte, penetrarono nelle stanze sovrastanti il piano terreno, scivolando lungo il tunnel di corpi ammucchiati che un tempo era stato la tromba delle scale. Le zanne d'acciaio di Gruntle non erano più affilate, ma erano intaccate qua e là, più simili ora a randelli nelle sue mani; lui però controllava il corridoio principale e stava creando lentamente, con metodo, barricate di carne morta e ossa infrante. Nessuna traccia di stanchezza gli appesantiva le braccia o gli offuscava la mente, il suo respiro era costante, appena più profondo del solito; i suoi avambracci erano segnati da uno strano disegno di chiazze di sangue, a strisce irregolari, e nel seccare il sangue pareva penetrare nella pelle, ma lui non vi badava. C'erano dei Seerdomin sparsi qua e là in mezzo alla marea umana dei Tenescowri, probabilmente trascinati dalla massa contro la loro volontà, e Gruntle abbatteva i contadini per arrivare fino a loro: quello era il suo solo desiderio, raggiungerli e ucciderli, il resto era una seccatura, un irritante intralcio, un ostacolo a ciò che voleva. Se avesse visto il proprio volto, non l'avrebbe quasi riconosciuto: strisce nere si diramavano dagli occhi e dalle guance barbute, sfumature ambrate striavano la barba stessa e gli occhi erano del colore dell'erba della prateria disseccata dal sole. Adesso la sua milizia era forte di un centinaio di effettivi, figure silenziose che erano come un'estensione della sua volontà e che guardavano a lui con reverenziale meraviglia, senza fare domande. I loro volti splendevano quando lui li guardava, ma Gruntle non si chiese neppure il perché di questo fenomeno, non si rese conto che quel chiarore era il riflesso della
pallida e tuttavia intensa luce dei suoi occhi. Gruntle era soddisfatto, perché stava restituendo ciò che era stato fatto a Stonny, che al fianco del suo comandante in seconda, quel piccolo e nervoso soldato Lestari, era impegnata a difendere la scala posteriore del caseggiato. Si erano incontrati una volta soltanto, ore prima, appena dopo essersi ritirati nell'edificio, e vederla lo aveva sconvolto, lo aveva ferito in un angolo profondo del suo intimo, dandogli l'impressione di essere stato svegliato di colpo: era come se per tutto quel tempo la sua anima se ne fosse stata raggomitolata dentro di lui, nascosta e silenziosa, mentre adesso una forza ignota e implacabile governava i suoi arti e gli infuocava il sangue. Stonny era ancora devastata, la sua maschera di spacconeria strappata via a rivelare un viso umano, dolorosamente vulnerabile, ferito nel profondo del cuore. Quella constatazione aveva generato un riaffiorare in Gruntle del freddo desiderio di vendetta: lei era un debito che aveva appena cominciato a pagare, e indipendentemente da ciò che l'aveva turbata quando si erano rivisti, qualsiasi cosa fosse, Stonny aveva senza dubbio compreso il suo feroce desiderio. Una reazione comprensibile, sconcertante soltanto nella misura in cui meritava di esserlo. Il decrepito, antico caseggiato Daru ospitava ora una tempesta di morte, sferzanti venti d'ira, terrore e agonia che si contorcevano ribollenti in ogni corridoio, in ogni stanza, per quanto piccola, in un flusso violento e senza sosta. Esso corrispondeva in ogni dettaglio al mondo della mente di Gruntle, quello chiuso nei confini del suo cranio. Non esistevano contraddizioni fra la realtà del mondo esterno e quella del suo paesaggio interiore, una verità che sfidava ogni comprensione e che poteva essere colta solo a livello istintivo, una viscerale intuizione intravista da meno di una manciata dei suoi seguaci, fra cui il tenente Lestari. Gruntle sapeva di essersi addentrato in un luogo in cui non c'era sanità mentale, sapeva, in qualche modo, che adesso lui e la sua milizia esistevano più nella sua stessa mente che nel mondo concreto: combattevano con un talento che non avevano mai posseduto, non si stancavano, non urlavano, non gridavano, non impartivano comandi chiari e forti, né lanciavano grida rincuoranti. Non erano necessarie, in realtà, perché nessuno accennava a cedere, quelli che morivano venivano rimpiazzati da combattenti silenziosi come automi. Nei corridoi del piano terra, lo strato di cadaveri arrivava all'altezza del
petto, in alcune stanze non si poteva nemmeno più entrare e il sangue scorreva fra quei corpi pressati come un fiume carminio che fluisse sotto la superficie, filtrando in mezzo a nascosti strati di ghiaia, a banchi di sabbia e a massi sepolti... filtrando, in quello spaventoso edificio, intorno a ossa e carne, armature e stivali, sandali e armi ed elmi, con un fetore da fogna, denso come sul tavolo di un chirurgo. Infine gli assalitori indietreggiarono barcollando, si ritirarono lungo le scale quasi intasate o uscirono dalle finestre. Altre migliaia erano in attesa all'esterno, ma la ritirata impediva ogni accesso e questo creò un momento di tregua dentro l'edificio. Un po' stordito e barcollante, il tenente Lestari risalì a fatica il corridoio principale per raggiungere Gruntle; le braccia striate del suo signore brillavano, la lama delle scimitarre era di un bianco giallastro che le rendeva simili a vere zanne, e il volto che lui girò verso il Lestari risultò selvaggiamente felino. «Ora dobbiamo cedere questo piano», affermò Gruntle, scuotendo via il sangue dalle scimitarre. I resti frammentati di alcuni Seerdomin lo circondavano, guerrieri letteralmente fatti a pezzi nonostante l'armatura. «Non abbiamo più spazio di manovra», annuì il tenente. Gruntle scrollò le spalle massicce. «Sopra di noi ci sono altri due piani, poi il tetto.» I loro sguardi s'incontrarono per un lungo momento, e il tenente si sentì raggelare e insieme entusiasmare da ciò che vide nelle fessure verticali delle pupille di Gruntle. Un uomo da temere... un uomo da seguire... un uomo da amare. «Tu sei la Spada Mortale di Trake», disse infine. Il grosso Daru si accigliò. «Stonny Menackis?» chiese. «Ha riportato solo lievi ferite, capitano, e si è portata sul pianerottolo successivo.» «Bene.» Trasportando sacchi di viveri e di bevande, i membri della milizia stavano convergendo in risposta a un ordine inespresso, come era successo tutte le altre volte che era stata eseguita quella manovra. Il Lestari vide che più di venti di loro erano caduti in quell'ultimo scontro. Ne perdiamo così tanti a ogni piano. Quando arriveremo al tetto saremo ridotti ad appena una ventina, ma dovrebbe essere un numero più che sufficiente per difendere una singola botola, in attesa della Notte Finale dell'Abisso. I silenziosi seguaci di Gruntle stavano raccogliendo le armi ancora utilizzabili, pezzi di armatura, soprattutto dei Seerdomin. Con occhi opachi, il
Lestari osservò una donna Capan raccogliere una mano guantata recisa al polso da una delle scimitarre di Gruntle, estrarre con calma l'arto dal guanto di scaglie metalliche e indossarlo. Camminando sui corpi, Gruntle si avviò verso le scale. Era tempo di ritirarsi al livello successivo, tempo di assumere il controllo delle stanze esterne, con le loro fragili imposte, delle scale centrali e di quelle posteriori. Tempo di ficcare altre anime giù per la gola intasata di Hood. Arrivato alle scale, Gruntle batté una contro l'altra le scimitarre. Fuori rispose una rinnovata marea di rumore. In sella al massiccio cavallo da guerra coperto di sudore, Brukhalian osservò i chirurghi agli ordini del Destriant trascinare Itkovian, che respirava a stento, verso un vicino edificio che per una campana o due sarebbe servito come ospedale. Karnadas stesso, attingendo ancora una volta al suo infettato Canale di Denul, aveva arrestato il sangue che usciva dal petto del cavallo dell'Incudine-Scudo. Le Spade Grigie superstiti che erano nel cimitero venivano aiutate a districarsi dagli uomini della Spada Mortale. Anche fra loro c'erano ferite da curare, ma quelle letali avevano già dimostrato di essere tali, e altri soldati stavano rimuovendo i cadaveri nella frenetica ricerca di eventuali superstiti. I chirurghi che trasportavano Itkovian si trovavano ora di fronte alla necessità di rimuovere le lame che lo avevano trafitto e che, rimanendo nelle ferite, gli avevano probabilmente salvato la vita. Karnadas sarebbe stato loro accanto durante l'operazione chirurgica, per arrestare l'emorragia che si sarebbe verificata quando ciascuna arma fosse stata estratta. Lo sguardo duro di Brukhalian seguì il Destriant mentre questi si avviava barcollando per raggiungere i chirurghi. Karnadas si era spinto troppo oltre, aveva attinto troppo al suo canale, e troppo spesso, e adesso il suo corpo era avviato a una resa irreversibile. Le articolazioni delle braccia apparivano illividite, segno che nel suo corpo le vene e le arterie erano crivellate di buchi come un formaggio e che l'emorragia di sangue nei muscoli e negli organi era sempre più massiccia. Il fluire di Denul stava disintegrando tutto ciò attraverso cui scorreva: il corpo del sacerdote stesso che, Brukhalian ne era certo, sarebbe morto prima dell'alba. E tuttavia, prima di allora, Itkovian sarebbe stato risanato, per quanto brutalmente, senza considerazione per il trauma mentale che accompagnava qualsiasi ferita, e avrebbe ripreso il comando... ma non come l'uomo
che era stato. La Spada Mortale era un uomo duro, la valutazione della sorte dei suoi amici era fatta senza emozione: tutto era come doveva essere. Raddrizzandosi sulla sella, esaminò l'area circostante per valutare la situazione. L'attacco contro gli alloggiamenti era stato respinto, i Tenescowri erano in fuga su ogni lato e i soli ancora visibili erano morti. Brukhalian sapeva bene che la situazione non era però uguale altrove, e che le Spade Grigie erano state praticamente annientate come esercito organizzato. Senza dubbio esistevano sacche di resistenza, ma poche e isolate: Capustan era caduta. Un messaggero a cavallo sopraggiunse da nordovest, superando a grandi balzi i cadaveri che costellavano il viale, per poi rallentare nell'avvicinarsi alla Spada Mortale, fermandosi davanti a lui in risposta a un suo cenno. «Signore!» annaspò il messaggero, una giovane donna Capan. «Porto notizie di Rath'Fener! Un messaggio, che mi è stato passato da un accolito!» «Sentiamolo.» «Il Thrall è sotto attacco! Rath'Fener invoca l'Ottavo Comando del Reve. Dovete andare in suo aiuto con tutti gli uomini ai vostri ordini. Rath'Fener s'inginocchia dinanzi agli zoccoli... dovete essere le Zanne Gemelle della sua ombra e di quella di Fener!» «Questo accolito», osservò Brukhalian, perplesso, «ha lasciato il Thrall per trasmettere la sacra invocazione del suo sacerdote. Come ci è riuscito, considerata la magia protettiva che circonda l'edificio?». «Non lo so, signore», ammise la giovane donna, scuotendo il capo. «E qualcuno ti ha ostacolata mentre attraversavi la città per venire qui?» «Non ho incontrato nessun essere vivente, signore.» «Puoi spiegare questa stranezza?» «No, signore, non posso. Forse è stata la fortuna di Fener.» Brukhalian scrutò la donna per un altro momento. «Recluta, vuoi unirti a noi nella nostra missione di soccorso?» chiese infine. La donna parve interdetta, ma poi annuì lentamente. «Ne sarò onorata, Spada Mortale.» La risposta di Brukhalian fu un rude, sommesso sussurro che accentuò l'evidente sconcerto della donna. «Lo sono anch'io», replicò, poi abbassò la visiera e si girò verso i suoi soldati. «L'Undicesima Falange rimarrà con il Destriant e i suoi chirurghi!» ordinò. «Le rimanenti compagnie marceranno con me verso il Thrall! Rath'Fener ha invocato il Reve, e noi dobbiamo
rispondere!» Smontando di sella, porse quindi le redini del cavallo da guerra al messaggero, e aggiunse: «Ho cambiato idea. Devi rimanere qui, a guardia del mio destriero. Inoltre, quando si sveglierà, riferisci le mie disposizioni all'Incudine-Scudo». «Le vostre disposizioni, signore?» «Presto lui le saprà, recluta.» La Spada Mortale si volse di nuovo a fronteggiare le sue truppe che attendevano in fila, quattrocento Spade Grigie, forse le ultime ancora in vita. «Signori, siete pronti?» chiese. «Pronti a tentare, signore», replicò un ufficiale veterano. «Cosa vuoi dire?» «Dobbiamo attraversare mezza città, signore. Non ce la faremo.» «Tu supponi che la nostra marcia verso il Thrall verrà ostacolata, vero, Nilbanas?» Il veterano si accigliò e non rispose. Brukhalian allungò la mano verso lo scudo, che era in attesa al suo fianco, sorretto da un aiutante di campo. «Io vi guiderò», disse. «Mi seguirete?» Ogni soldato annuì, e la Spada Mortale vide affiorare su quei volti una consapevolezza a cui lui era già giunto: non ci sarebbe stato ritorno da quella marcia. Alcune correnti, lo sapeva, non potevano essere contrastate. Approntato sul braccio sinistro il grande scudo a piastre di bronzo, assestò la presa sull'impugnatura della spada sacra e si avviò, seguito dalle Spade Grigie, scegliendo la via più diretta senza rallentare il passo neppure nell'attraversare piazze scoperte e cosparse di cadaveri. Da ogni parte giungeva un rombo di umanità in movimento, isolati suoni di lotta, il fragore di edifici in fiamme che crollavano e il ruggito degli incendi incontrollati, e nelle strade lo strato di cadaveri arrivava alle ginocchia: scene degne della fossa infernale di Hood si snodarono davanti alla colonna in marcia, simili allo srotolarsi di un arazzo intessuto da un folle artigiano dall'anima torturata. Ma nessuno cercò di ostacolarli. Quando si avvicinarono al Thrall, il veterano accelerò l'andatura per affiancarsi a Brukhalian. «Signore, ho sentito le parole del messaggero.» «Ne sono consapevole, Nilbanas.» «Non poteva essere stato mandato davvero da Rath'Fener...» «Invece sì, signore.» «Allora il sacerdote ci ha traditi!»
«Sì, vecchio amico, ci ha traditi.» «Ha dissacrato il Reve più segreto di Fener! Per le Zanne Gemelle, signore...» «Le parole del Reve sono più grandi e potenti di lui, Nilbanas, esse appartengono a Fener.» «Ma lui le ha distorte per volgerle al male, signore! Non dovremmo obbedire!» «Il crimine di Rath'Fener sarà punito, ma non da noi.» «Al prezzo delle nostre vite?» «Senza la nostra morte, signore, non ci sarebbe crimine, e quindi neppure un'adeguata punizione.» «Spada Mortale...» «Siamo comunque condannati, amico mio, ma adesso, in questo modo, scegliamo di dare un significato alla nostra morte.» «Ma... ma lui cosa può ottenere? Tradire il suo stesso dio...» «Senza dubbio, di salvarsi la vita, almeno per il momento», spiegò Brukhalian, con un cupo sorriso. «Se la magia protettiva del Thrall dovesse cedere, se il Consiglio Mascherato dovesse essere catturato, in questo modo gli sarebbero risparmiati gli orrori che attendono gli altri sacerdoti, e lui lo ritiene uno scambio vantaggioso.» «E così Fener permette che le sue stesse parole assumano il peso del tradimento», osservò il veterano, scuotendo il capo. «Quanto sarà nobile il suo Aspetto Bestiale, quando finalmente metterà Rath'Fener con le spalle al muro?» «Non sarà il nostro dio a infliggere la punizione, Nilbanas. Hai ragione, lui non potrebbe farlo in piena coscienza, perché questo è un tradimento che lo ferisce profondamente, lo indebolisce e lo rende vulnerabile a conseguenze fatali.» «Chi sarà allora la nostra mano vendicatrice, Brukhalian?» chiese l'uomo, quasi singhiozzando. Se possibile, il sorriso della Spada Mortale si fece ancora più cupo. «Senza dubbio, in questo momento l'Incudine-Scudo sta riprendendo conoscenza. Fra breve sentirà il rapporto del messaggero e comprenderà. Nilbanas, la nostra mano vendicatrice sarà Itkovian. Come ti senti adesso, vecchio amico?» Il soldato proseguì in silenzio per una mezza dozzina di passi: ora davanti a loro c'era l'ampio viale antistante le porte del Thrall. «Sono calmo, signore», rispose poi, con profonda soddisfazione. «Sono calmo.»
Brukhalian batté la spada contro lo scudo, generando lungo la lama nere fiamme crepitanti. «Circondano il viale che abbiamo davanti. Vogliamo imboccarlo?» «Sì, signore, con gioia.» La Spada Mortale e i suoi quattrocento uomini avanzarono nello spiazzo, senza esitare quando su tutti i lati le imboccature delle strade e dei vicoli circostanti si riempirono delle truppe scelte dell'Eptarca Kulpath - Urdomen, Seerdomin e Betakliti - inclusa quella del viale da cui erano giunti. Numerosi arcieri apparvero sui tetti e le centinaia di Seerdomin che giacevano davanti alle porte del Thrall, fingendosi morti, si rialzarono con le armi spianate. «Patetici», sbuffò Nilbanas, accanto a Brukhalian. «L'Eptarca si ritiene astuto», replicò la Spada Mortale, con una risata che venne udita da tutti. «E ci considera degli stupidi vincolati dall'onore.» «Già, il che è ciò che siamo, non credi, vecchio amico?» Nilbanas sollevò la spada con un ruggito di trionfo e, roteandola sulla testa, prese a vorticare in una danza di sfida, mentre le Spade Grigie univano gli scudi a formare un muro intorno alla Spada Mortale, preparandosi alla loro ultima battaglia, nel centro del viale. Il veterano rimase fuori dal quadrato e continuò a volteggiare e a ruggire, la spada levata. Cinquemila Pannion e lo stesso Eptarca lo fissarono con incredula meraviglia, profondamente allarmati dal bestiale martellare dei suoi piedi sull'acciottolato, poi Kulpath si riscosse con un ringhio silenzioso e sollevò la mano guantata, abbassandola di scatto. L'aria del viale si fece nera di frecce quando millecinquecento archi vibrarono all'unisono. Itkovian avvertì quella vibrazione e spalancò gli occhi di scatto, assalito da una visione che pervase la sua consapevolezza, escludendo ogni altra cosa. In essa, vide le frecce dalla punta uncinata abbattersi sul quadrato di scudi delle Spade Grigie, vide i soldati barcollare e accasciarsi ovunque i dardi riuscivano a trovare un varco. Trafitto da oltre cento frecce, Nilbanas ruotò un'ultima volta su se stesso in una nebbia di gocce di sangue e crollò al suolo. Poi le masse ruggenti dei soldati Pannion si riversarono nel viale e si abbatterono sulle Spade Grigie, mentre esse si stavano ancora sforzando di
chiudere le falle createsi nelle loro file: il quadrato venne infranto e la battaglia divenne una strage. Ancora in piedi, la Spada Mortale stava roteando la spada pervasa di fuoco nero. Crivellato di frecce, si ergeva come un gigante in mezzo a una massa di bambini feroci, e continuava a combattere. Le picche lo trafissero da ogni parte, sollevandolo da terra, ma lui calò la spada sulle aste, tranciandole, e ricadde a terra fra i cadaveri che si contorcevano. Itkovian vide un'ascia a lama doppia troncare il braccio sinistro di Brukhalian all'altezza della spalla, da cui scaturì un fiotto di sangue, mentre l'arto reciso e appesantito dallo scudo cadeva al suolo, contraendosi all'altezza del gomito come la zampa di un insetto. Il massiccio guerriero si piegò sulla destra e altre picche gli affondarono nel torace. La sua presa sulla spada però non si allentò e la lama ardente continuò a spargere verso l'esterno la propria fiamma divoratrice, incenerendo chiunque colpiva fra urla che laceravano l'aria. Gli Urdomen si fecero avanti con le loro spade corte e presero a colpire; gli intestini della Spada Mortale s'impigliarono nella punta di una lama e si snodarono dal suo ventre come un serpente. Un'altra ascia si abbatté sulla testa di Brukhalian, spaccando in successione l'elmo di ferro nero, il cranio e il volto del guerriero. La spada ardente esplose con un bagliore scuro e i suoi frammenti abbatterono altri Pannion. Il cadavere della Spada Mortale di Fener barcollò per un momento ancora in posizione eretta, crivellato di ferite e quasi senza testa, poi si accasciò lentamente in ginocchio incurvando la schiena, uno spaventapasseri impalato da una decina di picche e da innumerevoli frecce. Il corpo rimase in ginocchio, immobile nell'ombra sempre più fitta del Thrall, mentre i Pannion si ritiravano lentamente su ogni lato - la furia della battaglia ora estinta e sostituita da qualcosa di silenzioso e di spaventoso - per fissare quella cosa massacrata che era stata Brukhalian e l'alta apparizione quasi priva di sostanza che si stava materializzando davanti a essa: una figura ammantata di nero, incappucciata, le mani nascoste nelle lacere pieghe delle ampie maniche. Hood, Re dell'Alta Casa della Morte, venuto di persona ad accogliere l'anima di quell'uomo. Perché? Il Signore della Morte svanì un momento più tardi, ma ancora nessuno si
mosse, e intanto prese a cadere una pioggia battente. L'acqua si mescolò al sangue che macchiava l'armatura nera, tingendo di lucido carminio gli anelli della cotta di maglia. Un altro paio di occhi stava condividendo la visione interiore di Itkovian, occhi che lui conosceva bene. Con fredda soddisfazione, nella propria mente l'Incudine-Scudo si rivolse all'altro testimone, con l'assoluta certezza che le sue parole fossero udite. Ti tengo, Rath'Fener. Sei mio, traditore. Mio. Zigzagando fra le nubi temporalesche sferzate dal vento, il falco sentì le gocce di pioggia percuotergli come chiodi le ali distese e la coda allargata; nella città sottostante, vivide lingue di fiamma brillavano fra i grigi edifici anneriti. La giornata si stava avviando al termine, ma l'orrore non aveva fine. La mente di Buke era intorpidita da tutti gli orrori di cui era stato testimone, e la distanza che la sua forma Soletaken gli permetteva di mantenere da essi non gli dava sollievo, perché la sua vista era decisamente troppo acuta. Giunto sopra la tenuta in cui abitavano Bauchelain e Korbal Broach, cabrò con decisione. Le porte erano un ammasso di cadaveri, le torri ornamentali e i bastioni delle mura della tenuta erano occupati da sentinelle silenziose, scure e immobili sotto la pioggia. L'esercito di cadaveri animati di Korbal Broach si era fatto più numeroso. In precedenza, centinaia di Tenescowri avevano forzato le porte e si erano riversate nel cortile. Bauchelain le aveva accolte con ondate di stregoneria letale: una magia che anneriva loro la carne, la faceva arricciare e staccare a strisce dalle ossa. L'incantesimo aveva portato avanti la propria opera spietata molto tempo dopo che gli assalitori erano morti, ammucchiando sull'acciottolato uno strato di cenere umana che arrivava alla caviglia. Erano seguiti altri due tentativi, ciascuno più disperato dei precedenti. Assaliti dalla magia e dall'implacabile ferocia dei guerrieri non-morti, i Tenescowri si erano infine ritirati, fuggendo in preda al terrore, e più tardi, durante il pomeriggio, una compagnia di Betakliti aveva subito la stessa sorte. Adesso, mentre il crepuscolo sopraggiungeva insieme alla pioggia, nelle strade circostanti la tenuta restavano soltanto cadaveri. Con le ali sempre più stanche, Buke tornò a prendere quota e seguì verso
ovest la strada principale del Distretto Daru. Edifici sventrati, fumo che si levava dalle macerie, qualche incerta lingua di fiamma, masse ribollenti di Tenescowri, enormi falò sui quali carne umana arrostiva allo spiedo, squadre e compagnie di Scalandi, di Bekliti e di Betakliti, di Urdomen e di Seerdomin che setacciavano la città. Sconcertati, infuriati, intenti a chiedersi dove siano finiti i cittadini di Capustan. Oh, adesso avete la città, e tuttavia vi sentite comunque defraudati. Per quanto acuta, la sua vista cominciava a risentire dello svanire della luce diurna. A sudest, indistinte fra i veli di pioggia e di fumo, si levavano le torri del palazzo del principe, scure e all'apparenza inviolate. Forse gli occupanti del palazzo resistevano ancora, o forse esso era tornato a essere un edificio senza vita: dimora soltanto dei fantasmi, aveva ritrovato il secolare silenzio che aveva conosciuto prima dell'arrivo dei Capan e dei Daru. Volgendo la testa all'indietro, Buke intravide un singolo edificio alla sua immediata sinistra. Il fuoco lo circondava, ma pareva che la tozza struttura ne sfidasse le fiamme, e al chiarore dei falò prossimi a spegnersi era possibile scorgere i cadaveri nudi che ostruivano le strade e i vicoli circostanti. No, mi sto sbagliando, i miei occhi mi ingannano. Di certo quei morti giacciono su cumuli di macerie, deve essere così. Per gli dei, il piano terreno dell'edificio non è neppure visibile. Sepolto. Macerie. Non possono essere soltanto cadaveri, non in mucchi così alti... oh... profondità dell'Abisso! Quello era l'edificio in cui Gruntle aveva affittato una stanza e, per quanto aggredito dalle fiamme, rifiutava di bruciare. E le pareti, rischiarate da ogni lato dal basso, stavano grondando... non acqua, ma sangue. Buke si diresse da quella parte, e il suo orrore andò aumentando a mano a mano che si avvicinava. Adesso poteva distinguere le finestre del primo piano ancora visibili, prive di imposte e ingombre di cadaveri. La situazione era la stessa al piano superiore e a quello ancora più sopra, direttamente sotto il tetto. L'intero edificio era virtualmente solido, una massa di carne e di ossa, che lasciava colare dalle finestre lacrime fatte di sangue e di bile. Un gigantesco mausoleo, un monumento a quella giornata. Sul tetto erano visibili una decina di persone, raggomitolate qua e là sotto tende e ripari improvvisati. Una di esse si teneva in disparte e sostava a testa china, quasi stesse osservando l'orrore della strada sottostante. Alta e
massiccia, con ampie spalle arrotondate, la figura appariva stranamente striata nell'ombra e stringeva in ciascuna mano una pesante scimitarra, lucida come un osso. Una decina di passi più indietro rispetto a essa era stato eretto uno stendardo, tenuto verticale da fagotti che potevano essere pacchi di viveri del genere distribuito dalle Spade Grigie: una fradicia tunica gialla da bambino striata da scure chiazze di sangue. Buke si fece ancora più vicino, poi però si allontanò, perché non era pronto ad affrontare Gruntle, a fronteggiare l'uomo che lui era diventato. Una terribile trasformazione... un'altra vittima di quest'assedio. Come lo siamo tutti noi. Sbattendo le palpebre, Itkovian si sforzò di dare un senso a ciò che lo circondava: un basso soffitto chiazzato di umido, un odore di carne cruda, una gialla luce di lanterna, il peso di una rozza coperta di lana che gli gravava sul petto. Era disteso su una bassa branda e qualcuno gli teneva la mano. Girò lentamente il capo, sussultando per la fitta di dolore che il gesto gli causò al collo. Risanato, ma non guarito. La rigenerazione... incompleta. Karnadas era al suo fianco, accasciato sui talloni, ripiegato su se stesso e immobile, la pallida sommità della testa calva allo stesso livello dei suoi occhi. La mano che stringeva la sua era tutta ossa e pelle secca, ed era gelida. Itkovian accentuò appena la propria stretta e il Destriant sollevò il volto scheletrico chiazzato di lividi che si diramavano dalle articolazioni della mascella, gli occhi venati di sangue e infossati nelle orbite nere come il carbone. «Signore, vi sono venuto meno...» gracchiò. «Non è vero.» «Le vostre ferite...» «La carne è saldata... posso avvertirlo. Al collo, alla spalla, al ginocchio rimane soltanto un certo indolenzimento, facile da sopportare.» Lentamente, Itkovian si sollevò a sedere, mantenendo un'espressione calma, nonostante l'agonia che lo stava torturando. Flettere il ginocchio gli causò un'ondata di sudore gelido e gli diede un senso di vertigine, ma lui non alterò la salda stretta intorno alla mano del Destriant. «Il vostro dono mi fa sempre sentire umile, signore.» «Sono finito, amico mio», sussurrò Karnadas, abbandonando la testa sul-
la coscia di Itkovian. «Lo so», sussurrò questi. «Io però non lo sono.» La testa del Destriant si mosse in un cenno di assenso, ma non si sollevò. Guardandosi intorno, Itkovian vide altre quattro brande, ciascuna occupata da un soldato su cui era stata stesa una coperta che gli nascondeva il volto; due chirurghi sedevano sul pavimento sporco di sangue, la schiena addossata alla parete, gli occhi chiusi in un sonno dettato dallo sfinimento. Vicino alla porta della piccola stanza era fermo un messaggero delle Spade Grigie, una Capan, almeno a giudicare dai lineamenti che si scorgevano sotto l'elmo. Fra le reclute, Itkovian aveva visto una versione più giovane di quella donna, forse una sorella. «Per quanto tempo sono rimasto incosciente? È pioggia, quella che sento?» Karnadas non rispose e nessuno dei due chirurghi accennò a svegliarsi; dopo un momento, il messaggero si schiarì la gola. «Signore, manca meno di una campana alla mezzanotte. La pioggia è giunta con il tramonto», disse. Con il tramonto, e con la morte di un uomo. La mano che stringeva la sua stava allentando sempre più la presa. «Quanti soldati ci sono qui? Quanti uomini ho ancora ai miei ordini?» «Sono centotrentasette in tutto, signore, di cui novantasei sono reclute. Delle Falangi che hanno combattuto con voi al cimitero restano in vita undici soldati.» «Gli alloggiamenti?» «Persi, signore. Sono in fiamme.» «Il Palazzo di Jelarkan?» «Nessuna notizia, signore», disse la donna, scuotendo il capo. Lentamente, Itkovian liberò la mano da quella inerte di Karnadas e abbassò lo sguardo sulla sua figura immobile, accarezzandogli i radi capelli. «Chiama un infermiere», disse, dopo qualche momento. «Il Destriant è morto.» La donna lo fissò con occhi sgranati. «Ha raggiunto la nostra Spada Mortale, Brukhalian», aggiunse Itkovian, poi posò i piedi sul pavimento e per poco non svenne a causa del dolore al ginocchio ferito. Tratto un profondo respiro tremante, si costrinse a raddrizzarsi. «Rimane qualche armaiolo?» chiese. «Un apprendista, signore», replicò la donna, con voce incrinata. «Mi serve un sostegno per il ginocchio, qualsiasi cosa lui riesca a mettere insieme.»
«Sì, signore», sussurrò la donna. «Incudine-Scudo...» Interrompendosi nell'atto di cercare la sopravveste, Itkovian si girò a guardarla e scoprì che si era tinta di un pallore mortale. «Io... invoco la Tredicesima Legge del Reve e richiedo... una meritata punizione», continuò lei, tremando. «Punizione? Qual è stato il tuo crimine?» «Ho riferito il messaggio dell'accolito di Rath'Fener», spiegò la donna, barcollando sotto l'impatto delle sue stesse parole, l'armatura che tintinnava contro lo stipite. «Che Fener mi perdoni! Ho mandato la Spada Mortale incontro alla sua fine!» Itkovian la squadrò con maggiore attenzione. «Sei la recluta che ha accompagnato me e le mie Ali nell'ultima spedizione sulla pianura. Scusami per non averti riconosciuta prima: avrei dovuto notare i segni di quella precedente esperienza, scritti così chiaramente sul tuo volto. Respingo il tuo appello al Reve, soldato. Adesso trova un infermiere, e quell'apprendista.» «Ma, signore...» «Brukhalian non si è lasciato ingannare, lo capisci? Inoltre, la tua presenza qui dimostra la tua innocenza, perché se fossi stata complice del tradimento ti avrebbe ordinato di accompagnarlo e ti avrebbe trattata come meritavi. Ora va'. Non possiamo aspettare qui ancora per molto.» Ignorando le lacrime che solcavano il volto infangato della donna, Itkovian si diresse lentamente, zoppicando, verso un mucchio di pezzi d'armatura scartati; un attimo dopo lei si girò, spalancò la porta e fuggì lungo il corridoio. Arrestandosi, Itkovian lanciò un'occhiata ai chirurghi addormentati. «Sono il custode del dolore di Fener», recitò, in un sussurro. «Sono l'incarnazione del mio voto: qui non abbiamo ancora finito, io non ho ancora finito. Guardate, non cedo di fronte a nulla.» E si raddrizzò, nuovamente inespressivo; la sofferenza stava diminuendo e presto sarebbe divenuta irrilevante. Sotto la pioggia battente, centotrentasette volti stavano fissando l'Incudine-Scudo, che era a sua volta intento a passarli in rassegna, schierati in fila sulla strada buia. Rimanevano solo due cavalli da guerra, il suo - la ferita al petto ridotta a una rossa cicatrice fresca e gli occhi ancora pieni di fuoco - e quello nero di Brukhalian; il messaggero li teneva entrambi per le redini.
Alcune strisce di metallo ricavate da una corazza erano state legate ai lati del ginocchio di Itkovian, garantendogli la flessibilità necessaria per cavalcare e camminare, pur fornendo un indispensabile supporto quando era fermo in piedi. Il peso della cotta di maglia, le cui lacerazioni erano state riparate con filo di rame, gli risultava gravoso solo sul braccio sinistro tuttora indebolito, la pelle fra la spalla e il collo era tesa e rovente sopra i sottostanti tessuti che non erano stati saldati del tutto; un sistema di cinghie era stato escogitato per tenergli il braccio piegato in modo da poter reggere lo scudo. «Spade Grigie», esordì, «abbiamo un lavoro che ci attende. Il nostro capitano e i sergenti vi hanno divisi in squadre e ora marceremo fino al palazzo del principe. Il tragitto non è lungo e pare che il nemico sia ammassato principalmente intorno al Thrall. Dovessimo incontrare bande vaganti, tuttavia, esse saranno probabilmente poco numerose e composte per lo più di Tenescowri, e quindi male armate e prive di addestramento. Siate pronti a tutto. Signore», aggiunse rivolto all'unico capitano, che appena pochi giorni prima era stato il sergente maggiore responsabile dell'addestramento delle reclute, «fa' muovere le squadre». La donna annuì. Itkovian si diresse verso il proprio cavallo, accanto al quale era stato predisposto una sorta di gradino improvvisato per rendergli più facile montare in sella. «Il capitano marcerà con i suoi soldati», disse, accettando le redini che il messaggero gli porgeva, «ma qualcuno dovrebbe cavalcare il cavallo della Spada Mortale. È tuo, recluta. Esso capirà il tuo talento di amazzone dal tuo assetto sulla sella e reagirà di conseguenza per garantire la tua sicurezza. Ti consiglio di non contrastarlo». Sconcertata, la giovane donna annuì lentamente. «Monta, allora, e cavalca al mio fianco.» La rampa di accesso alla stretta porta ad arco del Palazzo di Jelarkan era deserta, i battenti erano stati infranti e un fioco bagliore di torce filtrava dall'anticamera retrostante. Sulle mura e sui bastioni non si scorgeva un solo soldato, il silenzio era infranto soltanto dallo scrosciare della pioggia battente. Un'avanguardia si era spinta oltre la soglia, confermando che non si scorgeva traccia del nemico e neppure di qualsiasi difensore superstite. Intorno non c'erano neppure cadaveri. L'interno del palazzo era pervaso di fumo e di nebbia sfrigolante, il cielo notturno era velato da cortine di pioggia; in quel quartiere, non si udivano
più rumori di battaglia. Brukhalian aveva chiesto sei settimane, mentre Itkovian aveva potuto dargli solo tre giorni, una verità che adesso lo feriva interiormente, come se una lama spezzata o una punta di freccia fossero rimaste conficcate nel suo corpo, permeandogli il cuore di dolore. Ma io non ho ancora finito. Aggrappandosi a quelle parole, raddrizzò la schiena a denti stretti, e con un gesto della mano inviò oltre la soglia i primi esploratori, che rimasero assenti per qualche tempo; poi uno di essi riapparve e scese la rampa, raggiungendo Itkovian. «Signore, dentro ci sono dei Tenescowri», riferì. «Riteniamo si trovino nella sala principale. Dai rumori, pare stiano banchettando e festeggiando.» «Le vie d'accesso sono sorvegliate?» chiese l'Incudine-Scudo. «Le tre da noi individuate no, signore.» Gli accessi alla sala principale di Jelarkan erano quattro: le porte a due battenti dall'altro lato dell'anticamera, due portali laterali presenti nella camera che davano accesso alle stanze degli ospiti e alle sale di guardia, nonché uno stretto passaggio coperto da una tenda posto dietro il trono del principe. «Benissimo. Capitano, piazza una squadra a ciascun ingresso laterale, in silenzio. Sei squadre qui alla porta, le altre cinque con me.» Itkovian smontò di sella con cautela, badando ad appoggiarsi principalmente alla gamba sana, ma nonostante questo barcollò per la fitta di dolore che gli riverberò lungo la schiena. Smontando a sua volta, il messaggero gli si affiancò. «Passami lo scudo», ordinò Itkovian, con voce rauca. Un altro soldato aiutò la donna a fissargli lo scudo sul braccio, passandogli sopra la spalla la cinghia che lo reggeva. Itkovian abbassò quindi la visiera dell'elmo ed estrasse la spada dal fodero, mentre il capitano impartiva i necessari comandi alle cinque squadre schierate intorno a loro. «I balestrieri in seconda fila, al riparo e con le armi cariche ma tenute basse. Prima fila, muro di scudi, spada in pugno. Tutte le visiere abbassate», ordinò, poi si girò verso Itkovian e aggiunse: «Signore, siamo pronti». Lui annuì. «Tu starai alla mia sinistra», disse alla recluta. «Avanzate al mio passo.» E risalì con decisione la rampa scivolosa per la pioggia. Cinquantatré soldati lo seguirono in silenzio nell'anticamera, una stanza quadrata dall'alto soffitto, rischiarata da una sola torcia fissata alla parete di destra. Le due
squadre assegnate a quella stanza si allontanarono sui due lati, mentre l'Incudine-Scudo guidava il resto delle truppe verso l'ampio corridoio e le porte doppie della sala principale. Dall'interno, soffocato dallo spessore dei battenti di quercia, giungeva un rumore di voci misto a risate dal timbro isterico e al crepitare della legna che ardeva. Arrivato alla porta Itkovian non rallentò e si servì dello scudo e del pugno coperto dal guanto di metallo per spalancare i battenti, varcando la soglia insieme ai suoi uomini, che si allargarono a ventaglio per assumere il controllo di quell'estremità della lunga sala a volta. Molti volti si sollevarono di scatto, figure sparute dagli abiti laceri si alzarono a precipizio dalle sedie disposte ai lati di un lungo tavolo con un rumore di utensili e di ossa che cadevano al suolo. Una donna dai capelli arruffati stridette e si lanciò verso il giovane che sedeva sul trono di Jelarkan. «Calmati, Madre», disse questi, con voce roca, protendendo verso la donna la mano sporca di grasso senza però distogliere da Itkovian lo sguardo degli occhi sfumati di giallo. Lei gli strinse la mano nelle proprie e crollò in ginocchio, gemendo. «Questi sono soltanto ospiti, Madre, giunti purtroppo in ritardo per partecipare al... banchetto reale.» Qualcuno scoppiò in una risata stridente. Nel centro del tavolo c'era un enorme vassoio d'argento su cui era stato acceso un fuoco alimentato da gambe di sedia e cornici di quadri, ora ridotte per lo più a carboni ardenti; infilzati in uno spiedo posato sulle braci c'erano i resti di un torso umano scuoiato, la cui parte inferiore si stava annerendo ora che nessuno lo rigirava più sulla fiamma. Le cosce troncate all'altezza del ginocchio erano state legate insieme con un filo di rame, le braccia erano state staccate all'altezza della spalla, mentre la testa era ancora al suo posto, spaccata e carbonizzata. Pezzi di carne erano stati asportati con il coltello lungo tutto il corpo cosce, glutei, petto, schiena, faccia -, ma Itkovian sapeva che quello non era un banchetto generato dalla fame, perché i Tenescowri presenti in quella stanza apparivano meno emaciati di tutti gli altri che aveva avuto modo di vedere. No, quella notte essi avevano festeggiato. Sulla sinistra del trono, parzialmente in ombra, c'era una croce a X ricavata da due picche, e su di essa era stesa la pelle del principe Jelarkan. «Il caro principe era già morto quando abbiamo cominciato a cucinarlo»,
affermò il giovane sul trono. «Dopo tutto, non siamo volutamente crudeli. Tu non sei Brukhalian, perché lui è morto, quindi devi essere Itkovian, il cosiddetto Incudine-Scudo di Fener.» Alcuni Seerdomin sbucarono da dietro il trono, guerrieri in armatura completa, il volto nascosto dall'elmo, pesanti asce da guerra strette nelle mani guantate. Quattro, otto, dodici, venti, e il loro numero continuava a salire. «I tuoi soldati sembrano... stanchi», sorrise l'uomo sul trono. «Inadatti a questo particolare compito. Mi conosci, Itkovian? Io sono Anaster, Primo Figlio del Seme Morto. Dimmi, dove sono gli abitanti di questa città? Che ne avete fatto? Oh, lasciami indovinare, sono nascosti in gallerie scavate sotto le strade, protetti da una manciata di Gidrath superstiti, da un paio di compagnie delle tue Spade Grigie e da qualche Guardia Capan del principe. Suppongo che il principe Arard sia nascosto insieme a loro. Un vero peccato, dato che lo stiamo cercando da tempo. Troveremo gli accessi nascosti delle gallerie e Capustan sarà ripulita, Incudine-Scudo, anche se tu, purtroppo, non vivrai abbastanza a lungo da vedere quel giorno glorioso.» Scrutando il giovane, Itkovian scoprì in lui qualcosa che non si era aspettato di trovare. «Primo Figlio», disse, «in te c'è disperazione. Io la rimuoverò, signore, e con essa i tuoi fardelli». Anaster sussultò come se fosse stato colpito fisicamente, contrasse le ginocchia e si sollevò in piedi sul trono, il volto distorto, chiudendo una mano intorno alla strana daga di ossidiana che aveva alla cintura e subito ritraendola come se essa fosse stata rovente. Urlando, sua madre gli afferrò il braccio proteso, e quando lui si liberò con un ringhio si accasciò al suolo, raggomitolandosi su se stessa. «Io non sono tuo padre, ma agirò come se lo fossi», continuò Itkovian. «Libera la tua marea di dolore, Primo Figlio.» Il giovane lo fissò, le labbra ritratte sui denti. «Chi... cosa sei?» sibilò. «Perdoniamo la tua ignoranza», affermò il capitano, venendo avanti. «Lui è l'Incudine-Scudo. Fener sa cosa sia il dolore, un dolore tale da superare la sua capacità di tollerarlo, quindi sceglie un cuore umano, forte, un'anima mortale che si addossi i dolori del mondo. L'Incudine-Scudo. «In questi tre giorni e notti siamo stati testimoni di enorme dolore e di profonda vergogna: cose di cui leggiamo ora piena consapevolezza nei tuoi occhi. Non puoi ingannare te stesso, vero?» «Non hai mai potuto farlo», aggiunse Itkovian. «Dammi la tua disperazione, Primo Figlio, sono pronto a riceverla.»
Il gemito di Anaster echeggiò nella sala, e lui si arrampicò fin sullo schienale del trono, stringendosi le braccia intorno al corpo. Tutti gli sguardi erano su di lui, ma nessuno si mosse. Ansimando, il Primo Figlio fissò a lungo Itkovian, poi scosse il capo. «No», sussurrò, «non avrai la mia... la mia disperazione». «Questo è un dono!» sibilò il capitano. «Primo Figlio...» «No!» Itkovian parve accasciarsi, abbassando la spada con mano tremante, e la recluta gli si avvicinò per sorreggerlo. «Non puoi averla! Non puoi!» Il capitano si girò verso Itkovian con aria sgomenta. «Signore, non riesco a comprendere questo...» L'Incudine-Scudo scosse il capo e, lentamente, tornò a raddrizzarsi. «No, io lo capisco. Il Primo Figlio... dentro di lui c'è soltanto disperazione, e senza di essa...» Senza di essa non è niente. «Li voglio tutti morti!» stridette Anaster, con voce incrinata. «Seerdomini Uccideteli tutti!» Quaranta Seerdomin scattarono in avanti, sui due lati del tavolo. A un secco comando del capitano, la prima linea schierata alle sue spalle piegò un ginocchio a terra all'unisono, la seconda linea si portò avanti con le balestre e ventiquattro quadrelle solcarono l'aria. Nessuna andò a vuoto. Dalle entrate laterali, altri dardi solcarono l'aria, finché solo sei Seerdomin rimasero in piedi. Adesso il suolo era coperto di figure immote o in agonia, e i Tenescowri che si erano trovati intorno al tavolo stavano fuggendo verso il portale alle spalle del trono. Anaster stesso fu il primo a raggiungerlo, seguito da sua madre. I Seerdomin superstiti attaccarono Itkovian. Non ho ancora finito. La sua lama saettò e una testa volò via dalle spalle, poi un fendente di rovescio tranciò una cotta di maglia e sventrò un altro Seerdomin. Le balestre vibrarono ancora, poi le Spade Grigie non ebbero più avversari. «Capitano», disse Itkovian, dopo un momento, abbassando la spada, «recupera il corpo del principe e fa' tirare giù quella pelle. Rimetteremo il principe Jelarkan sul trono, che è suo di diritto, e difenderemo per qualche tempo questa stanza, in nome del principe».
«Il Primo Figlio...» «Lo incontreremo ancora», affermò Itkovian. «Io sono la sua sola salvezza, e non gli verrò meno.» «Voi siete l'Incudine-Scudo», scandì il capitano. «Io sono l'Incudine-Scudo.» Sono il dolore di Fener, il dolore del mondo, e resisterò, assorbirò ogni cosa, perché non abbiamo ancora finito. CAPITOLO DICIASSETTESIMO La carne non può immaginare ciò che l'anima è in grado di ospitare. Il Reve di Fener Imarak, Primo Destriant Rovente per la febbre, la pelle squamosa si scuoteva come un sacco umido pieno di sassi. Il corpo della Matrona trasudava un olio acre che aveva permeato gli abiti laceri di Toc il Giovane. Questi scivolò fra le pieghe della carne quando l'enorme, gonfia K'Chain Ghe'Malle si spostò sul pavimento polveroso, le braccia massicce che lo tenevano stretto. L'oscurità regnava nella grotta, i soli bagliori che lui vedeva nascevano dalla sua mente, illusioni che potevano essere state ricordi, lacere scene frammentarie di basse colline erbose sotto i caldi raggi del sole. E figure, appena intraviste con la coda dell'occhio, alcune mascherate, una che era solo pelle morta stesa su ossa robuste. Un'altra era... bellezza, perfezione. Lui non credeva a nulla di ciò che vedeva, quei volti erano frutto della follia, che lo incalzava sempre più. Quando si addormentò, sognò lupi a caccia, non per nutrirsi, ma per dare... qualcos'altro, cosa non lo sapeva. La preda vagava sola e fuggì nel vederlo. Fratelli e sorelle al suo fianco, lui la inseguì instancabile, le distanze che si colmavano senza sforzo sotto le sue zampe. Quella piccola creatura spaventata non poteva eluderli, e il branco si fece sempre più vicino, incalzandola lungo salite sfiancanti finché essa barcollò e crollò. Circondandola, si avvicinarono per dare... ciò che doveva essere dato, ma la preda svanì. Sgomento, poi disperazione. Lui e i suoi fratelli girarono in cerchio intorno al punto in cui si era trovata, poi levarono il muso al cielo in un coro di dolenti ululati, che cessa-
rono quando Toc si svegliò nell'abbraccio della Matrona, l'aria umida della grotta che sembrava vibrare dei loro echi sempre più tenui. La creatura accentuò la stretta; gemendo, gli sfregò sul collo il muso irto di zanne, l'alito che sapeva di latte zuccherato. Quelli erano i cicli della sua vita: sonno, poi veglia punteggiata di allucinazioni, scene indistinte di figure sotto la luce del sole, l'illusione di essere un neonato fra le braccia della madre, che allattava al suo seno - la Matrona non aveva seno, quindi lui sapeva che si trattava di allucinazioni, ma ne era comunque confortato - e i momenti in cui scaricava la vescica o l'intestino, e lei lo teneva lontano in modo che sporcasse solo se stesso. Dopo, lo leccava fino a ripulirlo, un gesto che lo privava degli ultimi residui di dignità. Il suo abbraccio gli fratturava le ossa, ma quanto più lui urlava di dolore, tanto più la Matrona accentuava la stretta, per cui aveva imparato a soffrire in silenzio. Quindi le ossa gli si saldavano con una velocità innaturale, a volte in maniera irregolare, lasciandolo deforme, distorcendo petto, fianchi, scapole. Poi c'erano le visitazioni: un volto spettrale, rivestito dei tratti rugosi di un vecchio nei quali s'intravedevano zanne scintillanti, prendeva forma nella sua mente, occhi ingialliti lo fissavano con malvagia soddisfazione. Quei volti sovrapposti erano familiari, ma Toc non era in grado di riconoscerli. Poi il visitatore gli parlava. Sono intrappolati, amico mio, tutti tranne il T'lan Imass, che teme la solitudine. Altrimenti perché non lascerebbe i suoi compagni? Sono inghiottiti dal ghiaccio, impotenti, congelati. I Seguleh... non c'è bisogno di temerli, non ce n'è mai stato, ma ho voluto giocare. E la donna! La mia splendida statua di gelo! Lupo e cane sono svaniti, fuggiti. Sì, quelli che vedi come fratelli... sono fuggiti, la coda fra le gambe. Hee, hee. E ancora. Il tuo esercito Malazan arriverà troppo tardi per salvare Capustan! La città è mia, e i tuoi commilitoni sono ancora a una settimana di marcia, amico mio. Li aspetteremo, e li accoglieremo come facciamo con tutti i nemici. Ti porterò la testa del generale Malazan e la sua carne cucinata, e tu e io ceneremo insieme ancora una volta. Quanto sangue può spargere un mondo? Te lo sei mai chiesto, Toc il Giovane? Vogliamo vederlo? Tu, io e la cara madre... oh, è orrore quello che scorgo nei suoi occhi? Pare che nel suo cervello marcio ci sia ancora
un po' di lucidità. Una vera sfortuna... per lei. Adesso, dopo una lunga assenza, la visione tornò. La falsa pelle del vecchio era tesa sul cranio inumano, le zanne visibili come attraverso una guaina trasparente. Gli occhi ardevano, ma questa volta non era gioia. Inganno! Non sono bestie mortali! Come osano assalire le mie difese? Qui, alle mie stesse porte! E adesso il T'lan Imass è svanito... non riesco a trovarlo da nessuna parte. Sta venendo qui anche lui? Così sia. Non ti troveranno. Viaggeremo verso nord, noi tre, lontano dalla loro portata. Ho preparato un... un altro nido per voi due. Che seccatura... Toc però non lo stava più sentendo, la sua mente era altrove e stava vedendo una pallida luce solare che si rifletteva su monti ghiacciati e valli innevate. Nel cielo, volteggiavano alcuni condor. Poi, più da vicino, vide fumo, strutture di legno infrante, mura di pietra abbattute, figure che correvano urlando, chiazze carminio che si allargavano sulla neve, riempivano le pozzanghere di una strada ghiaiosa. La visuale - quella di occhi che vedevano attraverso una nebbia rossastra - si spostò da un lato. Un grosso cane nero e grigio stava avanzando, le spalle al livello degli occhi delle figure in armatura che esso stava dilaniando con ferocia nel dirigersi verso una seconda porta, un portale ad arco alla base di una torreggiante fortezza. Nessuno poteva fermarlo, arrestarne l'impeto. Polvere grigia si levò vorticando dalle spalle del cane e si modellò in due braccia e due gambe strette intorno ai fianchi della creatura, in una testa dall'elmo d'osso, dietro cui si agitava un lacero manto di pelliccia; sopra di essa, una spada del colore del sangue secco. Le sue ossa sono sane, la sua carne no. La mia carne è sana, le ossa non lo sono. Siamo fratelli? Cane e cavaliere - una visione da incubo - investirono le massicce porte rinforzate in ferro: il legno esplose e nell'ombra dell'arcata il terrore piombò su un capannello di esitanti Seerdomin. Galoppando verso le porte infrante, Toc guardò con gli occhi del lupo, vide enormi sagome da rettile emergere dall'ombra per convergere sul cane e sul suo cavaliere non-morto. I Cacciatori K'ell levarono le loro grandi spade. Ringhiando, il lupo scattò in avanti, lo sguardo concentrato sulle porte, ogni loro dettaglio nitido come vetro infranto, mentre tutto ciò che era ai lati appariva sfocato. Uno scarto lo portò addosso al Cacciatore K'ell che
stava attaccando cane e cavaliere da sinistra. La creatura si girò con un fendente diretto a intercettare la carica, ma il lupo schivò e spiccò il balzo, le fauci spalancate che si serravano su una gola di cuoio, i canini che affondavano nella carne morta. I muscoli della mascella si contrassero, le ossa crepitarono e si sgretolarono a mano a mano che il lupo accentuava la stretta inesorabile delle fauci, mentre l'impeto della sua carica proiettava il Cacciatore K'ell all'indietro contro un muro, che tremò per l'impatto. Poi i canini superiori e inferiori si congiunsero, i molari stridettero nel tranciare tendini duri come legno e muscoli disseccati. Il lupo stava troncando la testa dal corpo. Il K'Chain Che'Malle tremò sotto di lui, agitò in uno spasimo la spada che ferì la zampa destra del lupo. Toc e la bestia sussultarono per il dolore, ma non cedettero. La testa si staccò e rotolò con un tonfo sull'acciottolato fangoso. Ringhiando, brandelli di carne morta incastrati nelle zanne, il lupo ruotò su se stesso. Il cane era accoccolato in un angolo con la schiena arcuata, sanguinante, solo. Adesso il guerriero non-morto - mio fratello - era appiedato, la sua spada di selce che contrastava le lame gemelle dell'altro Cacciatore K'ell in uno scambio di colpi a velocità incredibile. Pezzi del K'Chain Che'Malle volarono ovunque, un avambraccio terminante in una lama roteò nell'aria e cadde accanto al cane, che sussultò. Il Cacciatore K'ell barcollò all'indietro di fronte a quell'assalto, poi gli stinchi gli si spezzarono con un fievole schiocco ed esso cadde, spargendo fanghiglia ovunque. Il guerriero non-morto gli fu subito addosso, procedendo sistematicamente a farlo a pezzi con pochi colpi di spada. Il lupo si avvicinò al cane ferito, ma esso ringhiò, avvertendolo di stare lontano: di colpo Toc fu cieco, strappato alla visione del lupo. Venti violenti lo sferzavano, ma la Matrona lo stringeva saldamente. Si stavano muovendo in fretta attraverso un canale, un sentiero di ghiaccio e lui comprese che stavano fuggendo da Outlook perché la fortezza era appena stata espugnata. Da Baaljagg, da Garath e da Tool. Garath... quelle ferite... «Silenzio!» stridette una voce. Il Veggente era con loro, li stava guidando attraverso l'Omtose Phellack. Ancora lucido di mente, Toc scoppiò in una sonora risata. «Taci!»
L'intero canale fu scosso da un rombo distante, il fragore di vaste quantità di ghiaccio che si crepavano, esplodendo in una conflagrazione magica. Lady Invidia, di nuovo con noi... Il Veggente urlò. Braccia da rettile si serrarono intorno a Toc, le sue ossa si spezzarono, crepitando, e il dolore lo scaraventò in un abisso. La mia famiglia... i miei fratelli. Poi svenne. A sud, il cielo notturno era acceso da un bagliore rosso. Anche se Capustan distava più di una lega dalla collina alberata, la sua morte era evidente e induceva quanti ne erano testimoni a un silenzio infranto solo dallo scricchiolio di armi e armature e dallo sguazzare di stivali e mocassini nel fango. Le gocce cadevano costanti dalle foglie, l'humus fradicio pervadeva l'aria del suo aroma di fecondità; nelle vicinanze, qualcuno tossì. Estratta la daga, il capitano Paran cominciò a grattare via il fango dagli stivali. Aveva già saputo cosa aspettarsi quando fossero giunti in vista della città, perché nel corso della giornata gli esploratori di Humbrall Taur avevano riferito che l'assedio era finito, ma neppure l'averlo saputo bastava ad attenuare l'angoscia di una città che moriva. Le Spade Grigie potevano anche aver chiesto per i loro servigi una somma pari al riscatto di un imperatore, ma le loro ossa rosicchiate e consumate dal fuoco non avrebbero potuto incassarla. Se quelle Spade Grigie fossero state la Guardia Carminia, forse la scena che Paran aveva davanti sarebbe stata diversa; per quanto lo riguardava, con la sola eccezione della Compagnia dei Votati del principe K'azz D'Avore, i mercenari valevano meno di niente, erano tutti spacconeria e niente fatti. Speriamo che i figli di Humbrall Taur se la siano cavata. La cosa non sembrava probabile. Forse rimanevano ancora alcune sacche di resistenza, piccoli gruppi di soldati braccati che avrebbero lottato fino all'ultimo, nei vicoli, nelle case, nelle stanze, sapendo di non potersi aspettare misericordia. L'agonia di Capustan sarebbe durata a lungo. Peraltro, se questi dannati Barghast sono davvero capaci di marciare a tappe forzate, invece di questa tranquilla andatura da passeggio... forse potremmo riuscire a modificare in parte la sorte della città. Poi si girò nel sentir sopraggiungere il suo nuovo comandante, Trotts, che scrutò la città in fiamme con occhi scintillanti. «La pioggia ha fatto ben poco per spegnere le fiamme», commentò, accigliandosi.
«Forse la situazione non è brutta quanto sembra», obiettò Paran. «Distinguo cinque grossi incendi. Le cose potrebbero andare peggio. Ho sentito parlare di tempeste di fuoco...» «Sì. Una volta ne abbiamo vista una da lontano, a Sette Città.» «Cos'ha deciso Humbrall Taur, condottiero? Acceleriamo il passo o restiamo dove siamo?» «Manderà a sudest i Clan Barahn e Ahkrata», spiegò Trotts, esibendo i denti limati. «Il loro compito è quello di occupare i moli e i ponti di barche. I suoi Senan e i Gilk marceranno su Capustan, mentre i clan rimanenti occuperanno il principale campo di rifornimento dell'Eptarca, che si trova fra i moli e la città.» «Questo va benissimo, ma se continuiamo a indugiare...» «A quanto dicono gli sciamani, Hetan e Cafal, i figli di Taur, sono vivi e non sono in pericolo, le ossa sono protette da magie strane, ma molto potenti. C'è...» «Dannazione a te, Trotts! Laggiù ci sono persone che stanno morendo! Che stanno venendo divorate!» Il sorriso del Barghast si accentuò. «Per questo, ho avuto il permesso... di procedere con il mio clan con la rapidità che preferisco. Capitano, siete impaziente di essere fra i primi Visi Bianchi che entreranno a Capustan?» Paran rispose con un ringhio. Sentiva il bisogno di estrarre la spada, di vendicarsi, di sferrare finalmente un colpo contro il Dominio di Pannion. Ben lo Svelto, nei pochi momenti in cui era lucido e non delirante per la febbre, aveva reso ben chiaro che il Dominio celava nefasti segreti, che una forza malevola ne contaminava il cuore, e Paran riteneva che i Tenescowri fossero prova evidente di questo. Quel suo bisogno aveva però radici più profonde. Stava vivendo nel dolore, lo stomaco in fiamme, e poco prima aveva vomitato bile e sangue, cosa che non aveva detto a nessuno. La sofferenza lo faceva rinchiudere sempre più in se stesso. E c'è un'altra verità, che continuo a respingere e che mi perseguita, cercando i miei pensieri. Però non sono ancora pronto per essa, non con lo stomaco in fiamme... Senza dubbio era follia, un'allucinazione, ma era convinto che il dolore si sarebbe placato, che tutto sarebbe andato a posto, non appena avesse scaricato sul mondo la violenza intrappolata dentro di lui. Folle o meno che fosse, si aggrappava a quella convinzione. Soltanto allora la pressione si attenuerà.
Non intendeva fallire. «Allora convoca gli Arsori di Ponti», borbottò. «Possiamo raggiungere la Porta Settentrionale entro una campana.» «Siamo più o meno in trenta», grugnì Trotts. «Dannazione, se non possiamo indurre questi Barghast a vergognarsi della loro lentezza...» «È questa la vostra speranza?» «Che Hood ci prenda tutti, Trotts», ribatté Paran, «sei stato tu a chiedere a Taur il permesso di andare. Ti aspetti forse che, in trentasette, noi si riesca a riconquistare Capustan da soli? Portandoci dietro un mago privo di sensi?». Socchiudendo gli occhi, il Barghast fissò la città che aveva davanti. «Lasceremo qui Ben lo Svelto», disse. «Quanto a riprendere la città, intendo provarci.» «Lieto di sentirlo», sorrise il capitano, dopo un interminabile momento. La marcia dei Barghast Viso Bianco era stata lenta e tormentosa. In precedenza, durante il viaggio verso sud attraverso le grandi pianure, improvvisi duelli avevano costretto i clan ad arrestarsi una mezza dozzina di volte al giorno; alla fine, quegli scontri avevano cominciato a diminuire, e la decisione di Humbrall Taur di assegnare specifici incarichi a interi clan nella battaglia imminente avrebbe eliminato quel problema nei giorni a venire; sebbene ogni condottiero si fosse piegato a servire l'unica causa della liberazione dei loro dei, infatti, fra i Barghast persistevano antiche inimicizie. Il nuovo ruolo di Trotts come condottiero degli Arsori di Ponti era giunto come un sollievo per Paran, che odiava la responsabilità del comando e per il quale la pressione di garantire la sicurezza di ogni soldato ai suoi ordini era diventata un crescente fardello. Come vicecomandante, quella pressione era diminuita, sia pure di poco, e per ora questo gli bastava. Meno piacevole era il fatto di aver perso il suo ruolo di rappresentante degli Arsori di Ponti, in quanto Trotts si era incaricato di partecipare ai consigli di guerra, emarginandone il capitano. Nel senso stretto del termine, Paran conservava il comando degli Arsori di Ponti, ma agli occhi di Taur e dei Barghast loro erano diventati una tribù, le tribù eleggevano un condottiero e quel ruolo spettava a Trotts. Lasciandosi alle spalle le colline alberate, gli Arsori di Ponti raggiunsero le rive fangose di un ruscello stagionale che scendeva serpeggiando verso la città. In alto, il fumo degli incendi di Capustan oscurava le stelle, mentre
la pioggia dei giorni precedenti aveva intriso il terreno, rendendolo spugnoso e silenzioso, fatto che permetteva agli Arsori di Ponti di avanzare nel buio senza il minimo rumore. Paran si trovava tre passi più indietro rispetto a Trotts, il quale aveva conservato il vecchio ruolo di avanguardia che era stato suo nello squadrone di Whiskeyjack. Quella non era certo la posizione ideale per un comandante, per quanto si adeguasse al ruolo di condottiero dei Barghast, e Paran non la trovava di suo gradimento, anche perché dimostrava la natura caparbia di Trotts, una mancanza di adattabilità che era preoccupante in un capo. Una presenza invisibile parve calare sulle sue spalle, il tocco di una mente lontana ma familiare, che lui accolse con una smorfia. Il collegamento con Volpe d'Argento stava aumentando d'intensità. Quella settimana, era la terza volta che lei lo raggiungeva in un breve sfiorarsi di menti, lieve come una carezza, e Paran si chiedeva se questo le permettesse di vedere con i suoi occhi, se gli stesse leggendo nella mente. Considerato tutto ciò che racchiudeva dentro di sé, stava cominciando a ritrarsi d'istinto da quel contatto per proteggere i propri segreti: lei non aveva il diritto di saccheggiarli, se era quello che stava facendo, una cosa che per lui non era giustificabile neppure con la necessità tattica. Il volto gli s'incupì sempre più con il permanere della sua presenza. Se davvero era lei. E se... Più avanti, Trotts si fermò e si accovacciò, sollevando due volte una mano; subito Paran e il soldato alle sue spalle si affrettarono a raggiungerlo. Erano arrivati ai picchetti settentrionali dei Pannion, un accampamento caotico, privo di organizzazione, mal preparato e troppo poco difeso. I sentieri fra le trincee, le fosse e le tende improvvisate erano cosparsi di rifiuti, l'aria puzzava per le latrine mal posizionate. I tre uomini osservarono la scena per un momento ancora, poi raggiunsero gli altri, i sergenti di squadra vennero avanti e si tenne una rapida consultazione. Spindle, il soldato che aveva accompagnato Paran, fu il primo a parlare. «Fanteria media», sussurrò. «Due compagnie ridotte vicino agli stendardi...» «Duecento uomini», annuì Trotts. «E ce ne sono altri nelle tende. Malati e feriti.» «Per lo più malati, direi», replicò Spindle. «Di dissenteria, a giudicare dall'odore. Questi ufficiali Pannion non valgono nulla. Quei malati non potranno combattere, qualsiasi cosa noi si faccia. Suppongo che tutti gli
altri siano in città.» «Avete visto le porte», ringhiò Trotts. «Davanti ci sono mucchi di cadaveri», annuì Paran. «Un migliaio, forse più. Niente barricate, e non ho visto guardie. L'eccessiva sicurezza dei vincitori.» «Dobbiamo passare attraverso la loro fanteria», sussurrò il sergente Antsy. «Spindle, come state a munizioni Moranth tu e gli altri zappatori?» «Hai ritrovato il coraggio, vero, Antsy?» sorrise l'ometto. «C'è da combattere, giusto?» si accigliò il sergente. «Ora rispondi alla mia domanda, soldato.» «Ne abbiamo in abbondanza, anche se vorrei avere qualcuna di quelle balestre che fabbrica Fiddler.» Dopo un momento di sconcerto, Paran ricordò le enormi balestre che Fiddler e Hedge usavano per aumentare la portata delle granate. «Hedge non ne ha una?» chiese. «L'ha rotta, quell'idiota! No, attiveremo alcune mine, ma solo per cominciare. Stanotte useremo le granate, perché gli esplosivi incendiari farebbero troppa luce, e il nemico vedrebbe quanto siamo pochi in realtà. Granate. Vado a radunare i ragazzi e le ragazze.» «Credevo fossi un mago», borbottò Paran, mentre l'uomo si girava verso le squadre in attesa. «Lo sono, capitano», ribatté Spindle, voltandosi a guardarlo, «ma sono anche uno zappatore. Una combinazione letale, non trovate?». «Letale per noi», ribatté Antsy. «Tu e quel dannato cilicio...» «Ehi, le chiazze bruciate stanno ricrescendo, hai visto?» «Datti da fare», intervenne Trotts, e Spindle cominciò a suddividere le squadre. «Quindi passeremo con la forza», commentò Paran. «Con le granate, riuscirci non dovrebbe essere un problema, ma poi i nemici che si trovano sui fianchi ci piomberanno addosso.» «È per questo che semineremo qualche mina, capitano», spiegò Spindle, tornando a raggiungerli. «Due gocce sulla cera, si conta fino a dieci. La parola d'ordine è "corri", e quando la gridiamo è meglio obbedire in fretta: se si è a meno di trenta passi quando quelle cose esplodono, si finisce a pezzettini.» «Siete pronti?» gli chiese Trotts. «Sì. Siamo in nove, quindi credo che apriremo un varco largo circa trenta passi.»
«Armi in pugno», ordinò il Barghast, poi si protese ad afferrare Spindle per il cilicio e lo trasse verso di sé, aggiungendo: «Niente errori!». «Niente errori», ripeté lui, sgranando gli occhi quando Trotts serrò rumorosamente i denti limati a pochi centimetri dalla sua faccia. Un momento più tardi, Spindle e gli altri otto zappatori si allontanarono verso le linee nemiche, sagome incappucciate e informi sotto i mantelli da pioggia. La presenza tornò a sfiorare la mente di Paran, che fece tutto il possibile per respingerla, mentre l'acido gli vorticava nello stomaco, mormorando promesse di dolore, poi trasse un profondo respiro. Se ci sarà uno scontro... per me sarà il primo. Dopo tutto questo tempo, la mia prima battaglia... Gli zappatori non erano più visibili. Aggiustando la presa sulla spada, Paran si guardò alle spalle per controllare la disposizione del resto degli Arsori di Ponti. Picker era in prima fila, un'espressione dolente sul volto, e lui stava per chiederle cosa ci fosse che non andava quando nella notte echeggiarono alcune detonazioni che lo fecero girare di scatto: i fuochi illuminavano ora corpi che si contorcevano. Trotts lanciò un vibrante grido di guerra e gli Arsori di Ponti si lanciarono nella corsa. Altre granate esplosero sui lati, abbattendo gli agitati e confusi soldati raccolti vicino ad altri fuochi. Paran vide le sagome scure degli zappatori convergere direttamente davanti a lui e accoccolarsi fra i Pannion morti o morenti. Le balestre entrarono in azione nelle mani di una decina di Arsori di Ponti, generando urla di dolore, poi Trotts e i suoi uomini arrivarono in mezzo alla carneficina e aggirarono gli zappatori, tutti impegnati a predisporre grosse mine, versando due gocce di acido sul sigillo di cera che chiudeva l'involucro di argilla. Si udì un coro di sibili soffocati. «Correte!» Paran imprecò. Di colpo, dieci secondi gli sembravano un tempo insignificante. Le mine erano le più grosse fra le munizioni dei Moranth, una sola era in grado di rendere virtualmente intransitabile l'incrocio di quattro strade. Si mise a correre, il cuore che quasi gli si arrestava nel petto, lo sguardo fisso sulla porta che aveva davanti. Le migliaia di corpi si stavano muovendo. Oh, dannazione. Non erano affatto morti: quei bastardi stavano dormendo! «Giù giù giù!» La parola era in Malazan, la voce era quella di Hedge.
Paran esitò soltanto il tempo necessario per vedere Spindle, Hedge e gli altri zappatori arrivare in mezzo a loro, e scagliare delle mine verso le masse di Tenescowri che si stavano formando fra loro e le porte, prima di appiattirsi al suolo. «Oh, Hood!» Il capitano si gettò a terra e scivolò nel fango, abbandonando la presa sulla spada per serrarsi entrambe le mani sulle orecchie. Il terreno gli balzò incontro con un impatto che gli tolse il respiro, proiettandogli in aria le gambe per poi farlo ricadere nel fango, supino. Ebbe appena il tempo di rotolare di nuovo prono prima che altre mine esplodessero proprio davanti a lui, con un'onda d'urto che lo fece rotolare. Brandelli insanguinati gli piovvero addosso. Un grosso oggetto gli atterrò vicino alla testa con un tonfo. Aprendo gli occhi, Paran vide che erano i fianchi di un uomo... soltanto i fianchi, la cavità intestinale vuota e umida, le cosce troncate all'altezza dell'articolazione. Aveva le orecchie che vibravano, il sangue che gli colava dal naso e la testa che doleva. In lontananza, urla e gemiti echeggiavano nella notte. Una mano si chiuse sul suo mantello e lo issò in piedi. Mallet! Il guaritore si protese in avanti per rimettergli in mano la spada, poi gridò parole che lui sentì a stento. «Venite! Se la stanno battendo tutti da qui!» E gli assestò una spinta che lo fece barcollare in avanti. Con la mente che rifiutava di registrare la devastazione che i suoi occhi vedevano su entrambi i lati, Paran si mise a correre con gli altri verso la Porta Settentrionale e, nel procedere scivolando e barcollando fra quelle rovine umane, si accorse che si stava isolando dentro se stesso come aveva già fatto una volta, anni prima, su una strada di Itko Kan. La mano della vendetta poteva rimanere fredda soltanto per qualche tempo. Qualsiasi anima che possedesse un minimo di umanità non poteva non vedere la realtà dietro quella crudele semina di morte, per quanto giustificata essa potesse essere sembrata all'inizio. Volti vacui nella morte, cadaveri contorti in posizioni che nessun corpo integro poteva assumere, vite distrutte. La vendetta era uno specchio per ogni atrocità, nel quale giustizia e torti si facevano indistinti e perdevano ogni rilevanza. A destra e a sinistra, si vedevano alcune figure in fuga, la cui rotta venne accelerata dallo scoppio di qualche granata. Gli Arsori di Ponti si erano annunciati al nemico. Siamo pari a loro per calcolata brutalità, rifletté Paran, ma questa è una guerra di logoramento nervoso in cui non vince nessuno. Poi l'oscurità delle porte lo inghiottì con i compagni, senza che nessuno
cercasse di fermarli, e i soldati arrestarono la loro folle corsa, acquattandosi al suolo per ricaricare le balestre. Nessuno parlò. Protendendo una mano, Trotts tirò a se Hedge, lo scosse con violenza e accennò a scagliarlo a terra, trattenuto soltanto da uno strillo di Spindle: dopo tutto, lo zaino di Hedge era ancora pieno per metà di munizioni esplosive. «Non c'era alternativa, grosso scimmione!» imprecò Hedge, la faccia ancora ridotta a una massa di lividi per le tenere attenzioni di Detoran. Paran riuscì a sentire le sue parole, segno che l'udito stava migliorando. Non sapeva con esattezza per chi parteggiare, in quel caso, ma la verità era che la cosa non aveva più importanza. «Trotts!» chiamò, in tono secco. «E adesso? Se aspettiamo qui...» «Entriamo in città, di soppiatto e in silenzio», grugnì il Barghast. «In quale direzione?» chiese Antsy. «Ci dirigiamo verso il Thrall.» «Ottimo, e cosa sarebbe?» «La fortezza lucente, idiota testa di legno.» Strisciarono in avanti fino a uscire dall'ombra dell'arcata, poi rallentarono il passo, quando la luce incerta degli incendi rivelò loro l'incubo che avevano di fronte. C'era stata una strage enorme, a cui era seguito un banchetto, e sui ciottoli era sparso uno strato di ossa che arrivava alla caviglia: alcune carbonizzate, altre rosse e crude, con brandelli di carne e di tendine ancora attaccati. E, a giudicare da quello che si riusciva a vedere delle divise, almeno due terzi dei caduti erano invasori. «Per gli dei», sussurrò Paran. «I Pannion hanno pagato un caro prezzo.» Credo che dovrei rivedere la mia valutazione delle Spade Grigie. «Anche così, ciò che conta è la superiorità numerica», annuì Spindle. «Uno o due giorni di anticipo...» cominciò Mallet, e nessuno accennò a finire la frase al suo posto. Non era necessario. «Qual è il tuo problema, Picker?» domandò Antsy. «Nulla», scattò la donna. «Non è niente.» «È quello il Thrall, allora?» domandò Hedge. «Quella cupola luminosa? Laggiù, in mezzo al fumo...» «Andiamo», ordinò Trotts. Sparpagliandosi per precauzione, gli Arsori di Ponti si avviarono dietro Trotts lungo il macabro viale, imboccando poi una strada che sembrava puntare dritta verso la struttura stranamente illuminata. Lo stile degli edifi-
ci sui due lati della strada - quelli ancora in piedi - risultò nettamente Daru agli occhi di Paran; il resto della città, invece, almeno in quanto riusciva a intravedere lungo vie e viali secondari dove imperversavano ancora gli incendi, era del tutto diverso, vagamente alieno. E ovunque c'erano cadaveri. Più avanti lungo la strada, mucchi di corpi ancora interi si ergevano simili ai pendii di una collina. In silenzio, gli Arsori di Ponti si avvicinarono a essa, faticando a comprendere la verità di quello che avevano davanti: soltanto su quella strada c'erano almeno diecimila cadaveri, forse anche di più, fradici e già gonfi, la carne pallida intorno alle ferite ormai esangui. I cumuli di morti si concentravano intorno agli ingressi degli edifici, vicino alle imboccature delle vie, sulle porte di una tenuta, sui gradini di accesso ai templi sventrati. Facce vuote e occhi spenti riflettevano le fiamme, la cui luce ne faceva contorcere i lineamenti in una parodia dell'animazione vitale. Per proseguire lungo la via, gli Arsori di Ponti avrebbero dovuto scalare la collina di cadaveri che avevano davanti. Trotts non esitò. Dalla retroguardia del piccolo squadrone giunse la notizia che i Tenescowri avevano oltrepassato le porte e li stavano seguendo come spettri silenziosi: erano qualche centinaio, non di più, malamente armati, quindi non costituivano un problema. Trotts accolse la notizia con una scrollata di spalle, e guidò il gruppo su per la morbida rampa di carne umana. Non devo guardare giù, non devo pensare a cosa calpesto, devo pensare soltanto ai difensori, che hanno continuato a combattere, al loro coraggio quasi inumano, che ha sfidato i limiti mortali. A queste Spade Grigie, questi immoti cadaveri in uniforme che intasano le imboccature dei vicoli e che hanno continuato a lottare senza cedimenti, fino a essere fatti a pezzi sul posto. Questi soldati sono una lezione per tutti noi, anche per gli Arsori di Ponti che mi circondano, questa fragile compagnia dal cuore infranto: siamo entrati in una guerra che non conosce misericordia. La rampa era stata costruita con il preciso intento di avvicinarsi a qualcosa, ma a cosa? Essa terminava in un mucchio informe, a meno di due metri dal livello del tetto di un edificio; dalla parte opposta della costruzione c'era stata un'altra rampa simile, ma il fuoco l'aveva ridotta a pochi resti fumanti. Trotts si fermò al limite estremo della rampa, accovacciandosi per guardarsi intorno nel tentativo di comprendere il significato di ciò che tutti loro
stavano vedendo. La fine irregolare della rampa rivelava la verità: essa non era sorretta da una qualche struttura, era davvero una solida massa di cadaveri. «Una rampa d'assedio», affermò infine Spindle, in tono basso, quasi diffidente. «Volevano arrivare a qualcuno...» «A noi», interloquì una voce profonda, dall'alto. Le balestre si sollevarono di scatto, e Paran guardò verso il tetto dell'edificio, su cui una decina di figure si delineavano al bagliore degli incendi. «Hanno portato delle scale», continuò la voce, parlando ora in Daru, «ma li abbiamo respinti». Quei guerrieri non appartenevano alle Spade Grigie, le loro armature erano un'accozzaglia di pezzi diversi, e tutti avevano la faccia e ogni area di pelle esposta dipinte a strisce e chiazze, come tigri umane. «Mi piace quella pittura», commentò Hedge, anche lui in Daru. «Mi ha spaventato di brutto, questo è certo.» «Non è pittura, Malazan», ribatté il portavoce del gruppo, un uomo alto e massiccio che stringeva in pugno due scimitarre bianche striate di nero. Scese il silenzio, poi l'uomo rivolse loro un cenno con una delle due lame. «Venite su, se volete.» Alcune scale apparvero sul tetto e vennero calate oltre il bordo. Vedendo Trotts esitare, Paran gli si avvicinò. «Credo che dovremmo salire. In quell'uomo e nei suoi seguaci c'è qualcosa di particolare...» «Davvero?» sbuffò il Barghast, poi segnalò agli altri di salire le scale. Paran li lasciò andare, avendo deciso di salire per ultimo; poi si accorse che Picker si stava tenendo indietro anche lei. «Problemi, caporale?» Lei sussultò, massaggiandosi il braccio destro. «Stai soffrendo», osservò il capitano, affiancandola e studiando il suo volto teso. «Sei stata ferita? Andiamo da Mallet.» «Lui non mi può aiutare, capitano. Lasciate perdere.» So esattamente come ti senti. «Allora sali.» Il caporale si avviò alla scala più vicina come se fosse stata diretta alla forca. Paran intanto lanciò un'occhiata verso la base della rampa, dove figure spettrali si muovevano nell'ombra, forse riluttanti a salirne il pendio, cosa per nulla sorprendente. Lottando contro le fitte allo stomaco, cominciò a salire a sua volta. Il tetto piatto dell'edificio aveva assunto l'aspetto di una piccola baraccopoli, con tende improvvisate, fuochi accesi dentro scudi rovesciati, pacchi di viveri, barilotti d'acqua e di vino. In disparte c'era una fila di sagome
avvolte in coperte - i caduti, sette in tutto - e in alcune tende si scorgevano altre figure sdraiate, probabilmente feriti. Uno stendardo era stato innalzato vicino alla botola di accesso al tetto, una semplice tunica gialla da bambino, striata di scuro. I guerrieri rimasero in silenzio, guardinghi, mentre Trotts inviava una squadra in ciascun angolo del tetto, da dove era possibile controllare cosa ci fosse sotto e di fronte all'edificio; poi il portavoce degli assediati si girò di scatto, con una grazia e una fluidità spaventose, e fronteggiò il caporale Picker. «Hai qualcosa per me», tuonò. «Cosa?» esclamò lei, sgranando gli occhi. Riposta nel fodero una delle scimitarre, l'uomo le si avvicinò e protese una mano a serrare il suo bicipite destro, coperto dalla cotta di maglia, generando un clangore soffocato. Picker sussultò, poi lasciò cadere la spada sul tetto e prese a liberarsi della cotta di maglia con gesti rapidi e nervosi. «Che Beru vi benedica!» esclamò, in preda al sollievo. «Hood mi è testimone che non so chi voi siate, signore, ma quegli arnesi mi stavano uccidendo! Si stringevano sempre più... dei, che dolore! Lui ha detto che non sarebbero mai venuti via, che mi sarebbero rimasti addosso per sempre, e perfino Ben lo Svelto ha detto che... che non si può venire a patti con Treach. La Tigre dell'Estate è folle...» «È morta», interloquì il Daru. Picker s'immobilizzò nell'atto di sfilarsi la sopravveste. «Cosa?» sussurrò. «Morto? Treach è morto?» «La Tigre dell'Estate è ascesa, donna. Treach... Trake... cammina ora con gli dei. Ora consegnameli, e grazie per avermeli portati.» Picker liberò il braccio destro dalla manica della cotta e tre bracciali d'avorio le scivolarono in mano. «Ecco! Sì, prendeteli! Lieta di accontentarvi.» «Che Hood ti divori la lingua, donna», scattò Antsy. «Ci stai mettendo in imbarazzo. Consegnagli quei dannati arnesi e falla finita.» «Blend!» chiamò Picker, guardandosi intorno. «Per l'Abisso, donna, dove ti sei nascosta?» «Sono qui», mormorò una voce, accanto a Paran, che indietreggiò, sorpreso. «Hah!» gongolò Picker. «Mi hai sentita, Blend? Hah!» Le squadre stavano tornando a convergere al centro del tetto. Il Daru arrotolò una manica lacera, rivelando un possente braccio muscoloso coperto da strane striature, e infilò i tre bracciali fin sopra il gomito. L'avorio emise
uno scatto e un bagliore ambrato si accese nell'ombra, sotto il bordo dell'elmo dell'uomo. Paran lo scrutò senza farsi notare. Una bestia si annida dentro di lui, un antico spirito ridestato. Il potere vorticava intorno al Daru, ma Paran percepiva che esso derivava in pari misura da una naturale aria di comando del guerriero, oltre che dalla bestia nascosta in lui: bestia che comunque preferiva la solitudine. In qualche modo, la sua forza incredibile era stata sottomessa dalle doti di comandante che l'uomo possedeva. Insieme, sono un'unione formidabile. Non ci sono dubbi, costui è importante. Qui sta per succedere qualcosa, e non è un caso che io sia presente. «Sono il capitano Paran, dell'Armata di Un-braccio», si presentò. «Ve la siete presa comoda, vero, Malazan?» «Abbiamo fatto del nostro meglio, signore. In ogni caso, per questa notte e domani, i tuoi soccorritori saranno solo i membri dei Clan del Viso Bianco.» «Humbrall Taur, il padre di Hetan e di Cafal. Bene. È giunto il momento di invertire la marea.» «Invertire la marea?» farfugliò Antsy. «Sembra che tu non abbia avuto bisogno di aiuto per farlo!» «Trotts», chiamò Hedge. «Non mi piace quello che abbiamo sotto i piedi. Tutto questo tetto è un insieme di crepe.» «Lo stesso vale per le pareti», aggiunse un altro zappatore. «Su tutti i lati.» «Questo edificio è pieno di cadaveri», spiegò un ometto in armatura Lestari, che era accanto al Daru. «Credo che si stiano gonfiando.» «Avete un nome?» chiese Paran, senza distogliere lo sguardo dal grosso Daru. «Gruntle.» «Appartenete a una setta o a qualcosa del genere? Siete guerrieri di un tempio?» Gruntle si girò lentamente verso di lui, l'espressione nascosta in gran parte dalla visiera dell'elmo. «No. Non siamo nulla, nessuno. Tutto questo è stato per una donna, e ora lei sta morendo...» «In quale tenda si trova?» interruppe la voce acuta e sottile di Mallet. «Il Canale di Denul è avvelenato.» «Voi potete avvertirlo, Gruntle? Strano.» Il guaritore attese un momento, poi ripeté: «Quale tenda?». «Laggiù», indicò il compagno Lestari di Gruntle. «Ha una brutta ferita,
sangue nei polmoni. Potrebbe essere già...» Lasciò a mezzo la frase. Paran seguì Mallet sotto il lacero riparo. La donna distesa all'interno era pallida, il giovane volto teso e scavato, le labbra coperte di spuma rossastra. E qui c'è dell'altro. Paran osservò il guaritore inginocchiarsi accanto alla donna, le mani protese. «Aspetta», ringhiò. «L'ultima volta per poco non ti ha ucciso...» «Non il mio dono, capitano. E con questa donna ho gli spiriti Barghast raccolti intorno a me per assistermi, non so perché. Forse qualcuno ha un interesse personale, ma potrebbe comunque essere troppo tardi. Ora vedremo... d'accordo?» Dopo un momento, Paran annuì. Chiudendo gli occhi, Mallet posò le mani sulla donna priva di sensi. Trascorsero una decina di secondi. «Ahi», sospirò infine il guaritore. «Qui ci sono strati sovrapposti. Carne lacerata... spirito ferito. Dovrò risanare entrambi. Allora mi volete aiutare?» Il capitano si rese conto che la domanda non era rivolta a lui, quindi non rispose. «Siete disposti a sacrificare così tanti uomini per questa donna?» sospirò Mallet, sempre a occhi chiusi, poi fece una pausa e si accigliò: «Non riesco a vedere questi fili di cui parlate. Non in lei, né in Gruntle o nell'uomo al mio fianco...». Al tuo fianco? lo? Fili? Dei, perché non mi lasciate in pace? «... però accetto la vostra parola al riguardo. Vogliamo cominciare?» Trascorsero alcuni momenti, durante i quali il guaritore rimase immobile accanto alla donna, poi lei si mosse e gemette. La tenda che li circondava venne strappata via con uno schiocco di cavi spezzati e, nel sollevare la testa di scatto, sorpreso, Paran vide Gruntle in piedi accanto a loro, il respiro affannoso. «Cosa?» annaspò il Daru. «Come...?» Barcollando, indietreggiò di un passo, e venne sorretto dalle mani salde di Trotts. «Troppo tardi è una cosa che non esiste», dichiarò il Barghast. «Salve, Capustan», sorrise Antsy, raggiungendoli. «Gli Arsori di Ponti sono arrivati!» L'alba fu accompagnata da un fragore di scontri proveniente da nord e da est: i Clan dei Visi Bianchi avevano infine impegnato il nemico. In segui-
to, Picker e gli altri avrebbero appreso dell'improvvisa e sanguinosa battaglia che si era svolta sui moli lungo la costa e sulla riva del fiume Catlin. I Clan Barahn e Ahkrata si stavano scontrando con i reggimenti di cavalleria Betakliti e Betrullid appena giunti, il cui comandante aveva scelto di contrattaccare invece di tentare di mantenere posizioni difensive male organizzate. In breve, i Barghast furono costretti a trincerarsi a loro volta, incalzati da ogni lato. I Barahn furono i primi a cedere, ma la vista della conseguente strage dei loro compagni infuse negli Ahkrata abbastanza determinazione da permettere loro di resistere fino a mezzogiorno, quando Taur distaccò i Gilk dall'attacco contro la città e li inviò in loro soccorso. Appartenendo a un clan delle pianure da sempre abituato a combattere contro avversari a cavallo, quei guerrieri dalla corazza a testuggine attaccarono i Betrullid e divennero il fulcro di una rinnovata offensiva da parte degli Ahkrata, che travolsero i Betakliti e conquistarono i ponti di barche. Gli ultimi membri della fanteria leggera Pannion vennero incalzati fin nelle basse acque del fiume, che si tinsero di rosso. Intanto, i Betrullid superstiti si disimpegnarono dai Gilk e si ritirarono verso nord lungo la costa, verso le paludi: un errore fatale, in quanto i loro cavalli s'impantanarono nel fango salato e i Gilk li raggiunsero, riprendendo una strage che si concluse solo a notte fatta. I rinforzi dell'Eptarca Kulpath erano stati annientati. La spinta da parte di Humbrall Taur per entrare in città generò una rotta dettata dal panico: unità di Seerdomin, di Urdomen, di Bekliti, di Scalandi e di Betakliti vennero raggiunte e fatte a pezzi da decine di migliaia di Tenescowri in fuga davanti alle spade e alle lance dei Barghast, e le strade principali di Capustan divennero una massa sussultante di umanità, una marea ribollente che spingeva verso ovest per riversarsi nella pianura attraverso le brecce di quel tratto di mura. Taur però non sospese il serrato inseguimento dei suoi clan, spingendo i Pannion sempre più verso ovest. Accoccolata sul tetto, Picker stava osservando la sottostante massa urlante e terrorizzata, la cui marea aveva tracciato dei solchi nella rampa, stretti canaloni che si snodavano fra pareti di carne morta e che erano tutti ostruiti di sagome in fuga, mentre altri si arrampicavano per scavalcare la rampa, arrivando a volte a meno di una picca di distanza dalla posizione della Malazan. Nonostante quella vista orribile, Picker aveva l'impressione di essersi liberata di un enorme peso, perché quei dannati bracciali non le serravano
più il braccio. Quanto più si erano avvicinati alla città, tanto più essi si erano fatti stretti e roventi, causando ustioni che le segnavano ancora l'arto e lasciandole un profondo dolore nelle ossa. Quel fenomeno dava adito a una quantità di interrogativi, ma per il momento lei non era pronta a riflettervi sopra. Da alcune strade orientali giungeva l'ormai familiare fragore del combattimento, accompagnato dai roboanti canti di guerra dei Barghast. I Pannion avevano formato una sorta di retroguardia, un misto di Urdomen, di Bekliti e di Seerdomin che stavano cercando di frenare l'avanzata dei Visi Bianchi, ma essa si stava già disintegrando a causa dell'inferiorità numerica. Per quanto Hedge continuasse a preoccuparsi per le crepe nelle fondamenta dell'edificio, lasciare quel tetto sarebbe stato impossibile finché il nemico in rotta non fosse passato oltre, e Picker ne era contenta. Gli Arsori di Ponti erano in città, e a parte i momenti iniziali fuori delle mura e alla Porta Settentrionale, le cose erano andate meglio di quanto si fosse aspettata. Del resto, le munizioni Moranth tendevano a riequilibrare le situazioni, se non addirittura a volgerle a vantaggio di chi le possedeva. Ancora neppure uno scontro diretto. Bene. Nonostante la spacconeria di Antsy, non siamo più i duri di un tempo. Si chiese poi quanto fossero lontani Dujek e Brood. Il capitano Paran aveva incaricato Twist di contattarli non appena era stato evidente che Humbrall Taur aveva unificato le tribù e stava per dare il comando di marciare su Capustan, ma con Ben lo Svelto fuori gioco e Spindle troppo spaventato per mettere alla prova i propri canali, era impossibile sapere se il Moranth Nero ce l'avesse fatta. Chi sa cosa ne è stato di loro? Fra i Barghast si parla di rettili demoniaci sulle pianure... e quei canali contaminati... e se quel veleno fosse una sorta di strada perversa? Spindle sostiene che i canali sono malati, ma se invece fossero stati conquistati? Attualmente potrebbero essere sotto il controllo di qualcuno, che potrebbe averli attraversati per attaccare. Forse adesso sulla pianura ci sono trentamila cadaveri, tutto quello che resta dell'Armata di Un-braccio. I Barghast non sembravano interessati a proseguire la guerra dopo aver liberato Capustan. Rivolevano le ossa dei loro dei, stavano per riaverle e, quando le avessero prese, sarebbero probabilmente tornati a casa. Se davvero scoprissimo di essere abbandonati a noi stessi... cosa deciderà Paran? Quel dannato nobile ha un aspetto orribile, è malato, i suoi pensieri sono appannati dalla sofferenza e questo non va affatto bene.
Un rumore di stivali annunciò che qualcun altro si era avvicinato al bordo del tetto; sollevando lo sguardo, Picker vide la donna dai capelli rossi che Mallet aveva salvato da morte certa. Nella destra teneva uno stocco spezzato a due terzi della lama, la sua armatura di cuoio era a brandelli, le lacerazioni chiazzate di sangue secco, e la sua espressione aveva un che di fragile e di meravigliato. Le urla dal basso erano assordanti, quindi Picker si raddrizzò e si ritrasse per avvicinarsi alla donna. «Ormai non manca molto. Da qui si vedono le prime file dei Barghast», disse indicando con la mano. «Mi chiamo Stonny Menackis», si presentò la donna, annuendo. «Sono il caporale Picker.» «Ho parlato con Blend.» «Mi sorprende. Lei non è un tipo loquace.» «Mi ha detto di quei bracciali.» «Davvero?» Stonny esitò, scrollando le spalle. «Sei... sei votata a Trake?» chiese poi. «Molti soldati lo sono, a quanto ho sentito. La Tigre dell'Estate, Signore della Battaglia...» «No», ringhiò Picker, «non lo sono. Ho solo pensato che quei bracciali fossero belli». «Quindi non sapevi di essere stata scelta per consegnarli a... a Gruntle.» «È questo che ti fa sentire confusa, vero?» osservò il caporale. «Il tuo amico Gruntle. Non avresti mai detto che potesse essere... quello che è diventato.» «Chiunque tranne lui, se devo essere onesta», ammise Stonny, con una smorfia. «Lui è un cinico bastardo propenso a ubriacarsi. Oh, è sveglio, per essere un uomo, ma adesso, quando lo guardo...» «Non riconosci quello che vedi.» «Non si tratta solo di quegli strani segni. Sono i suoi occhi. Adesso sono quelli di un gatto, di una dannata tigre, altrettanto freddi e inumani.» «Dice che ha combattuto per te, ragazza.» «Vuoi dire che sono stata la sua giustificazione.» «Non mi pare che ci sia differenza.» «Però c'è, caporale.» «Se lo dici tu! Comunque, la verità è qui davanti a te, in questo dannato edificio trasformato in sepolcro. Che Hood ci prenda tutti, la risposta è nei seguaci di Gruntle... lui non è il solo a strisce, vero? Quell'uomo si è messo fra i Pannion e te, ed è stato una barriera abbastanza solida da attirare a sé
gli altri. È stato Treach a modellare tutto questo? Suppongo che forse lo abbia fatto, e che io stessa possa aver avuto un ruolo nel tutto, arrivando con i bracciali, però adesso ho chiuso con tutta la faccenda, e mi va benissimo così.» E non ci voglio più pensare. «Non m'inginocchierò davanti a Trake», dichiarò Stonny, scuotendo il capo. «Per l'Abisso, mi sono già ritrovata davanti all'altare di un altro dio, ho già fatto la mia scelta, e non è Trake.» «Ah! Allora forse il tuo dio ha trovato utile questa faccenda di Gruntle e tutto il resto. Gli umani non sono i soli che amano tessere trame, vero? Non siamo i soli che a volte camminiamo o addirittura lavoriamo con qualcun altro per un risultato reciprocamente vantaggioso, senza spiegare una sola dannata cosa agli altri. Non ti invidio, Stonny Menackis. L'attenzione di un dio è letale, ma accade di destarla...» D'un tratto Picker tacque. Camminare con qualcun altro. Tenere gli altri all'oscuro. Girandosi di scatto, scrutò il gruppo vicino alle tende fino a individuare Paran. «Ehi, capitano!» chiamò, alzando la voce. Lui sollevò lo sguardo. Cosa mi dici di te, capitano? Hai forse dei segreti? Eccoti un'esca. «Ci sono notizie di Volpe d'Argento?» chiese. Gli Arsori di Ponti nelle vicinanze fissarono tutti Paran, che sussultò come se fosse stato colpito e si portò una mano allo stomaco, assalito da una fitta di dolore. Serrando la mascella, riuscì poi a sollevare la testa e a guardare Picker negli occhi. «È viva», gracchiò. Lo pensavo. Finora sei stato troppo evasivo al riguardo, capitano, il che significa che ci hai tenuto nascosto qualcosa. Una decisione sbagliata: l'ultima volta che gli Arsori di Ponti sono stati tenuti all'oscuro di qualcosa, per poco quell'oscurità non ci ha inghiottiti tutti. «Quanto è lontana, capitano?» Poteva vedere l'effetto delle sue parole, ma una parte di lei era abbastanza furente da non badarvi. Gli ufficiali avevano sempre segreti, e quella era la cosa che gli Arsori di Ponti avevano imparato a disprezzare maggiormente nei loro comandanti, perché l'ignoranza era letale. A fatica, Paran si raddrizzò e trasse un paio di profondi respiri per reprimere l'evidente sofferenza fisica. «Humbrall Taur sta spingendo i Pannion fra le loro mani, caporale. Dujek e Brood sono a forse tre leghe di distanza.» «E sanno cosa sta andando loro incontro?» farfugliò Antsy, interdetto. «Sì, sergente.»
«Come fanno a saperlo?» Una buona domanda. Quanto è stretto questo contatto fra te e Tattersail rinata? E perché non ce lo hai detto? Siamo i tuoi soldati, ci si aspetta che combattiamo per te, quindi è una domanda dannatamente valida. Paran si accigliò, ma non rispose ad Antsy. Il sergente non aveva però intenzione di lasciar perdere, ora che aveva raccolto la palla lanciata da Picker e stava parlando per conto di tutti gli Arsori di Ponti. «Quindi noi per poco non siamo stati decapitati dai Visi Bianchi e arrostiti dai Tenescowri, e per tutto il tempo abbiamo creduto di essere soli, senza sapere se l'alleanza aveva retto o se Dujek e Brood si erano fatti a pezzi a vicenda e a ovest c'erano solo ossa che marcivano, mentre voi sapevate. E se foste morto... adesso, signore...» Noi non sapremmo un accidente di niente. «Se fossi morto non staremmo avendo questa conversazione», ribatté Paran, «perciò, sergente, perché non facciamo finta che lo sia?». «Forse non sarà necessario fingere», ringhiò Antsy, abbassando la mano verso la spada. Gruntle, che era accoccolato vicino al bordo del tetto, si girò lentamente e si alzò. Un momento! «Sergente!» scattò Picker. «Credi che Tattersail ti sorriderà, la prossima volta che vi vedrete? No di certo, se farai quello che stai pensando di fare». «Zitto, caporale», ordinò Paran, volgendo lo sguardo su Antsy. «Facciamola finita. Avanti, ti facilito le cose», aggiunse, e volse le spalle al sergente, aspettando. Sta così male che vuole soltanto morire. Dannazione! Ma il peggio è che... sta facendo questo in pubblico. «Non ci pensare neppure, Antsy», ammonì Mallet. «Non è come sembra...» «Bene, ora si comincia a capire qualcosa», esclamò Picker, rivolta al guaritore. «Tu hai parlato parecchio con Whiskeyjack, prima che partissimo, tu e Ben lo Svelto. Vuota il sacco! Abbiamo un capitano così malato da desiderare che lo uccidiamo e nessuno ci spiega un accidente di niente... nel nome di Hood, cosa sta succedendo?» «Sì, Volpe d'Argento sta contattando il capitano, ma lui continua a respingerla», spiegò il guaritore, con una smorfia, «quindi non c'è stato nessuno scambio continuativo di informazioni. Come ha detto, Paran sa che lei è viva e suppongo che riesca a valutare più o meno quanto è lontana,
ma non c'è altro. Dannazione a te, Picker, credi che tu e il resto degli Arsori di Ponti siate stati oggetto di un altro tradimento solo perché Paran non si è confidato con te? Lui non sta parlando con nessuno! E se tu avessi nello stomaco tutti i buchi che ha lui, saresti altrettanto silenziosa! Adesso piantatela, tutti quanti, e se nel guardarvi in faccia vedrete della vergogna, sappiate che è meritata!». Picker fissò lo sguardo sulla schiena del capitano, che non si era mosso e rifiutava di fronteggiare la sua compagnia. Non poteva farlo, non ora. Mallet aveva un suo modo di ribaltare le carte in tavola. Paran era malato, e le persone malate non pensano con chiarezza. Dei, quando avevo quei bracciali che mi affondavano nel braccio ho perso in fretta la mia lucidità. Oh, ho appena combinato un disastro, per di più convinta che la colpa fosse di qualcun altro. Suppongo che le ferite di Pale siano tutt'altro che guarite. Dannazione, Hood, cala il tallone sulla mia anima marcia, per favore, e schiaccia forte. Paran quasi non sentì la discussione in corso alle sue spalle perché si sentiva assalito dalla pressione della presenza di Volpe d'Argento, che lo portava a desiderare di morire schiacciato sotto quel peso, ammesso che fosse stato possibile, piuttosto che cedere a essa. Una spada fra le scapole - questa volta senza interventi divini - o un ultimo, torrenziale fiotto di sangue nello stomaco, quando le sue pareti avessero infine ceduto: alternativa dolorosa ma definitiva quanto l'altra. O anche un balzo giù, in mezzo a quella calca, per essere calpestato, fatto a pezzi. Inutili sussurri di libertà. Lei era davvero vicina, quasi stesse percorrendo un ponte di ossa che si stendeva da dove si trovava fino a lui. No, non lei, il suo potere, che era molto più grande di quello di Tattersail e rendeva il suo incessante desiderio di valicare le sue difese molto più letale negli intenti del semplice affetto di un'amante, più di quanto richiedesse la necessità strategica. A meno che Dujek, Brood e i loro uomini siano sotto attacco, e non lo sono. Dei. Ignoro come faccio a saperlo, ma lo so, con certezza. Questa non è affatto Tattersail. Nightchill. Bellurdan. Uno dei due o entrambi. Che cosa vogliono? Di colpo venne assalito da un'immagine che si attivò con uno scatto quasi sonoro nella sua mente e che lo trascinò via, verso aride lastre di arenaria in una caverna buia, le linee di una carta del Mazzo incise nella pietra, l'immagine che pareva contorcersi, quasi fosse stata viva.
Obelisk, uno dei Non Allineati, un monolite inclinato, ora di pietra verde. Giada. Torreggiante su onde sferzate dal vento... no, dune di sabbia. Figure, nell'ombra del monolite, tre in tutto, lacere, infrante, morenti. Poi, al di là di quella strana scena, il cielo si lacerò, e lo zoccolo peloso di un dio si posò sul suolo mortale. Terrore. Selvaggiamente trascinato nel mondo... oh, non lo hai scelto tu, vero? Qualcuno ti ha tirato giù, e adesso... Fener era praticamente morto. Un dio intrappolato nel regno dei mortali era come un neonato su un altare. Servivano soltanto un coltello e una mano volenterosa. Era praticamente morto. Una cupa consapevolezza si snodò nella sua mente come un serpente letale, senza che lui la volesse. Forze di un'antichità inimmaginabile gli stavano imponendo di fare delle scelte. Il Mazzo dei Draghi - gli Dei Antichi lo stavano usando - e adesso cercavano di usare anche lui. Deve dunque essere questo il ruolo del Signore del Mazzo, se è ciò che sono diventato? Di detenere un sapere letale e di fungere da dannato mediatore? Capisco cosa mi state dicendo di fare. Se un dio cade, bisogna spingerne un altro al suo posto? Mortali votati al primo si devono ora votare a un altro? Per l'Abisso, dobbiamo forse essere spinti, lanciati, di qua e di là come pedine su una scacchiera? Già una volta sono stato la marionetta di un dio, ma ho tagliato quei fili. Se volete i particolari, chiedeteli a Oponn. Per riuscirci, sono entrato in una dannata spada, e giuro di essere pronto a farlo ancora, con una minore misericordia nel cuore, se noterò anche un accenno di manipolazione da parte vostra. In risposta, avvertì un freddo divertimento, a cui il sangue bestiale che era in lui reagì all'istante: peli ritti, zanne snudate, un basso ringhio letale. Allarme improvviso. Sì, è la verità. Non mi lascerò mettere il guinzaglio, Nightchill. Ora ti dirò una cosa, e farai bene ad ascoltarmi con attenzione: intendo frappormi fra te e ogni mortale come me. Non so cosa abbia dovuto perdere quell'uomo, Gruntle, per arrivare dove tu volevi, ma percepisco le sue ferite. Che l'Abisso ti prenda, la sofferenza è il solo strumento per farci fare quello che vuoi? Così pare. Sappi questo, quindi: finché non troverai un altro modo, finché non potrai mostrarmi una via diversa dalla sofferenza e dall'angoscia, io ti combatterò. Abbiamo una nostra vita, tutti noi, e
non è qualcosa con cui tu puoi giocare. Non la vita di Picker, di Gruntle, di Stonny. Tu hai aperto questo sentiero, Nightchill, questo contatto. Ottimo. Dammene motivo, e io lo userò per raggiungerti, cavalcando il sangue di un Segugio dell'Ombra; sai, credo che se volessi potrei chiamare anche gli altri, tutti quanti. Adesso infatti capisco una cosa, che ritengo sia vera. Dentro la spada Dragnipur... due Segugi dell'Ombra sono tornati al Canale dell'Oscurità. Sono tornati, Nightchill, capisci cosa significa? Sono tornati a casa. E io posso senza dubbio richiamarli, due anime dell'Oscurità indomita. Anime grate, amata progenie di distruzione. Giunse infine una risposta, da una voce femminile a lui sconosciuta. «Non hai idea di cosa tu stia minacciando, mortale. La spada di mio fratello cela più segreti di quanti tu ne possa contemplare.» È anche peggio, Nightchill, sorrise Paran. La mano che ora impugna Dragnipur appartiene all'Oscurità. Anomander Rake, il figlio della Madre. Il sentiero non è mai stato tanto dritto, diretto e breve, vero? Se gli dicessi cosa è successo dentro la sua arma... «Se dovesse apprendere che hai trovato il modo di entrare in Dragnipur e che hai liberato i due Segugi da lui abbattuti... Rake ti ucciderebbe, mortale.» Può darsi. Ha già avuto alcune occasioni di farlo, e anche validi motivi, ma si è trattenuto. Non credo che tu capisca davvero così bene il Signore della Progenie della Luna. Non c'è nulla di prevedibile in Anomander Rake, e forse è questo che tanto ti spaventa. «Non prendere questo argomento.» «Farò tutto quello che sarà necessario per tagliare i tuoi fili, Nightchill. Ai tuoi occhi, noi mortali siamo deboli, e ti servi della nostra debolezza come di una giustificazione per manipolarci.» «La lotta che affrontiamo è molto più vasta, e letale, di quanto tu comprenda.» Spiegami ogni cosa. Mostrami questa tua immane minaccia. «Per salvare la tua sanità mentale, Ganoes Paran, non dobbiamo farlo.» Cagna paternalista. Paran sentì divampare l'ira. «Dici che il solo mezzo di usarvi che noi abbiamo è infliggendo dolore. A questo abbiamo una sola risposta: le apparenze ingannano.»
Mantenerci nell'ignoranza è la tua idea di misericordia. «Parole dure, ma essenzialmente esatte, Ganoes Paran.» Un Signore del Mazzo non può essere lasciato nell'ignoranza, Nightchill. Se devo accettare questo ruolo e le sue responsabilità, quali che siano, e Hood sa che tuttora le ignoro... se devo farlo, ho bisogno di sapere. Tutto. «A suo tempo...» Lui sogghignò. «A suo tempo, ho detto. Concedici questa piccola misericordia, mortale. La lotta che ci aspetta non è diversa da una campagna militare - battaglie sempre più violente, contesti localizzati - ma il campo di battaglia è l'esistenza stessa. Ogni piccola vittoria è un vitale contributo alla guerra pandemica che noi abbiamo scelto di iniziare.» Chi rappresenterebbe questo «noi»? «Gli Dei Antichi superstiti... e altri meno consapevoli del loro ruolo.» K'rul? Il responsabile della rinascita di Tattersail? «Sì. Mio fratello.» Tuo fratello. Ma non il fratello che ha forgiato Dragnipur. «Non lui. Attualmente, Draconus può soltanto agire indirettamente, perché è incatenato dentro la spada da lui creata, ucciso dalla sua stessa lama, per mano di Anomander Rake.» Paran si sentì assalire da un gelido sospetto. Indirettamente, hai detto. «Un'opportunità improvvisa quanto inattesa, Ganoes Paran. L'arrivo in Dragnipur di un'anima che non era incatenata, lo scambio di poche parole che hanno avuto molto più significato di quanto tu abbia compreso, come lo ha avuto la breccia nel Canale dell'Oscurità, l'abbattimento, sia pure così breve, della barriera delle anime. Però è stato sufficiente...» Aspetta. Paran aveva bisogno di silenzio per pensare, in fretta e intensamente. Quando si era trovato dentro Dragnipur, a camminare accanto alle anime incatenate che trascinavano il loro inimmaginabile fardello, aveva effettivamente parlato con uno di quei prigionieri. Per l'Abisso, quello era Draconus! Tuttavia, non riuscì a ricordare nulla delle parole che si erano scambiati. Le catene che portavano al Canale dell'Oscurità, il nodo sotto il carro scricchiolante. In quel modo, l'Oscurità teneva prigioniere tutte quelle anime. Devo tornare indietro, nella spada, per chiedere... «Jen'isand Rul. Sì. Draconus, colui con cui hai parlato all'interno di
Dragnipur... mio fratello... si è servito di te, Ganoes Paran. Questa verità ti sembra brutale? Esula dalla tua comprensione? Come gli altri all'interno della spada, mio fratello ha di fronte... l'eternità. Ha cercato di aggirare con l'astuzia una maledizione, ma non immaginava che per farlo ci sarebbe voluto tanto tempo. Lui è cambiato, mortale, la sua leggendaria crudeltà è stata... smorzata da una saggezza guadagnata mille volte. Inoltre, abbiamo bisogno di lui.» Vuoi che liberi Draconus dalla spada di Rake? «Sì.» Per vederlo poi dare la caccia a Rake nello sforzo di riconquistare l'arma da lui forgiata. Nightchill, preferisco Rake a Draconus... «Non ci sarà uno scontro del genere, Ganoes Paran.» Perché no? «Per liberare Draconus, la spada deve essere infranta.» La fredda lama che pareva trapassargli le costole impresse una dolorosa torsione. E questo libererebbe... tutti gli altri. Ogni altra cosa. Mi dispiace, donna, ma non lo farò... «C'è un uomo soltanto che può sapere se esiste un modo per prevenire la nefasta liberazione di folli spiriti maligni... il cui numero è in effetti incalcolabile e troppo orribile per essere contemplato...» Draconus stesso. «Sì. Pensaci sopra, Ganoes Paran, non avere fretta. C'è ancora tempo.» Lieto di sentirlo. «Non siamo crudeli quanto tu credi.» La vendetta non avrebbe annerito il tuo cuore, Nightchill? Perdona il mio scetticismo. «Oh, cerco vendetta, mortale, ma non contro gli attori secondari che hanno orchestrato il mio tradimento, perché esso era stato predetto. E un'antica maledizione. Colui che l'ha pronunciata è il solo oggetto del mio desiderio di vendetta.» Mi sorprende che lui, o lei, sia ancora in circolazione. «Questa è stata la nostra maledizione nei suoi confronti.» Dietro quelle parole si avvertiva un gelido sorriso. Comincio a pensare che vi meritiate a vicenda. Ci fu una pausa, poi: «Forse sì, Ganoes Paran». Che ne hai fatto di Tattersail? «Nulla. Attualmente, la sua attenzione è rivolta altrove.» Quindi mi stavo solo illudendo, a pensare che non fosse così. Dannazio-
ne, Paran, sei ancora uno stolto! «Non le faremo del male, mortale. Non lo faremmo neppure se potessimo, il che non è. In lei ci sono onore e integrità, qualità rare, in una persona tanto potente. Quindi, abbiamo fiducia...» Una mano guantata sulla spalla riscosse Paran, che si guardò intorno con sconcerto. Il tetto. Sono tornato. «Capitano?» «Cosa?» replicò lui, incontrando lo sguardo preoccupato di Mallet. «Chiedo scusa, signore, ma per un momento è parso che vi avessimo perso.» Paran avrebbe voluto negare ciò che leggeva sul volto dell'uomo, ma non poté farlo. «Quanto è passato?» «Una decina di secondi, signore.» «Soltanto? Bene. Dobbiamo muoverci. Verso il Thrall.» «Signore?» Adesso sono fra loro e noi, Mallet, ma questo «noi» abbraccia più di quanto tu comprenda. Dannazione, vorrei potertelo spiegare senza sembrare un pomposo bastardo. Senza rispondere, si guardò intorno fino a trovare Trotts. «Condottiero, il Thrall ci chiama.» «Sì, capitano.» Notando che tutti gli Arsori di Ponti stavano evitando il suo sguardo, Paran si chiese come mai, e cosa gli fosse sfuggito. Scrollando le spalle, si diresse verso Gruntle. «Voi verrete con noi», disse. «Lo so.» Già, è ovvio. Ottimo, facciamola finita. La torre del palazzo si levava come una lancia, ammantata di spettrali bandiere di fumo, la scura pietra incolore che offuscava la luce del sole che l'avviluppava. Trecentotrentanove tortuosi scalini risalivano l'interno della torre e sbucavano su una piattaforma aperta con il tetto a punta fatto di tegole di rame, che non mostravano traccia di verderame. Il vento ululava fra le colonne che lo reggevano, ma la torre non oscillava. Itkovian stava guardando verso est, il vento che gli sferzava il volto, il corpo che sembrava stranamente esangue e tuttavia rovente sotto la malconcia armatura. Sapeva che lo sfinimento stava infine esigendo il suo prezzo, perché carne e sangue avevano i loro limiti. La difesa del principe morto nella sua Grande Sala era stata semplice e brutale, corridoi ed entrate erano diventati mattatoi e il fetore della strage pareva permeargli il cor-
po come un nuovo strato di pelle che neppure il vento poteva rimuovere. Le battaglie lungo la costa e sui moli si stavano concludendo, come aveva riferito un singolo esploratore superstite. I Betrullid erano stati messi in rotta ed erano in fuga verso nord, lungo la costa, dove i loro cavalli si sarebbero impantanati nelle paludi salate, permettendo agli inseguitori Barghast di sterminarli. Il campo degli assedianti era stato devastato, come se un tornado lo avesse attraversato, e adesso poche centinaia di Barghast, vecchi e bambini, si aggiravano fra i caduti per raccogliere le spoglie di guerra fra le proteste dei gabbiani. La ridotta della Guardia Orientale, ora un mucchio di macerie che emergeva a stento dagli strati di cadaveri, esalava ancora fumo, come un rogo morente. Itkovian aveva visto i Clan dei Barghast entrare in città e la ritirata dei Pannion trasformarsi in una disfatta nelle strade sottostanti. Il combattimento si era spostato rapidamente oltre il palazzo, poi un ufficiale dei Seerdomin era riuscito a organizzare una retroguardia nel Viale Jelarkan, una battaglia che infuriava ancora. Per i Pannion, però, quella era una manovra di ritirata, intesa a guadagnare tempo per l'esodo attraverso quanto restava della Porta Meridionale e Occidentale. Alcuni esploratori dei Visi Bianchi si erano avventurati nel palazzo quanto bastava per constatare che c'erano ancora dei difensori, ma non avevano stabilito nessun contatto ufficiale. La recluta, Velbara, era accanto a Itkovian, e non era più una recluta. Il suo addestramento con le armi aveva seguito il metodo della disperazione, e lei aveva capito subito la lezione più importante - restare viva - su cui aveva poi modellato tutti i talenti acquisiti in seguito durante la battaglia. Come tutte la altre reclute Capan, che ora costituivano la maggioranza dei superstiti agli ordini dell'Incudine-Scudo, Velbara si era guadagnata un posto di soldato delle Spade Grigie. «Ora abbandoneremo la Grande Sala», disse infine Itkovian. «Sì, signore.» «L'onore del principe è stato vendicato. Ora dobbiamo andare... ci sono ancora questioni in sospeso al Thrall.» «Pensi che riusciremo a raggiungerlo, signore? Dovremo cercare un condottiero Barghast.» «Non verremo scambiati per il nemico. Troppi nostri fratelli e sorelle giacciono morti in città perché i nostri colori non siano conosciuti. Inoltre,
tranne che in questo viale, l'inseguimento ha spinto i Pannion a ovest, sulla pianura, quindi dovremmo trovare la via sgombra.» «Sì, signore.» Per l'ultima volta, Itkovian guardò verso la ridotta distrutta, sull'area est del campo di battaglia. Nella sala sottostante c'erano due soldati Gidrath provenienti da quella coraggiosa quanto stolta resistenza. Uno di essi aveva ricevuto di recente ferite che probabilmente sarebbero divenute fatali; l'altro, un uomo enorme e massiccio che si era inginocchiato davanti a Rath'Hood, pareva non riuscire più a dormire. Nei quattro giorni trascorsi dalla riconquista della Grande Sala, nei periodi di tregua non aveva fatto altro che camminare, inconsapevole di quanto lo circondava. Camminava e borbottava fra sé, gli occhi febbricitanti nella loro intensità. Itkovian sospettava che lui e il suo compagno morente fossero i soli Gidrath ancora vivi al di fuori delle mura del Thrall. Un Gidrath votato a Hood, e tuttavia obbedisce ai miei ordini senza esitazione. Si potrebbe concludere che sia una semplice conseguenza della necessità, che ogni rivalità sia stata accantonata di fronte alla gravità estrema della situazione, e tuttavia... diffido della mia stessa spiegazione. Nonostante lo sfinimento, Itkovian si sentiva sempre più turbato. Era successo qualcosa, da qualche parte, e quasi in risposta a quell'evento lui aveva avuto l'impressione che il sangue gli si prosciugasse nel corpo, svuotandogli le vene e il cuore per defluire da una ferita che non aveva ancora individuato, lasciandogli una sensazione di... incompletezza. Come se avessi abbandonato la mia fede, cosa che però non ho fatto. «Il vuoto della perdita della fede viene riempito dal gonfiarsi del proprio ego». Parole di un Destriant morto da tempo. Non si abbandona nulla, si sostituisce la fede con il dubbio, lo scetticismo, il rifiuto. Io non ho abbandonato nulla, non ci sono orde di parole che assedino le mie difese interiori. Anzi, sono ridotto al silenzio. Svuotato, come in attesa di rinnovamento... «Questo vento ulula troppo», disse, riscuotendosi, lo sguardo ancora fisso sulla ridotta della Guardia Orientale. «Vieni, scendiamo di sotto.» Centododici soldati erano ancora in condizione di combattere, anche se neppure uno era privo di ferite, e diciassette Spade Grigie giacevano morte, o morenti, lungo una parete. L'aria puzzava di sudore, di urina e di carne che marciva, le entrate della Grande Sala erano incorniciate da chiazze di sangue secco, che era stato invece grattato via dal pavimento per evitare di scivolare. L'antico architetto che aveva dato forma a quella camera sa-
rebbe rimasto sgomento nel vedere la sua nobile bellezza ridotta a quella scena da incubo. Il principe Jelarkan sedeva sul trono, la pelle ricucita alla meglio sul corpo mezzo divorato, privo di occhi, con i denti esposti in un sogghigno che si andava allargando con il ritrarsi delle labbra che si seccavano progressivamente. Il sorriso della morte, un preciso, poetico orrore, degno di tenere udienza in ciò che la Grande Sala era diventata. Un giovane principe che aveva amato la sua gente e ne aveva condiviso la sorte. Era tempo di andare. Fermo vicino all'ingresso principale, Itkovian osservò ciò che restava delle sue Spade Grigie, che a loro volta si schierarono davanti a lui, immobili e impassibili. Sulla sinistra, due reclute Capan tenevano per le redini i due cavalli da guerra mentre il Gidrath - il cui compagno era morto poco prima - camminava a testa bassa, le spalle incurvate, avanti e indietro lungo la parete, alle spalle dei mercenari schierati. In ciascuna mano stringeva una lunga spada, quella nella sinistra piegata da un selvaggio fendente che due notti prima aveva colpito una colonna. L'Incudine-Scudo aveva pensato di dire qualcosa ai soldati, se non altro per decoro, ma adesso che li guardava si stava rendendo conto di non avere più parole dentro di sé, nessuna in grado di placare il dolore che li univa, di esprimere lo strano senso di freddo orgoglio che stava provando. Alla fine estrasse la spada, controllò le cinghie che gli sorreggevano il braccio sinistro e si girò verso l'ingresso. Il corridoio antistante era stato sgombrato dai cadaveri, accumulati ai due lati delle porte a formare uno stretto passaggio. Percorso quel macabro sentiero, Itkovian oltrepassò gli infranti battenti esterni e uscì sotto il sole. Dopo ognuno dei loro numerosi assalti, i Pannion avevano sempre rimosso i compagni caduti dagli ampi e bassi gradini, ammucchiandoli alla rinfusa nel cortile, compresi i moribondi, che erano poi morti per le ferite o per soffocamento. Itkovian si arrestò in cima ai gradini. Il rumore del combattimento giungeva ancora dal Viale Jelarkan, ma a parte questo il silenzio ammantava la scena che lui aveva davanti, un silenzio così fuori posto e stridente, in quello che era stato il cortile di un palazzo pieno di vita di una prospera città, da lasciarlo profondamente scosso per la prima volta dall'inizio dell'assedio. Caro Fener, mostrami dove sia la vittoria, in tutto questo. Infine scese i gradini, morbidi e appiccicosi sotto i suoi piedi, e i soldati lo seguirono in silenzio. Oltrepassate le porte devastate, si fecero largo fra
i cadaveri che coprivano la rampa e si avviarono lungo la strada. Anche se non c'era anima vivente che contrastasse loro il passo, quello sarebbe stato comunque un lungo viaggio, e non privo di aggressioni, derivanti dallo spettacolo che si offriva ai loro occhi, dagli odori che permeavano l'aria e da quello che avvertivano sotto i piedi. Contro quegli attacchi, scudi e armature erano inutili, le spade vane. La sola difesa era un'anima tanto indurita da essere inumana, un prezzo troppo alto per Itkovian. Io sono l'Incudine-Scudo. Mi arrendo a ciò che ho davanti. Più denso del fumo è il dolore scatenato e ora perduto, che ribolle nell'aria priva di vita. Una città è stata uccisa. I superstiti nascosti nelle gallerie sotterranee... che Fener mi prenda, ma sarebbe meglio che non ne uscissero mai... per vedere questo. Il loro percorso passava fra i cimiteri, e Itkovian si soffermò a guardare il punto in cui lui e i suoi soldati avevano combattuto. Esso non appariva diverso da ogni altro punto su cui posasse lo sguardo, ovunque c'erano mucchi di cadaveri. Come Brukhalian aveva promesso, non un solo metro era stato ceduto senza combattere. Quella piccola città aveva fatto tutto il possibile. La vittoria dei Pannion poteva anche essere stata inevitabile, ma porte e strettoie avevano trasformato il loro stesso impeto in una condanna a morte. E adesso i Barghast Viso Bianco avevano annunciato la loro inevitabilità, infliggendo ai Pannion ciò che essi avevano inflitto a Capustan. Siamo tutti spinti verso un mondo di follia, ma adesso tocca a ciascuno di noi ritrarsi dall'Abisso, trascinarsi fuori dalla spirale discendente. Dall'orrore deve nascere il cordoglio, e da esso la compassione. Nell'imboccare un viale intasato di corpi ai confini del Distretto Daru, la compagnia vide una ventina di Barghast sbucare da un vicolo, più avanti, con la spada insanguinata in pugno e le facce dipinte di bianco schizzate di rosso. Quello che procedeva per primo sorrise all'Incudine-Scudo. «Difensori!» esclamò, in Capan fortemente accentato. «Che ve ne pare di quest'opera di liberazione?» «Avete dei connazionali nel Thrall, signore», replicò Itkovian, ignorando la domanda. «Vedo che il bagliore protettivo sta cominciando a svanire.» «Sì, vedremo le ossa dei nostri dei», annuì il guerriero, poi scrutò le Spade Grigie, e aggiunse: «Guidi una tribù di donne». «Donne Capan», affermò Itkovian. «La risorsa più affidabile della città, anche se è toccato a noi scoprirlo. Adesso sono Spade Grigie, signore, e
questo ci rende più forti.» «Abbiamo visto i tuoi fratelli e le tue sorelle dappertutto», ringhiò il Barghast. «Se fossero stati nostri nemici, saremmo lieti della loro morte.» «Ed essendo alleati?» chiese l'Incudine-Scudo. All'unisono, i guerrieri Barghast si portarono alla fronte la mano destra, sfiorando la pelle con il cuoio. «La perdita riempie le ombre che noi proiettiamo», disse il loro portavoce. «Sappi questo, soldato: il nemico che ci avete lasciato era logorato.» «La fede dei Pannion non conosce l'adorazione, solo la necessità», ribatté Itkovian. «La loro forza è cosa da poco, signore. Ci accompagnerete al Thrall?» «Al vostro fianco, soldato, onorati di camminare nella vostra ombra.» La maggior parte delle strutture del Distretto Daru era bruciata, e in certi punti i crolli avevano riempito la strada di macerie annerite. Mentre Spade Grigie e Barghast cercavano di trovare il percorso meno ingombro, lo sguardo di Itkovian venne attratto dalla sola costruzione ancora in piedi, sulla loro destra, un palazzo di appartamenti le cui pareti apparivano stranamente incurvate. Fuochi ora spenti erano stati accesi a ridosso della facciata e avevano annerito le pietre, ma per qualche motivo non avevano attecchito. Ogni finestra visibile sembrava essere stata barricata. «La tua gente costruisce sepolcri di massa», osservò il Barghast, al suo fianco. «Signore?» fece Itkovian, lanciandogli un'occhiata. Il guerriero accennò all'edificio annerito dal fumo e continuò i suoi commenti. «Certo, è più facile che scavare e rivestire una fossa fuori città e poi riempirla di terra. E vi piace avere una buona visuale, pare. Noi però non viviamo in mezzo ai nostri morti come fate voi.» Itkovian si girò a osservare meglio l'edificio, ora leggermente più indietro sulla destra. Le barricate che bloccano le finestre sono di carne e ossa. Zanne Gemelle, chi può aver costruito una simile necropoli? Non sarà una conseguenza della difesa, spero. «Ci eravamo avvicinati», disse il guerriero. «Le pareti emanano calore, liquidi densi filtrano dalle fessure.» Con mano tremante, batté l'impugnatura della spada contro l'armatura, e aggiunse: «Per le sacre ossa, soldato, siamo fuggiti». «Quel palazzo è il solo... riempito a quel modo?» «Non ne abbiamo visti altri, ma siamo passati da una tenuta che resisteva ancora... cadaveri rianimati erano di guardia alle porte e sulle mura e
l'aria puzzava di negromanzia. Ti garantisco, soldato, che saremo felici di lasciare questa città.» Itkovian non replicò. Il Reve di Fener diceva la verità sulla guerra, parlava della crudeltà che l'umanità era capace di scatenare contro la sua stessa specie. La guerra era come un gioco per chi guidava gli altri, eseguito in una placida arena di calma illusoria, ma tali menzogne non potevano sopravvivere a una realtà che non pareva avere limiti. Il Reve conteneva un invito al controllo, insisteva che non bisognava cercare una gloria cieca, bensì una nata da una riflessione solenne e lucida. Nella realtà illimitata era insita una promessa di redenzione. Adesso Itkovian non era più capace di riflessione, si stava ritraendo come un animale in gabbia crudelmente pungolato da ogni lato. La fuga gli era negata, ma si trattava di un divieto autoimposto, generato dalla sua volontà cosciente, modellato dalle parole del suo voto. Si doveva assumere quel fardello, a qualsiasi costo. Dentro di lui, i fuochi della vendetta avevano subito una trasformazione: alla fine, lui sarebbe stato la redenzione... per le anime dei caduti di quella città. Redenzione. Per tutti gli altri, ma non per lui. Per essa, poteva guardare soltanto al suo dio. Cosa è successo, caro Fener? Dove sei? M'inginocchio in attesa del tuo tocco, ma non ti trovo da nessuna parte. Il tuo regno dà una sensazione di vuoto. Adesso, dove posso andare? Non ho ancora finito, questo lo accetto, ma dopo? Chi mi accoglierà? Un brivido lo percorse. Chi mi accoglierà? Itkovian allontanò da sé quella domanda, lottò per ritrovare la propria determinazione. Dopo tutto, non aveva scelta, sarebbe stato il dolore di Fener, e la sua mano di giustizia. Quelle non erano responsabilità piacevoli, e già percepiva che gli sarebbero costate care. Si avvicinarono alla piazza del Thrall, dove erano visibili soltanto Barghast, che vi affluivano da ogni strada. In lontananza, il rumore di lotta che veniva dal Viale Jelarkan, e che li aveva accompagnati per la maggior parte del pomeriggio, tacque di colpo. Il nemico era stato scacciato dalla città. Itkovian non pensava che i Barghast lo avrebbero inseguito. Avevano ottenuto ciò per cui erano venuti e rimosso la minaccia che i Pannion costituivano per le ossa dei loro dei. Se era ancora vivo, probabilmente l'Eptarca Kulpath avrebbe radunato le sue truppe, ripristinando la disciplina, e si sarebbe preparato alla mossa successiva, un contrattacco o una ritirata verso ovest. Entrambe le mosse
erano rischiose, perché poteva non avere forze sufficienti a riconquistare la città e il suo esercito; avendo perso gli accampamenti e le vie di approvvigionamento, avrebbe presto sofferto per mancanza di viveri. Non era certo una posizione invidiabile. Capustan, una piccola città senza importanza sulla costa orientale del Genabackis Centrale era diventata una maledizione dai molteplici aspetti. E le vite stroncate in essa significavano solo l'inizio della guerra futura. Sbucarono nella piazza. Il punto in cui Brukhalian era caduto era poco più avanti, ma i corpi erano stati rimossi, senza dubbio per opera dei Pannion in fuga: carne per un altro banchetto reale. Non importa. Hood è venuto per lui, di persona. Ha voluto onorarlo oppure si è tolto una meschina soddisfazione? Itkovian fissò per un momento ancora quel tratto di pavimentazione insanguinata, poi guardò verso le porte principali del Thrall. Il bagliore era svanito, e c'erano alcune figure nell'ombra dell'arco d'ingresso. Ogni via d'accesso alla piazza era piena di Barghast, ma nessuno stava avanzando oltre. Girandosi verso la sua compagnia, Itkovian individuò il capitano, che era stato il sergente maggiore incaricato di addestrare le reclute, e Velbara, esaminando il volto teso e l'uniforme malconcia di entrambi. «Noi tre, signori, al centro della piazza», disse. Le due donne annuirono, e tutti e tre avanzarono nella piazza. Migliaia di occhi li fissarono, poi si levò un rombante mormorio seguito dal ritmico martellare di lama contro lama. Un altro gruppo sopraggiunse da destra, un insieme di soldati in un'uniforme che Itkovian non aveva mai visto, e di figure coperte di felini tatuaggi a strisce; a capo di quel secondo gruppo c'era un uomo che Itkovian conosceva, la cui vista gli fece rallentare il passo. Gruntle. Quei nome gli vibrò nel petto come un colpo di martello, permeando di brutale certezza i suoi pensieri successivi. La Spada Mortale di Trake, Tigre dell'Estate. Il Primo Eroe è asceso. Noi... siamo stati rimpiazzati. Facendosi forza, riprese a camminare, arrestandosi al centro della piazza. Un singolo soldato in armatura straniera si affiancò a Gruntle e gli posò una mano sul braccio striato, poi disse qualcosa agli altri, che si fermarono. Lui e Gruntle proseguirono invece verso Itkovian. Un'improvvisa agitazione sulle porte del Thrall attirò la loro attenzione: i
sacerdoti e le sacerdotesse del Consiglio Mascherato stavano uscendo in fretta, trattenendo in mezzo a loro un compagno che si dibatteva. Rath'Trake procedeva per primo, seguito dal mercante Daru, Keruli. Il soldato e Gruntle raggiunsero Itkovian per primi. «Itkovian delle Spade Grigie», tuonò Gruntle. «È finita.» Itkovian non ebbe bisogno di ulteriori spiegazioni: la verità era un coltello piantato nel suo cuore. «No, non è esatto», scattò lo sconosciuto. «Vi saluto, Incudine-Scudo. Sono il capitano Paran degli Arsori di Ponti, dell'Armata di Un-braccio.» «È molto più di questo», borbottò Gruntle. «Quello che ora rivendica...» «Non è qualcosa che accetto volentieri», concluse per lui Paran. «Incudine-Scudo, Fener è stato strappato da questo regno e si trova in una terra lontana. Voi, e la vostra compagnia, avete perso il vostro dio.» Dunque è noto a tutti. «Ne siamo consapevoli, signore.» «Gruntle afferma che il vostro ruolo è concluso, che le Spade Grigie si devono trarre in disparte perché un nuovo dio della guerra è ora preminente, ma non è necessario che sia così. È stata preparata una strada per voi...» Lo sguardo di Paran si spostò oltre Itkovian e lui sollevò la voce nel continuare: «Benvenuto, Humbrall Taur. Senza dubbio, i tuoi figli ti aspettano nel Thrall». Guardandosi alle spalle, Itkovian vide un enorme condottiero Barghast dalla corazza decorata da monete fermo dieci passi più indietro. «Possono aspettare ancora un po'», replicò Humbrall Taur. «Voglio essere testimone di questo.» «Bastardo ficcanaso», mormorò Paran, con una smorfia. «Già.» Il Malazan riportò la propria attenzione su Itkovian e accennò a parlare, ma lui lo prevenne. «Un momento, signore», disse, oltrepassando lui e Gruntle. Rath'Fener si stava dibattendo nella stretta degli altri sacerdoti, la maschera di traverso e ciocche di capelli grigi che sbucavano da sotto le cinghie di cuoio. «Incudine-Scudo!» gridò, nel vedere Itkovian che si avvicinava. «Nel nome di Fener...» «Sì, signore, nel suo nome», annuì Itkovian. «Venite al mio fianco, capitano Norul. Viene invocata la legge del Reve.» «Sì, signore», assentì la donna, facendosi avanti. «Non potete farlo!» stridette Rath'Fener. «Soltanto la Spada Mortale può invocare il Reve per questo!»
