Greg Bear L'enigma della protostella (Corona, 1984) Traduzione di Annarita Guarnieri
PROLOGO Da un orizzonte all'altro,...
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Greg Bear L'enigma della protostella (Corona, 1984) Traduzione di Annarita Guarnieri
PROLOGO Da un orizzonte all'altro, il cielo era pervaso da un cupo bagliore color porpora, striato di lievi filamenti ora di un candore latteo ora di un verde luminoso. T'Prylla sentì lo scricchiolio dei ciottoli secolari sotto la suola degli stivali, l'unico suono esistente a parte quello del suo respiro e i rumori prodotti dalla strumentazione della tuta; aveva lasciato la stazione per poter rimanere sola per un po' e per contemplare il sorgere dei nuovi soli, che avevano appena un anno di vita. La Stazione Uno era situata su un planetoide posto al limitare della Nebulosa Black Box e il suo personale era costituito da T'Prylla, da suo marito Grake, dai loro due figli e da due assistenti alla ricerca, Anauk e T'Kosa. Come riserva, cioè posti in uno stato d'animazione sospesa mediante ibernazione, al fine di risparmiare le limitate risorse, vi erano inoltre trenta volontari le cui specializzazioni variavano dall'astrofisica alla medicina spaziale. La stessa T'Prylla era stata la più famosa dottoressa in fisica di Vulcano, una cosa davvero rara, se si considerava che aveva appena una sessantina d'anni; tuttavia, la donna era entrata in attrito con l'Accademia Vulcaniana delle Scienze, a causa dei suoi metodi poco ortodossi di logica analitica che avevano provocato un'accusa di eresia nei suoi confronti, e aveva imposto a se stessa e alla propria famiglia questa forma di esilio volontario, per evitare che la situazione si deteriorasse ulteriormente. A conti fatti, quindi, solo lei era da biasimare per tutto ciò che era accaduto. Erano state fatte delle scoperte, ma non in tempo utile per salvare le trenta persone in ibernazione che erano da considerare come morte. Lei aveva raccolto più informazioni di qualsiasi altro studioso vivente sulle radiazioni Ybakra, ma a quale prezzo! E aveva appreso anche altre cose che forse non avrebbe mai potuto riferire. Quarantott'ore prima, Grake aveva trasmesso via spazio normale il
messaggio che avevano preparato insieme, ed entrambi avevano deliberatamente agito di nascosto dei bambini che, un giorno dopo l'altro, diventavano sempre più forti e decisi, guidati da una forza che né T'Prylla né Grake comprendevano: il potere che essi esercitavano sui genitori e sul personale della stazione era a dir poco sconcertante. Se fosse stata umana, la donna si sarebbe quasi lasciata prendere dal panico. Ma non c'era altro che potessero fare. Entro dieci anni, il messaggio avrebbe raggiunto una boa della Federazione al di fuori del raggio d'azione delle radiazioni emesse dalla nebulosa, e la boa avrebbe ritrasmesso le parole di Grake e il rapporto scientifico, usando il più rapido canale della comunicazione subspaziale. Poco tempo dopo, forse... Ma questo era sperare troppo. La donna pensò per un momento al suo lontano parente, Spock, che era ufficiale scientifico a bordo di una delle astronavi della Federazione. Cos'avrebbe fatto Spock in una situazione del genere? Non aveva mai avuto l'occasione di conoscerlo bene ma, nonostante le sue origini in parte umane, Spock le era sempre stato portato a esempio di ciò che un vulcaniano poteva essere o poteva conseguire. Il bagliore all'orizzonte si fece più intenso, mentre l'asteroide ruotava inesorabilmente verso la fonte delle loro nuove cognizioni, verso la causa delle loro difficoltà... le stelle neonate. A una a una, esse apparvero nel cielo, enormi macchie oblunghe di luce rossastra che diventava diffusa e irregolare lungo i contorni; erano stelle triple, collassate dalla polvere e dai gas della nebulosa. La forza di gravità le aveva attirate in orbite concentriche, mentre la massa crescente portava a compimento il processo di fusione dell'idrogeno nel profondo del nucleo degli astri. Gli stadi finali della loro nascita, il collasso ultimo a vere protostelle, avevano richiesto meno di un mese, cogliendo di sorpresa i ricercatori, indotti dagli studi tecnici a calcolare un periodo evolutivo molto più lungo. La scoperta di enormi anomalie nella massa subspaziale, nella regione delle stelle triple, era avvenuta più tardi; l'intensità raggiunta dalle radiazioni Ybakra non era stata prevista e le interferenze che ne erano derivate avevano eliminato ogni possibilità di stabilire comunicazioni subspaziali, utilizzando qualsiasi altra forma di trasmissione tranne segnali radio estremamente concentrati. – Madre. T'Prylla si voltò, con la massima rapidità consentita dalla tuta e dalla bassa gravità, a fronteggiare suo figlio Radak. Il bambino aveva cinque
anni ed era troppo giovane perfino per il basilare rito vulcaniano della maturità, il ka-nifoor, ma la sua espressione era serena e soddisfatta. – Madre, noi sappiamo quello che nostro padre ha fatto. Radak la invitò con un cenno a seguirlo e i due tornarono insieme alla Stazione Uno della Nebulosa Black Box. Non sarebbero stati inviati altri messaggi. E non sarebbe giunta risposta, per almeno dieci anni.
