RANIERO PANZIERI
LOTTE OPERAIE NELLO SVILUPPO C APITALISTICO A cura di Sandra Mancini
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RANIERO PANZIERI
LOTTE OPERAIE NELLO SVILUPPO C APITALISTICO A cura di Sandra Mancini
Piccola Biblioteca Einaudi
Per l'introduzione e la scelta copyright © 1976 Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino Per i testi di Raniero Panzieri copyright © 1972 Sapere Edizioni Terza edizione
Indice
Introduzione p. VII XIV
di Sandro Mancini
L'esperienza di Panzieri prima dei «Quaderni rossi.
La formazione dei QR e le nuove lotte operaie: la critica dello sviluppo tecnologico
XIX
Le lotte dei metalmeccanici e i nuovi compiti dei QR
XXI
L'analisi del processo di socializzazione
XXII
Il piano del capitale
XXVI
La scissione dei QR e le ragioni teoriche della rottura tra Panzieri e Tronti
XXXII
XXXV XXXVII
Conclusione
Nota biografica Indicazioni bibliografiche
Lotte operaie nello sviluppo capitalistko 3 7 12
Sull'uso capitalistico delle macchine nel neocapi talismo Le trasformazioni tecniche e organizzative del capitalismo e le interpretazioni oggettivistiche Integrazione ed equilibrio del sistema
15
I salari e la schiavitu politica
18
Consumi e tempo libero
21
Il controllo operaio in una prospettiva rivoluzionaria
25
Lotte operaie nello sviluppo capitalistico
INDICE
VI P·51
Plusvalore e pianificazione. Appunti di lettura del Capitale
55
Plusvalore e piano nella produzione diretta
67
Le tendenze storiche del capitalismo al superamento della concorrenza
74
La pianificazione capitalistica nella produzione sociale complessiva
Uso socialista dell'inchiesta operaia
Introduzione
In questi ultimi anni la figura di Raniero Panzieri è tor nata in primo piano nel dibattito politico-teorico del mar xismo italiano, dopo il lungo silenzio seguito alla sua mor te I. La sua esperienza è oggi unanimemente riconosciuta come la matrice teorica della nuova sinistra degli anni '60, sia da chi la riattualizza per riproporne la sostanza sia da chi la critica, ravvisando in essa l'origine degli errori e del le deviazioni della sinistra extraparlamentare. Soprattut to la generazione dei quadri formatisi a partire dal '68 ri prende le tematiche panzieriane, rintracciando in esse la anticipazione dei contenuti su cui è cresciuta l'autonomia operaia.
L'esperienza di Panzieri prima dei «Quaderni rossi». L'esperienza di Panzieri nei QR rappresenta il suo con tributo specifico alla rifondazione della sinistra ed è pre ceduta negli anni '50 da un difficile e contraddittorio pro cesso di maturazione, che segna il suo progressivo distacco dalla strategia ufficiale del movimento operaio. Nel 1 945 Panzieri inizia la sua milizia nel partito socia lista, diventando rapidamente uno dei quadri piu autoreI Hanno contribuito a questa riscoperta la ristampa anastatica dei «Quaderni rossi,. e la pubblicazione in volume dei suoi scritti principali, a cura di Dario Lanzardo e Giovanni Pirelli (dr. AA. VV., Quaderni rossi, Sapere Edizioni, Milano 1971; R. PANZIERI, La ripresa del marxismo-Ieni nismo in Italia, Sapere Edizioni, Milano 1972 e 197-'; R. PANZIERI, La crisi del movimento operaio. Scritti interventi lettere I956-I960, a cura di Dario Lanzardo e Giovanni Pirelli, Lampugnani Nigri, Milano 1973).
VIII
SANDRO MANCINI
voli dell'apparato morandiano. In questo primo periodo la sua attività e la sua riflessione non si discostano da quel le di Rodolfo Morandi, massimo esponente della sinistra socialista. L'assunzione di compiti di responsabilità nella direzio ' ne del partito in Sicilia, alla fine degli anni 40, è la prima occasione che lo spinge a superare l'angusto orizzonte par titico, ponendolo a contatto diretto con i problemi e le contraddizioni del movimento di massa, che in Sicilia ha la sua espressione piu avanzata nella lotta per l'occupazio ne delle terre. Tuttavia il pensiero di Panzieri comincia a caratterizzarsi originalmente soltanto verso la metà degli ' anni 50, allorché affronta i nodi principali della crisi del lo stalinismo e del movimento operaio, che si manifesta clamorosamente con il XX Congresso del PCUS, e poi con la crisi polacca e i« fatti di Ungheria». L'interpretazione panzieriana del XX Congresso è volta a cercare un'uscita a sinistra dalla crisi dello stalinismo, che eviti le secche della falsa alternativa tra dogmatismo e riformismo. Il nuovo corso avviato da Chruscev è visto come un punto di non ritorno verso il superamento dello stalinismo, condizione indispensabile per l'autentico rin novamento del movimento operaio. Nelle tesi del XX Con gresso coesistono-due componenti contraddittorie: se vi è autocritica degli errori passati, con il riconoscimento delle vie nazionali al socialismo e della democrazia socialista, permangono tuttavia i fondamenti della deviazione autori taria del marxismo: la concezione dello stato-guida e quel la del partito depositario della «verità» rivoluzionaria e unico interprete legittimo degli interessi delle masse. La sua critica al nuovo corso di. Chruscev è dunque tesa a sciogliere l'intreccio tra l'istanza di rinnovamento e il dog matismo autoritario, per contribuire a sconfiggere il persi stente retaggio dell'era staliniana che impedisce lo svilup po della democrazia negli istituti del movimento operaio. Al fine di avviare un'autentica politica di rinnovamento del-movimento operaio nazionale, attraverso un libero confronto al suo interno, egli ritiene che occorra adeguare l'interpretazione tradizionale del capitalismo italiano, che assolutizza le sue strozzature e le sue incapacità struttura-
INTRODUZIONE
IX
li, alla realtà del capitalismo contemporaneo, caratterizza to da un forte incremento dello sviluppo produttivo. Ma, al di là di questo, l'aspetto piu preoccupante della crisi del movimento operaio italiano è la cresc.:!nte separazione dei partiti dai lavoratori e dalla struttura economica. Il moti vo di questa progressiva divaricazione consiste nella scis sione tra la tattica e la strategia nella politica dei partiti storici i quali, relegando il problema del potere in un futu ro vago e indeterminato, seguono una pratica empirica, che non affronta i nodi fondamentali della costruzione del socialismo. Incapaci di formulare una proposta reale sui problemi della produzione, i partiti hanno abbandonato l'ambito della fabbrica ai sindacati, facendo del Parlamen. to il loro terreno d'azione privilegiato e allontanandosi COSI dai bisogni e dalle contraddizioni della classe operaia. L'interpretazione panzieriana del XX Congresso e del la crisi del movimento operaio italiano è stata accusata di avere sottovalutato gli spazi che la generica richiesta di democrazia apriva al riformismo. Indubbiamente la sua critica è parziale e limitata, poiché non ha ancora colto i termini reali della crisi e della svolta democratica del mo vimento operaio; tuttavia nella sua analisi è già presente la consapevolezza della necessità della rottura con la teoria e con la strategia ortodosse come presupposto della rifon dazione del processo rivoluzionario. Negli Appunti per un esame della situazione del movimento operaio egli scrive: « Il processo di rinnovamento in cui è impegnato il movi mento operaio si manifesta, da una parte, come restituzio ne del metodo marxista ai suoi termini originari e come riconferma di alcuni principi fondamentali del socialismo, dall'altra come presa di coscienza di un nuovo sviluppo della realtà, come dissolvimento della cristallizzazione dogmatica della strategia, e quindi come arricchimento qualitativo del metodo stesso e dei suoi risultati. L'affer mazione del processo attuale come rottura costituisce per ciò il solo modo di affermare la continuità storica del mo vimento» 2. La posizione di Panzieri sulla crisi del movimento ope, La crisi del movimento operaio cit., p. 6,. 2
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SANDRO MANCINI
raio risente dell'influenza determinante del pensiero di Rodolfo Morandi. Riprende infatti da Morandi sia l'idea della via consiliare in alternativa al riformismo e al mas simalismo sia il tema della politica unitaria, intesa non come la semplice alleanza tra PSI e PCI, bensl come la ri fondazione della politica socialista attraverso lo sviluppo del movimento autonomo della classe operaia e la costru zione dal basso della democrazia diretta. Inoltre la ripresa dei temi della democrazia diretta serve a Panzieri per con ferire un nuovo spessore alla richiesta di democrazia nel movimento operaio e per criticare la concezione leninista stalinista della subordinazione del proletariato al partito, cui egli contrappone la concezione morandiana del «parti to-funzione», cioè del partito come strumento della clas se operaia. Oltre alla critica dello stalinismo, l'altro modo da lui affrontato verso la metà degli anni '50 è costituito dal rap porto tra politica e cultura. Panzieri porta anche sul pia no culturale l'istanza della democratizzazione del movi mento operaio; a partire dal 1955, infatti, in qualità di responsabile della sezione culturale del PSI, si esprime ri solutamente per l'effettivo riconoscimento della libertà della ricerca teorica e per la creazione di liberi spazi di ana lisi e di confronto dentro le strutture organizzative del 3 mOVImento operaIO . La sua interpretazione della funzione sociale della teo ria s'inserisce organicamente nel quadro del dibattito sulla dialettica politica-cultura che si svolge in quegli anni tra gli intellettuali di sinistra 4. In questo dibattito il ruolo politico piti rilevante è svolto diiI marxismo storicistico gramsciano-togliattiano, che propone di fatto la sostanzia le subordinazione degli intellettuali al partito, unico ga rante dell'unione di teoria e prassi. Al marxismo storicisti co si oppongono il dellavolpismo e il marxismo «neoillu•
•
3 Panzieri otterrà un risultato concreto in questa direzione con la pub· blicazione del Supplemento scientifico-letterario di « Mondo operaio lO, da lui diretto nel biennio 19'7-,8 . 4 Il dibattito s; svolge su riviste culturali come « Nuovi argomenti,., « Passato e presente lO, « Ragionamenti,., « Il contemporaneo » e altre. I protagonisti principali sono Bobbio, Togliatti, Fortini, Roberto Guiducci, Emilio Agazzi.
INTRODUZIONE
XI
ministico», che uniscono alla critica del dogmatismo la richiesta della separazione della teoria dal partito e di un ruolo autonomo degli intellettuali marxisti. In effetti l'al lontanamento degli intellettuali di sinistra dalle istituzioni del movimento operaio si rivela come la tendenza domi nante nell'ambito della cultura marxista italiana, mentre la liberazione della cultura dal controllo burocratico dei partiti viene intesa come la sanzione della estraneità degli intellettuali alla lotta politica. Soltanto una componente minoritaria degli intellettuali socialisti sviluppa l'esigenza della libertà culturale nella prospettiva della ricerca di un piu stretto rapporto tra teoria e prassi, che trasformi sia l 'organizzazione della cultura sia l'organizzazione politica del movimento operaio. La battaglia di Panzieri per l'au tonomia della ricerca teorica è tutta interna a quest'ultima tendenza, riunita intorno alle riviste «Ragionamenti» e «Opinione», di cui Fortini - insieme con Panzieri è l'esponente piu significativo 5. La rivendicazione panzieriana della libertà della cultura e della democrazia nel movimento operaio è stata interpre tata come un espediente tattico per assicurare alla sinistra gli spazi e gli strumenti per effettuare l'analisi della nuova realtà del capitalismo e la critica della linea politica soste nuta dai partiti operai. In realtà l'affermazione della li bertà culturale ha motivi piu profondi e trae origine dalla sua decisa avversione al dogmatismo e alla funzione auto ritaria della teoria; col rifiuto della cultura partitica, Pan zieri vuole esaltare la politicità della funzione intellettuale e ricercarne una nuova dimensione, nella prospettiva della tendenziale unificazione della milizia politica e dell'impe gno teorico. Pertanto la dialettica politica-cultura va posta come rapporto diretto tra intellettuali e classe, al di fuori della mediazione burocratica dei partiti. Interpretando in tal modo la funzione politica della teoria, egli giunge a identificare lo sviluppo della classe operaia e della sua lotta anticapitalistica con lo sviluppo della teoria marxista e della scienza stessa: «10 sviluppo della classe operaia -
5 A questo proposito va ricordato il convegno culrurale ( Bologna, set tembre 19'4) organizzato da Panzieri come responsabile della sezione Stampa e propaganda del PSI.
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esige e postula l'obiettività e l'universalità della libera ricerca, del processo della scienza, è esso stesso, nella sua essenza, lo stesso processo oggettivo della ricerca e della scientificità» '. Nonostante l'ambigua genericità del con cetto di universalità del sapere scientifico, che criticherà poi nel periodo dei «Quaderni rossi» sostenendo il punto di vista operaio, la tematizzazione del rapporto tra scienza e classe è una delle acquisizioni piu importanti della rifles sione di Panzieri in questo periodo e costituisce un filo di continuità che lega le fasi successive della sua esperienza. Dopo la critica del XX Congresso e la battaglia per la libertà della cultura, la proposta del controllo operaio è l'ultimo tentativo operato da Panzieri, tra il '57 e il ' 5 8 , di recuperare il PSI a una politica d i classe. Nel 1958 il contesto politico è in parte mutato. La tendenza riformi sta si afferma definitivamente nel PSI, nonostante che la sinistra detenga al maggioranza fino al Congresso di Napo li del ' 59, mentre la struttura del partito si va trasforman do in un apparato clientelare, grazie anche al forte apporto dei ceti medi. Contemporaneamente si manifestano i pri mi segni della ripresa offensiva delle lotte operaie, in cui Panzieri scorge l'inizio del nuovo ciclo di lotte, che si svi lupperà all'inizio degli ànni '60 come conseguenza delle modificazioni strutturali indotte dall'avvento del neocapi talismo. In questo quadro, la ricerca di nuovi strumenti per lo sviluppo delle lotte e l'adeguamento della strategia al neocapitalismo costituiscono i principali problemi che Panzieri affronta con la pubblicazione delle Sette tesi sulla questione del controllo operaio, redatte insieme con Lucio Libertini 7. Panzieri e Libertini intendono il controllo operaio co me lo sviluppo graduale del contropotere dei lavoratori nelle strutture produttive e la costruzione dal basso degli istituti della democrazia diretta nella produzione. La te matica del controllo operaio affronta la progressiva sepa razione dei partiti dalla classe operaia e la scissione tra tat, La crisi del movimento operaio cit., p. 41 . 7 R. PANZIERI e L. LIBERTINI, Sette tesi sulla questione del controllo operaio, in « Mondo operaio», n. 2, 19,8.
INTRODUZIONE
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tica e strategia, affermando la centralità della lotta di fah brica e ponendo l'esigenza di costruire strutture di potere alternative. Nelle Sette tesi ritornano anche i temi moran diani della politica unitaria e della via consiliare: il con trollo operaio deve dare luogo a una nuova unità dei lavo ratori, al di là delle divisioni partitiche, sui contenuti della lotta anticapitalistica in fabbrica e del potere operaio den tro la produzione, per lo sviluppo del movimento autono mo della classe, cui va subordinata l'azione del partito. Le Sette tesi, in realtà, non corrispondono pienamente a questi intenti. Gli autori delle tesi s'imbattono infatti in pesanti contraddizioni allorché integrano il controllo nella via democratica al socialismo - facendo di esso l'elemento centrale della rigenerazione del movimento operaio - sen za comprendere che è impossibile sconfiggere il riformi smo mediante una correzione interna della teoria e della strategia del movimento operaio. Infatti nella via demo cratica al socialismo gli interessi della classe operaia coin cidono con gli interessi di sviluppo della nazione, cui il capitalismo sarebbe incapace di far fronte, di modo che la contraddizione principale non è posta nella contrapposi zione del lavoro al capitale, bensl nell'opposizione degli interessi privati dei monopoli agli interessi generali della società. All'antagonismo tra proletariato e borghesia su bentra la contraddizione nazione-monopoli, dove necessa riamente l'autonomia operaia non può essere l'elemento fondamentale. Nella sua essenza, la via democratica al so cialismo è quindi la negazione della centralità dell'autono mia rivoluzionaria del proletariato, che nelle stesse tesi Panzieri riconosce contraddittoriamente come la discrimi nante tra la linea socialdemocratica e la linea rivoluziona ria. Pertanto, nella linea del controllo, il riconoscimento dell'alterità della classe operaia al capitale e della necessi tà della costruzione del suo potere contrapposto convive ambiguamente con l'attribuzione di una funzione naziona le e interclassista alla classe operaia, che deve farsi carico della lotta per lo sviluppo economico. Il vizio ideologico di tale proposta, come di tutta l'ela borazione panzieriana degli anni ' 50, consiste nella consi derazione acriticamente positiva del progresso tecnico e
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della struttura economica. Panzieri supererà questo limite con l'esperienza dei QR, allorché non strutturerà piu la istanza rivoluzionaria sul nucleo teorico del riformismo, ma rovescerà la tematizzazione ortodossa dello sviluppo economico, disoccultando il rapporto capitalistico celato nelle forze produttive e nella struttura economica. Si può quindi dire che il mancato superamento dell'ambiguità cogestionale configura la proposta del controllo come la acquisizione e nel contempo la negazione dell'autonomia operaia; di conseguenza le Sette tesi oscillano tra l'esigen za della fondazione della strategia rivoluzionaria sull'anta gonismo diretto lavoro-capitale e la riqualificazione della via democratica al socialismo. Sul piano politico il control lo operaio si risolve poi in una sconfitta, per il fatto che non raggiunge la classe operaia, e rimane confinato ai ver tici dei partiti, senza determinare quella svolta a sinistra auspicata da Panzieri 8.
La formazione dei QR e le nuove lotte operaie: la critica dello sviluppo tecnologico. Negli anni 1959-60, che segnano il distacco di Panzieri dalla sinistra socialista e la nascita dei QR, la situazione po litica ed economica si modifica ulteriormente; all'eccezio-
8 In seguito alla pubblicazione delle Sette tesi, si svolge un dibattito di notevole ampiezza, a cui partecipano autorevoli esponenti socialisti e comunisti . Alcuni , come Tagliazucchi e la Salvaco, recepiscono positiva. mente la proposta di rinnovamento contenuta nelle Sette tesi e pongono i l problema della funzionalità del controllo alla lotta operaia. Altri. preoc cupati delle possibili conseguenze della linea del controllo operaio sugli equilibri politici esistenti. accettano solo formalmente la validità della tematica del controllo e difendono l'interpretazione tradizionale della lotta politica, del ruolo del partito e della via italiana al socialismo . In questa direzione si pronunciano De Martino, Caracciolo, Tamburrano e Magnani. Di segno opposto sono gli interventi di Maitan e di Della Mea, che i nter pretano il controllo operaio nella prospettiva della negazione totale del gradualismo della via italiana al socialismo. Barca e Spriano, per parte comunista, criticano pesantemente la proposta del controllo, giudicata eco nomicista e corporativa, ravvisando in essa la liquidazione della centralità del partito. Fra tutti gli interventi, solamente quello di Roberto Guiducci critica la concezione positivistica dello sviluppo economico sostenuta da Panzieri e Libertini. Gli interventi piu significativi del dibattito sono stati raccolti da Libertini nel volume La sinistra e il controllo operaio, Libreria Fcltrinelli, Milano 1969.
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nale intensificazione dello sviluppo produttivo si affianca la ripresa delle lotte, in cui emerge la nuova leva dei giova ni operai da poco immigrati, spesso neanche iscritti ai sin dacati·. Mentre il sindacato di classe, a diretto contatto con i problemi dei lavoratori, avverte la novità della si tuazione e in un primo momento è aperto alla sperimenta zione di nuove forme e di nuovi contenuti di lotta, i partiti operai vedono invece nelle nuove lotte un'occasione favo revole per riproporre la comune strategia della via nazio nale al socialismo e della programmazione democratica dello sviluppo sociale. In una lettera a Tronti del dicem bre '60, Panzieri, riferendosi alla divaricazione venutasi a creare tra la classe operaia e le sue organizzazioni politiche a Torino, scrive: «Si è verificato uno sviluppo continuo e crescente delle lotte operaie. Nonostante l'estrema differenziazione delle situazioni ... emergono sempre gli elementi comuni e fondamentali... : una spinta «spontanea" che precede e sopravanza il sindacato, l'esprimersi... dei giovani operai come avanguardia, l'aspirazione ad una prospettiva politica che non si individua mai nelle politi che proposte dai partiti... Si potrebbe dire che il tipo di lotte che oggi si registra contiene immediatamente e co me essenziale un elemento politico - una richiesta di po teri - e che nello stesso tempo questo elemento non viene alla luce o addirittura si smarrisce a causa del discorso po litico fatto ufficialmente dal PSI e dal pc!. Si intuisce be nissimo che tutto potrebbe acquistare una chiarezza e una forza ben diverse in una prospettiva rivoluzionaria. Inve ce allo stato attuale gli operai si "servono" anche dei par titi e del sindacato contro l'alienazione capitalistica, ma sentono insieme, come alienazione, il loro rapporto con IO. partiti e sindacati» I QR, che si formano nel I960, si propongono di col mare il vuoto lasciato a sinistra dalle organizzazioni del movimento operaio e di iniziare la costruzione di un'alter• Questi giovani operai sono i protagonisti degli scioperi politici e del le lotte di piazza che, nel giugno-luglio del 1960, si verificano in tutta I talia determinando la caduta del governo presieduto da Tambroni e ap poggiato dal MSI. Gli scontri piu duri hanno luogo a Roma, Genova e Reggio Emilia (dove le forze dell'ordine uccidono cinque manifestanti). lO La ripresa del marxismo-Ienilzismo in Italia cit., p. 17.
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SANDRO MANCINI
nativa rivoluzionaria, fondata sulla carica eversiva delle nuove lotte spontanee; ciò implica l'aggiornamento dell'a nalisi delle tendenze dello sviluppo capitalistico e la critica radicale del riformismo a tutti i livelli. Il nuovo gruppo si pone dunque come polo di aggregazione dei militanti della sinistra socialista e comunista che non si riconoscono negli indirizzi tradizionali del movimento operaio e che conver gono nella direzione di un lavoro politico autonomo nel nuovo ciclo di lotte di fabbrica. Ma la presenza autonoma nelle lotte non comporta la rottura col movimento ope-. raio, anzi si prefigge di contribuire alla rifondazione dei suoi istituti. Questa volontà di non chiusura del gruppo è testimoniata dalla collaborazione ai «Quaderni rossi» di alcuni noti esponenti del sindacato di classe, come Foa, Garavini e Pugno, che però dopo il primo numero della rivista - uscito nel settembre del 196 1 - si dissoceranno dai QR. Nella prima fase, l'attività del gruppo è volta prevalen temente all'analisi delle condizioni politiche e materiali della classe operaia; infatti convinzione comune dei QR è che occorre partire dal livello della lotta operaia dentro le strutture per affrontare l'analisi complessiva del neocapi talismo. La teorizzazione della priorità del punto di vista della produzione non costituisce una scolastica riproposi zione di principi marxiani, ma rappresenta una chiara rot tura con l'impostazione dei partiti storici, per i quali la lotta di fabbrica e i problemi della produzione sono solo un momento particolare della strategia complessiva, che ha come obiettivo la costruzione di un sistema di alleanze nella società civile per la realizzazione degli interessi gene rali della società. Nel primo numero della rivista compare il fondamenta le saggio di Panzieri, Sull'uso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo, che costituisce la rielaborazione teori ca dell'esperienza svolta dai QR nel '60-6 1, e ha come og getto le modalità di dominio del capitale nello sviluppo tecnologico e nella produzione diretta. Il metodo che in forma la sua critica dello sviluppo tecnologico e piu in ge nerale la sua analisi del capitale consiste nel determinare
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il significato politico dei processi oggettivi del neocapitali smo, riferendoli non all'astratta esigenza di sviluppo delle forze produttive, ma al lavoro vivo e ai suoi bisogni; ciò significa che la conoscenza oggettiva della struttura del capitale passa attraverso lo studio dei livelli di lotta in cui si articola la negazione operaia del capitale stesso. Questo rovesciamento metodologico gli consente di formulare la sua originale lettura del neocapitalismo e di reperire il rap porto di classe dentro lo sviluppo tecnologico e dentro i processi di razionalizzazione e socializzazione. Per questi motivi, Sull'uso capitalistico delle macchine rappresenta anche il punto di arrivo del processo autocritico iniziato nel 1 959 col progressivo distacco dal PSI; segna infatti il superamento della concezione oggettivistica del progresso tecnico, che negli anni ' 5 0 aveva determinato la sua su balternità teorica alla strategia del movimento operaio. La tesi centrale del saggio è che lo sviluppo tecnologico è tutto interno ai rapporti capitalistici di produzione, che non determinano soltanto l 'uso sociale della scienza e del la tecnologia, ma vivono al loro interno, plasmandole, ade guando la figura materiale delle macchine al fine capitali stico della massima estorsione del plusvalore. n disoccul tamento del rapporto capitalistico, che si nasconde dietro l'apparente neutralità della tecnologia, comporta quindi il rovesciamento della concezione oggettivistica del progres so tecnico in una nuova interpretazione di classe, che col ga nello sviluppo capitalistico delle forze produttive la modalità di realizzazione del dispotismo del capitale.e lo svolgimento fino agli estremi limiti dell'alienazione del lavoro vivo, ridotto alla funzione di appendice di un si Il. stema di macchine sempre piu estraneo n rapporto tecnica-potere rinvia alla reinterpretazione di alcuni nodi fondamentali del marxismo, a partire dalla Il La critica della concezione positivistica del progresso tecnico è già presente in Marx, che nei Grundrisse scrive: «Tutti i progressi della ci viltà dunque, o in altre parole ogni incremento delle forze produttive sociali . . . arricchiscono non l'operaio, ma il capitale; non fanno altro che ingigantire il dominio sul lavoro; incrementano soltanto la produttività del capitale. Poiché il capitale è l'antitesi dell'operaio, quei progressi accre scono soltanto il potere oggettivo sul lavoro » (K. MARX, Lineamenti fonda mentali della critica dell'economia politica, voI. I, La Nuova Italia, Fi renze I968, p. 29').
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dialettica forze produttive - rapporti di produzione. Infat ti nell'analisi di Panzieri è evidenziato il carattere sociale e umano delle forze produttive; a loro volta i rapporti di produzione sono interpretati come un attivo rappor to di potere, espressione della volontà di comando del ca pitale, anziché come !'involucro passivo delle forze pro duttive. La critica dello sviluppo tecnologico investe anche la tematizzazione ortodossa del rapporto tra processo lavo rativo e processo di valorizzazione. Il marxismo oggettivi stico separa i due termini del rapporto, naturalizzando il processo lavorativo, e pone l'alternativa tra capitalismo e socialismo sul piano delle scelte di gestione della produzio ne sociale, in se stessa neutrale; cancellando l'impronta di classe del processo lavorativo e facendo propria la causa del progresso tecnico, svaluta la lotta dentro le strutture e sposta di conseguenza il piano della lotta nell'ambito del la distribuzione e del consumo. Dal canto suo Panzieri non rifiuta la distinzione marxiana tra il concetto di pro cesso lavorativo e il concetto di processo di valorizzazione, ma coglie la loro intima connessione al livello del neocapi talismo. Come si è visto, egli sostiene che l'uso capitalisti co delle macchine determina la loro configurazione tecni ca, per cui il loro uso socialista dovrà dar luogo allo svi luppo di una diversa tecnologia e di una nuova attività lavorativa, in cui siano superate l'unilateralità e l'aliena zione del lavoro salariato. Se è vero che il dominio del capitale, una volta impadro nitosi della scienza, trova la sua forma piu razionale nella ossatura oggettiva della produzione, è errata la tesi del marxismo ortodosso secondo cui il progresso tecnico è in contraddizione col sistema capitalistico ed esige necessa riamente il passaggio al socialismo; al contrario: «Le nuo ve "basi tecniche" via via raggiunte nella produzione co stituiscono per il capitalismo nuove possibilità di consoli damento del suo potere. Ciò non significa, naturalmente, che non si accrescano nel contempo le possibilità di rove sciamento del sistema. Ma queste possibilità coincidono con il valore totalmente eversivo che, di fronte all"'ossa tura oggettiva" sempre piu indipendente del meccanismo
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capitalistico, tende ad assumere "l'insubordinazione ope raia » 12. La base materiale della rivoluzione è data dalla insopprimibile contrapposizione del lavoro vivo alle con dizioni estraniate di produzione e di esistenza, e non con siste nell'esigenza di sviluppo delle forze produttive. Pertanto la gradualità della transizione, lo sviluppo spon taneo di elementi oggettivi di socialismo nell'ordine eco nomico esistente sono una pura mistificazione e costi tuiscono anzi la legittimazione della prassi riformista del movimento operaio. L'analisi dello sviluppo tecnologico è finalizzata all'in dividuazione di una nuova qualificazione politica della lot ta operaia. Panzieri vede, nella crescita dell'esigenza ge stionale, il contenuto eversivo delle lotte spontanee, che costituisce il terreno per la ricomposizione unitaria della classe operaia e per la tendenziale unificazione del politi co e dell'economico. Le nuove lotte postulano che sia ro vesciato il rapporto tra rivendicazioni e potere stabilito dal movimento operaio, che le rivendicazioni siano poste in funzione del potere operaio. La crescita dell'istanza ge stionale si realizza ancora attraverso il controllo operaio, che però non è piu iscritto nella prospettiva della program mazione alternativa dello sviluppo; la proposta del con trollo si spoglia dell'ambiguo gradualismo delle Sette tesi e diventa uno strumento della lotta operaia contro lo svi luppo capitalistico.
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Le lotte dei metalmeccanici e i nuovi compiti dei QR.
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Nel 1962, in occasione del rinnovo del contratto dei metalmeccanici, le lotte si generalizzano e riescono a coin volgere anche la Fiat. Tuttavia questa ondata di lotte, pur confermando l'intuizione dei QR sulla carica antagonistica dei lavoratori, crea paradossalmente serie difficoltà al gruppo; infatti la radicalizzazione dello scontro di classe induce il movimento operaio a chiudere gli spazi di speri mentazione e ad accelerare il processo d'inserimento nelle Il
R. PANZIERI, Sull'uso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo, n. I, 1961, pp. ,6-'7 ( cfr. oltre, p. 7).
in « Quaderni rossi »,
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SANDRO MANCINI
strutture del potere, con l'assunzione della politica di cen tro-sinistra da parte del PSI e dell'obiettivo della program mazione democratica da parte dell'intero movimento ope raio. Nel contempo emergono i limiti costituzionali della azione del sindacato e la sua impossibilità strutturale di farsi carico di un progetto politico alternativo, in assenza della organizzazione rivoluzionaria. L'irrigidimento dei partiti e del sindacato verso i QR determina l'estromissio ne dei militanti del gruppo dagli incarichi di responsabili tà ricoperti dalla Camera del lavoro di Torino e la rottura con la federazione torinese del PSI, sancita dalla pubblica zione di un volantino autonomo dei QR sull'andamento della lotta alla Fiat, che in precedenza era stato bocciato dalla federazione. L'attacco dei partiti operai raggiunge il culmine con la calunniosa accusa, rivolta a Panzieri e al suo gruppo, di avere partecipato ai disordini di piazza Sta tuto insieme coi provocatori fascisti di «Pace e libertà». La mancanza di una gestione anticapitalistica delle lotte consente al capitale pubblico e alla grande industria priva ta di utilizzade come forme di pressione verso la compo nente arretrata del capitale, per induda ad adeguarsi al processo di ristrutturazione in corso. In questa situazione appare sempre piu evidente la necessità della costruzione della strategia rivoluzionaria, per far compiere un salto di qualità allo sviluppo dell'autonomia operaia e per supera re i limiti aziendali delle lotte del 1962, che hanno impe dito la loro ricomposizione sul piano sociale. Panzieri in dividua il compito immediato dei QR nel passaggio da una fase esclusivamente negativa, basata sulla demistificazione degli effetti ideologici del neocapitalismo e sulla critica del riformismo, a una fase di proposizione alternativa, fi nalizzata alla realizzazione di un piano organico di lotte, che partendo dalla fabbrica investa la società. L'elabora zione panzieriana risponde all'urgenza di aggiornare l'ana lisi del capitale sociale al livello delle trasformazioni in dotte dal capitalismo avanzato sull'intera organizzazione della società, attraverso lo studio dei processi di socializ zazione e di pianificazione.
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L'analisi del processo di socializzazione.. Secondo Panzieri, con l'avvento del neocapitalismo il processo di socializzazione fa un salto qualitativo, in quan to il potere capitalistico si adegua al carattere sempre piu sociale della produzione e tenta di ricondurre le spinte eversive della forza-lavoro all'interno del sistema, in fun zione del suo sviluppo. Anche a questo livello dell'analisi, Panzieri riprende il concetto marxiano del primato della produzione nel ciclo complessivo, per cui in essa vede il fattore che determina le caratteristiche della socialiizazione capitalistica del la voro. Ponendosi nella prospettiva della determinazione dell'intero processo a partire dalla fabbrica, individua la specificità della fase attuale della socializzazione nella estensione dei rapporti di fabbrica all'intera società; nel neocapitalismo il momento della produzione non solo non perde d'importanza - come pretende una parte della socio logia contemporanea - ma si conquista una maggiore in fluenza nei confronti della società, che va intesa come la articolazione della produzione. La nuova categoria della fabbrica-società, elaborata da Panzieri e da Tronti, espri me la generalizzazione dei rapporti capitalistici di produ zione alla «sovrastruttura» e riflette il fatto che «la fab brica tende a pervadere, a permeare tutta la società civile, anche l'area esterna» 13. Panzieri non intende però la categoria della fabbrica-so cietà in senso restrittivo, come l'assolutizzazione della realtà dell'azienda e dell'operaio-massa; nel suo pensiero, la fabbrica non è intesa in senso empirico, bensl in senso scientifico, nei termini in cui era stata definita da Lenin: «La fabbrica non è una raccolta di dati empirici ... La fab brica è, diceva Lenin, lo stesso sviluppo dell'industria a un determinato stadio di sviluppo del capitalismo» ". La cen tralità della produzione non equivale quindi alla centralità 13 R. PANZIERI, Lotte operaie nello sviluppo capitalistico, in «Quaderni piacentini», n. 29, 1967, p. ,6 (cfr. oltre, p. 40). 14
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della fabbrica in senso stretto, che anzi tende ad annullar si come realtà empirica nella misura in cui l'ambito della produzione si estende e si proietta all'esterno. Pertanto la sua tematizzazione del rapporto fabbrica-società non giustifica la critica di operaismo che le hanno mosso Vacca e Badaloni 15; nell'operaismo cadranno invece le successive formazioni politiche postesi nel solco dell'esperienza di Panzieri, che appiattiranno le mediazioni concettuali della 6 sua riflessione 1 . L'estensione del rapporto di produzione all'intera area sociale provoca la proletarizzazione della maggioranza dei lavoratori, a partire dai tecnici, creando le condizioni og gettive per lo scontro frontale tra capitale e lavoro. La classe operaia, poi oltre ad essere rafforzata quantitativa mente, è spinta dal processo di socializzazione a estendere la lotta al livello della società civile e dello stato, e a porsi in totale antagonismo al sistema. In definitiva, la stessa socializzazione del lavoro, insie me con lo sviluppo tecnologico, viene individuata come l'obiettivo immediato del rifiuto operaio, in quanto fatto re di potenziamento del dispotismo capitalistico. La sua positività consiste esclusivamente nelle nuove possibilità aperte alla crescita dell'autonomia operaia, che deve op porre all'interesse generale della società capitalistica il suo interesse particolare, e alla fittizia socializzazione del la voro una socializzazione alternativa, fondata sui bisogni antagonistici del lavoro vivo.