Itkovian rimase immobile, e intanto il sacerdote riuscì a liberare un braccio e a puntargli contro un dito. «Il mio rango è quello di Destriant! Avete forse con voi chi può reclamare tale titolo?» «Il Destriant Karnadas è morto.» «Quell'uomo non era un Destriant, Incudine-Scudo! Un Aspirante, forse, ma il mio rango era e rimane superiore, quindi solo una Spada Mortale può invocare il Reve contro di me, cosa che sapete benissimo.» «Itkovian», intervenne Gruntle, «Paran mi ha spiegato che c'è stato un tradimento, che il vostro sacerdote ha venduto la vita di Brukhalian ai Pannion, cosa non solo disgustosa ma poco saggia». Fece una pausa, poi: «Qualsiasi Spada Mortale può andare bene? Se è così, invoco io il Reve. Punite quel bastardo». Siamo sostituiti. Il Signore della Battaglia è davvero trasformato. «Non può!» stridette Rath'Fener. «Un'affermazione audace», ribatté Itkovian. «Per negare il diritto di quest'uomo al suo titolo dovete invocare il vostro dio in vostra difesa. Fatelo, signore, e andrete via di qui libero.» Gli occhi dietro la maschera si dilatarono. «Sapete che è impossibile, Itkovian.» «Allora la vostra difesa è conclusa. Il Reve è stato invocato e io divento la mano della giustizia di Fener.» Rath'Trake, che era rimasto fermo in disparte in vigile silenzio, intervenne. «Tutto questo non è necessario, Incudine-Scudo. L'assenza del vostro dio cambia... tutto. Di certo comprendete cosa sottenda la forma tradizionale di punizione. Una semplice esecuzione capitale... al posto della legge del Reve...» «È negata a quest'uomo», disse Itkovian. «Capitano Norul.» La donna si diresse verso Rath'Fener e lo sottrasse agli altri sacerdoti. Lui parve una bambola di pezza nelle sue mani massicce e sfregiate mentre lo faceva girare e lo gettava prono al suolo, mettendosi a cavalcioni su di lui e spingendogli in avanti le braccia affiancate. Il sacerdote infine comprese, e urlò. Itkovian estrasse la spada, da cui salivano volute di fumo. «Il Reve», disse, ergendosi al di sopra delle braccia protese di Rath'Fener. «Con il tradimento hai barattato la vita di Brukhalian con la tua. Il tradimento, il crimine più immondo per la legge del Reve, per Fener stesso. Viene invocata la punizione, secondo il giudizio del Cinghiale dell'Estate.» Tacque per un momento, poi aggiunse: «Prega che Fener trovi ciò che gli man-
diamo». «Ma non è possibile!» gridò Rath'Trake. «Non capite? Il suo regno... il vostro dio non attende più in esso!» «Lo sa», affermò Paran. «Questo è ciò che succede quando qualcosa diventa una faccenda personale. Credetemi, preferisco restarne fuori.» Rath'Trake si girò di scatto verso di lui. «E tu chi saresti, soldato?» «Oggi, in questo momento, sono il Signore del Mazzo, sacerdote, e pare che sia qui per mediare nel vostro interesse e in quello del vostro dio. Purtroppo», aggiunse in tono asciutto, «l'Incudine-Scudo si sta mostrando recalcitrante». Itkovian quasi non sentì quel dialogo, lo sguardo sul sacerdote bloccato al suolo davanti a lui. «Il nostro Signore se n'è... andato», disse, «quindi farai meglio a pregare, Rath'Fener, che una creatura di misericordia guardi ora a te con pietà». A quelle parole, Rath'Trake si girò di scatto verso di lui. «Per l'Abisso, Itkovian, non esiste crimine orrendo quanto ciò che state per fare! La sua anima verrà fatta a pezzi! Dove vanno loro, non esistono creature di misericordia! Itkovian...» «Tacete, signore. Il giudizio spetta a me, e al Reve.» La vittima urlò. E Itkovian calò la spada. La lama crepitò contro le pietre, due fiotti gemelli di sangue schizzarono dai polsi mozzi di Rath'Fener, le cui mani... erano svanite. Itkovian premette di piatto la lama contro i moncherini. La carne sfrigolò e Rath'Fener smise di colpo di urlare nel perdere i sensi. Il capitano Norul allora si ritrasse, lasciando il sacerdote sdraiato sulla pietra. «Incudine-Scudo, ascoltatemi, per favore», disse Paran. «Fener se n'è andato... ora si aggira nel regno mortale, e quindi non vi può benedire. Adesso ciò che vi addossate... non ha dove andare, non c'è modo di alleviare il fardello.» «Ne sono consapevole, signore», rispose Itkovian, continuando a fissare Rath'Fener, che si stava riprendendo. «Saperlo è inutile.» «C'è un altro modo, Incudine-Scudo.» Itkovian infine si girò, socchiudendo gli occhi. «È stata... creata un'alternativa», continuò Paran. «In questo, sono solo un messaggero...» Rath'Trake si avvicinò a Itkovian. «Vi accoglieremo fra noi, signore, voi e i vostri compagni. La Tigre dell'Estate ha bisogno di voi, un Incudine-
Scudo, quindi offre il suo abbraccio...» «No.» Gli occhi dietro la maschera si socchiusero. «Itkovian, questo è stato previsto», intervenne Paran. «La via è stata preparata... dai poteri degli Antichi, nuovamente desti e attivi in questo mondo. Io sono qui per dirvi ciò che vorrebbero che voi faceste.» «No. Io sono votato a Fener. Se necessario, ne condividerò la sorte.» «Questa è un'offerta di salvezza, non un tradimento!» gridò Rath'Trake. «Davvero? Basta parlare, signore.» Itkovian fissò Rath'Fener, che era ora del tutto desto, e sussurrò: «Non ho ancora finito». Il corpo di Rath'Fener sussultò, un urlo lacerante gli eruppe dalla gola e le braccia gli si agitarono come scosse da mani invisibili, inumane; tatuaggi neri gli apparvero sulla pelle, ma non quelli appartenenti a Fener, perché non era stato lui a reclamare le mani recise di Rath'Fener. Simboli alieni e contorti gli sciamarono sulla pelle, marchio dell'ignoto pretendente venuto a reclamare la sua anima mortale, parole che scurirono come ustioni e generarono vesciche, che scoppiarono facendo sgorgare un denso liquido giallo. Urla di dolore intollerabile pervasero la piazza, il corpo steso a terra prese a contorcersi mentre muscoli e grasso si dissolvevano sotto la pelle, bollivano e schizzavano fuori. E tuttavia il condannato non moriva. Itkovian ripose la spada nel fodero. Comprendendo per primo le sue intenzioni, il Malazan lo afferrò per un braccio. «Per l'Abisso, non...» «Capitano Norul.» Pallida in volto sotto l'elmo, la donna abbassò la mano sulla spada. «Capitano Paran», ingiunse, con voce tesa, incrinata, «ritirate la mano». «Perfino tu non approvi le sue intenzioni...» obiettò lui, girandosi. «Comunque sia, lasciatelo andare o vi uccido.» La minaccia destò uno strano bagliore negli occhi del Malazan, ma adesso Itkovian non poteva pensare al giovane capitano perché aveva una responsabilità. Rath'Fener era stato punito a sufficienza. La sua sofferenza doveva cessare. E chi salverà me? Paran lo lasciò andare, e lui si chinò sulla forma quasi irriconoscibile che si contorceva al suolo. «Ascoltami, Rath'Fener. Sì, sono qui. Vuoi accettare il mio abbraccio?» Nonostante l'invidia e la malizia del suo animo, che avevano portato al
tradimento, non solo di Brukhalian ma di Fener stesso, il sacerdote tormentato possedeva ancora una certa misura di misericordia, e di comprensione. Il suo corpo si ritrasse, gli arti si agitarono come se lui cercasse di strisciare lontano da Itkovian. Questi annuì, poi prese fra le braccia la figura devastata e si alzò. Ti vedo ritrarti, e so che questo è il tuo gesto estremo. Di espiazione. Non posso che rispondere nello stesso modo, Rath'Fener, quindi mi assumo la tua sofferenza. No, non contrastare questo dono. Libero la tua anima e la invio a Hood, al sollievo della morte... Paran e gli altri videro soltanto Itkovian restare immoto con Rath'Fener fra le braccia. Il sacerdote devastato e sanguinante continuò a dibattersi per un momento ancora, poi parve collassare interiormente e le sue urla cessarono. Nella mente, Itkovian vide la sua vita, vide formarsi la via verso il tradimento. Vide un giovane accolito, puro di cuore, istruito crudelmente non nella devozione e nella fede, ma con ciniche lezioni di lotta per il potere secolare. Governo e amministrazione erano un nido di vipere, una lotta continua fra menti piccole e meschine per ricompense illusorie. La vita nelle fredde sale del Thrall aveva svuotato l'anima del sacerdote, l'ego aveva occupato la caverna lasciata dalla fede perduta, assediato da timori e gelosie le cui sole risposte erano atti malevoli. Il bisogno di preservarsi faceva della virtù una merce di scambio. Itkovian comprese, vide ogni singolo passo che aveva inevitabilmente portato al tradimento, allo scambio di vite convenuto fra il sacerdote e gli agenti del Dominio di Pannion, e scorse la consapevolezza da parte di Rath'Fener di aver corteggiato una vipera dal bacio letale. Sarebbe morto comunque, ma ormai si era troppo allontanato dalla fede per poter immaginare di farvi un giorno ritorno. Ora ti comprendo, Rath'Fener, ma questo non è sinonimo di assoluzione. La giustizia che ha decretato la tua punizione non esita, e per questo hai conosciuto il dolore. Sì, Fener avrebbe dovuto essere in attesa, il nostro dio avrebbe dovuto accettare le tue mani recise, per poter assistere alla tua morte e pronunciare parole preparate apposta per te... le parole sulla tua pelle, l'espiazione ultima dei tuoi crimini. Così sarebbe dovuto essere, ma Fener se n'è andato, e ciò che ora ti ha in pugno ha... altri desideri. Ora io gli nego il diritto di possederti... L'anima di Rath'Fener stridette, cercando di nuovo di ritrarsi. Nel tumul-
to, echeggiarono alcune parole. Itkovian! Non devi! Lasciami a questo, te ne supplico. Non compromettere la tua anima... non volevo... per favore, Itkovian... L'Incudine-Scudo accentuò l'abbraccio spirituale, abbattendo le ultime barriere. A nessuno può essere negato il suo dolore, signore, neppure a te. Una volta abbassate le barriere, però, non si poteva scegliere cosa lasciar passare, e Itkovian fu sopraffatto dalla tempesta che lo investì, un dolore così intenso da diventare una forza astratta, un'entità vivente pervasa di panico e di terrore. Lui si aprì a essa, si lasciò invadere dalle urla. Su un campo di battaglia, dopo che l'ultimo cuore si è fermato, permane la sofferenza, racchiusa nel suolo, nella pietra, una rete di memorie che vibra nell'aria come un canto silenzioso. Il suo talento negava però a Itkovian il dono del silenzio: lui poteva sentire quel canto, esso lo pervadeva, e lui ne era il contrappunto, la risposta. Ora ti tengo, Rath'Fener. Sei stato trovato, e ora io... rispondo. Di colpo, al di là del dolore, una consapevolezza reciproca, una presenza aliena di immenso potere, non malvagia e tuttavia profondamente diversa, da cui emanavano confusione e angoscia, il tentativo di fare qualcosa di bello del dono inatteso delle due mani di un mortale. La carne dell'uomo non poteva però contenere quel dono. Orrore... e dolore. Ah, perfino gli dei piangono. Appoggiati al mio spirito, signore, consegnami il tuo dolore. La presenza aliena si ritrasse, ma era troppo tardi, e l'abbraccio di Itkovian offrì il suo dono incommensurabile. E lui fu fagocitato, sentì la sua anima che si dissolveva, si lacerava. Sotto il freddo volto degli dei c'era calore, ma era un dolore nell'oscurità, perché non erano gli dei a essere incomprensibili, lo erano i mortali. Quanto agli dei... essi pagavano. Noi siamo la ruota su cui vengono torturati. Poi la sensazione lo abbandonò quando il dio alieno riuscì a districarsi, lasciandogli soltanto vaghi echi del dolore di un mondo lontano, un mondo con le sue atrocità, con strati e strati di storia tormentata. Ricordi che sbiadirono e svanirono. Lasciandolo con una devastante consapevolezza. Stava cedendo sotto il peso del dolore di Rath'Fener e il crescente impatto della spaventosa quantità di morte presente a Capustan, che lo stava costringendo ad allargare sempre più il suo abbraccio. Da ogni lato, un clamore di anime, la storia di ogni vita degna di essere notata e ascoltata, e
lui non respinse nessuno. Decine di migliaia di anime, vite di dolore, di perdita, di amore e di cordoglio, ognuna ancora intrisa del ricordo della propria morte. Ferro e fuoco, fumo e pietre crollate. Polvere e soffocamento. Ricordi della pietosa, inutile fine di migliaia e migliaia di vite. Devo espiare. Devo dare risposta a ogni morte. Ogni morte. Era perso in quella tempesta, il suo abbraccio incapace di chiudersi intorno all'immensità dell'angoscia che lo assaliva, ma continuò a lottare. Per il dono della pace, per la rimozione del trauma del dolore, per la liberazione delle anime intrappolate nella loro morte dolorosa, perché trovassero la via per giungere ai piedi di innumerevoli dei, o al regno di Hood, o all'Abisso stesso. Io sono... l'Incudine-Scudo. Spetta a me... resistere, protendermi... dei! Devo redimerli, è il mio compito, il cuore dei miei voti... sono colui che cammina fra i morti del campo di battaglia, che porta la pace, redime i caduti. Colui che rammenta le vite infrante. Senza di me, la morte è inutile, e negarne il significato è il peggior crimine del mondo verso i suoi figli. Resisti, Itkovian, tieni duro... Non aveva però un dio a cui appoggiarsi, una solida presenza che lo attendesse per rispondere alle sue esigenze, ed era una singola anima mortale. Non mi devo arrendere. Dei, ascoltatemi! Posso non essere vostro, ma i vostri figli caduti mi appartengono. Siate dunque testimoni di ciò che si cela dietro il mio volto freddo. Siate testimoni! Nella piazza, in un silenzio spaventoso, Paran e gli altri videro Itkovian scivolare lentamente in ginocchio, con un corpo senza vita fra le braccia. Agli occhi del capitano, quella singola figura inginocchiata parve esprimere lo sfinimento del mondo, un'immagine che gli s'impresse nella mente per non svanire mai più. Ben poco trapelava della guerra che infuriava dentro Itkovian. Dopo un lungo momento, lui sollevò una mano per slacciare l'elmo, sfilandolo. I lunghi capelli grondanti di sudore erano incollati alla fronte e al collo, gli velavano il volto mentre sostava in ginocchio, a capo chino, con il cadavere che nelle sue braccia diventava cenere. Il suo respiro irregolare rallentò, sussultò, poi cessò. Con il cuore che gli martellava nel petto, il capitano Paran scattò in avanti e afferrò Itkovian per le spalle, scuotendolo. «No, dannazione a te! Non sono venuto qui per vedere questo! Svegliati, bastardo!» Pace... ti possiedo ora? Il mio dono... ah, questo fardello...
Itkovian gettò indietro il capo, trasse un respiro ansimante. Deporre... un simile peso! Perché? Dei, voi tutti avete visto, siete stati testimoni con i vostri occhi immortali, ma non vi siete fatti avanti. Avete respinto il mio grido d'aiuto. Perché? Accoccolandosi, il Malazan si spostò in modo da vederlo in faccia. «Mallet!» gridò, da sopra la spalla. Mentre il guaritore arrivava di corsa, Itkovian incontrò infine lo sguardo di Paran e sollevò una mano. Reprimendo il proprio sgomento, riuscì poi a parlare. «Non so come», gracchiò, «ma mi hai riportato indietro...». «Tu sei l'Incudine-Scudo», replicò Paran, con un sorriso forzato. «Sì», sussurrò Itkovian. Che Fener mi perdoni, ciò che hai fatto non è stato misericordioso... «Sono l'Incudine-Scudo.» «Posso avvertirlo nell'aria», affermò Paran, fissandolo. «È... è stata purificata.» Sì. E non ho ancora finito. Mentre osservava il Malazan e il guaritore parlare con il comandante delle Spade Grigie, Gruntle sentì diradarsi la nebbia che, ora se ne rendeva conto, gli aveva offuscato la mente per giorni, e fu allarmato dai cambiamenti avvenuti in lui. I suoi occhi vedevano... in maniera diversa, con un'acutezza inumana. Qualsiasi movimento di una preda o di natura ignota, per quanto minimo o periferico, colpiva la sua attenzione e veniva catalogato come insignificante o pericoloso, con decisioni rapide e istintive. Poteva percepire ogni muscolo, tendine od osso del proprio corpo, e concentrarsi su ognuno di essi escludendo tutti gli altri, acquisendo una sensibilità spaziale che rendeva assoluto il controllo dei movimenti: se lo avesse voluto, avrebbe potuto camminare in una foresta senza far rumore, e poteva immobilizzarsi, schermando perfino il respiro. I cambiamenti che avvertiva erano però ancora più profondi di quelle manifestazioni fisiche. La violenza che era in lui era quella di un assassino, fredda e implacabile, priva di compassione o di ambiguità. E fu questa consapevolezza a terrorizzarlo. La Spada Mortale della Tigre dell'Estate. Sì. Posso percepirti, Trake, so in cosa mi hai trasformato. Dannazione, almeno avresti potuto chiedere il mio consenso. Nel guardare i suoi uomini, li riconobbe esattamente per quello che erano, veri seguaci, i suoi Votati, e fra essi c'era Stonny Menackis... no, lei non appartiene a Trake, ha scelto il Dio Antico di Keruli. Bene. Se mai si fosse inginocchiata davanti a me, nessuno dei due avrebbe avuto pensieri
religiosi... ma quanto è probabile una cosa del genere? Ah, ragazza... Avvertendo su di sé il suo sguardo, Stonny lo fissò a sua volta. Gruntle le strizzò l'occhio, e quando lei inarcò le sopracciglia vedere il suo atteggiamento allarmato lo divertì ancora di più... la sola risposta che sapeva dare al proprio terrore per il brutale assassino che si celava dentro di lui. Lei esitò, poi si avvicinò. «Gruntle?» «Sì. Mi sembra di essermi appena svegliato.» «Già, e i postumi di questa sbornia si vedono, puoi credermi.» «Cosa è successo?» «Non lo sai?» «Credo di sì, ma non sono del tutto sicuro di me stesso e dei miei ricordi. Abbiamo difeso il nostro edificio, e non è stata una cosa piacevole. Sei stata ferita, stavi morendo, ma quel soldato Malazan ti ha risanata. E là c'è Itkovian - il sacerdote che aveva fra le braccia si è appena ridotto in polvere - per gli dei, deve avere bisogno di un bagno...» «Che Beru ci protegga, sei proprio tu, Gruntle. Credevo che fossi perduto per m... per noi, per sempre.» «Ritengo che una parte di me lo sia, per tutti.» «Da quando in qua sei un tipo religioso?» «Il fatto è che non lo sono. Trake ha fatto una pessima scelta. Mostrami un altare, ed è più probabile che invece di baciarlo ci urini sopra.» «Potresti doverlo baciare, quindi ti suggerisco di invertire i gesti.» Con una risata ironica, Gruntle scrollò le spalle per sciogliersi i muscoli, e Stonny si ritrasse leggermente. «Uh, quel gesto era un po' troppo felino per i miei gusti... i tuoi muscoli si sono mossi sotto quella pelle striata.» «Ed è stata una sensazione splendida. Si sono mossi? Dovresti considerare nuove... possibilità, ragazza.» «Continua a sognarlo.» Quel battibecco era poco sentito, ed entrambi lo sapevano. Stonny rimase in silenzio per un momento, poi esalò il respiro con un sibilo. «Buke. Credo che sia morto.» «No, è vivo, e in questo momento sta volando in cerchio su di noi. Quel falco... il dono di Keruli per aiutarlo a tenere d'occhio Korbal Broach. Adesso lui è Soletaken.» «Davvero grandioso», commentò Stonny, fissando con rabbia il cielo, le mani sui fianchi, poi scoccò un'occhiata velenosa in direzione di Keruli, che se ne stava in disparte in atteggiamento pensoso, osservando ogni cosa
in silenzio, senza essere notato, e aggiunse: «Tutti vengono benedetti tranne me! Che giustizia c'è in questo?». «Ecco, Stonny, hai già la benedizione di una bellezza incomparabile...» «Un'altra parola, e giuro che ti taglio la coda.» «Non ce l'ho.» «Infatti. Adesso ascoltami: abbiamo del lavoro da fare. Qualcosa mi dice che è improbabile che noi due si torni a Darujhistan, almeno per parecchio tempo a venire, quindi cosa facciamo? Stiamo per separarci, miserabile vecchio?» «Niente decisioni precipitose, ragazza. Vediamo come si mettono le cose.» «Scusatemi...» Entrambi si girarono, constatando che Rath'Trake li aveva raggiunti. «Cosa c'è?» chiese Gruntle, fissandolo con aria accigliata. «Voi e io abbiamo delle cose di cui discutere, Spada Mortale.» «Pensa quello che vuoi», ribatté il Daru. «Ho già fatto capire al Baffuto che io sono una cattiva scelta.» «Il Baffuto?» annaspò Rath'Trake, che pareva soffocare per l'indignazione. «È un devoto bastardo, non trovi?» rise Stonny Menackis, assestando una pacca sulla spalla del sacerdote. «Io non m'inginocchio davanti a nessuno, inclusi gli dei», continuò Gruntle. «Se per riuscirci bastasse lavarsi, mi toglierei subito dalla pelle queste strisce.» Il sacerdote si massaggiò la spalla ammaccata, scoccando un'occhiataccia a Stonny da dietro la maschera. Alle parole di Gruntle, riportò l'attenzione su di lui. «Queste non sono cose su cui si possa dibattere, Spada Mortale. Voi siete quello che siete.» «Sono un capitano di guardie di carovana, e sono dannatamente in gamba. Quando sono sobrio, naturalmente.» «Siete il signore della guerra nel nome del Signore dell'Estate.» «Lo definiremo un hobby.» «U... un cosa?» Echeggiò una risata. Ancora acquattato accanto a Itkovian, il capitano Paran aveva sentito la conversazione. «Le cose non vanno mai come si pensa che debbano andare, vero, sacerdote?» sorrise. «Questa è la gloria di noi umani, ed è meglio che il vostro nuovo dio si rassegni al più presto a essa. Gruntle, continuate a giocare secondo le vostre regole.»
«Queste erano le mie intenzioni, capitano», replicò Gruntle. «Come sta l'Incudine-Scudo?» «Sto bene, signore», affermò Itkovian. «Questa sì che è una menzogna», commentò Stonny Menackis. «Comunque è così», ribadì Itkovian, accettando il supporto di Mallet nel rialzarsi lentamente. Gruntle abbassò lo sguardo sulle bianche scimitarre gemelle che aveva in pugno. «Che Hood mi porti se non si sono fatte dannatamente brutte», disse, riponendo a forza le due lame nei loro logori foderi di cuoio. «Non devono lasciare le vostre mani finché questa guerra non sarà finita», scandì Rath'Trake. «Un'altra parola, sacerdote, e sarà l'ultima», ringhiò Gruntle. Nessun altro si era avventurato nella piazza. Ferma con gli altri Arsori di Ponti all'imboccatura del vicolo, il caporale Picker stava cercando di determinare cosa stesse succedendo, mentre intorno a lei i soldati avanzavano congetture sulla base dei gesti e degli atteggiamenti dei dignitari. «Blend, dove sei?» chiamò Picker, guardandosi intorno. «Qui», replicò la donna, accanto a lei. «Perché non sgusci là fuori e cerchi di scoprire cosa sta succedendo?» «Verrei notata.» «Davvero?» «E poi, non ne ho bisogno. Per me è chiaro quel che è successo.» «Davvero?» «Hai perso il cervello quando hai consegnato quei bracciali, caporale?» chiese Blend, con una smorfia. «Prima d'ora non ti avevo mai vista così ottusa.» «Davvero?» ripeté Picker, ora in tono minaccioso. «Continua così, soldato, e te ne pentirai.» «Vuoi una spiegazione? D'accordo. Secondo me, le Spade Grigie avevano una questione personale da risolvere, cosa che hanno fatto, solo che ha quasi distrutto il loro comandante. Mallet però, attingendo a Hood solo sa quali poteri, gli ha dato un po' di energia - anche se credo sia stata la mano del capitano a riportarlo indietro dalla morte - e no, non immaginavo che avesse un tale potere, e questo conferma i nostri recenti sospetti che lui non sia soltanto un fragile nobiluomo. Non ritengo tuttavia che questo sia necessariamente un male per noi; lui non ci pianterà una spada nella schiena, caporale, anzi, potrebbe addirittura deviarne una diretta contro di noi.
Quanto a Gruntle, credo che si sia svegliato, e che quel sacerdote con la maschera di Trake non ne sia contento, ma questo non importa a nessuno, perché a volte un sorriso è proprio ciò di cui tutti hanno bisogno.» La risposta di Picker fu un grugnito. «Infine, dopo tutto questo», continuò Blend, «per Humbrall Taur e i suoi Barghast è arrivato il momento di...». Humbrall Taur aveva levato in alto l'ascia e si era avviato verso le porte del Thrall, mentre condottieri e sciamani di tutte le tribù attraversavano la piazza per unirsi a lui. Trotts si fece largo fra gli Arsori di Ponti per raggiungere gli altri. «Va a incontrare i suoi dei», mormorò Blend. «Concediamoglielo, caporale.» «Speriamo che rimanga con loro», replicò Picker. «Hood sa che non è capace di comandare.» «Però il capitano Paran sì.» «Suppongo che sia così», ammise Picker. «Potrebbe valere la pena di placcare Antsy e tutti coloro che ultimamente hanno parlato troppo», suggerì Blend. «Placcarli, sì, e poi pestarli fino a farli ragionare. Un buon piano, Blend. Trova Detoran. Pare che anche noi abbiamo una questione personale da risolvere.» «Suppongo che il tuo cervello funzioni, dopo tutto.» La sola risposta di Picker fu un altro grugnito. Blend sgusciò via fra la folla. Una questione personale. Mi piace come suona. Sistemeremo le cose per te, capitano. Hood sa che è il minimo che posso fare... Volando in cerchio nel cielo, il falco non perse un solo dettaglio. La giornata volgeva al termine, le ombre si allungavano e banchi di nuvole di polvere sulla pianura, verso ovest, rivelavano la posizione dei Pannion in ritirata, ancora incalzati verso ovest da guerrieri del clan di Humbrall Taur. Nella città, altre migliaia di Barghast si aggiravano per le strade, rimuovendo i cadaveri, mentre altri ancora erano impegnati a scavare vaste fosse fuori dalle mura settentrionali, le cui porte si stavano intasando di carri requisiti che uscivano da Capustan. Il lungo, sgomentante lavoro di pulizia della città era cominciato. Direttamente sotto il falco, la spianata della piazza era ora percorsa da numerose figure. Molti Barghast stavano emergendo da strade e vicoli per
accodarsi a Humbrall Taur, che era diretto alle porte del Thrall. Il falco che era stato un tempo Buke non udiva altro suono se non quello del vento, e questo dava alla processione un che di solenne e di etereo. Il rapace non accennò comunque ad avvicinarsi, perché la distanza era la sola cosa che, dall'alba, lo stava proteggendo dalla follia. Da lassù, molto al di sopra di Capustan, i vasti drammi di morte e di disperazione erano ridotti quasi a un'astrazione. Le maree di movimento, i colori sfocati, la massa di umanità... tutto era sminuito e ridotto a qualcosa di stranamente gestibile. Edifici bruciati. La tragica fine di innocenti, mogli, madri, bambini. Disperazione, orrore e dolore, la tempesta di vite distrutte... Non poteva avvicinarsi. Mogli, madri, bambini. Edifici bruciati. Non doveva avvicinarsi. Mai più. Il falco intercettò una corrente ascensionale e salì verso il cielo, lo sguardo ora fisso sulle stelle, a mano a mano che la notte inghiottiva il mondo sottostante. C'era sofferenza nei doni degli Dei Antichi. Ma, a volte, c'era anche misericordia. CAPITOLO DICIOTTESIMO La nascita degli dei Barghast echeggiò come un martello sull'incudine del pantheon. Primordiali nell'aspetto, questi spiriti ascendenti emersero dalla Fortezza della Bestia, il regno più antico del perduto Mazzo Antico. Detentori di segreti e misteri nati nell'ombra bestiale dell'umanità essi possedevano un potere intessuto in ere remote. Invero, gli altri dei dovettero avvertire il tremore della loro ascesa e sollevarono il capo con allarme e costernazione. Uno di essi, dopo tutto, era appena stato abbandonato nel regno mortale, mentre un Primo Eroe aveva assunto al suo posto il manto del guerriero. Inoltre, il Caduto era rientrato in gioco con nefasta malizia, corrompendo i canali per annunciare il suo letale desiderio di vendetta e, alla luce dei fatti, bisogna dirlo, di dominio.
Il sonno di Burn era quello della febbre, in innumerevoli terre la civiltà umana stava affondando. Erano tempi oscuri, un'oscurità che sembrava fatta apposta per accogliere l'alba degli dei Barghast... Sulla Scia dei Sogni Imrygyn Tallobant il Giovane Aprendo gli occhi, il mago vide accoccolata su uno zaino, davanti a sé, una piccola figura fatta di stecchi e di filo, con la testa ricavata da una ghianda ora piegata appena da un lato. «Sveglio. Sì, una mente di nuovo lucida.» «Talamandas», replicò Ben lo Svelto, con una smorfia. «Per un momento ho creduto di rivivere un incubo particolarmente spiacevole.» «A giudicare dal tuo delirio degli ultimi giorni e notti, Ben Adaephon Delat, ne hai vissuto più di uno, vero?» Una lieve pioggia tamburellava sulle pareti inclinate della tenda. Allontanate le pellicce dal corpo, il mago si sollevò a sedere, e scoprì di avere indosso soltanto la sottile biancheria di lana, e che l'armatura di cuoio e l'imbottitura erano state rimosse. Era intriso di sudore gelato, e la rozza lana era umida. «Delirio?» ripeté. «Oh, sì», rise la figura-stecco, «e io ho ascoltato con attenzione. Dunque conosci la causa della malattia che affligge la Dea Dormiente e vorresti porti sulla strada del Dio Storpio, batterlo con l'astuzia se non con il potere e sconfiggerne gli intenti. Mortale, la tua è una presunzione senza paragone... ma non posso che applaudirti». Ben lo Svelto sospirò, scrutando gli oggetti sparsi per la tenda. «Senza dubbio mi prendi in giro. Dov'è il resto dei miei vestiti?» «Non ti prendo in giro, mago, e sono anzi umiliato dalla profondità della tua... integrità. Trovarne tanta in un semplice soldato al servizio di un'Imperatrice malevola e sprezzante seduta su un trono insanguinato, alla testa di un impero di assassini...» «Un momento, dannata marionetta!» «Oh, ma è sempre stato così, vero?» rise Talamandas. «In un corpo putrescente si nascondono diamanti! Puri di cuore e inflessibili nell'onore, e tuttavia assediati nella loro stessa casa dal più ignobile dei padroni. E quando gli storici avranno finito, quando l'inchiostro si sarà asciugato, possa la casa risplendere e scintillare mentre brucia!»
«Mi hai perso per strada», borbottò Ben. «Per quanto sono stato... svenuto?» «Abbastanza a lungo. La città è stata riconquistata, il Thrall ha consegnato le ossa dei nostri Fondatori e i Pannion sono stati spinti fra le fauci di Brood e dei tuoi connazionali Malazan. Ti sei perso la maggior parte del divertimento... almeno per il momento, dato che la storia è tutt'altro che finita.» «Sarebbe stato bello assistere a tutto questo», replicò il mago, rintracciando e indossando la tunica imbottita, «ma considerata la mia attuale inefficacia...». «Ah, quanto a questo...» «Continua», incitò Ben lo Svelto, scoccandogli un'occhiata. «Vorresti avere la meglio sul Dio Storpio e tuttavia ti trovi nell'incapacità di usare i poteri di cui sei dotato. Come pensi di farcela?» «Escogiterò qualcosa», ribatté il mago, indossando i calzoni. «Naturalmente, tu ritieni di avere già una risposta al mio problema, vero?» «Infatti.» «Allora sentiamola.» «I miei dei si sono ridestati, mago, sono naso all'aria, e avvertono l'odore di cose che generano pensieri preoccupati e cupa contemplazione. Tu, Ben Adaephon Delat, persegui un degno intento, abbastanza audace da destare la loro stima e da portare a certe conclusioni. Occorre fare sacrifici per la tua causa. Entrare nei canali è un passo necessario, quindi bisogna fornirti un... un'armatura adeguata, perché tu ti possa difendere dai veleni del Dio Storpio.» «Talamandas», replicò Ben lo Svelto, massaggiandosi la fronte, «se tu e i tuoi dei avete messo insieme un mantello o un balteo o qualche altra cosa impenetrabile ai veleni dei canali, per favore dillo e basta». «Nulla di così... semplice, mago. No, la tua stessa carne deve essere immune dall'infezione, la tua mente deve essere inattaccabile da febbri e altre pestilenze del genere e dovrai essere permeato di poteri protettivi che sfidino per loro natura tutti i tentativi di fuorviarti da parte del Dio Storpio.» «Talamandas, ciò che descrivi è impossibile.» «Esattamente», annuì la figura-stecco, alzandosi. «Di conseguenza, davanti a te hai un degno sacrificio: rametti e filo non si ammalano, un'anima che ha conosciuto la morte non può contrarre febbri. I poteri protettivi che mi avvolgono sono antichi ed enormi; le più potenti stregonerie, usate per intrappolarmi dentro me stesso...»
«E tuttavia sei già stato preso una volta, sottratto al tuo tumulo.» «Da negromanti, possano marcire le loro arti immonde, ma la cosa non si ripeterà. Ci hanno pensato i miei dei, con il potere del loro stesso sangue. Io ti accompagnerò nei canali, Ben Adaephon Delat, e sarò il tuo scudo. Usami, portami dove vuoi.» Ben lo Svelto studiò la figura-stecco con occhi socchiusi. «Io non percorro strade dritte, Talamandas, e per quanto le mie azioni possano apparirti insensate, non intendo perdere tempo in spiegazioni.» «I miei dei hanno fiducia in te, mortale.» «Perché?» «Perché gli piaci.» «Per il respiro di Hood! Cosa ho detto nel delirio?» «In tutta sincerità, non so spiegarti perché si fidano di te, mago, so solo che lo fanno, e non spetta a me mettere in discussione queste cose. Nel tuo stato febbrile, hai rivelato come opera la tua mente, hai intessuto una rete, e tuttavia perfino io non sono riuscito a individuare tutti gli anelli, i fili di congiunzione. La tua comprensione della casualità è superiore al mio intelletto, Ben Adaephon Delat. Forse i miei dei hanno intravisto le tue intenzioni, forse hanno visto qualcosa di più, da cui hanno derivato l'istintivo sospetto che in te, mortale, il Dio Storpio possa trovare chi gli tenga testa.» Ben lo Svelto si alzò in piedi e si diresse verso il posto in cui erano ammucchiate la sua armatura di cuoio e i colori degli Arsori di Ponti. «Quello è il mio intento. D'accordo, Talamandas, affare fatto. Ammetto che non sapevo come procedere, senza i miei canali», interrompendosi, si girò a fissare di nuovo la figura-stecco. «Forse puoi darmi una risposta a qualche domanda. In questo gioco c'è qualcun altro che sembra impegnato a dar forma a una sua resistenza al Caduto. Sai di chi o di cosa si tratti?» «Gli Dei Antichi, mago», replicò Talamandas, scrollando le spalle. «I miei dei Barghast ritengono che abbiano agito prevalentemente per reazione.» «Per reazione?» «Sì, una sorta di ritirata armata. Essi sembrano incapaci di mutare il futuro, possono solo prepararsi a esso.» «Dannatamente fatalistico, da parte loro.» «Il loro perenne difetto, mago.» «Bada bene», borbottò Ben, indossando l'armatura, «dopo tutto, non è la loro battaglia, tranne forse per K'rul...». Talamandas balzò a terra e si affrettò a portarsi di fronte al mago. «Che
cosa hai detto? K'rul? Cosa sai di lui?» «Ecco, dopo tutto ha creato lui i canali», affermò Ben lo Svelto, inarcando un sopracciglio. «Noi nuotiamo nel suo sangue immortale... noi maghi e chiunque altro impieghi le vie della magia, inclusi gli dei. Anche i tuoi, suppongo.» La figura-stecco prese a saltellare, le mani di rametti strette intorno all'erba ingiallita legata sulla ghianda che fungeva da testa. «Nessuno lo sa! Nessuno! Tu... tu... come puoi... aagh! La rete! La ragnatela del tuo infernale cervello!» «Considerata la natura dell'attacco del Dio Storpio, K'rul è in uno stato peggiore anche di quello di Burn», affermò Ben lo Svelto. «Se io mi sono sentito impotente, immagina come si deve sentire lui. Rende quel fatalismo un po' più comprensibile, non trovi? Come se non bastasse, tutti gli ultimi Dei Antichi superstiti vivono da tempo immemorabile sotto il peso di una quantità di orribili maledizioni, giusto? Date le circostanze, chi non si sentirebbe un po' fatalista?» «Bastardo mortale! Astuto e subdolo! Trappola letale! Avanti, vuota il sacco, dannazione a te!» «I tuoi dei Barghast non sono pronti ad affrontare la situazione da soli», continuò Ben lo Svelto, «non appoggiandosi interamente a me, in ogni caso. Non possono farlo, Talamandas, sono ancora dei neonati. Gli Dei Antichi si sono invece tenuti sulla difensiva, hanno cercato di fare da soli, suppongo, per la loro leggendaria arroganza e tutto il resto. Però non ha funzionato, perciò hanno cercato degli alleati. «Quindi... chi ha contribuito a rimodellarti in qualcosa capace di schermarmi nei canali? Hood, suppongo, tanto per cominciare. Strati di morte a protezione della tua anima, e anche i tuoi dei Barghast, naturalmente, che hanno modellato gli incantesimi che vincolano il tuo potere. Poi Fener ti ha gettato un osso, o forse Treach, o chiunque occupi attualmente quel particolare nido... così puoi reagire se qualcosa ti attacca. Suppongo che la Regina dei Sogni sia intervenuta per fare da ponte fra te le la Dea Dormiente, per trasformarti in un singolo, formidabile crociato che contrasti il veleno che le scorre nelle vene, e quello che è in K'rul. Adesso sei quindi pronto ad andare... ma dove? E come? E a che punto entro in gioco io? Come me la sto cavando, finora?». «Facciamo affidamento su di te, Ben Adaephon Delat», ringhiò la figura-stecco. «Per cosa?»
«Per quello che hai intenzione di fare!» stridette Talamandas. «Ed è meglio che funzioni!» Dopo un lungo momento, Ben lo Svelto sorrise, ma non disse nulla. La figura-stecco si affrettò a seguirlo quando lui lasciò la tenda. Fuori, il mago si fermò per guardarsi intorno. Quella che aveva creduto essere pioggia era in effetti acqua che cadeva dai rami di un'ampia quercia, che sovrastavano la tenda; in alto, il cielo del tardo pomeriggio era sereno. Un accampamento Barghast si allargava su tutti i lati; alle sue spalle, tende di vimini e pelle sorgevano dal suolo della foresta lungo la base di un pendio alberato, mentre davanti a lui, verso sud, si scorgevano le gobbe brune di tende arrotondate, stili diversi che indicavano due distinte tribù. I sentieri fangosi che attraversavano l'accampamento erano affollati di guerrieri, molti dei quali feriti o intenti a trasportare compagni caduti. «Dove sono gli altri Arsori di Ponti?» chiese Ben a Talamandas. «Sono entrati a Capustan per primi, mago, e sono ancora là, probabilmente nel Thrall.» «Hanno combattuto?» «Solo alla Porta Settentrionale, quando hanno infranto le linee degli assedianti, una cosa rapida. Non ci sono feriti, Ben Adaephon Delat. Questo rende unica la tua tribù, giusto?» «Sì, a quanto vedo», mormorò Ben, osservando i guerrieri che rientravano al campo. «Deduco che di recente non ci siano stati molti duelli.» «È vero», grugnì la figura-stecco. «I nostri dei hanno parlato con gli sciamani, che a loro volta hanno inflitto ai clan dei guerrieri un... castigo. Pare che i Visi Bianchi non abbiano ancora chiuso con questi Pannion, o con la tua guerra, mago.» «Marcerete al sud con noi, Talamandas?» «Sì. Smussare una spada non basta, bisogna troncare la mano che la impugna.» «Devo contattare i miei alleati... nell'esercito che è a ovest. Posso tentare di usare un canale?» «Sono pronto.» «Bene. Cerchiamo un posto appartato.» Due leghe più a ovest, all'ombra di un ampio pendio, le file ammassate della fanteria pesante Malazan unirono gli scudi e avanzarono, precedute da soldati di marina armati di balestre che scagliavano quadrelle contro il disordinato schieramento dei Betakliti, distante meno di trenta passi.
Fermo in sella sulla cresta della collina, il cavallo che si agitava per l'odore del sangue, Whiskeyjack era intento a osservare la battaglia, circondato da aiutanti di campo e messaggeri. L'attacco sul fianco sferrato da Dujek contro il reggimento di arcieri dell'Eptarca aveva virtualmente eliminato la pioggia di frecce che giungeva dal lato opposto della valle. Whiskeyjack e la sua fanteria pesante avevano fatto da esca per quegli arcieri, dando alla cavalleria pesante di Unbraccio il tempo necessario a sferrare una carica lungo il pendio settentrionale. Se fossero stati dotati di disciplina - e di comandanti competenti - gli arcieri Pannion avrebbero avuto il tempo di modificare la formazione e di scagliare almeno tre raffiche di frecce contro la cavalleria, forse quanto bastava per infrangerne la carica. Invece, nel vedere i guerrieri a cavallo piombare loro sul fianco, gli arcieri avevano ceduto alla confusione e si erano dati alla fuga, a cui erano seguiti un inseguimento e un massacro di massa. I soldati di marina sgusciarono fra le file della fanteria pesante, pronti a riapparire sulle ali per riprendere a tempestare il nemico di quadrelle. Nel frattempo, però, quattromila silenziosi veterani in armatura pesante e dotati di scudo entrarono in contatto con i Betakliti. I giavellotti precedettero la loro carica quando la distanza era ormai di una decina di passi, falciando le file dei Pannion con quelle lance dalla lunga punta ad arpione - una tattica propria dell'Armata di Un-braccio - per poi estrarre le spade e lanciarsi nella corsa. La linea dei Betakliti ripiegò su se stessa. La fanteria pesante di Whiskeyjack modificò la formazione, creando cunei individuali di quattro squadre, ciascuno dei quali penetrò indipendentemente fra le file dei Pannion una volta che la battaglia fu in pieno svolgimento. I dettagli di quello scontro seguivano alla perfezione la dottrina di guerra Malazan elaborata alcuni decenni prima da Dassem Ultor. Linee e quadrati a scudi uniti operavano al meglio in una tattica difensiva, ma quando si trattava di seminare il caos in un esercito nemico ammassato, si era constatato che era meglio ricorrere a unità più piccole e compatte. Un'avanzata di massa capace di respingere il nemico perdeva spesso il proprio impeto e addirittura il contatto con il nemico in ritirata a causa della necessità di mantenere uno schieramento unito su un terreno ingombro di cadaveri. Quasi un migliaio di cunei di quattro squadre, ciascuno di trentacinque o quaranta soldati, invece, ritardavano il momento della rotta del nemico.
Organizzare la ritirata era più difficile, le comunicazioni si facevano problematiche, spesso i soldati nemici si perdevano di vista a vicenda, nessuno sapeva cosa gli altri stessero facendo e, di fronte a quell'incertezza, tutti esitavano a fuggire: una scelta fatale. Naturalmente esisteva un'altra alternativa, quella di combattere, ma ci voleva un esercito davvero speciale per mantenere disciplina e adattabilità in circostanze del genere e, di fronte a quel tipo di avversari, i Malazan mantenevano lo schieramento compatto a scudi uniti. I Betakliti non possedevano nessuna di quelle qualità. In una cinquantina di secondi la loro divisione andò in frantumi. Intere compagnie, nel trovarsi circondate dai silenziosi e letali Malazan, gettarono a terra le armi. Whiskeyjack decise che quella parte della battaglia era conclusa. «Signore», chiamò un messaggero Saltoan, affiancandoglisi. «Notizie dall'Alto Comandante!» Whiskeyjack annuì. «I Barghast Ilgres e i Rhivi che li accompagnano hanno sconfitto Seerdomin e Urdomen. All'inizio era attivo un Quadro di Maghi, ma i Tiste Andii lo hanno neutralizzato. Sul lato sud, Brood è padrone del campo.» «Benissimo», grugnì Whiskeyjack. «C'è altro?» «Signore, un sasso ben diretto dalla fionda di un Rhivi ha procurato all'Eptarca Kulpath un terzo occhio: lo ha ucciso sul colpo. Siamo in possesso dello stendardo del suo esercito, signore.» «Informa l'Alto Comandante che le compagnie di Betakliti, Bekliti, Scalandi e Desandi sono state sconfitte. Controlliamo il centro e il nord. Chiedi all'Alto Comandante quale sarà la nostra prossima mossa; i miei esploratori mi hanno informato che oltre duecentomila Tenescowri sono accampati mezza lega a est di qui. A quanto pare, sono piuttosto malconci, ma costituiscono una potenziale seccatura; d'altro canto Dujek e io non intendiamo accettare una strage indiscriminata di quei contadini.» «Riferirò le vostre parole, comandante.» Il messaggero salutò, girò il cavallo e si allontanò verso sud. Una fessura di oscurità si aprì davanti a Whiskeyjack, spaventando il suo cavallo e quelli dei cavalieri a lui più vicini. Sbuffando e battendo gli zoccoli, l'animale arrivò quasi a impennarsi, ma un basso ringhio di Whiskeyjack riuscì a placarlo. Korlat emerse dal suo canale, con l'armatura nera spruzzata di sangue, ma senza tracce di ferite. Comunque... «Sei ferita?»
«Un inetto mago Pannion», spiegò lei, scuotendo il capo. «Whiskeyjack, devi venire con me. Qui hai finito?» Lui fece una smorfia, riluttante a lasciare una battaglia, anche una che si stava concludendo rapidamente. «Suppongo sia importante, abbastanza da farti rischiare di usare il tuo canale, quindi la risposta è sì. Dobbiamo andare lontano?» «Fino alla tenda di Dujek.» «È stato ferito?» «No, va tutto bene, vecchio ansioso», sorrise lei. «Quanto mi vuoi far aspettare?» «E va bene», brontolò lui, poi si rivolse a un ufficiale, e aggiunse: «Barak, hai tu il comando, qui». «Signore», protestò il giovane, sgranando gli occhi, «sono un capitano...». «Allora questa è la tua occasione, senza contare che io sono un sergente... o almeno lo sarei, se fossi ancora sul libro paga dell'Imperatrice. Inoltre, sei il solo ufficiale presente che non abbia una sua compagnia di cui preoccuparsi.» «Ma, signore, sono il contatto di Dujek con i Moranth Neri...» «E loro sono qui?» «Uh, no, signore.» «Allora smettila di parlare e accertati che le cose si concludano a dovere, Barak.» «Sì, signore.» Smontato di sella, Whiskeyjack consegnò le redini a un aiutante di campo e raggiunse Korlat; nel lottare contro il desiderio di prenderla fra le braccia, rimase sconcertato nello scorgere nei suoi occhi un bagliore precognitivo. «Non vorrai farlo davanti alla truppa», mormorò lei. «Fammi strada, donna», ringhiò Whiskeyjack. Whiskeyjack aveva percorso un canale solo poche volte, ma il ricordo di quei viaggi non servì comunque a prepararlo al Kurald Galain. Prendendolo per mano, Korlat lo trasse nell'antico regno di Madre Oscurità, e pur potendo avvertire intorno alle dita la stretta salda di lei, il soldato si trovò ad avanzare alla cieca. Non c'era luce, sotto i suoi piedi c'erano pietre polverose, l'aria era assolutamente immota, priva di odori, con una temperatura che non sembrava
diversa da quella della sua pelle. Si sentì trascinare in avanti, gli stivali che toccavano a stento il suolo. Un'improvvisa striscia di grigio gli aggredì gli occhi, poi sentì Korlat sibilare: «Siamo aggrediti perfino qui... il veleno del Dio Storpio filtra in profondità, Whiskeyjack. Questo non fa presagire nulla di buono». «Senza dubbio Anomander Rake è consapevole di questa minaccia», replicò lui, schiarendosi la gola. «Sai come intenda affrontarla?» «Una cosa per volta, amante caro. Lui è il Cavaliere dell'Oscurità, il Figlio, il campione di Madre Oscurità, e non è tipo da evitare un confronto.» «Non l'avrei mai immaginato», fu l'asciutta risposta. «Allora, cosa sta aspettando?» «Noi Tiste Andii siamo un popolo paziente. La vera misura del potere risiede nella saggezza di aspettare il momento propizio. Quando esso giungerà, e quando lui riterrà che sia quello buono, Anomander Rake reagirà.» «Presumibilmente, lo stesso vale per l'utilizzare la Progenie della Luna contro il Dominio di Pannion.» «Sì.» E in qualche modo Rake è riuscito a nascondere una fortezza volante grande quanto una montagna. «Hai una notevole fiducia nel tuo signore, vero?» Attraverso le loro mani unite, la sentì scrollare le spalle. «Esistono abbastanza precedenti da far accantonare l'idea della fiducia, quando si tratta del mio signore. Io sono confortata dalla certezza.» «Lieto di sentirlo. E ti senti a tuo agio con me, Korlat?» «Uomo subdolo. La risposta a ogni sfumatura di quella domanda è sì. Adesso vorresti che ti facessi la stessa domanda?» «Non dovrebbe essere necessario.» «Tiste Andii o umani, quando si tratta di maschi siete tutti uguali. Forse ti costringerò comunque a dire quelle parole.» «Non dovrai faticare troppo. La mia risposta è uguale alla tua.» «Che sarebbe?» «Le stesse parole che hai usato tu, naturalmente.» Una gomitata nelle costole gli strappò un grugnito. «Ora basta», disse Korlat. «Siamo arrivati.» Il portale si aprì su una luce di un'intensità dolorosa... l'interno della tenda di comando di Dujek, avvolta nella penombra del tardo pomeriggio; non appena vi entrarono, il canale si richiuse in silenzio alle loro spalle.
«Se hai fatto tutto questo solo per stare sola con me...» «Dei, che ego!» Korlat fece un gesto con la mano libera, e una figura spettrale si materializzò davanti a Whiskeyjack. Un volto familiare sorrise. «Che vista affascinante», commentò l'apparizione, adocchiandoli insieme. «Hood sa che non riesco a ricordare l'ultima volta che sono stato con una donna.» «Attento a come parli, Ben lo Svelto», ringhiò Whiskeyjack, liberando la mano da quella di Korlat. «Non ci vediamo da un po', e hai un aspetto orribile.» «Grazie tante, comandante. Vi informo che mi sento anche peggio di come appaio. Adesso però posso percorrere i miei canali essendo più o meno schermato contro il veleno del Caduto. Porto notizie da Capustan: le volete sentire oppure no?» «Va' avanti», sorrise Whiskeyjack. «I Visi Bianchi controllano la città.» «Lo avevamo dedotto, dopo che Twist ci ha informati del vostro successo con i Barghast e che l'esercito Pannion ci è finito fra le braccia.» «Ottimo. Supponendo che abbiate provveduto voi a quell'esercito, aggiungerò una sola cosa. I Barghast verranno al sud con noi. Se voi e Dujek avete avuto qualche difficoltà a trattare con Brood, Kallor e gli altri... scusatemi, Korlat... adesso dovrete vedervela anche con Humbrall Taur.» «Che tipo è?» grugnì Whiskeyjack. «Decisamente troppo astuto, ma almeno ha unito i clan e non si fa illusioni sul pasticcio a cui sta andando incontro.» «Sono lieto che almeno uno di noi non ne abbia. Come stanno Paran e gli Arsori di Ponti?» «Bene, a quanto mi hanno riferito, ma non li vedo da un po'. Sono al Thrall... con Humbrall Taur e i superstiti fra i difensori della città.» «Ci sono superstiti?» domandò Whiskeyjack, inarcando le sopracciglia. «Così pare. I non-combattenti, ancora nascosti nelle gallerie, e alcune Spade Grigie. Difficile a credersi, vero? Badate bene, dubito che abbiano conservato molto spirito combattivo. Stando a quanto ho sentito riguardo alle strade di Capustan...» Ben lo Svelto scosse il capo. «Dovrete vederlo voi stesso per crederci, cosa che sto per fare anch'io. Con il vostro permesso, naturalmente.» «Con cautela, spero.» «Nessuno mi vedrà se io non vorrò, signore», sorrise Ben lo Svelto. «Quando prevedete di raggiungere Capustan?»
«Dobbiamo vedercela con i Tenescowri», spiegò Whiskeyjack, scrollando le spalle, «e la cosa potrebbe farsi complicata». «Non vorrete parlamentare con loro, vero?» chiese Ben. «Perché no? È meglio di un massacro, mago.» «Whiskeyjack, i Barghast di ritorno raccontano storie... di quello che è successo a Capustan, di ciò che i Tenescowri hanno fatto ai difensori. Essi hanno un capo, un uomo chiamato Anaster, il Primo Figlio del Seme Morto. La voce più recente è che avrebbe scuoiato personalmente il principe Jelarkan e poi lo avrebbe servito come portata principale di un banchetto... nella sua stessa sala del trono.» Korlat si lasciò sfuggire un sibilo. «Se Anaster, o qualsiasi altro Tenescowri, può essere riconosciuto colpevole di questi crimini senza ombra di dubbio, allora prevarrà la legge militare Malazan.» «Una semplice esecuzione concederà loro una misericordia che non hanno avuto per le loro vittime.» «Allora saranno fortunati a essere stati catturati dall'Armata di Unbraccio.» «E i cittadini superstiti di Capustan, i difensori e i sacerdoti del Thrall... loro non avranno voce in capitolo su cosa fare dei prigionieri?» insistette Ben lo Svelto, che appariva turbato. «Signore, ci attendono momenti difficili.» «Grazie per l'avvertimento, mago.» «Ci rivedremo a Capustan, Whiskeyjack», sospirò Ben lo Svelto, dopo un momento. «Sì.» L'apparizione svanì. «La legge militare Malazan», commentò Korlat, girandosi verso il comandante. «Non mi è parso che Caladan Brood fosse un tipo vendicativo», osservò lui, inarcando un sopracciglio. «Prevedi uno scontro?» «So cosa consiglierebbe Kallor», affermò lei, una sfumatura di tensione nella voce. «Lo so anch'io, ma non credo che l'Alto Comandante sia propenso ad ascoltarlo. Hood sa che finora non lo ha fatto.» «Non abbiamo ancora visto Capustan.» «Orrori a cui rispondere con la stessa moneta», sospirò Whiskeyjack, sfilandosi i guanti.
«Una legge non scritta», sussurrò lei. «Una legge antica.» «Non mi adeguo a essa», ringhiò Whiskeyjack. «Così facendo non diventiamo migliori. Perfino una semplice esecuzione... Oltre duecentomila contadini affamati. Credi che si lasceranno abbattere come pecore? È improbabile. Come prigionieri, non potremmo nutrirli tutti neppure se ci provassimo, né abbiamo soldati a sufficienza per sorvegliarli.» «Stai proponendo di lasciarli perdere, vero?» affermò Korlat, sgranando gli occhi. Sta andando a parare da qualche parte. È una cosa che ho già intravisto, un cuneo nascosto che minaccia di insinuarsi fra noi. «Non tutti», precisò. «Prenderemo i loro capi, questo Anaster e i suoi ufficiali, supponendo che ce ne siano. Se i Tenescowri hanno percorso una strada di atrocità, è stato il Primo Figlio a guidarli.» Scosse il capo e continuò: «Il vero criminale ci aspetta dentro il Dominio stesso... il Veggente, che ha ridotto alla fame i suoi seguaci fino a spingerli al cannibalismo e alla follia, che ha distrutto il suo stesso popolo. Noi giustizieremmo delle vittime... le sue vittime». «Secondo questo ragionamento, dovremmo assolvere anche gli eserciti Pannion, Whiskeyjack», obiettò Korlat, accigliandosi. Gli occhi grigi del Malazan s'indurirono. «Il nostro nemico è il Veggente. Dujek e io siamo d'accordo sul fatto che non siamo qui per annientare una nazione. Elimineremo in modo efficiente gli eserciti che ci sbarrano la strada fino al Veggente, ma la vendetta è solo una distrazione.» «E la liberazione? Le città conquistate...» «Sono incidentali, Korlat. La tua confusione al riguardo mi sorprende. Brood si è dimostrato della nostra stessa idea, durante quel primo incontro, quando si è discusso di tattica. Dobbiamo mirare al cuore...» «Credo che tu lo abbia frainteso, Whiskeyjack. Per oltre un decennio, l'Alto Comandante ha condotto una guerra di liberazione contro l'avidità rapace del vostro Impero Malazan. Adesso ha spostato la sua attenzione su un nuovo nemico, ma è la stessa guerra: Brood è qui per liberare i Pannion.» «Per il respiro di Hood! Non si può liberare un popolo da se stesso!» «Lui cerca di liberarlo dal dominio del Veggente.» «E chi ha elevato il Veggente alla sua posizione attuale?» «Eppure tu parli di assolvere la gente comune, perfino i soldati degli eserciti Pannion, Whiskeyjack. È questo che mi lascia confusa.» Non del tutto. «Stiamo parlando di cose diverse, Korlat. Né io né Dujek
siamo disposti ad addossarci il ruolo di giudice e di giustiziere, qualora dovessimo risultare vittoriosi, e neppure siamo qui per rimettere insieme le cose per conto dei Pannion. Questo spetta a loro farlo, perché addossarci quella responsabilità ci trasformerebbe in amministratori, e per amministrare in modo efficace un posto, bisogna occuparlo.» «E non è questo il modo di agire dei Malazan, Whiskeyjack?» ribatté lei, con un'aspra risata. «Questa non è una guerra Malazan!» «Non lo è? Ne sei certo?» «Cosa intendi dire?» ribatté lui. «Siamo fuorilegge, donna! L'Armata di Un-braccio è...» D'un tratto tacque, nel vedere come lo sguardo di Korlat si fosse fatto inespressivo, e si rese conto, troppo tardi, di essere stato messo alla prova e di aver fallito, distruggendo così la fiducia che si era creata fra loro. Dannazione, sono caduto nella trappola come uno stupido. «Dujek sta arrivando», osservò Korlat, con un sorriso pieno di rammarico. «Tanto vale che lo aspetti qui.» Poi si volse e lasciò la tenda. Whiskeyjack la guardò allontanarsi, poi scagliò i guanti sul tavolo delle mappe e sedette sulla branda di Dujek. Avrei dovuto dirti la verità, Korlat? Che abbiamo un coltello alla gola, e che la mano che lo impugna, per conto dell'Imperatrice Laseen, è qui in questo campo, fin dal principio? Sentì un cavallo arrestarsi davanti alla tenda. Pochi istanti più tardi Dujek Un-braccio entrò, l'armatura coperta di polvere. «Ah, mi ero chiesto dove fossi finito...» «Brood lo sa», lo interruppe Whiskeyjack, con voce bassa e aspra. Dujek esitò solo un istante. «Davvero? Cosa ha dedotto, precisamente?» «Che non siamo esattamente i fuorilegge che pretendiamo di essere.» «Ha dedotto altro?» «Questo non è abbastanza, Dujek?» Il Gran Pugno si avvicinò a un tavolo laterale su cui c'era una caraffa di birra e riempì due boccali. «Ci sono... circostanze attenuanti...» «Rilevanti soltanto per noi. Tu e io...» «E il nostro esercito...» «I soldati sono convinti di non avere più una vita in seno all'Impero, Dujek. Sono stati trasformati di nuovo in vittime... no, questa volta si tratta soltanto di te e di me.» Dujek svuotò il boccale e tornò a riempirlo in silenzio. «Stai suggerendo di mettere le carte in tavola con Brood e con Korlat?» chiese poi. «Nella
speranza che possano fare qualcosa... riguardo alla nostra situazione?» «Non lo so, non se speriamo di essere perdonati per aver mantenuto tanto a lungo l'inganno. Quella motivazione, per quanto evidentemente falsa, non mi andrebbe a genio. Le apparenze...» «Daranno esattamente questa impressione. "Vi abbiamo mentito fin dall'inizio per salvarci il collo, ma adesso che sapete, vi diremo tutto." Per gli dei, suona offensivo perfino a me, che lo sto dicendo. D'accordo, l'alleanza è in pericolo...» Un colpo contro il telo d'ingresso della tenda precedette l'ingresso di Artanthos. «Chiedo scusa, signori», disse scrutando i due ufficiali con occhi inespressivi. «Brood ha convocato un consiglio di guerra.» Ah, alfiere, il tuo tempismo è impeccabile... Whiskeyjack prese il boccale di birra, lo svuotò, poi si girò verso Dujek e annuì. «Precedici, Artanthos», sospirò il Gran Pugno. «Arriviamo subito.» L'accampamento era straordinariamente silenzioso. Durante la marcia, la Mhybe non si era resa conto di quanto fosse confortante la presenza dell'esercito. Adesso al campo rimanevano soltanto i vecchi, i bambini e le poche centinaia di soldati Malazan della retroguardia. Lei non sapeva che esito avesse avuto la battaglia, ma in ogni caso il lutto si sarebbe fatto sentire fra i Barghast e i Rhivi, voci dolenti si sarebbero levate nel buio. La vittoria è un'illusione, in tutte le cose. Ogni notte, nei suoi sogni, lei fuggiva e alla fine veniva raggiunta, solo per svegliarsi all'improvviso, come strappata via dal sogno, il corpo avvizzito che tremava e doleva in tutte le articolazioni. Era una sorta di sollievo dal terrore, anche se in effetti scambiava un incubo con un altro. Un'illusione, in tutte le cose. Il letto sul carro era diventato tutto il suo mondo, una sorta di ironico santuario che riappariva ogni volta che smetteva di dormire. Le rozze coperte di lana e le pellicce che l'avvolgevano erano un paesaggio personale, una cupa distesa di pieghe marrone sorprendentemente simile a quella che aveva visto in sogno quando era stata afferrata dagli artigli del drago ed esso aveva sorvolato la tundra, e questo le ricordava il senso di libertà sperimentato nel sogno, sia pure in un'eco dolorosamente sardonica. Sui suoi lati correvano assi di legno, di cui conosceva a fondo le venature e i nodi. Nel lontano nord, fra i Nathi, i morti venivano seppelliti in casse di legno, un'usanza iniziata molte generazioni prima e derivante dalla
più antica pratica di interrare i corpi in tronchi d'albero svuotati. Le casse venivano poi seppellite, perché il legno nasceva dalla terra e doveva tornare alla terra: un contenitore di vita che diveniva un contenitore di morte. La Mhybe supponeva che ciò che un defunto Nathi avrebbe scorto, se avesse potuto vedere, prima che il coperchio venisse abbassato, sarebbe stato qualcosa di molto simile a ciò che lei vedeva. Giaceva nella cassa, incapace di muoversi, aspettando il coperchio. Un corpo che non aveva più utilità alcuna e aspettava l'oscurità. Ma non ci sarebbe stata fine, non per lei. Loro la stavano tenendo lontana, basandosi sulle loro illusioni di misericordia e di compassione. I Daru che la nutrivano, la donna Rhivi che la puliva, la lavava e le pettinava i pochi capelli lanuginosi. Gesti malvagi, scene di tortura ripetute all'infinito. Adesso la donna Rhivi le sedeva accanto e continuava a passarle il pettine fra i capelli, mormorando un canto per bambini. La Mhybe se la ricordava dalla sua vita di prima. A quel tempo, le era parsa vecchia, una donna impotente che aveva ricevuto un calcio alla testa da un bhederin e da allora viveva in un mondo semplificato. Mi era parso semplice, ma era soltanto un'altra illusione. No, lei vive fra cose ignote che non può comprendere. Il suo è un mondo di terrore, e canta per tenere a bada la paura che deriva dalla sua ignoranza. Le danno degli incarichi per tenerla occupata. Prima che arrivassi io a tenerla impegnata, questa donna aiutava a preparare i cadaveri per la sepoltura. Dopo tutto, gli spiriti operano mediante simili adulti tornati bambini, e tramite lei si potevano avvicinare ai caduti per confortarli e guidarli al mondo degli antenati. Averla affidata a quella donna poteva essere stato solo un atto malvagio. Forse lei non era neppure consapevole che l'oggetto delle sue attenzioni era ancora vivo. Dopo tutto, non incontrava mai lo sguardo di nessuno, perché aveva perso la capacità di riconoscere le persone con la lesione alla testa. Il pettine passava avanti e indietro, avanti e indietro. Il canticchiare era un suono incessante. Spiriti degli Inferi, preferirei perfino affrontare i vostri terrori ignoti piuttosto che essere consapevole del tradimento di mia figlia... i lupi che ha evocato perché mi inseguano in sogno. L'avidità che ha già divorato la mia giovinezza ora cerca dell'altro, come se restasse ancora qualcosa. Sono dunque soltanto cibo per la vita in boccio di mia figlia? Un ultimo
pasto, una madre ridotta soltanto a mero sostentamento? Ah, Volpe d'Argento, ogni figlia è come te? Io sono come ogni madre? Non ci sono stati rituali per separare le nostre vite, abbiamo dimenticato il significato delle usanze dei Rhivi, il loro vero motivo. Io cedo sempre, e tu ti nutri incessantemente, e così siamo intrappolate, tu e io, trascinate sempre più a fondo. Generare un figlio significa invecchiare le proprie ossa, stancare il proprio sangue, sforzare la pelle e la carne. La nascita spacca una donna in due, una divisione dolorosa che separa la giovinezza dalla vecchiaia. Il bambino ha bisogno, e la madre dona. Non ti ho mai svezzata, Volpe d'Argento, anzi, non hai mai lasciato il mio grembo. Tu, figlia, attingi da me molto più del latte. Spiriti, per favore, datemi sollievo: questa crudele parodia di maternità è troppo per poterla sopportare. Separatemi da mia figlia, per il suo bene. Il mio latte è diventato veleno, posso nutrirla soltanto con l'astio, perché in me non rimane altro. E continuo a essere una donna giovane in questo corpo decrepito... Il pettine s'impigliò in un nodo, tirandole la testa all'indietro. Con un sibilo di dolore, la Mhybe scoccò un'occhiata rovente alla donna che le sedeva accanto, e il cuore le diede un sussulto improvviso. I loro sguardi si stavano incrociando. La donna che non guardava nessuno la stava fissando. Io sono una giovane donna in un corpo da vecchia, lei è una bambina in un corpo di donna. Due prigioni, una il riflesso dell'altra. Che si guardavano. «Cara ragazza, hai l'aria stanca. Siedi qui con il magnanimo Kruppe, e lui ti servirà un po' di questa fumante tisana di erbe.» «Ti ringrazio.» Con un sorriso, Kruppe osservò Volpe d'Argento sedersi lentamente a terra e appoggiarsi contro la sella di scorta, il piccolo fuoco in mezzo a loro; le curve ben modellate del suo corpo erano visibili sotto la logora tunica di pelle di daino. «Allora, dove sono i tuoi amici?» chiese. «Stanno giocando, con la gente della Corporazione Commerciale Trygalle. Kruppe, per qualche motivo, è stato escluso da simili giochi. È oltraggioso», dichiarò il Daru, porgendole una tazza di latta, «ma purtroppo è una cosa saggia. Se hai la tosse...». «Non ce l'ho, ma la tisana mi fa piacere lo stesso.»
«Kruppe, naturalmente, non tossisce mai.» «E perché?» «Perché beve infuso di salvia, è ovvio.» Lo sguardo di lei sgusciò oltre Kruppe per appuntarsi sul carro distante una decina di passi. «Lei come sta?» «Potresti chiederglielo, ragazza», osservò Kruppe, inarcando le sopracciglia. «Non posso. Io sono soltanto un abominio agli occhi di mia madre; le ho rubato la giovinezza e lei ha ragione di disprezzarmi, soprattutto adesso che Korlat le ha detto dei miei T'lan Ay.» «Kruppe si chiede se stai cominciando a dubitare del viaggio intrapreso.» «È troppo tardi per questo», replicò Volpe d'Argento, scuotendo il capo. «Il problema persiste, come ben sai, e poi il nostro viaggio è concluso, rimane soltanto il suo.» «Stai fingendo», mormorò Kruppe. «Il tuo viaggio è tutt'altro che finito, Volpe d'Argento. Accantoniamo però l'argomento per il momento, sì? Hai raccolto notizie della spaventosa battaglia?» «È finita. L'esercito Pannion non esiste più, a parte un paio di centinaia di migliaia di contadini male armati. I Visi Bianchi hanno liberato Capustan - quel che ne rimane - e gli Arsori di Ponti sono già in città. La cosa più importante è che Brood ha indetto un consiglio di guerra: potrebbe interessarti essere presente.» «Infatti, anche solo per benedire i presenti con l'incredibile saggezza di Kruppe. Cosa mi dici di te... non sarai presente a tua volta?» «Come hai detto prima, Daru, il mio viaggio non è finito», sorrise la ragazza. «Ah. Sì, Kruppe ti augura ogni bene, ragazza, e spera proprio di rivederti presto.» La donna guardò ancora verso il carro. «Lo farai, amico», replicò, poi finì la tisana e si alzò con un sospiro. Kruppe la vide esitare. «Ragazza, qualcosa non va?» «Non ne sono certa», rispose lei, con aria turbata. «Una parte di me desidera accompagnarti a quel consiglio. È un impulso improvviso.» «Una parte di te, Volpe d'Argento?» ripeté il Daru, con improvviso sospetto. «Già, e questo porta a chiedere: quale parte? Quale delle anime chiuse in me vibra ora d'improvvisa sospettosità? Chi percepisce che in seno a que-
sta nostra alleanza stanno per volare scintille? Dei, è anche peggio, è come se sapessi con esattezza il perché... ma in realtà lo ignoro.» «Tattersail non lo sa, giusto? Quindi rimangono Nightchill e Bellurdan come potenziali candidati in possesso di precognizioni intrise di nefaste motivazioni. Uh, forse si potrebbe dire con più semplicità...» «Lascia perdere, Kruppe.» «In parole povere, sei lacerata, Volpe d'Argento. Rifletti su questo: un lieve ritardo nel cercare il tuo destino avrà qualche effetto sul suo esito ultimo? In altre parole, puoi prenderti il tempo di venire con me nella tenda dell'Alto Comandante?» «Anche tu hai una percezione, vero?» osservò lei. «Se è imminente una frattura, ragazza, allora la tua presenza potrebbe essere essenziale, perché sei il ponte fra quei due formidabili campi.» «Kruppe, io non mi fido di Nightchill.» «La maggior parte dei mortali diffida occasionalmente di parti di sé. Tranne Kruppe, naturalmente, la cui ben meritata sicurezza di sé è assoluta. In ogni caso, istinti conflittuali sono propri della nostra natura, tranne per Kruppe.» «Sì, sì. D'accordo, andiamo.» Una barra di oscurità si aprì nella parete di tela e il lieve respiro del Kurald Galain fluì nella tenda di comando, abbassando la luce delle lanterne, poi Anomander Rake attraversò la fessura di oscurità, che si chiuse alle sue spalle, e la luce si ravvivò. «Sei in ritardo», ringhiò Brood, con una smorfia. «I Malazan stanno per arrivare.» «E allora?» ribatté Rake, togliendosi il mantello di cuoio nero. «O forse dovrò di nuovo fare da intermediario?» Korlat, che se ne stava addossata a una parete della tenda, si schiarì la gola. «Ci sono state delle... rivelazioni, signore. L'alleanza stessa è in forse.» «In forse?» sbuffò Kallor, l'unica altra persona presente. «Ci sono state dette menzogne fin dall'inizio. È imperativo un rapido attacco contro l'Armata di Un-braccio, prima che abbia la possibilità di riprendersi dalle battaglie odierne.» Korlat guardò il suo signore scrutare in silenzio i suoi alleati. Dopo un lungo momento, Rake sorrise. «Mio caro Caladan, se queste menzogne si riferiscono alla mano nascosta dell'Imperatrice, alle daghe
puntate alla schiena di Dujek Un-braccio e di Whiskeyjack, ebbene mi sembra che qualora fosse necessario agire - e non ritengo che sia il caso la nostra posizione dovrebbe essere di intervento, a favore di Dujek e di Whiskeyjack. A meno, naturalmente», aggiunse, fissando Brood, «che tu non abbia più fiducia nel loro talento di comandanti. Peraltro», proseguì, sfilandosi i guanti, «il rapporto di Crone sulla battaglia di oggi è stato un susseguirsi di lodi. I Malazan sono stati professionali, efficienti e spietati, esattamente come volevamo che fossero». «Il problema non è il loro talento di combattenti», gracchiò Kallor. «Questa doveva essere una guerra di liberazione...» «Non essere idiota», borbottò Rake. «C'è un po' di vino o di birra? Chi vuole bere con me?» «Sì, versamene un bicchiere, Rake», grugnì Brood. «Sappi però che ora Kallor non sta dicendo stupidaggini, anche se può averlo fatto in passato. Liberazione. Il Dominio di Pannion...» «È soltanto un altro impero», affermò il Signore della Progenie della Luna, «e come tale il suo potere rappresenta una minaccia che noi siamo intenzionati a cancellare. Da questo può anche derivare la liberazione della gente comune, ma non può essere quella la nostra meta. Libera una vipera ed essa ti morderà comunque, se solo ne avrà il modo». «Quindi dobbiamo schiacciare il Veggente Pannion soltanto per vedere un Gran Pugno dell'Impero Malazan prendere il suo posto?» Rake porse a Brood una coppa di vino e lo studiò con occhi velati, quasi sonnolenti. «Il Dominio è un impero che semina orrore e oppressione fra il suo popolo», affermò. «Nessuno di noi lo può negare. Quindi era una giusta causa marciare contro di esso, anche solo per motivi etici.» «Il che è quanto noi abbiamo detto dall'inizio.» «Ho già sentito le tue argomentazioni, Kallor. La tua tendenza alla ripetitività è stancante. Ho descritto soltanto una... giustificazione. Una ragione. Pare però che voi abbiate permesso a quella singola motivazione di sopraffare tutte le altre, mentre nella mia mente essa è la meno importante. Tuttavia», continuò, dopo aver sorseggiato il vino, «soffermiamoci per un momento su di essa. Orrore e oppressione, il volto del Dominio di Pannion. Esaminate, per favore, le città e i territori di Genabackis che sono ora sotto il governo Malazan. Orrore? Non più di quanto i mortali ne affrontino quotidianamente nella normalità della loro esistenza. Oppressione? Se possibile, le leggi Malazan sono le meno repressive fra quelle di qualsiasi impero io abbia mai conosciuto.
«Ora, supponiamo che il Veggente venga rimosso e sia sostituito da un Gran Pugno e da un governo di stile Malazan. Il risultato? Pace, ricostruzione, legge, ordine.» Rake scrutò gli altri, poi inarcò lentamente un sopracciglio e proseguì: «Quindici anni fa, Genabackis era una fetida pustola sulla costa nordoccidentale, e Nathilog era anche peggio. E come sono adesso, sotto il governo Malazan? Rivaleggiano con la stessa Darujhistan. Se davvero volete il meglio per i comuni abitanti di Pannion, perché non aprite le braccia all'Imperatrice? «Invece, Dujek e Whiskeyjack sono stati costretti a mettere in piedi un'elaborata finzione per averci come alleati. Sono soldati, nel caso ve ne siate dimenticati, e i soldati ricevono ordini e, se non li gradiscono, peggio per loro. Se questi ordini significano una falsa messa al bando come fuorilegge - senza che nessun soldato dell'esercito lo sappia, perché altrimenti il segreto non rimarrebbe tale - un buon ufficiale stringe i denti e si adegua». «Per l'Abisso», esclamò Kallor. «Nel suo impero non ci sarebbe posto per noi... per nessuno di noi.» «Questo ti sorprende?» chiese Rake. «Noi non possiamo essere controllati. La nuda verità è che combattiamo per la nostra libertà. Niente confini per la Progenie della Luna, e neppure una pace mondiale che renda obsoleti comandanti, generali e compagnie mercenarie. Noi combattiamo contro l'imposizione dell'ordine e il pugno guantato di velluto che si deve nascondere dietro di essa, perché quel pugno non è il nostro.» «E non vorrei mai che lo fosse», ringhiò Brood. «Esattamente. Quindi perché portare rancore all'Imperatrice per il fatto che invece lo desidera ed è disposta ad addossarsi le derivanti responsabilità?» Korlat stava fissando il suo Signore, nuovamente sconcertata e confusa. È il sangue draconiano che è in lui. Non pensa come facciamo noi. È per via di quel sangue? O di qualcosa d'altro? Non aveva una risposta, non comprendeva davvero l'uomo a cui obbediva. Un improvviso senso d'orgoglio la pervase. È il Figlio dell'Oscurità, un signore a cui vale la pena di giurare fedeltà... forse l'unico. Per me. Per i Tiste Andii. «Versamene ancora, dannazione a te», sospirò Caladan Brood. «Accantonerò il mio disgusto», affermò Kallor, alzandosi in piedi con un tintinnare di cotta di maglia, «per affrontare un argomento solo marginalmente connesso a quanto si è detto finora. Davanti a noi c'è il fiume, e a sud di esso ci sono tre città su cui marciare. Farlo in successione, come un singolo esercito, ci rallenterebbe notevolmente. Setta, in particolare, non è
sulla via diretta per Coral. Di conseguenza, l'esercito si dovrà dividere a metà per riunirsi a sud di Lest e di Setta, forse a Maurik, prima di puntare su Coral. Ed ecco la domanda: come effettueremo la divisione delle forze?». «Una valida domanda», mormorò Rake, «da discutere nell'imminente riunione». «Solo questo e niente altro, sì», convenne Caladan Brood. «Ne saranno sorpresi, non credi?» Lo saranno senza dubbio, rifletté Korlat, assalita dal rammarico. Per di più, ho fatto torto a Whiskeyjack. Spero non sia troppo tardi per rimediare. Non è bene che una Tiste Andii giudichi in fretta, ma la mia mente era offuscata. Offuscata? No, era addirittura una tempesta di emozioni, nata dal bisogno e dall'amore. Puoi perdonarmi, Whiskeyjack? Il telo della tenda venne tratto indietro e i due comandanti Malazan entrarono, seguiti dall'araldo Artanthos. «Chiedo scusa per il ritardo», ringhiò Dujek, cupo in volto, «ma sono appena stato informato che i Tenescowri si stanno muovendo, dritti verso di noi». Korlat cercò d'incontrare lo sguardo di Whiskeyjack, ma lui stava fissando invece Brood, mentre aggiungeva: «All'alba, aspettiamoci un'altra battaglia, non facile». «Lasciate fare a me», affermò con calma Anomander Rake. La sua voce indusse Whiskeyjack a girarsi, sorpreso. «Signore, perdonatemi, non vi avevo visto. Temo di essere alquanto... distratto dalle preoccupazioni.» «Signore, vi state offrendo di mandare i Tiste Andii contro i Tenescowri?» chiese Dujek. «Per nulla», replicò Rake. «Ho intenzione di terrorizzarli. Di persona.» Per un momento nessuno parlò, poi Caladan Brood prese a frugare in una cassa alla ricerca di altre tazze. «Abbiamo un altro argomento da discutere, Gran Pugno», disse. «Lo immagino.» Il vecchio generale aveva un'aria apertamente angosciata, Whiskeyjack appariva rosso in volto. L'Alto Comandante versò altro vino, poi accennò alle coppe appena riempite. «Servitevi. Kallor ha notato un imminente problema relativo alla disposizione delle nostre forze.» Oh, il bastardo ha deciso di divertirsi. Ora basta. «Gran Pugno», intervenne Korlat, «al sud attendono tre città. Lest e Setta dovrebbero essere
espugnate contemporaneamente, se possibile, per poi ricongiungere le nostre forze a Maurik, prima di continuare verso Coral. Vorremmo discutere con voi come dividere i nostri eserciti». Whiskeyjack cercò il suo sguardo con il proprio, e quando lei gli offrì un sorriso, reagì accigliandosi con perplessità. «Capisco», affermò Dujek, dopo un momento, poi prese la propria tazza e sedette su una sedia da campo. «Benissimo», aggiunse, senza dire altro. «La divisione, almeno inizialmente, sembra ovvia», affermò Whiskeyjack, schiarendosi la gola. «L'Armata di Un-braccio punterà a sudovest, verso Setta, cosa che ci permetterà di accorciare le linee di comunicazione con i Moranth Neri, tuttora attestati sui Monti della Visione, mentre l'Alto Comandante e le sue forze punteranno dritto a sud, verso Lest. Una volta presa Setta, ci dirigeremo verso le fonti del fiume Maurik e ne seguiremo il corso verso sud, fino alla città omonima. Forse voi arriverete là per primi, ma questo non dovrebbe costituire un problema.» «Sono d'accordo», affermò Brood. «Purtroppo, ho detto inizialmente», continuò Whiskeyjack. Gli altri si volsero a fissarlo, e lui scrollò le spalle. «I Barghast Viso Bianco si uniranno alla campagna», spiegò, «e inoltre dobbiamo considerare i superstiti fra i difensori di Capustan... che potrebbero volerci accompagnare. Infine, sussiste l'incombente interrogativo costituito da Volpe d'Argento e dai suoi T'lan Imass». «Se permettiamo a quella cagna e ai suoi T'lan Imass di partecipare a questa guerra», ringhiò Kallor, «perderemo ogni speranza di guidarla». «La vostra è una strana ossessione, Kallor», osservò Whiskeyjack, fissando l'antico guerriero. «Vi ha distorto la mente.» «E il sentimento ha distorto la vostra, soldato. Forse verrà il giorno in cui voi e io potremo mettere alla prova la nostra rispettiva determinazione...» «Basta così», intervenne Brood. «Pare dunque che questa riunione debba essere aggiornata. Potremo riprendere la discussione quando tutti i comandanti interessati saranno presenti. Come si regolerà la Progenie della Luna?» chiese quindi, rivolto a Rake. Questi scrollò le spalle. «Verremo a Coral, come promesso. Può essere importante sottolineare che il Veggente sta subendo pressanti attacchi da sud, a cui sta rispondendo con la magia dell'Omtose Phellack. I miei Grandi Corvi hanno avvistato questi suoi nemici, o almeno alcuni di essi: un T'lan Imass, una lupa e un cane molto grosso. Riprende quindi l'antica bat-
taglia. L'Omtose Phellack, in perenne ritirata di fronte a Tellann. Potrebbero essere in gioco anche altri fattori; le terre a sud di Outlook sono completamente avvolte da una nebbia che nasce dal ghiaccio che si scioglie. Il punto significativo di tutto questo è che il Veggente è fuggito da Outlook e sta raggiungendo Coral tramite un canale.» Scese il silenzio, in quanto tutti avevano colto il sottinteso implicito nella rivelazione di Rake. Whiskeyjack fu il primo a parlare. «Un solo T'lan Imass? Deve essere un Divinatore, per avere abbastanza potere da abbattere da solo la stregoneria Jaghut.» «Uno che ha udito la convocazione di Volpe d'Argento», aggiunse Dujek. «Sì, è probabile.» «Questo T'lan Imass è un guerriero», precisò Rake, laconico, «e brandisce una spada di selce a due mani, mentre i Divinatori non usano armi. Evidentemente, ha un talento speciale. Il lupo è un ay, credo, una creatura che si riteneva da tempo estinta. Il cane può rivaleggiare con i Segugi dell'Ombra». «E ci stanno spingendo il Veggente fra le mani», tuonò Brood. «A quanto pare, Coral non sarà soltanto l'ultima città che raggiungeremo nel corso di questa stagione di campagne. Ci troveremo davanti il Veggente stesso.» «Il che garantisce che la battaglia sarà combattuta con la magia», borbottò Dujek. «Dannatamente piacevole.» «Abbiamo tempo in abbondanza per studiare le nostre tattiche», affermò Brood, dopo un momento. «La riunione è aggiornata.» A trenta passi dalla tenda di comando, mentre l'oscurità calava sul campo, Volpe d'Argento rallentò il passo, e Kruppe le lanciò un'occhiata. «Ah, ragazza, percepisci che la tempesta è passata oltre senza scoppiare. Lo sento anch'io. Vogliamo comunque fare visita a quei formidabili personaggi?» La donna esitò, poi scosse il capo. «No, perché precipitare uno scontro? Adesso devo andare incontro al mio... destino. Per favore, Kruppe, non informare nessuno della mia partenza, almeno per un po'.» «È tempo del Raduno.» «Sì», confermò lei. «Percepisco l'imminente convergenza dei T'lan Imass, e preferirei si verificasse in un luogo lontano dalla vista di chiunque altro.» «È una cosa privata, certo. Nondimeno, Volpe d'Argento, ti seccherebbe
avere compagnia? Kruppe è saggio abbastanza da tacere quando è necessario, ma ancor più saggio da parlare quando bisogna farlo. La saggezza, dopo tutto, è sorella di sangue di Kruppe.» «Vorresti assistere al Secondo Raduno?» sorrise Volpe d'Argento. «Per cose così meravigliose non esiste testimone migliore di Kruppe di Darujhistan, ragazza. Sapessi quali storie scorrerebbero senza sforzo dalle sue labbra un po' unte, se solo tu lo pungolassi con curiosità...» «Perdonami se mi trattengo dal farlo», replicò lei, «almeno per il momento». «Per evitare di distrarti, è ovvio. Del resto, è chiaro che la semplice presenza di Kruppe genera saggezza in abbondanza.» «Molto chiaro. Benissimo, dovremo trovarti un cavallo, dato che intendo usarne uno.» «Un cavallo? Orrore! Bestie ignobili! No, mi terrò il mio fidato mulo.» «Ti terrai a esso.» «Sì, fino ai limiti delle mie capacità fisiche.» Un rumore di zoccoli alle loro spalle indusse Kruppe a voltarsi. «Ah, si parla del diavolo! Guarda, un cavallo lo segue come un cucciolo al guinzaglio, e c'è forse da meravigliarsi, nel guardare la mia splendida, orgogliosa bestia?» Volpe d'Argento osservò il cavallo sellato che seguiva il mulo. «Dimmi, Kruppe, chi altri sarà testimone del Raduno, tramite te?» chiese. «Tramite Kruppe? Nessuno se non Kruppe stesso! Kruppe lo giura!» «Non useranno il mulo, vero?» «Ragazza, la capacità che quel mulo ha di dormire, quali che siano le circostanze, è senza limiti, ininfluenzabile e addirittura ammirevole. Ti garantisco che nessuno guarderà attraverso i suoi occhi!» «Dormire? Per sognare, senza dubbio. Molto bene, Kruppe, muoviamoci. Posso confidare che ti vada bene cavalcare per tutta la notte?» «Per nulla, ma la perseveranza è prima cugina di Kruppe...» «Passeggiate un po' con me.» Soffermandosi nell'uscire dalla tenda, Whiskeyjack guardò verso sinistra e scorse Anomander Rake fermo nella penombra. Ah, non è Korlat, quindi. Oh, bene... «Certamente, signore.» Il Figlio dell'Oscurità lo guidò verso sud attraverso le file di tende, fino al limite estremo del campo e al di là di esso. Insieme, salirono un'altura e arrivarono in vista del fiume Catlin, la cui superficie rifletteva le stelle a duecento passi di distanza.
Le lucciole fluttuavano come fiocchi di neve nel vento caldo. Per molto tempo, nessuno dei due parlò. «Come va la gamba?» sospirò infine Anomander Rake. «Fa male», rispose sinceramente Whiskeyjack, «soprattutto dopo un'intera giornata in sella». «Brood è un abile guaritore, usa l'Alto Denul. Se glielo chiedeste, non esiterebbe ad aiutarvi.» «Quando ci sarà tempo...» «Ce n'è stato in abbondanza, e lo sappiamo entrambi. Peraltro, condivido in certa misura la vostra riluttanza, quindi non solleverò ancora l'argomento. Siete stato contattato da Ben lo Svelto?» «È a Capustan», annuì Whiskeyjack, «o almeno dovrebbe esserci adesso». «Ne sono sollevato. L'assalto contro i canali ha reso alquanto pericoloso essere un mago. Perfino il Kurald Galain ha risentito del veleno.» «Lo so.» Rake si girò lentamente a guardarlo. «Non mi aspettavo di trovare in lei un simile... rinnovamento. Veder rifiorire così un cuore che credevo chiuso per sempre...» «Può darsi che questa sera io lo abbia ferito», affermò Whiskeyjack, a disagio. «Momentaneamente, forse. Si sa che la vostra messa al bando è fasulla.» «Credevamo che la riunione fosse dovuta a questo.» «Ho estratto quella spina prima che voi e il Gran Pugno arrivaste.» «Non ne ero certo», affermò il Malazan, scrutandolo nel buio. «Lo sospettavo, ma era un sospetto che non trovava fondamenti.» «Perché per voi la posizione che ho assunto non ha senso.» «Infatti.» «Di rado vedo nella necessità un fardello», affermò Rake, scrollando le spalle. Whiskeyjack ci pensò su, poi annuì. «Avete ancora bisogno di noi», disse. «Forse più che mai, e non solo del vostro esercito. Ci serve Ben lo Svelto, e così pure Humbrall Taur e i suoi Clan del Viso Bianco. Ci serve il vostro legame con Volpe d'Argento e, tramite lei, con i T'lan Imass. Ci serve il capitano Paran...» «Ganoes Paran? Perché?» «È il Signore del Mazzo dei Draghi.»
«Allora non è un segreto.» «Non lo è mai stato.» «Sapete cosa significa quel ruolo?» chiese Whiskeyjack. «È una domanda sincera, perché io francamente lo ignoro, e vorrei proprio saperlo.» «Il Dio Storpio ha modellato una nuova Casa, e adesso cerca di unirla al Mazzo dei Draghi. È necessaria un'approvazione, una benedizione, se preferite, oppure un rifiuto.» «Cosa mi dite della Casa dell'Ombra, allora?» grugnì Whiskeyjack. «C'è stato un Signore del Mazzo che ne ha approvato l'annessione?» «Non ce n'era bisogno, perché la Casa dell'Ombra è sempre esistita, più o meno. Tronod'Ombra e Cotillion l'hanno semplicemente ridestata.» «E adesso volete che Paran... il Signore del Mazzo... respinga la Casa del Dio Storpio.» «Ritengo che debba farlo. Concedere legittimazione al Caduto equivale ad attribuirgli potere. Abbiamo visto di cosa sia capace in questo suo attuale stato di debolezza. La Casa delle Catene costituisce le fondamenta su cui ricostruirà se stesso.» «Però voi e gli dei lo avete già abbattuto una volta. L'Incatenamento.» «Un'impresa che è costata cara, Whiskeyjack, e per la cui riuscita è stato di vitale importanza Fener. Ditemi, Fener è popolare fra i vostri soldati... avete anche dei sacerdoti?» «No. Fener è popolare perché è il Signore della Battaglia, ma i Malazan sono alquanto... lassi, quando si tratta delle divinità. Tendiamo a scoraggiare culti organizzati in seno all'esercito.» «Abbiamo perduto Fener», affermò Rake. «Perduto? Cosa volete dire.» «È stato strappato dal suo regno, e ora si aggira sulla terra mortale.» «Com'è successo?» «Per mano di un Malazan», spiegò Rake, con un cupo sorriso. «Una vittima del Reve, un tempo sacerdote di Fener.» «Cosa significa?» «Le sue mani sono state recise secondo un rituale. I poteri del Reve inviano quelle mani agli zoccoli di Fener. Il rito deve essere espressione della giustizia più pura, ma questo non lo è stato. Invece, agenti dell'impero, probabilmente l'Artiglio, hanno avvertito la necessità di ridurre l'influenza di Fener, e di quel Gran Sacerdote in particolare. Avete accennato al fatto che i culti sono scoraggiati nell'impero... forse si è trattato di questo, ma purtroppo non conosco tutti i fatti. Senza dubbio, la passione del Gran Sa-
cerdote per l'analisi storica è stata un altro fattore; ha completato un'indagine da cui è risultato che in effetti l'Imperatrice Laseen non era riuscita ad assassinare l'Imperatore e Dancer. Certo, ha ottenuto il trono che tanto desiderava, ma né Kellanved né Dancer sono morti davvero. Al contrario, sono ascesi.» «Capisco che Surly possa essere rimasta sconvolta di fronte a quella rivelazione.» «Surly?» «L'Imperatrice Laseen. Surly era il suo vecchio nome.» «In ogni caso, quelle mani recise sono state un veleno per Fener. Non ha potuto toccarle, ma neppure rimuoverle dal suo regno. Ha bruciato i tatuaggi che annunciavano il suo rifiuto sulla pelle del Gran Sacerdote, e così ha sigillato il virulento potere delle mani, almeno per il momento, e la cosa sarebbe dovuta finire lì. Prima o poi, il sacerdote sarebbe morto, il suo spirito si sarebbe presentato davanti a Fener per recuperare ciò che gli era stato tolto crudelmente e ingiustamente, e sarebbe così diventato lo strumento dell'ira di Fener, la sua vendetta nei confronti dei sacerdoti che avevano contaminato il tempio, dell'Artiglio e dell'Imperatrice stessa. Una cupa tempesta attendeva l'Impero Malazan, Whiskeyjack.» «Ma è successo qualcosa.» «Sì. Per caso o per disegno, il Gran Sacerdote è entrato in contatto con il Canale del Caos... con un oggetto, forse, forgiato nel canale. Il sigillo protettivo intorno alle mani recise è stato annientato da una vasta e incontrollata ondata di potere, e nel trovare Fener, quelle mani hanno... spinto.» «Per il respiro di Hood», mormorò Whiskeyjack, lo sguardo fisso sul fiume scintillante. «E adesso», continuò Rake, «la Tigre dell'Estate è ascesa a prendere il suo posto. Treach però è giovane, molto più debole, il suo canale è cosa da poco e i suoi seguaci sono molto meno numerosi di quelli di Fener. Tutto è in movimento, e senza dubbio il Dio Storpio sta sorridendo». «Aspettate un momento», interruppe Whiskeyjack. «Treach è asceso? Questa è un'enorme coincidenza.» «Alcuni destini sono previsti, o almeno così pare.» «Da chi?» «Dagli Dei Antichi.» «E perché sono così interessati a tutto questo?» «Erano presenti quando il Dio Storpio è caduto - è stato trascinato - su questa terra. La Caduta ha distrutto molti di loro, lasciando solo pochi su-
perstiti. Quali che siano i segreti che circondano il Caduto - da dove veniva, la natura del suo aspetto, il rito stesso che lo ha catturato - K'rul e i suoi fratelli ne sono i detentori. Il fatto che abbiano scelto di essere coinvolti direttamente, adesso che il Dio Storpio ha ripreso la sua guerra, ha nefaste implicazioni riguardo alla serietà della minaccia che abbiamo di fronte.» «Direi che state minimizzando, signore», commentò Whiskeyjack, poi sospirò: «Tornando a Ganoes Paran e alla Casa delle Catene, ho capito perché volete che lui respinga la mossa del Dio Storpio, ma vi avverto che Paran è restio a prendere ordini». «Allora speriamo che veda qual è la direzione più saggia da imboccare. Lo consiglierete per nostro conto?» «Ci proverò.» «Ditemi, Whiskeyjack, la voce di un fiume non vi turba mai?» chiese Rake, in tono diverso. «Al contrario, mi rilassa», affermò il Malazan, perplesso. «Ah. Questo indica l'essenziale differenza fra di noi.» Fra mortali e immortali. Che Beru mi protegga! Anomander Rake, so esattamente di cosa bai bisogno. «Signore, ho un barilotto di birra Gredfallan. Se non vi secca aspettarmi, andrei a prenderlo.» «Una buona idea, Whiskeyjack.» E forse all'alba scoprirai che la voce del fiume ti rilassa. Il Malazan si volse e tornò verso l'accampamento. Nell'avvicinarsi alla prima fila di tende si soffermò a osservare la distante figura, alta e immota sulla collinetta erbosa. La spada Dragnipur, affibbiata di traverso sulla schiena di Anomander Rake, pendeva come una croce allungata, avvolta nel suo velo di soprannaturale oscurità. Purtroppo, non credo che la birra Gredfallan sarà sufficiente... «E quale canale hai scelto per questo?» Ben lo Svelto esaminò i corpi sparsi fra le pietre diroccate e insanguinate delle mura cittadine; gli incendi erano visibili attraverso la breccia, il fumo nascondeva il cielo notturno al di sopra degli edifici scuri e apparentemente privi di vita. «Rashan, credo», rispose. «L'Ombra. Avrei dovuto immaginarlo.» Talamandas si arrampicò su un mucchio di cadaveri e si girò verso il mago. «Vogliamo procedere?» Ben lo Svelto aprì il canale, tenendolo sotto stretto controllo e in modo che aderisse alla sua persona. La magia lo avviluppò nell'ombra. Ridac-
chiando, Talamandas gli si avvicinò. «Viaggerò sulla tua spalla per quest'operazione, va bene?» disse. «Se insisti», borbottò il mago. «Non mi lasci alternative. Controllare il canale aprendolo davanti ai tuoi piedi e richiudendolo alle tue spalle può anche rivelare la tua abilità, ma mi lascia ben poco spazio di manovra al suo interno. Inoltre, non riesco a capire perché ci si debba prendere la briga proprio ora di usare i canali.» «Mi devo esercitare, e poi detesto essere notato», affermò Ben lo Svelto. «Avanti, sali a bordo.» La figura-stecco gli salì su per una gamba, puntellò i piedi di spago arrotolato sulla cintura e si trascinò su per la tunica, assestandosi sulla spalla, le dita di rametti chiuse intorno al colletto; il suo peso era praticamente inesistente. «Posso sopportare qualche caduta, ma bada che non diventi un'abitudine», ammonì. Ben lo Svelto si avviò, insinuandosi nella breccia. La luce degli incendi fendeva le ombre lasciando intravedere a tratti il suo corpo; del resto, ombre troppo fitte che avessero attraversato qualsiasi area illuminata dagli incendi avrebbero dato nell'occhio, quindi lui badò a fondersi con l'ambiente circostante. Fiamme, fumo e cenere, vaghi scricchiolii dagli edifici crollati; da una strada poco lontana giungeva il canto funebre dei Barghast. «I Pannion se ne sono andati tutti», sussurrò Talamandas. «Perché hai bisogno di nasconderti?» «È la mia natura. La cautela mi mantiene vivo. Ora taci.» Ben entrò in una strada fiancheggiata da edifici Daru. Mentre in altri viali si notavano tracce degli sforzi fatti dai Visi Bianchi per rimuovere i cadaveri, là non si vedeva nulla del genere, e i soldati Pannion che giacevano morti erano una quantità sgomentante, soprattutto quelli ammucchiati intorno a una particolare tenuta, le cui porte annerite erano fauci tinte di sangue secco. Un basso muro correva sui due lati delle porte, e scure figure immobili montavano la guardia su di esso, apparentemente appollaiate su una sorta di passerella posta sul lato interno. Accoccolato alla base di un altro edificio, distante una sessantina di passi, Ben lo Svelto si soffermò a studiare la scena. L'odore acre della stregoneria permeava l'aria. Sulla sua spalla, Talamandas sibilò nel riconoscere quell'odore. «I negromanti! Quelli che mi hanno strappato al mio sepolcro!» «Credevo non avessi più nulla da temere da parte loro», mormorò Ben lo Svelto.
«Infatti, ma questo non riduce il mio odio e il mio disgusto.» «Una vera sfortuna, perché voglio parlare con loro.» «Perché?» «Per valutarli, che altro, se no?» «È un'idiozia, mago. Qualsiasi cosa siano, non sono nulla di buono.» «E io lo sono? Ora lasciami riflettere.» «Non oltrepasserai mai quelle guardie non-morte.» «Quando ti dico di lasciarmi pensare, significa che devi tacere.» Talamandas obbedì con riluttanza, brontolando e agitandosi sulla spalla di Ben. «Per questo, avremo bisogno di un canale diverso», affermò infine il mago. «La scelta è fra il canale stesso di Hood e Aral Gamelon.» «Aral cosa? Non ho mai sentito...» «È demoniaco. La maggior parte di coloro che evocano demoni aprono un percorso fino a Gamelon, anche se probabilmente non lo conoscono con il suo vero nome. Certo, si possono trovare demoni anche in altri canali, come per esempio gli Aptorian dell'Ombra, ma i Korvalahrai e i Galany, quelli preferiti dall'Impero, appartengono entrambi al Gamelon. Comunque, se gli istinti non m'ingannano, in quella tenuta sono presenti entrambi i tipi di negromanzia... e se non sbaglio tu mi hai detto che i negromanti erano due.» «Sì, e due erano i tipi di follia.» «Sembra interessante.» «Questo è soltanto un capriccio. Non hai imparato nulla dalle tue anime multiple, mago? I capricci sono letali. Fa' qualcosa avendo come sola motivazione la curiosità, ed essa ti si richiuderà sulla gola come le fauci di un lupo. Se pure dovessi riuscire a fuggire, ti perseguiterebbe, per sempre.» «Parli troppo, Trappola di stecchi. Ho preso la mia decisione, ed è tempo di muoversi». Ben ripiegò intorno a sé il Canale di Rashan e prese ad avanzare. «Ceneri nell'urna!» sibilò Talamandas. «Sì, quelle di Hood stesso. Confortato dalla familiarità? È la scelta più sicura, dato che Hood ti ha benedetto, giusto?» «Non ne sono confortato.» Ben lo Svelto non trovò sorprendente la cosa nell'esaminare la trasformazione presente intorno a lui. La morte dominava quella città. Le anime affollavano le strade, intrappolate nei cicli dei loro ultimi momenti di vita, l'aria era satura di urla, di gemiti, del rumore di lame che affondavano nel-
la carne, degli schianti della pietra che crollava e di fumo soffocante. Stratificate sotto tutto questo c'erano innumerevoli altre morti, quelle che si depositavano come nevicate successive, in ogni insediamento umano, generazione su generazione. Tuttavia quella conflagrazione era soltanto un'eco, le anime stesse erano ormai presenze spettrali. «Per gli dei», mormorò Ben lo Svelto, con improvvisa comprensione. «Questo è soltanto un ricordo, ciò che conservano le pietre delle strade e degli edifici, le memorie impresse nell'aria stessa. Le anime hanno passato tutte la Porta di Hood...» Talamandas era immobile sulla sua spalla. «Dici il vero, mago», borbottò. «Cosa è successo qui? Chi ha preso tutti questi morti?» «Presi, sì, sotto l'ala. Sono stati benedetti, dal primo all'ultimo, la loro sofferenza è finita. È stata opera del Consiglio Mascherato?» «Quegli stolti?» sbuffò la figura-stecco. «Improbabile.» Per qualche tempo, Ben lo Svelto rimase in silenzio, poi sospirò. «Dopo tutto, Capustan potrebbe anche riprendersi. Non credevo fosse possibile. Bene, vogliamo camminare con questi spettri?» «Dobbiamo farlo?» Senza rispondere, Ben lo Svelto avanzò a grandi passi. Le guardie nonmorte, Seerdomin e Urdomen, erano chiazze scure, macchie sul canale stesso di Hood, ma nel regno in cui lui ora stava camminando erano cieche alla sua presenza. Adesso, uno dei due negromanti che risiedevano nella tenuta era neutralizzato. L'unico rischio ancora esistente era che l'altro, l'evocatore, avesse liberato qualche demone a intensificare le difese della tenuta. Ben lo Svelto oltrepassò le porte. Dentro, il cortile era sgombro da cadaveri, anche se qua e là la pietra era coperta di sangue secco. Dita di rametti si contrassero spasmodicamente sulla sua spalla. «Sto fiutando...» Il demone Sirinth era rimasto accoccolato davanti alle porte della casa padronale, nascosto sotto l'ombra della soglia, ma adesso si issò in piedi con un grugnito e apparve in piena vista. Avvolto in strati di pelle simile a quella di un rospo, con gli arti massicci e una testa larga e bassa occupata prevalentemente dalle fauci e dalle zanne, il Sirinth aveva una massa superiore a quella di un toro bhederin, ma era capace di una velocità fulminea, sia pure per brevi scatti. Un breve scatto era tutto ciò di cui aveva bisogno per raggiungere Ben e Talamandas.
La figura-stecco stridette. Ben lo Svelto si spostò agilmente di lato e aprì un altro canale, stratificandolo sopra quello di Hood. Un passo all'indietro lo portò nel canale, dove il calore scorreva come un liquido e una secca luce ambrata era diffusa nell'aria. Il Sirinth ruotò su se stesso e crollò prono all'interno di Aral Gamelon. Ben lo Svelto avanzò ulteriormente nel canale demoniaco e il Sirinth cercò di seguirlo, solo per essere trattenuto da un collare e una catena di ferro, ora visibili, che si estendevano fuori del canale e fino al cerchio di vincolo che l'evocatore aveva tracciato quando aveva incatenato quella creatura. «È un vero peccato, amico», commentò il mago, mentre il demone strideva. «Posso suggerirti un patto, Sirinth? Io spezzo la catena e tu vai a cercare i tuoi cari. Pace fra noi.» La creatura s'immobilizzò e le spesse palpebre si sollevarono a rivelare grandi occhi luminosi. Nel regno mortale che avevano lasciato, quegli occhi ardevano come fuoco; là, dentro Aral Gamelon, apparivano quasi docili. Quasi. Non lasciarti ingannare, Ben, questa cosa ti potrebbe ingoiare in un boccone. «Allora?» Il Sirinth scivolò di lato, allungando il collo. La stregoneria emanava dal collare e dalla catena, il ferro era coperto di glifi incisi. «Dovrò guardare più da vicino», affermò Ben lo Svelto. «Sappi che il Sentiero di Hood rimane con noi...» «Non abbastanza», sibilò Talamandas. «Quelle guardie non-morte ci hanno visti!» «Se stai zitto, abbiamo ancora un po' di tempo a disposizione», replicò Ben lo Svelto. «Sirinth, se cercherai di attaccarmi quando mi avvicino, farò apparire un'altra catena intorno al tuo collo... quella di Hood. Morto ma non del tutto, intrappolato nel limbo per sempre. Hai capito?» La creatura stridette ancora ma non accennò a muoversi. «Bene.» «Stolto.» Ignorando la figura-stecco, Ben lo Svelto si affiancò all'enorme demone, consapevole che quella testa si sarebbe potuta girare di scatto con tanta rapidità da apparire come una chiazza indistinta, aprendo le fauci per inghiottire testa, spalle - incluso Talamandas - e torso, fino ai fianchi. «Un lavoro da esperti», affermò, dopo aver esaminato i glifi, «ma la
chiave per spezzare la catena risiede nel districare un singolo filo. La sfida consiste nel trovare quello giusto...». «Vuoi spicciarti? Quei non-morti stanno convergendo su di noi!» «Un momento, per favore.» Ben lo Svelto si chinò in avanti, esaminando i sigilli. «Strano», mormorò. «Questa è scrittura Korelri, ma l'Alto Korelri non viene usato da secoli. Bene, allora è abbastanza semplice.» Protendendosi, borbottò alcune parole e graffiò un glifo con l'unghia del pollice. «Così, cambiandone il significato...» Afferrata la catena ai lati del sigillo modificato, assestò un rapido strattone. La catena si spezzò e il Sirinth scattò in avanti, per poi ruotare su se stesso con le fauci spalancate. Talamandas urlò. Ben lo Svelto era però già in aria e aveva riattraversato la porta del canale per tornare in quello di Hood, dove atterrò rotolando sulle pietre per poi rialzarsi in piedi, con Talamandas ancora aggrappato alla tunica; subito dopo s'immobilizzò nel trovarsi circondato da scure sagome prive di sostanza, ora immote in quanto la preda non era più visibile. Saggiamente, Talamandas rimase in silenzio. Tenendosi acquattato, Ben lo Svelto passò lentamente, senza rumore, fra due guardie non-morte, poi si allontanò di soppiatto per raggiungere le doppie porte d'ingresso. «Dei», gemette la figura-stecco, in un sussurro. «Perché stiamo facendo questo?» «Perché è divertente?» Le porte non erano sprangate. Sgusciato all'interno, Ben si richiuse il battente alle spalle, e il lieve scatto della serratura parve echeggiare stentoreo nell'alcova. «Quale canale userai adesso?» sussurrò Talamandas. «Ah, sbaglio o stai entrando nello spirito della situazione?» «Hai scelto delle brutte parole, mortale.» Sorridendo, Ben lo Svelto chiuse il Sentiero di Hood. Dovrebbe esserti chiaro perché sto facendo questo, figura-stecco. Sono rimasto senza canali per troppo tempo e ho bisogno di esercizio, ma soprattutto ho bisogno di verificare la tua efficacia. Finora è andato tutto bene. Il veleno è tenuto a bada, non riesce ad avvicinarsi a me. Sono soddisfatto. Dirigendosi verso il muro più vicino, posò le mani sulla fredda pietra. «D'riss», ridacchiò Talamandas. «Il Sentiero della Pietra. Astuto bastardo.» Ben lo Svelto aprì il canale e s'insinuò nel muro.
Non c'era nulla di facile in quanto stava facendo. La pietra poteva essere attraversata senza difficoltà, perché non offriva più resistenza dell'acqua, ma la calce era meno cedevole e si opponeva al suo passaggio come i fili di una ragnatela particolarmente resistente. La cosa peggiore, poi, era che le pareti erano tanto sottili da costringerlo a procedere lateralmente. Seguì il muro da una stanza all'altra, spostandosi verso la parte interna della casa. L'architettura Daru era prevedibile e simmetrica, quindi la camera principale del piano terreno doveva essere al centro. I livelli superiori erano più problematici, ma spesso la stanza centrale del piano terreno aveva il soffitto a volta, e le stanze dei piani superiori erano disposte lungo i lati dell'edificio. Poteva vedere le camere, ma a stento, coperte di un granuloso grigiore, con il mobilio sfocato e indistinto. La carne viva, però, era pervasa di un distinto bagliore. «La pietra conosce il sangue, ma non lo può contenere. La pietra desidera la vita, ma può soltanto imitarla.» Erano parole antiche, di un muratore e scultore che aveva vissuto a Unta, secoli prima, ed erano appropriate quando si percorreva il Sentiero di D'riss, quando si era nella carne della Dea Dormiente. Aggirando un angolo, Ben lo Svelto giunse in vista della camera principale. Una figura era semisdraiata su una sorta di divano vicino al focolare, apparentemente intenta a leggere un libro, e un altro uomo stava attizzando le fiamme, borbottando fra sé; un piccolo volatile, una cornacchia o forse un corvo, camminava avanti e indietro sulla mensola del camino. L'uomo sul divano stava parlando mentre sfogliava le pagine del libro, la sua voce resa ovattata e sottile dalla pietra. «Quando avrai finito qui, Emancipor, rimanda le guardie alle loro posizioni sulle mura. Sono ridicole, ferme nel cortile tutte rivolte verso la casa senza che lì ci sia nulla. Non è certo una scena atta a intimidire potenziali intrusi.» «Se mi è concesso dirlo, padrone», replicò Emancipor, rialzandosi e pulendosi la fuliggine dalle mani, «se abbiamo visite sgradite, non dovremmo fare qualcosa al riguardo?». «Per quanto detesti perdere i miei demoni, caro servitore, non parto dal presupposto che tutti i visitatori siano ostili. Congedare il mio Sirinth era senza dubbio la sola alternativa possibile, ed è stata comunque una manovra pericolosa. La catena è soltanto una meta del geas, naturalmente, e i comandi inseriti nel collare non sono facili da controllare. Adesso dobbiamo quindi essere pazienti e attendere che l'ospite, uomo o donna che sia,
decida di presentarsi formalmente.» Talamandas accostò la testa all'orecchio di Ben lo Svelto. «Lasciami qui prima di presentarti, mago. Con quest'uomo, il tradimento non è soltanto probabile, è addirittura una certezza.» Ben lo Svelto scrollò le spalle, e il peso della figura-stecco cessò di gravare su di esse. Sorridendo, il mago emerse dal canale e si apprestò a ripulirsi dalla polvere la tunica e il mantello. L'uomo seduto chiuse lentamente il libro senza sollevare lo sguardo. «Emancipor, del vino per me e per il mio ospite.» Il servitore si girò di scatto verso Ben lo Svelto. «Per il respiro di Hood! Da dove è sbucato?» «Le pareti hanno occhi, orecchie e tutto il resto. Il vino, Emancipor.» L'uomo finalmente sollevò lo sguardo a incontrare quello del mago. Uno sguardo degno di una lucertola. Bene, finora non ho mai tremato davanti a gente come lui, quindi perché dovrei farlo adesso? «Il vino sarà molto gradito», affermò, esprimendosi in Daru come aveva fatto l'uomo seduto. «Qualcosa di... fruttato», aggiunse il negromante, mentre il servitore si dirigeva verso la porta laterale. Il corvo sul camino aveva smesso di camminare e stava ora osservando il mago con la testa china da un lato. Dopo un momento, riprese il suo andare avanti e indietro. «Prego, sedetevi. Io mi chiamo Bauchelain.» «Ben lo Svelto», si presentò il mago, sistemandosi con un sospiro sulla comoda poltrona di fronte al divano del negromante. «Un nome interessante e ben scelto, se mi è concesso dirlo, considerato che dovete aver evitato l'attacco del Sirinth... Suppongo che abbia attaccato, una volta che lo avete liberato, vero?» «È stata una mossa astuta, l'aver inserito un incantesimo in attesa nel collare, un ultimo ordine di uccidere chiunque lo avesse liberato», concesse Ben lo Svelto. «Presumo che questo non includa anche voi, che lo avete evocato.» «Non libero mai i miei demoni», affermò Bauchelain. «Mai?» «Ogni eccezione a un geas magico lo indebolisce, quindi non ne ammetto.» «Poveri demoni!» «Non ho compassione per meri strumenti», dichiarò Bauchelain, scrol-
lando le spalle. «Piangete per la vostra daga, quando si spezza nella schiena di qualcuno?» «Dipende dall'esito, se ha ucciso quel bastardo o lo ha solo fatto infuriare.» «Ah, ma allora piangete per voi stesso.» «Era una battuta.» Bauchelain inarcò un sottile sopracciglio. Il silenzio che seguì venne infranto dal ritorno di Emancipor, che recava su un vassoio una bottiglia impolverata e due boccali. «Non hai preso un bicchiere per te», osservò Bauchelain. «Sono così poco egualitario, Emancipor?» «Uh, ho bevuto un sorso di sotto, padrone.» «Davvero?» «Per vedere se era fruttato.» «E lo era?» «Non ne sono certo. Forse. Cosa significa fruttato?» «Credo che dovremo riprendere la tua istruzione riguardo a queste raffinatezze. Fruttato è l'opposto di... secco. Non il sapore aspro della linfa, in altre parole, ma qualcosa di dolce, come il narciso o il mandorlo.» «Quei fiori sono velenosi», rilevò Ben lo Svelto, con un certo allarme. «Ma hanno un aspetto gradevole e dolce, giusto? Dubito che chiunque fra noi abbia l'abitudine di mangiare fiori, quindi la mia analogia voleva essere solo visiva, a beneficio del caro Emancipor.» «Ah, capisco.» «Prima che tu ci serva da quella bottiglia, Emancipor, dimmi: il retrogusto era amaro o dolce?» «Ecco, era denso, padrone, sapeva di ferro.» Alzandosi, Bauchelain afferrò la bottiglia e ne annusò il contenuto. «Razza di idiota, questo è sangue, della collezione di Korbal Broach. La fila giusta di bottiglie è quella opposta. Riporta questa in cantina!» Il volto segnato di Emancipor si era fatto bianco come la pergamena. «Sangue? Di chi?» «Ha importanza?» Emancipor fissò il padrone a bocca aperta. «Per il vostro servo», intervenne Ben, schiarendosi la gola, «credo che la risposta sia affermativa». Sul camino, il corvo gracchiò, dondolando la testa, mentre il servo si accasciava, le ginocchia tremanti al punto che i bicchieri sul vassoio si urtarono tintinnando.
Accigliandosi, Bauchelain tornò ad annusare la bottiglia. «Ecco», disse rimettendola sul vassoio, «non sono la persona più qualificata a risponderti, ma credo sia sangue di vergine». «Come fate a dirlo?» non seppe trattenersi dal chiedere Ben lo Svelto. «È aspro», spiegò Bauchelain, fissandolo con le sopracciglia alzate. Che Hood si prenda tutti i piani! Paran sedeva su una delle panche più basse della sala del consiglio del Thrall. Il buio esterno pareva essersi insinuato nella vasta stanza polverosa, offuscando la luce delle torce sulle pareti. Davanti a lui, il pavimento era stato sfondato in modo da rivelare una serie di canoe coperte di polvere; i cadaveri avvolti in sudari che le riempivano erano stati rimossi dai Barghast con una solenne cerimonia, ma il capitano aveva la sensazione che i manufatti più importanti fossero stati lasciati dov'erano, e il suo sguardo non riusciva a staccarsi da quelle imbarcazioni, quasi esse contenessero verità che avrebbero potuto sopraffarlo, se solo fosse riuscito a scoprirle. Il dolore allo stomaco si era ridotto a echi sempre più fiochi. Adesso lui pensava di comprendere la fonte di quella malattia: non era uomo da amare il potere, ma esso gli era stato assegnato suo malgrado. Esso non era nulla di evidente, come poteva esserlo la spada Dragnipur, non era qualcosa che lui potesse impugnare per fendere le file dei nemici come un demone vendicatore che s'inchinasse solo di fronte alla giustizia, e tuttavia era potere. La capacità di percepire correnti invisibili, la conoscenza dell'interconnessione che legava ogni cosa a tutte le altre. Ganoes Paran, che disprezzava l'autorità, era stato scelto come giudice, come mediatore il cui compito era quello di imporre una struttura - le regole del gioco - a giocatori che si risentivano per ogni limitazione alla loro libertà di fare ciò che volevano. È peggio che essere un magistrato Malazan a Unta, costretto ad attenersi alla legge mentre subisce pressioni da ogni fonte d'influenza immaginabile, dalle fazioni rivali all'Imperatrice stessa, pressioni contrastanti che possono trasformare in un incubo anche la decisione più semplice e diretta. Non mi meraviglia che il mio corpo reagisca così, che cerchi di rifiutare ciò che mi è stato imposto. Era solo nella sala del consiglio del Thrall. Gli Arsori di Ponti avevano trovato più di loro gusto gli alloggiamenti dei Gidrath, e senza dubbio adesso stavano bevendo e giocando a dadi con la cinquantina di Gidrath che costituivano la Guardia Interna del Thrall, mentre i sacerdoti del Consiglio Mascherato si erano ritirati per la notte. Quanto alla Spada Mortale di Trake, quell'uomo chiamato Gruntle, pa-
reva che avesse avviato con Hetan, la figlia di Humbrall Taur, un genere di amicizia che avrebbe potuto portarlo a stringere legami di parentela con il Clan del Viso Bianco; adesso, i due si erano addentrati nel cuore del Thrall, senza dubbio alla ricerca di un angolo privato, con estremo disgusto della donna chiamata Stonny Menackis. L'Incudine-Scudo Itkovian aveva riportato le sue truppe negli alloggiamenti adiacenti il palazzo di Jelarkan, per effettuare le riparazioni e, l'indomani, per cominciare a recuperare i profughi nascosti nelle gallerie sotterranee. Probabilmente, la resurrezione di Capustan si sarebbe rivelata dolorosa e difficile, e il capitano non invidiava alle Spade Grigie il loro compito. Noi, d'altro canto, dovremo proseguire. Itkovian dovrà trovare fra i superstiti qualcuno che abbia sangue reale - non importa quanto annacquato - da piazzare su quel trono insanguinato. Le infrastrutture della città sono in rovina. Chi nutrirà i superstiti? Quanto tempo dovrà passare prima che vengano ristabiliti i commerci con città come Daltoan e Darujhistan? Hood sa che i Barghast non devono nulla alla popolazione di Capustan... Il suo stomaco si era finalmente placato. Paran trasse un respiro esitante, esalando lentamente il fiato. Potere. I suoi pensieri avevano la tendenza a spostarsi su considerazioni prosaiche... un modo per procrastinare, come lui ben sapeva, e fu una vera lotta tornare a concentrarsi sul problema che, prima o poi, avrebbe dovuto comunque affrontare. Una tempesta di piani, ciascuno dei quali cerca di fare di me il suo fulcro. Mi basta allargare le dita di una mano per abbracciare l'intero Mazzo dei Draghi. È una verità che preferirei non riconoscere, ma avverto quelle dannate carte dentro di me, come le ossa a stento articolate di una bestia enorme, tanto vasta da non essere riconoscibile nella sua interezza. Uno scheletro che minaccia di andare in pezzi, a meno che io non riesca a impedirlo, e il compito che mi è stato imposto è proprio questo: tenere tutto unito. Giocatori impegnati in una partita in cui non vogliono nessun altro. Giocatori esclusi dal gioco che vi vogliono entrare, giocatori in prima linea e altri in secondo piano, che si muovono nell'ombra. Giocatori leali e bari. Dei, da dove comincio a districare tutto questo? Ripensò a Gruntle, Spada Mortale del neoasceso Treach. In un certo senso, la Tigre dell'Estate era sempre stata al seguito di Fener, silenziosa. Se le leggende erano vere, il Primo Eroe si era smarrito molto tempo prima e aveva ceduto completamente agli istinti bestiali della sua forma Soletaken. Tuttavia la semplice, incredibile coincidenza... Cominciava a sospettare
che gli Dei Antichi non avessero orchestrato le cose quanto aveva voluto fargli intendere Nightchill, che opportunismo e coincidenza fossero responsabili della piega presa dagli eventi quanto ogni altra cosa. E gli Dei Antichi avrebbero dovuto conoscere anche fino all'ultimo dettaglio ogni altro evento che ha infine portato Fener alla situazione attuale, a una vulnerabilità improvvisa e brutale. Quindi, a meno che noi tutti si stia recitando ruoli predeterminati, e quindi inevitabili - e perciò potenzialmente conoscibili da parte degli Dei Antichi - ciò che ciascuno di noi sceglierà di fare, o di non fare, potrà avere enormi conseguenze, non solo per la nostra vita, ma per il mondo, per ogni regno esistente. Ricordava gli scritti di alcuni storici che avevano esposto quei concetti. L'ex soldato Duiker, per esempio, anche se da tempo non ha più molto credito, perché qualsiasi studioso che accetti una carica imperiale viene subito sospettato di scarsa integrità e di parzialità. All'inizio, tuttavia, era un convinto sostenitore dell'efficacia individuale. La maledizione delle grandi menti, arrivare da giovani a elaborare un'idea, sopravvivere agli attacchi che inevitabilmente l'assalgono e ritrovarsi infine di guardia sui bastioni molto tempo dopo la fine della guerra, le armi smussate strette in mani plumbee. .. dannazione, sto divagando ancora. Lui era dunque il fulcro nascosto, una posizione che esigeva un improvviso rafforzarsi del suo ego, l'inattaccabile certezza della propria efficacia. Purtroppo, è l'ultima cosa di cui sono capace, perseguitato come sono dall'incertezza e dallo scetticismo, da tutte le pecche che caratterizzano qualcuno che è perennemente senza scopo, che mina le fondamenta di ogni meta personale, come un albero che divori le sue stesse radici, se non altro per dimostrare le proprie cupe teorie crollando al suolo. Dei, quando si parla della scelta sbagliata... Un fruscio lo avvertì della presenza di qualcun altro nella camera, e nello scrutare le ombre circostanti, individuò fra le canoe una figura massiccia dall'armatura di monete brunite. «Un'ultima visita?» chiese, schiarendosi la gola. Il Barghast si raddrizzò. Il suo volto era familiare, ma Paran impiegò qualche momento a riconoscerlo. «Siete Cafal, vero? Il fratello di Hetan.» «E tu sei il capitano Malazan.» «Ganoes Paran.» «Colui che Benedice.»
«No», obiettò Paran, accigliandosi, «quel titolo sarebbe più adatto a Itkovian, l'Incudine-Scudo...». «Lui si limita a caricarsi dei fardelli», lo interruppe Cafal, scuotendo il capo. «Tu sei Colui che Benedice.» «Vorreste dire che se esiste qualcuno capace di liberare Itkovian del... del suo fardello... quello sono io? Che devo soltanto... benedirlo?» Credevo di essere un giudice, ma è evidente che la cosa è più complicata. Il potere di benedire? Beru mi protegga! «Non spetta a me dirlo», borbottò Cafal, gli occhi che scintillavano alla luce delle torce. «Non puoi benedire qualcuno che nega il tuo diritto di farlo.» «Una valida obiezione. Non mi meraviglia che la maggior parte dei sacerdoti sia infelice.» I denti del guerriero brillarono in un sorriso, o forse in un'espressione più minacciosa. Non credo che mi vada a genio l'idea di benedire qualcuno, però ha senso. In che altro modo un Signore del Mazzo potrebbe sancire il proprio giudizio? È proprio come essere un magistrato di Unta, solo che c'è anche un aspetto religioso... che è ciò che mi mette a disagio. Ci rifletterai sopra in seguito, Ganoes... «Ero seduto qui a pensare», affermò Paran, «e a tratti ho avuto l'impressione che quelle fatiscenti canoe racchiudano un segreto». Cafal grugnì. «Sbaglierei a prendere quel verso per un assenso?» «No.» Paran sorrise. Aveva imparato che i Barghast detestavano rispondere affermativamente a qualsiasi domanda, ma era comunque possibile ottenere un assenso inducendoli a rispondere negativamente alla domanda opposta. «Preferite che me ne vada?» «No. Solo i vigliacchi difendono i segreti. Avvicinati, se vuoi, e guarda almeno una delle verità racchiuse in queste antiche imbarcazioni.» «Grazie», replicò Paran, alzandosi lentamente in piedi. Presa una lanterna, si portò al limitare della fossa e scese sul terriccio ammuffito, accanto a Cafal. La mano destra del Barghast era posata su una prua intagliata. «Scene di battaglia», rilevò Paran, osservandola. «Sul mare.» «Non è il segreto che desidero mostrarti», replicò Cafal. «I costruttori possedevano un grande talento, hanno nascosto le giunture in maniera tale
che perfino il trascorrere dei secoli non è riuscito a rivelarle. Vedi come questa canoa sembra ricavata da un unico tronco d'albero? È così, ma i singoli pezzi sono stati costruiti separatamente. Riesci a vederlo, Ganoes Paran?» Il capitano si chinò per guardare più da vicino. «A stento», affermò dopo un momento, «e solo perché alcuni pezzi si sono distorti. Quei pannelli con le scene di battaglia, per esempio...». «Sì, quelli. Ora guarda il segreto.» Estratto un largo coltello da caccia, Cafal ne inserì la lama fra il pannello e la superficie sottostante, imprimendo una torsione. La lastra incisa con le scene di guerra si staccò dall'estremità della prua, rendendo visibile una lunga rientranza, nella quale qualcosa emanava un opaco bagliore. Riposto il coltello, Cafal infilò una mano nella cavità e ne estrasse un oggetto. Una spada, dalla stretta lama temprata ad acqua simile a una superficie liquida alla luce delle torce. L'arma era più lunga del normale, con la punta che si allargava e una piccola elsa a forma di diamante di ferro nero che proteggeva l'impugnatura rivestita di tendine. Sebbene fosse senza fodero e non fosse stata curata per secoli, la spada era perfetta. «C'è magia in quell'oggetto.» «No», replicò Cafal, sollevando la spada con le mani strette intorno all'impugnatura con una strana presa a dita incrociate. «Quando il nostro popolo era giovane, pazienza e talento erano in perfetta unione. Le lame che fabbricavamo erano senza pari allora e rimangono tali anche oggi.» «Perdonatemi, Cafal, ma le spade ricurve e le lance che ho visto fra i vostri guerrieri non denunciano un particolare talento.» «Non c'è niente da perdonare. Anzi, hai scelto parole fin troppo cortesi. Le armi che i nostri fabbri forgiano oggi sono scadenti, perché abbiamo perso l'antico sapere.» «Non riesco a immaginare come una spada fabbricata senza magia possa sopravvivere intatta in simili condizioni, Cafal. Siete certo che non sia stata infusa di...» «Lo sono. La mescolanza dei metalli sfida l'aggressione del tempo, e fra essi ci sono metalli che devono essere ancora riscoperti e che adesso, con la magia tanto diffusa, potrebbero non esserlo mai. Sembra sbilanciata, vero?» continuò il guerriero, porgendo la spada a Paran. «La punta pare troppo pesante.» Il capitano prese l'arma, scoprendo che era leggera quanto una daga.
«Impossibile», mormorò. «Dovrebbe spezzarsi...» «Non facilmente, capitano. Sembra poco flessibile, vero? E da questo si conclude che deve essere fragile, ma non lo è. Esamina il filo della lama: non ha intaccature, eppure questa particolare spada ha visto molte battaglie. Il filo è rimasto perfetto. Questa spada non ha bisogno di cure.» Restituendo l'arma, Paran spostò lo sguardo sulle canoe. «E in queste imbarcazioni ci sono altre armi del genere?» «Sì.» «Chi le userà? I condottieri?» «No. Andranno ai bambini.» «Bambini?» «Scelti con cura perché inizino il loro addestramento con queste armi. Immagina di usare questa spada, capitano: i tuoi muscoli sono abituati ad armi molto più pesanti, quindi colpiresti troppo forte o compenseresti eccessivamente, e un colpo troppo energico potrebbe fartela saltare via di mano. No, il vero potenziale di queste spade può essere sfruttato soltanto da mani che non conoscono altre armi. Inoltre, quei bambini dovranno imparare in buona parte da soli come usarle, perché come possiamo insegnare qualcosa che non conosciamo?» «E quale sarà lo scopo di queste spade? Dei giovani guerrieri che le impugneranno?» «Forse un giorno avrai questa risposta, Ganoes Paran.» Il capitano tacque per qualche momento. «Credo di aver dedotto un altro segreto», affermò infine. Smantellerete queste imbarcazioni, apprenderete l'arte di fabbricarle. «La terraferma rimarrà la vostra dimora ancora per molto, Barghast?» «No», sorrise Cafal. «Infatti.» «Infatti. Capitano, Humbrall Taur vorrebbe chiederti una cosa. Vuoi che lo faccia di persona o posso parlare io per suo conto?» «Sentiamo.» «I Barghast vorrebbero che i loro dei fossero... benedetti.» «Cosa? Non avete bisogno di me per questo.» «È vero, ma te lo chiediamo lo stesso.» «Lasciatemi il tempo di pensarci sopra, Cafal. Uno dei miei problemi è che non so come devo procedere. Basta che mi avvicini alle ossa e dica: "Io vi benedico", oppure è necessario qualcosa di più complesso?» «Non lo sai?» esclamò Cafal, inarcando le sopracciglia.
«No. Può darsi che sia il caso di radunare i vostri sciamani e di discutere della cosa.» «Sì, dovremo farlo. Quando avremo scoperto quale sia il rituale necessario, sei disposto a eseguirlo?» «Ho detto che ci avrei pensato sopra, Cafal.» «Perché esiti?» Perché sono un dannato fulcro, e quello che scelgo di fare potrebbe cambiare... cambierà... ogni cosa. «Non voglio offendere, ma sono un cauto bastardo.» «Un uomo che ha potere deve agire con decisione, Ganoes Paran, altrimenti esso gli cola fra le dita e se ne va.» «Quando riterrò che sia giunto il momento di agire, Cafal, lo farò con decisione. Di certo però non agirò con precipitazione, e dovreste esserne lieto, se davvero possiedo un potere tanto vasto.» «Forse la tua cautela è saggia, dopo tutto», grugnì il Barghast. «Riferirò le tue parole a mio padre.» «Così sia.» «Se cerchi la solitudine, ora è meglio che tu vada altrove, perché la mia gente sta venendo a recuperare le altre armi. Sarà una notte movimentata.» «D'accordo. Andrò a fare due passi.» «Sta' attento, Ganoes Paran.» «A cosa?» chiese il capitano, girandosi. «Il Consiglio Mascherato sa chi... cosa... sei, e non lo gradisce.» «Perché?» «Il Consiglio Mascherato non ama avere rivali», sorrise Cafal. «I suoi membri non si sono ancora decisi ad accettare Keruli, che ha chiesto di prendere il suo posto fra di essi, e tu... potresti essere benissimo nella posizione di importi a loro in tutto e per tutto. Ci sono occhi roventi dietro a quelle maschere, capitano.» «Per il respiro di Hood», sospirò Paran. «Chi è Keruli, a proposito?» «Il Gran Sacerdote di K'rul.» «K'rul? Il Dio Antico?» «Aspettati che Keruli chieda la tua benedizione, per conto del suo dio.» Paran si massaggiò la fronte, sentendosi d'un tratto spaventosamente stanco. «Ho cambiato idea riguardo alla passeggiata», borbottò. «Cosa farai?» «Troverò un buco in cui strisciare, Cafal.»
La risata del guerriero suonò aspra, e meno comprensiva di quanto Paran avrebbe gradito. Emancipor Reese era riuscito a trovare in cantina una bottiglia più adatta e aveva riempito due boccali prima di fuggire dalla stanza, il volto se possibile ancor più pallido di prima. Ben lo Svelto usò comunque una certa cautela nel bere il primo sorso; dopo un momento inghiottì e sospirò. Seduto di fronte a lui, Bauchelain accennò un sorriso. «Eccellente. Dunque, avendo fatto lo sforzo di penetrare le difese della tenuta, suppongo che abbiate uno scopo preciso in mente. Avete la mia assoluta attenzione.» «L'evocazione di demoni è la più rara e difficile fra le arti negromantiche.» Bauchelain scrollò le spalle con modestia. «E il potere a cui attinge», continuò Ben, «pur provenendo dal Sentiero di Hood, è profondamente contaminato dal Caos, scorre sui due lati del confine fra quei due canali. Incidentalmente, perché credete che l'evocazione dei demoni abbia un aspetto di morte?». «È l'asserzione del controllo assoluto su una forza vitale, Ben lo Svelto. La minaccia di annientamento ha un aspetto di morte che le è proprio. Torniamo invece alla vostra osservazione riguardo all'influenza del Canale del Caos.» «I canali sono stati avvelenati.» «Ah. Il potere caotico ha molti aromi. Quello che assale i canali ha ben poco a che vedere con gli elementi del Canale del Caos con cui io ho a che fare.» «Quindi l'accesso ai vostri canali non è stato influenzato.» «Non ho detto questo», replicò Bauchelain, sorseggiando il vino. «Questa... infezione... è un irritante, sfortunato sviluppo che minaccia di peggiorare. Forse, in un momento futuro, troverò necessario reagire contro chi ne è responsabile. Il mio compagno, Korbal Broach, mi ha esternato la sua crescente preoccupazione... lui opera più direttamente tramite il Sentiero di Hood, e quindi sta risentendo maggiormente della cosa.» Ben lo Svelto guardò verso il corvo sul camino. «Capisco. Bene», proseguì, tornando a fissare Bauchelain, «quanto a questo, posso dirvi con esattezza chi è il responsabile». «Perché dovreste farlo, mago? A meno che non vogliate ottenere il nostro aiuto, supponendo che intendiate contrastare questo... avvelenatore... e siate in cerca di potenziali alleati.»
«Alleati? Chiedere il vostro aiuto? No, signore, mi avete frainteso. Offro liberamente quest'informazione, e non solo non mi aspetto nulla in cambio, ma se pure doveste offrirmi aiuto, lo rifiuterei rispettosamente.» «Strano. Avete dunque un potere tale da rivaleggiare con quello degli dei?» «Non ricordo di aver accennato agli dei in questa conversazione, Bauchelain.» «Verissimo. Tuttavia, l'entità responsabile dell'avvelenamento dei canali è senza dubbio un individuo formidabile: se non un dio, almeno un aspirante tale.» «In ogni caso», sorrise Ben lo Svelto, «non intendo rivaleggiare con gli dei». «Una saggia decisione.» «A volte, però, li sconfiggo al loro stesso gioco.» Bauchelain lo scrutò per un momento, poi si appoggiò lentamente all'indietro. «Scopro di apprezzare la vostra compagnia, Ben lo Svelto. Intrattenermi non è facile, ma questa notte avete dimostrato di essere un degno diversivo, e di questo vi ringrazio.» «Non c'è di che.» «Purtroppo, il mio compagno, Korbal Broach, vorrebbe uccidervi.» «Non si può soddisfare tutti.» «Verissimo. Non ama sentirsi confuso, capite, e voi lo avete confuso.» «Meglio per lui che resti su quel camino», ammonì con calma il mago. «Non sono molto cortese con gli aggressori.» Bauchelain inarcò un sopracciglio. Un'ombra di ali si allargò improvvisamente, vasta, sulla sinistra di Ben lo Svelto, mentre Korbal Broach saltava giù dalla mensola, cominciando a cambiare forma. Il Malazan protese in fuori il braccio sinistro e onde stratificate di magia saettarono attraverso lo spazio che li separava, investendo il negromante. Per metà uomo e per metà corvo arruffato, Korbal Broach non aveva ancora ultimato il passaggio alla forma umana, il suo potere doveva ancora focalizzarsi. Il negromante venne sollevato da terra dall'impatto magico, intrappolato nella cresta dell'onda di magia che andò a sbattere contro la parete al di sopra del camino, portando con sé la strana figura in parte umana e in parte di volatile, per poi detonare. L'intonaco dipinto esplose in una nuvola di polvere, il muro tremò, ac-
cartocciandosi su se stesso nel punto in cui Korbal Broach lo aveva colpito, praticando un foro che attraversava tutta la parete. L'ultima cosa che Ben vide del negromante furono i suoi stivali, prima che le nubi di polvere e i filamenti di potere residui oscurassero la parete. Dalla parte opposta, in quello che era probabilmente un corridoio, giunse il suono di un pesante tonfo, poi il rumore dell'intonaco che cadeva sul focolare fu la sola cosa che infranse il silenzio. Lentamente, Ben lo Svelto si rilassò sulla poltrona. «Altro vino?» chiese Bauchelain. «Grazie. Chiedo scusa per questo pasticcio.» «Non ci pensate. Prima d'ora non avevo mai visto... quanti erano... sei, forse sette canali scatenati in una volta sola, tutti intrecciati in maniera così complementare. Signore, siete un artista. Korbal Broach si riprenderà?» «Sono vostro ospite, Bauchelain, e non sarebbe cortese uccidere il vostro compagno. Dopo tutto, in teoria sono anche suo ospite.» La stanza si stava riempiendo di fumo a causa dei danni subiti dalla canna fumaria. «È vero», convenne Bauchelain, «anche se devo ammettere, sia pure con riluttanza, che lui ha cercato di uccidervi». «Non c'è bisogno di angosciarsi», rispose il Malazan. «Non mi ha creato un eccessivo problema.» «Questa è la cosa che trovo più stupefacente. Nella vostra magia non c'è traccia di avvelenamento caotico, Ben lo Svelto. Potete immaginare la quantità di domande che vorrei farvi.» Dal corridoio giunse un gemito. «Inoltre», continuò Bauchelain, «confesso che la curiosità è una mia caratteristica alquanto ossessiva, che spesso porta a spiacevoli atti di violenza nei confronti della persona interrogata, soprattutto se essa non collabora quanto vorrei. Dicevamo, sei, sette canali...». «Sei.» «Sei canali, dunque, usati contemporaneamente, e voi sostenete che la cosa non è stata un eccessivo problema. Questa mi sembra spavalderia, e ne deduco quindi, per dirla brutalmente, che voi siate esaurito.» «Mi state facendo capire che la mia presenza non è più gradita», sospirò Ben, posando il boccale. «Non necessariamente. Basterà che mi diciate tutto, e potremo continuare a conversare civilmente.» «Temo che non sia possibile», replicò il Malazan. «Voglio comunque in-
formarvi che l'entità che avvelena i canali è il Dio Storpio. Dovrete valutare come... reagire... contro di lui, più presto di quanto non crediate.» «Grazie. Non nego di essere impressionato dalla vostra padronanza nell'uso di sei canali, Ben lo Svelto. A ben riflettere, avreste dovuto tenere di scorta almeno la metà delle vostre risorse.» Il negromante accennò ad alzarsi. «L'ho fatto, Bauchelain», affermò il mago. Sotto l'impatto di una mezza dozzina di canali intrecciati fra loro, il divano e l'uomo su di esso non se la cavarono meglio nel colpire il muro di quanto avesse fatto poco prima Korbal Broach. Nel corridoio intasato di fumo che portava alle porte principali, Ben lo Svelto incontrò Emancipor Reese; il servo si era avvolto un panno intorno alla parte inferiore del volto e aveva gli occhi che lacrimavano. «I tuoi padroni hanno bisogno di assistenza, Emancipor.» «Sono vivi?» «Certamente, anche se le inalazioni di fumo...» «Che cosa c'è che non va in tutti voi?» ringhiò il servitore, oltrepassandolo. «Cosa vuoi dire?» gli gridò dietro Ben lo Svelto. «Non è ovvio?» ribatté Emancipor, girandosi a mezzo. «Quando sbatti a terra una vespa, poi la schiacci con la scarpa, giusto? Altrimenti, è probabile che ti punga!» «Mi stai incoraggiando a uccidere i tuoi padroni?» «Siete tutti dannati idioti, ecco cosa siete! Pulisci qui, Mancy! Lava là! Seppellisci questo in giardino! Prepara quei bauli... partiamo fra poco! È la mia maledizione... nessuno li uccide! Credete che mi piaccia il mio lavoro? Idioti! Credete...» Il vecchio stava ancora inveendo quando Ben lo Svelto uscì all'aperto. Talamandas lo aspettava sulla soglia. «Sai, ha ragione lui...» cominciò. «Taci», ingiunse il mago. Nel cortile, le guardie non-morte erano crollate tutte dalle passerelle lungo il muro e giacevano sulle pietre del cortile, ma adesso stavano ricominciando a muoversi, gli arti che sussultavano. Sembrano scarafaggi rovesciati sul dorso. Meglio andare via di qui, perché adesso ho davvero esaurito le risorse. «Sai, per poco non mi sono spostato nel muro che hai distrutto.» «Sarebbe stata una sfortuna», replicò Ben lo Svelto. «Salta su, ce ne an-
diamo.» «Finalmente un po' di saggezza!» Nell'aprire gli occhi, Bauchelain vide Emancipor chino su di lui. «Siamo in giardino, padrone», affermò il servitore. «Ho trascinato fuori voi e Korbal e ho spento il fuoco. Ora dovremo spalancare tutte le finestre...» «Benissimo, Emancipor», gemette il negromante, dopo un momento, e quando il servo accennò ad allontanarsi, chiamò: «Emancipor». «Padrone?» «Confesso... di provare una certa... confusione. Soffriamo di una pecca cronica, Emancipor?» «Signore?» «Sottovai... oh, non importa, Emancipor. Fa' ciò che devi.» «Sì, padrone.» «Oh, ti sei guadagnato un premio per i tuoi sforzi... cosa desideri?» Il servo fissò Bauchelain per una manciata di secondi, poi scosse il capo. «Nulla, padrone. Fa parte del mio lavoro, e ora è meglio che vada.» Il negromante sollevò la testa per guardare il vecchio tornare in casa. «Un uomo così modesto», sussurrò, poi abbassò lo sguardo sul proprio corpo ammaccato, e sospirò: «Mi chiedo cosa sia rimasto del mio guardaroba». Non molto, stando a quanto ricordava, e alla luce dei recenti eventi. Avvolto nuovamente nell'ombra, Ben lo Svelto si avviò lungo la strada cosparsa di macerie. La maggior parte degli incendi si era esaurita da sé o era stata spenta, e neppure una delle costruzioni ancora in piedi mostrava tracce di luce dietro le imposte o dalle finestre sventrate; le stelle dominavano il cielo notturno, ma l'oscurità era sovrana in città. «Dannatamente spettrale», sussurrò Talamandas. «Notevole, da parte di qualcuno che ha trascorso generazioni in un'urna, nel centro di un tumulo», grugnì il mago. «I vagabondi come te non apprezzano la familiarità», sbuffò la figurastecco. La massa scura del Thrall nascondeva il cielo direttamente davanti a loro, messa vagamente in rilievo dal tenue chiarore delle torce accese nella piazza antistante le porte principali. Nell'imboccare un viale che portava alla costruzione, i due incontrarono il primo capannello di Barghast, rac-
colti intorno a un piccolo fuoco acceso con pezzi di mobilio; teli impermeabili tesi fra gli edifici ai due lati del viale, per tutta la sua lunghezza, lo facevano apparire come una sorta di galleria, sorprendentemente simile alle strade dei mercati di Sette Città. Sagome addormentate erano stese ovunque a ridosso delle case, svariati fuochi proiettavano disegni di luce sul lato inferiore dei teli, ma numerosi Barghast erano ancora ben svegli e sul chi vive. «Prova a passare là in mezzo senza essere visto, mago», mormorò Talamandas. «Dovremo fare un giro, supponendo che tu persista nel tuo assurdo desiderio di sgusciare come un topo in una casa piena di gatti. Nel caso tu lo abbia dimenticato, quella è la mia gente...» «Taci», sussurrò Ben lo Svelto. «Considerala un'altra prova della nostra collaborazione... e dei canali.» «Vuoi proseguire là in mezzo?» «Sì.» «Quale canale? Non D'riss, non di nuovo, per favore... quei ciottoli...» «No, finiremmo inzuppati di sangue antico. Non passeremo sotto, Talamandas, ma sopra. Serc, il Sentiero del Cielo.» «Credevo avessi esaurito le tue risorse, nella tenuta.» «L'ho fatto, per buona parte. Questa volta potremmo sudare un po'.» «Io non sudo.» «Vediamo se è vero, d'accordo?» Il mago aprì il Canale di Serc. All'inizio, la scena circostante parve immutata, ma a poco a poco gli occhi di Ben si abituarono e lui cominciò a vedere le correnti dell'aria, gli strati di caldo e di freddo che scorrevano parallelamente al suolo, le spirali che salivano verso il cielo fra i teli, la scia di figure di passaggio, il ricordo del calore nelle pietre e nel legno. «Nauseante», mormorò Talamandas. «Vorresti nuotare fra quelle correnti?» «Perché no? Siamo privi di sostanza quasi quanto l'aria che abbiamo davanti. Io posso dare la spinta di avvio, ma il problema è rimanere in volo. Hai ragione, non ho più riserve, Talamandas, quindi tocca a te.» «A me? Io non so nulla di Serc.» «Non ti sto chiedendo di imparare. Ciò che voglio è il tuo potere.» «Non faceva parte dell'accordo!» «Ora sì.» La figura-stecco si agitò sulla spalla del mago. «Attingendo al mio potere, indebolisci la protezione che offro contro il veleno.»