CAPITOLO I Rowena Mason rimase immobile, come incantata, davanti all'oblò della navetta per il trasporto del personale. La ragazza aveva trascorso tutta la vita su Yalbo, un piccolo pianeta giallo arancione più famoso per i bacini spaziali di riparazione e per le colonie minerarie che per la sua bellezza, ma adesso la vista di Yalbo che ruotava lentamente sotto di lei costituiva il panorama più bello che avesse mai ammirato. Banchi di nubi di polvere gialla si spostavano lentamente sulla superficie marrone e rosa del Massiccio Minerario Erling, proiettando ombre ambrate sulle gole e sulle vallate in cui la sua famiglia aveva lavorato per tre generazioni. Rowena non aveva mai lasciato il pianeta prima di allora, e le immagini fotografiche non potevano reggere il confronto con la realtà. La navetta ruotò in modo da venirsi a trovare di fronte all'enorme bacino spaziale orbitante, un'intelaiatura sottile come la trama di una ragnatela e costituita da fini supporti cilindrici collegati da strutture orizzontali, in cui le grandi file di riflettori da lavoro erano in fase di disattivazione e le squadre addette alle riparazioni si stavano allontanando dall'Enterprise; non appena ricevuto l'attuale incarico, la Mason aveva svolto un estensivo lavoro di ricerca su quella nave: in quanto prima astronave della classe Constitution dotata di un motore a velocità di curvatura, alla quale fosse stata assegnata una prolungata missione di esplorazione e di ricerca, l'Enterprise poteva senza difficoltà essere definita la più famosa astronave nella storia dell'umanità. Il cassero della nave sembrava essere l'unica zona tranquilla che ci fosse a bordo; gli ufficiali e i membri dell'equipaggio si erano già imbarcati, ma si stava ancora procedendo a stivare le provviste e le attrezzature mediante l'hangar per le navette, ed erano già iniziati i preparativi per la partenza. Rowena Mason scese dal trasporto e si avviò con incertezza lungo un passaggio, non sapendo se si trovasse già sull'Enterprise o se fosse ancora
sulla navetta. Venne accolta dall'ufficiale di guardia, un sottotenente dal viso luminoso e, con notevole sollievo della Mason, del tutto umano. Il Comando di Flotta aveva la tendenza a riunire in uno stesso equipaggio esseri umanoidi che respirassero ossigeno, al fine di evitare costosi lavori di ristrutturazione dell'interno delle astronavi; i non umanoidi venivano raggruppati in varie altre categorie, a bordo di navi adeguate alle loro necessità, quindi lei non avrebbe potuto incontrare, per esempio, un medusiano (le avevano causato molti incubi da bambina) ma non aveva la minima idea di cos'avrebbe fatto quando si fosse trovata davanti a un vulcaniano oppure a un andoriano, razze che si diceva avessero dei rappresentanti a bordo dell'Enterprise. Era lieta che per ora le fosse concesso un po' di respiro. Presentò le proprie credenziali all'Ufficiale di Guardia, che le rivolse un sorriso cortese e formale e introdusse i documenti nella fessura del congegno di sicurezza, montato accanto alla sua postazione. – Chiedo il permesso di salire a bordo – disse, incerta sulla procedura da adottare. – Permesso accordato, signor Mason. Benvenuto sull'Enterprise. Questa era un'altra cosa a cui si sarebbe dovuta abituare: rivolgendole l'appellativo "signor", il sottotenente stava estendendo anche a lei una cortesia riservata di solito ai soli ufficiali, uomini e donne che fossero. – Vi ringrazio. Vorrei che il mio arrivo fosse notificato il più presto possibile al Servizio Informativo della Federazione. Quando posso incontrare il commissario addetto agli alloggi? – Il... commissario? Mi dispiace, voi fate forse riferimento a quelle che sono le usanze dell'esercito, ma non c'è un "commissario addetto agli alloggi" a bordo dell'Enterprise: qui tutti gli alloggi vengono assegnati dal computer. La persona incaricata di accompagnarvi vi raggiungerà fra pochi minuti. Siete leggermente in ritardo. – Lo so – ammise la Mason. Solo sei ore prima era stata felicemente immersa nel lavoro di stesura di un trattato sulla storia degli approcci all'elettrodinamica dei quanti nel ventiduesimo secolo, argomento della sua tesi di laurea presso la piccolissima Università di Umanistica di Yalbo, dov'era riuscita a conseguire una media considerevole, pur lavorando già come reporter per il SIF. I suoi genitori avevano disapprovato gli interessi accademici della ragazza e avrebbero preferito che avesse seguito le orme paterne, entrando subito nella Union Rare Earths Company in qualità di apprendista, per cui la sua decisione di frequentare l'università aveva
provocato la sospensione immediata di ogni sostegno economico da parte della famiglia. La Mason aveva quindi cominciato a lavorare come corrispondente occasionale per il Servizio Informativo della Federazione, in modo da non dover ricorrere al disprezzato Sussidio Studentesco, facendo gradualmente carriera fino a raggiungere una posizione eminente e a rivestire una delle due sole cariche di dirigente esistenti presso il piccolo ufficio del SIF di Yalbo. L'altra era detenuta dal suo capo, un burbero ex demolitore nonché filosofo, di nome Evanric. Yalbo integrava i proventi delle miniere (e forniva un impiego ai suoi ingegneri minerari in stato di costante inattività) servendo la Federazione come stazione per le riparazioni, i rifornimenti e l'equipaggiamento, e quando l'Enterprise aveva ricevuto l'ordine di attraccare nei cantieri spaziali di Yalbo, per installare nuove apparecchiature, la notizia aveva fatto scalpore. La Mason aveva approfondito quanto più era possibile le indagini giornalistiche dalla superficie del pianeta, poi il SIF aveva chiesto a Evanric di sollevarla da altri incarichi