Il piano del capitale. Il piano, quale modo di funzionamento del capitale so ciale, è l'oggetto di Plusvalore e pianificazione, l'ultimo saggio scritto da Panzieri. Anche in questo saggio, come in 15 Cfr. N. BADALONI, Il marxismo italiano degli anni sessanta, Editori Riuniti, Roma 1971; G. VACCA, Politica e teoria nel marxismo italiano 19591969, De Donato, Bari 1972. l' Per un aggiornamento autocritico della categoria della fabbrica-so cietà, cfr. s. BOLOGNA, Il rapporto fabbrica-società come categoria storica, in « Primo maggio », n. 2, 1974.
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Sull'uso capitalistico delle macchine, l'analisi di Panzieri si muove dentro le categorie del Capitale e si presenta come una rilettura dei luoghi piu significativi della critica mar xiana dell'economia politica ". Innanzitutto Panzieri esamina i termini dell'analisi marxiana della pianificazione del processo produttivo. Per Marx il piano è la caratteristica essenziale della coopera zione, anche nella sua forma semplice, per cui al livello della produzione diretta non esiste alcuna contraddizione di principio tra pianificazione e capitalismo; il capitale, anzi, estende la pianificazione ogni qual volta incontra de gli ostacoli nel suo sviluppo produttivo. Nel Capitale, poi, è mostrata chiaramente la natura intrinsecamente dispoti ca del piano, finalizzato al rafforzamento del dominio capi talistico sul lavoro vivo. Con lo sviluppo delle forze pro duttive la pianificazione del processo produttivo si perfe ziona, per controllare la massa crescente della forza-lavoro e la sua aumentata resistenza. Tuttavia nello schema di Marx e di Lenin il piano, che nella produzione trova quale unico ostacolo insormontabile l'irriducibile insubordina zione del lavoro vivo, si arresta alle soglie della società: in tal modo alla pianificazione del processo produttivo cor risponde lo sviluppo anarchico della società, che è posto come limite assoluto del capitale. In realtà Marx e Lenin ipostatizzano il binomio «piano in fabbrica - anarchia nel la società», e assumono aporeticamente il modello con correnziale come modello generale dello sviluppo capita listico, non comprendendo che il principio della pianifica zione è immanente allo sviluppo capitalistico in quanto tale. L'ipostatizzazione delle caratteristiche del capitali smo concorrenziale impedisce a Marx di prevedere la fa se attuale del capitalismo, contraddistinta dall'estensione della pianificazione dall'ambito della divisione del lavoro nella produzione a quello della divisione del lavoro nella società, dal «recupero dell'espressione fondamentale del" Su indicazione di Panzieri, nel numero 4 della rivista viene tradotto, per la prima volta in Italia, il famoso «frammento sulle macchine» dei Grundrisse. Panzieri aveva studiato i Grundrissé già negli anni prece denti, e quando scrive Sull'uso capitalistico delle macchine nel neocapita lismo ha presente la formulazione del rapporto tra lavoro vivo e lavoro oggettivato contenuta in questo testo fondamentale di Marx.
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la legge del plusvalore, il piano, dal livello di fabbrica al 18. livello sociale» Tuttavia, al di là di questo, Panzieri coglie nel pensiero marxiano l'individuazione della dinamica «aperta» del capitalismo. Nella critica dell'economia politica è presente anche un altro modello dello sviluppo, secondo cui il ca pitalismo riesce «a reagire alle conseguenze distruttive del funzionamento di certe «leggi", passando a uno stadio « superiore", introducendo nuove leggi, destinate a ga rantire la sua continuità sulla vase della legge del plus valore» 19. Occorre recuperare quest'ultima componente del marxismo, contenuta nella disamina delle modalità del comando del capitale sul lavoro vivo, per formulare un'analisi di classe del nuovo stadio raggiunto dal capita lismo. Il capitalismo collettivo non si determina piu come cie ca volontà, mera combinazione dei capitali individuali, bensi diventa un soggetto consapevole che pianifica il suo sviluppo e che è anche capace di autolimitarsi, per impe dire che gli squilibri interni si trasformino in contraddizio ni antagonistiche: il fine ultimo del neocapitalismo è la riproduzione delle condizioni della propria sopravvivenza e non la massimizzazione del profitto. Il capitale pianifica to è dunque in grado di superare le contraddizioni della fase precedente dello sviluppo; il limite del capitale non è il capitale stesso - come sosteneva Marx - ma l'insubor dinazione operaia al piano del capitale. Panzieri aveva già formulato questo concetto in Sull'uso capitalistico delle macchine; tuttavia allora esso era basato soltanto sull'ana lisi del dispotismo capitalistico nella produzione diretta, mentre ora è fondato sull'analisi del dominio del capitale sull'intera area sociale, per cui risulta notevolmente ar ricchito. La dislocazione della contraddizione sul piano dell'anta gonismo tra capitale e lavoro non comporta la caduta nel l'idealismo e la vanificazione della natura materiale della contraddizione, come sostengono Vacca e Badaloni. La 1 8 R. PANZIERI,
Plusvalore e pianificazione, in « Quaderni rossi », n. 4.
1964, p. 288 (cfr. oltre, p. 8,). 19 Ibid., p. 287 (cfr. oltre, pp. 83·84).
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contraddizione nel neocapitalismo rimane oggettiva, per ché il capitale produce necessariamente nel lavoro vivo il bisogno del suo rovesciamento; tuttavia lo svolgimento della contraddizione non è predeterminato, poiché la vit- . toria del socialismo è affidata esclusivamente alla capacità soggettiva della classe operaia di distruggere il sistema ca pitalistico, capacità che solo il corso della storia può verifi care concretamente: il socialismo non è inevitabile, scrive Fortini sul secondo numero dei «Quaderni rossi». Nel neocapitalismo lo stato subisce un'importante tra sformazione, in quanto abbandona la funzione di media tore dei contrasti di c::lasse all'esterno della sfera economi ca e diventa il principale agente della programmazione del lo sviluppo. Pertanto la sfera dello stato non è neutrale, né si può potenzialmente gestire contro i monopoli, ma anzi è uno strumento per rafforzare e razionalizzare l'auto rità del capitale. Perché la programmazione sia efficiente, non basta però che sia coordinata da un unico vertice; occorre che si pre senti in veste democratica per ottenere il consenso dei lavoratori attraverso le loro espressioni politiche. Per questo motivo il piano del capitale non si oppone drasti camente alla lotta operaia, anzi cerca di mantenerla all'in terno del quadro costituzionale, evitando che la conflittua lità si trasformi in antagonismo. Da parte sua il movimen to operaio accetta la logica della programmazione; infatti, rimanendo legato alla visione di un capitalismo incapace di superare il carattere anarchico dello sviluppo, pone la pianificazione della società fuori dall'orizzonte capitali stico, le conferisce un valore rivoluzionario e giunge fino a identificare il socialismo con la pianificazione. Il movimen to operaio rimane prigioniero dell'effetto feticistico del piano, che assimila l'istanza socialista della gestione piani ficata della società; il feticismo del piano è dunque molto piu perfezionato di quello rappresentato dalla formula tri nitaria del Capitale 20. 20 «Poiché con la pianificazione generalizzata il capitale estende diret tamente la forma mistificata fondamentale della legge del plusvalore dalla fabbrica all'intera società, ora veramente sembra scomparire ogni traccia dell'origine e della radice del processo capitalistico,. (ibid., p. 286).
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L'identificazione di pianificazione e socialismo è stata gravida di conseguenze per il processo rivoluzionario. Nel socialismo realizzato ha impedito la presa di coscienza del la permanenza dei rapporti capitalistici anche nella piani ficazione socialista; nel capitalismo, invece, ha indotto il movimento operaio a giudicare come un progresso verso il socialismo i processi di pianificazione e di razionalizza zione, legittimandoli ideologicamente. In contrasto con la strategia del movimento operaio, il nuovo ciclo di lotte di mostra che il proletariato rifiuta la razionalità del piano ca pitalistico e l'ideologia collaborazionista della programma zione democratica, esprimendo una richiesta di potere sul la produzione e sulla società che necessita una pianificazio ne alternativa, fondata sui bisogni antagonistici della col lettività vivente dei lavoratori. La critica della pianificazione capitalistica, e piti in ge nerale del neocapitalismo e del riformismo, rimanda a una concezione globalmente alternativa del comunismo. Per Panzieri la transizione al comunismo deve sciogliere l'in treccio tra razionalità e dispotismo, deve distruggere i rap porti capitalistici materializzati nella struttura organizza tiva della produzione e della società. Il comunismo, allo ra, è la negazione radicale dell'ordine economico e sociale esistente; lottare per esso significa lottare per l'abolizione del lavoro salariato e per la costituzione di una società su bordinata ai bisogni sociali degli uomini, in cui il processo lavorativo sia sottoposto alle esigenze dei produttori e il lavoro diventi il primo bisogno dell'uomo.
La scissione dei QR e le ragioni teoriche della rottura tra Panzieri e Tronti. I tempi della crisi dei QR, iniziatasi nel 1962 con l'iso lamento dalle organizzazioni del movimento operaio, si accelerano nel 1963 con la firma del contratto dei metal meccanici e il conseguente riflusso del movimento. Nel quadro politico caratterizzato dalla nascita del centro-sini stra e dall'avvento della congiuntura economica, la con clusione dell'accordo separato con le aziende pubbliche e
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con quelle private, sottoscritto dalla CGIL nonostante la sua arretratezza - per rispetto dell'unità sindacale, segna indubbiamente una sconfitta tattica del sindacato di classe e del movimento operaio. Nella valutazione delle lotte contrattuali e dei suoi esiti si delinea una chiara rottura nei QR, frutto di divergenze piu lontane. La componente del gruppo vicina a Panzieri, che dopo la scissione conti nua l'esperienza dei QR, giudica la sconfitta del sindacato come un indebolimento della classe operaia e corregge le ipotesi ottimistiche, formulate in precedenza, circa la ten denza della lotta di classe; il riflusso del movimento è do vuto alla mancata presa di coscienza dei nuovi contenuti della lotta di classe, che ha impedito all'autonomia operaia di esprimere nuove forme di organizzazione. Viceversa, la tendenza che fa capo a Tronti valuta la sconfitta della ge stione riformista della scadenza contrattuale come una vittoria della classe sulle organizzazioni del movimento operaio; il riflusso del movimento è soltanto apparente, perché fenomeni come l'assenteismo e la passività politica stanno a indicare il rifiuto della classe operaia di seguire la strategia delle sue organizzazioni e la sua disponibilità alla radicalizzazione della lotta. Esistono pertanto le condizio ni necessarie per una direzione alternativa delle lotte ope raie, che ormai hanno acquisito un carattere antagonisti co, e per la costruzione di un'organizzazione d'avanguar dia in contrapposizione ai partiti storici. La corrente di Panzieri accusa il gruppo dissidente di avere una visione mitologica della coscienza dei lavoratori e giudica irrealiz zabile nel medio periodo la costruzione di un'alternativa organizzata al riformismo, affidando invece ai tempi lun ghi la formazione del partito e della strategia rivoluziona ria, senza escludere la possibilità che tale processo passi all'interno dei partiti esistenti, attraverso il loro recupero a una linea di classe. Panzieri e Tronti tentano di ricomporre il dissidio in terno con la pubblicazione, nel settembre del 1 9 62, di un periodico unitario, «Cronache dei QR», di cui peraltro esce soltanto il primo numero. Fallita questa iniziativa, la di vergenza è resa pubblica col terzo numero della rivista l'ultimo a cui collabora la componente «trontiana» - in -
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cui compaiono due editoriali contrapposti: Il piano del capitale di Tronti, che doveva aprire il numero, viene pre ceduto da Piano capitalistico e classe operaia, che espone le posizioni del gruppo di Panzieri. Dopo la scissione, le vie dei due gruppi si divaricano definitivamente; mentre il gruppo di Tronti e Asor Rosa, che dà vita a «Classe operaia», tenta l'esperimento del partito, i QR riprendono i contatti con il movimento ope raio, soprattutto con il nuovo PSIUP, e iniziano un lavoro di formazione dei quadri espressi dalle lotte e d'inchiesta sul grado di consapevolezza dei lavoratori. In questo se· condo periodo i QR attribuiscono maggiore importanza alla tematica internazionalista, poiché maturano la convinzio ne che la rivoluzione nei paesi a capitalismo avanzato pos sa affermarsi soltanto sul piano internazionale, in polemi ca con «Classe operaia» che crede alla possibilità della vittoria della rivoluzione in Italia. Gli eventi politici degli anni successivi non verificano la vittoria di una posizione sull'altra. Infatti sul piano or ganizzativo entrambe le esperienze falliscono: i QR non porteranno a termine l'inchiesta, divenuta l'asse portante del loro intervento, mentre «Classe operaia» vedrà scon fitto il tentativo di una direzione rivoluzionaria delle lotte. Nel 1966 l'esperienza dei QR e di «Classe operaia» è so stanzialmente conclusa. Una parte di «Classe operaia» si orienterà, anche sul piano organizzativo, verso il PSIUP e il PCI, avendo riscoperto l'importanza «tattica» del movi mento operaio. Gli altri esponenti di «Classe operaia» e ciò che resta del nucleo dei QR confluiranno invece nel mo vimento del '68, che erediterà le tematiche elaborate dai due gruppi e confermerà le tendenze della lotta di classe anticipate da Panzieri e da Tronti all'inizio del decennio. La ragione teorica della divergenza tra Panzieri e Tron ti risiede nel diverso modo d'intendere il rapporto tra capitale e classe, la teoria e il partito. Tuttavia non è pos sibile formulare qui un'analisi approfondita dei motivi politici e teorici della divergenza, perché l'elaborazione trontiana, per la sua complessità, non è definibile in poche pagine senza cadere in affermazioni schematiche e affret-
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tate. Pertanto ci si limiterà a considerare quegli aspetti che fanno comprendere meglio l'elaborazione panzieriana. Il presupposto teorico della rottura tra Panzieri e Tron ti è costituito dalla diversa interpretazione del nesso capi tale-classe. Per Panzieri il capitale e la classe operaia sono due realtà autonome, irriducibili l'una all'altra, per cui il loro rapporto ha un carattere paritetico. La dialettica capi tale-classe definisce dunque la società capitalistica come una società dicotomica, composta da due realtà antagoni stiche e altrettanto oggettive. Tuttavia, anche se non è possibile ridurre la classe operaia al capitale e viceversa, la modalità del loro antagonismo è determinata dal livello del capitale; quindi la qualità politica della lotta proleta ria, in un determinato momento storico, dipende dal li vello di sviluppo del capitale e non dalla radicalità dell'in subordinazione operaia. In Lotte operaie nello sviluppo capitalistico Panzieri dice che «la verifica è sempre al li vello del capitale, non può mai essere soltanto all'interno del livello operaio. Anzi il livello operaio si costruisce se
riamente soltanto se esso si è portato al livello del capitale ed è riuscito a dominare, a comprendere, a inglobare il ca pitale » 21 [il corsivo è mio).
Credo che la teorizzazione panzieriana della dialettica capitale-classe sia in contrasto con l'impostazione della sua analisi del neocapitalismo. Qui infatti il vero soggetto del processo non è il capitale, bensl il lavoro vivo, mentre la ossatura oggettiva del capitale è vista come la risposta alla insubordinazione della forza-lavoro, come lo strumento permaterializzare nella realtà oggettiva della produzione il comando capitalistico, nello sforzo di creare le condizio ni «tecniche» della sottomissione del capitale variabile al capitale costante. Il rapporto capitale-classe che sottende la critica panzieriana dello sviluppo capitalistico viene esplicitato invece nell'elaborazione trontiana. Tronti nega che il capitale e la classe siano due realtà autonome e teo rizza la dipendenza dello sviluppo capitalistico dallo svi luppo dalla classe operaia, la precedenza logica e storica del rapporto di classe sul rapporto capitalistico, concepen21
Lotte operaie nello sviluppo capitalistico cit., p. '1 (dr. oltre, p. 33).
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do il lavoro vivo come il vero soggetto del processo stori co, come il motore mobile del capitale. La diversa tematizzazione del rapporto capitale-classe determina la differente interpretazione del ruolo della teo ria. Tronti, fondando il capitale sul lavoro vivo, affida alla teoria il compito specifico di elaborare scientificamente la precedenza del secondo sul primo, di leggere la storia del capitale nei movimenti materiali della forza-lavoro. Per tanto ciò che divide la scienza operaia dalla scienza del ca pitale sarebbe la riduzione dell'oggettività del capitale alla soggettività fondante del lavoro vivo. Tronti traduce poi questo rovesciamento teorico sul piano politico, svilup pando il tema della centralità del lavoro vivo in una nuova concezione della strategia e del partito. Egli identifica la strategia nella classe e la tattica nel partito, cioè sostiene che la strategia preesiste nei comportamenti materiali del la forza-lavoro, nel suo rifiuto spontaneo del lavoro - che esprime la consapevolezza dell'autonomia della classe nei confronti del capitale - per cui il partito non ha pili il com pito di trasformare la coscienza spontanea e di elaborare la strategia socialista, ma deve soltanto coordinare e organiz zare sul piano tattico la lotta rivoluiionaria del prole tariato. Panzieri sviluppa la sua concezione della teoria e della organizzazione nell'intervento al seminario sull'inchiesta. In questa sede sostiene che l'interpretazione del capitali smo come una società dicotomica è ciò che contraddistin gue il marxismo e che gli conferisce un carattere sociolo gico, in antitesi alla concezione scolastica che ha fatto di esso una nuova filosofia materialistica universale: il marxi smo va concepito «come scienza politica, come scienza della rivoluzione» ". Poiché la teoria rivoluzionaria deve riflettere il caratte re dicotomico della società, è necessario che si articoli nel l'analisi del capitale e nello studio autonomo del compor tamento operaio 23. La duplicazione dei piani della teoria 22 R. PANZIERI, USO socialista dell'inchiesta operaia, in «Quaderni ros si,., n. :5, 1965, p. 69 (cfr. oltre, p. 88). 23 «Ancora sottolineo il carattere sociologico del pensiero di Marx da questo punto di vista, che rifiuta la individuazione della classe operaia a partire dal movimento del capitale, cioè afferma che non è possibile risa-
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è l'elemento che separa la sociologia operaia dalla sociolo gia borghese, la quale concepisce la forza-lavoro soltanto come una componente' interna del capitale, approdando inevitabilmente a una visione unilaterale della società. Tuttavia, una volta posta la discriminante tra sociologia marxista e sociologia borghese, è possibile utilizzare gli strumenti d'indagine di qm;st'ultima senza timore d'intac care l'autonomia del marxismo, perché questo non va in teso come un corpo dogmatico di principi extrastorici. Panzieri individua nell'inchiesta lo strumento per lo studio della classe operaia. L'obiettivo principale dell'in chiesta è quello di accertare, in modo rigoroso e oggettivo, il reale livello di coscienza dei lavoratori, onde evitare la sua mitizzazione. Il momento dell'inchiesta precede quel lo dell'intervento politico e gli fornisce i dati per operare le scelte piu idonee. In questo modo egli mantiene separa te la conoscenza e la trasformazione, ponendole in una schematica successione temporale; la scissione tra questi due livelli è aspramente criticata da Tronti e da Asor Rosa, che accusano Panzieri e i QR di concepire l'accertamento e la trasformazione della coscienza operaia al di fuori della lotta. Nelle intenzioni di Panzieri, l'inchiesta deve strut turarsi come «conricerca» tra gli intellettuali e gli stessi lavoratori che sono oggetto della ricerca. L'inchiesta di venta cosi un utile metodo di lavoro, un valido strumento p�r contattare quadri di movimento ed avviare la loro for maziol'1e politica. Al centro della posizione di Panzieri sul partito è il pro blema della coscienza di classe, ritenuto invece ideologico da Tronti. Il compito fondamentale dell'organizzazione ri voluzionaria è di elaborare la strategia socialista, di cui il rifiuto operaio del lavoro è solo il presupposto, e di indi care nuovi valori comunisti da porre come modello norma tivo nella trasformazione della coscienza dei lavoratori. Tuttavia non è chiaro se la coscienza di classe debba svi lupparsi all'interno del movimento di massa o se sia il lire dal movimento del capitale automaticamente allo studio della classe operaia: la classe operaia sia che operi come elemento conflittuale, e quindi capitalistico, sia come elemento antagonistico, e quindi anticapitalistico, esige una osservazione scientifica assolutamente a parte» (ibid., p. 70 [cfr. oltre, p. 90]).
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prodotto dell'avanguardia esterna; sembra che egli pro penda verso la seconda ipotesi, quando afferma che «il movimento politico operaio è l'incontro del socialismo con il movimento spontaneo della classe operaia» 24. La ripresa di questo concetto cardine del leninismo, che fon da il socialismo al di fuori della classe operaia, parrebbe avvalorare l'interpretazione di chi vede l'esperienza di Panzieri come sostanzialmente leninista. In realtà tale giu dizio non tiene conto della sua costante avversione ad altri aspetti essenziali del leninismo, quali la subordinazione della classe al partito e la drastica svalutazione della spon taneità operaia. Va detto infine che Panzieri non rielabora queste indi cazioni frammentarie in una teoria sistematica del partito, perché - al contrario di Tronti - pensa che il processo del la sua costruzione non sia definibile a priori, ma sia deter minato nella specifica situazione storica dal livello del ca pitale e dal livello della classe operaia.
Conclusione. In questo decennio, gli aspetti essenziali della riflessio ne panzieriana sono stati ripresi e variamente sviluppati dalle avanguardie operaie e studentesche. Tuttavia «l'ere dità» di Panzieri non può essere circoscritta a nessun gruppo, perché le tematiche della sua elaborazione, come ha notato Sergio Garavini 25, sono diventate patrimonio comune dell'intero movimento di classe. Il Partito comu nista, risoltosi infine a misurarsi con la sua esperienza, la ha criticata duramente, giudicandola l'origine delle devia zioni estremistiche ed economicistiche dei gruppi extra parlamentari. In realtà, in una prospettiva di classe, l'espe rienza di Panzieri non può certo essere liquidata. La demistificazione dell'oggettività dell'organizzazione capi talistica del lavoro, la critica della razionalità e della scien tificità capitalistica, il rifiuto della subordinazione dell'au2. 2'
1971.
Ibid., p. 73 (cfr. oltre, p. 92). Cfr. Le lotte operaie degli anni '60, in «Giovane critica,., n. 29,
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tonomia operaia alle esigenze produttive del sistema, il bi sogno di comunismo espresso dalle lotte, insomma tutti questi aspetti della sua analisi hanno anticipato i temi qua lificanti del movimento del '68, che dunque è la migliore verifica della sua elaborazione teorica e della sua milizia politica.
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Nota biografica
Raniero Panzieri nasce il 14 febbraio 1921 a Roma. La sua espe rienza politica comincia nel 1945, quando si iscrive al Partito socia lista e inizia a militare nella sinistra morandiana. L'anno seguente diventa redattore della rivista «Socialismo» e segretario dell'Istitu to di studi socialisti, diretto da Rodolfo Morandi. Senza abbando nare l'attività romana, nel 1949 s'impegna anche nella direzione del partito in Sicilia e adempie questo incarico fino al 1954. Verso la fine degli anni '40 si dedica intensamente agli studi marxiani, come testimonia anche la sua traduzione del II libro del Capitale. A parti re dall'inizio del decennio successivo svolge un ruolo sempre piu importante all'interno del partito e dell'apparato morandiano. Nel 1951 Panzieri assume la direzione della sezione Stampa e propagan da del partito, quindi diventa membro del Comitato centrale e del la Direzione. Nel 1955 è nominato responsabile della sezione cultu rale e -in questa veste interviene nel dibattito sul rapporto politica cultura, prendendo posizione per la libertà della ricerca culturale. Nello stesso anno, con una delegazione del PSI si reca in Cina, dove ha occasione di apprezzare l'originalità della rivoluzione cinese ri spetto al modello sovietico. L'anno successivo collabora alla fonda zione dell'Istituto Morandi, costituito al fine di pubblicare gli scrit ti del dirigente socialista scomparso. Sempre nel 1956 partecipa atti vamente al dibattito sulla crisi dello stalinismo e sul XX Congresso del PCUS, con l'obiettivo di volgere contro il riformismo e lo stali nismo l'istanza di democratizzazione del movimento operaio. Con il Congresso di Venezia del 1957 assume la condirezione di «Mondo operaio» - la rivista teorica del PSI - che mantiene per tutto il 1958. Sulle pagine di «Mondo operaio», insieme con Lucio Liber tini, promuove un dibattito sul controllo operaio, nel tentativo di sconfiggere il processo di socialdemocratizzazione del partito e di avviare un rinnovamento in senso classista del movimento operaio. Il Congresso di Napoli del I959 stronca definitivamente la sua illusione di una graduale rigenerazione del PSI, non solo perché san cisce la vittoria dell'autonomismo, ma soprattutto perché dimostra l'incapacità strutturale della sinistra socialista di formulare una rea le alternativa di classe alla linea politica del PSI e del PCI, di uscire dalla tradizionale politica di corrente. Nello stesso anno abbandona
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NOTA BIOGRAFICA
gli incarichi direttivi nel partito e si trasferisce a Torino, per lavo rare come redattore presso la casa editrice Einaudi. Qui riunisce un gruppo di giovani e, in collegamento con la federazione cittadina del PSI e con la Camera del lavoro, avvia una ricerca - focalizzata prevalentemente sulla Fiat - sulla condizione della classe operaia torinese, per verificarne la disponibilità alla ripresa della lotta. Nel contempo estende a compagni di altre città la proposta di un lavoro politico autonomo, basato sull'ipotesi della ripresa offensiva delle lotte operaie. La pubblicazione nel 1961 del primo numero dei «Quaderni rossi» è il frutto di questo impegno, che nel 1960 si era arricchito con la partecipazione ai convegni sulla Fiat e sull'Olivetti, e con l'intervento nelle lotte dei Cotonifici Val di Susa '. Nel 1962, l'esplosione delle lotte operaie per il rinnovo del contratto dei me talmeccanici mette a dura prova la direzione dei partiti storici sul movimento di massa, come testimoniano i fatti di piazza Statuto; ciò produce l'effetto di irrigidire le organizzazioni ufficiali verso i tentativi innovatori dei QR, cui vengono cosi a mancare i canali or ganizzativi del movimento operaio e il rapporto politico con le lot te. Un momento significativo di questo processo di isolamento è lo spontaneo allontanamento dalla rivista dei piu importanti dirigenti sindacali, come Foa, Garavini, Pugno e Alasia. In questa situazione di crisi si delinea sempre piu chiaramente una contrapposizione in terna tra una componente del gruppo che si riferisce a Panzieri e un'altra che fa capo a Tronti. Il fallimento dei tentativi di mediazio ne, di cui il piu importante è la pubblicazione di un numero unico di un giornale unitario - «Cronache dei QR» rende inevitabile la rottura tra le due tendenze. Come si è già detto nell'introduzione, dopo la scissione dell'agosto 1963, in cui Tronti, Asor Rosa, Negri e altri abbandonano i «QR» e formano «Classe operaia », il gruppo rimasto fedele a Panzieri continua l'esperienza dei «QR », pubblican do la rivista fino al 1966. Sulla base delle indicazioni di Panzieri, il gruppo sviluppa soprattutto un'inchiesta sulle condizioni materiali e sulla coscienza politica della classe operaia, nella prospettiva della unificazione tra avanguardia e movimento di massa. Nel settembre del 1964 i QR tengono un seminario, in cui Panzieri approfondisce le implicazioni teoriche della sua concezione dell'inchiesta, come metodo di azione politica oltre che di analisi teorica. :t<: il suo ulti mo intervento, perché muore improvvisamente a Torino il 9 otto bre 1964. -
, Alla redazione dei" Quaderni rossi» collaborano, tra gli altri: Emilio Agazzi, Romano Alquati, Alberto Asor Rosa, Bianca Beccalii, Luciano Del Ia Mea, Dino De Palma, Liliana e Dario Lanzardo, Edoarda Masi, Mario Miegge, Giovanni Mottura, Antonio Negri, Massimo Paci, Vittorio Rieser, Michele Salvati, Renato Solmi, Mario Tronti.
Indicazioni bibliografiche
Non esiste ancora una bibliografia completa degli scritti di Ra niero Panzieri. Chi voglia approfondirne la conoscenza ha a dispo sizione le due antologie già citate (cfr. nota l dell'Introduzione) che, pur non essendo complete, raccolgono gli scritti e gli interven ti piti importanti di Panzieri dal 1956 al 1964. Il volume Scritti 1956-1960 contiene anche (pp. 23-26) un elenco degli scritti e degli interventi editi del periodo 1956-60 non inclusi dai curatori nel l'antologia. Per quanto riguarda la bibliografia sull'esperienza di Panzieri, mi limito ad alcune indicazioni essenziali: «Aut aut», n. 149-150, settembre-dicembre 1975. Fascicolo specia le della rivista dedicato interamente a Panzieri, con interventi di Cacciari, D. Lanzardo, Masi, Negri, Rovatti, Tomassini, Me riggi, Fugazza, Mancini e altri; contiene anche alcuni inediti di Panzieri. N. BADALONI, Il marxismo italiano degli anni sessanta, Editori
Riuniti, Roma 1971; G. VACCA, Politica e teoria nel marxismo italiano degli anni sessanta, De Donato, Bari 1972. Si tratta della relazione preparatoria di Badaloni e dell'intervento di Vacca al Convegno dell'Istituto Gramsci del 1971 su Il marxismo italiano degli anni '60 e la formazione teorico-politica delle nuove gene razioni, a cui ho già fatto riferimento nell'introduzione. Di Vacca cfr. anche Marxismo e sociologia nei «Quaderni rossi», in «Il contemporaneo», n. 4,1967.
L. DELLA MEA, Panzieri tra «Mondo operaio» e «Quaderni ros
si», in «Giovane critica», n. 15-16,marzo 1967 - dicembre 1968; Panzieri da Mondo operaio ai Quaderni rossi, in «Mondope raio», n. 7, 1974. Della Mea vede l'esperienza di Panzieri negli anni '50 in continuità con quella del periodo dei QR. Tuttavia, mentre nel '67 critica la sua interpretazione del XX Congresso, che non avrebbe smascherato la ripresa del riformismo, nel '74 valuta piti positivamente questa fase della sua attività e ridimen siona il valore dell'esperienza dei QR, inficiata da errori di setta rismo e di velleitarismo.
D.
LANZARDO, Introduzione a R. PANZIERI, La ripresa del mar xismo-Ieninismo in Italia cito È lo studio piti completo su
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INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE
Panzieri tra quelli finora pubblicati, e copre l'intero arco della sua attività politica, soffermandosi particolarmente sul periodo dei QR e ribadendo le critiche di Panzieri a Tronti.
F.
LIVORSI, Il leninismo ed il movimento operaio italiano, in «Clas se», n. 4, 1971, pp. 325-89. L'autore confronta la tematizza zione panzieriana dell'inchiesta con la concezione leniniana della teoria e del partito, e vede una sostanziale identità tra le due po sizioni. Ciò che differenzia Lenin da Panzieri è il fatto che, men tre il primo aveva posto come obiettivo prioritario della rivolu zione socialista la distruzione della macchina statale borghese, per il secondo invecè il socialismo comporta in primo luogo il ro vesciamento dei rapporti capitalistici di produzione.
G.
MARRAMAO, Teoria della crisi e «problematica della costituzio ne», in «Critica marxista», n. 2-3, 1975. Marramao interpre ta la riflessione panzieriana come la ripresa delle tematiche del Linkskommunismus degli anni '20, cui è accomunato dal tentati vo di recuperare la dimensione soggettiva del marxismo e di fon dare l'azione rivoluzionaria non sulle contraddizioni interne del sistema, ma sulla carica antagonistica del proletariato. Il limite di Panzieri è di non aver colto come anche al livello del neocapi talismo il rapporto tra forze produttive e rapporti di produzione rimanga antagonistico.
S. MERLI, La provocazione di Raniero Panzieri, in «Il manifesto'>, 20 ottobre 1974. In questo sintetico bilancio, Merli rivaluta la milizia di Panzieri nel PSI, che è vista come l'arricchimento del l'elaborazione morandiana sui temi della politica unitaria. G.
MOTTURA, Gli anni della ricostruzione capitalistica, in «Poli tica comunista», n. 2, febbraio 1975. Questo saggio ripercorre i diversi momenti dell'esperienza di Panzieri negli anni ''o. Par ticolare importanza è attribuita al suo trasferimento in Sicilia avvenuto nel 1949 e alla sua partecipazione al movimento per l'occupazione delle terre, che separerebbe il Panzieri intellettuale di sinistra dal Panzieri dirigente politico..
G.
NAPOLITANO, I «Quaderni rossi» e le lotte operaie nello svi luppo capitalistico, in «Politica ed economia», n. 1-2, 1962. È una delle prime prese di posizione del PCI sui QR, cui vengono imputati errori di economicismo e di estremismo. Queste critiche sono ribadite nel 1963 da P. Santi (Fabbrica e società nei «Qua derni rossi», in «Critica marxista», n. I, 1963) che giudica la posizione teorica dei QR come un appiattimento economicistico del pensiero di Marx.
c.