«Dobbiamo trovare quella soglia di tolleranza, Talamandas. Devo sapere quanto posso attingere da te, in caso di emergenza.» «Quanto prevedi possa essere sgradevole la situazione, quando infine sfideremo il Dio Storpio?» chiese Talamandas. «Quei tuoi piani segreti... non mi meraviglia che tu li mantenga tali!» «Potrei giurare di averti sentito dire che ti stavi offrendo in sacrificio per la causa... ti tiri indietro?» «Di fronte alla follia? Contaci, mago.» «Rilassati», sorrise Ben lo Svelto. «Non ti sto preparando il rogo funebre, e non intendo sfidare il Dio Storpio, non direttamente. Sono stato faccia a faccia con lui una volta, e mi basta. Comunque, ero serio riguardo al dover trovare quella soglia. Ora togli il tappo, sciamano, e vediamo cosa ci riesce di fare.» Sibilando di rabbia, Talamandas obbedì con riluttanza. Sollevatosi da terra, il mago scivolò in avanti sulla più vicina corrente che percorreva la lunghezza della strada, un flusso freddo che passava sotto i teli. Un attimo prima di raggiungere la corrente discensionale, Ben si spinse in su, sfruttando la spirale di calore che saliva da uno dei fuochi, e si trovò a saettare verso l'alto. «Dannazione!» esclamò, nel vorticare sulla colonna di calore. Stringendo i denti, si protese verso il potere di Talamandas, e scoprì che quanto aveva sospettato dall'inizio era vero. Potere di Hood, in tutto e per tutto. Degli dei Barghast c'è appena una traccia. Quei dannati nuovi venuti stanno estendendo troppo il loro potere, e mi chiedo cosa stia attingendo alle loro energie. Nel Mazzo, nella Casa della Morte, c'è una carta il cui ruolo è rimasto vacante per molto tempo: i Maghi. Credo che essa abbia appena trovato una faccia, dipinta su una stupida ghianda. Talamandas, forse hai commesso un terribile errore. Quanto a voi, dei Barghast, ecco un saggio consiglio per il futuro: non consegnate mai i vostri servitori a un altro dio, perché è improbabile che rimangano vostri a lungo. Invece, è probabile che quel dio li trasformi in armi... dirette contro la vostra schiena. Cari dei Barghast, siete in un mondo di predatori, molto più pericolosi di quelli che circolavano in passato. Per voi è una fortuna che ci sia io. Attinse a quel potere, con decisione, e la figura-stecco si contorse, affondandogli nel collo le dita di legno. Mentalmente, Ben lo Svelto serrò in una morsa implacabile il potere del Signore della Morte, e tirò.
Vieni da me, bastardo, tu e io dobbiamo parlare. Nella sua mano serrata affiorò la sensazione di una stoffa rozza che si appallottolava, stendendosi, poi l'alito della Morte fluì su di lui, una presenza concreta e intrisa d'ira. E del tutto impotente nella stretta di un mortale. «Ecco trovata la soglia», rise Ben lo Svelto. «Vuoi allearti con me, Hood? D'accordo, valuterò la cosa, nonostante il tuo inganno, ma dovrai dirmi cosa stai combinando.» «Dannato stolto!» La voce di Hood gli echeggiò tonante nella mente, scatenando ondate di dolore. «Abbassa la voce», ringhiò Ben, «altrimenti ti trascinerò qui, pelle e tutto il resto, e Fener non sarà il solo dio a essere diventato caccia libera». «La Casa delle Catene non deve essere avallata!» Il mago rimase sconcertato da quell'affermazione di Hood. «La Casa delle Catene? È il veleno che stiamo cercando di eliminare, vero? La febbre di Burn... i canali infetti...» «Il Signore del Mazzo deve essere convinto, mortale. La Casa del Dio Storpio sta trovando... aderenti...» «Aspetta un momento. Aderenti? In seno al pantheon?» «Sì, tradimento. Poliel, Signora della Pestilenza, aspira al ruolo di Consorte del Re in Catene. Un araldo è stato... reclutato, un antico guerriero cerca di diventare il Mietitore, mentre la Casa ha già trovato in una terra lontana la sua Spada Mortale. Mowri abbraccia ora i tre - Storpio, Lebbroso e Folle - che sono al posto di Filatore, Muratore e Soldato. La cosa più preoccupante, però, è che un antico potere vibra intorno all'ultima di quelle temibili carte... mortale, il Signore del Mazzo non deve rimanere cieco a questa minaccia.» «Il capitano Paran non è tipo da avere il prosciutto sugli occhi, Hood», dichiarò il mago, accigliandosi. «Invece, è probabile che veda le cose con chiarezza anche superiore alla tua... o almeno in modo più spassionato, e qualcosa mi dice che la fredda ragione sarà la cosa più necessaria, quando si arriverà a dover decidere. In ogni caso, la Casa delle Catene può essere il tuo problema, ma il veleno dentro i canali è il mio.» E ciò che esso sta facendo a Burn. «Ti stanno fuorviando, mago. Non troverai risposte, o soluzioni, all'interno del Dominio di Pannion, perché il Veggente è al centro di una storia del tutto diversa.» «Questo lo avevo intuito, Hood, ma ho comunque intenzione di fare i
conti con quel bastardo... e con il suo potere.» «Cosa che non ti servirà a nulla.» «È quello che credi», sogghignò Ben lo Svelto. «Ti chiamerò ancora, Hood.» «E perché dovrei rispondere? Non hai ascoltato una parola di quello che ho...» «L'ho fatto, signore, ma rifletti su questo: gli dei Barghast possono essere giovani e inesperti, ma non lo saranno ancora per molto. Inoltre, gli dei giovani sono pericolosi. Colpiscili adesso, e non dimenticheranno chi li ha feriti. Hai offerto il tuo aiuto, Hood, quindi farai bene a mantenere la promessa.» «Osi minacciarmi?» «Chi è ora quello che non sta ascoltando? Non ti sto minacciando, ti sto avvertendo, e non soltanto riguardo agli dei Barghast. Treach ha trovato una degna Spada Mortale... non ne avverti la presenza? Io sono qui, a oltre mille passi da lui, con almeno venti muri di pietra che ci separano, e posso percepire quell'uomo. È avviluppato nel dolore di una morte... qualcuno che gli era vicino, la cui anima è ora in mano tua. Questa Spada Mortale non ti è amica, Hood.» «Credi che non abbia accolto tutto ciò che mi ha inviato? Treach mi ha promesso delle anime, e il suo servitore umano me le ha fornite.» «In altre parole, la Tigre dell'Estate e gli dei Barghast hanno tenuto fede alla loro parte del patto. Ora è meglio che tu faccia altrettanto, il che include lasciare libero Talamandas, quando verrà il momento. Attieniti allo spirito dell'accordo, Hood... a meno che tu non abbia imparato nulla dagli errori che hai commesso con Dassem Ultor...» Il mago sentì un'ira rovente insorgere nel Signore della Morte, che però rimase in silenzio. «Sì, pensaci sopra», continuò. «Nel frattempo, libererai il tuo potere, quanto basta a trasportarmi al di sopra di questa massa di Barghast e nella piazza antistante il Thrall, poi ti tirerai in disparte abbastanza da lasciare a Talamandas la libertà che dovrebbe avere. Librati dietro i suoi occhi dipinti, se lo desideri, ma non avvicinarti oltre, finché non deciderò di aver di nuovo bisogno di te.» «Un giorno sarai mio, mortale...» «Senza dubbio, Hood, ma nel frattempo crogiolati nell'anticipazione di quel giorno, d'accordo?» Con quelle parole, il mago abbandonò la presa sul mantello del dio, la cui presenza si ritrasse di scatto.
Il potere prese a scorrere in un flusso costante, le correnti d'aria trasportarono Ben lo Svelto e Talamandas, aggrappato alla sua spalla, al di sopra dei teli stesi. «Cosa è successo?» sibilò Talamandas. «Per un momento, sono svanito». «Va tutto bene», mormorò il mago. «Questo potere ti va bene, figurastecco?» «Sì, lo posso usare.» «Felice di sentirlo. Ora, guidaci fino alla piazza.» Un sottile velo di fumo stantio offuscava le stelle. Il capitano Paran sedeva sugli ampi gradini dell'ingresso principale del Thrall, di fronte al casotto di guardia posto in fondo a un ampio viale; visibili attraverso la sua porta aperta, i fuochi da campo accesi dai Barghast nella piazza brillavano fra i veli di nebbia. Il Malazan era sfinito ma non riusciva a prendere sonno. Da quando aveva lasciato Cafal, due campane prima, i suoi pensieri avevano vagato lungo innumerevoli sentieri; nella camera, gli sciamani Barghast erano ancora impegnati a smantellare le canoe e a recuperare le antiche armi, ma a parte quella stanza e quell'attività, il Thrall sembrava deserto, senza vita. Quelle sale e quei corridoi vuoti ricordarono inevitabilmente a Paran quello che supponeva potesse essere l'aspetto del palazzo dei suoi genitori, a Unta, ora che essi erano morti, ora che Felisin era in catene in una miniera a mille leghe di distanza e che la cara Tavore dimorava nelle camere opulente del palazzo di Laseen. Una casa sola con i suoi ricordi, saccheggiata dai servitori, dalle guardie e dai ladri di strada. Il nuovo Aggiunto ci passava mai davanti a cavallo? Si soffermava mai a pensare a essa nel corso delle sue affaccendate giornate? Lei non era tipo da riservare un solo momento ai sentimenti, era animata da una razionalità fredda e brutale, da un pragmatismo che aveva mille lati affilati, pronti a tagliare chiunque si avvicinasse troppo. L'Imperatrice sarebbe stata molto soddisfatta del suo nuovo Aggiunto. E che ne è di te, Felisin, con il tuo ampio sorriso e i tuoi occhi danzanti? Non esiste pudore nelle Miniere di Otaral, nulla che ti possa proteggere dagli aspetti peggiori della natura umana. Senza dubbio, qualche ruffiano o sorvegliante ti avrà presa sotto l'ala. Un fiore schiacciato sotto i piedi.
Tuttavia, tua sorella ha in mente di recuperarti... la conosco abbastanza da saperlo. È possibile che ti abbia assegnato uno o due protettori per la durata della tua condanna. Quella che salverà non sarà però più una bambina. Non ci sarà più il sorriso, e quegli occhi danzanti saranno duri e letali. Avresti dovuto trovare un'altra via, sorella. Per gli dei, avresti dovuto uccidere subito Felisin, sarebbe stato più misericordioso. E adesso, temo che un giorno la pagherai cara. Paran scosse il capo. La sua era una famiglia che nessuno gli avrebbe invidiato. Lacerata dalle nostre stesse mani, e adesso ciascuno di noi fratelli è lanciato verso un fato differente. Le probabilità che un giorno quei destini convergessero non gli era mai sembrata tanto remota. I consunti gradini che aveva davanti erano coperti di cenere, quasi che la pietra fosse stata la sola superstite della città, e l'oscurità aveva un che di solenne, di doloroso, per l'assenza di tutti i suoni che avrebbero dovuto accompagnare la notte. Hood sembra vicino, questa notte... Dietro di lui, uno dei massicci battenti si aprì; Paran si guardò alle spalle e annuì. «Spada Mortale. Avete un aspetto riposato.» «Mi sento come se mi avessero quasi bastonato a morte», ribatté il grosso guerriero, con una smorfia. «Quella è una donna terribile.» «Ho sentito altri uomini parlare così della loro donna, e nelle loro lamentele c'era la stessa sfumatura compiaciuta che sto cogliendo ora.» «Già, avete ragione. È buffo.» «Questi gradini sono larghi. Sedetevi anche voi, se volete.» «Non vorrei disturbare la vostra solitudine, capitano.» «Non mi rincresce abbandonarla. Troppi cupi pensieri mi assalgono quando sono solo.» La Spada Mortale venne avanti e si sistemò sul gradino accanto a Paran, accompagnata dal tintinnare della logora armatura; appoggiate le braccia sulle ginocchia, lasciò penzolare le mani guantate. «Condivido la vostra maledizione, capitano.» «Allora è una fortuna che abbiate trovato Hetan.» «Il problema è che è insaziabile», grugnì il guerriero. «In altre parole, eravate voi quello che cercava la solitudine, che la mia presenza vi ha negato.» «La vostra compagnia è gradita, a patto che non mi artigliate la schiena.» «Non sono un tipo felino... uh, scusatemi.»
«Non importa. Se Trake non ha il senso dell'umorismo, quello è un suo problema. Peraltro, deve averlo, se ha scelto me come sua Spada Mortale.» Paran studiò l'uomo che aveva davanti; dietro ai tatuaggi a strisce, quello era un volto che rivelava anni di vita dura, segnato dagli elementi, rudemente cesellato, e anche se adesso gli occhi erano quelli di una tigre, a causa del potere del dio che gli permeava la carne e il sangue, intorno a essi c'erano solchi d'espressione propri di chi amava ridere. «Mi sembra che Trake abbia scelto saggiamente...» «Non se si aspetta devozione o se esige giuramenti. Hood sa che non mi piace neppure combattere. Non sono un soldato e non desidero esserlo, quindi come ci si aspetta che possa servire il Dio della Guerra?» «Credo che voi siate meglio di qualche testa di legno assetata di sangue, Gruntle. A me pare che la vostra riluttanza a sfoderare quelle spade, e tutto ciò che rappresentano, sia una cosa positiva. Gli dei sanno quanto questa dote sia rara, attualmente.» «Non ne sono certo. Tutta la città era riluttante a combattere. I sacerdoti, i Gidrath, perfino le Spade Grigie. Se solo ci fosse stata un'alternativa!» Gruntle scrollò le spalle e continuò: «Lo stesso vale per me. Se non fosse stato per quello che è successo ad Harllo e a Stonny, adesso sarei nascosto nelle gallerie con gli altri». «Stonny è la vostra amica, quella con lo stocco spezzato, giusto? Chi è Harllo?» Gruntle distolse il volto per un momento. «Solo un'altra vittima lungo la pista, capitano», dichiarò con amarezza. «A quanto ho sentito, il vostro esercito Malazan è appena a ovest di qui e sta venendo a unirsi a questa dannata guerra. Perché?» «Una temporanea aberrazione. Siamo rimasti a corto di nemici.» «Umorismo da soldato. Non sono mai riuscito a capirlo. Combattere è tanto importante, per voi?» «Se vi riferite a me personalmente, no, non lo è, ma per uomini come Dujek Un-braccio e Whiskeyjack, è il riassunto della loro vita. Sono uomini che fanno la storia, il loro talento è il potere di comandare, e ciò che fanno ridisegna le mappe degli studiosi. Quanto ai soldati che li seguono, direi che per la maggior parte di essi si tratta di una professione, una carriera, probabilmente la sola che sanno svolgere. Essi sono sottoposti alla volontà dei loro comandanti, quindi forgiano a loro volta la storia, un soldato per volta.» «E cosa succede quando i comandanti sono pazzi suicidi?»
«È il destino dei soldati lamentarsi dei loro ufficiali. Ogni fante coperto di fango è un artista del senno di poi, un maestro di strategia dopo che i fatti sono accaduti, ma la verità è che l'Impero Malazan ha una tradizione di comandanti competenti e validissimi. Uomini duri e onesti, che di solito provengono dai ranghi, anche se vi garantisco che la classe nobiliare a cui appartengo ha tracciato solchi distruttivi in quella tradizione. Se avessi seguito una via più sicura, adesso potrei essere un Pugno... non per la mia competenza o esperienza, naturalmente. Sarebbero bastate le conoscenze. L'Imperatrice si è però finalmente accorta di questo marciume ed è già intervenuta in merito, anche se probabilmente è troppo tardi.» «Nel nome di Hood, allora perché ha dichiarato fuorilegge Dujek Unbraccio?» Paran rimase in silenzio per un momento, poi scrollò le spalle. «Politica. Suppongo che a volte la necessità politica possa forzare la mano perfino a un'Imperatrice.» «A me sembra una finta», borbottò Gruntle. «Non si rinuncia al proprio miglior comandante solo per una crisi di rabbia.» «Può darsi che abbiate ragione, ma purtroppo io non posso confermarlo o negarlo. Comunque, fra Dujek e Laseen ci sono ancora vecchie ferite non rimarginate.» «Capitano Paran, parlate troppo apertamente per il vostro bene, non che io costituisca un pericolo, badate bene, però avete una natura aperta e onesta che un giorno potrebbe farvi finire sulla forca.» «C'è dell'altro, Spada Mortale. È apparsa una nuova Casa che cerca di essere accettata nel Mazzo dei Draghi. Essa appartiene al Dio Storpio. Posso avvertire le pressioni, le voci di innumerevoli dei che pretendono tutti che io neghi il mio avallo, dato che pare sia io ad avere la condanna di questa responsabilità. Devo benedire la Casa delle Catene, oppure no? Le argomentazioni contro questa benedizione sono schiaccianti, e non ho bisogno che alcun dio mi sussurri nella mente per esserne consapevole.» «Allora dov'è il problema, capitano?» «È semplice. C'è una singola voce che sta gridando dentro di me, sepolta così in profondità da essere quasi inudibile. Una voce isolata, Gruntle, che pretende esattamente l'opposto, esige che io avalli la Casa delle Catene. Devo benedire il Dio Storpio e assegnargli un posto in seno al Mazzo dei Draghi.» «E quale voce grida suggerimenti così folli?» «Credo sia la mia.»
Gruntle rimase in silenzio per pochi secondi, ma Paran avvertì su di sé lo sguardo dei suoi occhi inumani. Alla fine, la Spada Mortale distolse lo sguardo. «Non so molto riguardo al Mazzo dei Draghi. Viene usato per la divinazione, vero? È una cosa di cui non mi sono mai interessato.» «Neppure io», ammise Paran. Gruntle scoppiò in una risata, aspra e risonante, poi annuì lentamente. «Cos'avete detto di me, prima? Meglio un uomo che odia combattere per servire il Dio della Guerra che non uno che l'adori. Quindi, perché non scegliere come giudice un uomo che non sa nulla del Mazzo dei Draghi, invece di qualcuno che lo usa da sempre?» «Forse avete ragione, anche se non attenua la mia sensazione di inadeguatezza.» «Già, quello.» Gruntle fece una pausa, poi: «Ho sentito il mio dio sussultare per le vostre parole, capitano... riguardo al vostro istinto sulla Casa delle Catene del Dio Storpio. Come ho detto prima, però, io non sono un devoto, quindi vedo le cose in maniera diversa. Se Trake vuole tremare su quattro zampe mutate in gelatina, è affar suo». «La vostra mancanza di paura mi incuriosisce, Gruntle. Sembrate non vedere nessun rischio nella legittimazione della Casa delle Catene. Come mai?» Il guerriero scrollò le spalle massicce. «Il nocciolo del problema è proprio questo, giusto? La legittimazione. Attualmente, il Dio Storpio è al di fuori di tutto il dannato gioco, il che significa che non è vincolato da regole di sorta.» «Avete ragione!» esclamò Paran, raddrizzandosi di scatto. «Che l'Abisso mi prenda, ecco di cosa si tratta. Se benedico la Casa delle Catene, il Dio Storpio sarà... vincolato...» «Sarà soltanto un altro giocatore, costretto a muoversi sulla stessa scacchiera. Attualmente, continua a scalciare ogni volta che ne ha la possibilità, ma quando sarà nel gioco non avrà più tale privilegio, o almeno così sembra a me, capitano. Quando avete detto di voler avallare la Casa, ho pensato: perché tanto chiasso? A me sembra del tutto ragionevole. A volte, gli dei possono essere dannatamente ottusi... probabilmente è per questo che hanno bisogno di noi mortali quando è necessario pensare con chiarezza. Ascoltate quella singola voce, ragazzo, questo è il mio consiglio.» «Ed è un buon consiglio.» «Forse, o forse no. Potrei finire arrostito in eterno sui fuochi dell'Abisso per opera di Trake e degli altri dei, per avervelo dato.»
«Allora avrò compagnia», sorrise Paran. «È un bene che detestiamo entrambi la solitudine.» «Questo è umorismo da soldato, Gruntle.» «Davvero? Io però dicevo sul serio, capitano.» «Oh.» «Ci siete cascato», aggiunse Gruntle, scoccandogli un'occhiata. Una corrente discensionale di aria fredda portò Ben lo Svelto sul polveroso lastricato della piazza, a una decina di passi dal casotto di guardia, al di là del quale il capitano Paran e la Spada Mortale sedevano fianco a fianco sui larghi gradini del Thrall. «Proprio i due con cui volevo parlare», mormorò il mago, chiudendo il Canale di Serc. «Basta discussioni, per favore», replicò Talamandas, dall'alto della sua spalla. «Quelli sono uomini potenti...» «Rilassati, non prevedo uno scontro.» «Per precauzione, mi renderò invisibile.» «Come preferisci.» La figura-stecco scomparve, anche se il mago continuò ad avvertirne il lieve peso e a sentire le dita di rametti strette intorno al mantello. I due uomini sollevarono lo sguardo al suo avvicinarsi, e Paran li salutò con un cenno. «L'ultima volta che ti ho visto eri devastato dalla febbre. Sono lieto che tu stia meglio. Gruntle, questo è Ben lo Svelto, un soldato degli Arsori di Ponti.» «Un mago.» «Anche.» Gruntle studiò Ben lo Svelto per un momento, e Paran avvertì una presenza bestiale che si agitava dietro i suoi ambrati occhi felini. «Odori di morte», disse infine il Daru, «e la cosa non mi piace». «Davvero?» chiese Ben lo Svelto, con un sussulto. «Ultimamente ho frequentato compagnie sbagliate. Una cosa sgradevole, ne convengo, ma purtroppo necessaria.» «Si tratta solo di questo?» «Lo spero, Spada Mortale.» Una minaccia brutale brillò per un momento negli occhi di Gruntle, poi essa si affievolì lentamente e lui riuscì a scrollare le spalle. «È stato un Arsore di Ponti a salvare la vita a Stonny, quindi eviterò reazioni violente, almeno finché non avrò visto se l'odore si dissolve.»
«Consideralo un modo elaborato per dire che devi fare al più presto un bagno», aggiunse Paran. «Dell'umorismo da parte vostra è una novità», replicò il mago, fissando il capitano. «Ultimamente ci sono state molte novità», annuì Paran. «Se sei qui per riunirti alla tua compagnia, la troverai negli alloggiamenti dei Gidrath.» «A dire il vero, porto notizie di Whiskeyjack.» «Sei riuscito a contattarlo?» chiese Paran, raddrizzandosi. «Nonostante i canali avvelenati? Notevole, mago. Adesso hai tutta la mia attenzione. Ci sono nuovi ordini per me?» «Brood ha richiesto un'altra riunione», affermò Ben lo Svelto, «con tutti i comandanti, inclusi Gruntle, Humbrall Taur e chi rimane delle Spade Grigie. Potete trasmettere la richiesta agli altri interessati che sono qui a Capustan?». «Suppongo di sì. È tutto?» «Se avete un rapporto per Whiskeyjack, posso trasmetterglielo.» «No, grazie. Aspetterò d'incontrarlo di persona.» Ben lo Svelto si accigliò. Come preferisci, pensò. «Riguardo al resto, faremo meglio a parlarne in privato, capitano.» Gruntle accennò ad alzarsi, ma Paran protese una mano per trattenerlo. «Probabilmente posso anticipare le tue domande qui, e adesso, Ben.» «Forse, ma preferirei che non lo faceste.» «Mi dispiace per te, allora. Sarò franco e chiaro: non ho ancora deciso se avallare o meno la Casa delle Catene, anzi, non ho deciso nulla riguardo a niente, e le cose potrebbero rimanere così per qualche tempo, quindi non cercare di esercitare pressioni su di me.» «Per favore, capitano», replicò Ben lo Svelto, sollevando entrambe le mani. «Non ho intenzione di farvi pressioni, dato che io stesso ne ho subite da poco, per opera dello stesso Hood, e la cosa mi ha seccato alquanto. Quando qualcuno mi dice di seguire una linea d'azione, il mio istinto è quello di fare esattamente l'opposto. Non siete il solo propenso a sollevare un polverone.» «Che blanda minimizzazione!» rise Gruntle. «A quanto pare, stanotte ho trovato una compagnia perfetta. Continuate, mago.» «Ho solo una cosa da aggiungere», proseguì Ben lo Svelto, scrutando Paran. «Un'osservazione, che potrebbe essere errata, anche se non lo credo. Capitano, non vi siete ammalato perché state resistendo al potere che è in voi, ma perché stavate resistendo a voi stesso. Quali che siano le richieste
del vostro istinto, ascoltatele, seguitele, e che l'Abisso si prenda il resto. Tutto qui.» «Questo è il tuo consiglio, o quello di Whiskeyjack?» domandò Paran. «Se fosse qui, lui direbbe la stessa cosa, capitano», affermò il mago. «Lo conosci da molto tempo, vero?» «Sì.» Dopo un momento, Paran annuì. «Questa notte, con l'aiuto di Gruntle, ero giunto anch'io alle stesse conclusioni. Pare che tutti e tre stiamo per destare le ire di alcuni esseri molto potenti.» «Che strillino», ringhiò la Spada Mortale. «Hood sa che abbiamo fatto la nostra parte con gli interessi, mentre loro se ne stavano seduti in disparte a ridere. È arrivato il momento di rovesciare le carte.» Ben lo Svelto sospirò fra sé. D'accordo, Hood, non ho tentato davvero, ma solo perché è chiaro che Paran non è incline a darti ascolto, e forse capisco il perché, ora che ci rifletto sopra. Quindi, per quel che può valere, considera questo consiglio: ci sarà una Casa delle Catene, perciò accettala e preparati a essa. Hai tempo in abbondanza... più o meno. Oh, ancora una cosa, Hood. Per troppo tempo tu e i tuoi compari dei avete dettato legge incontrastati. Ora fatevi indietro e vedremo come ce la caveremo noi mortali... ritengo che vi aspetti qualche sorpresa. Pallidi, sporchi ma vivi, i superstiti di Capustan uscirono infine dall'ultima galleria mentre il cielo si schiariva a est, sgomenti abitanti emersi dalle radici stesse della città, che si ritraevano dalla luce delle torce nell'avanzare incespicando sul viale, dove presero a girare a vuoto, come sperduti in un luogo che un tempo consideravano la loro casa. L'Incudine-Scudo Itkovian era di nuovo in sella, anche se qualsiasi movimento rapido gli dava le vertigini per lo sfinimento e il dolore causato dalle ferite. Ora aveva un compito visibile, il suo solo scopo era essere una presenza familiare, riconoscibile, rassicurante. Con il nuovo giorno, i sacerdoti del Consiglio Mascherato avrebbero iniziato una processione attraverso la città, per aggiungere la loro rassicurazione, indicare che rimaneva un'autorità, che qualcuno aveva il controllo della situazione, che la vita poteva ricominciare. Ma adesso, quando era ancora buio - momento che Itkovian aveva scelto per attenuare l'impatto della devastazione circostante - con i sacerdoti che dormivano profondamente nel Thrall, le Spade Grigie, che erano trecentodiciannove in tutto, comprese quelle che si erano trovate nelle gallerie, erano schierate a ogni
sbocco e a ogni punto di convergenza. Erano là per applicare la legge marziale e dare una forma di ordine allo smistamento della gente, ma Itkovian sapeva che il valore principale della loro presenza era psicologico. Noi siamo i difensori. Siamo ancora vivi. Se il lutto era oscurità, la vittoria e tutto ciò che essa comportava era un grigiore simile a quello dell'alba, un'attenuarsi dell'oppressione derivante dalle perdite e dalla devastazione che si rivelava a poco a poco da ogni parte. Non era possibile attenuare il conflitto interiore di ognuno di quei superstiti, la brutale casualità del fato che tormentava lo spirito, ma le Spade Grigie costituivano una semplice, solida presenza, erano diventate a tutti gli effetti lo stendardo della città. Siamo ancora vivi. Secondo il modo di vedere di Itkovian, una volta ultimato questo compito, il contratto si sarebbe concluso, della legge e dell'ordine si sarebbero occupati i Gidrath del Thrall e le Spade Grigie superstiti avrebbero lasciato Capustan per non farvi più ritorno. L'interrogativo che tormentava ora l'Incudine-Scudo riguardava il futuro della compagnia, ridotta da oltre settemila effettivi a trecentodiciannove: quello era un assedio da cui forse le Spade Grigie non si sarebbero mai più riprese. Considerate di per sé, quelle perdite, per quanto spaventose, erano gestibili, mentre l'espulsione di Fener dal suo canale era una cosa del tutto differente. Un esercito votato a un dio privato del suo potere non era, secondo il modo di vedere di Itkovian, diverso da qualsiasi altra banda di mercenari: un'accozzaglia di disadattati misti a una manciata di soldati professionisti. Una colonna di monete non offriva affidabili garanzie di resistenza, ed erano poche le compagnie esistenti che potevano vantarsi a ragion veduta di possedere integrità e onore, poche quelle capaci di rimanere al loro posto se era possibile fuggire. Assoldare reclute per incrementare gli effettivi era diventato problematico. Le Spade Grigie avevano bisogno di individui seri e onesti, capaci di accettare una disciplina di altissimo livello, gente per la quale un voto avesse significato. Zanne Gemelle, quelli che mi servono sono dei fanatici! Al tempo stesso, si sarebbe dovuto trattare di persone senza legami di sorta. Una combinazione improbabile. E poi, anche ammesso che fosse stato possibile trovare reclute del genere, a chi si sarebbero potute votare? Non a Trake... il nucleo di quell'eserci-
to esisteva già, accentrato intorno a Gruntle. C'erano altri due dei della guerra che Itkovian conosceva, dei delle terre del nord, adorati di rado nelle terre centrali o del sud. Come mi ha chiamato Hetan? Non mi ha mai paragonato a un felino, o a un orso. No, ai suoi occhi, io ero un lupo. Benissimo, allora... Sollevando la testa, spinse lo sguardo al di sopra della massa dei superstiti accalcati nel viale fino a individuare un altro cavaliere isolato. La donna lo stava guardando a sua volta, e Itkovian la chiamò a sé con un cenno. Trascorsero alcuni momenti prima che lei riuscisse a farsi largo a cavallo fra la calca e ad arrivargli accanto. «Signore?» «Trova il capitano. Noi tre abbiamo un compito che ci aspetta.» La donna salutò e fece girare il cavallo; Itkovian la guardò imboccare una strada laterale e scomparire alla vista. La sua decisione era basata su una logica inoppugnabile, e tuttavia per lui non pareva valida, come se fosse destinato a non avere personalmente parte alcuna, nessun ruolo, in ciò che sarebbe stato, a parte gli atti di preparazione. Nondimeno, la sopravvivenza delle Spade Grigie aveva la precedenza sui suoi desideri personali e sulla sua stessa vita. Deve essere così. Non riesco a pensare ad altra soluzione. Bisogna modellare un nuovo Reve. Anche in questo, non ho ancora finito. Il capitano Norul si era procurato un cavallo; il suo volto appariva invecchiato sotto i contorni dell'elmo, ma del resto tutti loro non dormivano da troppo tempo. La donna non disse nulla, quando lei e la recluta arrestarono le cavalcature accanto a quella dell'Incudine-Scudo. «Seguitemi», disse Itkovian, girando il cavallo. Insieme attraversarono la città, sotto un cielo che si andava tingendo di azzurro, e uscirono dalla Porta Settentrionale. I Barghast erano accampati sulle colline vicine, le iurte e le tende sorvegliati da una piccola retroguardia, e il fumo si levava da innumerevoli fuochi accesi dai vecchi per preparare il pasto del mattino. I bambini correvano già fra le tende, meno rumorosi delle loro controparti cittadine ma non meno pieni di energie. Le tre Spade Grigie oltrepassarono i resti saccheggiati delle linee dei Pannion e puntarono direttamente verso il campo dei Barghast più vicino. Itkovian non rimase sorpreso quando una mezza dozzina di vecchie venne loro incontro al limitare del campo. C'è una corrente che ci porta a
questo, e voi streghe l'avete avvertita bene quanto me, il che ne dimostra con chiarezza l'autenticità. Quella realizzazione non contribuì però a diminuire la tristezza della decisione presa. Consideralo un altro fardello, Incudine-Scudo, uno che sei destinato a portare insieme a tutti gli altri. I tre si arrestarono davanti alle vecchie Barghast. Per un lungo momento, nessuno parlò, poi una donna fece un gesto d'invito. «Venite», gracchiò. Itkovian smontò di sella, imitato dalle compagne, e subito alcuni bambini presero i cavalli per le redini, portandoli via. Le anziane, precedute dalla portavoce, si avviarono lungo il sentiero principale del campo, fino a una grande iurta posta in fondo ad esso. L'entrata era fiancheggiata da due guerrieri Barghast, che si trassero indietro a un sibilo della vecchia. Itkovian, la recluta e il capitano seguirono le anziane nella iurta. «È raro che un uomo venga in questo luogo», affermò la vecchia, zoppicando verso il lato opposto del focolare centrale, dove sedette su un mucchio di pelli. «Sono onorato...» «Non esserlo», replicò lei, ridacchiando. «Dovresti percuotere un guerriero fino a farlo svenire e a trascinarlo, e anche così probabilmente i suoi amici e parenti ti attaccherebbero prima di arrivare all'ingresso. Tu, un uomo giovane, sei fra donne vecchie, e al mondo non c'è niente di più pericoloso!» «Guardatelo!» esclamò un'altra donna. «Non ha paura!» «Nel centro della sua anima c'è solo cenere», dichiarò una terza, annusando. «Anche così», ribatté la prima, «con ciò che sta ora cercando, prometterebbe una tempesta di fuoco in una foresta ghiacciata. Togcha e Farand, gli amanti perduti uno per l'altra per l'eternità, i cuori dell'inverno che ululano nelle profondità montane di Laederon, e al di là di esse... noi tutte abbiano sentito nei nostri sogni quelle grida dolenti. Esse si sono avvicinate, ma non da nord, oh no, non da nord. E ora c'è quest'uomo». La vecchia si protese in avanti, il volto segnato indistinto dietro il fumo del focolare. «Quest'uomo...» Le ultime parole furono un sospiro. Itkovian trasse un profondo respiro e accennò alla recluta. «La Spada Mortale...» «No», ringhiò la vecchia.
«Ma...» balbettò Itkovian, spiazzato. «No», ripeté la donna. «Lui è stato trovato, esiste, è già stato fatto. Guarda le sue mani, lupo. C'è troppo amore in esse. Lei sarà il Destriant.» «Sei... ne sei certa?» «E costei», continuò la donna, accennando al capitano e ignorando la domanda di Itkovian, «sarà ciò che tu eri. Lei accetterà il fardello... tu, lupo, le hai mostrato tutto ciò che deve sapere. La verità di questo è nei suoi occhi, e nell'amore che ti porta. Lei sarà l'Incudine-Scudo». Le altre anziane stavano annuendo in segno di assenso, gli occhi che scintillavano nella penombra sopra i nasi adunchi, simili a uno stormo di corvi assassini. Lentamente, Itkovian si girò verso il capitano Norul; la veterana appariva sconvolta. «Signore, cosa...» cominciò. «Per le Spade Grigie», spiegò Itkovian, lottando per contenere il proprio dolore e l'angoscia. «Deve essere fatto», continuò, con voce roca. «Togg, Signore dell'Inverno, un dio della guerra da tempo dimenticato, tranne che fra i Barghast, che lo identificano con lo spirito-lupo, Togcha. E la sua compagna perduta, la lupa Fanderay, Farand nella lingua Barghast. Deve essere proclamato un Reve, in ginocchio davanti al dio-lupo e alla dealupa. Tu sarai l'Incudine-Scudo, e tu», aggiunse, rivolto alla recluta, che lo fissava con occhi sgranati, «sarai il Destriant. Le Spade Grigie sono rimodellate, signori. L'avallo è stato ottenuto qui, ora, fra queste sagge donne». «Signore, siete voi l'Incudine-Scudo delle Spade Grigie...» protestò la donna, indietreggiando con un tintinnare d'armatura. «No, io sono l'Incudine-Scudo di Fener, e Fener è... scomparso.» «La compagnia è praticamente distrutta, signore», osservò la donna. «È improbabile che ci si possa riprendere. Il problema della qualità...» «Ti serviranno dei fanatici, capitano. Quella forma mentale, quel genere di cultura è di vitale importanza, e dovrai per forza cercare finché non troverai gente del genere, persone a cui non rimanga nulla nella vita, la cui fede sia stata smantellata, persone che sono state rese... sperdute.» Norul stava ancora scuotendo il capo, ma una crescente comprensione le stava affiorando nello sguardo. «Capitano», proseguì Itkovian, inesorabile, «le Spade Grigie marceranno con i due eserciti stranieri, andranno al sud per garantire la fine del Dominio di Pannion. E quando riterrai che i tempi siano propizi, raccoglierai reclute. Troverai le persone che ti servono fra i Tenescowri».
Non temere, amica mia, per ora non ti abbandonerò. Ci sono molte cose che devi imparare. E, così pare, non c'è fine al mio compito. Vide l'espressione della donna incupirsi e lottò contro l'orrore di ciò che aveva fatto; alcune cose non avrebbero mai dovuto essere condivise. E quello è il mio crimine più terribile, perché con quel titolo... con il fardello di essere Incudine-Scudo... non le ho dato scelta. Non le ho dato scelta. CAPITOLO DICIANNOVESIMO Quel giorno ci furono oscure sorprese. L'Anno del Raduno Koralb Ci stanno seguendo.» Volpe d'Argento si girò sulla sella, socchiudendo gli occhi. «Le mie due custodi Malazan», sospirò. Esitò, quindi aggiunse: «Dubito che le dissuaderemo». «Evidentemente», sorrise Kruppe, «la tua partenza dal campo permeata di invisibilità sovrannaturale è stata meno che perfetta nella sua efficacia magica. Altri testimoni, dunque, per l'imminente evento nefasto. Sei timida davanti a un pubblico, ragazza? Un difetto terribile, se posso...». «No, Kruppe, non lo sono.» «Allora aspettiamole.» «Qualcosa mi dice che preferiscono seguirci a distanza. Proseguiamo, Daru, siamo quasi arrivati.» Kruppe scrutò le basse colline erbose che si stendevano su tutti i lati. La luce del mattino era nitida, e stava cancellando le ultime tracce d'ombra dalle ampie vallette poco profonde. A parte i due soldati Malazan che li seguivano a un migliaio di passi di distanza, erano del tutto soli. «Pare un esercito modesto», osservò Kruppe. «Senza dubbio è trincerato nelle tane delle talpe.» «Il loro dono e la loro maledizione», replicò Volpe d'Argento. «In tutte le cose, i T'lan Imass sono come polvere.» Mentre stava ancora parlando, i cavalli che procedevano a un lento trotto, delle forme apparvero sulle colline circostanti, sagome di scarni lupi che correvano in silenzio: i T'lan Ay, dapprima solo una ventina su ciascun
lato, poi centinaia. Il mulo di Kruppe prese a ragliare, agitando la testa. «Bestia, calmati!» gridò il Daru, spaventando ulteriormente l'animale. Volpe d'Argento gli si avvicinò e quietò il mulo toccandogli il collo. I due si diressero verso una collina dalla sommità piatta fra i letti ormai in secca di due antichi fiumi, le cui rive erano state ridotte dall'erosione a lievi pendii; arrivata in cima, la donna fermò il cavallo e scese di sella, frettolosamente imitata da Kruppe. I T'lan Ay rimasero a distanza, muovendosi in cerchio. Ormai i lupi erano migliaia, e apparivano stranamente spettrali in mezzo alla polvere sollevata dai loro movimenti inquieti. I due soldati di marina sopraggiunsero alle spalle della Rhivi e del Daru e risalirono a cavallo il pendio senza essere disturbati dai lupi. «Sarà una giornata calda», commentò uno dei due. «Parecchio», convenne l'altro. «È anche una buona giornata per perdersi una battaglia.» «Infatti. Comunque non ero molto interessata a combattere contro i Tenescowri. Un esercito affamato è uno spettacolo patetico, scheletri che camminano...» «Una strana immagine, tutto considerato», commentò Kruppe. I due soldati di marina tacquero, scrutandolo in volto. «Scusate se interrompo la vostra conversazione», aggiunse Volpe d'Argento, in tono asciutto. «Volete per favore piazzarvi tutti dietro di me? Grazie... no, un po' più indietro, diciamo almeno cinque passi. Così va bene. Se non vi dispiace, preferirei che non ci fossero interruzioni a quanto seguirà.» Lo sguardo di Kruppe, e senza dubbio quello delle due donne al suo fianco, si era spostato oltre Volpe d'Argento, appuntandosi sulla pianura che circondava la collina, dove tozzi guerrieri essiccati e vestiti di pelli stavano sorgendo dal terreno in un mare di polvere scintillante, frutto di un'improvvisa, spettrale evocazione. Come polvere, in tutte le cose... Ma la polvere aveva trovato una forma. I ranghi irregolari scintillavano qua e là dei bagliori grigi, neri e rossicci delle armi di selce, che si mescolavano ai toni marrone della lucida pelle avvizzita; gli elmi ricavati da teschi, alcuni adorni di corna, facevano di ogni pendio e avvallamento una distesa di ossa, simili ai ciottoli chiazzati e male allineati di una vasta piazza. Non c'era vento che agitasse i lunghi e
flosci capelli che pendevano sotto quegli elmi, e la luce del sole non riusciva a disperdere le ombre che avvolgevano gli occhi infossati. Ogni sguardo era però fisso su Volpe d'Argento, con un'attenzione che aveva un peso enorme. Nell'arco di pochi secondi, la pianura era svanita su tutti i lati, e al suo posto c'erano adesso decine di migliaia di T'lan Imass, silenziosi e immobili. I T'lan Ay non erano più visibili, in quanto si trovavano intorno ai contorni di quelle legioni ammassate: guardiani, fratelli, ripudiati da Hood. Volpe d'Argento si girò a fronteggiare i T'lan Imass, e mentre il silenzio si protraeva, Kruppe rabbrividì. L'aria era intrisa dell'odore pungente della non-morte, delle gelide esalazioni del ghiaccio morente, permeate di un senso di perdita. Disperazione. O forse solo cenere, dopo quell'apparente eternità. Tutt'intorno a noi c'è un antico sapere, questo non può essere negato, e tuttavia Kruppe si chiede se ci siano ricordi, veri ricordi, della carne viva e della carezza del vento, delle risa dei bambini, dell'amore. Quando si è congelati nel glaciale interregno fra la vita e la morte, cosa può ancora esistere delle sensazioni mortali? Neppure un'eco, soltanto memorie di ghiaccio, nulla più di questo. Per gli dei... quanto dolore... Alcune figure disarmate e avvolte nelle pelli di antiche bestie estinte da tempo si avvicinarono al pendio antistante Volpe d'Argento. Lo sguardo di Kruppe si accentrò su una in particolare, quella di un Divinatore dalle spalle ampie che sfoggiava un elmo sovrastato da un palco di corna e indossava le pelli chiazzate di una volpe artica. Con un senso di choc, il Daru si rese conto di conoscere quell'apparizione. Ah, ci incontriamo di nuovo, Pran Chole. Perdonami, ma mi si spezza il cuore a vederti... a vedere cosa sei diventato. Il Divinatore fu il primo a rivolgersi a Volpe d'Argento. «Siamo venuti al Secondo Raduno», disse. «Siete venuti in risposta alla mia convocazione», replicò Volpe d'Argento, in tono aspro. «Ciò che sei, è stato creato molto tempo fa, con la guida della mano di un Dio Antico», affermò il Divinatore, inclinando il capo da un lato. «Tuttavia, nel suo cuore ci sono gli Imass. Tutto ciò che segue è stato nel tuo sangue dal momento della nascita. L'attesa, Convocatrice, è stata lunga. Io sono Pran Chole, dei Kron T'lan Imass. Con K'rul, sono stato presente alla tua nascita.»
«Sei dunque mio padre, Pran Chole?» ribatté Volpe d'Argento, con un amaro sorriso. «Se è così, questo ricongiungimento è giunto troppo tardi, per entrambi.» Kruppe fu assalito dalla disperazione. Quella era un'ira antica, tenuta a freno troppo a lungo, e ora stava rendendo l'atmosfera gelida e fragile. Un dialogo spaventoso stava contrassegnando i primi momenti del Secondo Raduno. Pran Chole parve avvizzire di fronte a quelle parole e abbassò il volto essiccato, quasi fosse stato sopraffatto dalla vergogna. No, Volpe d'Argento, come hai potuto fare questo? «Dove tu sei andata, figlia, io non potevo seguirti», sussurrò Pran Chole. «È vero», scattò lei. «Dopo tutto, avevi un voto che ti aspettava, un rituale, quello che ha trasformato in cenere il cuore di tutti voi. Tutto per una guerra, ma è in questo che consiste la guerra, giusto? Andarsene, lasciare la casa, le persone care... perdere la capacità stessa di amare. Avete scelto di abbandonare tutto, tutto! Hai abbandonato...» D'un tratto, s'interruppe. Kruppe chiuse gli occhi per un momento e completò mentalmente la frase. Hai abbandonato... me. Pran Chole rimase a testa china. Infine, sollevò appena il capo. «Convocatrice, cosa vuoi che facciamo?» «Ci arriveremo quanto prima.» A quel punto, un altro Divinatore si fece avanti. La pelliccia marcia di un grosso orso bruno gli copriva le spalle, e pareva che la bestia stessa si ergesse dietro i suoi occhi infossati. «Sono Okral Lom», disse, con voce simile a un tuono lontano. «Tutti i Divinatori dei Kron T'lan Imass si trovano ora davanti a te, Agkor Choom, Bendai Home, Ranag Ilm, Brold Choon e anche Kron stesso, che è stato scelto come Comandante al Primo Raduno. Al contrario di Pran Chole, a noi non importa nulla della tua ira, non abbiamo avuto ruolo alcuno nella tua creazione e nella tua nascita. Nondimeno, sappi che le tue convinzioni sono errate. Convocatrice: Pran Chole non può in nessun modo essere considerato tuo padre. Lui accetta il fardello della tua ira perché è quello che è. Se vuoi qualcuno da poter chiamare padre, se hai bisogno di un volto su cui focalizzare il tuo odio, allora dovrai aspettare, perché chi cerchi non è fra noi.» Il sangue era lentamente defluito dal volto di Volpe d'Argento, come se lei non fosse stata preparata a un così brutale discorso di condanna da parte di quel Divinatore. «Non... non è fra voi?» «Le tue anime sono state forgiate nel canale Tellann, ma non nel remoto passato... quello in cui è vissuto Pran Chole... non inizialmente, comunque.
Convocatrice, il canale aperto di cui parlo apparteneva alla Prima Spada, Onos T'oolan. Ora senza clan, viaggia solo, e quella solitudine ha distorto il suo potere Tellann...» «Distorto? Come?» «È stato distorto da ciò che lui cerca, da ciò che è al centro dei suoi desideri.» Volpe d'Argento stava scuotendo il capo, quasi cercasse di negare tutto ciò che Okral Lom stava dicendo «E cosa cerca?» «Lo scoprirai anche troppo presto, Convocatrice», ribatté il Divinatore, scrollando le spalle, «perché Onos T'oolan ha udito il tuo richiamo del Secondo Raduno, anche se purtroppo arriverà troppo tardi». Kruppe guardò Volpe d'Argento riportare lentamente lo sguardo su Pran Chole, che era di nuovo a testa china. Assumendosi la responsabilità della sua creazione, questo Divinatore le ha offerto un dono... una vittima su cui focalizzare la sua ira, su cui riversarla. Mi ricordo di te, Pran Chole, nel mio mondo di sogno, ricordo il tuo volto, la compassione nei tuoi occhi, e vorrei avere il coraggio di chiedere: un tempo, voi Imass eravate tutti così? Altre due figure stavano emergendo dalle file schierate. «Sono Ay Estos, dei Logros T'lan Imass», disse la prima delle due, nel silenzio che seguì le parole di Okral Lom. La sua sagoma, più alta e snella di quella degli altri, era avvolta in pellicce di lupi artici. «Ti saluto, Ay Estos», replicò Volpe d'Argento, in tono quasi assente. «Hai il permesso di parlare.» Il T'lan Imass s'inchinò in segno di assenso. «Logros ha potuto mandare soltanto due Divinatori a questo Raduno, per motivi che ora ti esporrò», affermò, poi fece una pausa, e quando Volpe d'Argento non accennò a replicare, continuò: «I Logros T'lan Imass danno la caccia a rinnegati... gente della nostra razza che ha infranto il Voto. Convocatrice, sono stati commessi crimini che vanno puniti. Io sono quindi qui per conto di tutto il Clan di Logros». Volpe d'Argento si riscosse, staccando a forza lo sguardo da Pran Chole, e si raddrizzò traendo un profondo respiro. «Hai detto che è presente un altro Divinatore di Logros», osservò, con voce atona. Il T'lan Imass avvolto in pelli di lupo si trasse da parte. La donna alle sue spalle aveva ossa massicce e un cranio bestiale sotto la sottile carne avvizzita; un mantello di pelle coperta di scaglie le ricadeva dalle spalle, arrivando fino a terra e il largo cranio piatto, privo di elmo, conservava solo
poche aree di pelle a ciascuna delle quali erano attaccate ciocche di lunghi capelli bianchi. «Olar Ethil», disse Ay Estos, «prima fra i Divinatori. Eleint, la Prima Soletaken. Lei non ha viaggiato con me, perché Logros le ha assegnato un altro incarico, che l'ha condotta lontano dai clan. Fino a oggi, nessuno dei Logros l'aveva più vista da molti anni. Eleint, vuoi dirci se la tua ricerca ha avuto o meno successo?». La prima Divinatrice annuì e si rivolse a Volpe d'Argento. «Convocatrice, mentre mi avvicinavo a questo luogo, tu hai dominato i miei sogni.» «L'ho fatto, anche se non sapevo chi fossi, ma è una cosa di cui parleremo in un altro momento. Dimmi di questo compito che i Logros ti hanno assegnato.» «Mi hanno incaricata di cercare i rimanenti eserciti T'lan Imass, come li conoscevamo al tempo del Primo Raduno, gli Ifayle, i Kerluhm, i Bentract e gli Orshayn.» «E li hai trovati?» «Ritengo che i quattro rimanenti clan dei Bentract T'lan Imass siano su Jacuruku, ancora intrappolati nel Canale del Caos. Li ho cercati là, Convocatrice, ma senza successo. Devo riferire di non aver trovato traccia neppure degli Orshayn, degli Ifayle e dei Kerluhm. Di conseguenza, dobbiamo concludere che non esistono più.» Volpe d'Argento apparve visibilmente scossa da quelle parole. «Così tanti... perduti?» sussurrò, poi Kruppe la vide farsi forza, prima di chiedere: «Olar Ethil, cosa ha indotto i Logros a mandarti alla ricerca dei rimanenti eserciti?». «Convocatrice, il Primo Trono ha trovato un degno occupante, che ha impartito quell'ordine a Logros.» «Un occupante? Chi?» «Un mortale, noto come Kellanved, Imperatore di Malaz.» Volpe d'Argento rimase in silenzio per un lungo momento. «Ma certo», disse poi. «Lui però non occupa più il trono, vero?» «Non lo occupa più, Convocatrice, ma non lo ha ceduto.» «Cosa significa? Ah, certo, è perché l'Imperatore in effetti non è morto, vero?» «Kellanved non è morto», annuì Olar Ethil. «È asceso e ha occupato il Trono dell'Ombra. Se fosse morto davvero, il Primo Trono sarebbe nuovamente vacante, ma così non è, e siamo in una situazione di stallo.» «E quando questo... evento... si è verificato, il suo risultato è stato che
avete smesso di servire l'Impero Malazan, lasciando Laseen a cavarsela da sola nei primi, cruciali anni di governo.» «Sono stati tempi di incertezza, Convocatrice. I Logros T'lan Imass si sono divisi. La scoperta di Jaghut superstiti nello Jhag Odhan si è rivelata una distrazione opportuna, anche se di breve durata. Da allora, alcuni nostri clan sono tornati al servizio dell'Impero Malazan.» «Ma lo scisma ha creato i rinnegati a cui date ora la caccia?» «No, Convocatrice. I rinnegati hanno trovato un'altra strada, che ci è tuttora nascosta. A volte, hanno utilizzato per la fuga il Canale del Caos.» Il Caos? Mi chiedo davanti a chi s'inginocchino ora questi T'lan Imass rinnegati. No, non è materia di riflessione. Kruppe sospetta che sia ancora una minaccia remota. Tutto a suo tempo... «Che forma Soletaken assumi, Olar Ethil?» chiese Volpe d'Argento. «Quando muto, sono come una gemella non-morta di Tiam, che ha generato tutti i draghi.» Non venne aggiunto altro. Le migliaia di T'lan Imass rimasero immobili, silenziose. Il cuore di Kruppe scandì una ventina di battiti, e infine lui si schiarì la gola, avvicinandosi a Volpe d'Argento. «Ragazza, pare che aspettino i tuoi ordini... quali che possano essere. Una ragionevole deci...» «Per favore», ringhiò Volpe d'Argento, girandosi di scatto, «niente consigli. Questo è il mio Raduno, Kruppe, lascialo gestire a me». «Certo, mia cara. Umilissime scuse. Prego, riprendi a esitare.» «Impudente bastardo», inveì lei, con una smorfia acida. Kruppe sorrise. Volpe d'Argento tornò a girarsi verso i T'lan Imass in attesa. «Pran Chole, ti prego di perdonare le mie parole di prima.» «Convocatrice», replicò lui, «sono io che devo chiedere perdono». «No. Okral Lom ha avuto ragione nel condannare la mia ira. Mi pare di aver aspettato questo Raduno per mille vite... le aspettative, la pressione...» Kruppe si schiarì la gola. «Mille vite, Volpe d'Argento? Esamina con più attenzione quanti ti sono davanti...» «Basta così, Kruppe, grazie. Credimi, sono perfettamente capace di rimproverarmi da sola, senza aiuto da parte tua.» «Naturalmente», mormorò il Daru. Volpe d'Argento tornò a fissare Pran Chole. «Vorrei porre una domanda a te e alla tua gente.» «Stiamo aspettando, Convocatrice.» «Rimane in vita qualche Jaghut?»
«Ne conosciamo soltanto uno di sangue puro che sia ancora in questo regno, uno che non si nasconde al servizio di un dio o al servizio delle Case di Azath.» «Lo si può trovare nel cuore del Dominio di Pannion, vero?» «Sì.» «Al comando dei non-morti K'Chain Che'Malle. Come è possibile?» «Non lo sappiamo, Convocatrice», replicò Pran Chole, la cui esitazione non sfuggì a Kruppe. «E che accadrà quando lui sarà stato distrutto, Pran Chole?» Il Divinatore parve preso in contropiede dalla domanda. «Convocatrice, questo è il tuo Raduno. Tu sei carne e sangue... la nostra carne e il nostro sangue, rinati. Quando l'ultimo Jaghut sarà stato ucciso...» «Un momento, per favore!» esclamò Kruppe, avanzando di un altro passo. Volpe d'Argento sibilò, esasperata, ma il Daru continuò: «Pran Chole, ti ricordi del degno Kruppe?». «Sì.» «Il degno, astuto Kruppe, sì? Hai detto che conoscete soltanto uno Jaghut. Senza dubbio parole accurate, ma non equivalgono a dire che ne rimane soltanto uno, giusto? Ciò significa che non ne siete certi, vero?» «Mortale», replicò Olar Ethil, «rimangono altri Jaghut, isolati, nascosti... hanno imparato a nascondersi molto bene. Riteniamo che esistano, ma non riusciamo a trovarli». «Ma cercate di porre una fine ufficiale alla guerra, giusto?» Una lieve onda di movimento agitò le file di non-morti. Volpe d'Argento si girò di scatto. «Come facevi a saperlo, dannazione a te?» Kruppe scrollò le spalle. «Un dolore senza paragone e insormontabile. Desiderano davvero diventare polvere. Se avessero occhi, Kruppe vi leggerebbe con chiarezza la verità. I T'lan Imass desiderano l'oblio.» «Che io potrei concedere soltanto se tutti gli Jaghut del mondo avessero cessato di esistere», ribatté Volpe d'Argento. «Questo è il mio fardello, lo scopo a cui sono destinata. La minaccia della tirannia deve essere rimossa una volta per tutte. Soltanto allora potrei concedere ai T'lan Imass l'oblio che cercano; questo esige da me il Rituale, perché quello è un vincolo che non può essere infranto.» «Ci vuole un pronunciamento, Convocatrice», affermò Okral Lom. «Sì», annuì lei, continuando a fissare Kruppe con occhi roventi. «Le tue parole», aggiunse Pran Chole, «possono infrangere i vincoli del
Rituale». «È così facile?» chiese lei, girandosi di scatto. «Tuttavia...» Voltandosi di nuovo verso il Daru, si accigliò. «Kruppe, mi costringi a portare a galla una sgradevole verità...» «Sì, Volpe d'Argento, ma non la stessa verità che tu sembri vedere. No, Kruppe ne ha svelata una più profonda, molto più pregnante.» Volpe d'Argento incrociò le braccia. «E sarebbe?» Kruppe scrutò il mare di figure non-morte, fissando le orbite scure di innumerevoli occhi. Dopo un lungo momento, esalò un sospiro intriso di emozione. «Ah, mia cara, guarda ancora, per favore. È stato un inganno patetico, che non vale la pena di condannare. Cerca di capire quale è stato l'inizio. Il Primo Raduno: allora c'era soltanto un nemico, un solo popolo da cui emergevano tiranni. Il tempo però è passato, giusto? Adesso, dominatori e tiranni abbondano da tutte le parti... ma sono essi Jaghut? No, per la maggior parte sono umani, giusto? «Vuoi la verità in tutti i suoi aspetti? Benissimo, Volpe d'Argento: i T'lan Imass hanno vinto la loro guerra. Se fra i pochi, nascosti Jaghut dovesse emergere un nuovo tiranno, non troverebbe il mondo facile da conquistare quanto lo era un tempo. Ci sono dei che si opporrebbero ai suoi sforzi, anzi, bastano i semplici Ascendenti, uomini come Anomander Rake, donne come Korlat... hai dimenticato la sorte dell'ultimo Tiranno Jaghut? «Il tempo è passato, Volpe d'Argento, per gli Jaghut, e quindi anche per i T'lan Imass.» Kruppe le posò una mano sulla spalla, guardandola negli occhi. «Convocatrice», sussurrò, «questi indomiti guerrieri sono... stanchi, al di là di ogni limite comprensibile, hanno vissuto per centinaia di migliaia di anni, per una sola causa, e adesso quella causa è... una farsa. Senza scopo, irrilevante. Vogliono che finisca, Volpe d'Argento. Hanno cercato di ottenerlo con Kellanved e il Primo Trono, ma quel tentativo è fallito, quindi hanno dato forma a te, a ciò che sei diventata. Per questo singolo compito. «Redimili. Per favore». «Convocatrice», disse Pran Chole, «distruggeremo lo Jaghut che si nasconde in questo Dominio di Pannion, ma dopo ti chiediamo di farla finita. È come dice Kruppe: non abbiamo motivo di esistere, quindi esistiamo senza onore, e questo ci sta distruggendo. La caccia ai Logros T'lan Imass rinnegati è solo l'inizio, e temiamo di perdere altri della nostra gente». Kruppe notò che Volpe d'Argento stava tremando, ma la sua voce suonò del tutto controllata quando si rivolse allo sciamano. «Tu mi hai creato
come prima Divinatrice in carne e ossa da quasi trecentomila anni. La prima e, a quanto pare, l'ultima.» «Fa' quello che chiediamo, Convocatrice, e il resto della tua vita sarà solo tuo.» «Quale vita? Non sono né Rhivi né Malazan, non sono neppure veramente umana. È questo che voi tutti non capite!» esclamò, puntando un dito contro Kruppe e i due soldati di marina, a completare un gesto che abbracciava tutti i presenti. «Non lo capisce nessuno di voi, neppure Paran, che pensa... no, ciò che lui pensa è una cosa che affronterò a tempo debito e che non vi riguarda. T'lan Imass, io sono una di voi, dannazione! La vostra prima figlia da trecentomila anni! Devo essere abbandonata di nuovo?» Kruppe indietreggiò. Di nuovo? Oh, dei... «Volpe d'Argento...» «Silenzio!» Invece del silenzio, però, tutt'intorno l'aria si riempì di un frusciante scricchiolio che indusse Volpe d'Argento e Kruppe a voltarsi: decine di migliaia di T'lan Imass si stavano inginocchiando, a testa china. Soltanto Olar Ethil era ancora in piedi. «Convocatrice», disse, «ti preghiamo di liberarci». E con quelle parole s'inginocchiò a sua volta. Di fronte a quella scena Kruppe si sentì trapassare l'anima da una lama. Incapace di parlare, riuscendo a stento a respirare, fissò quella moltitudine devastata con crescente orrore. Quando poi Volpe d'Argento rispose, il cuore del Daru minacciò di scoppiare. «No.» In lontananza, su tutti i lati, i lupi non-morti cominciarono a ululare. «Per il respiro di Hood!» imprecò uno dei soldati di marina. Sì, la loro voce esprime un dolore così ultraterreno da lacerare una mente mortale. Oh, K'rul, cosa dobbiamo fare, adesso? «Si suppone che persone dalla vita tanto corta manchino di complessità.» «Se intendevano essere delle scuse, Korlat, dovrai fare di meglio», ribatté Whiskeyjack, con un acido sorriso. La Tiste Andii si passò una mano fra i capelli neri in un gesto molto umano. «D'altro canto», continuò il Malazan, «da te, donna, mi basterebbe anche un grugnito». «Davvero?» commentò Korlat, con un bagliore nello sguardo. «Questo
come devo interpretarlo?» «Prova con il suo significato più evidente, ragazza. Gli ultimi giorni non mi sono piaciuti molto e vorrei che le cose fra noi tornassero come prima, quindi sono pronto ad accettare qualunque cosa. Tutto qui.» Appoggiandosi all'indietro sulla sella, Korlat gli posò la mano sul braccio. «Grazie. Pare sia io quella che ha bisogno che le cose siano semplificate.» «A questo riguardo, le mie labbra sono sigillate.» «Sei un uomo saggio, Whiskeyjack.» Davanti a loro, a una distanza di un paio di migliaia di passi, la pianura pullulava di Tenescowri le cui file erano prive di ordine, a parte un singolo cavaliere che procedeva davanti a tutti, un giovane magro in sella a un roano dalla schiena incurvata. Subito dietro quel giovane, che Whiskeyjack suppose essere Anaster, era schierata una decina di donne dai capelli arruffati che urlavano ed erano avviluppate da una cupa aura di follia e di orrore. «Le Donne del Seme Morto, presumo», commentò Korlat. «In esse c'è del potere magico. Credo siano la vera guardia del corpo del Primo Figlio.» Whiskeyjack si girò sulla sella per esaminare le legioni Malazan schierate alle sue spalle a cinquanta passi di distanza. «Dov'è Anomander Rake? Quella massa potrebbe caricare da un momento all'altro.» «Non lo faranno», garantì Korlat. «Quelle streghe avvertono la vicinanza del mio Signore, la cosa le rende inquiete e le induce a gridare avvertimenti al loro figlio prescelto.» «Ma lui li ascolterà?» «Farà meglio...» Un suono ruggente soffocò le parole di Korlat: i Tenescowri stavano attaccando, in un'inarrestabile marea resa impavida dalla disperazione. Un'ondata di potere proveniente dalle Donne del Seme Morto assalì psichicamente Whiskeyjack, il cui cuore prese a martellare per una strana forma di panico. «Resisti alla paura, amore mio», sibilò Korlat, a denti stretti. Ringhiando, Whiskeyjack estrasse la spada e fece girare il cavallo per fronteggiare le truppe, le cui linee erano state investite dal magico assalto; il terrore le fece oscillare, ma non un solo soldato indietreggiò, e un momento più tardi i Malazan si calmarono. «Attenti!» gridò Korlat. «Il mio Signore arriva in tutto il suo potere!»
Su tutti i lati l'aria parve abbassarsi, gemendo sotto un enorme peso invisibile, e il cielo si oscurò per una minaccia palpabile. Il cavallo di Whiskeyjack incespicò, le zampe cedettero per un attimo prima che ritrovasse l'equilibrio, e nitrì di terrore. Un vento freddo, teso e tagliente, appiattì l'erba davanti al comandante e a Korlat, poi investì in pieno la massa dei Tenescowri. Le Donne del Seme Morto vennero proiettate all'indietro e scagliate al suolo, dove presero a contorcersi; alle loro spalle, le prime file della massa in corsa cercarono di fermarsi e furono travolte. In un istante, le file centrali collassarono in un caos di figure che si riversavano su altre, di corpi calpestati o spinti in avanti in un dibattersi di arti, poi il drago nero dalla criniera d'argento passò sopra la testa di Whiskeyjack, fluttuando su quel vento gelido. La figura isolata di Anaster, il cui cavallo non aveva neppure sussultato, lo stava aspettando; la prima linea dei Tenescowri era un muro caotico alle sue spalle. Anomander Rake calò sul giovane, che si raddrizzò sulla sella e spalancò le braccia. Enormi artigli scattarono verso il basso, gli si chiusero intorno e lo sollevarono dalla sella, poi il drago riprese quota con la sua preda... ma un momento più tardi parve barcollare nell'aria. «Per gli dei, quel ragazzo è veleno!» esclamò Korlat. Le zampe del drago scattarono di lato, scagliando lontano Anaster, che roteò nell'aria come una lacera bambola e atterrò in mezzo alla massa dei Tenescowri, lontano sulla destra, scomparendo alla vista. Raddrizzandosi, Anomander Rake abbassò la testa a cuneo e puntò verso la massa dei contadini aprendo le fauci irte di zanne da cui scaturì il potere grezzo del Kurald Galain, quella ribollente oscurità che Whiskeyjack aveva già visto molto tempo prima, fuori da Pale, dove però era stata usata in modo controllato, e poi ancora quando Korlat lo aveva guidato attraverso il canale. Adesso però l'Antico Canale dell'Oscurità era stato scatenato in tutta la sua furia selvaggia. Allora c'è un altro modo per accedere al Kurald Galain... giù per la gola del drago. L'ampia onda di potere si riversò fra i Tenescowri, dissolvendo nel nulla i corpi che investiva e lasciando solo gli abiti laceri, mentre il drago proseguiva il suo volo e si creava alle spalle un solco di annientamento che divise l'esercito in due metà terrorizzate. Completato il primo passaggio, Anomander Rake prese quota e virò per
eseguirne un secondo, che però non fu necessario perché i Tenescowri erano in rotta, figure in fuga in tutte le direzioni, una massa che qua e là si rivoltava su se stessa come un cane che rotolasse a terra, con uccisioni e autodistruzioni insensate derivanti dal cieco panico. Il drago si librò sulla calca ribollente, ma non scatenò di nuovo il suo canale. Poi Whiskeyjack vide Anomander Rake girare la testa e calare di quota, un ampio spazio libero che gli si creava davanti a mano a mano che i Tenescowri fuggivano davanti a lui, lasciando soltanto una decina di figure stese a terra prone e impegnate a tentare di rialzarsi con movimenti lenti e faticosi. Le Donne del Seme Morto. Il drago, che volava ormai all'altezza del terreno, parve farsi indistinto nell'avvicinarsi alle streghe, e si trasformò nel Signore della Progenie della Luna, che avanzò a grandi passi verso le vecchie, portando una mano alla spada. «Korlat...» «Mi dispiace, Whiskeyjack.» «Ha intenzione di...» «Lo so.» Con orrore, Whiskeyjack guardò Anomander Rake raggiungere la prima delle donne, una magra megera gobba alta la metà di lui, e calare Dragnipur: la testa della vecchia rotolò ai suoi piedi con un fiotto di sangue, il corpo mosse un passo di lato, come in una danza spettrale, poi si accasciò. Anomander Rake avanzò verso la donna successiva. «No... non è giusto...» «Per favore...» Ignorando la supplica di Korlat, Whiskeyjack spronò il cavallo al trotto lungo il pendio, passando al galoppo nell'arrivare sul terreno pianeggiante. Un'altra donna venne uccisa, e poi una terza prima che lui facesse arrestare la cavalcatura in modo da pararsi davanti ad Anomander Rake, che fu costretto a fermarsi e sollevò lo sguardo con sorpresa, accigliandosi. «Smettetela», ingiunse Whiskeyjack, poi si rese conto di avere ancora la spada in pugno, vide gli occhi inumani di Rake prendere nota con indifferenza della cosa. «Fatevi da parte, amico mio», replicò il Tiste Andii. «Il mio è un atto di misericordia...» «No, Anomander Rake, è un giudizio... e una sentenza», ribatté il Mala-
zan, fissando Dragnipur. «Come preferite, Whiskeyjack», ribatté Rake, con uno strano sorriso malinconico. «Comunque, reclamo il diritto di giudicare queste creature.» «Non mi oppongo a questo, Anomander Rake.» «Ah, quindi si tratta... della sentenza.» «Sì.» «Allora dovrete farlo voi, amico», affermò Rake, riponendo Dragnipur. «In fretta, prima che recuperino il loro potere.» «Non sono un boia», protestò Whiskeyjack, sussultando. «Farete meglio a diventarlo o a trarvi da parte. Adesso.» Whiskeyjack girò il cavallo. In effetti, le sette donne superstiti stavano riprendendo i sensi, anche se quella più vicina a lui aveva ancora lo sguardo vacuo, stordito. Che Hood mi prenda... Spronando il cavallo, spianò la spada in modo da trapassare il petto della donna più vicina: la pelle secca si aprì senza sforzo, le ossa si spezzarono come rami e la vittima crollò all'indietro. Incitando il cavallo, Whiskeyjack scosse la lama per liberarla dal sangue e, nel raggiungere la vecchia successiva, le tagliò la gola con un fendente. Mantenendo i propri pensieri statici con ferreo autocontrollo, si concentrò poi in modo da agire meccanicamente, senza errori che causassero dolore alle vittime: esecuzioni precise, una dopo l'altra, un fendente o un affondo a seconda dei casi, fino a quando nel girare il cavallo non vide che aveva finito. Mentre l'animale continuava a girare su se stesso, battendo gli zoccoli, Whiskeyjack sollevò lo sguardo e vide l'Armata di Un-braccio schierata sul lontano costone alla sua sinistra... lo spazio che li separava cosparso di cadaveri calpestati, ma privo di ostacoli che ostruissero la visuale. I suoi soldati, schierati sul costone, in silenzio. Sono stati testimoni di questo... ora sono davvero dannato. Tornare indietro da un simile atto è impossibile. Qualsiasi giustificazione o spiegazione io possa addurre, quali che siano i crimini commessi dalle mie vittime, ho ucciso, non dei soldati, non avversari armati, bensì creature in preda alla follia, stordite e incapaci di capire. Voltandosi, fissò Anomander Rake, che lo guardò a sua volta, inespressivo in volto. Questo fardello... lo hai portato altre volte, te lo sei assunto molto tempo fa, vero? Questo peso che ora assale la mia anima è ciò con cui tu vivi... hai vissuto per secoli il prezzo della spada che hai sulla schiena...
«Avreste dovuto lasciar fare a me, amico», affermò il Tiste Andii. «Avrei potuto insistere, ma non volevo incrociare la spada con voi, e così», aggiunse con un sorriso dolente, «aver aperto il mio cuore si è rivelato ancora una volta una maledizione, ha coinvolto coloro che mi sono cari, in virtù di quella stessa emozione. Avrei dovuto imparare questa lezione da tempo, non credete?». «Pare che abbiamo trovato qualcosa di nuovo da condividere», replicò Whiskeyjack. «Non lo avrei voluto.» «Lo so», annuì il Malazan, costringendosi a mantenere il controllo. «Mi dispiace non avervi dato alternative.» Si fissarono a vicenda, e dopo un momento Rake aggiunse: «Credo che i fratelli di Korlat abbiano catturato Anaster. Volete accompagnarmi da lui?». Whiskeyjack sussultò. «No, amico mio», affermò Rake. «Rinuncio a giudicarlo. Vogliamo lasciare ad altri questo compito?» Secondo le adeguate regole militari, vuoi dire, quella rigida struttura che assolve così facilmente la responsabilità personale. Ma certo, adesso abbiamo tempo per questo, vero? «D'accordo, signore. Fatemi strada.» Anomander Rake l'oltrepassò con un altro malinconico sorriso; rinfoderata la spada insanguinata, Whiskeyjack lo seguì, fissando la sua ampia schiena, la spada affibbiata su di essa. Anomander Rake, come puoi sopportare questo fardello, che mi ha spezzato il cuore? No, non è questo a lacerarmi tanto. Signore della Progenie della Luna, mi hai chiesto di farmi da parte, l'hai definito un atto di misericordia, e io ti ho frainteso: non era misericordia verso le Donne del Seme Morto, ma verso di me. Questo spiega il sorriso dolente con cui hai accolto il mio rifiuto. Ah, amico mio, ho visto solo la tua brutalità, e questo ti ha ferito. Sarebbe stato meglio per entrambi se avessi incrociato la spada con la mia. E io... non sono degno di simili amici. Vecchio, i gesti assurdi sono la tua rovina. Smettila, fa' che questa sia la tua ultima guerra. Korlat era in attesa con gli altri Tiste Andii, che circondavano la figura sparuta di Anaster, Primo Figlio del Seme Morto, là dove era atterrato quando Anomander Rake lo aveva scagliato al suolo. Nel vedere le lacrime negli occhi della sua amante, Whiskeyjack si sentì
contrarre lo stomaco, ma si costrinse a distogliere lo sguardo. Anche se adesso aveva bisogno di lei, e sebbene Korlat avesse forse bisogno di lui per condividere ciò che senza dubbio comprendeva, le loro esigenze avrebbero dovuto aspettare. Whiskeyjack era deciso a prendere esempio da Anomander Rake, per il quale il controllo era un'armatura e, se necessario, un'arma. Alcuni cavalieri stavano giungendo dalle posizioni dei Malazan e da quelle delle truppe di Brood, quindi quanto sarebbe seguito avrebbe avuto dei testimoni... e il fatto che io ora maledica simili verità dimostra quanto sono caduto in basso. Quando mai, in passato, ho temuto che ci fossero testimoni a ciò che dicevo o facevo? Regina dei Sogni, perdonami, mi sono trovato in un incubo a occhi aperti, e il mostro che mi insegue sono io stesso. Arrestando il cavallo davanti al gruppo di Tiste Andii, esaminò Anaster da vicino per la prima volta: disarmato, ammaccato e insanguinato, il volto distolto, lui appariva debole, piccolo, una creatura da compatire. È sempre così, con i capi che sono stati sconfitti, che siano re o comandanti... Poi vide il viso del giovane. Qualcosa gli aveva strappato un occhio, lasciando solo un rivolo di sangue rosso scuro. L'occhio rimasto lo fissò a sua volta con uno sguardo intento ma orribilmente spento, freddo, noncurante, curioso e tuttavia fondamentalmente indifferente. «L'assassino di mia madre», affermò Anaster, chinando il capo da un lato nel continuare a studiare il Malazan. «Mi dispiace, Primo Figlio», disse Whiskeyjack, con voce rauca. «A me no. Era pazza, prigioniera di se stessa, posseduta dai suoi demoni, anche se dobbiamo presumere che non fosse la sola ad avere quella maledizione.» «Ora non più», rispose Whiskeyjack. «È come la peste, vero? Si diffonde di continuo e divora vite. È per questo che alla fine si fallisce, tutti quanti, si diventa ciò che si distrugge.» La risposta di Anomander Rake fu grezza in modo sconvolgente. «Da un cannibale non potevano venire parole più appropriate. Anaster, cosa pensi che dovremmo farne di te. Sii sincero.» Il giovane lo fissò con l'unico occhio rimasto, e con quel contatto visivo parve perdere il poco autocontrollo che gli era rimasto: impallidendo, sollevò una mano a coprire l'orbita insanguinata. «Uccidetemi», sussurrò. «Korlat?» chiese Rake, accigliandosi.
«Sì, ha perso il controllo. La sua paura ha un volto, ma non l'ho mai visto prima...» «Taci!» esclamò Anaster, girandosi verso di lei. «Tu non hai visto niente!» «In te c'è un'oscurità che è una virulenta cugina del Kurald Galain», replicò con calma Korlat. «È un'oscurità dell'anima, ragazzo, e quando il tuo controllo vacilla, noi vediamo cosa si cela dietro di essa.» «Bugiarda!» sibilò Anaster. «Il volto di un soldato», affermò Anomander Rake, girandosi lentamente verso ovest. «Uno della città, di Capustan. Lui è ancora là, vero?» chiese, tornando a guardare Anaster. «A quanto pare, mortale, ti sei procurato una nemesi, una che promette qualcosa di diverso e di molto più terribile della morte. Interessante.» «Voi non capite! Lui è Itkovian! L'Incudine-Scudo! Vuole la mia anima! Per favore, uccidetemi!» Nel frattempo, Dujek e Caladan Brood erano arrivati sul posto insieme a Kallor e ad Artanthos, e stavano tutti osservando la scena in silenzio. «Forse lo faremo, a suo tempo», replicò Rake. «Nel frattempo, ti porteremo con noi a Capustan...» «No! Per favore, uccidetemi adesso!» «Non vedo assoluzione nella tua particolare follia, ragazzo», dichiarò Anomander Rake, «e nessun motivo di misericordia, non ancora. Forse dopo aver incontrato quest'uomo che tanto ti atterrisce... Itkovian?... decideremo diversamente e ti concederemo una fine rapida. Dato che sei nostro prigioniero, è nel nostro diritto. Dopo tutto, la tua nemesi potrebbe risparmiarti. È accettabile?» chiese, rivolto a Brood e agli altri. «Sì», ringhiò Dujek, lo sguardo fisso su Whiskeyjack. «D'accordo», assentì Brood. Anaster fece il disperato tentativo di sottrarre la daga a un guerriero Tiste Andii che gli era accanto, e quando questi lo bloccò senza sforzo alcuno, crollò in ginocchio piangendo, il corpo sottile scosso dai singhiozzi. «Meglio portarlo via», suggerì Anomander Rake, osservando la figura affranta. «Non sta recitando.» La cosa era evidente per tutti i presenti. Spronando appena il cavallo, Whiskeyjack si andò ad affiancare a Dujek, che gli rivolse un cenno di assenso e mormorò: «È stata una dannata sfortuna». «Infatti.»
«Da lontano è sembrato...» «È apparso sgradevole perché lo è stato.» «Io capisco, Whiskeyjack, comprendo la tua... misericordia. La spada di Rake... ma, dannazione, non potevi aspettare?» Spiegazioni, valide giustificazioni si accalcarono nella mente di Whiskeyjack. «No», si limitò però a dire. «Le esecuzioni richiedono procedure...» «Allora degradami.» Dujek distolse lo sguardo con un sussulto, poi sospirò. «Non era questo che intendevo, Whiskeyjack. Conosco benissimo il significato di quelle procedure. Il vero motivo della loro esistenza: la condivisione di atti brutali ma necessari.» «Diminuisce il costo personale», convenne Whiskeyjack, a bassa voce. «Senza dubbio, Anomander Rake avrebbe potuto gestire l'aggiunta di quelle poche anime alla sua leggendaria lista, ma invece le ho mietute io, ho diminuito il suo costo personale. Uno sforzo misero, lo ammetto, e non richiesto, ma adesso è fatta, la questione è chiusa.» «Non lo è affatto», ringhiò Dujek. «Io sono tuo amico, e...» «No.» Non corriamo il rischio di incrociare le spade, quindi non ci sarà condivisione di questo. «No», ripeté. Non questa volta. Poté quasi sentire Dujek serrare i denti. «Questo Anaster è uno strano giovane», commentò Korlat, raggiungendoli. «Vi sorprende?» chiese Dujek, girandosi insieme a Whiskeyjack. «C'erano molte cose nascoste nell'oscurità della sua anima, Gran Pugno», affermò Korlat, «molte più del semplice volto di un soldato. Non riusciva a sopportare di essere alla guida di questo esercito, di vederne la fame, il dolore e la disperazione, quindi era deciso a mandarlo incontro alla morte, all'annientamento, come atto di misericordia, per porre fine alle sue sofferenze. «Ha commesso personalmente crimini punibili solo con la morte, un'esecuzione lasciata ai superstiti fra le sue vittime. Ma la semplice morte non gli basta, lui cerca altro, cerca come condanna la dannazione eterna. Non riesco a concepire tanto disprezzo di se stesso». Io posso, perché mi sento barcollare sull'orlo di quello stesso precipizio. Un altro passo falso... Whiskeyjack distolse lo sguardo, appuntandolo sulle legioni Malazan ammassate sul distante costone; il sole si rifletteva accecante su armi e armature, facendogli lacrimare gli occhi.
Dujek intanto si allontanò per raggiungere Artanthos, Brood e Kallor, e lo lasciò solo con Korlat. Lei si protese a sfiorargli la mano guantata, ma Whiskeyjack non riuscì a incontrare il suo sguardo e continuò a scrutare le file immobili dei soldati. «Amore mio», mormorò lei, «quelle donne... non erano indifese. Il potere a cui attingevano derivava dal Canale del Caos stesso. L'attacco iniziale del mio Signore aveva l'intento di distruggerle, e invece le ha soltanto stordite temporaneamente. Si stavano riprendendo, e con il loro potere ridestato avrebbero seminato devastazione, follia e morte nel tuo esercito. Avrebbero potuto rappresentare la sconfitta». «Non mi lamento per ciò che è necessario», affermò lui, con una smorfia. «Sembra... di sì.» «La guerra ha le sue necessità, Korlat, e io l'ho sempre saputo, ne ho sempre conosciuto il costo. Oggi però, per mia stessa mano, mi sono reso conto di qualcosa d'altro. La guerra non è una condizione naturale, è un'imposizione, dannatamente insalubre. Con le sue regole, noi rinunciamo spontaneamente all'umanità. Non parlarmi di cause, di scopi degni. Siamo mietitori di vite, tutti servitori di Hood.» «Le Donne del Seme Morto avrebbero ucciso centinaia, forse migliaia di uomini, Whiskeyjack.» «E in passato io ho dato ordine di fare altrettanto, Korlat. Che differenza c'è fra noi?» «Tu non hai paura degli interrogativi che seguono a questi atti», affermò lei, «di quelle domande che ti poni spontaneamente. Forse lo vedi come un'assenza di pietà autodistruttiva, ma per me è coraggio, un coraggio straordinario. Un uomo meno coraggioso avrebbe lasciato al mio Signore il suo sgradevole compito». «Sono parole inutili, Korlat. Il mio esercito, fermo lassù, ha visto il suo comandante commettere degli omicidi...» La sibilante risposta di Korlat lo sconvolse. «Non osare sottovalutarli!» «Sottova...» «Ho imparato a conoscere molti dei tuoi soldati, Whiskeyjack. Non sono degli stolti. Forse molti di essi, se non i più, sono incapaci di esporre con chiarezza la loro comprensione, ma capiscono comunque. Non credi che ciascuno di essi, a modo suo, si sia trovato a fare la scelta che tu hai affrontato questa mattina? Il tagliente punto di svolta della loro vita? E ciascuno sente ancora dentro di sé quella cicatrice.»
«Vedo ben poco...» «Ascoltami, Whiskeyjack. Sono stati testimoni, hanno visto, comprendendo a fondo. Dannazione, lo so perché ho provato la stessa cosa. Hanno sofferto per te, a ogni colpo brutale hanno sentito le loro antiche ferite vibrare per la comprensione. Comandante, la tua vergogna è un insulto. Accantonala, altrimenti infliggerai ai tuoi soldati la ferita più profonda di tutte.» «Siamo esseri dalla vita breve», replicò lui, dopo un lungo momento. «Manchiamo di tanta complessità nella nostra esistenza.» «Bastardo. Ricordami di non scusarmi mai più con te.» «Ho ancora paura di incontrarli da vicino», borbottò lui, tornando a fissare le legioni Malazan. «La distanza fra voi è già stata superata, Whiskeyjack. Il tuo esercito ti seguirà fin nell'Abisso, se tu dovessi ordinarglielo.» «Il pensiero più spaventoso formulato oggi.» Korlat non replicò. Sì, la guerra è un'imposizione... di situazioni estreme. Aspra e tuttavia semplice, non è posto per l'umanità, non lo è affatto. «Dujek è contrariato», disse. «Dujek vuole tenere vivo il suo esercito.» Whiskeyjack si volse di scatto, scoprendo che lei lo stava fissando con fredda valutazione. «Non ho interesse a usurpare la sua autorità.» «Lo hai appena fatto, Whiskeyjack. L'Abisso si prenda la paura che Laseen ha di te, adesso l'ordine naturale delle cose si è ristabilito. Lei può gestire Dujek, il che spiega perché ti ha degradato e ha dato a lui il comando. Per gli dei, a volte riesci a essere ottuso.» «Se sono per lei una tale minaccia», obiettò lui, accigliandosi, «perché non mi ha...». D'un tratto s'interruppe. Oh, per Hood. Pale. Darujhistan. Non voleva distruggere gli Arsori di Ponti. Era me che voleva uccidere. «Guardati dalla fiducia, amore mio», aggiunse Korlat. «Forse la tua fede nell'onore viene usata contro di te.» Whiskeyjack si sentì raggelare. Oh, Hood. I marmorei attributi di Hood su un'incudine... Coll scese il lieve pendio verso il carro della Mhybe. Trenta passi sulla destra c'era l'ultimo carro della Corporazione Commerciale Trygalle, vicino al quale un gruppo di azionisti stava giocando a dadi su un telo; in lon-
tananza, i messaggeri andavano e venivano dalla posizione dell'esercito, una lega a sudovest. Murillio sedeva con la schiena contro le solide ruote di legno del carro Rhivi, gli occhi chiusi che si aprirono all'arrivo del consigliere. «Come sta?» chiese Coll, accoccolandosi accanto a lui. «È spossante vederla avere quegli incubi... sono senza fine», replicò Murillio. «Sentiamo le notizie.» «Ecco, Kruppe e Volpe d'Argento non si sono più visti da ieri, e così pure i due soldati di marina che Whiskeyjack ha messo a guardia della donna. Quanto alla battaglia...» Coll distolse lo sguardo, appuntandolo verso sudovest. «È stata molto breve. Anomander Rake ha assunto la sua forma Soletaken e ha disperso i Tenescowri con un solo passaggio. Anaster è stato catturato e le... le maghe al suo servizio sono state... giustiziate.» «Sembra sia stato sgradevole», commentò Murillio. «Stando ai rapporti, lo è stato. In ogni caso, i contadini sono in fuga verso Capustan, dove dubito che saranno bene accolti. Una sorte davvero triste per quei poveri bastardi.» «Lei è stata dimenticata, vero?» Coll non ebbe bisogno di chiedere delucidazioni. «È duro accettarlo, ma sì, sembra che sia così.» «È sopravvissuta alla sua utilità ed è stata accantonata.» «Mi aggrappo alla fiducia che questa storia non sia ancora conclusa, Murillio.» «Noi ne siamo testimoni, siamo qui a sovrintendere al suo declino e niente altro, Coll. Le rassicurazioni di Kruppe sono soltanto vento, tu e io siamo prigionieri di questa sgradita circostanza quanto lo è lei, quanto quella donna Rhivi demente che viene a pettinarle i capelli.» Coll si girò lentamente a scrutare l'amico. «Cosa fa prima o poi la maggior parte dei prigionieri?» «Cerca di fuggire.» «Sì.» Coll rimase a lungo in silenzio, poi sospirò. «E come proponi che si possa farlo? La lasceresti qui? Sola?» «Ovviamente no. La porteremo con noi.» «Dove?» «Non lo so. Ovunque! A patto che sia lontano da qui.» «E quanto dovrà andare lontano per sfuggire a quegli incubi?» «Dobbiamo soltanto trovare qualcuno disposto ad aiutarla, Coll, qualcu-
no che non giudichi una vita dalla sua potenziale utilità.» «È un piano senza senso, Murillio.» «Lo so.» «Mentre a Capustan...» «Stando a quanto dicono, è un ammasso di macerie», obiettò Murillio. «Ci sono dei superstiti, inclusi i sacerdoti.» «Sacerdoti!» sbuffò Murillio. «Artisti nello strappare confidenze, truffatori dei creduloni, ingannatori dei...» «Murillio, ci sono delle eccezioni...» «Ne devo ancora vedere una.» «Forse la vedrai. Ciò che affermo è che se dobbiamo sfuggire a tutto questo, con lei, avremo maggiori probabilità di trovare aiuto a Capustan che non là fuori in quella pianura desolata.» «Saltoan...» «È lontana almeno una settimana di viaggio, di più con il carro, e poi è l'incarnazione stessa dell'ombelico incrostato di Hood. Non ci porterei neppure la combattiva madre di Rallick Nom.» «Rallick Nom», sospirò Murillio. «Cosa c'è?» «Vorrei che fosse qui.» «Perché?» «Così potrebbe uccidere qualcuno. Chiunque. Quell'uomo è splendido nel semplificare le cose.» «Semplificare le cose», grugnì Coll. «Aspetta che glielo dica. Ehi, Rallick, non sei un assassino, sai, sei soltanto un uomo che semplifica le cose.» «Ecco, parlarne non serve, dato che è scomparso.» «Non è morto.» «Come lo sai?» «Lo so. Allora, Murillio, aspettiamo di arrivare a Capustan?» «D'accordo. E una volta là seguiremo l'esempio di Kruppe e di Volpe d'Argento, sgusceremo via e svaniremo. Hood sa che dubito che importi a qualcuno.» Coll esitò. «Murillio», disse poi, «se troveremo qualcuno... qualcuno che possa fare qualcosa per la Mhybe... ecco, sarà probabilmente costoso». «Sono stato indebitato altre volte», ribatté Murillio, scrollando le spalle. «Anch'io. Ma è bene mettere in chiaro che probabilmente questo ci rovinerà finanziariamente, e che il massimo che potremmo ottenere potrebbe
essere porre fine con dolcezza alla sua vita.» «Uno scambio conveniente.» Coll non chiese altre conferme della determinazione del suo amico, perché lo conosceva troppo bene. Sì, sono soltanto monete, giusto? Non importa la cifra, ne varrà comunque la pena per porre fine alle sofferenze di una vecchia, in un modo o nell'altro. Se non altro, a noi sarà importato, anche se lei non dovesse più svegliarsi né sapere cosa abbiamo fatto. Anzi, sarebbe forse meglio così. Più pulito, più semplice... L'ululato echeggia come da una vasta caverna, gli echi si ripiegano fino a trasformare il richiamo dolente in un coro. Voci bestiali, innumerevoli, voci che privano del senso stesso del tempo, che fanno dell'eternità un singolo momento presente. Le voci dell'inverno. E tuttavia giungono da sud, dal luogo dove la tundra non si può estendere oltre, dove gli alberi non arrivano più alla caviglia ma si levano sopra la sua testa, lacerati dal vento, permettendole di passare senza essere vista... non più esposta su un nudo paesaggio. Altre voci rispondono all'ululato, le bestie inseguitrici, ancora sulla sua pista, cominciano a perderla ora che è fra gli abeti neri. Il suolo scuro le risucchia avidamente i piedi nudi, l'acqua sporca vortica densa e turgida quando attraversa polle gelide. Enormi zanzare le sciamano intorno, grosse il doppio di quelle della Pianura Rhivi, le mosche le strisciano fra i capelli, le mordono il cuoio capelluto. Sanguisughe le coprono gli arti come tonde chiazze nere. Fuggendo quasi alla cieca ha urtato contro un palco di corna incastrato fra due alberi, all'altezza degli occhi, una punta le ha lacerato la guancia e il sangue cola ancora. La mia morte si avvicina, e questo mi dà forza. Attingo a quel momento estremo e adesso non mi possono raggiungere. Non mi possono prendere. La caverna si trova davanti a lei. Non può più vederla, e il paesaggio non ha nulla che possa suggerire una geologia atta a formare grotte, ma l'echeggiante ululato è più vicino. La bestia mi chiama. Credo sia una promessa di morte, perché mi dà forza. È il mio canto della sirena... L'oscurità la circonda e comprende di essere arrivata. La caverna è la forma di un'anima persa in se stessa.
L'aria è umida e fredda, nessun insetto ronza o le si posa sulla pelle, la pietra sotto i piedi nudi è asciutta. Non riesce a vedere nulla, e ora l'ululato tace. Quando avanza, sa che solo la sua mente si è mossa, lasciando il corpo per cercare la bestia incatenata. «Chi sei?» La voce la sorprende. Una voce maschile, soffocata, tesa per la sofferenza. «Chi c'è?» Non sa come rispondere, quindi dice le prime parole che le vengono in mente. «Sono io.» «Io?» «Una... una madre...» «Un altro gioco, allora?» ride aspramente l'uomo. «Non hai parole, madre, non ne hai mai avute, solo gemiti e grida, ringhi di ammonimento. Hai centomila suoni inarticolati per descrivere le tue esigenze... quella è la tua voce, e la conosco bene.» «Una madre.» «Lasciami stare, ho superato le provocazioni e giro intorno alla mia stessa catena, qui nella mia mente. Questo posto non è per te. Nel trovarlo, forse hai pensato di aver sconfitto la mia ultima difesa, credi di conoscere ora tutto di me, ma qui non hai potere. Sai, immagino di vedere la mia faccia, come in uno specchio, però quello che mi fissa è l'occhio sbagliato, e la cosa peggiore è che non è umano. Ci ho messo molto tempo a capirlo, ma ora lo so. «Tu e la tua razza avete giocato con l'inverno. Omtose Phellack. Però non lo avete mai capito, non il vero inverno, quello che non deriva dalla magia ma nasce dal raffreddarsi della terra, dall'affievolirsi del sole, con giorni più brevi e notti più lunghe. Il volto che scorgo davanti a me, Veggente, è quello dell'inverno. Di un lupo. Di un dio.» «La mia progenie conosce i lupi», dice la Mhybe. «Lui li conosce, certo.» «Non lui. Lei. Ho una figlia...» «Confondere le regole rovina il gioco, Veggente. Stai facendo un pasticcio.» «Io non sono chi credi. Sono... sono una vecchia, una Rhivi, e mia figlia vuole vedermi morta. Non una fine semplice, non per me, oh, no, lei mi ha mandato dietro i lupi perché lacerino la mia anima. Essi infestano i miei
sogni... ma qui sono sfuggita loro. Sono qui per fuggire.» L'uomo ride ancora. «Il Veggente ha creato questa mia prigione, lo so, e so che tu sei l'esca della follia, di voci ignote nella mia testa. Io ti sfido. Se avessi conosciuto la mia vera madre, avresti potuto farcela, ma la violenza che hai fatto alla mia mente è stata incompleta. C'è un dio qui, Veggente, accoccolato davanti ai miei segreti con le zanne snudate. Neppure la tua cara madre, che mi tiene così stretto, osa sfidarlo. Quanto al tuo Omtose Phellack... lui ti avrebbe affrontato molto tempo fa sulla soglia di quel canale, ti avrebbe negato di accedervi, Jaghut, a te e a tutti voi, ma era sperduto. Sperduto. Sappi questo, io lo sto aiutando a trovare se stesso. Sta acquistando consapevolezza, Veggente.» «Non ti capisco», replica la Mhybe, esitando, mentre la disperazione la pervade lentamente. Questo non è il posto che credeva, in realtà è fuggita nella prigione di un'altra persona, un luogo di follia personale. «Sono venuta qui per avere la morte...» «Non la troverai, non in queste braccia di cuoio.» «Sto fuggendo da mia figlia...» «La fuga è un'illusione. Perfino la madre lo comprende. Sa che non sono suo figlio, ma non si può trattenere. Possiede perfino i ricordi del tempo in cui era una vera Matrona, madre di un'effettiva nidiata, figli che l'amavano, e altri che... che l'hanno tradita e lasciata a soffrire per l'eternità. «Non ha mai previsto una fuga da questo, ma quando infine si è trovata libera, ha scoperto che il suo mondo era diventato polvere, che i suoi figli erano morti da tempo, sepolti sotto i loro tumuli, perché senza una madre erano avvizziti ed erano morti. Allora ha guardato a te, Veggente, il suo figlio adottivo, ti ha mostrato il tuo potere per poterlo usare lei stessa per ricreare il suo mondo. Ha riportato dalla morte i suoi figli, ha fatto loro ricostruire la città, ma era tutto falso, un'illusione che non poteva ingannarla ma solo farla impazzire. «Ed è stato allora che hai usurpato il suo posto», continuò l'uomo. «Così, un suo figlio l'ha fatta prigioniera di nuovo. Pare che non si possa alterare il sentiero della nostra vita, una verità che tu non sei pronto ad affrontare, Veggente, non ancora.» «Anche mia figlia mi ha resa prigioniera», sussurra la Mhybe. «È la maledizione di tutte le madri?» «È la maledizione dell'amore.» Un vago ululato echeggia nell'aria rarefatta.
«Hai sentito?» chiede l'uomo. «Quella è la mia compagna. Sta arrivando. L'ho cercata così a lungo, e ora sta arrivando.» Con quelle parole, la voce acquista un timbro più profondo, non sembra più quella dell'uomo. «E adesso», continua, «adesso risponderò». Il suo ululato l'aggredisce, scaglia indietro la sua mente, fuori dalla caverna, oltre la rada foresta, di nuovo sulla nuda tundra. La Mhybe urla. I lupi rispondono, trionfanti. L'hanno ritrovata. Una mano le toccò il volto. «Dei, mi ha ghiacciato il sangue.» Una voce familiare, ma lei non riuscì ancora a localizzarla. «In questo c'è più di quanto riusciamo a comprendere, Murillio», afferma un altro uomo. «Guarda la sua guancia.» «Si è graffiata...» «Non può sollevare le braccia, amico. Guarda, le unghie sono pulite. Non si è ferita da sola.» «Allora chi è stato? Sono rimasto qui per tutto il tempo. Dall'ultima volta che l'ho controllata non è venuta neppure la vecchia Rhivi, e allora non c'era quella ferita.» «Ah, ti ho detto che qui c'è un mistero.» «Non mi piace, Coll. Questi incubi... non potrebbero essere reali? Ciò che la insegue in sogno, qualsiasi cosa sia, non potrebbe danneggiarla fisicamente?» «Ne vediamo la prova...» «Sì, anche se fatico a credere ai miei occhi. Coll, tutto questo non può continuare.» «Sono d'accordo, Murillio. Alla prima occasione, a Capustan...» «La primissima. Portiamo il carro in prima linea; quanto prima arriveremo in città, e meglio sarà.» «Come vuoi.» CAPITOLO VENTESIMO È una storia molto antica. Di due dei del tempo precedente all'era degli uomini e delle donne. Una storia di malinconia, di amore e di perdita, due bestie condannate a vagare attraverso i secoli.
Una storia di usanze, narrata senza il fine di arrivare a una soluzione. Il suo significato, gentili lettori, non risiede in una conclusione che riscaldi l'anima, ma in tutto ciò che in questo mondo è impossibile a ottenersi. Chi avrebbe quindi potuto immaginare che finisse in questo modo? Amore d'Inverno Silbaratha Il cuore del vasto palazzo era sepolto nell'altura. Mari nati a est della baia ne percuotevano la base rocciosa levando alti spruzzi, e appena oltre i frangenti della spiaggia le acque della Baia di Coral si facevano tanto profonde da apparire qui nere. Il porto della città era poco più di uno stretto taglio ricurvo sul lato sottovento dell'altura, una fenditura di una profondità incalcolabile che quasi spaccava in due l'abitato; quello era un porto senza moli, la superficie della roccia era stata intagliata a formare lunghi attracchi sormontati da passerelle, e anelli di ancoraggio erano stati conficcati nella pietra al livello dell'alta marea. Ampie distese di spesse reti alte il doppio degli alberi di una nave oceanica abbracciavano l'intera distesa di acque dall'imboccatura del porto al suo apice, e nei punti in cui nessun'ancora poteva raggiungere il fondo del fiordo, dove le coste stesse non offrivano una spiaggia o anche dei bassifondi, le ancore venivano issate verso l'alto. Gli uomini-gatto, come venivano chiamati - uno strano assortimento quasi tribale di operai, che vivevano con le famiglie in baracche sulle reti e la cui unica professione era assicurare a esse ancore e funi di attracco - avevano fatto di quel lavoro una vera arte. Viste dall'alto degli ampi bastioni del palazzo, le capanne dal tetto di pelle di foca e dalle pareti di legno degli uomini-gatto sembravano una manciata di ciottoli marrone e di altri detriti impigliata nelle reti, che apparivano sottili per la distanza. Nessuna figura si muoveva fra le strutture, non una traccia di fumo si alzava dai camini. Se avesse avuto gli occhi di un'aquila, Toc il Giovane non avrebbe avuto difficoltà a distinguere i corpi essiccati dalla salsedine impigliati qua e là nelle reti; avendo una vista umana, però, doveva accettare come vera l'affermazione del Seerdomin, secondo il quale quelle piccole chiazze erano cadaveri. Le navi commerciali non venivano più a Coral, e gli uomini-gatto e le loro famiglie erano morti di fame. Un popolo unico e leggendario si era
estinto. L'informazione era stata fornita in tono distaccato, ma Toc aveva percepito una sfumatura nascosta nelle parole di quel massiccio guerrierosacerdote senza nome; questi gli stava accanto e gli serrava con una mano il braccio sinistro sopra il gomito, precauzione intesa a impedirgli di gettarsi dall'altura, ma che serviva ora a tenerlo in piedi. Quel sollievo dalla stretta della Matrona era soltanto temporaneo. Il corpo del Malazan non aveva più forze, i muscoli si erano atrofizzati, le ossa deformate e le articolazioni contratte gli davano la stessa flessibilità di un pezzo di legno, e i polmoni erano pieni di fluido, cosa che rendeva la sua respirazione ansimante e gorgogliante. Il Veggente aveva voluto che lui vedesse Coral, il palazzo-fortezza, spesso assalito dalle navi da guerra Elingarth e dalle flotte pirata, ma mai espugnato, che vedesse il vasto cordone di maghi, gli oltre mille Cacciatori K'ell dei K'Chain Che'Malle, le legioni scelte del suo esercito principale. Le sconfitte subite nel nord significavano ben poco per lui, tanto che avrebbe ceduto Setta, Lest e Maurik, lasciando gli invasori alla loro lunga marcia spossante attraverso terre bruciate che non offrivano sostentamento, dove perfino le sorgenti erano state contaminate. Quanto ai nemici nel sud, adesso c'era una vasta distesa di mare burrascoso a bloccare la loro avanzata, un mare che il Veggente aveva riempito di montagne di ghiaccio infrante, e comunque sulla sponda opposta non era possibile trovare imbarcazioni di sorta e un viaggio via terra fino all'estremità occidentale dello Stretto di Ortnal avrebbe richiesto mesi. Certo, il T'lan Imass avrebbe potuto attraversare il mare come polvere portata dalle onde, ma avrebbe dovuto contrastare per tutta la strada le forti correnti che scendevano in profondità e che si spingevano verso est, verso l'oceano, in fiumi sommersi. Secondo quel Seerdomin senza nome, il Veggente era soddisfatto, abbastanza da concedere a Toc quella momentanea pausa di sollievo, lontano dall'abbraccio di sua madre. Il gelido vento salmastro gli sferzava il volto, gli agitava i lunghi capelli sporchi. I suoi abiti erano poco più che incrostate strisce di stoffa, e il Seerdomin gli aveva dato il suo mantello, che Toc si era avvolto intorno come una coperta. Era stato quel gesto a fargli capire che l'uomo al suo fianco possedeva ancora un brandello di umanità. Una scoperta che gli aveva fatto venire le lacrime agli occhi. La chiarezza era riaffiorata nella sua mente, aiutata dal dettagliato resoconto fornito dal Seerdomin riguardo alle battaglie nel sud. Forse quella
era l'ultima, più convincente illusione della follia, ma Toc si aggrappò comunque a essa nel guardare verso sud, sul mare, verso l'opposta costa montuosa a stento visibile. Ormai loro l'avevano di certo raggiunta, ed era possibile che fossero fermi sulla spiaggia, a guardare con occhi cupi verso di lui, e verso tutto ciò che li separava. Baaljagg non si sarebbe fatta scoraggiare: una dea era nascosta in lei e la sospingeva a continuare per trovare il suo compagno. Il suo compagno, che è nascosto dentro di me. Abbiamo viaggiato fianco a fianco, ignorando i rispettivi segreti nascosti. Ab, quale brutale ironia... Forse neppure Tool si sarebbe lasciato scoraggiare. Tempo e distanza non significavano nulla per lui, e senza dubbio lo stesso valeva per i tre Seguleh, che dovevano ancora consegnare il loro strano messaggio: l'invito alla guerra da parte del loro popolo. Ma Lady Invidia... Signora dell'avventura, sedotta dal piacere di fare scoperte per caso... certo, adesso era infuriata, questo traspariva chiaramente dal rapporto del Seerdomin. Offesa era forse un termine più adatto, un sentimento sufficiente a destare la sua ira, che non era però durevole. Lei non era tipo da covare a lungo il fuoco della vendetta, esisteva per divertirsi, per assecondare i propri capricci. Lady Invidia, e probabilmente il suo cane ferito, Garath, a questo punto se ne sarebbero andati. Stanchi della caccia, non avrebbero intrapreso l'inseguimento attraverso quel mare tempestoso con i suoi lucenti colossi di ghiaccio. Toc si disse che non doveva esserne deluso, ma quel pensiero lo rattristò, perché sentiva la mancanza di Lady Invidia, non come donna... non esattamente. No, credo mi manchi il volto immortale che lei presenta, privo di fardelli, con un bagliore ironico nello sguardo millenario. Una volta l'ho provocata... ho scherzato sulla sua natura... l'ho indotta a battere a terra il piede e ad accigliarsi, come solo una donna immortale può fare sotto il colpo di una così improbabile derisione. E io ho girato il coltello nella ferita. Dei, possedevo davvero tanta audacia? Ebbene, cara Signora, adesso chiedo umilmente scusa. Non sono l'uomo coraggioso che ero un tempo, se quello era davvero coraggio e non semplice stupidità. La voglia di deridere è stata estirpata dalla mia natura per non riaffiorare più, e forse è un bene. Ah, posso vedervi annuire con vigore. I mortali non dovrebbero deridere, per tutti gli ovvi motivi. Il distacco appartiene agli dei, perché soltanto loro se ne possono permettere il prez-
zo. Così sia. Grazie, Lady Invidia. Non ci saranno recriminazioni. È stata una bella corsa. «Avresti dovuto vedere Coral com'era un tempo, Malazan.» «Era la tua patria, vero?» «Sì, anche se adesso la mia dimora è nel cuore del Veggente.» «Dove i venti sono ancora più freddi», borbottò Toc. Il Seerdomin rimase in silenzio per un momento. Toc si aspettava l'impatto del pugno guantato, o magari un doloroso strattone inferto al suo fragile braccio, entrambe risposte appropriate, che avrebbero provocato un cenno di approvazione del Veggente. «Questo», disse invece l'uomo, «è un giorno d'estate, ma non è come quelli che ricordo dalla mia giovinezza. Il vento di Coral era caldo, morbido e carezzevole come il respiro di un'amante. Mio padre andava a pesca oltre il fiordo, lungo la costa a nord di qui, dove ci sono ricchi banchi di pesci, e stava via per oltre una settimana a ogni stagione. Noi andavamo tutti sulle passerelle per guardare le flotte che tornavano, per cercare fra le barche la vela arancione di mio padre». Lanciando un'occhiata al guerriero, Toc vide il suo sorriso, scorse nei suoi occhi l'eco di una gioia infantile, poi la vide spegnersi nuovamente. «L'ultima volta, quando è tornato, ha scoperto che la sua famiglia aveva abbracciato la Fede. Sua moglie era stata data ai Tenescowri, i suoi figli alle truppe, e il maggiore aveva cominciato gli studi come Seerdomin. Quel giorno non mi ha gettato la fune di ancoraggio. Ha visto la mia uniforme, ha sentito le urla folli di mia madre, ha visto i miei fratelli con la lancia in pugno e le mie sorelle nude, aggrappate a uomini che avevano tre volte i loro anni. No, ha girato la prua ed è tornato al largo. Io ho guardato la sua vela finché non è scomparsa. Quello, Malazan, è stato il mio modo...» «Di dire addio», sussurrò Toc. «Di augurare buona fortuna. Di dire... ben fatto.» Distruttore di vite. Veggente, come hai potuto fare questo al tuo popolo? In lontananza, una campana echeggiò nel palazzo alle loro spalle, e la stretta del Seerdomin si accentuò. «Il tempo concesso è scaduto.» «È ora di tornare al mio abbraccio», commentò Toc, sforzando la vista per cogliere un'ultima volta il mondo che lo circondava. Ricorda tutto questo, Toc il Giovane, perché non lo rivedrai. «Grazie per avermi prestato il mantello.» «Non c'è di che, Malazan. Un tempo, questo vento era caldo. Avanti,
appoggiati a me nel camminare... il tuo peso non è niente.» Lentamente, si avviarono verso l'edificio. «Vuoi dire che è facile da reggere.» «Non ho detto questo, Malazan. Non ho detto questo.» L'edificio sventrato parve tremare, un attimo prima di crollare in una nube di polvere. L'acciottolato della strada tremò sotto gli stivali di Itkovian, un tuono scosse l'aria. Hedge si girò verso di lui, un sorriso sul volto sporco di fuliggine. «Visto? È facile.» Itkovian rispose con un cenno e guardò Hedge raggiungere gli altri zappatori, avviandosi verso il prossimo edificio da demolire. «Se non altro», commentò al suo fianco il capitano Norul, ripulendosi la sopravveste dalla polvere, «non ci sarà mancanza di materiali da costruzione». La mattinata era calda, il sole brillava e la vita stava tornando a Capustan. Persone con la faccia coperta da una sciarpa strisciavano fra le macerie delle loro case; a mano a mano che si rimuovevano i detriti, venivano trovati altri corpi, che venivano avvolti in teli e gettati su carri infestati di mosche. L'aria della strada puzzava di decomposizione, ma pareva che i loro cavalli vi si fossero abituati da tempo. «Dovremo proseguire, signore», osservò il capitano. I due ripresero il cammino. Fuori dalle porte occidentali si stavano radunando i rappresentanti ufficiali... il contingente che sarebbe andato incontro agli eserciti in avvicinamento di Dujek Un-braccio e di Caladan Brood, per i negoziati fissati per la terza campana. Itkovian aveva lasciato il comando al nuovo Destriant della compagnia. Centinaia di Tenescowri in fuga stavano affluendo dalla pianura, e i pochi che avevano tentato di entrare a Capustan erano stati aggrediti dai superstiti; nel sentire rapporti che parlavano di contadini fatti a pezzi da folle impazzite, Itkovian aveva mandato le Spade Grigie a organizzare un campo di concentramento fuori dalle mura occidentali. Sapendo che il cibo scarseggiava, si chiese come se la stesse cavando il nuovo Destriant. Se non altro, si stavano preparando dei rifugi per quei profughi impotenti. Che presto diventeranno reclute, almeno quelli che sopravviveranno alle prossime settimane. Probabilmente, le casse delle Spade Grigie si svuoteranno per acquistare viveri e altre scorte dai Barghast. Possa Fener... no, possa Togg far sì che questo investimento risulti proficuo.
Itkovian non era impaziente di partecipare ai negoziati. Anzi, la verità era che lui non aveva un vero motivo di presenziarvi. Il capitano che era al suo fianco era ora il nuovo comandante delle Spade Grigie, e il ruolo di suo consigliere che si era assunto era alquanto dubbio, perché la donna era capace di rappresentare gli interessi della compagnia anche senza di lui. Si avvicinarono alle porte occidentali, che ora sembravano soltanto un enorme buco nelle mura cittadine. Appoggiato contro una delle torri bruciate e diroccate, Gruntle li stava osservando con un accenno di sorriso sul volto striato, mentre Stonny Menackis camminava avanti e indietro con aria infuriata. «Adesso dobbiamo aspettare soltanto Humbrall Taur», affermò Gruntle. Itkovian si accigliò nell'arrestare il cavallo. «Dove sono gli emissari del Consiglio Mascherato?» «Ci hanno preceduti», ringhiò Stonny. «Pare vogliano avere prima un colloquio privato.» «Rilassati, ragazza», tuonò Gruntle. «Il tuo amico Keruli è con loro, giusto?» «Non è questo il punto! Si sono nascosti! Mentre tu e le Spade Grigie tenevate in vita loro e la loro dannata città!» «Nondimeno», osservò Itkovian, «adesso che il principe Jelarkan è morto senza lasciare un erede apparente, essi sono il governo di Capustan». «E avrebbero potuto aspettarci, dannazione!» Il capitano Norul si girò sulla sella per guardare verso il viale. «Humbrall Taur sta arrivando. Forse, se cavalcheremo abbastanza in fretta potremo raggiungerli.» «È importante?» le chiese Itkovian. «Sì, signore, lo è.» «Sono d'accordo», annuì lui. «Prepariamo i cavalli, Stonny», grugnì Gruntle, allontanandosi dal muro. Si avviarono attraverso la pianura, Humbrall Taur e Cafal che montavano goffamente le cavalcature prese a prestito. I Barghast non avevano gradito affatto il tentativo di usurpazione del Consiglio Mascherato, che aveva fatto riaffiorare diffidenza e antiche inimicizie. Secondo tutti i rapporti, gli eserciti in avvicinamento distavano ancora una lega, forse due. Keruli, Rath'Hood, Rath'Burn e Rath'Tronod'Ombra erano in una carrozza, trainata dai tre soli cavalli dei Gidrath che non fossero stati macellati e mangiati durante l'assedio.
Itkovian rammentò l'ultima volta che aveva percorso quella strada, ricordò il volto di soldati ora morti. Farakalian, Torun, Sidlis. Dietro la formalità imposta dal Reve, quelli erano stati suoi amici. Una verità che non osavo avvicinare, non come Incudine-Scudo, non come comandante. Adesso però la situazione è cambiata, ed essi sono il mio dolore, difficile da sopportare quanto quello di decine di migliaia di altre persone. Allontanò a forza quel pensiero. Il controllo era ancora necessario, non si poteva permettere emozioni. Quando arrivarono in vista della carrozza, Stonny lanciò un'esclamazione di trionfo. «Non pensate che saranno lieti di vederci?» «Non devi gongolare, ragazza», consigliò Gruntle. «Li stiamo raggiungendo in tutta innocenza...» «Mi credi un'idiota? Pensi che sia incapace di usare sottigliezza? Voglio che tu sappia...» «D'accordo, donna», ringhiò il suo compagno. «Dimentica quel che ho detto...» «Lo faccio sempre, Gruntle.» Il conducente Gidrath fece arrestare la carrozza quando essi la raggiunsero. La tendina di un finestrino scivolò di lato e rivelò il volto mascherato di Rath'Tronod'Ombra, la cui espressione appariva neutra. «Che fortuna! Il resto della nostra onorevole delegazione!» Itkovian sospirò fra sé. Purtroppo, in quel tono non c'era nessuna sottigliezza. «Onorevole?» ripeté Stonny. «Mi sorprende che conosciate questo concetto, sacerdote.» «Ah.» La maschera si girò verso di lei. «La ragazza del Maestro Keruli. Non dovresti essere in ginocchio?» «Te lo darò io un ginocchio... dritto fra...» «Bene, ci siamo tutti!» esclamò Gruntle. «Più avanti scorgo un'avanguardia. Vogliamo procedere?» «Siamo in anticipo», scattò Rath'Tronod'Ombra. «Sì, e purtroppo questo è poco professionale da parte nostra. Non importa. Possiamo proseguire il più lentamente possibile, per dare loro il tempo di prepararsi.» «Un saggio comportamento, viste le circostanze», concesse Rath'Tronod'Ombra. Le labbra dotate di cardini della maschera si piegarono in un ampio sorriso, poi la testa si ritrasse e la tendina si riabbassò. «Lo taglierò in pezzi molto piccoli», dichiarò Stonny, in tono vivace.
«Noi tutti apprezziamo il tuo senso della sottigliezza, ragazza», borbottò Gruntle. «E fate bene, sciocco.» Perplesso, Itkovian fissò prima la donna, poi il capitano di carovana. Il caporale Picker sedeva sui gradini polverosi di quello che era stato un tempio, la schiena e le spalle che dolevano per aver spostato pezzi di macerie fin dall'alba. Blend doveva essersi tenuta nelle vicinanze, perché apparve subito con una borraccia. «Sembri assetata.» «È buffo, come tu riesca a scomparire ogni volta che c'è del duro lavoro da fare», commentò Picker, accettando l'acqua. «Ti ho portato da bere, giusto?» Picker si accigliò. Dall'altra parte della strada, il capitano Paran e Ben lo Svelto stavano sellando i cavalli per andare all'incontro con l'Armata di Un-braccio e le truppe di Brood. Da quando si erano ricongiunti, quei due avevano un'aria insolitamente compiaciuta, e questo destava i sospetti di Picker, perché i piani di Ben lo Svelto non erano mai piacevoli. «Preferirei che andassimo tutti», borbottò. «Ai negoziati? Perché? In questo modo, sono gli altri a camminare.» «È più facile starsene nascosta qui intorno, appesantita da una borraccia mezza vuota, vero? La penseresti in maniera diversa se avessi spostato massi con il resto di noi, Blend.» «Sono stata molto impegnata», ribatté lei, scrollando le spalle. «A fare cosa?» «A raccogliere informazioni.» «Oh, già. Di chi hai ascoltato i sussurri, allora?» «Della gente. Noi e loro, qui e là.» «Loro? Chi sono questi loro?» «Dunque, vediamo... Barghast, Spade Grigie, un paio di loquaci Gidrath del Thrall, tre accoliti del tempio alle tue spalle...» Picker sussultò e si alzò di scatto per scrutare con nervosismo l'edificio segnato dalle fiamme, alle sue spalle. «Quale dio, Blend? Non mentire...» «Perché dovrei mentire, caporale Picker? Tronod'Ombra.» «Hai spiato i serpenti, vero?» grugnì Picker. «E di cosa stavano parlando?» «Di un qualche bizzarro piano del loro Signore. Vendetta contro un paio
di negromanti rintanati in quella tenuta che c'è più su, lungo la strada.» «Quella con tutti i cadaveri davanti e le guardie puzzolenti sulle mura?» «Presumibilmente sì.» «D'accordo. Sentiamo il rapporto relativo agli altri.» «I Barghast gongolano. Agenti del Consiglio Mascherato stanno comprando cibo per nutrire i cittadini, le Spade Grigie stanno comprando viveri anche loro, per nutrire un campo di profughi Tenescowri in rapida espansione, fuori città. I Visi Bianchi si stanno arricchendo.» «Un momento, Blend. Hai parlato di profughi Tenescowri? Cosa stanno combinando le Spade Grigie? Hood sa che in giro ci sono ancora cadaveri a sufficienza per quei cannibali, quindi perché dare loro vero cibo? Anzi, perché nutrirli?» «Valide domande», convenne Blend. «Ammetto che la mia curiosità è stata destata.» «E senza dubbio avrai anche elaborato una teoria.» «Per essere più precisi, ho messo insieme i pezzi del rompicapo, fatti disparati, osservazioni, casuali commenti di gente che pensava di parlare in privato e che sono stati sentiti dalla fedele serva che hai davanti...» «Per le ginocchia tremanti di Oponn, donna, vieni al dunque!» «Non hai mai apprezzato il piacere di gongolare compiaciuti. D'accordo. Le Spade Grigie erano votate a Fener, non erano una semplice compagnia mercenaria, ma piuttosto una sorta di dannati crociati votati alla sacra causa della guerra, cosa che prendevano molto sul serio. Però è successo qualcosa, hanno perso il loro dio...» «Non dubito ci sia dietro una storia interessante.» «Sì, ma irrilevante.» «Il che significa che la ignori.» «Esatto. Il punto è che gli ufficiali superstiti della compagnia sono andati nei campi dei Barghast, hanno trovato ad attenderli un gruppo di streghe tribali e tutti insieme hanno organizzato una riconsacrazione.» «Vuoi dire che hanno cambiato dio. Oh, no, non si tratterà di Treach...» «No, non lui. Treach ha già i suoi crociati.» «Oh, certo. Allora deve essere Jhess, Signora della Tessitura. Parlano tutti di ritessere...» «Non proprio. Sono Togg e Fanderay, la Lupa dell'Inverno, la compagna perduta di Togg. Ricordi la storia? Devi averla sentita quando eri bambina, supponendo che tu lo sia mai stata...» «Attenta, Blend.»
«Scusa. Comunque, le Spade Grigie sono state virtualmente sterminate, e ora cercano reclute.» «Fra i Tenescowri?» esclamò Picker, inarcando le sopracciglia. «Per il respiro di Hood.» «A dire il vero, ha senso.» «Certo. Se avessi bisogno di un esercito, mi rivolgerei innanzitutto a persone che si mangiano a vicenda quando le cose si fanno difficili. Assolutamente, lo farei all'istante.» «Ecco, questo è un punto di vista sbagliato. Il problema è più quello di trovare persone senza una vita...» «Perdenti, vuoi dire.» «Uh, sì. Niente legami, niente vincoli di fedeltà. Gente matura per gli arcani riti di induzione.» «Matti, sono diventati tutti matti», grugnì Picker. «Parole appropriate», mormorò Blend. Il capitano Paran e Ben lo Svelto sopraggiunsero a cavallo. «Caporale Picker.» «Sì, capitano?» «Sai dove sia Spindle, in questo momento?» «Non ne ho idea, signore.» «Allora ti suggerisco di tenere meglio d'occhio la tua squadra.» «Ecco, se n'è andato con il sergente Antsy. Qualcuno è uscito dalle gallerie sostenendo di essere il principe Arard... il sovrano spodestato di una delle città a sud del fiume. Quell'uomo pretendeva di parlare con un rappresentante dell'Armata di Un-braccio, e dato che in quel momento non siamo riusciti a trovarvi...» «Fammi capire bene», disse Paran, imprecando fra sé. «Il sergente Antsy e Spindle si sono autoeletti rappresentanti ufficiali dell'Armata di Unbraccio e sono andati a trattare con un principe? Antsy? Spindle?» Accanto a lui, Ben lo Svelto soffocò una risata, attirandosi un'occhiataccia da Paran. «Anche Detoran si è offerta volontaria», aggiunse Picker, in tono innocente, «quindi credo che siano andati in tre, forse insieme a qualcuno degli altri». «Mallet?» Picker scosse il capo. «Lui è con Hedge, signore, impegnato a risanare e cose del genere.» «Capitano», intervenne Ben lo Svelto, «faremo meglio ad avviarci.
Antsy non saprà più che fare non appena si sentirà confuso, e questo gli capita di solito subito dopo le presentazioni. Detoran non aprirà bocca, e probabilmente non lo faranno neppure gli altri. Può darsi che Spindle farfugli qualcosa, ma indossa un cilicio. Dovrebbe andare tutto bene». «Davvero? Devo ritenerti responsabile qualora non sia così, mago?» Ben lo Svelto sgranò gli occhi. «Non importa», ringhiò Paran, prendendo le redini. «Lasciamo questa città... prima di trovarci in mezzo a una nuova guerra. Caporale Picker.» «Signore?» «Perché sei ferma lì in piedi da sola?» Picker si guardò rapidamente intorno. «Quella cagna», borbottò. «Caporale?» «Nulla, signore. Chiedo scusa, mi stavo solo riposando.» «Quando avrai finito di riposarti, caporale, va' a recuperare Antsy, Spindle e gli altri. Manda Arard al Thrall, per avvertire quel principe che i veri rappresentanti dell'Armata di Un-braccio lo vedranno fra breve, qualora desideri avere udienza.» «Ho capito, capitano.» «Lo spero.» Picker guardò i due uomini allontanarsi lungo la strada, poi si girò di scatto. «Dove sei, vigliacca?» «Signore?» chiese Blend, emergendo dall'ombra dell'ingresso del tempio. «Mi hai sentita.» «Avevo notato qualcosa dentro quella tana, e sono andata a indagare...» «Tana! La sacra dimora di Tronod'Ombra, vorrai dire.» Con piacere, Picker vide Blend impallidire di colpo. «Oh. Io... uh... l'avevo dimenticato.» «Hai ceduto al panico. Hee, hee, Blend ha ceduto al panico. Hai intuito che stava per succedere una scenata e sei fuggita nell'edificio più vicino come un coniglio nella tana! Aspetta che lo dica agli altri...» «Una versione artefatta», sbuffò Blend, «che distorce malignamente una mera coincidenza. Non ti crederanno». «È quello che tu...» «Oh oh.» Blend svanì di nuovo. Sorpresa, Picker si guardò intorno e vide due figure ammantate di nero avanzare lungo la strada, dirette verso di lei. «Caro soldato», chiamò il più alto, un uomo dalla barba a punta.
Il tono imperioso le fece rizzare i capelli sulla nuca. «Cosa volete?» Un sottile sopracciglio s'inarcò. «Ci deve essere accordato rispetto, donna, lo esigiamo. Ora ascolta: abbiamo bisogno di provviste per riprendere il nostro viaggio. Ci servono cibo, acqua pulita in abbondanza, e se potessi indicarci un venditore di abiti...» «Subito. Ecco...» Picker si avvicinò all'uomo e lo colpì in piena faccia con il pugno guantato, scagliandolo all'indietro e sull'acciottolato con un tonfo sordo, svenuto. Blend si portò alle spalle dell'altro uomo e lo colpì alla testa con il pomo della spada corta, facendolo accasciare con un acuto grugnito. Un vecchio servitore dagli abiti laceri, che stava sopraggiungendo in fretta alle spalle dei due, si arrestò di colpo a cinque passi di distanza e sollevò le mani. «Non mi colpite!» stridette. «Perché dovremmo farlo?» chiese Picker, accigliandosi. «Questi due sono... tuoi?» «Sì», sospirò il servitore, con espressione avvilita, abbassando le mani. «Quando si svegliano, informali sul modo appropriato di interpellare la gente», disse Picker. «Assolutamente.» «Dovremmo muoverci, caporale», avvertì Blend, lo sguardo fisso sui due uomini svenuti. «Sì. Sì, per favore», supplicò il servo. «Non vedo perché indugiare. Precedimi, soldato.» Paran e Ben lo Svelto passarono a un migliaio di passi dall'accampamento dei Tenescowri, che si trovava sulla loro destra, a nord della strada. Nessuno dei due parlò finché non lo ebbero oltrepassato di parecchio, poi il capitano sospirò. «Sembra che siano in arrivo dei guai.» «Oh? Perché?» Paran scoccò al compagno un'occhiata sorpresa, poi tornò a guardare la strada. «Il desiderio di vendetta contro quei contadini. I Capan si potrebbero riversare fuori da quelle porte per massacrarli, con la benedizione del Consiglio Mascherato.» Dimmi, mago, perché mi pare di vedere qualcosa con la coda dell'occhio? Là, sulla tua spalla. Quando cerco di guardare meglio, svanisce. «Quello sarebbe un errore, da parte del Consiglio Mascherato», commentò Ben lo Svelto. «Le Spade Grigie sembrano pronte a difendere i loro ospiti, a giudicare da quei picchetti e dalle trincee.»
«Già, prevedono di diventare impopolari, con quello che stanno facendo.» «Stanno reclutando. E del resto, perché no? Quella compagnia mercenaria ha pagato un prezzo davvero elevato per difendere la città e i suoi abitanti.» «Il ricordo dei loro sforzi eroici potrebbe svanire in un batter d'occhio, mago. Inoltre, le Spade Grigie superstiti sono solo poche centinaia. Se qualche migliaio di Capan dovesse attaccarle...» «Io non mi preoccuperei, capitano. Perfino i Capan, per quanto infuriati, esiterebbero prima di scontrarsi con quei soldati. Dopo tutto, loro sono i sopravvissuti. Come ho detto, il Consiglio Mascherato sarebbe stolto a nutrire rancore. Comunque, ne sapremo senza dubbio di più ai negoziati.» «Supponendo che si sia invitati. Ben, sarà meglio parlare in privato con Whiskeyjack. Personalmente, ho ben poco da dire alla maggior parte di coloro che saranno presenti, ma devo fare il mio rapporto.» «Non avevo intenzione di parlare, capitano, solo di ascoltare.» I due si erano lasciati alle spalle l'area di occupazione e stavano ora cavalcando su una strada vuota, con la collina ondulata che si stendeva sulla destra, le alture adiacenti il fiume a trecento passi sulla sinistra. «Vedo dei cavalieri, a nord», osservò Ben lo Svelto. Paran socchiuse gli occhi, poi annuì. «È successo.» «Che cosa?» «Il Secondo Raduno.» Il mago gli rivolse un'occhiata. «I T'lan Imass? Come lo sapete?» Perché lei ha smesso di protendersi verso di me, Tattersail, Nightchill, Bellurdan... è successo qualcosa... qualcosa di inatteso, che li ha lasciati sconvolti. «Lo so e basta, mago. Il primo cavaliere è Volpe d'Argento.» «Dovete avere la vista di un falco.» Paran non replicò. Non ho bisogno degli occhi. Lei sta arrivando. «Capitano, l'anima di Tattersail domina ancora all'interno di Volpe d'Argento?» «Non lo so», ammise Paran. «Tutto quello che posso dire è che qualsiasi speranza avessimo di poter prevedere le azioni di Volpe d'Argento deve essere accantonata.» «Cosa è diventata, dunque?» «Una vera Divinatrice.» I due si fermarono per aspettare i quattro cavalieri. Il mulo di Kruppe pareva competere per la posizione di testa, e mentre le sue corte zampe pas-
savano freneticamente dal trotto al galoppo, il grasso Daru oscillava e sobbalzava sulla sella. Quanto ai due soldati di marina, procedevano dietro Volpe d'Argento con aria rilassata. «Vorrei aver visto ciò a cui hanno assistito i suoi compagni», mormorò Ben lo Svelto. E tuttavia nulla è andato come pianificato. Posso capirlo dal suo atteggiamento, dall'ira repressa, dalla diffidenza... e dalla sofferenza nascosta in profondità. Lei li ha sorpresi, sorpresi e sconfitti, e i T'lan Imass hanno risposto in maniera altrettanto inattesa. Perfino Kruppe sembra sbilanciato, e non solo per il sussultare di quel mulo. Nel tirare le redini, Volpe d'Argento lo fissò con un'espressione che lui non riuscì a definire. Come avevo percepito, ha eretto un muro fra noi... dei, come somiglia a Tattersail. Adesso è una donna, non più una bambina, e l'illusione degli anni di separazione è completa. È diventata guardinga, possiede segreti che da bambina non avrebbe esitato a rivelare. Per il respiro di Hood, ogni volta che c'incontriamo sembra che io debba rivalutare... tutto. «Salve, Volpe d'Argento», esordì Ben lo Svelto, «cosa...». «No.» «Prego?» «No, mago, non ho spiegazioni che sia pronta a fornire, non ci sono domande a cui possa rispondere. Kruppe ci ha già provato, troppe volte, e la mia ira sta per scoppiare: non metterla alla prova.» Guardinga, e più dura. Molto, molto più dura. Dopo un momento, Ben lo Svelto scrollò le spalle. «Sia come vuoi, dunque.» «Io voglio così», scattò lei. «L'ira che dovresti affrontare sarebbe quella di Nightchill, e il resto di noi non farebbe nulla per contenerla. Spero di essere stata chiara.» Ben lo Svelto reagì soltanto con un freddo sorriso di sfida. «Gentili signori!» esclamò Kruppe. «Per caso siete diretti verso i nostri magnifici eserciti? Se è così, vi vorremmo accompagnare, deliziati e sollevati di ritornare. Deliziati dalla formidabile compagnia che voi offrite, e sollevati, Kruppe ha detto, dall'accogliente destinazione così vicina. Siamo impazienti, si deve ammetterlo, di riprendere il viaggio, incorreggibilmente ottimisti...» «Basta così, Kruppe», ringhiò Volpe d'Argento. «Ahem... ma certo.»