e le aveva assegnato una missione fuori dal pianeta: lei avrebbe anche potuto rifiutare, ma se n'era rimasta seduta sugli allori, calma e tranquilla, per un tempo decisamente troppo lungo; dopo tutto, era una giornalista e i giornalisti dovrebbero trovarsi nel cuore di avvenimenti clamorosi e non starsene in un angolo sperduto dello spazio a svolgere ricerche accademiche. Se il SIF riteneva che i suoi articoli da gazzettino di piccolo pianeta fossero abbastanza validi da farle meritare questo incarico e, se per caso si trovava a essere anche l'unico reporter disponibile a parte Evanric, che si riteneva troppo vecchio e fossilizzato nelle proprie abitudini per una missione del genere, chi era lei per rifiutare? – Può darsi che all'inizio ci sia un po' di confusione, signor Mason – commentò l'Ufficiale di Guardia. – Abbiamo impiegato venti giorni per effettuare una serie di riparazioni e per installare nuove attrezzature. – È per questo che sono qui. – Per coglierci in fallo quando siamo vulnerabili? "Ah, ecco la mentalità militare che si risente per l'intrusione della stampa" pensò la ragazza. – No, per riferire sul funzionamento dei nuovi monitor e per osservare le reazioni dell'equipaggio e il comportamento dell'Enterprise. – Sorrise. Il sottotenente ricambiò il sorriso. "Che disciplina" pensò ancora la Mason con sarcasmo; quel giovane sottufficiale non mostrava la minima traccia d'interesse per l'arricchimento, da lei rappresentato, della
popolazione femminile della nave: era corretto ed educato in ogni sfumatura, tranne, naturalmente, per quel rapido sondaggio sulle sue intenzioni. – Il signor Mason? – chiese una voce di donna. Rowena impiegò un secondo per realizzare che si trattava del suo nome e si domandò se avrebbe mai smesso di pensare che qualcuno stesse chiedendo di suo padre. Si voltò e vide una donna di una bellezza incredibile, vestita con la regolamentare uniforme rossa, ferma nell'ascensore del cassero. – Sono il tenente Uhura – si presentò la sconosciuta, avanzando e porgendole la mano. – Sono l'ufficiale addetto alle comunicazioni. Il Comando di Flotta ha pensato che, poiché dovremo saltuariamente lavorare insieme, sarebbe opportuno che dividessimo lo stesso alloggio. La Mason sbatté le palpebre. Non c'era da meravigliarsi se l'Ufficiale di Guardia non aveva manifestato alcun interesse nei suoi confronti; possibile che tutte le donne della Flotta Stellare possedessero una bellezza così esotica e superiore? – Il tenente Uhura è il vostro accompagnatore, signor Mason – spiegò l'Ufficiale di Guardia. – Sì, capisco. Grazie. – La ragazza strinse la mano offertale dall'ufficiale addetto alle comunicazioni e lo seguì nell'ascensore. – Il mio bagaglio... – Sta arrivando nell'hangar delle navette – riferì l'Ufficiale di Guardia, alle loro spalle. – Abbiamo provveduto a tutto. – Sarà meglio – mormorò Rowena, a mezza voce. – Ci sono anche due registratori mobili del SIF e, se dovessero rimanere danneggiati, mi ci vorrebbero quattro anni di paga per risarcirli. Mentre le porte del turboelevatore si chiudevano, Uhura valutò la Mason con un rapido sguardo: il suo sorriso sembrava del tutto sincero ed era alquanto in contrasto con quello dell'Ufficiale di Guardia. – Intendete scrivere un articolo sui nuovi monitor dell'Enterprise? – In parte, ma m'interessano anche le nuove apparecchiature mediche. – Sembra che ci aspetti un volo di collaudo davvero interessante. Se mai arriveremo al collaudo vero e proprio! Il Comando di Flotta ci tiene molto occupati, sapete? La maggior parte delle nostre crociere di collaudo o di addestramento si sono trasformate in vere e proprie missioni, e non vedo perché questa volta le cose dovrebbero andare diversamente. – Non sono certa di essere pronta per una vera avventura – ammise la Mason. Le interessava senz'altro svolgere del tranquillo e normale
giornalismo investigativo, ma vivere in mezzo agli ingegneri minerari le aveva insegnato che il termine "avventura" era solo un eufemismo per indicare gravi lesioni o addirittura la morte. – Se dovesse verificarsi un'emergenza, mi sbarcherete su un avamposto o su una base stellare?. – Neppure se ne andasse della vostra vita. Il capitano farà in modo di garantire che rimaniate con noi per tutto il viaggio. Se il Comando di Flotta vuole i monitor e la Federazione vuole l'intervento della stampa, entrambi avranno quello che vogliono, lui non batterà ciglio né si lamenterà una sola volta né permetterà che se la cavino a buon mercato. Vedrete. Potreste scrivere un libro sul capitano Kirk. – Sembrate ammirarlo. – Sembrare? Dolcezza, lui è il capitano, e non credo che ci sia a bordo nessuno, uomo o donna, restio a seguirlo perfino dentro una singolarità. – E quali sono i suoi sentimenti nei confronti della stampa? – Non credo che la questione sia mai stata sollevata. Comunque, io sono lieta di vedervi: mi hanno aumentato le facilitazioni di alloggio e abbassato il costo del buono mensa solo perché vi faccia da guida, quando il servizio me lo permette, ed ero già arrivata a conquistarmi il miglior alloggio disponibile per gli ufficiali cadetti. C'è un sacco di spazio per due, addirittura anche un po' d'intimità. – Suona quasi come una crociera di lusso. Uhura scosse il capo. – Come ho detto, signor Mason... – Rowena, per favore. – Rowena. Come ho detto, non credo che ci sarà il tempo per godere di qualsiasi lusso. – Alloggi di bordo, settore ufficiali cadetti – annunciò il turboelevatore, poi le porte si aprirono con un sibilo, rivelando un nudo corridoio bianco e grigio dalle pareti straordinariamente massicce, contrassegnate da una linea rossa. – Benvenuta a casa, dolcezza – commentò Uhura, facendo strada alla giornalista.