PIANCIOLA, Attualità di Panzieri, in «Ombre rosse», n. 5, 1974. Si tratta di un bilancio critico del contributo dato da Pan zieri al neomarxismo italiano. L'aspetto positivo è individuato nell'interpretazione di classe del processo di ristrutturazione neocapitalistico; il limite è visto invece nella sopravvalutazione della capacità effettiva del capitalismo italiano di risolvere le sue contraddizioni interne.
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E. PUGNO - S. GARAVINI, Gli anni duri alla Fiat, Einaudi, Torino 1974. In questa ricostruzione della lotta operaia alla Fiat, gli autori si rifanno alla critica panzieriana della tecnologia. I QR, come pure i' gruppi successivi che hanno portato avanti l'idea del punto di vista operaio sui problemi dell'organizzazione del lavoro, avrebbero compiuto l'errore di volgere la protesta ope raia contro il sindacato, giudicato definitivamente integrato nel sistema. Di Garavini si veda anche la risposta al questionario di «Giovane critica» sugli anni '60, pubblicata sul n. 29 del 197I. V. RIESER, Panzieri e i «Quaderni rossi », in «Politica comunista», n. 3, 1975. Vittorio Rieser, uno dei principali protagonisti dei QR, esprime un giudizio complessivamente positivo sull'esperien za del gruppo. All'attivo pone l'analisi del neocapitalismo, la cri tica dei capisaldi del riformismo, la proposta di una piu avanzata politica sindacale. L'aspetto piu negativo dell'elaborazione pan zieriana è visto nel rifiuto della teoria leninista del partito. Di Rieser si vedano anche I Quaderni rossi, in «Rendiconti», n. IO, 1965, che è un resoconto dell'attività del gruppo, e L'esperienza della CGIL alla Fiat: un bilancio ricco di insegnamenti (si tratta di una lunga recensione al libro di Pugno e Garavini), in «Poli tica comunista», n. 5-6, 1975, che esamina l'intervento dei QR alla Fiat, accusandolo di avere sopravvalutato la spontaneità operaia e di avere avuto degli aspetti anarco-sindacalisti.
LOTTE OPERAIE NELLO SVILUPPO CAPITALISTICO
Sull'uso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo
Questo saggio, pubblicato sul primo numero dei « QR », costitui sce la base teorica dell'intervento del gruppo nel nuovo ciclo di lot te operaie. In esso Panzieri rileva il rifiuto dello sviluppo capitali stico emerso dalle nuove lotte e lo rielabora nella critica di classe della tecnologia e della struttura economica. L'analisi dello svilup po tecnologico si presenta come riscoperta della posizione di Marx sul rapporto tecnica-potere, contenuta nella quarta sezione del Pri mo libro del Capitale. Il bersaglio polemico del saggio è il marxismo oggettivistico, di cui è colta una significativa esemplificazione nella relazione di Silvio Leonardi al convegno tenuto dall'Istituto Gram sci nel 1956 sulle trasformazioni tecniche del processo produttivo.
Com'è noto, la cooperazione semplice si presenta, se condo Marx, storicamente all'inizio del processo di svilup po del modo di produzione capitalistico_ Ma questa figura semplice della cooperazione è soltanto una forma partico lare della cooperazione in quanto forma fondamentale del la produzione capitalistica '. «La forma capitalistica pre suppone fin da principio l'operaio salariato libero, il quale vende al capitale la sua forza-lavoro» . Ma l'operaio, in quanto proprietario e venditore della sua forza-lavoro, entra in rapporto con il capitale soltanto come singolo. La cooperazione, il rapporto reciproco degli operai «co mincia soltanto nel processo lavorativo, ma nel processo lavorativo hanno già cessato d'appartenere a se stessi. En trandovi, sono incorporati nel capitale. Come cooperanti, come membri di un organismo operante, sono essi stessi , KARL MARX, Il capitale, libro I, 2, trad. di Delio Cantimori, Edizioni Rinascita, Roma 19'2 [dr. ora Editori Riuniti, Roma 1972 (ristampa ana statica)], p. 33.
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soltanto un modo particolare di esistenza del capitale. Dunque, la forza produttiva sviluppata dall'operaio come operaio sociale è forza produttiva del capitale. La forza produttiva sociale del lavoro si sviluppa gratuitamente ap pena gli operai vengono posti in certe condizioni; e il capi tale li pone in quelle condizioni. Siccome la forza produt tiva sociale del lavoro non costa nulla al capitale, perché d'altra parte non viene sviluppata dall'operaio prima che il suo stesso lavoro appartenga al capitale, essa si presenta come forza produttiva posseduta dal capitale per natura, come una forza produttiva immanente » '. Il processo produttivo capitalistico si sviluppa nei suoi vari stadi storici come processo di sviluppo della divisione del lavoro, e il luogo fondamentale di questo processo è la fabbrica: la «contrapposizione delle potenze intellettuali del processo materiale di produzione agli operai, come proprietà non loro e come potere che li domina, è un pro dotto della divisione del lavoro di tipo manifatturiero. Questo processo di scissione comincia nella cooperazione semplice, dove il capitalista rappresenta l'unità e la volon tà del corpo lavorativo sociale; si completa nella grande industria che separa la scienza, facendone una potenza produttiva indipendente dal lavoro, e la costringe a entra re al servizio del capitale» 3. Lo sviluppo della tecnologia avviene interamente all'in terno di questo processo capitalistico. Per quanto il lavoro sia patcellizzato, a fondamento della manifattura è ancora l'abilità artigiana, «e poiché il meccanismo complessivo che funziona in essa non possiede una ossatura oggettiva indipendente dai lavoratori stessi, il capitale lotta conti nuamente con l'insubordinazione degli operai ». La ma nifattura ha dunque una base tecnica ristretta, che entra in contraddizione «coi bisogni di produzione da essa stessa creati» '. L'introduzione delle macchine su vasta scala se gna il passaggio dalla manifattura alla grande industria. Questo passaggio si presenta da un lato come superamen to della «ragione tecnica dell'annessione dell'operaio ad 2
Ibid., pp. 30-3I. 3 Ibid., pp. 61-62. • Ibid., p. 69.
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una funzione parziale per tutta la vita e dall'altra cadono i limiti che quello stesso principio ancora imponeva al do minio del capitale» 5. La tecnologia incorporata nel sistema capitalistico in sieme distrugge «il vecchio sistema della divisione del la . voro» e lo consolida « si.stematicamente quale mezzo di sfruttamento della forza-lavoro in una forma ancor piu schifosa. Dalla specialità di tutta una vita, consistt!nte nel maneggiare uno strumento parziale, si genera la specia lità di tutta una vita, consistente nel servire una macchina parziale. Cosi, non solo si diminuiscono notevolmente le spese necessarie alla riproduzione dell'operaio, ma allo stesso tempo si completa la sua assoluta dipendenza dal l'insieme della fabbrica, quindi dal capitalista» 6. 10 stesso progresso tecnologico si presenta quindi come modo di esistenza del capitale, come suo sviluppo. «La stessa facilità del lavoro diventa un mezzo di tortura, giac ché la macchina non libera dal lavoro l'operaio, ma toglie il contenuto al suo lavoro. È fenomeno comune a tutta la produzione capitalistica in quanto non è soltanto processo lavorativo ma anche processo di valorizzazione del capita le, che non è l'operaio ad adoperare la condizione del lavo ro ma, viceversa, la condizione del lavoro ad adoperare l'operaio; ma questo capovolgimento viene ad avere sol tanto con le macchine una realtà tecnicamente evidente. Mediante la sua trasformazione in macchina automatica, il mezzo di lavoro si contrappone all'operaio durante lo stes so processo lavorativo quale capitale, quale lavoro morto che domina e succhia la forza"lavoro vivente» 7. La fabbrica automatica stabilisce potenzialmente il do minio da parte dei produttori associati sul processo lavo rativo. Ma nella applicazione capitalistica del macchinario, nel moderno sistema di fabbrica «l'automa stesso è il sog getto, e gli operai sono coordinati ai suoi organi incoscien ti solo quali organi coscienti e insieme a quelli sono subor dinati a quella forza motrice centrale» 8. Si può dunque s
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7 8
Ibid., p. 70. Ibid., p. 128. Ibid., p. 129. Ibid., p. 125.
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stabilire, tra l'altro: I) che l'uso capitalistico delle macchi ne non è, per cosi dire, la semplice distorsione o deviazio ne da uno sviluppo «oggettivo» in se stesso razionale, ma esso determina lo sviluppo tecnologico; 2) che «la scienza, le immani forze naturali e il lavoro sociale di massa ... sono incarnati nel sistema delle macchine e ... con esso costitui scono il potere del padrone»» '. Dunque, di fronte al l'operaio individuale «svuotato», lo sviluppo tecnologico si manifesta come sviluppo del capitalismo: «come capi tale e in quanto tale la macchina automatica ha consapevo lezza e volontà nel capitalista» lO. Nel «cervello [del padro ne] il macchinario e il suo monopolio del medesimo sono 1 1. inseparabilmente uniti» Il processo d'industrializzazione, via via che si impadro nisce di stadi sempre piu avanzati di progresso tecnologi co, coincide con l'incessante aumento dell'autorità del ca pitalista. Col crescere del volume dei mezzi di produzione, contrapposti all'operaio, cresce la necessità di un control- lo assoluto da parte del capitalista. Il piano del capitalista è la figura ideale con cui agli operai salariati si contrap pone «la connessione tra i loro la�ori» - « praticamente, il piano è l'autorità del capitalista, potenza d'una volontà estranea» 12. Dunque strettamente connesso allo sviluppo dell'uso capitalistico delle macchine è lo sviluppo della programmazione capitalistica.· Allo sviluppo della coope razione, del processo lavorativo sociale, corrisponde, nel la direzione capitalistica, lo sviluppo del piano come di spotismo. Nella fabbrica il capitale afferma in misura via via crescente il suo potere «come privato legislatore». Il suo dispotismo è la sua pianificazione, «caricatura capitali Il. stica della regolazione sociale del processo lavorativo» H
• Ibid. , IO 11 12 13
p. U9. Ibid., p. 107. Ibid., p. U9. Ibid., pp. 28-29. Ibid., p. 13I.
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Le trasformazioni tecniche e organizzative del capitali smo e le interpretazioni oggettivistiche. L'analisi di Marx sulla divisione del lavoro nel sistema della grande industria a direzione capitalistica si presenta come una valida metodologia per confutare le varie ideolo gie «oggettivistiche» rifiorenti sul terreno del progresso tecnologico (specialmente in rapporto alla fase dell'auto mazione). Lo sviluppo capitalistico della tecnologia com porta, attraverso le diverse fasi della razionalizzazione, di forme sempre piu raffinate di integrazione ecc., un aumen to crescente del controllo capitalistico: Il fattore fonda mentale di questo processo è il crescente aumento del ca pitale costante rispetto al capitale variabile. Nel capitali smo contemporaneo, come è noto, la pianificazione capita listica si amplia smisuratamente con il passaggio a forme monopolistiche e oligopolistiche, che implicano il progres sivo estendersi della pianificazione dalla fabbrica al merca 'to, all'area sociale esterna. Nessun «oggettivo», occulto fattore, insito negli aspet ti di sviluppo tecnologico o di programmazione nella so �ietà capitalistica di oggi, esis'te, tale da garantire 1'«autò matica» trasformazione o il «necessario» rovesciamento dei rapporti esistenti. Le nuove «basi tecniche» via via raggiunte nella produzione costituiscono per il capitali smo nuove possibilità di consolidamento del suo potere. Ciò non significa, naturalmente, che non si accrescano nel contempo le possibilità di rovesciamento del sistema. Ma queste possibilità coincidono con il valore totalmente eversivo che, di fronte all'«ossatura oggettiva» sempre piu indipendente del meccanismo capitalistico, tende ad assumere «l'insubordinazione operaia». Le ideologie «oggettivistiche», «economicistiche» pre sentano quindi, ovviamente, gli aspetti piu interessanti intorno ai problemi dello sviluppo tecnologico e della or ganizzazione aziendale. Non ci riferiamo qui naturalmente alle ideologie neocapitalistiche, ma a posizioni espresse al l'interno del movimento operaio e della sua problematica teorica.
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Contro le vecchie cristallizzazioni ideologiche nell'azio ne sindacale, il processo di rinnovamento del sindacato di classe in questi anni si sviluppa innanzi tutto intorno al riconoscimento delle «nuove realtà» del capitalismo con temporaneo. Ma l'attenzione giustamente rivolta alle mo dificazioni che accompagnano l'attuale fase tecnologica ed economica è, in tutta una serie di posizioni e di ricerche, distorta in una rappresentazione di esse in forma «pura», idealizzata, spogliata delle concrete connessioni con gli elementi generali e determinanti (di potere) dell'organiz zazione capitalistica l'. La razionalizzazione, con la sua par cellizzazione estrema del lavoro, il suo «svuotamento» del lavoro operaio, è considerata come una fase di passag gio, «dolorosa» ma necessaria e transitoria, allo stadio che «ricompone in senso unitario i lavori parcellari». Ambi guamente viene riconosciuto che la diminuzione dell'ap plicazione del lavoro vivo nella produzione e l'aumento corrispondente del capitale costante sospingono verso una ininterrotta continuità del ciclo cosi come «crescono ulte riormente i legami di interdipendenza interna ed esterna: come all'interno di una unità produttiva il singolo posto di lavoro e il singolo lavoratore non possono essere consi derati che come parte di un insieme organicamente colle gato, cosi, verso l'esterno, ogni singola unità produttiva e il suo comportamento hanno piu stretti legami di interdi pendenza con tutto il corpo economico» 15 . 14 Riteniamo utile riferirei ai primi documenti della « svolta» sindaca le, sulla cui base ancor oggi continua a svilupparsi il dibattito: I lavoratori e il progresso tecnico, Atti del Convegno tenuto all'Istituto «Antonio Gramsci» in Roma, nei giorni 29-30 giugno e l° luglio 1956, sul tema Le
trasformazioni tecniche e organizzative e le modificazioni del rapporto di lavoro nelle fabbriche italiane; SILVIO LEONARDI, Progresso tecnico e rap porti di lavoro, Einaudi, Torino 19'7. Prendiamo come riferimento fonda- .
mentale l'opera di Leonardi, che amplia e approfondisce la relazione svolta dal medesimo al Convegno dell'Istituto Gramsci. Per gli sviluppi phi re centi della discussione, cfr. le relazioni e gli interventi al recente Con gresso sul progresso tecnologico e la società italiana, citati piu sotto. Cfr. anche, in questo « Quaderno», la rassegna di Dino De Palma [Due alterna tive dell'azione sindacale]. In questi appunti prescindiamo da ogni riferi mento alla vasta letteratura (sia d'ispirazione neocapitalistica sia marxista) sui temi accennati, intendendo solo richiamarci al dibattito in corso nel nostro movimento sindacale. 15 Cfr. LEONARDI, Progresso tecnico eit., p. 93; cfr. anche pp. 3', 46, 55-59·
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Aspetti caratteristici nuovi assunti dall'organizzazione capitalistica vengono cosi scambiati come stadi di svilup po di una oggettiva «razionalità». CosI, ad esempio, viene sottolineata la funzione positiva, «razionale» dell'MTM, in quanto «attraverso i tempi, il tecnico è obbligato a stu diare i metodi»! 16. E ancora: l'enorme valore di rottura che nella grande azienda moderna «con una produzione programmata e realizzata a flusso continuo», assume «la non corrispondenza di un operaio, di un gruppo di operai, a quanto viene loro richiesto in base alle previsioni fatte nel programma di produzione aziendale» 17 è assolutamen te dimenticato per mettere invece in luce l'esigenza (natu ralmente «razionale») «del cosiddetto rapporto "mora le" tra imprenditori e lavoratori, che è condizione e scopo delle cosiddette relazioni umane", appunto perché unica mente sulla sua base si può stabilire la collaborazione»: infatti, «a una produzione integrata deve corrispondere una integrazione del lavoratore nell'azienda, e questa in tegrazione deve essere volontaria, poiché nessuna costri zione o disciplina può ottenere la rinuncia, da parte di uo mini, alla libertà, per esempio, di produrre un giorno un po' di meno e un altro un po' di piu», ecc. ecc. 18. Dimodo ché le «ragioni di esaurimento di questo movimento [del le "relazioni umane"] potranno consistere nell'assorbi mento della parte valida della sua tematica»: certo, i sin dacati devono intervenire «a rompere dannose forme di aziendalismo strettamente legate alle relazioni umane" stesse»! 19. Dunque, la sostanza dei processi di integrazio ne viene accettata, riconoscendo in essi una intrinseca ne cessità, che scaturirebbe fatalmente dal carattere della pro duzione «moderna». Semplicemente, viene richiamata la esigenza di correggere alcune «distorsioni» che l'uso capi talistico introdurrebbe in questi procedimenti. La stessa organizzazione «funzionale» della produzione viene vista in questo quadro soltanto nella sua forma tecnologicamencc
cc
16
Ibid., p. 48. Ibid., p. 'o. "Un semplice ritardo, un'assenza, ° anche solo una di minuita produzione di un solo operaio, possono riflettersi su tutta una linea di macchine », ecc. ecc. (pp. 'o sgg.). 18 Ibid., pp. ,o-,!. 19 Ibid., p. '2. 17
IO
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te « sublimata » , addirittura come un salto oltre la gerar chizzazione propria delle fasi precedenti di meccanizzazio ne. Non si sospetta neppure che il capitalismo possa servir si delle nuove « basi tecniche » offerte dal passaggio dagli stadi precedenti a quello di meccanizzazione spinta (e al l'automazione), per perpetuare e consolidare la struttura autoritaria dell'organizzazione della fabbrica; infatti, ci si rappresenta tutto il processo dell'industrializzazione come dominato dalla fatalità « tecnologica » che conduce alla li berazione « dell'uomo dalle limitazioni impostegli dal l'ambiente e dalle possibilità fisiche » . La « razionalizzazio ne amministrativa », la crescita enorme di funzioni di « or ganizzazione verso l'esterno », vengono ugualmente colte in una forma « tecnica » , « pura » : il rapporto tra questi sviluppi e i processi e le contraddizioni del capitalismo �ontemporaneo ( la sua ricerca di mezzi sempre plu com plessi per realizzare e imporre la sua pianificazionè), ossia la concreta realtà storica nella quale il movimento operaio si trova a vivere e a combattere, l'odierno « uso capitalisti co » delle macchine e dell'organizzazione - vengono com pletamente ignorati a vantaggio di una rappresentazione tecnologico-idilliaca. Particolarmente gravi sono le deformazioni che riguar dano il carattere della prestazione di lavoro nella fabbrica moderna, conseguenti a una considerazione « oggettiva » delle nuove forme tecnologico-organizzative. Si tende a ri conoscere la scomparsa della parcellizzazione delle funzio ni e lo stabilirsi di nuove mansioni a carattere unitario, che sarebbero qualificate da responsabilità, capacità di de cisione, molteplicità di preparazione tecnica 20. Lo svilup po delle tecniche e delle funzioni connesse al management viene isolato dal concreto contesto sociale in cui si produ ce, Cioè dal crescente accentramento del potere capitalisti co, e perciò considerato come il supporto di nuove cate gorie di lavoratori (i tecnici, gli « intellettuali della produ zione »), che « naturalmente » porterebbero, come diretto riflesso delle loro nuove professionalità, la soluzione delle 20
Ibid., pp. ,,-.:;6.
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II
contraddizioni « tra caratteri ed esigenze delle forze pro duttive e rapporti di produzione » 21 . Il contrasto tra forze produttive e rapporti di produzione compare qui come « non corrispondenza » tecnica: « ad esempio, nel caso che nella scelta della migliore combinazione di determinati fattori produttivi, ormai conseguibile con metodi sempre pili obbiettivamente validi, essi [i lavoratori di nuovo ti po] siano costretti a scartare le soluzioni obbiettivamente pili valide per rispettare limiti posti da interessi priva ti » 22 . Ed è certo, da questo punto di vista, che « la falce e il martello . . . oggi possono essere un simbolo del lavoro umano solo dal punto di vista ideale » ! ", Tutto ciò, natu ralmente, ha un diretto riflesso sulla concezione della lot ta operaia, sulla rappresentazione dei protagonisti stessi di questa lotta. La realtà delle lotte attuali indica una con vergenza dei vari « livelli » di lavoratori determinati dalla organizzazione attuale della grande fabbrica 24 verso richie ste gestionali. S'intende che questo è un processo che av viene sulla base di fattori ç>ggettivi, rappresentati appunto dalla diversa « collocazione » dei lavoratori nel processo produttivo, dal diverso tipo di rapporti con la produzione e con l'organizzazione, ecc. ecc. Ma l'elemento specifico di questo processo di « ricomposizione unitaria » non può cogliersi se sfugge o si rifiuta il nesso tra l'elemento « tec nologiCo » e quello organizzativo-politico (di potere) nel proc�sso produttivo capitalistico. Il livello di cldsse si esptlme non come progresso ma come rottura, non come « rivelazione » dell'occulta razionalità insita nel moderno processo produttivo ma come costruzione di una razIonali tà radicalmente nuova e contrapposta alla razionalità pra ticata dal capitalismo. Ciò che caratterizza gli attuali pro cessi di acquisizione di coscienza di classe negli operai del la grande fabbrica (quelli, ad esempio, esaminati in questo 21 Ibid., p. 82. Sulla « alienazione totale» degli « intellettuali della pro duzione» vedi invece le osservazioni veramente puntuali e acute di Pino Tagliazucchi nell'articolo Aspetti della condizione impiegatizia nell'indu· stria moderna, in « Sindacato moderno», n. I, febbraio-marzo 1961, pp.
'3 s gg. 22 LEONARDI, Progresso tecnico cit., pp. 81-82. 21 Ibid., p. 67_ ,. Vedi in questo « Quaderno», la Relazione di Alquati.
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« Quaderno » * ) « non [è] soltanto la esigenza primaria di espansione della personalità nel lavoro, ma una esigenza motivata strutturalmente di gestire il potere politico ed economico dell'impresa e attraverso ad essa della socie tà» 25. Perciò i fattori, cui sopra si accennava, di caratterizza zione « oggettiva » dei diversi strati di lavoratori nel pro cesso produttivo hanno certamente un significato nella formazione di una presa di coscienza « collettiva » , da par te dei lavoratori, delle implicazioni politiche del fatto pro duttivo. Ma questi fattori si rapportano alla formazione di una forza unitaria di rottura che tende a investire in tutti i suoi aspetti l'attuale realtà tecnologico-organizzati va-proprietaria della fabbrica capitalistica.
Integrazione ed equilibrio del sistema. È ovvio che la convalida piena dei processi di razionaliz zazione ( considerati come insieme delle tecniche produtti ve elaborate nell'ambito del capitalismo) dimentica che è precisamente il « dispotismo » capitalistico che assume la forma della razionalità tecnologica. Nell'uso capitalistico, non solo le macchine, ma anche i « metodh> , le tecniche organizzaÌìve, ecc. sono incorporati nel capitale, si con trappongono agli operai come capitale: come « razionali tà» estranea. La « pianificazione » capitalìstica presuppone la pianificazione del lavoro vivo, e quanto piu essa si sfor za di presentarsi come un sistema chiuso, perfettamente razionale di regole, tanto piu essa è astratta e parziale, pronta per essere utilizzata in una organizzazione soltanto di tipo gerarchico. Non la « razionalità », ma il controllo, non la programmazione tecnica ma il progetto di potere dei produttori associati possono assicurare un rapporto adeguato con i processi tecno-economici globali. In effetti, nell'ambito di una considerazione « tecnica » , * [Si vedano i n particolare, sui « Quaderni rossi » , n . I , i Documenti sulla lotta di classe alla Fiat a cura di R. Alquati, e la Relazione di R. Al quati sulle « forze nuove » (Convegno del PSI sulla Fiat - gennaio 1961)].
,; Ibid.
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pseudoscientifica dei nuovi problemi e delle nuove con traddizioni che insorgono nell'azienda capitalistica odier na, è possibile trovare soluzioni via via piu « avanzate » dei nuovi squilibri senza toccare la sostanza dell'alienazione, garantendo anzi il mantenimento dell'equilibrio del siste ma. In effetti, le ideologie sociologiche e organizzative del capitalismo contemporaneo presentano varie fasi, dal tay lorismo al fordismo fino allo sviluppo delle tecniche inte grative, human engineering, relazioni umane, regolazione delle comunicazioni, ecc . " , appunto nel tentativo, sempre piu complesso e raffinato, di adeguare la pianificazione del lavoro vivo agli stadi via via raggiunti, attraverso il conti nuo accrescimento del capitale costante, dalle esigenze di programmazione produttiva 27 . In questo quadro, è eviden te che tendono ad assumere sempre piu importanza le tec niche di « informazione », destinate a neutralizzare la pro testa operaia immediatamente insorgente dal carattere « totale » che assumono i processi di alienazione nella gran de fabbrica razionalizzata. Naturalmente, l'analisi concre ta si trova di fronte a situazioni anche profondamente di verse tra loro, sotto questo profilo, in rapporto a una quan tità non trascurabile di fattori particolari (disparità nello sviluppo tecnologico, orientamenti soggettivi diversi nella direzione capitalistica, ecc. ecc.); ma il punto che qui ci preme di sottolineare è che nell'uso delle tecniche « infor mative », come manipolazione dell'atteggiamento operaio, il capitalismo ha vasti, indefinibili margini di « concessio ne » (e meglio si direbbe di « stabilizzazione » ) . Non è de terminabile il limite oltre il quale 1'« informazione » circa i processi produttivi globali cessa di essere un fattore di stabilizzazione per il potere del capitale. Ciò che è certo è " Cfr. NORA MITRANI, Ambiguité de la tecbnocratie, in «Cahiers inter nationaux de sociologie », voI. XXX , 1961, p. I I I . 27 Franco Momigliano h a notato giustamente che «la fabbrica moderna non solo esclude sempre pili gli operai dalla cosciente partecipazione al momento stesso di elaborazione del piano razionale produttivo. al pro cesso globale di produzione, ma richiede agli operai, subordinati alla nuova razionalità, di impersonare contemporaneamente il momento " antiraziona le", quello corrispondente alla filosofia dello " arrangiarsi ", del vecchio empirismo. In tal modo la stessa resistenza operaia risulta, paradossalmen te, razionalmente sfruttata ». Cfr. Il Sindacato nella fabbrica moderna, in « Passato e presente », n. I" maggio-giugno 1960, pp. 20-21 .
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che le tecniche di informazione tendono a restituire, nella situazione piu complessa dell' azienda capitalistica contem poranea, quella « attrattiva » ( soddisfazione) del lavoro di cui già parlava il Manifesto ". L'estendersi delle tecniche di informazione e del loro campo di applicazione, cOSI come l'estendersi della sfera di decisioni tecniche 29, rientrano perfettarpente nella « ca ricatura» capitalistica della regolazione sociale della pro duzione. Occorre dunque sottolineare che la « consapevo lezza produttiva » non opera il rovesciamento del sistema, che la partecipazione dei lavoratori al « piano funzionale » del capitalismo, di per sé, è fattore di integrazione, di alie nazione, per cosi dire, ai limiti estremi del sistema. È ben si vero che si ha qui, con lo sviluppo dei « fattori di stabi lizzazione » nel neocapitalismo, una premessa di natura tale, per l'azione operaia, da rendere immediatamente ne cessario il rovesciamento totale dell'ordine capitalistico. La lotta operaia si presenta perciò come necessità di con trapposizione globale al piano capitalistico, dove fattore fondamentale è la consapevolezza, diciamo pure dialettica, dell'unità dei due momenti « tecnico » e « dispotico » nel l'attuale organizzazione produttiva. Rispetto alla « razio nalità » tecnologica, il rapporto ad essa dell'azione rivolu zionaria è -di « comprenderla », ma non per riconoscerla ed esaltarla, bensl per sottometterla a un nuovo uso: all'uso socialista delle macchine 30 . 28 « Il lavoro dei proletari, con l'estendersi dell'uso delle macchine e con la divisic>ne del lavoro, ha perduto ogni carattere di indipendenza e quindi ogni attrattiva per l'operaio. Questi diventa un semplice accessorio della macchina ». 2. Sulle esigenze di partecipazione « democratica » degli operai per una amministrazione capitalistica piu razionale, cfr. il libro molto importante di SEYMOUR MELMAN, Decisioll Making and Productivity, Oxford 19,8. 30 Gli sviluppi piu recenti della ricerca economica e tecnica nell'Unione Sovietica presentano un carattere ambiguo. Mentre la rivendicazione del momento autonomo della ricerca ha senza dubbio un significato di contra sto e di rottura rispetto alle forme piu rozze di volontarismo nella pianifi cazione di tipo staliniano, Iq sviluppo di processi « razionali,., indipen dentemente dal controllo SOCIale della produzione, sembra piuttosto rap presentare (quanto già oggi? e quanto come possibilità futura?) la premessa e il supporto per nuovi sviluppi dei vecchi processi di burocratizzazione. È tuttavia importante non perdere di vista il tratto distintivo della piani ficazione sovietica rispetto al piano capitalistico. L 'elemento autoritario, dispotico dell'organizz!izione produttiva nasce nel seno dei rapporti capi talistici e sopravvive nelle economie pianificate di tipo burocratico. Le bu-
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I salari e la schiavitu politica. Dacché, con l'organizzazione moderna della produzio ne, aumentano « teoricamente» per la classe operaia le possibilità di controllare e dirigere la produzione, ma « praticamente », attraverso il sempre piu rigido accentra mento delle decisioni di potere, si esaspera l'alienazione, la lotta operaia, ogni lotta operaia tende a proporre la rot tura politica del sistema. E agente di questa rottura non è il confronto tra esigenze « razionali » implicite nelle nuove tecniche e loro utilizzazione capitalistica, ma la contrappo sizione di una collettività operaia che reclama la subordi nazione dei processi produttivi alle forze sociali. Non c'è continuità da affermare, attraverso il saltò rivoluzionario, nell'ordine dello sviluppo tecno-economico: l'azione ope raia mette in discussione i fondamenti del sistema e tutte le sue ripercussioni e aspetti, a ogni livello. Al processo capitalistico è, ovviamente, connaturato il progresso tecnologico, la « successione sempre p iu rapida di invenzioni e di scoperte, [un] rendimento del lavoro umano che aumenta di giorno in giorno in misura inau dita» 31 , Ma mentre Engels fa · scaturire da questo processo « la scissione della società in una piccola classe smisuratamen te ricca e in una grande classe di salariati nullatenenti », rocrazie nel loro rapporto verso la classe operaia non possono soltanto ap pellarsi alla razionalità oggettiva, ma debbono richiamarsi alla classe ope raia stessa. La caduta dell'elemento fondamentale, dell'elemento proprieta rio, toglie all'organizzazione burocratica, per cosi dire, il suo fondamento proprio. Onde, in Urss e nelle Democrazie popolari, le contraddizioni si presentano diversamente e il dispotismo presenta un carattere precario e non organico. Ciò che non significa, naturalmente, che le sue manifesta zioni non possano assumere aspetti altrettanto crudi di quelli delle società capitalistiche. Cfr. le osservazioni fondamentali di RODOLFO MORANDI negli scritti Analisi dell'economia regolata (1942) e Criteri organizzativi dell'e conomia collettiva (1944), ristampati in Lotta di popolo, Einaudi, Torino 1958 [ora in La democrazia del socialismo, Reprints Einaudi, Torino 197.1]. L'esclusione dell'elemento proprietario e la considerazione a sé dell'ele mento autoritario-burocratico o della alienazione tecnica (o di entrambi) sono, com'è noto, al centro di una ormai sterminata letteratura ideologica neo-capitalistica e neo-riformistica. All'analisi di queste ideologie sarà de dicato uno dei nostri « Quaderni». 31 Cfr. FRIEDRICH ENGELS, Introduzione a Lavoro salariato e capitale di KARL MARX, Edizioni Rinascita, Roma 1949, p. 19.
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Marx prevede l'aumento non soltanto del salario nomi nale ma anche di quello reale: « se . . . con il rapido aumen to del capitale aumentano le entrate dell'operaio, nello stesso tempo però si approfondisce l 'abisso sociale che se para l'operaio dal capitalista, aumenta il potere del capi tale sul lavoro, la dipendenza del lavoro dal capitale » 32 . Perciò quanto piu è rapido l'aumento del capitale altret tanto migliora la situazione materiale della classe operaia. E quanto piu il salario è legato all'aumento del capitale, tanto piu diretto è il mutevole rapporto di dipendenza del lavoro dal capitale. Ossia, nella misura in cui migliora la situazione materiale dell'operaio, peggiora la sua situazio ne sociale, si approfondisce « l'abisso sociale che lo separa dal capitalista» 33. In questo rapporto immediato tra salario e capitale, « la condizione piu favorevole per il lavoro salariato è un au mento piu rapido possibile del capitale produttivo » : cioè, « quanto piu rapidamente la classe operaia accresce e in grossa la forza che le è nemica, la ricchezza che le è estra nea e la domina, tanto piu favorevoli sono le condizioni in cui le è permesso di lavorare a un nuovo accrescimento della ricchezza borghese, a un aumento del potere del ca pitale, contenta di forgiare essa stessa le catene dorate con le quali la borghesia la trascina dietro di sé » 34. Del resto, lo stesso Engels riconoscerà ( nella Critica al programma di Br/urt) che « il sistema del lavoro salariato è un sistema di schiavitu, e di una schiaviru che diviene sempre piu dura nella misura in cui si sviluppano le forze produttive sociali del lavoro, tanto se l'operaio è pagato meglio, quanto se è pagato peggio » (corsivo nostro ). Le nin sottolinea questo aspetto come ovvio nel marxismo: « La concezione dell'accumulazione elaborata dai classici è stata accolta nella teoria di Marx, la quale ammette che quanto piti rapidamente aumenta la ricchezza, tanto piu concretamente si sviluppano le forze produttive e la soci a lizzazione del lavoro, tanto migliore è la situazione del l'operaio, nella misura almeno in cui può essere migliore 32 Ibid., pp. '2" 3. 33 Ibid., p. '3. 34 Ibid., p. '3.