Se davvero fra noi esisteva qualcosa, ora è finita. Si è lasciata Tattersail alle spalle, e adesso è davvero una Divinatrice. Quella consapevolezza gli causò un senso di perdita meno intenso e doloroso di quanto si fosse aspettato. Forse siamo andati oltre entrambi. Il nostro cuore non può superare la pressione di ciò che siamo diventati. Così sia. Niente autocompassione, non questa volta. Abbiamo dei compiti che ci aspettano. «È come ha detto Kruppe», affermò, prendendo le redini. «Avviamoci... siamo già in ritardo.» Un largo telo era stato teso al di sopra della collina per riparare il sito dei negoziati dal caldo sole pomeridiano. I soldati Malazan circondavano la collina in un cordone protettivo, la balestra carica nel cavo del braccio. Tenendo lo sguardo fisso sulle figure sotto il telo, Itkovian arrestò il cavallo e smontò a una decina di passi dalle guardie; anche la carrozza del Consiglio Mascherato si era fermata, e le portiere si stavano aprendo per lasciar scendere i quattro rappresentanti di Capustan. Hetan era già smontata di sella con un grugnito di sollievo, e ora venne a raggiungere Itkovian. «Mi sei mancato, lupo!» esclamò, assestandogli una pacca sulla schiena. «I lupi possono anche essere tutt'intorno a me, signora, ma io non mi ritengo tale», replicò Itkovian. «La notizia si è diffusa fra i clan», affermò Hetan. «Le vecchie non tacciono mai.» «E le giovani donne?» chiese lui, osservando le figure sulla collina. «Adesso corteggi il pericolo, mio caro.» «Se vi ho offesa, perdonatemi.» «Ti perdonerei perfino un sorriso, quale che ne fosse il motivo, ma è improbabile che tu sorrida. Se hai dell'umorismo, lo nascondi fin troppo bene, ed è un peccato.» «Un peccato?» ripeté Itkovian, fissandola. «Non vorrete intendere che è tragico, spero?» Hetan emise un sibilo di frustrazione e si avviò su per il pendio. Itkovian la osservò per un momento, poi spostò la propria attenzione sui sacerdoti che si erano raccolti accanto alla carrozza. Rath'Tronod'Ombra stava protestando. «Vogliono lasciarci tutti senza fiato! Se il pendio fosse stato più dolce, saremmo potuti rimanere in carrozza...» «Un numero sufficiente di cavalli, e avremmo potuto farlo comunque»,
sbuffò Rath'Hood. «Questo è un insulto calcolato.» «Non è niente del genere, compagni», mormorò Keruli. «Sciami di insetti che pungono stanno già cominciando ad assalirci, quindi vi suggerisco di smettere di lamentarvi e di accompagnarmi sulla cima, dove il vento ci soccorrerà.» L'ometto dal volto rotondo si mise in cammino. «Dovremmo insistere...» I tre si affrettarono a seguire Keruli, mentre sciami di tafani ronzavano loro intorno alla testa. «Sarebbe bastato che si spalmassero di grasso di bhederin!» rise Humbrall Taur. «Sono già abbastanza viscidi così, condottiero», replicò Gruntle. «E poi, questa è una presentazione molto più adatta per i nostri visitatori... tre sacerdoti mascherati che incespicano, ansimano e cercano di scacciare presenze fantasma intorno alla loro testa. Se non altro, Keruli sta dimostrando un po' di dignità, ed è probabilmente il solo fra loro che abbia un cervello degno di questo nome.» «Siano ringraziati gli dei!» esclamò Stonny. Gruntle si girò verso di lei. «Cosa? E perché?» «Hai appena usato il tuo intero vocabolario, somaro. Questo significa che tacerai per il resto della giornata.» Il sorriso di Gruntle risultò molto più ferino di quanto fosse nelle sue intenzioni. Itkovian osservò i due Daru incamminarsi, seguiti da Humbrall Taur, da Hetan e da Cafal. «Signore?» chiamò il capitano Norul. «Non mi aspettate», replicò lui. «Adesso siete voi il portavoce delle Spade Grigie.» Sospirando, la donna s'incamminò. Itkovian studiò lentamente il paesaggio circostante. A parte il cordone di guardie intorno alla collina, dei due eserciti stranieri non si scorgeva traccia. Non ci sarebbe stata nessuna dimostrazione di forza per intimidire i rappresentanti cittadini, un gesto generoso che probabilmente i sacerdoti non avrebbero capito, il che era una sfortuna, considerato che Rath'Hood, Rath'Burn e Rath'Tronod'Ombra avevano tutti bisogno di una sana umiliazione. I morsi delle mosche e il fiato corto sarebbero dovuti bastare. Itkovian esaminò poi le guardie Malazan, notando che le loro armi erano di superba fattura, anche se un po' logore. Le riparazioni apportate alle
armature erano state eseguite sul campo, ma del resto quello era un esercito molto lontano da casa e dalle sue linee di rifornimento. Quei volti scuri sovrastati dall'elmo lo stavano studiando a loro volta, inespressivi, forse incuriositi dal fatto che lui fosse rimasto lì, con la sola compagnia del silenzioso conducente Gidrath. Sono vestito da ufficiale, e questo ora porta al fraintendimento. Sfilatosi i guanti, si tolse la spilla che indicava il suo rango e la lasciò cadere a terra, poi sciolse e gettò di lato la fusciacca grigia legata in vita e infine si tolse l'elmo. A quel punto, il soldato a lui più vicino si fece avanti. «Sarei disposto a fare uno scambio, signore», affermò Itkovian. «Non sarebbe giusto», obiettò l'uomo, parlando a fatica il Daru. «Perdonatemi se dissento. Gli intarsi in argento e la cresta d'oro possono far pensare che il mio elmo da guerra sia solo ornamentale, ma vi garantisco che il bronzo e le fasce in ferro sono della migliore qualità, come pure le protezioni per le guance e l'imbottitura. Il suo peso è di poco superiore a quello dell'elmo che indossate ora.» Il soldato rimase in silenzio per un lungo momento, poi slacciò lentamente la cinghia del proprio elmo. «Quando cambierete idea...» «Non lo farò.» «Sì. Stavo dicendo, quando cambierete idea, venitemi a cercare, e non me ne avrò a male se lo rivorrete indietro. Mi chiamo Azra Jael, undicesima squadra, quinta coorte, terza compagnia dei soldati di marina dell'Armata di Un-braccio.» «Io sono Itkovian... un tempo soldato delle Spade Grigie.» Effettuarono lo scambio, e Itkovian esaminò l'elmo che aveva ora in mano. «Di solida fattura. Sono soddisfatto.» «Acciaio Aren, signore. Il metallo è così robusto che non ha dovuto essere rimodellato neppure una volta. La maglia metallica è Napan, nessuna spada l'ha ancora tranciata.» «Eccellente. Ammetto con umiltà che questo scambio mi ha arricchito.» Il soldato non replicò. Itkovian guardò verso la cima della collina. «Credete che si offenderebbero se mi avvicinassi? Non aprirò bocca, naturalmente, ma mi piacerebbe ascoltare.» Il soldato, che pareva alle prese con qualche intensa emozione, scosse il capo. «Sarebbero onorati dalla vostra presenza, signore.» «Non credo», sorrise Itkovian. «Inoltre, se devo dire il vero, preferirei
che non mi notassero.» «Allora aggirate la collina e salite da dietro, signore.» «Buona idea. Grazie, signore, lo farò. E grazie ancora per questo elmo eccellente.» L'uomo si limitò ad annuire. Itkovian oltrepassò il cordone di sicurezza, e i soldati si trassero di lato per lasciarlo passare, salutando. Una cortesia fuori luogo, ma la apprezzo lo stesso. Quando raggiunse il lato opposto della collina, avvistò infine i due eserciti accampati a ovest. Nessuno dei due era vasto, ma entrambi erano organizzati in maniera professionale, le forze Malazan contraddistinte da quattro fortini collegati, creati da terrapieni e trincee, e uniti da passerelle sopraelevate. Sono impressionato da questi stranieri, e devo concludere che Brukhalian aveva ragione: se fossimo riusciti a resistere, costoro avrebbero avuto la meglio sulle forze numericamente superiori dell'Eptarca Kulpath. Avrebbero infranto l'assedio, se solo avessimo resistito... Cominciò a salire, l'elmo Malazan infilato sotto il braccio sinistro. Vicino alla vetta, un vento teso allontanò gli insetti. Raggiunta la cresta, Itkovian si arrestò. Il telo teso su pali era davanti a lui, a una quindicina di passi, e su quel lato, che era quello posteriore del luogo d'incontro, era disposta una fila di botti d'acqua e di eleganti casse che recavano il sigillo della Corporazione Commerciale Trygalle, che lui ben conosceva in quanto quei commercianti si erano installati inizialmente nella sua terra d'origine, Elingarth. Osservando quel sigillo, Itkovian si sentì orgoglioso del loro evidente successo. Un grande tavolo era stato sistemato sotto il telo, ma tutti i presenti erano in piedi al di là di esso, sotto il sole, come se le presentazioni formali non fossero ancora state ultimate. Forse c'è già stato qualche contrasto, probabilmente a causa delle lamentele del Consiglio Mascherato. Spostatosi sulla sinistra, Itkovian avanzò in silenzio, con l'intenzione di prendere posizione sul lato sottovento del telone, accanto alle botti dell'acqua. Invece, un ufficiale Malazan si accorse di lui e si protese verso un altro uomo; seguì un breve dialogo, poi l'altro uomo, anche lui un comandante dei Malazan, si girò lentamente a osservarlo. Un momento più tardi, tutti gli altri lo imitarono.
Itkovian si arrestò. Un grosso guerriero che portava un martello affibbiato sulla schiena avanzò verso di lui. «L'uomo che stavamo aspettando d'incontrare. Voi siete Itkovian, Incudine-Scudo delle Spade Grigie, difensore di Capustan. Io sono Caladan Brood...» «Chiedo scusa, signore, ma non sono più l'Incudine-Scudo, e non appartengo più alle Spade Grigie.» «Ci è stato detto. Nondimeno, vi preghiamo di venire avanti.» Itkovian non si mosse, e scrutò i volti schierati davanti a lui. «Volete mettere a nudo la mia vergogna, signore», disse. «Vergogna?» ripeté il guerriero, accigliandosi. «Infatti. Mi avete definito il difensore di Capustan, e devo accettare questo titolo derisorio, perché non ho difeso Capustan. La Spada Mortale Brukhalian mi ha ordinato di tenere la città fino al vostro arrivo, ma ho fallito.» Nessuno parlò. Trascorsero pochi secondi. «Non c'era nessun intento di derisione», affermò quindi Brood. «E voi avete fallito soltanto perché non potevate vincere. Lo capite, signore?» Itkovian scrollò le spalle. «Capisco la vostra argomentazione, Caladan Brood, ma scorgo ben poco valore in un dibattito semantico. Se me lo permettete, mi terrò in disparte durante questa riunione. Vi garantisco che non azzarderò opinioni o commenti.» «Allora la perdita è nostra», ringhiò il guerriero. Itkovian scoccò un'occhiata al suo capitano, e rimase sconvolto nel vedere che le sue guance segnate erano bagnate di lacrime. «Vorreste che contestassimo il vostro valore, Itkovian?» chiese Brood, sempre più accigliato. «No.» «E tuttavia sentite di non avere valore alcuno in seno a questa riunione.» «Può darsi che io non abbia ancora finito, signore, ma le eventuali responsabilità che potrò dover abbracciare un giorno sono un mio fardello, da portare da solo. Non comando nessuno, quindi non ho ruolo alcuno nelle discussioni che si svolgeranno qui. Vorrei soltanto ascoltare. Naturalmente, non avete motivo di essere generoso...» «Basta, vi prego», lo interruppe Caladan Brood. «Itkovian, siete il benvenuto.» «Grazie.» Come per un silenzioso accordo, i dignitari abbandonarono la loro im-
mobilità e si avvicinarono al largo tavolo di legno. I sacerdoti del Consiglio Mascherato si sedettero a un'estremità, Humbrall Taur, Hetan e Cafal presero posto dietro le sedie più vicine a loro, rendendo chiaro che intendevano rimanere in piedi; Gruntle e Stonny sedettero uno di fronte all'altra vicino al centro del tavolo, il nuovo Incudine-Scudo delle Spade Grigie si sistemò accanto a Stonny mentre Caladan Brood e i due comandanti Malazan - uno dei quali, Itkovian notò, aveva un solo braccio - si posizionarono di fronte ai sacerdoti. Un alto guerriero dai capelli grigi che indossava una lunga cotta di maglia rimase in piedi sulla sinistra di Brood, mentre un alfiere Malazan si piazzò alle spalle dei suoi comandanti. Alcune coppe furono riempite di vino annacquato, ma prima ancora che tutti i presenti fossero stati serviti, Rath'Hood prese la parola. «Il Thrall, il palazzo da cui governano le autorità di Capustan, sarebbe stato una sede più civile per questo storico raduno...» «Adesso che il principe è morto, volete dire», ribatté Stonny, con un sogghigno. «Quel posto non ha pavimento, sacerdote, nel caso ve lo siate dimenticato.» «La si potrebbe definire una metafora strutturale, non credi?» chiese Gruntle. «Potrebbe farlo un idiota.» Rath'Hood fece un altro tentativo. «Come stavo dicendo...» «Non stavate parlando, vi stavate dando delle arie.» «Questo vino è di una bontà sorprendente», mormorò Keruli. «Considerato che questa è una riunione militare, la sua sede mi pare appropriata. Personalmente, avrei un paio di domande per i comandanti dell'esercito straniero.» «Sentiamo», grugnì il comandante con un solo braccio. «Grazie, Gran Pugno. Innanzitutto, manca qualcuno, giusto? Non ci sono Tiste Andii fra voi? E il loro leggendario capo, Anomander Rake, Signore della Progenie della Luna, non dovrebbe essere presente? In effetti, viene da chiedersi dove si trovi la Progenie della Luna stessa, dato che i vantaggi tattici offerti da un simile edificio...» «Fermatevi qui, se non vi dispiace», lo interruppe Brood. «Le vostre domande presuppongono... molte cose. Non credo che siamo ancora arrivati al punto di discutere di tattica. Per quanto ci riguarda, Capustan è soltanto una sosta temporanea della nostra marcia. La sua liberazione da parte dei Barghast è stata una necessità strategica, solo la prima di quelle che indubbiamente si presenteranno in questa guerra. Stareste ora suggerendo,
Gran Sacerdote, che desiderate contribuire in maniera diretta alla campagna? Parrebbe che la vostra preoccupazione primaria debba essere attualmente la ricostruzione della vostra città.» «C'è stato uno scambio di domande», sorrise Keruli, «ma ancora nessuna risposta». Brood si accigliò. «Anomander Rake e la maggioranza dei Tiste Andii sono tornati sulla Progenie della Luna. Essi hanno un ruolo in questa guerra, ma non ci saranno ulteriori elaborazioni sull'argomento.» «È un bene che Rake non sia qui», commentò Rath'Tronod'Ombra, la maschera distorta in un sogghigno. «È una compagnia del tutto imprevedibile, e un vero assassino.» «Cosa che il tuo dio può confermare», sorrise Keruli, poi tornò a rivolgersi a Brood: «Le risposte sono sufficienti a garantirne altre in cambio. Come avete sottolineato, la principale preoccupazione del Consiglio Mascherato è restaurare Capustan. Nondimeno, i miei compagni qui presenti non sono solo temporanei governanti, ma anche servitori dei loro dei. Nessuno qui può essere del tutto inconsapevole della condizione tumultuosa in cui versa il pantheon. Voi, Caladan Brood, avete il martello di Burn, e continuate a lottare con le responsabilità che questo comporta; quanto alle Spade Grigie, private del loro dio, hanno scelto di inginocchiarsi davanti ad altre due divinità... compagne, anche se divise. Quello che era un tempo il mio capitano di carovana, Gruntle, è rinato come Spada Mortale di un nuovo dio, gli dei Barghast sono stati riscoperti, e quindi rappresentano un'antica orda di potere e di indole non ancora messi alla prova. In realtà, nell'esaminare quanti sono raccolti qui, i due soli agenti privi di aspetti divini seduti a questo tavolo sono il Gran Pugno Dujek e il suo comandante in seconda, Whiskeyjack, ossia i Malazan». Nel notare l'espressione d'un tratto indecifrabile di Caladan Brood, Itkovian si chiese quali fossero le responsabilità connesse al martello, a cui aveva accennato Keruli. Il guerriero dai capelli grigi infranse il silenzio con un'aspra risata. «Hai convenientemente dimenticato te stesso, sacerdote. Appartieni al Consiglio Mascherato, ma non porti la maschera, e non sembri neppure essere gradito in seno a esso. I tuoi compagni indicano con chiarezza quale sia il loro dio, ma tu no. Perché?» «Caro Kallor», replicò Keruli, con un sorriso benevolo e imperturbato, «come sei avvizzito sotto la tua maledizione. Porti ancora con te quel trono privo di significato? Sì, lo avevo intuito...».
«Ho pensato che si trattasse di te», sibilò Kallor. «Un così misero travestimento...» «La manifestazione fisica si è dimostrata problematica.» «Hai perso il tuo potere.» «Non del tutto. Si è... evoluto, quindi sono costretto ad adeguarmi, a imparare.» Il guerriero portò la mano alla spada. «In altre parole, adesso potrei ucciderti...» «Temo di no», sospirò Keruli. «Soltanto nei tuoi sogni, forse, ma del resto tu non sogni più, vero, Kallor? L'Abisso ti prende nel suo abbraccio ogni notte. L'oblio, il tuo incubo personale.» «Allontana la mano dall'arma, Kallor», tuonò Brood, senza voltarsi. «La mia pazienza nei tuoi confronti è giunta al limite.» «Quello seduto davanti a te non è un sacerdote, Alto Comandante!» ringhiò il guerriero. «È un Dio Antico. K'rul in persona!» «Lo avevo dedotto», sospirò Brood. Per qualche istante nessuno parlò, e Itkovian poté quasi sentire lo stridente spostarsi degli equilibri di potere. Un Dio Antico era fra loro, seduto con espressione benevola al loro tavolo. «È una manifestazione limitata, per essere più precisi», affermò infine Keruli. «È meglio che lo sia, considerata la sorte di Harllo», intervenne Gruntle, gli occhi felini fissi su Keruli. Il cordoglio affiorò sui lineamenti lisci e rotondi del Dio Antico. «Temo che in quel momento sia stata profondamente limitata. Ho fatto tutto il possibile, Gruntle, e mi rincresce che non sia stato sufficiente.» «Rincresce anche a me.» «Dunque!» scattò Rath'Tronod'Ombra. «Visto chi siete, non potete certo sedere in seno al Consiglio Mascherato, giusto?» Il Malazan chiamato Whiskeyjack scoppiò in una risata che sorprese tutti i presenti. Stonny si girò sulla sedia per guardare verso il Gran Sacerdote dell'Ombra. «Il vostro dio sa quanto sia in effetti piccolo il vostro cervello? Qual è il problema? Gli Dei Antichi non conoscono la stretta di mano segreta? La sua maschera è troppo realistica?» «È immortale, sgualdrina!» «Direi che è una garanzia di anzianità di rango», commentò Gruntle. «Comunque...»
«Non scherzare su queste cose, mangiatore di topi!» «Comunque, se osi parlare ancora in quel modo a Stonny, ti ucciderò», continuò il Daru. «Quanto a prenderla alla leggera, non è difficile farlo. Noi tutti stiamo cercando di assimilare ciò che tutto questo implica: un Dio Antico è entrato nella mischia, contro quello che credevamo essere un impero mortale... per l'Abisso, in che cosa ci siamo immischiati? E tu, invece... il tuo primo e unico pensiero è fisso sull'appartenenza al tuo meschino Consiglio di palloni gonfiati. Attualmente, Tronod'Ombra starà avendo una crisi isterica.» «Ci deve essere abituato», ringhiò Stonny, «quando si tratta di questo sacco di letame». Rath'Tronod'Ombra la fissò a bocca aperta. «Torniamo al dunque», intervenne Brood. «K'rul, le vostre parole sono accettate. Il Dominio di Pannion ci riguarda tutti. Come dei e sacerdoti, non dubito che saprete trovare il vostro ruolo nel contrastare le minacce che si stanno manifestando contro il pantheon e contro i canali... anche se tutti sappiamo che la fonte di quelle minacce non è direttamente associata al Veggente Pannion. Il nocciolo del mio discorso è che siamo qui per discutere l'organizzazione delle forze che marceranno con noi a sud del fiume, nel cuore del Dominio. Considerazioni laiche, ma comunque essenziali.» «Lo accetto, per il momento», rispose K'rul. «Perché per il momento?» «Prevedo che alcune maschere cadranno nel corso di questa riunione, Alto Comandante.» Humbrall Taur si schiarì la gola. «La linea d'azione è abbastanza semplice», disse. «Cafal.» Suo figlio annuì. «Una divisione di forze, signori. Un gruppo verso Setta, l'altro verso Lest, per poi convergere su Maurik e proseguire verso Coral. I Barghast Viso Bianco marceranno con l'Armata di Un-braccio, perché è stato in virtù dei loro sforzi se ora siamo qui, e a mio padre piace il senso dell'umorismo di quell'uomo, come piace ai nostri dei.» Nel parlare accennò a Whiskeyjack, che inarcò un sopracciglio. «È inoltre consigliabile che le Spade Grigie, che stanno ora raccogliendo reclute fra i Tenescowri, siano nell'altro esercito, perché i Visi Bianchi non tollereranno quelle reclute.» «Accettabile», affermò il nuovo Incudine-Scudo della compagnia, «a patto che Caladan Brood e le sue forze possano sopportare la nostra pre-
senza». «Riuscite davvero a trovare qualcosa di valido in quelle creature?» le chiese Brood. «Noi tutti abbiamo qualcosa di valido, signore, una volta che ci assumiamo il fardello del perdono e lo sforzo dell'assoluzione», dichiarò la donna, incontrando lo sguardo di Itkovian. È questa la lezione che ho impartito? si chiese lui. Allora perché provo orgoglio e dolore per le sue parole? No, non sono esattamente le sue parole, ma la sua fede. Una fede che, con mio rammarico, io ho perduto. Quella che provo è invidia. Devo allontanarla. «Allora ce la faremo», affermò Brood, dopo un momento. Dujek Un-braccio sospirò e si protese a prendere la sua coppa di vino. «Quindi abbiamo deciso. Non vi pare, Brood, che sia stato più facile di quanto immaginavate?» L'Alto Comandante esibì i denti in un sorriso duro ma soddisfatto. «Sì. Cavalchiamo tutti sulla stessa pista. Bene.» «Allora è tempo di passare ad altri problemi», affermò Rath'Burn, lo sguardo fisso su Caladan Brood. «Voi siete colui a cui è stato donato il martello, il punto focale del potere di Burn. A voi è stato affidato il compito di ridestarla, nel momento di massimo bisogno...» «Distruggendo così ogni civiltà del mondo», annuì il guerriero, il sorriso ora ferino. «Senza dubbio, Grande Sacerdotessa, voi ritenete che il suo bisogno sia sufficientemente pressante.» «E voi osate pensarla diversamente?» scattò la donna, protendendosi in avanti con le mani sul tavolo. «L'avete ingannata!» «No. L'ho vincolata.» Quella risposta fece ammutolire momentaneamente la sacerdotessa. «A Darujhistan c'è la bottega di un venditore di tappeti», osservò Gruntle. «Attraversarla significa scalare strati su strati di tessuti. Così sono le lezioni che i mortali impartiscono agli dei. È un peccato che loro continuino a incespicare tanto... ci sarebbe da pensare che ormai abbiano imparato.» Rath'Burn si girò di scatto verso di lui. «Silenzio! Non sapete nulla di questo! Se Brood non agisce, Burn morirà! E con lei morirà anche tutta la vita di questo mondo! Questa è l'alternativa, stolto! Rovesciare una manciata di civiltà corrotte o andare incontro all'annientamento... cosa scegliereste?» «Ecco, dato che me lo chiedete...»
«Ritiro la domanda, perché è chiaro che siete pazzo quanto l'Alto Comandante. Caladan Brood, dovete consegnare il martello a me, qui e adesso. Nel nome di Burn, la Dea Dormiente, lo esigo.» L'Alto Comandante si alzò e liberò l'arma. «Ecco, prendete.» E protese il martello con la mano destra. Gli occhi di Rath'Burn ebbero un bagliore, poi lei si raddrizzò di scatto e aggirò il tavolo, afferrando con entrambe le mani l'impugnatura rivestita di filo di rame del martello. Brood abbandonò la presa. L'arma si abbassò di scatto e il crocchiare delle ossa dei polsi della donna echeggiò secco nell'aria. Poi lei urlò, nel momento stesso in cui la collina tremava per l'impatto della testa massiccia del martello. Le coppe sussultarono sul tavolo, rovesciando su di esso il vino rosso, mentre Rath'Burn si accasciava in ginocchio senza più reggere l'arma, le braccia fratturate adagiate in grembo. «Artanthos», chiamò Dujek, lo sguardo fisso su Brood, che stava contemplando la donna con occhi spassionati. «Trova un guaritore. Uno bravo.» Il soldato in piedi dietro il Gran Pugno si allontanò. «La differenza fra te e la tua dea, donna, è la fede», disse l'Alto Comandante alla Grande Sacerdotessa. «Una cosa semplice, dopo tutto. Tu vedi aperte per me soltanto due alternative, e in un primo momento anche la Dea Dormiente ha fatto lo stesso. Mi ha dato l'arma, e la libertà di scegliere. Ci ho impiegato molto tempo a capire che altro lei mi aveva dato. Mi sono trattenuto dall'agire, dal fare quella scelta, e ho pensato di essere un vigliacco. Forse lo sono, tuttavia una piccola dose di saggezza mi si è infine radicata nella testa...» «La fede di Burn nella vostra capacità di trovare una terza alternativa», disse K'rul. «Sì, la sua fede.» Artanthos tornò con un altro Malazan, ma Brood sollevò una mano per fermarli. «No, la risanerò personalmente. Dopo tutto, non poteva sapere.» «Troppo generoso», mormorò K'rul. «Lei ha abbandonato la sua dea molto tempo fa, Alto Comandante.» «Nessun viaggio è troppo lungo», replicò Brood, inginocchiandosi davanti a Rath'Burn. L'ultima volta che Itkovian aveva visto aprire l'Alto Denul era stato per opera del Destriant Karnadas, e l'infezione che avvelenava i canali era ri-
sultata elevata. Ciò che vide ora risultò... pulito, incontaminato, e di una potenza sconvolgente. K'rul si alzò di scatto, guardandosi intorno. Rath'Burn sussultò. Lo strano comportamento del Dio Antico attirò l'attenzione di Itkovian, che seguì la direzione del suo sguardo, scoprendo così che un altro gruppo era arrivato sulla collina ed era fermo sulla destra del tendone: fra i quattro nuovi venuti, il solo noto a Itkovian era il capitano Paran, e non era lui ad aver attirato lo sguardo del Dio Antico. Un uomo alto e snello, di carnagione scura, stava osservando la scena tenendosi in coda al gruppo, lo sguardo all'apparenza focalizzato su Brood. Dopo un momento, un qualche istinto lo indusse a guardare verso K'rul, e lui reagì all'assoluta attenzione del Dio Antico con una strana scrollata di spalle, come se avesse avuto sulla spalla sinistra un peso invisibile. Itkovian sentì K'rul sospirare. Poi Rath'Burn e Caladan Brood si rialzarono insieme. Le ossa della donna erano state saldate, sulle sue braccia nude non c'era traccia di gonfiore o di lividi. Come in stato di choc, lei si appoggiò contro l'Alto Comandante. «Cosa significa?» domandò Kallor. «Il canale non recava traccia del veleno.» «Infatti», sorrise K'rul. «Pare che la malattia sia stata allontanata da questo luogo. Una cosa temporanea, ma sufficiente. Forse è un'altra lezione sui poteri della fede... che mi sforzerò di assimilare...» Itkovian socchiuse gli occhi. Le sue parole hanno due significati. Uno è per noi, l'altro per quell'uomo fermo laggiù. Un momento più tardi, la donna massiccia che era accanto al capitano Paran si avvicinò al tavolo. Vedendola, Kallor indietreggiò di un passo. «Siete stato imprudente, a lasciar cadere il vostro martello a quel modo», commentò la donna, rivolta all'Alto Comandante, che si girò di scatto. «Volpe d'Argento. Ci eravamo chiesti se vi avremmo rivista.» «Eppure avete incaricato Korlat di seguire le mie tracce.» «Solo per appurare dove foste e in che direzione andavate. Pare si sia persa, perché deve ancora tornare.» «Un disorientamento temporaneo. I miei T'lan Ay la circondano e la stanno guidando qui. Illesa.» «Sono sollevato di sentirlo. Dalle vostre parole, deduco che il Secondo Raduno ha avuto luogo.»
«Infatti.» Avendo visto il capitano Paran, Whiskeyjack lo stava raggiungendo per parlare in privato con lui; l'uomo alto dalla pelle bruna si avviò per raggiungerli. «Diteci, dunque», continuò l'Alto Comandante, «un altro esercito si è unito a noi?». «I miei T'lan Imass hanno da assolvere dei compiti che li porteranno nel Dominio di Pannion. Questo tornerà a vostro vantaggio, qualora dovessero esserci altri Cacciatori K'ell dei K'Chain Che'Malle, perché a loro penseremo noi.» «Suppongo che non abbiate intenzione di specificare la natura di questi compiti.» «Sono questioni private, Alto Comandante, che non riguardano voi o la vostra guerra.» «Non le credere», ringhiò Kallor. «Vogliono il Veggente, perché sanno che cosa è... un Tiranno Jaghut.» «Se doveste catturare il Veggente Pannion, che ne fareste di lui?» gli chiese Volpe d'Argento. «È pazzo, la sua mente è stata distorta dalla contaminazione del Canale del Caos e dalle manipolazioni del Dio Storpio. L'esecuzione capitale è la sola opzione. Lasciala a noi, perché esistiamo per uccidere gli Jaghut...» «Non sempre», interloquì Dujek. «Cosa volete dire?» «Uno dei vostri T'lan Imass non ha forse accompagnato l'Aggiunto Lorn quando ha liberato il Tiranno Jaghut, a sud di Darujhistan?» Volpe d'Argento apparve turbata. «Il Senza Clan. Sì. Un evento che ancora non comprendo. Nondimeno, quel Tiranno si è destato da un sonno maledetto solo per morire davvero...» «A dire il vero», intervenne una nuova voce, «a parte essere un po' malconcio, Raest era decisamente animato, l'ultima volta che l'ho visto». Volpe d'Argento si girò di scatto. «Ganoes, cosa vuoi dire? Il Tiranno è stato ucciso.» L'ometto rotondo che era ora al fianco del capitano Paran estrasse un fazzoletto dalla manica e si asciugò la fronte. «Ecco, quanto a questo... non proprio, come Kruppe ammonisce con riluttanza. Le cose erano purtroppo alquanto confuse...» «Una Casa degli Azath ha preso con sé il Tiranno Jaghut», spiegò K'rul. «Stando a quanto ho capito, il piano dei Malazan era quello di forzare la
mano ad Anomander Rake... costringerlo a un confronto che lo avrebbe indebolito, sempre che non lo avesse ucciso. Così come sono andate le cose, però, Raest non è mai giunto ad affrontare il Signore della Progenie della Luna.» «Vedo ben poca rilevanza in tutto questo», interloquì Volpe d'Argento. «Se ha davvero infranto il suo voto, il Senza Clan ne dovrà rispondere a me». «Quel che volevo dire», affermò Dujek, «era che voi sostenete che i T'lan Imass e ciò che essi fanno o non fanno è separato da tutto e da tutti. Insistete su questo distacco, ma da veterano delle campagne Malazan posso dirvi che la vostra affermazione è palesemente falsa». «Allora forse è vero che i Logros T'lan Imass hanno... perso chiarezza. Se è così, quest'ambivalenza appartiene al passato. A meno, naturalmente, che non vogliate sfidare l'autorità che è mia dalla nascita.» Nessuno rispose, e Volpe d'Argento annuì. «Molto bene. Vi è stata detta la posizione dei T'lan Imass. Avremo questo Tiranno Jaghut. Qualcuno, qui, desidera contrastare la nostra rivendicazione?» «A giudicare dalla minaccia implicita nel tuo tono, donna», osservò Brood, «assumere quella posizione sarebbe da folli. Per quanto mi riguarda, non intendo litigare e tirare il Veggente per i piedi. Gran Pugno?» aggiunse, girandosi verso Dujek. Questi scosse il capo con una smorfia. Per un motivo che non avrebbe saputo spiegare, Itkovian si sentì indotto a rivolgere la propria attenzione al basso, grasso Daru: un benevolo sorriso incurvava quelle labbra piene e leggermente unte. Quelli qui riuniti sono poteri davvero terribili e, tuttavia, perché mi sento convinto che l'epicentro stesso della loro efficacia risieda in questo strano ometto? Gode perfino della stima di K'rul, nello stesso modo in cui un compagno pieno di ammirazione poserebbe lo sguardo su... su una sorta di prodigio, forse, che conosce da una vita. Un prodigio i cui talenti sono arrivati a superare quelli del maestro. Però in quella considerazione non c'è invidia, e neppure orgoglio, che dopo tutto parla sempre di possessività. No, è un'emozione molto più sottile e complessa... «Dobbiamo discutere del problema dei rifornimenti», affermò infine Caladan Brood. La Grande Sacerdotessa si appoggiava ancora a lui; l'Alto Comandante la guidò fino alla sua sedia con sorprendente gentilezza e le parlò a bassa voce, ottenendo in risposta un cenno di assenso.
«I Barghast sono venuti qui preparati», disse Cafal. «Possiamo gestire il vostro numero di truppe.» «E il prezzo?» chiese Dujek. «Lo troverete accettabile... più o meno», sorrise il giovane guerriero. Volpe d'Argento si allontanò a passo deciso, come se avesse detto tutto ciò che aveva da dire e non fosse interessata alle questioni prosaiche che andavano ancora discusse. Itkovian notò che il capitano Paran, il suo compagno dalla pelle scura e Whiskeyjack se n'erano già andati. Quanto a Gruntle, pareva essersi messo a sonnecchiare sulla sua sedia, ignorando l'espressione accigliata di Stonny. Rath'Hood e Rath'Tronod'Ombra erano accasciati ai loro posti, un'espressione cupa sulla maschera... cosa che indusse Itkovian a chiedersi quanto controllo avessero i sacerdoti su quegli oggetti laccati e articolati. Il nuovo Incudine-Scudo delle Spade Grigie sedeva immobile, lo sguardo fisso su Itkovian pieno di evidente dolore. E... compassione. Sono una causa di turbamento, si disse Itkovian, e si trasse indietro, spostandosi verso la parte posteriore del tendone. Con sua sorpresa, trovò ad attenderlo Paran, Whiskeyjack e l'uomo dalla pelle scura. Una donna di alta statura, dall'aria marziale e dalla pelle scura come la notte che era adesso con loro appuntò su di lui lo sguardo indagatore di straordinari occhi a mandorla del colore dell'erba disseccata dal sole. Incontrando quello sguardo, Itkovian quasi barcollò. Per le Zanne di Tener, quanta tristezza... un'eternità di perdita... un'esistenza vuota... La donna distolse l'attenzione con un'espressione dapprima sorpresa, poi allarmata. Non è per me, non per il mio abbraccio. Alcune ferite non possono mai essere guarite, alcuni ricordi non dovrebbero essere ridestati. Non gettare luce sull'oscurità. È troppo... D'un tratto si rese conto di un'altra cosa: Fener non c'era più, e con lui era svanita la sua protezione. Adesso lui era vulnerabile come non lo era mai stato prima, vulnerabile alla sofferenza del mondo, al suo cordoglio. «Itkovian, speravamo che arrivaste», affermò il capitano Paran. «Questi è Whiskeyjack, il mio comandante, e lui è Ben lo Svelto, degli Arsori di Ponti. La Tiste Andii è Korlat, comandante in seconda di Anomander Rake. Volete unirvi a noi, Itkovian? La vostra compagnia ci fa piacere.» «Nella mia tenda ho un barilotto di birra Gredfallan che ha bisogno di
essere vuotato», aggiunse Whiskeyjack. Il mio voto... «Accetto questo gradito invito, signori, grazie. Signora», aggiunse, rivolto a Korlat, «vi porgo le mie più sentite scuse». «Sono io che devo scusarmi», replicò Korlat. «Avevo la guardia abbassata e non ho pensato a tutto ciò che siete.» I tre Malazan guardarono prima l'uno poi l'altra dei due, ma non azzardarono domande o commenti. «Seguitemi», disse infine Whiskeyjack, e si avviò giù per il pendio, in direzione del campo dell'Armata. L'Arsore di Ponti, Ben lo Svelto, si affiancò a Itkovian. «Pare che oggi Volpe d'Argento ci abbia sorpresi tutti.» «Non la conosco, signore, quindi non posso avanzare osservazioni sul suo comportamento.» «Non avete percepito nulla da lei?» «Non ho detto questo.» «È vero, non lo avete fatto», convenne l'uomo, con un sorriso. «Ha fatto un torto terribile, ma non ne avverte il peso sulle spalle.» «Non lo avverte?» sussultò Ben lo Svelto. «Ne siete certo? Per il respiro di Hood, questo non va bene, non va affatto bene.» «Nightchill», disse Paran, alle loro spalle. «Credete?» domandò Ben lo Svelto, scoccandogli un'occhiata. «Lo so, mago. E a rendere le cose peggiori, Nightchill era... è... molto più di ciò che pensavamo. Non è soltanto una Grande Maga dell'Impero. È tutta asperità. Il suo compagno, Bellurdan, le dava equilibrio, ma non percepisco nulla del Thelomen.» «E Tattersail?» «È nell'ombra. Osserva, ma pare lo faccia senza molto interesse.» «Il soggetto era una donna chiamata Volpe d'Argento», mormorò Itkovian, «e tuttavia parlate di altri tre». «Scusateci. Sono rinati tutti dentro Volpe d'Argento. È una lunga storia.» Lui annuì. «E devono per forza vivere tutti gli uni con gli altri, indipendentemente da quanto sia disparata la loro natura individuale.» «Già», sospirò Paran. «Non mi sorprende che ci sia uno scontro di volontà.» «Non c'è guerra dentro di lei», affermò Itkovian. «Cosa?» «Quei tre sono in armonia. Interiormente, lei è calma.»
Intanto erano arrivati in pianura e si stavano avvicinando al campo Malazan. Whiskeyjack e Korlat procedevano fianco a fianco pochi passi più avanti. «Questa», mormorò Ben lo Svelto, «è la rivelazione più sorprendente della giornata». «Finora», precisò Paran. «Qualcosa mi dice che non è ancora finita.» «Signori», ansimò una voce alle loro spalle. «Un momento, per favore, mentre le gambe formidabili, ma purtroppo corte, di Kruppe si affrettano per portarlo in vostra compagnia!» L'elaborata affermazione richiese un tempo sufficiente a permettere a Kruppe di coprire la distanza che li separava, in quanto i tre uomini si fermarono in attesa dell'ansimante ometto prima di riprendere a camminare. «Vento fortunato!» disse ansimando Kruppe. «Ha portato fino a Kruppe tutte le vostre parole...» «Davvero conveniente», borbottò in tono asciutto Ben lo Svelto. «Senza dubbio avrai una decina di commenti da fare riguardo a Volpe d'Argento.» «Infatti. Dopo tutto, Kruppe è stato testimone dello spaventoso Raduno sopraddetto. Tuttavia, tutto l'allarme destato dai sunnominati eventi si è placato nel suo animo perché alcune verità sono emerse dall'oscurità per prostrarsi davanti ai piedi di Kruppe.» «Questo evoca l'immagine di te che inciampi e cadi a faccia in avanti, Daru», commentò il mago. «Kruppe ammette che la frase è mal costruita, ma nessuno di voi lo ha visto danzare! Lui sa danzare con abilità e grazia tali da togliere il fiato... anzi, scorre come un uovo intero su una padella ben unta! Inciampare? Cadere? Kruppe? Mai!» «Hai accennato a delle verità», gli ricordò Paran. «Ah, sì! Verità che si agitano come cuccioli intorno a Kruppe, che ha accarezzato a turno ognuna di esse, come farebbe un padrone gentile. Il risultato? Kruppe informa che va tutto bene all'interno di Volpe d'Argento! State tranquilli, siate calmi. Siate... uh...» «Hai inciampato?» «Sciocchezze. Perfino la confusione linguistica ha il suo valore.» «Davvero? E come?» «Uh, purtroppo è una cosa troppo sottile per esprimerla con mere parole. Non dobbiamo allontanarci troppo dall'argomento, che era la questione delle verità...» «Che si agitano come cuccioli.»
«Infatti, capitano. Come cuccioli di lupo, per essere più precisi.» I due Malazan si arrestarono di colpo, imitati un momento più tardi da Itkovian, mentre l'ipnotizzante, astratto flusso di parole di Kruppe rivelava un'improvvisa sostanza, come acqua che scorresse sulla roccia. Una roccia... una delle verità di Kruppe? Questi Malazan devono essere abituati a cose del genere... oppure sono semplicemente più furbi di me. «Vuota il sacco», ringhiò Paran. «Quale sacco, esattamente, caro capitano? Dopo tutto, Kruppe si crogiola in simili astute ambiguità, e quindi custodisce i suoi segreti, come deve fare qualsiasi rispettabile detentore di segreti. L'argomento riguarda questo ex mercenario vincolato dall'onore che cammina accanto a noi? Indirettamente sì, o per meglio dire riguarda la compagnia che lui ha così di recente abbandonato. Indirettamente, Kruppe lo ribadisce. Due Dei Antichi, un tempo meri spiriti, i primi a correre con i mortali - quei T'lan Imass che tanto tempo fa erano di carne e sangue - i più antichi fra i compagni. E i loro simili, che ancora corrono con i T'lan Imass. «Due dei-lupo, sì? C'è qui qualcuno che non ricordi la leggenda della loro separazione, della loro eterna ricerca uno dell'altra? Naturalmente, la rammentate tutti. Una storia così dolorosa, del genere che non viene mai dimenticato da bambini impressionabili. Ma cosa li ha separati? Cosa dice la storia? Poi un giorno l'orrore visitò la terra, un orrore che giungeva dal cielo oscuro e che scese a infrangere il mondo. E così gli amanti furono separati per non riabbracciarsi mai più. E continua così, bla, bla. «Signori, l'orrore era ovviamente la fatale discesa del Caduto e il risanamento imposto ai poteri superstiti è risultato un compito difficile e faticoso. Gli Dei Antichi hanno fatto quello che potevano, ma dovete capire che erano loro stessi più giovani delle due divinità-lupo e, cosa più significativa, non erano arrivati ad ascendere camminando al fianco degli umani... o di coloro che un giorno sarebbero diventati umani...» «Fermati, per favore!» scattò Paran. «Kruppe non può farlo! Fermarsi qui vorrebbe dire perdere tutto quello che deve essere detto! Ricordi quanto mai vaghi sono tutto ciò che rimane, e perfino essi stanno soccombendo al buio che incalza! Fragili frammenti giungono come sogni e la promessa di ricongiungimento e di rinascita è perduta, non più riconosciuta, quella redenzione promessa a chi vaga nella tundra in solitudine, ululando al vento... ma la salvezza è vicina! Gli spiriti più disparati sono uniti nella loro determinazione! Uno spirito di una durezza tagliente, per costringere i compagni ad attenersi alla strada prefissa-
ta nonostante tutta la sofferenza che altri devono sopportare. Un altro spirito, per tenere sotto controllo la sofferenza dell'abbandono finché essa non potrà trovare una risposta adeguata! E ancora un terzo spirito, pervaso di amore e di compassione... anche se in certa misura privo d'intelligenza, va ammesso... per infondere queste qualità nel momento imminente. E un quarto, dotato del potere di realizzare il necessario risanamento di antiche ferite...» «Un quarto?» sussultò Ben lo Svelto. «Chi è la quarta anima in Volpe d'Argento?» «Come!? La progenie di un Divinatore T'lan Imass, naturalmente, la figlia di Pran Chole, colei il cui vero nome è in effetti quello con cui noi tutti la conosciamo!» Itkovian spinse lo sguardo oltre Kruppe, notando che Korlat e Whiskeyjack erano fermi davanti a una grande tenda, una ventina di passi più avanti, e stavano guardando verso di loro, senza dubbio incuriositi, e tuttavia mantenendo una rispettosa distanza. «Quindi Kruppe consiglia a tutti e a ognuno di avere fede», riprese il Daru dopo un momento, in tono di profonda soddisfazione, le dita grassocce intrecciate sul ventre. «Siate pazienti, aspettate ciò che deve essere atteso.» «E tu la definisci una spiegazione?» domandò Paran, accigliandosi. «Il paradigma stesso dell'esplicazione, cari amici. Cogente e chiara, anche se formulata in maniera un po' strana. La precisione è un'arte esatta. La commozione è preminente e preclude la prevaricazione. Le verità non sono cose insignificanti, dopo tutto...» Itkovian si girò e si avviò verso Whiskeyjack e Korlat. «Itkovian?» chiamò Paran. «Mi sono ricordato di quella birra Gredfallan», replicò lui, da sopra la spalla. «Non ne bevo da anni, ma ora ne sento un bisogno incontenibile.» «Sono d'accordo. Aspettami.» «Infatti, voi tre, aspettate! Che dire della sete prodigiosa dello stesso Kruppe?» «Ma certo», ribatté Ben lo Svelto, incamminandosi sulla scia di Itkovian e di Paran. «Placala in maniera strana... ma fallo altrove.» «Oh oh! Ma quello che sta chiamando Kruppe da laggiù non è Whiskeyjack? Un generoso e gentile soldato, questo Whiskeyjack! Un momento! Kruppe vi vuole raggiungere!»
I due soldati di marina sedevano su massi che facevano parte del cerchio di un'antica tenda, a quindici passi dal punto in cui era ferma Volpe d'Argento; il finire del giorno stava allungando le ombre sulla prateria. «Quanto credi che ci metterà?» borbottò uno dei due. «Suppongo stia comunicando con quei T'lan Imass. Vedi come le vortica intorno la polvere? Potrebbe volerci tutta la notte.» «Ho fame!» «Già, ecco, ammetto che stavo adocchiando le tue cinghie di cuoio, mia cara.» «Il problema è che si sono dimenticati di noi.» «Non è questo il problema, ma il fatto che forse non siamo più necessarie. A lei non servono guardie del corpo, non due mortali come noi, comunque. Inoltre, abbiamo visto tutto quello che dovevamo vedere, il che significa che avremmo già dovuto fare rapporto.» «Non ci si aspettava che lo facessimo, tesoro. Ricordi? Chiunque voglia notizie da noi passa a fare due chiacchiere.» «Giusto, solo che è da un po' che non passa nessuno. Era questo che intendevo dall'inizio.» «Non significa che dobbiamo alzarci e andarcene. E poi, ecco che arriva qualcuno...» L'altro soldato di marina si girò sul masso. «Nessuno a cui si suppone che si debba fare rapporto», grugnì dopo un momento. «Hood sa che non li conosco neppure.» «Invece sì, almeno una, comunque. E quella maga-mercante di Trygalle, Haradas.» «L'altro è un soldato, direi. Una ragazza Elin. Guarda come muove bene i fianchi...» «La faccia però è dura.» «Occhi pieni di dolore. Potrebbe essere una di quelle Spade Grigie... l'ho vista ai negoziati.» «Già. Vengono verso di noi.» «Anch'io», affermò una voce, sulla loro sinistra. Voltandosi, i due soldati di marina videro che Volpe d'Argento si stava avvicinando. «Questa è una cosa terribile», mormorò. «Oh, e cosa, esattamente?» le chiese un soldato di marina. «Un raduno di donne.» «Non faremo pettegolezzi, vero?» grugnì l'altro soldato. Volpe d'Argento sorrise del suo tono faceto. «Fra i Rhivi, sono gli uomi-
ni a fare pettegolezzi. Le donne sono troppo impegnate a dare loro materiale su cui spettegolare.» «Huh. Questo mi sorprende. Credevo ci fosse un sacco di antiche leggi contro l'adulterio e cose del genere. Esilio, lapidazione, è questo che fanno le tribù, vero?» «Non i Rhivi. Andare a letto con il marito sbagliato è un gran divertimento... per le donne, naturalmente. Gli uomini la prendono troppo sul serio, com'è ovvio.» «Loro prendono tutto troppo sul serio, se vuoi il mio parere», borbottò il soldato di marina. «Succede a chi si dà troppa importanza», annuì Volpe d'Argento. Haradas e la sua compagna le raggiunsero; dietro di loro, ancora distante una sessantina di passi, stava sopraggiungendo anche una Barghast. La maga-mercante s'inchinò a Volpe d'Argento e ai due soldati di marina. «Il crepuscolo è un momento magico, vero?» «Cosa vorreste chiedermi?» replicò Volpe d'Argento. «La mia domanda nasce da una recente riflessione, Divinatrice, ed è questo che mi conduce da voi.» «Avete frequentato Kruppe troppo a lungo, Haradas.» «Forse. Come ben sapete, il problema dei rifornimenti continua a tormentare questi eserciti. Ai negoziati, i Barghast Viso Bianco si sono offerti di fornire buona parte delle scorte necessarie, ma nonostante la loro sicurezza, ritengo che presto si troveranno a loro volta in difficoltà.» «La vostra domanda riguarda Tellann», affermò Volpe d'Argento. «Infatti. Dopo tutto, il canale dei T'lan Imass dovrebbe essere esente da... dall'infezione. Se la nostra corporazione potesse rispettosamente utilizzarlo...» «Sì, è libero da infezione. Tuttavia, all'interno di Tellann c'è un potenziale di violenza che è un rischio per le vostre carovane.» «È sotto attacco?» chiese Haradas, inarcando le sopracciglia. «In un certo senso. Il Trono della Bestia è... contestato. Fra i T'lan Imass ci sono dei rinnegati e il Voto si sta indebolendo.» «Vi ringrazio per l'avvertimento, Divinatrice», sospirò la maga. «Ovviamente, la Corporazione Commerciale Trygalle calcola sempre il fattore di rischio, il che spiega le tariffe esorbitanti che richiediamo per i nostri servigi. Ci permetterete quindi di usare Tellann?» Volpe d'Argento scrollò le spalle. «Non vedo perché non dovrei. Conoscete un modo per creare un portale di accesso al nostro canale? Altrimenti
potrei...» «Non è necessario, Divinatrice», affermò Haradas, con un accenno di sorriso. «Abbiamo scoperto da tempo come accedervi, ma per rispetto verso i T'lan Imass, e potendo utilizzare altri canali più... civilizzati... non abbiamo mai usato tali portali.» Volpe d'Argento scrutò la maga per un momento. «Notevole. Posso soltanto concludere che la Corporazione Commerciale Trygalle sia gestita da una cabala di Grandi Maghi di notevole potere. Sapete che neppure i più potenti ed eruditi maghi dell'Impero Malazan sono riusciti a penetrare i segreti di Tellann? Un giorno, mi piacerebbe conoscere i fondatori della vostra corporazione.» «Sono certa che sarebbero deliziati e onorati dalla vostra compagnia, Divinatrice.» «Forse siete troppo generosa per loro conto, maga.» «Per nulla, ve lo garantisco. Sono lieta che la cosa si sia risolta così facilmente.» «È davvero un Raduno terribile», mormorò Volpe d'Argento. Haradas la fissò con sconcerto, poi si riprese e continuò: «Così, adesso posso presentarvi il nuovo Incudine-Scudo delle Spade Grigie, il capitano Norul». «Divinatrice», salutò il soldato, con un inchino, poi esitò e infine assunse un'espressione determinata, proseguendo: «Le Spade Grigie sono votate a Togg, Lupo dell'Inverno, e a Fanderay, Lupa dell'Inverno». «Una scelta interessante», commentò Volpe d'Argento. «Amanti perduti per l'eternità, e tuttavia uniti nello spirito dal duplice voto della vostra compagnia. Un gesto audace e generoso, Incudine-Scudo.» «Divinatrice, Togg e Fanderay non sono più perduti uno per l'altra. Ciascuno ha finalmente individuato la traccia del compagno. Il vostro atteggiamento sembra indicare che ne eravate all'oscuro, il che mi lascia confusa.» Questa volta fu Volpe d'Argento ad accigliarsi. «Perché mai? Non nutro particolare interesse per le antiche divinità-lupo...» Lasciò a mezzo la frase. «Divinatrice», riprese l'Incudine-Scudo, «Convocatrice del Secondo Raduno dei T'lan Imass, vi chiedo formalmente di cedere i T'lan Ay... i figli dei nostri dei». Silenzio. Volpe d'Argento fissò il comandante delle Spade Grigie con occhi soc-
chiusi, inespressiva in volto, poi un tremito le increspò i lineamenti. «Voi non capite», sussurrò infine. «Ho bisogno di loro.» «Perché?» chiese l'Incudine-Scudo. «P... per un... un dono. Devo... ripagare qualcuno. Ho giurato...» «A chi?» «A... a me stessa.» «In che modo i T'lan Ay sono coinvolti nella realizzazione di questo dono? Hanno corso con i T'lan Imass, questo è vero, ma non possono essere posseduti, né dai T'lan Imass, né da voi.» «È tuttavia sono stati uniti nel Rituale di Tellann, il Primo Raduno...» «Sono stati... coinvolti, per ignoranza. Vincolati per fedeltà e amore verso gli Imass di carne e di sangue, e come risultato hanno perso l'anima. Signora, i miei dei stanno arrivando, e le loro grida, che ora echeggiano ogni notte nei miei sogni, esigono... riparazione.» «Devo opporvi un rifiuto», affermò Volpe d'Argento. «Finché Togg e Fanderay non potranno venire fisicamente e manifestare il loro potere per imporre le loro richieste, non cederò i T'lan Ay.» «Rischiate la vita, Divinatrice.» «Gli dei-lupo dichiareranno guerra ai T'lan Imass? Ci salteranno alla gola insieme ai T'lan Ay, Incudine-Scudo?» «Non lo so, signora. Avrete la risposta alla vostra decisione, ma temo per voi, Divinatrice. Togg e Fanderay sono bestie ascese, persone come voi e come me non possono capire la loro anima. Chi può predire cosa ci sia nel cuore di simili creature?» «Dove sono adesso?» «Nel sud», rispose l'Incudine-Scudo, scrollando le spalle. «A quanto pare, ci incontreremo tutti all'interno del Dominio di Pannion.» «Allora ho ancora tempo.» «Signora, la realizzazione del vostro dono potrebbe costarti la vita.» «Sarebbe comunque uno scambio equo», borbottò quasi fra sé Volpe d'Argento. A quelle parole, leggendarie in seno all'Armata di Un-braccio, i due soldati di marina si scambiarono un'occhiata. Nel frattempo, la donna Barghast le aveva raggiunte ed era ferma a qualche passo di distanza, lo sguardo fisso su Norul e Volpe d'Argento mentre ne seguiva concentrato il dialogo. Nella pausa che seguì, la Barghast scoppiò in una bassa risata, attirando l'attenzione generale. «È un vero peccato che non ci siano uomini degni di questa compagnia»,
affermò. «Vedervi insieme mi ricorda quale sia il vero nucleo di potere del mondo. Soldati di marina Malazan, un Incudine-Scudo delle Spade Grigie, una strega e una maga. E adesso, a completare l'arazzo, una figlia dei Barghast Viso Bianco... che porta cibo e vino.» I due soldati di marina balzarono in piedi sorridendo. «E vorrei scambiare qualche pettegolezzo», continuò Hetan. «IncudineScudo! Itkovian non è più vincolato dai voti, vero? Posso attirarlo nel mio letto...» «Se riesci a prenderlo», replicò la Spada Grigia, inarcando un sopracciglio. «Se pure avesse cinquanta gambe, riuscirei a prenderlo! Volpe d'Argento, cosa mi dici di Kruppe?» «Cosa c'entra lui?» chiese la Divinatrice, sconcertata. «Sei una donna massiccia. Potresti intrappolarlo sotto di te! Farlo strillare!» «Che immagine orribile.» «Ammetto che è rotondo, piccolo e viscido, ma è astuto, giusto? L'astuzia riscalda il sangue già di per sé, vero? Ho sentito dire che anche se hai l'aspetto di una donna, dal punto di vista più importante sei ancora una bambina. Desta in te il desiderio, ragazza! Hai frequentato non-morti avvizziti per troppo tempo! Afferra la lancia con entrambe le mani, come dico sempre!» Volpe d'Argento scosse lentamente il capo. «Hai detto di aver portato del vino.» «Sì, due fiasche grosse quanto i tuoi seni e senza dubbio altrettanto dolci. Radunatevi, formidabili compagne, e festeggiamo!» «Una splendida idea, grazie», sorrise Haradas. L'Incudine-Scudo esitò, lanciò un'occhiata ai due soldati di marina, poi si tolse l'elmo malconcio con un sospiro. «Che i lupi aspettino», disse. «Non posso mantenere un comportamento cupo, come il mio predecessore.» «Non puoi o non vuoi farlo?» la sfidò Hetan. «Non voglio», precisò la donna, scuotendo i capelli grigi intrisi di sudore. «Che i lupi mi perdonino!» «Uno di essi lo farà», garantì la Barghast, accoccolandosi per tirare fuori i viveri che aveva nello zaino. Coll avvolse maggiormente le pellicce intorno al corpo fragile e avvizzi-
to della Mhybe. Dietro le palpebre abbassate, gli occhi si muovevano a tratti, frenetici, il suo respiro era affannoso e irregolare. Il consigliere Daru la osservò per un momento ancora, poi si raddrizzò e scese dal carro. Murillio era poco lontano, intento a stringere le cinghie che fissavano le botti d'acqua al fianco destro del carro. Vecchi teli da tenda erano stati usati per coprire i viveri che avevano acquistato quella mattina da un mercante Barghast, involti fissati all'altro lato del carro, cosa che dava al veicolo un aspetto largo e gonfio. I due uomini avevano anche acquistato a un prezzo esorbitante un paio di cavalli dagli Irregolari di Mott, una strana compagnia di mercenari dall'aria inetta annessa all'esercito di Caladan Brood, una di cui Coll aveva sempre ignorato l'esistenza, mercenari i cui abiti da boscaioli contrastavano con la loro professione marziale ma si adattavano alla perfezione al nome del gruppo. I cavalli erano a stento domati, alti e massicci, una razza che gli Irregolari sostenevano essere propria della loro terra, un incrocio derivante da destrieri Nathi, cavalli da tiro Mott e cavalli da soma Genabarii, razze mescolate in modo da produrre grossi animali massicci dal temperamento orribile e dalla groppa sorprendentemente ampia che li rendeva molto comodi da cavalcare. «A patto che non vi stacchino la mano a morsi», aveva aggiunto l'Irregolare, sfilandosi un pidocchio dai lunghi capelli flosci e buttandoselo in bocca mentre parlava. Coll sospirò, vagamente avvilito da quel ricordo. E si avvicinò con cautela ai due cavalli. Gli animali avrebbero potuto essere gemelli, entrambi sauri, con coda e criniera lunghe e arruffate, in cui erano impigliati semi e spine; le selle erano Malazan - senza dubbio vecchie spoglie di guerra - e le spesse coperte sottostanti erano Rhivi. Le due bestie lo adocchiarono e una di esse girò con noncuranza verso di lui i quarti posteriori, cosa che lo indusse a fermarsi con un'imprecazione. «Radice dolce», consigliò Murillio, ancora vicino al carro. «Corrompili. Qui ne abbiamo qualche pacchetto.» «Ricompensare le loro cattive maniere? No.» Coll aggirò gli animali tenendosi a distanza, ma essi erano stati legati a un picchetto da tenda e questo permise loro di seguire i suoi movimenti; tre passi più vicino, e gli avrebbero rotto la testa a calci. Il Daru imprecò ancora, poi disse: «Murillio, guida i buoi verso quel paletto; usa il carro per bloccare i cavalli. Se questo non dovesse funzionare, trovami un martello».
Sogghignando, Murillio salì a cassetta e prese le redini. Quindici secondi più tardi fece arrestare le bestie appena oltre il paletto, il carro posizionato in modo da impedire ai cavalli di spostarsi oltre, e Coll si affrettò a porre il veicolo fra se stesso e le cavalcature. «Quindi preferisci un morso a un calcio», commentò Murillio, guardando l'amico arrampicarsi sul carro, attraversarlo scavalcando la forma inerte della Mhybe e fermarsi a un braccio di distanza dai cavalli. Essi avevano teso al massimo le cavezze, indietreggiando il più possibile e strattonando il paletto; di fattura Rhivi, esso era studiato però in modo da resistere al forte vento della prateria e non si smosse, essendo piantato in profondità nel suolo. La mano guantata di Coll si protese di scatto e si chiuse su una delle cavezze, poi lui tirò con forza nel saltare giù dal carro. L'animale si mosse incespicando verso di lui con uno sbuffo e il suo compagno si ritrasse, allarmato. Continuando a stringere la cavezza in modo da tenere abbassata la testa dell'animale, Coll prese le redini con l'altra mano e balzò in sella con un singolo movimento. Il cavallo tentò di sgroppare e si spostò di lato fino a sbattere contro il compagno, intrappolando in mezzo una gamba di Coll, che grugnì di dolore ma non abbandonò le redini. «Ti verrà un bel livido», commentò Murillio. «Avanti, continua a dire cose piacevoli», ringhiò Coll, a denti stretti. «Avvicinati e sfila la cavezza. Bada a fare attenzione, sulla nostra testa c'è un singolo avvoltoio dall'aria speranzosa.» Il suo compagno lanciò un'occhiata verso il cielo e lo scrutò per un momento. «D'accordo», sibilò poi, «per un momento ci ho creduto, ma ora smettila di gongolare». E scavalcò lo schienale del sedile. Coll lo guardò balzare a terra e avvicinarsi con cautela al paletto. «Ripensandoci, forse avresti dovuto trovarmi un martello.» «Troppo tardi, amico», mormorò Murillio, sciogliendo il nodo. Il cavallo si lanciò all'indietro di una decina di passi, poi puntellò le zampe posteriori e s'impennò. Agli occhi di Murillio, la capriola all'indietro di Coll rivelò una grazia quasi poetica. Il grosso Daru riuscì ad atterrare in piedi e subito dovette gettarsi all'indietro per evitare un doppio calcio che, se lo avesse centrato, gli avrebbe sfondato il torace. Coll atterrò con un tonfo a pochi passi di distanza e il cavallo galoppò via, sgroppando di soddisfazione. Coll rimase immobile per un momento, fissando il cielo e sbattendo le
palpebre. «Stai bene?» chiese Murillio. «Procurami una corda e un po' di radice dolce.» «Ti suggerirei di usare invece un martello, ma dato che hai le tue idee, non lo farò», ribatté Murillio. In lontananza si udì uno squillare di corni. «Per il respiro di Hood», gemette Coll, sollevandosi a sedere. «La marcia verso Capustan è cominciata, e noi dovremmo essere in prima fila.» «Potremmo sempre viaggiare sul carro, amico. Riportiamo i cavalli agli Irregolari di Mott e facciamoci ridare i soldi.» «Il carro è già fin troppo carico», sottolineò Coll, alzandosi in piedi con un gemito, «e poi quell'uomo ha detto niente rimborsi». «Davvero?» fece Murillio, fissandolo. «E questo non ti ha destato sospetti?» «Zitto.» «Ma...» «Murillio, vuoi la verità? Quell'uomo era così male in arnese che mi è dispiaciuto per lui, d'accordo? Ora smettila di parlare e diamoci da fare». «Coll! Ha chiesto un prezzo pari al riscatto di un principe per...» «Basta così», ringhiò Coll. «Quel riscatto servirà a pagare il privilegio di uccidere quelle dannate bestie, oppure te... cosa preferisci?» «Non preferiresti correre dietro...» «Murillio», ammonì Coll. «Scusa. Scegli massi piccoli, per favore.» Nubi dense ribollivano basse sopra le onde in tempesta che guerreggiavano fra loro in mezzo a irregolari montagne di ghiaccio, onde che si contorcevano e vorticavano nell'abbattersi contro la riva, scagliando spuma verso il cielo con un rombo costante misto a stridenti scricchiolii e all'incessante martellare della pioggia battente. «Oh, povera me», mormorò Lady Invidia. I tre Seguleh, accoccolati sul lato sottovento di un grosso masso basaltico, intenti a spalmare di grasso le armi, avevano un aspetto miserevole, fradici di pioggia, sporchi di fango e con l'armatura a brandelli. Ferite di poco conto solcavano loro le braccia, le cosce e le spalle, quelle più profonde rozzamente ricucite con strisce di budello, le file di nodi annerite e appiccicose per il sangue coagulato che scorreva carminio sotto la pioggia. Poco lontano, Baaljagg era ferma su una sovrastante sporgenza di basal-
to. Sporca, incrostata, con il pelo arruffato che mancava a chiazze e una spanna di asta di lancia spezzata conficcata nella spalla destra - l'arma era lì da tre giorni, ma lei non permetteva a Invidia o ai Seguleh di avvicinarsi - la gigantesca lupa continuava a fissare verso nord con scintillanti occhi febbrili. Garath era sdraiato tre passi più indietro, scosso da un tremito incontrollabile, con le ferite in suppurazione, quasi il suo corpo piangesse dal momento che lui non poteva farlo; massiccio e quasi folle, non permetteva a nessuno, neppure alla lupa, di avvicinarsi. Apparentemente, soltanto Lady Invidia non era stata toccata dall'orrenda guerra che avevano intrapreso e perfino dalla pioggia battente. Il suo telaba bianco non mostrava una singola macchia, i capelli neri ricadevano folti e dritti fino ai fianchi, le labbra erano dipinte di un rosso cupo e vagamente minaccioso, mentre il nero che le delineava gli occhi conteneva i toni del crepuscolo. «Oh, povera me», sussurrò di nuovo. «Come faremo a seguire Tool attraverso... tutto questo? Perché lui non è un elefante T'lan o una balena T'lan, che ci avrebbero potuti trasportare sul loro dorso in sontuose portantine? Con l'acqua calda corrente grazie a ingegnosi sistemi di tubatura?» Mok le si affiancò, la pioggia che scorreva sulla maschera smaltata. «Lo affronterò ancora», disse. «Davvero? E da quando duellare con Tool è diventato più importante della missione presso il Veggente? Come reagiranno il Primo o il Secondo vedendo che ti dai tanta importanza?» «Il Primo è il Primo, il Secondo è il Secondo», fu la laconica risposta. Lady Invidia levò gli occhi al cielo. «Che osservazione astuta», commentò. «Le esigenze personali hanno la priorità, signora. Sempre, altrimenti non ci sarebbero campioni e non ci sarebbe gerarchia. I Seguleh sarebbero governati da gementi martiri intenti a calpestare ciecamente gli impotenti nella loro brama di fare il bene comune. Oppure saremmo governati da despoti che si nasconderebbero da ogni sfida dietro un esercito, facendo della forza bruta una giusta rivendicazione d'onore. Noi conosciamo le altre terre, signora, sappiamo molto più di quanto crediate.» Invidia si girò a fissarlo. «Santi numi, e io che stavo supponendo che mi fosse negato avere una conversazione.» «Siamo immuni dal vostro disprezzo, signora.» «Tutt'altro. Ti sei mostrato seccato da quando ti ho ridestato. Seccato?
Sei addirittura furente.» «Ci sono questioni da discutere», affermò Mok. «Ne sei certo? Ti stai per caso riferendo alla tumultuosa tempesta che ci impedisce di proseguire? O forse ai resti in fuga dell'esercito che ci ha inseguiti fin qui? Non torneranno, te lo assicuro...» «Avete inviato la pestilenza fra loro.» «Che accusa oltraggiosa! È stato un miracolo che la malattia non li abbia colpiti già da molto tempo, considerato che si mangiano a vicenda senza neppure la civile pratica della cottura. Povera me, che tu osi accusarmi...» «Garath sta morendo per quella pestilenza, signora.» «Cosa? Sciocchezze! È afflitto dalle sue ferite...» «Ferite che il potere del suo spirito avrebbe da tempo risanato. La febbre che è in quella bestia, e che le riempie i polmoni, è la stessa che affligge i Pannion.» Lentamente, il guerriero si volse a fronteggiarla. «Fate qualcosa». «È un oltraggio...» «Signora.» «Oh, d'accordo. Non vedi la deliziosa ironia di tutto questo? Poleil, Signora della Pestilenza, si è alleata con il Dio Storpio, una decisione che mi offende profondamente, ci tengo che tu lo sappia. Sono stata davvero astuta a saccheggiare il suo canale e ad affliggere in questo modo i suoi alleati!» «Dubito che le vittime apprezzino tale ironia, signora. E credo non lo faccia neppure Garath.» «Avrei preferito che rimanessi taciturno!» «Guaritelo.» «Non mi lascia avvicinare!» «Garath non è più in grado di alzarsi, signora. Non si rialzerà più da dove ora giace, a meno che non lo risaniate.» «Oh, sei davvero insopportabile! Se ti sbagli, e lui dovesse cercare di mordermi, mi infurierò con te, Mok. Renderò sterili i tuoi lombi e ti renderò strabico, in modo che chiunque guardi te e quella tua stupida maschera non possa trattenersi dal ridere. E poi penserò anche a qualche altra cosa, te lo garantisco.» «Risanatelo.» «È ovvio che lo farò! Dopo tutto, Garath è il mio amato compagno, anche se una volta ha cercato di urinare sulla mia veste; devo però ammettere che poiché stava dormendo, si deve essere trattato di uno scherzo di K'rul.
D'accordo, d'accordo, smettila di interrompermi.» E si avvicinò al grosso cane. I suoi occhi erano vitrei, ogni respiro era una lotta dolorosa con la tosse, e lui non sollevò neppure la testa quando gli si accostò. «Oh, caro, perdona la mia disattenzione, amatissimo cucciolo. Ho pensato soltanto alle tue ferite, e stavo già cominciando a piangerti per morto. Sei schiacciato da un'immonda malattia? È inaccettabile. Anzi, è facile da rimediare. Ecco...» E protese le dita, appoggiandole appena sulla pelle rovente, fumante, della bestia. Garath girò la testa e ritrasse lentamente le labbra dai denti. «È così che mi ringrazi?» protestò Lady Invidia, affrettandosi a indietreggiare. «Ti ho risanato, carissimo.» «Ma siete stata voi a farlo ammalare, signora», puntualizzò Mok, alle sue spalle. «Taci, non intendo più parlare con te. Garath! Guarda come ti stanno tornando le forze! Vedi, sei già in piedi! Oh, splendido! No... sta' lontano, per favore, a meno che tu non voglia una carezza. Vuoi una carezza? Allora smettila subito di ringhiare!» Mok s'interpose fra loro, lo sguardo sul cane infuriato. «Garath, abbiamo bisogno di lei come ne abbiamo di te. Continuare questa ostilità è inutile e dannoso.» «Non ti può capire!» protestò Lady Invidia. «È un cane! E un cane infuriato, per di più.» La massiccia creatura si volse e si diresse lentamente verso il punto in cui Baaljagg era ferma a fissare la tempesta. La lupa non lo degnò neppure di un'occhiata. «Baaljagg ha visto qualcosa, signora», affermò Mok, venendo avanti. «Cosa? Là fuori?» Entrambi risalirono in fretta il pinnacolo. Le masse di ghiaccio mobile avevano catturato una preda. A meno di mille passi di distanza, al limite estremo della piccola insenatura che avevano davanti, galleggiava una struttura, cinta su due lati da alte pareti che parevano fatte di vimini intrecciati e sovrastata da case coperte di brina tre in tutto - e che sembrava un frammento strappato a una città portuale. Uno stretto vicolo tortuoso era visibile fra le alte abitazioni. Il ghiaccio che intrappolava la base della struttura si spostò per opera di qualche corrente, rendendo visibili i due lati opposti e rivelando che la struttura di legno scendeva al di sotto del livello della strada e poggiava su grandi tronchi di
balsa e su quelle che sembravano enormi vesciche gonfie, tre delle quali erano forate e flosce. «Decisamente strano», commentò Lady Invidia. «Mekros», affermò Mok. «Prego?» «La dimora dei Seguleh è un'isola, signora. Raramente veniamo visitati dai Mekros, che dimorano in città che viaggiano sugli oceani. Essi cercano di razziare le nostre coste, dimenticandosi sempre dell'esito sfortunato delle razzie precedenti. Il loro feroce entusiasmo diverte i membri delle Scuole Inferiori.» «Ebbene», sbuffò Lady Invidia, «non vedo abitanti in quel... quartiere alla deriva». «Neppure io, signora. Guardate però il ghiaccio subito al di là di quel frammento. Ha trovato una corrente esterna e cerca di unirsi a essa.» «Santi numi, non starai suggerendo...» Baaljagg rispose con chiarezza alla sua domanda incompleta. Girandosi di scatto, li oltrepassò in un lampo e saettò verso le sottostanti rocce martellate dalle onde. Pochi momenti più tardi, videro l'enorme lupa balzare dall'acqua in tempesta su un'ampia piattaforma di ghiaccio e portarsi sul suo lato opposto, spiccando un secondo salto per passare al blocco di ghiaccio successivo. «Sembra un metodo applicabile anche a noi», affermò Mok. Garath iniziò a correre, seguendo la lupa verso la riva. «Oh!» gridò Lady Invidia, battendo a terra un piede. «Non possiamo neppure discuterne?» «Vedo formarsi una possibile strada, signora, che potrebbe evitarci di bagnarci troppo...» «Bagnarci? Chi è bagnato? Benissimo, chiama i tuoi fratelli e precedimi.» Il tragitto sui blocchi di ghiaccio sobbalzanti e spesso sommersi si rivelò pericoloso e spossante. Quando raggiunsero il muro di vimini posteriore, Garath e Baaljagg non erano più in vista, ma poterono seguirne le tracce sulla zattera innevata che pareva tenere a galla la maggior parte della struttura dei Mekros e si estendeva fino al lato infranto e privo di mura. All'interno di quella caotica struttura di assi e puntelli inclinati erano stati creati gradini di spesse assi, senza dubbio costruiti in origine per le opere di manutenzione della zattera della città. Tutti i gradini coperti di brina rivelavano le profonde impronte lasciate dalla lupa e dal cane nel risalirli.
L'acqua che colava lungo la struttura simile a una ragnatela rivelava la natura tronca della strada e delle case sovrastanti. Con Senu all'avanguardia, seguito da Thurule, da Mok e infine da Lady Invidia, il gruppo prese a salire con lenta cautela e alla fine emerse da una botola grande quanto un magazzino che si apriva nel pavimento inclinato di una delle case. Lungo tre delle quattro pareti, la camera era ingombra di provviste in sacchi di tela, mentre grosse botti erano rotolate qua e là fino ad ammassarsi in un angolo. Sulla destra una porta a due battenti appariva infranta, senza dubbio da Baaljagg e Garath, e rivelava oltre la soglia una strada acciottolata. L'aria era gelida. «Potrebbe valere la pena di esaminare ognuna di queste case, di livello in livello, per vedere quale sia la più solida, e quindi la più abitabile», suggerì Mok a Lady Invidia. «Sembra siano rimaste notevoli scorte di viveri, che potremo utilizzare.» «Sì, sì», rispose lei, in tono distratto. «Lascio a te e ai tuoi fratelli queste prosaiche incombenze. La supposizione che il nostro viaggio possa continuare si basa però sulla non comprovata teoria che questa trappola ci debba per forza portare al nord, attraverso tutta la Baia di Coral e fino alla città che è la nostra meta, e pare che io sia la sola disposta a preoccuparsi di questo particolare.» «Come preferite, signora.» «Attento a te, Mok», scattò lei. Il guerriero chinò la testa in un tacito gesto apologetico. «I miei servitori sembrano dimenticare quale sia il loro posto. Pensate alla portata della mia massima irritazione, voi tre. Intanto io passerò il tempo sulla strada cittadina», disse Lady Invidia, girandosi di scatto e avviandosi alla porta. Baaljagg e Garath erano fermi tre passi più avanti, la pioggia che colpiva loro il dorso con tanta forza da creare un velo di spruzzi, ed entrambi erano rivolti verso una figura isolata, in piedi nell'ombra dell'abbaino sporgente della casa di fronte. Per un momento, Lady Invidia quasi sospirò di sollievo, poi si rese conto di non riconoscere quella figura. «Oh, e io che stavo quasi per dire: caro Tool, dopo tutto ci avete aspettati! Ma voi non siete lui, vero?» Il T'lan Imass che aveva davanti era più basso e tozzo di Tool. Tre larghe spade di ferro nero e di una fattura ignota trapassavano il torace massiccio del guerriero non-morto, due conficcate nella schiena e l'altra nel
fianco sinistro, e le costole spezzate sporgevano dalla pelle nera coperta di salsedine. Il cuoio che rivestiva l'impugnatura delle tre spade pendeva in strisce ormai marce dalla sottostante struttura in legno e vaghi residui di magia antica fluivano lungo le lame sfregiate. I lineamenti del guerriero erano straordinariamente pesanti: la fronte era una sporgenza ossea priva di pelle chiazzata di marrone scuro, gli alti zigomi sporgevano in fuori a incorniciare le orbite ovali e i canini superiori erano rivestiti da zanne di rame battuto a freddo. Il T'lan Imass non aveva elmo e i lunghi capelli ormai incolori pendevano ai lati dell'ampia faccia priva di mento, appesantiti sulle punte da denti di squalo. Un'apparizione orribile e spaventosa, rifletté Lady Invidia. «Avete un nome, T'lan Imass?» chiese. «Ho udito la convocazione», replicò il guerriero, con voce distintamente femminile. «Essa è giunta da un luogo posto nella direzione verso cui avevo già scelto di andare, il nord. Ormai non sono lontana. Parteciperò al Secondo Raduno e mi rivolgerò ai miei Fratelli del Rituale. Dirò loro che sono Lanas Tog, inviata a portare notizia della sorte degli Ifayle T'lan Imass e del mio clan, Kerluhm T'lan Imass.» «Affascinante», commentò Lady Invidia. «E quale sarebbe questa sorte?» «Io sono l'ultima dei Kerluhm. Gli Ifayle, che hanno dato ascolto alle nostre prime convocazioni, sono praticamente distrutti. I pochi che rimangono non riescono a districarsi da quel conflitto. Io stessa non mi aspettavo di sopravvivere al tentativo, ma l'ho fatto.» «Una guerra veramente orribile», convenne Lady Invidia. «Dove si sta svolgendo?» «Sul continente di Assail. Le nostre perdite ammontano a ventinovemilaottocentoquattordici Kerluhm e ventiduemila duecento Ifayle. Otto mesi di battaglia. Abbiamo perso questa guerra.» Lady Invidia rimase in silenzio per un momento. «Pare che abbiate infine trovato un Tiranno Jaghut capace di tenervi testa, Lanas Tog», disse infine. La T'lan Imass piegò il capo da un lato. «Non è uno Jaghut. È un umano.» LIBRO QUARTO MEMORIE DI GHIACCIO
I primi a entrare, gli ultimi a uscire. Motto degli Arsori di Ponti CAPITOLO VENTUNESIMO Il volto del tuo amico può rivelarsi la maschera, la pittura che subisce sottili mutamenti ad alterare il viso un tempo familiare. Oppure il bambino che si è formato invisibile nel privato dell'oscurità mentre oziavi ignara può rivelare uno choc crudele quanto un sasso attraverso la vetrata di un tempio. Per queste cose non c'è armatura per l'anima. E sulla maschera è scritta la parola audace. Che echeggia negli occhi del bambino, d'un tratto straniero a tutto ciò che conoscevi. Tale è il tradimento. Veglia Funebre di Sorulan Minir Othal Il capitano Paran arrestò il cavallo vicino alle macerie annerite dal fumo della ridotta della Guardia Orientale e si volse sulla sella per dare un'ultima occhiata alle mura malconce di Capustan. Il Palazzo di Jelarkan si ergeva alto e scuro sullo sfondo del cielo azzurro, la torre attraversata da strisce di pittura nera, simili a crepe, a simboleggiare il lutto della città per il principe perduto. Le prossime piogge avrebbero poi lavato via la pittura senza che ne rimanesse traccia; a quanto Paran aveva sentito dire, il palazzo non portava mai a lungo il lutto. Gli Arsori di Ponti stavano uscendo dalla Porta Orientale. I primi a entrare, gli ultimi a uscire. Stanno sempre attenti a questi particolari gesti. Il sergente Antsy era a capo del gruppo, seguito dal caporale Picker, e pareva che i due stessero discutendo, il che non era una novità. Alle loro spalle, i soldati delle altre sette squadre avevano perso coesione e la compagnia marciava senza un ordine particolare, cosa su cui Paran si soffermò
a riflettere. Conosceva il nome e il volto di tutti gli Arsori di Ponti superstiti, e ovviamente aveva incontrato gli altri sergenti e caporali, ma gli pareva comunque che in essi ci fosse qualcosa di stranamente effimero; socchiudendo gli occhi, li osservò marciare lungo la strada, velati di polvere, simili a figure di un logoro arazzo sbiadito dal sole. La marcia degli eserciti era senza tempo. Un rumore di zoccoli alla sua destra lo indusse a voltarsi; Volpe d'Argento arrestò il cavallo al suo fianco. «Sarebbe stato meglio che avessimo continuato a evitarci», disse Paran, riportando lo sguardo sui soldati in marcia. «Sono d'accordo, ma è successo qualcosa», replicò lei, dopo un momento. «Lo so.» «No, non lo sai. Ciò a cui senza dubbio ti riferisci non è quello di cui io sto parlando. Capitano, mia madre è scomparsa, lei e i due Daru che l'accudivano. Da qualche parte, in città, hanno lasciato la colonna con il carro. Pare che nessuno abbia visto niente, anche se naturalmente non posso interrogare un intero esercito...» «Cosa mi dici dei tuoi T'lan Imass? Loro non li potrebbero trovare con facilità?» Lei si accigliò e non replicò. «Non sono contenti di te, vero?» ipotizzò Paran, lanciandole un'occhiata. «Non è questo il problema. Ho mandato loro e i T'lan Ay dall'altra parte del fiume.» «Abbiamo affidabili mezzi esplorativi, Volpe d'Argento...» «Basta così. Non sono tenuta a dare spiegazioni.» «Ma stai chiedendo il mio aiuto.» «No. Ti sto chiedendo se ne sai qualcosa. Qualcuno deve aver aiutato quei Daru.» «Hai interrogato Kruppe?» «È sorpreso e sgomento quanto me, e gli credo.» «Ecco», rifletté Paran, «la gente ha la tendenza a sottovalutare Coll, ma lui è capacissimo di aver organizzato tutto questo da solo». «Non sembri renderti conto della gravità di quello che hanno fatto. Con il rapimento di mia madre...» «Un momento, Volpe d'Argento. Hai lasciato tua madre alle loro cure. Lasciata? No, è un termine troppo blando. L'hai abbandonata, e non ho alcun dubbio che Coll e Murillio abbiano preso il loro incarico con la mas-
sima serietà, dimostrando per la Mhybe tutta la compassione che tu non sembri provare. Considera la situazione dal loro punto di vista. Si stanno prendendo cura di lei giorno dopo giorno, guardandola avvizzire, e vedono la figlia della vecchia che si tiene sempre a distanza e ignora sua madre. Così, decidono di dover trovare qualcuno che possa aiutare la Mhybe, o che le possa almeno garantire una fine dignitosa. Rapire qualcuno significa sottrarlo a qualcun altro. La Mhybe è stata portata via, ma non è stata sottratta a nessuno.» Pallida in volto, Volpe d'Argento non rispose subito. «Non hai idea di cosa ci sia fra noi, Ganoes», replicò, con voce roca. «E pare che tu non sappia come si fa a perdonare... lei, o te stessa. Il senso di colpa è diventato un abisso.» «Questa è davvero grandiosa, venendo da te.» «Io ho percorso la mia discesa, Volpe d'Argento», ribatté lui, con un sorriso teso, «e adesso sto risalendo dall'altra parte. Le cose sono cambiate, per entrambi». «E quindi hai volto le spalle ai sentimenti che asserivi di provare per me.» «Ti amo ancora. Quando sei morta, però, sono caduto vittima di una sorta di infatuazione, convincendomi che quello che avevamo avuto era stato molto più vasto e profondo di quanto fosse stato davvero. Fra tutte le armi che usiamo contro noi stessi, il senso di colpa è la più affilata, Volpe d'Argento; essa può intagliare il passato di una persona dandogli una forma irriconoscibile, falsi ricordi generano convinzioni che seminano ogni sorta di ossessioni.» «Sono lieta di sentirti chiarire le cose in questo modo, Ganoes. Non hai pensato che anche esaminare clinicamente se stesso è un'altra ossessione? Ciò che si seziona deve essere morto; dopo tutto, è questo il principio di base.» «Così mi ha spiegato il mio tutore, tanti anni fa», annuì Paran. «Continua però a sfuggirti una sottile verità. Posso esaminare me stesso e ogni mio sentimento finché l'Abisso inghiottirà il mondo, senza però avvicinarmi a ottenere il controllo sulle mie emozioni, perché esse non sono statiche, non sono immuni dal mondo esterno, da ciò che gli altri dicono o non dicono, e sono quindi in costante trasformazione». «Straordinario», mormorò lei. «Il capitano Ganoes Paran, giovane maestro di autocontrollo, tiranno di se stesso. Sei davvero cambiato, al punto che non ti riconosco più.»
Paran la scrutò in volto, cercando un indizio sui sentimenti che si celavano dietro quelle parole, ma lei aveva eretto un muro. «Io, invece», affermò lentamente, «ti trovo fin troppo riconoscibile». «Questa la definiresti ironia? Mi vedi come la donna che un tempo amavi, mentre io ti vedo come un uomo che non ho mai conosciuto.» «Ci sono troppi fili intrecciati per fare dell'ironia, Volpe d'Argento.» «Forse del pathos, allora?» Lui distolse lo sguardo. «Ci siamo allontanati dall'argomento. Temo di non poterti dire nulla sulla sorte di tua madre, ma sono comunque certo che Coll e Murillio faranno per lei tutto il possibile.» «Allora sei ancora più stolto di loro, Paran. Rubandomela, hanno sigillato la sua condanna.» «Non sapevo che fossi un tipo melodrammatico.» «Io non sono...» «È una vecchia, e sta morendo. Che l'Abisso mi prenda, lasciala in pace...» «Non mi stai ascoltando», sibilò Volpe d'Argento. «Mia madre è intrappolata in un incubo... nella sua mente, ed è sperduta, terrorizzata. Braccata! Le sono rimasta più vicina di quanto tu abbia realizzato. Molto più vicina!» «Volpe d'Argento», affermò con calma Paran, «se è chiusa in un incubo, allora per lei vivere è diventato una maledizione. La sola, vera misericordia è aiutarla a farla finita, una volta per tutte». «No! È mia madre, dannazione a te! E io non l'abbandonerò!» Volpe d'Argento girò il cavallo e gli piantò i talloni nei fianchi. Paran la guardò allontanarsi. Volpe d'Argento, quali macchinazioni hai architettato intorno a tua madre? Cosa cerchi per lei? Non potresti dircelo, per favore, in modo da farci capire che quello che vediamo come un tradimento è in effetti qualcosa di diverso? Ma è qualcosa di diverso? E queste macchinazioni, di chi sono? Di certo non di Tattersail. No, si deve trattare di Nightchill. Oh, come ti sei chiusa a me, adesso, mentre un tempo ti protendevi senza posa, cercando di aprire il mio cuore. Pare che quello che abbiamo condiviso tanto tempo fa, a Pale, non sia mai esistito. Sto cominciando a pensare che sia stato molto più importante per me che non per te. Tattersail... dopo tutto, tu eri una donna matura, avevi avuto la tua parte di amori e di perdite, mentre io non avevo ancora quasi vissuto.
Ciò che è stato, dunque, non è più. Divinatrice in carne e ossa, sei diventata più fredda dei T'lan Imass che ora comandi. Suppongo che abbiano trovato una padrona degna di loro. Che Beru ci protegga tutti. Delle trenta chiatte da trasporto e ponti galleggianti che i Pannion avevano usato per attraversare il fiume Catlin solo un terzo era ancora utilizzabile, in quanto il resto aveva subito lo zelo eccessivo dei Barghast Viso Bianco nel corso del primo giorno di battaglia. Alcune compagnie dell'assortimento di truppe mercenarie di Caladan Brood si erano lanciate nello sforzo di recuperare i rottami, con l'intento di mettere insieme qualche altro natante utilizzabile, mentre un unico ponte galleggiante e le dieci chiatte superstiti si stavano già spostando lungo le funi tese attraverso il fiume, traghettando truppe, cavalli e provviste. Itkovian stava osservando quello spettacolo nel passeggiare lungo la riva. Aveva lasciato il cavallo su una vicina collinetta erbosa e stava ora vagando da solo, con l'unica compagnia dei ciottoli che si spostavano sotto i suoi piedi e del sommesso frusciare del vento. Quel vento odoroso di salsedine giungeva dall'estuario del fiume, e impediva quindi ai rumori alle sue spalle - lo stridere degli argani, il muggire dei buoi, le grida dei conducenti - di raggiungerlo. Sollevando lo sguardo, vide una figura sulla spiaggia, più avanti, seduta a gambe incrociate e rivolta verso la scena del guado. Con i capelli arruffati, vestito con un assortimento di stracci macchiati, l'uomo era impegnato a dipingere su un pezzo di mussola teso su un fondo di legno; Itkovian si soffermò a osservarlo muovere la testa su e giù, con il pennello che saettava qua e là nella sua mano mentre lui borbottava fra sé. Forse, non stava però parlando con se stesso. Uno dei sassi grossi quanto un teschio sparsi intorno all'artista si mosse di colpo, rivelando di essere un grosso rospo verde oliva... che stava ribattendo alla filippica dell'artista in toni bassi e profondi. Itkovian si avvicinò. Il rospo lo vide per primo, e disse qualcosa in una lingua che lui non comprese; sollevando a sua volta lo sguardo, l'artista si accigliò. «Le interruzioni non sono gradite», ammonì in tono secco, in Daru. «Chiedo scusa, signore...» «Aspettate! Voi siete quello che si chiama Itkovian! Il difensore di Ca-
pustan!» «Ho fallito nella dife...» «Sì, sì, tutti sanno quello che avete detto ai negoziati. Idiozie. Quando vi dipingerò, baderò a includere un'aria di nobile fallimento, forse nel vostro atteggiamento, o nello sguardo. Una certa curva delle spalle... sì, credo di esserci. Precisamente. Eccellente.» «Siete un Malazan?» «È ovvio che sono un Malazan! A Brood importa forse un accidente della storia? No. Ma il vecchio Imperatore! Oh, sì, a lui importava davvero! C'erano artisti con ogni esercito, in ogni campagna! Artisti dotati del massimo talento, dall'occhio acuto... veri geni! Come Ormulogun di Li Heng!» «Temo di non aver mai sentito quel nome. Era un grande artista dell'Impero Malazan?» «Era? Lo è! Io sono Ormulogun di Li Heng, naturalmente, eternamente imitato ma mai superato! Ormulogun Seraith Gumble!» «Un titolo impressionante...» «Non è un titolo, sciocco. Gumble è il mio critico», dichiarò il pittore, accennando al rospo e, rivolto a esso, aggiunse: «Osservalo bene, Gumble, in modo da poter poi rilevare la perfezione del mio futuro ritratto. Si tiene eretto, giusto? E tuttavia le sue ossa devono essere di ferro, oppresse come sono dal peso di centomila pietre angolari... o anime, per essere più precisi. E i suoi lineamenti? Guarda bene, Gumble, e potrai valutare appieno quest'uomo. E sappi questo: quando io catturerò sulla tela tutto ciò che lui è, nel raffigurare i negoziati di Capustan... in quell'immagine vedrai che Itkovian non ha ancora finito la sua parte.» Il soldato sussultò. «Oh, sì, guerriero, vedo troppo in profondità per i vostri gusti, vero?» sorrise Ormulogun. «Avanti, Gumble, sputa fuori i tuoi commenti, perché la marea sta salendo! Coraggio, sentiamo!» «Sei pazzo», dichiarò il rospo, laconico. «Perdonatelo, Incudine-Scudo. Ammorbidisce il pennello mettendolo in bocca, e la pittura gli ha avvelenato il cervello...» «Lo ha avvelenato, messo in salamoia, cotto a puntino... sì, sì, ho sentito tutte le versioni fino ad averne la nausea!» «Un sintomo prevedibile», commentò il rospo. «Io non sono un critico, Incudine-Scudo, sono soltanto un umile osservatore che, quando può, parla per conto delle mute moltitudini altrimenti note come la gente comune o, più precisamente, la massa. Un pubblico, capirai bene, assolutamente in-
capace di autorealizzarsi o di articolare in modo cogente, e quindi dotato di gusti deprimentemente volgari, quando non è in grado di valutare cosa gli piaccia veramente. Il mio modesto dono, quindi, è quello di comunicare la cornice estetica in cui si inserisce la maggior parte degli artisti.» «Ah, l'astuto! Davvero astuto e viscido! Ecco, prendi una mosca!» Ormulogun infilò le dita sporche di pittura in una sacca che aveva al fianco e tirò fuori un tafano, lanciandolo al rospo. L'insetto, ancora vivo ma privato delle ali, atterrò davanti a Gumble, che scattò in avanti e lo divorò in un istante. «Come stavo dicendo...» «Un momento, per favore», interruppe Itkovian. «Te lo concederò se dimostrerai un'ammirevole brevità», ribatté il rospo. «Ti ringrazio, signore. Ormulogun, avete detto che era pratica dell'Imperatore di Malaz assegnare artisti ai suoi eserciti, presumibilmente per immortalare momenti storici. Tuttavia, l'Armata di Un-braccio non è stata dichiarata fuorilegge? Per chi state dipingendo, dunque?» «È essenziale che la sua messa al bando sia immortalata! E poi, non ho avuto altra scelta se non accompagnare l'esercito. Cosa volevate che facessi, che dipingessi tramonti sui sassi a Darujhistan per guadagnarmi da vivere? Mi sono ritrovato nel continente sbagliato! Quanto alla cosiddetta comunità degli artigiani e dei mecenati nella cosiddetta città di Pale, e i loro cosiddetti stili espressivi...» «Ti odiavano», dichiarò Gumble. «E io odiavo loro! Dimmi, a Pale hai visto una qualsiasi cosa che fosse degna di menzione? L'hai vista?» «Ecco, c'era un mosaico...» «Cosa?» «Per fortuna, l'artista a cui era attribuito era morto da tempo, il che mi ha permesso di sperticarmi negli elogi della sua opera.» «E quello sarebbe sperticarsi? "Promettente..." Non è questo che hai detto? Sai benissimo di aver detto esattamente questo, non appena quel damerino del nostro ospite ha precisato che l'artista era morto!» «Un'affermazione faceta», commentò Itkovian. «Io non sono mai faceto», dichiarò il rospo. «Ma a volte sei sfaccettato! Ah! Astuto rospo, sì!» «Succhia un altro po' di pittura, vuoi? Là, quel bianco argento sembra gustoso.» «Mi vuoi morto», borbottò Ormulogun, protendendosi verso il piccolo
blocco di pittura gommosa, «in modo da poterti sperticare». «Se lo dici tu.» «Sei una sanguisuga, lo sai? Mi segui dappertutto! Un vero avvoltoio.» «Mio caro uomo, io sono un rospo», sospirò Gumble, «mentre tu sei un artista. E per la fortuna che ho avuto nel non essere te, ringrazio ogni giorno ogni dio che esiste e che è esistito». Itkovian li lasciò a scambiarsi insulti sempre più elaborati e proseguì lungo la riva, dimenticandosi di guardare il quadro di Ormulogun. Una volta attraversato il fiume, gli eserciti si sarebbero divisi. La città di Lest si trovava direttamente a sud, a quattro giorni di marcia, mentre la strada per Setta deviava verso sudovest, in quanto Setta si trovava ai piedi dei Monti della Visione e sorgeva sulle rive del fiume da cui prendeva il nome, lo stesso che continuava fino al mare a sud di Lest e che avrebbe dovuto essere prima o poi attraversato da entrambi i contingenti. Itkovian avrebbe accompagnato l'esercito diretto a Lest, che consisteva di Spade Grigie, elementi dei Tiste Andii, i Rhivi, gli Ilgres Barghast, un reggimento di cavalleria di Saltoan e una manciata di compagnie mercenarie minori del Genabackis Settentrionale. Caladan Brood conservava il comando assoluto, con Kallor e Korlat come comandanti in seconda; quanto alle Spade Grigie, erano una sorta di contingente alleato, e l'IncudineScudo era considerato alla pari di Brood. Quella distinzione non si applicava invece agli altri gruppi di mercenari, che erano tutti legati all'Alto Comandante da un contratto. Il Daru Gruntle e i suoi seguaci striati erano visti come del tutto indipendenti, bene accetti alle riunioni ma liberi di fare quello che volevano. Nel complesso, a parere di Itkovian l'organizzazione del comando era confusa, le gerarchie di rango erano effimere. Non è dissimile dalle circostanze in cui eravamo a Capustan, con il principe e il Consiglio Mascherato che intorbidavano di continuo le acque. Forse questa è una caratteristica del nord e delle sue città-stato indipendenti... prima che l'invasione dei Malazan le costringesse a formare una sorta di confederazione. Anche così, pare che antiche rivalità e faide perenni abbiano minato le basi dell'unificazione, a vantaggio degli invasori. La struttura imposta dal Gran Pugno Malazan alle forze che lo accompagnavano aveva una gerarchia molto più chiara. I metodi imperiali erano evidenti e riconoscibili per Itkovian, e in effetti erano simili a ciò che avrebbe fatto lui stesso, al posto di Dujek Un-braccio. Il Gran Pugno aveva il comando, i suoi secondi erano Whiskeyjack e Humbrall Taur - che si era
dimostrato tanto saggio da insistere perché Dujek avesse una posizione preminente -oltre al comandante dei Moranth Neri, che Itkovian doveva ancora incontrare. Quei tre erano considerati pari per rango, ma avevano responsabilità ben distinte. Sentendo un suono di zoccoli, Itkovian si volse e vide il comandante in seconda dei Malazan, Whiskeyjack, cavalcare verso di lui lungo la spiaggia. Il fatto che si fosse fermato a parlare con l'artista era evidente dal fatto che Ormulogun stava raccogliendo le sue cose per avviarsi dietro il soldato. «Buona giornata a voi, Itkovian», salutò Whiskeyjack, fermando il cavallo. «Anche a voi, signore. Desiderate qualcosa da me?» Il soldato scrollò le spalle, scrutando la zona. «Sto cercando Volpe d'Argento... lei o i due soldati di marina che dovrebbero accompagnarla.» «Senza dubbio volevate dire che la devono seguire. Mi hanno oltrepassato qualche tempo fa, prima Volpe d'Argento e poi i due soldati, diretti a est.» «Qualcuno di loro vi ha parlato?» «No. Sono passati a una certa distanza, quindi non erano tenuti a salutare, né ho cercato di attirare la loro attenzione.» Whiskeyjack fece una smorfia. «C'è qualcosa che non va, signore?» «Ben lo Svelto sta utilizzando i suoi canali per aiutare le operazioni di guado. Le nostre forze sono già dall'altra parte e pronte a marciare, dato che abbiamo il percorso più lungo.» «Capisco. Volpe d'Argento non dovrebbe andare però con i Rhivi? O volevate semplicemente salutarla formalmente?» «Lei è in pari misura Malazan e Rhivi», spiegò Whiskeyjack, sempre più accigliato. «Volevo chiederle di scegliere chi accompagnare.» «Forse lo ha fatto, signore.» «O forse no», ribatté Whiskeyjack, lo sguardo ora fisso su qualcosa, a est. Itkovian si volse, ma poiché era a piedi ci volle qualche altro momento prima che i due cavalieri entrassero nel suo campo visivo... i soldati di marina, che si stavano avvicinando al galoppo. I due si fermarono davanti al loro comandante. «Lei dov'è?» chiese Whiskeyjack. Il soldato di marina sulla destra scrollò le spalle. «L'abbiamo seguita fi-
no alla costa. Al di sopra della linea della marea c'era una fila di collinette circondate da canali paludosi. Lei è entrata in una di quelle colline, Whiskeyjack...» «Ha diretto il cavallo verso il fianco di una di esse ed è svanita all'interno», specificò l'altro soldato di marina, «senza un'esitazione sua o del cavallo. Noi siamo andate fino a quel punto, ma c'erano soltanto erba, fango e rocce. L'abbiamo persa, il che suppongo fosse ciò che lei voleva». Il comandante rimase in silenzio. Itkovian, che si era aspettato almeno una sentita imprecazione, rimase impressionato dal suo autocontrollo. «D'accordo, tornate indietro con me. Passeremo sull'altra riva.» «Nel venire qui, abbiamo visto l'animaletto di Gumble.» «Ho già rimandato indietro lui e Ormulogun. Il loro è l'ultimo carro, e conoscete bene le istruzioni di Ormulogun riguardo alla sua collezione.» I soldati di marina annuirono. «La sua collezione?» ripeté Itkovian. «Quanti quadri ha dipinto, dopo Pale?» «Dopo Pale?» sogghignò uno dei soldati di marina. «In quel carro ci sono oltre ottocento tele, dieci o undici anni di lavoro. Dujek qui, Dujek là, Dujek perfino dove non è stato ma sarebbe dovuto essere. Ha già realizzato un quadro dell'assedio di Capustan, con Dujek che arriva all'ultimo momento, alto in sella, e oltrepassa le porte. C'è un Barghast Viso Bianco accoccolato nell'ombra delle porte, intento a depredare un Pannion morto, e nelle nubi di tempesta che sovrastano la scena è possibile scorgere il volto di Laseen, se si guarda con sufficiente attenzione...» «Ora basta», ringhiò Whiskeyjack. «Le tue parole sono offensive, soldato. L'uomo che hai davanti è Itkovian.» Il sorriso del soldato di marina si accentuò, senza però che questi replicasse. «Sappiamo chi è, signore», spiegò l'altro soldato di marina, «ed è per questo che la mia compagna lo stava stuzzicando. Non esiste nessun dipinto del genere, Itkovian. Ormulogun è lo storico dell'Armata, dato che non ne abbiamo altri, e ha l'ordine, pena la morte, di attenersi alla realtà dei fatti, perfino nei dettagli». «Andate», ordinò Whiskeyjack. «Voglio parlare in privato con Itkovian.» «Sì, signore.» I due soldati di marina si allontanarono.
«Vi chiedo scusa, Itkovian...» «Non ce n'è bisogno, signore. C'è un gradito sollievo in una simile irriverenza... anzi, mi fa piacere che mi abbiano esteso un tale conforto.» «Si comportano così soltanto con le persone che rispettano, anche se spesso il loro atteggiamento viene interpretato a rovescio, il che può portare a ogni sorta di guai.» «Lo immagino.» «Bene», borbottò Whiskeyjack, burbero, poi sorprese Itkovian smontando di sella e porgendogli la mano guantata. «Fra i soldati dell'Impero», disse, «dove il guanto viene indossato soltanto per la guerra e per niente altro, conservarlo indosso nello stringere in pace la mano di un altro è il più raro fra i gesti». «Quindi anch'esso viene spesso frainteso», osservò Itkovian. «Signore, io non ne fraintendo il significato, e ne sono onorato», continuò, stringendo la mano del comandante. «Mi concedete decisamente troppo...» «Niente affatto, Itkovian. Vorrei soltanto che veniste con noi, in modo da potervi conoscere meglio.» «Ci incontreremo a Maurik, signore.» «Arrivederci ad allora, Itkovian», annuì Whiskeyjack. Abbandonata la stretta, il comandante rimontò in sella e prese le redini, ma poi esitò. «Tutti gli Elin sono come voi, Itkovian?» chiese. «Non sono unico», replicò lui, scrollando le spalle. «Allora guardatevi dall'Imperatrice, il giorno in cui le sue legioni assaliranno i confini della vostra terra.» «Quando quel giorno verrà», ribatté Itkovian, inarcando le sopracciglia, «voi sarete al comando delle sue legioni?». «Buon viaggio, signore», sorrise Whiskeyjack. Itkovian lo guardò allontanarsi lungo la spiaggia, gli zoccoli del cavallo che sollevavano grossi blocchi di sabbia, e avvertì l'inspiegabile convinzione che non si sarebbero mai più rivisti. Dopo un momento, scosse il capo per allontanare quel cupo pensiero. «Ecco, è ovvio che Kruppe benedirà questa compagnia con la sua presenza!» «Mi hai frainteso!» sospirò Ben lo Svelto. «La mia era soltanto una domanda, non un invito.» «Il povero mago è stanco, vero? Così tanti sentieri di magia con cui sostituire prosaiche imbarcazioni caratterizzate da una mancanza di integrità strutturale. Nondimeno, Kruppe è impressionato dal tuo talento... una simi-
le danza di canali è una cosa che l'umile Kruppe ha visto di rado, se non mai. E ognuno perfetto! Come voler fare uno sberleffo allo stolto in catene! Quale audace sfida! Quale...» «Oh, taci, per favore!» Ben lo Svelto era fermo sulla riva settentrionale del fiume, con i calzoni coperti di fango fino a mezza coscia, il prezzo pagato per ridurre il più possibile la lunghezza dei sentieri da lui forgiati per le colonne di truppe, i carri, il bestiame e le cavalcature di riserva. Adesso stava aspettando soltanto gli ultimi ritardatari, incluso Whiskeyjack. A rendere ancor più sgradevole il suo sfinimento, lo spirito di Talamandas si lamentava incessantemente dalla sua invisibile posizione, sulla sua spalla sinistra. Era stato utilizzato troppo potere, abbastanza da attirare l'attenzione, un atto che la figura-stecco definiva irresponsabile e addirittura suicida. Il Dio Storpio non può fare a meno di trovarci! Stupida arroganza! E che dire del Veggente Pannion? Una ventina di canali che tremano tutti al nostro passaggio! Prova della nostra singolare efficacia contro la sua infezione! Credi che l'uno o l'altro se ne staranno seduti e inerti, senza reagire a quello che hanno visto qui? «Silenzio», borbottò Ben lo Svelto. «Kruppe garantisce altezzosamente al miserevole mago che un rude comando era sufficiente», affermò Kruppe, inarcando le sopracciglia. «Non dicevo a te. Non ci badare, pensavo ad alta voce.» «Strana abitudine per un mago, sì? Pericolosa.» «Lo credi? Che mi dici di qualche stentoreo pensiero, Daru? Questa esibizione di potere è deliberata, questa rivelazione di potere è calcolata apposta per sollevare un vespaio, anzi due! Goffamente massiccia, con un'impressionante assenza di astuzia, un tuono per coloro che si aspettavano un sussurro da topo quasi impercettibile. Ora, ti stai chiedendo perché l'ho fatto?» «Kruppe non si chiede nulla, tranne forse perché tu insista a esporre così ammirevoli manovre tattiche a quei gabbiani starnazzanti.» «Davvero?» Ben lo Svelto fissò con aria accigliata l'ometto rotondo. «Non avevo idea di essere così ovvio. Forse dovrò rivedere le mie mosse.» «Sciocchezze, mago! Attieniti alla tua inattaccabile sicurezza di te stesso... sì, qualcuno potrebbe anche chiamarla megalomania, ma non Kruppe, perché anche lui possiede un'inattaccabile sicurezza di sé, del genere di cui soltanto i mortali sono capaci, e fra essi soltanto una manciata in tutto il mondo. Hai una compagnia singolare, Kruppe te lo assicura!»
«Singolare?» sorrise Ben lo Svelto. «Cosa mi dici di quei gabbiani?» «Pah!» sbuffò Kruppe, agitando una mano grassoccia. «A meno che uno di essi ti atterri sulla spalla sinistra, naturalmente, perché allora sarebbe una cosa del tutto diversa, non credi?» Gli occhi scuri del mago fissarono il Daru con sospetto. «In quel caso», continuò imperterrito Kruppe, «quel povero, ignorante uccello sarebbe testimone di una così potente pluralità di astuti discorsi da barcollare confuso, se non misericordiosamente costipato!». «Che cosa hai detto?» chiese Ben lo Svelto, sorpreso. «Ecco, signore, non stavamo forse suggerendo un'applicazione di tappi? Silenzio. Taci. Kruppe consiglia semplicemente una versione interna con cui l'incessante, belante lamentarsi del gabbiano può essere messo a tacere, addirittura tappato, con sollievo di tutti!» Duecento passi sulla loro destra, un'altra chiatta carica delle forze di Brood lasciò la riva, scendendo rapida la corrente verso quella opposta. Un paio di soldati di marina a cavallo si avvicinarono a Ben e a Kruppe. «Dov'è Whiskeyjack?» chiese il mago. «Sta arrivando, Arsore di Ponti. Il rospo e l'artista si sono visti?» «Sì, appena in tempo per occuparsi del loro carro. Sono dall'altra parte.» «Un bel lavoro. Attraversiamo anche noi nello stesso modo?» «Ecco, stavo pensando di scaricarvi a metà strada... quando avete fatto un bagno l'ultima volta, voi due?» Le donne si scambiarono un'occhiata e una di esse scrollò le spalle. «Non lo so», disse. «Un mese? Tre? Abbiamo avuto da fare.» «E preferiremmo non bagnarci, mago», aggiunse l'altro soldato di marina. «La nostra armatura e i vestiti sottostanti potrebbero andare in pezzi.» «Kruppe asserisce che quello si dimostrerebbe uno spettacolo mai dimenticato!» «Scommetto che ti cadrebbero gli occhi dalle orbite», convenne il soldato. «E se non lo facessero, potremmo aiutarli noi.» «Se non altro, le nostre unghie sarebbero pulite», osservò l'altro. «Ahi! Donne rozze! Kruppe cercava solo di fare un complimento!» «Sei tu quello che ha bisogno di un bagno», ribatté il soldato di marina. L'espressione del Daru rivelò sorpresa e poi sgomento. «Idea oltraggiosa. Sufficienti strati di dolce profumo applicati in un sufficiente arco di anni, no, di decenni, hanno dato come risultato un permanente e addirittura impareggiabile bouquet di sublime fragranza», dichiarò, agitando le mani grassocce. «Intorno a Kruppe c'è un'aura tale da attirare farfalle malate
d'amore...» «A me sembrano tafani...» «Queste sono terre incivili... e tuttavia, vedete posarsi un singolo insetto?» «Ecco, ora che lo chiedi, ce n'è qualcuno che è annegato nei tuoi capelli unti.» «Esattamente. Gli avversari ostili vanno tutti incontro allo stesso fato.» «Ah, ecco Whiskeyjack, finalmente», intervenne Ben lo Svelto. «Siano ringraziati gli dei.» Quando il crepuscolo scese sulla città in rovina, l'oscurità inghiottì il vicolo. Poche lampade a olio rischiaravano le vie principali e le occasionali squadre di Gidrath effettuavano la ronda munite di lanterne. Avvolto in un mantello che nascondeva la sua armatura completa, Coll era fermo in una nicchia, intento a osservare una di quelle squadre passare davanti all'imboccatura del vicolo, guardando la chiazza di luce gialla che si attenuava gradatamente, finché la notte tornò a rivendicare la strada. Poi venne avanti e fece un cenno. Murillio agitò le redini, inducendo i buoi a muoversi, e il carro avanzò scricchiolando sull'acciottolato, uscendo sulla strada preceduto da Coll. Lungo la via, che era stata sgombrata solo parzialmente dalle macerie, erano visibili tre templi sventrati, che non mostravano di essere stati rioccupati... non diversi in questo dagli altri quattro che avevano trovato nel pomeriggio. Attualmente, le prospettive erano cupe. Pareva che i soli sacerdoti superstiti fossero quelli nel Thrall, e quello era l'ultimo posto in cui volevano recarsi, perché correva voce che le rivalità politiche fossero arrivate a un livello esplosivo, adesso che il Consiglio Mascherato era libero dalla presenza dei suoi potenti alleati e anche da una presenza reale, che aveva tradizionalmente fornito un'influenza atta a livellarne gli eccessi. Il futuro di Capustan non appariva promettente. Coll svoltò a destra e agitò una mano alle proprie spalle nel risalire la strada; dietro di sé, udì un'imprecazione soffocata di Murillio mentre questi colpiva il dorso dei due buoi con le redini; gli animali erano stanchi e affamati, il carro troppo carico. Che Hood ci prenda, forse abbiamo commesso un terribile errore... In alto, sentì il battere d'ali di un uccello, un suono sommesso e momentaneo a cui non diede importanza.
Solchi profondi erano stati scavati nell'acciottolato dal passaggio di innumerevoli carri, molti dei quali erano transitati di recente, carichi di macerie, ma la loro larghezza non andava bene per il veicolo Rhivi - un mezzo di trasporto a ruote larghe costruito per far fronte all'erba alta e alle buche fangose delle pianure - e neppure Murillio poteva evitare di farlo scivolare in uno dei due solchi, perché i buoi avevano un loro sentiero scavato che correva su un lato della strada. Il risultato era un progresso fortemente inclinato, con il giogo spostato a un'angolazione manifestamente scomoda per gli animali. Alle proprie spalle, Coll sentì uno di essi levare un muggito di protesta, che terminò con uno strano grugnito e uno schiocco delle redini, suoni che lo indussero a girarsi appena in tempo per vedere Murillio volare da cassetta e atterrare sull'acciottolato con un impatto tale da fracassare le ossa. Un'enorme figura tutta vestita di nero, che per un fugace istante era parsa dotata di ali, era adesso sulla sommità del carro, e Murillio giaceva in un mucchio immoto davanti a una ruota anteriore. Il Daru si sentì attanagliare dal timore. «Cosa...» La figura fece un gesto, e una nera ondata di stregoneria scaturì da essa, diretta contro di lui. Imprecando, Coll si gettò sulla destra e rotolò con un clangore di metallo che urtava contro la pietra, andando a sbattere contro il primo gradino a mezzaluna di un tempio. Il flusso di magia era però troppo ampio per poterlo evitare, e i suoi neri vortici di potere investirono tutta la strada come un'onda di marea. Disteso su un fianco, con la schiena incastrata contro il gradino, Coll poté soltanto sollevare un braccio per coprirsi gli occhi quando la stregoneria incombette su di lui, per poi calare verso il basso, solo per svanire. Sbattendo le palpebre, Coll abbassò il braccio in tempo per vedere una scura figura in armatura che lo scavalcava, proveniente dall'ingresso del tempio. Mentre il massiccio guerriero raggiungeva il livello della strada, la sua visione periferica colse due spade lunghe che pendevano lungo i fianchi, una di esse stranamente piegata. L'assalitore appollaiato sul carro parlò con voce acuta e in tono perplesso. «Tu dovresti essere morto, posso avvertire il gelo che è in te, percepisco il pugno di Hood, serrato nel tuo torace senza vita. Lui ti ha tenuto qui, a vagare.» Uh, a me questo nuovo arrivato non sembra poi così morto. Gli occhi di Coll scrutarono le ombre sulla destra del carro, alla ricerca della forma immota di Murillio.
«Non sto vagando», ribatté il guerriero, continuando ad avanzare. «Sono a caccia.» «Cerchi noi? Ma ve ne abbiamo sottratti così pochi! Meno di una ventina, in questa città. Cavaliere della Morte, il tuo padrone non si è nutrito fino a scoppiare, di recente? E poi io cercavo soltanto quella vecchia in stato d'incoscienza, che giace in questo carro, sospesa sull'orlo del baratro. Di certo il tuo padrone...» «Non è per te», tuonò il guerriero. «Il suo spirito attende, insieme a quelli radunati della sua gente e alle bestie il cui cuore è vuoto. Tutti attendono. Non è per te.» L'aria del vicolo si era fatta gelida. «Oh, d'accordo, allora», sospirò l'assalitore. «Che ne dici del conducente e della sua guardia? Potrei usare tante delle loro parti...» «No. Korbal Broach, ascolta le parole del mio Signore. Devi liberare i non-morti che sorvegliano la vostra tenuta, poi tu e l'uomo chiamato Bauchelain dovrete lasciare la città. Questa notte.» «Avevamo pianificato di andarcene domani, Cavaliere della Morte... perché tu sei il Cavaliere, vero? L'Alta Casa della Morte si sta destando, ora lo avverto. Partiremo domattina, d'accordo? Per seguire verso sud questi affascinanti eserciti...» «Questa notte, altrimenti calerò su di voi e reclamerò la vostra anima. Sei consapevole della sorte che il mio Signore ha in serbo per voi due?» Coll vide l'uomo pallido e calvo in piedi sul carro sollevare le braccia, che si fecero indistinte e si tramutarono in ali nere come la notte. «Prima ci dovrete prendere!» ridacchiò, mentre tutta la sua figura diventava una chiazza indistinta e al posto dell'uomo appariva un corvo arruffato, che spiccò il volo gracchiando e fu inghiottito dal buio. Il guerriero si diresse verso il punto in cui giaceva Murillio. Coll trasse un profondo respiro, cercando di placare il martellare del cuore, e si alzò in piedi, dolorante. «Vi ringrazio, signore», grugnì, sussultando per quelli che l'indomani mattina sarebbero stati dei lividi sulla spalla destra e sul fianco. «Il mio compagno è vivo?» Il guerriero, che indossava i resti di un'armatura Gidrath, si girò verso di lui. «È vivo. Korbal Broach ha bisogno che le prede siano vive... almeno all'inizio... per fare il suo lavoro. Dovete venire con me.» «Ah. Quando avete detto di essere a caccia, quello stregone ha supposto che steste cercando lui, ma non è così, vero?» «Sono una coppia arrogante.»
Coll annuì lentamente, poi esitò. «Perdonatemi se mi mostro scortese», disse infine, «ma vorrei sapere che intenzioni avete - che intenzioni ha il vostro Signore - nei nostri confronti. Abbiamo una vecchia di cui prenderci cura...». «Avete la protezione del mio Signore. Venite, il tempio di Hood è stato preparato per accogliervi.» «Non sono certo di dover accettare. La Mhybe ha bisogno di aiuto.» «Non spetta a voi dare ciò di cui la Mhybe ha bisogno, Coll di Darujhistan.» «Spetta a Hood darlo?» «La carne e le ossa della donna devono essere preservate, nutrite, dissetate, accudite. Quella è la vostra responsabilità.» «Non mi avete risposto.» «Seguitemi. Non dobbiamo andare lontano.» «Attualmente, non sono incline a farlo», affermò Coll, pacato, portando la mano alla spada. Il Cavaliere della Morte piegò il capo da un lato. «Ditemi, Coll di Darujhistan, voi dormite?» «Certamente», rispose il Daru, accigliandosi. «Cosa...?» «Anch'io dormivo, un tempo. Devo averlo fatto, giusto? Ora però non posso, e invece cammino. Vedete, non riesco a ricordare il sonno, non rammento come sia.» «Mi... mi dispiace per voi.» «Quindi, un uomo che non dorme... e qui, in questo carro, una che non si sveglierà. Ritengo, Coll di Darujhistan, che quella donna e io avremo bisogno uno dell'altra. Presto.» «Che genere di bisogno?» «Non lo so. Venite, non è lontano.» Lentamente, Coll ripose la spada. Non avrebbe saputo spiegare perché lo avesse fatto, dato che a nessuna delle sue domande era stata data una risposta esauriente, e che il solo pensiero di godere della protezione di Hood lo raggelava. Nondimeno, annuì. «Un momento, se non vi dispiace», disse. «Devo caricare Murillio sul carro.» «Ah, sì, è vero. Lo farei io, ma purtroppo non sono in grado di lasciar andare le spade che ho in mano.» Il guerriero rimase in silenzio per un altro momento, poi aggiunse: «Korbal Broach ha visto dentro di me, e le sue parole mi hanno... turbato. Coll di Darujhistan, credo di essere morto. Lo sono? Sono morto?».
«Non ne ho idea, ma... credo di sì», replicò Coll. «Si dice che i morti non dormano.» Coll conosceva bene quel detto, e sapeva che esso era originato dal tempio stesso di Hood, così come conosceva l'osservazione che chiudeva la citazione. «"Mentre i vivi non vivono". Non che abbia molto senso.» «Ne ha per me», affermò il guerriero, «perché adesso so che ho perso ciò che un tempo non sapevo di possedere». La mente di Coll si perse nel tentativo di dare un senso a quell'affermazione. «Sarei uno stolto a non accettare la vostra parola al riguardo», sospirò infine. «Avete un nome?» «Credo di sì, ma l'ho dimenticato.» «Cavaliere della Morte non può andare bene, temo», osservò Coll, inginocchiandosi accanto a Murillio e prendendolo fra le braccia per poi raddrizzarsi, grugnendo per lo sforzo di sollevare il suo peso. «Eravate un Gidrath, vero? E un Capan... anche se ammetto che la tonalità bronzea della vostra pelle è più scura.» «No. Non ero un Gidrath e neppure un Capan. Credo di non essere di questo continente, ma non so perché sono apparso qui, adesso. So solo che non sono qui da molto. È come desidera il mio Signore. Del mio passato, ricordo soltanto una cosa.» Coll trasportò Murillio fino al carro e l'adagiò sul suo fondo. «Che cosa?» «Un tempo mi sono trovato in un incendio.» Dopo un lungo momento, Coll sospirò ancora. «Un ricordo sgradevole...» «C'era dolore, ma ho resistito, ho combattuto, o almeno sono convinto di averlo fatto. Credo di aver giurato di difendere la vita di un bambino, ma il bambino non c'era più. È possibile che... che io abbia fallito.» «Ci serve comunque un nome per voi», osservò Coll. «Forse prima o poi ve ne verrà in mente uno, Coll di Darujhistan.» «Ve lo prometto.» «O forse un giorno mi tornerà per intero la memoria e ricorderò come mi chiamo.» E se Hood ha un po' di misericordia, quel giorno non verrà mai, amico, perché credo che non ci sia stato nulla di facile nella tua vita, o nella tua morte. E pare che lui sia dotato di misericordia, perché ti ha portato lontano da tutto ciò che conoscevi un tempo, perché se non mi sbaglio, guardando solo i tuoi lineamenti e lasciando perdere quella strana pelle, tu sei
un Malazan. Sotto una vasta distesa di stelle, Itkovian attraversò il fiume su una larga chiatta, in compagnia di Stonny Menackis, di Gruntle e della sua ventina di seguaci striati, insieme a un centinaio di Rhivi, per lo più gli anziani e i loro cani, che dopo aver ringhiato e litigato nei confini ristretti dell'imbarcazione si sistemarono tranquilli per la seconda metà della traversata, soddisfatti di aver raggiunto le murate e di poter vedere il fiume. Quando la chiatta si arenò sulla sabbiosa riva meridionale, i cani furono i primi a sbarcare, abbaiando selvaggiamente nello sguazzare fra le canne, con sollievo di Itkovian. Ascoltando distrattamente gli insulti che Gruntle e Stonny si stavano scambiando come una coppia sposata da troppo tempo, preparò il cavallo in attesa che venisse abbassata la passerella e osservò con scarso interesse gli anziani dei Rhivi che si avviavano dietro i loro cani senza preoccuparsi del fango e delle canne. Le basse colline su quel lato del fiume erano ancora avvolte in una caligine di polvere e di fumo dei fuochi da campo, drappeggiata come un velo funebre sulle oltre ventimila tende. A parte poche centinaia di pastori Rhivi e la mandria di bhederin che dovevano far guadare all'alba, adesso tutto l'esercito invasore era nel territorio dei Pannion. Nessuno si era opposto allo sbarco. Le basse colline meridionali sembravano prive di vita, e rivelavano soltanto le vecchie tracce lasciate dall'esercito assediante dell'Eptarca Kulpath. Gruntle venne ad affiancarsi a Itkovian. «Qualcosa mi dice che marceremo attraverso territori devastati per tutta la strada fino a Coral.» «Sembra probabile. È quello che avrei fatto io, al posto del Veggente.» «A volte mi chiedo se Dujek e Brood si rendono conto che quello che assediava Capustan era soltanto uno di almeno tre eserciti di uguali dimensioni, e che a parte Kulpath, che era particolarmente abile, ci sono altri sei Eptarchi abbastanza competenti da crearci problemi seri.» Itkovian distolse lo sguardo dall'accampamento per osservare il massiccio guerriero. «Dobbiamo supporre che il nemico si stia preparando a riceverci, ma all'interno del Dominio gli ultimi granelli di sabbia si stanno depositando nella clessidra.» «Sapete qualcosa che il resto di noi ignora?» grugnì la Spada Mortale di Treach. «Nulla di specifico, signore. Ho solo tratto conclusioni basate sui dettagli che ho potuto rilevare osservando l'esercito di Kulpath e i Tenescowri.»
«Avanti, non tenetele per voi.» Itkovian tornò a guardare verso sud, e dopo un momento sospirò. «Città e governi sono soltanto il fiore di una pianta il cui fusto è la gente comune, ed è proprio la gente comune, con le sue radici piantate nella terra, ad attingere il sostentamento necessario ad alimentare il fiore. I Tenescowri, signore, sono i superstiti della gente comune del Dominio... persone strappate alla loro terra, ai villaggi, alle case e alle fattorie. Ogni produzione di cibo è cessata, e al suo posto è sorto l'orrore del cannibalismo. La campagna che abbiamo davanti è devastata, certo, ma non in previsione del nostro arrivo. Essa è da tempo una landa devastata, signore, e questo significa che il fiore, nonostante i suoi colori ancora vivaci, in realtà è morto.» «Sta seccando appeso a un gancio, sotto uno scaffale del Dio Storpio?» Itkovian scrollò le spalle. «Caladan Brood e il Gran Pugno hanno selezionato le città come loro destinazione: Lest, Setta, Maurik e Coral. Nessun altro insediamento sarebbe in grado di alimentare un esercito di difensori e neppure la cittadinanza stessa, se ancora ne rimane. Il Veggente non ha scelta se non quella di concentrare le sue forze nella città in cui ora risiede, e i suoi soldati non hanno alternativa se non quella di adottare le pratiche dei Tenescowri. Ho il sospetto che i Tenescowri siano stati creati proprio per questo scopo ultimo, ossia come cibo per i soldati.» Gruntle appariva turbato. «Quello che descrivete, Itkovian, è un impero che non è mai stato destinato a sostentarsi da solo.» «A meno di continuare a espandersi senza sosta.» «Anche allora, però, continuerebbe a vivere solo lungo i suoi confini, allargandosi a partire da un nucleo centrale morto che si andrebbe estendendo sempre più.» «Sì, signore», annuì Itkovian. «Quindi è possibile che Brood e Dujek rimangano sorpresi, se si aspettano di dover combattere a Setta, Lest e Maurik.» «È ciò che penso.» «Se avete ragione, quei Malazan finiranno per fare una lunga marcia inutile», osservò Gruntle. «Forse, Spada Mortale, ci sono altri problemi sufficienti a giustificare una divisione delle forze.» «L'alleanza non è compatta quanto vorrebbero farci credere?» «Al suo interno sono raccolti condottieri potenti, signore, e ha del miracoloso che non ci sia stato ancora un serio scontro di volontà.» Gruntle rimase in silenzio per qualche tempo.
Le ampie piattaforme di vimini stavano venendo ancorate davanti alla chiatta a formare una passerella, assembrata con efficienza da un gruppo di mercenari. «Speriamo allora che l'assedio di Coral non duri a lungo», commentò infine Gruntle. «Non accadrà», affermò Itkovian. «Prevedo un singolo attacco, inteso a sopraffare il nemico, una combinazione di soldati e di magia. L'intenzione dell'Alto Comandante e del Gran Pugno è quella di devastare le difese in modo massiccio, perché entrambi sono consapevoli dei rischi inerenti a un qualsiasi assedio prolungato.» «Sembra poco promettente, Itkovian.» Stonny Menackis sopraggiunse alle loro spalle conducendo a mano il cavallo. «Muovetevi, voi due... ci state bloccando tutti e questa dannata chiatta si sta insabbiando. Se dovessi sporcare di fango gli stivali nuovi, ucciderò il responsabile, striato o meno che sia.» Itkovian sorrise. «Era mia intenzione complimentarmi per il vostro abbigliamento...» «I miracoli della Corporazione Trygalle. Abiti su misura, confezionati dal mio sarto preferito di Darujhistan.» «Sembrate amare il verde.» «Avete mai visto un jaelparda?» «Quei serpenti sono presenti in Elingarth», annuì Itkovian. «Il loro morso è letale. La loro pelle ha questo identico tono di verde, vero? Spero proprio che sia identico, considerato che è ciò per cui ho pagato, e che il prezzo era salato. E quest'oro chiaro, qui nella fodera del mantello... avete mai guardato il ventre di un parali bianco?» «Il ragno?» «Sì, è di questo colore.» «Non avrei potuto scambiarlo per niente altro», garantì Itkovian. «Bene. Sono lieta che qui qualcuno capisca le sottili sfumature della civiltà. Ora muovete quel dannato cavallo, o quella parte anatomica che non usate da troppo tempo conoscerà intimamente la punta del mio stivale nuovo.» «Sì, signora.» Il caporale Picker osservò Detoran trascinare Hedge verso la tenda. I due passarono in silenzio al limite estremo del cerchio di luce del fuoco, e prima che svanissero di nuovo nel buio Picker fu testimone di una buffa pan-
tomima quando Hedge, il volto teso in una smorfia selvaggia, cercò di sfuggire alla presa di Detoran, che reagì afferrandolo per la gola e scrollandogli la testa finché non smise di dibattersi. «Ciò che la notte misericordiosamente nasconde...» grugnì Blend, quando i due furono scomparsi. «Non abbastanza bene, purtroppo», borbottò Picker, attizzando il fuoco. «Ecco, probabilmente adesso lo starà imbavagliando, e dopo gli strapperà...» «D'accordo, d'accordo, ho capito.» «Povero Hedge.» «Povero Hedge un bel niente, Blend. Se la cosa in fondo non gli andasse bene, non continuerebbe in questo modo, notte dopo notte.» «Del resto, siamo tutti soldati.» «E questo cosa vorrebbe dire?» «Sappiamo che obbedire agli ordini è il solo modo per restare vivi.» «Quindi è meglio per Hedge mettersi sull'attenti, se vuole continuare a respirare? È questo che stai dicendo? Credevo che il terrore afflosciasse certe parti.» «Detoran era un sergente maggiore, ricordi? Una volta, ho visto una recluta rimanere sull'attenti per una campana e mezzo dopo aver avuto un infarto a causa di una delle sue sfuriate. Una campana e mezzo, Picker, in piedi fredda e morta...» «Sciocchezze. C'ero anch'io. È stato circa un decimo di campana, e lo sai anche tu.» «Ma il concetto rimane, e scommetto tutta la mia paga arretrata che adesso Hedge sta facendo lo stesso.» Picker attizzò ancora il fuoco. «È buffo», mormorò, dopo un po'. «Che cosa?» «Oh, quello che stavi dicendo. Non riguardo alla recluta morta, ma al fatto che Detoran era sergente maggiore. Noi Arsori di Ponti siamo stati tutti degradati, a cominciare da Whiskeyjack stesso. Mallet era un guaritore di quadro, quando avevamo abbastanza guaritori ed era l'Imperatore a comandare. E un tempo Spindle non era capitano di una compagnia di zappatori?» «Per tre giorni, poi uno di loro è inciampato su una sua mina...» «E sono esplosi tutti, già. Noi eravamo mille passi più in su, lungo la strada, e le orecchie mi hanno ronzato per giorni.» «Quella è stata la fine delle compagnie formate di zappatori. Dopo quel-
l'incidente, Dassem le ha sciolte, e così Spindle non ha più avuto corpi specialistici di cui essere capitano. Dove vuoi andare a parare, Picker?» «Da nessuna parte. È solo che nessuno di noi è quello che era.» «Io non sono mai stata promossa.» «Ma che sorpresa! Hai fatto del non essere notata una vera professione!» «Comunque sia. E Antsy è nato sergente...» «E questo gli ha bloccato la crescita, certo. Non lo hanno mai degradato, lo ammetto, ma solo perché è il peggior sergente mai esistito. Tenerlo al suo posto ci punisce tutti, a cominciare da lui stesso. Come dicevo, siamo tutti perdenti.» «Questo sì che è un pensiero piacevole, Picker.» «E chi ha detto che ogni pensiero debba essere piacevole? Nessuno.» «Lo avrei fatto io, solo che non ci ho pensato.» «Ah, ah.» Un lento tamburellare di zoccoli annunciò il sopraggiungere del capitano Paran, che conduceva il cavallo per le briglie. «È stata una lunga giornata, capitano», commentò Picker. «Se volete, c'è un po' di tè.» Avvolte le redini intorno al pomo della sella, Paran si avvicinò. «È il solo fuoco degli Arsori di Ponti ancora acceso. Voi due non dormite mai?» «Potremmo farvi la stessa domanda, signore», replicò Picker, «ma sappiamo tutti che il sonno è per i deboli, vero?». «Credo dipenda da quanto sia sereno.» «Il capitano ha ragione», interloquì Blend. «Ecco, io sono abbastanza serena, quando dormo», sbuffò il caporale. «È quello che credi», grugnì Blend. «Abbiamo avuto notizie dai Moranth Neri», annunciò Paran, accettando da Picker una tazza di infuso di erbe. «Stanno esplorando Setta.» «Sì. Là non c'è nessuno, o almeno nessuno vivo. L'intera città è una grande necropoli.» «Allora perché stiamo ancora andando là?» chiese Picker. «A meno che non...» «Ci stiamo andando, caporale.» «Perché?» «Marciamo su Setta perché non siamo diretti a Lest.» «Bene», sospirò Blend, «sono lieta che la cosa si sia chiarita». Paran sorseggiò il tè. «Ho scelto un comandante in seconda», disse poi.
«Un comandante in seconda, signore? Perché?» chiese Picker. «Per ovvie ragioni. In ogni caso, ho scelto te, Picker. Adesso sei tenente, con il benestare di Whiskeyjack. In mia assenza, comanderai tu gli Arsori di Ponti...» «No, signore, grazie.» «La cosa non è aperta a discussioni, Picker. La tua nomina a tenente è già stata trascritta. È ufficiale, con il sigillo di Dujek su di essa.» Blend assestò una gomitata alla compagna. «Congratulazioni... oh, suppongo che avrei dovuto rivolgerti il saluto.» «Taci», ringhiò Picker. «Comunque hai ragione su una cosa... non mi prendere mai più a gomitate.» «Quello è un ordine difficile da eseguire... signore.» Paran finì il tè e si raddrizzò. «Ho solo un ordine per te, tenente», disse. «Capitano?» chiese Picker, sollevando lo sguardo. «Gli Arsori di Ponti», continuò Paran, con espressione d'un tratto severa. «Tienili uniti, qualsiasi cosa succeda. Uniti, tenente.» «Uh, sì, signore.» Le due donne guardarono Paran tornare al cavallo e allontanarsi. Per qualche tempo, nessuna delle due parlò, poi Blend sospirò. «Andiamo a letto, Picker.» «Già.» Spensero quanto restava del fuoco; con l'oscurità che si chiudeva loro intorno, Blend si avvicinò e prese Picker sottobraccio. «Si riduce tutto a ciò che la notte nasconde...» mormorò. Un accidente. Si riduce tutto a ciò che il capitano ha detto fra le righe, il che è quello che devo dedurre. Qualcosa mi dice che il tenente Picker ha finito di dormire serenamente... Insieme, si allontanarono dalle braci morenti e furono inghiottite dal buio. Pochi momenti più tardi non fu più visibile nessun movimento, sotto le stelle che gettavano la loro vaga luce argentea sul campo degli Arsori di Ponti. Le tende rappezzate apparivano incolori sotto quell'opaco chiarore spettrale, una scena stranamente senza tempo che rivelava una sua sorta di pace. Quando entrò nella tenda di comando, Whiskeyjack trovò Dujek pronto a riceverlo, con la lanterna schermata posta sul tavolo da campo accanto a due boccali di birra e a un pezzo di formaggio di capra Gadrobi; quanto a
Dujek, stava sonnecchiando su una delle due sedie. «Gran Pugno», salutò Whiskeyjack, togliendosi i guanti e adocchiando birra e formaggio. Il vecchio comandante emise un grugnito e si raddrizzò sulla sedia. «L'abbiamo persa.» «Un vero peccato. Devi avere fame, quindi... oh, bene, continua a riempirti la bocca e lascia parlare me», disse Dujek, protendendosi a prendere il proprio boccale. «Artanthos ha trovato Paran e gli ha riferito gli ordini, quindi ora il capitano farà preparare gli Arsori di Ponti... per che cosa loro non lo sapranno, e probabilmente è meglio così. Quanto a Paran, è tutto a posto, Ben lo Svelto mi ha convinto. È un vero peccato, anche se in tutta onestà devo ammettere che secondo me sentiremo più la mancanza del mago che non di quel giovane nobile.» Whiskeyjack sollevò una mano per interromperlo, e intanto bevve un sorso di birra per accompagnare l'ultimo boccone di formaggio. Il Gran Pugno sospirò e attese. «Dujek...» «Togliti le briciole dalla barba», ringhiò il Gran Pugno, «dato che mi aspetto che tu voglia essere preso sul serio». «Una parola su Paran. Con la perdita di Tatter... di Volpe d'Argento, la stima che il capitano ha per noi è incalcolabile. No, non solo per noi, per l'Impero stesso. Ben lo Svelto è stato adamantino al riguardo. Paran è il Signore del Mazzo, in lui risiede il potere di rimodellare il mondo.» Whiskeyjack fece una pausa, rimuginando sulle proprie parole. «Forse non c'è nessuna possibilità che Laseen riesca mai a riconquistarsi il suo favore, ma quanto meno sarebbe saggio da parte sua evitare di peggiorare i loro rapporti.» «Glielo consiglierò, la prossima volta che la vedrò», commentò Dujek, inarcando le sopracciglia. «D'accordo, mi dispiace. Senza dubbio l'Imperatrice è consapevole...» «Senza dubbio. Come dicevo, la perdita peggiore è quella di Ben lo Svelto, almeno dal mio punto di vista.» «Ecco, signore, con quello che il mago ha in mente di fare... sono d'accordo con lui che è meglio far sapere il meno possibile a Brood e compagni, e finché la divisione delle forze procederà come previsto, loro non avranno motivo di ritenere che Ben lo Svelto non sia con noi.» «La follia del mago...» «Dujek, la follia di quel mago ci ha salvato la pelle più di una volta. Non
solo la mia e quella degli Arsori di Ponti, ma anche la tua.» «Ne sono consapevole, Whiskeyjack. Perdona a un vecchio le sue paure, per favore. Sono Brood, Rake e i Tiste Andii, e quei dannati Dei Antichi, quelli che avrebbero dovuto sbarrare la strada al Dio Storpio, sono loro ad avere innumerevoli canali e un livello di potere spaventoso... non noi, non un mago di quadro mortale e un giovane capitano che è già morto una volta. Anche se non faranno pasticci, guarda quali nemici ci procureremo.» «Supponendo, è ovvio, che i nostri attuali alleati siano tanto miopi da non capire.» «Whiskeyjack, noi siamo Malazan, ricordi? Ci si aspetta che nulla di ciò che facciamo riveli anche un solo accenno dei nostri piani a lungo termine; si suppone che gli imperi mortali non siano in grado di pianificare con tanto anticipo, e tu e io siamo dannatamente bravi a seguire quel principio. Che Hood mi prenda, Laseen ha invertito la struttura di comando per un motivo ben preciso, sai?» «In modo che le persone giuste fossero al posto giusto quando Tronod'Ombra e Cotillion hanno fatto la loro mossa, certo.» «Non soltanto loro, Whiskeyjack.» «Bisognerebbe farlo sapere a Ben lo Svelto, anzi, a tutti gli Arsori di Ponti.» «No. In ogni caso, non credi che il tuo mago lo abbia già capito?» «Se è così, perché ha mandato Kalam dall'Imperatrice?» «Perché Kalam ha bisogno di essere convinto di persona, ecco perché. Faccia a faccia con l'Imperatrice. Ben lo Svelto lo sapeva.» «Allora io devo essere l'unica testa di legno in tutto questo gioco imperiale», sospirò Whiskeyjack. «Forse sei l'unico veramente dotato di onore. Sapevamo che il Dio Storpio si stava preparando a fare la sua mossa, e anche che gli dei avrebbero combinato un pasticcio. Lo ammetto, non avevamo previsto il coinvolgimento degli Dei Antichi, ma la cosa non ha importanza, giusto? Il punto è che sapevamo che stavano per esserci dei guai, da più di una direzione... ma come avremmo mai potuto immaginare che quello che stava succedendo nel Dominio di Pannion potesse essere in qualsiasi modo collegato alle manovre del Dio Storpio? «Anche così, non credo sia stato del tutto un caso il fatto che siano stati un paio di Arsori di Ponti a imbattersi nell'agente dell'Incatenato... quell'artigiano malato proveniente da Darujhistan, o che Ben lo Svelto fosse presente a confermare l'arrivo della Casa delle Catene. Laseen ha sempre
compreso che lo schieramento tattico è quello che fornisce risultati. Hood sa che è stata lei a insegnarlo all'Imperatore, e non viceversa. Il canale del Dio Storpio vaga... lo ha sempre fatto. Che i suoi spostamenti lo abbiano portato sulle colline fra Pale e Darujhistan è stata un'opportunità che il Dio Storpio non si poteva lasciar sfuggire, ma se voleva ottenere qualcosa, doveva agire. E noi lo abbiamo scoperto. Forse non nel modo che avevamo previsto, ma lo abbiamo fatto.» «Eccellente», borbottò Whiskeyjack. «Quanto a Paran, anche lì esiste una certa logica. Dopo tutto, Tayschrenn stava preparando Tattersail al ruolo di Signora del Mazzo, e quando le cose sono andate storte... ecco, c'è stato un effetto residuo, che si è riversato sull'uomo che a quel tempo le era più vicino, non fisicamente ma di certo spiritualmente. Whiskeyjack, se guardiamo le cose in retrospettiva, in tutto questo il solo attore effettivamente ottuso e ignaro è stato Bellurdan. Non sapremo mai cosa sia successo fra lui e Tattersail, su quella pianura, ma l'Abisso mi è testimone che è stato uno dei passi falsi più madornali della storia imperiale. Il fatto che il ruolo di Signore del Mazzo sia ricaduto su un Malazan e non su qualche pastore Gadrobi che si fosse trovato nelle vicinanze... ecco, credo si possa dire soltanto che la fortuna di Oponn ha giocato a nostro favore.» «Ora sono io a essere preoccupato», replicò Whiskeyjack. «Siamo stati decisamente troppo astuti, e questo mi porta a chiedermi chi stia manipolando chi. Stiamo giocando con le ombre insieme al Signore dell'Ombra, agitando le catene del Dio Storpio, e adesso stiamo addirittura dando del tempo aggiuntivo a Brood senza che lui lo sappia, mentre contemporaneamente stiamo sfidando i T'lan Imass, o almeno abbiamo intenzione di farlo...» «Opportunità, Whiskeyjack. Esitare è fatale. Quando ci si trova nel mezzo di un ampio fiume agitato, c'è una sola direzione in cui nuotare. Spetta a noi tenere la testa di Laseen fuori dall'acqua... e tramite lei, quella dell'Impero Malazan. Se Brood dovesse usare quel martello nel nome di Burn, annegheremmo tutti. Legge, ordine, pace... ogni civiltà svanirebbe!» «Quindi, per impedire a Brood di farlo ci sacrifichiamo sfidando il Dio Storpio. Noi, un esercito dannatamente stanco e già decimato da una delle crisi di panico di Laseen.» «Meglio perdonargliele, Whiskeyjack. Dimostrano che è mortale, dopo tutto.» «A Pale, ha praticamente spazzato via gli Arsori di Ponti.»