CAPITOLO II – Jim, giuro che se avessi voluto fare l'avvocato sarei andato all'Università di Tharsis e mi sarei fatto trasferire agli Affari Interni della Flotta Stellare. – Il dottor Leonard McCoy modellò le linee del viso in
modo da assumere un cipiglio marcato e scosse il capo. – Diecimila nuove leggi e regolamenti. – È solo un cane da guardia, Bones. – Ogni anno che passa mi sento sempre più fuori dal mio elemento. Prima mi cambiano gli strumenti, poi mi dicono che un computer può effettuare gli interventi chirurgici meglio di me; cosa sono, allora, un meccanico? E alla fine mi dicono che il centro medico di un'astronave ha... – il dottore assunse un'aria di dignitosa autorità. – ... Mi dicono che ha un "potenziale per la disgregazione sociale". – Gli occhi gli sporgevano leggermente dalle orbite quando si girò verso il capitano James T. Kirk, esigendo una risposta. L'improvvisa espressione mite e divertita di questi fu quasi altrettanto marcata. – Fa tutto parte dei nuovi monitor della Federazione: vogliono solo evitare che diventiate un dio, Bones. Il sospiro esplosivo di McCoy dimostrò che questi non aveva apprezzato l'umorismo dell'amico. Kirk si mise a passeggiare fra le file di apparecchiature installate nel ristrutturato centro medico. Il Comando di Flotta aveva spedito ai cantieri di Yalbo l'unità per il Recupero d'Emergenza dal Trasferitore qualche mese prima che l'Enterprise avesse concluso la sua ultima missione, insieme al monitor di comando e a quello medico. – Se io devo avere un sistema di guardia programmato dalla Federazione che mi alita sul collo, perché voi ve la dovreste cavare a buon mercato? – Si arrestò e si voltò a guardare McCoy, accennando con la mano in direzione di un serbatoio cilindrico, grande quanto un uomo e pieno di un liquido verde trasparente. – Se può esservi di conforto, anch'io trovo che questo sia un po' troppo. Questo... questo... – Scosse il capo. – Un tempo, il TEREC sarebbe stato considerato un miracolo ma ora, nel caso che si verifichi un incidente con il trasferitore, voi... voi, Bones, il buon vecchio dottore di famiglia... potete inserire in questa macchina l'ultima impressione di un passeggero del trasferitore rimasta nei banchi di memoria e ricreare un duplicato virtualmente identico. Niente più decessi causati dal trasferitore, Bones. – Potrebbe diventare un dannato incubo. – Sì, lo potrebbe. Un dottore folle potrebbe saccheggiare i banchi di memoria prelevando le impressioni lasciatevi dai passeggeri, combinarle, inserirle nel TEREC... creare gente del tutto diversa. È per questo che abbiamo i monitor medici e le nuove regole. Kirk sapeva fin troppo bene che quello di McCoy era stato solo uno
sfogo superficiale e che il preteso disgusto del medico nei confronti di nuove apparecchiature e di nuove tecniche, per salvare vite umane e per prevenire la sofferenza, era solo una facciata esteriore dietro cui il dottore vagliava con attenzione tutta la sua passata esperienza medica. Kirk era disposto a prestarsi a quella specie di recita, ma non senza divertirsi un po' a sua volta. – Pensate, senza le nuove regole, vi potreste fabbricare l'infermiera che più vi piace, Bones, e sarebbe... – Epicureo – lo accusò McCoy. – Lei – insistette Kirk – sarebbe alta circa un metro e settanta, un ottimo esemplare dal punto di vista fisico, intelligente e obbediente quanto un uccello-daino di Tau Ceti. E una volta che l'aveste creata, la sposereste subito e la Flotta Stellare perderebbe il suo migliore medico di bordo. McCoy pareva indeciso se scoppiare a ridere, avere un colpo apoplettico o lanciarsi in una lunga arringa di autodifesa quando l'intercom suonò e Kirk rispose alla chiamata. – Cassero a capitano Kirk. Qui Wellman, capitano: il signor Mason è a bordo e tutte le sue attrezzature sono state stivate. – Perché questo vi dovrebbe riguardare, Jim? – chiese McCoy, perplesso. – Grazie, signor Wellman – rispose Kirk all'Ufficiale di Guardia. – Potete lasciare il cassero e tornare al servizio consueto. – Kirk arricciò un angolo della bocca in un'espressione preoccupata. – Abbiamo un'esponente del quarto potere a bordo dell'Enterprise, Bones: ora siamo sotto sorveglianza, quindi tenete a freno la lingua. – Per nascita, sono un galante gentiluomo del sud – replicò il dottore. – È qui per vedere come reagiamo ai monitor, e credo di capire che abbia intenzione di scrivere un pezzo sulle nuove attrezzature dell'infermeria. – Non ho nulla da nascondere – affermò McCoy, con un magnanimo gesto del braccio. – Tranne i miei dubbi. Kirk azionò il pulsante dell'intercom. – Alloggio del tenente Uhura – ordinò all'unità. – Lasciare il seguente messaggio: gradirei la compagnia del signor Mason... no, meglio della signorina Mason, questa sera a cena alla tavola del capitano, nella mensa ufficiali. Porgere i miei complimenti. – Siete alquanto galante anche voi, eh, Jim? – Il sogghigno di McCoy era quasi invisibile.