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nell'attuale sistema dell'economia sociale » ". Il progres sivo aumento dell'« abisso sociale » tra operai e capitalisti è anche espresso da Marx nella forma del salario relativo e della sua diminuzione. Ma è evidente che questo concet to implica l'elemento di coscienza politica, appunto la consapevolezza che al miglioramento delle condizioni ma teriali, all'aumento del salario nominale e reale, corrispon de l'aggravarsi della « dipendenza politica». La cosiddetta inevitabilità del passaggio al socialismo non è nell'ordine del conflitto materiale ma, sulla base stessa dello sviluppo economico del capitalismo, in rapporto alla « intollerabili tà» del divario sociale, che può manifestarsi soltanto come presa di coscienza politica. Ma per ciò stesso il rovescia mento operaio del sistema è negazione dell'intera organiz zazione in cui si esprime lo sviluppo capitalistico, e in primo luogo della tecnologia in quanto legata alla pro duttività. La rottura, il superamento del meccanismo salario-pro duttività non può quindi porsi come rivendicazione « ge nerale » di aumento del livello dei salari. È evidente che l'azione tendente a superare le sperequazioni salariali co stituisce un aspetto del superamento di quel rapporto. Di per sé, non garantisce in nessun modo la rottura del siste ma, ma soltanto « catene piu dorate » per tutta la classe operaia. Solamente investendo le radici dei processi di alienazione, individuando la crescente « dipendenza poli tica » dal capitale, è possibile configurare un'azione di clas se veramente generale 36. In altre parole, la forza eversiva della classe operaia, la sua capacità rivoluzionaria si presenta (potenzialmen te) piu forte precisamente nei « punti in sviluppo » del capitalismo, laddove il rapporto schiacciante del capitale costante sul lavoro vivente, con la razionalità in quello in corporata, pone immediatamente alla classe operaia la questione della sua schiaviru politica. Peraltro, la crescen te dipendenza dei processi sociali « esterni » globali dal 35 LENlN, Caratteristiche del romanticismo economico, in Opere, voI. II, Editori Riuniti, Roma 19" , p. 136. 36 Cfr. l'attuale dibattito su " Politica ed economia », con articoli di GARAVINI, TATÒ, NAPOLEONI, ecc. (numeri dal novembre 1960).
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piano capitalistico, quale innanzi tutto si manifesta a livel lo aziendale, è, per cosi dire, nella logica elementare dello sviluppo capitalistico. È noto che Marx ha piu volte insi stito su tale sempre piu estesa proliferazione delle radici del potere capitalistico: al limite, la divisione del lavoro nella fabbrica tende a coincidere con la divisione sociale del lavoro - ciò che, naturalmente, è da intendersi in mo do non grettamente economicistico.
Consumi e tempo libero. L'« oggettivismo » accetta la « razionalità» capitalistica a livello aziendale, svaluta la lotta entro le strutture e i punti in sviluppo, tende a sottolineare, invece, il valore dell'azione nella sfera esterria, dei salari e dei consumi; di qui conseguono, con la ricerca di una « dialettica » a piu alto livello, entro l'ambito del sistema, tra capitale e lavo ro, la sopravvalutazione dell'azione a livello statale, la di stinzione-separazione tra momento sindacale e momento politico, ecc. ecc. Cosi, anche nel dibattito piu serio e « ag giornato » (che oggi in Italia si svolge soprattutto nell'am bito del sindacato di classe), si finisce per trovare, in forme piu critiche e moderne, una conferma semplicemente alle vecchie impostazioni « democratiche » della lotta operaia. Tutto il travaglio di ricerca e di adeguamento dell'azione sindacale ai modi di sviluppo del capitalismo corre il ri schio di sfociare in una convalida di vecchie posizioni, ar ricchite di un nuovo contenuto ma in forma mistificata. Cosi « si arriva a qualificare l'azione autonoma delle grandi masse solo a posteriori delle scelte padronali e mai a priori » 31 .
31 Cfr. RUGGERO SPESSO, Il potere contrattuale dei lavoratori e la « ra zionalizzazione » del monopolio, in " Politica ed economia .. , novembre
IO. Una considerazione a parte meriterebbero le posizioni espres da Franco Momigliano. Egli giustamente richiama che la considerazione degli " strumenti dell'organizzazione e della razionalizzazione del mondo moderno » deve costituire per il Sindacato la premessa « per ricercare le condizioni di una competizione efficiente e di una capacità egemone della classe operaia» (Il Sindacato nella fabbrica moderna cit., p. 2029). E piu volte ha insistito sulla esigenza che, per questa via, la classe operaia ricon quisti di fronte al capitale una vera e completa autonomia. Ma non si comprende come egli possa conciliare queste tesi ed esigenze con la con-
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Mentre i processi intrinseci all'accumulazione capitali stica divengono sempre piu determinati globalmente, al l'« interno » e all'« esterno », a livello aziendale e a livello sociale generale, le varie posizioni rifiorenti anche all'in terno del movimento operaio dalla matrice keynesiana, si presentano come vere e proprie ideologie, riflesso degli sviluppi neocapitalistici. Contro di esse vale ancora, anzi piu fortemente, l'avvertimento di Marx : « La sfera della circolazione, ossia dello scambio delle merci, nella quale si attua la vendita e la compera della forza di lavoro, è di fatto un vero Eden dei diritti innati dell'uomo ». Non per nulla si contrappongono ai consumi « imposti » dal capita lismo i consumi « onesti », che dovrebbe proporre la classe operaia, è l'aumento generale dei salari, cioè la conferma della schiavitu capitalistica, è presentato come « istanza» del lavoratore in quanto '« persona umana », che rivendica (entro il sistema! ) il riconoscimento e l'affermazione della sua « dignità » 38 . La stessa rivendicazione di « bisogni essenziali » (la cuI· tura, la salute) contro la scala dei consumi imposta dal ca pitalismo (o dal neocapitalismo) non ha senso - come ha ferma dello « specifico terreno istituzionale del Sindacato .. , con il conse guente rifiuto a riconoscei:e alla stessa azione sindacale 'il carattere di una crèscente tensione di rotrura rispetto al sistema (cfr. F. MOMIGLIANO, Strut tura delle retribuzioni e funzioni del Sindacato, in « Problemi del sociali smo .. , giugno 1961, p. 633). Vedi anche, dello stesso MOMIGLIANO, Una tematica sindacale moderna, in « Passato e presente », n, 13, gennaio-feb braio 1960; la Relazione al Congresso sul Progresso tecnologico e la società italiana (Milano, giugno 1 960) sul tema Lavoratori e sindacati di fronte alle trasformazioni del processo produttivo nell'industria italiana. 38 Cfr. ANTONIO TATÒ, Ordinare la struttura della retribuzione secondo la logica e i fini del sindacato, in « Politica ed economia», febbraio-marzo 1961, pp. II-23· La crescente incidenza sociale immediata della sfera della produzione è, com'è noto, sottolineata in tutta la ricerca marxista. Come altri autori, PAUL M. SWEEZY, in La teoria dello sviluppo capitalistico (Einaudi , Torino 19'1 [cfr. ora la nuova edizione a cura di Claudio Napoleoni, Boringhieri, Torino 1970]) ne ha dato, sotto vari aspetti, una dimostrazione ancor oggi valida (vedi soprattutto pp. 307 sgg., 3'0 sgg., ecc.). SWEEZY richiama questo passo di Rosa Luxemburg in Riforma e rivo luzione: « Il "controllo sociale ..... nulla ha a che fare con la limitazione della proprietà capitalistica, ma al contrario riguarda la sua protezione. Ovvero, per parlare in termini economici, esso non costituisce un attacco allo sfruttamento capitalistico, ma piuttosto una normalizzazione e regola rizzazione di esso » (La teoria dello sviluppo capitalistico cit., p. 319; cfr. Capitale, voI. I, cap. x, par. 6, a proposito della legislazione inglese sulla limitazione della giornata di lavoro),
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giustamente rilevato Spesso al di fuori di un rifiuto della razionalizzazione capitalistica e di una richiesta operaia di controllo e gestionale nella sfera della produzione 19. È significativo che posizioni « revisionistiche » richiami no, deformandola, la concezione marxiana del tempo libe ro, del suo rapporto con la giornata lavorativa e della sua collocazione nella prospettiva di una società comunista. Si tende, cioè, sulla base di una interpretazione « economisti ca », a identificare, nel pensiero di Marx, la libertà comu nista con l'espansione del tempo libero sulla base di una crescente pIanificazione « oggettiva » e razionalizzatrice dei processi produttivi 40. In effetti, per Marx, il tempo libero « per la libera atti vità mentale e sociale degli individui » non coincide affatto semplicemente con la riduzione della « giornata lavorati va » . Presuppone la trasformazione radicale delle condizio ni del lavoro umano, l'abolizione del lavoro salariato, la « regolazione sociale del processo lavorativo ». Presuppo ne, cioè, l'integrale rovesciamento del rapporto capitali stico tra dispotismo e razionalità, per la formazione di una società amministrata da liberi produttori, nella quale con l'abolizione della produzione per la produzione - la programmazione, il piano, la razionalità, la tecnologia sia no sottoposti al permanente controllo delle forze sociali, e il lavoro possa cosi (e soltanto per questa via) diventare il « primo bisogno » dell'uomo. Il superamento della divi sione del lavoro, in quanto meta del processo sociale, -
39 Cfr. SPESSO, Il potere contrattuale cit.: « Auspicare... maggiori con sumi culturali non ha senso se poi non si possa considerare come fattibile la utilizzazione di questa cultura da parte dell'individuo proprio nella sua attività creativa e cioè per eccellenza nel processo lavorativo ... Gli stessi consumi di un individuo sono del tutto condizionati dalla sua posizione nell'attività produttiva ... I "bisogni essenziali" (la cultura, la salute) na scono, si precisano, si affermano nel rifiuto delle work rules, nella presa di coscienza operaia del significato e del ruolo del lavoro » (pp. 9-10). La rappresentazione dell'alienazione nel neocapitalismo come aliena zione del consumatore è nello stesso tempo una delle ideologie correnti piu ridicole e piu diffuse. 40 Cfr. PAUL CARDAN, Capitalismo e socialismo, in « Quaderni di unità proletaria », n. 3 (cicl.). [Si tratta di uno degli opuscoli ciclostilati pubbli cati a Cremona da Danilo Montaldi all'inizio degli anni '60. Paul Cardan è uno pseudonimo di Cornelius Castoriadis, principale esponente del grup po di « SociaIisme ou Barbarie »l. Occorre tuttavia sottolineare che tale interpretazione è richiamata in Cardan per esprimere, in polemica con il marxismo, un punto di vista rivoluzionario.
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della lotta di classe, non significa u n salto nel « regno del tempo libero », ma la conquista del dominio delle forze sociali sulla sfera della produzione. Lo « sviluppo comple to» dell'uomo, delle sue capacità fisiche e intellettuali (che tanti critici << umanisti » della « società industriale » amano richiamare) compare come una mistificazione se si rappre senta come « godimento di tempo libero », come astratta « versatilità », ecc. indipendentemente dal rapporto del l'uomo col processo produttivo, dalla riappropriazione del prodotto e del contenuto del lavoro da parte del lavo ratore, in una società di liberi produttori associati 41.
Il controllo operaio in una prospettiva rivoluzionaria. Le « nuove » rivendicazioni operaie che caratterizzano le lotte sindacali (prese in esame in questo stesso « Qua derno » 42) non recano immediatamente un contenuto poli tico rivoluzionario né implicano uno sviluppo automatico nello stesso senso. Tuttavia il loro significato non può neppure essere limitato a un valore di « adeguamento» ai moderni processi tecnologici e organizzativi nella fabbrica moderna, presupposto di una « sistemazione » dei rappor ti di lavoro in generale a piu alto livello. Esse contengono delle indicazioni di sviluppo, che riguardano la lotta ope raia nel suo insieme e nel suo valore politico. Tali indica zioni non scaturiscono però semplicemente dalla rilevazio41 La rappresentazione della società comunista come una società di « ab bondanza » di beni (anche se non soltanto materiali) e di « tempo libero » è comunemente diffusa nelle ideologie sovietiche e risulta ovviamente dalla negazione di una effettiva regolazione sociale del processo lavorativo. Le illusioni « tecnologiche » intervengono oggi a soccorrere queste ideologie. Per Strumilin, ad esempio, « le funzioni direttive dei processi di produ zione .. si identificano con il controllo « tecnico ", con il « piu elevato con tenuto intellettuale » del lavoro reso possibile dallo « sviluppo della tecni ca con i suoi miracolosi meccanismi automatici e le macchine elettroniche "pensanti » » (cfr. Sulla via del comunismo, Mosca I9'9). E COSI l'automa zione permetterà di realizzare una società realmente " aflluente », di consu matori di « tempo libero ,.! (Cfr. sopra, nota 30). Come esempio di tipica deformazione dei testi di Marx su questo punto, cfr. GEORGES FRIEDMAN, Dove va il lavoro umano?, Comunità, Milano I9", pp. 333 sgg., dove la riappropriazione del prodotto e del contenuto del lavoro stesso da parte dell'operaio è identificata con il « controllo psico-fisiologico del lavoro lO! 42 [Cfr. a questo proposito la nota I dello scritto seguente].
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ne e dalla « somma» di quelle rivendicazioni, per quanto diverse e piu « avanzate » esse possario apparire rispetto agli obiettivi tradizionali. Contrattazione dei tempi e rit mi di lavoro, degli organici, del rapporto salario-produtti vità, ecc. , tendono evidentemente a contrastare il capitale all'interno stesso del meccanismo di accumulazione e a li vello dei suoi « fattori di stabilizzazione » . Il fatto che es se avanzino con le lotte dei nuclei operai nelle aziende piu forti e a piu alto sviluppo è la conferma del loro valo re di avanguardia, di rottura. Il tentativo di strumentaliz zarle ai fini di una lotta generale semplicemente salariale è soltanto illusoriamente la ricerca di una nuova, piu vasta unità dell'azione di classe : su questa linea si realizzerebbe in pratica precisamente ciò che si dichiara di voler evitare, ossia la ricaduta in situazioni di chiusura aziendalistica ne cessariamente conseguenti allo svuotamento dei potenzia li elementi di sviluppo politico. La linea tendenziale ogget tivamente rilevabile come valida ipotesi-guida è nel raf forzamento e nella espansione della esigenza gestionale. Poiché l'esigenza gestionale si pone non come esigenza meramente di partecipazione « colJoscitiva» ma investe il rapporto concreto razionalizzazione-gerarchia-potere, essa non si chiude nell'ambito dell'azienda, si rivolge precisa mente contro il « dispotismo » che il capitale proietta ed esercita sull'intera società e a tutti i suoi livelli, si esprime come necessità di rovesciamento totale del sistema attra verso una presa di coscienza globale e una lotta generale della classe operaia in quanto tale. Noi riteniamo che, praticamente e immediatamente, questa linea possa esprimersi nella rivendicazione del con trollo operaio. Tuttavia qualche chiarimento è qui neces sario. La formula del controllo operaio può oggi essere giudicata equivoca, assimilabile a una impostazione « cen trista », di attenuazione o di conciliazione delle esigenze rivoluzionarie proposte dalle lotte con la tradizionale linea nazional-parlamentare-democratica : in verità, non man cano accenni a una utilizzazione della formula in questo senso. Velleitaria e ambigua è, per esempio, l'indicazione del controllo operaio quando si intende con essa la conti nuazione o la ripresa della concezione e della esperienza
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dei Consigli di gestione. Nel movimento dei Consigli di gestione, una esigenza autentica di controllo operaio veni va subordinata - fino all'annullamento - all'elemento « collaborazionistico » legato alle ideologie della ricostru zione nazionale e a una impostazione strumentale del mo vimento reale rispetto al piano istituzionale-elettorale. La stessa ambiguità è rilevabile quando una linea di control lo operaio viene proposta come alternativa « tollerabile », come « correzione » all'« estremismo » della prospettiva dell'autogestione operaia. Ora, è evidente che una formu lazione non mistificata del controllo operaio ha senso sol tanto in rapporto a un obiettivo di rottura rivoluzionaria e a una prospettiva di autogestione socialista. In questo quadro, il controllo operaio esprJme la necc::ssità di colma re il « salto » attualmente esistente tra le stesse rivendica zioni operaie piu avanzate a livelÌo sindacàle e la prospetti va strategica. Rappresenta dunque, o meglio può rappre sentare, in una versione non mistificata, una linea politica immediata alternativa a quelle proposte attualmente dai partiti di classe. È evidente che qui la linea del controllo operaio è pro spettata come fattore di accelerazione dei tempi della lot ta generale di classe : strumento politico per realizzare tempi « ravvicinati » per rotture rivoluzionarie. Ben lungi dal potersi rappresentare come « surrogato » della conqui sta del potere politico, il controllo operaio costituirebbe una fase di massima pressione sul potere capitalistico (in quanto minaccia esplicitamente portata alle radici del. si stema). Il controllo operaio, dunque, deve essere visto come preparazione di situazioni di « dualismo di potere » in rapporto alla conquista politica totale. È inutile insistere sui motivi che portano a proporre il controllo operaio come proposta politica generale e attua le. Ciò che veramente importa è che la polemica contro le formule non sia un alibi per sfuggire al problema politico generale imposto dalle lotte operaie, e che concretamente si lavori a ricostruire, sulla base di queste lotte, una pro spettiva politica nuova che garantisca dallo scadimento « sindacale » dell'azione operaia e dal suo riassorbimen to nello sviluppo capitalistico.
Lotte operaie nello sviluppo capitalistico
Lotte operaie nello sviluppo capitalistico è la trascrizione da na stro di una conferenza di Panzieri tenuta a Siena nel marzo del 1962, per presentare il primo numero della rivista. Nel 1967 è sta to pubblicato per la prima volta su « Quaderni piacentini» a cura di Vittorio Rieser, di cui si mantengono qui le note. Anche se meno noto degli altri scritti qui raccolti, questo testo ha un'importanza fondamentale, perché chiarisce l'interpretazione panzieriana del rapporto capitale-classe e il suo criterio di determi nazione del significato politico della lotta operaia. Inoltre contiene la risposta di Panzieri all'accusa di operaismo e di economicismo mossagli dal PCI. Le ripetizioni e alcune tortuosità del testo si spiegano tenendo presente il suo carattere di relazione orale.
Questo primo numero dei « Quaderni rossi » - che è peraltro il risultato di una serie di esperienze politiche, di partecipazione alle lotte - noi stessi che lo abbiamo cura to, lo abbiamo fatto, lo abbiamo scritto, lo consideriamo largamente insufficiente e superato dallo sviluppo della situazione politica e della lotta di classe nel nostro paese_ Ora dico superato, ma non negli aspetti che ci vengono per solito rimproverati, perché quelli 50no tutti piena mente validi secondo noi (poi sottolineerò questo punto, anticipando che, semmai, il difetto del primo numero dei « QR » è di essere ancora timido in un certo tipo di analisi )_ Punto di riferimento, che è un punto di riferimento teo rico e pratico nello stesso tempo, sono le lotte operaie qua li si sono sviluppate in Italia all'incirca dal 1 9 60, cioè in questa fase nuova. Queste lotte hanno avuto il piu delle volte una articolazione all'apparenza soltanto sindacale, non hanno trovato una co�piuta espressione politica. So no tuttavia importanti, molto importanti, perché si carat-
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terizzano in un modo particolare rispetto allo sviluppo precedente delle lotte operaie. Qui evidentemente non abbiamo il tempo di fare un'analisi approfondita; quindi mi limito a indicare alcune caratteristiche generali che hanno avuto queste lotte operaie allorché siano viste nel loro insieme (cose che tutti sanno, ma che ripeto soltanto per comodità di discorso). Non ho bisogno di dire che le lotte operaie - ripeto dal '60 ad oggi - sono il fatto piu massiccio, anche da un pun to di vista quantitativo, e qualitativamente, com'è ovvio, piu importante, della situazione politica italiana. Deside ro fissare questo punto, cioè che assumiamo queste lotte come l'elemento piu importante della situazione politica italiana dal '60 ad oggi. Dicevo « caratteristiche salienti di queste lotte allorché siano viste nel loro insieme » : tutto il complesso delle cosiddette nuove rivendicazioni \ che tutti conoscete, e che non sono mai separate dalla rivendi cazione salariale, com'è evidente, cioè tutte quelle nuove rivendicazioni che tendono a esprimere il livello operaio al livello stesso del capitale cOSI come oggi il capitale si presenta nella fabbrica, con le sue caratteristiche di oggi, - prese nel loro insieme, queste nuove rivendicazioni indi cano la tendenza chiarissima, da parte della classe operaia, a portare in primo piano la dmdiziohe operaia nel suo complesso e, vorrei dire, la condizione operaia in se stes sa. Noi abbiamo rivendicazioni 'di tipo diverso - salario a rendimento, rivendicazioni che riguardano addirittura la contrattazione degli organici, tempi e ritmi di lavoro, ecc. - che si presentano molto diverse da situazione a situazio ne, da azienda ad azienda, da zona a zona, ecc . ; però la ca ratteristica saliente è che in un grande numero di casi (evi dentemente non nella totalità dei casi ) le rivendicazioni poste dagli operai, dalla classe operaia, tendono a colpire, a sottolineare quello che è il momento caratteristico del rapporto dell'operaio, della classe operaia di fronte al cal Tutti gli spunti di riferimenti alle lotte sindacali, alle rivendicazioni, alle forme di organizzazione, ecc. si trovano sviluppati piti ampiamente in vari articoli del « QR " I : in particolare gli articoli di Mottura, Alasia, Pu gno, Frasca, Miocchi, Gasparini sull'analisi di varie lotte della provincia torinese, e gli articoli di Rieser, Garavini, Muraro su aspetti della politica rivendicativa (oltre all'editoriale di Foa sui problemi di linea generale).
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pitale in quella determinata situazione, cioè tendono a porre in evidenza quelli che sono gli specifici elementi del rapporto di subordinazione come tale della classe operaia al capitale, davanti al capitale. È chiaro che c'è un rappor to - e usiamo pure la parola dialettico, per quanto sia sem pre fonte purtroppo di equivoci - tra questa tensione ope raia a porre questo tipo di rivendicazioni non soltanto sa lariali, che caratterizzano la condizione operaia nel suo insieme, e l'attività svolta dal sindacato di classe. Il sindacato di classe ha còlto, non so se piu o meno tempestivamente ( questo non ci interessa), ma ha còlto con notevole forza e notevole chiarezza, già prima del '60 (il processo autocritico del sindacato della CGIL dura per lo meno dal 1 9 5 6 ), alcune delle nuove caratteristiche del lo sviluppo capitalistico: crescente sviluppo del capitale costante, crescente sviluppo e crescente modifica della composizione organica del capitale, il ricorso a tecniche d'integrazione dell'operaio nella fabbrica sempre piu raf fìn�te, il ricorso a tecniche di programmazione, di pia nificazione capitalistica, ecc. per cui direi che a larg� mani sono stati gettati i semi, in fonqo, in questi anni, nel la classe operaia. Quando noi guardiamo alle organizz� zioni e ci accorgiamo di una situazione pesante, grave, da parte delle organizzazioni del movimento operaio, non dobbiamo peraltro dimenticare proprio quello che queste organizzazioni hanno fatto di largamente positivo in que sti anni. C'è stato e c'è un processo complicato, non sem plice, di reciproca comunicazione fra la classe operaia e il sindacato in questi ultimi anni 2. Non sempre i canali di comunicazione sono stati quelli aperti, quelli scoperti, quelli evidenti. Molte volte noi assistiamo ancora oggi a scioperi cosiddetti spontanei, che non sono affatto sponta nei, perché quando uno sciopero arriva a porre rivendica zioni di questo genere, evidentemente non è uno sciopero spontaneo : ci può essere un certo grado di spontaneità, in realtà c'è una coscienza ooeraia, un grado notevole di co scienza operaia, e siamo allora indotti a pensare che il sin dacato non ne sa niente, interviene dopo. Ma questo non 2 Cfr. su questo in particolare l'articolo di EMILIO PUGNO, Assemblee operaie e sindacato, nel « QR » I cito
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significa che il sindacato non sia intervenuto anch'esso, non abbia partecipato a preparare questa condizione ope raia di lotta. Questo credo che si possa affermare con mol ta chiarezza e tranquillamente : che in questi anni il sin dacato di classe, alcuni suoi settori, alcuni suoi esponenti, con uno sforzo che è stato anche collettivo, ha, portato il suo notevole contributo alla formazione di una coscienza operaia adeguata al livello raggiunto dal capitale ( altret tanto, secondo noi, non si può dire dei partiti, e poi ve dremo perché). Un'altra caratteristica molto importante di queste lotte operaie - e questo è veramente molto importante - è nel fatto che noi abbiamo ancora in Italia una situazione di larghissime e numerosissime sperequazioni. Prendendo la stessa situazione che io conosco meglio, cioè Torino, o Ivrea : noi abbiamo, accanto al livello Fiat, cinque o sei livelli diversi, con condizioni salariali diverse, con condi zioni complessive proprio diverse di rapporto di lavoro, di condizione operaia, ecc., senza far riferimento alla spe requazione piu grossa, che è quella tra Nord e Mezzogior no (e su cui però bisogna intendersi). Abbiamo dunque le zone di sviluppo, le zone che restano piu indietro, ecc. Noi abbiamo avuto lotte operaie in zone avanzate e in zone ar retrate: qual è la caratteristica interessante? È questa: che molto spesso, sia che si sviluppino in zone avanzate sia che si sviluppino in zone arretrate, le lotte operaie ten dono ad assumere le stesse caratteristiche, cioè tendono appunto a mettere in evidenza, attraverso sia pure anco ra i contenuti sindacali (e questo è il �rosso problema di cui dobbiamo discutere). tendono però a mettere in evi denza il rapporto complessivo tra la classe operaia e il capitale. Noi abbiamo avuto a Torino delle lotte caratteri stiche in zone arretrate, come per esempio i Cotonifici Val di Susa, e recentemente un'altra lotta molto impor tante, la lotta degli operai della Lancia J ( quella degli ope rai della Michelin è diversa). Sono due situazioni - Coto nifici Val di Susa e Lancia - di relativa arretratezza; quel la dei cvs di assoluta arretratezza, si potrebbe dire, tanto J Cfr. gli articoli di GIOVANNI MOTTURA sulla lotta dei di GABRIELE LOLLI sulla lotta alla Lancia (<< QR lO 2).
cvs
(<< QR» I ) e
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che il giornale della Fiat, « La Stampa », ha apertamente sostenuto le rivendicazioni degli operai dei CVS, dicendo : « Si capisce che questi operai si agitano, perché non hanno la condizione operaia Fiat ». Perché era nell'interesse del la Fiat fare questa politica, prendere questo atteggiamen to? Primo, perché la Fiat ha interesse allo sviluppo eco nomico dovunque questo possa avvenire, nel suo insie me, e in secondo luogo per ragioni ideologiche, cioè per consolidare il mito Fiat: « Voi state male perché non siete operai Fiat ». Però si sbagliano la Fiat e il suo giornale nel dare questa valutazione, perché in realtà, una volta messo in movimento da motivazioni salariali (condizioni di asso luta insufficienza economica degli operai dei cvs ) il mec canismo della lotta, la lotta ha espresso, immediatamente dopo, dei contenuti di altissimo valore sindacale e poten zialmente politico. Cioè gli operai dei cvs hanno chiara mente posto il problema della loro condizione comples siva in quanto classe operaia, dicendo apertamente che il loro non era un problema di salario e imponendo ai sinda cati di portare avanti, insieme con le rivendicazioni sala riali, rivendicazioni che nessuno aveva pensato che in una situazione di quel genere potessero essere maturate, riven dicazioni appunto che riguardavano la condizione operaia, gli altri aspetti del rapporto di lavoro. Se si parla con i compagni di Milano, dicono che la situazione è la stessa; del resto abbiamo una larga documentazione di questo ti po, cioè che le lotte delle zone piu arretrate tendono ad as sumere le stesse caratteristiche che assumono le lotte del le zone piu avanzate . Perché accade questo? Perché evi dentemente quando la classe operaia si muove e nel suo muoversi matura una coscienza di classe, essa misura, ten de a misurare le proprie richieste in base a ciò che è il ca pitale, non in base alla situazione empirica in cui la classe operaia si trova. Questa è una. indicazione molto impor tante che ci spinge a superare questa visione frantumata, malamente empirica della realtà e a reimpadronirci di una visione marxista della realtà, per cui reale non è il dato empirico, questa o quell'azienda vista come un atomo, ma reale è il capitale cosi come si manifesta in questa o in quella situazione. Se non si vede il livello del capitale nel
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suo insieme, non si può cogliere neanche la realtà delle singole situazioni. La realtà empirica delle singole situa zioni è importante in quanto però rimanda alla realtà complessiva del capitale; e questa comprensione è la sola che permette di ritornare poi a comprendere vera mente le singole situazioni. L'errore che tutti quanti fac ciamo ancora molto spesso è di vedere, di accettare noi stessi il capitale per come esso tende a presentarsi, cioè come un insieme atomizzato di situazioni. Questa tensio ne verso un livello e caratteristiche uniche della classe operaia partendo anche da situazioni diverse significa evi dentemente che c'è una forte tensione unitaria con un con tenuto quindi che non è soltanto sindacale, ma potenzial mente è un contenuto politico. I sindacati della terra della CGIL, Federbraccianti e Federmezzadri, stanno facendo da molti mesi, ormai da due anni, un discorso analogo per quello che riguarda le campagne di oggi : per questa parte mi limito a rimandare agli articoli, agli studi straordina riamente lucidi e intelligenti- che sono fra i contributi piu importanti che il marxismo abbia dato in questi ultimi anni in Italia e non soltanto in Italia - di tre compagni, cioè di Daneo, di Bloise e del compagno Guerra 4 . La terza caratteristica su cui vorrei soffermarmi un mo mento, e che del resto è strettamente legata alle altre due, è questa: che in queste lotte si esprime quindi (è un po' il compendio di quello che abbiamo detto) una fortissima carica, un fortissimo potenziale, una fortissima tensione verso una rivendicazione evidentemente non piu sindaca le, cioè verso una rivendicazione di potere operaio. Cioè queste varie caratteristiche delle lotte operaie significano, prese nel loro insieme, che la classe operaia tende a met tere sul tappeto direttamente il rapporto di potere tra ca pitale e classe operaia, che c'è uno sforzo, una tensione verso questo livello. Questa tensione, e quindi questa carica unitaria e di riconquistata autonomia della classe • Cfr. in particolare gli articoli di DANEO e BLOISE sul primo quaderno di « Economia e sindacato », oltre che su « Rassegna sindacale » e « Politica ed economia » e gli articoli di GUERRA su « Mondo nuovo » negli anni 19611962. [Di Daneo cfr. ora Agricoltura e sviluppo capitalistico in Italia, Ei naudi, Torino 1976'].
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operaia, si esprime anche nell'atteggiamento della clas se operaia verso le organizzazioni, cioè come richiesta e tranquilla imposizione alle organizzazioni di una norma di democrazia operaia, cioè di un giusto rapporto tra classe operaia e organizzazione '. Come tutti i sindacalisti sanno, nella classe operaia di oggi - soprattutto, si capisce, duran te la lotta - si esprime molto fortemente la rivendicazione del controllo degli organismi da parte della classe operaia. Essa vuole controllare gli organismi di classe, li vuole uti lizzare, non è vero che non li riconosce. Li riconosce, ma li riconosce come suoi strumenti, vuole che essi siano suoi strumenti, rifiuta ogni rapporto di carattere strumentale, di carattere esterno, che vada soltanto dall'esterno alla classe operaia, dall'alto in basso '. Voi lo sapete - è crona ca sindacale di ogni giorno , si può dire - che sono forse pochissime le situazioni di lotta operaia oggi, anche quan do la lotta sia molto limitata a obiettivi sindacali, in cui non accada che la classe operaia cominci l'agitazione pro prio con l'assemblea operaia e non mantenga l'assemblea operaia come istituto di decisione sovrana sino alla fine. Noi abbiamo assistito e assistiamo continuamente alle proteste degli operai, sempre, quando alla conclusione dellli lotta il sindacato inevitabilmente ( inevitabilmente forse no, ma comunque assai spesso) si ripresenta come il delegato che alla fine ha firmato con il padrone, con la con troparte; e si presenta dopo agli operai a dire quello che ha fatto. Noi sappiamo, abbiamo registrato anche in deci ne di lotte a Torino, le violente proteste degli operai, che avevano due significati : il primo, piu limitato, è questo, cioè il rapporto con l'organizzazione, il rifiuto di dare de le�he all'organizzazione. Il secondo significato, piu gene rale, è quest'altro : cioè che in realtà, in quella lotta sinda cale, gli operai avevano espresso un contenuto che non 5
Cfr. i resoconti cito delle lotte torinesi nel « QR » I . , [Fin dagli anni ''o Panzieri, riprendendo la concezione morandiana del partito-funzione, considerava le organizzazioni del movimento operaio come uno strumento del movimento autonomo della classe; ora invece ha preso coscienza del divario che separa sempre piu queste due realtà. In seguito accentuerà ulteriormente il carattere strumentale della milizia nei patti ti storici, senza però abbandonate l'idea della rigenerazione degli isti tuti del movimento operaio].
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pUÒ essere soddisfatto da nessuna conclusione sindacale, perché ogni azione sindacale, per quanto sia avanzata, ha sempre un aspetto, appunto quello contrattuale, che è inevitabilmente sempre un aspetto di stabilizzazione del sistema : il quale è precisamente ciò che gli operai avevano invece messo in discussione nella lotta. Poiché gli operai, però, non trovano una espressione politica adeguata, una possibilità di articolare sul piano organizzativo e politico questa carica di lotta globale che essi esprimono, tendono a esprimere questa loro insoddisfazione in un modo nega tivo, riversando sul sindacato anche, diciamo cosi, delle responsabilità che il sindacato non ha, perché in nessun caso l'azione sindacale potrebbe assolvere a un compito politico di natura generale. Il che non significa che l'azio ne sindacale non comporti delle scelte diverse ; l'azione sindacale sarà fatta in un certo modo se la si pone in rela zione a una prospettiva politica, sarà fatta in un altro mo do se la si pone in relazione a un' altra prospettiva politica. Sarà fatta ambiguamente come oggi quando, volendo rac .cogliere le spinte operaie e non potendole mettere in colle gamento con le prospettive politiche offerte dai partiti, il sindacato tende a non scegliere, a non esprimere in sostan za né l'una né l'altra scelta politica, né una scelta riformi sta né una scelta di rottura del sistema. Però l'azione sin dacale, anche quando sia messa in collegamento con una prospettiva di rottura del sistema - che secondo noi è oggi la funzione giusta del sindacato 7 , non significa che possa, essa azione sindacale, assolvere ai compiti politici della rottura: questo, l'azione sindacale non lo può in nessun caso. Una delle cose che ci ha piu meravigliato è trovare dei compagni che accusano le nostre posizioni di essere anarco-sindacaliste, quando in realtà la nostra preoccupa zione, la preoccupazione da cui siamo partiti è proprio quella di togliere questo equivoco che è nella situazione di oggi, cioè che l'azione sindacale possa oggi svolgere dei compiti politici di rottura del sistema. Laddove il proble ma è quello di riproporre nella sua interessenza il proble ma politico partendo, si capisce, da quel dato saliente della -
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Cfr. la rassegna di
dacale, in « QR » I.