«È stato un incidente. All'epoca lo ignoravi, ma ora lo sai. Tayschrenn ha ordinato loro di rimanere nelle gallerie perché lo riteneva il luogo più sicuro.» «A me è parso piuttosto che qualcuno volesse fare di noi delle vittime collaterali», ribatté Whiskeyjack. No, non di noi. Di me. Dannazione a te, Dujek, mi porti a sospettare che ne sapessi più di quanto sperassi. Beru non voglia, mi auguro di sbagliarmi... «E con quello che è successo a Darujhistan...» «Quello che è successo a Darujhistan è stato un pasticcio, confusione nelle comunicazioni fra tutte le parti. Era troppo presto dopo l'Assedio di Pale, troppo presto per tutti noi.» «Allora non sono stato l'unico a rimanere sconvolto.» «A Pale? No. Che Hood ci prenda, lo eravamo tutti. Quella battaglia non è andata come progettato. Tayschrenn credeva davvero di poter abbattere la Progenie della Luna e costringere Rake a uscire allo scoperto. E se non fosse stato lasciato a portare avanti l'attacco praticamente da solo, le cose sarebbero potute andare diversamente. Stando a quanto ho appreso in seguito, Tayschrenn non sapeva ancora chi Nightchill fosse veramente, ma sapeva che stava mirando alla spada di Rake... lei e Bellurdan, che Nightchill stava usando perché facesse delle ricerche per suo conto. Sembrava un gioco di potere, uno privato, e Laseen non era disposta a permetterlo. Anche così, Tayschrenn ha attaccato Nightchill soltanto dopo che lei ha abbattuto A'Karonys... lo stesso Grande Mago che aveva esposto a Tayschrenn i propri sospetti su di lei. Ho detto che l'uccisione di Tattersail da parte di Bellurdan è il peggior passo falso della storia Malazan, ma quella giornata a Pale occupa il secondo posto.» «Ultimamente ce ne sono stati parecchi...» Dujek annuì lentamente, gli occhi che brillavano alla luce della lanterna. «Direi che è cominciato tutto con il massacro dei cittadini di Aren per opera dei T'lan Imass. Anche in quel caso, però, dal disastro sono emerse delle verità. Non è stata Laseen a dare quell'ordine, ma qualcun altro. Qualcuno... un qualcuno che si supponeva fosse morto... è tornato a sedere sul Primo Trono, e si è servito dei T'lan Imass per vendicarsi di Laseen e scuotere la sua presa sull'impero. È stato il primo indizio che l'Imperatore Kellanved non era morto quanto avremmo voluto che fosse.» «E che era ancora pazzo. Dujek, credo che siamo avviati verso un altro disastro.» «Spero che ti sbagli. In ogni caso, ero io che avevo bisogno di essere
rassicurato stanotte, non tu.» «Suppongo che sia il prezzo dell'inversione delle posizioni di comando.» «Da tutto ciò che abbiamo detto, ho derivato una nuova osservazione che non mi piace, Whiskeyjack.» «E sarebbe?» «Comincio a pensare che noi non siamo sicuri di quello che stiamo facendo neppure la metà di quanto pensiamo di esserlo.» «Chi sarebbero questi "noi"?» «L'impero. Laseen. Tayschrenn. Quanto a me e te, ecco, noi siamo gli attori meno importanti e sappiamo ben poco rispetto a quello che ci servirebbe sapere. A Pale, siamo andati all'attacco della Progenie della Luna senza quasi avere idea di cosa stesse succedendo, e saremmo ancora all'oscuro, se in seguito non avessi messo Tayschrenn con le spalle al muro.» Whiskeyjack contemplò i residui di birra in fondo al boccale. «Ben lo Svelto è intelligente», mormorò. «Non saprei dire quanto abbia dedotto, perché sa essere molto astuto, quando vuole.» «Ma è ancora disposto ad agire, vero?» «Oh, sì, e ha messo bene in chiaro di aver acquisito una fiducia enorme in Ganoes Paran, questo nuovo Signore del Mazzo.» «Questo ti sembra strano?» «Un poco. Paran è stato usato da un dio, ha camminato dentro la spada Dragnipur e ha nelle vene il sangue di un Segugio dell'Ombra, e nessuno di noi sa quali cambiamenti queste cose abbiano prodotto in lui, o anche solo cosa lascino presagire. Si è dimostrato imprevedibile ed è quasi impossibile da gestire... oh, esegue gli ordini che gli impartiscono, ma se pensa di usarlo, credo che Laseen avrà una sorpresa.» «Quell'uomo ti piace, vero?» «Lo ammiro, Dujek, per la sua resistenza, la sua capacità di esaminare se stesso con un coraggio spietato e, soprattutto, per la sua umanità.» «Qualità sufficienti a generare fiducia, direi.» «Trafitto con la mia stessa spada», commentò Whiskeyjack, con una smorfia. «Meglio che con quella di qualcun altro.» «Sto pensando di ritirarmi, quando questa guerra sarà finita.» «Lo avevo intuito, amico.» «Pensi che lei me lo permetterà?» domandò Whiskeyjack, alzando lo sguardo. «Ritengo che non dovremmo lasciarle la scelta.»
«Dovrò annegare, come hanno fatto Crust e Urko? Oppure mi vedranno mentre vengo ucciso e poi il mio corpo svanirà, come nel caso di Dassem?» «Supponendo che nessuna di quelle cose sia veramente successa...» «Dujek...» «D'accordo, ma dovrai ammettere che rimane ancora qualche dubbio.» «Io non li condivido. Un giorno rintraccerò Duiker e lo costringerò a dirmi la verità... se qualcuno la conosce, è proprio quello storico svitato.» «Ben lo Svelto ha già avuto notizie di Kalam?» «Se ne ha avute, non me lo ha detto.» «Dov'è il tuo mago, attualmente?» «L'ultima volta che l'ho visto, stava parlando con quei mercanti Trygalle.» «Dovrebbe dormire un poco, con quello che lo aspetta.» Whiskeyjack posò il boccale e si alzò. «Dovremmo farlo anche noi, vecchio mio», affermò, sussultando nel gravare di troppo peso la gamba lesa. «Quando arriveranno i Moranth Neri?» «Fra due notti.» Whiskeyjack si girò con un grugnito verso l'ingresso della tenda. «Buona notte, Dujek.» «Anche a te, Whiskeyjack. Ah, ancora una cosa.» «Sì?» «Tayschrenn vorrebbe scusarsi con te, per quello che è successo agli Arsori di Ponti.» «Sa dove trovarmi, Dujek.» «Cerca il momento adatto.» «E quale sarebbe?» «Non lo so con certezza. Non si è ancora presentato.» Per alcuni secondi Whiskeyjack non disse nulla, poi sollevò il telo della tenda. «Ci vediamo domattina, Dujek.» «Sì», rispose il Gran Pugno. Mentre si avviava verso la propria tenda, Whiskeyjack vide ferma davanti a essa un'alta figura dalla veste scura. «Mi sei mancata», sorrise, avvicinandosi. «Anche tu», rispose Korlat. «Brood ti ha tenuta occupata. Vieni dentro, ci metterò solo un momento ad accendere la lanterna.»
Mentre entravano nella tenda, la sentì sospirare alle proprie spalle. «Preferirei che non ti prendessi quel disturbo.» «Ecco, tu riesci a vedere al buio, ma...» Korlat lo fece girare e gli si strinse contro. «Se deve esserci conversazione, che sia breve, per favore», mormorò. «Ciò che desidero non sono parole.» Lui la cinse fra le braccia. «Mi chiedevo soltanto se avessi trovato Volpe d'Argento.» «No. Lei sembra in grado di percorrere sentieri che non credevo esistessero ancora. Sono invece arrivati due di quei suoi lupi non-morti, che mi hanno scortata a casa. Sono... insoliti.» Whiskeyjack ripensò a quando aveva visto per la prima volta i T'lan Ay levarsi come polvere dall'erba ingiallita e assumere la loro forma bestiale fino a coprire le colline, su ogni lato. «Lo so. In essi c'è qualcosa di stranamente sproporzionato...» «Sì, hai ragione, è qualcosa che infastidisce. Arti troppo lunghi, spalle troppo larghe e tuttavia corti di collo e con ampie fauci. Non è soltanto l'aspetto fisico che ho trovato... allarmante, però.» «Più allarmante dei T'lan Imass?» Korlat annuì. «Nei T'lan Imass c'è un vuoto, come una cavità annerita dal fumo, mentre non è così per i T'lan Ay. Dentro quei lupi io vedo... dolore. Un dolore eterno...» Sentendola rabbrividire fra le sue braccia, Whiskeyjack non replicò. Caro amore, vedi nei loro occhi quello che c'è nei nostri, ed è quel riflesso... il riconoscerlo... che ti ha tanto sconvolta. «Al limitare del campo sono diventati polvere», continuò Korlat. «Un momento prima mi trottavano ai lati e poi... sono svaniti. Non so perché, ma questo mi ha turbata più di ogni altra cosa.» Perché è ciò che ci attende tutti, Korlat, perfino te. «Questa conversazione doveva essere breve, e ora è finita. Vieni a letto, ragazza.» «E dopo stanotte?» chiese lei, guardandolo negli occhi. «Potrebbe passare del tempo», ammise lui, con una smorfia. «Crone è tornata.» «Davvero?» Korlat annuì e parve sul punto di dire altro. Poi però esitò, scrutandolo, e tacque. Setta, Lest, Maurik. Le città erano vuote, eppure gli eserciti si stavano dividendo lo stesso, e nessuno dei due voleva dire il perché. Entrambe le
parti dell'alleanza avevano cose da nascondere, segreti da conservare, e mantenerli si faceva sempre più problematico a mano a mano che si avvicinavano a Coral. La maggior parte dei Tiste Andii è scomparsa, probabilmente sono tornati sulla Progenie della Luna con Rake, ma dove sono? E cosa stanno progettando, nel nome di Hood? Arriveremo a Coral soltanto per scoprire che la città è già caduta, che il Veggente è morto, la sua anima presa da Dragnipur, e per trovare quella massiccia montagna sospesa nell'aria? I Moranth Neri hanno cercato quella dannata roccia volante... inutilmente. E poi ci sono i nostri segreti. Stiamo mandando avanti Paran e gli Arsori di Ponti. Che Hood ci prenda, stiamo facendo molto più di questo. Quello ora imminente è uno sgradito gioco di potere, che noi tutti sapevano essere prossimo. Setta, Lest, Maurik. Il gioco non è più tanto sottile. «Il mio cuore è tuo, Korlat», disse alla donna che aveva fra le braccia. «Niente altro ha importanza per me. Niente e nessuno.» «Per favore... non ti scusare per cose che ancora non sono neppure successe. Non parlare affatto.» «Non pensavo di essermi scusato.» Ma tu lo stavi facendo, a modo tuo. Lei accettò la menzogna con un asciutto sorriso. «Benissimo.» In seguito, Whiskeyjack avrebbe ripensato alle proprie parole, desiderando di essere stato più esplicito, senza significati nascosti. Con occhi che bruciavano per la mancanza di sonno, Paran osservò Ben lo Svelto concludere la propria conversazione con Haradas e lasciare la Trygalle per tornare verso di lui. «Gli zappatori ululeranno», osservò Paran, mentre si avviavano insieme verso l'accampamento Malazan, posto ora sulla riva meridionale del fiume Catlin. Ben lo Svelto scrollò le spalle. «Prenderò in disparte Hedge e gli parlerò. Dopo tutto, Fiddler è per lui più di un fratello, e con il pasticcio in cui si è cacciato ha bisogno di tutto l'aiuto possibile. L'unico problema è se i Trygalle riusciranno a consegnare il pacco in tempo.» «Quei mercanti sono gente straordinaria.» «Sono pazzi, a fare ciò che stanno facendo. La pura audacia è la sola cosa che li tiene in vita.» «Aggiungerei un certo talento nel percorrere canali ostili, in fretta.» «Speriamo sia sufficiente», rispose il mago.
«Non si trattava soltanto di munizioni Moranth, vero?» «No. La situazione di Sette Città non potrebbe essere più disperata. In ogni caso, ho fatto tutto il possibile; quanto alla sua efficacia, vedremo.» «Sei un uomo notevole, Ben lo Svelto.» «No, non lo sono. Ora, è meglio tenere questa faccenda il più riservata possibile. Hedge starà zitto, e così pure Whiskeyjack...» «Signori! Che serata adorabile!» Entrambi si girarono di scatto nel sentire quella voce echeggiare alle loro spalle. «Kruppe!» sibilò Ben lo Svelto. «Razza di viscido...» «Suvvia, suvvia, Kruppe implora la tua indulgenza. È stato per un mero caso felice che Kruppe ha sentito le vostre ammirevoli parole mentre quasi inciampava in silenzio sui vostri talloni, e in effetti ora egli non ha altro desiderio se non quello di partecipare, con estrema umiltà, alla coraggiosa impresa!» «Se dirai una sola parola di questo a chiunque, ti taglierò la gola», ringhiò Ben lo Svelto. Il Daru estrasse il solito, decrepito fazzoletto e si asciugò la fronte, tre rapidi colpetti che parvero lasciare il pezzo di seta fradicio di sudore. «Kruppe assicura al letale mago che la silenziosità è la sua amante più stretta, invisibile, insospettata e immitigabile. Allo stesso tempo, Kruppe proclama che i bravi cittadini di Darujhistan daranno appoggio a una così nobile causa... Baruk stesso lo garantisce, cosa che farebbe di persona, se potesse. Purtroppo, non ha che questo da offrire.» Con quelle parole, Kruppe esibì da dentro il fazzoletto una piccola sfera di vetro che lasciò cadere al suolo, dove si ruppe con un sommesso tintinnio, liberando una nebbia che si levò fino all'altezza delle ginocchia fra il Daru e i due Malazan, prima di assumere lentamente la forma di un bhokaral. «Ahi», borbottò Kruppe, «che creature orribili, addirittura visivamente offensive!». «Solo perché ti somigliano troppo», sottolineò Ben lo Svelto, lo sguardo fisso sull'apparizione. Il bhokaral piegò il collo per rivolgere verso il mago gli scintillanti occhi neri, inseriti in una testa nera grossa come un pompelmo, poi snudò i denti. «Saluti! Baruk! Padrone! Vorrebbe! Aiutare!» «Uno sforzo di chiarezza davvero misero da parte del caro e senza dubbio oberato di lavoro Baruk», commentò Kruppe. «Le sue migliori evocazioni manifestano grazia linguistica, se non una gradevole fluidità di paro-
la, mentre questa... cosa, ahimè, dimostra...» «Zitto, Kruppe», ingiunse Ben lo Svelto, poi si rivolse al bhokaral. «Per quanto possa sembrare poco consono al mio carattere, sarei grato dell'aiuto di Baruk, ma mi chiedo il perché dell'interesse dell'alchimista. Dopo tutto, questa di Sette Città è una ribellione. Una questione Malazan.» Il bhokaral annuì. «Sì! Baruk! Padrone! Raraku! Azath! Grande!» La testa riprese ad annuire. «Grande?» ripeté Paran. «Grande! Pericolo! Azath! Icarium! Altri! Coltaine! Ammirazione! Onore! Alleati! Sì! Sì?» «Qualcosa mi dice che questo non sarà facile», borbottò Ben lo Svelto. «D'accordo, passiamo ai dettagli.» Paran si volse nel sentire un cavaliere che si avvicinava. La figura appariva indistinta sotto la luce delle stelle, e il primo particolare notato da Paran fu il cavallo, un potente destriero, orgoglioso e manifestamente ribelle; per contrasto, la donna che lo montava era insignificante, la sua armatura vecchia e semplice, il volto sovrastato dall'elmo quello di una qualsiasi donna di mezz'età. Il suo sguardo si spostò da Kruppe al bhokaral e a Ben lo Svelto, poi lei si rivolse a Paran, senza cambiare espressione. «Capitano, vorrei scambiare qualche parola con voi in privato.» «Come desiderate», annuì lui, e la guidò a una quindicina di passi dagli altri. «Qui siamo abbastanza in privato?» «Basterà», replicò la donna, smontando e avvicinandosi. «Signore, io sono il Destriant delle Spade Grigie. I vostri soldati detengono un prigioniero, e io sono venuta a chiedere formalmente che ci venga affidato.» Paran si mostrò sconcertato, poi annuì. «Ah, sì, deve essere Anaster, quello che comandava i Tenescowri.» «Sì, signore. Non abbiamo ancora finito con lui.» «Capisco...» Paran esitò. «Si è ripreso dalle ferite?» «L'occhio che ha perso? Se ne sono occupati i nostri guaritori.» «Forse dovrei presentare la mia richiesta al Gran Pugno Dujek», rifletté il Destriant. «No, non sarà necessario. Posso parlare io per conto dei Malazan, ma in questa veste è necessario che ponga prima qualche domanda.» «Come desiderate, signore. Procedete pure.» «Cosa intendete fare del prigioniero?»
«Signore?» chiese la donna, accigliandosi. «Noi non ammettiamo la tortura, quale che sia il crimine commesso. Se intendete applicarla, saremo costretti a estendere la nostra protezione ad Anaster e a respingere la vostra richiesta.» La donna distolse lo sguardo per un momento, poi tornò a fissare Paran negli occhi, e questi si rese allora conto che lei era molto più giovane di quanto avesse inizialmente supposto. «Signore, tortura è un termine relativo», disse. «Lo è?» «Per favore, signore, permettetemi di continuare.» «Benissimo.» «Quell'uomo, Anaster, potrebbe benissimo vedere come una tortura ciò che cerchiamo di fare per lui, ma la sua è una paura nata dall'ignoranza. Non gli sarà fatto del male. Anzi, il mio Incudine-Scudo desidera fare esattamente l'opposto per quell'uomo sfortunato.» «Vorrebbe togliergli il dolore.» Il Destriant annuì. «Si tratta di quell'abbraccio spirituale... come Itkovian ha fatto con Rath'Fener.» «Proprio così, signore.» Paran rimase in silenzio per un momento. «L'idea terrorizza Anaster?» chiese quindi. «Sì.» «Perché?» «Perché non conosce niente altro, dentro di sé. Ha equiparato tutta la sua identità al dolore della sua anima, e quindi ne teme la fine.» Paran si girò verso il campo Malazan. «Seguimi», disse. «Signore?» domandò la donna, alle sue spalle. «È vostro, Destriant. Con la mia benedizione.» La donna barcollò, sbattendo contro il cavallo che si spostò sbuffando. Paran si volse di scatto. «Cosa...?» Il Destriant si raddrizzò e si portò una mano alla fronte, scuotendo il capo. «Mi dispiace. C'era del... del peso... nel modo in cui avete usato quella parola.» «In cui ho usato... oh!» Oh! Per il respiro di Hood, Ganoes... sei stato dannatamente sventato. «E?» chiese, con riluttanza. «E... non ne sono certa, signore, ma credo che per voi sarebbe consiglia-
bile... esercitare maggiore cautela, in futuro.» «Sì, credo che abbiate ragione. Vi siete ripresa abbastanza da poter proseguire?» La donna annuì e raccolse le redini del cavallo. Non ci pensare, Ganoes Paran, prendilo come un avvertimento e niente di più. Non hai fatto niente ad Anaster... non lo conosci neppure. È un avvertimento, e farai dannatamente bene ad ascoltarlo. CAPITOLO VENTIDUESIMO Il vetro è sabbia e la sabbia è vetro! La formica danza alla cieca come fanno le formiche cieche sul bordo dell'orlo e sull'orlo del bordo. Bianco nella notte e grigio nel giorno... Il ragno sorridente mai sorride eppur sorride Ma la formica non lo vede mai, cieca com'è... Anzi com'era! Storie per spaventare i bambini Malesen il Vendicativo Purtroppo un panico insensato la fa sussultare», affermò sopra di lui la voce del Seerdomin. «Ultimamente, mi pare che sia diventato... eccessivo, Consacrato.» «Credi che non lo veda?» replicò il Veggente Pannion, con voce stridula. «Credi che sia cieco?» «Voi siete l'epitome della saggezza e siete onnisciente», affermò l'ufficiale Seerdomin. «Stavo solo esprimendo la mia preoccupazione, Consacrato. Lui non può più camminare, e pare che faccia una terribile fatica a respirare a causa del torace deformato.» «Lui»... storpio... costole frantumate che come mani scheletriche si chiudono sempre più sui polmoni. Seerdomin, è me che stai descrivendo. Ma io chi sono? Ho avvertito un potere, una volta, molto tempo fa. C'è un lupo.
Un lupo, intrappolato in questa gabbia... il mio petto, queste ossa, sì, lui non può respirare. Fa male. Gli ululati sono svaniti. Tacciono. Il lupo non può chiamare... chiamare... Chi? Una volta ho posato la mano sulla sua spalla pelosa, vicino al collo. Non ci eravamo ancora destati, lei e io. Così vicini, viaggiavamo insieme, ma non eravamo ancora desti... quale tragica ignoranza. Eppure lei mi ha fatto dono della sua vista mortale, la sua sola storia... così come la conosceva, mentre nel profondo del suo cuore dormiva... la mia amata. «Consacrato, l'abbraccio di vostra madre lo ucciderà, qualora lo si dovesse riportare...» «Osi dare ordini a me?» sibilò il Veggente, un tremito nella voce. «Non comando, Consacrato, constato un dato di fatto.» «Ultentha! Carissimo Eptarca, venite avanti. Guardate quest'uomo, ai piedi del vostro Seerdomin. Cosa ne pensate?» «Consacrato», affermò una nuova voce, più sommessa, «il mio fidato servitore dice il vero. Le ossa di quest'uomo sono così massacrate...». «Posso vederlo!» urlò il Veggente. «Consacrato», continuò l'Eptarca, «liberatelo dal suo orrore». «No! Non lo farò! Lui è mio! È di mia madre! Lei ne ha bisogno, ha bisogno di qualcuno da stringere: di lui! «Il suo amore si sta dimostrando fatale», osservò il Seerdomin. «Mi sfidate entrambi? Devo radunare i miei Alati? Per inviarvi incontro all'oblio? Perché si disputino i vostri resti? Sì? Devo farlo?» «Come desidera il Consacrato.» «Sì, Ultentha! Esattamente! Come io desidero.» «Devo allora riportarlo alla Matrona, Consacrato?» chiese il Seerdomin. «Non ancora. Lascialo là. Vederlo mi diverte. Ultentha, sentiamo il vostro rapporto.» «Le trincee sono ultimate, Consacrato. Il nemico attraverserà la pianura per porsi di fronte alle mura cittadine, e non manderà esploratori verso il costone boscoso sulla destra... ci scommetto la mia anima.» «Lo avete fatto, Ultentha, lo avete fatto. E cosa mi dite di quei dannati Grandi Corvi? Se uno soltanto ha visto...» «I vostri Alati li hanno scacciati, Consacrato. I cieli sono stati sgombrati, e le spie del nemico sono state quindi neutralizzate. Permetteremo loro di stabilire dei campi sulla pianura, poi emergeremo dalle nostre posizioni
sopraelevate e attaccheremo sul fianco, contemporaneamente all'assalto dei Quadri di Maghi sulle mura e degli Alati nel cielo, oltre che alla sortita dell'Eptarca Inal dalle porte; la vittoria sarà nostra, Consacrato.» «Voglio Caladan Brood, e voglio che il suo martello sia consegnato nelle mie mani. Voglio che i Malazan siano annientati e che gli dei Barghast striscino ai miei piedi, ma soprattutto voglio le Spade Grigie! Avete capito? Voglio quell'uomo, Itkovian... e allora avrò un rimpiazzo per mia madre. Quindi ascoltatemi bene: se desiderate misericordia per Toc il Giovane, portatemi Itkovian. Vivo.» «Sarà fatto come desiderate, Consacrato», affermò l'Eptarca Ultentha. Sarà come lui vuole. Lui è il mio dio. Quello che vuole, tutto quello che vuole. Il lupo non riesce a respirare. Sta morendo. Lui... noi stiamo morendo. «E dov'è il nemico adesso, Ultentha?» «Le sue forze si sono effettivamente divise due giorni fa, dopo aver attraversato il fiume.» «Non sono ancora consapevoli che le due città verso cui stanno marciando sono morte?» «I Grandi Corvi devono averglielo riferito, Consacrato.» «Che cos'hanno in mente, allora?» «Non ne siamo certi, e i vostri Alati non osano avvicinarsi troppo. Credo che la loro presenza non sia stata ancora notata, ed è meglio lasciare le cose come stanno.» «Sono d'accordo. Bene, forse immaginano che abbiamo predisposto delle trappole - truppe nascoste, o qualche altra cosa del genere - e temono di essere attaccati di sorpresa alle spalle qualora decidano di ignorare del tutto le città.» «La loro prudenza ci concede più tempo, Consacrato.» «Sono degli stolti, inorgogliti dalla vittoria di Capustan.» «Infatti, Consacrato, e per questo la pagheranno.» Tutti pagano. Nessuno sfugge. Credevo di essere al sicuro, perché il lupo era un potere che si stava svegliando, e verso cui ero fuggito. Però ha scelto l'uomo sbagliato, il corpo sbagliato. Quando è sceso su di me e mi ha preso l'occhio - quel bruciante lampo grigio che ho creduto essere una pietra - ero integro, giovane e sano. Adesso però sono in balia della Matrona. Pelle vecchia pende dalle sue braccia massicce, il cui odore è quello di una tana di serpenti abbandonata. Il suo abbraccio si contrae e le ossa si spezzano, ripetutamente. C'è
stato così tanto dolore, ormai esso è un rombo incessante. Ho avvertito il suo panico, come ha detto il Veggente, ed è stato questo ad aggredire la mia mente, a distruggermi. Meglio sarebbe stato rimanere distrutto, meglio che non mi fossero stati restituiti i ricordi. La conoscenza non è un dono. Maledetta consapevolezza. Giaccio qui, su questo freddo pavimento, le ondate di dolore che si affievoliscono... non avverto più le gambe, sento odore di sale, di polvere e di muffa. C'è un peso sulla mia mano sinistra, è bloccata sotto di me e si sta intorpidendo. Vorrei potermi muovere. «... salare i corpi. Non c'è carenza di viveri. Lo scorbuto ha ucciso così tanti Tenescowri che le nostre truppe riescono a stento a raccogliere i cadaveri, Consacrato.» «Simili prosaiche malattie non si estenderanno ai soldati, Ultentha. L'ho visto in un sogno. La signora si è aggirata fra i Tenescowri, e la loro carne si è gonfiata, le dita delle mani e dei piedi sono marcite e si sono annerite, i denti sono caduti fra fiotti di saliva insanguinata. Quando però è giunta fra i miei guerrieri scelti, l'ho vista sorridere e allontanarsi.» «Consacrato», disse il Seerdomin, «perché Poleil ha benedetto la nostra causa?». «Non lo so e non m'importa. Forse ha avuto una visione della gloria del nostro trionfo, o forse cerca il nostro favore. I nostri soldati non si ammaleranno, e una volta distrutti gli invasori, potremo ricominciare la nostra marcia verso nuove città, nuove terre, e ingrassare con le loro spoglie.» Gli invasori... fra essi, la mia gente. Io ero Toc il Giovane, un Malazan. E i Malazan stanno arrivando. La risata gli scaturì dalla gola come un suono liquido, sommesso, per poi salire di tono. Ogni conversazione cessò; la sua risata rimase l'unico rumore presente nella camera, poi la voce del Veggente echeggiò sopra di lui. «Cosa ti diverte tanto, Toc il Giovane? Puoi parlare? Ah, non te l'ho già chiesto una volta?» «Io parlo, ma voi non mi ascoltate», rispose Toc. «Non mi ascoltate mai.» «Davvero?» «L'Armata di Un-braccio, Veggente, è la più letale che l'Impero Malazan abbia mai prodotto, e sta venendo qui per voi.» «E dovrei tremare?»
Toc rise ancora. «Fate come preferite. Però vostra madre sa.» «Credi che abbia paura dei tuoi stupidi soldati? Perdono la tua ignoranza, Toc il Giovane. Devi sapere che la mia cara madre nutre... antichi terrori. La Progenie della Luna. Permettimi di essere più preciso, in modo da evitarti altri fraintendimenti. La Progenie della Luna è dimora dei Tiste Andii e del loro temuto Signore, ma essi sono lucertole in un tempio abbandonato, inconsapevoli della magnificenza che li circonda. Purtroppo, non è possibile spiegare questi dettagli alla mia cara madre, che ultimamente è una povera cosa priva di mente, dotata solo di istinto. «Gli Jaghut ricordano la Progenie della Luna. Io solo sono in possesso delle pergamene provenienti dalla Follia di Gothos, nelle quali si sussurra dei K'Chain Nah'rhuk - i Coda-Corta, i figli traditori delle Matrone - creatori di meccanismi capaci di vincolare la magia in modi da tempo dimenticati, costruttori di vaste fortezze volanti dalle quali scatenarono attacchi devastanti contro i loro simili dalla coda lunga. «Oh, alla fine sono stati sconfitti e distrutti, ma una di quelle fortezze volanti è rimasta, danneggiata e abbandonata ai venti. Gothos era convinto che fosse andata alla deriva verso nord, entrando in collisione con i ghiacci di un inverno Jaghut e rimanendo intrappolata per millenni. Finché non è stata ritrovata dai Tiste Andii. «Comprendi ora, Toc il Giovane? Anomander Rake non sa nulla dei veri poteri della Progenie della Luna, poteri a cui non potrebbe accedere neppure se li conoscesse. La mia cara madre ricorda, o almeno una parte di lei lo fa. Naturalmente, non ha nulla da temere, perché la Progenie della Luna non è presente nel raggio di duecento leghe da qui... i miei Alati l'hanno cercata nel cielo, nei canali, ovunque. La sola conclusione è che essa sia fuggita, o abbia infine cessato di funzionare... non mi hai forse detto che sopra Pale per poco non è stata distrutta? «Come vedi, quindi, Toc il Giovane, il tuo esercito Malazan non spaventa nessuno di noi, neppure la mia cara madre. L'Armata di Un-braccio sarà distrutta quando attaccherà Coral, e così pure Brood, i Rhivi e i Visi Bianchi, che non possiedono la disciplina necessaria per questo genere di guerra. Li avrò tutti, e ti darò da mangiare pezzetti della carne di Dujek Unbraccio... gradiresti mangiare di nuovo un po' di carne, vero? Qualcosa che non sia stato... rigurgitato. Sì?» Lui non disse nulla, pur sentendo lo stomaco che gli si contraeva avidamente. Chinandosi, il Veggente gli sfiorò la tempia con un dito. «È così facile
spezzarti, infrangere le tue convinzioni, una a una. Quasi troppo facile. La sola salvezza in cui puoi sperare è la mia, Toc il Giovane. Adesso lo capisci, vero?» «Sì», replicò lui. «Benissimo. Prega dunque che ci sia misericordia nella mia anima. A dire il vero, io stesso non ne ho ancora trovata, anche se ammetto di non aver cercato, ma forse essa esiste. Aggrappati a questo, amico mio.» «Sì.» Il Veggente si raddrizzò. «Sento le grida di mia madre. Riportalo indietro, Seerdomin.» «Come comandate, Consacrato.» Braccia forti sollevarono con facilità Toc il Giovane dal pavimento freddo, trasportandolo fuori dalla stanza; nel corridoio, il Seerdomin si arrestò. «Toc, ascoltami, per favore. Lei è incatenata, e non può spostarsi in tutta la stanza. Ascolta, ti adagerò dove lei non ti può raggiungere, e ti porterò cibo, acqua e coperte. Il Veggente non baderà alle sue urla, perché ultimamente lei stride sempre, e neppure cercherà di sondare la sua mente, perché questioni molto più importanti richiedono la sua attenzione.» «Ti farà divorare, Seerdomin.» «Sono stato divorato molto tempo fa, Malazan.» «Io... mi dispiace.» L'uomo che lo sorreggeva tacque per un lungo momento. «Tu... offri compassione», disse infine, con voce incrinata. «Che l'Abisso mi prenda, Toc, sono ancora in debito. Concedimi, ti prego, questi piccoli sforzi...» «Con gratitudine, Seerdomin.» «Grazie.» L'uomo riprese a camminare. «Dimmi, Seerdomin, il ghiaccio infesta ancora il mare?» chiese Toc. «Non per una lega almeno, Toc. Un cambiamento improvviso delle correnti ha sgombrato il porto, ma la tempesta infuria ancora sulla baia e là fuori il ghiaccio continua a tuonare e infrangersi come una guerra di diecimila demoni. Non lo senti?» «No.» «Ammetto che qui il suono è debole. Sui bastioni della fortezza è assordante.» «Io... ricordo il vento...» «Non arriva più fino a noi. Un'altra stranezza, di cui sono grato.» «Non c'è vento nella grotta della Matrona», disse Toc.
Un devastante rumore di legno infranto si diffuse per tutto il frammento Mekros. Lady Invidia si arrestò nel risalire la strada verso la sua estremità spezzata, perché il pendio si era fatto di colpo più erto e la brina rendeva scivoloso l'acciottolato. Con un sibilo di frustrazione, attinse a un canale e fluttuò fino al punto estremo del galleggiante, raggiungendo Lanas Tog. La T'lan Imass era immobile sul suo pericoloso punto di osservazione, la pelle a brandelli e i capelli sbiancati agitati dal vento; le spade che la trafiggevano erano scintillanti di ghiaccio. Quando le fu accanto, Lady Invidia comprese la causa di quei terribili schianti: un vasto blocco di ghiaccio era entrato in collisione con loro e stava scivolando lungo la base della piattaforma in un ribollire d'acqua e di spuma ghiacciata. «Povera me», borbottò. «A quanto pare, ci dirigiamo a ovest.» «Ma ci stiamo avvicinando comunque alla costa, e questo è sufficiente», replicò Lanas Tog. «Con questa rotta, arriveremo a venti leghe da Coral, e sono tutte terre selvagge, supponendo che il mio ricordo della mappa della regione sia esatto. Sono così stanca di camminare! Avete già visto la nostra dimora? A parte il pavimento inclinato e il panorama allarmante che si gode dalle finestre, è sontuosa. Sapete, non tollero i disagi.» La T'lan Imass non rispose e continuò a guardare verso nord. «Siete tutti uguali», sbuffò Lady Invidia. «Ci sono volute settimane per indurre Tool a fare un po' di conversazione». «Avete già menzionato questo nome. Chi è Tool?» «Onos T'oolan, Prima Spada. L'ultima volta che l'ho visto, era ancora più malconcio di voi, cara, quindi avete ancora speranza.» «Onos T'oolan. L'ho incontrato una volta soltanto.» «Senza dubbio al Primo Raduno.» «Sì. Ha parlato contro il rituale.» «Quindi di certo lo odiate.» La T'lan Imass non rispose subito. La struttura sussultò selvaggiamente sotto di loro, inclinandosi in avanti quando il blocco di ghiaccio se ne staccò e poi tornando a risollevarsi, ma Lanas Tog non barcollò neppure. «Odiarlo?» ripeté. «No. Naturalmente, non ero d'accordo con lui, nessuno di noi lo era, quindi lui si è adeguato. È una convinzione comune a tutti noi.» Lady Invidia attese, a braccia conserte. «Quale convinzione?» chiese infine.
«Che la verità è comprovata dal numero. Ciò che molti ritengono essere giusto, deve esserlo. Quando rivedrò Onos T'oolan gli dirò che era lui ad avere ragione.» «Non credo che nutra del risentimento, Lanas Tog. A pensarci, suppongo che questo lo renda unico fra i T'lan Imass, non trovate?» «Lui è la Prima Spada.» «Ho avuto un'altra, frustrante conversazione con Mok. Vedete, mi stavo chiedendo come mai lui e i suoi fratelli non vi avessero ancora sfidata. Senu e Thurule hanno combattuto entrambi contro Tool, e hanno perso. Poi sarebbe toccato a Mok. Ho scoperto che i Seguleh non combattono contro le donne, a meno che non siano attaccati. A titolo di avvertimento, quindi, evitate di aggredirli.» «Non ho motivo di farlo, Lady Invidia, ma se mai dovessi trovarne uno...» «D'accordo, sarò più diretta. Tool è stato messo in difficoltà sia da Senu che da Thurule, e probabilmente sarebbe alla pari nell'affrontare Mok. Voi siete al livello della Prima Spada, Lanas Tog? Se davvero volete arrivare tutta intera al Secondo Raduno per riferire il vostro messaggio, dimostrate un po' di autocontrollo.» Lanas Tog scrollò le spalle, con uno stridere di ferro contro le ossa. «Mi chiedo cosa sia più deprimente», sospirò Lady Invidia, «se cercare di fare una conversazione civile con voi e con i Seguleh, o se fissare gli occhi sofferenti della lupa. Non farò commenti sull'umore di Garath, che sembra ancora infuriato con me». «L'ay si è destata», affermò Lanas Tog. «Lo so, lo so, e il mio cuore piange per lei... o almeno per la dea infelice che risiede nel suo corpo. D'altro canto, entrambe meritano qualche lacrima, non credete? Un'eternità di solitudine per quell'ay non del tutto mortale non può essere stata divertente, dopo tutto.» La T'lan Imass girò la testa. «Chi ha concesso a quella bestia tale dono a doppio taglio?» chiese. Lady Invidia scrollò le spalle. «Un mio fratello che ha erroneamente creduto di fare del bene. D'accordo, forse questa è una risposta troppo semplicistica. Mio fratello aveva trovato la dea, spaventosamente danneggiata dalla Caduta, e aveva bisogno di un corpo a sangue caldo in cui racchiudere il suo spirito perché potesse guarire. Il branco dell'ay era morto, e lei stessa era troppo giovane per poter sopravvivere, in circostanze normali. Cosa ancora peggiore, era l'ultimo ay esistente sul continente.»
«Vostro fratello ha un senso della misericordia davvero distorto, Lady Invidia.» «Ne convengo. Abbiamo qualcosa in comune, dopo tutto! Splendido!» Un momento più tardi, nel fissare la T'lan Imass al suo fianco, Invidia sentì svanire il proprio entusiasmo. «Oh», borbottò, «quanto si è rivelata angosciante questa verità». Lanas Tog riprese a fissare il mare in burrasca, verso nord. «La maggior parte delle verità lo è», disse. Lady Invidia si passò le mani fra i capelli. «Bene, credo che tornerò dabbasso a contemplare per qualche tempo gli occhi infelici della lupa, giusto per migliorare il mio umore, capite. Sapete, se non altro, Tool aveva il senso dell'umorismo.» «Lui è la Prima Spada.» Borbottando fra sé nel discendere la strada, i piedi che sfioravano appena l'acciottolato ghiacciato, Lady Invidia si arrestò solo quando arrivò all'ingresso della casa. «Oh. In un modo strano, è stato davvero buffo. Straordinario!» Brood stava osservando Crone saltellare qua e là in preda all'ira. Korlat era ferma da un lato, e Kallor stava indugiando a pochi passi di distanza, mentre l'esercito marciava in un ampio schieramento sulla strada sopraelevata alla loro sinistra e sulla destra, a una certa distanza, procedeva la mandria dei bhederin. Korlat notò che le bestie erano meno numerose, ma del resto centinaia erano perite nel guadare il fiume. Un sibilo acuto di Crone richiamò la sua attenzione divagante: il Grande Corvo aveva allargato parzialmente le ali, arrestandosi davanti all'Alto Comandante. «Ancora non comprendi la gravità di tutto questo! Stolto! Bue! Dov'è Anomander Rake? Dimmelo! Gli devo parlare, lo devo avvertire.» «Di cosa?» chiese Brood. «Del fatto che poche centinaia di condor vi hanno scacciati?» «Una magia ignota si nasconde in quegli abominevoli avvoltoi! Ci stanno deliberatamente tenendo lontani, bestione senza cervello!» «Da Coral e dai suoi dintorni», rilevò in tono asciutto Kallor. «Siamo appena arrivati in vista di Lest, Crone. Una cosa per volta.» «Stupido! Credi che se ne stiano seduti senza far niente? Si stanno preparando...»
«Questo è ovvio», sogghignò Kallor. «E allora?» «Cosa è successo alla Progenie della Luna? Sappiamo cosa intendesse fare Rake, ma... ci è riuscito? Non riesco a raggiungere né la Progenie né lui! Dov'è la Progenie della Luna?» Nessuno parlò. Crone abbassò la testa di scatto. «Ne sapete meno di me, vero? La vostra è solo millanteria! Siamo perduti!» Girandosi, il Grande Corvo trafisse Korlat con lo sguardo dei penetranti occhi neri. «Il tuo Signore ha fallito, vero? E ha portato con sé tre quarti dei Tiste Andii! Tu basterai, Korlat? Tu...» «Crone», tuonò Brood, «abbiamo chiesto notizie dei Malazan, non un elenco delle tue paure». «I Malazan? Marciano, che altro dovrebbero fare? File interminabili di carri sulla strada, polvere ovunque. Si stanno avvicinando a Setta, che è vuota, tranne per una manciata di cadaveri disseccati dal sole.» «Allora stanno procedendo spediti», grugnì Kallor. «Pare quasi che abbiano fretta. Alto Comandante, c'è sotto un inganno.» Brood si accigliò e incrociò le braccia. «Hai sentito il corvo, Kallor. I Malazan marciano... più in fretta di quanto ci aspettassimo, ma niente di più.» «Fingi di crederlo», ringhiò Kallor. Ignorandolo, Brood si girò di nuovo verso il Grande Corvo. «Falli sorvegliare dai tuoi compagni. Quanto a ciò che sta accadendo a Coral, ce ne preoccuperemo una volta raggiunta Maurik e ricongiunte le forze. Infine, riguardo al tuo padrone, Anomander Rake, abbi fede in lui, Crone.» «Sulla fede basi il tuo successo? Follia! Dobbiamo prepararci al peggio!» L'attenzione di Korlat tornò a divagare, cosa che ultimamente le accadeva spesso. Aveva dimenticato cosa potesse fare l'amore, quando insinuava le proprie radici in tutta la sua anima, tirando e spingendo i suoi pensieri, mentre l'ossessione maturava come un frutto seducente. Avvertiva solo la sua vita che cresceva dentro di lei, reclamando tutto il suo essere. I timori per il suo Signore e la sua gente le apparivano quasi privi di fondamento. Se fosse stato veramente necessario, avrebbe potuto tentare di usare il suo canale e di raggiungerlo tramite i sentieri del Kurald Galain, ma non avvertiva l'urgenza di farlo. Quella guerra avrebbe trovato la sua via per evolversi. Tutti i suoi desideri erano racchiusi negli occhi di un uomo, un mortale
dalla nobiltà sfaccettata e affilata, un uomo che aveva superato la giovinezza, un'anima coperta di cicatrici... che tuttavia si era arresa a lei. Era quasi incredibile. Rammentava la prima volta che lo aveva visto da vicino. Lei era con la Mhybe e Volpe d'Argento, la mano della bambina nella sua, e lui era venuto a cavallo verso il luogo dei negoziati, al fianco di Dujek, un soldato di cui lei già conosceva il nome... un temuto nemico contro il cui talento tattico Brood si era arenato più di una volta, sebbene i Malazan fossero in condizione d'inferiorità per le scarse provviste e il numero ridotto degli effettivi. Anche allora, lui aveva attirato il suo sguardo come una calamita. E non solo il suo. Rake lo aveva definito un amico, e la rarità di una cosa del genere la lasciava ancora senza fiato. Da quando lo conosceva, Anomander Rake aveva definito come amico un solo uomo, Caladan Brood, con il quale aveva in comune migliaia di anni di esperienze condivise, un'ininterrotta alleanza; c'erano stati anche continui attriti, questo era vero, ma mai una rottura insanabile. La chiave di questo, lei lo capiva bene, risiedeva nel fatto che mantenevano una rispettosa distanza uno dall'altro, punteggiata da incontri occasionali. Era un rapporto che non si sarebbe mai spezzato, ne era certa, e nei secoli da esso era nata un'amicizia. Peraltro, Rake aveva trascorso solo poche sere in compagnia di Whiskeyjack; fra di loro c'erano state conversazioni di cui lei ignorava il contenuto, e questo era stato sufficiente. In ciascuno c'è qualcosa che li ha resi spiriti affini, ma neppure io posso vedere cosa sia. Il vero io di Anomander Rake non è raggiungibile, non si può neppure sfiorare, e io non ho mai saputo cosa si celi dietro gli occhi del mio Signore, ho solo percepito un vasto contenuto... ma non ho potuto assaporarne ogni sfumatura. Con Whiskeyjack, invece... il mio caro amore mortale... anche se non posso scorgere tutto ciò che c'è in lui, vedo cosa gli costi contenerlo. Scorgo il sangue ma non la ferita. E posso vedere la sua forza... anche l'ultima volta, quando era così stanco... A sud, erano visibili le vecchie mura di Lest, che non recavano traccia di riparazioni successive alla conquista da parte dei Pannion. Il cielo sovrastante la città era sgombro da fumo o da uccelli, e gli esploratori Rhivi avevano riferito che nelle strade c'erano soltanto poche ossa carbonizzate. Un tempo, Lest era stata famosa per i suoi giardini pensili, ma il flusso
dell'acqua era cessato da settimane e gli incendi erano dilagati per la città; anche da quella distanza era possibile vedere le chiazze di fuliggine sulle mura. «Devastazione!» gemette Crone. «Questo è ciò che abbiamo davanti! È così fino a Maurik. E intanto la nostra alleanza ci si disintegra sotto gli occhi.» «Niente affatto», tuonò Brood, sempre più accigliato. «Davvero? E dov'è Volpe d'Argento? Che ne è stato della Mhybe? Perché le Spade Grigie e la legione di Trake si tengono tanto indietro rispetto a noi? Perché i Malazan si sono mostrati tanto impazienti di lasciarci? E adesso Anomander Rake e la Progenie della Luna sono svaniti! I Tiste Andii...» «Sono vivi», intervenne Korlat, perdendo infine la pazienza. Crone si girò di scatto. «Ne sei certa?» Korlat annuì. Ma... lo sono davvero? No. Devo cercarli? No. Vedremo come stanno le cose una volta a Coral, tutto qui. Il suo sguardo si spostò lentamente verso ovest. E tu, mio caro amore, ladro di tutti i miei pensieri, mi lascerai mai andare? Per favore, non farlo. Mai. Itkovian, che cavalcava accanto a Gruntle, vide due Spade Grigie dirigersi al galoppo verso l'Incudine-Scudo e il Destriant. «Da dove arrivano?» chiese Gruntle. «Erano di retroguardia», replicò Itkovian. «Pare che abbiano delle notizie.» «Così sembra, signore.» «Allora? Non siete curioso? Tutte e due vi hanno chiesto di cavalcare con loro, e se aveste detto di sì adesso stareste ascoltando quel rapporto, invece di procedere a passo di lumaca con la nostra marmaglia. Ehi, è un'idea... potrei dividere la mia legione in due compagnie e chiamarne una Mar e l'altra...» «Abbi pietà di noi!» scattò Stonny, alle sue spalle. Gruntle si girò sulla sella. «Da quanto tempo sei nella nostra ombra, donna?» «Io non sono mai nell'ombra di nessuno, Gruntle, che si tratti di te, di Itkovian o di qualsiasi uomo. Inoltre, il sole è così basso che per essere nella tua ombra dovrei starti accanto... ma non mi faresti ombra lo stesso, è ovvio.»
«Quindi sei invece la donna dietro di me», sorrise la Spada Mortale. «E questo cosa dovrebbe significare, maiale?» «Stavo solo affermando un dato di fatto, ragazza.» «Davvero? Ebbene, ti sbagliavi. Stavo andando verso le Spade Grigie, solo che mi avete sbarrato il passo.» «Stonny, questa non è una strada, è una pianura. Nel nome di Hood, come facevamo a sbarrarti il passo quando avresti potuto dirigere il cavallo da qualsiasi parte?» «Pigri idioti! Qui qualcuno deve essere curioso, qualcuno che abbia cervello, è ovvio, il che spiega perché voi due state trotterellando con calma, chiedendovi cosa stiano riferendo quegli esploratori senza però fare nulla per scoprirlo. Perché siete entrambi senza cervello. Quanto a me...» «Quanto a voi», la interruppe Itkovian, in tono asciutto, «sembrate impegnata a parlare con noi, signora, impegnata in una conversazione...». «Che è già finita!» scattò Stonny, spingendo il cavallo sulla sinistra e lanciandolo oltre al galoppo. Dopo un momento, Gruntle scrollò le spalle. «Mi chiedo cosa sentirà», disse. «Anch'io», replicò Itkovian. I due proseguirono, a un'andatura costante anche se un po' lenta, con la legione di Gruntle che marciava sulla loro scia in una massa informe che faceva pensare a una banda di pirati che si stesse addentrando nell'entroterra in cerca di una fattoria da saccheggiare. In precedenza, Itkovian aveva suggerito al riguardo che un po' di addestramento sarebbe potuto tornare utile, ma Gruntle si era limitato a sorridere. La Spada Mortale di Trake disprezzava gli eserciti, anzi, disprezzava qualsiasi cosa fosse anche lontanamente connessa al concetto di pratica militare, era indifferente alla disciplina e aveva soltanto un ufficiale - per fortuna un soldato Lestari - per gestire i suoi seguaci, che ammontavano ora a quasi duecento: disadattati dagli occhi duri che lui definiva ridendo la Legione di Trake. Sotto ogni aspetto, Gruntle era l'esatto opposto di Itkovian. «Sta tornando», borbottò la Spada Mortale. «Cavalca con notevole fervore», osservò Itkovian. «Già, un fervore che non si limita solo al montare in sella, a quanto ho sentito.» Itkovian scoccò un'occhiata a Gruntle. «Chiedo scusa. Avevo supposto che voi e lei...»
«Qualche volta», replicò Gruntle. «Purtroppo, eravamo entrambi ubriachi, lei più di me, lo ammetto, e in genere nessuno dei due ne parla. Una volta siamo finiti sull'argomento e si è trasformato in una discussione su chi dei due era più imbarazzato... ah, ragazza! Che novità ci sono?» Lei fece arrestare il cavallo così bruscamente da sollevare una nuvola di polvere. «Nel nome di Hood, perché te lo dovrei dire?» «E allora perché, nel nome di Hood, sei tornata da noi?» «Stavo soltanto tornando alla mia posizione, idiota... Itkovian, spero che quello che vedo non sia un accenno di sorriso, altrimenti dovrò uccidervi.» «Non lo è assolutamente, signora.» «Lieta di sentirlo.» «Allora?» chiese Gruntle. «Cosa?» «Le notizie, donna!» «Ah, quello. Naturalmente, di questi tempi sentiamo soltanto notizie splendide, giusto? Piacevoli rivelazioni, lieti eventi...» «Stonny.» «Vecchi amici, Gruntle! Ci seguono a circa una lega di distanza. Una grossa carrozza d'osso trainata da animali che non sono quello che sembrano. Si trascina dietro un paio di carri a fondo piatto carichi di ferraglia... ho detto ferraglia? Volevo intendere bottino, naturalmente, compresi alcuni cadaveri anneriti dal sole. Il conducente è un vecchio che ha un gatto rognoso in grembo. Allora, che ne pensi? Non sono vecchi amici?» Gruntle si era fatto inespressivo, gli occhi d'un tratto gelidi. «Niente Buke?» «Neppure il suo cavallo. Deve essere volato via, oppure...» La Spada Mortale girò il cavallo e diede di sprone. Esitando, Itkovian guardò verso Stonny, e scorse con sorpresa un'evidente compassione che le addolciva il volto. «Non vorreste raggiungerlo, per favore?» Annuendo, Itkovian abbassò la visiera dell'elmo, e con un minimo spostamento del proprio peso, unito a una lieve pressione delle redini sul collo, fece girare il cavallo. Esso si mostrò lieto di poter correre un poco, e grazie al suo carico più leggero non faticò a raggiungere la cavalcatura di Gruntle, già con il respiro affannoso, a due terzi di lega dalla destinazione. «Signore!» esclamò Itkovian. «Rallentate! Altrimenti al ritorno avremo un cavallo in due!» Sibilando un'imprecazione, Gruntle accennò a spronare ancora, poi cedette e si raddrizzò sulla sella, allentando le redini; subito il cavallo passò
dal galoppo al trotto. «Ora un po' di trotto veloce», consigliò Itkovian. «Poi rallenteremo ancora fra un centinaio di passi, in modo che l'animale possa stendere il collo e aprire appieno le vie respiratorie.» «Mi dispiace, Itkovian», disse Gruntle, poco dopo. «Ultimamente la mia ira è fredda, ma questo pare che la renda ancor più letale.» «Trake...» «Non ci provate neppure, amico. L'ho già ribadito: non m'importa un accidente di quello che Trake vuole o si aspetta da me, ed è meglio che il resto di voi se ne convinca. Spada Mortale... odio i titoli, non mi piaceva neppure essere chiamato capitano quando scortavo le carovane, e lo facevo solo per ottenere una tariffa più elevata.» «Avete intenzione di fare del male a quei viaggiatori, signore?» «Sapete benissimo chi sono.» «Lo so.» «Avevo un amico...» «Si, quello chiamato Buke. Mi ricordo di lui, un uomo infranto dal dolore. Una volta mi sono offerto di assumermi il suo fardello, ma ha rifiutato.» Gruntle si girò di scatto. «Davvero? E ha rifiutato?» Itkovian annuì. «Forse avrei dovuto essere più... diretto.» «Avreste dovuto afferrarlo per la gola e procedere, indipendentemente da quello che lui voleva. Questo è ciò che il nuovo Incudine-Scudo ha fatto con il Primo Figlio del Seme Morto... Anaster, si chiama così, vero? E adesso lui gli cavalca accanto.» «Cavalca inconsapevole. Soltanto un guscio vuoto, signore. In lui non c'era che dolore, e la sua rimozione lo ha privato della consapevolezza di sé. Avreste voluto questa sorte anche per Buke?» Gruntle fece una smorfia e non rispose. Ormai mancava meno di un terzo di lega, sempre che la valutazione data da Stonny fosse stata precisa, ma l'ondulazione delle basse colline che costeggiavano la riva riduceva la visuale, e alla fine fu il rumore del carro, un soffocato clangore portato dal vento, ad avvisare i due del suo approssimarsi. Nel raggiungere la cresta di un'altura, poi, dovettero affrettarsi a tirare le redini per non sbattere contro i buoi che lo trainavano. Emancipor Reese sfoggiava una larga e sporca benda avvolta verticalmente intorno alla faccia, senza però che essa riuscisse a coprire del tutto
la mascella gonfia e l'occhio tumefatto. Il gatto che aveva in grembo s'inarcò soffiando per l'arrivo improvviso dei due cavalieri, poi scalò con le unghie di fuori il torso del servitore fino alla spalla sinistra e saltò sul tetto dell'orribile carrozza, svanendo in una piega di osso e pelle di K'Chain Che'Malle. Reese stesso sobbalzò sul sedile e per poco non cadde prima di ritrovare l'equilibrio. «Batharthi! Perché lo avete fatto?» farfugliò. «Chiedo scusa, signore, per avervi spaventato», replicò Itkovian. «Sei ferito...» «Eritho? Nho. Enthe. Shi è rottho. Occiolo d'oiva», biascicò Reese. Itkovian si accigliò e lanciò un'occhiata a Gruntle. La Spada Mortale scrollò le spalle. «Nocciolo d'oliva, forse?» suggerì. «I!» annuì vigorosamente Reese, sussultando per il movimento. «Osa olethe?» Gruntle trasse un profondo respiro. «La verità, Reese. Dov'è Buke?» «Anthato», spiegò il servo, scrollando le spalle. «Lo hanno...» «O! Anthato! Olatho!» Reese agitò le braccia su e giù, come ali. «Thlap thlap! Apitho?» Gruntle distolse lo sguardo con un sospiro, poi annuì lentamente. «D'accordo.» Lo sportello della carrozza si aprì e Bauchelain si sporse all'esterno. «Perché ci siamo fer... ah, il capitano di carovana, e la Spada Grigia, credo. Signore, dov'è la vostra uniforme?» «Non vedo motivo...» «Non importa», lo interruppe Bauchelain, scendendo a terra. «Non ero davvero interessato alla tua risposta. Allora, signori, siete forse qui a discutere d'affari? Perdonate la mia scortesia, ma ultimamente sono stanco e irascibile. Anzi, prima che diciate un'altra parola, vi consiglio di non irritarmi. La prossima sgradevole interruzione potrebbe far esplodere la mia ira e vi garantisco che non sarebbe piacevole. Allora, cosa volete da noi?» «Nulla», affermò Gruntle. Le sottili sopracciglia nere del negromante s'inarcarono appena. «Niente?» «Sono venuto a chiedere di Buke.» «Buke? Chi... ah, sì, lui. La prossima volta che lo vedete, ditegli che è licenziato.» «Lo farò.»
Per un momento, nessuno parlò, poi Itkovian si schiarì la voce. «Signore», disse a Bauchelain, «il vostro domestico ha un dente rotto e pare soffrire parecchio. Di certo, con le vostre arti...». Bauchelain si girò a guardare verso Reese. «Ah, questo spiega il copricapo. Ammetto che mi ero chiesto... pensavo forse all'adozione di una nuova moda locale, ma a quanto pare non è così. Bene, Reese, pare che dovrò chiedere ancora una volta a Korbal Broach di prepararsi a operare... questo è il terzo dente che rompi così, vero? Altre olive, senza dubbio. Se persisti nella convinzione che i noccioli d'oliva siano velenosi, perché sei tanto disattento nel mangiarle? Ah, non importa.» «Ienthe oerathione, er haore! O! Iethà!» «Cosa stai farfugliando, uomo? Taci! Asciugati quella saliva... non è un bello spettacolo. Credi che non riesca a vedere la tua sofferenza, servo? Hai le lacrime agli occhi e sei bianco... di un pallore mortale. E guarda come stai tremando... non c'è un momento da perdere! Korbal Broach! Per favore, vieni fuori con la tua borsa nera! Korbal!» Mentre il carro oscillava leggermente, Gruntle voltò il cavallo, imitato da Itkovian. «Arrivederci, signori» gridò loro dietro Bauchelain. «Vi sono grato di avermi avvertito delle condizioni del mio servo, e senza dubbio lui lo è altrettanto, e non dubito che ve lo direbbe, se potesse parlare in modo coerente.» Gruntle sollevò una mano in un brusco saluto, poi i due si avviarono per raggiungere la Legione di Trake. Per qualche tempo rimasero in silenzio, poi un sommesso borbottare da parte di Gruntle attirò l'attenzione di Itkovian: la Spada Mortale stava ridendo. «Cosa vi diverte tanto, signore?» «Voi, Itkovian. Immagino che Reese maledirà il vostro interessamento per il resto dei suoi giorni.» «Sarebbe una strana espressione di gratitudine. Non verrà guarito?» «Oh, sì, di questo sono certo, ma voglio darvi qualcosa su cui riflettere: a volte la cura è peggiore della malattia.» «Potreste spiegarvi meglio?» «Chiedetelo a Emancipor Reese, la prossima volta che lo vedrete.» «Benissimo, signore, lo farò.» La puzza di fumo permeava ancora le pareti, e le macchie di sangue secco sui tappeti testimoniavano la strage di accoliti che si era verificata nei
corridoi e in tutte le camere del tempio. Coll si chiese se Hood fosse stato contento di vedersi inviare i suoi stessi figli, all'interno della struttura a lui consacrata. A quanto pareva, non era facile dissacrare una struttura sacra alla morte. Seduto su una panca di pietra, fuori dalla camera del sepolcro, il Daru avvertì infatti un'intensa atmosfera di potere, freddo e indifferente. Alla sua destra, Murillio camminava avanti e indietro nell'ampio corridoio principale, entrando ripetutamente nel suo campo visivo per poi uscirne subito, mentre nella sacra camera alle sue spalle il Cavaliere della Morte stava preparando un posto per la Mhybe. Erano passate tre campane da quando il servitore di Hood era entrato nel sepolcro, le porte che gli si richiudevano da sole alle spalle. Coll attese che Murillio tornasse verso di lui. «Non riesce a lasciar andare quelle spade.» «E allora?» chiese Murillio, fermandosi. «E allora è possibile davvero che gli ci vogliano tre campane per preparare un letto», tuonò Coll. Il suo amico assunse un'espressione sospettosa. «Dovrebbe essere una battuta?» «Non del tutto. Stavo pensando in termini pragmatici, e cercavo di immaginare la difficoltà fisica nel tentare di fare qualsiasi cosa con una spada incollata a ciascuna mano. Tutto qui.» Murillio accennò a ribattere, poi cambiò idea, borbottò un'imprecazione e riprese a camminare. Avevano portato la Mhybe nel tempio cinque giorni prima, sistemandola in una stanza che era appartenuta a un sacerdote di alto rango, poi avevano scaricato il carro e riposto le scorte di cibo e di acqua nelle cantine, in mezzo ai frammenti di centinaia di caraffe infrante, dove il vino versato rendeva appiccicosi pavimento e muri, e dava all'aria un odore denso e soffocante, stantio come quello del grembiule di un locandiere. Da allora, ogni pasto aveva avuto un retrogusto di vino, e questo aveva ricordato a Coll i quasi due anni sprecati a ubriacarsi, ad annegare nelle scure acque dell'infelicità come può fare soltanto un uomo immerso nell'autocommiserazione. Adesso gli sarebbe piaciuto definire uno sconosciuto l'uomo che era stato, ma il mondo andava avanti comunque, indipendentemente dalla sua volontà, e lo aveva messo di nuovo di fronte a ciò a cui credeva di aver voltato le spalle. La cosa peggiore, però, era che per lui l'introspezione era una tana nella sabbia, con un ragno annidato in fon-
do... e sapeva di essere capacissimo di divorare se stesso. Murillio rientrò nel suo campo visivo. «La formica danza alla cieca», disse Coll. «Cosa?» «Una vecchia storiella per bambini... la ricordi?» «Hai perso il senno, vero?» «Non ancora, o almeno non credo.» «Ma è questo il punto, Coll. Non ne saresti consapevole, giusto?» Coll guardò l'amico girarsi di scatto e oltrepassare di nuovo la curva del corridoio. Il mondo ci vortica intorno invisibile, i ciechi danzano in cerchio. Non puoi sfuggire a ciò che sei, tutti i tuoi sogni scintillavano bianchi di notte, ma erano grigi alla luce del giorno, e ora sono morti. Chi era quel dannato poeta? Il Vendicativo. Sosteneva di essere un orfano e ha scritto un migliaio di storielle per terrorizzare i bambini. A Darujhistan una folla ha cercato di lapidarlo, ma è sopravvissuto. Credo che sia successo anni fa. Le sue storie sopravvivono ora nelle strade, cantilene che accompagnano i giochi dei bambini. Rime dannatamente sinistre, a mio parere. Poi si scrollò, cercando di schiarirsi la mente prima di cadere in un altro baratro di ricordi. Prima di rubargli la tenuta, di distruggerlo, Sintal gli aveva detto di aspettare un figlio da lui. Ora si chiese se quel bambino fosse mai esistito davvero: dopo tutto, Sintal combatteva con le menzogne come gli altri facevano con i coltelli. Non c'era stato nessun annuncio di nascite, anche se era possibile che esso fosse sfuggito alla sua attenzione, in quei giorni seguiti alla sua caduta. Però i suoi amici dovevano sapere, e glielo avrebbero detto, adesso, se non allora... Murillio tornò in fondo al corridoio. «Aspetta un momento», ringhiò Coll. «Adesso cosa c'è? Lo scarafaggio rovesciato sul dorso? Il verme che gira nel buco?» «Una domanda, Murillio.» «D'accordo, se insisti...» «Hai mai sentito dire che Sintal abbia avuto un figlio?» Vide il suo amico farsi inespressivo, lo sguardo indecifrabile. «Non è domanda da porre in questo tempio, Coll.» «Comunque te la sto facendo.» «Non credo che tu sia pronto...»
«Non spetta a te giudicare, Murillio, e poi dovresti sapere che non è così. Dannazione, sono rientrato nel Consiglio da mesi! E ancora non sarei pronto? Che assurdità è questa!» «D'accordo, d'accordo! Ci sono state soltanto delle voci.» «Non mi mentire.» «Non lo sto facendo. Dopo la tua... uh... morte, c'è stato un periodo di parecchi mesi durante i quali lei non si è mostrata in pubblico. Si è giustificata con il lutto, anche se tutti sapevano...» «Sì, immagino cosa sapevano. Quindi si è nascosta per qualche tempo. Continua.» «Ecco, noi credevamo che stesse consolidando la sua posizione, dietro le quinte. Rallick la teneva d'occhio, o almeno suppongo che lo abbia fatto. Lui ne dovrebbe sapere di più.» «E voi due non avete mai discusso di cosa stava facendo, di che aspetto aveva? Murillio...» «Che ne può sapere Rallick di gravidanze e affini?» «Quando una donna aspetta un figlio, il ventre si gonfia e i seni s'ingrossano. Sono certo che il tuo amico assassino ha visto più di una donna in questo stato nelle strade di Darujhistan... ha pensato che avessero inghiottito un melone intero?» «Non c'è bisogno di essere sarcastico, Coll. Sto soltanto affermando che non ne era sicuro.» «Cosa mi dici dei servi della tenuta? Fra essi c'era qualche donna che aveva appena partorito?» «Rallick non ha mai parlato...» «Povero me, poco osservatore, per essere un assassino!» «E va bene!» scattò Murillio. «Ecco cosa penso! Che lei abbia avuto un figlio e lo abbia mandato via, da qualche parte. Non deve averlo abbandonato perché a un certo punto avrebbe potuto volersene servire, come erede legale, o per darlo in matrimonio a qualcuno. Sintal era di umile nascita, e ha tenuto privati i contatti che aveva con il suo passato; non ne ha mai parlato con nessuno, neppure con te, come ben sai. Penso che se ne sia servita per mandare il bambino dove nessuno penserebbe a cercarlo.» «Adesso sono quasi tre anni», affermò Coll, appoggiandosi lentamente al muro con la testa, gli occhi chiusi. «Ha tre anni...» «Può darsi, ma a quel tempo non c'era modo di scoprire...» «Avresti avuto bisogno del mio sangue, e poi Baruk...» «Esatto», scattò Murillio. «Avremmo dovuto prenderti del sangue qual-
che notte in cui eri ubriaco.» «E perché no?» «Perché, razza di idiota, a quel tempo non sembrava che potesse servire a qualcosa!» «Mi sembra giusto. Adesso però sto rigando dritto da mesi, Murillio.» «Allora fallo tu, Coll. Va' da Baruk.» «Adesso che so, lo farò.» «Ascolta, amico. Ho conosciuto una quantità di ubriaconi. A te quattro o cinque mesi di sobrietà sembrano un'eternità, ma io vedo un uomo che si sta ancora ripulendo i vestiti dal vomito, e che potrebbe ricadere nel vizio. Al tuo posto non farei pressione... è troppo presto...» «Ti ho sentito. Non condanno la tua decisione, Murillio, hai fatto bene a essere cauto, ma ciò che vedo adesso è una ragione di vita. Finalmente ho un motivo per risollevarmi davvero.» «Coll, spero che tu non stia pensando di poter semplicemente entrare nella casa dove stanno allevando quel bambino e portarlo via...» «Perché no? È mio.» «E nella tua casa c'è un posto che lo aspetta, vero?» «Credi che non possa allevare un bambino?» «So che non puoi farlo, Coll. Se però agirai nel modo giusto, potrai pagare per garantire che cresca nel modo migliore, con opportunità che altrimenti potrebbe non avere.» «Un benefattore segreto. Uh. Sarebbe un gesto... nobile.» «Sii onesto: sarebbe conveniente, Coll, non nobile né eroico.» «E ti definisci un amico.» «Sì.» «E hai ragione», sospirò Coll, «anche se non so cosa ho fatto per meritare una simile amicizia». Le massicce porte di pietra del sepolcro si spalancarono. Grugnendo, Coll si alzò dalla panca quando il Cavaliere della Morte uscì nel corridoio, alle spalle di Murillio. «Portate la donna», disse il guerriero. «I preparativi sono ultimati.» Coll avanzò a grandi passi verso la soglia e guardò dentro: un grosso buco era stato ricavato nel pavimento di solida pietra, al centro della camera, e i pezzi rimossi erano ammucchiati contro una parete laterale. Assalito da un improvviso senso di gelo, Coll oltrepassò il Cavaliere della Morte. «Per il respiro di Hood!» esclamò. «Quello è un dannato sepolcro!» «Cosa?» gridò Murillio, affrettandosi a raggiungerlo. Per un momento
fissò la fossa, poi si girò di scatto verso il Cavaliere. «La Mhybe non è morta, idiota!» Il Cavaliere lo fissò con occhi privi di vita. «I preparativi sono completi», ripeté. Immersa nella polvere fino alla caviglia, incespicava su una landa desolata. La tundra si era disintegrata, e con essa i cacciatori, quei demoniaci inseguitori che erano stati per tanto tempo una sgradita compagnia. La desolazione che la circondava era però molto peggio: niente erba sotto i piedi, niente vento fresco che l'accarezzasse. Svanito era il ronzare delle mosche, avide compagne impazienti di nutrirsi della sua carne... anche se il cuoio capelluto le prudeva ancora, come se qualcuna fosse sopravvissuta alla devastazione. E si stava indebolendo, i suoi giovani muscoli cominciavano a cedere in un modo indefinibile, che non era soltanto stanchezza, ma una sorta di dissoluzione cronica. Stava perdendo sostanza, e quella era la consapevolezza che più la terrorizzava. In alto, il cielo era incolore, privo di nuvole o di sole, ma vagamente illuminato da una fonte invisibile. Esso pareva posto a una distanza impossibile... guardare in alto troppo a lungo equivaleva a rischiare la follia, perché la mente era incapace di comprendere ciò che gli occhi stavano vedendo, quindi lei teneva lo sguardo fisso davanti a sé nel procedere barcollando. Non c'era nulla che contrassegnasse l'orizzonte, in nessuna direzione. Per quanto ne sapeva, forse stava camminando in cerchio, anche se in questo caso doveva essere un cerchio molto vasto, perché non aveva ancora incontrato le proprie tracce. Non aveva in mente una destinazione per quel viaggio dello spirito e neppure ne avrebbe cercata una in quel letale paesaggio di sogno, se pure avesse saputo come fare. I polmoni le dolevano, quasi stessero perdendo la capacità di funzionare, ed era certa che fra non molto avrebbe cominciato a dissolversi, quel giovane corpo sconfitto in un modo opposto a quello che aveva temuto per tanto tempo. Non sarebbe stata fatta a pezzi dai lupi, che erano scomparsi. No, ora sapeva che nulla era stato come sembrava... era stato tutto qualcosa di diverso, qualcosa di segreto, un enigma che doveva ancora decifrare, e adesso era troppo tardi. L'oblio era venuto a reclamarla. L'Abisso che aveva visto in incubi di tanto tempo prima era stato un luogo di caos, un frenetico divorare anime, un miasma di ricordi distacca-
ti e abbandonati a venti di tempesta. Forse quelle visioni erano state un prodotto della sua mente, dopo tutto, e il vero Abisso era ciò che stava vedendo adesso, tutt'intorno, in ogni direzione... Sulla sua destra, qualcosa infranse la linea piatta dell'orizzonte, qualcosa di mostruoso e acquattato, di bestiale. Qualcosa che un momento prima non c'era. O forse c'era stato. Forse il mondo stesso si stava restringendo, e i suoi deboli passi avevano rivelato ciò che si trovava oltre la curva della terra. Gemette di terrore, mentre già i suoi piedi cambiavano direzione, attirandola verso l'apparizione. Essa divenne visibilmente più grande a ogni passo, gonfiando orribilmente fino a coprire un terzo del cielo. Striata di rosa, ossa nude che si levavano verso l'alto, ogni costola sfregiata, coperta di escrescenze maligne, di calcificazioni, di noduli porosi, di crepe e fessure. Fra ogni osso, la pelle era tesa a racchiudere ciò che c'era all'interno, solcata da vasi sanguigni che pulsavano come fulmini rossi che divenivano sempre più fievoli. Per quella cosa, la tempesta della vita stava per cessare. Per essa e anche per lei. «Sei mia?» le chiese con voce rauca, arrivando a una ventina di passi da quell'orribile cassa toracica. «C'è il mio cuore lì dentro? Che rallenta a ogni battito? Tu sei me?» Emozioni improvvise l'assalirono... sentimenti non suoi, ma provenienti da dentro quella gabbia di ossa. Angoscia. Un dolore intollerabile. Desiderò fuggire, ma la cosa percepì la sua presenza e pretese che rimanesse. Che si avvicinasse, abbastanza da protendersi, da toccarla. La Mhybe urlò. Adesso era in una nube di polvere che l'accecava. D'un tratto crollò in ginocchio con la sensazione di essere fatta a pezzi... e il suo spirito, ogni istinto di sopravvivenza, reagirono un'ultima volta, per resistere a quella convocazione. Per fuggire. Ma non poté muoversi, e quella forza si protese, cominciando a trascinarla. La terra sotto di lei si spostò, inclinandosi, la polvere scivolò, diventando come vetro. Carponi, sollevò lo sguardo degli occhi velati di lacrime, che rendevano la vista indistinta. Le costole non erano più tali, ora erano gambe. La pelle non era più pelle, era diventata una ragnatela.
E lei stava scivolando. CAPITOLO VENTITREESIMO Se i Moranth Neri fossero un popolo loquace, la storia di Twist l'Ardito sarebbe nota. E se fosse nota, a partire dalle vicende precedenti la prima menzione che viene fatta di lui in seguito all'alleanza con l'Impero Malazan, il suo soggiorno durante le Campagne Genabackis del suddetto impero e la sua vita all'interno dell'Egemonia Moranth stessa, è lecito sospettare che tale storia fornirebbe materiale degno di generare più di una leggenda. Eroi perduti Badark di Nathii I Monti della Visione incombevano scuri e massicci, nascondendo le stelle verso ovest. Con la schiena addossata alle radici di un albero abbattuto, il caporale Picker si avvolse meglio nel mantello per difendersi dal freddo. Alla sua sinistra, le lontane mura di Setta formavano un'irregolare linea nera sull'alta riva del fiume. La città si era rivelata più vicina a esso e alle montagne di quanto indicassero le mappe, il che era stato un bene. Il suo sguardo rimase fisso sul sentiero sottostante, in cerca del primo accenno di movimento. Se non altro, aveva smesso di piovere, anche se si stava levando la nebbia; da tutte le parti, si sentiva l'acqua gocciolare dai rami dei pini. Uno stivale sciacquettò sul muschio fradicio, poi strisciò sul granito. Picker lanciò un'occhiata in quella direzione, annuì e tornò a concentrarsi sulla pista. «Immagino ci vorrà ancora del tempo», mormorò il capitano Paran. «Hanno parecchio terreno da esplorare.» «Già», convenne Picker. «Soltanto Blend riesce a muoversi in fretta. Ha gli occhi di un gatto.» «Speriamo che non lasci indietro gli altri.» «Non lo farà.» Paran le si accovacciò accanto. «Suppongo che avremmo potuto sorvolare direttamente la città e risparmiarci il fastidio di controllarla a piedi.» «Se ci fossero state delle sentinelle ci avrebbero visti. I ripensamenti so-
no inutili, capitano Paran. Non sappiamo che genere di occhi il Veggente Pannion usa in questa terra, ma saremmo degli stolti a ritenere di essere del tutto soli. Abbiamo già corso un grosso rischio ritenendo di poter viaggiare di notte senza essere visti.» «Ben lo Svelto dice che si tratta soltanto dei condor, tenente, ed essi non volano che di giorno. Finché ci teniamo nascosti durante le ore di luce dovremmo essere in grado di farcela.» Picker annuì lentamente nel buio. «Spindle è d'accordo, e così pure Bluepearl, Shank e Toes. Capitano, se fossimo soltanto noi Arsori di Ponti a volare con i Moranth Neri, non sarei preoccupata, ma dal momento che facciamo da avanguardia a...» «Zitta... laggiù, ho visto qualcosa.» Ammirevole come sempre per abilità, Blend si stava muovendo come un'ombra, scomparendo del tutto per due o tre secondi salvo poi riapparire più vicina di dieci passi, impegnata a zigzagare verso il punto in cui aspettavano Paran e Picker. Anche se nessuno dei due si era mosso o aveva emesso alcun suono, Blend era riuscita a trovarli, e si acquattò davanti a loro con un sorriso. «Davvero impressionante», mormorò Paran. «Sei qui per fare rapporto o preferisci lasciare questo compito all'uomo a cui spetterebbe? Naturalmente, a meno che tu non abbia lasciato Antsy e gli altri a incespicare sperduti mezza lega più indietro, sulla tua scia.» Il sorriso scomparve. «Uh, no, signore, sono indietro di una trentina di passi... non li sentite? Ecco, quello era Spindle... il suo cilicio si è impigliato in un ramo. E quei passi all'avanguardia... quello è Antsy, che ha le gambe storte e cammina come una scimmia. Quei tonfi? Hedge. Stranamente, la più silenziosa è Detoran.» «Stai inventando tutto, soldato?» chiese Paran. «Io non sento niente.» «No, signore», replicò Blend, con fare innocente. Picker desiderò di poterla prendere a schiaffi. «Va' giù a cercarli, Blend, adesso», ringhiò. Se stanno facendo tanto rumore, significa che hanno perso la pista, idiota. Non che stiano facendo rumore, o che si siano persi. Paran ha capito subito il tuo giochetto, e la cosa non gli è piaciuta. Ottimo. «Sì, tenente», sospirò Blend. La guardarono sgusciare giù per il sentiero fino a svanire. «Per poco non mi ha raggirato», grugnì Paran. «Lei crede di averlo fatto», replicò Picker.
«È vero.» Picker non disse nulla, poi sorrise. Dannazione, credo che adesso tu sia il nostro capitano! Finalmente ne abbiamo trovato uno in gamba. «Arrivano», osservò quindi. Gli altri erano all'altezza di Blend, o abbastanza vicini ai suoi standard da fare ben poca differenza, e avanzavano silenziosi, le armi fasciate, l'armatura imbottita. Videro Antsy sollevare una mano e arrestare con un gesto quanti lo seguivano per poi tracciare nell'aria un cerchio con l'indice. Le squadre si dispersero sui lati, cercando ognuna un nascondiglio. Il pattugliamento era finito. Il sergente si diresse verso dove erano in attesa Paran e Picker, ma fu preceduto da Ben lo Svelto. «Capitano», sussurrò il mago, «ho parlato con il comandante in seconda di Twist». «E?» «Il Moranth è preoccupato per il suo comandante, signore... quell'infezione letale si è estesa oltre la spalla. A Twist rimangono solo poche settimane di vita e convive con un dolore notevole. Hood solo sa come faccia a tollerarlo.» «D'accordo», sospirò Paran. «Riprenderemo l'argomento più tardi. Ora sentiamo Antsy.» «Va bene.» Il sergente li raggiunse e si accucciò davanti a loro, accettando la borraccia che Paran gli porgeva e bevendo qualche sorso di vino prima di restituirla. Sbuffando sonoramente, Antsy si asciugò poi i baffi e passò qualche altro secondo a lisciarli e assestarli. «Se comincerai anche a lavarti le ascelle ti ucciderò», avvertì Paran. «Dopo aver superato la nausea, naturalmente. Sei stato a Setta, sergente; che cosa hai visto?» «Uh, sissignore, capitano. Setta. Una città fantasma, dannatamente spettrale, con tutte quelle strade vuote, le case vuote, i resti dei banchetti...» «I cosa?» «I resti dei banchetti. Nelle piazze ci sono grossi mucchi di ossa bruciate e di cenere. Ossa umane, resti di banchetti. Oh, e ci sono enormi nidi di uccelli sulle quattro torri cittadine. Blend si è arrampicata fino a uno di essi.» «Davvero?» «Ecco, si è avvicinata, comunque. Avevamo notato il guano sui lati delle torri quando il sole era ancora alto. In ogni caso, in quei nidi ci sono avvol-
toi di montagna.» Ben lo Svelto imprecò. «Blend è certa di non essere stata vista?» «Assolutamente, mago. Conosci Blend. Per sicurezza, abbiamo fatto di tutto per tenerci fuori vista, il che non è stato facile, perché quelle torri sono state ben posizionate. Comunque quegli uccelli stavano dormendo della grossa.» «Avete visto qualche Grande Corvo?» domandò Ben lo Svelto. Il sergente parve sconcertato. «No. Perché?» «Niente. Continua però a valere la regola di non fidarsi di nulla che voli nel cielo, Antsy. Bada che tutti lo ricordino, d'accordo?» «Come vuoi, mago.» «Niente altro?» domandò Paran. Antsy scrollò le spalle. «No, niente. Setta è morta, e probabilmente Maurik è nelle stesse condizioni.» «Lascia perdere Maurik», disse Paran. «Noi l'oltrepasseremo.» Quelle parole gli valsero l'assoluta attenzione di Picker. «Solo noi, capitano?» «Faremo da avanguardia per tutto il tragitto», rispose Ben lo Svelto. Antsy ringhiò qualcosa sottovoce. «Parla chiaramente, sergente», ordinò Paran. «Nulla, signore.» «Sentiamo lo stesso, Antsy.» «Ecco, si tratta di Hedge, di Spindle e degli altri zappatori, capitano. Continuano a lamentarsi di quella cassa di munizioni mancante, e si aspettavano di essere riforniti a Maurik. Protesteranno, signore.» Picker vide Paran lanciare un'occhiata a Ben lo Svelto. Questi si accigliò. «Ho dimenticato di parlare con Hedge. Chiedo scusa, provvedo subito.» «Il problema vero è che siamo a corto di scorte», continuò Antsy. «Se dovessimo trovarci nei guai...» «Sergente», borbottò Picker, «visto che hai bruciato i ponti alle tue spalle, non appiccare un incendio anche davanti a te. Informa gli zappatori di farsi coraggio. Se dovessimo finire in una situazione tale da far sì che la quindicina di mine e le trenta o quaranta granate che abbiamo non siano sufficienti, diventeremo comunque resti di banchetto». «La chiacchierata è finita», annunciò Paran. «Ben, avverti i Moranth di prepararsi... stanotte faremo un'altra tappa, e per l'alba voglio arrivare in vista del fiume Eryn. Picker, per favore, controlla ancora una volta i muc-
chi di rocce, perché non voglio che siano troppo evidenti; se dovessimo tradirci adesso, la situazione si farebbe rovente.» «Sì, signore.» «D'accordo, muoviamoci.» Paran guardò i suoi soldati che si allontanavano; un momento più tardi, avvertì la presenza di qualcuno e si volse, scoprendo che Twist, il comandante dei Moranth Neri, era fermo accanto a lui. «Capitano Paran.» «Sì?» «Vorrei sapere se avete benedetto gli dei Barghast, a Capustan, o magari in seguito.» Paran si accigliò. «Mi era stato detto che avrebbero potuto chiedermi di farlo, ma nessuno mi ha interpellato in merito.» Il guerriero in armatura nera tacque per un momento. «E tuttavia riconoscete il loro posto nel Pantheon», disse poi. «Non vedo perché non dovrei.» «È un sì, capitano?» «D'accordo, sì. Perché? Cosa c'è che non va?» «Nulla. Presto morirò, e volevo sapere cosa aspetta la mia anima.» «Gli sciamani dei Barghast hanno infine riconosciuto che i Moranth condividono il loro stesso sangue?» «I loro pronunciamenti, in un senso o nell'altro, non hanno rilevanza.» «Ma i miei ne hanno?» «Voi siete il Signore del Mazzo.» «Cosa ha causato lo scisma fra Moranth e Barghast, Twist?» L'Ardito sollevò lentamente il braccio avvizzito. «Forse in un altro regno questo braccio è sano, mentre il resto di me è avvizzito e senza vita. Forse», continuò, «avverte già la stretta salda e forte di uno spirito, che ora aspetta soltanto che io passi del tutto in quel mondo». «Un modo interessante di vedere la cosa.» «Prospettiva, capitano. I Barghast ci vedono avvizziti e senza vita, qualcosa da amputare.» «Mentre voi la vedete all'opposto?» Twist scrollò le spalle. «Noi non temiamo i cambiamenti, non resistiamo a essi. I Barghast devono accettare che la crescita è necessaria, anche se dolorosa, devono imparare ciò che i Moranth hanno appreso molto tempo fa, quando non hanno estratto la spada e invece hanno parlato con i Tiste Edur, i vagabondi del mare dalla pelle grigia. Abbiamo parlato, e abbiamo
scoperto che erano sperduti quanto noi, stanchi della guerra e pronti alla pace.» «I Tiste Edur?» «I Figli del Canale Infranto. Ne era stato scoperto un frammento nella vasta foresta di Moranth che sarebbe divenuta la nostra nuova patria. Kurald Emurlahn, la vera faccia dell'Ombra. I Tiste Edur superstiti erano così pochi che abbiamo scelto di accoglierli. Adesso gli ultimi se ne sono andati, hanno lasciato da tempo la foresta di Moranth, ma la loro eredità ci ha resi ciò che siamo.» «Ardito, mi ci potrebbe volere del tempo a dare un senso a quanto mi avete appena descritto. Ho delle domande...» Twist scrollò di nuovo le spalle. «Non abbiamo ucciso i Tiste Edur, e agli occhi dei Barghast questo è il nostro crimine più grande. Io mi chiedo però se gli Spiriti Antichi, ora Dei, vedano la cosa nello stesso modo.» «Hanno avuto molto tempo per riflettere», mormorò Paran. «A volte, ci vuole solo questo. Il cuore della saggezza è la tolleranza... credo.» «Se è così, capitano, dovete essere orgoglioso.» «Orgoglioso?» L'Ardito si volse lentamente per allontanarsi nel sentire i sommessi richiami indicanti che le truppe erano pronte. «Ora tornerò da Dujek Unbraccio», disse, poi fece una pausa, e aggiunse: «L'Impero Malazan è un impero saggio, una cosa che ritengo rara e preziosa. Quindi auguro ogni bene a esso... e a voi». Paran lo guardò allontanarsi. Era tempo di andare. Tolleranza. Forse. Tieni a mente quella parola, Ganoes: qualcosa sussurra che essa si rivelerà il fulcro di ciò che deve succedere. Il mulo trasportò in fretta Kruppe su per la riva attraverso la calca di soldati di marina in marcia verso la strada, che si sparpagliarono al suo passaggio, e poi giù per il versante opposto e sulla pianura, accompagnato da grida che fornivano utili consigli. «Bestia senza cervello! Cieca, cocciuta, ragliante creatura dell'Abisso! Fermati, grida Kruppe! Fermati! No, non in quel modo...» Il mulo cambiò bruscamente direzione e si diresse al rapido trotto verso il più vicino clan di Barghast Viso Bianco. Una decina di bambini dipinti selvaggiamente corse loro incontro e il mulo s'impuntò, allarmato, proiettando Kruppe in avanti sul proprio collo
per poi ruotare su se stesso e mettersi placidamente al passo, la coda che sferzava il posteriore. Il Daru riuscì a raddrizzarsi con una successione di grugniti. «L'esercizio fisico è follia!» esclamò, rivolto ai bambini che gli correvano accanto. «Guardate questi spaventosi monelli, già tanto muscolosi quanto ottusi da ridere con stupido divertimento della dolorosa sorte di Kruppe! La maledizione del vigore e dello sforzo fisico ha offuscato loro la mente. Caro Kruppe, perdonali, come si addice alla tua ammirevole natura, alla tua amabile equanimità, alla stimabile disinvoltura spontanea che esibisci in compagnia di quanti mancano tristemente di maturità. Ah, voi povere creature, così corte di gambe, ma che vi illudete tuttavia stupidamente di sfoggiare un'espressione saggia. Avanzate pavoneggiandovi al passo di questo ottuso mulo e così rivelate la tragica verità... la vostra tribù è condannata, Kruppe lo annuncia. Condannata!» «Non capiscono una parola, Uomo di Lardo!» Girandosi, Kruppe vide Hetan e Cafal che sopraggiungevano a cavallo. La donna stava sogghignando. «Non capiscono una parola, Daru, ed è un bene, perché altrimenti ti strapperebbero il cuore dal petto per simili maledizioni!» «Maledizioni? Cara donna, devi biasimare il letale temperamento di Kruppe, la sua ira incandescente che tanto pericolo causa a quanti lo circondano! Si tratta di questa bestia, capisci...» «Non è buona neppure da mangiare», osservò Hetan. «Tu che ne pensi, fratello?» «Troppo magra», convenne Cafal. «Nondimeno, Kruppe implora perdono per la sua degna persona e per la bestia priva di valore su cui cavalca. Perdonateci, più cresciuta progenie di Humbrall Taur, vi imploriamo.» «Abbiamo una domanda da farti, Uomo di Lardo.» «Basta chiedere, e Kruppe risponderà. Scintillanti di verità, le sue parole sono lisce come olio con cui aromatizzare la tua pelle perfetta... là, appena sopra il seno sinistro, magari. Kruppe possiede...» «Non ne dubito», lo interruppe Hetan, «e se fossi tu a portare avanti questa guerra, essa sarebbe finita prima che avessi modo di farti la mia domanda. Ora taci, Daru, e ascolta. Guarda le file dei Malazan, sulla strada, laggiù, i carri coperti, le poche compagnie di fanti che si trascinano accanto e fra di essi, levando al cielo nuvole di polvere...». «Cara ragazza, sei un'oratrice in sintonia con il cuore di Kruppe. Prego,
continua con questa domanda non interrogativa, dilungati, cospargine le parole della cera più spessa, in modo che io possa accendere in suo onore un'inestinguibile fiamma d'amore.» «Ti ho detto di guardare, Daru. Osserva! Al momento, non noti niente di strano nei nostri alleati?» «Attualmente, e senza dubbio nel passato e anche nel futuro, asserisce Kruppe. Misteri Malazan, sì! Un popolo strano, Kruppe proclama. Nella suddetta marcia, la disciplina si avvicina a un'arruffata dissoluzione, la polvere che si leva può essere vista per leghe e tuttavia ciò che si scorge è... ecco, soltanto polvere!» «Esattamente ciò che intendevo», ringhiò Hetan. «Un'osservazione acuta.» «Allora lo hai notato.» «Notato cosa, mia cara? Le tue curve sontuose? Come avrebbe potuto Kruppe non notare una così meravigliosa, anche se leggermente barbarica, bellezza? Come un fiore della prateria...» «... sul punto di ucciderti», sogghignò Hetan. «Un fiore della prateria, osserva Kruppe, come quelli che fioriscono sui cactus spinosi...» «Attento ai passi falsi, Uomo di Lardo.» «I passi di Kruppe sono sempre attenti perché a lui l'attenzione calza a pennello... uh...» «Questa mattina», riprese Hetan, dopo un momento, «ho osservato una compagnia di soldati di marina smontare le tende di tre compagnie, e questo in tutto il campo dei Malazan. Una su tre, dovunque». «Già, una può contare, nei Malazan.» Hetan fece avvicinare il cavallo e si protese ad afferrare Kruppe per il colletto del mantello, trascinandolo quasi giù di sella. «Uomo di Lardo», sibilò, «quando ti avrò nel mio letto... presto... questo mulo avrà bisogno di trascinarsi dietro una barella per trasportare quello che sarà rimasto di te. Coinvolgere tutti nella tua danza di parole è un talento eccellente, ma stanotte pomperò il fiato fuori dai tuoi polmoni, tanto da lasciarti muto per giorni e giorni e lo farò per dimostrare chi comanda fra noi due. Adesso, di' un'altra parola e non aspetterò fino a stanotte... elargirò a questi bambini e a tutti gli altri uno spettacolo che non dimenticheranno, Daru. Ah, vedo da come ti sporgono gli occhi che hai capito. Bene. Ora smettila di serrare quel mulo con le ginocchia... la bestia lo detesta. Sistemati sulla sella come se fosse un cavallo, perché lui si considera tale, vede come cavalcano gli
altri e come i cavalli trasportano i loro cavalieri. Il suo sguardo non è mai fermo... non te ne eri accorto? Questa è la bestia più attenta che il mondo abbia mai visto, ma non chiedermi il perché. Ecco, le mie parole sono finite. A stanotte, Uomo di Lardo, quando ti vedrò scioglierti». E lo lasciò andare. Annaspando, Kruppe si lasciò ricadere sulla sella, poi aprì la bocca per dire qualcosa, ma si affrettò a richiuderla. «Impara in fretta, sorella», grugnì Cafal. «Lo fate tutti, fratello», sbuffò la guerriera. I due si allontanarono. Seguendoli con lo sguardo, Kruppe si sfilò il fazzoletto dalla manica e si asciugò il sudore dalla fronte. «Povero me. Povero, poverissimo me. Hai sentito, mulo? È Kruppe a essere condannato. Condannato!» Whiskeyjack indugiò a osservare le due donne in piedi davanti a lui. «Permesso negato», disse poi. «Lei non è qui, signore», ribadì uno dei due soldati di marina. «Non abbiamo nessuno da sorvegliare, giusto?» «Non vi riunirete alla vostra compagnia, soldati. Rimarrete con me. Ci sono altri problemi che volevate discutere? No? Congedati.» I due soldati di marina si scambiarono un'occhiata, salutarono e si allontanarono. «A volte torna indietro e vi azzanna, vero?» commentò Artanthos, fermo a qualche passo di distanza. «Che cosa?» domandò Whiskeyjack. «Lo stile di comando di Dassem Ultor. Soldati a cui viene dato il permesso di pensare, di obiettare, di discutere...» «Questo ci rende l'esercito migliore che il mondo abbia mai visto, alfiere.» «Nondimeno...» «Non c'è nessun "nondimeno". Questo è il motivo per cui siamo i migliori. E quando verrà il momento di impartire ordini difficili, vedrai la disciplina; può darsi che tu non l'abbia notata, qui e adesso, ma c'è, sotto la superficie, ed è solida.» «Come dite voi», replicò Artanthos, scrollando le spalle. Whiskeyjack riprese a condurre il cavallo verso il kraal. Gli ultimi raggi del sole stavano già scomparendo oltre l'orizzonte e da tutte le parti i soldati si stavano affrettando a montare le tende e ad accendere i fuochi. Whi-
skeyjack poteva vedere che erano stanchi, a causa dei troppi turni doppi nel corso della giornata, a cui si aggiungeva un'altra campana di marcia durante il crepuscolo. Osservandoli, si rese conto che avrebbe dovuto eliminare quella campana in più durante gli ultimi tre giorni e poi aggiungere altre due campane di riposo prima di arrivare a Coral, per dare alla fanteria il tempo di riprendersi. Un esercito esausto era un esercito sconfitto. Uno stalliere prelevò il suo cavallo, poi il comandante si avviò verso la tenda di Dujek. Una squadra di soldati di marina sedeva sugli zaini davanti all'ingresso, elmo e armatura indosso, la faccia ancora coperta dalle sciarpe con cui si erano protetti dalla polvere durante il giorno. Nessuno di essi si alzò al suo arrivo. «Riposo», ringhiò lui, in tono sarcastico, passando in mezzo a loro per entrare nella tenda. Dentro, Dujek aveva steso una mappa sul terreno coperto da un tappeto ed era in ginocchio su di essa, intento a osservarla alla luce della lanterna, borbottando fra sé. «E così», commentò Whiskeyjack, avvicinando una sedia da campo e sedendosi, «l'esercito diviso... si divide ancora». Dujek sollevò lo sguardo, aggrottando appena le sopracciglia cespugliose prima di riprendere a scrutare la mappa. «Le mie guardie del corpo sono fuori?» «Sì.» «Sono un gruppo miserevole anche nel migliore dei momenti, e questo non è certo il migliore.» Whiskeyjack stese le gambe, sussultando per una nuova fitta di dolore a quella sinistra. «Sono tutti Untan, vero? Non li ho visti molto in giro, ultimamente.» «Perché avevo detto loro di tenersi alla larga. Definirli miserevoli è essere gentili. Non fanno parte dell'Armata e per quanto li riguarda non ne faranno mai parte, e che sia dannato se non sono d'accordo con loro. Comunque, non ti avrebbero salutato neppure se non ci stessimo dividendo in due gruppi. Fanno fatica a salutare anche me, e sono quello che hanno giurato di proteggere.» «Abbiamo un esercito stanco, là fuori.» «Lo so. Con la fortuna di Oponn, l'andatura tornerà normale non appena oltrepasseremo Maurik. Ci sono tre giorni di marcia tranquilla da lì a Coral; ce l'abbiamo fatta anche con meno.»
«Ce l'abbiamo fatta a farci massacrare, vuoi dire. Quella corsa fino a Mort per poco non ci ha annientati, Dujek. Non possiamo permetterci di farlo di nuovo... questa volta abbiamo molto di più da perdere.» Il Gran Pugno si appoggiò all'indietro e arrotolò la mappa. «Abbi fede, amico.» Whiskeyjack si guardò intorno e notò lo zaino pronto appoggiato al palo centrale, la logora spada corta nel fodero altrettanto logoro appoggiata su di esso. «Così presto?» chiese. «Non sei stato attento», affermò Dujek. «Dalla divisione degli eserciti, gruppi di soldati si sono staccati ogni notte senza farsi accorgere. Fa' un'adunata, Whiskeyjack, e scoprirai di essere a corto di seimila uomini. Domattina riavrai il comando: almeno di metà dei soldati, comunque. Dovresti danzare di gioia.» «No. Dovrei essere io a volare via stanotte, e non tu, Dujek. Il rischio...» «Proprio così», ringhiò il Gran Pugno. «Il rischio. Pare che tu non te ne renda conto, ma per questo esercito sei più importante di me e lo sei sempre stato. Per i soldati, io sono soltanto un orco con un braccio solo in un'uniforme elegante: mi vedono come una dannata mascotte.» Whiskeyjack osservò la semplice, malconcia uniforme di Dujek e sfoggiò un acido sorriso. «È solo una figura retorica», affermò il Gran Pugno. «Inoltre, così ha comandato l'Imperatrice.» «È ciò che continui a ripetere.» «Whiskeyjack, Sette Città si sta divorando da solo. Il Vortice si è levato sulle sabbie intrise di sangue. L'Aggiunto ha un nuovo esercito ed è in viaggio, ma arriverà troppo tardi per aiutare le forze Malazan già sul posto. So che parlavi di ritirarti, ma considera la cosa dal punto di vista di Laseen. Le rimangono due comandanti che conoscono Sette Città, e fra non molto le resterà soltanto un esercito veterano... bloccato qui a Genabackis. Se deve rischiare uno di noi nella Guerra Pannion, si deve trattare di me.» «Ha intenzione di inviare l'Armata a Sette Città? Che Hood ci prenda, Dujek...» «Se il nuovo Aggiunto dovesse cadere a Sha'ik, che alternativa rimarrebbe? Inoltre, cosa più importante, Laseen vuole che abbia tu il comando.» «E che ne sarà di te?» chiese lentamente Whiskeyjack. «Non credo che lei si aspetti che io sopravviva a quanto sta per succedere», affermò Dujek, con una smorfia. «Se per qualche miracolo dovessi
farcela... ecco, la campagna in Korel è un disastro...» «Tu non vuoi Korel.» «Ciò che io voglio non ha importanza, Whiskeyjack.» «Deduco che Laseen direbbe lo stesso di me. Dujek, come sai, ho intenzione di ritirarmi, di scomparire, se sarà necessario. Ho finito con tutto questo. Mi cercherò una capanna di tronchi in qualche regno di frontiera, molto lontano dall'Impero...» «E una moglie che ti prenda a padellate in testa. Beatitudine domestica... credi che a Korlat andrebbe bene?» Whiskeyjack sorrise della gentile derisione del Gran Pugno. «È una sua idea... non le padellate, quelle sono un tuo incubo personale, Dujek, ma il resto... d'accordo, non una capanna di tronchi, forse più una remota fortezza sferzata dal vento fra le vette di qualche montagna. Un luogo con un panorama impervio...» «Potresti sempre piantare un piccolo orto nel cortile», commentò Dujek, «e fare guerra alle erbacce. D'accordo, allora è il nostro segreto, e peggio per Laseen. Se sopravviverò a Coral, sarò io a riportare l'Armata a Sette Città. Se invece non dovessi farcela, ebbene, non sarò nella posizione di preoccuparmi oltre dell'Impero Malazan». «Te la caverai, Dujek, lo fai sempre.» «Un debole tentativo di conforto, ma lo accetterò per quello che vale. Allora, vuoi dividere un ultimo pasto con me? I Moranth arriveranno soltanto dopo la campana della mezzanotte.» La scelta di quelle parole non era particolarmente felice, ed esse rimasero sospese nell'aria fra i due amici per un lungo momento. «Un ultimo pasto prima della mia partenza, intendevo», aggiunse Dujek, con un debole sorriso. «Fino a Coral.» «Con piacere», rispose Whiskeyjack. Le lande desolate a sudovest del fiume Eryn si stendevano sotto le stelle, la sabbia agitata da venti che nascevano nel cuore del continente. Più avanti, al limite stesso dell'orizzonte, erano visibili i Monti del Cammino degli Dei, cime giovani e aspre che a sud formavano una barriera lunga una sessantina di leghe, il cui confine orientale era inghiottito da foreste che si estendevano ininterrotte fino al Taglio di Orinai e alla Baia di Coral, continuando dall'altra parte del mare fino a circondare la città stessa di Coral. Il fiume Eryn diventava il Taglio di Ortnal a una ventina di leghe dalla Baia di Coral, dove le acque rosse del fiume si gettavano in un profondo
abisso e, così si diceva, diventavano nere e impenetrabili. La Baia di Coral pareva essere una semplice continuazione di quell'abisso. Paran non riusciva ancora a scorgere il Taglio, neppure dall'altezza a cui si trovava, ma sapeva che esso era là. Gli esploratori dello stormo di Moranth Neri, che stavano ora trasportando in volo lui e gli Arsori di Ponti lungo il percorso del fiume, ne avevano confermato la vicinanza; a volte le mappe erano sbagliate, dopo tutto. Per fortuna, la maggior parte dei Moranth era rimasta per mesi di stanza sui Monti della Visione, effettuando sortite notturne per studiare la disposizione del territorio e il modo migliore per avvicinarsi a Coral, in previsione del momento attuale. Probabilmente avrebbero raggiunto la bocca dell'Eryn prima dell'alba, supponendo che il vento continuasse a soffiare teso e costante verso i Monti del Cammino degli Dei, e la notte seguente avrebbero sorvolato le nere acque del Taglio, diretti verso Coral. E una volta là appureremo cosa ha preparato per noi il Veggente e, se possibile, smantelleremo i suoi piani. E una volta fatto questo, sarà ora che io e Ben lo Svelto... Un segnale invisibile fece scendere verso terra i quorl, che cabrarono in direzione della riva occidentale del fiume. Paran si aggrappò alle sporgenze ossee dell'armatura del Moranth Nero, il vento che gli filtrava nella visiera dell'elmo e gli strideva nelle orecchie. Serrando i denti, abbassò la testa mentre il terreno veniva loro incontro rapidamente. Uno scatto delle ali a meno di due metri dalla sottostante spiaggia cosparsa di massi li fece rallentare di colpo, poi scivolarono silenziosi lungo la riva. Girandosi, Paran vide gli altri allinearsi alle loro spalle. Battendo un dito contro l'armatura del guerriero, si protese in avanti. «Cosa sta succedendo?» «Più avanti c'è una carogna», replicò il Moranth Nero, scandendo le parole in modo strano, una cosa a cui Paran sapeva che non si sarebbe mai abituato. «Avete fame?» Il guerriero non replicò. D'accordo, questo era un colpo un po' basso. Il fetore prodotto da ciò che giaceva sulla spiaggia arrivò fino a lui. «Dobbiamo proprio fare questo? Sono i quorl che si devono nutrire? Ne abbiamo il tempo, Moranth?» «I nostri esploratori non hanno visto nulla la scorsa notte, capitano. Mai prima d'ora da questo fiume è giunta una simile creatura. Forse il fatto che
sia successo ora è importante. Andremo a indagare.» «Benissimo», si arrese Paran. Il quorl deviò verso destra e prese quota per risalire la riva erbosa, posandosi sul terreno pianeggiante al di là di essa, imitato dagli altri. Con le articolazioni doloranti, Paran sciolse le cinghie della sella e smontò con cautela. Ben lo Svelto lo raggiunse zoppicando. «Che l'Abisso mi prenda», borbottò. «Se continueremo così ancora per molto, mi si staccheranno le gambe.» «Hai idea di cos'abbiano trovato?» gli chiese Paran. «So solo che puzza.» «Una bestia morta, a quanto pare.» Una mezza dozzina di Moranth Neri si era raccolta intorno al capo dello stormo. Seguì una rapida conversazione tutta suoni chioccianti e ronzii, poi l'ufficiale - il cui quorl era quello su cui aveva viaggiato Paran - segnalò al capitano e al mago di avvicinarsi. «La creatura si trova davanti a noi», disse. «Vorremmo che la esaminaste insieme a noi. Parlate liberamente, in modo che si possa girare in cerchio intorno alla verità e conoscerne il colore. Venite.» Paran lanciò un'occhiata a Ben lo Svelto, che si limitò a scrollare le spalle. «Fateci strada, allora», decise il capitano. Il cadavere giaceva fra gli alti massi della spiaggia, a poca distanza dall'acqua. Con gli arti distorti che rivelavano le ossa fratturate, alcune delle quali foravano la pelle, la figura era nuda e gonfia per la decomposizione. Il terreno circostante era coperto di granchi, che si muovevano di qua e di là, impegnati in una titanica battaglia per aggiudicarsi quel banchetto, un dettaglio che in un primo tempo divertì Paran ma poi lo turbò in modo indefinibile. Dopo un momento, distolse l'attenzione dai granchi e si concentrò di nuovo sul cadavere. Ben lo Svelto rivolse a bassa voce una domanda all'ufficiale Moranth, che annuì; a un cenno del mago, un fioco bagliore si levò dai massi circostanti, illuminando il corpo. Per il respiro di Hood. «Quello è un Tiste Andii?» Ben lo Svelto si avvicinò, si chinò e rimase in silenzio per un lungo momento. «Se lo è, non appartiene alla gente di Anomander Rake», disse infine. «In effetti... non credo che sia un Tiste Andii.» Paran si accigliò. «È dannatamente alto, mago, e quei lineamenti, per quel che possiamo ancora vedere...»
«La pelle è troppo chiara, capitano.» «Sbiancata dall'acqua e dal sole.» «No. Ho visto i corpi di alcuni Tiste Andii, nella Foresta del Cane Nero e nelle paludi circostanti. Li ho visti in ogni condizione, ma non erano così. Si è gonfiato per il calore del sole, e dobbiamo supporre che sia stato trasportato dal fiume, ma non è pieno d'acqua. Capitano, avete mai visto una vittima della magia Serc?» «Il Sentiero del Cielo? Non che io rammenti.» «C'è un incantesimo che fa esplodere la vittima dall'interno. Ha a che fare con la pressione e la sua violenta alterazione, aumentandola di cento volte all'esterno del corpo. Quest'uomo è stato ucciso da una pressione implosiva, come se fosse stato colpito da un mago che usava l'Alto Serc.» «Va bene.» «Non va bene, capitano. Anzi, è tutto sbagliato.» Ben lo Svelto sollevò lo sguardo sull'ufficiale Moranth. «Girare in cerchio intorno alla verità, avete detto. D'accordo. Parlate.» «Tiste Edur.» Quel nome... ah, sì. Twist ne aveva parlato. Una vecchia guerra... un canale infranto... «Sono d'accordo, anche se non ne avevo mai visto uno, prima d'ora.» «Non è morto qui.» «Avete ragione, e non è neppure annegato.» Il Moranth annuì. «Non è annegato, né è stato ucciso dalla magia... l'odore è quello sbagliato.» «Già, non c'è contaminazione magica. Continuate a girare in cerchio.» «I Moranth Azzurri, che vivono sul mare e calano le reti in profondità e le loro prede arrivano sul ponte già morte. L'effetto riguarda la natura della pressione.» «Suppongo di sì.» «Quest'uomo è stato ucciso dall'opposto, apparendo di colpo in un posto di grande pressione.» «Sì», sospirò Ben lo Svelto, lanciando un'occhiata verso il fiume. «C'è una depressione, un crepaccio, laggiù... lo si può vedere dal movimento della corrente nel centro del fiume. Il Taglio di Ortnal si estende fino qui, invisibile, spezzando il fondo del fiume. Quella fossa è profonda.» «Un momento», intervenne Paran. «Stai suggerendo che questo Tiste Edur sia apparso improvvisamente da qualche parte in quella fossa sommersa. Il solo modo in cui avrebbe potuto farlo sarebbe stato aprendo un
canale per arrivarci... il che è un metodo di suicidio dannatamente complicato.» «Solo se intendeva fare ciò che ha fatto», ribatté Ben lo Svelto. «Solo se è stato lui ad aprire il canale. Se vuoi uccidere qualcuno, in modo sgradevole, scaglialo, fallo cadere, spingilo - quello che vuoi - in un portale ostile. Credo che questo poveraccio sia stato assassinato.» «Da un Grande Mago di Serc?» «Più probabilmente da un Grande Mago di Ruse... il Sentiero del Mare. Capitano, l'Impero Malazan è un impero marittimo, o almeno le sue radici sono tali, ma non troverete un solo Grande Mago di Ruse in tutto l'impero, perché è il canale più difficile da controllare.» Ben lo Svelto si rivolse al Moranth Nero. «E fra i vostri Moranth Azzurri? Fra gli Argento e gli Oro? C'è qualche Grande Mago di Ruse?» Il guerriero scosse il capo. «No, né i nostri annali ne rivelano nel nostro passato.» «E fino a quando risalgono quegli annali?» domandò con noncuranza Ben lo Svelto, riportando l'attenzione sul cadavere. «Sette decine.» «Decenni?» «Decine di secoli.» «Quindi abbiamo un assassino molto particolare», osservò il mago, rialzandosi. «Allora perché sono ora convinto che quest'uomo sia stato ucciso da un altro Tiste Edur?» mormorò Paran. Il Moranth e Ben lo Svelto si girarono a fissarlo in silenzio. «Suppongo sia un'intuizione», sospirò Paran. «Un'impressione istintiva.» «Capitano», affermò il mago, «non dimenticate cosa siete diventato». E riportò l'attenzione sul cadavere. «Un altro Tiste Edur. D'accordo, giriamo in cerchio anche intorno a questo.» «Non ci sono obiezioni a questa possibilità», affermò il Moranth. «I Tiste Edur appartengono all'Ombra Antica», osservò Ben lo Svelto. «Nei mari nuotano le ombre. Kurald Emurlahn, il Canale dei Tiste Edur, l'Ombra Antica, è infranto, ed è perduto per i mortali.» «Perduto?» Ben lo Svelto inarcò le sopracciglia. «Vorrai dire che non è mai stato trovato. Meanas... dove dimorano Tronod'Ombra, Cotillion e i Segugi...» «È soltanto una porta», concluse l'ufficiale Moranth. «Se un'ombra potesse proiettare un'ombra, essa sarebbe Meanas... è que-
sto che state dicendo?» chiese Paran. «Che Tronod'Ombra governa il casotto di guardia?» «Che immagine deliziosa, capitano», sorrise Ben lo Svelto. «Un'immagine preoccupante», borbottò lui, in risposta. I Segugi dell'Ombra... essi sono i guardiani della porta. Dannazione, ha troppo senso per essere un errore, ma il canale è anche infranto, il che significa che la porta potrebbe non condurre da nessuna parte. O forse appartiene al frammento più grande. Tronod'Ombra sa la verità? Che il suo potente Trono delle Ombre è... che cosa? La sedia di un castellano? Lo sgabello di un custode? Oh, povero me, come direbbe Kruppe. «Ah», sospirò Ben lo Svelto, smettendo di sorridere, «credo di capire il vostro punto di vista. I Tiste Edur sono di nuovo attivi, stando a quanto abbiamo visto qui. Stanno tornando nel mondo mortale, forse hanno ridestato il vero Trono delle Ombre, e forse stanno per fare visita al loro nuovo custode». «Un'altra guerra nel pantheon: senza dubbio le catene del Dio Storpio staranno tintinnando, scosse dalle sue risate.» Paran si massaggiò la mascella ispida di barba. «Scusatemi, ho bisogno di appartarmi un momento. Voi continuate pure qui, se volete. Non ci metterò molto.» Almeno spero. Allontanatosi di venti passi verso l'entroterra, si girò a nordovest e appuntò lo sguardo sulle stelle lontane. D'accordo, l'ho già fatto una volta, ora vediamo se funziona di nuovo... La transizione fu così rapida e facile da farlo barcollare e incespicare su un pavimento di pietra irregolare, in mezzo a un'oscurità pervasa di polvere. Imprecando, si raddrizzò. Sotto i suoi piedi, brillavano immagini scolpite, fredde e vagamente remote. Sono qui. È stato semplice. Ora, come faccio a trovare l'immagine che sto cercando? Raest? Sei occupato al momento? Che razza di domanda. Se tu fossi occupato, saremmo tutti nei guai, vero? Non importa, resta dove sei, dovunque tu sia. Dopo tutto, questa è una cosa che devo risolvere io. Non il Mazzo dei Draghi... non voglio un portale, dopo tutto. Quindi, il Mazzo Antico... La pietra direttamente sotto di lui si contorse a formare una nuova immagine, una che non aveva mai visto prima ma che riconobbe istintivamente come quella che cercava. L'incisione era rozza e consumata, i solchi profondi formavano una caotica ragnatela di ombre. Paran si sentì tirare in avanti e verso il basso, dentro la scena.
E apparve in una camera ampia dalla volta bassa. Le pareti disadorne erano di pietra, macchiate dall'acqua e coperte di licheni, muffa e muschio. In alto, alla sua destra e sinistra, c'erano ampie finestre, fessure orizzontali, entrambe ricoperte da rampicanti e viticci che s'insinuavano nella stanza e sul pavimento, attraverso un tappeto di foglie morte. L'aria odorava di salsedine, e da qualche parte all'esterno le strida dei gabbiani sovrastavano il rumore della risacca. Paran sentì il cuore che gli sobbalzava nel petto, perché non si era aspettato una cosa del genere. Non sono in un altro regno. Questo è il mio. Sette passi più avanti, un trono era posto su una piattaforma sopraelevata. Intagliato da un singolo tronco di legno carminio non lavorato, presentava sui fianchi ampie strisce di corteccia, molte delle quali spaccate, che si erano sollevate a rivelare il legno sottostante. Le ombre scorrevano in quella corteccia, nuotavano nei solchi profondi, si riversavano da essi per saettare tutt'intorno prima di svanire nella penombra della camera. Il Trono dell'Ombra non è in qualche nascosto regno da tempo dimenticato. È qui sul - o meglio nel - mio mondo. Un piccolo, lacero frammento del Kurald Galain. E i Tiste Edur sono venuti a cercarlo, stanno attraversando i mari alla ricerca di questo luogo. Come faccio a saperlo? Prese ad avanzare, e le ombre cominciarono a scorrere frenetiche sul trono. Un altro passo. Vuoi dirmi qualcosa, Trono, vero? Si diresse alla piattaforma, si protese. Le ombre si riversarono su di lui. Segugio... non Segugio! Sangue e non sangue! Signore e mortale! «Oh, taci! Parlami di questo posto.» L'isola vagante! Non vaga! Fugge! Sì! I Figli sono corrotti, le anime degli Edur sono avvelenate! Tempesta di follia... noi lì eludiamo! Proteggici, Segugio non Segugio! Salvaci... loro arrivano! «L'isola vagante. Questa è Drift Avalii, vero? A ovest di Quon Tali. Credevo ci fossero Tiste Andii su quell'isola...» Votati alla sua difesa! Progenie di Anomander Rake... andati! Hanno lasciato una pista di sangue, per condurre gli Edur lontano al prezzo della loro vita... oh, dov'è Anomander Rake? Loro lo chiamano, lo chiamano e chiamano! Implorano il suo aiuto! «Temo sia impegnato.» Anomander Rake, Figlio dell'Oscurità! Gli Edur hanno giurato di distruggere Madre Oscurità. Devi avvertirlo! Anime avvelenate, guidate da
uno che è stato ucciso cento volte, oh, guardati da questo nuovo Imperatore degli Edur, questo Tiranno del Dolore, questo Scatenatore delle Maree di Mezzanotte! Paran si trasse indietro con uno strattone mentale e indietreggiò di un passo barcollante, poi di un altro. Era madido di sudore, tremante per i postumi di un'ondata di terrore viscerale. A stento consapevole del proprio intento, si girò di scatto e la camera circostante si fece indefinita e venne inghiottita dapprima dall'oscurità, poi da qualcosa di ancor più profondo. «Oh, per l'Abisso...» Una pianura cosparsa di macerie sotto un cielo morto. In lontananza, alla sua destra, il gemito di massicce ruote di legno, lo schioccare di catene, il martellare di innumerevoli passi. Nell'aria, una cappa di sofferenza che minacciava di soffocarlo. Serrando i denti, si girò verso quei suoni orribili, si costrinse ad avanzare. Forme indistinte apparvero più avanti, dirette verso di lui, figure incurvate sulle catene tese; dietro di esse, più indietro di un centinaio di passi, incombeva il terribile carro, carico di corpi ammassati che si contorcevano, mentre esso sobbalzava sulle pietre, avvolto nella caligine. Paran avanzò incespicando. «Draconus!» urlò. «Nel nome di Hood, dove sei? Draconus!» Alcuni volti si sollevarono, poi tornarono ad abbassarsi, tutti tranne uno, incappucciato e indistinto. Paran s'insinuò fra le vittime di Dragnipur, avvicinandosi a quell'unico volto in ombra che ancora lo stava fissando, e anche se passò vicino ad altre figure, in preda alla follia, al torpore o allo sfinimento, neppure una di esse cercò di bloccarlo o anche solo mostrò di registrare la sua presenza. Come un fantasma, avanzò fra la calca. «Salve, mortale», disse Draconus. «Cammina con me.» «Cercavo Rake.» «E invece hai trovato la sua spada, cosa di cui non mi dispiace.» «Sì. Ho parlato con Nightchill, Draconus... ma non mi fare pressioni sull'argomento. Quando arriverò a una decisione, sarai il primo a saperlo. Ho bisogno di parlare con Rake.» «Sì, è vero», confermò l'antico guerriero. «Spiegagli questa verità, mortale: lui è troppo misericordioso per brandire Dragnipur, e la situazione si sta facendo disperata.»
«Di cosa stai parlando?» «Dragnipur ha bisogno di nutrirsi. Guardati intorno, mortale. Ci sono coloro che, alla fine, non riescono più a trainare questo fardello, e allora vengono trasportati fino al carro e gettati su di esso... credi che questo sia preferibile? Troppo deboli per muoversi, ben presto vengono sepolti da quelli che si trovano al di sopra. Seppelliti, intrappolati per l'eternità, e quanti più il carro ne trasporta, tanto più aumenta il suo peso... e più oneroso diventa il fardello per quelli di noi che sono ancora in grado di tirare queste catene. Lo capisci? Dragnipur si deve nutrire, ci servono... gambe riposate. Dillo a Rake: deve usare la spada, mietere delle anime, preferibilmente potenti, e deve farlo presto.» «Cosa succederebbe se il carro dovesse fermarsi, Draconus?» L'uomo che aveva forgiato la sua stessa prigione rimase a lungo in silenzio. «Mortale, proietta la tua visione alle nostre spalle, e guarda tu stesso cosa ci insegue.» Cosa li inseguiva? Paran chiuse gli occhi, e tuttavia la scena non scomparve... il carro continuò ad avanzare, là nella sua mente, con la moltitudine di anime che gli passava davanti. Poi il massiccio veicolo lo oltrepassò, i suoi gemiti e scricchiolii svanirono alle sue spalle. Adesso i solchi tracciati dalle ruote lo affiancavano, ciascuno largo quanto una strada imperiale, e la terra era intrisa di sangue, di bile e di sudore, un fetido fango che gli risucchiava gli stivali fino alle caviglie. Il suo sguardo seguì quei solchi, verso l'orizzonte. Dove infuriava il caos, che pervadeva il cielo di una tempesta di cui lui non aveva mai visto l'uguale. Da essa scaturiva una avidità rapace, una frenesia trepidante. Ricordi perduti. Potere nato da anime lacerate. Malvagità e desiderio, una presenza quasi consapevole di sé, con centinaia di migliaia di occhi tutti fissi sul carro. Così... così impaziente di nutrirsi... Paran si ritrasse, e con un sussulto si ritrovò a procedere di nuovo accanto a Draconus. I residui di ciò che aveva visto continuavano a tormentarlo, facendogli martellare selvaggiamente il cuore nel petto, e solo dopo una trentina di passi riuscì infine a sollevare la testa e a parlare. «Draconus, hai creato una spada molto sgradevole», disse, con voce rauca. «L'Oscurità ha sempre combattuto contro il Caos, mortale, e si è sempre ritirata. E ogni volta che Madre Oscurità ha ceduto - alla Venuta della Lu-
ce, alla Nascita dell'Ombra - il suo potere è diminuito, lo squilibrio si è fatto più profondo. Questo era lo stato in cui versavano i regni in quei primi tempi: un crescente squilibrio. Poi il Caos si è avvicinato alla porta stessa del Kurald Galain, ed è stato necessario creare una difesa. C'era bisogno di... di anime...» «Aspetta, per favore, devo riflettere...» «Il Caos brama il potere di quelle anime, ciò che Dragnipur ha reclamato per sé. Alimentarsi di tale potere lo renderebbe più forte... dieci, cento volte più forte, abbastanza da infrangere la Porta. Guarda i tuoi regni mortali, Ganoes Paran. Devastanti guerre che distruggono intere civiltà, guerre civili, epurazioni, dei feriti e morenti; tu e la tua razza avanzate con una rapidità pericolosa sul sentiero forgiato dal Caos. Accecati dall'ira, avidi di vendetta, quelli che sono i desideri più oscuri...» «Aspetta!» «Mentre la storia non conta nulla. Le lezioni vengono dimenticate, i ricordi... dell'umanità, di tutto ciò che è umano... sono perduti. Senza equilibrio, Ganoes Paran...» «Ma tu vuoi che io infranga Dragnipur!» «Ah, adesso comprendo la tua resistenza a tutto ciò che dico. Mortale, ho avuto il tempo di riflettere, e riconosco il grave errore che ho commesso. In quei primi tempi, Ganoes Paran, ero convinto che soltanto nell'Oscurità si potesse manifestare quel potere che è l'ordine, e ho cercato di aiutare Madre Oscurità, perché lei sembrava incapace di aiutarsi da sola. Non voleva rispondere, non voleva neppure riconoscere i suoi figli. Si era ritirata nelle profondità del suo regno, lontano da tutti noi, tanto lontana che non potevamo trovarla.» «Draconus...» «Ascoltami, per favore. Prima delle Case c'erano le Fortezze, e prima delle Fortezze c'era il vagabondare. Sono le tue stesse parole, giusto? Però tu avevi sia ragione che torto. Non era un vagabondare, ma una migrazione, uno spostamento stagionale, prevedibile e ciclico. Ciò che sembrava casuale e senza scopo era in realtà qualcosa di fisso, vincolato dalle sue leggi. Una verità... un potere... che non ho riconosciuto. «Infrangere Dragnipur libererà di nuovo la Porta... facendola tornare alla sua migrazione. «A ciò che le ha dato la forza di resistere al Caos. Dragnipur ha vincolato la Porta dell'Oscurità alla fuga, per l'eternità... ma se le anime incatenate dovessero diminuire...»
«La fuga sarebbe più lenta.» «Una lentezza fatale.» «Quindi o Rake comincia a uccidere... a mietere anime... oppure Dragnipur deve essere distrutta.» «La prima cosa è necessaria per darci del tempo, in attesa che si verifichi la seconda. La spada deve essere infranta. Lo scopo della sua stessa esistenza è stato un errore, e oltre a questo c'è un'altra verità in cui mi sono imbattuto, troppo tardi perché potesse fare qualche differenza, almeno per me.» «E sarebbe?» «Come il Caos possiede la capacità di agire in propria difesa, addirittura di alterare a proprio vantaggio la sua stessa natura in questa guerra eterna, così può farlo anche l'Ordine, che non è vincolato soltanto all'Oscurità. Se preferisci, esso comprende il valore dell'equilibrio.» Paran ebbe un lampo intuitivo. «La Casa di Azath, nel Mazzo dei Draghi.» La testa incappucciata si spostò appena, e Paran avvertì su di sé lo sguardo di due freddi occhi inumani. «Sì, Ganoes Paran.» «La Casa prende anime...» «E le vincola al loro posto, fuori dalla portata del Caos.» «Quindi non dovrebbe importare, qualora l'Oscurità finisse per soccombere.» «Non essere stolto. Perdite e guadagni si accumulano, spostano la marea, ma non sempre in modi che ripristinano l'equilibrio. Noi siamo in uno squilibrio che si avvicina alla soglia di tolleranza, Ganoes Paran. Questa guerra, che è parsa eterna a noi intrappolati dentro di essa, potrebbe finire, e ciò che ci aspetta tutti, qualora ciò dovesse accadere... ecco, mortale, ne hai sentito il respiro, là, sulla nostra scia.» «Devo parlare con Rake.» «Allora trovalo. Supponendo, naturalmente, che abbia ancora con sé la spada.» Più facile a dirsi che a farsi, pare... «Un momento, cosa significa questa faccenda dell'avere ancora la spada?» «Solo questo, Ganoes Paran.» Ma perché non dovrebbe più averla? Nel nome di Hood, cosa stai insinuando, Draconus? Quello di cui stiamo parlando è Anomander Rake, dannazione. Se stessimo vivendo in una di quelle stupide favole in cui uno stupido garzone di fattoria s'imbatte per caso in una spada magica, ecco,
allora perdere l'arma sarebbe forse possibile. Ma Anomander Rake? Il Figlio dell'Oscurità? Il Signore della Progenie della Luna? Un grugnito di Draconus attirò la sua attenzione. Direttamente davanti a loro, aggrovigliata nelle catene che si erano allentate, giaceva un'enorme figura demoniaca. «Byrys. L'ho ucciso io stesso, molto tempo fa. Non credevo...» Avvicinatosi alla figura dalla pelle nera, si chinò e, con stupore di Paran, si issò il demone in spalla. «Sul carro, mia antica nemesi...» disse. «Chi mi ha evocato per combattere contro di te?» tuonò il demone. «Sempre la stessa domanda, Byrys. Non lo so, non l'ho mai saputo.» «Chi mi ha evocato, Draconus, perché finissi ucciso dalla tua spada?» «Senza dubbio, qualcuno morto da tempo.» «Chi mi ha evocato?» Mentre Draconus e il demone continuavano la loro inutile conversazione, Paran si sentì trascinare via. Le loro parole si fecero indistinte, le immagini sfocate, finché si ritrovò di nuovo su un pavimento di pietra, molto al di sotto della Casa di Finnest. «Anomander Rake, Cavaliere dell'Oscurità, Alta Casa dell'Oscurità...» I suoi occhi si sforzarono di cogliere il formarsi dell'immagine evocata sulla distesa di lastre di pietra. Ma non giunse nulla. Con lo stomaco contratto da un gelo improvviso, Paran si protese mentalmente, sondando nell'Alta Casa dell'Oscurità alla ricerca della figura con la spada nera da cui pendevano catene eteree. Non riuscì a comprendere cosa gli si precipitò contro, abbattendoglisi nel cranio: ci fu un bagliore, poi l'oblio. Quando aprì gli occhi, Paran vide la luce del sole. Rivoletti d'acqua gli scorrevano lungo le tempie; un'ombra scivolò su di lui, poi scorse un familiare volto rotondo dagli occhi piccoli e acuti. «Mallet», gracchiò. «Ci stavamo chiedendo se sareste mai tornato, capitano!» esclamò il guaritore, che reggeva un panno gocciolante. «Per un po' avete avuto la febbre, signore, ma credo che ora sia passata.» «Dove siamo?» «Allo sbocco del fiume Eryn, al Taglio di Orinai. È mezzogiorno. La scorsa notte, Ben lo Svelto è dovuto venire a cercarvi, capitano... non potevamo rischiare di farci trovare allo scoperto prima dell'alba, quindi vi abbiamo legato sul vostro quorl e abbiamo sfruttato il vento.» «Ben lo Svelto», mormorò Paran. «Fallo venire qui. Subito.»
«Presto fatto.» Mallet si girò e rivolse un cenno da un lato. Il mago si avvicinò. «Capitano. Dall'alba, abbiamo visto passare nelle vicinanze quattro di quei condor. Se ci stanno cercando...» Paran scosse il capo. «Non noi. La Progenie della Luna.» «Forse avete ragione... ma questo vorrebbe dire che non l'hanno ancora avvistata, il che mi sembra dannatamente improbabile. Come si fa a nascondere una montagna volante? È più probabile...» «Anomander Rake.» «Cosa?» Paran chiuse gli occhi. «L'ho cercato tramite il Mazzo, il Cavaliere dell'Oscurità. Mago, credo che lo abbiamo perduto, lui e la Progenie della Luna. Abbiamo perso i Tiste Andii. Ben, Anomander Rake è scomparso!» «Macabra città! Spettrale! Orribile! Sporca! Kruppe rimpiange di aver visto il suddetto insediamento...» «Così hai detto», mormorò Whiskeyjack. «Fanno presagire male, quelle dimore male in arnese. Sono causa di timore, come le strade spettrali e simili, enormi avvoltoi che volano così liberi nel cielo sopra la nobile testa di Kruppe. Quando, oh, quando verrà il buio? Quando, reitera Kruppe, scenderà la misericordiosa oscurità, in modo che una benedetta cecità avvolga le persone per bene, permettendo così all'ispirazione di divampare e di rivelare l'inganno degli inganni, il più abile fra i trucchi, la non illusione delle illusioni, il...» «Due giorni», ringhiò Hetan, accanto a Whiskeyjack. «Gli ho tolto la voce per due giorni... pensavo di più, dato che il suo cuore per poco non ha ceduto.» «Fallo tacere di nuovo», suggerì Cafal. «Stanotte, e con un po' di fortuna non sarà più in condizione di aprire bocca almeno fino a Maurik.» «La cara ragazza ha frainteso l'insolito silenzio di Kruppe! Lui lo giura! Anzi, Kruppe addirittura implora di risparmiargli il minacciato maltrattamento e sbattimento, nella notte a venire, e in ogni notte a seguire! Kruppe è troppo tenero di spirito, troppo facile da ammaccare, graffiare e scuotere fisicamente! Kruppe non aveva mai conosciuto prima l'orrore della ruota, e non desidera sperimentare di nuovo un simile scombussolamento della sua persona. Quindi, deve spiegare con straordinaria chiarezza questi due giorni di apparente mutismo che così poco tipicamente ha rivestito l'onorevole Kruppe, peggiore invero di un sudario di apatia. Deve spiegare! Cari ami-
ci, Kruppe stava riflettendo! «Riflettendo, sì! Come non aveva mai riflettuto prima! Mai e poi mai. Pensieri tali da brillare di gloria al punto da accecare la cognizione mortale, così permeanti da saccheggiare sgomentanti timori fino a non lasciare che il più puro coraggio, sul quale navigare su una zattera fino all'imboccatura del paradiso!» «Quelle capriole non erano la ruota, era un po' di movimento», sbuffò Hetan. «Benissimo, stanotte ti farò girare in abbondanza sulla ruota, viscido uomo.» «Kruppe prega, oh, prega, che l'oscurità non cada mai! Che dalle profondità il bagliore sia solo attenuato in un mondo di luce e di meraviglia. Trattieniti, misericordiosa oscurità! Dobbiamo proseguire la marcia, coraggioso Whiskeyjack! Sempre avanti! Senza sosta, senza riposo, senza indugio! Consumiamo i nostri piedi fino a ridurli a meri moncherini, Kruppe lo implora! Notte, oh notte, che promette attrazioni fatali per la debole persona di Kruppe... il mulo era presente, dopo tutto, e guardate la povera bestia... esausta per ciò che i suoi occhi non hanno potuto evitare di vedere. Quasi morta di sfinimento per semplice empatia! «Oh, non ascoltate nulla di Kruppe e dei suoi segreti desideri di autodistruzione per mano di una donna deliziosa! Non ascoltate! Non ascoltate nulla finché il significato stesso si disperde...» Picker stava contemplando le acque nere del Taglio di Ortnal, dove blocchi di ghiaccio sfidavano la corrente nel risalire stridendo verso monte. A sudest, la Baia di Coral era bianca come un campo innevato sotto le stelle. Il viaggio dalla foce dell'Eryn aveva richiesto solo mezza nottata, e adesso gli Arsori di Ponti avrebbero proseguito a piedi, tenendosi al riparo delle scure foreste che rivestivano le montagne nel rasentare la regione relativamente pianeggiante fra il Taglio e la catena montuosa. La donna guardò verso la base del lieve pendio, dove il capitano Paran sedeva con Ben lo Svelto, Spindle, Shank, Toes e Bluepearl. Un raduno di maghi la rendeva sempre nervosa, soprattutto quando fra gli altri c'era anche Spindle. Sotto la pelle coperta dal cilicio, lui aveva l'anima un po' folle di uno zappatore, ed erano tutti un po' matti, e la sua magia era notoriamente imprevedibile; una volta, Picker lo aveva visto aprire il suo canale con una mano e scagliare con l'altra una granata Moranth. Gli altri tre maghi degli Arsori di Ponti non erano nulla di cui vantarsi. Bluepearl era un Napan che si rasava la testa e pretendeva di avere vaste
cognizioni riguardo al Canale di Ruse. Shank aveva sangue Seti nelle vene e tendeva a esagerarne l'importanza indossando innumerevoli amuleti di quella tribù del Quon Tali settentrionale... anche se i Seti stessi avevano cessato da tempo di esistere se non nel nome, essendo stati assimilati completamente dalla cultura Quon. Shank però indossava come parte della sua uniforme una versione stranamente romantica dell'abbigliamento Seti, fatta su misura per lui dalla sarta di una compagnia teatrale di Unta. Picker non sapeva con esattezza in quale canale lui fosse specializzato, perché di solito i suoi rituali di evocazione del potere duravano più a lungo di una battaglia. Toes... Dita... si era guadagnato quel nome per la sua abitudine di collezionare le dita dei piedi dei nemici morti - sia che li avesse uccisi personalmente o meno - per poi usare una polvere disseccante di sua invenzione per trattare quei trofei prima di cucirli sul suo giustacuore, cosa che gli conferiva un odore da cripta quando c'era bel tempo e lo faceva puzzare quanto la latrina di un povero quando pioveva. Lui sosteneva di essere un negromante, e che un rituale dall'esito disastroso eseguito in passato lo aveva lasciato con una sensibilità eccessiva ai fantasmi... che lo seguivano. Tagliando loro le dita dai piedi mortali, lui affermava di privarli dell'equilibrio, cosicché essi cadevano di continuo e questo gli permetteva di seminarli. In effetti, Toes aveva l'aspetto di un uomo braccato, ma - come aveva sottolineato Blend - chi non lo avrebbe avuto, con tutte quelle dita disseccate appese addosso? Il viaggio era stato estenuante. Essere legati sulla parte posteriore della sella di un quorl, tremando per il vento mentre le leghe scorrevano rapide in basso, era una cosa che lasciava snervati e irrigiditi, e l'umidità della foresta montana non era d'aiuto - pioggia e nebbia per tutta la mattina, con il sole che non appariva fino al pomeriggio - con il risultato che Picker si sentiva gelata fino al midollo. «Tenente», disse Mallet, avvicinandosi. «Hai idea di cosa stiano parlando, guaritore?» chiese Picker, accigliandosi. Mallet guardò in direzione dei maghi. «Sono solo preoccupati, per via dei condor. Ultimamente hanno potuto vederli più da vicino, ed è ormai certo che non siano semplici uccelli.» «Lo avevamo supposto.» «Già.» Mallet scrollò le spalle, poi aggiunse: «Inoltre, immagino che le
notizie date da Paran riguardo ad Anomander Rake e alla Progenie della Luna non abbiano migliorato le cose. Se li abbiamo persi, come ritiene il capitano, conquistare Coral, e abbattere il Veggente Pannion, sarà molto più difficile». «Vuoi dire che potremmo essere massacrati.» «Ecco...» Lentamente, Picker appuntò lo sguardo sul guaritore. «Vuota il sacco», ringhiò. «È solo un'impressione, tenente.» «Di cosa si tratta?» «Ben lo Svelto e il capitano hanno in programma qualche altra cosa, qualcosa che hanno escogitato loro due. Vedi, conosco Ben da molti anni, e ho imparato a capire come lavora. Siamo qui di nascosto, giusto? La testa di ponte per Dujek. Per quegli altri due, però, il gioco è due volte doppio: hanno un'altra missione nascosta sotto questa, e non credo che Unbraccio ne sappia qualcosa.» «E Whiskeyjack?» chiese Picker. «Chi può dirlo?» replicò Mallet, con un acido sorriso. «Sei soltanto tu a nutrire questi sospetti, guaritore?» «No, anche tutta la squadra di Whiskeyjack: Hedge, Trotts... quel dannato Barghast sta esibendo di continuo i suoi denti affilati, e quando lo fa di solito significa che sa che sta succedendo qualcosa ma non sa esattamente cosa, e non vuole far vedere di essere all'oscuro, se capisci cosa intendo.» Picker annuì. Negli ultimi giorni, aveva sorpreso Trotts a sogghignare quasi ogni volta che aveva guardato verso di lui, una cosa snervante, nonostante la spiegazione di Mallet. Blend apparve davanti a loro, e Picker si accigliò ulteriormente. «Mi dispiace, tenente, ma il capitano mi ha fiutata», disse. «Non so come, ma lo ha fatto, e temo di non aver avuto molte possibilità di ascoltare. Comunque, sono qui per avvertirti di far preparare le squadre.» «Finalmente», borbottò Picker. «Stavo per congelare qui dove sono.» «Infatti», annuì Mallet. «Sento già la mancanza dei Moranth... queste foreste sono dannatamente buie.» «Ma vuote, giusto?» Il guaritore scrollò le spalle. «Così sembra. È del cielo che ci dovremo preoccupare, quando farà giorno.» Picker si raddrizzò. «Seguitemi, voi due. È ora di svegliare gli altri.»