CAPITOLO III Le aree dell'Enterprise riservate all'equipaggio erano pulite, confortevoli e avevano un aspetto leggermente logoro, dato che i passati lavori di ristrutturazione si erano concentrati sull'aggiornamento delle apparecchiature e non sul rinfresco delle decorazioni. L'alloggio del tenente Uhura costituiva una notevole eccezione, in quanto ravvivato con ricchezza e buon gusto da tendaggi, da un assortimento di cuscini e da una poltrona fabbricata per la pelle sensibilissima dei nativi di Delta, che era una vera delizia per un umano. Una varietà di sculture in legno, di dimensioni variabili dal metro ai pochi centimetri, tradiva la particolare passione di Uhura di collezionare sculture in ebano di artisti africani moderni, surreali o totemiche che fossero. La Mason si era insediata nella cabina della donna, aveva esaminato i diagrammi della nave che Uhura aveva richiamato sul video della stanza e aveva ricevuto l'invito al tavolo del capitano per la cena; le era rimasto appena il tempo per una rapida ripulita. Apprezzò enormemente le strutture igieniche presenti a bordo dell'Enterprise, che erano forse di una decina d'anni più moderne di quelle su Yalbo, e si chiese come avrebbe fatto a riabituarsi quando fosse tornata a casa. Forse, e per ora era solo un vano fantasticare, questo servizio sarebbe stato il suo punto di partenza verso qualcosa di meglio. In sala da pranzo, sedette a un'estremità di un tavolo a sei posti, là dove il suo nome era illuminato da una spettrale luce verde, accanto alle posate di acciaio inossidabile e ai piatti di plastica di bordo. Non era nel suo stile essere in anticipo, ma aveva sbagliato nel calcolare il tempo che avrebbe impiegato per arrivare alla mensa: l'ascensore, chiamato anche "turboelevatore", come ricordò a se stessa, era molto veloce. Qualche minuto più tardi, gli ufficiali cominciarono ad arrivare e, dalle immagini che Uhura le aveva mostrato, riconobbe l'ingegnere capo, Scott, il capo timoniere, Sulu, il primo ufficiale nonché ufficiale scientifico, Spock, e l'ufficiale specializzato in computeristica e addetto al controllo dei monitor, Veblen. Seduto a un altro tavolo c'era un tenente andoriano, un esperto in navigazione come lo erano molti membri della sua razza. La vista dell'andoriano e di Spock la fece irrigidire: non c'erano alieni su Yalbo, solo umani, nessuna forma di vita indigena, nessun visitatore, consigliere o turista, e dai suoi genitori lei aveva spesso sentito raccontare che gli alieni diffondevano strane malattie e predicavano filosofie corrotte,
storie che aveva poi respinto durante gli anni di studio, ma che avevano lasciato nel suo intimo un substrato sufficiente a metterla a disagio. Innanzitutto, rimase molto colpita dalla severa bellezza di Spock e dalle sue orecchie, mentre il colore della sua pelle, di una calda e lieve tonalità fra il bruno e il verde, le riusciva sconcertante ma non insolito perché aveva incontrato umani, provenienti da lontani sistemi stellari, con una carnagione molto simile. Sapeva però che quell'individuo era solo per metà umano e per l'altra metà vulcaniano. Lui ora stava prendendo posto al suo stesso tavolo, di fronte a lei e alla destra di Kirk. Mentre la Mason era intenta a osservare Spock, Scott si sistemò alla sua sinistra; alla destra del vulcaniano sedette un tozzo tenente dall'aspetto molto giovanile, che si presentò come Jan Veblen. Poi arrivò il dottor Leonard McCoy, che prese posto di fronte a Kirk e salutò Rowena con un cenno del capo e un sorriso. – Benvenuta a bordo – le disse, e la ragazza provò un'immediata simpatia per lui perché le ricordava suo padre... o piuttosto suo padre in uno dei suoi giorni migliori. – Spero che troviate tutto di vostro gradimento. – Non sono a bordo da molto – replicò lei. – Sembra tutto splendido. – Il cibo è davvero squisito – la informò il dottore – ma, se fossi in voi, eviterei di ordinare quello che prende Spock, qualsiasi cosa sia. – Il dottor McCoy è del tutto consapevole del fatto che consumo i pasti nel mio alloggio – specificò il vulcaniano, squadrando la Mason con freddezza. – Sono qui esclusivamente per l'aspetto sociale del rito della cena con i colleghi ufficiali. – Spock è un tipo molto socievole – spiegò il dottore, e il soggetto in questione si limitò a inarcare un sopracciglio e non aprì più bocca fino all'arrivo del capitano. Quando Kirk si accostò al tavolo, tutti i presenti in sala mensa si alzarono e la Mason li imitò; il capitano le si avvicinò e le porse la mano. – A nome degli ufficiali e dell'equipaggio, posso darvi formalmente il benvenuto a bordo dell'Enterprise? – L'onore è mio – rispose la ragazza. Kirk, di aspetto avvenente e un po' sfrontato, doveva avere all'incirca quarantacinque anni, anche se era molto in forma e ne dimostrava almeno otto di meno. Il capitano prese posto a capotavola; gli altri ufficiali tornarono a sedersi e un cameriere meccanico cominciò a distribuire i piatti fra i tavoli, iniziando dal loro. – Questa sera – annunciò McCoy – abbiamo la migliore zuppa di pollo di New Orleans che la nave possa offrire. Uno dei miei piatti preferiti. – Ci rincresce di non aver avuto il tempo di visitare il vostro pianeta o di