DINO DE PALMA,
Due alternative dell'azione sin
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situazione italiana che sono l e lotte operaie, m a proprio per rilevare che il livello sindacale, per quanto avanzata sia l'articolazione sindacale, non può in nessun caso soddisfa re le esigenze politiche che queste lotte propongono. E i partiti di classe, che dovrebbero raccogliere questa pro posta, si guardano bene dal farlo. Ora però, per approfondire un po' questo discorso, bi sogna rifarsi all'elemento oggettivo. È vero che ci sono queste lotte operaie e che esse sono un fatto rilevante da un punto di vista quantitativo e qualitativo; tuttavia tut· to questo potrebbe anche essere un fatto provvisorio, par ticolare. Bisogna andare a vedere che cos'è l'avversario, se queste lotte rivelano dei tratti caratteristici, oggettivi del capitale, oppure no, cioè bisogna andare a vedere come è fatto il capitale per decidere poi del significato politico di queste lotte. Bisogna avere questa verifica, la verifica è sempre al livello del capitale, non può mai essere soltanto all'interno del livello operaio. Anzi il livello operaio si co struisce seriamente soltanto se esso si è portato al livello del capitale ed è riuscito a dominare, a comprendere, a in globare il capitale. Se facciamo uno sforzo in questa dire zione (e questo è lo sforzo che tentiamo di fare con i « Qua derni rossi », uno sforzo che non tentiamo di fare soltanto noi: non abbiamo affatto questa presunzione del nostro contributo, che è effettivamente un contributo modesto; il problema di oggi è quello invece, veramente, di portare tutte le forze possibili del movimento operaio sul terreno di questa elaborazione), noi ci accorgiamo e pensiamo di poter affermare che proprio il carattere avanzato delle lot te operaie rivela, diciamo pure, i tratti avanzati del capi talismo, rivela effettivamente la realtà del capitalismo di oggi. Le lotte operaie tendono ad essere avanzate - usia mo questa brutta e anche ambigua parola - tendono, dicia mo meglio, ad avere una tale ricchezza di contenuti politici in assoluta corrispondenza al livello raggiunto dal capita le : sono avanzate quanto è avanzato il capitale, quanto è avanzato il capitalismo del nostro paese. Noi per esempio ci accorgiamo che tutte le rilevazioni che possiamo fare circa la tendenza della classe operaia a riproporre in ogni lotta, anche quella che parta da problemi sindacali imme4
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diati, il rapporto complessivo fra classe operaia e capitale, corrisponde a un aspetto assolutamente fondamentale del la condizione del lavoro nel capitalismo pienamente svi luppato : quando cioè il capitalismo è arrivato a quello sta dio di sviluppo della composizione organica del capitale, a quel livello del rapporto fra capitale costante e capitale variabile - del rapporto, cioè, tra il complesso del lavoro passato utilizzato come capitale ( macchine, materie pri me, materie ausiliarie, ecc . ) da una parte e forza-lavoro dall'altra - per cui esso ha necessità assoluta di ottenere una assoluta integrazione del capitale variabile nel capi tale costante, cioè ha bisogno di essere assolutamente ga rantito che il capitale variabile, cioè la forza-lavoro vivente - le macchine che, diceva Marx, vanno a dormire la sera a casa e abitano a casa la domenica ( adesso anche il sabato) - che le macchine viventi siano in modo assoluto subordi nate alle macchine morte, alle macchine-macchine ( inten do la parola macchina non in senso empirico: le macchine sono gli impianti, ma sono anche le tecniche, sono anche l'organizzazione del lavoro, ecc . ) . Il capitale ha sempre piu bisogno di questa assoluta subordinazione, di questa asso luta riduzione degli esseri viventi che sono i lavoratori a puro capitale plasmato dal capitale costante, appunto per ché quanto piu cresce il valore del capitale costante, tanto piu qualsiasi interruzione, qualsiasi modifica, qualsiasi di fetto nel suo funzionamento, nel funzionamento delle macchine, mette in pericolo un valore tanto maggiore. Co me ottiene il capitale nel suo complesso che questa sua de plorevole parte vivente, di cui però non può fare a meno, venga tutta inglobata dentro le macchine? Lo ottiene con una atomizzazione degli uomini s . Questo capitale variabi le tende di continuo a diventare classe operaia, e tenden do a riconoscersi gli uomini che lo compongono e quindi a diventare classe operaia, tende all'insubordinazione con tro il capitale costante ( anche contro se stesso in quanto capitale variabile, che è una cosa molto importante per non avere un concetto mistico della classe operaia): e alS Cfr. su questi aspetti gli articoli di R. ALQUATI sulla Fiat ( << QR » I) e sull'Olivetti (<< QR» 2-3), e l'analisi retrospettiva dell'inchiesta Fiat del '60-61 fatta da DE PALMA, RIESER, SACCOMANI sul « QR » , .
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lora la prima cosa che deve fare il capitale per garantirsi dalla insubordinazione operaia è quella di impedire al l'operaio il riconoscimento dell'altro come parte dello stesso capitale variabile, dello stesso ciclo lavorativo. Marx diceva già nei Manoscritti del J44, in una di quelle opere giovanili che io non credo si debbano sopravvaluta re - ma su questo punto c'è un'osservazione molto bella di Marx - che il capitale� nel suo sviluppo, percorre tutti i gradi dell'alienazione e passa dal primo stadio dell'aliena zione, che è l'alienazione dell'uomo, dell'operaio dal suo prodotto, al secondo stadio che è l'alienazione dell'ope raio dal processo produttivo stesso, al terzo stadio che è l'alienazione dell'operaio dal suo proprio corpo (che viene considerato a un certo momento esso stesso come macchi na esterna all'essere vivente che è l'operaio ), all'ultimo stadio che è l'estraneazione dell'operaio dall'altro operaio. Naturalmente non è che questi stadi si riconoscano nella storia come nelle stazioni di una linea tramviaria : s'intrec ciano, si presentano insieme, il capitalismo va avanti, fa anche degli zig-zag, torna parzialmente indietro. La carat teristica generale del capitalismo, però, è che esso è al suo stadio massimo di sviluppo : tra l'altro uno dei segni di questo è proprio nel fatto che in generale si presenti una situazione di alienazione, diciamo COSl, totale, cioè che comprende tutti questi quattro stadi. E quando la quarta caratteristica, l'alienazione dell'operaio all'altro operaio, diventa caratteristica saliente della condizione operaia, noi siamo certamente in presenza di un capitalismo svi luppato. Quindi il capitalismo fa ampio ricorso a tutto ciò che gli può servire per atomizzare, per frantumare la classe operaia nell'azienda, ricorrendo per questo a tutta una se rie di ideologie, però di ideologie funzionali, di ideologie che non sono delle semplici mascherature, ma sono delle funzioni del capitale. Abbiamo COSl tutte le tecniche della integrazione operaia, che vanno dagli stadi piu grossolani (per esempio dall'adattamento brutale del fisico dell'ope raio alla macchina) agli odierni stadi piu raffinati, oppure combinando anche qui in modo diverso tecniche vecchie e tecniche nuove. Agli inizi dello sviluppo dell'industria,
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nello stadio della manifattura, molto spesso è la macchina che si adatta all'uomo ; dopo è l'uomo che si adatta alla macchina. Le macchine sono sempre fatte nel capitale, non sono delle invenzioni tecniche neutre, oggettive. Dentro la mac china, diceva Marx, c'è la volontà del capitale, la macchi na è plasmata dal capitale. Le macchine servono per pro durre : in questo senso contengono un elemento oggettivo, per cosi dire, ma che è commisto sempre all'elemento che deriva dal modo sociale con cui si produce. C'è un uso ca pitalistico delle macchine che plasma anche le macchine, in un certo modo. E via via che si procede nei vari stadi dello sviluppo tecnologico, dai primi stadi fino all'alta meccanizzazione e all'automazione, sempre di piu si qua lificano le tecniche di integrazione dell'operaio : diventa sempre piu necessario per il capitalista assicurarsi che l'operaio non si ritrovi come operaio collettivo, ma si ri trovi come un frammento dentro l'azienda, come un fram mento della stessa azienda. E cOSI si arriva non soltanto al l'uso di quelle tecniche che sono ormai superate o in via di superamento, le human relations, ma si arriva alle forme molto piu avanzate di tecniche di integrazione operaia, che per esempio si trovano in tutte le ideologie della par tecipazione tecnica : all'operaio vengono ampiamente ri conosciuti poteri di decisione tecnica, anzi si tende proprio a scaricare sull'operaio tutta una serie di decisioni, perché questo rende funzionale la fabbrica. L'importante è che l'operaio non abbia mai nelle mani la possibilità di deci dere organizzativamente, cioè di decidere sul capitale. Ma invece la tecnica mistificata che si presenta come decisio ne tecnica pura viene sempre piu largamente scaricata sul l'operaio nel senso tradizionale o su quell'operaio che mol to spesso è iI tecnico della grande industria moderna. che Ìn realtà è un operaio, è un salariato nella classica, nella ti pica, nella caratteristica situazione dell'operaio. Fra le tecniche funzionali piu importanti a cui fa ricor so il capitalismo (e dico questo perché è in relazione al l 'inizio del nostro discorso, cioè a un certo tipo di lotta sin-
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dacale a cui tende oggi l a classe operaia) ci sono tutte le tecniche che riguardano le mansioni, che riguardano cioè la tendenza del capitalista a riconoscere, a individuare con caratteristiche proprie ogni singolo posto di lavoro, ten dendo a una frantumazione massima della classe operaia attraverso il riconoscimento, la valutazione di singole mansioni. L'ideale per il capitalista sarebbe che ogni ope raio avesse la sua valutazione delle mansioni. Tutto questo processo del rapporto di lavoro del capitalista viene gabel lato come una necessità tecnica oggettiva; dal momento che le vecchie qualifiche operaie non servono piu di fron te al tipo nuovo di macchina, di lavorazione, di produzio ne ecc ., il capitalista tende a dire : « Anzi, io do una valu tazione oggettiva di quello che ciascun operaio fa, misu rando le sue operazioni, misurando i suoi gesti, magari introducendo addirittura elementi soggettivi, calcolando le sue capacità psichiche, fisiche, muscolari, nervose e cosi via di seguito » . Naturalmente questa oggettività è tale soltanto per il capitalista, evidentemente è un'oggettività che la classe operaia non può accettare. È l'oggettività di quelle macchine, e intendiamo per macchine il processo produttivo che è stato voluto, che è stato plasmato dal ca pitale stesso ; quindi è l'oggettività del capitale, non è l'og gettività della classe operaia. C'è stata una certa fase in Italia in cui la scoperta giusta delle nuove tecniche e della nuova condizione del capitali smo - scoperta essenziale perché il sindacato sia qualcosa di serio e di aderente alla realtà - ha indotto però molti sindacalisti e alcuni studiosi di problemi sindacali a com mettere questo errore, a dire cioè : « Accettiamo la sfida che il capitalista ci lancia sul terreno dell'oggettività e sic come la tecnica in sé non può essere cattiva, noi saremo in grado di scoprire un'oggettività migliore della sua, cioè saremo in grado di scoprire che lui ci dice delle stupidag gini ; noi gli butteremo in faccia la vera oggettività ineren te alle macchine » ' . Ma per questa strada non si ritrovava nessuna oggettività; e si sono avute delle sconfitte, evi dentemente perché l'oggettività che tu trovi in rapporto , Cfr. uno sviluppo piil ampio di questi temi nell'articolo di PANZIERI, Sul/'uso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo, in « QR » 1 .
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al processo produttivo capitalistico è l'oggettività di quel processo produttivo, è l'oggettività dello sviluppo capita listico. Questo evidentemente non significa che la classe operaia possa contrapporre a questa oggettività falsa, a questa oggettività capitalistica, il ricorso ai suoi vecchi tipi di unità professionali, perché quelle sono evidente mente sconvolte, in molti casi effettivamente non esisto no piu, travolte dallo sviluppo capitalistico. Deve eviden temente contrapporre qualche cosa che sia piu avanti, che sia al livello di questo sviluppo capitalistico. Però quan do si va a vedere che cosa può essere questo qualcosa che sta piu avanti, questo qualcosa che sta piu avanti è eviden temente una ricostruzione di quello che Marx chiamava l'operaio collettivo. Ma cosa comporta questa ricostruzio ne dell'operaio collettivo in una situazione quale quella che ci sta davanti, di fronte a questo tipo di capitale? Com porta il rifiuto globale del capitale, comporta il fatto che la classe operaia riconosca se stessa come capitale variabi le per rifiutarsi come capitale variabile e riconoscersi glo balmente classe operaia come forza sociale contrapposta al capitale nel suo insieme. Non ci sono altre possibilità di sbocco politico se non queste. Tutte le nuove rivendicazio ni rimandano sempre a questo processo, a questa prospet tiva: a una prospettiva di ricomposizione globale della classe operaia e di opposizione globale della classe operaia al capitale. A questo ha portato lo sviluppo stesso del ca pitale; cioè lo sviluppo del capitale ha fatto si che il rap porto fra capitale e classe operaia si presenti come un di lemma: o una classe operaia totalmente integrata nel capi tale, o una classe operaia che globalmente si oppone al ca pitale e tende a rovesciare la condizione capitalistica. Evi dentemente questo non significa affatto che il problema sia di fare la rivoluzione in un atto solo, in un giorno solo. Anzi, si tratta di un processo molto duro e faticoso di ri composizione unitaria di tutta la classe e che però significa che il vero terreno politico oggi è quello della ricomposi zione unitaria della classe. Ma vediamo qualche altra caratteristica che emerge in questa situazione del capitale cosi come ci spinge a rico-
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noscerla lo sviluppo delle lotte operaie. Non si tratta di un'operazione intellettualistica. Voglio sottolineare solo un aspetto fondamentale, cioè che in rapporto allo svilup po smisurato della composizione organica del capitale, ai processi di integrazione della classe operaia, di razionaliz zazione del lavoro all'interno dell'azienda, al livello del processo lavorativo, corrisponde una sempre pili ampia pianificazione per quello che riguarda la sfera dello scam bio, della distribuzione e del consumo. C'è insomma una perfetta corrispondenza tra la crescita del capitalismo, tra lo sviluppo capitalistico sotto l'aspetto dell'inglobamento del capitale variabile sotto le necessità del capitale costan te da un lato e lo sviluppo di tutte le tecniche di pianifica zione dello smercio e del mercato dall'altro. Perché cosi come il capitale ha bisogno di garantirsi sempre di pili dal l'insubordinazione operaia, cosi sempre di pili nella sfera della distribuzione e del consumo ha bisogno di garantirsi di una possibilità produttiva, diciamo cosi, a lungo perio do, a periodo sempre pili lungo. E queste sono cose ovvie : economisti e sociologi borghesi non fanno altro che scri vere S!l ciò; su questo terreno sono nate e fiorite tutte le pili importanti teorie, ideologie e tecniche economiche del capitalismo contemporaneo . Ci troviamo davanti, cioè, a tutta quella enorme serie di fenomeni che vanno dalla pro grammazione di mercato vera e propria - se andiamo a vi sitare qualsiasi azienda sentiamo subito che il loro proble ma oggi è quello non piu di vivere al rimorchio del mer cato, ma quello di programmare il mercato, di sollecitarlo in rapporto alla produzione che sempre di pili ha bisogno di dominare il mercato - fino alle tecniche della pubblicità. Queste cose sono quelle che colpiscono di piu lo sguardo del sociologo borghese, che vede soltanto questi fenomeni piu appariscenti e non vede la realtà che sta dietro. Ma la realtà che sta dietro, qual è? È che la produzione, come di ceva Marx, è nello stesso tempo una parte specifica del processo economico capitalistico (perché accanto alla pro duzione c'è lo scambio, la distribuzione, il consumo, e guai a non vedere questi altri aspetti e ridurre tutto piattamen te alla produzione) ed è anche l'elemento essenziale, l'ele-
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mento che domina tutto IO . La produzione compare per cos1 dire due volte nell'economia capitalistica : compare come fatto specifico e compare invece anche come fatto ge nerale, come categoria dominante dell'intero processo. Senza capire questo, appunto, non si comprende il fun zionamento del capitalismo e si cade in una considerazione empirica di questo o di quel momento del capitalismo, e, questo che è un processo, diciamo cos1, di astrazione scien tifica ( quando consideriamo scientificamente il capitale) è anche un processo storico, è anche un processo di svilup po storico del capitale; cioè sempre di piu il momento del la produzione diventa momento dominante, determinante di tutti gli altri momenti dell'economia. Questo che cosa significa? Significa che quella parte del processo che nei primi stadi del capitalismo appariva come un fatto impor tante ma specifico, chiuso in se stesso, cioè la fabbrica, si generalizza: la fabbrica tende a pervadere, a permeare tut ta la società civile, anche l'area esterna. Qui bisogna fare molta attenzione, perché è su questo punto che vengono mosse a ricerche di questo tipo accuse di operaismo e cOSI via di seguito. In realtà anche qui si tratta proprio del con trario, cioè si tratta di afferrare il fatto che la fabbrica scompare come momento specifico. Lo stesso tipo di pro cesso che domina la fabbrica, caratteristico del momento produttivo, tende a imporsi a tutta la società e quindi quel li che sono i tratti caratteristici della fabbrica - il partico lare tipo di subordinazione della forza-lavoro vivente al capitale, eccetera - tendono a pervadere tutti i livelli della società, ritrovandovisi in forme specifiche, in forme par ticolari. Ma il momento della fabbrica tende a diventare l'elemento specifico di tutta la situazione sociale in uno stadio avanzato di sviluppo del capitalismo. Non per nien te noi sentiamo continuamente parlare e chiacchierare del l'alienazione dell'uomo contemporaneo, delle forme di alienazione, di oppressione, e cos1 via di seguito. Tutte queste chiacchiere dei sociologi borghesi hanno una veri tà che il sociologo borghese non può scoprire : la verità è il momento della produzione che si generalizza e tende a I O Su quest'insieme di temi legati al rapporto tra fabbrica e società, dr. l'articolo omonimo di MARIO TRONTI sul « QR " 2.
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investire tutti i momenti della vita della società. Però af fermando questo, bisogna affermare un concetto marxista della fabbrica. Come Lenin diceva, la fabbrica non è una raccolta di dati empirici, le mura della fabbrica, questo o quel determinato fatto empirico. La fabbrica è, diceva Le nin, lo stesso sviluppo dell'industria a un determinato sta dio di sviluppo del capitalismo. Bisogna avere un concetto non empirico della fabbrica, bisogna averne un concet to reale che è proprio quello che fa uscire fuori dai pericoli e dalle secche ridicole dell'operaismo. In realtà operaisti sono coloro che ponendo invece la società civile - ciò che si svolge al livello di società civile e di stato - e prescin dendo da questo momento, ripropongono un'immagine empirica della fabbrica e quindi vedono le lotte operaie soltanto come grette lotte operaistiche, grette lotte di fab brica. Invece le lotte operaie oggi sono cosi forti, hanno tale ricchezza di contenuti proprio perché esprimono la replica operaia alla fabbrica nella sua realtà, cioè a quello che oggi è il momento che caratterizza l'intero sviluppo so ciale. Quello che oggi dà alle lotte operaie tanta tensione, tanta carica politica, cosi grandi possibilità di diventare espressione di una situazione generale della società è la loro tendenza a contrapporsi naturalmente alla fabbrica di oggi, che non è piu una realtà specifica soltanto, ma tende sempre di piu a diventare quel tale elemento determinan te all'interno di tutto il complesso dell'economia e quindi della società. La stessa cosa si può dire per quello che ri guarda il rapporto tra società civile e stato, quindi il rap porto tra fabbrica e società civile e stato: finché il capita lismo è ai suoi inizi, finché il capitalismo, almeno in una certa misura, è ancora competitivo, concorrenziale, lo sta to, che è sempre uno stato di classe, diventa la sfera in cui in primo luogo i capitalisti si assicurano le condizioni preliminari della libera compravendita delle forze-lavoro. Perché la forza-lavoro si possa liberamente vendere sul mercato bisogna che sia riconosciuto a tutti gli individui il diritto di vendere e di comprare ; cioè la condizione del l'operaio salariato presuppone l'eguaglianza giuridica dei cittadini davanti alla legge, senza la quale il capitalismo non si può sviluppare, perché evidentemente non può ri·
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correre alla libera compravendita della forza-lavoro. (Ma queste sono le cose piu note e piu ovvie del marxismo) . I l punto piu importante m i pare invece questo : fino a che c'è una situazione sempre relativa di concorrenza, la sfera statale è per ogni singolo capitalista la garanzia della armonizzazione degli interessi contrapposti, degli interes si della concorrenza, il luogo dove si compongono i con flitti interni allo stesso capitale. Mano a mano che si svi luppa il capitale nel suo complesso e si accumulano i gran di capitali, si va avanti nel processo di accumulazione e quindi si va avanti nella composizione organica del capi tale, si hanno tutti i fenomeni che conosciamo della for mazione dei monopoli, degli oligopoli, ecc. Lo s tato tende ad assumere evidentemente nuove caratteristiche, perché quella vecchia funzione non risponde piu alle necessità di questo nuovo sviluppo del capitalismo; cioè lo stato tende a diventare - come diceva Marx e questa volta anche En gels in una lucida pagina - il rappresentante diretto del ca pitalista collettivo. Mano a mano che si ha lo sviluppo del capitalismo, scompaiono gli elementi privatistici-concor renziali, diciamo cosi, scompare la figura dell'imprendito re ( prima del capitano d'industria, poi del grande impren ditore e cOSI via di seguito) e gli agenti, gli operatori del capitale diventano - diceva Marx - funzionari del capita le. C'è questa oggettivazione di tutti di fronte al capitale; il capitale diventa sempre piu questa potenza oggettiva che unifica tutte le forze dentro di sé, e a questo stadio di sviluppo è evidente che il rappresentante piu importante del capitale per il suo sviluppo, contro gli interessi setto riali di questa o quella parte del capitale, diventa una fi gura di capitalista collettivo, cioè lo stato: il capitale al suo grado piu elevato di sviluppo deve pianificare se stes so e l'agente piu importante di questa pianificazione è lo stato (Marx usava già nel Capitale in modo esatto la paro la « pianificazione » ) . Quindi lo stato non è piu un guardia no, un terreno per cOSI dire neutro per i capitalisti, a cui ricorrere per comporre i loro conflitti, ma lo stato diventa rappresentante in prima persona degli interessi del capi tale, gestisce in prima persona gli affari del capitale. C 'è
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un bellissimo esempio, nella relazione di Moro al Congres so della DC, di interpretazione capitalistica delle funzioni dello stato: tutti i programmi di cui si parla oggi, le pia nificazioni economiche, ecc. sono tipici esempi di quello sviluppo che Marx aveva previsto, anzi, prevedendo il quale, aveva scritto Il capitale; perché Il capitale è scritto proprio per ricostruire nella sua interezza il processo di S viluppo del capitalismo (del resto sono cose, queste, che Marx dice esplicitamente, deridendo chi non vede nella sua interezza questo processo di sviluppo). Ora natural mente tutto questo processo di sviluppo capitalistico ten de a integrare sempre di piu i termini che nei primi stadi dello sviluppo del capitalismo appaiono scissi fra di loro, appaiono sfere indipendenti - la fabbrica, la società civile, lo stato - tende a integrare sempre di piu queste sfere fra di loro, a farne una sfera sola, per cost dire, senza che scompaiano però i caratteri specifici di ciascuna (questo è importante vederlo sempre ). Questo processo, come sem pre avviene nella ideologia, cioè in una considerazione sta tiea, che sta all'interno del processo, quindi borghese, ap pare rovesciato: cioè questo processo significa la crescita del peso quantitativo e qualitativo delle potenzialità poli tiche rivoluzionarie della classe operaia e invece viene pre sentato dalle ideologie come scomparsa della classe ope raia, come terziarizzazione. La generalizzazione di un rap porto capitalistico di lavoro operaio salario-capitale viene presentata come terziarizzazione, scambiando nella pro duzione i termini del consumo, quindi proprio rovescian do la considerazione del rapporto. Effettivamente anche questa è un'ideologia funzionale perché è evidente che, per questo stadio, per il capitale, è sempre piu importante, come abbiamo detto, l'elemento di atomizzazione, quindi la carriera individuale e cost via di seguito. Ma dentro la realtà del processo, il segreto di tutto questo è invece nella generalizzazione del rapporto di subordinazione, sempre piu ampio quantitativamente, del lavoratore sotto il capi tale. Cost questa crescita mostruosa del capitale viene pre sentata addirittura come scomparsa del capitale in alcune ideologie neocapitalistiche; il capitale che al limite scom pare da sé, diventa ricchezza di tutti, ricchezza della socie-
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tà e in funzione di questo il problema è quello di ammi nistrare questa ricchezza comune, di amministrare il be nessere, di fare lo stato di benessere, per cui questo stato che è il capitalista collettivo viene presentato come uno stato di benessere che sempre di piu si cura di distribuire questa ricchezza comune fra tutte le classi, fra tutti i com ponenti della società. E cOSI quelle che sono le funzioni che lo stato viene ad assumere direttamente nella gestione del capitalismo, come il fattore che assicura lo sviluppo capitalistico - attraverso una pianificazione per quanto possibile organica e cos1 via di seguito - vengono presen tate come scomparsa del carattere classista dello stato. Proprio questo, che è lo stato che realizza in pieno il suo carattere classista, viene invece presentato come uno stato che perde per lo meno alcuni dei suoi caratteri classisti e almeno in parte diventa un terreno neutro su cui può avve nire lo scontro fra classe operaia e capitale.
E poi ci sono tutti i miti tecnologici, positivi e negativi, che troviamo nelle forme piu raffinate presso gli intellet tuali borghesi e riformisti : quelli piu positivi sono facili a svelarsi ; sono quelli che dicono che il socialismo verrà sull'onda dell'automazione, per cui questo futuro mo struoso che sarebbe un mondo automatizzato nel capitali smo, questa che è soltanto un'idea limite, evidentemente, viene rovesciata in forma positiva come liberazione del l'uomo, con tutte le conseguenze ( e ricompare anche qui il benessere, ecc. ecc . ) . Ma quelle piu interessanti sono le ideologie tecnologiche negative, cioè tutte quelle ideologie che tendono ad affermare che sl, il processo dell'industria riduce l'uomo a una completa alienazione nel momento produttivo; e tuttavia questo è il prodotto dell'industria, non è il risultato del capitalismo, dello sviluppo capitalisti co, è l'industria in sé che è fatta cosi. E allora l'uomo come si può liberare? Niente, dentro l'industria non si libera, non c'è niente da fare; però lo possiamo liberare fuori, gli possiamo dare il tempo libero, sempre di piu : gli possia mo dare gli asili, ecc. E non solo l'automobile : anzi, per solito, questi ideologi ripudiano queste cose volgari anco ra legate al mondo della produzione. Gli dobbiamo dare i
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campi, il ritorno alla natura . . . La mattina va in fabbrica; però il pomeriggio, la sera, quest'uomo deve riprendere contatto con la natura, con le forze naturali e via dicendo. Ci troviamo in presenza di cose ridicole, ma pure ci so no tante persone intelligenti - che sembrerebbero intelli genti - che le prendono sul serio. Molte osservazioni che io faccio provengono da un articolo del prossimo numero dei « Quaderni mssi » di Mario Tronti, che vi segnalo per ché molto importante per noi. C'è un'osservazione molto acuta a questo proposito di Tronti, cioè che in generale, quandò anche lo scienziato borghese è ridotto ad essere un salariato del capitale, egli non vuole piti riconoscere la condizione del salariato, perché dovrebbe riconoscere la propria condizione. E quindi non è piti in grado di fare scienza perché non è piti in grado di riconoscere la realtà del rapporto capitalistico, quella realtà capitalistica che entro un certo limite l'economista classico, per esempio, era ancora in grado di valutare, in quanto non era ridotto ancora a operaio salariato dentro al capitale e viveva in una società dove il capitale era ancora una parte della so cietà, non aveva invaso tutta la società come ha invaso oggi. Ora vorrei fare poche conclusioni. Su questi temi a noi vengono spesso rivolte alcune domande tipiche. Una di queste domande che si collega al rimprovero di operaismo è questa: « Ma allora per voi dov'è la sfera dell'azione po litica? Non riconoscete la mediazione politica? » No, il problema non è di non riconoscere la mediazione politica ; anzi, tutto il discorso che noi facciamo tende ad affermare che già nella fabbrica il rapporto di classe tende a, diven tare un rapporto politico, un rapporto di potere. La sfera della mediazione politica non soltanto non scompare, ma si allarga, e quindi la necessità del carattere politico della azione operaia non soltanto non si attenua, ma anzi si raf forza; cioè, effettivamente, direi che soltanto da questo punto di vista si possono respingere, criticare a fondo co me posizioni prive di senso le posizioni di tipo anarco-sin dacalista. Bisogna veramente arrivare a vedere quanto og gi il rapporto politico di classe, in quanto politico, domina
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tutti i momenti, tutte le sfere della fabbrica, della società civile, dello stato. Però lo sviluppo capitalistico brucia un vecchio tipo di mediazione politica, vecchi contenuti. La mediazione politica non si ritrova piu soltanto al livello dello stato; anzi, se la si cerca soltanto al livello dello sta to, non la si trova piu neanche a quel livello, perché si è perduto l'inizio della mediazione. Non si può saltare sopra le proprie spalle, non si può arrivare al decimo piano sen za avere percorso gli altri piani, quando la casa è fatta cosi, quando cioè lo stato è un momento politico, ma organica mente legato a tutte le fasi politiche del rapporto di classe oggi. Vi è cioè una continuità nelle mediazioni politiche; i vari momenti scompaiono, ma sono integrati l'uno all'al tro, non c'è piu una giustapposizione oome c'era ai primi stadi di sviluppo del capitalismo. La riprova è nel fatto che la classe operaia nel passato, in situazioni di capitali smo iniziale o in decadenza, ma a uno stadio inferiore di sviluppo, ha avuto, ad esempio, la possibilità di inserire la sua azione nel conflitto fra il capitale e le situazioni resi due degli stadi sociali precedenti. E oggi, in una situazio ne di capitalismo avanzato come quella europea, come quella italiana, non c'è piu per la classe operaia questo ti po di possibilità strategica e tattica, cioè di far propri gli obiettivi puramente democratico-borghesi per incunearsi nel contrasto tra i residui della vecchia società feudale e il capitalismo. Non perché il capitalismo abbia assorbito, travolto, trasformato tutti i residui precedenti : questo il capitalismo non lo fa mai; anche al suo stadio piu elevato di sviluppo esso conserva sempre le zone di degradazione e di miseria, però queste non costituiscono piu un conflitto insanabile " ; il capitalismo, anche quando conserva le zo ne di degradazione, le ha inglobate nel suo sviluppo ( a parte i l fatto che l e brucia largamente per l e sue necessità intrinseche di sviluppo ) ; ma anche quelle che mantiene, evidentemente è interesse della classe operaia che non ven gano mantenute all'interno perché è interesse della classe I I [Contrariamente a quanto sostengono i suoi critici, Panzieri dunque non afferma che il neocapitalismo costituisca il superamento di tutte le arretratezze e le strozzature della fase precedente dello sviluppo, ma rifiuta di vedere in esse la contraddizione principale del capitalismo contempo· raneo].