La marcia di Brood alla volta di Maurik era diventata una sorta di gara, con i diversi elementi del suo esercito sparpagliati a seconda della velocità che erano in grado di mantenere o, come nel caso delle Spade Grigie e della legione di Gruntle, dell'andatura che volevano tenere. Di conseguenza, adesso le sue forze erano sparse su quasi una lega di terreno devastato, lungo la strada commerciale che portava verso sud, con le Spade Grigie, la Legione di Trake e un altro contingente raccogliticcio che formavano una virtuale retroguardia a causa della loro andatura pacata. Itkovian aveva scelto di rimanere in compagnia di Gruntle, perché il grosso Daru e Stonny Menackis, con le loro narrazioni di eventi del passato che avevano in comune, lo divertivano non solo per le discussioni derivanti dalla diversità dei rispettivi ricordi, ma anche per gli eventi spesso incredibili che essi descrivevano. Era da molto tempo che Itkovian non si concedeva un piacere del genere, e aveva imparato ad apprezzare molto la compagnia dei due, e in particolare la loro incredibile irriverenza. Raramente, raggiungeva le Spade Grigie per parlare con l'IncudineScudo e il Destriant, ma l'imbarazzo lo costringeva ben presto a congedarsi, consapevole che la sua vecchia compagnia stava cominciando a guarire e ad assimilare nel proprio seno le reclute Tenescowri, il cui addestramento si svolgeva durante la marcia e quando la compagnia si arrestava per la notte. E quanto più i ranghi si facevano compatti, tanto più Itkovian si sentiva estraneo a essi, e sentiva la mancanza di quella che era stata la sua famiglia per tutta la sua vita di adulto. Nello stesso tempo, quella era la sua eredità, per cui si concedeva un certo orgoglio nel contemplarla. L'Incudine-Scudo si era assunta il titolo e tutto ciò che esso comportava, e adesso Itkovian comprendeva per la prima volta come gli altri dovevano averlo visto, quando aveva detenuto il titolo del Reve: remoto, inflessibile e del tutto chiuso in se stesso, una figura dura che prometteva una giustizia brutale. Naturalmente, lui aveva avuto Brukhalian e Karnadas da cui attingere supporto, mentre il nuovo Incudine-Scudo aveva soltanto il Destriant, una giovane e laconica donna Capan che fino a poco tempo prima era stata una recluta, e Itkovian capiva benissimo quanto dovesse sentirsi sola, ma non sapeva come alleggerire il suo fardello. Dopo tutto, qualsiasi consiglio avesse elargito sarebbe giunto da un uomo che, almeno secondo il suo modo di vedere, era venuto meno al suo dio. Ogni volta, tornare al fianco di Gruntle e di Stonny aveva l'amaro sapore
di una fuga. «Ruminate sulle cose più di chiunque altro abbia conosciuto», osservò Gruntle. Itkovian si girò a guardarlo, sconcertato. «Signore?» «Ecco, ora che ci penso, non è del tutto vero. Buke...» Accanto a Itkovian, Stonny s'irrigidì. «Buke? Lui era un ubriacone.» «Era più di questo, miserabile donna», ribatté Gruntle. «Portava sulle spalle...» «Non cominciare», ammonì Stonny. Con sorpresa di Itkovian, Gruntle tacque di colpo. Buke... ah, ora ricordo. Sulle sue spalle, il peso della morte delle persone amate. «Stonny Menackis, non c'è bisogno di manifestare una così insolita sensibilità, anche se capisco che a entrambi devo apparire simile a Buke. Ho una curiosità: il vostro triste amico ha cercato la redenzione, nella sua vita? Anche se mi ha opposto un rifiuto quando ero Incudine-Scudo, potrebbe aver tratto forza da una determinazione interiore.» «Non è pensabile, Itkovian», dichiarò Stonny. «Buke beveva per tenere a bada il suo tormento. Non cercava la redenzione, voleva semplicemente morire.» «La cosa non è tanto semplice», obiettò Gruntle. «Lui voleva quella morte onorevole che era stata negata alla sua famiglia, per poterne così redimere la fine. So che è un'idea distorta, ma sospetto di aver capito meglio degli altri cosa gli passava per la mente.» «Perché la pensavi nello stesso modo, anche se non avevi perso la famiglia in un incendio», scattò Stonny. «Anche se forse la tua perdita più grave è stata quella sgualdrina che ha sposato quel mercante...» «Stonny», ringhiò il Daru. «Ho perso Harllo, e ho quasi perso te.» Quell'ammissione lasciò la donna senza parole. Ah, questi due... «La differenza fra me e Buke», affermò Itkovian, «risiede nell'idea di redenzione. Io accetto il tormento, quale esso è per me, e quindi riconosco la responsabilità per tutto ciò che ho o non ho fatto. Come Incudine-Scudo, la mia fede richiedeva che liberassi gli altri dalla loro sofferenza. Dovevo portare pace alle anime nel nome di Fener, senza giudicare. Questo è stato ciò che ho fatto». «Ma il vostro dio è scomparso», osservò Stonny. «Quindi a chi, nel nome di Hood, avete consegnato quelle anime?» «A nessuno, Stonny Menackis. Le porto ancora dentro di me.» Stonny lanciò un'occhiata rovente a Gruntle, che rispose con una scrolla-
ta di spalle. «Te lo avevo detto, ragazza», borbottò. Lei si girò di nuovo verso Itkovian. «Dannato stolto! E quel nuovo Incudine-Scudo? Cosa mi dite di quella donna? Non è disposta ad addossarsi il vostro fardello, o quello che esso è per voi? A prendere quelle anime? Lei ha un dio, dannazione! Se crede di poter...» E accennò a spronare il cavallo, ma Itkovian la trattenne con una mano. «No, signora. Si è offerta di farlo, com'era suo dovere, ma non è ancora pronta per un simile fardello... esso la ucciderebbe, distruggerebbe la sua anima... e questo ferirebbe il suo dio, forse in maniera letale.» Stonny si liberò con uno strattone ma gli rimase accanto, fissandolo con occhi sgranati. «E cosa avete esattamente intenzione di fare con... con quelle anime?» «Devo trovare il modo di redimerle, Stonny Menackis, come avrebbe fatto il mio dio.» «È una follia! Voi non siete un dio, siete un dannato mortale! Non potete...» «Però devo. Come vedete, quindi, somiglio al vostro amico Buke ma sono diverso da lui. Perdonatemi per aver "rimuginato" su cose del genere. So che la risposta che cerco mi sta aspettando - arriverà presto, ritengo - e voi due avete ragione, farei meglio a esercitare una calma pazienza. Dopo tutto, ho resistito fino a ora.» «Comportatevi come ritenete giusto, Itkovian», disse Gruntle. «Stonny e io parliamo troppo, tutto qui. Perdonateci.» «Non c'è nulla da perdonare, signore.» «Perché non posso avere amici normali?» domandò Stonny. «Senza striature da tigre e occhi da gatto, senza il peso di centomila anime sulla schiena? Guardate, arriva un cavaliere di quell'altra compagnia che sta rimanendo indietro con noi... forse lui è normale! Hood sa che è vestito come un contadino e che sembra così ottuso da essere in grado di pronunciare solo frasi semplici. Un uomo perfetto! Ehi, tu! No, perché esiti? Raggiungici, per favore!» La figura dinoccolata, in sella a quella che sembrava una strana varietà di cavallo da tiro, fece avanzare con cautela la cavalcatura. «Salve, amici!» rispose, in Daru spaventosamente storpiato. «È un brutto momento? Sembra che litighiate...» «Litigare?» sbuffò Stonny. «Hai vissuto nei boschi troppo a lungo, se pensi che quello fosse un litigio! Avvicinati... in nome dell'Abisso, come hai fatto a ritrovarti con un naso così grosso?»
L'uomo sussultò ed esitò. «Stonny!» ammonì Gruntle, poi si rivolse al cavaliere. «Questa donna è rozza e scortese con tutti, soldato.» «Non sono stata scortese!» esclamò Stonny. «I nasi grossi sono come le mani grosse, tutto qui...» Nessuno parlò, e lo sconosciuto si tinse lentamente di un acceso rossore. «Benvenuto, signore», disse Itkovian. «Mi rincresce che non ci siamo conosciuti prima... soprattutto perché sembra che noi tutti siamo stati lasciati indietro dall'avanguardia di Brood, dai Rhivi e da tutte le altre compagnie.» L'uomo riuscì ad annuire. «Già. Lo abbiamo notato. Io sono l'Alto Maresciallo Straw, degli Irregolari di Mott.» I suoi pallidi occhi acquosi fissarono Gruntle. «Bei tatuaggi. Anch'io ne ho uno.» E arrotolò una manica sporca per mostrare una forma indistinta sulla spalla impolverata. «Non so bene cosa gli sia successo, ma dovrebbe essere un rospo su un ceppo. Naturalmente, i rospi sono difficili da vedere, quindi questa chiazza potrebbe essere lui... ecco, credo sia il rospo, ma potrebbe anche essere un fungo.» Con un sorriso che rivelò denti enormi, riabbassò la manica e si assestò sulla sella, poi si accigliò e chiese: «Sapete verso dove stiamo marciando? E perché tutti hanno tanta fretta?». «Uh...» Gruntle non parve riuscire a dire altro, quindi Itkovian prese la parola. «Domande eccellenti, signore. Siamo diretti a una città chiamata Maurik, per ricongiungerci là all'esercito Malazan. Da Maurik, procederemo ancora più a sud, verso la città di Coral.» «Ci sarà battaglia, a Maurik?» «No, la città è abbandonata. È soltanto un luogo comodo per riunire le truppe.» «E a Coral?» «Là è probabile che si combatta, sì.» «Le città non scappano, quindi perché tanta fretta?» Itkovian sospirò. «Un interrogativo perspicace, signore, che porta a mettere in discussione certe supposizioni precedentemente nutrite riguardo a tutti gli interessati.» «Cosa?» «Ha detto che è una buona domanda», spiegò Stonny. «È per questo che l'ho fatta», annuì il maresciallo. «Sono famoso per fare buone domande.»
«L'abbiamo visto», replicò lei, seria. «Brood ha premura perché vuole arrivare a Maurik prima dei Malazan... che sembrano marciare più in fretta di quanto credessimo possibile», disse Gruntle. «E allora?» «Ecco... uh... ultimamente, l'alleanza si è fatta un po'... incerta.» «Sono Malazan... cosa ti aspettavi?» «Se devo essere onesto», replicò Gruntle, «non credo che Brood sapesse cosa aspettarsi. Stai dicendo che il recente scisma non ti sorprende?». «Scisma? Ah, certo. No, e comunque è ovvio perché i Malazan si stiano muovendo tanto in fretta.» «Lo è?» fece Itkovian, protendendosi in avanti sulla sella. «Noi abbiamo là qualcuno dei nostri...» spiegò Straw, scrollando le spalle. «Avete delle spie fra i Malazan?» domandò Gruntle. «Certo, ne abbiamo sempre. Torna utile sapere cosa stanno combinando, lo era soprattutto quando li combattevamo, e il fatto che adesso siamo alleati non è motivo per smettere di sorvegliarli.» «Allora, maresciallo Straw, perché hanno tanta fretta?» «Per via dei Moranth Neri, naturalmente. Vengono ogni notte e portano via intere compagnie. Adesso sulla strada sono rimasti solo quattromila Malazan, e la metà sono unità di supporto. Anche Dujek se n'è andato, e Whiskeyjack guida la marcia; sono arrivati al fiume Maurik e stanno costruendo delle chiatte.» «Delle chiatte?» «Certo, per scendere il fiume, credo. Non per attraversarlo, dato che c'è comunque un guado, che è a monte delle chiatte.» «E naturalmente il fiume li porterà direttamente a Maurik, in pochi giorni», rifletté Gruntle. «Signore, avete messo al corrente Caladan Brood di queste informazioni?» chiese Itkovian. «No.» «Perché no?» Straw scrollò di nuovo le spalle. «Ecco, io e i fratelli Bole ne abbiamo parlato.» «E?» «Abbiamo deciso che Brood si è dimenticato.» «Dimenticato, signore? E di cosa?»
«Di noi, degli Irregolari di Mott. Pensiamo che forse aveva intenzione di lasciarci indietro, al nord, nella foresta del Cane Nero. Può darsi che a quel tempo sia stato impartito un ordine di qualche tipo, per esempio che dovessimo rimanere là mentre lui andava al sud, ma non ne siamo certi. Non riusciamo a ricordarlo.» Gruntle si schiarì la gola. «Avete considerato l'eventualità di informare l'Alto Comandante della vostra presenza?» «Ecco, non vogliamo farlo infuriare. Io credo che ci sia stato un ordine, capite? Forse qualcosa come "andatevene".» «Andatevene? E perché Brood avrebbe dovuto dirvi una cosa del genere?» «Uh, è questo il problema. Non è stato lui, ma Kallor. È questo che ci ha confusi. Kallor non ci piace, e di solito ignoriamo i suoi ordini, quindi siamo qui lo stesso. Voi chi siete?» «Signore, credo che dovreste mandare un corriere a Brood, con il vostro rapporto sui Malazan», disse Itkovian. «Oh, abbiamo della gente anche là, nell'avanguardia. Hanno tentato di raggiungere l'Alto Comandante, ma Kallor ha continuato a respingerli.» «Questo è strano», mormorò Gruntle. «Kallor dice che non dovremmo neppure essere qui, che l'Alto Comandante s'infurierà, quindi non stiamo più cercando di avvicinarlo, e pensiamo addirittura di tornare indietro. Ci manca la Foresta di Mott... qui non ci sono alberi, e a noi piacciono gli alberi, e il legno... di ogni tipo. Ci siamo procurati uno splendido tavolo... però non ha le gambe, pare che si siano spezzate.» «Per quel che può valere, maresciallo, preferirei che non lasciaste l'esercito», affermò Gruntle. L'uomo s'incupì in volto. «Ci sono gli alberi!» esclamò di colpo Stonny. «Al sud! C'è una foresta, intorno a Coral!» L'Alto Maresciallo s'illuminò. «Davvero?» «Certamente», confermò Itkovian. «Pare che sia una foresta di cedri, abeti e pini.» «Oh, allora va benissimo. Lo dirò agli altri. Saranno di nuovo contenti, ed è meglio quando siamo tutti contenti. Ultimamente stavano smussando le armi, e quello è un brutto segno.» «Smussando le armi, signore?» Straw annuì. «Smussano il filo, lo intaccano. In questo modo, le ferite
sono molto peggiori. È un brutto segno quando si comportano così, molto brutto. Presto di notte cominceranno a danzare intorno al fuoco, e quando smetteranno saprete che le cose non potrebbero peggiorare ulteriormente, perché i ragazzi saranno pronti a organizzare spedizioni di guerra e ad andare in giro di notte in cerca di qualcosa da uccidere. Stavano adocchiando quel grosso carro che ci segue...» «Oh, non lo fate», consigliò Gruntle. «Avvertili di lasciarli stare, maresciallo. Quella gente...» «Sono negromanti, sì. Acidi, molto acidi. Non ci piacciono i negromanti, soprattutto non piacciono ai fratelli Bole. Ce n'era uno che si era insediato sulla loro terra, sapete, rintanato in una vecchia torre in rovina nella palude. Fantasmi e spettri ogni notte, così alla fine i Bole hanno dovuto fare qualcosa, sono andati e lo hanno sfrattato. È stata una brutta cosa, credetemi... hanno appeso quello che restava di lui al Crocevia Inferiore, come avvertimento per gli altri.» «Questi fratelli Bole devono essere una coppia formidabile», osservò Itkovian. «Coppia?» Straw inarcò le sopracciglia arruffate. «Sono in ventitré, e tutti alti almeno quanto me. E sono svegli... alcuni, almeno. Non sanno leggere, naturalmente, ma sanno contare oltre il dieci e questo è già qualcosa, giusto? Ora devo andare. Dirò a tutti che al sud ci sono alberi. Addio.» I tre lo guardarono allontanarsi. «Non ha mai avuto la risposta alla sua domanda», affermò Gruntle, dopo un po'. «Quale domanda?» replicò Itkovian. «Chi siamo.» «Non essere idiota, sa esattamente chi siamo», ribatté Stonny. «Credi stesse fingendo?» «L'Alto Maresciallo Straw! Che l'Abisso mi prenda, è ovvio che fingeva! E vi ha ingannati tutti e due, giusto? Ebbene, non me. L'ho capito all'istante!» «Credete che Brood debba essere informato?» le chiese Itkovian. «Di cosa?» «Dei Malazan, tanto per cominciare.» «Fa qualche differenza? Brood arriverà comunque a Maurik per primo. Aspetteremo due giorni invece di due settimane, e allora? Significa soltanto che arriveremo molto più presto alla conclusione di questo pasticcio...
forse Dujek ha già conquistato Coral, e può tenersela, per quello che mi interessa.» «Non hai tutti i torti», borbottò Gruntle. Itkovian distolse lo sguardo. Forse ha ragione. Verso cosa sto cavalcando? Cosa cerco ancora da questo mondo? Non lo so. Non m'importa nulla di questo Veggente Pannion... lui non accetterà il mio abbraccio, anche supponendo che i Malazan lo lascino in vita, il che appare improbabile. È per questo che mi sto tenendo tanto indietro rispetto a coloro che rimodelleranno il mondo? Per indifferenza, mancanza di interesse? Pare che io abbia finito... allora perché non riesco ad accettare questa verità? Il mio dio è perduto... il fardello che porto è solo mio. Forse per me non c'è risposta... è questo ciò che il nuovo Incudine-Scudo vede, quando mi guarda con tanta compassione negli occhi? Tutta la mia vita è ora alle mie spalle, tranne che per la quotidiana, insensata marcia di questo corpo? Forse ho finito. Finalmente ho finito... «Rasserenatevi, Itkovian», disse Gruntle, «la guerra potrebbe essere finita prima che noi si arrivi sul posto; non sarebbe una nota comica con cui chiudere questa storia?». «I fiumi sono fatti per bere e per annegare», borbottò Hetan, un braccio stretto intorno a una botte. «Credevo che i vostri antenati viaggiassero sul mare», sorrise Whiskeyjack. «Prima di rinsavire e di seppellire una volta per tutte quelle dannate canoe.» «Sembri stranamente irriverente, Hetan.» «Sto per vomitarti sugli stivali, vecchio, come altro dovrei sembrarti?» «Ignora mia figlia», intervenne Humbrall Taur, avvicinandosi con passo pesante. «È stata sconfitta da un Daru.» «Non menzionare quella lumaca!» sibilò Hetan. «Sarai lieta di sapere che lui ha viaggiato su un'altra chiatta in questi tre giorni, mentre tu soffrivi», disse Whiskeyjack. «Si sta riprendendo.» «Ha lasciato questa barca soltanto perché ho giurato che lo avrei ucciso», borbottò Hetan. «Non era previsto che s'innamorasse, quel viscido verme! Per gli spiriti inferiori, che appetito!» Humbrall Taur scoppiò in una fragorosa risata. «Non avrei mai pensato di assistere a un così delizioso...» «Oh, taci, padre!»
Il grosso Barghast strizzò l'occhio a Whiskeyjack. «Ora sono impaziente di conoscere quest'uomo di Darujhistan.» «In tal caso, devo avvertirti che le apparenze ingannano, particolarmente nel caso di Kruppe», affermò Whiskeyjack. «Oh, l'ho visto da lontano, mentre veniva trascinato di qua e di là da mia figlia, almeno all'inizio. Ultimamente, poi, ho notato che i ruoli si erano invertiti. Davvero notevole, considerato che Hetan ha preso molto da mia moglie.» «E dov'è tua moglie?» «Sulle praterie dei Visi Bianchi, quindi quasi abbastanza lontano da permettermi di respirare. Quasi. Forse, una volta a Coral...» Whiskeyjack sorrise, meravigliandosi ancora una volta per i doni di amicizia che aveva ricevuto di recente. La riva un tempo abitata del fiume Maurik gli scorreva di fronte. Le canne circondavano i moli e i pali d'attracco, vecchie barche da pesca marcivano semisepolte nel fango e l'erba cresceva alta intorno alle baracche dei pescatori, più indietro sulla spiaggia. Quell'abbandono, e tutto ciò che esso significava, oscurò per un momento il suo buonumore. «Anche per me non è uno spettacolo piacevole», disse Humbrall Taur. Whiskeyjack sospirò. «Ci avviciniamo alla città, sì?» Il Malazan annuì. «Manca forse ancora un giorno.» Alle loro spalle, Hetan gemette. «Credi che Brood sappia?» «Ritengo di sì, almeno in parte. Abbiamo Irregolari di Mott fra gli stallieri.» «Irregolari di Mott... chi o cosa sono, comandante?» «Qualcosa che somiglia vagamente a una compagnia mercenaria, condottiero. Per lo più, sono taglialegna e contadini. Sono stati creati per caso... da noi Malazan. Avevamo appena occupato la città di Opraz e stavamo marciando a ovest verso Mott, che si è subito arresa, con la sola eccezione degli abitanti della Foresta di Mott. Dujek non voleva lasciare una compagnia di rinnegati a depredare le nostre linee di rifornimento mentre noi avanzavamo nell'entroterra, quindi ha mandato gli Arsori di Ponti nella Foresta di Mott con l'intento di eliminarli. Un anno e mezzo dopo eravamo ancora là, e gli Irregolari continuavano a girarci intorno. E quando decidevano di fermarsi a combattere, lo facevano come se fossero stati posseduti da qualche oscuro dio delle paludi; ce le hanno suonate più di una volta, e
hanno fatto lo stesso con i Moranth Dorati. Alla fine, Dujek ci ha richiamati, ma a quel punto gli Irregolari di Mott erano stati ormai contattati da Brood, che li ha inseriti nel suo esercito. In ogni caso», concluse, scrollando le spalle, «sono gente che continua a tornare alla carica come una brutta infestazione di vermi intestinali... una cosa con cui abbiamo imparato a convivere». «Quindi sai che il nemico sa di te», annuì Humbrall. «Più o meno.» «Voi Malazan conducete un gioco complicato», affermò il Barghast, scuotendo il capo. «A volte», ammise Whiskeyjack. «In altre occasioni siamo semplici e chiari.» «Un giorno, i vostri eserciti marceranno sulle praterie dei Visi Bianchi.» «Ne dubito.» «Perché no?» domandò Humbrall Taur. «Non siamo nemici abbastanza degni, comandante?» «Fin troppo degni, condottiero. No, la verità è un'altra. Abbiamo stipulato un trattato con voi, e l'Impero Malazan prende molto sul serio questi precedenti. Verrete avvicinati con rispetto e con offerte di stabilire commerci, confini e cose del genere... se lo vorrete. Altrimenti, gli inviati se ne andranno e non vedrete più altri Malazan finché non sarete voi a decidere diversamente.» «Voi stranieri siete strani conquistatori.» «Sì, è vero.» «Perché siete in Genabackis, comandante?» «L'Impero Malazan? Siamo qui per unificare, e tramite l'unificazione, diventare ricchi. E non siamo egoisti neppure in merito a chi deve arricchire.» Humbrall Taur si percosse l'armatura rivestita di monete. «È l'argento che vi interessa?» «Ecco, c'è più di un tipo di ricchezza, condottiero.» «Davvero?» commentò il grosso guerriero, scrutandolo con sospetto. «Aver incontrato i clan dei Barghast Viso Bianco è una di queste ricchezze», sorrise Whiskeyjack. «La diversità è degna di celebrazione, Humbrall Taur, perché da essa nasce la saggezza.» «Sono parole tue?» «No, dello storico imperiale Duiker.» «E lui parla per l'Impero Malazan?»
«Nei momenti migliori.» «E questi sono i momenti migliori?» Whiskeyjack fissò il guerriero negli occhi. «Forse sì.» «Volete stare zitti, voi due?» ringhiò Hetan, alle loro spalle. «Sto per morire.» Humbrall Taur si girò a osservare la figlia, accoccolata contro le botti di grano. «Sto pensando una cosa», tuonò. «Cosa?» «Solo che potresti non avere il mal di mare, figlia.» «Davvero? E cosa...» Hetan sgranò gli occhi. «Per gli spiriti inferiori!» Pochi momenti più tardi, Whiskeyjack fu costretto ad appollaiarsi poco cerimoniosamente sulla murata con i piedi all'esterno, l'acqua corrente del fiume che provvedeva a pulirgli gli stivali. Una tempesta di mare si era scatenata su Maurik qualche tempo dopo il suo abbandono, abbattendo le piante ornamentali e ammucchiando dune di sabbia e alghe a ridosso delle pareti degli edifici. Le strade erano sepolte sotto un intatto tappeto di sabbia candida, che copriva eventuali corpi e macerie. Korlat percorse da sola la strada principale della città portuale. Sulla sua sinistra c'erano bassi e larghi magazzini, sulla destra edifici cittadini, taverne, locande e botteghe. In alto, corde su carrucole collegavano i piani superiori dei magazzini al tetto piatto delle botteghe coperti ora da festoni di alghe come se fossero stati decorati per una festa marittima. A parte il vento che sussurrava costante, non c'era traccia di movimento lungo tutta la strada o nei vicoli che la intersecavano, finestre e porte erano aperte, vuote e desolate, i magazzini erano stati svuotati, le ampie porte scorrevoli rivolte sulla strada lasciate spalancate. Quando si avvicinò alla parte più occidentale della città, il profumo del mare alle sue spalle cedette il posto al sentore di acqua dolce e di cose che vi marcivano, proveniente dal fiume che scorreva oltre i magazzini. Caladan Brood, Kallor e gli altri avevano scelto di aggirare Maurik per proseguire sulla pianura, sorvolati per qualche tempo da Crone prima che lei tornasse ad allontanarsi. Korlat non aveva mai visto la Matrona dei Grandi Corvi così agitata. Se davvero la perdita dei contatti significava che Anomander Rake e la Progenie della Luna erano stati distrutti, allora Crone aveva perso non solo il suo padrone ma anche il nido e i figli... entrambe idee spiacevoli, abbastanza da incurvare per la disperazione le ali del
Grande Corvo, mentre si dirigeva di nuovo al sud. Korlat invece aveva deciso di cavalcare da sola, lungo un percorso più lungo che passava attraverso la città. Dopo tutto, non c'era bisogno di affrettarsi, e l'anticipazione aveva la tendenza a rendere tormentosa qualsiasi attesa in un luogo fisso, quindi era meglio prolungare l'avvicinamento tenendo un'andatura controllata. In fondo, aveva molto su cui riflettere. Se il suo Signore stava bene, avrebbe dovuto presentarsi davanti a lui e porre formalmente fine al proprio servizio, troncare una relazione che esisteva da quattordicimila anni o, per meglio dire, sospenderla per un certo tempo. Per gli anni rimanenti della vita di un mortale. Se invece una calamità si era davvero abbattuta su Anomander Rake, lei si sarebbe ritrovata al comando della decina di Tiste Andii che erano rimasti con l'esercito di Brood, una responsabilità che non avrebbe portato avanti a lungo perché non desiderava governare sui suoi simili. Li avrebbe lasciati liberi di decidere della loro sorte. Anomander Rake aveva unificato i Tiste Andii in virtù della sua personalità... una qualità che Korlat sapeva di non possedere. Le cause disparate in cui lui aveva scelto di impegnare se stesso e il suo popolo erano state, lei supponeva, tutte riflessi di uno stesso tema, ma non aveva idea di quale fosse la sua natura. C'erano state guerre e lotte, nemici e alleati, vittorie e sconfitte, una processione attraverso i secoli che appariva casuale non soltanto a lei ma anche alla sua gente. Un pensiero improvviso l'assalì, doloroso come una coltellata al petto. Forse Anomander Rake si sentiva altrettanto sperduto. Forse questa interminabile successione di cause riflette una sua ricerca. Io ho sempre supposto che il suo fosse uno scopo semplice... darci una ragione per esistere, farci carico della nobiltà di altri, per i quali la lotta significava qualcosa. Non è stato forse questo il tema portante di tutto ciò che abbiamo fatto? Perché nutro ora dei dubbi? Perché credo ora che quel tema, se davvero esiste, sia di tipo diverso? Qualcosa di molto meno nobile... Tentò di liberarsi di quei pensieri prima che la trascinassero alla disperazione. Perché la disperazione è la nemesi dei Tiste Andii. Quanto spesso ho visto i miei compagni cadere sul campo di battaglia e ho saputo, nel profondo dell'anima, che i miei fratelli e sorelle non erano morti per l'incapacità di difendersi? Erano morti perché avevano scelto di farlo, uccisi dalla loro stessa disperazione. La nostra più grave minaccia.
Anomander Rake ci guida lontano dalla disperazione... è questo il suo solo scopo, il suo unico intento? Il suo è un tema di rifiuto? Se è così, cara Madre Oscurità, allora ha fatto bene a cercare di confonderci, di impedirci di comprendere il suo semplice, patetico intento. Scoprire il segreto del mio Signore non dà alcuna ricompensa. Per la maledizione della Luce, lui ha passato secoli a evadere le mie domande, scoraggiando il mio desiderio di imparare a conoscerlo, di trapassare il suo velo di mistero, e io ne sono rimasta ferita, l'ho aggredito più di una volta, e lui ha sopportato la mia ira e la mia frustrazione. Il silenzio. Ha scelto di non condividere... ciò che vedevo come arroganza, come un paternalismo della peggiore specie... tale da farmi infuriare... oh, Signore, ti sei attenuto alla più dura misericordia. E se assale noi, la disperazione investe te con forza centuplicata. Adesso sapeva che non avrebbe lasciato andare la sua gente. Come Rake, non poteva abbandonarla, come lui non avrebbe detto la verità quando fosse stata supplicata di farlo, quando avessero preteso una spiegazione. E così, se quel momento dovesse giungere presto, dovrò trovare la forza di comandare, di nascondere la verità alla mia gente. Oh, Whiskeyjack, come farò a dirti questo? I nostri desideri erano... semplicistici, stoltamente romantici. Il mondo non contiene un paradiso per me e per te, caro amore, e tutto quello che ti posso offrire è di unirti a me, di rimanere al mio fianco. E prego Madre Oscurità, quanto la prego, che per te questo possa essere abbastanza... La periferia della città si stendeva lungo il fiume in un nastro di baracche di pescatori, affumicatoi e reti stese a seccare, il tutto danneggiato dalla tempesta e coperto di rifiuti. L'insediamento si estendeva a monte fino al limite estremo della pianura, e una mezza dozzina di casupole su palafitte collegate da passerelle rialzate occupava perfino un tratto fangoso di canneto, lungo la riva. File gemelle di pali su quel lato del fiume indicavano dove era stata scavata un'ampia trincea subacquea che portava fino al limitare della pianura, su cui erano state costruite ampie e solide piattaforme. A est, la foce del fiume Maurik era navigabile soltanto per imbarcazioni con poco pescaggio, perché il suo letto era in continuo mutamento a causa dello scontro fra la corrente e le maree che innalzava banchi di sabbia nascosti ogni poche campane, per poi spazzarli via ed erigerne altri altrove. Le scorte di viveri trasportate lungo il fiume venivano scaricate a ovest della foce, sulla pianura.
L'Alto Comandante, Kallor, il ricognitore Hurlochel e il secondo di Korlat, Orfantal, erano fermi sulla piattaforma, i cavalli impastoiati sulla strada al suo limitare. Tutti e quattro guardavano verso il fiume. Korlat guidò il cavallo sulla strada rialzata che collegava la città alla piattaforma, e quando arrivò alla strada, leggermente sopraelevata, avvistò le prime chiatte dei Malazan. La loro costruzione doveva essere stata coadiuvata dalla magia. Esse erano imbarcazioni solide e robuste, larghe e a fondo piatto, con lo scafo composto di massicci tronchi ancora con la corteccia e teloni che coprivano almeno la metà di ciascun ponte. Da dove si trovava, Korlat ne contò almeno venti. Anche con la magia, costruirle non deve essere stata un'impresa da poco. D'altronde, averle messe insieme così in fretta... Ah, è in questo che sono stati impegnati finora i Moranth Neri? Se è così, Dujek e Whiskeyjack dovevano aver pianificato tutto dall'inizio. Grandi Corvi volavano in cerchio sulla flotta, stridendo con palese derisione. Soldati, Barghast e cavalli erano visibili sulla chiatta di testa. Arrivata sul bordo della piattaforma rivolto all'entroterra, Korlat si fermò accanto ai cavalli degli altri e smontò. Un Rhivi prese le redini, e con un cenno di ringraziamento lei attraversò la piattaforma per raggiungere Caladan Brood. L'Alto Comandante era inespressivo in volto, mentre i lineamenti di Kallor erano contorti in un orribile sogghigno. Orfantal si avvicinò a Korlat, salutandola con un inchino. «Sorella», disse nella loro lingua nativa, «la cavalcata attraverso Maurik è stata piacevole?». «Da quanto tempo sei fermo qui, fratello?» «Forse una campana e mezzo.» «Allora non ho rimpianti.» «Una silenziosa campana e mezzo, per di più», sorrise lui. «Un tempo quasi sufficiente a far perdere la pazienza a un Tiste Andii.» «Bugiardo. Possiamo restare in silenzio per settimane, fratello, lo sai bene.» «Ah, ma è un silenzio privo di emozioni, giusto? Personalmente, ascolto il vento e così non avverto turbamento.» Korlat gli lanciò un'occhiata. Privo di emozioni? Ora stai mentendo davvero.
«Oserei dire che la tensione sta salendo ancora», continuò Orfantal. «Voi due, se proprio dovete parlare, fatelo in un linguaggio comprensibile», ringhiò Kallor. «Ci sono già state dissimulazioni sufficienti per una vita intera.» «Di certo non la tua vita, vero, Kallor?» ribatté Orfantal in Daru, girandosi a fronteggiarlo. L'antico guerriero snudò i denti in un ringhio silenzioso. «Basta così», tuonò Brood. «Non voglio che i Malazan ci vedano litigare.» Adesso Korlat poteva vedere Whiskeyjack, in armatura completa, fermo vicino alla tozza prua dell'imbarcazione di testa. Humbrall Taur era al suo fianco e stava chiaramente assaporando quel momento, ergendosi alto e imperioso nell'armatura di monete, le mani appoggiate sulle asce che portava alla cintura. L'alfiere, Artanthos, si teneva alle spalle dei due, le braccia conserte, un accenno di sorriso sul volto snello. I soldati che manovravano i remi diressero l'imbarcazione fra i pali con abilità, sottraendo l'enorme chiatta alla forza della corrente per farla scivolare lentamente verso l'approdo. Korlat seguì la scena, lo sguardo fisso su Whiskeyjack, che l'aveva scorta a sua volta, mentre l'imbarcazione si accostava alla piattaforma, affiancandosi a essa con uno stridio soffocato. Soldati muniti di gomene si lanciarono sulla piattaforma per attraccare la chiatta, mentre lungo il fiume quelle che seguivano puntavano verso la riva per andare ad arenarsi sulla spiaggia fangosa. Hetan apparve fra suo padre e Whiskeyjack, oltrepassandoli per balzare sulla piattaforma, pallidissima in volto e con le gambe che quasi cedevano sotto il suo peso. Orfantal scattò in avanti per offrirle il braccio, ma lei lo respinse con un ringhio e li superò tutti barcollando, diretta verso l'estremità opposta della piattaforma. «Un gentile pensiero», rise Humbrall Taur. «Se però tieni alla vita, Tiste Andii, lascia quella ragazza ai tormenti della gravidanza. Alto Comandante! Grazie per quest'accoglienza formale! Abbiamo anticipato il giorno in cui arriveremo a Coral, sì?» Il condottiero Barghast scese sulla piattaforma, seguito da Whiskeyjack. «A meno che non ci siano altre duecento barche a monte», ringhiò Brood, «avete perso due terzi delle vostre forze. Com'è successo?». «Tre clan hanno scelto il fiume, Alto Comandante», tuonò Humbrall Taur, con un sorriso. «Gli altri hanno scelto di camminare. I nostri dei ne
hanno riso, anche se, lo ammetto, in modo acido.» «Ben ritrovato, Alto Comandante», disse Whiskeyjack. «Non avevamo abbastanza imbarcazioni per trasportare tutte le nostre truppe, quindi Dujek ha deciso di dividere l'esercito.» «E dov'è lui, nel nome di Hood?» lo interruppe Kallor. «Come se ci fosse bisogno di chiederlo», aggiunse. Whiskeyjack scrollò le spalle. «I Moranth Neri stanno trasportando gli altri.» «A Coral, sì», scattò Kallor. «A che fine, Malazan? Per conquistare la città in nome del vostro impero?» «Dubito sia possibile», ribatté Whiskeyjack. «Ma se pure fosse, Kallor, vi seccherebbe tanto arrivare in una Coral pacificata? Se la vostra sete di sangue ha bisogno di essere soddisfatta...» «Non ho mai sete a lungo, Malazan», affermò Kallor, levando la mano guantata verso l'impugnatura della spada bastarda affibbiata sulla schiena. «Pare», intervenne Brood, ignorando Kallor, «che siano stati apportati significativi cambiamenti a quello che avevamo convenuto essere un piano solido. In effetti», aggiunse, guardando verso le chiatte, «avete collaborato a crearlo con l'inganno nella mente, fin dall'inizio». «Non sono d'accordo», obiettò Whiskeyjack. «Proprio come voi avevate la Progenie della Luna e le intenzioni di Rake, quali che siano, come vostro piano personale, abbiamo concluso che era meglio creare qualcosa di equivalente. Il precedente è stato creato da voi, Alto Comandante, quindi non credo che siate in una posizione tale da potervi lamentare.» «Comandante», replicò Brood, «non è mai stata nostra intenzione che la Progenie della Luna lanciasse un attacco preventivo contro Coral al fine di portarci in vantaggio rispetto ai nostri supposti alleati. Ci siamo attenuti a un tempismo che mira a uno sforzo coordinato». «E Dujek è tuttora d'accordo con voi in questo, come lo sono anch'io. Ditemi, Crone è riuscita ad avvicinarsi a Coral?» «Sta tentando nuovamente di farlo.» «E probabilmente verrà respinta ancora una volta, il che significa che non abbiamo informazioni riguardo ai preparativi che si stanno effettuando contro di noi. Se hanno un minimo di talento militare, il Veggente Pannion o i suoi consiglieri avranno predisposto una trappola per noi, qualcosa che noi non potremo evitare se vogliamo arrivare in vista delle mura di Coral. Alto Comandante, i Moranth Neri hanno depositato il capitano Paran e gli Arsori di Ponti nel raggio di dieci leghe dalla città, in modo che si avvici-
nino di soppiatto e scoprano che cosa hanno escogitato i Pannion. Da soli, però, gli Arsori di Ponti non sono sufficienti a contrastare quegli sforzi, quali che possano essere, quindi Dujek li sta raggiungendo alla testa di seimila uomini dell'Armata, trasportati dai Moranth Neri, con l'intento di distruggere la trappola approntata dai Pannion.» «E perché dovremmo credervi, nel nome di Hood?» domandò Kallor. «Non avete fatto altro che mentire... dall'inizio!» «Se seimila soldati Malazan sono sufficienti a prendere Coral e a distruggere il Dominio di Pannion», ribatté Whiskeyjack, scrollando le spalle, «allora abbiamo gravemente sopravvalutato il nemico. Non credo però che sia così; penso che ci aspetti una dura battaglia, e che avremo probabilmente bisogno di qualsiasi vantaggio si sia acquisito in anticipo». «Comandante», ammonì Brood, «le forze Pannion sono rinforzate da Quadri di Maghi e da questi condor innaturali. Come spera Dujek di difendersi contro di essi? Il vostro esercito non ha maghi degni di questo nome». «Abbiamo Ben lo Svelto, e lui ha trovato il modo di accedere ai canali senza interferenze. In secondo luogo, ci sono i Moranth Neri a contendere il controllo dei cieli, e abbiamo una rispettabile scorta di munizioni. Ammetto però che tutto questo non sarà abbastanza.» «Più della metà del vostro esercito verrà massacrata, comandante.» «È probabile. Per questo, se siete d'accordo, dovremmo ora marciare su Coral il più in fretta possibile.» «Come no!» sogghignò Kallor. «Forse per noi sarebbe meglio lasciare che i Pannion si sfiniscano per distruggere Dujek e i suoi seimila uomini, e arrivare dopo. Alto Comandante, dammi ascolto. I Malazan hanno creato questa situazione per loro potenzialmente fatale, e adesso vengono a implorarci di tirarli fuori dai guai. Io dico di lasciar marcire questi bastardi nel loro brodo.» Korlat percepì che il parere di Kallor stava facendo breccia nella mente di Brood, e vide l'Alto Comandante esitare. «Una graziosa risposta», commentò con disprezzo. «Tinta di emotività, e quindi probabilmente suicida per tutti noi.» Kallor si girò di scatto. «Donna, tu non puoi pretendere di essere oggettiva! È ovvio che parteggi per il tuo amante.» «Non lo farei di certo, Kallor, se la sua posizione fosse insostenibile, e in questo risiede la differenza fra voi e me.» Korlat si rivolse quindi a Brood. «Ora parlo per conto dei Tiste Andii che accompagnano il vostro esercito,
e vi incito ad accelerare la marcia verso Coral per soccorrere Dujek. Il comandante Whiskeyjack è arrivato con chiatte sufficienti a trasferirci tutti in fretta sulla riva meridionale, e cinque giorni di marcia a tappe forzate ci porteranno in vista di Coral.» «Oppure otto giorni ad andatura normale», ribatté Kallor, «in modo da arrivare riposati a destinazione. L'Armata di Un-braccio è così in difficoltà da non poter resistere tre giorni in più?». «State tentando una nuova tattica?» gli chiese Orfantal. Il guerriero grigio scrollò le spalle. Brood emise un sospiro sibilante. «Adesso Kallor parla con razionalità, Tiste Andii. Cinque giorni oppure otto, spossati o riposati e quindi in grado di impegnare subito il nemico. Qual è la tattica più ragionevole?» «Potrebbe significare la differenza fra riunirci a un contingente integro ed efficace oppure trovare soltanto cadaveri fatti a pezzi», obiettò Whiskeyjack. «Decidete quello che volete. Naturalmente vi lascerò le chiatte, ma le mie truppe attraverseranno per prime: noi rischieremo lo sfinimento!» Girandosi, rivolse un cenno ad Artanthos, che era rimasto sulla chiatta. L'alfiere annuì e si chinò a raccogliere una mezza dozzina di bandiere di segnalazione, avviandosi verso poppa. «Lo avevate previsto, vero?» sibilò Kallor. Che tu l'avresti avuta vinta... sì, credo lo avesse previsto. Whiskeyjack non rispose. «E così le vostre forze arriveranno a Coral per prime, dopo tutto. Molto astuto, bastardo, davvero astuto.» Korlat si avvicinò a Brood. «Alto Comandante, avete fiducia nei Tiste Andii?» Il grosso guerriero si accigliò. «In voi e nella vostra gente? Certo, è ovvio che ne ho.» «Benissimo, allora noi accompagneremo il comandante Whiskeyjack, Humbrall Taur e le loro forze, per rappresentare i vostri interessi. Orfantal e io siamo Soletaken... in caso di bisogno, uno di noi potrà avvertirvi in fretta di un pericolo o di un tradimento. Inoltre, la nostra presenza potrebbe rivelarsi decisiva, qualora fosse necessario aiutare Dujek a disimpegnarsi da una situazione infronteggiabile.» «Gli amanti ricongiunti», rise Kallor, «e a noi viene chiesto di inchinarci davanti a una falsa oggettività...». Orfantal avanzò di un passo verso di lui. «Questo è l'ultimo insulto che rivolgi ai Tiste Andii», affermò, a bassa voce.
«Smettetela!» tuonò Brood. «Kallor, sappi questo: mantengo la mia fiducia nei Tiste Andii. Nulla di quello che puoi dire è in grado di scuoterla, perché è stata guadagnata secoli fa, cento volte, e mai tradita. D'altro canto, è della tua lealtà che comincio a dubitare sempre di più...» «Attento alle tue paure, Alto Comandante», ringhiò Kallor, «a meno che tu non voglia vederle concretizzarsi». Brood rispose a voce tanto bassa che Korlat faticò a sentirlo. «Adesso mi provochi, Kallor?» Il guerriero impallidì lentamente. «A che cosa servirebbe farlo?» domandò, con voce atona. «Esattamente.» Korlat si rivolse a suo fratello. «Chiama la nostra gente, Orfantal. Accompagneremo il comandante e il condottiero.» «Come vuoi, sorella.» Il Tiste Andii si girò, poi fece una pausa e scrutò Kallor per un lungo momento, prima di aggiungere: «Vecchio, quando tutto questo sarà finito, credo...». «Cosa credi?» domandò Kallor, scoprendo i denti. «Che verrò a cercarti.» Kallor continuò a sorridere, ma lo sforzo che questo gli costava fu tradito dal contrarsi di un muscolo della guancia. Orfantal si avviò verso i cavalli in attesa. La profonda risata di Humbrall Taur infranse il silenzio pieno di tensione. «E dire che al nostro arrivo abbiamo creduto che steste litigando.» Korlat si girò verso la chiatta, e incontrò lo sguardo di Whiskeyjack, che riuscì a esibire un rigido sorriso, da cui traspariva la pressione a cui era sottoposto. Fu però ciò che lei gli vide negli occhi a riscaldarle il cuore: amore, sollievo, tenerezza... e pura e semplice attesa. Madre Oscurità, sanno vivere, questi mortali! Cavalcando fianco a fianco a un trotto tranquillo, Gruntle e Itkovian raggiunsero la strada rialzata e si avvicinarono alla piattaforma. Verso est, il cielo stava impallidendo, l'aria era fredda e limpida. Una ventina di mandriani Rhivi stava spingendo sulla rampa i primi trecento bhederin. Qualche centinaio di passi più indietro rispetto ai due uomini, altri trecento stavano venendo avviati verso la strada rialzata; dietro di essi vi erano almeno altri duemila animali, quindi risultò chiaro per Gruntle e Itkovian che se avessero voluto traghettare in tempi brevi le loro compagnie si sarebbero dovuti infilare fra i vari gruppi.
I Malazan avevano costruito bene, ogni chiatta aveva ampie e solide rampe che univano prua con prua, mentre la poppa era stata studiata in modo che potesse combaciare, una volta rimossa la murata posteriore. Il ponte che formavano quando venivano unite era sorprendentemente ampio, tanto da permettere a due carri di viaggiare affiancati. Il comandante Whiskeyjack e le sue compagnie dell'Armata avevano attraversato il fiume oltre quindici campane prima, seguiti dai tre clan Barghast di Humbrall Taur. Gruntle sapeva che Itkovian aveva sperato di incontrare entrambi quegli uomini ancora una volta, in particolare Whiskeyjack, ma quando erano arrivati in vista del fiume tutti e due erano partiti da tempo. Caladan Brood aveva fatto accampare le sue forze per la notte su quella riva del Maurik, svegliando le truppe tre campane prima dell'alba. Constatando che solo adesso avevano completato l'attraversamento, Gruntle si stava domandando il perché della disparità di andatura fra i due eserciti alleati. I due fermarono i cavalli fra i mandriani Rhivi. Un uomo alto dall'aspetto goffo che non era un Rhivi era fermo da un lato, intento a osservare i bhederin attraversare la prima chiatta accompagnati dagli incitamenti dei mandriani. Gruntle smontò e gli si avvicinò. «Irregolari di Mott?» chiese. «Alto maresciallo Sty», replicò l'uomo, con un sorriso in tralice. «Lieto che tu sia qui... non riesco a capire questi ometti, anche se ci ho provato davvero. Credo che parlino una lingua diversa.» Inespressivo in volto, Gruntle scoccò un'occhiata a Itkovian, poi tornò a fissare l'Alto Maresciallo. «Infatti. Sei fermo qui da molto?» «Dalla scorsa notte. Sono passate un sacco di persone. Un sacco. Li ho guardati unire le chiatte... hanno fatto in fretta. I Malazan conoscono il legno, questo è certo. Sai che Whiskeyjack era apprendista di un muratore, prima di diventare un soldato?» «No, non lo sapevo. Questo cosa c'entra con i carpentieri, Alto Maresciallo?» «Nulla. Cosa stavo dicendo?» «Stai aspettando il resto della tua compagnia?» chiese Gruntle. «In realtà no, anche se suppongo che arriveranno, prima o poi. Passeranno dopo i bhederin, naturalmente, in modo da poter raccogliere il letame. Lo fanno anche questi piccoletti, e abbiamo avuto qualche scontro per questo. Scazzottate, di solito amichevoli. Guardali, guarda cosa stanno facen-
do: ammucchiano a calci tutto quel letame e lo sorvegliano. Se dovessi avvicinarmi maggiormente, estrarrebbero il coltello.» «Allora ti suggerisco di non avvicinarti, Alto Maresciallo.» «In quel caso, non ci sarebbe divertimento», sorrise Sty. «Non sto aspettando qui per niente, sai?» Itkovian smontò e li raggiunse, mentre Gruntle si rivolgeva ai mandriani in un Rhivi comprensibile. «Chi di voi comanda, qui?» Un vecchio asciutto ma muscoloso si fece avanti. «Digli di andarsene!» scattò, puntando un dito verso l'Alto Maresciallo Sty. «Spiacente», replicò Gruntle, scrollando le spalle. «Temo di non potergli dare ordini. Sono qui per la mia legione e le Spade Grigie. Vorremmo attraversare, prima del resto della vostra mandria...» «No. Non potete. No. Dovete aspettare. Aspettare. I bhederin non amano essere divisi, diventano nervosi, scontenti. Ci servono calmi per riuscire a farli attraversare. Lo capisci, vero? No, dovete aspettare.» «Quanto tempo credi che ci vorrà?» «Finirà quando finirà», replicò il Rhivi, scrollando le spalle. Il secondo gruppo di trecento bhederin risalì il ponte con fragore, e i mandriani andarono incontro alle bestie. Gruntle sentì un tonfo ovattato, poi i Rhivi presero tutti a gridare, tornando indietro di corsa. Il Daru si volse in tempo per vedere l'Alto Maresciallo Sty che gli passava davanti di corsa, l'ampia camicia sollevata intorno a un grosso mucchio di letame, imboccando la rampa e percorrendo a precipizio il ponte di chiatte. Un singolo mandriano, che era stato chiaramente lasciato a guardia del letame, giaceva steso accanto al mucchio razziato, privo di sensi e con l'impronta rossa di un grosso pugno ossuto sulla mascella. Gruntle sorrise al vecchio mandriano, che stava ribollendo di rabbia. Itkovian gli si affiancò. «Signore, avete visto cosa è successo?» «Purtroppo no, solo la conclusione.» «Quel pugno è venuto dal nulla... non l'ho neppure visto avvicinarsi. Quel povero Rhivi è crollato come un sacco di... di...» «Di letame?» Dopo un lungo momento, tanto lungo da far supporre a Gruntle che non sarebbe mai successo, Itkovian sorrise. Nubi temporalesche erano giunte dal mare, la pioggia sospinta da forti venti che martellava su elmi, scudi e mantelli di cuoio con forza tale da
trasformarsi in spuma. Su tutti i lati, le terre agricole abbandonate erano nascoste da un muro grigio, la strada commerciale era ridotta a un mare di fango sotto zoccoli, ruote e stivali. Con l'acqua che gli colava attraverso la visiera, che aveva abbassato in un tentativo coronato solo in parte da successo di riparare gli occhi dalla pioggia, Whiskeyjack stava cercando di dare un senso a ciò che stava vedendo. Un messaggero lo aveva richiamato dall'avanguardia, gridando parole a stento comprensibili riguardo a un assale rotto, al convoglio fermo e ad animali feriti, ma attualmente tutto ciò che riusciva a distinguere era una massa di soldati coperti di fango che scivolavano di continuo nell'annodare corde e gridarsi a vicenda parole inudibili, oltre ad almeno tre carri seppelliti fino agli assali in quella che era stata una strada ma che era diventata un mare di fango. Qualcuno intanto stava tirando da parte i buoi muggenti. E lui poteva soltanto guardare. Era inutile imprecare contro i capricci della natura, o contro i carri stracarichi o contro l'andatura a cui erano costretti tutti quanti. Nonostante l'apparente caos, i suoi soldati di marina stavano facendo tutto ciò che era necessario. Considerata la stagione, il nubifragio sarebbe stato probabilmente breve, e il sole avrebbe presto asciugato tutto. Nondimeno, gli veniva spontaneo chiedersi quali dei avessero cospirato contro di lui, perché dal momento del guado non era trascorso un solo giorno di quella frenetica marcia senza che si verificasse un incidente... e neppure uno di essi era stato misericordioso nei confronti delle loro esigenze. Ci sarebbero voluti almeno altri due giorni per raggiungere Coral. Whiskeyjack non aveva più ricevuto comunicazioni da Ben lo Svelto da prima di arrivare a Maurik, e a quel tempo il mago, Paran e gli Arsori di Ponti si erano trovati ancora a mezza nottata di viaggio dai dintorni di Coral, per cui era certo che ormai avessero raggiunto la città, così come era parimenti certo che anche Dujek e le sue compagnie stessero arrivando sul posto. Se doveva esserci una battaglia, si sarebbe verificata presto. Girato il cavallo stanco, Whiskeyjack lo incitò ad avviarsi lungo il bordo della pista per tornare all'avanguardia. La notte si stava avvicinando in fretta, e avrebbero dovuto fermarsi, almeno per qualche campana. Allora avrebbe avuto un po' di tempo prezioso solo con Korlat; i rigori di quella marcia li tenevano separati troppo spesso, e sebbene entrambi fossero convinti che Anomander Rake non poteva ancora essere dato per perduto, lei aveva assunto il ruolo di comandante dei Tiste Andii sotto ogni aspetto, ed
era adesso fredda, distaccata, concentrata soltanto sul compito di gestire la sua gente. Sotto la sua direzione, essi stavano esplorando il Kurald Galain, il loro Canale dell'Oscurità, attingendo al suo potere nello sforzo di purificarlo dall'infezione del Dio Storpio, e nel corso delle loro brevi e infrequenti ricomparse presso l'esercito, Whiskeyjack aveva constatato quanto questo stesse costando a Orfantal e agli altri Tiste Andii. Korlat voleva però che il potere del Kurald Galain fosse facilmente accessibile, senza timore di corruzione, quando si fosse combattuto, a Coral. In lei si era verificato un cambiamento, una cupa determinazione l'aveva indurita interiormente. Forse era stata la possibilità della morte di Anomander Rake a imporle quel mutamento, o forse era colpa dei loro sentieri futuri, che avevano così ingenuamente intrecciato senza prendere in considerazione le aspre richieste del mondo reale. Il passato era sempre inquieto, per entrambi. In cuor suo, Whiskeyjack era certo che Anomander Rake non fosse morto, e neppure perduto. Nella mezza dozzina di conversazioni notturne che aveva condiviso con lui, aveva imparato a conoscere il Tiste Andii. Nonostante le alleanze, inclusa quella a lungo termine con Brood, Anomander Rake era un solitario, un uomo dall'indipendenza quasi patologica, ed era indifferente alle esigenze degli altri, al fatto che potessero aspettarsi o pretendere rassicurazioni o conferme. Attraverso la caligine poteva ora distinguere l'avanguardia, un capannello di ufficiali a cavallo che circondavano Humbrall Taur, Cafal, Hetan, Kruppe e Korlat. Più oltre, il cielo si stava rischiarando, segno che erano sul punto di emergere dall'area dell'acquazzone... forse, con la fortuna di Oponn, in tempo per fermarsi, preparare una cena calda sotto gli altrettanto caldi raggi del sole al tramonto prima di riprendere la marcia. Stava pressando troppo i suoi quattromila uomini. Essi erano i migliori che avesse mai comandato, ma stava pretendendo da loro l'impossibile. Pur comprendendone le cause, l'improvvisa perdita di fiducia da parte di Brood lo aveva inoltre scosso più di quanto volesse ammettere con chiunque, anche con Korlat. Una rapida marcia delle loro forze congiunte avrebbe messo in difficoltà il Veggente; vedere l'arrivo di legioni e legioni di rinforzi avversari avrebbe dato a qualsiasi comandante nemico un motivo per abbandonare qualsiasi battaglia in corso contro Dujek. Esausto o meno, a volte un esercito numeroso risultava di per sé un'intimidazione sufficiente. Le risorse dei Pannion erano limitate, e il Veggente non avrebbe corso il
rischio di persistere in un combattimento fuori delle mura cittadine se questo avesse messo a repentaglio il suo esercito principale. L'apparizione di quattromila soldati incespicanti e coperti di fango lo avrebbe invece fatto probabilmente sorridere, e lui avrebbe dovuto sfruttare al massimo le forze disponibili... i dodici Tiste Andii, il Clan Ilgres e i Clan d'elite dei Visi Bianchi di Humbrall Taur sarebbero risultati d'importanza cruciale, anche se il supporto complessivo dato dai Barghast era di meno di duemila uomini. Ci siamo messi a correre troppo presto, troppo lontano dalla preda. Nella nostra fretta insensata ci siamo lasciati alle spalle cinquantamila Barghast Viso Bianco, una decisione che potrebbe risultare fatale. Sentendosi vecchio al di là dei suoi anni, gravato da problemi nati da uno spirito logorato dallo sfinimento, Whiskeyjack tornò a raggiungere l'avanguardia. L'acqua scorreva sulla cotta di maglia, lasciando i lunghi capelli grigi incollati contro di essa sulla schiena e sulle spalle ampie e scarne. L'elmo grigio opaco brillava, riflettendo il color peltro del cielo con lattea uniformità, mentre lui sostava immobile, a testa bassa, alla base di un bacino poco profondo, il cavallo che attendeva poco più indietro. Piatti occhi senza vita stavano scrutando la prateria satura d'acqua attraverso le fessure della visiera fissa dell'elmo. Occhi socchiusi e fissi, intenti a guardare lo scorrere di acque fangose sferzate dalla pioggia frenetica, piccoli rivoli, ruscelli più ampi, un incessante scorrere attraverso minuscoli canali, sulla pietra esposta, fra le radici annodate dei ciuffi d'erba. L'acqua scorreva verso sud. E là, in quel bacino, trasportando in ruscelli torrenziali sedimenti di colore strano, fluiva verso monte. Dalla polvere... al fango. Dunque state marciando con noi, dopo tutto. No, cercate di capire, ne sono contento. Kallor si girò e tornò a grandi passi verso il cavallo. Durante la marcia procedette per conto suo, e con il rapido sopraggiungere del crepuscolo sotto le nubi plumbee e la pioggia battente, raggiunse infine l'accampamento. Non c'erano fuochi fuori delle file di tende, il bagliore delle lanterne traspariva opaco dalla tela rattoppata e i passaggi fangosi erano affollati di Grandi Corvi, appollaiati immobili sotto il diluvio. Fermatosi davanti alla tenda di Brood, smontò ed entrò. Il ricognitore, Hurlochel, era fermo appena oltre la soglia, presente in
qualità di messaggero, qualora Brood ne avesse avuto bisogno; il giovane appariva pallido, semiaddormentato al suo posto. Ignorandolo, Kallor alzò la visiera e lo oltrepassò. L'Alto Comandante era accasciato su una sedia da campo, il martello sulle cosce, atteggiamento per lui insolito, e non si era preoccupato neppure di pulire dal fango armatura e stivali. I suoi occhi stranamente bestiali guardarono verso Kallor, poi si abbassarono di nuovo. «Ho commesso un errore», disse. «Sono d'accordo, Alto Comandante.» Quelle parole indussero Brood a fissarlo più attentamente. «Devi aver frainteso...» «Non l'ho fatto. Ci saremmo dovuti unire a Whiskeyjack. L'annientamento dell'Armata di Un-braccio, per quanto possa farmi personalmente piacere, sarebbe un disastro tattico per questa campagna.» «Va benissimo, Kallor, ma adesso c'è ben poco che possiamo fare al riguardo», obiettò Brood. «Questa tempesta cesserà, Alto Comandante. Domattina potrai accelerare l'andatura, forse riusciremo addirittura a risparmiare un giorno intero. Io però sono qui per un altro motivo, uno che, guarda caso, si collega al tuo mutamento d'intenti.» «Parla e sii breve, Kallor, oppure taci.» «Vorrei raggiungere Whiskeyjack e Korlat.» «A che scopo? Per scusarti?» Kallor scrollò le spalle. «Lo farei anche, se potesse servire. Tu sembri però dimenticare la mia... esperienza. Per quanto questo sembri seccante a tutti voi, io camminavo già su questa terra quando i T'lan Imass erano solo bambini, ho comandato eserciti forti di centomila uomini, ho sparso il fuoco della mia ira su interi continenti e ho seduto su alti troni. Capisci cosa significa tutto questo?» «Sì. Non impari mai, Kallor.» «È evidente», scattò Kallor, «che il significato ti sfugge. Conosco un campo di battaglia meglio di qualsiasi uomo vivente, perfino meglio di te». «I Malazan sembrano essersela cavata benissimo su questo continente senza il tuo aiuto. E poi, cosa ti fa pensare che Whiskeyjack o Dujek diano retta ai tuoi suggerimenti?» «Sono uomini razionali, Alto Comandante. A quanto pare, dimentichi qualcosa d'altro sul mio conto. Con la lama in pugno, non sono mai stato sconfitto in un centinaio di migliaia di anni.»
«Tu scegli bene i tuoi nemici, Kallor. Hai mai incrociato la spada con Anomander Rake? O con Dassem Ultor? Gaymane? Il Primo Seguleh?» Brood non ebbe bisogno di aggiungere anche: con me? «A Coral non affronterò nessuno di loro», ringhiò Kallor. «Soltanto Seerdomin, Urdomen, Eptarchi...» «E magari qualche K'Chain Che'Malle?» «Non credo che ne siano rimasti.» «Forse, e forse no. Kallor, sono alquanto sorpreso dal tuo improvviso... zelo.» L'alto guerriero scrollò le spalle. «Vorrei rimediare ai miei consigli sbagliati, tutto qui. Mi permetti di raggiungere Whiskeyjack e Korlat?» Brood lo scrutò per qualche tempo, poi sospirò e agitò una mano guantata e infangata. «Va'.» Kallor si girò di scatto e lasciò la tenda, raggiungendo il cavallo. Pochi Grandi Corvi dall'aria infelice accoccolati sotto un carro furono i soli testimoni del suo improvviso sorriso. I blocchi di ghiaccio addossati alla costa rocciosa erano tutti coperti di acqua scura. Lady Invidia guardò Baaljagg e Garath guadarla di corsa, diretti verso la spiaggia boscosa, poi sospirò e aprì il suo canale appena quanto le bastava per attraversare senza bagnarsi. Ne aveva abbastanza di mari in tempesta, di acque nere, di montagne di ghiaccio sommerse e di pioggia battente, e stava contemplando la possibilità di scagliare una maledizione adeguatamente efficace contro Nerruse e Beru... la Signora per non essere riuscita a mantenere un ragionevole ordine sulle sue acque, il Signore per la sua furia manifestamente insensata di fronte al modo in cui veniva sfruttato. D'altro canto, una simile maledizione avrebbe potuto benissimo indebolire ancora di più il pantheon, e la cosa non sarebbe stata apprezzata. «Devo quindi rinunciare a questo piacere... o rimandarlo di qualche tempo», sospirò. «Oh, bene.» Girandosi, vide Senu, Thurule e Mok che stavano scendendo la parete di ghiaccio quasi verticale che portava alla piattaforma galleggiante. Di lì a poco, i Seguleh raggiunsero a guado la riva. Lanas Tog era scomparsa poco tempo prima, per riapparire sotto gli alberi, direttamente di fronte a loro. Lady Invidia mosse un passo oltre il bordo della strada Mekros coperta di brina e fluttuò lentamente verso il ponte di ghiaccio, diretta alla spiaggia rocciosa dove si erano radunati gli altri.
«Finalmente!» esclamò all'arrivo, avanzando con cautela sul muschio fradicio per raggiungere Lanas Tog. Grossi cedri rivestivano l'erto pendio montano alle spalle della T'lan Imass; rimuovendo qualche fiocco di neve dal telaba candido, Lady Invidia scrutò per un momento la foresta ostile, poi appuntò la propria attenzione su Lanas Tog. Il ghiaccio stava scivolando in lunghe schegge sottili dalle spade che trafiggevano la T'lan Imass, e la brina si stava sciogliendo in ampie chiazze sulla pelle avvizzita del suo viso. «Oh, cara, vi state sgelando.» «Andrò avanti in esplorazione», disse Lanas Tog. «Alcune persone sono passate di recente lungo questa spiaggia. Più di venti e meno di cinquanta, alcune molto cariche.» «Davvero?» Lady Invidia si guardò intorno, ma non vide nulla da cui si capisse che qualcuno aveva camminato dove ora si trovava. «Ne siete certa? Oh, non importa, fate finta che non lo abbia chiesto. Bene, in che direzione andavano?» «La nostra», affermò la T'lan Imass, girandosi verso est. «Davvero curioso! Per caso, riusciremo a raggiungerli?» «Improbabile, signora. Ci precedono di circa quattro giorni.» «Quattro giorni! Allora avranno raggiunto Coral!» «Sì. Desiderate riposare, o vogliamo procedere?» Lady Invidia si girò a esaminare gli altri. Baaljagg aveva ancora il frammento di lancia nella spalla, anche se sembrava che esso stesse uscendo, in modo lento ma costante, e il flusso del sangue era rallentato considerevolmente. Le sarebbe piaciuto risanare la ferita dell'ay, ma la lupa non la lasciava avvicinare. Garath appariva ora in salute, anche se una solida massa di cicatrici gli segnava il pelo arruffato. I tre Seguleh avevano effettuato tutte le possibili riparazioni ad armi e armature, ed erano ora in attesa, la maschera di ognuno dipinta di fresco. «Hmm, pare che non ci debba essere nessun indugio! Quanta impazienza... oh, compatisco la povera Coral!» D'un tratto, si girò di scatto. «Lanas Tog, dimmi, anche Onos T'oolan è passato di qui?» «Non lo so, signora. Quei mortali che ci precedono erano però seguiti da un predatore, un fatto senza dubbio curioso, dato che non percepisco una perdurante violenza in quest'area. Probabilmente la bestia ha rinunciato ad attaccare quando ha valutato appieno le loro forze.» «Una bestia? Che genere di bestia, cara?» La T'lan Imass scrollò le spalle. «Un grosso felino, forse una tigre... cre-
do che questo genere di foreste sia per loro un ambiente congeniale.» «Non è eccitante? Avanti, Lanas Tog, avviamoci su questa pista fatale; noi vi seguiremo da presso!» Gli accessi alle trincee e alle gallerie erano stati ben nascosti sotto rami di cedro e mucchi di muschio, e senza il talento soprannaturale dei maghi, forse gli Arsori di Ponti non li avrebbero trovati. Paran si avviò lungo quella che aveva etichettato mentalmente come la galleria di comando, oltrepassando mucchi di armi - picche, alabarde, lance, archi lunghi e fasci di frecce - e nicchie piene di cibo, acqua e altre provviste, fino ad arrivare a una larga camera fortificata che l'Eptarca aveva chiaramente destinato a proprio quartier generale. Ben lo Svelto e il suo male assortito quadro di maghi sedevano, erano accovacciati o se ne stavano stesi in un rozzo semicerchio vicino all'estremità opposta della stanza, oltre il tavolo delle mappe, simili a un branco di ratti che avesse appena occupato la tana di un castoro. Nell'oltrepassare il tavolo, il capitano lanciò un'occhiata al largo pezzo di pelle dipinta inchiodato su di esso, su cui i Pannion avevano convenientemente tracciato la mappa dell'intero labirinto di trincee e di gallerie, segnando la locazione e la natura delle provviste, le vie di accesso e di ritirata. «D'accordo», disse, nel raggiungere i maghi. «Che notizie ci sono?» «A Coral, qualcuno è rinsavito e si è reso conto che qui ci dovrebbe essere una compagnia di guardia», spiegò Ben lo Svelto. «Trotts stava tenendo d'occhio la città e li ha visti uscire. Ci raggiungeranno fra una campana.» «Una compagnia», rifletté Paran, accigliandosi. «Quanti uomini, in termini Pannion?» «Quattrocento Bekliti, venti Urdomen, quattro Seerdomin, fra cui un ufficiale, e probabilmente un mago.» «E quale approccio credi useranno?» «Quello a tre livelli», spiegò Spindle, grattandosi sotto la camicia di crini. «Passeranno sotto gli alberi per tutto il tragitto e dovranno fare un sacco di curve, il che significa che faranno fatica ad attaccare le nostre posizioni, quando colpiremo.» Paran si girò a studiare la mappa. «Supponendo che siano flessibili, cosa sceglieranno, come alternativa?» «La rampa principale», affermò Ben lo Svelto, alzandosi per raggiungerlo, indicando sulla mappa con un dito. «Quella che avevano intenzione di
usare per tenderci un'imboscata. Non c'è copertura, ma possono unire gli scudi a formare una testuggine... e noi siamo solo quaranta...» «Munizioni?» Il mago guardò verso Spindle, che fece una smorfia. «Siamo a corto», disse. «Se le usiamo bene, forse schiacceremo questa compagnia, ma allora il Veggente saprà cosa sta succedendo e manderà ventimila uomini su questa montagna. Se Dujek non arriva al più presto ce ne dovremo andare, capitano.» «Lo so, Spindle, ed è per questo che voglio utilizzare mine e granate: voglio far saltare queste gallerie. Se dobbiamo battercela, ridurremo prima questa roccaforte a un ammasso di rocce e di fango.» Lo zappatore lo fissò a bocca aperta. «Capitano, senza granate e mine, il Veggente non dovrà mandare nessuno a caccia di questa compagnia... ci faranno a pezzi!» «Supponendo che siano abbastanza numerosi da riformare lo schieramento e salire la rampa principale. In altre parole, Spindle, raduna gli zappatori e prepara il peggior inferno che riesci a immaginare per quelle tre piste nascoste. Se possiamo dare l'impressione che quassù ci sia l'intero esercito Malazan... meglio ancora, se potrete accertarvi che neppure un soldato di quella compagnia ne esca vivo, avremo guadagnato il tempo che ci serve. Quanto più lasceremo il Veggente nell'incertezza e più saremo al sicuro, quindi chiudi la bocca e trova Hedge e gli altri. Il tuo momento di gloria è arrivato, Spindle... va'.» Borbottando, l'uomo si affrettò a lasciare la camera. Paran si girò verso gli altri. «Un mago Seerdomin hai detto. D'accordo, deve essere fermato non appena comincia il divertimento. Cosa avete in mente, signori?» «La mia idea, capitano», sorrise Shank, «è una cosa classica, letale... soprattutto perché tanto inattesa. Ho già completato il rituale e l'ho lasciato pronto da attivare... tutto quello che Ben lo Svelto dovrà fare sarà avvertirmi quando avrà avvistato quel bastardo». «Che sorta di rituale, Shank?» «Del genere ingegnoso, capitano. Bluepearl mi ha prestato l'incantesimo, ma non posso descriverlo, né scriverlo o mostrarvelo. Parole e significati rimangono sospesi nell'aria, penetrano nelle menti sospettose e attivano istinti d'allarme. Non c'è nulla che non si possa bloccare, se si è preavvertiti... le cose funzionano solo quando il bersaglio è ignaro.» Accigliandosi, Paran si girò verso Ben lo Svelto.
Questi scrollò le spalle. «Shank non si offrirebbe per la prima linea se non fosse certo di quello che fa, capitano. Io stanerò il Seerdomin, come mi ha chiesto, e terrò pronte delle magie di riserva, nel caso in cui questa vada storta.» «Spindle si terrà una granata di riserva, signore, con sopra scritto il nome del mago», aggiunse Bluepearl. «Alla lettera», aggiunse Toes, «il che fa la differenza, dato che Spin è un mago». «Davvero? Quanto spesso ha fatto la differenza in passato, Toes?» «Ecco, uh, c'è stata una brutta sequela di circostanze attenuanti...» «Per l'Abisso», sussurrò Paran. «Ben, se non abbattiamo quel mago, ci troveremo a nutrire le radici una goccia per volta.» «Lo sappiamo, capitano, non vi preoccupate, lo schiacceremo prima che agisca.» Paran sospirò. «Toes, trova Picker... voglio che questi archi lunghi vengano distribuiti a tutti coloro che non dispongono di munizioni o incantesimi, con venti frecce a testa, e voglio che abbiano anche delle picche.» «Sì, signore.» Toes si alzò in piedi, sollevò un grosso dito mummificato che aveva al collo, lo baciò e uscì. Bluepearl sputò per terra. «Mi viene la nausea ogni volta che lo fa.» Una campana e mezzo più tardi, Paran era sdraiato accanto a Ben lo Svelto, intento a osservare la pista centrale, dove era visibile il bagliore del sole pomeridiano su elmi e armi. I Pannion non si erano preoccupati di inviare esploratori, né di far precedere la colonna da un'avanguardia, un eccesso di sicurezza che Paran sperava risultasse fatale. Il mago aveva piantato nel terreno davanti a sé una mezza dozzina di bastoncini disposti in una rozza linea, e fra essi aleggiava una fievole magia che lo sguardo del capitano riusciva a registrare solo con la coda dell'occhio. Venti passi più indietro, Shank era rannicchiato sul suo modesto cerchio rituale circondato di ciottoli; sei rametti tagliati dallo stesso ramo usato da Ben lo Svelto erano piantati nel muschio intorno a un otre pieno d'acqua. Gocce di condensa scintillavano sui rametti. Paran sentì Ben sospirare piano, poi il mago si protese e tenne l'indice sospeso sul terzo rametto prima di toccarlo. Shank vide uno dei suoi rametti sussultare. Sogghignando, sussurrò l'ultima parola del suo rituale, liberandone il potere. L'otre avvizzì, improvvi-
samente vuoto. Sulla pista, il mago Seerdomin, il terzo uomo della fila, crollò al suolo con l'acqua che gli schizzava dalla bocca e gli riempiva i polmoni. Con gli occhi chiusi e il volto rigato di sudore, Shank si affrettò ad aggiungere incantesimi di vincolo all'acqua che riempiva i polmoni del Seerdomin, in modo da tenerla dov'era nonostante i suoi sforzi disperati di espellere quel fluido letale. Gridando, i soldati si erano raccolti intorno al mago che si contorceva. Quattro granate atterrarono in mezzo a loro. Seguirono esplosioni multiple, almeno una delle quali attivò la fila di mine sepolte lungo tutta la pista. Esse a loro volta fecero detonare quelle poste alla base degli alberi più vicini, che si abbatterono sui soldati in preda al caos. Il risultato furono fumo, urla di feriti e morenti, figure distese, bloccate sotto tronchi e rami. Paran vide Hedge e altri quattro zappatori, fra cui Spindle, lanciarsi giù per il pendio che fiancheggiava un lato della pista, scagliando munizioni. Gli alberi abbattuti - legno e rami letteralmente fradici di olio per lampade - presero fuoco in una vera e propria conflagrazione quando esplosero i primi proiettili incendiari. In un istante, la pista e tutta la compagnia che si trovava su di essa furono avvolte dalle fiamme. Per l'Abisso, non siamo un gruppo cordiale, vero? In basso, molto indietro rispetto agli ultimi Pannion, Picker e le sue squadre erano uscite allo scoperto, arco in mano, e stavano abbattendo, o almeno così si augurò Paran, i nemici che erano riusciti a evitare l'imboscata e stavano tentando la fuga. Attualmente, tutto ciò che lui poteva sentire erano le urla e il rombo delle fiamme. La penombra della notte imminente era stata messa al bando dalla pista, e Paran poteva sentire il calore dell'incendio arrivargli al volto. Si girò a guardare verso Ben lo Svelto, e scoprì che aveva gli occhi chiusi. Un vago movimento sulla sua spalla catturò l'attenzione del capitano... una minuscola figura di rametti e spago. Paran sbatté le palpebre ed essa scomparve, tanto da indurlo a chiedersi se l'avesse vista davvero... ah, dev'essere uno scherzo dell'immaginazione. Carenza di sonno, l'orrore che è questa danza di luce, i sensi acuiti, quelle dannate urla... Adesso i suoni si stavano spegnendo, e il fuoco stava placando la sua fame, incapace di estendersi alla foresta fradicia di pioggia. Il fumo avviluppava la pista e saliva lungo i tonchi circostanti, corpi anneriti intasava-
no la pista, le piastre di armatura striate e brunite, il cuoio accartocciato, gli stivali che si crepavano con orribili suoni sfrigolanti. Se Hood ha riservato una fossa per i suoi servitori più ignobili, allora essa spetta ai Moranth che hanno inventato queste munizioni, e a noi che le abbiamo usate. Questa non è stata una battaglia, ma una strage. «Capitano!» chiamò Mallet, raggiungendolo. «I Moranth stanno scendendo dal cielo sulle trincee... Dujek è qui, e con lui la prima ondata di rinforzi!» Ben lo Svelto spazzò via con una mano la fila di rametti. «Bene, abbiamo bisogno di loro.» Sì, il Veggente non cederà queste trincee senza combattere. «Grazie, guaritore. Ritorna dal Gran Pugno e avvertilo che lo raggiungerò fra breve.» «Sì, signore.» CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO Alcune maree si muovono invisibili. I sacerdoti e le sacerdotesse dei culti gemelli di Togg e di Fanderay avevano presieduto per lungo tempo a una misera manciata di aderenti nei rispettivi templi, e quei templi erano stati pochi e lontani fra loro. Un'espansione dei culti che si era diffusa in seno agli eserciti Malazan all'inizio del regno di Laseen aveva avuto vita breve ed era parsa arrestarsi e avvizzire di sua iniziativa. Alla luce dei fatti quell'ondata può essere interpretata come marginalmente prematura, in quanto aveva anticipato di appena un decennio il risveglio che avrebbe portato in primo piano quegli antichi culti. La prima evidenza di quel risveglio si verificò ai confini stessi dell'impero [anzi, in effetti al di fuori di esso, tr.] nella recentemente liberata città di Capustan, dove la marea rivelò il suo potere, visibile a tutti... Culti di resurrezione Korum T'bal (tradotto da Illys di Darujhistan) Le due figure mascherate, anziane e avvizzite, avanzarono lentamente verso l'ampio e basso ingresso del tempio di Hood. Coll, che si era trovato
in cortile, impegnato ad accudire i cavalli, si trattenne in silenzio nell'ombra del muro, osservando la figura a lui più vicina, una donna, sollevare il bastone e bussare con decisione. In lontananza i tamburi suonavano ancora, a indicare che la cerimonia d'incoronazione del principe Arard era ancora in corso; dato che la cerimonia era condotta dal Consiglio Mascherato, Coll era adesso quanto mai curioso di vedere chi fossero quei due membri del Consiglio chiaramente impegnati a fare una visita ufficiosa e privata; inoltre, la cosa lo insospettiva, perché aveva supposto che nessuno sapesse che il tempio di Hood era stato rioccupato. Una voce bassa che gli risuonò accanto lo fece sussultare. «Che bene pensate che ne verrà, da questo?» Un altro sacerdote mascherato era in piedi nell'ombra accanto a Coll, stranamente indistinto, incappucciato, le mani guantate ripiegate sul ventre sporgente... anche se il resto del suo corpo appariva magrissimo. «Da dove siete sbucato?» sibilò Coll, il cuore che gli martellava nel petto. «Io? Ero qui prima di voi! Questa è la mia ombra, stolto! Guardate la luce delle torce... dovrebbe inondare il punto in cui ci troviamo. Tutti i nobili di Darujhistan sono stupidi quanto voi?» «D'accordo, sacerdote dell'ombra, stavate spiando... ma che cosa?» domandò Coll, con una smorfia. «Quali segreti di stato avete appreso, guardandomi strigliare questi cavalli?» «Solo che vi odiano, Daru. Si accingono a mordervi ogni volta che girate le spalle, solo che voi sembrate allontanarvi sempre al momento giusto.» «Sì, perché conosco le loro intenzioni, ogni volta.» «È orgoglio quello che sento? Per essere stato più astuto di due cavalli?» «Un altro commento del genere, sacerdote, e ti lancio oltre quel muro.» «Non osereste... Oh, d'accordo, lo fareste. Non vi avvicinate oltre. Sarò cortese, lo prometto.» Entrambi si girarono nel sentire le porte del tempio che si aprivano stridendo. «Ahi!» sussurrò Rath'Tronod'Ombra. «Quello chi è?» «Il mio amico Murillio.» «No, idiota... l'altro!» «Quello con le spade, volete dire? Ah, ecco, lavora per Hood.» «E Rath'Hood ne è al corrente?» «Lo chiedete a me?»
«Ecco, lui è venuto a trovarvi?» «No.» «L'idiota senza cervello!» «È una qualità comune a tutte le vostre conoscenze?» grugnì Coll. «Finora», borbottò Rath'Tronod'Ombra. «Quei due...» disse Coll. «Che genere di maschera indossano, sotto quei cappucci?» «Volete sapere se li riconosco? È ovvio che so chi sono. Il vecchio è Rath'Togg, la donna più anziana è Rath'Fanderay. Nel Consiglio li consideriamo soprammobili; in tutti gli anni che ho trascorso al Thrall, non ricordo di aver mai sentito uno dei due dire una parola. La cosa più buffa è che sono amanti che non si sono mai toccati a vicenda.» «E come funziona, allora?» «Usate l'immaginazione, Daru. Oh, li stanno invitando a entrare! Cosa bolle nel calderone?» «Calderone? Quale calderone?» «Tacete.» «Mi sto divertendo troppo», sorrise Coll. «È tempo di entrare.» «Vengo con voi.» «No, non mi piacciono le spie.» Nel dire quelle parole, Coll centrò con un pugno la mascella del sacerdote, che crollò come un sacco. Lentamente, le ombre si dissolsero, divorate dalla luce delle torce. Massaggiandosi le nocche, Coll si avviò verso il tempio e si richiuse la porta alle spalle. Murillio, il guerriero e gli ospiti non si vedevano da nessuna parte, quindi lui si diresse verso l'ingresso della camera del sepolcro; uno dei battenti era stato lasciato socchiuso e lui lo aprì con una spinta, entrando. Murillio sedeva vicino al punto dove avevano preparato un giaciglio per la Mhybe - la fossa rimaneva vuota, sebbene il guerriero continuasse a ripetere di porre la vecchia dentro di essa - e il servitore di Hood era in piedi di fronte ai due consiglieri mascherati, la fossa in mezzo a loro. Nessuno stava parlando. Coll si avvicinò a Murillio. «Cosa è successo?» sussurrò. «Nulla. Neppure una parola, a meno che stiano parlando con la mente, cosa di cui dubito.» «Quindi... stanno aspettando.» «Così pare. Che l'Abisso ci prenda, sono peggio degli avvoltoi.» Coll osservò l'amico per un lungo momento. «Murillio», disse poi, «sei
consapevole di essere seduto su un angolo dell'altare di Hood?». Il terreno al di là delle mura settentrionali di Coral era un parco alberato, le radure divise da macchie di alberi che non erano stati potati da almeno tre stagioni; la strada commerciale si snodava come un serpente attraverso quel parco e si raddrizzava nel raggiungere un tratto di terreno sgombro largo duecento passi, prima di salire fino a uno stretto ponte di pietra sovrastante il fossato in secca che cingeva le mura. Le porte erano massicce, larghe appena quanto un carro e sormontate da camminamenti, con i battenti rivestiti in bronzo. Il tenente Picker sbatté le palpebre per liberare gli occhi dal sudore. Aveva portato Antsy e la sua squadra il più vicino possibile, e adesso erano appiattiti lungo il limitare di un sentiero di taglialegna invaso dalla vegetazione che correva a una trentina di passi dalla base del pendio orientale della montagna. Le alte mura di Coral erano sulla destra, a sudest, il terreno sgombro di fronte e il parco sulla sinistra. File compatte di Bekliti Pannion si erano riunite fuori dalle mura, schierate verso la montagna, e le trincee ora erano occupate da Dujek e dai suoi seimila uomini. «Là, quelli che stanno uscendo dalle porte», grugnì Antsy. «C'è uno stendardo di qualche tipo, e quei cavalieri... sono troppo impettiti...» «Un Eptarca e i suoi ufficiali», convenne Picker. «Allora, Antsy, il tuo conto corrisponde al mio?» «Venticinque o trentamila», borbottò il sergente, tormentandosi i baffi. «Ma noi abbiamo la posizione più vantaggiosa.» «Già, solo che quelle trincee e gallerie non sono state costruite per essere difese... erano nascondigli. Ci sono troppe linee diritte, nessun vicolo cieco e ci sono troppi dannati alberi.» «Gli zappatori stanno...» «Non hanno il tempo!» «Così pare», ammise Picker. «Dimmi, però, vedi qualcuno di quei condor levarsi in volo per partecipare all'attacco?» «No, ma non significa...» «Ciò che significa, sergente, è che il Veggente li sta tenendo di riserva. Sa che non siamo la principale forza d'attacco. Abbiamo sventato la sua imboscata e distrutto una compagnia, e senza dubbio questo lo ha irritato abbastanza da fargli mandare fuori un terzo del suo esercito, e magari un quadro di maghi a protezione dell'Eptarca. Se scopriranno di aver stuzzicato un orso nella sua tana, dubito che ci incalzeranno...»
«A meno che il Veggente non decida che uccidere seimila uomini dell'Armata vale un terzo delle sue truppe, Picker. Se fossi al suo posto...» «Sì, anch'io», convenne il tenente, con una smorfia. Ci annienterei, ci schiaccerei prima dell'arrivo degli altri. «Tuttavia, non credo che il Veggente sia tanto acuto... dopo tutto, cosa sa dei Malazan? Storie remote di guerre nel lontano nord... un'invasione che si è arenata. Non può sapere di cosa siamo capaci.» «Picker, ti stai arrampicando sugli specchi. Il Veggente sa che in qualche modo ci siamo impadroniti delle sue trincee, sa che siamo passati sotto il naso di quei condor senza solleticare un solo becco e che abbiamo disintegrato un'intera compagnia usando munizioni Moranth. Sa che siamo seduti qui a guardarlo radunare le truppe e che non stiamo scappando, che non abbiamo rinforzi... non ancora... e che forse, solo forse, abbiamo agito con troppo anticipo.» Picker non replicò. Le legioni Pannion avevano assunto la formazione e gli ufficiali stavano andando a prendere posizione a capo di ciascuna. I tamburi rullarono, le picche si levarono verso il cielo. Poi, davanti a ciascuna legione schierata, entrò in azione la magia. «Oh... dov'è Blend?» «Sono qui.» «Torna di corsa da Dujek.» «Sì, tenente. Il ballo è cominciato.» Accovacciato sul terrapieno principale sovrastante il pendio, Ben lo Svelto si raddrizzò lentamente. «Spindle, Bluepearl, Toes, Shank, con me.» I quattro maghi si affrettarono a raggiungerlo, parlando tutti insieme concitatamente. «Una dozzina di maghi! Attingono dallo stesso canale! Ed è pulito e pericoloso! Stanno tessendo, Ben! Lavorano insie...» «Silenzio, tutti quanti!» «Moriremo tutti!» «Toes, dannazione, taci!» Ben fissò i quattro con occhi roventi finché non si furono quietati, esaminò per un momento le loro espressioni cupe e infine sorrise. «Ci sono dodici di quei bastardi, giusto? E chi c'è qui davanti a voi? Ben lo Svelto, giusto? Ben Adaephon Delat. Ora, se qualcuno di voi se l'è già fatta addosso si vada a cambiare e poi raggiunga la compagnia a cui è assegnato: dovrete neutralizzare qualsiasi cosa riesca a superare me, in qualsiasi modo
possibile.» Sollevando lo sguardo, vide arrivare Dujek, Paran e Blend, Quest'ultima piuttosto affannata e sgomenta. «Benissimo, potete andare». I maghi si allontanarono in tutta fretta. Dujek era in armatura completa, cosa che Ben non gli aveva più visto fare da anni. «Ben», esordì Paran, «Blend ci ha portato alcune brutte...». «Lo so, capitano. Ho diviso i Maghi del Quadro in modo che non si venga eliminati tutti insieme. Attirerò la loro attenzione su di me, qui...» «Un momento», ringhiò Dujek. «Questo Quadro non è un vero Quadro, e la cosa peggiore è che lo sanno anche loro. In secondo luogo, tu non sei un mago combattente. Se dovessimo perderti subito...» «Gran Pugno, sono tutto quello che avete», ribatté il mago, scrollando le spalle. «Li terrò impegnati per un po'.» «Incaricherò gli Arsori di Ponti di proteggerti», intervenne Paran. «Ci siamo riforniti di munizioni...» «Sta esagerando», precisò Dujek. «Mezza cassa, e per lo più roba da usare a distanza ravvicinata. Se il nemico dovesse arrivare abbastanza vicino da costringervi a usarla, lo sarà anche abbastanza perché una freccia vi possa raggiungere. Mago, tutto questo non mi piace, non mi piace affatto.» «Non posso dire che piaccia neppure a me», replicò Ben lo Svelto. Gli pareva quasi di sentir stridere i denti di Dujek. «Capitano?» grugnì questi. «Sì, signore?» «Le mine sono piazzate? Possiamo far franare il fianco di questa dannata collina?» «Hedge dice di aver predisposto tutto, Gran Pugno. Possiamo seppellire ogni galleria e appiattire tutte le trincee.» «Quindi potremmo semplicemente ritirarci e lasciare che i Pannion riconquistino... una fumante devastazione.» «Potremmo farlo, signore.» «Il che vorrebbe dire che avremmo attraversato mezzo continente solo per ritirarci prima ancora dello scontro iniziale.» «Una ritirata temporanea, signore», sottolineò Paran. «Oppure possiamo impartire loro una lezione - magari eliminare diecimila Bekliti, una decina di maghi e un Eptarca - al possibile prezzo della perdita di questo esercito, incluso il qui presente Ben lo Svelto. Signori, vi pare che il gioco valga la candela?» «Spetta a voi deciderlo...» cominciò Paran.
«No, capitano, non questa volta», lo interruppe però Dujek. Ben lo Svelto incontrò il suo sguardo. Ho fatto una promessa a Burn. Il capitano e io abbiamo... dei progetti. Per mantenere fede a tutto questo, dovrei ora risponderti di no, e potremmo far saltare le trincee e battercela. D'altro canto, sono un soldato, un Arsore di Ponti, e la brutale verità è che, sul piano tattico, il gioco vale abbondantemente la candela. Lo facciamo per Whiskeyjack, per l'assedio che verrà, per salvare delle vite. Guardando in direzione di Paran, lesse nei suoi occhi la stessa consapevolezza, poi tornò a fissare Dujek. «È uno scambio equo, Gran Pugno», disse. «D'accordo, diamoci da fare», replicò Dujek, abbassando la visiera dell'elmo. Ben lo Svelto osservò i due ufficiali che si allontanavano, poi sospirò. «Cosa vuoi, Blend?» «Signore?» «Non usare quell'atteggiamento con me, donna. Hai intenzione di raggiungere la tua squadra oppure vuoi vedere da vicino la mia fine imminente?» «Pensavo che potrei... uh... ecco, darti una mano.» Ben si girò a guardarla, socchiudendo gli occhi. «Come?» «Ecco...» Blend esibì una piccola pietra che portava al collo. «Qualche anno fa, mi sono procurata questo amuleto.» «E cosa dovrebbe fare, Blend», chiese il mago, inarcando le sopracciglia. «Ecco... rende più difficile focalizzarsi su di me... e pare funzionare molto bene.» «Come ne sei entrata in possesso?» «L'ho avuto da un vecchio mercante del deserto, a Pan'potsun.» «Tienilo tu, ragazza», sorrise Ben lo Svelto. «Ma...» «Se non lo portassi indosso, non saresti più Blend, giusto?» «Suppongo di no. Solo...» «Torna alla tua squadra, e riferisci a Picker di tenere i suoi ragazzi e ragazze compatti e fuori dalla mischia; dovrete rimanere sul fianco più lontano e sorvegliare la città. Se i condor dovessero farsi vedere all'improvviso, torna da me più in fretta che puoi.» «Sì, signore.» «Allora va'.»
La donna si affrettò ad allontanarsi. Che io sia dannato. Quella ragazza ha comprato una pietra senza valore da un truffatore Gral e di colpo è diventata invisibile. Ha un talento grezzo ma puro, e non ne è consapevole. Nascosti fra fronde e cespugli, Picker e la sua squadra avevano una chiara visuale delle legioni Pannion, le cui prime file stavano raggiungendo la base della rampa priva di alberi che portava alle trincee. Una magia grigia intesseva un complesso reticolato davanti ai Bekliti e avviluppava i comandanti Seerdomin che stavano ora avanzando a piedi alla testa delle rispettive compagnie, risalendo il pendio con aria inesorabile. Su un costone posto molto in alto rispetto ai Pannion, Ben lo Svelto guardava in basso, solo ed esposto... o almeno così aveva riferito Blend, dato che gli alberi sulla sinistra bloccavano la visuale al tenente. È un suicidio. Sapeva che il mago era in gamba, ma lo era soprattutto perché si teneva al coperto e agiva alle spalle degli avversari, nell'ombra, invisibile. Lui non era Tattersail, Hairlock o Calot, pur conoscendolo da anni, non gli aveva mai visto aprire un canale per scatenare la magia, e sospettava che una cosa del genere, oltre a non essere nel suo stile, non rientrasse nelle sue capacità. Hai sguainato l'arma sbagliata per questa battaglia, Gran Pugno... In mezzo al primo quadrato Pannion ci fu un movimento improvviso accompagnato da urla. Picker sgranò gli occhi nel vedere che erano apparsi dei demoni, non uno solo ma sei... no sette, anzi otto... enormi creature torreggianti e bestiali che stavano facendo a pezzi i soldati ammassati fra spruzzi di sangue e arti che volavano. I maghi Seerdomin si girarono verso la minaccia. «Dannazione», sussurrò Blend, accanto a Picker. «Ci sono cascati.» Picker le lanciò un'occhiataccia. «Di cosa stai parlando?» «Quelle sono illusioni, tenente. Non lo vedi anche tu?» «No.» «È per via dell'incertezza... non sanno cos'hanno di fronte. Ben lo Svelto sta sfruttando le loro paure.» «Blend! Aspetta! Nel nome di Hood, come fai tu a saperlo?» «Non ne ho idea, ma lo so.» I Seerdomin scatenarono onde di magia grigia che s'infransero sopra le legioni, proiettando filamenti striscianti in direzione degli otto demoni. «Quell'attacco dovrà abbatterli», osservò Blend. «Se Ben ne ignorasse gli
effetti, i Pannion s'insospettirebbero... vediamo come... oh!» Saettando come un ammasso di vipere infuriate, i filamenti di magia avvilupparono i demoni ruggenti, che in preda alle convulsioni dell'agonia divennero ancor più frenetici, uccidendo e mutilando altri soldati su tutti i lati, prima di morire, uno dopo l'altro. La formazione della prima legione era distrutta, ovunque c'erano cadaveri a brandelli, la marcia verso l'alto si era arrestata e ripristinare l'ordine avrebbe richiesto un certo tempo. «Stupefacente cosa può succedere quando si crede a qualcosa», commentò Blend, dopo un po'. Picker scosse il capo. «Se i maghi possono fare una cosa del genere, perché non abbiamo illusionisti in ogni dannata squadra?» «Tenente, la cosa ha funzionato solo in virtù della sua rarità. Inoltre, ci vuole una notevole abilità per riuscire a simulare la presenza anche di un solo demone... come abbia fatto Ben a esibirne otto...» I maghi Seerdomin passarono al contrattacco, e una crepitante ondata di potere vorticante risalì il pendio, divorando il terreno e facendo esplodere i tronchi d'albero. «Si sta dirigendo verso di lui!» sibilò Blend, serrando una mano intorno alla spalla di Picker. «Ow! Lasciami!» Una devastante detonazione scosse il terreno e l'aria. «Per gli dei! Lo hanno ucciso! Disintegrato! Annientato! Beru ci protegga tutti!» Picker fissò la donna gemente che aveva accanto, poi si costrinse a riportare lo sguardo su quanto stava accadendo sulla rampa. Dalle file dei Pannion era sbucato un altro mago Seerdomin, in sella a un enorme destriero baio; la magia danzava sulla sua armatura, un pallido bagliore ammiccava sulla doppia lama dell'ascia che stringeva nella destra. «Oh», sussurrò Blend. «Che illusione nitida!» Il Seerdomin andò a raggiungere gli altri maghi. Quando essi si volsero, l'ascia volò dalla mano del cavaliere, lasciando una scia scintillante come ghiaccio e cambiando forma, annerendo e contorcendosi nello sviluppare artigli e arti neri come la notte. Investita dallo spettro, la vittima urlò, mentre la magia di morte attraversava la sua rete protettiva di magia caotica come una lancia che trapassasse un'armatura, affondandogli nel petto. Lo spettro riapparve mentre il Seerdomin si accasciava, scaturendogli
dalla testa coperta dall'elmo con un'esplosione di ferro, osso, sangue e materia cerebrale, l'anima del Seerdomin - una cosa che divampava, irradiando terrore - stretta fra i neri artigli. Zigzagando, l'apparizione volò con la sua preda verso la foresta, scomparendo nell'ombra. Una volta scagliata la sua arma mostruosa, il cavaliere aveva piantato gli sproni nei fianchi del suo cavallo, e la bestia enorme si era girata per abbattere gli zoccoli su un altro Seerdomin in una serie di colpi che ben presto lanciarono in aria zolle di terra intrise di sangue. Un'ondata di magia rotolò verso il cavaliere, ma questi spinse avanti il cavallo e svanì con esso in una lacerazione irregolare apparsa nell'aria davanti a entrambi. L'apertura si richiuse un istante prima dell'arrivo della magia caotica, che vorticò su se stessa ed esplose, scavando un cratere nel fianco della collina. Antsy assestò una pacca sulla spalla di Picker. «Guarda! Laggiù! Le legioni più indietro!» Picker si girò in tempo per vedere i soldati infrangere la formazione e sparpagliarsi in modo da scomparire sui pendii boscosi, ai due lati della rampa. «Dannazione, qualcuno si è fatto furbo!» «Non solo... in questo modo finiranno per trovare anche noi!» Paran vide Ben lo Svelto riapparire sul costone, uscendo dal canale con passo incespicante, il fumo che saliva dal cuoio strinato dell'armatura. Pochi momenti prima, Paran aveva creduto che il mago fosse stato annientato, quando l'ondata crepitante di magia del caos si era abbattuta sul terrapieno che Ben aveva scelto come sua posizione; lingue di fiamma grigia ardevano ancora nel terriccio sconvolto, intorno a lui. «Capitano!» Girandosi, Paran vide un soldato di marina che risaliva il pendio della trincea, diretto verso di lui. «Signore, abbiamo avuto notizia che le legioni stanno avanzando fra gli alberi!» «Il Gran Pugno lo sa?» «Sì, signore! Vi sta inviando un'altra compagnia per tenere questa linea.» «Benissimo, soldato. Torna da lui e chiedigli di far passare parola fra le truppe. Ho una squadra, laggiù da qualche parte... i miei uomini arriveranno davanti al nemico, probabilmente di corsa.» «Sì, signore.»
Paran osservò il soldato allontanarsi, poi esaminò le sue truppe attestate nelle trincee. Esse erano difficili da scorgere per via delle ombre che si muovevano sulle loro posizioni, riempiendo le trincee e i camminamenti che le collegavano. Il capitano infine tornò a girarsi verso Ben lo Svelto, ora accoccolato a terra e quasi invisibile nell'ombra. Il terreno sottostante il terrapieno si stava contorcendo, rocce e massi affioravano attraverso il fango, stridendo gli uni contro gli altri, l'acqua sulla loro superficie sfrigolava e diventava vapore, che avvolgeva la crescente massa di pietre. Due canali aperti... no, devono essere tre... quei massi sono incandescenti. Le ombre scivolarono lungo il costone, fluirono intorno e sotto i massi ammucchiati. Sta costruendo un ghiaione... uno che il nemico non potrà notare finché non sarà troppo tardi. Adesso era visibile del movimento fra gli alberi, file irregolari di Pannion che salivano verso di loro. Niente muri di scudi, niente testuggini; le perdite fra i Bekliti, quando avessero scelto di attaccare, sarebbero state spaventose. Dannazione, dove sono Picker e la sua squadra? Sulla rampa, la prima legione aveva riassunto la formazione e stava marciando di nuovo verso l'alto, cocciutamente, preceduta da tre maghi Seerdomin; reti di magia intessevano intorno a loro un mantello protettivo. In rapida successione, tre ondate di magia risalirono ruggendo la rampa. La prima salì verso Ben lo Svelto, accumulando potere nell'avvicinarsi, mentre le altre due puntarono dritte verso la trincea principale, davanti alla quale era fermo il capitano Paran. Questi si girò di scatto. «Tutti a terra!» tuonò, poi si appiattì al suolo, pur sapendo che era inutile. Né l'avvertimento né l'appiattirsi avrebbero fatto qualche differenza; spostandosi strisciando sul terriccio fradicio, riuscì a guardare in direzione dell'onda in avvicinamento. Ormai la prima, diretta contro Ben, avrebbe dovuto colpire, ma non si sentivano suoni, nessuna esplosione... tranne quelle che echeggiavano in fondo al pendio, scuotendo il terreno e vibrando fra gli alberi, miste a urla lontane. Paran non riuscì a distogliere però lo sguardo dalla magia che gli veniva incontro. Appena pochi istanti prima che essa arrivasse fino a lui e ai suoi soldati,
sul suo percorso ci fu un divampare di oscurità, una lacerazione nell'aria stessa che abbracciava l'intera ampiezza della rampa. La magia precipitò nel canale con un sibilo, e un'altra detonazione echeggiò molto più in basso, fra le legioni ammassate. La seconda ondata fece la fine della prima e di lì a poco, con l'echeggiare di una terza esplosione, il canale si assottigliò fino a svanire. Incredulo, Paran si contorse ulteriormente per poter vedere Ben lo Svelto. Il mago aveva eretto davanti a sé un muro di pietre sussultanti che ora stava cominciando a muoversi fra le ombre, inclinandosi, spostandosi, spingendo il terriccio dinanzi a sé. D'un tratto, le ombre si lanciarono giù per il pendio e fra gli alberi, in un'onda sopraffacente che confondeva lo sguardo, poi i massi le seguirono in una valanga tonante che trascinò con sé gli alberi, nel riversarsi come un liquido verso le file irregolari di soldati che risalivano il pendio. Se pure videro cosa li colpì, essi non ebbero neppure il tempo di gridare. La frana continuò la sua marcia, seppellendo ogni traccia dei Betakliti presenti su quel fianco, fino a dare a Paran l'impressione che l'intero fianco collinare si stesse muovendo, con centinaia di alberi che sferzavano l'aria nel crollare al suolo. Le esplosioni di alcune granate sul fianco opposto attirarono l'attenzione di Paran. Da quella parte, i Bekliti avevano raggiunto il terrapieno della trincea. Sulla scia della letale pioggia di granate, le picche si levarono oltre il bordo della trincea e i Malazan si riversarono all'esterno, formando una linea irta di punte sul terrapieno; fra essi c'erano anche soldati di marina in armatura pesante muniti di balestre d'assalto. I Bekliti cercarono di avanzare e morirono a decine. Poi la magia investì la linea Malazan quasi a bruciapelo; ovunque corpi esplosero all'interno del fuoco grigio. Quando i vapori magici si dissolsero, Paran vide sul terrapieno soltanto cadaveri mutilati. I Bekliti sciamarono verso l'alto, mentre nel cielo un condor riprendeva faticosamente quota lasciando una scia di fiamme grigie. Uno stormo di trenta Moranth Neri saettò a inseguirlo, e una ventina di essi scagliarono contro il volatile le loro quadrelle. Lampi grigi scaturirono dal condor, incenerendo i proiettili, poi un'onda ribollente ricoprì il cielo e calò sui Moranth Neri. Armature e carne esplosero. Incespicando, Ben lo Svelto si portò al fianco di Paran, spostando frene-
ticamente la fanghiglia davanti al capitano fino a creare un pezzetto di terra nuda. «Cosa stai...» «Disegnate quel dannato uccello, capitano! Con il dito... disegnate una carta!» «Ma non so...» «Disegnatela!» Paran strisciò il dito guantato sulla terra umida, cominciando con un contorno rettangolare. Con mano tremante, cercò quindi di tracciare le linee fondamentali della sagoma del condor. «Questa è follia - non funzionerà - per gli dei, non so neppure disegnare!» «Avete finito? È questo?» «Nel nome di Hood, cosa ti aspettavi?» «Ottimo!» scattò il mago, e calò il pugno sull'immagine. In alto, il condor demoniaco aveva iniziato un'altra picchiata, ma di colpo agitò selvaggiamente le ali, come se sotto di esse non ci fosse più aria, e precipitò. Ben balzò in piedi, trascinando con sé Paran. «Andiamo! Estraete la vostra dannata spada, capitano!» E iniziarono a correre lungo il terrapieno, diretti verso il punto in cui il condor era atterrato, appena oltre la trincea devastata. Pochi momenti più tardi si trovarono a correre in mezzo a frammenti fumanti di armatura e a carne che bruciava... tutto ciò che rimaneva della compagnia di Malazan. Intanto, la prima ondata di Bekliti era arrivata alla seconda trincea e aveva impegnato un feroce combattimento con la fanteria pesante di Dujek; sulla destra di Paran e del mago, verso valle, la seconda ondata era a meno di trenta passi di distanza. «Un altro Seerdomin!» stridette Ben lo Svelto, trascinando Paran al suolo. La magia si levò dal secondo gruppo di Bekliti, puntando dritta verso di loro. Ben lo Svelto si contorse su un fianco, imprecando. «Tenete duro, capitano!» Un canale si aprì intorno a loro e di colpo si trovarono sott'acqua, con l'armatura che li trascinava a fondo. Una luce grigia saettò, violenta e selvaggia, appena sopra di loro, una rumorosa detonazione che scendeva visibilmente verso di loro. L'acqua esplose da tutte le parti, dure radici percossero le costole di Paran, che artigliò il fango tossendo e annaspando. Una mano lo afferrò per una cinghia dell'armatura e cominciò a trasci-
narlo sul suolo fradicio della foresta. «Dov'è la vostra spada, dannazione?» Paran riuscì a ripiegare le gambe sotto il corpo e a issarsi in piedi. «La spada? Razza di bastardo! Stavo annegando!» «Dannazione!» imprecò il mago. «Farete meglio a sperare che quell'uccello sia ancora stordito.» Un'occhiata irosa rivelò a Paran le miserevoli condizioni del mago... il sangue gli usciva dalle orecchie, dal naso e dalla bocca, e l'armatura di cuoio si era spaccata lungo tutte le cuciture. Abbassando lo sguardo, Paran constatò che la sua armatura era in uno stato simile, e quando si passò la mano sulla bocca la ritrasse rossa di sangue. «Ho ancora la daga.» «Estraetela, credo che siamo vicini.» Più avanti, sotto gli alberi, il terreno era ingombro di rami infranti, e da esso salivano volute di fumo. Poi Paran lo vide... e la stretta di ammonimento di Ben sul suo braccio indicò che anche lui aveva individuato la massa nera che si muoveva nell'ombra, da un lato. Il chiarore di un collo grigio, il baluginare di un becco ricurvo. Filamenti di magia che crescevano di potenza. Senza più esitare, Paran spiccò la corsa oltrepassando il mago, il coltello fuori dal fodero. La creatura era enorme, grossa quanto una femmina di bhederin, il collo che si protendeva come un serpente dalle spalle curve; la testa nera e viscida si girò a fissarlo con occhi da incubo. Da dietro, qualcosa saettò oltre Paran... uno spettro, gli artigli protesi verso il condor. Esso si ritrasse sibilando, poi protese la testa di scatto con un divampare di magia, e lo spettro svanì. Paran deviò per evitare la testa del volatile e gli conficcò la daga in profondità nel dorso, imprecando nel sentire una costola deviarne la traiettoria. Uno stridio acuto, un nero saettare di movimento, e Paran si trovò avviluppato da nere penne oleose e soffocanti. Il becco ricurvo colpì, causandogli un dolore lancinante alla tempia e scendendo verso l'orecchio; lui sentì un macabro suono secco, poi il sangue che gli zampillava caldo sul collo. La consapevolezza si frammentò in un'esplosione di furia bestiale che divampò dentro di lui.
In ginocchio a poca distanza, troppo devastato per poter fare altro che guardare, Ben lo Svelto fissò incredulo le due figure in lotta. Adesso Paran era quasi invisibile all'interno di un Segugio fatto d'ombre intrecciate. Non è un Soletaken, non sta mutando. Quelle sono due creature, uomo e bestia, unite... in qualche modo. E il potere dietro a questo... è l'Ombra. Kurald Emurlahn. Le fauci massicce del Segugio e i canini lunghi un dito affondarono nel condor, scavando un solco lungo le sue spalle e verso il collo. A sua volta, il demone attaccò più volte la bestia, i cui fianchi lacerati presero a versare sangue fin troppo reale. Il terreno tremava sotto i due contendenti. Un'ala saettò in fuori, colpendo un albero con uno schiocco di legno e ossa che si spezzavano, e il condor stridette. La base spezzata del tronco, alta fino al ginocchio, sobbalzò verso l'alto e poi tornò giù, bloccando sotto il suo peso l'ala che si dibatteva e schiacciandola completamente nel rovesciarsi di lato, lontano dai due avversari, schiantandosi con una tempesta di rami e di corteccia. Le fauci del Segugio si chiusero sul collo del condor con uno schiantarsi di vertebre, e la testa della creatura si rovesciò all'indietro sul suolo sconvolto. Le ombre che formavano il trionfante Segugio tremolarono, poi la bestia svanì, e Paran rotolò lontano dal cadavere dell'uccello. Ben lo Svelto riusciva a stento a riconoscerlo sotto la carne lacerata e il sangue, e sgranò gli occhi nel vedere quella macabra figura issarsi lentamente in piedi. La pelle della tempia destra pendeva in avanti, lontano dall'osso, e su quel lato della testa mancava mezzo orecchio, tranciato in una sanguinante linea ricurva. «Cosa è successo?» chiese Paran, incontrando lo sguardo del mago. «Venite con me, capitano», rispose Ben, alzandosi in piedi. «Useremo un canale per raggiungere un guaritore.» «Un guaritore?» ripeté Paran. «Perché?» Guardandolo negli occhi, Ben non vi scorse traccia di consapevolezza. «Va tutto bene», disse, prendendolo per un braccio. «Ora andiamo...» Picker si fece largo fra i rami fino ad arrivare in vista del sottostante suolo della foresta. In giro non c'era nessuno, tracce fangose erano tutto ciò che rimaneva dei Bekliti che erano passati sotto di loro mezza campana prima; poteva ancora sentirli combattere più in su, lungo le trincee e forse oltre.
Le esplosioni di magia che avevano investito le legioni alla base della rampa non si erano ripetute... il che era causa di preoccupazione. La valanga li aveva spaventati maggiormente, ma il suo percorso li aveva mancati di oltre cento passi. Come se Ben lo Svelto avesse saputo in qualche modo che eravamo qui. Ancor più incredibile è che quel dannato mago sia anche riuscito a controllare la discesa di un terzo di pendio montano. Forse potrei crederci, se una decina di Grandi Maghi fossero sopraggiunti a dargli una mano. O un dio... Con quel raggelante pensiero, cominciò a scendere lungo il tronco. Prima c'erano stati dei condor nel cielo, e almeno uno di essi aveva attaccato le difese Malazan, ma per poco. Picker non aveva idea di dove fosse finito. Non è qui, grazie a Hood... Con un salto superò l'ultimo tratto di discesa, atterrando con un tintinnare di armatura. «Una manovra davvero furtiva.» Picker si girò di scatto. «Dannazione a te, Blend...» «Ssh... uh, signore.» «Sai dove sono gli altri?» «Più o meno. Vuoi che li raduni?» «Sarebbe utile.» «E dopo?» Che io sia dannata se lo so, donna. «Va' a cercarli, Blend.» «Sì, signore.» Paran fu destato da un fetore di vomito, e dal sapore che aveva in bocca si rese conto che era il suo. Gemendo, rotolò su un fianco. Era buio, voci soffocate conversavano poco lontano. Percepiva, pur non riuscendo a vedere bene, che altri erano distesi nella trincea in cui si era ritrovato. Altri... feriti... Si avvicinò qualcuno, una forma grossa e massiccia. Paran si portò una mano alla tempia, sussultando nell'incontrare strisce di budello annodate. Con esitazione, seguì i contorni della ferita fino a una massa di bende umide che gli copriva l'orecchio. «Capitano?» «Sei tu, Mallet?»
«Sì, signore. Siamo appena tornati.» «Picker?» «La squadra è ancora viva, signore. Abbiamo avuto un paio di scaramucce nel tornare su, ma nulla che ci abbia rallentati molto.» «Perché è così buio?» «Niente torce o lanterne, signore, ordine di Dujek... ci stiamo radunando.» Radunando. No, lo chiederò più tardi. «Ben lo Svelto è ancora vivo? L'ultima cosa che ricordo è che ci stavamo avvicinando a un condor stordito...» «Sì, anche se da quanto ho sentito siete stato voi a spennare il pollo, capitano. Lui vi ha riportato qui e un paio di chirurghi vi hanno rimesso insieme... più o meno. Vi farà piacere che sono per lo più ferite superficiali... e io sono qui per rendere di nuovo avvenente la vostra faccia.» Paran si sollevò lentamente a sedere. «Qui intorno c'è una quantità di soldati che hanno bisogno più di me del tuo tocco risanante, Mallet.» «È vero, signore, ma Dujek ha detto...» «Porterò le mie cicatrici, guaritore. Vedi cosa puoi fare per questi feriti. Ora dimmi, dove posso trovare il Gran Pugno e Ben lo Svelto?» «Al quartier generale, capitano, quella grande camera...» «La conosco.» Paran si alzò e aspettò un momento perché gli passassero le vertigini. «Ora, una domanda più importante... dove sono?» «Trincea principale, signore. Andate a sinistra e poi dritto.» «Grazie.» Il capitano si avviò lentamente fra le file di soldati di marina feriti, constatando che il combattimento aveva avuto un esito pesante, ma meno di quanto ci si poteva aspettare. Le guardie del corpo Untan di Dujek controllavano l'ingresso del tunnel, e a giudicare dal loro equipaggiamento, non avevano ancora combattuto; il loro ufficiale segnalò in silenzio a Paran che poteva passare. Trenta passi più oltre, il capitano raggiunse la camera. Il Gran Pugno Dujek, Ben lo Svelto e il tenente Picker erano seduti al tavolo delle mappe, sopra il quale una lanterna era appesa alle travi del soffitto; tutti e tre si girarono al suo ingresso. «Mallet non vi ha trovato?» chiese Dujek, accigliandosi. «Sì, Gran Pugno. Sto bene.» «Rimarrete pieno di cicatrici, ragazzo.» Paran scrollò le spalle. «Allora, cosa è successo? I Bekliti non amano
combattere di notte?» «Si sono ritirati», replicò Dujek. «E, prima che me lo chiediate... no, non è stato perché li abbiamo respinti troppo duramente. Avrebbero potuto insistere nell'attacco, e se lo avessero fatto adesso saremmo in ritirata fra i boschi ad andatura forzata... i pochi di noi ancora in grado di respirare, naturalmente. Parimenti, solo uno di quei condor ci ha attaccati. Siamo qui seduti, capitano, a cercare di capire come mai ce la siamo cavata così a buon mercato.» «Avete trovato qualche possibile risposta, signore?» «Solo una. Pensiamo che Whiskeyjack e Brood siano in rapido avvicinamento, e che il Veggente non voglia avere le sue forze impegnate con noi quando arriveranno. Inoltre, non vuole rischiare altri di quei suoi dannati condor.» «Uno è stato più che sufficiente», borbottò Ben lo Svelto. Il mago era tanto sfinito da apparire invecchiato e quasi curvo, mentre se ne stava appoggiato al tavolo con entrambe le braccia, gli occhi arrossati fissi sul legno sfregiato della sua superficie. Turbato da quella vista, Paran distolse lo sguardo, riportandolo sul Gran Pugno. «Mallet ha detto che era in corso un'adunata, signore. Dal momento che il tenente Picker è qui, suppongo che abbiate in mente qualcosa per gli Arsori di Ponti.» «Infatti. Stavamo aspettando soltanto voi, capitano.» Paran annuì in silenzio. «Queste trincee non sono difendibili», ringhiò Dujek. «Quassù siamo troppo esposti. Altri due o tre di quei condor ci stermineranno... noi e i Moranth Neri. Inoltre, non intendo rischiare di mandare altri messaggeri Moranth a Whiskeyjack; i condor hanno abbattuto gli ultimi prima che si fossero allontanati di un decimo di lega dalla montagna, e poiché Ben lo Svelto non è in condizione di contattare Whiskeyjack con la magia, non aspetteremo oltre.» Stiamo per entrare in Coral, dal cielo notturno, dritti in quelle dannate strade. «Ho capito, Gran Pugno. Gli Arsori di Ponti entreranno per primi, signore?» «I primi a entrare...» annuì Dujek. E gli ultimi a uscire. «Punterete dritti verso la fortezza e aprirete un buco nel suo muro di cinta. I Moranth Neri vi porteranno il più vicino possibile all'obiettivo.» «Signore», obiettò Paran, «se Brood e Whiskeyjack non sono vicini
quanto pensate...». Dujek scrollò le spalle. «Come ho detto prima, capitano, questo non è posto dove aspettare di scoprirlo. Entreremo in città: la mia prima ondata vi seguirà a un intervallo di mezza campana.» Potremmo finire in un nido di vipere... «Allora sarà meglio che il tenente e io facciamo preparare le squadre.» «Sì. Prenderete con voi Ben lo Svelto; i maghi del suo quadro sono tornati alle rispettive squadre. Hedge e gli altri zappatori hanno a disposizione, fra tutti, sei mine, dieci proiettili detonanti e venti granate; aprirete una breccia nel muro, poi vi ritirerete verso di noi. Non andate a caccia del Veggente da soli. Avete capito?» «Ho capito, Gran Pugno.» «D'accordo. Muovetevi, voi tre.» L'alba distava ancora un paio di campane, veli di nebbia grigia ammantavano i parchi a nord di Coral, protendendo i loro filamenti nella pianura al di là di essi. Korlat raggiunse Whiskeyjack, che si era fermato sotto la cresta rivestita di alberi che contrassegnava l'inizio dell'area tenuta a parco, e arrestò il cavallo accanto al suo. «Che cosa ha detto?» domandò il Malazan. «È tutto piuttosto strano, Whiskeyjack. Si è scusato formalmente per proprio conto e da parte di Brood. Ci offre umilmente la sua spada e il suo talento tattico, come lo ha definito. Ammetto che mi ha lasciata a disagio.» Whiskeyjack scrollò le spalle. «Sono pronto ad accogliere qualsiasi consiglio Kallor sia in grado di fornire.» L'incredulità di Korlat per quelle parole non gli sfuggì, ma scelse d'ignorarla, e dopo un momento aggiunse: «Seguimi». E avviò il cavallo lungo l'ampia strada commerciale che si snodava fra boschetti e radure in leggero rilievo. I loro cavalli incespicarono spesso, a testa bassa per la stanchezza, nel trottare al buio. Di lì a poco si avvicinarono a un'altra altura, questa priva di alberi, oltre la quale videro apparire gradualmente la città di Coral, i suoi diversi livelli rivelati dal cupo riflesso delle torce accese nelle strade; la massa scura della fortezza era una presenza indistinta che si scorgeva sopra l'ultimo livello visibile. Sul costone, i due si arrestarono, e Korlat esaminò il terreno che avevano davanti. Lo spazio esposto antistante le mura cittadine era largo un sesto di
lega, un solo ponte di pietra sovrastava il fossato che cingeva l'abitato; a mezza lega verso ovest incombeva una montagna coperta di foreste, e il suo fianco rivolto verso di loro era avvolto di nebbia, o di fumo. «Sì», annuì Whiskeyjack, seguendo la direzione del suo sguardo, «è da lì che sono giunte le scariche di magia, ed è dove io avrei posizionato un esercito con cui infrangere l'assedio, se fossi stato al posto del Veggente». «E Dujek ha mandato all'aria i suoi piani.» «Sospetto che sia là, probabilmente costretto a ripiegare, o circondato; la magia che abbiamo visto illuminare il cielo era prevalentemente Pannion. Ben lo Svelto deve essere stato sopraffatto. Ritengo che Dujek sia stato sconfitto, Korlat. Dobbiamo attirare l'attenzione del Veggente lontano da quella montagna, per dare al Gran Pugno il tempo di riordinare le truppe.» Lei lo guardò in silenzio per un momento. «I tuoi soldati non si reggono più in piedi, Whiskeyjack», osservò poi. Come te, amore mio. «Nondimeno, all'alba ci schiereremo su questo costone, con il Clan Ilgres alla sinistra, Humbrall Taur e i suoi Visi Bianchi sulla destra.» Whiskeyjack le lanciò un'occhiata, e aggiunse: «Ammetto che il pensiero dell'altra... forma che puoi assumere mi... intimidisce. Tuttavia, se tu e Orfantal poteste levarvi in volo...». «Mio fratello e io ne abbiamo già discusso, Whiskeyjack. Lui vorrebbe volare da Dujek. Forse la sua presenza servirà a tenere a distanza i condor del Veggente.» «È più probabile che li attiri come una calamita, Korlat. Se invece voi due resterete uniti, proteggendovi a vicenda...» «Anche da soli, non è facile respingerci. No, il bisogno di Dujek è più pressante. Assumerò la mia forma Soletaken e proteggerò le tue forze, mentre Orfantal si dirigerà verso la montagna. Quanto meno, riuscirà a determinare la posizione del Gran Pugno e del suo esercito.» Korlat lo vide contrarre i muscoli della mascella, sotto la barba. «Temo per te, Korlat», ammise infine Whiskeyjack, con un sospiro. «Sarai sola, sopra di noi.» «Non quanto immagini, dato che fra i tuoi soldati ci sarà quanto resta della mia gente... tutti maghi, amore mio.» «Hai percepito qualcosa riguardo al tuo Signore?» chiese Whiskeyjack, raccogliendo le redini. Lei scosse il capo. «La cosa ti preoccupa? No, non c'è bisogno che mi rispondi.» Invero, sembra ci sia ben poco che io riesca a nasconderti.
«È meglio tornare indietro», continuò Whiskeyjack. Entrambi fecero girare la cavalcatura. Se la loro conversazione si fosse protratta per un'altra decina di secondi, la sua vista sovrannaturale avrebbe permesso a Korlat di vedere il primo stormo di Moranth Neri levarsi dai pendii boscosi della montagna, per volare rapido verso la città, a bassa quota. Una decina di secondi, nei quali la moneta di Oponn ruotò. Un solo, pigro giro. Dalla Signora al Signore. Meno di due metri più in basso, il muro cittadino scivolò via veloce, una chiazza indistinta, poi i Moranth fecero abbassare ulteriormente i quorl, insinuandosi in un viale e volando al di sotto del livello dei tetti; una brusca svolta a un incrocio li portò in direzione della fortezza. Tormentato dal prurito bruciante dei punti che gli attraversavano un lato della faccia, Paran si arrischiò a guardare in basso. Mucchi di ossa, residui di banchetti, erano ancora visibili nella strada, molti di essi ancora incandescenti e avvolti nel fumo; qualche torcia fissata alle pareti degli edifici rivelava l'acciottolato ingombro di rifiuti. A quanto pareva, la città era immersa nel sonno, e non si vedevano né un soldato né una guardia. Il capitano riportò la propria attenzione sulla fortezza. Il muro esterno era alto e robusto - se possibile, ancor più massiccio delle mura cittadine e la costruzione principale, al di là di esso, era fatta in pari misura di roccia grezza e di pietra lavorata. Mostruose gargouille erano disposte lungo il bordo irregolare del tetto, nere e ingobbite, a stento visibili come chiazze più scure sullo sfondo della notte. Poi Paran ne vide una muoversi. Condor. Oh, adesso siamo proprio nell'Abisso... Assestato un colpetto sulla spalla del Moranth, indicò la strada sottostante, e l'ufficiale annuì. All'unisono, i quorl che trasportavano gli Arsori di Ponti saettarono verso il basso, si librarono per una decina di passi a un metro dalla strada e atterrarono con un singolo colpo d'ala. I soldati scesero di sella, riparandosi nell'ombra, poi i Moranth e i quorl ripresero quota per il volo di rientro. Accovacciato all'imboccatura di un vicolo buio, Paran attese che le squadre gli si raccogliessero intorno. Ben lo Svelto fu il primo a raggiungerlo. «Il tetto della fortezza...»
«Ho visto», ringhiò Paran. «Hai qualche idea, mago?» «Che ne direste di trovare una cantina e di nasconderci, capitano?» suggerì Antsy. Ben lo Svelto gli scoccò un'occhiataccia, poi si guardò intorno. «Dov'è Hedge?» chiese. Lo zappatore venne avanti, appesantito da alcuni gonfi sacchi di tela. «Hai visto quei dannati uccellacci?» gli chiese il mago, accennando a scrollare in modo strano la spalla sinistra. «Sì. Ci servono tiratori scelti in cima al muro. Ho dodici quadrelle con un proiettile esplosivo al posto della punta, e se facciamo le cose per bene potremmo abbattere altrettanti condor.» «Far piovere carne d'uccello», interloquì Spindle. «Piume incendiate.» «Sono peggio del crine bruciato, Spin?» «Zitto!» ingiunse Paran. «D'accordo, lancia degli uncini su quel muro e schiera in cima i nostri brillanti esperti di balestre. Hedge, trova il punto adatto dove piazzare le mine e i detonanti, in fretta... dobbiamo calibrare bene i tempi. Voglio vedere quegli uccellacci morti al suolo e non in volo. Probabilmente, la prima ondata di Dujek è già in viaggio, quindi muoviamoci.» Segnalò poi a Picker di mettersi all'avanguardia, e si avviarono verso il muro della fortezza. Arrivata sul lato opposto della strada, Picker sollevò una mano e si accucciò al suolo. Gli altri s'immobilizzarono, tranne Paran, che si portò alle sue spalle. «Guardie Urdomen», sussurrò Picker. «Le porte sono a venti passi, sulla sinistra, ben illuminate...» «Le guardie sono ben illuminate?» «Sì.» «Idioti!» «Già, ma mi stavo chiedendo...» «Cosa?» «Se torniamo indietro e andiamo a destra per poi avanzare di nuovo, ci troveremo a un angolo del muro. Hedge adora gli angoli...» «Quindi lasceremo le guardie dove si trovano.» «Sì, capitano. Hood sa che non ci vedranno, abbagliati come sono da tutta quella luce. E saremo abbastanza lontani perché non possano sentire il rumore dei ramponi contro la pietra.» «Lo speri.»
«Hanno tutti indosso un elmo completo, signore.» «D'accordo, tenente, guidaci.» «Un momento, signore. Blend?» «Sono qui.» «Resta qui, e tieni d'occhio quelle guardie.» «Sì, signore.» Picker rivolse un cenno a Paran e ripercorse la strada; le squadre si girarono e la seguirono. Nel procedere con gli altri, Paran ebbe l'impressione di essere il solo a produrre rumore... fin troppo, per di più. La trentina di soldati che lo circondava era di una silenziosità spettrale, tutti passavano di ombra in ombra senza suoni o soste. Un sesto di campana più tardi, Picker si avvicinò di nuovo alla strada antistante il muro della fortezza: direttamente davanti a loro c'era una torre d'angolo quadrata, sormontata da massicci bastioni. Le squadre si raccolsero intorno al tenente. Paran sentì gli zappatori scambiarsi sussurri entusiasti alla vista della torre. «Verrà giù davvero bene...» «Come una patata su un bastone appuntito...» «Puntella le mine, d'accordo? Serve a dirigere gli impatti esplosivi con un'angolazione tale da farli incontrare a un braccio di distanza dalla pietra d'angolo.» «Vorresti insegnare al nonno come corteggiare una ragazza, Runter? Taci e lascia fare a me e a Spin, d'accordo?» «Hedge, stavo solo dicendo...» «Basta così, tutti quanti», intervenne Paran. «I balestrieri in cima al muro, prima di fare qualsiasi altra cosa.» «Sì, signore», assentì Hedge. «Preparate i ramponi, tesori. Voi, con le balestre, allineatevi e prendete le quadrelle esplosive. Ehi, non scavalcare gli altri, donna, un po' di buone maniere!» Paran trasse Ben lo Svelto in disparte, qualche passo più indietro rispetto agli altri. «Dodici quadrelle esplosive, mago», borbottò sottovoce. «Lassù ci sono almeno trenta condor.» «Non credete che l'attacco di Dujek all'interno delle mura cittadine li farà allontanare?» «Certo, abbastanza a lungo da annientare la prima ondata, lasciare qualcuno di loro ad accogliere la seconda e tornare qui in massa a occuparsi di
noi.» «Avete in mente qualcosa, capitano?» «Una seconda azione diversiva, che attiri il resto dei condor lontano da Dujek e dagli Arsori di Ponti. Ben, puoi usare un canale per farci arrivare entrambi su quel tetto?» «Farci arrivare, signore?» «Tu e io, sì, insieme ad Antsy, Spindle, Detoran, Mallet e Trotts.» «Posso farlo, capitano, ma ho quasi esaurito le risorse...» «Facci arrivare lassù, mago. Dov'è Spin?» Paran guardò verso gli altri, poi annuì nell'individuare l'uomo che cercava. «Aspetta qui», disse, e si diresse in fretta verso il punto in cui Spindle era acquattato con gli altri zappatori, protendendosi per trascinarlo fuori dal gruppetto. «Hedge, dovrai fare a meno di quest'uomo», affermò. «Che sollievo, capitano», sorrise Hedge. «Ehi!» «Zitto, Spindle.» Paran lo trascinò verso dove era in attesa Ben lo Svelto. «Che cosa avete in mente?» chiese il mago, non appena arrivarono. «Fra un momento. Ben, quei condor... cosa sono, esattamente?» «Non lo so con certezza, signore.» «Non è quello che voglio sentire, mago. Riprovaci.» «D'accordo, credo che un tempo fossero veri condor... più piccoli, o meglio di dimensioni normali. Poi il Veggente ha trovato un modo di imbottirli...» «Condor ripieni, ah!» ridacchiò Spindle. Ben lo Svelto si allungò e gli assestò una sberla. «Non mi interrompere ancora, Spin. Contengono dei demoni, capitano, sono posseduti. L'influsso è quello del Caos, il che spiega perché il loro corpo non riesca a contenerlo tutto.» «Quindi sono demoni e uccelli insieme.» «I primi dominano i secondi, naturalmente.» «È ovvio, ma chi dei due si occupa di volare?» «Il condor...» Ben lo Svelto socchiuse gli occhi, lanciò un'occhiata a Spindle e sorrise. «Ecco, forse...» «Cosa state escogitando, voi due?» «Hai tenuto delle munizioni da parte, Spindle?» chiese Paran. «Sei granate.» «Bene, nel caso che qualcosa vada storto.»
Un sibilante comando di Picker li indusse a voltarsi, e videro una mezza dozzina di soldati attraversare di corsa la strada per arrestarsi alla base del muro della fortezza, approntando ramponi e corde. «Dannazione, non mi ero reso conto di quanto fosse alto quel muro... come faranno...» «Guardate meglio», suggerì Ben lo Svelto. «Toes è con loro.» «E allora?» «Guardate, signore.» Il mago della squadra aveva aperto il suo canale. Paran cercò di ricordare quale fosse la sua specialità, poi ebbe la risposta che cercava sotto forma di una decina di spettri che fluttuarono intorno a Toes. «Se sono quelli che continuano a cadere...» grugnì il capitano. «No, questi sono spiriti locali, capitano. Accade di continuo che qualcuno cada da un muro, e poiché questo ha alcune centinaia di anni, ecco, il numero è elevato. In ogni caso, la maggior parte degli spettri ha... una sola cosa in mente. L'ultima cosa che ricordano è di essersi trovati sul muro, di pattuglia, di guardia, o chissà per che cos'altro, quindi vogliono tornare lassù.» Paran vide gli spiriti, sei dei quali erano ora muniti di ramponi, strisciare su per il muro; gli altri sei avevano chiuso le loro mani spettrali intorno a Toes e lo stavano sollevando insieme a loro, cosa che lui non pareva gradire, a giudicare da come agitava le gambe. «Credevo che i canali fossero avvelenati», osservò Paran. Ben lo Svelto scrollò le spalle. «Hood ha reagito con forza, capitano, e ha sgombrato uno spazio...» Paran si accigliò, ma non replicò. Arrivato sul muro, Toes assunse di nuovo il controllo delle operazioni, recuperando e posizionando ogni rampino, in quanto era chiaro che gli spiriti non potevano, o non volevano, manovrare con precisione gli oggetti fisici. Il mago dovette lottare con un paio di essi per togliere loro di mano le corde, ma alla fine riuscì a posizionare tutti i rampini e srotolò le corde, calandole ai soldati in attesa in basso. I primi sei balestrieri cominciarono a salire. Paran indirizzò un'occhiata ansiosa alla fila di condor sul tetto dell'edificio principale, ma nessuno di essi si mosse. «Grazie a Hood, hanno il sonno pesante.» «Sì, sono immersi nel loro canale caotico, per accumulare potere per ciò che verrà.»