concedere qualsiasi forma di libera uscita – disse Kirk – ma siamo stati molto impegnati. La nostra ultima missione è stata difficile e avremmo gradito una breve licenza. – In effetti, non c'è gran che da vedere su Yalbo – rispose Rowena. Come odiava quel nome: da ragazzina, aveva avuto l'abitudine di sostituirlo con Giallo, termine che possedeva almeno una qualità cromatica. – Per i visitatori e per i turisti, intendo. – Ci sono eccellenti ingegneri e ottime attrezzature di carenaggio – intervenne Scott, con entusiasmo. – Sì, ma del resto siamo l'unico bacino spaziale esistente nel raggio di un centinaio di parsec. Immagino che sia per questo che abbiate ricevuto istruzioni di venire qui. – Da quanto tempo siete giornalista? – domandò Kirk, annuendo. – Da tre anni. Come professionista, intendo. E sto anche concludendo la mia tesi di laurea presso l'Università di Umanistica di Yalbo. – "Come suona provinciale tutto questo" pensò. – Siete l'unico reporter del SIF su Yalbo? – azzardò McCoy. – C'è anche il mio capo. Si chiama Evanric. Era... – esitò – ... è un ottimo giornalista, e prima era un demolitore... manovrava una macchina P e S... sarebbe a dire Perforazione e Scoppio. È stato il mio maestro qui, cioè su Yalbo. Mi ha insegnato la maggior parte di quello che so. – Intendiamo dedicare una settimana ai controlli generali – la informò Kirk – anche se sono certo che il signor Scott preferirebbe che si trattasse di un mese. – Questa volta una settimana dovrebbe bastare, capitano – replicò l'ingegnere capo, assaporando un cucchiaio della gustosa zuppa. – Non hanno smontato la nave fino all'ultimo bullone, per poi costringerci a rimontarla alla meglio. Si è trattato solo di alterazioni minime. – Questo potete dirlo solo se non siete entrato in infermeria nelle ultime tre settimane – obiettò McCoy. – Presumo che siate stata informata su quanto è successo all'Enterprise – osservò Kirk. – Solo a grandi linee, sono qui per raccogliere i particolari. – Forse il signor Veblen potrebbe esservi d'aiuto – propose Spock. Dinanzi a lui, sul tavolo, c'era una caraffa con un liquido denso. Se ne versò un bicchiere, sorseggiandolo con aria pensierosa. – Ma certo – confermò il tenente, un uomo basso e tarchiato con i capelli biondi tagliati più corti di quanto fosse richiesto dal regolamento, il naso a
patata e penetranti occhi verdi inclinati verso l'alto come quelli di un elfo. Era giunto un anno prima a bordo dell'Enterprise per coordinare la prevista installazione dei monitor; aveva servito dapprima in qualità di assistente di Spock e poi di ufficiale addetto ai computer. Sebbene non avesse certo l'aspetto del più rappresentativo fra gli ufficiali usciti dall'Accademia della Flotta Stellare, Kirk aveva imparato a rispettarlo, sia pure con riluttanza e con un elenco di riserve. – Adesso l'Enterprise è dotata di un sistema di controllo monitor della Federazione, in quanto ci preoccupavano da anni sia il potere concesso alle navi della Flotta Stellare sia la possibilità di gravi abusi... timore non infondato, come risulta dalle esperienze dello stesso capitano. In passato sono state adottate misure di sicurezza, ma nulla di paragonabile a questo. I monitor sono stati progettati in modo da poter eventualmente sovrintendere a tutte le funzioni della nave, ma per questo viaggio useremo due sistemi basilari: quello di comando, che è il più grande, e quello medico, destinato a sovrintendere al nuovo TEREC. – Terec? – gli fece eco la Mason. – Unità di Recupero d'Emergenza dal Trasferitore – spiegò McCoy. – Se e quando dovessero arrivare alla decisione che un vascello della Flotta Stellare sta operando in maniera da danneggiare gli interessi della Federazione – proseguì Veblen – i monitor prenderanno il controllo fino a quando la situazione non si sarà normalizzata o fino a quando l'Enterprise non sia uscita dal suo stato di difficoltà. I monitor di comando contengono i ricordi delle esperienze di sei comandanti appartenuti in passato alla Flotta Stellare e considerati, sotto ogni aspetto, superiori a tutti. Questi surrogati sono ora personalità combinatoriali inserite nella macchina e che si controllano di continuo a vicenda... – Ponte a capitano Kirk. Qui Uhura, capitano. Abbiamo un messaggio urgente dal Comando di Rotta. – Ce ne sono forse di altro genere? – si lamentò McCoy. – Si richiede una risposta immediata. – Arrivo, tenente. – Kirk spinse indietro la sedia. – Scusate l'interruzione. Vi prego di continuare senza di me. La Mason avvertì un lieve brivido di eccitazione. – Non ci lasciano in pace neppure per la durata di un buon pranzo – commentò il dottore, scuotendo il capo.
CAPITOLO IV Nel tempo che Kirk impiegò per arrivare sul ponte, meno di due minuti, Uhura preparò un proiettore mentale puntato verso la poltrona di comando e aprì alcuni canali subspaziali codificati per l'eventuale risposta. Il capitano sedette al suo posto e dopo un secondo era completamente concentrato sul contenuto del messaggio. Il display mentale proiettava un'immagine che arrivava solo ai suoi occhi e l'audio era fornito da altoparlanti a risonanza ossea inseriti nel poggiatesta. BuUnexTerr MessaggioMassimaPriorità, Tramite Base Stellare Diciannove, RISERVATO al capitano James T. Kirk. – Kirk. Riconobbe la voce dell'ammiraglio Hiram Kawakami, capo del Dipartimento del Territorio Inesplorato del Comando di Flotta. – Capitano abbiamo ricevuto un messaggio dall'Ottante 7, Stazione Uno della Nebulosa Black Box. Ha impiegato dieci anni per arrivare alla più vicina boa di trasmissione della Federazione. – Credevo che la stazione della Black Box fosse stata data per persa da anni – borbottò Kirk. – Il messaggio è in parte visivo, Jim. Eccolo. Una faccia vulcaniana, dai tratti decisi e dal color verde intenso, tipico dei membri di sangue puro delle famiglie più antiche, apparve dinanzi a Kirk, circondata da quello che sembrava un normale centro di comunicazioni di una stazione un po' a corto di fondi. Il display identificava, in vivide lettere rosse, il vulcaniano come Grake, un fisico sposato a T'Prylla. A sua volta, T'Prylla era molto famosa perché era uno dei migliori fisici di Vulcano e, secondo Kirk, imparentata in qualche modo con il suo ufficiale scientifico, anche se non ricordava con precisione il grado: i vincoli familiari vulcaniani potevano essere molto complessi. Grake stava parlando in vulcaniano nobile e l'impianto linguistico alla base del collo di Kirk tradusse ogni parola, seguendo alla perfezione le intonazioni dello scienziato. – Se non nutrissimo il forte sospetto che ci sia qualcosa che non va, non invieremmo questo messaggio preliminare. In seguito all'ingresso di tre protostelle della Nebulosa Black Box nella loro sequenza principale, tutte le comunicazioni subspaziali sono state rese impossibili. A ogni modo... Il segnale svanì e venne sostituito dalla voce di Kawakami. – Abbiamo un messaggio ad alta velocità insieme a queste immagini