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operaia che si compia lo sviluppo del capitalismo; ma per ché? Per portare compiutamente al suo livello piu alto la lotta, perché la lotta della classe operaia diventi diretta mente una lotta per il socialismo, cioè diventi quella lotta che era stata concepita dai classici del marxismo, per cui è nata la teoria marxista. Direi che da questo punto di vista, oggettivamente, c'è veramente oggi in Italia e in altri paesi capitalistici avanzati una situazione che per i militanti è una situa zione entusiasmante. Perché entusiasmante, veramente entusiasmante? Perché per la prima volta nella storia, la classe operaia è chiamata alla lotta diretta per il so cialismo. Questo .è il carattere veramente entusiasman te. Noi sentiamo che c'è questa spinta, che veramente oggi comincia ad esserci nella situazione di classe del nostro paese. L'importante è non attardarci quindi in schemi vecchi, in schemi superati, nel discorso sulle vec chie contraddizioni del capitalismo ; l'importante è riusci re, è far si che le organizzazioni raccolgano la pienezza di contenuti nuovi che è nella realtà della situazione di clas se ed elaborino delle prospettive politiche adeguate alla realtà dei rapporti di classe di oggi : prospettive politiche che non si compendiano nella- predica sulla rivoluzione. Noi sappiamo bene che questa situazione pone alla classe operaia compiti rivoluzionari, perché il carattere diretto dello scontro con il capitale si porta immediatamente an che al livello di società civile e al livello di stato e quindi è evidente che soltanto una prospettiva chiaramente rivo luzionaria, il recupero di una strategia rivoluzionaria può fondare anche la tattica. La nostra tattica non può ripe tere modelli vecchi, dov'essere una tattica nuova, adegua ta a questa situazione, la tattica del movimento operaio og gi. Il punto fondamentale è ricomporre unitariamente la classe operaia al livello politico e quindi non fermarsi al li vello sindacale delle lotte, non fermarsi alla frantumazio ne delle lotte; è trarre da queste lotte il motivo (è questo il compito dei partiti, un compito che il sindacato non può svolgere ), la partenza per ricostruire politicamente la tra ma dell'unità della classe, di una classe operaia che non
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dobbiamo oiu vedere con gli occhi di ieri, una classe ope raia che è diventata di tanto piu forte, piu cosciente e piu numerosa : perché è vero che lo sviluppo del capitalismo significa anche lo sviluppo dei servizi al capitale ; ma signi fica anche la generalizzazione della condizione operaia a strati nuovi, anche a funzioni che una volta non potevano avere una caratteristica precisa di condizione salariale e che oggi ce l'hanno. Pensate alla funzione dei tecnici, alla funzione degli intellettuali, che oggi, molto spesso, sono funzioni nel processo produttivo. Attardandoci a guarda re vecchi tipi, vecchi schemi di politica di alleanze, non ci accorgiamo degli schemi nuovi che lo sviluppo della situa zione sollecita; e cast accade per esempio che nel Mezzo giorno le organizzazioni del movimento operaio si trovino in una crisi gravissima, perché anche il Mezzogiorno è in movimento, perché la questione meridionale nei suoi vec chi termini è scomparsa, non esiste piu. Un compagno sto rico, Massimo Salvadori, autore di quel bellissimo libro che è Il mito del buongoverno, ne sta adesso scrivendo una seconda edizione con un capitolo finale in cui si dirà che la questione meridionale non esiste piu, che non c'è piu quella questione meridionale che ci portava a una ri vendicazione generica di tutti gli strati del Mezzogiorno contro il Nord o contro lo Stato Unitario, perdendo fra l'altro di vista già allora l'elemento di classe. Ma oggi at tardarci su questi schemi significa non riuscire piu a recu perare nessuna realtà, neanche una realtà parvente, perché veramente queste cose sono bruciate dallo sviluppo del ca pitalismo. Quindi non si tratta di stare a giudicare se il centro sinistra è buono, è cattivo, e sciocchezze di questo genere. Il problema è un altro : di vedere se la classe ope raia oggi, se il movimento operaio organizzato riesce a por tarsi a questo livello di problemi, riesce a condurre la lot ta in una prospettiva di lotta globale per il· movimento del capitale, perché non c'è veramente altra possibilità oggi di arricchire, di mantenere in piedi, di portare avanti l'or ganizzazione del movimento operaio. Del resto, ed è l'elemento di fondo, a questo sospinge anche la situazione internazionale, perché questo discorso
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è un discorso che ha direttamente una dimensione interna zionale, perché questo sviluppo è internazionale, perché la classe operaia dei paesi capitalistici avanzati deve ritrovare a livello internazionale le sue possibilità di unità a livello di unità del capitale . I paesi sottosviluppati, infatti, i paesi ex coloniali, i paesi arretrati che hanno compiuto il primo ciclo della loro liberazione, il ciclo politico-nazionale della loro emancipazione molto difficilmente potranno oltrepas sare questo stadio di sviluppo, far fronte e aver ragione delle nuove forme di intervento neocapitalistico, se la lot ta non sarà portata dalla classe operaia occidentale contro i centri del potere capitalistico. Questa è la verità: cioè quei paesi avevano larghe possibilità di sviluppare vitto riosamente la loro lotta fino a che questa non toccava il li vello del capitalismo di oggi. Sappiamo che in Francia le posizioni capitalistiche avanzate hanno imposto la pace in Algeria, sappiamo che dietro l'OAS non c'è nulla, è una tragica farsa. Perché? Perché le forze del capitale stanno dietro de Gaulle, non stanno dietro l'OAS. Dietro l'OAS ci sono i piccoli interessi dei coloni francesi; i grandi capita listi francesi sperano che se ne vadano via perché loro de vono fare degli affari grossi con il petrolio, devono fare de gli affari grossi con lo sviluppo economico dell'Algeria, sperano che la rivoluzione algerina, l'indipendenza algeri na significhi un tipo coloniale nuovo di subordinazione. Questi popoli, per quanto forte sia la carica rivoluzionaria che essi hanno accumulato, ed è fortissima, difficilmente riusciranno a fronteggiare questo nuovo livello di svilup po della lotta, se la lotta non sarà ingaggiata al livello del capitalismo di oggi da coloro che devono diventare i di retti protagonisti della lotta contro il capitalismo, cioè i movimenti operai europei, i movimenti operai delle socie tà capitalistiche avanzate. C'è veramente un tipo di re sponsabilità che se i movimenti europei non assumono, finiscono veramente in una forma di tradimento, tradi mento nel senso profondo. marxista, cioè di tradimento sul piano internazionale, della sorte internazionale del mo vimento operaio e del proletariato 12 . Peraltro noi abbiamo 12 [Panzieri dimostra qui di non trascurare la componente internazio nalista della lotta di classe e di comprendere l'importanza vitale della sal-
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in Europa i sintomi di una fortissima tensione di classe, li abbiamo da anni : li abbiamo avuti in Belgio, li abbiamo avuti in Inghilterra, li abbiamo avuti e li abbiamo perfino nella Germania federale. Dentro ciò che passa per essere sindacalistico, in realtà c'è una tensione che potrebbe an che. essere annullata, essere tutta neutralizzata ( America insegni ) da una integrazione sindacale nel sistema, ma po trebbe anche invece essere avviata a una soluzione classi sta, a una soluzione rivoluzionaria. Però, ancora una vol ta, sempre di piu, soltanto l'organizzazione della classe può esprimere e portare avanti un processo di questo ge nere, lo può condurre vittoriosamente in quelle forme po litiche e organizzative che sono anche nuove, che non pos sono ripetere i vecchi tipi di organizzazione della classe operaia. Ma questo è un processo che tuttavia non si può inventare, che deve passare attraverso la ripresa e via via la trasformazione delle organizzazioni storiche del movi mento operaio. datura della lotta dei popoli oppressi con quella della classe oPeraia dei paesi capitalistici, condizione indispensabile della vittoria di entrambe].
Plusvalore e pianificazione Appunti di lettura del Capitale
Plusvalore e pianificazione viene pubblicato nel 1964 sul quarto numero dei « QR » e conclude l'analisi panzieriana del neocapitali smo. Anche in questo saggio l'analisi di Panzieri passa attraverso la rilettura critica del Capitale di Marx. Rispetto all'Uso capitdlistico delle macchine il suo discorso acquisisce però un nuovo spessore, in quanto risulta ampliato l'orizzonte della sua elaborazione. Infatti, mentre nel 1961 la critica del dispotismo capitalistico era delimita ta all'ambito dello sviluppo pianificato del processo produttivo, ora è estesa a quello della pianificazione dell'intera organizzazione so ciale. Lo sviluppo pianificato della società è l'elemento che confi gura lo specifico della fase attuale del capitalismo, invalidando la identificazione di socialismo e pianificazione, parzialmente presente in Marx e codificata poi da Lenin.
Due temi centrali del pensiero marxiano appaiono in primo piano nelle opere del giovane Lenin. Il primo è l'af fermazione della unità del capitalismo, in quanto funzio ne sociale, nei suoi vari livelli di sviluppo, dal capitale commerciale e usurario al capitalismo industriale, « che è dapprima assolutamente primitivo sotto l'aspetto tecni co e non si distingue affatto dai vecchi sistemi di produ zione, quindi organizza la manifattura; che s'impernia an cor sempre sul lavoro a mano, si fonda prevalentemente sull'artigianato senza rompere il legame dell'operaio sala riato con la terra, e corona lo sviluppo con la grande indu stria meccanizzata» I . Lenin vede con grande chiarezza che la produzione mercantile, come forma piu generale della produzione, si compie soltanto nella produzione capitali...
I LENIN, Il contenuto economico del populismo e la sua critica nel libro del signor Struve, in Opere, I, Editori Riuniti, Roma 1955, p. 451 .
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stica, nella quale la forma di merce del prodotto del lavo· ro è appunto « universale » ; ma ciò implica « che non solo il prodotto del lavoro, ma anche il lavoro stesso, vale a di re la forza-lavoro dell'uomo, assume la forma di merce » 2 . È cosi saldamente fondata la polemica contro i populisti: « La contrapposizione degli ordinamenti russi al capitali smo, fondata sull'arretratezza tecnica . . . , sul predominio della produzione a mano, etc è completamente assurda, perché il capitalismo esiste sia con una tecnica a piu basso livello sia con una tecnica altamente sviluppata » 3. I n secondo luogo, Lenin riprende, volgendola contro il « romanticismo economico » dei populisti, la polemica di Marx contro le interpretazioni « sottoconsumistiche » del capitalismo, e in particolare contro le spiegazioni « sotto consumistiche » delle crisi. Anche i populisti, come Si smondi, separano il consumo dalla produzione, afferman do che la produzione dipende da leggi naturali, mentre il consumo è determinato dalla distribuzione, la quale dipen. de dalla volontà degli uomini. Ma « oggetto dell'economia politica non è affatto la « produzione di valori materiali ", ma i rapporti sociali tra gli uomini nel processo di produ zione. Solo se si intende la .. produzione " nel primo senso è possibile separare da essa la .. distribuzione " e allora nel la .. sezione " che tratta della produzione, il posto delle ca tegorie di forme storicamente determinate dell'economia sociale viene occupato dalle categorie che si riferiscono al processo lavorativo in generale : di solito queste vuote ba nalità servono esclusivamente a occultare le condizioni storiche e sociali. (Esempio : il concetto di capitale). Ma se consideriamo coerentemente la .. produzione " come l'insieme dei rapporti sociali di produzione, la .. distribu zione " e il « consumo " perdono ogni significato autono mo. Una volta chiariti i rapporti di produzione, si chiari sce automaticamente anche tutto ciò che riguarda la parte di prodotto che spetta alle diverse classi, e quindi la .. di stribuzione " e il .. consumo " . E, inversamente, se non si chiariscono i rapporti di produzione ( se per esempio, non si comprende il processo di produzione del capitale com...
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Ibid. , p. 4'0. Ibid.
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plessivo sociale nel suo insieme), ogni ragionamento sul consumo e sulla distribuzione si riduce a una banalità o a un pio desiderio romantico » 4 . Naturalmente, Lenin riprende lo schema marxiano del l'accumulazione 5. È appunto l'analisi scientifica dell'accumulazione e del la realizzazione del prodotto che consente di spiegare le crisi non mediante l'insufficiente consumo ma « con la contraddizione tra il carattere sociale della produzione (resa sociale dal capitalismo) e il modo privato, individua le dell'appropriazione » '. Compare qui in Lenin, estrema mente schematizzata, la spiegazione delle crisi « con l'anar chia della produzione » 7. Lenin è COS1 condotto a due risultati importanti : in primo luogo, a considerare il movi mento della società capitalistica, e i movimenti del capita le, rigorosamente come evoluzione dei rapporti sociali di produzione ; in secondo luogo, a respingere, su questa base, le varie utopie reazionarie che spontaneamente rifio rivano in Russia alla fine del secolo XIX dinanzi all' avan zata impetuosa del capitalismo 8. Lenin insiste molto, con tro « la critica sentimentale » del capitalismo, sulla sua ne cessità storica e sul suo carattere progressista. Ma l'analisi che egli compie dei processi di socializzazione indotti dal4 LENIN, Caratteristiche del romanticismo economico, in Opere, II, Roma 1955, pp. 191-92. 5 Vedi ad esempio, in Il contenuto economico del populismo cit., pp. 514-15. dove Lenin polemizza contro
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lo sviluppo capitalistico, contro la « disgregazione » della economia artigiano-contadina (del capitalismo nel suo sta dio mercantile ) rimane unilaterale e limitata : egli sembra vedere il « carattere antagonistico » dello sviluppo appun to nel rapporto : socializzazione della produzione - anar chia nella circolazione, e le contraddizioni all'interno dei processi di socializzazione come semplice riflesso dell'anar chia. Il mercato capitalistico, lo scambio generalizzato « unisce gli uomini, costringendoli . . . a entrare in rapporti tra loro » '. Tutta l'analisi che Lenin fornisce alla fine de Lo sviluppo del capitalismo in Russia sull'aumento delle forze produttive del lavoro sociale e sulla socializzazione di questo lavoro è centrata sulla formazione di « un im menso mercato nazionale » al posto del « frazionamento, proprio dell'economia naturale, delle piccole unità eco nomiche », e sulla generale mobilità della forza-lavoro, che distrugge le forme di dipendenza patriarcale dei produt tori e crea grandi unità di operai salariati liberi IO . Questi processi scaturiscono direttamente dall�industria mecca nica: « l'industria meccanica rappresenta un progresso considerevole nella società capitalistica hon solo perché sviluppa in misura gigantesca le forze produttive e so cializza il lavoro di tutta la società, ma anche perché di strugge la divisione manifatturiera del lavoro, impone il passaggio degli operai da alcune occupazioni ad altre, di strugge definitivamente gli antiquati rapporti patriarcali, soprattutto nelle campagne, imprime un poderoso impul so al movimento progressivo della società sia per le ragioni indicate sia per la concentrazione della ,popolazione indu striale » ". Ovviamente Lenin non ignora gli effetti del l'uso capitalistico delle macchine sulle condizioni della classe operaia 12 , ma egli non vede come le leggi di sviluppo del capitalismo ( plus-valore relativo, massimizzazione del profitto ) che, all'epoca della concorrenza, fanno del capi tale individuale la molla dello sviluppo del capitale totale sociale, si manifestino, nella sfera della produzione diret-
9IO Ibid., p. 2IO.
Lo sviluppo del capitalismo in Russia, in Opere, III, Roma 19,6,
pp. 601 sgg.
" Caratteristiche cit., p. 176. 12 Programma del partito socialdemocratico, in Opere, II, pp. 93 sgg.
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ta, al livello di fabbrica, come pianificazione capitalistica. Nell'analisi di Lenin sulla fabbrica è assente il concetto marxiano dell'appropriazione capitalistica della scienza e della tecnica, che è la base per lo sviluppo del piano di spotico del capitale. Per Lenin lo sviluppo delle forze pro duttive, forma specifica di sviluppo della grande industria capitalistica, conserva il suo segreto: la pianificazione ca pitalistica non compare come forma fondamentale nella produzione diretta e la socializzazione del lavoro è vista come deformata dall'impronta capitalistica soltanto per aspetti esterni ( << economici » ) alla pianificazione stessa. Tecnologia capitalistica e piano capitalistico restano inte ramente fuori del rapporto sociale che li domina e li pla sma. L'anarchia è la caratteristica specifica del capitalismo, l'espressione essenziale della legge del plusvalore; ed è essa che ne decide il destino storico. L'incompatibilità è assoluta tra l'integrazione del processo lavorativo sociale e il fatto che ogni singolo ramo di produzione è diretto da un singolo capitalista e gli dà i prodotti sociali a titolo di proprietà privata. L'ipotesi di una « unione di processi di lavoro di tutti i capitalisti in un unico processo di la voro » è esplicitamente scartata da Lenin come assurda perché incompatibile con la proprietà privata 13.
Plusvalore e piano nella produzione diretta. Richiamiamo ora alcuni punti fondamentali dell' analisi del processo diretto di produzione, nella quarta sezione del I Libro del Capitale ( tralasciando i ben noti testi di Marx e di Engels - Prefazione alla Critica dell'economia politica, AntiDuhring, etc. - che sembrano sostenere l'in terpretazione leniniana). Innanzi tutto, è da sottolineare che il processo di socia lizzazione del lavoro non appartiene a una sfera socialmen te « neutra », ma fin dall'inizio compare all'interno dello sviluppo capitalistico. L'atto che fonda il processo capi13 LENIN, Che cosa sono gli « amici del popolo » e come lottano contro i socialdemocratici? , in Opere, I, pp. 248 e 104-'.
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talistico - la trasformazione del lavoro in merce - vede l'operaio cedere al capitalista l 'uso della sua individuale forza-lavoro. Ciò resta vero a qualsiasi scala si compia la compra-vendita della forza-lavoro : « il capitalista. . . paga il valore delle . . . forze-lavoro autonome, ma non paga la forza-lavoro combinata degli. . . operai » ". Il rapporto reci proco degli operai tra loro, la cooperazione avviene dopo l 'atto della compra-vendita della forza-lavoro, che è sem plice rapporto dei singoli operai al capitale. In Marx, dun que, il rapporto tra processo lavorativo e processo di va lorizzazione del capitale, considerato al livello del proces so diretto di produzione, è assai piu intimo e complesso di quanto non appaia al livello del processo complessivo di produzione. La cooperazione « comincia soltanto nel pro cesso lavorativo, ma nel processo lavorativo [gli operai] hanno già cessato di appartenere a se stessi. Entrandovi, sono incorporati nel capitale. Come cooperanti, come membri dell'organismo operante, sono essi stessi soltanto un modo particolare di esistenza del capitale. Dunque, la forza produttiva sviluppata dall'operaio come operaio so
ciale è forza produttiva del capitale » 15 .
Qui compare l a mistificazione fondamentale dell'eco nomia politica: « siccome la forza produttiva sociale del lavoro non costa nulla al capitale, perché d'altra parte non viene sviluppata dall'operaio prima che il suo stesso lavo ro appartenga al capitale, essa si presenta come forza pro duttiva posseduta dal capitale per natura, come sua forza produttiva immanente » 16 . La specificazione storica delle forme della cooperazione semplice è addotta da Marx per insistere sul carattere peculiare che essa assume con il mo do capitalistico di produzione. Essa, infatti, si presenta « agli inizi dell'incivilimento dell'umanità, presso popoli cacciatori o, per esempio, nell'agricoltura delle comunità indiane », ma in tali situazioni « poggia da una parte sulla proprietà comune delle condizioni di produzione, dall'al tra sul fatto che il singolo individuo non si è ancora strap pato dal cordone ombelicale della tribu o della comunità, l.
Il capitale, I, 2, Edizioni Rinascita, Roma 1952, p. 30. 15 Ibid. 6 1 Ibid., p. 3 1 .
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come l'ape singola non si stacca dall'alveare » ". Peraltro, si ha storicamente un'altra forma di cooperazione, e su lar ga scala, quella cioè verincatasi « nel mondo antico, nel Medioevo e nelle colonie moderne », la quale « poggia su rapporti immediati di signoria e servitu, e per la maggior parte dei casi sulla schiavitu » 18. In questa forma,
produzione capitalistico, che la distingue specificamen te » 22 . Avviene cOSI che, « in opposizione al processo pro
duttivo dei singoli operai indipendenti o anche dei picco li mastri artigiani », la cooperazione che è « il primo cam17 18 19 20 21 22
Ibid., p. 32. Ibid. Ibid. , p. 3 I . Ibid., cfr. p. 226. Ibid , p . 3 I . Ibid., p. 32•
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biamento » del reale processo di lavoro, compare soltanto come un effetto « della sua sussunzione sotto il capitale » . La cooperazione è la forma fondamentale del modo di produzione capitalistico, che resta alla base di tutte le sue forme specifiche, sino alle piu evolute: essa, infatti, è alla base dello sviluppo della forza produttiva sociale del lavo ro, che si presenta, allo stesso tempo, come forza produt tiva del capitale. La cooperazione nella sua forma capita listica è dunque la prima, basilare espressione della legge del (plus )-valore. Le caratteristiche di tale espressione possiamo ora meglio coglierle se analizziamo la coopera zione - seguendo Marx - non pili in modo storico-descrit tivo ma attraverso un'analisi socio-economica. « La forma del lavoro di molte persone che lavorano una accanto al l'altra e l'una assieme all'altra secondo un piano , in uno stesso processo di produzione, o in processi di produzione differenti ma connessi, si chiama cooperazione » " . Dun que, fin dalla forma fondamentale del suo modo di produ zione, fin dalla cooperazione, il capitale « sussume sotto di sé » un processo lavorativo pianificato. La pianificazio ne, ben lungi dall'apparire in contrasto con il modo di funzionamento del capitale, al livello della produzione di retta appare immediatamente come aspetto essenziale di quel processo lavorativo il cui sviluppo è condizionato dallo sviluppo del capitale. Non c'è, evidentemente, nessu na incompatibilità tra pianificazione e capitale. Impadro nendosi del processo lavorativo nella sua forma cooperati va ( realizzando cosI la sua « missione storica » ), il capitale si appropria, nello stesso tempo, del carattere specifico fondamentale di quel processo, che è, appunto, la piani ficazione. L'analisi marxiana è in effetti volta a mostrare come il capitale usi la pianificazione, ai livelli via via pili alti del processo produttivo - dalla cooperazione semplice, alla manifattura, alla grande industria - per estendere e raffor zare il suo dominio sulla forza-lavoro, per ottenere una sempre maggiore « disponibilità » di essa; e, addirittura, 21
Ibid., p. 22.
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come un crescente uso capitalistico della pianificazione nella fabbrica sia puntualmente la risposta capitalistica alle conseguenze negative sia del caotico movimento e scon tro dei capitali singoli nella sfera della circolazione, sia dei limiti imposti legislativamente allo sfruttamento estensi vo della forza-lavoro. Il primo aspetto in cui si manifesta la pianificazione ca pitalistica è « nella funzione di direzione, sorveglianza, coordinamento » , cioè in quelle « funzioni generali che de rivano dal movimento del corpo produttivo complessivo, in quanto differente dal movimento degli organi autonomi di esso » ", e che, evidentemente, sono caratteristiche del lavoro cooperativo. Cosi, comando sul lavoro e funzione di direzione si intrecciano tra loro, e, per cosi dire, si uni ficano in un meccanismo oggettivo, contrapposto agli ope rai : « la cooperazione degli operai salariati è un semplice effetto del capitale che li impiega simultaneamente ; la connessione delle loro funzioni e la loro unità come corpo produttivo complessivo stanno al di fuori degli operai sa lariati, nel capitale che li riunisce e li tiene insieme. Quin di, agli operai salariati la connessione tra i loro lavori si contrappone, idealmente come piano, praticamente come autorità del capitalista, come potenza di una volontà estranea che assoggetta al proprio fine le loro azioni. Dun que la direzione capitalistica è, quanto al contenuto, di du plice natura a causa della duplice natura del processo pro duttivo stesso che dev'essere diretto, il quale da una par te è processo lavorativo sociale per la fabbricazione di un prodotto, dall'altra parte processo di valorizzazione del capitale; ma quanto alla forma, è dispotica » 2;. Il meccani smo del piano capitalistico (il suo carattere dispotico) ten de a estendersi e a perfezionarsi nel corso dello sviluppo capitalistico, sia per l'esigenza di controllare una massa sempre crescente di forza-lavoro, e quindi il crescente po tere di resistenza degli operai, sia per la crescita dei mez zi di produzione che richiede, a sua volta, una corrispon dente crescita del grado di integrazione della « materia pri ma vivente » . 24 25
Ibid., p. 28. Ibid., p. 29.
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È noto che la base tecnica della divisione del lavoro nel la manifattura è ancor sempre il lavoro artigiano : « mec canismo specifico del periodo della manifattura rimane l'operaio complessivo stesso, combinato di molti operai parziali » 26. Ma il lavoro combinato degli operai parziali « ereditati » dalla conduzione di tipo artigianale non è sufficiente a raggiungere una reale unità tecnica: questa ultima si ottiene soltanto con l'industria meccanica. Tut tavia l'« oggettivazione » (capitalistica) del processo pro duttivo rispetto all'operaio si presenta già qui a un livello assai alto : la pianificazione capitalistica funziona già a un livello da rendere generale il rapporto-opposizione tra di visione del lavoro nella manifattura e divisione sociale del lavoro. Nella sfera della produzione diretta, « l'operaio parziale non produce nessuna merce. È solo il prodotto comune degli operai parziali ( messi in rapporto tra loro mediante il capitale) che si trasforma in merce » 27 . Da un lato, si presenta nella produzione la « subordinazione di determinate masse di operai a determinate funzioni per la bronzea legge del numero relativo, ossia della proporzio nalità », dall'altro, « il caso e l'arbitrio si scapricciano a di stribuire i produttori di merci e i loro mezzi di produzione fra le differenti branche sociali di lavoro » 28 . L'autorità 26
Ibid., p. 48 . 27 Ibid. , p. �4 ; cfr. a pp . 60-61 : « La manifattura in senso proprio non solo assoggetta l'operaio, prima indipendente, al comando e alla disciplina del capitale, ma crea inoltre una graduazione gerarchica tra gli operai stes si. Mentre la cooperl!.zione semplice lascia inalterato nel complesso il modo di lavorare del singolo, la manifattura rivoluziona tl,uesto modo di lavorare da cima a fondo, e prende alla radice la forza-lavoro individuale. Storpia l'operaio e ne fa una mostruosità favorendone, come in una serra, l'abilità di dettaglio, mediante la soppressione d'un mondo intero d'impulsi e di disposizioni produttive, allo stesso modo che negli Stati del La Plata si macella una bestia intera per la pelle o per il grasso. Non solo i particolari lavori parziali vengono suddivisi fra diversi individui, ma l'individuo stes so vien diviso, vien trasformato in motore automatico d'un lavoro parziale, realizzandosi cosi l'insulsa favola di Menenio Agrippa che rappresenta un uomo come null'altro che frammento del suo stesso corpo. Originariamen te l'operaio vende la sua forza-lavoro al capitalista perché gli mancano i mezzi materiali per la produzione d'una merce: ma ora la sua stessa forza lavoro individuale vien meno al suo compito quando non venga venduta al capitale; essa funziona ormai soltanto in un nesso che unicamente esiste dopo la sua vendita, nell'officina del capitalista. L'operaio manifatturiero, reso incapace per la sua stessa costituzione naturale a fare qualcosa di indi pendente, sviluppa una attività produttiva ormai soltanto come accessorio dell'officina del capitalista » . 8 2 Ibid., p. �5.
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del capitale si manifesta direttamente nella produzione: in questa sfera, l'equilibrio del sistema è nella proporziona lità stabilita dispoticamente tra le diverse funzioni lavo rative; al livello sociale, la tendenza all'equilibrio non si attua attraverso atti consapevoli di previsione e decisione, ma soltanto « in un sistema spontaneo e naturale » , che fa valere le sue leggi anche contro la volontà dei singoli pro duttori : « la regola seguita a priori e secondo un piano nella divisione del lavoro nell'interno dell'officina, opera soltanto a posteriori nella divisione del lavoro all'interno della società, come necessità naturale interiore, muta, per cepibile negli sbalzi barometrici del mercato, che sopraffà l'arbitrio sregolato dei produttori delle merci » ". Tale è il modo generale di funzionamento del capitalismo di con correnza, quale già appare al livello manifatturiero : anar chia nella divisione sociale del lavoro , dispotismo ( piano ) nella divisione del lavoro nella fabbrica. A questo rappor to tipico del capitalismo di concorrenza risponde un de terminato schema di « valori sociali » : « quella stessa co scienza borghese che celebra la divisione del lavoro a tipo manifatturiero, l'annessione a vita dell'operaio ad una ope razione di dettaglio e la subordinazione incondizionata dell'operaio parziale al capitale, esaltandole come una or ganizzazione del lavoro che ne aumenta la forza produtti va, denuncia con altrettanto clamore ogni consapevole controllo e regolamento sociale del processo sociale di produzione, chiamandolo intromissione negli inviolabili diritti della proprietà, nella libertà e nell'autodeterminan tesi " genialità » del capitalista individuale. È assai carat teristico che gli entusiasti apologeti del sistema delle fab briche, polemizzando contro ogni organizzazione genera le del lavoro sociale , non sappiano dire niente di peggio, fuorché: tale organizzazione trasformerebbe in una fab brica tutta la società » 30. Tale è l'apologetica peculiare al l'epoca del capitalismo di concorrenza. La validità del rapporto : dispotismo nella fabbrica · anarchia nella società compare qui in una schematizzazio2. 30
Ibid., p. 56. Ibid.
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ne irrigidita nello stesso pensiero di Marx, come è confer mato dalla citazione, cui egli rimanda, della Miseria della filosofia: « Si può . . . stabilire, come principio generale, che, quanto meno l'autorità presiede alla divisione del lavoro nell'interno della società, tanto piu la divisione del lavo ro si sviluppa nell'interno della fabbrica, e vi è sottoposta all'autorità di uno solo. COSI l'autorità nella fabbrica e quella nella società, in rapporto alla divisione del lavoro, sono in ragione inversa l'una dell'altra » 31 . La manifattura, dunque, porta a un grado assai elevato il processo capitali stico di scissione dei mezzi di lavoro dall'operaio, concen trando nel capitale le stesse « potenze intellettuali del pro cesso materiale di produzione » , contrapponendole « agli operai, come proprietà non loro e come potere che li domi na» un potere che ha già raggiunto un certo grado di « e videnza tecnica », che entro certi limiti si presenta come tecnicamente necessario. Ma rimane, naturalmente, il limi te imposto dall'origine artigianale che ancora si fa valere anche nella forma piu sviluppata di manifattura: l 'aliena zione dall'operaio del contenuto del lavoro non è ancora perfezionata. Soltanto con l'introduzione delle macchine su grande scala, le « potenze intellettuali » esaltano al gra do massimo il comando capitalistico sul lavoro: allorché la scienza entra al servizio del capitale. Soltanto a questo li vello, scompare ogni residuo di autonomia operaia entro il processo di valorizzazione, e il carattere di merce della forza-lavoro si manifesta senza piu restrizioni « tecni che » ". L'oggettività ( capitalistica) del meccanismo pro duttivo di fronte agli operai trova il suo fondamento atti· mo sul principio tecnico delle macchine: la velocità tecni· camente determinata, la connessione delle diverse fasi, la continuità ininterrotta del flusso si impongono come ne cessità « scientifiche » alla volontà dell'operaio, e perfetta mente corrispondono alla volontà del capitalista di « suc chiare » il massimo di forza-lavoro. Il rapporto sociale ca pitalistico « si nasconde » dentro le esigenze tecniche del macchinario, la divisione del lavoro sembra del tutto in-
31
32
Ibid., p. '7. Ibid., p. 69. Cfr. pp. 8r, 88.
PLUSVALORE E PIANIFICAZIONE dipendente dall'arbitrio del capitalista - semplice, neces sario risultato della « natura » del mezzo di lavoro ", Nella fabbrica automatica, la pianificazione capitalisti ca del processo produttivo raggiunge il suo grado piu alto di sviluppo ; la legge del plusvalore sembra qui poter fun zionare illimitatamente, dacché, « mediante la sua trasfor mazione in macchina automatica, il mezzo di lavoro si contrappone all'operaio durante lo stesso processo lavo rativo quale capitale, quale lavoro morto che domina e succhia la forza-lavoro vivente �> e « l'abilità parziale del l'operaio meccanico individuale svuotato scompare come un ultimo accessorio dinnanzi alla scienza, alle immani forze naturali e al lavoro sociale di massa che sono incar nati nel sistema delle macchine e che con esso costituisco no un potere del padrone» 34 , Il piano appare qui come il fondamento del modo di produzione capitalistico : qui la legge generale della produzione capitalistica è « una cer tezza normale del risultato » e « il codice della fabbrica in cui il capitale formula come privato legislatore e arbi trariamente la sua autocrazia sugli operai, prescindendo da quella divisione dei poteri tanto cara alla borghesia e da quel sistema rappresentativo che le è ancor piu caro, non è che la caricatura capitalistica della regolazione sociale del processo lavorativo » ", Nel periodo iniziale della loro introduzione, le macchi ne producono plusvalore non soltanto svalutando la for za-lavoro, ma anche perché trasformano il lavoro impiega to dal loro possessore « in lavoro potenziato, aumentando il valore sociale della macchina al di sopra del suo valore individuale e mettendo in tal modo il capitalista in grado di reintegrare il valore giornaliero della forza-lavoro con una parte minore di valore del prodotto giornaliero » 36, In questa situazione, si hanno profitti straordinari per i ca pitalisti possessori di macchine (e si può dire che è pro33
107 e 1 7 I . 129. p. 1 3 I . p. I I I .
Cfr. pp.
34 Ibid., p. " Ibid.,
36 Ibid.,
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prio la prospettiva di questi profitti straordinari che dà il primo e necessario impulso alla macchinofattura) . La grandezza del profitto cosi realizzato « istiga la brama di un profitto anche maggiore » 31; ne consegue un prolunga mento della giornata lavorativa. Allorché le macchine han no invaso un'intera branca della produzione, « il valore sociale del prodotto delle macchine scende al suo valore individuale, e entra in azione la legge per la quale il plus
valore non deriva dalle forze-lavoro sostituite dal capita lista con le macchine bensi, viceversa, dalle forze-lavoro che egli impiega per il loro funzionamento » 38 . Ora, l'au
mento della produttività conseguente all'introduzione del le macchine estende il pluslavoro a spese del lavoro neces sario, ma « raggiunge questo risultato solo diminuendo il numero degli operai impiegati da un dato capitale » ". Ma l'aumento di plusvalore relativo sembra non poter com pensare la diminuzione di plusvalore determinata dalla di minuzione del numero relativo degli operai sfruttati : la contraddizione che ne deriva viene risolta dal capitalista attraverso un aumento del plusvalore assoluto, cioè attra verso il prolungamento della giornata lavorativa "'. Tale schema, in effetti, è valido soltanto per un periodo storica mente limitato del capitalismo, cioè per il primo periodo caratterizzato dall'uso generalizzato delle macchine; gran parte delle conseguenze mostruose della grande industria capitalistica nei modi dello sfruttamento della forza-lavo ro vengono spiegate entro questo schema. Ma il processo corrispondente al rapporto capitale-macchine non si fer ma qui. Gli stessi effetti negativi del prolungamento illi mitato della giornata lavorativa producono, sulla base del la resistenza operaia, una « reazione della società minaccia ta nelle sue radici vitali, e con ciò una giornata lavorativa normale limitata lef!.almente» 41 . La nuova situazione spin ge il capitale a esaltare un altro aspetto dei processi di sfruttamento insito nell'uso delle macchine : l 'intensifica zione del lavoro . Marx ha qui ben chiaro che una « ribel37 38 39 '" "
Ibid. Ibid. Ibid. Ibid., p. II2. Ibid. , pp. II3-14.