Girandosi, Paran scrutò il cielo buio verso nordovest. Nulla. D'altronde, era comunque improbabile che riuscisse a vederli, perché si sarebbero tenuti a bassa quota, come avevano fatto loro. Gli altri sei balestrieri attraversarono la strada e afferrarono le corde. «Mago, appronta quel canale...» «È già pronto, capitano.» D'un tratto, Picker prese a sbracciarsi disperatamente in direzione di Paran che si affrettò a raggiungerla con un'imprecazione sommessa. Le squadre rimanenti si erano ritirate lontano dalla strada. «Sporgetevi, capitano, e guardate verso le porte.» Paran obbedì. Laggiù c'era dell'attività: le porte si erano aperte e ne stavano uscendo, uno dopo l'altro, enormi guerrieri dalle fattezze di rettile... K'Chain Che'Malle... dunque è questo l'aspetto di quelle dannate creature. Per il respiro di Hood. Cinque... dieci... quindici... e altri ancora stavano marciando verso la città e verso le mura settentrionali. E Dujek sta per atterrare loro in grembo... Ritraendosi, Paran incontrò lo sguardo di Picker. «Tenente, dobbiamo distrarre quelle dannate cose.» Lei si massaggiò la faccia, guardando verso le squadre residue. «Si suppone che quelle lucertole non-morte siano dannatamente veloci, ma con tutti questi vicoli e queste strade...» Girandosi di nuovo verso Paran, annuì rapidamente. «Abbiamo ancora qualche granata... daremo loro validi motivi per venirci dietro.» «Accertati soltanto di tenerli a distanza, tenente, e se puoi mantieni tutti uniti.» «Signore, questo è improbabile... ci dovremo sparpagliare, immagino, giusto per aumentare la confusione.» «D'accordo, ma provaci lo stesso.» «E voi, capitano?» «Prenderò Ben e la squadra di Antsy... siamo diretti sul tetto della fortezza. Cercheremo di operare una nostra manovra diversiva a spese del resto di quei condor. Adesso hai tu il comando degli Arsori di Ponti, tenente.» «Sì, capitano. Chi credete che morirà prima, voi o noi?» «Difficile dirlo.» Picker sorrise. «Scommetto metà della mia paga arretrata, capitano, che saremo un passo dietro di voi. Vi pagherò alla Porta di Hood.»
«Scommessa accettata, tenente. Ora lascia Hedge e i suoi zappatori a far saltare in aria quella torre, prendi Blend e gli altri e muoviti.» «Sì, signore.» Paran accennò ad allontanarsi, ma Picker si protese a sfiorargli il braccio. «Capitano?» «Cosa c'è?» «Ecco... uh... ricordate quei coltelli puntati alla vostra schiena? Da qualche tempo sono puntati altrove. Volevo che lo sapeste.» Paran distolse lo sguardo. «Grazie, tenente.» Ben lo Svelto aveva riunito Antsy e la sua squadra, meno Blend e Hedge. «Siamo pronti, capitano», disse, non appena Paran li raggiunse. Paran guardò verso il muro della fortezza: le corde pendevano immote e non si scorgeva nessuno in cima. «Quanto è passato, dall'ultima volta che li hai visti?» Il mago scrollò le spalle. «Suppongo siano in posizione, signore. Hedge sembra pronto ad agire.» Abbassando lo sguardo, Paran notò che la squadra degli zappatori era raccolta in un gruppo nervoso e compatto alla base della torre. «Hanno fatto in fretta.» «Hedge è un lampo quando è terrorizzato, signore. Faremmo meglio...» «Sì. Apri il canale.» Paran guardò verso Antsy; il sergente, Detoran, Trotts e Mallet avevano abbassato la visiera dell'elmo e avevano le armi in pugno; Spindle era accoccolato accanto a loro, una granata in ciascuna mano. «Aspetta, Ben. Hai detto a Spin cosa...» «Sì, signore, e ci sta lavorando alla perfezione.» Spindle riuscì a sfoggiare un debole sorriso. «D'accordo, andiamo.» Il portale si aprì, riversando oscurità nella strada, e Paran sgranò gli occhi. Kurald Galain. Cosa... «Seguitemi», sibilò Ben lo Svelto, saettando nel canale; la squadra scattò in avanti, subito inghiottita, e Paran si gettò sulla scia degli altri. La transizione fu quasi istantanea, e il capitano si trovò a incespicare su tegole umide: erano sul tetto della fortezza, una trentina di passi più indietro rispetto alla fila di condor. Una decina di quegli enormi uccelli demoniaci esplose improvvisamente, spruzzando su tutto il tetto sangue e carne, e gli altri si svegliarono all'unisono con un sussulto. Emettendo strida penetranti, allargarono le
vaste ali e spiccarono il volo. Spindle aveva già scatenato il suo canale, e l'effetto fu istantaneo. I condor stridettero di terrore, sbattendo le ali per il panico e girando spasmodicamente la testa, mentre la bestia mortale racchiusa in ciascun corpo cercava di prendere il sopravvento sul demone a causa della cieca paura generata dal talento distorto di Spindle. Una raffica di quadrelle si levò dal muro della fortezza, crivellando le creature che si dibattevano. Poi l'intera fortezza tremò, e nel girarsi di scatto Paran vide la torre alla sua sinistra rovesciarsi improvvisamente e rovinare in avanti sulla strada, fra volute di fumo. Si levarono delle urla, mentre gli Arsori di Ponti allineati in cima al muro si lanciavano verso le funi. Intanto, dalle strade a est giunsero scoppi di granate; Picker e il resto degli Arsori di Ponti avevano appena teso un agguato alla colonna di K'Chain Che'Malle, dando il via all'inseguimento. Ben lo Svelto trasse a sé Paran. «I demoni stanno vincendo la lotta!» gridò. Lentamente, i condor stavano prendendo quota, allontanandosi sempre più dall'influenza del canale di Spindle; se pure avvertivano qualche disagio nell'essere crivellati di quadrelle, non lo davano a vedere, e la magia crepitava loro intorno. «Ci piomberanno addosso, capitano!» predisse Ben lo Svelto. «Meglio noi che Dujek. Possiamo tenerli occupati per un po', mago?» «Sì, almeno la maggior parte.» «Come?» «Tanto per cominciare, possiamo correre verso il lato meridionale di questo edificio.» Correre? Tutto qui? Fuori dalle mura occidentali della città, vicino alla linea irregolare della costa, un pigro mulinello di polvere si levò dal terreno, assumendo una forma precisa. Lentamente, Tool assestò la spada di selce nel fodero sulla schiena, ignorando le circostanti baracche abbandonate per appuntare lo sguardo impassibile sulla massiccia barriera di pietra che aveva davanti. Grazie al vento, la polvere poteva salire tanto in alto da oltrepassare le mura, oppure poteva scorrere fra i sassi sottostanti le fondamenta. Il T'lan Imass sarebbe potuto arrivare di soppiatto.
Però il Veggente Pannion aveva catturato Aral Fayle. Toc il Giovane. Un uomo mortale... che aveva definito Tool un suo amico. Il guerriero prese ad avanzare, i piedi avvolti di cuoio che allontanavano a calci alcune ossa sparse: era giunto il momento che la Prima Spada dei T'lan Imass annunciasse la sua presenza. La seconda ondata, che trasportava altri mille soldati, scese a occupare le strade immediatamente alle spalle della posizione di Dujek, mentre alcune esplosioni illuminavano il cielo verso sud, lungo la linea del tetto della fortezza e poi direttamente sotto di essa, quest'ultimo un rumore più cupo, che echeggiò nel terreno facendo vibrare l'acciottolato... un suono che il Gran Pugno riconobbe. Era stata creata una breccia. «È tempo di avanzare!» ordinò ai suoi ufficiali. «Radunate i vostri comandi: puntiamo sulla fortezza.» Dujek sollevò la visiera. In alto, l'aria vibrava per il sussurrante battito delle ali dei quorl, perché la seconda ondata stava riprendendo quota nel cielo notturno, mentre la terza si avvicinava da nord, prossima a scaricare altri mille soldati di marina. In silenzio, il Gran Pugno vide, nello spazio fra due battiti del suo cuore raggelato, mille Moranth Neri, i loro quorl e cinque compagnie del suo esercito disintegrarsi avvolti da fiamme grigie. Dietro quell'ondata, neri e letali, volavano tre condor. I Moranth della seconda ondata, che erano saliti più in alto con l'intenzione di virare e dirigersi a nord, riapparvero sopra i tre condor e scesero in picchiata verso di essi. Un quarto stormo di quorl in arrivo da nordovest aveva attirato l'attenzione dei tre uccelli. Cavaliere e quorl calarono sugli ignari condor in una successione di attacchi suicidi: i guerrieri in armatura nera conficcarono le lance nei corpi piumati, e i quorl usarono le fauci chitinose per strappare brandelli di carne, anche se la collisione infrangeva il loro fragile corpo e le ali ancora più fragili. Centinaia di quorl morirono, precipitando insieme ai loro cavalieri e abbattendosi su strade e tetti, dove giacquero infranti e immoti, ma anche i tre condor caddero con loro, morendo mentre perdevano quota. Dujek non ebbe il tempo di pensare allo spaventoso prezzo che i Moranth avevano pagato per quella momentanea vittoria, perché già il quarto stormo stava atterrando nelle strade, i soldati che si lanciavano giù di sella
per mettersi al coperto. Il Gran Pugno chiamò a sé un messaggero. «Nuovi ordini per gli ufficiali... le compagnie devono occupare degli edifici, i più difendibili. La fortezza dovrà aspettare... voglio che ci sia un tetto sopra di noi...» Sopraggiunse un altro messaggero. «Gran Pugno!» «Cosa c'è?» «Le legioni Pannion si stanno radunando, signore... in ogni strada dalla Porta Settentrionale fino alla fortezza.» «Mentre noi abbiamo la porzione occidentale della città. Stanno venendo a stanarci. D'accordo.» Dujek si girò verso il primo messaggero, e aggiunse: «Che gli ufficiali ne siano informati, in modo da poter adeguare le loro difese...». Però il secondo messaggero non aveva finito. «Gran Pugno, signore... chiedo scusa. Ci sono K'Chain Che'Malle, con quelle legioni.» E allora dov'è Volpe d'Argento, con i suoi dannati T'lan Imass? «Potrebbero essere anche draghi, per quello che importa», ringhiò Dujek, dopo un momento. «Va'», ingiunse al primo messaggero; mentre questi salutava e si allontanava, tornò a fissare il secondo con occhi roventi e ordinò: «Trova Twist e informalo che abbiamo bisogno di un passaggio delle sue forze pesanti, a est della nostra posizione... solo uno, però. Digli che probabilmente quei guerrieri non torneranno indietro, e di tenere quindi un'Ala di riserva». Sollevando la visiera, scrutò il cielo. L'alba stava arrivando, e la Quinta e Sesta Ala avevano consegnato le loro truppe, ed erano ora punti distanti in volo verso le montagne. È fatta, siamo dentro Coral, e se non avremo aiuti al più presto non ne usciremo mai. «È tutto», disse al soldato. I condor stavano volando in cerchio sopra il tetto, lanciandosi grida a vicenda e scendendo di tanto in tanto in picchiata con le ali che sferzavano l'aria, per poi riprendere quota verso il cielo sempre più chiaro. Paran guardò verso l'alto, incredulo. «Devono essere in grado di vederci!» sibilò. Erano chini a ridosso di un basso muro, al di là del quale c'era un parapetto che dominava il porto e la Baia di Coral, e l'oscurità che li aveva avvolti stava svanendo in fretta. «Non ci possono vedere», borbottò Ben lo Svelto, accanto a lui, «perché io sto impedendo loro di farlo. Però sanno che siamo qui... da qualche par-
te». Ed è per questo che non si allontanano. Bene. Ottimo. Significa che non sono impegnati ad annientare l'esercito di Dujek. Sotto di loro, la fortezza tremò, facendo vibrare le tegole. «Per il respiro di Hood, cosa è stato?» Accanto a lui, il mago si accigliò. «Non ne sono certo, non sembravano munizioni, ma direi che nel muro è stata aperta un'altra breccia.» Un'altra? Da chi? La detonazione era giunta da est, dal lato del porto, dove una grande nube di polvere si stava levando lentamente. Con cautela, Paran sollevò la testa in modo da poter vedere oltre il basso muro. Sulla baia, i gabbiani stavano stridendo, e più oltre il mare, che sembrava una solida distesa di ghiaccio, emetteva un rombo sordo, mentre alti spruzzi si levavano verso il cielo, a sud, dove si stava formando una tempesta. Speriamo che venga da questa parte... un po' di confusione ci sarebbe utile. «Abbassate la testa!» ingiunse Ben lo Svelto. «Scusami.» «Sto già avendo abbastanza difficoltà così, capitano... dobbiamo rimanere vicini... smettila di scalciare, Detoran... cosa? Oh. Capitano, guarda verso nord! In alto!» Paran si girò. Un'ala di Moranth - appena visibili - stava sorvolando la città, da est a ovest, e sei condor stavano prendendo quota per andare loro incontro, ma erano ancora molto distanti. Punti più piccoli caddero dai Moranth, sulla metà orientale della città: la loro discesa parve durare in eterno, poi il primo colpì un edificio con un'esplosione che ne infranse il tetto e l'ultimo piano. Seguirono altre detonazioni, le mine che esplodevano una dopo l'altra. La magia emanò dai sei condor, saettando verso i distanti Moranth che, esaurite le munizioni, si sparpagliarono; nonostante questo, più di una ventina cadde vittima dell'ondata di magia. Fumo e polvere ammantarono il lato orientale di Coral. Sopra il capitano e la sua squadra, i condor rimanenti stridettero di rabbia. «Ha funzionato, più o meno», sussurrò Ben lo Svelto. «Probabilmente, quelle strade pullulavano di soldati Pannion.» «Per non parlare del resto degli Arsori di Ponti», ringhiò Paran. «Ormai si dovrebbero essere ritirati.»
Paran notò lo sforzo che il mago stava facendo per suonare speranzoso. Una mina si era abbattuta sulla strada, cinquanta passi alle spalle di Picker e della sua squadra decimata, e pochi passi più indietro rispetto al Cacciatore K'ell dei K'Chain Che'Malle che li stava raggiungendo. La creatura non-morta era stata disintegrata dallo scoppio, e la sua massa aveva assorbito la maggior parte della letale pioggia di schegge di acciottolato. Frammenti di pelle secca, di carne e schegge di osso stavano piovendo ora intorno agli Arsori di Ponti. Picker sollevò una mano per far fermare i suoi soldati: non era la sola ad aver bisogno di prendere fiato, a dover aspettare che il martellare del suo cuore si placasse in qualche misura. «Se non altro, è cambiata la dannata musica», annaspò Blend, accanto a lei. Picker non si prese la briga di replicare, ma non poté non sentirsi d'accordo con quell'amaro commento. Come Paran aveva ordinato, erano riusciti ad attirare l'attenzione di almeno una parte dei K'Chain Che'Malle. E ne avevano pagato il prezzo. Secondo il suo ultimo conto, le rimanevano sedici Arsori di Ponti in grado di combattere, e altri sei feriti, tre dei quali bussavano già alla Porta di Hood. I K'Chain Che'Malle erano più che veloci, erano dei fulmini, erano instancabili e le granate facevano poco più che irritarli. In ogni caso, le munizioni erano finite. Picker aveva lanciato i suoi soldati contro uno dei Cacciatori K'ell, per valutare le loro possibilità in uno scontro ravvicinato, ed era una cosa che non avrebbe più fatto, in quanto erano già stati fortunati a riuscire a disimpegnarsi. Quella dei suoi amici che venivano fatti a pezzi dove si trovavano era un'immagine che non l'avrebbe abbandonata per il resto dei suoi giorni... giorni? Non mi restano dei giorni. Mi sorprenderebbe che sopravvivessimo a questa campana. «Che Hood ci prenda, eccone un altro!» Il tenente si girò di scatto. Un altro Cacciatore era emerso da un vicolo laterale, gli artigli che strisciavano sull'acciottolato, la testa bassa, le lame protese. A meno di quindici passi di distanza, girò la testa verso di loro. D'accordo... allora mi restano dei secondi. «Sparpagliatevi!» Mentre già gli Arsori di Ponti accennavano a fuggire, un muro vicino al K'Chain Che'Malle esplose verso la strada, precedendo l'arrivo di un se-
condo Cacciatore, insieme alla polvere e ai mattoni che rotolavano da ogni parte; questo secondo Cacciatore era quasi a brandelli, con la testa che oscillava, collegata al collo da una sottile striscia di tendine, un braccio mancante e una gamba troncata alla caviglia, e dopo un passo crollò sull'acciottolato con uno schianto di costole infrante, restando immoto. Gli Arsori di Ponti s'immobilizzarono all'istante. Come fece anche il primo K'Chain Che'Malle. Sibilando, esso si girò poi verso il foro irregolare nella parete dell'edificio, mentre dalla polvere emergeva un T'lan Imass. La carne essiccata pendeva a strisce, il chiarore dell'osso era visibile ovunque, l'elmo costituito da un teschio era stato un tempo decorato da corna ora mozzate, e la spada di selce fra le sue mani aveva tante tacche da sembrare seghettata. Ignorando i Malazan, il non-morto si girò verso l'altro K'Chain Che'Malle. Il Cacciatore attaccò con un sibilo. Lo sguardo di Picker non riuscì a registrare appieno la velocità dello scambio di colpi che seguì. D'un tratto, il K'Chain Che'Malle cadde al suolo, una gamba troncata sopra quello che doveva essere un ginocchio, poi una spada tintinnò sui ciottoli al cadere di un braccio amputato. Il T'lan Imass si era tratto indietro, ma ora tornò ad avanzare con un fendente dall'alto che fracassò le ossa attraverso spalla, petto e fianco, facendo uscire la lama dall'altro lato, dove levò scintille contro i ciottoli. Il Cacciatore K'ell si accasciò. Il singolo T'lan Imass si avviò verso la fortezza. Picker e gli altri lo guardarono oltrepassarli e continuare su per la strada. «Per il respiro di Hood!» borbottò Blend. «Venite!» scattò Picker. «Dove?» domandò il caporale Aimless. «Dietro di lui», ribatté lei, avviandosi. «Pare che la posizione più sicura sia all'ombra di quella cosa.» «Ma è diretta alla fortezza!» «Anche noi.» Coperto di fango, trascinandosi a fatica, l'esercito di Whiskeyjack avanzò lentamente a formare una linea di fronte al tratto di terreno scoperto e alla retrostante città; ai suoi fianchi erano schierati i Barghast, il Clan Ilgres e i Visi Bianchi. Lasciato il cavallo con gli altri, alle spalle della linea, Korlat risalì a pie-
di la bassa collina adiacente la strada commerciale, verso ovest, sulla quale si trovavano già Whiskeyjack, Kallor e l'alfiere Artanthos. Da lì, erano stati tutti testimoni delle battaglie aeree impegnate sopra Coral, della strage dei Moranth Neri e di almeno un'Ala impegnata a trasportare truppe dell'Armata di Un-braccio, e avevano poi assistito al bombardamento, a cui però nessuno aveva reagito con entusiasmo perché era impossibile mascherare la brutale verità: Dujek era intrappolato dentro Coral, il suo esercito stava venendo massacrato e c'era ben poco che Whiskeyjack e le sue truppe spossate potessero fare per evitarlo. Alcuni condor erano stati visti volare all'inseguimento dei Moranth Neri che stavano tornando verso le trincee montane... ma essi avrebbero incontrato Orfantal che, nella sua forma Soletaken, era secondo soltanto ad Anomander Rake; Korlat invidiò a suo fratello la possibilità immediata di ottenere vendetta. Korlat si avvicinò ai compagni, preparando la propria mente per il passaggio alla forma di drago. Il potere che accompagnava la transizione l'aveva sempre spaventata, perché era una manifestazione fredda e dura, inumana e sovrumana al tempo stesso, ma questa volta l'avrebbe accolto con piacere. Raggiunta la cresta, vide ciò che gli altri stavano già vedendo: di fronte a loro, la Porta Settentrionale della città si era aperta e ne stavano emergendo i K'Chain Che'Malle, che si allargarono schierandosi in una singola fila... ottocento guerrieri, forse di più. I Malazan spianarono le armi. All'ordine di Whiskeyjack, sarebbero scesi ad affrontare quegli spaventosi avversari. E moriremo, ma così ci saranno ottocento K'Chain Che'Malle in meno dentro Coral, ottocento K'Chain Che'Malle che saranno... impegnati per qualche tempo. Dujek almeno lo sa? Brood è ancora indietro di mezza giornata rispetto a noi, le Spade Grigie lo sono di due campane, forse più... non mi sarei aspettata queste notizie da Kallor... ma devono aver cavalcato troppo in fretta e troppo a lungo. Quanto a Gruntle e alla sua legione, sembrano essere svaniti del tutto. Abbiamo perso le nostre truppe d'assalto? L'Abisso sa che quel Daru non ama combattere... Dujek comprende cosa stiamo per fare per dargli questa giornata di respiro? Ci sono ottocento K'Chain Che'Malle sulla pianura; quanti ne rimangono in città? Quanti stanno ora scavando solchi letali attraverso le compagnie del Gran Pugno?
I venti condor rimasti in città stavano volando tutti in cerchio sopra la fortezza vera e propria, e il fatto che il Veggente non sentisse il bisogno di farli partecipare alla battaglia imminente era forse la misura di quanto si sentisse sicuro di sé. Quel pensiero le fece salire in bocca un sapore di bile. Al suo arrivo, Whiskeyjack si girò e la salutò con un cenno. «Hai trovato Kruppe? Confido che si sia sistemato in un posto sicuro.» «È con Hetan», rispose Korlat. «Sta chiedendo della pittura bianca da spalmarsi sulla faccia.» Whiskeyjack si sforzò invano di sorridere. «Quando avanzeremo, i miei Tiste Andii precederanno i tuoi soldati», continuò Korlat. «Vedremo come se la caveranno questi non-morti contro il Kurald Galain.» «Il tuo canale è ancora inquinato, Korlat», affermò Kallor, con un sogghigno. «Avresti bisogno di aprirlo completamente, con l'apporto di tutti i Tiste Andii e non solo di quelli che ci sono qui, per poterlo purificare. I tuoi fratelli e sorelle stanno per essere massacrati.» Korlat lo fissò con sospetto. Un'apertura completa. Kallor, sai decisamente troppe cose su di noi. «Apprezzo il tuo acume tattico», commentò in tono asciutto. Vide Whiskeyjack guardare in direzione di Artanthos, che era fermo a una quindicina di passi dagli altri, avvolto in un mantello foderato di pelliccia per proteggersi dal gelo del mattino; l'alfiere non stava prestando attenzione agli altri e teneva lo sguardo fisso sulla pianura sottostante con aria leggermente accigliata. Due soldati di marina sopraggiunsero a cavallo da est, passando al galoppo davanti allo schieramento Malazan. I due soldati di marina di Whiskeyjack... A fatica, tossendo e coperti di spuma, i due cavalli risalirono al galoppo il pendio. «Comandante!» gridò una delle due donne, arrestando la cavalcatura. «L'abbiamo trovata!» aggiunse l'altra, indicando. Verso est, qualcuno stava sbucando dalle file schierate... Volpe d'Argento. Il suono di migliaia di voci che gridavano per la sorpresa indusse Korlat a girarsi: lo spazio aperto antistante i K'Chain Che'Malle stava svanendo in un'improvvisa nuvola di polvere che si assottigliò rapidamente, rivelando le file schierate dei T'lan Imass.
Volpe d'Argento si avvicinò. A quanto pareva, aveva scelto Artanthos come sua destinazione e si diresse verso di lui, inespressiva in volto. L'esercito di Whiskeyjack levò un ruggito nell'aria del mattino. «Sì...» ringhiò Kallor, in tono abbastanza strano da indurre Korlat a distogliere lo sguardo da Volpe d'Argento... in tempo per vedere la lama dal filo smussato calare verso la sua testa. Ci fu un'esplosione di dolore e un momento di confusione in cui tutto parve stranamente immobile, poi il terreno le sbatté contro un fianco e un'ondata di calore le divampò lungo la faccia, a partire dalla fronte. Sbattendo le palpebre, si chiese perché il suo corpo avesse cominciato a dibattersi. Un canale... caotico... Kallor... Una scena indistinta le si parò davanti agli occhi, vista dal livello del terreno. Cranio... rotto... sto morendo... La vista le si schiarì, ogni linea e contorno di quanto stava vedendo divenne fin troppo nitido e definito, come lame di coltello che le facessero a strisce l'anima. Con un ruggito trionfante, Kallor si stava lanciando verso Volpe d'Argento, la cotta di maglia che gli fluiva intorno come un mantello, spirali di magia velata di grigio che gli danzavano intorno. La donna Rhivi si arrestò, a bocca aperta, gli occhi colmi di terrore, poi urlò qualcosa... «T'lan Ay! Difendetemi!» E tuttavia rimase sola... La spada levata in alto con entrambe le mani guantate, Kallor le arrivò addosso, ma di colpo Whiskeyjack si parò sulla sua strada, la spada protesa a intercettare la sua con un clangore metallico. Seguì un rapido e violento scambio di colpi, poi Kallor balzò indietro con un ruggito di frustrazione, e inciampò con un tacco. Vedendo il momento favorevole, Whiskeyjack scattò in un affondo, estendendosi al massimo con il peso del corpo che calava sulla gamba sinistra... ... che cedette. Korlat vide l'osso sbucare attraverso la coscia e il gambale di cuoio, vide il dolore sul volto di Whiskeyjack, l'improvvisa consapevolezza. Poi la spada di Kallor gli affondò nel petto, scivolando fra le costole a trapassare il cuore e i polmoni in un fendente in diagonale.
Whiskeyjack morì su quella lama, la vita che gli scivolava via dallo sguardo fisso in quello di Korlat. Kallor liberò l'arma con uno strattone e barcollò improvvisamente, trafitto da due quadrelle di balestra. La magia del caos si avviluppò intorno ai due missili, disintegrandoli; senza badare al sangue che sgorgava, Kallor sollevò di nuovo la spada, mentre i due soldati di marina venivano avanti in coppia. Le due donne combattevano superbamente insieme, ma l'uomo che stavano affrontando... Con un urlo di agonia, il soldato di marina sulla destra barcollò in un flottare di sangue, abbassando le mani a trattenere gli intestini che fuoriuscivano e accasciandosi al suolo; la testa le volò dalle spalle prima che le ginocchia avessero toccato il terreno. L'altra donna si lanciò contro Kallor, la spada protesa in un affondo al volto. Un passo di lato, un fendente verso il basso, e il braccio venne reciso. Il soldato di marina lo aveva però già dato per perso e si servì della mano sinistra, chiusa intorno a una daga, per trapassare la cotta di maglia che copriva lo stomaco del guerriero. L'istante successivo la donna ruotò su se stessa, la gola squarciata dalla spada di Kallor, e crollò al suolo. Annaspando, l'anziano guerriero barcollò all'indietro, fiotti di sangue striato di giallo che gli scaturivano dal buco nello stomaco. «Incatenato!» stridette. «Risanami!» Calore... un canale... non caotico... dove? Un'ondata di filamenti d'oro si abbatté su Kallor, avviluppandolo in una frenesia di fuoco. Stridendo, lui venne gettato a terra dalla magia che lo incalzò, dilaniandolo e riempiendo l'aria di sangue. Una seconda ondata di fuoco dorato rotolò verso di lui... Il canale che si aprì intorno a Kallor fu una chiazza miasmica, una malsana lacerazione che gli si allargò intorno e svanì, portandolo con sé. La magia dorata tremolò e si dissipò. No... un simile controllo. Chi? Il corpo di Korlat non era più scosso dalle convulsioni, adesso era intorpidito e freddo, stranamente remoto. Il sangue le stava coprendo un occhio, tanto da costringerla a sbattere di continuo la palpebra per poter vedere. Infine, si rese conto di essere distesa al suolo, e che Kallor l'aveva colpita. Qualcuno le si inginocchiò accanto, una mano calda e morbida le sfiorò
la guancia. Korlat lottò per mettere a fuoco la vista. «Sono io, Volpe d'Argento. Gli aiuti stanno arrivando...» La Tiste Andii cercò di sollevare una mano, di accennare un gesto di qualche tipo in direzione di Whiskeyjack, ma quel desiderio rimase nella sua mente, e, dalla vaga sensazione di erba umida contro il palmo, lei comprese che la mano non aveva obbedito al suo ordine. «Korlat! Guardami, per favore! Brood sta arrivando... e vedo un drago nero che si avvicina da ovest... Orfantal? L'Alto Comandante dispone dell'Alto Denul, Korlat. Devi resistere...» Un'ombra le cadde sul volto, e Volpe d'Argento sollevò lo sguardo, i lineamenti contorti in un'espressione amara. «Dimmi una cosa», ringhiò al nuovo venuto. «La magia che ha accompagnato il tradimento di Kallor è stata davvero tanto efficace da lasciarti stordito così a lungo? O invece ti sei tenuto in disparte, calcolando il momento propizio e osservando le conseguenze della tua inazione... dopo tutto, lo hai già fatto altre volte, vero, Tayschrenn?» Tayschrenn? La voce incrinata e intrisa di sofferenza che rispose alla donna fu però quella di Artanthos, l'alfiere. «Volpe d'Argento. Ti prego, io non avrei mai...» «No?» «No. Whiskeyjack... lui è...» «Lo so», scattò Volpe d'Argento. Una gamba malamente risanata... mai il momento giusto... Brood avrebbe potuto... Lui è morto. Oh, amore mio, no... Adesso c'erano tutt'intorno figure indistinte. Soldati Malazan, Barghast. Qualcuno cominciò a intonare un lamento funebre. L'uomo che aveva conosciuto come Artanthos si chinò su di lei. La magia gli aveva lacerato la carne del volto... in quella ferita, Korlat riconobbe il tocco del caos, così intenso che lei non sarebbe potuta sopravvivere, e comprese che il Grande Mago non aveva tardato volutamente a reagire. Il fatto stesso che fosse riuscito a fare qualcosa aveva dello straordinario. Incontrando il suo sguardo, vide in esso l'intensità della sofferenza che ancora lo devastava. «Vol...» «Korlat?»
«Donna», biascicò la Tiste Andii, le sue parole impastate ma udibili, «quest'uomo...». «Sì? È Tayschrenn, Korlat. La parte di me che è Nightchill lo sapeva da molto tempo, ed ero intenzionata ad aff...» «... ringrazialo.» «Cosa?» «Per... la... tua vita. Ringrazialo, donna...» Korlat continuò a fissare Tayschrenn negli occhi, che erano grigio scuro, come quelli di Whiskeyjack. «Kallor... ci ha sorpresi tutti...» Il mago sussultò, poi annuì lentamente. «Mi dispiace, Korlat. Avrei dovuto vedere...» «Sì. Anch'io. E Brood.» Poteva sentire un martellare di zoccoli echeggiare nel terreno, sotto di sé, una vibrazione che le penetrava nelle ossa. Un canto funebre. Tamburi, un suono perduto. Cavalli, spinti al galoppo... non ne conoscono il motivo, e tuttavia avanzano, sempre più vicini, senza capire ma pervasi dall'urgenza di padroni imperscrutabili. Ma la morte è già passata su questa collina. La morte, che non conosce ragioni. Il mio amore. Lui è tuo, adesso, Hood... sorridi? Il mio amore... è tuo... Quando mancavano ancora due campane all'alba, Gruntle svegliò Itkovian con modi insolitamente bruschi. «Qualcosa è andato storto, amico», grugnì. «Dobbiamo raggiungere subito Coral.» Le Spade Grigie non si erano fermate per la notte, perché l'IncudineScudo aveva scelto di andare a dare manforte a Whiskeyjack; Itkovian le aveva seguite con lo sguardo finché non erano state inghiottite dal buio, e pur ritenendosi indifferente a quella decisione, e a ciò che la loro partenza significava, si era sentito il cuore pesante, e quando infine si era addormentato, il suo era stato un sonno agitato. Poi, il rude risveglio da parte di Gruntle lo aveva indotto a riflettere sulla fonte di quell'inquietudine, senza però riuscire a individuarla. Mentre sellava il cavallo, prestò ben poca attenzione a Gruntle e alla sua legione, e soltanto quando montò in sella si rese conto che il Daru e i suoi seguaci erano in attesa... a piedi. «Spada Mortale, cosa intendete fare?» chiese, accigliandosi.
Il grosso guerriero reagì con una smorfia. «Questo è un viaggio che richiede rapidità», replicò e, guardando verso l'incupita Stonny Menackis, aggiunse: «In questo viaggio, Trake rischia il cuore del suo potere». «Non è il mio dio!» esclamò Stonny, in tono secco. Gruntle le rivolse un triste sorriso. «Purtroppo no, quindi dovrai accontentarti di cavalcare insieme a Itkovian. Noi non vi aspetteremo, ma forse riuscirete a starci dietro... per un po'.» Itkovian non riuscì a comprendere cosa intendesse dire. «Signore», chiese, «intendete percorrere un canale?». «No... ecco, non proprio. Forse. Come faccio a saperlo? So soltanto... in qualche modo... che la mia legione è capace di qualcosa... ecco, di qualcosa di diverso... e di veloce.» Itkovian lanciò un'occhiata a Stonny, poi scrollò le spalle. «Stonny Menackis e io possediamo entrambi cavalli eccezionali. Cercheremo di adeguarci.» «Bene.» «Spada Mortale.» «Cosa c'è, Itkovian?» «Signore, cosa c'è davanti a noi, che vi turba tanto?» «Non ne sono certo, amico, ma ho lo stomaco contratto da una brutta sensazione. Credo che stiamo per essere traditi.» Itkovian rimase in silenzio per un lungo momento. «Signore», osservò poi, «se si contemplano i recenti eventi con occhi spassionati, si potrebbe osservare che il tradimento si è già verificato». Gruntle si limitò a scrollare le spalle, girandosi verso i suoi seguaci. «State compatti, dannati buoni a nulla. Sparpagliatevi all'inizio, e verrete lasciati indietro.» Stonny raggiunse Itkovian, conducendo a mano il cavallo. «Sapete cosa sta per succedere?» le chiese Itkovian. «Probabilmente nulla», ribatté la donna, montando in sella. «Gruntle deve aver picchiato la testa...» Poi si interruppe. Davanti a loro, Gruntle e la sua legione si erano fatti indistinti, dando l'impressione di fondersi in una singola forma striata, bassa e massiccia, che di colpo era scattata in avanti con mosse feline, scomparendo nella notte. «Che Beru ci protegga!» sibilò Stonny. «Seguiamoli!» E spronò il cavallo. E così ebbe inizio una frenetica cavalcata. Nell'oltrepassare l'accampa-
mento di Brood, videro che anch'esso si stava svegliando con considerevole premura, anche se mancava ancora una campana all'alba. E notarono, senza scambiarsi una sola parola di commento, la magia che divampava nel cielo, verso sudovest. A tratti, nell'oscurità, potevano intravedere l'enorme creatura che stavano inseguendo, un opaco insieme di giallo e di striature nere, che pareva muoversi in mezzo a erbe di un'altezza impossibile, quasi sotto le fronde di una giungla intrise di ombre, un fluido movimento letale nella sua rapida silenziosità. Poi il cielo cominciò a rischiararsi e fu possibile vedere l'orizzonte meridionale, con le macchie di alberi e la strada commerciale che si snodava fra di essi. Anche di giorno, la bestia striata continuava ad apparire indefinita sullo sfondo del parco alberato. Con la bocca coperta di schiuma, i cavalli continuarono a galoppare, con passo pesante e irregolare. Itkovian sapeva che nessuno dei due animali si sarebbe ripreso da quella dura prova, che entrambi aspettavano solo la fine del viaggio per crollare morti. Due animali splendidi e coraggiosi; si chiese se valesse davvero la pena di sacrificarli in quel modo. Lui e Stonny percorsero il sentiero che attraversava gli alberi e saliva con una lieve pendenza verso quello che Itkovian ritenne essere un terrapieno di qualche tipo. Direttamente davanti a loro c'erano ora dei carri, e alcune figure che si stavano girando a guardarli. Quegli uomini non mostrarono di aver visto passare la creatura, apparivano calmi, senza traccia di allarme. Itkovian e Stonny oltrepassarono la retroguardia Malazan. La magia crepitò ancora... poco lontano, e i soldati che erano schierati sul costone davanti a loro, rivolti a sud, infransero la formazione in modo confuso e disorganizzato. Itkovian si sentì assalire dallo sgomento, tanto intenso da essere palpabile, un flusso di pura sofferenza, di incommensurabile perdita, e barcollò sulla sella, ma subito si costrinse a raddrizzarsi, pervaso ora da un'urgenza improvvisa e incontenibile. Gridando, Stonny stava dirigendo la cavalcatura incespicante verso destra, lasciando la strada per raggiungere la cima di una collinetta su cui lo stendardo Malazan pendeva inerte nell'aria ferma. Itkovian la seguì più lentamente, l'anima che annegava nell'orrore.
Il suo cavallo smise di galoppare e passò al trotto e poi a un passo barcollante, prima di arrestarsi a zampe larghe a venti passi dalla base della collina... per morire. Stordito, Itkovian sfilò i piedi dalle staffe e si lasciò scivolare a terra. Sulla collina sulla destra, vide Stonny scendere barcollando dal proprio cavallo, sconfitto dalla salita, e proseguire a piedi. Gruntle e i suoi seguaci erano arrivati ed erano di nuovo umani, ma si stavano accalcando sulla collina all'apparenza senza fare nulla. Distogliendo lo sguardo, Itkovian si avviò lungo un lato della strada, che in quel tratto si faceva diritta nel raggiungere la spianata e poi la città. Gelido orrore. Il suo dio era perduto, e non poteva schermare quella sensazione come aveva fatto una volta, mesi prima, su una pianura a ovest di Capustan. Una perdita e un dolore di cui non aveva mai avvertito l'uguale. La verità, che ho sempre conosciuto, nascosta dentro di me, e ora rivelata. Non ho ancora finito. Non ho ancora finito. Continuò a camminare senza vedere i soldati ai suoi lati, tenendosi alla larga dal loro schieramento irregolare e lasciandosi alle spalle l'esercito che ora aveva abbassato le armi, sconfitto prima dell'inizio della battaglia, infranto dalla morte di un uomo. Itkovian però non vide nulla di tutto questo; raggiunto il pendio, proseguì verso il basso, verso il punto in cui i T'lan Imass attendevano, schierati davanti agli ottocento K'Chain Che'Malle. I T'lan Imass, all'unisono, si girarono lentamente verso di lui. Un divampare di canali sulla collina. Con voce ruggente, Gruntle ordinò ai suoi seguaci di prendere posizione sul pendio meridionale. Immobile dopo tante ore, ancora tremante per il potere del suo dio, si sentiva pervadere da una promessa di strage, impassibile ma sicuro, dominato da un intento da predatore che aveva già avvertito in passato, in una città ora lontana, a nord. La sua vista era troppo acuta, ogni minimo movimento attirava la sua attenzione, e d'un tratto si rese conto di avere le scimitarre in pugno. Vide Orfantal emergere da un canale, seguito da Brood, e poco lontano Stonny Menackis, intenta a fissare tre cadaveri. Poi l'Alto Comandante oltrepassò Stonny, lanciando appena un'occhiata ai tre corpi nel dirigersi verso il punto - più vicino a dove Gruntle si trovava - in cui giaceva una
quarta persona, una donna dei Tiste Andii. Due figure erano accovacciate accanto a lei, una con l'anima che ancora si contorceva nella morsa selvaggia della magia del caos, e l'altra... Volpe d'Argento, il volto rotondo rigato di lacrime. Poi vide Kruppe, affiancato da Hetan e da Cafal. Il Daru era pallido, con lo sguardo vitreo, e pareva prossimo a perdere conoscenza... una cosa strana, in quanto non appariva sopraffatto dal cordoglio. Poi Hetan scattò per sorreggerlo quando lui si accasciò. Però l'uomo che Gruntle stava cercando non si scorgeva da nessuna parte. Spostandosi verso la cresta meridionale, Gruntle controllò il posizionamento della sua legione, che stava approntando le armi; più in basso, le Spade Grigie si stavano schierando a loro volta, preparandosi ad avanzare verso la città, una città avviluppata dal fumo, illuminata da scariche di energia magica e dalle esplosioni, una città che si stava dilaniando... Infine lo sguardo di Gruntle trovò l'uomo che stava cercando. Itkovian. Diretto verso i T'lan Imass. Un grido lacerante echeggiò sulla collina, alle spalle di Gruntle, e nel girarsi lui vide Volpe d'Argento alzarsi e ritrarsi da Korlat, girandosi di scatto. Ma adesso le decine di migliaia di T'lan Imass stavano fissando Itkovian. Gruntle vide l'amico rallentare e poi arrestarsi, a venti passi dai guerrieri non-morti. Comprendendo, Volpe d'Argento urlò ancora, cominciò a correre. Sì, Convocatrice, stavi per mandarli contro i K'Chain Che'Malle. Gruntle non aveva bisogno di essere a portata di udito per sapere ciò che Itkovian stava dicendo ai silenziosi T'lan Imass. State soffrendo. Vorrei offrirvi il mio abbraccio... Avvertì l'orrore del suo dio crescere fino a sopraffare quello che lui stesso provava... Mentre i T'lan Imass rispondevano all'offerta, inginocchiandosi, a testa china. Ah, Convocatrice... Adesso, era decisamente troppo tardi. CAPITOLO VENTICINQUESIMO
Non può esistere una vera rappresentazione del tradimento, perché è un momento che si nasconde dentro se stesso, e infligge una comprensione tale che si sarebbe disposti a dare la propria anima pur di poter negare che si sia verificato. Non può esistere una vera rappresentazione del tradimento, ma la raffigurazione che Ormulogun ha dato di quel giorno si avvicina alla realtà più di quanto qualsiasi mortale possa sperare di ottenere... Commentario di N'aruhl su Ormulogun Uccisione di Whiskeyjack Quando un rumore di passi nel corridoio annunciò l'arrivo di un altro ospite - Coll non sapeva se invitato o meno - il consigliere distolse lo sguardo dai due anziani Rath' inginocchiati davanti al sepolcro per appuntarlo sulla figura ferma sulla soglia, priva di maschera, con il volto stranamente indistinto. Con un crepitare di armatura, il Cavaliere della Morte si volse verso il nuovo venuto. «K'rul», disse, «il mio Signore vi dà il benvenuto nella sua sacra dimora». K'rul? A Darujhistan non c'è un vecchio tempio... quello con il campanile... il campanile di K'rul? E un qualche... Incontrando lo sguardo di Murillio, Coll lesse la stessa intuizione sul volto dell'amico. Un Dio Antico è entrato in questa camera, e si trova a pochi passi di distanza. Che Beru ci protegga tutti! Un altro bastardo assetato di sangue che viene dal passato... K'rul avanzò verso la Mhybe. Pur con la gola contratta dalla paura, Coll posò la mano sull'impugnatura della spada e bloccò il passo al Dio Antico. «Aspettate», ringhiò. Con il cuore martellante, incontrò lo sguardo di K'rul e in quegli occhi vide... il nulla. Assolutamente nulla. «Se avete intenzione di aprirle la gola su quell'altare, ebbene, potete anche essere un Dio Antico, ma non ve lo lascerò fare tanto facilmente.» La bocca sdentata di Rath'Togg si aprì in un sussulto, dall'altra parte della fossa. Il Cavaliere della Morte emise invece un suono che poteva essere una risata. «I mortali sono audaci», affermò poi, con una voce che non era più la sua.
Murillio si venne ad affiancare a Coll, portando la mano tremante all'impugnatura dello stocco. K'rul sorrise al guerriero non-morto. «È il loro dono più ammirevole, Hood», affermò. «Finché non li rende bellicosi, forse. Poi, la risposta migliore a esso è l'annientamento.» «La tua risposta, certo.» Il Dio Antico si girò verso Coll. «Non desidero fare del male alla Mhybe. Anzi, sono qui per garantire la sua... salvezza.» «Allora forse ci potrete spiegare perché qui dentro c'è una tomba!» scattò Murillio. «Questo risulterà chiaro con il tempo... spero. Sappiate questo: è successo qualcosa, lontano, a sud. Qualcosa... di inatteso, le cui conseguenze per tutti noi sono ignote. Nondimeno, per la Mhybe è giunto il suo momento...» «E questo cosa vorrebbe dire, esattamente?» domandò Coll. «Ora, deve sognare davvero», replicò il Dio Antico, oltrepassandolo per inginocchiarsi davanti alla Mhybe. Erano svaniti, scomparsi dalla sua anima, e con la loro rimozione... con quello che Itkovian aveva fatto, stava facendo... tutto ciò che aveva sperato di realizzare era stato distrutto, ridotto in macerie. Volpe d'Argento s'immobilizzò, raggelata dallo choc. Il brutale attacco di Kallor le aveva rivelato anche un'altra verità... i T'lan Ay l'avevano abbandonata, una perdita che le lacerava l'anima come un coltello. Ancora una volta, ecco il tradimento, l'assassinio della fiducia, l'antica eredità di Nightchill. Tattersail e Bellurdan, entrambi erano stati uccisi dalle macchinazioni di Tayschrenn, la mano dell'Imperatrice. E adesso... Whiskeyjack. E i due soldati di marina, mie ombre gemelle per tanto tempo. Assassinati. Al di là dei T'lan Imass inginocchiati, erano in attesa i non-morti K'Chain Che'Malle, che peraltro non stavano accennando ad avanzare verso di loro... per ora. Devono solo passare fra le loro file e calare le spade, cominciare a distruggere. I miei figli hanno perso la volontà di resistere, la volontà di continuare. Oh, Itkovian, nobile stolto. E questo esercito mortale... In basso, le Spade Grigie stavano impugnando lance e scudi, preparandosi ad andare alla carica contro i K'Chain Che'Malle. L'esercito di Dujek
stava venendo annientato dentro la città... era necessario aprire una breccia nella Porta Settentrionale. Vide Gruntle, la Spada Mortale di Trake, andare a raggiungere le Spade Grigie con la sua legione malassortita, e gli ufficiali del Malazan spostarsi a cavallo lungo le loro truppe schierate, cercando di rincuorare i soldati affranti. Caladan Brood era inginocchiato accanto a Korlat, e la magia dell'Alto Denul avviluppava la Tiste Andii; Orfantal era in piedi accanto a lui, e lei poteva avvertire in lui il sangue del drago, la sua gelida brama di tornare a combattere. Tutto per niente. Il Veggente e i suoi condor demoniaci, e i K'Chain Che'Malle, li uccideranno tutti. Non aveva scelta, doveva cominciare, sfidare la disperazione e dare inizio a ciò che aveva messo in moto tanto tempo prima. Senza speranza, avrebbe mosso il primo passo su quel sentiero. Volpe d'Argento aprì il canale Tellann. E scomparve al suo interno. L'amore di una madre perdura. Ma io non sono mai stata destinata a essere una madre. Non ero pronta a dare così tanto di me stessa, di un io che avevo appena cominciato a scoprire. La Mhybe avrebbe potuto rifiutarsi, all'inizio, avrebbe potuto sfidare Kruppe, il Dio Antico e l'Imass... cos'erano per lei quelle anime perdute? Tutti Malazan, nemici, terribili nell'impiego della magia, tutti con le mani sporche di sangue Rhivi. I bambini dovevano essere un dono, la manifestazione fisica dell'amore fra un uomo e una donna. E per quell'amore era possibile tollerare ogni sorta di sacrificio. È abbastanza che questa figlia sia scaturita dalla mia carne? Che sia arrivata in questo mondo come fanno tutti i bambini? Il semplice dolore del parto è la fonte dell'amore? Tutti gli altri lo credevano, davano per scontato il legame fra madre e figlio, una naturale conseguenza della nascita stessa. Non avrebbero dovuto farlo. Mia figlia non era innocente. Concepita per compassione, non per amore, concepita con un terribile scopo... assumere il comando dei T'lan Imass, attirarli in un'altra guerra... tradirli. E adesso la Mhybe era intrappolata, perduta in un mondo di sogno trop-
po vasto per essere compreso, dove forze in collisione le imponevano di agire, di fare... qualcosa. Antichi dei, spiriti bestiali, un uomo imprigionato nella sofferenza, in un corpo infranto e deforme. Questa gabbia di costole che ho davanti è la sua? Di colui con cui ho parlato tanto tempo fa? Quello che tanto si contorceva nell'abbraccio di una madre? Siamo forse affini, lui e io? Entrambi intrappolati in un corpo devastato, entrambi condannati a sprofondare sempre più nel tormento e nella sofferenza? La bestia mi attende... l'uomo mi attende. Dobbiamo protenderci una verso l'altro, toccarci, dare e ricevere prova del fatto che non siamo soli. È questo che ci attende? La gabbia di costole, la prigione, deve essere infranta dall'esterno. Figlia, puoi anche avermi abbandonata, ma io non abbandonerò quest'uomo, questo mio fratello. Non poteva esserne del tutto sicura, ma era convinta di aver ricominciato a strisciare. La bestia ululava nella sua mente, una voce pervasa di agonia. Se solo avesse potuto, avrebbe dovuto liberarla. Questo esigeva la compassione. Non l'amore. Ah, ora capisco. Così. Li avrebbe abbracciati, si sarebbe addossato il loro dolore. In questo mondo, dove tutto gli era stato tolto, dove vagava senza uno scopo, appesantito dal fardello della vita e della morte di decine di migliaia di anime mortali, incapace di concedere loro la pace e incapace, per sua scelta, di gettare via quel peso, non aveva ancora finito. Li avrebbe abbracciati, questi T'lan Imass che avevano distorto tutti i poteri del canale Tellann in un rituale che aveva divorato loro l'anima e che li aveva ridotti, agli occhi di tutti gli altri, a poco più di gusci vuoti, animati da un proposito che si erano imposti essi stessi e a cui erano ora incatenati... per l'eternità. Gusci vuoti, all'apparenza, e tuttavia... tutto meno che questo. Quella era una verità che Itkovian non si era aspettato di scoprire, per cui non aveva avuto modo di prepararsi. Sono Insharak Uklan, terzo nato di Inal Thoom e di Sultha A'rad del Clan Nashar che sarebbe diventato il clan stesso di Kron, nella primavera
dell'Anno del Muschio Secco, sotto la Terra del Rame grezzo, e ricordo... Ricordo... Una lepre delle nevi, tremante, a non più di una breve ombra serale dalla mia portata, il mio braccio e la mia mano di bambino che si protendevano. Strisce nel bianco, promessa dell'estate. Mano e lepre tremano, nate insieme nelle nevi appena passate. Si protendono, vite che si toccano... il martellare di un piccolo cuore, la mia risposta alla musica nascosta del mondo... ricordo... Kalas Agkor... le mie braccia erano strette intorno alla piccola Jala, la mia sorellina rovente di febbre; il fuoco però divenne troppo caldo e così, fra le mie braccia, la sua carne divenne gelida come pietra all'alba, il pianto di mia madre... Jala era il carbone ardente ora privo di vita, e da quel giorno, agli occhi di mia madre, io sono stato soltanto il suo letto di cenere... Ulthan Arlad... tracce di bestiame nella neve, la muta degli uccelli, gli ay ai fianchi, avevamo fame in quell'anno, e tuttavia siamo rimasti sulla pista, vecchia com'era... Karas Avho... posseduto il figlio del Divinatore Thal nella Valle del Muschio Profondo, sotto il sole stavamo infrangendo l'antica legge... io la stavo infrangendo, io, compagno di Ibinahl Chode, stavo facendo del ragazzo un uomo prima che il suo cerchio fosse annodato... Nell'Anno del Corno Spezzato, abbiamo trovato cuccioli di lupo... Ho sognato di aver detto di no al Rituale, ho sognato di essermi messo al fianco di Onos T'oolan... Un volto rigato di lacrime, le mie lacrime... Sono Chode, ho visto la mia compagna condurre il ragazzo nella valle, e ho compreso che il bambino sarebbe stato modellato in un uomo... sapendo che sarebbe stata opera delle mani più gentili... La prateria stava bruciando... Ranag nel Cerchio delle corna... L'amavo così tanto... Voci, una marea di ricordi... quei guerrieri non li avevano persi. Erano memorie che avevano conosciuto come creature viventi... racchiuse in corpi morti. Le avevano conservate. Per quasi trecentomila anni. Amico di Onrack dei Logros, che ora... L'ultima volta che l'ho visto era inginocchiato fra i cadaveri della gente del suo clan. Erano stati tutti uccisi sulla strada, ma i Soletaken erano finalmente stati sgominati. Ah, ma a
quale prezzo... Oh, cuore deposto ai suoi piedi, cara Legana Breed. Così intelligente, della massima arguzia, oh, quanto mi faceva ridere... Ci siamo guardati negli occhi, Meanas Lot e io, mentre il Rituale cominciava a imporre le sue esigenze, e vi abbiamo letto la paura... il nostro amore, i nostri sogni di avere altri figli, di riempire il vuoto lasciato da quelli perduti sul ghiaccio, la nostra vita di ombre condivise... il nostro amore, che ora doveva essere abbandonato... Io, Cannig Tol, ho guardato mentre i miei cacciatori scagliavano le loro lance. Lei è caduta senza un suono, l'ultima della sua razza su questo continente, e in quel momento, se avessi avuto un cuore sarebbe scoppiato. Non c'era giustizia in quella guerra, ci eravamo lasciati alle spalle i nostri dei per inchinarci soltanto davanti a un altare di brutalità. È la verità, e io, Cannig Tol, non le volgerò le spalle... La mente di Itkovian si ritrasse barcollando, cercò di arginare quella marea, di impedire alla sua anima di rispondere a quel grido di dolore, al torrente di verità che gli stava infrangendo il cuore. Ai segreti dei T'lan Imass... no, il Rituale... come... per le Zanne di Fener, come avete potuto fare questo a voi stessi? E lei vi ha opposto un rifiuto, a tutti voi... Non poteva sfuggire, aveva abbracciato il loro dolore, e quella marea di ricordi lo stava distruggendo. Erano troppi, troppo intensi... rivissuti, ogni momento rivissuto per tutti quei secoli perduti... stava annegando. Aveva promesso loro la liberazione, ma sapeva ora che avrebbe fallito. Non c'era fine, non aveva modo di abbracciare quel dono malinconico, questo disperato, implorante desiderio. Era solo... Sono Pran Chole, mi devi ascoltare, mortale! Solo. Stava cedendo... Ascoltami, mortale! C'è un luogo... ti posso condurre là! Dovrai portare con te tutto ciò che ti daremo... non lontano, non per molto... trasportaci, mortale! C'è un luogo! Stava cedendo... Mortale! Devi farlo... per le Spade Grigie! Resisti... vinci... e farai loro un dono. Posso guidarti? Per le Spade Grigie... Itkovian si protese... E una mano solida e calda gli afferrò il braccio.
Il terreno strisciava sotto di lei. Licheni... stelo e calice verde, quest'ultimo pieno di rosso; un altro tipo, bianco come l'osso, intricato come il corallo; e sotto di essi, ruvido muschio grigio rivestiva le pietre... un intero mondo, a una spanna dal suolo. Il suo passaggio lento e inesorabile stava distruggendo tutto, tracciando un solco attraverso la fragile architettura di licheni. Avrebbe voluto piangere. Più avanti, ormai vicina, la gabbia di ossa con la pelle chiazzata, la creatura all'interno un'ombra massiccia e informe. Che ancora la chiamava, ripeteva la sua inesorabile richiesta. Protendersi, toccare la macabra barriera. Improvvisamente, la Mhybe s'immobilizzò, bloccata contro il terreno da un vasto peso invisibile. Stava accadendo qualcosa. La terra sotto di lei prese a contorcersi, bagliori luminosi fendettero l'oblio incombente, l'aria divenne d'un tratto rovente. Un rombo di tuono... Piegando le gambe e spingendo con un braccio, riuscì a rotolare supina, il respiro affannoso nei polmoni esausti. E guardò... La mano mantenne salda la presa, e Itkovian cominciò a comprendere. Dietro i ricordi, era in attesa il dolore, tutto ciò che lui era venuto ad abbracciare; al di là dei ricordi, il suo dono di assoluzione, se solo fosse riuscito a sopravvivere. La mano lo stava guidando attraverso un paesaggio mentale, e tuttavia lui stava avanzando a grandi passi come un gigante, la terra lontana sotto di lui. Mortale, abbandona questi ricordi, liberali perché possano inzuppare la terra nel dono della stagione. Mandali alla terra, mortale... tramite te, essi possono ridare la vita a una landa desolata, morente. Per favore. Devi comprendere. I ricordi appartengono al terriccio, alla pietra, al vento, sono il significato invisibile della terra, ciò che tocca l'anima di tutti coloro che la guardano... la guardano davvero. La tocca con il più tenue fra i sussurri, echi antichi e quasi informi, a cui una vita mortale aggiunge i suoi. Nutri questo paesaggio di sogno, mortale. E sappi questo. Noi c'inginocchiamo davanti a te, messi a tacere, nel nostro cuore, da ciò che ci offri, da ciò che offri di te stesso.
Tu sei Itkovian, e vorresti abbracciare i T'lan Imass. Libera questi ricordi... piangi per noi, mortale... Una nube sussultante e ribollente si trovava ora dove prima c'era stata soltanto una cupola informe e incolore, posta a una distanza impossibile... e la nube si stava estendendo, si stava allargando a riempire tutto il cielo, stendendo oscure cortine su arcobaleni illividiti. Lampi chiazzati di carminio saettavano da un orizzonte all'altro. Osservò la caduta, guardò scendere... pioggia, no, grandine... E cominciò, percuotendo il terreno con un ruggito martellante, un suono che le riempiva le orecchie e si faceva sempre più vicino... Fino ad abbattersi su di lei. Urlando, sollevò le mani. Ogni impatto era esplosivo, qualcosa di più di semplice grandine. Vite. Antiche esistenze, da tempo dimenticate. E ricordi... Stavano scendendo come pioggia. Il dolore era intollerabile. Poi esso cessò, un'ombra scivolò su di lei, vicina, una figura curva sotto la grandine martellante. Una mano calda e morbida sulla fronte, una voce... «Non c'è più molta strada, cara ragazza. Questa tempesta... è imprevista...» La voce si interruppe, sussultando sotto le percosse della grandine. «E tuttavia... è meravigliosa. Però non devi fermarti proprio adesso. Avanti, Kruppe ti aiuterà...» Riparandola quanto più poteva dalle raffiche di grandine, cominciò a trascinarla avanti, più vicina... Volpe d'Argento stava vagando senza meta, sperduta, semiaccecata dalle lacrime che scorrevano senza posa. Ciò che aveva cominciato da bambina, su un tumulo da tempo dimenticato fuori dalla città di Pale, ora le appariva patetico. Aveva opposto un rifiuto ai T'lan Imass. Lo aveva fatto con i T'lan Ay. Ma solo per qualche tempo, o almeno quello era stato il suo intento. Un breve periodo, nel quale avrebbe modellato il mondo che li attendeva. Gli spiriti che aveva radunato, che avrebbero servito quell'antico popolo, diventando i suoi dei... era stata sua intenzione che quegli spiriti risanassero i
T'lan Imass, dessero sollievo alla loro anima afflitta. Un mondo dove sua madre sarebbe stata di nuovo giovane. Un mondo di sogno, dono di K'rul e di quel Daru, Kruppe. Un dono d'amore, in risposta a tutto ciò che aveva tolto a sua madre. Ma i T'lan Ay le avevano volto le spalle, avevano ignorato il suo richiamo disperato... e adesso Whiskeyjack era morto. E anche i due soldati di marina, due donne sulla cui solida presenza aveva cominciato a fare affidamento, più di quanto esse avrebbero mai potuto assicurare. Due soldati di marina, morti per difenderla. Whiskeyjack. Tutto ciò che in lei era Tattersail urlava per un dolore inconsolabile. Aveva volto le spalle anche a lui, eppure Whiskeyjack si era parato davanti a Kallor. Lo aveva fatto perché era rimasto l'uomo che era sempre stato. E adesso aveva perduto anche i T'lan Imass. Quell'uomo mortale, Itkovian, Incudine-Scudo senza un dio, che aveva assorbito in sé le migliaia di morti di Capustan... aveva aperto le braccia... Non puoi abbracciare il dolore dei T'lan Imass. Se fosse ancora con te, il tuo dio avrebbe respinto questo pensiero. Non puoi farlo, essi sono un peso eccessivo, e tu non sei che un uomo... solo... non ti puoi addossare il loro fardello. È impossibile. Di un coraggio struggente. Ma impossibile. Ah, Itkovian... Il coraggio l'aveva sconfitta, ma non il suo, che non era mai stato molto... no, il coraggio di coloro che la circondavano, da tutte le parti. Coll e Murillio, con il loro errato senso dell'onore, che avevano rubato sua madre e la stavano senza dubbio vegliando mentre lei moriva lentamente; Whiskeyjack e i due soldati di marina, Itkovian e perfino Tayschrenn, che si era ferito... gravemente... per scatenare il suo canale e allontanare Kallor. Un coraggio così straordinario, e tragicamente errato... Io sono Nightchill, Dea Antica. Sono Bellurdan, il Thelomen. Sono Tattersail, che un tempo era mortale. E sono Volpe d'Argento, Divinatrice in carne e ossa, Convocatrice dei T'lan. E sono stata sconfitta. Da mortali... Sopra di lei il cielo sussultò, e nel sollevare lo sguardo, lei sgranò gli occhi per l'incredulità... Il lupo si stava dibattendo, sbatteva contro le sbarre di osso della sua
gabbia... la sua gabbia... le mie costole. Intrappolato. Morente... E questo è un dolore che condivido. Il suo petto bruciava, ondate di intensa agonia lo sferzavano come provenienti da un punto esterno, una tempesta che riempiva di vesciche la pelle che gli copriva le costole... Ma il dolore non peggiorava, anzi sembrava diminuire, come se con ogni ferita gli fosse stato dato qualcosa, un dono... Un dono? Questa sofferenza? Come... cosa c'è? Cosa viene da me? Qualcosa di antico, così antico. Un insieme di dolce e di amaro, perduti momenti di stupore, di gioia, di dolore... una tempesta di memorie, non sue... così tante che arrivavano come ghiaccio e si scioglievano poi per l'incandescenza dell'impatto, tanto che lui sentì la sua carne intorpidirsi sotto quell'incessante diluvio... Poi venne improvvisamente trascinato via... Si ritrovò a sbattere le palpebre nell'oscurità, il suo unico occhio cieco quanto l'altro, quello che aveva perduto a Pale. Qualcosa gli stava percuotendo le orecchie, un suono assordante. C'erano delle strida e uno sbattere di catene, pavimento e pareti sussultavano, la polvere pioveva dal basso soffitto. Non sono solo qui. Chi è? Cosa c'è? Artigli sfregiarono la pietra vicino alla sua testa, protendendosi frenetici. Mi cerca. Mi vuole. Ma che cosa è? E cosa sono io, per esso? Le esplosioni si stavano facendo più vicine, e adesso da oltre il muro, forse da un corridoio, giungevano anche voci disperate. Un clangore di armi, urla e gorgoglii, un rumore di pezzi di armatura che cadevano al suolo. Toc spostò la testa... e vide qualcosa nell'oscurità. Enorme, strideva senza posa nel protendersi, le mani massicce dotate di artigli si allungavano con fare implorante. Verso di me. Bagliori di luce grigia fendevano la caverna, e per un istante rivelarono il grasso, mostruoso rettile incatenato di fronte a Toc; gli occhi della creatura erano pervasi dal terrore, la pietra che si trovava alla sua portata era sfregiata su ogni lato da innumerevoli solchi, uno scolpito incubo di follia che destò orrore nel Malazan, perché era un incubo che riconosceva dentro se stesso. Lei... lei è la mia anima... In piedi davanti a lui, il Veggente si stava spostando con mosse sussultanti e disperate, mentre il vecchio corpo che lo Jaghut aveva occupato per
tanto tempo andava infine in pezzi; borbottando qualcosa di cantilenante e ignorando Toc, si stava avvicinando sempre di più alla Matrona, alla Madre. L'enorme bestia si ritraeva con uno strisciare di artigli, pressandosi contro la parete con strida incessanti che echeggiavano nella caverna. Il Veggente aveva in mano qualcosa, un oggetto pallido, liscio e oblungo... un uovo, non di uccello ma di lucertola, rivestito di magia grigia che si andava intensificando a ogni nuova parola del canto del Veggente. Toc vide qualcosa esplodere dal corpo della Matrona, una vampata di potere che cercò di fuggire verso l'alto, ma venne invece intrappolata dalla rete di magia, che la trascinò nell'uovo che il Veggente teneva in mano. Le strida della Matrona cessarono di colpo ed essa si accasciò con un gemito inarticolato. Nel silenzio quasi doloroso che regnava ora nella caverna, Toc poté sentire con maggiore chiarezza il rumore della battaglia in corso nel corridoio, suoni che si andavano avvicinando sempre di più. Stringendo a sé il Finnest, il Veggente si girò di scatto a fissare Toc, e il sorriso dello Jaghut spaccò le labbra disseccate del cadavere umano. «Torneremo», sussurrò. La magia fluì nuovamente, ci fu un tintinnare di pesanti catene sul pavimento, poi tornò l'oscurità. E Toc comprese di essere ora solo nella caverna: il Veggente aveva preso il potere di sua madre e poi aveva preso con sé anche lei. Il lupo tornò a dibattersi nel suo petto, scatenandogli fitte di dolore lungo gli infranti arti deformi. Esso desiderava liberare i suoi ululati, chiamare la sua amata e i suoi fratelli, ma non riusciva a respirare... Non può respirare. Sta morendo. La grandine, questi doni selvaggi, essi non significano nulla. Con me, scelta fatale del dio, moriremo entrambi... Il rumore del combattimento era cessato. Toc sentì spezzarsi delle sbarre di ferro, una dopo l'altra, udì il metallo cadere rumorosamente sul pavimento di pietra. Poi qualcuno gli si sistemò accanto, una mano che era poco più che ossa e tendine gli si posò sulla fronte. Il Malazan non poteva vedere, perché non c'era luce, ma quella mano era fresca, il suo tocco gentile. «Hood? Sei dunque venuto a prenderci?» Quelle parole, pronunciate con chiarezza nella sua mente, emersero come suoni incomprensibili, e lui si rese conto di non avere più la lingua.
«Ah, amico mio», replicò la figura, con voce rauca. «Sono io, Onos T'oolan, un tempo del Clan Tarad dei Logros T'lan Imass, ma ora fratello di Aral Fayle, di Toc il Giovane.» Picker adocchiò la breccia. La spavalderia che aveva generato la sua decisione di seguire il T'lan Imass nella fortezza non era sopravvissuta all'improvviso riaffiorare della cautela, una volta che erano giunti in vista della fortezza. Essa era sotto assalto, e il nemico che l'aveva invasa, chiunque fosse, aveva sollevato un vero vespaio. I K'Chain Che'Malle stavano riattraversando di corsa le porte, detonazioni magiche scuotevano l'intera struttura, Urdomen e Bekliti percorrevano di corsa i bastioni, mentre contorte spirali di energia grigia si levavano verso il cielo dal tetto meridionale, collegando fra loro la ventina di condor che volteggiavano su di esso. Più oltre, sul porto, un'enorme nube temporalesca occupava il cielo, solcata dai lampi che scaturivano dalle sue tumultuose profondità. Il tenente si volse a guardare ciò che restava della sua squadra. Come si era aspettata, avevano perso i tre soldati feriti più gravemente... non che il resto degli Arsori di Ponti accovacciati accanto a lei nella strada invasa di fumo fosse stato risparmiato... Picker stava vedendo fin troppo sangue sulle uniformi chiazzate di fuliggine raccolte alle sue spalle. A nordovest, il fragore della battaglia persisteva, senza però avvicinarsi. Picker sapeva che Dujek avrebbe cercato di arrivare alla fortezza, se solo fosse stato possibile, ma da quello che stava sentendo pareva invece che venisse costretto a indietreggiare, una strada dopo l'altra. La loro mossa era fallita. Lasciandoci abbandonati a noi stessi. «K'Chain Che'Malle!» sibilò un soldato, in fondo al gruppo. «In arrivo alle nostre spalle!» «Allora non c'è altro da fare», borbottò Picker. «Alla breccia di Hedge, di corsa!» Gli Arsori di Ponti attraversarono a precipizio la strada cosparsa di macerie. Blend fu la prima a oltrepassare i resti della torre. Immediatamente oltre c'era un edificio diroccato... di cui rimanevano tre pareti e metà del tetto... nella cui polverosa oscurità s'intravedeva quella che poteva essere una porta, sulla sinistra del muro più lontano. Due passi più indietro, Picker superò d'un balzo i massi accumulati per
atterrare scivolando sul pavimento della stanza, andando così a sbattere contro Blend, che stava indietreggiando con un'imprecazione. Inciampando una nell'altra, le due donne caddero a terra. «Dannazione, Blend!» «Guardie!» «Picker!» chiamò una terza voce. «Tenente!» Mentre gli Arsori di Ponti le si raccoglievano intorno, Picker si sollevò a sedere e vide emergere dall'ombra Hedge, Bluepearl e altri sette Arsori di Ponti... quelli che erano saliti sulle mura con le balestre ed erano sopravvissuti alle conseguenze. «Abbiamo cercato di tornare da te.» «Non importa, Hedge», affermò Picker, rialzandosi in piedi. «Hai agito nel modo giusto, soldato, credimi.» Hedge sollevò con un sogghigno una mina che aveva in mano. «Ne ho conservata una...» «È passato di qui un T'lan Imass?» «Sì, un vero bastardo, non ha guardato né a destra né a sinistra, si è limitato a oltrepassarci, addentrandosi nella fortezza.» «Abbiamo quel K'Chain Che'Malle che ci sta arrivando alle spalle!» gridò un Arsore di Ponti alla retroguardia. «Oltrepassate quella porta laggiù!» stridette Hedge. «Fate largo, idioti! Stavo aspettando proprio questo...» Mentre lo zappatore tornava verso la breccia, Picker cominciò a spingere i soldati verso la parete di fondo; gli eventi che seguirono si accalcarono indistinti nella sua mente. Blend l'afferrò per un braccio e la scagliò di peso verso la soglia, che i suoi soldati stavano già varcando a precipizio, verso ciò che c'era al di là; il tenente imprecò, ma le mani di Blend contro la sua schiena la spinsero a faccia in avanti oltre l'apertura. Contorcendosi con un ringhio, vide da sopra la spalla di Blend... Il K'Chain Che'Malle che pareva fluire al di sopra delle macerie, le lame già sollevate... ed Hedge che alzava lo sguardo soltanto per scoprire di essere a quattro soli passi dalla creatura lanciata alla carica. Picker lo sentì grugnire, un suono fugace e soffocato. Poi lo zappatore scagliò la mina contro il terreno. Il K'Chain Che'Malle stava già calando le due enormi spade, ma l'esplosione lo batté sul tempo. Blend e Picker furono catapultate oltre la soglia, e la testa del tenente
venne spinta all'indietro dal rumoroso, scandito impatto dei pezzi di pietra scagliati contro l'elmo e la visiera abbassata; i frammenti che riuscirono a passare le fecero bruciare dolorosamente il volto, le riempirono il naso e la bocca di sangue. Assordata, barcollò all'indietro fra nubi di polvere e di fumo. C'erano voci che urlavano, un suono molto lontano che però si stava rapidamente avvicinando a circondarla. E pietre che cadevano... in mezzo a quel caos, una trave portante rivestita di catrame e avvolta dalle fiamme piombò al suolo, accompagnata da un sonoro tonfo unito a uno scricchiolare di ossa e a un rantolo di agonia, così vicino che Picker si chiese se non fosse stata lei stessa a emetterlo. Delle mani tornarono ad afferrarla, la fecero girare e la spinsero lungo quello che sembrava un corridoio. Una galleria di fumo e di polvere... niente aria... un martellare di stivali, cieche collisioni, imprecazioni... oscurità... che si dissipò improvvisamente. Sputando sangue, tossendo, Picker avanzò barcollando in mezzo ai suoi soldati. Intorno a loro, c'era una stanza disseminata di Bekliti morti, la porta sul lato opposto pareva essere stata infranta da un singolo pugno. In alto, una singola lanterna oscillava appesa a un gancio. «Guardate!» grugnì qualcuno. «Un cane ha rosicchiato il mento del tenente!» Non era neppure una battuta... era la semplice, assurda follia della battaglia. Scrollando la testa con una pioggia di sangue, Picker sputò ancora ed esaminò il suo contingente con occhi che bruciavano e lacrimavano. «Blend?» chiamò, parlando a fatica ma in maniera comprensibile. Silenzio. «Bucklund... torna nel corridoio e trovala!» Il sergente della dodicesima squadra fu di ritorno un momento più tardi, trascinando oltre la soglia un corpo intriso di sangue. «Respira ancora... solo Hood sa come! Ha la schiena piena di schegge di pietra!» Picker si lasciò cadere in ginocchio accanto all'amica. «Razza di dannata idiota», borbottò. «Dovremmo avere Mallet qui con noi», brontolò Bucklund, accanto a lei. Già, e non è il solo errore di questa partita nata male. «Oh», esclamò una voce femminile. «Voi non siete Pannion!» Tutte le armi vennero rivolte verso la porta infranta.
Sulla soglia c'era una donna avvolta in un telaba di un candore abbagliante, con lunghi e lucidi capelli neri incredibilmente puliti, perfettamente pettinati. Occhi di una bellezza incredibile li stavano scrutando. «Avete visto per caso tre guerrieri mascherati? Dovrebbero essere passati di qui alla ricerca della sala del trono, supponendo che ce ne sia una, naturalmente. Possibile che abbiate sentito combattere...» «No», ringhiò Bucklund. «Voglio dire, sì, abbiamo sentito combattere, signora, ovunque...» «Taci», sospirò Picker, poi si rivolse alla donna: «Non abbiamo visto nessun guerriero mascherato...». «Cosa mi dite di un T'lan Imass?» «Sì, in effetti...» «Eccellente! Ditemi, ha ancora tutte quelle spade che la trafiggono? Non riesco a immaginare che le abbia lasciate...» «Quali spade?» domandò Picker. «E poi, credo fosse un maschio.» «Lo era», interloquì un altro soldato, una donna, poi arrossì quando i suoi compagni si girarono a guardarla sogghignando. «Un T'lan Imass maschio?» La donna vestita di bianco si accostò un dito alle labbra piene, pensosa, poi sorrise. «Deve essere Tool! Eccellente!» Poi il sorriso svanì. «A meno, naturalmente, che Mok non lo trovi per primo...» «Chi siete?» volle sapere Picker. «Mia cara, sta diventando sempre più difficile capire quello che dite, con tutto quel sangue e tutto il resto. Ritengo siate Malazan, giusto? Ignari alleati, e tutti così spaventosamente feriti. Ho un'idea, davvero splendida... tutte le mie idee lo sono, naturalmente. Splendide, voglio dire. Vedete, noi siamo qui per salvare un certo Toc il Giovane, un soldato di...» «Toc il Giovane?» ripeté Picker.«Toc! Ma lui è...» «Prigioniero del Veggente, purtroppo. Un fatto sgomentante, e io detesto sentirmi sgomenta. Mi irrita in modo indicibile. Ora, come stavo dicendo, ho un'idea. Aiutatemi nel salvataggio e io risanerò quelli di voi che ne hanno bisogno... il che pare valere per tutti voi.» «Affare fatto.» Picker indicò Blend. «Cominciate da lei.» Mentre la donna avanzava nella stanza, Bucklund lanciò un grido allarmato e si ritrasse dalla soglia. Sollevando lo sguardo, Picker vide un lupo massiccio fermo nel retrostante corridoio, gli occhi che brillavano nella penombra polverosa. La donna si guardò alle spalle. «Oh, non vi preoccupate, quella è Baal-
jagg. Quanto a Garath, è da qualche parte, impegnato a uccidere Pannion, suppongo. Pare aver sviluppato una predilezione per i Seerdomin... ora vediamo questa poveretta... coraggio, cara, vi rimetteremo a posto in un momento...» «Nel nome di Hood, cosa sta succedendo laggiù?» Dall'altro lato del basso muro, una rampa di gradini dava accesso al parapetto che si affacciava sul porto e sulla baia retrostante... o almeno questo supponeva Paran, in quanto era la sola ipotesi che avesse senso. In ogni caso, un approdo di qualche tipo stava venendo conteso, e a giudicare dalle urla, ciò che stava salendo verso il tetto piatto stava seminando strage fra i difensori. Accanto a lui, Ben lo Svelto sollevò appena la testa. «Non lo so, e non ho intenzione di sporgermi a guardare», rispose. «Speriamo però che si tratti di un'utile diversione. Non potrò continuare per molto a tenerci nascosti qui senza che quei condor ci trovino.» «Qualcosa li sta tenendo occupati, e lo sai anche tu», affermò Spindle. «Se solo uno di essi si fosse preso il tempo di cercarci davvero... adesso saremmo già mangime per i piccoli del suo nido.» «Hai ragione.» «Nel nome di Hood, allora cosa ci facciamo ancora qui?» Una buona domanda. Girandosi, Paran spinse lo sguardo lungo il tetto, verso nord, dove c'era una botola. «Siamo ancora qui», replicò Ben lo Svelto, «perché è dove dobbiamo essere...». «Un momento», ringhiò Paran, sollevando una mano per asciugare quello che credeva essere sudore; invece, la ritrasse sporca di rosso... i punti alla tempia avevano ceduto. «Non è del tutto esatto, Ben. Qui è dove dobbiamo essere io e te. Mallet, se rimane qualcosa degli Arsori di Ponti, quei pochi adesso avranno bisogno di te.» «Sì, capitano, e saperlo mi sta torturando.» «D'accordo, allora ascolta. I fuochi stessi dell'Abisso si sono scatenati nella fortezza, sotto di noi. Non ho idea di chi stia combattendo, però sappiamo che non è amico dei Pannion, perciò... Mallet, prendi con te Spindle e gli altri. Quella botola laggiù sembra abbastanza fragile da rompersi, anche se fosse sprangata.» «Sì, capitano, ma come facciamo ad arrivare fin là senza essere visti?» «Spindle ha ragione riguardo ai condor: sono occupati da qualcosa d'al-
tro, e sembrano sempre più agitati a ogni minuto che passa. Una breve corsa, guaritore, ma se non te la senti di rischiare...» Mallet guardò verso Spindle, Detoran e Trotts, poi spostò lo sguardo su Antsy, che annuì. «D'accordo, signore», sospirò il guaritore. «Ci proveremo.» Paran lanciò un'occhiata a Ben lo Svelto. «Qualche obiezione, mago?» «No, capitano. Quanto meno...» Non concluse la frase. Quanto meno, avranno maggiori probabilità di uscirne vivi. Ho capito, Ben. «Va bene, Mallet. Quando vi sentite pronti, andate.» «Buona fortuna, capitano.» «Anche a te, guaritore.» La squadra si lanciò verso la botola. Dujek trascinò il soldato ferito oltre la soglia, e soltanto allora si accorse che le gambe dell'uomo erano rimaste indietro, e che la scia di sangue che arrivava fino a esse si assottigliava visibilmente nel raggiungere la porta. Lasciando andare il cadavere, si accasciò contro lo stipite. Il K'Chain Che'Malle aveva devastato la sua compagnia in una manciata di secondi, e pur avendo perso un braccio, non aveva rallentato minimamente nel lanciarsi verso ovest... in cerca di un'altra compagnia di impotenti Malazan. Adesso le guardie del corpo di Dujek, membri scelti della fanteria pesante Untan, giacevano in pezzi davanti all'edificio in cui avevano spinto il Gran Pugno. Come avevano giurato di fare, avevano dato la vita per difenderlo, ma in quel momento Dujek avrebbe preferito che avessero fallito... o, meglio ancora, che fossero fuggite. Impegnata in battaglia fin dall'alba contro Bekliti, Urdomen e Seerdomin, l'Armata di Un-braccio era riuscita a mantenere egregiamente le posizioni, e quando erano apparsi i primi K'Chain Che'Malle, le munizioni Moranth - granate e proiettili incendiari - avevano distrutto i Cacciatori K'ell non-morti, sorte toccata anche alla seconda ondata. Quando era giunta la terza, però, le granate erano ormai esaurite, e i soldati erano morti a decine. La quinta e sesta ondata erano state affrontate soltanto con le spade, e la battaglia era diventata una strage. Dujek non aveva idea di quanti fossero i superstiti fra i cinquemila Malazan trasportati in città, e non riteneva che esistesse più una difesa coordinata. La battaglia si era trasformata in una caccia, i K'Chain Che'Malle impegnati a ripulire le sacche di resistenza Malazan.
Fino a poco tempo prima, aveva continuato a sentire rumori di combattimento - di mura che crollavano e forse anche di magia - provenienti dalla fortezza, anche se adesso cominciava a pensare che forse si era sbagliato; la nube di tempesta che incombeva nel cielo verso sud era essa stessa scossa da rombi di tuono, gli archi di luce dei fulmini che solcavano il cielo per trapassare il sottostante mare in tempesta, la cui furia ora sovrastava ogni altro suono. Un rumore di stivali alle sue spalle lo indusse a girarsi con la spada spianata. «Gran Pugno!» «A che compagnia appartieni, soldato?» «Undicesima, signore», annaspò la donna. «Il capitano Hareb ha mandato una squadra a cercarvi, signore, ma rimango soltanto io.» «Hareb resiste ancora?» «Sì, signore. Stiamo collezionando trofei... pezzi di K'Chain Che'Malle.» «E come ci state riuscendo, nel nome di Hood?» «Grazie a Twist, signore. Lui era a capo di quel volo finale che ha portato le ultime munizioni, soprattutto mine e granate, Gran Pugno. Adesso gli zappatori stanno minando gli edifici a mano a mano che ci ritiriamo e stanno facendo crollare tonnellate di pietra e mattoni su quelle dannate lucertole... chiedo scusa, signore, sui Cacciatori K'ell.» «Dov'è adesso la compagnia di Hareb, soldato?» «Non è lontana, Gran Pugno. Seguitemi.» Hareb, quel nobile di Sette Città con quel suo perpetuo sorrisetto. Per gli dei, potrei baciarlo. Nel portarsi alla testa della sua legione, Gruntle vide l'Incudine-Scudo delle Spade Grigie venire verso di lui. «Vi saluto, signore», disse, arrestando il cavallo; soltanto la parte inferiore del suo volto era visibile, sotto le larghe protezioni per le guance dell'elmo. «Stiamo per avanzare contro il nemico... vorreste posizionarvi sul nostro fianco?» «No, Incudine-Scudo», replicò il Daru, con una smorfia. La donna esitò, poi annuì bruscamente e raccolse le redini. «Come desiderate. Non c'è disonore nel rifiutare uno scontro suicida.» «Mi avete frainteso», la interruppe Gruntle. «La mia legione avanzerà per prima, e voi ci seguirete come meglio potrete. Attraverseremo quel ponte di pietra, puntando dritti verso le porte. Ammetto che sembrano abbastanza solide, ma potremmo riuscire ad abbatterle.»
«Stiamo entrambi cercando di portare soccorso a Dujek Un-braccio. Ne convenite, Spada Mortale?» «Sì.» E sappiamo entrambi che falliremo. Un suono di corni, unito al rullare scandito dei tamburi Malazan, li indusse a voltarsi. L'alfiere, intorno a cui la magia vorticava ora come una scia di punti dorati, pareva aver assunto il comando e stava convocando gli ufficiali delle diverse compagnie. Lungo la linea, si stava formando il muro di scudi, le picche alte due metri oscillavano come canne al vento al di sopra dei soldati... un'insolita traccia di incertezza che Gruntle trovò preoccupante. Un messaggero inviato da Artanthos si diresse al galoppo verso di lui e l'Incudine-Scudo. «Signori!» esclamò, arrestando il cavallo. «Il Grande Mago Tayschrenn vorrebbe conoscere le vostre intenzioni.» «Tayschrenn, eh?» ribatté Gruntle. «Sentiamo prima cosa vuole fare lui.» «Lui pensa a Dujek, signori. Questi K'Chain Che'Malle devono essere messi in rotta, le porte forzate per attaccare i difensori...» «E cosa farà il Grande Mago, personalmente?» chiese l'Incudine-Scudo. «Ci sono maghi sulle mura, signore. Tayschrenn si sforzerà di impedire che intervengano, mentre Orfantal e i suoi Tiste Andii parteciperanno all'attacco contro i K'Chain Che'Malle, come pure gli sciamani dei Barghast.» «Informa il Grande Mago che la legione di Trake inizierà la carica, supportata dalla mia compagnia», affermò l'Incudine-Scudo. Il soldato salutò e tornò verso le linee dei Malazan. Gruntle si girò a esaminare i suoi seguaci, meravigliandosi ancora una volta per l'effetto che il dono del Signore dell'Estate aveva avuto su quei cupi Capan. Siamo come i D'iver... solo al contrario. Da molti, uno solo... e quale potere! Avevano viaggiato rapidi come un'ombra che fluisse, e Gruntle si era trovato a guardare il mondo con gli occhi di una tigre... no, non di una semplice tigre, ma di una creatura immortale dalla forza illimitata, una massa di muscoli e di ossa nella quale era racchiusa la legione. La sua legione. Una volontà unita, tesa a un unico scopo. E adesso sarebbero diventati di nuovo quella bestia, questa volta per combattere. Il suo dio sembrava nutrire un odio particolare per quei K'Chain Che'Malle, come se avesse avuto con loro un conto da saldare, e adesso la
freddezza assassina stava cedendo il posto alla sete di sangue, una realizzazione che lo turbava vagamente. Il suo sguardo si spostò verso la cima della collina e Caladan Brood, accanto al quale Korlat si stava lentamente rialzando in piedi. Per lui la distanza era irrilevante, e poteva vedere che la donna era coperta di sangue, poteva avvertire il dolore nauseante che l'aggrediva a ondate. Il canale di Brood è sofferente, e se è così, allora deve esserlo anche... Girandosi, guardò verso Artanthos... il Grande Mago Tayschrenn... che era fermo davanti ai Malazan schierati. Ah, vedo il prezzo che sta pagando... «Incudine-Scudo.» «Signore?» «Guardatevi dai maghi sulle mura cittadine.» «Stiamo aspettando voi, signore.» Gruntle annuì. Un momento più tardi, la Spada Mortale e la sua legione divennero una cosa sola, ossa e muscoli che si fondevano, identità... vite intere... spazzate via sotto un diluvio di fredda furia animalesca. Un vortice fulvo che scattò in avanti con mosse fluide. I K'Chain Che'Malle sollevarono le armi, attendendo dove si trovavano. Di nuovo. Abbiamo già fatto questo in passato... No, non noi, il nostro Signore. Carne morta lacerata... gli spruzzi di sangue... sangue... oh, Hood... Kurald Galain, l'oscurità all'interno dell'anima che fluiva all'esterno, pervadendole gli arti ed estendendosi a inghiottire i suoi sentimenti... dando il conforto dell'oblio. In piedi, con la schiena rivolta alle tre figure prive di vita, che ancora giacevano dove erano cadute, Korlat attinse in silenzio al potere del suo canale... incerto, attenuato a tratti da ondate di dolore... e si protese a cercare la sua gente. Caladan Brood era al suo fianco, con il martello in mano. L'Alto Comandante le stava parlando, il rombo della sua voce distante quanto il tuono che echeggiava sul mare, all'orizzonte. «Tardo pomeriggio, non prima, e per allora sarà tutto finito da tempo... in un modo o nell'altro. Korlat, per favore, ascoltami. Devi cercare il tuo Signore... guarda quella nube di tempesta, è possibile che la Progenie della Luna si nasconda in essa? Ha detto che sarebbe venuto. Al momento giusto. Ha detto che avrebbe colpito.» Korlat non lo stava più sentendo. Orfantal stava cambiando forma, là davanti all'esercito ora in marcia, una grande forma nera che si espandeva,
le ali che si allargavano, il collo sinuoso levato in alto... poi la magia prese a pulsare e il drago spiccò il volo... Una decina di condor si allontanarono dalla fortezza, ciascuno collegato agli altri da una vibrante catena di magia del caos. Sulla pianura sottostante, la bestia che era la spada Mortale di Trake e la sua legione sembrava apparire e sparire, resa indistinta dal suo movimento letale... poi si abbatté sulle schiere dei K'Chain Che'Malle. La magia chiazzò l'aria intorno all'area dell'impatto, in veli spruzzati di sangue, un maelstrom selvaggio solcato dal balenare delle lame. Un Cacciatore K'ell barcollò e crollò, le ossa infrante, poi la tigre enorme si contorse di lato, i fianchi lacerati dalle lame. Dove si abbattevano le spade, figure umane si staccavano dalla bestia enorme, con gli arti troncati, il corpo sventrato, la testa schiacciata. Intanto una forza magica si stava addensando sulla sommità delle mura cittadine. Korlat vide Artanthos... Tayschrenn... farsi avanti per rispondere a essa. Un'onda dorata apparve all'improvviso alle spalle dei K'Chain Che'Malle, si sollevò per un momento, accrescendosi, poi rotolò in avanti. Il terreno su cui essa rotolò nel dirigersi verso le mura prese a bruciare intensamente, poi l'onda si sollevò e prese a inerpicarsi verso i maghi Pannion. Questo... questo è ciò che è stato scagliato contro la Progenie della Luna, ciò contro cui ha lottato il mio Signore. Solo, di fronte a un simile potere... Il terreno tremò sotto i suoi piedi quando l'onda si abbatté sulla cima del muro, a ovest delle porte, accecante... questo è l'Alto Telas, il Canale del Fuoco... figlio di Tellann... La magia del caos esplose dalla conflagrazione, come una scarica di mitraglia, poi il fuoco si disperse. La parte superiore delle mura, dalle vicinanze delle porte per una quarantina di passi verso ovest, era svanita, e con essa almeno una decina di maghi Pannion. Sul campo di battaglia, la legione di Trake era adesso circondata dai K'Chain Che'Malle, la cui velocità era pari a quella della bestia enorme. Molti Cacciatori K'ell stavano cadendo, ma la tigre stava subendo una sorte peggiore. Tutte a cavallo, le Spade Grigie stavano cercando di aprire alla belva una via di uscita sull'altro lato. Strane lance uncinate venivano conficcate da dietro nel corpo dei Cacciatori, facendoli inciampare quando si giravano
per colpire il nemico che li incalzava; molti lacci solcarono l'aria, serrandosi intorno a colli e arti. Una grigia onda di magia scaturì dai maghi sulle mura a est delle porte, oltrepassò quanti stavano combattendo sulla piana sottostante e si levò nell'aria... per colpire Artanthos. Un corrusco velo di fuoco incontrò quell'assalto, ed entrambe le magie parvero divorarsi a vicenda. Quando svanirono, Artanthos era in ginocchio, e alcuni soldati stavano correndo verso di lui dalle linee Malazan. Si è esaurito. Troppo presto... «Korlat!» Quel ruggito la scosse. Sbattendo le palpebre, si girò verso Brood. «Cosa c'è?» «Chiama il tuo Signore, Korlat! Chiamalo!» Chiamarlo? Non posso. Non potrei... non oso. «Korlat! Guarda quella dannata nube temporalesca!» Lei girò il capo. Oltre la città, in ascesa nel cielo in un ribollire di colonne torreggianti, la nube temporalesca si stava lacerando mentre si sollevava, con frammenti sempre più grossi che si staccavano, e la luce del sole che cominciava ad attraversarla. La Progenie della Luna... non è all'interno... quella nube non nasconde nulla... niente se non vuota, insensata violenza. Si sta dissipando. Chiamarlo? La disperazione l'aggredì, e si sentì rispondere con voce atona. «Anomander Rake non è più, Alto Comandante.» Lui è morto. Deve esserlo... «Allora aiuta tuo fratello, donna! Lo stanno assalendo.» Sollevando lo sguardo, Korlat vide Orfantal che, in alto nell'aria, era incalzato da una serie di piccoli punti da cui la stregoneria saettava tagliente verso il drago nero. Fratello... Korlat tornò a guardare verso i Malazan, che stavano ora marciando verso i K'Chain Che'Malle. L'oscurità scese ad ammantarli... il sussurro di Kurald Galain. Un sussurro... niente più di questo... «Korlat!» «Allontanati da me, Alto Comandante. Ora cambierò forma... e raggiungerò mio fratello.» «Quando avrete finito con quei condor...» Korlat volse le spalle al campo sottostante. «Questa battaglia è persa, Caladan Brood. Sto andando a salvare Orfantal.» Senza attendere risposta, si avviò giù per il pendio, liberando al tempo stesso il potere che era in lei.
Il sangue di drago, freddo come il ghiaccio nelle sue vene, prometteva morte, una fame brutale e inflessibile. Ali, nel cielo. La testa triangolare si inclinò da un lato, fissando i condor che volavano in cerchio intorno a Orfantal. Gli artigli si contrassero, poi si distesero, pieni di trepidazione. Caladan Brood era fermo al limitare estremo del pendio, il martello fra le mani. I K'Chain Che'Malle avevano interrotto l'attacco contro la legione di Trake in quanto la gigantesca tigre stava morendo, circondata da ogni parte da lame saettanti, e stavano ora avanzando in mezzo alla massa dei Malazan, mietendo decine di vittime fra i soldati; altri incalzavano le Spade Grigie, i cui ranghi erano stati sparpagliati dai troppo rapidi Cacciatori K'ell. I Barghast erano avanzati su entrambi i fianchi, con il solo risultato di aggiungere il loro al sangue che stava venendo versato. Lentamente, l'Alto Comandante si girò a esaminare la sommità della collina, alle sue spalle. Tre corpi; più in là, quattro soldati Malazan che avevano trasportato fin lì Kruppe, tuttora svenuto, e lo stavano adagiando al suolo. Brood si soffermò a fissare Kruppe, chiedendosi il motivo di quel suo improvviso e inesplicabile collasso, poi tornò a voltarsi. Decine di migliaia di T'lan Imass erano ancora inginocchiati immobili davanti a Itkovian, che si era accasciato al suolo a sua volta, mortale riflesso dei non-morti. Qualsiasi cosa stesse succedendo, li aveva portati molto lontano, in un luogo da cui non sembrava che sarebbero tornati... almeno non prima che fosse troppo tardi. Non ho scelta. Burn... perdonami... Rivolto di nuovo verso la città e verso le masse che combattevano davanti a essa, l'Alto Comandante sollevò lentamente il martello. E s'immobilizzò. Arrivarono a un ennesimo corridoio pieno di morti e di moribondi. «Signora», osservò Picker, accigliandosi, «in quanti sono, in questo esercito Seguleh di cui ci avete parlato?». «In tre, mia cara. È chiaro che siamo sulla strada giusta...» «La strada giusta per cosa, Lady Invidia?»
La donna si volse. «Hmmm. Una domanda interessante. Senza dubbio, i Seguleh sono impazienti di ottenere udienza presso il Veggente, ma chi può dire se il Veggente abbia Toc il Giovane con sé? Non è invece più probabile che il nostro amico sia in catene in qualche sotterraneo?» «In fondo, sembra che ci sia una specie di pianerottolo», osservò Blend, che era accanto a Picker. «Potrebbero esserci delle scale.» «Avete occhi acuti», mormorò Lady Invidia, con apprezzamento. «Baaljagg, cara cucciola, vuoi precederci?» L'enorme lupa li oltrepassò senza rumore, riuscendo a mantenere un passo silenzioso perfino nel calpestare i corpi che erano sparsi lungo il corridoio; in fondo si arrestò e si girò a fissarli con occhi simili a carboni ardenti. «Ah, segnala che è tutto sgombro», sospirò Lady Invidia, battendo piano le mani. «Venite, dunque, cupi Malazan.» Mentre avanzavano, Blend tirò Picker per una manica. «Tenente», sussurrò, «più avanti stanno combattendo». Arrivati al pianerottolo, trovarono mucchi di Urdomen morti, i cadaveri stesi sui gradini che portavano in alto; una seconda rampa di scale di pietra che portava in basso era coperta soltanto da uno strato di sangue proveniente dal pianerottolo. Prima di cominciare a scendere, Blend si chinò a esaminare la scala. «Ci sono delle tracce, nel sangue», disse. «Tre gruppi... le prime sono... ossute, e sono seguite da qualcuno che porta mocassini... direi una donna...» «Mocassini?» ripeté Lady Invidia, perplessa. «Davvero strano. Le tracce ossute sono probabilmente quelle di Tool o di Lanas Tog, ma chi può essere al seguito dell'uno o l'altro di loro? Che mistero! E le ultime tracce?» «Stivali logori», rispose Blend, scrollando le spalle. «Un uomo.» Il rumore di combattimento che Blend aveva udito in precedenza era adesso udibile per tutti... proveniente dalla cima delle scale e distante, forse al piano più alto, che era almeno una mezza dozzina di livelli più in su rispetto a loro. Baaljagg, che si era portata zoppicando accanto a Blend, abbassò la testa ad annusare le impronte che portavano in basso, e un istante più tardi saettò giù per la scala come un lampo grigio, scomparendo alla vista. «Bene», commentò Lady Invidia, «il problema sembra essere risolto, non credete? Quella cucciola sofferente ha una certa sensibilità... per Toc il Giovane. Un'affinità, per essere più precisi». «Chiedo scusa», scattò Picker, «ma si può sapere di cosa state parlando,
nel nome di Hood?». Un'altra affermazione ermetica come questa e le spaccherò la testa. «Siete stata scortese, ma ammetto comunque che la cosa, pur essendo un segreto, non mi riguarda, per cui mi sento libera di parlarne.» «Oh, bene, pettegolezzi», borbottò uno dei soldati alle spalle di Picker. «Chi lo ha detto?» domandò Lady Invidia, girandosi di scatto. Nessuno parlò. «Ci tengo sappiate che aborro i pettegolezzi! Ora, volete che vi racconti la storia di due antichi dei, ciascuno dei quali ha trovato un corpo mortale... o per meglio dire, uno alquanto mortale nel caso di Baaljagg, e un altro fin troppo mortale nel caso di Toc il Giovane?» Picker la fissò perplessa, e stava per ribattere quando uno dei suoi soldati lanciò una sentita imprecazione, accompagnata da un clangore di spade... e da urla. Una ventina di Urdomen erano appena arrivati alle spalle della squadra, e nel corridoio era scoppiato un violento scontro a distanza ravvicinata. Protendendo di scatto una mano, Picker afferrò Blend per il mantello irrigidito dal sangue secco e tirò. «Avviati giù per le scale, ragazza!» le ingiunse, estraendo la spada. «Noi ti seguiremo appena fatta piazza pulita.» Spinta Blend verso le scale, si girò di scatto. «Credete che ci vorrà molto?» chiese Lady Invidia, sovrastando in qualche modo il tumulto con la voce nel farsi largo fra la calca. Gli Urdomen avevano armature migliori, erano riposati e avevano dalla loro il vantaggio della sorpresa. Picker vide Bucklund barcollare, mezza testa troncata di netto. «No», ringhiò, mentre altri due Arsori di Ponti si accasciavano al suolo. Detoran si era portata all'avanguardia del gruppetto avviato lungo il corridoio; Mallet procedeva cinque passi più indietro, con Spindle che lo tallonava, Antsy che veniva subito dopo e Trotts che si teneva più indietro di una decina di passi, come retroguardia. Finora avevano trovato soltanto cadaveri... di Pannion... tutti abbattuti da lame. «Qualcuno è un vero orrore», borbottò Spindle, alle spalle del guaritore. Adesso potevano sentire un combattimento in corso, ma gli echi rimbalzanti rendevano difficile determinarne la direzione. Arrestandosi, Detoran sollevò una mano, poi segnalò a Mallet di raggiungerla. «Scale, più avanti», grugnì. «Verso il basso.»
«Sono sgombre», osservò il guaritore. «Per ora.» «Perché ci siamo fermati?» chiese Antsy, raggiungendoli. «Dobbiamo muoverci.» «Lo sappiamo, sergente», replicò Mallet, poi tornò a rivolgersi alla Napan: «Dobbiamo accontentarci. Precedici, Detoran». Altri cadaveri erano sparsi sui gradini di pietra, resi scivolosi dal sangue. Per due pianerottoli continuarono la discesa senza problemi, ma a metà della rampa successiva, a una curva della scala, Mallet sentì un grugnito di Detoran, seguito da un improvviso clangore di spade. Alle sue spalle, un grido inarticolato si trasformò in un urlo di guerra Barghast. «Dannazione!» imprecò Mallet. Nemici in alto e in basso... erano nei guai. «Spin! Appoggia Trotts e Antsy! Io darò una mano a Det!» «Sì, signore.» Il guaritore scese di corsa i gradini fino alla curva. Detoran aveva già respinto gli assalitori fino a un pianerottolo; al di là della Napan, Mallet vide almeno sei Seerdomin armati con corte asce a lama doppia. Armata di una spada corta e di una spada a due mani, Detoran aveva appena abbattuto il guerriero che aveva davanti, scavalcandolo senza esitare per raggiungere il pianerottolo. I Seerdomin l'attaccarono in massa. Oltrepassare la Napan era impossibile. Imprecando, Mallet ripose nel fodero la spada corta e impugnò la balestra, togliendo la sicura al quadrello già caricato su di essa. Oltre la curva della scala, Trotts aveva cominciato un canto di guerra, che venne infranto soltanto da un preoccupante urlo di Antsy; sangue fresco misto a bile stava scorrendo lungo la scala. Mallet si trasse indietro per trovare una linea di tiro sgombra al di sopra di Detoran. La Napan aveva conficcato la spada corta nella testa di un Seerdomin con un affondo dal basso, incastrando la lama fra le mandibole. Invece di tirare, la grossa guerriera assestò una spinta, mandando cadavere e spada a sbattere contro altri due avversari, servendosi della spada lunga per tenere a bada un altro Seerdomin. Questi stava percuotendo la lama con le sue armi più corte per cercare di spingerla di lato e accorciare le distanze, ma Detoran continuava a muovere la pesante lama con eleganza e agilità, quasi fosse stata uno stocco da duello. Mallet concentrò la sua attenzione sui due Seerdomin che si stavano rialzando; più oltre, un terzo guerriero stava
trascinando lontano il Seerdomin caduto. Sollevata la balestra, il guaritore premette il grilletto: l'arma gli sobbalzò fra le mani, e uno dei due Seerdomin che si stavano riprendendo lanciò un urlo, il dardo totalmente infitto nel petto, poi si accasciò all'indietro. Un corpo che rotolava dalle scale gettò a terra Mallet mentre stava per ricaricare. Imprecando, il guaritore scivolò contro il muro e fece per allontanare il cadavere con un calcio mentre armeggiava per prendere un altro dardo, poi vide che si trattava di Antsy e che non era ancora morto, anche se aveva il petto coperto di sangue; a giudicare dai rumori che giungevano dall'alto, Trotts si stava facendo largo su per la scala. Poi un grido di Detoran lo fece girare di scatto. La donna aveva effettuato un affondo, interrompendo il proprio ritmo per aggirare con la lama una disperata parata e insinuarla sotto l'elmo dell'avversario, squarciandogli un lato del collo, nel momento stesso in cui l'altra ascia del guerriero descriveva un ampio arco, diretta verso la sua testa. La Napan sollevò la spalla sinistra per intercettare l'arma. La cotta di maglia si infranse con uno spruzzo di sangue, mentre l'ascia proseguiva la sua traiettoria, asportando gran parte della fascia muscolare della spalla. Detoran barcollò, poi si raddrizzò, per quanto sanguinante, e attaccò i due rimanenti Seerdomin. Il più vicino dei due scagliò una delle sue asce. La Napan la spinse di lato, poi calò un fendente di rovescio che l'uomo riuscì a stento a bloccare. Accorciando le distanze, Detoran abbandonò la spada per piantare due dita nelle fessure per gli occhi dell'elmo, sfruttando il proprio impeto per aggirare l'uomo, torcendogli la testa. Mentre finiva di ricaricare la balestra, sollevandola, Mallet sentì lo schiocco sonoro delle vertebre che si spezzavano. Le asce dell'ultimo Seerdomin saettarono in avanti, e il braccio destro di Detoran, proteso con le dita ancora impigliate nella visiera, venne reciso a metà fra la spalla e il gomito, poi la seconda ascia le affondò in profondità fra le scapole, scagliandola in avanti, a sbattere con la faccia contro il muro del pianerottolo. Il Seerdomin avanzò per liberare la seconda ascia e il quadrello di Mallet scomparve nella sua ascella destra. Il guerriero sussultò, poi crollò con un clangore di armatura. Caricato un terzo dardo, il guaritore raggiunse il punto in cui Detoran era ancora appoggiata in piedi contro il muro, a faccia in avanti: i fiotti di san-
gue che le uscivano dalle ferite si erano ridotti a lenti rivoli, e Mallet non ebbe bisogno di toccarla per sapere che era morta. Un rumore di stivali sulla scala lo indusse a voltarsi in tempo per vedere Spindle arrivare incespicando sul pianerottolo; un colpo alla testa gli aveva spaccato l'elmo su un lato, dove la sua faccia era coperta di sangue. «Ce n'è una ventina lassù, Mallet! Trotts li sta tenendo a bada...» «Quel dannato idiota!» Il guaritore finì di caricare la balestra e si lanciò su per la scala, arrestandosi solo un momento a esaminare Antsy. «Trovati un nuovo elmo, Spin, e seguimi!» «E Antsy?» «Vivrà ancora per un po'! Spicciati, dannazione a te!» La scala era coperta di altri cadaveri fino al pianerottolo successivo, e Mallet arrivò sul posto in tempo per trovarsi intrappolato in una valanga di Seerdomin, in mezzo ai quali c'era un ringhiante Trotts, che stavano rotolando verso di lui in una massa umana che si dibatteva. Una lama, quella del Barghast, affondò nella spalla del guaritore, solo per uscirne subito quando tutti andarono ad atterrare sui duri gradini di pietra. Lame d'ascia, daghe, guanti di maglia metallica, elmi e schinieri fecero di quella valanga umana una fonte di impatti dolorosi, che non cessarono neppure quando essa si andò ad arrestare contro la curva della scala. Trotts fu il primo a districarsi, colpendo con la spada corta, scalciando e calpestando. Con un'imprecazione, Mallet si trascinò lontano dalla frenesia del Barghast, la spalla ferita che gli causava un dolore lancinante. Pochi momenti più tardi, il solo rumore sulla scala fu un respirare ansimante. Girandosi, il guaritore si addossò con la schiena a un muro e si issò lentamente in piedi, fissando Trotts con occhi roventi. «Mi hai ferito, razza di bastardo!» Mentre le pronunciava, le parole gli morirono in gola quando vide meglio il Barghast. L'enorme guerriero aveva ricevuto più ferite di quante Mallet avrebbe mai creduto possibile. Era stato letteralmente fatto a pezzi, e tuttavia non barcollò neppure nel rivolgergli un sorriso. «Ti ho ferito? Bene.» «Capisco il tuo punto di vista, cane da pastore dai denti azzurri», replicò Mallet, con una smorfia. «Perché dovresti tenerti tu tutto il divertimento?» «Già. Dove sono Antsy, Det e Spin?» «Sul pianerottolo in basso. Det è morta e dovremo trasportare Antsy. A giudicare dal rumore, Spin sta cercando un nuovo elmo.»
«Saranno tutti troppo grossi», ringhiò Trotts. «Ci serve una cucina... così potrà usare una tazza.» «Buona idea.» Mallet si allontanò dalla parete. «Allora andiamo.» «Andrò avanti io... i cuochi sono pericolosi.» Grondando sangue, il Barghast oltrepassò Mallet. «Trotts?» «Sì?» fece il guerriero, fermandosi. «Spin ha detto che erano una ventina.» «Già.» «Tutti morti?» «Forse la metà, gli altri sono fuggiti.» «Li hai terrorizzati, vero?» «Credo sia stato il cilicio di Spin. Vieni, guaritore.» La testa di Toc dondolava, e la sua visuale oscillava su e giù mentre il T'lan Imass lo trasportava lungo il corridoio illuminato dalle torce, scavalcando di tanto in tanto qualche cadavere. Mio fratello. Mi ha definito così. Io non ho un fratello. Ho soltanto una madre. E un dio. Veggente, dove sei? Non vuoi venire a prendermi, ora? Il lupo sta morendo, hai vinto. Liberami, Signore di Tutto. Lasciami libero di attraversare la Porta di Hood. Raggiunsero una soglia ad arco, il cui battente giaceva infranto da un lato. Il legno ancora inchiodato a fasce di bronzo si mosse, instabile, sotto il passaggio di Tool. Davanti a loro c'era adesso un'ampia camera a volta larga una ventina di passi. Un tempo, era stata occupata da strani meccanismi - macchine usate dai torturatori - ma esse erano state fatte tutte a pezzi e scagliate di lato, dov'erano appoggiate alle pareti come bestie dalle ossa infrante. Vittime dell'ira... è stata opera di Tool? Questa... cosa non-morta priva di emozioni? Dalla soglia opposta giunse un improvviso clangore di lame. Il T'lan Imass si fermò. «Adesso ti devo mettere giù.» Giù. Sì. È il momento. Mentre Tool lo adagiava al suolo, Toc girò la testa: una figura era ferma sulla soglia opposta della camera. Una maschera smaltata di bianco segnata da sfregi gemelli, una spada in ciascuna mano. Oh, io ti conosco, vero? Senza parlare, la figura attese che Tool indietreggiasse da Toc. Il T'lan
Imass estrasse la spada di selce, poi parlò. «Mok, Terzo fra i Seguleh, quando avrai finito con me, vuoi portare Toc il Giovane fuori da questo posto?» Disteso da un lato, Toc guardò il guerriero mascherato chinare il capo in segno di assenso. Mok, dannato stolto, stai per uccidere il mio amico... mio fratello. I due guerrieri scattarono con mosse troppo rapide perché il singolo occhio di Toc potesse coglierle, poi il ferro sbatté contro la pietra, generando una pioggia di scintille che illuminò gli infranti strumenti di tortura circostanti in una serie di ondate rivelatrici... ombre che danzavano nel groviglio di legno e metallo. Per Toc, fu come se tutta la sofferenza che quelle macchine avevano assorbito nell'arco della loro esistenza venisse liberata all'improvviso. Dalle scintille. Dai due guerrieri... e da tutto ciò che rivestiva la loro anima nascosta. Libera, si contorceva e danzava... folle, frenetica, in risposta... In risposta... Da qualche parte dentro di lui, il lupo si riscosse, mentre la battaglia continuava e il guerriero mascherato costringeva il T'lan Imass a indietreggiare progressivamente. Intrappolato. In questo meccanismo deformato ma intero, questa gabbia di ossa che lo tortura... Vicino a sé, Toc vide il telaio spaccato di... di qualcosa, e una trave massiccia, l'estremità rivestita di nero bronzo ammaccato, su cui erano sparsi frammenti di carne... e di capelli. Una gabbia. Toc il Giovane ripiegò sotto di sé le gambe devastate, puntellò sulla pietra un gomito deforme e coperto di pustole, poi avvertì una nuova lacerazione mentre si torceva con una rotazione, trascinando in avanti le gambe per inginocchiarsi. Serrate le mani a pugno, spinse contro la pietra, sollevandosi e inclinandosi all'indietro per gravare con il peso su fianchi che stridevano e parevano sbriciolarsi sotto il fardello dei tendini e dei muscoli sottili. Posate di nuovo le mani a terra, posizionò sotto di sé le cose nodose che un tempo erano state i piedi, e sollevò le ginocchia. Equilibrio, ora... e volontà. Tremante, madido di sudore sotto i laceri resti della tunica informe, Toc si issò lentamente in piedi. La testa gli girava, l'oscurità dell'incoscienza lo incalzava, ma resistette.
Kruppe annaspò, sollevandola, tirandole il braccio. «Devi toccare, ragazza. Questo mondo... è stato fatto per te... lo capisci? Un dono... qui ci sono cose che devono essere liberate.» Liberate. Sì, comprendeva quella parola, la desiderava, l'adorava, s'inginocchiava a testa bassa davanti al suo altare. Liberate. Sì, aveva senso. Come quelle memorie di ghiaccio che continuano a piovere su di noi. Liberate... per nutrire la terra... Liberazione, del significato, dell'emozione, dono della storia... la terra, sotto i piedi, aveva tanti strati, così tanti... Nutrire la terra. Che posto è questo? «Protenditi, carissima Mhybe, Kruppe ti implora! Tocca...» Lei sollevò una mano tremante... In piedi. In tempo per vedere Tool barcollare sotto i colpi, la spada di selce sempre più lenta nel tenere a bada la lama scintillante che lo incalzava. In piedi. Un passo. Uno solo. Basterà. La gabbia, il lupo si agita, cerca di respirare, incapace... Barcollò verso la trave e la sua estremità rivestita in bronzo. Un passo, poi cadde in avanti, sollevando in alto le braccia... perché non fossero d'intralcio... mentre la punta della trave pareva sollevarsi per venirgli addosso. Per incontrare il suo petto... le costole... le ossa che s'infrangono in un'esplosione di dolore... Toccare... La gabbia! Infranta! Libero! Il lupo trasse un profondo respiro. E ululò. Il martello tenuto in alto da Brood con entrambe le mani stava tremando. In reazione all'echeggiare dell'ululato di un dio, che lacerò l'aria, salendo di tono in un richiamo. Che ebbe risposta.
Sul campo di battaglia, i T'lan Ay si levarono dal terreno e si scagliarono in avanti in una silenziosa onda grigia, falcidiando i K'Chain Che'Malle, lacerando e squarciando i giganteschi rettili in armatura, che crollarono sotto quell'attacco. Altri Cacciatori K'ell si girarono e si precipitarono verso le porte, inseguiti dai lupi. In alto, i condor sospesero la loro danza letale intorno ai due draghi neri e saettarono verso la fortezza, inseguiti da Korlat e da Orfantal, e da decine di migliaia di Grandi Corvi. E al di sopra della fortezza stava accadendo qualcosa... Tenendo fra le braccia la Mhybe, ora svenuta, Kruppe indietreggiò barcollando mentre Togg si liberava dalla gabbia infranta, lacerando l'aria con il suo ululato. Il diluvio di grandine era intanto cessato bruscamente, e il cielo si era oscurato, mentre andava crescendo una pressione, una forza antica e bestiale. Togg, enorme, con un solo occhio, il pelo bianco dalle punte argentee... ululante. Il dio-lupo era emerso con la violenza di un masso sussultante, e il suo grido sembrava abbracciare il cielo. Un grido che ricevette risposta. Da ogni lato. Paran si abbassò maggiormente sopraffatto dall'improvvisa discesa di un'oscurità permeata di un peso gelido. Accanto a lui, Ben lo Svelto gemette. «Ci siamo, amico», disse poi. «Kurald Galain. Posso usarlo, farci arrivare oltre il muro... dobbiamo vedere...» Vedere cosa? Dei, mi sento schiacciare! La pressione si attenuò improvvisamente. Due mani lo afferrarono e lo issarono in piedi con uno strisciare di metallo, spingendolo oltre il basso muro e mandandolo a cadere con un tonfo dall'altra parte. L'oscurità stava continuando la sua discesa sovrannaturale, trasformando il sole in un disco grigio indistinto. In alto, i condor stavano levando strida permeate di puro terrore. Girandosi, Paran osservò la scena sul parapetto. A trenta passi di distanza, al limite estremo del tetto, era rannicchiata una figura che lui comprese
istintivamente essere il Veggente. La carne e la pelle umane si erano staccate, rivelando uno Jaghut, nudo, avvolto in nubi indistinte di cristalli di ghiaccio, un uovo grosso quanto una mina stretto fra le mani; accanto a lui c'era un K'Chain Che'Malle enorme e deforme... no, era la Matrona. Ciò che fluiva da lei lasciò Paran inorridito e pervaso di compassione: quella creatura era demente, la sua anima denudata era piena di una sofferenza che lei non riusciva neppure ad avvertire... unico aspetto misericordioso della sua condizione. Due Cacciatori K'ell in armatura pesante erano a guardia della Matrona, ma adesso presero ad avanzare con le armi levate, attraversando il tetto con passo deciso in direzione di due figure emerse da una scala a una quindicina di passi da Paran, sulla sinistra. Mascherate, coperte di sangue dalla testa ai piedi e armate ciascuna di due spade, le figure stavano emergendo da un passaggio cosparso di cadaveri di Urdomen e Seerdomin. «Che Hood ci prenda!» imprecò Ben lo Svelto. «Quelli sono Seguleh!» L'attenzione di Paran si era però già distolta dai due, indifferente al combattimento che stava per scatenarsi fra loro e i Cacciatori K'ell. La nube di tempesta che da tanto tempo incombeva nel cielo stava continuando al alzarsi di quota e a sfilacciarsi, quasi persa nell'oscurità, e lui comprese con un senso di gelo che preannunciava l'arrivo di qualcosa. «Capitano! Seguitemi!» Ben lo Svelto si stava spostando lungo il basso muro, seguendone la curva verso il lato antistante il porto, e Paran si affrettò a imitarlo; i due si arrestarono infine in un punto da cui potevano vedere tutto il porto e la baia. Su di essa, al largo, lungo tutta la linea dell'orizzonte il ghiaccio stava esplodendo fra bianche nubi di brina. Le acque del porto si erano fatte lisce come il ghiaccio nell'aria scura e ora del tutto immota. D'un tratto, la rete di corde che lo ricopriva... con le sue baracche abbandonate e i corpi avvizziti... tremò. «Nel nome di Hood, cosa...» «Ssh! Oh, per l'Abisso, guardate!» Paran obbedì e vide le lisce acque del porto rabbrividire... alzarsi... gonfiarsi. Poi, per quanto paresse impossibile, esse si spostarono su tutti i lati: nero ed enorme, qualcosa stava emergendo dalle profondità marine. Le acque si fecero agitate, crearono un cerchio di spuma che si allargò verso l'esterno, mentre un improvviso vento gelido investiva il parapetto
facendolo oscillare e poi tremare. Una massa di roccia irregolare e sfregiata - una dannata montagna! - si stava levando dal porto, sollevando insieme anche la vasta rete. La montagna si fece più grande nel salire di quota, l'oscurità che colava da essa in onde vibranti. «Hanno aperto il Kurald Galain!» urlò Ben lo Svelto, sopra l'ululare del vento. «Tutti insieme!» Paran continuò a guardare, interdetto. La Progenie della Luna. Che saliva nel cielo. Rake l'ha nascosta... oh, per l'Abisso, l'ha nascosta! La montagna stava ancora salendo, con l'acqua che calava lungo i fianchi malconci in reboanti cascate, andando a mescolarsi alla nebbia che si formava a mano a mano che l'edificio si portava sempre più in alto. Il Taglio... il Taglio di Orinai... quell'Abisso... «Guarda quelle crepe...» sibilò Ben lo Svelto. Paran vide quale fosse stato il prezzo della mossa di Rake: enormi fessure sfregiavano il volto della Progenie della Luna, fessure da cui l'acqua continuava a uscire a fiotti, senza diminuire di volume. Libera per due terzi dal mare in tempesta, la montagna ruotò lentamente in modo da lasciar vedere un alto costone laterale. Su cui sostava una figura isolata. Ricordi... svaniti. Sulla loro scia, decine di migliaia di anime. Silenziose. «Venite a me, dunque. Ora prenderò su di me il vostro dolore.» «Tu sei mortale.» «Sono mortale.» «Non puoi portare il nostro dolore.» «Posso farlo.» «Non puoi consegnarlo...» «Lo farò.» «Itkovian...» «Consegnatemi il vostro dolore, T'lan Imass. Adesso.» Esso si levò davanti a lui, un'ondata di un'altezza incommensurabile che si levò, torreggiante, per poi abbattersi verso di lui. Ed essi lo videro, tutti quanti. Videro il sorriso con cui Itkovian l'accolse.
Avvolta nell'oscurità, la Progenie della Luna si levò oltre la città, sotto lo sguardo attonito di Caladan Brood. Nubi di spruzzi si riversavano da essa insieme a cascate d'acqua che ricadeva in mare, e i draghi si stavano levando in volo, neri, più uno carminio, scatenando ondate di potere del Kurald Galain per incenerire i condor demoniaci. La Progenie della Luna prese poi a inclinarsi - quando un massiccio frammento di roccia nera come la notte si staccò da un lato, scuotendo l'intero edificio - a inclinarsi e a scivolare in avanti, verso la fortezza. Sul sottostante campo di battaglia gli sparsi resti dell'esercito alleato... Malazan, Barghast, Spade Grigie, Gruntle e la manciata di seguaci che erano tutto ciò che rimaneva della sua legione... avevano attraversato tutti il ponte di pietra e stavano convergendo sull'infranta Porta Settentrionale, senza incontrare ostacoli. Adesso sul tratto di mura a est della porta non c'erano più né maghi né altri difensori, tutti spazzati via. Nella città divampavano incendi e il cielo si stava riempiendo di Moranth Neri e di Grandi Corvi, mentre il Kurald Galain si allargava all'esterno e verso il basso, su Coral... Una vera apertura del canale. Tutti i Tiste Andii, uniti nella magia rituale... una cosa che il mondo non ha mai conosciuto, nei millenni trascorsi dal loro arrivo. Cuore di Burn, cosa deriverà da quest'apertura? Brood continuò a guardare, sopraffatto da una devastante, paralizzante impotenza. Il potere fluì verso Korlat e i suoi occhi ebbero un bagliore mentre lei e suo fratello volavano in mezzo alle fredde, familiari correnti del Kurald Galain, alla volta della Progenie della Luna. Essa stava morendo... Korlat poteva vederlo, stava morendo ma non aveva ancora completato il suo spaventoso, letale compito. Korlat la vide muoversi, avvicinarsi al parapetto della fortezza... al punto dove, ora poteva notare, si trovava il Veggente... lo Jaghut, con il Finnest della Matrona stretto fra le mani e lo sguardo rivolto verso l'altro, paralizzato dall'inesorabile approccio della nera montagna torreggiante. L'oscurità era venuta in quel mondo, in quel luogo, quella città. Un'oscurità che non si sarebbe mai dissipata. Coral. Nera, nera Coral. Lady Invidia impiegò solo pochi secondi - durante i quali vide gli Arsori di Ponti cedere davanti all'attacco degli Urdomen - a capire di aver frainte-
so l'ultimo commento di Picker. Non si era trattato di sicurezza di sé e neppure di spavalderia; piuttosto, erano state parole dense di fatalismo, senza dubbio tipiche per quei soldati ma del tutto nuove per lei. Nel momento stesso in cui comprese, entrò in azione. Un piccolo gesto di una mano. Sufficiente a devastare la carne dei guerrieri Urdomen, che crollarono in massa. Il danno però era già stato fatto. Soltanto due Arsori di Ponti erano ancora in piedi, entrambi feriti. Lady Invidia li guardò mentre controllavano i compagni caduti, radunandosi infine intorno a uno di essi per tirarlo da parte. Fra i caduti, dunque, ce n'era uno soltanto che respirava ancora. Un rumore di passi pesanti che si avvicinavano, provenienti dal corridoio. Accigliandosi, Lady Invidia tornò a sollevare la mano. «Aspetta!» stridette Picker. «Quello è Mallet. E anche Spin! Siamo qui, bastardi!» Alle spalle dei primi due uomini, che lei suppose essere Mallet e Spin, sopraggiunsero barcollando altri due soldati con la divisa degli Arsori di Ponti. Tutti recavano terribili ferite, in particolare il Barghast, la cui armatura era ridotta a pochi frammenti e il cui corpo era una massa di tagli e di buchi. Sotto il suo sguardo, lui barcollò, si accasciò sulle ginocchia, con i denti snudati in un sorriso. E morì. «Mallet?» Il grosso uomo in testa al gruppetto si girò di scatto, poi barcollò per quel movimento improvviso, e soltanto allora Lady Invidia notò che un colpo di spada gli aveva attraversato il corpo, appena sotto la spalla destra. L'uomo tornò indietro barcollando verso il Barghast. «Temo che per lui sia troppo tardi», avvertì Lady Invidia. «E voi, guaritore... Mallet... avete esaurito la possibilità di usare il vostro canale, e lo sapete. Venite da me, quindi, e ci penserò io. Quanto a voi, Picker, se prima aveste dato una risposta più onesta alla mia domanda, questo episodio avrebbe avuto un esito molto meno orribile.» Picker si asciugò il sangue dagli occhi e si limitò a fissarla. «Ah, bene», sospirò Lady Invidia, «forse è meglio che non ricordi quella battuta sardonica. Venite tutti qui!». Si girò di scatto nel sentir sopraggiungere la magia... Kurald Galain... pervasa di un potere implacabile.
«Giù per le scale!» gridò. «Dobbiamo portarci fuori da tutto questo! Fate presto!» I cinque Arsori di Ponti superstiti si affrettarono a seguirla. Schegge d'osso colpirono il muro e Tool barcollò all'indietro sbattendo contro la pietra, la spada che gli sfuggiva di mano e cadeva fragorosamente sul pavimento. Mok sollevò entrambe le lame... E volò lateralmente attraverso l'aria, ruotando su se stesso, perdendo la presa sulle spade per poi andare a sbattere contro una parete e scivolare in un mucchio informe fra i pezzi di legno e di metallo infranti. Tool sollevò la testa. Le labbra ritratte in un ringhio silenzioso, un'enorme pantera nera stava avanzando lentamente verso il Seguleh privo di sensi. «No, sorella.» La Soletaken esitò, poi riportò lo sguardo sul guerriero svenuto. «No. Lascialo stare.» La pantera si girò e cambiò forma. L'ira rimase però negli occhi di Kilava, mentre lei avanzava verso Tool. «Sei stato sconfitto! Tu! La Prima Spada!» Tool si chinò lentamente a recuperare la spada. «Sì.» «Lui è un mortale!» «Va' nell'Abisso, Kilava.» Tool si raddrizzò, strisciando con la schiena contro il muro a cui continuava ad appoggiarsi. «Lascia che lo uccida, adesso, così tornerai a non avere sfidanti degni di questo nome.» «Oh, sorella», sospirò Tool, «non ti rendi conto che il nostro tempo è passato? Dobbiamo cedere il nostro posto nel mondo. Mok... l'uomo che hai così disinvoltamente colpito alle spalle, è il Terzo; il Secondo e il Primo sono suoi maestri nell'uso della spada. Mi hai capito, Kilava? Lascialo stare... lasciali stare tutti». Poi si girò lentamente fino a poter vedere Toc il Giovane. Il corpo, infilzato su uno spuntone di legno, non si mosse. «L'antico dio-lupo è libero», affermò Kilava, seguendo la direzione del suo sguardo. «Non riesci a sentirlo?» «No. Non ci riesco.» «Il suo ululato ora riempie un altro reame, è il suono di una nascita. Un regno... creato dalla Convocatrice. Quanto a ciò che ora gli dà vita... è
qualcosa di diverso, di completamente diverso.» Un suono strisciante giunse dalla soglia, inducendoli entrambi a girarsi. Un'altra T'lan Imass era ferma sotto l'arcata, il corpo trafitto da alcune spade, i canini rivestiti di rame. «Lei dov'è?» «Chi stai cercando?» chiese Tool, inclinando la testa da un lato. «Tu sei Onos T'oolan», affermò la guerriera, poi spostò la propria attenzione su Kilava e aggiunse: «E tu sei sua sorella, la Sfidante...». «E continuo a esserlo», dichiarò lei, con un sorriso sprezzante. «Onos T'oolan, Prima Spada, dov'è la Convocatrice?» «Non lo so. Tu chi sei?» «Lanas Tog. Devo trovare la Convocatrice.» Tool si allontanò dalla parete. «Allora la cercheremo insieme, Lanas Tog.» «Stolti!» ringhiò Kilava. Un ticchettare di artigli alle sue spalle indusse Lanas Tog a girarsi di scatto per poi indietreggiare. Zoppicando, Baaljagg entrò nella camera; ignorando tutti gli altri, si avvicinò al corpo di Toc il Giovane e uggiolò. «Lui è libero», le disse Tool. «Il tuo compagno.» «Lei non è sorda a quell'ululato», borbottò Kilava. «Togg è passato nel canale Tellann e poi... in un luogo al di là di esso. Fratello, imbocca quel sentiero, visto che sei tanto deciso a trovare la Convocatrice. Stanno tutti convergendo.» «Vieni con noi.» Kilava gli volse le spalle. «No.» «Sorella, vieni con noi.» «No!» ribadì lei, girandosi di scatto, cupa in volto. «Sono venuta per il Veggente. Mi capisci? Sono qui...» Tool abbassò lo sguardo sul corpo di Toc il Giovane. «Per redimerti. Sì, lo capisco. Trovalo, dunque. E quando avrai finito, sorella, vieni di nuovo a cercarmi.» «Perché dovrei farlo?» «Kilava, consanguinea, vieni a cercarmi.» Lanas Tog si portò al fianco di Tool. «Guidami, Prima Spada.» I due T'lan Imass divennero polvere, poi anch'essa svanì. Kilava rimase sola nella camera, a parte un Seguleh svenuto, e l'ay ora sdraiato accanto al
cadavere. Esitando, mosse un passo verso la forma inerte di Mok, poi sospirò, si volse e si avvicinò invece a Baaljagg. «Piangi per questo mortale», sussurrò, protendendosi a posare una mano sulla testa della bestia. «Per lui, stai rimandando ciò che hai atteso per tanto tempo... il ricongiungimento con il tuo compagno perduto. Quest'uomo era davvero degno di tanta fedeltà? No, non rispondere... i tuoi occhi dicono chiaramente che lo era. «Per questo, Baaljagg, voglio dirti qualcosa di cui tu non ti rendi evidentemente conto. L'anima di questo mortale... sta viaggiando con quella di Togg, e il tuo compagno la consegnerà, ma non davanti alla Porta di Hood. Va', dunque, segui quella pista. Ti aprirò io la strada.» Poi si raddrizzò e fece un gesto. Il canale Tellann si aprì, spazzando via l'odore di muffa della stanza per sostituirlo con il dolce profumo della tundra umida, una mescolanza dell'odore acre del muschio e di quello più dolce dei licheni, portato da una morbida, dolce brezza. L'ay varcò d'un balzo il portale e Kilava lo richiuse alle sue spalle. Poi uscì dalla camera. Un momento più tardi, Blend emerse dall'ombra e si diresse verso il punto in cui Mok giaceva fra i rottami di legno e di metallo, abbassando lo sguardo sul guerriero svenuto. Oh, quella maschera. Mi... tenta così tanto... Dal corridoio alle sue spalle giunsero grida di sorpresa, un rumore di soldati che si sparpagliavano e alcune sentite imprecazioni. «... una dannata pantera!» «Kilava», replicò Lady Invidia. «Ho incrociato altre volte la sua strada. È stata davvero rude, a spingerci tutti di lato in maniera tanto sprezzante.» Blend si volse all'arrivo del gruppo. Lady Invidia si arrestò, spostando lo sguardo da Mok a Toc il Giovane. «Oh», disse, con un filo di voce. «Mio caro ragazzo... vorrei che foste rimasto con noi.» Picker, Mallet, Spindle, Antsy, Bluepearl. Blend chiuse gli occhi. «Bene, allora qui abbiamo finito», continuò Lady Invidia. «Torniamo sul tetto della fortezza, in fretta, prima che Kilava mi derubi della mia vendetta contro il Veggente.»
«Voi potete anche tornare sul tetto», ringhiò Picker. «Noi ce ne andiamo.» Ce ne andiamo, oh, ti adoro... Lady Invidia incrociò le braccia. «Io mi sfinisco per risanare voi ingrati soldati e questa è la vostra risposta? Voglio compagnia!» Mallet e Spindle avanzarono nella stanza per recuperare il corpo di Toc, e Picker si accasciò contro un muro, scrutando Lady Invidia con occhi arrossati. «Vi ringraziamo per il risanamento», borbottò, «ma dobbiamo ricongiungerci all'Armata di Un-braccio.» «E se in giro dovessero esserci altri soldati Pannion?» «Allora raggiungeremo i nostri compagni uccisi. E allora?» «Oh, siete tutti uguali!» Con uno svolazzare di vesti bianche, Lady Invidia lasciò la camera a passo di carica. Blend si avvicinò a Picker. «C'è un accenno di aria fresca», mormorò. «Viene da oltre quella porta.» «Facci strada», annuì il tenente. Inclinata da un lato, avvolta in una nebbia nera, il basalto crepato che gemeva come una cosa viva, la Progenie della Luna si avvicinò sempre più al parapetto. Sotto il vasto peso soverchiante del Kurald Galain, il Veggente se ne stava accovacciato con aria folle, la testa sollevata a fissare l'edificio sovrastante e il Finnest stretto fra le braccia con atteggiamento disperatamente protettivo. Da un lato, la Matrona pareva stesse cercando di aprirsi un varco fra le tegole con gli artigli. I due Seguleh non erano arrivati illesi al tetto, e i Cacciatori K'ell si stavano dimostrando combattenti alla loro altezza, tanto che entrambi i guerrieri in quel momento erano respinti verso la bassa ringhiera, lasciando tracce di sangue. Anche così, Paran non aveva mai visto una simile dimostrazione di abilità: le loro spade erano qualcosa di indistinto che pareva trovarsi ovunque contemporaneamente, e sebbene incalzassero gli avversari, i due Cacciatori stavano venendo fatti a pezzi. All'inizio, Paran aveva pensato di andare in aiuto dei due guerrieri, ma aveva dovuto concludere che avrebbe costituito per loro più che altro un ostacolo. Spostando lo sguardo sul cielo, verso nord, vide numerosi draghi che scendevano sulla città, scatenando sulle strade e sugli edifici ondate di potere che incrementavano l'oscurità. Intorno, i Grandi Corvi volavano in
cerchio lanciando strida di trionfo. «Uh, non credo che eviterà...» La strana affermazione di Ben lasciò perplesso Paran. Evitare? Cosa non avrebbe... poi girò la testa di scatto, in direzione della Progenie della Luna. E capì. La base della montagna volante era direttamente di fronte a loro e si stava avvicinando sempre più, fino a riempire il cielo. «Credevo che se non altro Rake sarebbe venuto giù di persona per concludere la faccenda», continuò il mago. «Pare invece che abbia optato per qualcosa di... uh, di meno raffinato.» Come annientare l'intera fortezza e tutti coloro che vi si trovano. «Ben...» «Sì, sarà meglio muoverci.» Un'enorme pantera emerse con mosse fluide dalla scala e si soffermò a studiare la scena con occhi ardenti, appuntando poi lo sguardo sul Veggente. Di colpo, Ben lo Svelto scattò in piedi. «No!» urlò alla bestia. «Aspetta!» L'enorme testa della pantera si girò verso di lui, le zanne snudate in un ringhio. «Non credo voglia aspettare.» Sferzandosi i fianchi con la coda, la belva si avvicinò d'un passo al Veggente terrorizzato, che volgeva le spalle a tutti loro. «Dannazione» sibilò Ben lo Svelto. «È il momento, Talamandas!» Chi? La Progenie della Luna investì il parapetto del tetto con uno scricchiolio stridente, un'inesorabile barriera di roccia che continuava ad avanzare. La Matrona urlò. Il basalto umido inchiodò la K'Chain Che'Malle dove si trovava, poi parve assorbirla, fra spruzzi di sangue e un crocchiare di ossa, mentre l'apice della Progenie della Luna strisciava sul tetto, lasciandosi dietro una scia di tegole scavate miste a chiazze di sangue e di carne. Stridendo, il Veggente indietreggiò... direttamente verso la pantera, che si raggomitolò per spiccare il balzo... Di colpo, la Progenie della Luna sprofondò, attraversando il tetto. Le tegole s'inclinarono sotto i piedi di Paran, i mattoni sussultarono da ogni lato... il mondo parve oscillare. Ben lo Svelto entrò in azione. La sua magia investì lateralmente la pan-
tera, facendola volare lontano con uno strisciare di artigli. «Seguitemi!» urlò il mago, lanciandosi in avanti. Lottando per mantenere l'equilibrio, Paran si aggrappò al suo mantello, facendosi trascinare. Quindi ci siamo... è il momento di ingannarli tutti. Che gli dei ci perdonino. Il Veggente si girò di scatto verso di loro. «Cosa...?» cominciò. «Talamandas!» ruggì Ben lo Svelto, lanciandosi addosso allo Jaghut. Un canale si aprì intorno a loro... e li portò via. Mentre si stava chiudendo, il portale ebbe un ultimo bagliore quando la pantera lo oltrepassò d'un balzo, lanciata all'inseguimento. La Progenie della Luna si abbassò ulteriormente, e il parapetto andò in pezzi, con i mattoni che si frantumavano da ogni lato. I due Seguleh si ritrassero d'un balzo dai Cacciatori K'ell, oltrepassando il basso muro dietro cui si erano nascosti Paran e Ben lo Svelto per poi lanciarsi in corsa verso l'estremità opposta del tetto. Alle loro spalle, nel punto in cui si era trovato il Veggente, un massiccio pezzo di basalto si staccò dall'apice in un fiotto di acqua marina, seppellendo i due Cacciatori e continuando a precipitare, un piano dopo l'altro, fin nelle viscere della fortezza. Barcollando, Gruntle urtò un muro con la spalla, lasciando una chiazza rossa nell'accasciarsi lentamente al suolo. Davanti a lui, piegate su loro stesse per lo sfinimento o il dolore, inginocchiate o in piedi, cineree e inespressive in volto, c'erano otto donne Capan, tre delle quali poco più che bambine, altre due con grigi capelli arruffati, le armi che pendevano inerti dalle mani tremanti. Erano tutto ciò che restava della sua legione. L'ufficiale Lestari era morto, i resti del suo corpo sperduti da qualche parte sul campo di battaglia. Abbassando le spade, Gruntle appoggiò la testa al muro e chiuse gli occhi. Poteva sentire che si combatteva ancora a ovest. Le Spade Grigie erano andate in quella direzione, alla ricerca di Dujek, e i Moranth Neri si erano levati in volo sopra quell'area della città, apparentemente concentrati su una zona in particolare, dove stavano scendendo nelle strade in piccoli gruppi, come se stessero partecipando a una difesa disperata, scandita da scoppi di granate. Più vicino, direttamente di fronte a dove lui si trovava, una mina aveva investito un grosso edificio che era prossimo a crollare, divorato dalle fiamme. Corpi di soldati Pannion giacevano fra le macerie, nella strada.