video interrotte, e l'analisi scientifica di quell'MC è molto interessante. Ora disponiamo di una notevole quantità di nuove informazioni su cui basare le nostre supposizioni su quello che sarà il destino finale della stazione nella Black Box. Passate all'assimilazione ad alta velocità, capitano. Kirk regolò mentalmente l'impianto e il suo cervello venne subito inondato d'informazioni; si raggomitolò leggermente su se stesso perché, da un certo punto di vista, nutriva nei confronti della tecnologia timori maggiori di quanti ne avesse McCoy, soprattutto quando si trattava di una tecnologia che interferiva con l'interno della sua testa. Inoltre, l'indolenzimento provocato dall'assorbimento di dati ad alta velocità non contribuiva certo a rendergli gradevole quel procedimento, anche se gli permise di assimilare i punti fondamentali della questione nell'arco di pochi secondi. La conversione della Nebulosa Black Box, da una nuvola scura a una matrice di nuove stelle, non era stata abbastanza violenta da distruggere la stazione di ricerca. L'improvviso silenzio da parte del suo personale, coinciso con il subitaneo processo di fusione delle stelle neonate, aveva portato a un'inevitabile associazione dei due fatti e l'impossibilità di ristabilire i contatti aveva spinto la Flotta Stellare a inviare una nave di soccorso automatica verso la nebulosa. Quando anche la nave era scomparsa senza lasciare tracce, il Comando di Flotta aveva ritenuto sconsigliabile organizzare una missione di salvataggio su vasta scala, decisione che Kirk, da parte sua, non aveva approvato. Comunque, non amava ostentare più intuito dei suoi superiori. Il messaggio di Grake era complesso, ma dal suo tono e dal suo contenuto sembrava ragionevole supporre che la maggior parte del personale della stazione, se non tutto, fosse sopravvissuto, anche se rimanevano ancora delle incognite. Dopo che l'ignizione delle protostelle aveva fatto il suo corso, la stazione avrebbe dovuto poter usare di nuovo la radio subspaziale e, anche se nel rapporto scientifico si accennava agli alti livelli raggiunti dalle radiazioni Ybakra, esse non potevano interferire con le trasmissioni subspaziali, a meno che in quell'area non fossero presenti anomalie della massa subspaziale non evidenziate dalle precedenti cartografie. Anche i dati scientifici sembravano incompleti. – Capitano, la maggior parte del personale della stazione era tenuto in stato d'ibernazione. I nostri fisici ritengono che vi siano forti possibilità che le radiazioni Ybakra, causate dalla vicinanza delle protostelle
collassate, abbiano degradato il rivestimento di mielina dei nervi di tutti i "dormienti" ibernati... e al momento l'Enterprise è la sola astronave equipaggiata per far fronte a una simile emergenza. Emergenza! Non poteva certo essere definita tale, dopo dieci anni, si disse Kirk; e tuttavia, se gli ibernati non erano stati riportati in vita... – I vostri ordini sono di dirigere verso la Black Box alla massima velocità di curvatura, di evacuare i superstiti, se ce ne sono, e di effettuare una completa indagine procedurale e scientifica. Tutti i precedenti incarichi devono essere posposti. Romulani e Kshatriyani hanno concesso all'Enterprise il permesso di attraversare le rispettive zone neutrali entro e non oltre la data astrale 4386.5; allo scadere di questo termine la nave verrà considerata una presenza ostile e sarà attaccata. Kirk pensò che i tempi erano piuttosto stretti: anche procedendo a curvatura undici, il massimo a cui potevano arrivare senza causare a Scotty un attacco di cuore, avrebbero comunque impiegato due settimane per attraversare la galassia fino all'Ottante 7. – I rappresentanti dello Spyorna di Vulcano hanno espresso la loro preoccupazione in termini molto chiari: T'Prylla è una vulcaniana di estremo valore, Jim, anche se è una specie di rinnegata. L'ammiraglio concluse il messaggio con un saluto formale e Kirk convocò tutti gli ufficiali anziani di turno nella sala riunioni, suggerendo che anche la Mason fosse presente. – Il signor Sulu venga sul ponte – concluse – e prepari i comandi a un viaggio prolungato alla massima velocità di curvatura. La Mason, seduta in un angolo della stanza, osservò gli ufficiali che arrivavano a uno a uno, prendendo annotazioni sul loro aspetto fisico e su quella che sembrava essere la loro condizione mentale. Accanto a lei fluttuava uno dei due registratori mobili che il SIF le aveva assegnato per quella missione, con lenti e sensori protesi. Il registratore era un modello vecchio, costituito da un piatto prisma rettangolare, lungo una cinquantina di centimetri e largo venti. Una volta assimilate le informazioni contenute nella trasmissione, gli ufficiali anziani rimasero seduti, con aria attenta, intorno al tavolo munito di visori e di controlli. Spock aveva inarcato un sopracciglio in modo, a quanto pareva, permanente ed era intento a studiare alcuni dati scientifici, mentre McCoy prendeva appunti su una lavagnetta elettronica e Scotty, come Kirk aveva previsto, scuoteva il capo e borbottava fra sé.