PLUSVALORE E PIANIFICAZIONE lio.ne » della classe o.peraia nella sfera « po.litica » che Co. stringe lo. Stato. ad « abbreviare co.n la fo.rza il tempo. di la vo.ro. » induce nd sistema una reazio.ne, che rappresenta allo. stesso. tempo. uno. sviluppo. (capitalistico.) del sistema delle macchine e un co.nso.lidamento. del suo. do.minio. sulla classe o.peraia: «l'accorciamento fo.rzato. della giornata la vorativa, co.n l'eno.rme impulso. che dà allo. sviluppo della forza produttiva e all'economizzazione delle condizioni di produzione, impone all'o.peraio. una tensione piu alta del la forza-lavoro, un piu fitto. riempimento. dei pori del tem po. di lavo.ro., quindi una co.ndensazio.ne del lavo.ro. a un grado che si può raggiungere So.Io. entro. i limiti della gio.r nata lavo.rativa acco.rciata . .. A fianco. della misura del tem po di lavo.ro quale " grandezza estesa » , si presenta o.ra la misura del suo. grado di condensazione» 42 . Si verificano. allo.ra i feno.meni tipici della grande industria capitalisti ca: « la macchina diventa allo.ra nelle mani del capitale il mezzo obbiettivo e sistematicamente applicato per esto.r cere una quantità maggio.re di lavo.ro. nel medesimo. tem po. E questo. avviene in duplice maniera: mediante l'au mento della velocità delle macchine [tempi] e mediante ['amplia1'llento del volume di macchinario. da so.rvegliare da uno. steSSo. o.peraio. [o.rganici] » 43. Ovviamente, a que sto. livello. il rapPo.rto. tra perfezio.namenti delle macchine e pro.cessi di valo.rizzazio.ne diviene anco.r piu intimo. : esso. in parte è necessario. per esercitare una pressione maggio.re sugli o.perai, in parte acco.mpagna « sPo.ntaneamente» l'in tensificazio.ne del lavo.ro., dacché il limite posto. alla gio.r nata lavo.rativa co.stringe il capitalista all'eco.no.mia piu ri go.to.sa nei Co.sti di pro.duzio.ne. Co.SI si compie il passag gio. dalla sussunzio.ne fo.rmale del layo.ro. So.tto. il capitale alla sua sussunzio.ne reale. Il tratto. distintivo. di questa è precisamente la « necessità tecnica » . Allo.rché l'uso. delle macchine è generalizzato., su larga scala e in tutti i rami della pro.duzione, al livello. di produzio.ne diretta il capita lismo. è dispotismo. esercitato. in no.me della razio.nalità: il vecchio. so.gno. « scientifico. » del perpetuum mobile, di un mo.vimentO' o.ttenuto. senza spesa di lavo.ro., sembra realiz
.a
43
Ibid., pp. II4-1,. Or. pp. 187. 192-93, 203-4. Ibid. , p. 117-
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zarsi con il massimo sfruttamento della forza-lavoro e la massima sottomissione dell'operaio al capitalista (nella unione di questi due termini è l'espressione della legge del plusvalore). Il dispotismo del capitale compare come di spotismo della razionalità; questa è la mediazione necessa ria per il miglior funzionamento del capitale nelle sue due parti, costante e variabile, ne salda il nesso reciproco e lo rende tecnicamente necessario. Al livello della produzione diretta, per Marx il capitalismo è pianificazione sulla base dello sviluppo illimitato delle forze produttive: qui è la espressione fondamentale del carattere antagonistico della produzione capitalistica. Le «contraddizioni immanenti» non sono nei movimenti dei capitali, non sono «interne» al capitale: solo limite allo sviluppo del capitale non è il capitale stesso, ma la resistenza della classe operaia 44. Il principio della pianificazione, che per il capitalista è «pre visione», «certezza del risultato», «proporzionalità ra zionale», all'operaio «si impone soltanto come prepotente legge naturale» 45 . Nel sistema di fabbrica, l'aspetto anar chico della produzione capitalistica è unicamente nella in subordinazione della classe operaia, nel suo rifiuto della «razionalità dispotica». Di fronte all'intreccio capitalisti co di tecnica e potere, la prospettiva di un uso alternativo (operaio) delle macchine non può, evidentemente, fondar si sul rovesciamento puro e semplice dei rapporti di pro duzione (di proprietà), concepiti come un involucro che a un certo grado della espansione delle forze produttive sarebbe destinato a cadere semplicemente perché divenu to troppo ristretto: i rapporti di produzione sono dentro le forze produttive, queste sono state «plasmate» dal capi tale. È ciò che consente allo sviluppo capitalistico di per44 IbM., pp. 2I5-I6. Il principio naturale del « calcolo » come tratto essenziale del modo di produzione capitalistico ha, secondo Marx, da un lato una funzione ideologica, di sanzione « oggettiva » del sistema di fab brica; d'altra parte, esso presiede effettivamente al funzionamento del si stema stesso, svolge effettivamente una funzione (tecnico-scientifica) nello sviluppo del sistema. Oggi, al livello di pianificazione estesa alla società, possiamo dire che quel principio ripropone in forma nuova le leggi « natu rali eterne » dell'economia apologetica, ed è addirittura utilizzato per « as sorbire » le differenze tra capitalismo e socialismo (ma con ciò esprime an che reali tendenze unificatrici dei due sistemi cosi come in realtà si pre sentano). 4S Ibid., p. 200.
PLUSVALORE E PIANIFICAZIONE petuatsi anche dopo che l'espansione delle forze produt tive ha raggiunto il suo m assimo livello. La regolazione sociale del processo lavorativo si presenta allora immedia tamente come un tipo di pianificazione contrapposta alla pianificazione capitalistica.
Le tendenze storiche del capitalismo al superamento della concorrenza. Sembra dunque che l 'opposizione : dispotismo (piano) nella fabbrica - anarchia nella società, sia nel Capitale la forma generale nella quale si esprime la legge del valore. Abbiamo anche visto come le principali « leggi » dello sviluppo capitalistico formulate da Marx siano stretta mente legate a tale formula generale: questa sembra iden tificarsi con la struttura stessa del Capitale, che potrebbe, perciò, essere letto soltanto in chiave di interpretazione del capitalismo di concorrenza, e a questo limitata la sua validità. Del resto, lo stesso ulteriore svolgimento « orto dosso » della teoria riconferma tale schema, negando al si stema capitalistico altro modo « pieno » di sviluppo al di fuori di quello assicurato dal modello concorrenziale, qua 'lificando quindi come ultimo, « putrescente » , stadiq quel lo del capitalismo monopolistico-oligopolistico, regolato. D'altra parte, il « revisionismo » moderno finisce per per dere la continuità del sistema, attraverso i suoi « salti » storici, avendo appunto anch'esso ancorato a quello sche ma l'espressione della legge del valore. Tuttavia il model lo fornito nel Capitale non è in realtà tanto « chiuso » : l'in cessante movimento in avanti del capitale non è affatto confinato entro i limiti della concorrenza, il « comunismo capitalistico » 46 non si presenta soltanto come movimento 46 « Ciò che la concorrenza fra le masse di capitale dimoranti nelle diver se sfere della produzione e composte diversamente, si prefigge, è il comu nismo capitalistico, cioè il risultato che ogni massa di capitale appartenente a una sfera della produzione, acciuffi una parte aliquota del plusvalore complessivo nella proporzione in cui costituisce una parte dci complessivo capitale sociale » (MARX-ENGELS, Carteggio, V, Edizioni Rinascita, Roma I95I, p. I84).
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« automatico » del capitale sociale totale, risultante dal l'operare cieco degli agenti del sistema. In una lettera del 2 aprile 1 8 5 8 a Engels, Marx espone un primo · �hema del Capitale. È stato già notato che in questo schema i diversi livelli del sistema si presentano ancora ripartiti empiricamente, non unificati intorno al nucleo delle leggi dell 'economia politica. Infatti, il piano generale dell 'opera è cosi diviso in sei libri: « 1 ) Del ca pitale. 2 ) Proprietà fondiaria. 3 ) Lavoro salariato. 4 ) Stato. 5 ) Commercio internazionale. 6) Commercio mon diale » . Ma questo modo non sistematico di esporre la ma teria rende assai pili chiaro il pensiero di Marx circa il mo vimento dell'accumulazione capitalistica, quando passa a esporre in dettaglio il piano del primo libro (Del capita le): questo, infatti, « si divide in quattro sezioni. a) Capi tale en général. . . b) La concorrenza, ossia l'azione recipro ca dei molti capitali. c) Credito, dove di fronte ai singoli capitali il capitale figura come elemento universale. d) Il capitale azionario, come la forma pit1 perfetta (che trapas sa nel comunismo), insieme a tutte le sue contraddizio ni » 41. È assai importante notare come Marx sottolinei qui che il passaggio successivo da una categoria all'altra « è non soltanto dialettico, ma storico » " . E già nei Grundris se, Marx parla del capitale azionario come di « quella for ma che il capitale raggiunge come sua forma ultima, nella quale esso si pone non soltanto i n s é, quanto alla sostanza, ma nella sua forma come forza e prodotto sociale » 49 . Nella esposizione « logico-sistematica » del Capitale, questo stadio dell' accumulazione capitalistica, al di là del la concorrenza, sembra coesistere accanto alle forme domi nanti della concorrenza, senza, naturalmente, potersi con ciliare con queste ultime. Tuttavia, che lo stadio superio re, espressione della tendenza generale dell 'accumulazione capitalistica, sia rappresentato, anche nel Capitale, dallo stadio del capitale azionario, forma del capitale sociale to41 Ibid., III, p. 198. " Ibid. 49 KARL MARX, Grundrisse der K�itik
der politischen CEkonomie, Ber lin 1953, p. 428 [dr. orli Lineamenti fondamentali della critica dell'econo mia politica, voI. II, La Nuova Italia, Firenze 1970, p. 1 68].
PLUSVALORE E PIANIFICAZIONE tale che non è piu semplice espressione dell'intreccio cie co dei capitali singoli, è ampiamente dimostrato proprio dai testi che si trovano nel I libro sotto il capitolo sulla
Legge generale dell'accumulazione capitalistica. Qui, quel « tipo di concentrazione che è basato diretta mente sulla accumulazione, anzi è identico ad essa » appa re come il fondamento del sistema concorrenziale. Infatti, « primo: la crescente concentrazione dei mezzi di produ zione sociale nelle mani di capitalisti individuali è limita ta, in circostanze altrimenti invariate, dal grado di aumen
to della ricchezza sociale. Secondo: la parte del capitale so ciale domiciliata in ogni particolare sfera della produzione è ripartita su molti capitalisti, i quali sono contrapposti l'uno all'altro come produttori di merci, indipendenti e
in concorrenza tra di loro. L'accumulazione e la concentra zione ad essa concomitante non soltanto sono dissemina te su molti punti, ma l'aumento dei capitali operanti è attraversato dalla formazione di capitali nuovi e dalla scis sione di capitali vecchi. Se quindi da un lato l'accumula zione si presenta come concentrazione crescente dei mezzi di produzione e del comando sul lavoro, dall'altro si pre senta come ripulsione reciproca di molti capitali indivi duali» so . Ma questo, che si presenta propriamente come la sfera della concorrenza, non è che un lato della legge generale della accumulazione capitalistica. L'altro lato, contro la dispersione del capitale complessivo sociale, è costituito dalla attrazione reciproca delle sue frazioni: « Questo processo si distingue dal primo per il fatto che esso presuppone solo una ripartizione mutata dei capitali
già esistenti e funzionanti, che il suo campo d'azione non è dunque limitato dali'aumento assoluto della ricchezza sociale o dai limiti assoluti dell'accumulazione . . . È questa la centralizzazione vera e propria a differenza dell'accumu lazione e concentrazione ». È noto come Marx sviluppi il sistema del credito, che dapprima « si insinua furtivamen te come modesto ausilio dell'accumulazione », per diven tare « ben presto un'arma nuova e terribile nella lotta del la concorrenza . . . , trasformandosi infine in un immane o
s
MARX, Il capitale cit., I. 3, p.
n.
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meccanismo sociale per la centralizzazione dei capitali » 51 . Questo altro lato della legge generale dell'accumulazio ne capitalistica appare come un processo di sviluppo illi mitato rispetto alla concorrenza: « in un dato ramo d'af fari la centralizzazione raggiungerebbe l'estremo limite so lo se tutti i capitali ivi investiti si fondessero in un capitale singolo. In una società data questo limite sarebbe raggiun to soltanto nel momento in cui tutto il capitale sociale fos se riunito nella mano di un singolo capitalista o in quella di un'unica associazione capitalistica » 52. A Marx non sfugge il fatto che, se la centralizzazione, con i suoi peculiari meccanismi, è distinta dall'accumula zione vera e propria, tuttavia essa è in funzione di questa ultima, e solo permette di compiere su scala sociale la ri voluzione introdotta dall'industria capitalistica: « l'accre sciuta estensione dello stabilimento industriale costituisce dovunque il punto di partenza di una piu ampia organiz zazione del lavoro complessivo di molti, di uno sviluppo piu largo delle loro forze motrici materiali, ossia di una progrediente trasformazione di processi di produzione iso lati e compiuti secondo consuetudine in processi di produ zione combinati socialmente e predisposti scientificamen te » 53. Ma soltanto con la centralizzazione si ha quel l'accelerazione, che non dipende soltanto dal « raggrup pamento quantitativo delle parti integranti del capita le sociale », ma anche dal fatto che ess.� « allarga ed ac celera allo stesso tempo i rivolgimenti nella composizione tecnica del capitale » . Nel momento in cui diverse masse di capitale si saldano l'una con l'altra, attraverso la centra lizzazione, aumentano piu rapidamente delle altre, « di ventando in tal modo nuove potenti leve dell'accumulazio ne sociale » 54 . Attraverso l'analisi del processo di centra lizzazione, i rapporti tra la sfera della produzione diretta e la sfera della circolazione diventano dunque molto piu stretti di quanto non apparisse attraverso l'analisi del rap porto tra produzione diretta e concorrenza. Appare qui 51 Ibid., p. 76. 52 Ibid., p. 77. 53 Ibid. 54 Ibid., p. 78.
PLUSVALORE E PIANIFICAZIONE un tipo di legame che non è quello stabilito nella struttura logica generale del Capitale, e che, in effetti, relega non po che delle « leggi » in una fase storica determinata dello svi luppo capitalistico. Appare già qui il carattere storico del processo di produzione in una forma immediatamente pre minente rispetto alle forme assunte dal processo di circo lazione, da esso dipendente. Alla stessa tematica della legge di sviluppo dell'accu mulazione capitalistica sono da riportare i noti testi del capitolo XXVII del libro III del Capitale, sulla Funzione del credito nella produzione capitalistica. Siamo qui diret tamente al livello del massimo sviluppo del capitale azio nario. In particolare, Marx sottolinea che, a tale livello, alla concentrazione sociale dei mezzi di produzione e delle forze-lavoro corrisponde la forma di capitale sociale con trapposto al capitale privato, quindi la creazione di impre se che sono imprese sociali contrapposte alle imprese pri vate: « È - dice Marx - la soppressione del capitale come proprietà privata nell'ambito del modo di produzione ca pitalistico stesso ». A sua volta, la personifìcazione attiva del capitale, il capitalista, il capitalista realmente operan te, si trasforma « in semplice dirigente, amministratore di capitali altrui ». I proprietari di capitale, a loro volta, si trasformano in « semplici capitalisti monetari ». Si può di re che cominci qui il processo di completa autonomÌZzazio ne del capitale. 10 stesso profitto totale, che comprende interesse e guadagno d'imprenditore, «è intascato unica mente a titolo d'interesse », ossia come un semplice inden nizzo della proprietà del capitale, proprietà che ora è, nel reale processo di riproduzione, cOSI separata dalla funzio ne del capitale come, nella persona del dirigente, questa funzione è separata dalla proprietà del capitale. In queste condizioni il profitto (e non piu soltanto quella parte del profitto, l'interesse, che trae la sua giustificazione dal pro fitto di chi prende a prestito ) si presenta come semplice appropriazione di plusvalore altrui, risultante dalla tra sformazione dei mezzi di produzione in capitale, ossia dal la loro estraniazione rispetto ai produttori effettivi, dal loro contrapporsi come proprietà altrui a tutti gli indivi-
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dui realmente attivi nella produzione, dal dirigente fino all'ultimo giornaliero. Nelle società per azioni la funzione è separata dalla proprietà del capitale, e per conseguenza anche il lavoro è completamente separato dalla proprietà dei mezzi di produzione e dal plusvalore. È ovvio notare il carattere contraddittorio di questi testi. L'assoluta separa zione del lavoro dalla proprietà del capitale appare come « un momento necessario di transizione per la ritrasfor mazione del capitale in proprietà dei produttori, non piu però come proprietà privata di singoli produttori, ma co me proprietà di essi in quanto associati, come proprietà sociale immediata. E inoltre è momento di transizione per la trasformazione di tutte le funzioni che nel processo di riproduzione sono ancora connesse con la proprietà del capitale, in semplici funzioni dei produttori associati, in funzioni sociali ». Pare quasi che qui lo stesso Marx cada nell'errore di scambiare il processo lavorativo con il pro cesso di valorizzazione. Il nesso tra la sfera della produ zione immediata e il modo di funzionamento del capitale collettivo sembra qui dimenticato, e ricompare lo schema semplificato del contrasto tra sviluppo delle forze produt tive e rapporti di produzione. Perciò Marx dice che « la soppressione del modo di produzione capitalistico nel l 'ambito dello stesso modo di produzione capitalistico », che è caratteristica di questo livello di sviluppo dell'accu mulazione capitalistica, « è una contraddizione che si di strugge da se stessa, che prima facie si presenta come sem plice momento di transizione verso una nuova forma di produzione » . Tuttavia la fase del capitale azionario, che è « l ' annul lamento dell'industria privata capitalistica sulla base del sistema capitalistico stesso », consente, nella analisi di Marx, di cogliere un profondo mutamento nel meccani smo capitalistico : « poiché il profitto - dice Marx - si pre senta qui esclusivamente sotto forma di interesse, tali im prese sono possibili anche quando esse dànno il puro e semplice interesse, e questa è una delle cause che si op pongono alla caduta del saggio generale del profitto, poi ché queste imprese in cui il capitale costante è in propor zioni cOSI enormi rispetto al capitale variabile, non inci-
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dono necessariamente sul livello del saggio generale del profitto » 55. Marx indica qui un vero e proprio « salto » tra diversi livelli di sviluppo del capitalismo. Non soltanto sono ri conoscibili livelli differenti nel processo dell'accumulazio ne capitalistica (livelli che l'analisi deve distinguere, senza cadere nella tentazione di individuare, a partire da un cer to momento in poi, semplici aggiustamenti e correzioni ri spetto a una certa fase considerata come « modello » in so stanza non modificabile), non soltanto è qui già contenuta in nuce l'analisi della fase monopolistica, ma sono per di piu portati alla luce elementi che neppure possono essere ricompresi nella prima fase del capitalismo dei mono poli 56. SS
MARX, Il capitale cit., III, 2, pp. 122-25. Ha visto lucidamente questo rapporto tra sistema e sue leggi di svi luppo Giulio Pietranera : « L'aumento della composizione organica del capitale . . . avviene ... mediante un processo irreversibile di concentrazione della produzione su date unità produttive singole, che in tal modo si dif ferenziano dalle altre; e mediante l'abolizione della concorrenza e quindi delle categorie che le sono proprie. La trasformazione monopolistica si af fetlna cos1 con l'abolizione stessa del saggio generale del profitto, e cioè con il sorgere di saggi particolari non concorrenti, conseguenti allo spezzet tamento monopolistico del mercato . . . Ad un certo momento, il continuo aumento della composizione organica del capitale porta ad una tale dimi nuzione (tendenziale) del saggio generale del profitto che la struttura capi talistica reagisce con un "salto", e cioè con un tale aumento della stessa composizione organica che, dalla concorrenza, si passa al "monopolio". E da allora non si ha pili un saggio generale del profitto ... L'affermarsi del le società per azioni costituisce originariamente una delle cause antagoni stiche alla caduta del saggio generale del profitto (e cioè all'aumento con tinuo della composizione organica del capitale), ma con ciò esse parteci pano alla centralizzazione del "sistema creditizio" ed acuiscono, in modo definitivo, nel campo delle forme societarie, la contrazione monopolistica del mercato (e si ha allora il "salto" nel monopolio). 10 stesso sorgere delle società per azioni contribuisce pertanto ad abolire il saggio generale del profitto e a sostituirlo con saggi particolari monopolistici ». L'eccezionale importanza di tale « salto ,. nel sistema non sfugge a Pietranera: « È da notare che quel dato aumento della composizione organica del capitale, che viene a costituire la situazione monopolistica, è bens1 una reazione alla caduta del saggio generale del profitto, ma una reazione unica come esperienza storica, in quanto contemporaneamente cambiano, da quel mo mento, gli stessi termini qualitativi o concettuali del problema, cambiando il corso storico dello sviluppo del capitalismo » (GIULIO PIETRANERA, Intro duzione a RUDOLF HILFERDING, Il capitale finanziario, Feltrinelli, Milano 196 1 , pp. LIV-LV). S6
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La pianificazione capitalistica nella produzione sociale complessiva. La sfera della circolazione è per Marx allo stesso tempo risultato e mistificazione dei rapporti capitalistici di pro duzione : «In quanto merce di una natura particolare, il capitale possiede anche un tipo particolare di alienazio ne » ". Nella formula D-M-D', ossia nel capitale commer ciale, « esiste almeno la forma generale del movimento ca pitalistico » ; infatti, il profitto ricompare come « semplice profitto di alienazione, ma esso tuttavia si presenta pur sempre come prodotto di un rapporto sociale, e non come prodotto di una mera cosa » 58 . Ogni traccia di rapporto so ciale nel movimento capitalistico scompare invece con il capitale produttivo di interesse, la cui formula D-D' espri me soltanto «un rapporto di grandezze » . Qui il capitale ha rapporto soltanto quantitativo con se stesso: « il capitale si presenta come tale, come . . . valore che si valorizza diret tamente, per tutti i capitalisti attivi, sia che essi operino so. con capitale proprio o con capitale preso a prestito » Sembra dunque realizzarsi « la formula originaria e ge nerale del capitale, condensata in un'espressione priva di senso » !o. Con lo sviluppo del capitale produttivo d'inte resse come formazione sociale dominante, la mistmcazio ne insita nei rapporti capitalistici di produzione sembra essere portata al suo grado piu alto ; processo di produ zione e processo di circolazione sono completamente mes si da parte; « ora la cosa ( denaro, merce, valore), come semplice cosa, è già capitale e il capitale appare come sem plice cosa » 61 . Si ha cOSI l'espressione piu generale del fe57 Il capitale cit., III, 2, p . I9. All'uso del termine alienazione non bisogna qui annettere alcuna « idea mistica »: è al contrario strumento di demistificazione del punto di vista dal quale gli agenti (capitalisti) della produzione e gli ideologi ed economisti volgari considerano l'economia capitalistica, attraverso categorie le quali, riflettendo in modo unilaterale i movimenti del capitale nella sfera della circolazione, tendono a celare i movimenti reali nella sfera della produzione diretta. 58 Ibid., p. 68. s.
Ibid. Ibid. , p. 69 . 61 Ibid.
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ticismo capitalistico : «il rapporto sociale è perfezionato come rapporto di una cosa, del denaro, con se stessa» 62 . Sembra che il modo capitalistico di produzione riesca in tal modo a nascondere completamente la sua radice e il suo movimento reale. Lo stesso capitale operante si pre senta come capitale monetario : « mentre l'interesse è uni camente una parte del profitto, ossia del plusvalore che il capitalista operante come tale estorce al lavoratore, l'in teresse appare ora al contrario come il frutto vero e pro prio del capitale, come il fatto originario, e il profitto ap pare trasformato ora, nella forma di guadagno di impren ditore, come un semplice accessorio e ingrediente, che si aggiunge nel processo di produzione. Qui la figura di fetic cio del capitale e la rappresentazione del capitale come fe ticcio sono portate a termine » 63 . In tal modo, il carattere sociale specifico del capitale è fissato nella figura ( « cosa» ) della proprietà di capitale, che contiene in sé la capa�ità di comandare sul lavoro altrui e dà il suo frutto nella forma dell'interesse ; di conseguenza, la parte di plusvalore che spetta al capitalista operante, all'imprenditore, « appare necessariamente derivare non dal capitale in quanto ca pitale, ma dal processo di produzione, separato dal suo specifico carattere sociale, che ha già ricevuto nell'espres sione « interesse di capitale " la sua particolare forma di esistenza. Ma, separato dal capitale, il processo di produ zione è processo lavorativo in generale. Il capitalista indu striale, in quanto distinto dal proprietario di capitale, non appare quindi come capitalista operante, ma come un fun zionario, astratto persino dal capitale, come semplice vei colo del processo lavorativo in generale, come lavoratore e precisamente come lavoratore salariato » 64 . 62 " Nel capitale produttivo d'interesse questo feticcio automatico, valo re che genera valore, denaro che produce denaro, senza che in questa forma sussista piu nessuna traccia della sua origine è ... nettamente messa in ri lievo » (ibid). Cfr. KARL MARX, Storia delle teorie economiche, Einaudi, Torino I9,8, III, p. 47', e in generale tutto il capitolo su Profitto, interes se ed economia volgare, pp. 473 sgg. 63 Il capitale cit., III, 2, pp. 69-70. Cfr. pp. I2 sgg. 64 Ibid., pp. '7-,8. Cfr. ancora: " Poiché il carattere estraniato del capi tale, il suo contrapporsi al lavoro, viene trasferito al di fuori dell'effettivo processo di sfruttamento, precisamente nel capitale produttivo d'interesse, allora questo processo di prodU2ione appare come un semplice processo
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Il rapporto tra capitale e lavoro è cOSI completamente «dimenticato » : « l'interesse è la particolare figura del pro fitto in cui il carattere antagonistico del capitale si dà una espressione indipendente, e se la dà in modo che questo antagonismo vi è completamente cancellato e del tutto ri mosso da esso » 65, Nel « lavoro » del capitalista operante, le funzioni di direzione implicate dal lavoro sociale com binato ricevono la loro specifica impronta dal rapporto capitalistico : Marx riassume qui parzialmente l'analisi della IV sezione del I libro, Il processo si compie, secon do Marx, con il massimo sviluppo delle società per azioni, allorché, da un lato, il « capitale monetario assume un ca rattere sociale, si concentra nelle Banche e da queste, non piu dai suoi proprietari immediati, viene dato a prestito » e, dall'altro, « il semplice dirigente, che non possiede il capitale sotto alcun titolo, né a titolo di prestito né altri menti, esercita tutte le funzioni effettive che competono al capitalista operante in quanto tale » , A questo livello, «rimane unicamente il funzionario, e il capitalista ( il ca pitalista operante) scompare dal processo di produzione come personaggio superfluo » ", L'analisi del processo di « autonomizzazione » del ca pitale è ripresa nelle celebri pagine sulla « formula tri nitaria » 67 , Se tutte le forme di società che arrivano al ca pitale mercantile e alla circolazione monetaria sono ca ratterizzate dall'elemento mistificante « che trasforma i rapporti sociali, ai quali gli elementi materiali della ric chezza servono da depositari nella produzione, in proprie tà di queste cose stesse ( merce) e ancora in modo piu ac centuato il rapporto di produzione stesso in una cosa (delavorativo, dove il capitalista operante compie semplicemente un lavoro di verso dall'operaio. Cosi che il lavoro consistente nello sfruttare ed il lavoro sfruttato sono entrambi identici in quanto lavoro. Il lavoro consistente nello sfruttare è lavoro allo stesso modo come il lavoro che viene sfruttato. L'interesse diviene la forma sociale del capitale, ma espresso in una forma neutrale e indifferente; il guadagno d'imprenditore diviene la funzione eco nomica del capitale, ma spogliato del carattere determinato, capitalistico di questa funzione " (pp. ,8-'9). 65 Ibid., p . ,8, o. Ibid., p . 64. 67 Il capitale cit., III, 3, pp. 22' sgg., soprattutto il frammento III, pp. 228 sgg,
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naro ) . . . , nel modo di produzione capitalistico e nel caso del capitale, che è la sua categoria dominante, il suo rapporto di produzione determinante, questo mondo stregato e ca povolto si trasforma ancor molto di piu » 68. Nella sfera della produzione diretta, il rapporto capitalistico, in quan to il capitale «pompa » il pluslavoro soprattutto nella for ma del plusvalore assoluto, del prolungamento della gior nata lavorativa, appare in un primo tempo ancora chiara mente alla luce. Ma, come già si è visto, con lo sviluppo del plusvalore relativo, ossia con il « vero e proprio modo di produzione capitalistico, con il quale si sviluppano le forze produttive sociali del lavoro, queste forze produtti ve e i nessi sociali del lavoro appaiono nel processo lavo rativo diretto come trasferite dal lavoro nel capitale » ". Il capitale diviene già cosi una « entità assai mistica ». Il contenuto specifico di questa « entità » è, come già abbia mo accennato, la forma capitalisticamente pianificata del processo sociale di produzione, la socializzazione capitali stica del lavoro. Nel passaggio alla realizzazione del valore e del plusvalore, alla sfera della circolazione, «sia la resti tuzione dei valori anticipati nella produzione, sia, in par ticolare, del plusvalore contenuto nelle merci non sembra semplicemente realizzarsi nella circolazione ma sgorgare da essa» 70 . In particolare operano due fattori a convalida di tale « apparenza » : il profitto per alienazione, e il tem po di circolazione, che « appare come se fosse una causa altrettanto positiva quanto il lavoro stesso e come se ap portasse una determinazione derivante dalla natura del capitale, e indipendente dal lavoro » 71 . Con la trasformazione del plusvalore in profitto, e an cor piu con la trasformazione del profitto in profitto me dio e dei valori in prezzi di produzione, si « nasconde sem pre piu la vera natura del plusvalore e quindi l'effettivo meccanismo del capitale » 72. 68
Ibid., p. 239 . Ibid. Ibid., p. 240. 71 Ibid. 72 Ibid. , p . 241. Marx cosi riassume qui la teoria dei prezzi di produ zione: « Interviene qui un complicato processo sociale, che pone su un piano di parità i capitali, separando i prezzi medi relativi delle merci dai •, 70
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Infine, per Marx la «solidificazione » della forma del plusvalore si completa nella divisione del profitto in in teresse e guadagno dell'imprenditore; « per cui anche la forma " capitale-interesse " posta come terza dopo « terra rendita " e « lavoro-salario " è molto piti conseguente che non « capitale-profitto " , in quanto nel profitto rimane sempre un ricordo della sua origine, mentre nell'interesse non soltanto è scomparso questo ricordo, ma vi è una for ma saldamente contrapposta a questa origine » 73. Alla fine di questo frammento, Marx fa un'affermazio ne molto importante, che riportiamo per esteso, poiché, ci sembra, è stata scarsamente messa in rilievo dagli inter preti : « Nell'esporre l'oggettivazione dei rapporti di pro duzione e la loro autonomizzazione rispetto agli agenti della produzione, non indaghiamo il modo in cui le con nessioni per mezzo del mercato mondiale, le sue congiun ture, il movimeIito dei prezzi di mercato, i periodi del cre dito, i cicli dell'industria e del commercio, l'alternarsi di prosperità e crisi, appaiono a questi agenti come leggi naturali onnipotenti che li dominano riducendoli all'impo tenza e che operano nei loro confronti come cieca neces sità. E ciò perché il movimento effettivo della concorrenloro valori e i profitti medi nelle diverse sfere di produzione (astraendo completamente dagli investimenti individuali di capitale in ogni partico lare sfera di produzione) dall'effettivo sfruttamento del lavoro da parte dei singoli capitali. Il prezzo medio delle merci non soltanto appare ma è qui di fatto distinto dal loro valore, quindi dal lavoro in esso realizzato, e il profitto medio di un singolo capitale è distinto dal plusvalore che que sto capitale ha estratto dagli operai da esso impiegati. Il valore delle merci appare ormai direttamente soltanto nell'influsso che il variare della forza produttiva del lavoro esercita sulla diminuzione e l'aumento dei prezzi di produzione, sul loro movimento, non sui loro limiti ultimi. Il profitto ap pare ormai solo determinato in modo accessorio dallo sfruttamento diretto del lavoro, in quanto questo precisamente permette al capitalista di realiz zare un profitto che si discosta dal profitto medio, con i prezzi di mercato regolatori, che in apparenza esistono indipendentemente da questo sfrut tamento. Gli stessi profitti medi normali sembrano immanenti al capitale, indipendenti dallo sfruttamento; lo sfruttamento anormale, oppure anche lo sfruttamento medio esercitato in condizioni eccezionalmente favorevoli, sembra determinare soltanto le deviazioni dal profitto medio, non il pro fitto medio stesso » (p. 24I). 73 Ibid., p. 242. Qui Marx riconosce « il grande merito dell'economia classica », che ha parzialmente dissolto « questa falsa apparenza e illusio ne »: « il mondo stregato, deformato e capovolto in cui si aggirano i fan tasmi di Monsieur le Capitai e Madame la Terre, come caratteri sociali e insieme direttamente come pure e semplici cose » (pp. 242-43).
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za non rientra nel nostro piano, e dobbiamo esaminare soltanto l'organizzazione interna del modo di produzione capitalistico, per cosi dire, nella sua media ideale » 74. L'« oggettivazione » del capitale nella formula trinita ria appare dunque soltanto al grado pili elevato dello svi luppo capitalistico : caratterizzato dal capitale produttivo d'interesse. Questo è il massimo livello di sviluppo capi talistico previsto da Marx. La massima socializzazione del capitale è nella forma del capitale finanziario. Nella rap presentazione generale del modello capitalistico, la con correnza è messa da parte; ma la regolazione del proces so complessivo di produzione nella sfera della circolazio ne è considerata soltanto attraverso la teoria dei prezzi di produzione, che rappresenta bensi un meccanismo regola tore del sistema, ma un meccanismo ancora «ciecamente operante » rispetto ai singoli agenti della produzione. Tut tavia la figura del capitalista operante è diventata « super flua» ; al suo posto, subentrano i funzionari produttivi del capitale, mentre il banchiere incarna la figura del capitali sta collettivo. C'è, secondo Marx, un processo storico di coesione crescente del sistema, che attraversa diversi sta di (dal predominio del capitalista individuale a quello del capitalista come semplice azionista del capitale sociale, mediante il passaggio ai prezzi di produzione, fino alla comparsa del capitale sociale in forma finanziaria e alla di visione del profitto in interesse e guadagno d'imprendi tore). È evidente che a ciascuno di questi diversi stadi di sviluppo le forme specifiche che assume il plusvalore (le leggi di movimento del capitale complessivo) si differen ziano. Allorché la legge del plusvalore funziona come « piano » soltanto al livello di fabbrica, la lotta politica della classe operaia si configura essenzialmente come lot ta contro l'anarchia nella società. Poiché, a questo livello, si esaltano le contraddizioni interne del capitalismo nella sfera della circolazione ( anarchia nei movimenti reciproci dei capitali individuali), la lotta del proletariato si realiz74
Ibid. , p. 243.