E in alto la Progenie della Luna si stava lentamente abbassando attraverso la fortezza stessa, riversando sulla città la propria oscurità, che si lasciava alle spalle una scia di distruzione, un coro di schianti. Gruntle continuò a tenere gli occhi chiusi. Un rumore di passi fra le macerie, poi uno stivale gli urtò una coscia. «Pigro maiale!» «Stonny...» sospirò la Spada Mortale. «Il combattimento non è finito.» Lui aprì gli occhi, fissandola. «Lo è. Coral è caduta... ah, no, sta cadendo. E non è una vittoria piacevole. Dove sei stata?» La donna sudata e impolverata scrollò le spalle, abbassando lo sguardo sullo stocco che teneva in pugno. «Qua e là. Ho fatto quello che potevo, il che non è stato molto. Gli Irregolari di Mott sono qui, lo sapevi? Come ci sono riusciti, nel nome di Hood? Che io si dannata se non li abbiamo trovati là, all'interno delle porte, quando io e le Spade Grigie le abbiamo oltrepassate; e pensare che credevamo di essere i primi a varcarle.» «Stonny...» L'oscurità soprannaturale d'un tratto si accentuò. La Progenie della Luna aveva oltrepassato la fortezza con un ultimo crollo di mura. Ancora inclinata, ancora grondando cascate d'acqua e pezzi di roccia nera, si stava avvicinando tenendosi a pochi metri di altezza sopra gli edifici cittadini, e adesso era quasi sopra di loro. Sull'alto sperone non si vedeva più nessuno. I Grandi Corvi si avvicinavano a tratti ai suoi lati per poi allontanarsi di nuovo con lunghe strida echeggianti. «Che l'Abisso ci prenda», sussurrò Stonny, «quella cosa pare sul punto di precipitare da un momento all'altro, o di andare in pezzi. E distrutta, Gruntle, distrutta». Lui non poté dissentire, perché in effetti l'edificio pareva prossimo a disintegrarsi. L'acqua salmastra gli bagnava il volto sollevato, la nebbia che avvolgeva la montagna incombeva proprio sopra di lui. Di colpo, il buio divenne fitto come quello di una notte nuvolosa, tanto che se non fosse stato per il riflesso di luce degli incendi circostanti, la Progenie della Luna sarebbe stata virtualmente invisibile. Dei, vorrei che lo fosse. A ovest, il rumore dei combattimenti cessò in maniera stranamente improvvisa. Sentirono un martellare di zoccoli sull'acciottolato, e un momento più
tardi il Destriant delle Spade Grigie venne illuminato dal chiarore degli edifici in fiamme; accorgendosi di loro, fece rallentare il cavallo e si avvicinò. «Abbiamo trovato il Gran Pugno, signori. È vivo, come pure almeno ottocento dei suoi soldati. La città è nostra, e ora sto tornando al nostro punto di raccolta, oltre il campo di battaglia. Volete accompagnarmi, signori? È là che si raduneranno...» I superstiti. Gruntle si guardò nuovamente intorno. I T'lan Ay erano scomparsi; senza di essi, i K'Chain Che'Malle avrebbero sterminato tutti coloro che si trovavano fuori dalla città. Forse anche loro si stanno radunando intorno a quella collina. E che ne è stato di Itkovian? Quel dannato stolto! È ancora inginocchiato davanti ai T'lan Imass? È ancora vivo? Sospirando, si alzò lentamente in piedi, posando di nuovo lo sguardo sui suoi pochi seguaci superstiti. Tutto questo, solo per oltrepassare le porte di cinquanta passi. «Sì, Destriant, vi seguiremo.» Le ali allargate, librandosi attraverso l'aria intrisa di potere, Korlat girò lentamente intorno alla Progenie della Luna, penne insanguinate e brandelli di carne ancora stretti fra gli artigli. Alla fine, quei dannati condor erano morti facilmente, prova evidente che il Veggente era fuggito o era stato ucciso. Forse il suo Signore era sceso nella fortezza e aveva estratto Dragnipur per mietere l'anima dello Jaghut... comunque, presto avrebbe scoperto la verità. Girando la testa, guardò verso suo fratello, che le volava accanto, proteggendole il fianco. Per quanto ferito, Orfantal non aveva cedimenti, il suo potere e la sua volontà erano ancora armi formidabili su cui contare se fosse insorta a sorpresa una nuova sfida. Ma non accadde nulla. Il loro volo li portò verso il mare, a est di Coral e in vista dell'oceano, dove la luce del tardo pomeriggio regnava ancora in lontananza. Là, a mezza lega dalla costa, Korlat scorse quattro navi da guerra che battevano la bandiera della Marina Imperiale Malazan e che avanzavano a vele spiegate, aggirando i blocchi di ghiaccio che si andavano sciogliendo. Artanthos... Tayschrenn... piani dentro altri piani... un gioco di inganni e di informazioni volutamente errate. La nostra storia, mio perduto amore... la nostra storia ci ha distrutti tutti. I due draghi virarono ulteriormente, fino a tornare verso Coral, scenden-
do di quota e allontanandosi dal lento percorso della Progenie della Luna, che continuava a fluttuare verso nord. In basso, c'erano le porte infrante, delle figure illuminate dalle torce. Il suo sguardo individuò Caladan Brood, alcune Spade Grigie, Barghast e altri. «Scendi a terra, sorella», le disse Orfantal, parlandole nella mente. «Io sorveglierò i cieli, insieme ai nostri fratelli Soletaken e a Silanah. Guarda, Crone sta atterrando. Raggiungila.» Vorrei proteggerti, fratello... «Il nemico è distrutto, Korlat. Ciò che proteggeresti, restando con me, è il tuo cuore. Terresti a bada il dolore, la perdita. Sorella, lui merita di più. Ora scendi. Il cordoglio è il dono dei viventi, un dono che molti della nostra razza hanno perso da tempo. Non ti ritirare, Korlat, scendi nel regno dei mortali.» Incurvando le ali, Korlat iniziò una lenta spirale verso il terreno. Grazie, fratello. Riprese forma umana nell'atterrare nel modesto viale su cui si erano affacciate le Porte Settentrionali, disperdendo momentaneamente con il suo arrivo i soldati che vi si trovavano. Tornata a essere una Tiste Andii, fu di nuovo assalita dalla debolezza della ferita causatale da Kallor, che Brood aveva potuto guarire solo superficialmente, e incespicò leggermente nel dirigersi verso l'Alto Comandante, in attesa subito oltre la porta. Crone gli aveva appena riferito qualcosa, e si stava di nuovo levando in volo nel buio. Non aveva mai visto Brood così... sconfitto. L'idea della vittoria sembrava irrilevante, di fronte a una simile perdita personale. Per tutti loro. Mentre lei lo raggiungeva, un uomo si avvicinò a sua volta a Brood, un individuo snello e curvo di spalle, con lunghi capelli chiari che formavano un groviglio stranamente verticale sulla sua testa. Korlat lo vide salutare. «Alto Maresciallo Stump, signore», gli sentì dire, «degli Irregolari di Mott. Riguardo a quell'ordine...». «Quale ordine?» scattò Brood. «Non importa», replicò l'uomo, con un sorriso che rivelò lunghi denti bianchi. «Eravamo lassù, vedete...» «Dove?» «Uh, da questa parte delle mura, a est delle porte, signore, e lassù c'erano dei maghi. Ai fratelli Bole la cosa non è piaciuta, quindi li hanno sbatacchiati un pochino. Non ce n'è più nessuno che respiri. Comunque, ades-
so cosa volete che facciamo?» Caladan Brood fissò per un momento l'uomo, inespressivo in volto, poi scosse il capo. «Non ne ho idea, Alto Maresciallo Stump.» «Ecco, potremmo spegnere qualche incendio», annuì l'uomo di Mott. «Procedete, allora.» «Sì, signore.» Durante il dialogo, Korlat si era tenuta in disparte, ma si fece avanti non appena l'Alto Maresciallo si fu allontanato. Brood lo stava seguendo con lo sguardo. «Alto Comandante?» «Credevo ce li fossimo lasciati alle spalle», borbottò Brood. «E invece... erano nella città, erano dall'altro lato dei K'Chain Che'Malle, intenti a eliminare maghi. Ora, come hanno fatto...» «Alto Comandante, ci sono delle navi Malazan che si stanno avvicinando.» Brood annuì lentamente. «Artanthos me l'ha riferito, prima di trasferirsi tramite canale sul ponte dell'ammiraglia. A bordo c'è una delegazione imperiale, un ambasciatore, un legato, un governatore...» «Tutti e tre?» «No, soltanto uno, con un sacco di titoli, a seconda dell'esito dei negoziati che seguiranno.» Korlat trasse un profondo respiro. Tieni a freno il dolore, la perdita, ancora per un po'. «Con l'Armata di Un-braccio così danneggiata, i Malazan non potranno trattare da una posizione di forza.» «Korlat», ribatté Brood, con voce piana, fissandola negli occhi, «per quanto mi riguarda i Malazan si sono guadagnati qualsiasi cosa intendano chiedere. Se la vogliono, Coral è loro». Korlat sospirò. «Alto Comandante, l'apertura del Kurald Galain... è una manifestazione permanente. Adesso, la città si trova in pari misura in questo mondo e nel Canale dei Tiste Andii.» «Già, il che significa che i negoziati dovranno giustamente svolgersi fra Rake e i Malazan, e che io non c'entro. Ditemi, il vostro Signore reclamerà Coral? La Progenie della Luna...» Non c'era bisogno di continuare. La città nella montagna di roccia racchiudeva ancora, intrappolate nelle sue camere più profonde, enormi masse d'acqua, il cui peso non poteva essere tollerato ancora per molto. La Progenie della Luna stava morendo, e avrebbe dovuto essere abbandonata. Un luogo. La nostra dimora per così tanto tempo. Ne soffrirò? Non lo so.
«Non ho ancora parlato con Anomander Rake, Alto Comandante, e non posso prevedere quali siano i suoi intenti.» Girandosi, Korlat si avviò verso le porte. Brood la chiamò. Non ancora. Proseguì, sotto l'arco della porta, gli occhi fissi sulla cima della collina, oltre il tappeto di corpi devastati che copriva il campo di battaglia. Lo troverò là, tutto ciò che ne rimane. Il suo volto, il dono dei ricordi, ora si sono raffreddati. Ho visto la vita fuggire dai suoi occhi, quel momento di morte in cui si è allontanato dalla finestra dello sguardo, si è ritratto, lontano, lasciandomi sola. Il suo passo rallentò, il dolore della perdita minacciò di sopraffarla. Cara Madre Oscurità, mi stai guardando ora? Vedi questa tua figlia? Sorridi nel vedermi così affranta? Dopo tutto, ho ripetuto i tuoi fatali errori di un tempo, ho ceduto il mio cuore, soccombendo allo stolto sogno... la danza della Luce, desideravi quell'abbraccio, vero? E sei stata tradita. Ci hai lasciati, Madre... nell'eterno silenzio. E tuttavia... Madre Oscurità, con quest'apertura del canale, ti sento vicina. È stato il dolore a farti allontanare così tanto dai tuoi figli? Quando con i nostri letali modi infantili... con la nostra sgomentante insensibilità... ti abbiamo maledetto. Abbiamo aggiunto altro dolore alla tua pena. Questi passi... li hai mossi anche tu, un tempo. Come puoi evitare di sorridere? La pioggia la colpì sulla fronte, battendo bruciante sull'irregolare lacerazione ancora aperta della ferita. Alzando lo sguardo, vide che la Progenie della Luna era direttamente sopra di lei... le stava piangendo addosso... Su di lei e sul campo di cadaveri che la circondava, e più oltre, sulla destra, sulle migliaia di T'lan Imass inginocchiati. I morti, gli abbandonati, un affresco di colori sempre più cupi, come se sotto la pioggia quella scena, così dolcemente saturata, stesse diventando più solida, più reale, non più un favoloso dipinto destinato alla sola contemplazione di una Tiste Andii. La vita che si accorcia rende più nitido ogni dettaglio, ravviva ogni colore, rende doloroso ogni movimento. E lei non riusciva più a contenere il dolore. Whiskeyjack, amore mio. Qualche momento più tardi, le sue lacrime si mescolarono all'acqua di mare che le scorreva sul volto.
Nell'ombra delle porte, Caladan Brood stava osservando, al di là del ponte, la piana devastata dove Korlat era ferma a metà strada dalla collina, circondata da cadaveri e dai resti dei K'Chain Che'Malle, e la vide piegare il capo all'indietro, sollevando lentamente il volto verso il grigio sudario della pioggia, la nera montagna morente, spaccata da fessure sempre più larghe, che sembrava essersi arrestata sopra di lei. Un cuore, un tempo di pietra, reso nuovamente mortale. E comprese, con cupa certezza, che quell'immagine non lo avrebbe abbandonato mai più. Volpe d'Argento aveva camminato per quella che le era parsa un'eternità, senza badare alla direzione, senza curarsi di ciò che la circondava, finché un movimento lontano non aveva attirato la sua attenzione. Adesso si trovava su una tundra spoglia, sotto un cielo coperto di nuvole, e stava osservando l'avvicinarsi degli spiriti dei Rhivi. Una piccola banda, meno di quaranta individui, insignificante in lontananza e quasi inghiottita dall'immenso panorama, dal cielo, dall'aria umida e gelida che le penetrava nelle ossa come l'essenza del fallimento. Altrove, in quel reame nascente, si erano verificati degli eventi, poteva percepirlo... la grandine, il diluvio di ricordi, nato da chissà dove; anche se quella grandine l'aveva colpita nella stessa maniera indiscriminata in cui si era abbattuta sul suolo circostante, lei aveva avvertito soltanto un vaghissimo accenno del suo contenuto. Se si era trattato di un dono, esso era stato amaro. E se è una maledizione, allora la vita stessa lo è. Perché c'erano delle vite in quella pioggia ghiacciata, intere esistenze inviate a percuotere la carne di questo mondo, a liberare la fecondità del suolo. Tutto questo non ha però a che fare con me. Tutto ciò che cercavo di modellare... è distrutto. Questo mondo di sogno era esso stesso un ricordo, lo spettro del mondo di Tellann, ricordo del mio mondo di molto, molto tempo fa. Memorie prese dalla Divinatrice che era presente alla mia creazione, prese dagli spiriti dei Rhivi, il Primo Clan, prese da K'rul e da Kruppe, dalla stessa terra dormiente... la carne di Burn. Personalmente... io non possedevo nulla. Ho solo rubato. Per modellare un mondo per mia madre, dove lei potesse essere di nuovo giovane, condurre una vita normale e invecchiare secondo il ciclo delle
stagioni. Vorrei restituire tutto ciò che ho rubato per lei. Si sentì assalire dall'amarezza. Era cominciato tutto con il primo tumulo, fuori da Pale, quella convinzione di essere nel giusto a rubare, che le sue azioni fossero giustificate dallo scopo più degno. Ma il possesso privo di proprietà era una menzogna, e tutto ciò che lei aveva accumulato era stato privato del suo valore: memorie, sogni, vite... Tutto ridotto in polvere. L'impotente banda di spiriti Rhivi si fece più vicina, esitando con cautela. Sì. Capisco. Che cosa pretenderò da voi adesso? Quante altre vuote promesse pronuncerò? Avevo un popolo per voi, un popolo che aveva da tempo perso i suoi dei, gli spiriti a cui aveva un tempo giurato fedeltà, ora meno consistenti della polvere a cui esso stesso era ridotto. Un popolo. Per voi. Perduto. Quale lezione per tre anime vincolate insieme... non siamo certo sensali di matrimonio, noi quattro. Non sapeva cosa dire a questi modesti, timidi spiriti. «Divinatrice, ti salutiamo.» Volpe d'Argento sbatté le palpebre per schiarirsi la vista. «Spirito Antico. Ho...» «Hai visto?» Soltanto allora scorse, sul volto di tutti loro, una sorta di meraviglia che la indusse ad accigliarsi. «Divinatrice», continuò il portavoce dei Rhivi, «abbiamo trovato qualcosa. Non è lontano da qui... sai di cosa parliamo?». Lei scosse il capo. «Ci sono dei troni, Divinatrice, due troni, in una lunga capanna di ossa e di pelle.» Troni? «Cosa... perché? Perché ci dovrebbero essere dei troni in questo regno? Chi...?» L'anziano scrollò le spalle, poi esibì un placido sorriso. «Essi attendono, Divinatrice, possiamo avvertirlo. Presto, molto presto, giungeranno i veri signori di questo canale.» «I veri signori?» esclamò Volpe d'Argento, cedendo all'ira. «Questo regno... era per voi! Chi osa usurpare...» «No.» Il pacato diniego dello spirito troncò la sua arringa e le tolse il fia-
to. «Non è per noi. Divinatrice, noi non siamo abbastanza potenti da controllare un mondo come questo. Esso si è fatto troppo vasto, troppo potente. Non temere... non desideriamo lasciarlo e avvieremo delle trattative con i suoi nuovi signori. Riteniamo che ci permetteranno di rimanere e che saremo addirittura lieti di servirli!» «No!» No! Non doveva andare in quel modo! «Divinatrice, non c'è bisogno che tu ti angosci tanto. La modellazione continua, la realizzazione del tuo desiderio è ancora possibile... forse nel modo da te inteso originariamente...» Volpe d'Argento non stava più ascoltando, perché la disperazione le stava lacerando l'anima. Come io ho rubato... così sono stata derubata. In questo non c'è ingiustizia, o crimine. Accetto la verità. La forza di volontà di Nightchill. La fedeltà di Bellurdan. L'empatia di Tattersail. La meraviglia di una bambina Rhivi. Nulla di tutto questo è stato abbastanza, nessuno dei quattro, da solo... o con gli altri... ha potuto assolvere ciò che è stato fatto, le scelte e i rifiuti. Dobbiamo abbandonarli, lasciarli a questo, e a tutto ciò che verrà. «Trovatela, allora», disse, voltando le spalle. «Andate.» «Non verrai con noi? Il dono che le hai fatto...» «Andate.» Il mio dono per lei, per voi, è lo stesso: grandi fallimenti, sconfitte nate dalle pecche che sono in me. Non sarò testimone della mia vergogna... non posso farlo, non ne ho il coraggio. Mi dispiace... Si allontanò. Breve fiore. Da seme a stelo a letale bocciolo, tutto nello spazio di un singolo giorno. Un veleno bruciante, che ha distrutto tutti coloro che si sono avvicinati troppo. Un abominio. Gli spiriti dei Rhivi - un piccolo gruppo di uomini, donne, bambini e anziani, vestiti di pelli e pellicce, il volto rotondo brunito dal sole e dal vento - la guardarono andare via. L'anziano che le aveva parlato non si mosse finché non fu scomparsa la vita oltre un costone, poi si passò il dorso di quattro dita allargate sugli occhi, a indicare un triste commiato. «Accendete un fuoco», disse, «e preparate la scapola di ranag. Abbiamo percorso
questa terra abbastanza da leggere in essa la sua mappa». «Ancora una volta», sospirò una vecchia. «La Divinatrice ci ha ordinato di trovare sua madre», replicò l'anziano, scrollando le spalle. «Fuggirà di nuovo davanti a noi, come ha fatto con gli ay. Come una lepre...» «Nondimeno, la Divinatrice lo ha ordinato. Deporremo la scapola fra le fiamme, guarderemo la mappa prendere forma.» «E perché essa dovrebbe essere esatta, questa volta?» L'anziano si chinò lentamente a premere una mano sul soffice muschio. «Perché? Animo dubbioso, apri i tuoi sensi. Questa terra... ora vive», aggiunse con un sorriso. Stava correndo! Era libero! Stava cavalcando l'anima di un dio, all'interno dei muscoli di una bestia antica e fiera. Stava cavalcando... D'un tratto, prese a cantare di gioia. Avvertiva muschi e licheni sotto le zampe, gli spruzzi di pioggia che gli striavano la pelliccia, un ricco odore di vita fertile... un mondo... Stava correndo, il dolore era già un ricordo sbiadito, la vaga memoria di una gabbia di ossa, di una pressione crescente, del respiro sempre più affaticato. Gettando indietro la testa, emise un tonante ululato che echeggiò nel cielo. Ci furono risposte lontane, che si andarono avvicinando. Delle forme, sagome grigie, marrone e nere che saettavano sulla tundra, sciamando oltre le alture, riversandosi nelle valli. Gli ay. Fratelli. I figli di Baaljagg... di Fanderay... ricordi spettrali che erano le anime dei T'lan Ay. Baaljagg non li aveva liberati, li aveva tenuti dentro di sé, dentro i suoi sogni, in un mondo senza tempo in cui un Dio Antico aveva alitato la vita eterna. Gli ay. Il loro dio aveva sfidato i cieli con la sua voce bestiale, e ora essi venivano a lui. E anche... un'altra. Togg rallentò, sollevando la testa... adesso gli ay erano tutt'intorno a lui, clan dopo clan, snelli lupi della tundra...
Lei era qui. Era venuta, lo aveva trovato. Stava correndo, era sempre più vicina. Era spalla a spalla con Baaljagg, con l'ay che aveva contenuto per tanto tempo la sua anima ferita e sperduta, e che ora stava venendo a riunirsi alla sua razza... i fratelli dei suoi sogni. Emozioni incommensurabili... poi Fanderay fu lì, al suo fianco. Le loro menti bestiali si sfiorarono per un momento appena, nulla di più... ma non era necessario altro. Erano insieme, le spalle che si sfioravano. Due antichi lupi, un dio e una dea. Lui li stava guardando, senza sapere chi era lui stesso, e neppure dove poteva trovarsi, per essere testimone di quel ricongiungimento. Stava guardando, e provava soltanto gioia per questi due, il dio e la dea. In corsa. Più avanti, attendevano i loro troni. La Mhybe sollevò la testa di scatto e s'irrigidì, contorcendosi nel tentativo di spezzare la sua presa e, per quanto fosse minuta, la sua forza lo sconfisse. «Sono solo lupi, ragazza, non abbiamo nulla da temere.» Nulla da temere. Menzogne. Mi hanno dato la caccia, più volte, mi hanno inseguita attraverso questa terra vuota, e adesso stanno tornando. E questo Daru che mi trascina non ha con sé neppure un coltello. «Più avanti c'è qualcosa!» annaspò Kruppe, modificando goffamente la presa nel barcollare sotto il suo peso. «Era più facile», ansimò, «quando non eri che una vecchia! Adesso, se solo volessi, potresti gettarmi a terra... anzi, potresti trasportarmi!». Volontà. Devo soltanto trovare la forza di volontà per infrangere questa stretta? Per fuggire? Fuggire dove? «Ragazza, ascolta le parole di Kruppe! Lui te ne scongiura! Questo... questo mondo... non è più il sogno di Kruppe! Lo capisci? Deve staccarsi da me! Deve essere trasmesso ad altri!» Stavano risalendo con passo incespicante un lieve pendio. Alle loro spalle, l'ululato dei lupi si avvicinava in fretta. Lasciami. «Carissima Mhybe, così adeguatamente denominata! Ora sei davvero un contenitore! Dentro di te... prendi in te questo mio sogno, lascia che riem-
pia il tuo spirito. Kruppe deve trasmetterlo a te... lo capisci?» Volontà. Con una contorsione improvvisa, piantò un gomito nello stomaco di Kruppe, che annaspò e si piegò su se stesso; mentre cadeva, lei si liberò e balzò in piedi. Alle loro spalle, c'erano decine di migliaia di lupi lanciati alla carica verso di lei, e alla loro testa procedevano due bestie gigantesche che emanavano potere. Lanciando un grido, la Mhybe si girò di scatto. Davanti a lei, in una depressione poco profonda, c'era una lunga e bassa capanna di ossa arcuate e di pelli legate con corda di canapa, l'ingresso spalancato. E raggruppata davanti alla capanna c'era una piccola banda di Rhivi. La Mhybe avanzò barcollando verso di loro. Adesso i lupi stavano fluendo tutt'intorno alla capanna in un cerchio selvaggio, ignorando i Rhivi, e anche lei. Gemendo, Kruppe riuscì a rialzarsi dopo un paio di tentativi e la raggiunse barcollando. Lei lo fissò senza comprendere. Estratto dalla manica un fazzoletto sbiadito, lui si asciugò il sudore dalla fronte. «Un po' più in basso con quel gomito, mia cara...» «Cosa sta succedendo?» Kruppe si guardò intorno. «Allora sono dentro.» «Chi?» «Come, Togg e Fanderay, naturalmente! Sono venuti a reclamare il Trono della Bestia... o, in questo caso, i Troni. È ovvio che se entrassimo in quella capanna non vedremmo due lupi appollaiati su altrettanti seggi, ma la loro presenza attesta il possesso. La fantasia di Kruppe si sente tentata a evocare altre immagini più prosaiche, ma è meglio evitarle, sì? Ora, ragazza, permetti a Kruppe di farsi indietro. Coloro che si stanno avvicinando... ecco, questo è il passaggio del sogno da uno all'altra, e ora il nobile Kruppe deve ritrarsi in secondo piano.» Lei si girò di scatto, e si trovò davanti un anziano Rhivi, il volto atteggiato a un triste sorriso. «Le abbiamo chiesto di venire con noi», disse. La Mhybe si accigliò. «A chi lo avete chiesto?» «A tua figlia. Questo mondo... è per te. Anzi, esiste dentro di te. Esso è il modo in cui tua figlia ti chiede perdono.» «L... lei ha creato tutto questo?» «Hanno partecipato in molti, ciascuno spinto dall'ingiustizia abbattutasi
su di te. C'era... disperazione, il giorno in cui tua figlia è stata... creata. Un uomo noto come Kruppe, il Dio Antico K'rul, il Divinatore chiamato Pran Chole. E tu stessa. Quando ci ha raccolti dentro di sé, noi stessi con gli altri, Volpe d'Argento ha cercato di dare una risposta a drammi più grandi... la tragedia costituita dai T'lan Imass e dai T'lan Ay. È possibile», continuò il vecchio, «che l'intento del suo cuore si sia dimostrato troppo vasto...». «Lei dov'è? Dov'è mia figlia?» L'anziano scosse il capo. «La disperazione l'ha portata via.» La Mhybe tacque. Ero braccata. Tu mi stavi dando la caccia, e gli ay... Abbassando lo sguardo, sollevò lentamente le braccia giovanili. Questo è reale, dunque? Lentamente, si volse fino a incontrare lo sguardo di Kruppe, che sorrise. La vecchia... «Mi sveglierò?» Kruppe scosse il capo. «Il sonno di quella donna ora è eterno, ragazza, vegliato e custodito. Tua figlia ha parlato con Hood, ha raggiunto un accordo. Avendo perso i T'lan Imass, lei crede di averlo infranto, ma non si può non pensare che questa... decisione abbia delle sfaccettature. Kruppe non ha perso sicurezza.» Un accordo. La libertà per i T'lan Imass, una fine, le loro anime... consegnate a Hood. Spiriti degli Inferi... e lei li ha persi? Ha perso i T'lan Imass? «Hood non rispetterà...» «Ah, perché non dovrebbe? Perché mai, mia cara? Se il Signore della Morte è senza pazienza, allora Kruppe può danzare sulla testa appuntita di Coll, cosa che gli è di certo impossibile! Non tornerai nel tuo anziano corpo.» La Mhybe guardò di nuovo verso gli spiriti dei Rhivi. «Qui invecchierò? Alla fine...» L'anziano scrollò le spalle. «Non lo so, ma sospetto che non accadrà. Tu sei il contenitore, la Mhybe.» La Mhybe. Oh, Volpe d'Argento, figlia, perché non sei qui? Perché non posso ora guardarti negli occhi? Entrambe dobbiamo chiedere perdono. Traendo un profondo respiro, assaporò il dolce aroma della vita che pervadeva l'aria fresca e umida. Allora è così facile, accogliere questo mondo dentro me stessa. Rimosso il primo bracciale di rame, lo porse al Rhivi. «Credo sia tuo.»
«Il suo potere ti è stato utile?» sorrise l'anziano. «In maniera incommensurabile...» annuì lei. Una presenza le pervase la mente. «Mhybe.» Togg, un potere rombante, la volontà stessa dell'inverno. «Noi risiediamo in questo regno, il regno dei Troni delle Bestie, ma tu sei la sua Signora. Dentro di me c'è uno spirito mortale, uno spirito prezioso. Vorrei liberarlo... noi vorremmo liberarlo da questo regno. Tu ci dai...» «Sì. Liberatelo.» Una benedizione. Senza dio, non poteva impartirla, non nella sua forma più vera. Ma non aveva compreso la vasta capacità racchiusa in lui, nella sua anima mortale, di assumere su di sé la sofferenza di decine di migliaia di individui, della moltitudine che, per oltre trecentomila anni, aveva convissuto con perdita e cordoglio. Vedeva i volti, innumerevoli, disseccati, occhi ridotti a fosse d'ombra, pelle secca e lacerata, ossa che sporgevano da strati di tendini e muscoli simili a radici; vedeva mani scheggiate, smussate, e ora vuote... anche se lo spettro di una spada aleggiava tuttora in esse. Era in ginocchio, intento a contemplare quella moltitudine sotto un diluvio accompagnato da gemiti echeggianti, da schianti che pervadevano l'oscurità sovrastante. Li guardava, e sebbene fossero immoti, a testa china, poteva vedere ogni singolo volto. Ho il vostro dolore. Le teste si sollevarono lentamente. Lui le percepì, avvertì la leggerezza che d'un tratto le permeava. Ho fatto tutto ciò che potevo. Sì, so che non è stato abbastanza, ma ho preso la vostra sofferenza... «Hai preso la nostra sofferenza, mortale.» Dentro me stesso... «Ora lo comprendiamo.» E ora vi lascerò... «Non comprendiamo... il perché.» Perché tutto ciò che la mia carne non riesce ad accogliere... «Non possiamo ricambiare il dono che ci hai fatto.» Verrà via con me. «Per favore, mortale...»
In qualche modo. «Il motivo. Per favore, dicci perché ci benedici in questo modo...» Io sono l'... «Mortale?» «Chiedo scusa, Signore, ma tu desideri conoscermi. Io sono... un mortale, come dici, un uomo nato tre decenni fa nella città di Erin. Prima che vi rinunciassi a favore del Reve di Fener, il nome della mia famiglia era Otanthalian. Mio padre era un uomo duro e giusto, mia madre ha sorriso soltanto una volta, in tutti gli anni che l'ho conosciuta, quando me ne sono andato. Ricordo ancora quel sorriso, e ora credo di sapere cosa abbia abbracciato per amor del possesso. Ora credo che lei fosse una prigioniera, e che il suo sorriso fosse una risposta alla mia fuga. Andandomene, ritengo di aver portato via con me qualcosa di lei, qualcosa degno di essere libero. Il Reve di Fener. Nel Reve... mi chiedo se non ho soltanto trovato un'altra prigione per me stesso. «Lei è libera dentro di te, mortale.» Questa sarebbe... una buona cosa. «Non ti mentiremmo mai, Itkovian Otanthalian. Lei è libera, e sorride ancora. Ci hai detto che cosa eri, ma ancora non comprendiamo la tua... generosità, la tua compassione, quindi te lo chiediamo ancora: perché hai fatto questo per noi?» «Signore, tu parli di compassione, e questa è una cosa che io capisco alquanto. Mi vuoi ascoltare?» «Parla, mortale.» «Noi umani non comprendiamo la compassione. In ogni momento della nostra vita, la tradiamo. Sì, ne conosciamo la preziosità, e tuttavia nel conoscerla vi attribuiamo un valore, siamo parchi nell'elargirla, ritenendo che debba essere guadagnata. T'lan Imass, la compassione è senza prezzo nel senso più vero della parola, e deve essere elargita in abbondanza, liberamente. «Non comprendiamo, ma rifletteremo a lungo sulle tue parole.» A quanto pare, c'è sempre dell'altro da fare. «Non stai rispondendo alla nostra domanda...» No. «Perché?» Sotto la pioggia, mentre l'oscurità aumentava, con ogni volto levato verso di lui, Itkovian si chiuse intorno a tutto ciò che racchiudeva in se stesso,
poi si lasciò andare all'indietro. Perché. Ero l'Incudine-Scudo. Ma ora... Ora ho finito. E morì sotto la torrenziale pioggia della Luna. Sulla vasta tundra rinata con il suo dolce alito di primavera, Volpe d'Argento sollevò lo sguardo. Davanti a lei c'erano due T'lan Imass, una donna trapassata da alcune spade e un guerriero così malconcio da reggersi a stento in piedi. Alle loro spalle, silenziosi e immobili, c'erano i T'lan Ay. Volpe d'Argento accennò a volgere loro le spalle. «No, non lo farai.» Volpe d'Argento fissò con occhi roventi il malconcio guerriero che aveva parlato. «Osi tormentarmi?» sibilò. Il T'lan Imass parve barcollare di fronte alla sua veemenza, ma poi si riprese. «Io sono Onos T'oolan, Prima Spada, e tu sei la Convocatrice. Mi ascolterai.» Per un lungo momento, Volpe d'Argento rimase in silenzio, poi annuì. «Benissimo. Parla.» «Libera i T'lan Ay.» «Mi hanno ripudiata...» «Ora sono qui, davanti a te. Sono venuti. Il loro spirito li attende, vogliono tornare a essere mortali, in questo mondo che tu hai creato. Mortali, non più persi nei sogni, Convocatrice. Mortali. Fa' loro questo dono. Ora.» Fa' loro questo dono... «È ciò che desiderano?» «Sì. Protenditi verso di loro, e saprai che è vero.» No, basta dolore. Volpe d'Argento sollevò le braccia e chiuse gli occhi, attingendo al potere di Tellann. Per troppo tempo hanno conosciuto le catene. Troppo a lungo queste creature hanno sperimentato il fardello della fedeltà... E li liberò dal Rituale, cosa che richiese da parte sua uno sforzo così minimo da lasciarla sgomenta. Dunque è così facile lasciar andare, rendere di nuovo liberi. Aprì gli occhi. I lupi non-morti erano scomparsi, ma non erano passati nell'oblio. La loro anima, lo sapeva, si era ricongiunta alle ossa e alla carne. Non più estinti, essi erano qui, in questo regno degli dei-lupi. Dopo tutto, era una Divinatrice, spettava a lei elargire questi doni. No, non sono doni, sono ciò che sono destinata a fare, dopo tutto. Il mio scopo, il mio
unico scopo. Le ossa di Onos T'oolan scricchiolarono mentre lui si guardava intorno, scrutando la tundra ora vuota che li circondava, poi le sue spalle parvero accasciarsi. «Grazie, Convocatrice. L'antico torto è stato corretto.» Volpe d'Argento scrutò la Prima Spada. «Che altro vorresti da me?» «Colei che è al mio fianco è Lanas Tog. Lei ti riporterà dai T'lan Imass. Dobbiamo parlare.» «Benissimo.» Onos T'oolan non accennò a muoversi, e Volpe d'Argento si accigliò. «Cosa stiamo aspettando?» chiese. Dopo un momento, lui estrasse lentamente la spada di selce. «Me», rispose con voce rauca, sollevando la spada... per poi lasciarla cadere al suolo, ai suoi piedi. La donna fissò l'arma, chiedendosi il significato di quel gesto... da parte di un guerriero definito la Prima Spada. Lentamente, la comprensione affiorò in lei, facendole sgranare gli occhi. Dopo tutto, questo è ciò per cui sono stata creata. «Il tempo è giunto.» «Cosa?» sussultò Coll, che si era assopito. «Che tempo?» Murillio si precipitò verso la Mhybe. «Lei è pronta alla sepoltura», continuò il Cavaliere della Morte. «Il mio Signore le ha concesso protezione eterna.» Il Dio Antico, K'rul, stava studiando l'enorme guerriero non-morto. «Sono perplesso, anzi, stupito. Da quando Hood è diventato un dio generoso?» Lentamente, il Cavaliere si girò a fissarlo. «Il mio Signore è sempre generoso.» «Lei è ancora viva», annunciò Murillio, raddrizzandosi per piazzarsi fra la Mhybe e il Cavaliere della Morte. «Il tempo non è giunto.» «Questa non è una vera sepoltura», gli spiegò K'rul. «La Mhybe ora dorme, e dormirà in eterno. Nel sonno, sogna, e nel suo sogno, Murillio, vive un intero mondo.» «Come Burn?» chiese Coll. La risposta del Dio Antico fu un sorriso. «Aspettate un momento!» scattò Murillio. «Esattamente, quante vecchie dormienti ci sono?» «Deve essere deposta a riposare», dichiarò il Cavaliere della Morte. Coll avanzò, posando una mano sulla spalla di Murillio. «Vieni, accer-
tiamoci che stia comoda, là sotto... pellicce, coperte...» Murillio parve rabbrividire sotto la sua mano. «Dopo tutto questo?» chiese, asciugandosi gli occhi. «Adesso... l'abbandoniamo? Qui, in una tomba?» «Aiutami con le coltri, amico mio», ribadì Coll. «Non ce n'è bisogno», osservò il Cavaliere. «Lei non avvertirà nulla.» «Non è questo il punto», sospirò Coll. Stava per aggiungere altro quando vide Rath'Fanderay e Rath'Togg togliersi entrambi la maschera, mostrando pallidi volti rugosi solcati di lacrime. «Cosa prende a quei due?» chiese. «I loro dei si sono finalmente ritrovati, Coll, nel regno della Mhybe, ora dimora dei Troni delle Bestie. Quello che vedete non è dolore, ma gioia.» «Mettiamoci al lavoro, Murillio», grugnì Coll, dopo un momento. «Poi potremo andare a casa.» «Voglio ancora sapere come fanno queste vecchie a sognare un mondo!» Il canale divampò, e tre figure ne emersero, riversandosi in un groviglio sul polveroso terreno grigio. Paran rotolò lontano da Ben lo Svelto e dal Veggente nel momento in cui la magia prendeva a vorticare intorno ai due uomini in lotta; mentre estraeva la spada, sentì lo Jaghut urlare, poi ragnatele nere si avvolsero strettamente intorno al Veggente. Annaspando, Ben lo Svelto si allontanò, il Finnest in mano. Accoccolata sul petto dello Jaghut c'era una minuscola figura di ramoscelli ed erba annodata, che ridacchiava soddisfatta. «Nel nome di Hood, chi...» Una massiccia sagoma nera esplose dal portale con un ringhio. Lanciando un grido, Paran si girò di scatto e calò la spada in un disperato fendente orizzontale. Che attraversò muscoli e ossa. Qualcosa... una zampa... si abbatté sul petto di Paran, gettandolo a terra. «Fermati... dannato gatto!» Il grido frenetico di Ben lo Svelto venne sottolineato da una detonazione magica che strappò uno stridio di dolore alla pantera. «In piedi, Paran!» annaspò Ben lo Svelto. «Non ho altre risorse». In piedi? Dei, mi sento ridotto in migliaia di pezzi, e quest'uomo vuole che mi alzi in piedi. In qualche modo, riuscì comunque a sollevarsi e, sia pur barcollando, affrontò di nuovo la bestia. Essa era acquattata a sei passi di distanza, la coda sferzante, gli occhi ro-
venti fissi nei suoi, le zanne snudate in un ringhio silenzioso. Da qualche parte, all'interno del capitano, giunse un ringhio di risposta, un suono più profondo di quello che sarebbe potuto uscire da una gola umana, poi lui si sentì pervadere da una forza brutale che gli tolse ogni consapevolezza del proprio corpo... a parte la certezza di poter ora, in qualche modo, guardare negli occhi la gigantesca pantera. Dietro di sé, sentì Ben lo Svelto sussultare. «Per l'Abisso!» Le orecchie appiattite, il felino stava chiaramente esitando. Nel nome di Hood, cosa sta vedendo? «Aspetta, Divinatrice!» scattò Ben lo Svelto. «Guardati intorno... osserva dove siamo! Non siamo tuoi nemici, cerchiamo ciò che tu cerchi. Qui. Adesso.» La pantera indietreggiò di un altro passo, e Paran la vide prepararsi a mutare. «La vendetta non è abbastanza!» gridò il mago. Il felino sussultò. Un momento più tardi, Paran lo vide rilassare i muscoli, poi tutta la sua forma si fece indistinta, mutò... e una bassa donna bruna dall'ossatura massiccia apparve davanti a loro. Sulla sua spalla destra c'era una profonda lacerazione, da cui il sangue le scorreva lungo il braccio. Occhi neri, di una bellezza straordinaria, lo stavano fissando. Paran sospirò, sentendo qualcosa recedere dentro di sé, poi tornò ad avvertire il proprio corpo, gli arti tremanti, la spada in pugno. «Chi sei?» gli chiese la donna, e quando lui scrollò le spalle distolse lo sguardo, appuntandolo alle sue spalle. «Morn», disse. Paran si volse lentamente, e percepì la cicatrice come un colpo fisico al cuore. Un gonfiore nell'aria, quasi addossato al tetto in rovina di una torre abbandonata, una ferita che sanguinava dolore... una tale sofferenza... un'eternità... per gli dei degli Inferi... là dentro c'è un'anima. Una bambina. Intrappolata, che sigilla la ferita. La ricordo... è la bambina dei miei sogni... Ben si era rimesso in piedi, e stava contemplando il Veggente imprigionato dalla magia, la figura-stecco accoccolata sul suo petto. Lo Jaghut lo stava fissando a sua volta, gli occhi inumani pieni di terrore. «Tu e io arriveremo a un accordo, Veggente», sorrise Ben lo Svelto, sollevando il Finnest, che aveva ancora in mano. «Il potere della Matrona... risiede in quest'uovo... giusto? Un potere incapace di percepire se stesso, e tuttavia vivo. Strappato dal corpo che lo ospitava, presumibilmente non avverte dolore... esso esiste semplicemente, qui nel Finnest, e chiunque lo
può usare. Chiunque.» «No», gracchiò lo Jaghut, con crescente timore. «Il suo aspetto è calibrato su di me, su me soltanto. Stolto...» «Basta con gli insulti, Veggente. Vuoi sentire la mia proposta? Oppure io e Paran dobbiamo semplicemente farci da parte e lasciarti ai teneri artigli della Divinatrice?» La donna bruna si avvicinò. «Che cosa hai in mente, mago?» «Un accordo in cui vincono tutti, Divinatrice», spiegò Ben lo Svelto, rivolgendole un'occhiata. «Nessuno vince, mai», sogghignò lei. «Lascialo a me.» «Il Voto T'lan è tanto importante per te? Non credo, dato che sei fatta di carne e di sangue; tu non hai partecipato al Rituale.» «Non sono vincolata da nessun voto», replicò la donna. «Ora agisco per conto di mio fratello.» «Tuo fratello?» ripeté Paran, riponendo la spada e venendo a raggiungerli. «Onos T'oolan, che conosceva un mortale e lo chiamava fratello.» «Suppongo che un simile onore sia... raro», ammise Paran, «ma cosa c'entra il Veggente con questo?». La donna abbassò lo sguardo sullo Jaghut intrappolato. «Per vendicare la morte di Toc il Giovane, fratello per Onos T'oolan, devo uccidere il Veggente.» Paran la fissò, non riuscendo a credere al nome che aveva sentito. Lo Jaghut reagì snudando le zanne inferiori. «Avresti dovuto ucciderci la prima volta», disse quindi. «Sì, mi ricordo di te, delle tue menzogne.» «Toc il Giovane?» chiese intanto Ben lo Svelto. «Dell'Armata di Unbraccio? Ma...» «Era perduto», continuò Paran. «È stato scagliato da Hairlock in un canale del caos.» «Per atterrare in grembo al Veggente?» rifletté Ben lo Svelto, accigliandosi. «Questo non mi sembra...» «Lui è apparso qui, a Morn», spiegò la donna. «Il Veggente lo ha catturato mentre andava a nord per ricongiungersi alla sua gente, un viaggio che ha condiviso per qualche tempo con Onos T'oolan. Il Veggente ha torturato quel mortale, lo ha distrutto». «Toc è morto?» chiese Paran, la mente sconvolta. «Sì, ho visto il suo corpo, e ora infliggerò altrettanta sofferenza a questo Jaghut.»
«Non lo hai già fatto?» sibilò il Veggente. La Divinatrice s'irrigidì in volto. «Aspettate», affermò Ben lo Svelto, guardando verso la donna e Paran. «Ascoltatemi, per favore. Anch'io conoscevo Toc, e piango la sua perdita, ma essa non cambia nulla, non qui e non adesso. Sai», continuò, rivolto ora al Veggente, «lei è ancora là dentro». Lo Jaghut sussultò, dilatando gli occhi. «Non lo avevi capito? La Matrona ha potuto prendere uno solo di voi. Te.» «No...» «Tua sorella è ancora là dentro, la sua anima sigilla la ferita. Questo è il modo in cui i canali si risanano, per non sanguinare uno nell'altro. La prima volta è stata la Matrona, la K'Chain Che'Malle, a sigillare il canale. Veggente, è venuto il tempo di rimandarla indietro. Solo Hood sa cosa farà il Finnest, una volta che lo avrai gettato in quella lacerazione...» Lo Jaghut riuscì a sfoggiare uno spettrale sorriso. «Per liberare mia sorella? Per cosa? Stolto, cieco, stupido stolto. Chiedi alla Divinatrice quanto a lungo sopravviveremmo in questo mondo! Adesso i T'lan Imass ci daranno la caccia sul serio. Per cosa dovrei liberare mia sorella? Per una breve vita di fuga... io ricordo, mortale, ricordo! Correre sempre, mai dormire abbastanza, nostra madre che ci trasportava, scivolando nel fango...» Sollevò appena la testa, e continuò: «E mi ricordo di te, Divinatrice! Tu ci hai mandati in quella ferita... tu...». «Ho sbagliato», affermò la donna. «Credevo... ero convinta che il portale desse accesso all'Omtose Phellack.» «Bugiarda! Puoi anche essere in carne e ossa, ma il tuo odio per gli Jaghut non è diverso da quello dei tuoi fratelli non-morti. No, tu hai soltanto scoperto per noi una sorte più orribile.» «No. Ero convinta di salvarvi.» «E non hai mai capito la verità? Non te ne sei mai resa conto?» Paran vide l'espressione della donna farsi impenetrabile. «Non ho visto il modo per disfare ciò che avevo fatto.» «Vigliacca!» stridette lo Jaghut. «Ora basta», intervenne Ben lo Svelto. «Adesso noi possiamo rimediare. Rimanda la Matrona nella ferita, Veggente, recupera tua sorella.» «Perché? Perché dovrei? Per vederci abbattere entrambi dai T'lan Imass?» «Ha ragione», affermò la donna. «Anche così, Jaghut, meglio questo
dell'eternità di dolore che tua sorella sta ora sopportando.» «Devo solo aspettare», sibilò lo Jaghut. «Un giorno, qualche stolto verrà qui, sonderà la ferita, si protenderà nel portale...» «E farà lo scambio? Liberando tua sorella?» «Sì! Senza che i T'lan Imass vedano o sappiano! Senza...» «Una bambina», insistette Ben lo Svelto. «Sola, in una landa devastata. Io ho un'idea migliore.» Lo Jaghut scoprì i denti in un ringhio silenzioso, mentre il mago gli si sistemava accanto. «L'Omtose Phellack, il tuo canale, è sotto assedio, vero? I T'lan Imass vi hanno aperto una breccia molto tempo fa, e adesso sanno ogni volta che viene utilizzato, sanno dove accade, e arrivano...» Lo Jaghut si limitò a fissarlo. «La questione, Veggente», sospirò Ben lo Svelto, «è che io ho trovato il posto adatto per esso, un luogo che può rimanere... nascosto, al di fuori della capacità di individuazione dei T'lan Imass. L'Omtose Phellack può sopravvivere, Veggente, nel pieno del suo potere. Sopravvivere, e guarire». «Menzogne.» «Ascolta questo mago, Jaghut», intervenne la figura-stecco. «Ti offre una misericordia che non meriti.» Paran si schiarì la voce. «Veggente», disse, «eri consapevole di essere manipolato? Il tuo potere... non derivava dall'Omtose Phellack, vero?». «Ho usato quello che ho trovato», ringhiò lo Jaghut. «Sì, il Canale del Caos, nel quale è intrappolato un dio ferito, l'Incatenato, una creatura dal potere immenso, un essere che soffre e che cerca soltanto di distruggere questo mondo, ogni canale... incluso l'Omtose Phellack. Lui è indifferente ai tuoi desideri, Veggente, e ti ha usato. La cosa peggiore è che il veleno della sua anima ha parlato per tuo tramite. Lui ha prosperato nel dolore e nella sofferenza... tramite te. Da quando gli Jaghut sono stati interessati soltanto a distruggere? Neppure i Tiranni hanno governato con la tua crudeltà! Dimmi, Veggente, ti senti ancora distorto interiormente? Trai ancora piacere al pensiero di infliggere sofferenza?» Lo Jaghut rimase in silenzio per un lungo momento. Per gli dei, Ben, spero che tu abbia ragione, che la follia del Veggente non nasca dalla sua mente, che adesso sia svanita... rimossa... «Mi sento vuoto», rispose lo Jaghut. «Tuttavia, perché ti dovrei credere?»
Paran lo scrutò per un momento. «Liberalo, Ben», disse quindi. «Aspettate un momento...» «Lascialo andare. Non puoi trattare con un prigioniero e aspettarti che creda a una sola parola di quello che gli stai dicendo. Veggente, nel posto che Ben lo Svelto ha in mente, nessuno - proprio nessuno - sarà in grado di manipolarti, ma la cosa forse più importante è che avrai l'opportunità di far pagare all'Incatenato la sua temerarietà. Infine, avrai una sorella... ancora bambina... che dovrà guarire. Veggente, lei avrà bisogno di te.» «Hai un'eccessiva certezza che questo Jaghut conservi ancora un brandello di onore, di integrità e di compassione», dichiarò la Divinatrice. «Con tutto quello che ha fatto - volontariamente o meno - distorcerà quella bambina com'è stato distorto lui stesso.» «Allora?» ribatté Paran, scrollando le spalle. «È una fortuna il fatto che lui e la bambina non saranno del tutto soli.» «Non saremo soli?» ripeté il Veggente, con sospetto. «Liberalo, Ben.» Il mago sospirò, poi si rivolse alla figura-stecco accoccolata sul petto dello Jaghut. «Lascialo andare, Talamandas.» «Probabilmente ce ne pentiremo», ribatté la figura-stecco, ma si spostò, e la ragnatela magica svanì. Il Veggente si alzò in piedi ed esitò, gli occhi fissi sul Finnest che Ben lo Svelto aveva in mano. «Quest'altro posto», sussurrò infine, guardando verso Paran, «è lontano?». La piccola Jaghut, una bambina di pochi anni, emerse dal canale ferito come se fosse stata sperduta, le manine incrociate in grembo in un atteggiamento che doveva aver appreso dalla madre morta da tempo. Un piccolo dettaglio, che però le conferiva una struggente dignità e fece salire le lacrime agli occhi a Paran. «Cosa ricorderà?» sussurrò Kilava. «Nulla, speriamo», replicò Ben lo Svelto. «Ci penseremo Talamandas e io.» Un suono sommesso proveniente dal Veggente attirò l'attenzione di Paran. Lo Jaghut stava tremando, gli occhi inumani fissi sulla bambina che si avvicinava... e che adesso li aveva visti, ma stava rallentando, chiaramente alla ricerca di qualcun altro. «Va' da lei», disse Paran al Veggente.
«Lei ricorda... un fratello...» «E adesso troverà uno zio.» Lui esitò ancora. «Noi Jaghut non siamo... non siamo noti per avere compassione per i nostri parenti.» «E noi umani lo siamo?» ribatté Paran, con una smorfia. «Non sei il solo a trovare difficili queste cose. Ci sono molti aspetti a cui devi porre rimedio, Pannion, a cominciare da ciò che è dentro di te, da ciò che hai fatto. In questo, lascia che quella bambina, tua sorella, ti faccia da guida. Va', dannazione, avete bisogno l'uno dell'altra.» Lo Jaghut avanzò barcollando, poi esitò ancora e si volse a guardare Paran. «Umano, quello che ho fatto... al tuo amico, a Toc il Giovane... ora lo rimpiango.» Il suo sguardo si spostò su Kilava. «Hai detto di avere un fratello, Divinatrice.» Lei scosse il capo, quasi anticipando la sua domanda. «È un T'lan Imass. Ha eseguito il Rituale.» «Allora pare che come me, anche tu hai una grande distanza da percorrere.» «Da percorrere?» ripeté lei. «Questo sentiero di redenzione, Divinatrice. Sappi che non posso perdonarti. Non ancora.» «Né io te.» Lui annuì. «Entrambi abbiamo molto da apprendere.» Poi si volse e si raddrizzò, avanzando verso la sorella. Lei conosceva la sua razza, e non aveva ancora perduto l'amore, il bisogno, di una famiglia. Prima che il Pannion accennasse a sollevare le mani verso di lei, gli spalancò le braccia. Lungo le curve pareti ondulate della vasta caverna scorrevano rivoli di acqua fangosa. Nel fissare il più vicino gigante tempestato di diamanti, con le braccia massicce sollevate a reggere il soffitto, Paran ebbe l'impressione di vederlo dissolversi sotto i suoi occhi; l'infezione nella carne di Burn era fin troppo evidente sotto forma di striature infiammate che irradiavano da un punto quasi direttamente sopra di loro. Il gigante non era solo: l'intera lunghezza della caverna, in ogni direzione fin dove arrivava lo sguardo, rivelava altri di quegli enormi servitori dalla mente infantile. Se pure erano consapevoli dell'arrivo dei nuovi venuti, essi non lo davano a vedere. «Dorme, per sognare», mormorò Kilava.
Ben lo Svelto le rivolse un'occhiata, ma non disse nulla, dando l'impressione di attendere qualcosa. Paran abbassò lo sguardo sulla figura-stecco, Talamandas. «Un tempo tu eri un Barghast, vero?» «Lo sono ancora, Signore del Mazzo. I miei dei appena nati sono dentro di me.» In effetti, in te è più presente Hood che non i tuoi dei Barghast, pensò il capitano, ma si limitò ad annuire. «Tu sei stato ciò che ha permesso a Ben di usare i suoi canali.» «Già, ma sono molto più di questo.» «Non ne dubito.» «Eccola che arriva», annunciò con sollievo Ben lo Svelto. Girandosi, Paran vide avvicinarsi lungo il tunnel tortuoso una figura anziana, vestita di stracci, che zoppicava appoggiata a due bastoni. «Benvenuta!» esclamò Ben lo Svelto. «Non ero certo...» «I giovani mancano di fede, Serpe del Deserto, e tu non fai eccezione!» Appoggiandosi a un singolo bastone, la donna armeggiò per un momento nelle pieghe del mantello e tirò fuori una piccola pietra. «Mi hai lasciato questa, giusto? La tua convocazione è stata udita, mago. Ora, dove sono questi malvagi Jaghut? Ah... c'è anche la Divinatrice Soletaken. Che straordinaria compagnia... e quanto deve essere notevole la storia che vi ha condotti qui insieme! No, non me la raccontate, non sono interessata fino a questo punto.» Arrestandosi davanti al Veggente, studiò per un momento la bambina che gli dormiva fra le braccia prima di sollevare lo sguardo penetrante. «Io sono una vecchia», sibilò, «scelta dalla Dea Dormiente per assisterti nell'occuparti di tua sorella. Prima, però, dovrai aprire il tuo canale, e combattere con il freddo questa infezione. Con il gelo, rallenterai la dissoluzione, indurirai questa legione di servitori. L'Omtose Phellack, Jaghut, liberalo qui. Ora Burn ti abbraccerà». «Parole piuttosto infelici», sussultò Paran. «Ma che lui capirà, giusto?» ridacchiò la donna. «No, a meno che tu non abbia intenzione di ucciderlo.» «Non essere pedante, soldato. Jaghut, il tuo canale.» Il Veggente annuì, e aprì l'Omtose Phellack. L'aria si fece di colpo fredda, mista a brina. «Fa abbastanza freddo per te, strega?» sorrise Ben lo Svelto. «Sapevo che non eri uno stolto, Serpe del Deserto», ridacchiò la vecchia. «A dire il vero, devo ringraziare Picker per avermi dato l'idea, la notte che ho incrociato la strada del Dio Storpio. Questo, e i tuoi accenni riguar-
do al freddo.» La strega si girò a guardare verso Kilava. «Divinatrice», disse, secca, «ascolta bene le mie parole: questo canale non dovrà essere attaccato da te o dalla tua gente. Non dovrai dire a nessuno di questo, la manifestazione finale dell'Omtose Phellack». «Ho capito, strega. A quanto pare, comincerò da qui il mio cammino di redenzione. Ho sfidato il mio popolo abbastanza spesso da non patire troppo a farlo di nuovo.» Kilava si rivolse quindi a Ben lo Svelto: «E adesso, mago, vorrei andarmene. Ci puoi guidare fuori da questo posto?». «No, è meglio che sia il Signore del Mazzo a guidarci... in modo da non lasciare tracce.» «Io?» domandò Paran, interdetto. «Modella una carta, capitano, nella tua mente.» «Una carta? Quale?» «Pensa a qualcosa», ribatté il mago, scrollando le spalle. I soldati avevano tirato da un lato i tre corpi e li avevano coperti con i mantelli da pioggia; Korlat era ferma accanto a essi, la schiena rivolta verso Gruntle che si trovava nel punto più vicino alla strada, al di là della quale poteva vedere Itkovian giacere immoto e abbandonato, in lontananza. I T'lan Imass erano scomparsi. Le Spade Grigie superstiti si stavano avvicinando lentamente a Itkovian, tutte appiedate tranne Anaster che, in sella al suo cavallo da tiro, pareva non registrare nulla, neppure la massiccia montagna volante che incombeva sul costone settentrionale e proiettava un profondo sudario d'ombra sul parco sottostante. Sulla collina, di fronte alla città buia, sostava Caladan Brood, con Humbrall Taur sulla destra, Hetan e Cafal sulla sinistra. Dalle Porte Settentrionali, i sopravvissuti dell'esercito di Dujek stavano uscendo da Coral in una fila irregolare. Quelli di loro ancora vivi erano davvero pochi. Nel frattempo, i Rhivi stavano conducendo in città dei carri vuoti per cominciare a raccogliere i cadaveri. Mancava meno di una campana al crepuscolo: quella sarebbe stata una lunga notte. Un gruppo di ufficiali Malazan, guidato da Dujek, aveva raggiunto la base della collina, insieme a un Seerdomin che rappresentava le truppe del Dominio che si erano arrese. Gruntle si diresse verso il punto in cui erano in attesa Brood e i Barghast.
Il Gran Pugno aveva saputo la notizia... era evidente dalle sue spalle accasciate, dal modo in cui si passava ripetutamente l'unica mano sul volto segnato dagli anni, con aria manifestamente affranta. Un canale si aprì sulla destra di Brood e ne emersero una mezza dozzina di Malazan, guidati da Artanthos, uomini dall'elegante uniforme pulita e dall'espressione grave. «Spada Mortale?» La voce indusse Gruntle a girarsi: accanto a lui c'era una delle donne più anziane della sua legione. «Sì?» «Vorremmo innalzare lo Stendardo del Bambino, Spada Mortale.» «Non qui.» «Signore?» «Là, fra i nostri caduti», precisò Gruntle, indicando il campo di battaglia. «Signore, è nell'area di oscurità.» «D'accordo, allora innalzatelo qui», annuì Gruntle. «Sì, signore.» «E basta con titoli onorifici. Io mi chiamo Gruntle e sono una guardia di carovana, temporaneamente disoccupata.» «Signore, voi siete la Spada Mortale di Trake.» Gruntle fissò la donna, che distolse lo sguardo, appuntandolo sul campo di battaglia. «Un titolo acquistato con il sangue, signore», precisò. Gruntle sussultò e rimase a lungo in silenzio, poi annuì ancora. «D'accordo. Però non sono un soldato, odio la guerra e odio uccidere.» E non voglio vedere mai più un altro campo di battaglia. La donna si limitò a scrollare le spalle e tornò verso lo sparuto gruppo delle sue compagne, mentre Gruntle riportava la propria attenzione sul raduno di dignitari. Artanthos... Tayschrenn... stava facendo le presentazioni. L'ambasciatore Aragan... un uomo alto, segnato dalle battaglie, che pareva soffrire di emicrania, era venuto per parlare per conto dell'Imperatrice Laseen riguardo al futuro governo della Nera Coral; oltre a lui, c'era una manciata di persone del seguito. Brood replicò che per avviare i negoziati formali si sarebbe dovuto attendere l'arrivo, ormai imminente, di Anomander Rake. Lo sguardo di Gruntle tornò ad appuntarsi su Dujek, che era appena arrivato sul posto con i suoi ufficiali. Lo sguardo del Gran Pugno era fisso su Korlat e sui tre corpi coperti che giacevano sull'erba. La pioggia stava an-
cora cadendo, l'odore di bruciato pervadeva l'aria come un sudario. Sì, questo giorno finisce in cenere e polvere. In cenere e polvere. Stava correndo, nella memoria un'eco di gloria e di gioia. Cavalcò quella sensazione, la fuga dalla sofferenza, dalla prigione di ossa, da umide braccia massicce coperte di scaglie, da un luogo senza vento, senza luce, senza calore. Da carne gelata. Bianca e bollita. Nera e bruciata. Da deformi dita intorpidite impegnate a spingere i pezzetti di cibo in una bocca che, quando masticava, si riempiva del suo stesso sangue. Dalla fredda e dura pietra, con il suo strato di sporcizia umana. Carne sporca, fetore di escrementi... Stava correndo... Un'esplosione di dolore che si estinse nell'improvviso fluire del sangue nelle vene, un respiro irregolare, che tuttavia portò l'aria sempre più in profondità in due polmoni sani. Toc aprì il suo unico occhio e si guardò intorno. Era in sella a un cavallo dalla schiena ampia, circondato da soldati in uniforme grigia che lo scrutavano da sotto gli elmi logorati dall'uso. Io... sono integro. Sano. Io... Una donna in armatura si fece avanti. «Ora vorreste abbandonare il vostro dio, signore?» chiese. Il mio dio? Un rivestimento di carne morta, una dura anima Jaghut... no, non un dio, il Veggente, attanagliato dalla paura, sfregiato dal tradimento. Il mio dio? Correre. Libero. La bestia. Il lupo Togg. Il mio omonimo... «Lui vi ha liberato, signore, e tuttavia non chiede nulla. Sappiamo che la vostra anima ha corso con gli dei-lupi, ma ora siete di nuovo nel regno mortale, il corpo in cui vi trovate è stato benedetto, e ora è vostro. Tuttavia, signore, dovete scegliere. Volete abbandonare i vostri dei?» Toc esaminò le proprie braccia, i muscoli delle gambe. Sollevando le
lunghe dita si tastò la faccia, trovando una cicatrice recente che attraversava lo stesso occhio. Non importava, ci si era abituato. Quello era un corpo giovane... più giovane di quanto lui era stato. Infine abbassò lo sguardo sulla donna, sul cerchio di soldati. «No», disse. I soldati piegarono a terra un ginocchio, a testa china, e la donna sorrise. «La vostra compagnia vi porge il benvenuto, Spada Mortale di Togg e di Fanderay.» Spada Mortale. Allora, correrò ancora... Nel canale Tellann, Lanas Tog guidò Volpe d'Argento verso il limitare di un'ampia vallata. Al suo interno, erano riuniti tutti i clan dei T'lan Imass, immobili... E tuttavia diversi. Privi di fardelli? Si sentì assalire dal dolore e dal rammarico. Vi sono venuta meno... in così tanti modi... Pran Chole venne avanti e chinò il capo in un gesto di saluto. «Convocatrice.» Volpe d'Argento si rese conto che stava tremando. «Puoi perdonarmi, Pran Chole?» «Perdonarti? Non c'è nulla da perdonare, Convocatrice.» «Non ho mai pensato di rifiutare a lungo il vostro desiderio... solo... solo finché...» «Comprendiamo. Non devi piangere. Non per noi, né per te stessa.» «Io ora vi libererò, come ho fatto con i T'lan Ay. Porrò fine al vostro voto, Pran Chole, per lasciarvi liberi di attraversare le Porte di Hood, se lo vorrete.» «No, Convocatrice.» Lei lo fissò in silenzio, sconvolta. «Abbiamo ascoltato Lanas Tog, la guerriera al tuo fianco. Ci sono nostri fratelli, Convocatrice, che stanno venendo distrutti su un continente del lontano sud. Essi non possono sfuggire alla loro guerra, e noi vorremmo andare là, vorremmo salvare i nostri fratelli e sorelle. «Convocatrice, un volta portato a termine questo compito, torneremo da te, per cercare l'oblio che ci attende.» «Pran Chole...» cominciò lei, con voce rotta. «Volete proseguire il vo-
stro tormento...» «Se solo possiamo, Convocatrice, dobbiamo salvare i nostri fratelli. All'interno del Voto, il nostro potere permane, e ne avremo bisogno.» Lentamente, lei si erse sulla persona, tacitando il proprio dolore, il proprio tremito. «In tal caso mi unirò a voi, Pran Chole. Tutti noi, Nightchill, Tattersail, Bellurdan e Volpe d'Argento.» Il Divinatore rimase a lungo in silenzio. «Siamo onorati, Convocatrice», disse infine. «Siete... diversi», osservò con esitazione Volpe d'Argento. «Cosa ha fatto Itkovian?» Alla menzione di quel nome, un mare di teste si chinò, una vista che le tolse il respiro. Per l'Abisso, cos'ha fatto quell'uomo? Pran Chole impiegò parecchio tempo a rispondere. «Getta lo sguardo intorno a te, Convocatrice, guarda la vita presente ora in questo regno, protenditi e percepisci il potere che è nella terra.» Lei si accigliò. «Non capisco. Ora questo regno è la dimora dei Troni delle Bestie, qui ci sono spiriti Rhivi... due dei-lupi...» «E altro ancora», annuì Pran Chole. «Forse involontariamente, hai creato un regno dove il Voto di Tellann si evolve. I T'lan Ay - nuovamente mortali - quel gesto è stato più facile di quanto ti aspettassi, vero? Convocatrice, Itkovian ha liberato la nostra anima, e in questo regno da te creato ha trovato un posto per noi.» «Siete stati... redenti?» «Redenti? No, Convocatrice, solo tu sei capace di questo. I T'lan Imass sono stati destati, le nostre memorie vivono di nuovo, nella terra benedetta sotto i nostri piedi, ed esse sono ciò a cui torneremo, il giorno in cui ci lascerai andare. Convocatrice... ci aspettavamo che quel giorno non portasse altro se non l'oblio. Non avremmo mai immaginato che potesse esserci un'alternativa.» «E adesso?» sussurrò lei. Pran Chole piegò il capo da un lato. «Supera la nostra comprensione... ciò che un solo uomo mortale ha volontariamente abbracciato.» Girandosi, si avviò per tornare fra gli altri, poi si arrestò e si girò verso di lei. «Convocatrice.» «Sì.» «Ci attende ancora un compito... prima di iniziare il lungo viaggio...» Gli occhi opachi per lo sfinimento, seduta su una pietra chiazzata di fu-
mo, Picker stava osservando i Rhivi aggirarsi fra le macerie alla ricerca di altri corpi. In giro si vedevano anche soldati Pannion disarmati; a quanto pareva, i soli abitanti rimasti in città erano morti o ridotti a ossa rosicchiate. Gli Arsori di Ponti caduti nella fortezza erano già stati portati via su un carro; la stessa Picker e la sua misera squadra ne avevano recuperata la maggior parte nell'andarsene, mentre la struttura crollava intorno a loro, e una manciata di altri cadaveri erano stati rintracciati e recuperati mediante magia dai Tiste Andii, alcuni dei quali indugiavano ancora nella zona, come se fossero stati in attesa di qualcosa, o di qualcuno. I soli che nessuno aveva ancora trovato erano Ben lo Svelto e Paran, e Picker aveva il sospetto che questo dipendesse dal fatto che erano altrove. Le torce rischiaravano l'area, una luce fievole rispetto all'oscurità innaturale che ammantava la città; l'aria puzzava di calcina e di fumo, solcata a tratti da lontane grida di dolore, che si levavano come tormentosi ricordi. «Ho detto ai Rhivi del nostro carro di aspettare all'interno delle Porte Settentrionali», affermò Blend, al suo fianco. Il nostro carro. Il carro che trasporta gli Arsori di Ponti caduti. I primi a entrare. Gli ultimi a uscire. Per l'ultima volta. Dalle macerie della fortezza giunse un bagliore, l'aprirsi di un canale da cui emersero alcune figure: un segugio sfregiato che sembrava un cane da pastore, seguito da Lady Invidia e da due Seguleh che trascinavano fra loro un terzo guerriero mascherato. «Bene», mormorò Blend, «questo colma la misura, giusto?». Picker non replicò, incerta su cosa lei avesse voluto dire. Intanto, Lady Invidia le aveva scorte. «Tenente caro! Che sollievo vedere che state bene! Riuscite a credere all'audacia di quel canuto, presuntuoso...» «Ti riferisci a me?» chiese una voce profonda, poi Anomander Rake emerse dal buio, aggiungendo: «Se avessi saputo che eri nella fortezza, Lady Invidia, avrei fatto abbassare completamente la Progenie della Luna». «Oh, che cosa orribile da dire!» «Cosa ci fai qui?» ringhiò il Figlio dell'Oscurità. «Oh, questo e quello, tesoro. Non hai un aspetto molto marziale, questo pomeriggio... è ancora pomeriggio, vero? Qui è difficile capirlo.»
«Oh», sussurrò Blend, «c'è una storia fra quei due». «Ma davvero?» strascicò Picker. «E come hai fatto a capirlo?» Dannata dama, neppure una macchia sul suo telaba. Il suo è un mondo diverso dal mio, eppure siamo state fianco a fianco, in quel corridoio. Anomander Rake stava scrutando la donna che aveva davanti. «Cosa vuoi, Invidia?» «Razza di ingrato, ho attraversato mezzo continente per riferirti parole della massima importanza!» «Allora sentiamole.» Lady Invidia si guardò intorno, esitando. «Qui, tesoro mio? Non sarebbe meglio in un posto più... privato?» «No. Ho delle cose da fare. Sentiamo.» Lei incrociò le braccia. «Allora te lo dirò, anche se soltanto gli dei sanno come io faccia a mantenere coraggiosamente questo mio stato d'animo generoso...» «Invidia.» «Benissimo, ascoltami, Possessore di Dragnipur. Il mio caro padre, Draconus, complotta per sfuggire alle catene che sono nella spada. Come faccio a saperlo? Sussurri del sangue, Anomander.» «Mi sorprende che ci abbia messo tanto», grugnì il Signore della Progenie della Luna. «E con questo?» Invidia sgranò gli occhi. «È forse questa folle millanteria? Nel caso te ne sia dimenticato, abbiamo fatto una dannata fatica per ucciderlo, la prima volta!» Lanciando un'occhiata a Blend, Picker la vide fissare a bocca aperta Rake e Invidia. «Non ricordo che tu abbia fatto molto, a quel tempo», stava dicendo Rake. «Sei stata in disparte a osservare il combattimento.» «Esattamente! E cosa credi abbia pensato mio padre, di questo?» Rake scrollò le spalle. «Sapeva che sarebbe stato inutile chiedere il tuo aiuto, Invidia. In ogni caso, ho sentito il tuo avvertimento, ma c'è ben poco che io possa fare al riguardo, almeno finché Draconus non sarà riuscito a liberarsi.» La donna socchiuse gli occhi scuri. «Dimmi, mio caro, cosa sai, se sai qualcosa, riguardo al Signore del Mazzo?» Rake inarcò le sopracciglia. «Ganoes Paran? Il mortale che ha camminato dentro Dragnipur? Colui che ha inviato due Segugi d'Ombra attraverso la porta del Kurald Galain?»
«Sei insopportabile», dichiarò Invidia, battendo a terra un piede. Il Signore dei Tiste Andii le volse le spalle. «Abbiamo parlato anche troppo, Invidia.» «Cercheranno il modo di infrangere la spada!» «Sì, è possibile.» «La tua stessa vita dipende dal capriccio di un mortale!» Arrestandosi, Anomander Rake le lanciò un'occhiata. «Quindi è meglio che stia attento a quello che faccio, giusto?» poi riprese a camminare, attraversando la folla di Tiste Andii. Con un sibilo esasperato, Invidia si avviò per seguirlo. Blend si girò lentamente verso Picker. «Ganoes Paran? Il capitano?» «Riflettici sopra un'altra volta», replicò Picker. «In ogni caso, alla fin fine non ha nulla a che vedere con noi. Radunali, Blend», aggiunse, raddrizzandosi lentamente. «Andiamo alle Porte Settentrionali». «Sì, signore. Non ci dovrebbe volere molto.» «Io sarò sotto l'arcata.» «Tenente Picker?» «Cosa c'è?» «Hai fatto quello che potevi.» «Ma non è stato abbastanza, giusto?» Senza attendere risposta, Picker si avviò, e i Tiste Andii si spostarono sui due lati per lasciarla passare. «Un momento», chiamò qualcuno, mentre raggiungeva l'arco annerito; voltandosi, vide sopraggiungere Anomander Rake, e distolse involontariamente lo sguardo da quello duro e inumano di lui. «Vorrei fare due passi con voi», aggiunse Rake. Turbata da quell'attenzione, Picker guardò verso Lady Invidia, ora impegnata a esaminare il guerriero Seguleh svenuto. Sei una donna coraggiosa, signora... non hai neppure sussultato. Il Figlio dell'Oscurità doveva aver seguito la direzione del suo sguardo, perché sospirò. «Non m'interessa riprendere quella particolare conversazione, tenente, e se lei dovesse decidere di svegliare quel Seguleh - cosa che potrebbe benissimo fare, dato il suo umore attuale - ebbene, non sono propenso a riprendere neppure quella vecchia discussione. Suppongo che voi e la vostra squadra siate diretti alla postazione di comando, a nord della città.» Davvero? Non mi ero spinta tanto oltre, nel fare piani. Picker annuì. «Allora posso unirmi a voi?» Per gli dei! Picker trasse un profondo respiro. «Attualmente, signore,
non siamo una compagnia piacevole», disse poi. «In effetti no, ma siete una compagnia degna.» A quel punto, lei incontrò il suo sguardo con perplessità. «Mi rincresce di essere arrivato in ritardo», affermò Rake, con una smorfia, «e neppure sapevo che ci fossero soldati Malazan nella fortezza». «Non avrebbe avuto importanza, signore», replicò Picker, riuscendo a scrollare le spalle. «Da quanto ho sentito, le compagnie di Dujek non se la sono cavata meglio, sebbene non fossero nella fortezza». Anomander Rake distolse lo sguardo per un momento, serrando gli occhi. «Una triste conclusione dell'alleanza.» Gli Arsori di Ponti superstiti si erano raccolti intorno a loro, per ascoltare in silenzio; d'un tratto, Picker fu consapevole della loro presenza, delle parole che avevano udito e di tutto ciò che non era stato detto. «Quell'alleanza era concreta, per quanto ci riguardava», affermò. Noi, quelli che hai ora davanti. Forse lui comprese. «Allora, tenente, vorrei camminare ancora una volta con i miei alleati.» «Ne saremmo onorati, signore.» «Fino alla postazione di comando, a nord della città.» «Sì, signore.» Il Signore dei Tiste Andii sospirò. «Là c'è un soldato caduto a cui... vorrei rendere omaggio.» Già, la notizia più triste che abbiamo sentito oggi. «Come faremo noi tutti, signore.» Rake le si mise al fianco quando si avviarono, e i cinque Arsori di Ponti superstiti si allinearono alle loro spalle. Gli arrivò accanto, anche lei con lo sguardo fisso sulle figure che si stavano radunando in cima alla collina. «Sai cosa vorrei?» disse. Gruntle scosse il capo. «No, Stonny, cosa vorresti?» «Che Harllo fosse qui.» «Già.» «Mi basterebbe che ci fosse il suo corpo. Il suo posto è qui, con gli altri caduti, non sotto un piccolo mucchio di pietre, nel bel mezzo del nulla.» Harllo, sei stato il primo morto di questa guerra? Il nostro misero gruppetto rappresentava i primi alleati venuti a unirsi alla causa? «Ricordi quel ponte?» continuò Stonny. «Tutto distrutto. E Harllo che pescava appollaiato sulle fondamenta. Abbiamo visto la Progenie della
Luna, rammenti? Fluttuava a est, lungo l'orizzonte meridionale. E adesso siamo qui, all'ombra di quella dannata cosa!» Caladan Brood e Dujek si stavano avvicinando a Korlat, che era rimasta in piedi davanti ai tre corpi coperti; due passi più indietro, procedeva Tayschrenn, privo ora della magica maschera di giovinezza. L'aria era pervasa di una immobilità innaturale, attraverso cui le voci echeggiavano nitide. Oltrepassata Korlat, Dujek s'inginocchiò accanto ai tre Malazan caduti. «Chi era qui?» chiese con voce rauca, sollevando una mano a massaggiarsi il volto. «Chi ha visto cosa è successo?» «Io e Tayschrenn», rispose Korlat, con voce atona. «Nel momento in cui è apparsa Volpe d'Argento, Kallor ha attaccato per primi noi due, per garantirsi che non fossimo in grado di reagire. Non credo avesse previsto che Whiskeyjack e i due soldati di marina gli avrebbero sbarrato il passo. Essi lo hanno intralciato abbastanza a lungo da permettere a Tayschrenn di riprendersi, e Kallor è stato costretto a fuggire presso il suo nuovo Signore, il Dio Storpio». «Whiskeyjack ha incrociato la spada con Kallor?» Dujek rimosse lentamente il mantello dal corpo dell'amico, osservandolo in silenzio. «Quella gamba spezzata... è stata la causa...» Gruntle vide Korlat esitare. «No, Gran Pugno», disse quindi. «Si è spezzata dopo il colpo mortale.» Dopo un lungo momento, Dujek scosse il capo. «Continuavamo a ripetergli di farla risanare a dovere. "Più tardi", diceva, sempre "più tardi". Ne siete certa, Korlat? Che si sia spezzata dopo?» «Sì, Gran Pugno.» Dujek si accigliò, lo sguardo fisso sul soldato morto che aveva davanti. «Whiskeyjack era un superbo spadaccino... abituato a duellare con lo stesso Dassem Ultor, che impiegava non poco tempo a oltrepassare la sua guardia.» Da sopra la spalla, lanciò un'occhiata a Korlat e poi a Tayschrenn. «E con i due soldati di marina al fianco... Grande mago, quanto tempo è passato prima che ti riprendessi?» Tayschrenn fece una smorfia e guardò verso Korlat. «Solo momenti, Dujek», affermò poi. «Pochi momenti... ma troppo tardi.» «Gran Pugno», aggiunse Korlat, «l'abilità di Kallor con la spada... è un guerriero formidabile». Gruntle vide Dujek accigliarsi sempre più. «Non mi suona giusto», borbottò Stonny, accanto a lui. «Quella gamba
rotta deve essere venuta per prima.» Lui si protese a serrarle un braccio e scosse il capo. No, Korlat deve avere un motivo per questo... inganno. Stonny socchiuse gli occhi, contrariata, ma tacque. Con un sospiro, Dujek si sollevò. «Ho perso un amico», disse. Per qualche motivo, la grezza semplicità di quell'affermazione colpì Gruntle al cuore, destando in lui una fitta dolorosa di cordoglio e di perdita. Harllo... amico mio. Itkovian... Volgendo le spalle, sbatté in fretta le palpebre. Nel frattempo, era arrivato anche Anomander Rake, con il Grande Corvo Crone che si spostava svolazzando dal suo percorso. Al suo fianco procedeva Picker, e dietro di loro Gruntle vide altri Arsori di Ponti: Blend, Mallet, Antsy, Spindle, Bluepearl, tutti con l'armatura a brandelli, coperti di sangue secco, gli occhi spenti. Sui pendii si erano ora raccolti i superstiti dell'Armata di Un-braccio, che Gruntle calcolò non essere più di un migliaio; dietro di loro, c'erano i Barghast e i Rhivi, i Tiste Andii e il resto dell'esercito di Brood. Tutti in silenzio, in piedi, per rendere onore ai caduti. Il guaritore, Mallet, puntò dritto verso il corpo di Whiskeyjack. Gruntle lo vide esaminare le ferite, e capire la verità. Il grosso soldato indietreggiò di un passo barcollante, stringendosi le braccia intorno al corpo, e parve crollare interiormente; Dujek lo raggiunse appena in tempo per reggere il suo peso e aiutarlo a sedersi per terra. Alcune ferite non guariscono mai, e quell'uomo ne ha appena subita una. Sarebbe stato meglio se Dujek avesse lasciato Whiskeyjack nascosto dal mantello... Anomander Rake si era affiancato a Korlat; per parecchio tempo non disse nulla, poi le volse le spalle. «Korlat, come risponderai a questo?» chiese. «Orfantal si sta preparando, signore», replicò lei, sempre atona. «Mio fratello e io daremo la caccia a Kallor.» «Quando lo avrete trovato», annuì Rake, «lasciatelo in vita. Si è meritato Dragnipur». «Lo faremo, signore.» Poi il Figlio dell'Oscurità si rivolse agli altri. «Gran Pugno Dujek, Grande Mago Tayschrenn, la Progenie della Luna sta morendo, quindi è stata
abbandonata dal mio popolo e verrà mandata a est, sopra l'oceano. Il potere che l'alimenta si sta esaurendo, quindi essa presto scivolerà sotto le onde. Chiedo che questi tre Malazan caduti, uccisi per mano di un traditore che io stesso e Caladan Brood abbiamo introdotto fra noi, siano sepolti sulla Progenie della Luna. Credo che essa sarebbe per loro un degno sarcofago.» Nessuno parlò. Rake si girò allora verso Picker. «Chiedo inoltre che anche i caduti degli Arsori di Ponti siano interrati là.» «C'è spazio per tutti i nostri caduti?» chiese Picker. «Purtroppo no. La maggior parte delle camere interne è inondata.» Picker trasse un profondo respiro, poi lanciò un'occhiata a Dujek, che parve però incapace di prendere una decisione. «Qualcuno ha visto il capitano Paran?» chiese. Non ci fu risposta. «Benissimo, tenente Picker, per quanto concerne i caduti degli Arsori di Ponti, la decisione spetta a te.» «Erano sempre stati curiosi di ciò che c'era dentro la Progenie della Luna», affermò lei, riuscendo a esibire un asciutto sorriso. «Credo che ne sarebbero contenti.» In un punto periferico del campo di rifornimento organizzato alla meglio nel parco a nord del campo di battaglia, i settecentoventidue Irregolari di Mott si stavano radunando lentamente, ciascuno carico di un sacco di tela pieno di bottino accumulato in città. Appoggiato a un albero c'era un tavolo massiccio, rovesciato in modo da rivelare il lato inferiore dipinto; le gambe si erano spezzate in un momento imprecisato del passato, ma questo rendeva soltanto più facile trasportarlo. L'immagine dipinta stava brillando già da qualche tempo prima che qualcuno se ne accorgesse, e una folla numerosa si era ormai raccolta a osservarla quando infine il canale all'interno dell'immagine si aprì e da esso emersero Paran, Ben lo Svelto e una donna bassa e robusta dai capelli neri. Tutti e tre erano coperti di brina, che cominciò a sciogliersi non appena il canale si richiuse alle loro spalle. Uno degli Irregolari di Mott si fece avanti. «Salve, sono l'Alto Maresciallo Job Bole, e c'è qualcosa che mi lascia confuso.» Rabbrividendo per il gelo brutale dell'Omtose Phellack, Paran fissò l'uomo per un momento, poi scrollò le spalle. «E di cosa si tratta, Alto Ma-
resciallo?» Job Bole si grattò la testa. «Ecco, quello è un tavolo, non una porta...» Poco tempo dopo, mentre lui e Paran procedevano nell'ombra verso il campo di battaglia, il mago scoppiò a ridere. «Cosa c'è?» chiese Paran, rivolgendogli un'occhiata. «Umorismo da boscaioli, capitano. Affiora quando si parla con alcuni fra i maghi più pericolosi che abbiamo mai affrontato.» «Maghi?» «Ecco, forse non è il termine giusto per definirli, e stregoni andrebbe meglio, stregoni delle paludi, con pezzetti di corteccia nei capelli. Mettili in una foresta, e non li troverai finché non lo vorranno loro. Quei fratelli Bole sono i peggiori, anche se ho sentito dire che hanno una sola sorella, che vi converrebbe non incontrare mai.» Paran scosse il capo. Kilava li aveva lasciati subito dopo il loro arrivo. Aveva porto loro una singola parola di ringraziamento, che Paran aveva recepito come uno straordinario abbassarsi delle sue difese, poi era svanita nel buio della foresta. Il capitano e il mago raggiunsero la strada e la videro raddrizzarsi e salire verso il costone antistante il campo di battaglia e la città stessa. La Progenie della Luna era sospesa quasi direttamente sopra di loro, riversando in basso una pioggia caliginosa, e anche se qualche incendio ardeva ancora in Coral, pareva che l'oscurità del Kurald Galain stesse soffocando tutte le fiamme. Paran non riusciva ad allontanare dalla mente i recenti avvenimenti. Non era abituato a essere artefice di... redenzione. Il salvataggio della bambina Jaghut dal portale ferito di Morn lo aveva lasciato stordito. Tanto tempo fa... fuori da Pale, l'ho percepita, ho avvertito quella bambina, intrappolata nella sua sofferenza eterna, incapace di capire cosa avesse fatto per meritare quello che le stava succedendo. Aveva creduto di andare a cercare sua madre... così Rilava le aveva detto. Aveva tenuto suo fratello per mano... E poi le era stato strappato via tutto. Di colpo sola. Conoscendo solo dolore. Per migliaia di anni. Ben lo Svelto e Talamandas avevano fatto qualcosa alla bambina, avevano usato la loro magia per rimuovere ogni ricordo di quello che era successo, e Paran aveva percepito il diretto coinvolgimento di Hood; soltanto
un dio poteva riuscire in una cosa del genere, non solo bloccare ma cancellare i ricordi, come su una lavagna. E così quella bambina aveva perso il fratello e aveva invece trovato uno zio. Ma non uno zio gentile. Dopo tutto, anche il Veggente ha le sue ferite... E adesso il regno di Burn aveva trovato nuovi cittadini, era dimora di un antico canale. «Ricordi di ghiaccio», aveva detto Ben lo Svelto. «C'è del calore all'interno di questo veleno caotico... abbastanza da distruggere questi servitori. Devo trovare il modo di rallentare l'infezione, di indebolire il veleno. «Avevo avvertito il Dio Storpio, sapete, gli avevo detto che gli avrei sbarrato la strada. Lo abbiamo respinto...» Paran sorrise fra sé nel ricordare. L'ego degli dei non era nulla di fronte a quello di Ben lo Svelto, ma del resto il mago si era guadagnato il diritto di sentirsi soddisfatto di sé. Avevano sottratto il Veggente sotto il naso stesso di Anomander Rake, avevano corretto un antico torto ed erano stati tanto fortunati da avere anche la presenza di Kilava, perché partecipasse alla redenzione. Avevano rimosso la minaccia del Veggente da quel continente e infine, attraverso la preservazione dell'Omtose Phellack, avevano rallentato di molto il diffondersi dell'infezione del Dio Storpio. E abbiamo ridato la sua vita a una bambina. «Capitano», mormorò Ben lo Svelto, posandogli una mano sulla spalla. Più avanti, oltre gli ultimi alberi, una massa di figure copriva i pendii di un'ampia collina dalla sommità piatta. Le torce sembravano stelle tremolanti. «Non mi piace nulla di tutto questo», borbottò il mago. Quando l'oscurità si dissipò, i corpi non c'erano più, sia quelli sulla collina che quelli sul carro che Picker e i suoi soldati avevano guidato fino al bordo della strada sottostante. La sepoltura non aveva avuto nulla di elaborato, e la disposizione dei caduti all'interno dell'enorme edificio volante era stata lasciata ai Tiste Andii, allo stesso Anomander Rake. Girandosi, Gruntle sollevò lo sguardo per osservare la Progenie della Luna che, inclinata su un lato, stava andando alla deriva verso il mare, nascondendo con la sua mole le stelle che cominciavano a dipingere tutto d'argento. Presto, sarebbe stata inghiottita dalla naturale oscurità della notte. A mano a mano che la montagna volante si allontanava insieme alla sua
ombra, sul costone dall'altra parte della strada divenne visibile un piccolo gruppo di soldati che si erano disposti a semicerchio intorno a un feretro e a un mucchio di pietre. Ci volle un momento perché Gruntle comprendesse cosa stava vedendo; protendendo una mano, trasse Stonny più vicina a sé. «Vieni», sussurrò. Senza protestare, lei si lasciò guidare giù per la collina e attraverso file silenziose e spettrali di soldati che si spostarono per lasciarli passare; oltrepassata la strada, scavalcarono lo stretto canale di scolo e si avviarono su per il pendio del costone. Là, il centinaio circa di Spade Grigie superstiti si era riunito per onorare l'uomo che era stato l'Incudine-Scudo di Fener. Qualcuno li stava seguendo da lontano, ma né Gruntle né Stonny si volsero per vedere chi fosse mentre raggiungevano il gruppo intorno al feretro. Le uniformi erano state ripulite, le armi lucidate; in mezzo ai Capan, per lo più donne, e alle magre reclute Tenescowri, Gruntle scorse Anaster, ancora in sella al suo cavallo, e d'un tratto socchiuse i suoi strani occhi felini nell'esaminare quello strano giovane con un solo occhio. No, non è quello che era. Non è più... vuoto. Cosa è diventato, perché ora io debba recepirlo con te un mio... rivale? Il Destriant era il più vicino alla forma immota sul feretro, e pareva intento a studiare il pallido volto di Itkovian; dall'altra parte del feretro era già stata scavata una fossa poco profonda, con la terra ammucchiata da un lato e i massi dall'altro. Quella che attendeva Itkovian era una tomba modesta. Infine, la donna Capan si volse. «Onoriamo nella morte quest'uomo, il cui spirito non viaggia verso alcun dio. Ha attraversato la Porta di Hood, e questo è tutto. L'ha attraversata, per rimanere da solo, e non abbandonerà il suo fardello, perché nella morte resta ciò che era in vita. Itkovian, Incudine-Scudo del Reve di Fener. Custodite la sua memoria.» Mentre il Destriant segnalava di dare inizio alla sepoltura, qualcuno aggirò Gruntle e Stonny per avvicinarglisi: era un soldato Malazan, che teneva sotto un braccio un oggetto avvolto in un panno. «Per favore, Destriant», disse, in Daru sgrammaticato, «cerco di onorare Itkovian...». «Come desiderate.» «Io vorrei... anche un'altra cosa.» La donna piegò il capo da un lato, perplessa. «Signore?» Rimuovendo il panno, il Malazan mostrò l'elmo di Itkovian. «Io... non
volevo approfittare di lui. Però... ha insistito che era lui a guadagnare dallo scambio. Non era vero, Destriant, potete vederlo anche voi. Chiunque può vederlo. Guardate l'elmo che indossa... era il mio. Vorrei riprenderlo. Lui dovrebbe portare il suo, questo...» Girandosi, il Destriant guardò nuovamente il corpo e rimase in silenzio per un lungo momento, poi scosse il capo. «No, signore, Itkovian respingerebbe la vostra richiesta. Il vostro dono gli ha fatto piacere, signore. Nondimeno, se adesso avete deciso che l'elmo che lui vi ha dato è in effetti di eccessivo valore, lui non esiterebbe a...» Nel parlare, la donna si stava girando, e quando il suo sguardo si spostò oltre il soldato, ora in lacrime, posandosi su qualcosa che si trovava al di là di tutti loro, le parole le morirono in gola, e Gruntle la vide dilatare lentamente gli occhi per lo stupore. D'un tratto, l'Incudine-Scudo delle Spade Grigie si girò di scatto con un sommesso tintinnare di armatura, imitato subito dopo dagli altri soldati. Come pure da Gruntle e da Stonny. Quel singolo Malazan era stato soltanto il primo. Sotto la luce argentea delle stelle, ogni soldato superstite dell'Armata di Un-braccio era venuto a prendere posizione alla base del pendio, formando uno schieramento ordinato; e accanto a loro c'erano Tiste Andii, Rhivi, Barghast, Moranth Neri: una vasta massa di figure immote e silenziose. Lo sguardo di Gruntle continuò a spostarsi verso est, arrivando fino al campo di battaglia, dove erano nuovamente raccolti i T'lan Imass, che stavano anch'essi venendo avanti. In disparte dal lato opposto, Volpe d'Argento stava osservando la scena. Mute per lo stupore, le Spade Grigie si spostarono lentamente quando il primo T'lan Imass raggiunse il costone. Si trattava di un Divinatore, che teneva in una mano una malconcia conchiglia appesa a un laccio di cuoio. Arrestandosi, la creatura non-morta si rivolse al Destriant. «In cambio del dono che questo mortale ci ha fatto, ciascuno di noi offrirà qualcosa. Uniti, questi doni diventeranno il suo tesoro funebre, ed esso sarà intoccabile. Se tenterai di opporci un rifiuto, noi ti sfideremo.» Il Destriant scosse il capo. «No, signore», sussurrò. «Non ci saranno rifiuti.» Il Divinatore si avvicinò a Itkovian e depose la conchiglia sul suo petto. Gruntle sospirò. Ah, Itkovian, sembra che tu ti sia fatto ancora altri amici. La solenne processione di modesti doni - a volte nulla più di una lucida pietra posata con cura sul mucchio sempre più grande che copriva il corpo
- continuò per tutta la notte, mentre le stelle completavano il loro grande giro celeste fino a svanire nella luce dell'alba. Quando il soldato Malazan aggiunse l'elmo di Itkovian al tesoro funebre, ebbe inizio una seconda processione, con gli altri soldati che risalivano uno dopo l'altro il pendio per offrire il loro dono... sigilli, diademi, anelli, daghe. Per tutto quel tempo, Gruntle e Stonny rimasero in disparte, a guardare, come fecero anche le Spade Grigie. Allorché l'ultimo soldato lasciò la collina, Gruntle si riscosse e fissò l'enorme tumulo scintillante, percependo le vaghe emanazioni di magia Tellann che lo avrebbero mantenuto intatto... ogni oggetto al uso posto, inamovibile... poi sollevò la mano sinistra. Si udì un lieve scatto, e i bracciali caddero sul tumulo. Spiacente, Treach, impara a convivere con questa perdita. Noi lo facciamo. La penombra continuò ad ammantare l'intera città di Coral anche quando il sole emerse dal mare, verso est. Insieme, Paran e Ben lo Svelto avevano osservato la processione, ma non si erano mossi dalla loro posizione sulla collina; da là, avevano visto Dujek unirsi alla fila silenziosa, un soldato che rendeva omaggio a un altro. Il capitano si sentiva sminuito dalla propria incapacità di imitare quell'esempio, ma la morte di Whiskeyjack lo aveva lasciato troppo affranto perché riuscisse a muoversi. Lui e Ben lo Svelto erano arrivati troppo tardi e non avevano potuto unirsi agli altri nel loro omaggio formale, un rituale così semplice che Paran non aveva creduto che potesse avere per lui tanta importanza. In passato aveva presenziato ad altri funerali... anche quando era bambino, a Unta, c'erano state processioni solenni a cui lui aveva partecipato con le sorelle, sua madre e suo padre... per arrestarsi davanti a una cripta della necropoli, mentre il corpo di qualche anziano statista veniva affidato alle mani degli antenati, cerimonie che lui aveva mal sopportato, non provando il minimo cordoglio per un uomo che non aveva mai conosciuto. Allora, i funerali gli erano sembrati inutili: dopo tutto, Hood si era già preso l'anima del defunto, e piangere davanti a un corpo vuoto sembrava una perdita di tempo. Sua madre, suo padre... lui non era stato presente al funerale di nessuno dei due, e aveva creduto di poter trarre sufficiente conforto dalla consapevolezza che Tavore doveva aver garantito una nobile cerimonia e adeguato
rispetto. Qui i soldati avevano ridotto la cerimonia al minimo, limitandosi a schierarsi sull'attenti, immobili, ciascuno solo con i propri pensieri e i propri sentimenti, e tuttavia uniti tutti dal dolore condiviso. E lui e Ben lo Svelto non erano stati presenti, erano arrivati troppo tardi. Il corpo di Whiskeyjack non c'era più, e Ganoes Paran si sentiva al posto del cuore una vasta caverna oscura, echeggiante di emozioni che non voleva, non poteva manifestare. In silenzio, lui e il mago guardarono la Progenie della Luna andare alla deriva sempre più a est, portandosi sul mare, a un terzo di lega di distanza. Essa volava a una quota sempre più bassa e presto... forse anche entro un mese... si sarebbe posata sul mare, da qualche parte nell'oceano; allora l'acqua avrebbe ripreso a penetrare nelle fessure, riempiendo le camere interne, e la Progenie della Luna sarebbe sprofondata, si sarebbe inabissata nel mare indifferente. Nessuno si avvicinò loro. Infine, il mago si volse. «Capitano.» «Cosa c'è, Ben?» «La Progenie della Luna. Disegnatela.» Paran si accigliò, poi trattenne il respiro e, dopo una lieve esitazione, si chinò a terra, protendendo una mano per spianare un piccolo tratto di suolo. Con il dito indice, disegnò quindi un rettangolo dai bordi arrotondati e, dentro di esso, una sagoma rozza ma riconoscibile. Per un momento esaminò il suo lavoro, quindi guardò verso Ben e annuì. Questi chiuse una mano intorno a un lembo del suo mantello. «Guidateci di là», disse. D'accordo, ma come faccio? Studia la carta, Paran... no, fare soltanto questo ci porterebbe sulla sua dannata superficie, dove ci aspetterebbe una breve, ma senza dubbio letale, caduta nelle acque sottostanti. Una camera, ha detto Picker, la Sala del Trono di Rake. Pensa all'oscurità, al Kurald Galain, a un luogo buio e silenzioso, un posto che contenga dei corpi avvolti nei sudari... A occhi chiusi, avanzò, trascinando con sé Ben lo Svelto. Il suo stivale si posò su una superficie di pietra. Aprendo gli occhi, vide soltanto oscurità assoluta, ma l'aria aveva un odore... diverso. Nell'avanzare di un altro passo, sentì Ben lo Svelto sospirare alle sue spalle, poi il mago borbottò qualcosa e un globo di luce apparve sopra di loro.
Erano in una camera dall'alto soffitto, larga forse venti passi e lunga più di quaranta, ed erano davanti a quella che sembrava l'entrata principale. Alle loro spalle, oltre un arco, c'era un corridoio, mentre più avanti, all'estremità della camera, c'era una piattaforma rialzata. L'enorme seggio dall'alto schienale che un tempo aveva dominato la piattaforma era stato spinto da parte e pendeva con due gambe su un gradino più basso, e adesso al suo posto c'erano tre sarcofagi di legno nero; altri sarcofagi erano stati disposti sui due lati, lungo il percorso fino alla piattaforma, in posizione verticale e coperti da una nera rete di magia. «Guai al saccheggiatore che dovesse penetrare in questo luogo», sussurrò Ben lo Svelto. «Sigilli?» chiese Paran, osservando il lieve scorrere della magia sui sarcofagi. «Questo e molto di più, capitano, ma noi non dobbiamo temere nulla. Gli Arsori di Ponti sono in queste bare laterali... oh, c'è anche un Moranth Nero», aggiunse, indicando una bara che, agli occhi di Paran, non aveva nulla di diverso dalle altre. «Twist. Il veleno che aveva nel braccio lo ha ucciso una campana prima dell'inizio dell'attacco di Dujek.» Ben si avvicinò lentamente a un altro sarcofago. «Qui dentro... c'è quello che resta di Hedge, che non è molto. Quel bastardo si è fatto saltare in aria con una mina», disse, fermandosi davanti alla bara. «Picker mi ha descritto bene la scena, Hedge, e la racconterò a Fiddler, quando lo vedrò.» Per un momento rimase in silenzio, poi si girò verso Paran con un sorriso. «Posso immaginare la sua anima, acquattata alla base della Porta di Hood, intenta a infilare una mina fra le pietre...» Ricambiando a fatica il sorriso, Paran si diresse verso la piattaforma, seguito dal mago, che nel procedere scandì a bassa voce i nomi dei caduti. «Shank... Toes... Detoran... Aimless... Runter... Mulch... Bucklund... Story... Liss... Dasalle... Trotts... uh, avrei supposto che il Barghast... ma no, immagino di no, era un Arsore di Ponti quanto il resto di noi. Dietro quel coperchio, Paran, sta ancora sorridendo.» E riprese a elencare ad alta voce ogni singolo nome, una trentina circa. Poi raggiunsero la piattaforma, ma non poterono andare oltre, perché la magia la isolava completamente in una corrusca rete di energia del Kurald Galain. «Questi... incantesimi sono opera di Rake», mormorò Ben. «Ha operato da solo.» Paran annuì, perché glielo aveva già detto Picker. Capiva però il bisogno
che Ben avvertiva di parlare, di riempire la camera con la propria voce echeggiante. «È stato per via di quella gamba, sapete, ha ceduto al momento sbagliato. Probabilmente durante un affondo... il che significa che aveva Kallor alla sua mercé, poteva ucciderlo, perché altrimenti non si sarebbe mai scoperto a tal punto. Quella dannata gamba. Fratturata in quel giardino di Darujhistan. Una colonna di marmo è crollata... e Whiskeyjack si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. E ne è derivato questo.» E adesso Picker e gli altri stanno tenendo d'occhio Mallet, in ogni momento c'è qualcuno che lo sorveglia, perché alla minima occasione potrebbe cercare di uccidersi. Ah, Mallet, lui continuava a respingerti... «Un'altra volta, adesso ho troppe cose per la mente. È solo un po' di dolore, ci penseremo quando tutto questo sarà finito.» Non è stata colpa tua, Mallet. I soldati muoiono. Paran guardò Ben lo Svelto tirare fuori dalla sacca un ciottolo e deporlo per terra davanti alla piattaforma. «Potrei voler tornare qui in seguito», spiegò, con un triste sorriso. «Io e Kalam...» Oh, mago... Paran sollevò lo sguardo sui tre sarcofagi. Non sapeva quale contenesse chi, ma per qualche motivo, questo non importava molto. Whiskeyjack e i due soldati di marina... erano là per salvare Tattersail, all'ultimo. Sempre un equo scambio, maga. «Adesso sono pronto ad andare, capitano.» Paran annuì. Girandosi, si avviarono lentamente, ma quando giunsero all'entrata ad arco si fermarono e Ben lo Svelto lanciò un'occhiata nel corridoio. «Sapete, hanno lasciato qui tutto.» «Cosa? Chi?» «Rake, e i Tiste Andii. Hanno lasciato qui tutti i loro averi.» «Perché lo hanno fatto? Si devono insediare nella nera Coral, giusto? La città è stata spogliata di tutto...» Ben lo Svelto scrollò le spalle. «Tiste Andii», replicò, in un tono che lasciava sottintendere: non lo sapremo mai. Un vago portale prese forma davanti a loro. «Senza dubbio avete un vostro stile particolare per queste cose, capitano», grugnì il mago. Già, lo stile goffo dell'ignoranza. «Passa oltre, mago.» Paran guardò Ben lo Svelto svanire nel portale, poi si volse per contem-
plare la camera per l'ultima volta, alla luce sempre più fioca del globo magico. Whiskeyjack, ti ringrazio per tutto quello che mi hai insegnato. Arsori di Ponti, vorrei aver potuto fare di meglio per voi, soprattutto alla fine. Quanto meno, sarei potuto morire con voi. D'accordo, probabilmente è di gran lunga troppo tardi, ma vi benedico tutti. Poi si girò e superò il portale. Nel silenzio della camera, la luce svanì e il globo infine si spense. Un nuovo chiarore era però apparso nel buio, un fievole bagliore che pareva danzare con la nera rete di magia che rivestiva i sarcofagi. Una danza di mistero. La carrozza di ossa stava percorrendo rumorosamente la strada, con Emancipor che faceva schioccare le redini sull'ampio dorso scuro dei buoi. Gruntle, che stava attraversando la strada, si fermò ad attenderla, cosa che fece accigliare il vecchio servitore, riluttante ad arrestare il veicolo. Poi Emancipor picchiò il pugno contro la parete alle sue spalle, facendo vibrare come un tamburo la pelle di rettile; subito la portiera si aprì e Bauchelain scese dal veicolo, seguito da Korbal Broach. Il negromante avanzò verso Gruntle, lo sguardo fisso però sulla scura città alle sue spalle. «Straordinario!» sussurrò. «Questo... questo è un posto che potrei definire casa!» «Lo pensate davvero?» ribatté Gruntle, con un'aspra risata. «Adesso là ci sono i Tiste Andii e, soprattutto, la città fa parte ora dell'Impero Malazan. Credete che gli uni o l'altro tollererebbero i passatempi del vostro amico?» «Ha ragione», intervenne in tono lamentoso Korbal Broach, che era rimasto vicino alla carrozza. «Qui non potrò divertirmi.» «Ah, Korbal, ma pensa a tutti quei cadaveri freschi di giornata», sorrise Bauchelain. «E guarda quel campo laggiù. K'Chain Che'Malle, già convenientemente fatti a pezzi... ridotti a porzioni gestibili, se preferisci. Caro collega, c'è abbastanza materiale da costruire un'intera tenuta.» Gruntle vide un sorriso affiorare di colpo sulla faccia di Korbal Broach. Dei, risparmiatemi questa vista... non infliggetemela mai più, vi prego. «Ora, capitano striato», continuò Bauchelain, «vorreste essere tanto gentile da spostarvi dalla nostra strada? Prima però, potreste rispondere cortesemente a una domanda?». «Quale?»
«Di recente, ho ricevuto un messaggio. Pare che un certo Job Bole e i suoi fratelli vogliano farmi visita. Per caso, sapete qualcosa di questi egregi signori? Potreste darmi qualche indicazione sul modo migliore per riceverli?» «Indossate i vostri abiti migliori, Bauchelain», sorrise Gruntle. «Ah. Grazie, capitano. E adesso, se non vi dispiace...» Con un gesto di saluto, Gruntle riprese ad attraversare la strada. Le Spade Grigie avevano creato un accampamento temporaneo a una cinquantina di passi dal massiccio tumulo scintillante che era già stato denominato il Dono di Itkovian. Lacere bande di Tenescowri, individui malati ed emaciati, erano emerse dalla nera Coral e dalla foresta circostante, e si stavano radunando tutte nel campo. La notizia della... rinascita di Anaster si era diffusa, portando con sé una promessa di salvezza. Reclutamento. Quei Tenescowri non potrebbero più tornare a essere ciò che erano un tempo. Anch'essi hanno bisogno di rinascere. Lo sconosciuto che è in Anaster, questa nuova Spada Mortale di Togg e di Fanderay, ha molto da fare... Per Gruntle, era giunto il momento di vedere di che pasta fosse fatto quell'uomo. Probabilmente, si dimostrerà una Spada Mortale migliore di me, pieno di devozione e di compiacimento di sé. D'accordo, lo ammetto, sono pronto a detestare quel bastardo. Si avvicinò ad Anaster, che stava guidando il cavallo attraverso il decrepito campo dei Tenescowri, le figure emaciate che si protendevano da ogni lato a toccare lui e la sua cavalcatura; il Destriant lo seguiva a qualche passo di distanza, e Gruntle poteva avvertire la magia di risanamento che emanava dalla sua persona... l'abbraccio del Reve del Lupo aveva avuto inizio. Infine, Anaster uscì dal campo, il suo unico occhio notò Gruntle e lui fermò il cavallo per aspettarlo, prendendo la parola prima che lui avesse modo di aprire bocca. «Voi siete Gruntle, la Spada Mortale di Trake... il Destriant mi ha parlato di voi, e sono lieto che siate venuto.» Nel parlare, guardò verso i Tenescowri, che rimanevano all'interno del loro accampamento, come se il suo perimetro fosse una sorta di barriera invisibile e impenetrabile, poi scese di sella. «L'Incudine-Scudo insiste perché continui a farmi vedere», grugnì, sussultando nello stendere le gambe, «ma se andrò ancora avanti così, finirò per camminare come un Wickan». «Avete detto di essere lieto che io sia venuto», replicò Gruntle. «Perché?»
«Ecco, siete una Spada Mortale, vero? Chiamano così anche me, e... uh... ecco... cosa significa questo titolo?» «Non lo sapete?» «No. E voi?» Gruntle rimase in silenzio per un lungo momento, poi sorrise. «Non proprio, a dire il vero.» La tensione abbandonò Anaster in un sentito sospiro, poi lui si fece più vicino. «Ascoltate, prima di questo... uh, prima di ritrovarmi in questo corpo, ero un esploratore dell'esercito Malazan, e per quanto mi riguardava, i templi erano posti dove i poveri pagavano per tenere ben rifornite le cantine dei vini dei sacerdoti. Non voglio dei seguaci. Quel Destriant, laggiù, e l'Incudine-Scudo... per gli dei, quanto è dura quella donna! Loro stanno accumulando aspettative su di me... mi sento come si deve sentire adesso quel tale, Itkovian... non che provi nulla, immagino. Per Hood, solo menzionare il suo nome mi spezza il cuore, e non l'ho mai conosciuto.» «Io sì, Anaster. Rilassatevi, ragazzo, prendetevela comoda riguardo a tutto. Credete che io abbia chiesto di essere la Spada Mortale di Trake? Ero una miserabile guardia di carovane, ed ero felice di esserlo...» «Eravate felice di essere miserabile?» «Sì, dannazione.» Di colpo, Anaster sorrise. «Mi sono imbattuto in un barilotto di birra... è nel campo delle Spade Grigie. Noi due dovremmo fare due passi, Gruntle.» «Sì, magari sotto gli alberi. Vado a cercare Stonny... un'amica. Credo che vi piacerà.» «Una donna? Mi piace di già. Io intanto vado a prendere la birra. Ci ritroviamo qui.» «Un buon piano, Anaster. Ah, e non dite al Destriant e all'IncudineScudo...» «Non lo farò, neppure sotto tortura...» cominciò Anaster, poi la voce gli si spense e Gruntle lo vide impallidire. «A presto, amico», aggiunse quindi, scuotendo il capo. «Sì.» Amico... sì, credo di sì. Guardò Anaster rimontare in sella... l'uomo che era stato aveva saputo cavalcare bene. No, non l'uomo che è stato. L'uomo che è. Gruntle indugiò a osservarlo ancora per un momento, poi andò a cercare Stonny.
Vapore, o forse fumo, si levava ancora dai quattro carri della Corporazione Commerciale Trygalle che attendevano alla base della collina. Ben lo Svelto era andato avanti per parlare con il padrone del convoglio, un uomo grasso dagli abiti sfarzosi, il cui profondo sfinimento era evidente anche da cinquanta passi di distanza. Paran, che insieme agli Arsori di Ponti stava aspettando Dujek sulla cresta della collina, vide il mago e il Trygalle impegnare una lunga conversazione, il cui esito parve lasciare perplesso Ben lo Svelto. Poi il Daru, Kruppe, li raggiunse, e la discussione riprese in tono più accalorato. «Cosa sta succedendo?» chiese Picker. «Non ne ho idea, tenente», ammise Paran, scuotendo il capo. «Signore.» Qualcosa, nel tono di lei, indusse Paran a voltarsi. «Sì?» «Non avreste dovuto lasciarmi il comando... ho fatto un brutto pasticcio, signore.» Paran vide il dolore nei suoi occhi, e si costrinse a continuare a sostenerne lo sguardo nonostante l'improvviso desiderio di distogliere il proprio. «Non tu, tenente. Ero io al comando, dopo tutto, e vi ho abbandonati.» Lei scosse il capo. «Ben lo Svelto ci ha spiegato cosa avete fatto, capitano. Siete andato dove dovevate, signore, e avete agito per il meglio. Ci sembrava che in tutto questo non ci fosse nulla che sapeva di vittoria, ma adesso sappiamo che non è vero... e questo significa più di quanto possiate immaginare.» «Tenente, sei uscita da quella fortezza con dei superstiti. Nessun altro avrebbe potuto fare di meglio.» «Concordo», intervenne una nuova voce. Il sopraggiungere di Dujek ridusse entrambi gli ufficiali al silenzio. Il Gran Pugno pareva essere invecchiato di dieci anni nell'arco di un giorno e una notte, e appariva incurvato, l'unica mano scossa da un tremito. «Tenente, convoca gli Arsori di Ponti. Voglio parlare a tutti voi.» Picker si volse e segnalò ai cinque di avvicinarsi. «Bene», grugnì il Gran Pugno. «Ora ascoltatemi. C'è mezzo carro di paghe arretrate che sta per essere trasferito su uno di quei veicoli dei Trygalle che vedete laggiù: paghe arretrate per la compagnia nota come gli Arsori di Ponti, effettivi al completo. C'è quanto basta perché ognuno di voi si possa comprare una tenuta e condurre una vita di meritato ozio. I Trygalle vi porteranno a Darujhistan... non vi consiglio di tornare nell'Impero. Per quanto riguarda Tayschrenn, il Pugno Argan e me, nessuno degli Arsori di
Ponti è uscito vivo da quella fortezza. No, soldati, non una sola parola. Whiskeyjack voleva questo per voi, Hood sa che lo voleva anche per se stesso, e rispetto i suoi desideri. «Inoltre, avete ancora una missione, che vi conduce a Darujhistan. I Trygalle hanno portato là qualcuno, attualmente affidato alle cure del Grande Alchimista Baruk. Quell'uomo non sta bene, e credo abbia bisogno di voi, di Malazan, di soldati. Una volta in città, fate tutto il possibile per lui, e quando riterrete di non poter più fare altro, sentitevi liberi di andarvene.» Dujek fece una pausa, scrutandoli a uno a uno, poi annuì e riprese: «I Trygalle vi stanno aspettando. Capitano, fermatevi ancora un momento, vi vorrei parlare in privato. Picker, vuoi far venire qui il Grande Mago Ben lo Svelto?». «Grande Mago?» ripeté Picker, interdetta. «Quel bastardo non può più nascondere quello che è», confermò Dujek, con una smorfia. «Tayschrenn ha insistito.» «Sì, signore.» Paran guardò il piccolo drappello avviarsi giù per la collina; accanto a lui, Dujek si passò sul volto una mano tremante, poi si volse. «Facciamo due passi, Paran.» «Avete agito bene, signore», commentò il capitano, avviandosi con lui. «No, Ganoes, non è vero, ma era tutto ciò che potevo fare. Non voglio che gli ultimi Arsori di Ponti muoiano su qualche campo di battaglia o in una città senza nome che sta lottando per rimanere libera. Porterò quanto resta della mia Armata a Sette Città, in rinforzo all'esercito punitivo dell'Aggiunto Tavore. Siete il benvenuto, se volete...» «No, signore, preferirei di no.» Dujek annuì, quasi se lo fosse aspettato. «Vicino a quei carri, c'è una dozzina di colonne per voi. Andate con la vostra compagnia, dunque, con la mia benedizione. Sarete elencato fra i caduti.» «Vi ringrazio, Gran Pugno. Credo di non essere mai stato tagliato per diventare un soldato.» «Non aggiungete una sola parola, capitano. Pensate quello che volete di voi stesso, ma noi continueremo a vedervi per ciò che siete, un uomo nobile.» «Nobile?» «Non quel genere di nobile, Ganoes. La vostra è quella nobiltà che si conquista, la sola che significhi qualcosa perché, in quest'epoca, è danna-
tamente rara.» «Signore, devo rispettosamente dissentire. Se c'è un'esperienza che porterò con me dopo questa campagna, Gran Pugno, è quella di essere stato ripetutamente umiliato da quanti mi circondavano.» «Andate a raggiungere i vostri compagni Arsori di Ponti, Ganoes Paran.» «Sì, signore. Addio, Gran Pugno.» «Addio.» Nel discendere il pendio della collina, Paran incespicò, poi ritrovò l'equilibrio. I miei compagni Arsori di Ponti, ha detto... bene, è una conquista di breve durata, ma anche così... ce l'ho fatta. Ignorando i soldati dall'aria cupa che lo circondavano da ogni parte, Toc... Anaster... arrestò il cavallo davanti alla piccola tenda che le Spade Grigie gli avevano assegnato. Sì, mi ricordo di Anaster, e questo può anche essere il suo corpo, ma la cosa finisce qui. Entrato nella tenda, frugò fino a trovare il barilotto, lo nascose in un sacco di cuoio e se lo caricò in spalla per poi tornare in fretta all'esterno; mentre rimontava in sella, un uomo gli si avvicinò; osservandolo con perplessità, Toc vide che non si trattava di un Tenescowri, e neppure di una Spada Grigia; piuttosto, a giudicare dai laceri e sbiaditi abiti di pelle, sembrava trattarsi di un Barghast. L'uomo era coperto di cicatrici, più di quante Toc ne avesse mai viste su una sola persona, ma, nonostante questo, il suo volto gentile esprimeva conforto: un viso che non dimostrava più di vent'anni, dai lineamenti pronunciati e dalle ossa massicce, incorniciato da lunghi capelli neri privi di trecce o di feticci. Gli occhi erano di una calda tonalità castana. Toc era certo di non aver mai visto quell'uomo. «Salve. Posso fare qualcosa per te?» chiese, impaziente di avviarsi. L'uomo scosse il capo. «Desideravo solo vederti, verificare che stavi bene.» Crede che io sia Anaster. Forse è un vecchio amico, ma non uno dei suoi luogotenenti... me lo sarei ricordato. Bene, non voglio deluderlo. «Sto bene. Ti ringrazio.» «Questo mi fa piacere», sorrise l'uomo, protendendosi a posargli una mano su una gamba. «Ora me ne andrò, fratello. Sappi che ti ricorderò sempre.» Continuando a sorridere, si allontanò, passando fra le incuriosite Spade Grigie e dirigendosi a nord, verso la foresta. Toc lo seguì con lo sguardo. C'è qualcosa... qualcosa nella sua andatu-
ra... «Spada Mortale...» L'Incudine-Scudo si stava avvicinando. Toc prese le redini. «Non adesso», gridò di rimando. «Più tardi.» Poi fece girare il cavallo. «D'accordo, miserabile ronzino, vogliamo vedere come galoppi?» E piantò i talloni nei fianchi dell'animale. Sua sorella lo stava aspettando al limitare della foresta. «Hai finito?» gli chiese. «Sì.» Si avviarono sotto gli alberi. «Mi sei mancato, fratello.» «Anche tu.» «Non hai spada...» «Infatti, non ce l'ho. Ritieni che me ne servirà una?» «Non più che in passato, credo», replicò lei, stringendoglisi contro. «Forse hai ragione. Dobbiamo trovare una cava.» «La Prateria dei Barghast. Un pezzo di selce del colore del sangue... naturalmente lo pervaderò di magia, perché non si spezzi.» «Come hai già fatto una volta in passato, sorella.» «Tanto tempo fa.» «Sì, davvero molto tempo fa.» Sotto lo sguardo impassibile dei due fratelli, Lady Invidia rimosse la magia che impediva a Mok di riprendere conoscenza, e rimase a guardare mentre il Terzo tornava lentamente in sé, gli occhi opachi per la sofferenza dietro la maschera. «Calmo, ora», mormorò Invidia. «Di recente hai sofferto parecchio, vero?» Mok si sollevò faticosamente a sedere, e il suo sguardo s'indurì nel posarsi sui suoi fratelli. Raddrizzandosi, Lady Invidia soppesò con lo sguardo Senu e Thurule, poi sospirò. «Sono davvero un bello spettacolo. Hanno sofferto in tua assenza, Terzo, ma del resto tu non te la sei cavata molto meglio! Mok, devo informarti che la tua maschera si è crepata», concluse, in tono allegro. Il Seguleh sollevò una mano e tastò con esitazione, trovando e seguendo con le dita la sottile fessura che correva per due terzi della lunghezza del lato sinistro. «In effetti», proseguì Lady Invidia, «devo ammettere con riluttanza che nessuna delle vostre facciate è sopravvissuta... intatta. Pensate, Anomander
Rake... il Settimo... ci ha poco cerimoniosamente banditi dalla città». Mok si alzò in piedi barcollando e si guardò intorno. «Sì», annuì Lady Invidia, «siamo nella stessa foresta in cui abbiamo marciato per giorni. La vostra spedizione punitiva si è conclusa, forse con soddisfazione, o forse no. Purtroppo, il Dominio di Pannion non esiste più, miei cupi servitori, quindi è giunto il momento di iniziare il viaggio di ritorno a casa». Mok esaminò le proprie armi, poi si volse a fronteggiarla. «No, richiederemo udienza presso il Settimo...» «Oh, stolto uomo! Lui non vi riceverà! Peggio ancora, dovrete farvi largo attraverso alcune centinaia di Tiste Andii per arrivare a lui... e no, essi non incroceranno la spada con voi, si limiteranno ad annientarvi con la magia. Sono un popolo pratico, i Figli di Madre Oscurità. Ora, ho deciso di scortare voi tre fino a casa. Non è generoso, da parte mia?» Mok la fissò senza parlare, un silenzio che si andò prolungando. Lady Invidia gli offrì un dolce sorriso. Nell'intraprendere il lungo viaggio verso nord, i Barghast Viso Bianco si divisero in clan, poi in gruppi familiari, sparpagliandosi in lungo e in largo, a loro piacimento. Insieme, Hetan e Cafal rimasero indietro rispetto al padre e al suo seguito personale, deviando leggermente verso est. Il sole batteva caldo sulla testa e sulle spalle, l'aria era fresca, la risacca accarezzava con gentilezza la spiaggia a meno di duecento passi, sulla loro destra. Era mezzogiorno quando Hetan e suo fratello individuarono più avanti altri due viandanti; quando furono più vicini, Hetan notò che i due dovevano essere parenti stretti, in quanto nessuno dei due era particolarmente alto ma entrambi apparivano robusti e avevano i capelli neri; fianco a fianco, procedevano a passo lento lungo la costa. I due sembravano essere Barghast, ma né Hetan né Cafal riuscirono a determinare a quale tribù o clan appartenessero. Di li a poco, arrivarono ad affiancarsi ai due sconosciuti. Accentrando l'attenzione sull'uomo, Hetan studiò le incredibili cicatrici che gli solcavano la carne. «Salute a voi, stranieri!» esclamò. I due si volsero, manifestamente sorpresi di avere compagnia. Adesso che poteva vedere l'uomo in volto, Hetan non ebbe più dubbi sul fatto che la donna al suo fianco dovesse essere la sorella. Bene. «Tu!» esclamò, rivolta all'uomo. «Come ti chiami?» «Onos T'oolan», rispose lo sconosciuto, con un sorriso che le arrestò il
cuore per un istante. Hetan si avvicinò maggiormente, strizzò l'occhio alla donna bruna e tornò a fissare l'uomo chiamato Onos T'oolan. «Vedo più di quanto immagini», sussurrò. «Davvero?» ribatté il giovane guerriero. «Sì. E ciò che vedo mi dice che da molto tempo non dividi il letto con una donna.» L'uomo sgranò gli occhi... oh, occhi così adorabili, quelli di un amante... «Infatti», ammise, con un sorriso sempre più accentuato. Oh, sì, gli occhi del mio amante... EPILOGO Paran aprì la porta con una spinta. Assestandosi sulla spalla il pesante sacco pieno d'oro, avanzò nell'anticamera. «Raest! Dove sei?» Lo Jaghut in armatura emerse da un punto imprecisato e si arrestò davanti a lui, in silenzio. «Esatto, ho deciso di stabilirmi qui», affermò Paran. «Davvero?» La voce di Raest era rauca e fredda. «Sì. Tre settimane in quella dannata locanda sono state più che sufficienti, puoi credermi, quindi eccomi qui, pieno di coraggio e pronto a insediarmi nella temuta, famigerata Casa Finnest... e vedo che il tuo talento di padrone di casa lascia molto a desiderare.» «Quei due corpi sulla soglia... cosa ne volete fare?» «Non l'ho ancora deciso», replicò Paran, scrollando le spalle. «Qualcosa, suppongo. Per ora, però, voglio posare quest'oro... in modo da poter dormire tranquillo, tanto per cambiare. Sai, stanotte inaugurano il locale.» «No, Signore del Mazzo, non lo so», rispose il gigantesco guerriero. «Non importa. Ho detto che sarei andato. Dubito che chiunque altro in città lo farà, a parte forse Kruppe, Coli e Murillio.» «Andrete dove, Signore del Mazzo?» «Ganoes, per favore, o Paran. Dove, hai chiesto? Alla nuova taverna di Picker, ecco dove.» «Non so nulla di...» «So che non lo sai, ed è per questo che te lo sto dicendo...» «... e neppure mi importa, Ganoes Paran, Signore del Mazzo.» «La perdita è tua, Raest. Come stavo dicendo, è la nuova taverna di Picker, sua e del suo socio, cioè. Hanno investito metà della loro paga in
quel folle progetto.» «Folle?» «Sì, non conosci il significato della parola folle?» «Lo conosco fin troppo bene, Ganoes Paran, Signore del Mazzo.» Quelle parole indussero Paran a scrutare il volto coperto dall'elmo, scorgendo soltanto ombre dietro le fessure della visiera, e si sentì percorrere da un lieve brivido. «Uh, sì. In ogni caso, hanno comprato il Tempio di K'rul, con il campanile e tutto il resto, e lo hanno trasformato in una...» «Una taverna.» «Un tempio che tutti in città ritengono infestato dagli spiriti.» «Suppongo che sia costato poco, tutto considerato...» commentò Raest, allontanandosi. Paran seguì con lo sguardo lo Jaghut in armatura. «Ci vediamo più tardi», gli gridò. «Se proprio insistete...» giunse, fievole, la risposta. Nell'oltrepassare la porta malconcia che dava sulla strada, Paran quasi inciampò in una figura decrepita e incappucciata che sedeva goffamente sul bordo del canale di scolo. Una mano sporca emerse dagli stracci e si sollevò verso di lui. «Gentile signore! Una moneta, per favore! Una sola moneta!» «Fortunatamente per te, vecchio, ne posso spendere più di una.» Allungando la mano verso la sacca che portava alla cintura, Paran ne prelevò una manciata di monete d'argento. Grugnendo, il mendicante si trascinò più vicino, le gambe inerti come due pesi morti. «Un uomo facoltoso! Ascoltatemi. Ho bisogno di un socio, generoso signore! Ho dell'oro, consigli d'oro, nascosti sui pendii delle Colline Tahlyn! È una vera fortuna, signore! Dobbiamo soltanto organizzare una spedizione... non è molto lontano.» Paran lasciò cadere le monete nelle sue mani. «Un tesoro sepolto, amico? Non dubito che esista.» «Signore, è una somma enorme, e sarei lieto di cederne la metà... ripagandovi almeno dieci volte del vostro investimento.» «Non mi servono altre ricchezze», sorrise Paran, allontanandosi dal mendicante, poi si soffermò e aggiunse: «A proposito, al tuo posto non indugerei troppo a lungo davanti a quella particolare porta. La Casa non ama gli sconosciuti». Il vecchio parve ripiegarsi su se stesso, torcendo la testa da un lato. «No,
non questa Casa», borbottò, da sotto il cappuccio lacero, poi ridacchiò e aggiunse: «Ma ne conosco una che lo fa...». Paran accolse quelle oscure parole con una scrollata di spalle e tornò a incamminarsi. Alle sue spalle, il mendicante prese a tossire violentemente. Picker non riusciva a distogliere lo sguardo dall'uomo che, curvo su se stesso, sedeva su una sedia che non era accostata a nessun tavolo e serrava in mano un lacero straccio su cui era stato scritto qualcosa. L'alchimista aveva fatto tutto il possibile per ridare vita a quello che era stato un corpo disseccato e quasi distrutto, fruttando il proprio talento fino al limite estremo, su questo non c'erano dubbi. Picker sapeva chi era quell'uomo, naturalmente, tutti loro lo sapevano, come sapevano pure da dove fosse giunto. Non aveva detto una parola, non una sola, dalla resurrezione, anche se Baruk insisteva che non c'era nessun problema fisico che gli impedisse di usare la voce. Lo storico imperiale aveva cessato di parlare, nessuno sapeva il perché. Picker sospirò. La grandiosa inaugurazione della Taverna di K'rul era un disastro, i tavoli che attendevano, vuoti e desolati, nella massiccia camera centrale. Paran, Spindle, Blend, Antsy, Mallet e Bluepearl sedevano a quello più vicino al focolare acceso, pronunciando a stento una parola fra tutti; accanto, c'era l'unico altro tavolo occupato, quello di Kruppe, Coll e Murillio. E questo è quanto. Per gli dei, siamo rovinati. Non avremmo mai dovuto dare ascolto ad Antsy. La porta principale si aprì, e Picker si girò a guardare, piena di speranza. Però era soltanto Baruk. Il Grande Alchimista si soffermò nell'anticamera, poi avanzò lentamente verso il tavolo occupato dagli altri Daru. «Carissimo amico dell'onorevole Kruppe! Baruk, coraggioso campione di Darujhistan, potresti desiderare compagnia migliore, questa notte? Qui, a questo tavolo? Kruppe stava destando lo stupore dei suoi compagni, e perfino di questi cupi soldati seduti accanto a noi, con il suo straordinario resoconto di come Kruppe stesso e il dio da cui prende nome questa taverna hanno cospirato per creare un nuovo mondo.» «Allora la storia è finita?» chiese Baruk, avvicinandosi. «Proprio ora, ma Kruppe sarebbe lieto di...» «Eccellente. Suppongo che la sentirò un'altra volta.» Il Grande Alchimi-
sta lanciò un'occhiata a Duiker, che però non aveva neppure sollevato lo sguardo, ed era sempre a testa china, gli occhi fissi sul pezzo di stoffa stretto in mano. «Picker, hai del vino speziato?» sospirò. «Sì, signore», rispose lei. «Dietro di te, accanto al focolare.» Antsy si protese a prendere la caraffa di terracotta e si alzò per riempire la coppa a Baruk. «D'accordo», disse ad alta voce Picker, avvicinandosi. «Dunque è andata così. Ottimo. Il fuoco è caldo, abbiamo bevuto abbastanza, e per quanto mi riguarda sono pronta a sentir raccontare qualche storia... no, Kruppe, non da te, le tue le abbiamo già sentite. Invece, Baruk, Coll e Murillio potrebbero essere interessati a sentire la storia della presa di Coral.» Coll si protese lentamente in avanti. «Allora ti sei finalmente decisa a parlarne? Era ora, Picker.» «Non io», replicò lei, «non all'inizio, almeno. Capitano? Riempiti di nuovo la coppa, signore, e raccontaci una storia». Paran scosse il capo con una smorfia. «Vorrei farlo, Picker, ma...» «È tutto ancora troppo vicino», borbottò Spindle, annuendo e voltandosi di spalle. «Per il respiro di Hood, che gruppetto miserevole!» «Certo», scattò Spindle, «una storia che spezzerà daccapo il cuore a tutti noi. Che valore c'è in questo?». «Un valore c'è», replicò una voce aspra, incrinata. Tutti tacquero e si girarono verso Duiker. Lo storico imperiale aveva sollevato la testa e li stava fissando con occhi cupi. «Un valore. Sì. Molto valore, io credo. Non la vostra storia, soldati, non ancora, è troppo presto per voi, troppo presto.» «Forse... forse hai ragione», mormorò Baruk. «Chiediamo troppo.» «A tutti loro, sì.» Il vecchio tornò ad abbassare lo sguardo sul pezzo di stoffa. Il silenzio si prolungò, senza che Duiker accennasse a muoversi, e alla fine Picker accennò a girarsi di nuovo verso i compagni, ma proprio allora lo Storico cominciò a parlare. «Benissimo, permettetemi allora, se lo volete, questa notte, di spezzare ancora una volta i vostri cuori. Questa è la storia della Catena dei Cani, di Coltaine del Clan del Corvo, appena nominato Pugno della Settima Armata...» Così finisce la terza storia della Caduta di Malazan.
GLOSSARIO Terminologa del Dominio di Pannion Veggente Pannion: il leader politico e spirituale del Dominio Eptarca: governatore di uno dei sette distretti del Dominio (oltre che comandante di eserciti) Urdo: comandante della fanteria pesante scelta (Urdomen) Urdomen: fanteria pesante scelta, composta da fanatici seguaci del Veggente Seerdomin: setta del Dominio composta da fanatici sicari e guardie del corpo Betaklite: fanteria media Beklite: fanteria regolare (conosciuta anche con il nome di «I Centomila») Betrullid: cavalleria leggera Betakullid: cavalleria media Scalandi: soldati esperti in scaramucce Desandi: zappatori Tenescowri: l'esercito dei contadini A Capustan Le Spade Grigie: un culto mercenario assunto per difesa contro il Dominio di Pannion Il Consiglio Mascherato: Grandi Sacerdoti dei Quattordici Ascendenti rappresentati a Capustan I Gidrath: soldati al servizio dei quattordici templi La Capanthall: guarnigione cittadina di Capustan, al comando del principe Jelarkan La Compagnia Coralessian: seguaci dell'esiliato principe Arard di Coral Guardia Lestari: Guardia di palazzo, in esilio dalla città di Lest Capan: nome degli abitanti di Capustan Campi: nome dei distretti indipendenti di Capustan Quartiere Daru: città vecchia al centro di Capustan Il Thrall: vecchio Maschio Daru, ora sede del Consiglio Mascherato
I Quattordici Ascendenti del Consiglio Mascherato di Capustan Fener/Tennerock Trake/Treach D'rek Hood Burn Togg Beru Mowri Oponn Soliel e Poliel La Regina dei Sogni Fanderay Dessembrae Tronod'Ombra Popoli e luoghi I Rhivi: società pastorale nomade delle pianure centrali di Genabackis I Barghast: tribù guerriera divisa in caste, presente su vari continenti Clan Ilgres Clan del Viso Bianco (comprendenti: Senan, Gilk, Ahkrata, Barahn, Nith'rithal) T'lan Imass (gli Eserciti della Diaspora) Logros, Guardiani del Primo Trono Kron, Primi al Raduno Betrule (perduti) Ifayle (perduti) Bentract (perduti) Orshayn (perduti) Kerluhm (perduti) Tiste Andii: Razza Antica Tiste Edur: Razza Antica Jaghut: Razza Antica K'Chain Che'Malle: una delle quattro Razze Fondatrici, che si presume
estinta Moranth: civiltà fortemente irreggimentata con sede nella Foresta delle Nubi Daru: gruppo culturale e linguistico di Genabackis Capan: cittadino di Capustan Dominio di Pannion: nome di un nuovo impero a Genabackis Lestari: cittadino di Lest Coralessian: cittadino di Coral Morn: luogo in rovina, abitato dagli spiriti, sulla costa sud-occidentale di Genabackis Coral: città del Dominio di Pannion Lest: città del Dominio di Pannion Capustan: città sul lato settentrionale del fiume Catlin Darujhistan: ultima Città Libera di Genabackis Pianura Lamatath: pianura a sud di Darujhistan Jhagra.Til: nome T'lan Imass per un mare interno ora estinto Il mondo della maga I Canali (I Sentieri, ossia i Canali accessibili agli umani) Denul: il Sentiero della Guarigione D'riss: il Sentiero della Pietra Il Sentiero di Hood: il Sentiero della Morte Meanas: Il Sentiero dell'Ombra e dell'Illusione Ruse: il Sentiero del Mare Rashan: il Sentiero dell'Oscurità Serc: il Sentiero del Cielo Tennes: il Sentiero della Terra Thyr: il Sentiero della Luce I Canali Antichi Kurald Galain: il Canale dell'Oscurità Tiste Andii Kurald Emurlahn: il Canale Tiste Edur Tellann: il Canale T'lan Imass Omtose Phellack: il Canale Jaghut
Starvald Demelain: il Canale Tiam, il Primo Canale Il Mazzo dei Draghi - il Fatid (e gli Ascendenti associato) ALTA CASA DELLA VITA Il Re La Regina (La Regina dei Sogni) Il Campione Il Sacerdote L'Araldo Il Soldato Il Tessitore Lo Scalpellino La Vergine ALTA CASA DELLA MORTE Il Re (Hood) La Regina Il Cavaliere (un tempo Dassem Ultor) I Maghi L'Araldo Il Soldato Il Filatore Lo Scalpellino La Vergine ALTA CASA DELLA LUCE Il Re La Regina Il Campione Il Sacerdote Il Capitano Il Soldato La Cucitrice Il Muratore La Fanciulla
ALTA CASA DELL'OSCURITÀ Il Re La Regina Il Cavaliere (Il Figlio dell'Oscurità) I Maghi Il Capitano Il Soldato Il Tessitore Lo Scalpellino La Moglie ALTA CASA DELL'OMBRA Il Re (Tronod'Ombra/Ammanas) La Regina Il Sicario (La Fune/Cotillion) I Maghi I Segugi INDIPENDENTI Oponn (Il Giullare della Fortuna) Obilisk (Burn) Corona Scettro Globo Trono Ascendenti Ammanas/Tronod'Ombra (Re dell'Alta Casa dell'Ombra) Apsalar, Signora dei Ladri Beru, Signore delle Tempeste Burn, Signora della Terra, la Dea Dormiente Caladan Brood, l'Alto Comandante militare Cotillion/la Fune (Sicario dell'Alta Casa dell'Ombra) Dessembrae, Signore della Tragedia Il Dio Storpio, Re delle Catene D'rek, il Verme dell'Autunno (a volte Regina della Malattia, vedi Poliel) Fanderay, la Lupa dell'Inverno
Fener, il Cinghiale (vedi anche Tennerock) Il Figlio dell'Oscurità/Signore della Progenie della Luna / Anomander Rake (Cavaliere dell'Alta Casa dell'Oscurità) Gedderone, Signora della Primavera e della Rinascita I Grandi Corvi, corvi sorretti dalla magia Hood (Re dell'Alta Casa della Morte) Jhess, Regina della Tessitura Kallor, l'Alto Re K'rul, Dio Antico Mael, Dio Antico Mowri, Signora dei Mendicanti e degli Schiavi Nerruse, Signora dei Mari Calmi e del Vento Favorevole Oponn, Gemelli del Giullare della Fortuna Osserc, Signore del Cielo Poliel, Signora della Pestilenza La Regina dei Sogni (Regina dell'Alta Casa della Vita) I Segugi (dell'Alta Casa dell'Ombra) Shedunul/Soliel, Signora della Salute Soliel, Signora della Guarigione Tennerock/Fener, il Cinghiale dalle Cinque Zanne Togg (vedi Fanderay), il Lupo dell'Inverno Trake/Treach, la Tigre dell'Estate e della Battaglia Treach, Primo Eroe FINE