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za in questa sfera e assume essenzialmente la forma di una « politica di alleanze » . La lotta nella sfera della produzio ne diretta è destinata a restare nell' ambito della lotta « economica » e il sindacalismo ne è la forma tipica. Il mo dello corrispondente di società socialista è la pianificazio ne, ma non qualificata in modo determinato rispetto ai rapporti sociali nella sfera della produzione. È ciò che ri pete, con uno schematismo esasperato, il giovane Lenin. Ma l 'analisi marxiana della fabbrica, della produzione diretta nel capitalismo, presenta elementi assai ricchi per la formulazione di una prospettiva socialista che non pog gi sulla base illusoria e mistificata della sua identità con la pianificazione, presa in sé, astrattamente dal rapporto so ciale che in essa ( nelle sue diverse forme) può esprimersi. Marx distrugge in questa analisi l 'equivoco della impossi bilità capitalistica di pianificare. Anzi, il sistema tende a reagire a qualsiasi tipo di contraddizione e di limitazione al suo mantenimento e al suo sviluppo proprio con un ac crescimento del suo grado di pianificazione : in questa si esprime fondamentalmente la legge del plusvalore. Cosi anche, Marx riconosce esplicitamente che l'abolizione del la vecchia divisione del lavoro non viene automaticamente preparata dallo sviluppo capitalistico : vengono semplice mente preparati, nella forma antagonistica del piano capi talistico, « fermenti rivoluzionari ». La caricatura capitali stica del processo lavorativo regolato non è un semplice involucro, caduto il quale appaiono alla luce belle e pronte le forme della nuova società. Il piano capitalistico non è un « legato » che la classe operaia possa assumere dal ca pitale. Tuttavia in Marx, almeno nei limiti del I libro del Capitale, prevale la dicotomia: pianificazione nella fab brica - anarchia nella società. Ed ogni volta che rende espli citi i contenuti di questo rapporto mette in ombra gli aspetti del dominio capitalistico che derivano dall'uso ca pitalistico della razionalità, ed esalta invece le « devasta zioni derivanti dall'anarchia sociale ». Il piano si arresta alle soglie della fabbrica, che rimane il regno chiuso del processo sociale di produzione. Nel processo complessivo, esso non funziona. Anzi, la sfera della circolazione è il suo
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riscontro simmetrico: l'anarchia nella circolazione cresce con il crescere della pianificazione al livello della produzio ne diretta. Le leggi che regolano il movimento dei singoli capitali e che determinano lo sviluppo del capitale socia le complessivo non sono conosciute se non a posteriori da gli agenti della produzione. Perciò, esse si scontrano con le leggi « razionali » del piano. C'è dunque un livello (la fabbrica, la produzione diretta) nel quale il capitalismo ha incorporato nel suo modo di produzione la scienza e la tec nica; c'è un altro livello (la società nel suo complesso), nel quale il capitalismo si presenta come modo di produzione << incosciente », anarchico, affidato ai movimenti non con trollati della concorrenza. È solo a questo secondo livello che gli effetti dell'uso capitalistico delle macchine non so no regolati dal capitale : disoccupazione tecnologica, mo vimenti ciclici, crisi, sono fenomeni che il capitale non controlla (né potrebbe, dacché il movimento complessivo del capitale sociale è soltanto la risultante dell'intreccio dei movimenti dei capitali individuali). Per questo, la prospettiva socialista e di lotta operaia che si ricava dal I libro del Capitale rimane ambigua: la crescita del comando sul lavoro nella forma della pianifica zione condurrebbe a una prospettiva di scontro diretto tra capitale e classe operaia (e Marx vi accenna esplicitamen te), attraverso il rifiuto dello schema acritico che identi fica il massimo sviluppo delle forze produttive (macchino fattura, automazione, socializzazione del lavoro ) con l'uso capitalistico della tecnica. In tale prospettiva, gli elementi del processo lavorativo compatibili con una regolazione sociale dovrebbero essere criticamente recuperati, distri candoli dall'intreccio capitalistico di tecnica-scienza e po tere. Ma d'altra parte, l'accentuazione dell'aspetto dell'a narchia sociale come caratteristica del processo comples sivo della produzione capitalistica tende, nella prospetti va della rottura del sistema, a recuperare invece il piano in quanto tale come « valore » essenziale del socialismo : entro i limiti dello schema del I libro del Capitale c'è an che, in nuce, l'identità che oggi si sviluppa sia teoricamen te sia praticamente, di socialismo e pianificazione, al di
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qua della considerazione del rapporto sociale sulla base del quale la pianificazione opera 7S. Nel Capitale, d'altra parte, la rilevanza dei movimenti dei capitali nella circolazione è diversa nei diversi stadi dello sviluppo. I fenomeni tipici di questa sfera ( anarchia, fluttuazioni cicliche, etc.) non sono mai visti come eventi « catastrofici », ma essenzialmente come modi di sviluppo del capitale. La dinamica del processo capitalistico è in sostanza dominata dalla legge della concentrazione e della centralizzazione, e tale dinamica mette capo a quella che per Marx è la fase piu alta dello sviluppo e insieme della « autonomizzazione » del capitale, cioè la fase del capitale finanziario. Mentre, quindi, la pianificazione nella sfera della produzione diretta appare come espressione generale (storicamente e praticamente permanente, e sempre piu dominante), l'anarchia (la concorrenza) è soltanto una fa se transitoria nello sviluppo capitalistico. Sotto questo profilo, l'ambiguità di prospettiva che nasce dallo schema del rapporto : pianificazione nella fabbrica - anarchia nella società sembra superabile all'interno stesso del pensiero marxiano, anzi all'interno dello stesso I libro del Capitale. C'è diffusamente, semmai, in Marx (si veda la parte fina le del frammento dei Grundrisse pubblicato qui di segui to * ) una teoria della « insostenibilità » del capitalismo al suo massimo livello di sviluppo, allorché le forze produtti ve « sovrabbondanti » entrano in conflitto con la « base ri stretta» del sistema, e la misurazione quantitativa del la voro diventa un palese assurdo 76 . 75 Nei limiti di questi appunti, l'osservazione che è nel testo non viene sviluppata. Sarà questo il compito di un altro Qùaderno. Basti qui accen· nare alla incapacità di numerosi economisti marxisti contemporanei a sta bilire altra differenza tra pianificazione cap,italistica e pianificazione socia lista che non sia meramente di quantità rispetto al processo complessivo della produzione. Pertanto. le tecniche della pianificazione e le « scienze prasseologiche ,. vengono trattate come neutrali, a prescindere dal rapporto sociale nel quale entrano. * [Si tratta del celebre Frammento sulle macchine, tradotto da Renato $olmi per il n. 4 dei « Qùaderni rossi » (pp. 289-300)]. 76 Nel frammento citato, si ha un modello di « passaggio » dal capitali smo direttamente al comunismo. Contra, numerosi passi del Capitale e la Critica al programma di Gotha. Il problema qui accennato sarà oggetto di un'analisi dettagliata in uno dei prossimi numeri dei « Quaderni ».
PLUSVALORE E PIANIFICAZIONE Ma questa prospettiva rinvia immediatamente a un'al tra questione: lo sviluppo del capitalismo nella sua forma recente dimostra la capacità del sistema ad «autolimi tarsi», a riprodurre con interventi consapevoli le con dizioni della sua sopravvivenza, e a pianificare, con lo svi luppo capitalistico delle forze produttive, anche i limiti di questo sviluppo stesso (ad esempio, con la pianificazione di una quota di disoccupazione). Si ritorna dunque al pro blema fondamentale dello stadio capitalistico non previsto da Marx, al suo livello odierno ( al di là di quello del capi tale finanziario) nei punti piu avanzati. È addirittura una ovvia banalità affermare che il capitalismo dei monopoli e degli oligopoli non viene spiegato con il predominio del capitale finanziario. Dal capitalismo mono-oligopolistico si sviluppa il capitalismo pianificato. L '« oggettivazione» quale si manifesta nella formula trinitaria, alla luce di que sti sviluppi, appare come una forma assai meno «perfezio nata» di quanto n()fi apparisse a Marx. Poiché con la pia nificazione generalizzata il capitale estende direttamente la forma mistificata fondamentale della legge del plusva lore dalla fabbrica all'intera società, ora veramente sem bra scomparire ogni traccia dell'origine e della radice del processo capitalistico. L'industria reintegra in sé il capi tale finanziario e proietta a livello sociale la forma che spe cificamente in essa assume l'estorsione del plusvalore: co me sviluppo « neutro» delle forze produttive, come razio nalità, come piano. Il compito dell'economia apologetica è assai facilitato. Anche sul pensiero �i Marx, abbiamo già notato, gli aspetti piu evidenti e piu massicci della società capitali stica a lui contemporanea esercitano una certa «sopraffa zione» ; occorre mettere da parte tutti gli aspetti contin genti del pensiero marxiano per cogliere in esso alcune suggestioni potenti sulla dinamica complessiva dello svi luppo del capitalismo. Soprattutto, bisogna lasciar cadere taluni schemi irrigiditi dei quali sono parte essenziale alcu ni tratti «ipertrofici» derivanti dall'anarchia nella circola zione. Resta fondamentale l'importanza che ha nel pen siero di Marx la capacità del sistema capitalistico a reagi-
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re alle conseguenze distruttive del funzionamento di certe « leggi » , passando a uno stadio « superiore », introducendo nuove leggi, destinate a garantire la sua continuità sulla base della legge del plusvalore. Considerato in tal guisa, Il capitale presenta un modello dinamico generale del mo do di produzione capitalistico, nel quale, a ogni « fase », quelle che nella fase precedente si presentavano come controtendenze subordinate ad altre tendenze prevalenti, possono rovesciarsi a loro volta in nuove tendenze domi nanti. In questo modello dinamico, la sola costante è la crescita ( tendenziale) del potere del capitale sulla forza lavoro. Sono dunque riconoscibili (e il punto di vista di Marx comporta che vengano riconosciuti), nel processo di svi luppo del capitalismo, stadi differenti, che l'analisi deve distinguere, senza cadere nell'errore « sistematico » di fis sare la rappresentazione di un momento determinato, con le sue leggi particolari e transitorie, come « il modello fon damentale » , al quale l'ulteriore sviluppo del sistema po trebbe al massimo apportare correzioni piu o meno mar ginali. C'è stato in effetti, nel pensiero marxista dopo Marx, un momento di riconoscimento della « svolta » verificatasi nel sistema con la comparsa del capitalismo monopolistico e dell'imperialismo intorno agli anni ' 70 ( e che oggi ci ap pare come un periodo di transizione rispetto alla « svolta » che, iniziatasi negli anni ' 30, v a tuttora compiendosi). Ma l'analisi e la rappresentazione della fase nuova nascente con quella svolta è stata messa immediatamente in rela zione con leggi che essa stessa tendeva a superare; ed è stata quindi interpretata come «ultima fase » 77. Il marxi77 La mitologia dello « stadio ultimo li> del capitalismo è presente con funzioni ideologiche diverse, anzi opposte, sia in Lenin sia in Kautsky: in Lenin per « legittimare » la rottura del sistema in punti meno avanzati del suo sviluppo, in Kautsky per sanzionare il rinvio riformistico dell'azione rivoluzionaria alla « pienezza dei tempi ... Dacché la rivoluzione nel ' 1 7 non riesce a saldarsi con la rivoluzione nei paesi piu avanzati, essa ripiega sui contenuti immediatamente realizzabili al livello di sviluppo della Russia: e il mancato chiarimento circa la possibile presenza del rapporto sociale capitalistico nella pianificazione (insufficienza che permane in tutto lo svol gimento del pensiero leniniano) agevolerà in seguito la ripetizione nei rap porti di produzione, sia di fabbrica sia nella produzione sociale comples-
PLUSVALORE E PIANIFICAZIONE smo stesso diviene COS1 pensiero « apologetico » , cioè pen siero legato a una visione formalistica, che si muove alla superficie della realtà economica e non riesce a cogliere l'insieme né l'interna variabilità del funzionamento del si stema. I cambiamenti vengono visti a livello empirico, e quando ci si sforza di raggiungere un livello « scientifico », si torna a modelli di spiegazione che astraggono dallo svi luppo storico ( e ripetono quindi, paradossalmente, gli schemi dell'economia « razionale », eternamente valida). Accade COS1 che al pensiero marxista sfugga, in generale, la caratteristica fondamentale dell'odierno capitalismo ", che è nel recupero dell'espressione fondamentale della leg ge del plusvalore, il piano, dal livello di fabbrica al livello sociale. siva, di forme capitalistiche, dietro lo schermo ideologico dell'identifica zione del socialismo con la pianificazione e della possibilità del socialismo in un solo paese. " La pianificazione autoritaria come espressione fondamentale della legge del plusvalore e la tendenza alla sua estensione alla produzione so ciale complessiva sono intrinseche all'intero sviluppo capitalistico; nella fase attuale questo processo appare con maggiore evidenza, come tratto distintivo delle società capitalistiche, in forme che sono irreversibili. Ciò non significa, naturalmente, che oggi vada realizzandosi « l'ultimo stadio » del capitalismo, che è espressione priva di senso. Tra l'altro, il rapporto di proporzionalità consapevolmente controllata, tra produzione e consumi, è ancora stabilito con strumenti rozzi e approssimativi; e, ciò che piu con ta, ancora soltanto nell'ambito nazionale, o in aree internazionali ristrette, dei paesi piu avanzati, sulla base della produzione di beni di consumo du revoli: in limiti, cioè, insufficienti a garantire uno sviluppo equilibrato del sistema. Le difficoltà assai gravi che emergono in tale situazione sono evidenti nel peso crescente che assume negli Usa la produzione bellica '(e tutti i settori legati a tale produzione) e negli ostacoli frapposti ai pro grammi di conversione. In questi casi, ci si trova dunque in presenza, non del ritorno o della sopravvivenza di vecchie contraddizioni ma di nuove contraddizioni e strozzature nello sviluppo capitalistico, che hanno impor tanti conseguenze politiche.
Uso socialista dell'inchiesta operaia
L'Uso socialista dell'inchiesta operaia è l'intervento di Panzieri al seminario sull'inchiesta tenuto dai « QR » a Torino nel settembre 1964, pubblicato postumo l'anno seguente sul quinto numero della rivista. In esso Panzieri si propone di contribuire alla messa a pun to degli strumenti sociologici d'indagine, affrontando sul piano teo rico le questioni generali di metodo implicate dalla tematica dell'in chiesta. :B questo l'unico luogo in cui tenta una definizione globale del marxismo, approfondendo in modo particolare il suo statuto teorico e il rapporto del marxismo col pensiero borghese.
Non ho trovato modo migliore per portare qualche chiarimento al tema Scopi politici dell'inchiesta, se non quello di rifarmi ad alcune questioni del marxismo; ciò presenta il pericolo di accentrare la discussione su temi teorici e forse anche affrontarli non nel modo piu proficuo, cosa che invece io penso debba essere evitata, in modo da dare a questo seminario una destinazione diciamo pure pratica, cioè: definizione del questionario, organizzazio ne e avvio dell'inchiesta. Il vantaggio, d'altra parte, è quello forse di facilitare la precisazione di un certo meto do di lavoro dei « QR » che a volte ho l'impressione susciti ancora perplessità in alcuni compagni. Voglio dire che ho l'impressione che alcuni compagni portino ancora, verso la sociologia e l'uso di strumenti sociologici, diffidenze che a me non sembrano giustificate, che a me sembrano essen zialmente motivate dai residui di una falsa coscienza, cioè dai residui di una visione dogmatica del marxismo. È evi dente che l'uso di strumenti sociologici a scopi politici operai non può non riaprire questa discussione, dal mo mento che il fondamento scientifico di una azione rivolu zionaria storicamente s'identifica col marxismo.
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USO SOCIALISTA DELL' INCHIESTA OPERAIA
Brevissimamente vorrei fare qualche riferimento filolo gico : il marxismo - quello della maturità di Marx - na sce come sociologia; Il capitale, in quanto critica dell'eco nomia politica, che cosa è se non un abbozzo di una socio logia? La base della critica dell'economia politica è la accusa riccamente - se non sempre sufficientemente e per suasivamente - documentata del carattere unilaterale del l 'economia politica. Intendiamoci, questo tema risale al giovane Marx, da questo punto di vista c'è una continuità tra il giovane Marx e Il capitale; l'economia politica che riduce l'operaio a fattore della produzione è colta, non nella sua falsità, ma nel suo limite, appunto in questo: l'e conomia politica pretende di chiudere la realtà sociale dentro lo schema limitato di un particolare modo di fun zionamento, e assume poi questo modo di funzionamento come il migliore e quello naturale. Però mentre nei ma noscritti economico-filosofici e in tutte le opere del Marx giovane questa critica dell'economia politica è poi colle gata a una visione storico-filosofica dell'umanità e della storia, cioè il termine di confronto è l'uomo alienato ( << l'o peraio soffre nella propria esistenza, il capitalista soffre nel guadagno del suo morto mammone » ), il Marx del Ca pitale abbandona questo tema filosofico, metafisico, questa critica è rivolta esclusivamente ad una specifica realtà che è la realtà capitalistica, e non pretende di essere l'anticriti ca universale rispetto alla unilateralità della economia po litica borghese. lo credo sia facile sostenere che una visione della so ciologia come scienza politica è un aspetto fondamentale del marxismo; se si deve dare una definizione generale del marxismo direi che è proprio questa: una sociologia con cepita come scienza politica, come scienza della rivolu zione. A questa scienza della rivoluzione viene tolto ogni significato mistico ed essa viene ricondotta quindi all'os servazione rigorosa, all'analisi scientifica. ( Questo poi è di mostrabile anche per il Marx politico, ma non sviluppo questo tema). Si sviluppa, d'altra parte, contemporanea mente a Marx, sotto la comune denominazione di marxi smo, un altro filone, che è quello poi che credo sia anche all'origine delle diffidenze marxiste moderne verso la so-
USO SOCIALISTA DELL'INCHIESTA OPERAIA ciologia in quanto tale; questo filone, lo sappiamo benissi mo, può essere fatto risalire a certi scritti di Engels, il qua le viceversa nella sua pretesa di stabilire un materialismo generale e una dialettica di universale validità, evidente mente crea un sistema, che comunque appare poco fe dele al pensiero di Marx. La scienza della dialettica, ap plicabile alle scienze fisiche come alle scienze sociali, evi dentemente è una negazione della sociologia come scienza specifica, e invece di fronte a questa ricrea una metafisi ca, che è altrettanto la metafisica del movimento operaio quanto la metafisica del girino e della rana. A questo pun to, dietro il naturalismo della tradizione marxista-engel siana, dietro all'oggettivismo naturalistico, spunta una concezione mistica della classe operaia e della sua missio ne storica; a questo punto si giustifica perfettamente la diffidenza verso la sociologia in linea di principio ; se noi dovessimo accettare il marxismo in questa versione evi dentemente non sarebbe possibile una scienza dei fatti sociali. C'è un tratto specifico nella sociologia marxista, la qua le nasce dalla critica dell'economia politica, sul quale piut tosto mi sembra opportuno insistere e che segna un certo limite oppositivo tra una sociologia del movimento ope raio e una sociologia che non tiene conto di questo elemen to (non la definisco adesso borghese perché ancora non sa rebbe giustificato). Il limite è che la sociologia di Marx, in quanto nasce dalla critica dell'economia politica, nasce da una constatazione e osservazione sulla società capitalhti ca, la quale è fondamentalmente una società dicotomica, una società nella quale la rappresentazione unilaterale del la scienza che essa ha sviluppato, cioè della scienza della economia politica, lascia fuori l'altra metà della realtà. Il fatto di trattare la forza-lavoro soltanto come elemento del capitale, secondo Marx, provoca in linea di principio dal punto di vista teorico una limitazione e anche una de formazione interna al sistema che si costruisce. Quindi per Marx l'analisi sociologica socialista (intesa come scienza politica, perché è un'osservazione che pretende di supe rare questa unilateralità e di cogliere la realtà sociale nella SU,l interezza) è caratterizzata dalla considerazione speci-
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fica delle due classi fondamentali che la costituiscono. An cora sottolineo il carattere sociologico del pensiero di Marx da questo punto di vista, che rifiuta la individuazio ne della classe operaia a partire dal movimento del capi tale, cioè afferma che non è possibile risalire dal movimen to del capitale automaticamente allo studio della classe operaia: la classe operaia sia che operi come elemento con flittuale, e quindi capitalistico, sia come elemento antago nistico; e quindi anticapitalistico, esige una osservazione scientifica assolutamente a parte. Quindi credo che da questo punto di vista la fine della sociologia nella tradizione marxista sia un indice d'involu zione del pensiero marxista. Mi fermo un momento su questo punto. La storia culturale degli ultimi venti anni ci presenta un grande sviluppo di una sociologia al di fuori del pen siero marxista, della tradizione e anche del pensiero mar xiano. Anche se bisogna dire che quello forse che può es sere considerato come il personaggio piu importante della storia della sociologia, cioè Weber, ha tenuto evidente mente conto in modo molto serio del pensiero marxiano. Questa credo ché sia una delle cose a cui varrà la pena di dedicare approfondimenti e studi da parte dei « QR » per ché è un nodo che dobbiamo riuscire ad individuare bene in tutte le sue caratteristiche. Addirittura la sociologia borghese si è sviluppata, se condo me, a tal punto da presentare dei caratteri di analisi scientifica che sopravanzano il marxismo. (Alcune cose che ho detto forse servono come filone molto generale a chia rire questa specie di vicenda). Si può azzardare un'ipotesi, nel linguaggio marxiano, cioè che il capitalismo, avendo perduto il suo pensiero classico nella economia politica, come l'ha perduto (vedi : crisi della economia moderna, crisi dell'economia soggettiva, ecc. e tentativi, piu o me no monchi, di riprendere il filo della tradizione del pen siero classico nell'economia), abbia viceversa trovato la sua scienza non volgare nella sociologia. Un'ipotesi di questo genere permetterebbe anche di indagare le "radici oggettive di questo fatto, che forse hanno una prima con notazione molto grossolana nel fatto che, mentre in un
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primo tempo il capitalismo abbisogna soprattutto d'inda gare !luI proprio meccanismo di funzionamento, in "� se condo tempo, quando esso è piu maturo, ha bisogno in vece di organizzare lo studio del consenso, delle reazioni sociali che s'impiantano su questo meccanismo. Questo evidentemente diventa tanto piu urgente per il capitali smo quanto piu esso si sviluppa e passa alla fase superio re, alla fase di pianificazione, quanto piu esso si libera (co me determinante) dai rapporti di proprietà e fonda sem pre di piu la sua stabilità e il suo potere sulla crescente razionalità dell'accumulazione. Questo non significa affatto, secondo me, che la socio logia sia una scienza borghese, anzi, significa che noi pos siamo usare, trattare, criticare la sociologia come Marx faceva con l'economia politica classica, cioè vedendola come scienza limitata (e del resto dal tipo d'inchiesta che stiamo progettando è evidente che in essa ci sono già tutte le ipotesi che vanno al di fuori del quadro della sociologia corrente), e tuttavia significa che ciò che essa vede nel complesso è vero, cioè non è falsificato in sé, ma è piutto sto qualcosa di limitato, che provoca delle deformazioni interne; ma essa tuttavia conserva quello che Marx con siderava il caratt�re di una scienza, cioè un'autonomia che regge su un rigore di coerenza, scientifico, logico. Allora ripeto che bisogna avere molta diffidenza nei confronti della diffidenza verso la sociologia borghese: �i pare cioè che anche la storia del marxismo dimostri come invece la presa di contatto seria con questo sviluppo del pensiero sia una condizione per una ripresa di un pensie �o politico rivoluzionario. Come poi questa vicenda si sia aggravata attraverso le politiche di marca staliniana è co sa che non deve essere neanche dimostrata, perché è ovvio che, nella grande mistificazione sovietica del pensiero sta liniano, era una misura igienica elementare creare una spe cie di cintura nei confronti della sociologia : questo era assolutamente indispensabile. Può essere piu o meno ri portato alle origini questo fatto, ma è un fatto storico evi dente. Bisogna anche aggiungere che il pensiero marxiano co me sociologia era un tema molto caro a Lenin, che da gio-
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vane trattò come opera di sociologia le opere di Marx: egli dice esplicitamente che le tratta come tali, ed io credo che in questa come in molte altre cose Lenin avesse perfetta mente ragione. Ora io vorrei, prima di fare ancora un ac cenno ad un aspetto della sociologia contemporanea, che secondo me è da vedere criticamente con molto rigore e forza, accennare al rapporto che si può stabilire tra l'uti lizzazione della inchiesta sociologica e il marxismo. Que sto è un tema, io credo, che in fondo abbiamo portato avanti fin dalla nascita dei « QR » e non abbiamo mai svi luppato fino in fondo; l'abbiamo affermato, ma poi in real tà non l'abbiamo rigorosamente ragionato. Sottolineo una cosa a cui avevo già accennato prima: cioè che la dicotomia sociale di fronte alla quale noi ci tro viamo comporta un livello d'indagine scientifica molto alto, sia per quel che riguarda il capitale, sia per quel che riguarda l'elemento conflittuale e potenzialmente antago nistico che è la classe operaia. lo direi che il metodo dell'inchiesta da questo punto di vista è un riferimento politico permanente per noi, a par te che si deve poi esprimere in un fatto specifico, in que sta o quella inchiesta; esso significa il rifiuto di trarre dal l'analisi del livello del capitale l'analisi del livello della classe operaia. Significa, in sostanza, che vogliamo ripete re la proposizione di Leriin che il movimento politico ope raio è l'incontro del socialismo con il movimento spon taneo della classe operaia. Cioè dentro il movimento spontaneo della classe operaia - diceva Lenin, con una im magine abbastanza bella -.se non c'è l'incontro con il so cialismo come fatto volontario, cosciente e scientifico, c'è l'ideologia dell'avversario di classe. Il metodo dell'inchie sta cioè è il metodo che dovrebbe permettere di sfuggire ad ogni forma di visione mistica del movimento operaio, che dovrebbe assicurare sempre un'osservazione scientifi ca del grado di consapevolezza che ha la classe operaia; e dovrebbe essere quindi anche la via per portare questa consapevolezza a gradi piu alti; da questo punto di vista c'è una continuità ben precisa tra il momento dell'osserva zione sociologica. condotta con criteri seri e rigorosi, e l'a zione politica: !'indagine sociologica è una specie di me-
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diazione, se si fa a meno della quale si rischia di cadere in una visione o pessimistica o ottimistica, comunque asso lutamente gratuita, di quello che è il grado di antagonismo e di coscienza di classe da parte della classe operaia. È chiaro che questa considerazione ha delle conseguenze su gli scopi politici dell'inchiesta, anzi in sé rappresenta lo scopo massimo dell'inchiesta stessa. Adesso vorrei toccare due questioni: mi pare che sia ne cessario, nella scelta degli strumenti della sociologia con temporanea, compiere effettivamente alcune operazioni critiche, soprattutto per quel che riguarda tutti questi aspetti che si chiamano microsociologia, nei quali i limiti assunti a priori portano probabilmente a delle grosse de formazioni, nel senso che non permettono di vedere con nessioni che invece potrebbero essere tirate fuori se que gli studi fossero collocati in ambito piu ampio; cioè molto spesso in questo tipo di ricerche, che per esempio in parte sono anche antropologiche, vengono scelti a priori dei te mi isolandoli da un contesto piu ampio, cercando di non vedere le correlazioni con tale contesto, e questo porta ad una vera deformazione nella scelta stessa. Vengono molto spesso in realtà scelti quei temi che possono essere ricom presi nell'ambito di una risoluzione dei conflitti, però le connessioni che invece possono esistere tra i rapporti so ciali studiati in questo campo e una prospettiva antagoni stica di rovesciamento del sistema, queste vengono scar tate a priori. È evidente che l'uso socialista della sociologia richiede dei ripensamenti, richiede che questi strumenti vengano studiati alla luce delle ipotesi fondamentali che si assu mono, che poi si riassumono in una: nel fatto che i conflit ti si possono trasformare in antagonismi e quindi non es sere piu funzionali al sistema ( tenendo conto che i conflitti sono funzionali al sistema, perché è un sistema che va avanti coi conflitti). Mi pare che in questo quadro assuma un'importanza fondamentale quello che si diceva questa mattina, cioè che è necessario che un aspetto dell'inchiesta sia rappresenta to dalla cosiddetta « inchiesta a caldo », cioè l'inchiesta fat ta in una situazione di notevole movimento conflittuale,
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e in questa situazione studiare il rapporto tra conflitto e antagonismo, cioè studiare in che maniera cambia il siste ma di valori che l'operaio esprime in periodi normali, qua li valori si sostituiscono con consapevolezza di alternativa, quali scompaiono in quei momenti, perché ci sono dei va lori che l'operaio possiede in periodi normali e che non possiede piu in periodi di conflitto di classe e viceversa I . Studiare cioè particolarmente tutti i fenomeni che ri guardano la solidarietà operaia, e che rapporto c'è tra so lidarietà operaia e rifiuto del sistema capitalistico : cioè in che misura gli operai sono coscienti a quel momento che la loro solidarietà può essere apportatrice anche di forme sociali antagonistiche. Si tratta in sostanza di verificare in che misura gli operai sono coscienti di rivendicare di fron te alla società diseguale una società di eguali e quanto sono coscienti che questo possa assumere un valore generale per la società, in quanto valore di eguaglianza di fronte al la diseguaglianza capitalistica. Nell'accentuare gli aspetti dell'inchiesta « a caldo » c'è un riferimento, evidentemente, ad una assunzione fonda mentale; cioè che la società antagonistica in sé, è una so cietà che non riesce mai a ridurre a omogeneità per lo me no uno dei fattori fondamentali che la costituisce, cioè la classe oper�a; risulta allora necessario studiare in che mi sura è possibile cogliere in concreto la dinamica attraverso la quale la classe operaia tende a passare dal conflitto al l'antagonismo, cioè a rendere esplosiva questa dicotomia di cui vive la società capitalistica; per cui la formulazione, io credo, del questionario da applicare in queste situazioni merita una grossa attenzione, deve essere studiata molto bene. A questo vorrei aggiungere un'altra cosa particolarmen te importante, riferendomi ancora alla discussione di que sta mattina: l'inchiesta deve tener conto - sulla base della trasformazione fondamentale del capitalismo, cioè sulla base del passaggio del capitalismo alla pianificazione - dei I [Questa precisazione sul!'« inchiesta a caldo,. ridimensiona la critica mossagli da Alquati di concepire il momento dell'inchiesta come esterno alla lotta (cfr. R. ALQUATI, Sulla Fiat e altri scritti, Feltrinelli, Milano 19n)].
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processi di burocratizzazione, in quanto hanno questo ri ferimento reale, cioè il passaggio dal capitalismo alla pia nificazione e quindi l'importanza decrescente del rappor to di proprietà come base del capitalismo e l'importanza crescente invece della razionalità nell'accumulazione. Cosi. vanno viste le trasformazioni della classe operaia: essen zialmente sotto il profilo dei rapporti nuovi che si stabili scono tra operai e tecnici della costituzione di nuove cate gorie, e delle trasformazioni nella composizione della stes sa classe operaia. Mi pare che questi due aspetti siano preminenti : da un lato la verifica in situazioni di lotta dei due livelli, dall'al tro le tendenze provocate nella coscienza della classe ope raia e dei tecnici dalle trasformazioni del loro « status » . Mi pare che l'inchiesta debba tener presente un certo cambiamento che c'è stato storicamente nei rapporti capi talistici, per cui schematizzando possiamo dire: c'è un ro vesciamento del rapporto tra ricchezza e potere; mentre nel capitalismo classico la ricchezza è il fine e il potere è un mezzo, questo rapporto nel corso del capitalismo tende a rovesciarsi e il potere tende ad asservire la ricchezza, cioè la ricchezza diventa un mezzo per accrescere il potere. Questo evidentemente provoca dei grossi cambiamenti strutturali in tutti i rapporti sociali. Ora, se questi sono due aspetti preminenti, non si pos sono ancora chiamare in senso specifico due scopi dell'in chiesta; in modo schematico invece gli scopi dell'inchie sta si possono riassumere cosi.: noi abbiamo degli scopi strumentali evidentemente molto importanti che sono rappresentati dal fatto che l'inchiesta è un metodo cor retto, efficace e politicamente fecondo per prendere con tatto con gli operai singoli e gruppi di operai; questo è uno scopo molto importante: non solo non c'è uno scarto, un divario e una contraddizione tra l'inchiesta e questo lavoro di costruzione politica, ma l'inchiesta appare come un aspetto fondamentale di questo lavoro di costruzione politica. Inoltre il lavoro a cui l'inchiesta ci costringerà, cioè un lavoro di discussione anche teorica tra i compagni, con gli operai, ecc. è un lavoro di formazione politica mol to approfondita e quindi l'inchiesta è uno strumento otti-
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mo per procedere a questo lavoro politico. Poi ci sono altri scopi politici dell'inchiesta: cioè mi pare che sia deci siva al fine di togliere ambiguità che ancora esistono, an che notevoli, nella formazione teorica, ossia nella teoria che vanno elaborando i « QR », dal momento che ( come molti compagni hanno asserito) molti elementi di questo abbozzo di teoria sono ricavati soltanto per antitesi, cioè sono ricavati dalla critica delle posizioni ufficiali, o dalla critica comunque degli sviluppi che ha avuto il pensiero del movimento operaio, ma non sono positivamente fon dati, cioè non sono empiricamente fondati a livello di clas se. In assenza della possibilità di una verifica politica in senso compiuto, nella quale tuttavia il rigore della inda gine sarebbe sempre fondamentale, ma che evidentemen te ci darebbe elementi macroscopici, prove documentarie incontrovertibili, il lavoro di indagine fatto in questo mo do è il lavoro in un certo senso piu importante che noi pos siamo fare, cioè il lavoro che assicura anche il legame tra teoria e pratica che oggi sembra sfuggirci per ragioni og2 gettlve . Questo è uno scopo permanente che dovrebbe essere perseguito sempre e che in sostanza rappresenta un aspet to fondamentale di metodo del nostro lavoro. Un altro obiettivo importantissimo è costituito infine dal raggiungimento di una dimensione europea nel lavoro. Il confronto fatto attraverso l'indagine di varie situa zioni europee ci dovrebbe dare, non solo a noi, ma anche ai compagni francesi e tedeschi, elementi abbastanza im portanti per definire la possibilità o meno, e su quali basi, di una unificazione delle lotte operaie a livello europeo 3. •
2 [panzieri mostra qui di essere consapevole dei limiti storici delle for ze rivoluzionarie, che le impediscono di stabilire un rapporto organico con le lotte di massa e separano la battaglia teorica degli intellettuali ri voluzio nari dalla classe operaial. 3 [Anche se l'obiettivo dell'estensione dell'inchiesta a livello europeo non verrà realizzato, esprime però la sua convinzione che occorra superare la dimensione nazionale della lotta di classe per attaccare efficacemente il neocapitalismo].
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