– Qualche commento, signori? – chiese Kirk. – Capitano... – cominciò l'ingegnere capo. – Sono consapevole della situazione esistente nella sezione ingegneria, signor Scott – lo prevenne Kirk, ma poi aggiunse, in tono più mite: – Comunque, vi sarei grato se mi aggiornaste al riguardo. – Non mi aspettavo un viaggio prolungato a velocità di curvatura massima, capitano. Nonostante il tempo passato in cantiere, ci serve almeno un giorno a curvatura due per ricalibrare i tubi di Jeffries, altrimenti potremmo saltare tutti in aria. È una revisione che mi ero riservato di fare quando ci fossimo rimessi in viaggio... non si può effettuare da fermi. – Grazie, signor Scott. Dove saremo quando la riparazione si renderà indispensabile? Scott parve molto a disagio. – Anche a curvatura massima, siamo a una distanza di diciassette giorni dalla Black Box. Se procederemo alla massima velocità per la maggior parte del viaggio... – Cosa che faremo – interloquì Kirk. – ... allora ci verremo a trovare nel mezzo della zona neutrale kshatriyana. – Fate quello che potete. Vi darò quattro ore a curvatura due: è un lusso che più tardi non ci potremo permettere. Scott sapeva bene che non era il caso di discutere ancora; quindi annuì fissando con aria cupa i moduli di lavoro che aveva davanti. Fu quindi la volta di McCoy. – L'equipaggio è stato sottoposto a una notevole pressione, Jim. La nostra ultima missione non è stata uno scherzo e, anche se abbiamo passato un mese in bacino di carenaggio, non ci sono state molte occasioni di libera uscita. – Cosa possiamo fare, Bones? – Tenere duro, come sempre – replicò il medico, con una scrollata di spalle. – Possiamo farcela? – Naturale, ma... – È quello che volevo sapere. Signor Spock, avete un'aria pensosa. Il vulcaniano sollevò lo sguardo, con il sopracciglio inarcato. – Capitano, dovete sapere che sono imparentato con T'Prylla. – Sì, e mi piacerebbe avere un chiarimento al riguardo, Spock. – Lei è la figlia che il secondo fratello di mio padre ha avuto durante il suo quarto matrimonio trilya; è sposata a un ex allievo del mio vecchio
maestro di disciplina. Questa situazione presenta un interessante dilemma, capitano: ormai, T'Prylla e Grake sono stati solennemente sepolti e le loro posizioni sociali sono state occupate da altri. Se sono vivi, dovranno competere per conquistarsi un nuovo rango sociale. – Sono stati pianti, Spock? – domandò McCoy, in tono sarcastico. Il primo ufficiale sollevò anche l'altro sopracciglio. – Non è questo il dilemma, ma piuttosto come mai lo Spyorna nutra ancora interesse per una vulcaniana dichiarata ufficialmente akspra, cioè seguace di una filosofia inadeguata. Suppongo che lo Spyorna intenda riconoscere l'utilità del tipo di logica sostenuto da T'Prylla, e potrebbe essere molto importante per i Vulcaniani, capitano, soprattutto se lei è ancora viva e ci può guidare in questo nostro progresso. – Tutto questo è molto interessante, Spock, ma ciò che davvero mi preme di sentire è una vostra valutazione delle difficoltà che incontreremo per raggiungere la stazione. Spock assentì con un cenno del capo. – La Nebulosa Black Box è una delle settecento nebulose in fase di collasso a noi accessibili, capitano, ed è di gran lunga la più estesa e complessa, soprattutto a causa dell'estrema torbidità del suo nucleo. Le tre stelle nate da poco dovrebbero diventare soli ardenti di medie dimensioni, di classe B, e se, come supposto, vi sono nelle vicinanze delle anomalie nella massa subspaziale, nei primi anni di vita quelle stelle avranno liberato una quantità enorme di radiazioni Ybakra. Tali radiazioni operano nello spazio frazionale e non sono pericolose per le normali forme di vita a base di carbonio, a meno che non siano in uno stato di congelamento associato ad animazione sospesa; in quel caso le funzioni corporee non sono più in grado di effettuare le minuscole ma costanti riparazioni necessarie per la salvaguardia del rivestimento di mielina, che funge da isolante per i nervi degli umani e dei vulcaniani. – E a questo punto entro in scena io – interloquì McCoy. – Se i dormienti non sono stati scongelati, le nuove apparecchiature dell'infermeria li potrebbero salvare. C'è però un problema, Jim... – Avete finito, Spock? La Mason se ne stava in silenzio nel suo angolo, notando lo stile con cui procedeva la riunione e lo scambio di frasi, spesso informale, fra Kirk e i suoi ufficiali. – No, capitano – rispose Spock, imperturbabile. – Sappiamo molto poco sulla formazione di protostelle di questo genere e, a causa del silenzio della
stazione nella Black Box, non abbiamo avuto aggiornamenti fino a ora. Le informazioni trasmesse dalla boa sono incomplete e del tutto inadeguate. In breve, l'Enterprise si addentrerà in condizioni ignote e con conseguenze inimmaginabili. – Ancora! – commentò McCoy. – Che allegria! – Avevate accennato a un problema, dottore? – Si tratta delle apparecchiature. Sono abbastanza facili da manovrare, anche con i regolamenti di quei dannati... chiedo scusa, con i regolamenti dei monitor, perché in pratica funzionano da sole. Non credo però che la Flotta Stellare abbia preso in considerazione i monitor nel valutare la situazione. Il sistema migliore che mi viene in mente per salvare quegli ibernati è quello di trasferirli a bordo ancora congelati, prelevare dal trasferitore le loro forme mnemoniche transitorie e inserirle nel serbatoio due alla volta. Il signor Veblen vi esporrà i problemi relativi all'immagazzinamento nel computer di forme mnemoniche transitorie. – Sono difficoltà enormi, capitano – ammise il tenente Veblen. – Di che genere, signor Veblen? – Le forme mnemoniche transitorie vengono immagazzinate usando un trucco quantitativo, capitano. Sono necessari più di centocinquanta milioni di gigabyte d'informazione per restaurare un corpo umano dopo un trasferimento, e tutto questo viene conservato in una frazione di spazio d'immagazzinamento per meno di cinque minuti, poi si deteriora e qualsiasi tentativo di ritrasferimento da una forma mnemonica deteriorata è disastroso. Fino a ora, non erano disponibili attrezzature mediche che garantissero una restaurazione in seguito a un guasto del trasferitore. Kirk tamburellò sul tavolo con le dita; Veblen se ne accorse, e si affrettò a stringare la sua spiegazione che tendeva a ingigantirsi. – Signore, possiamo immagazzinare le memorie di sei vittime di un guasto del trasferitore, ma abbiamo attrezzature sufficienti per ricostruirne solo due per volta. Per immagazzinarne di più, dovremmo utilizzare la memoria del computer della nave, che opera sulla base di un processo del tutto diverso. Se nella stazione ci sono trenta ibernati, ne potremmo inserire nel TEREC due alla settimana, e impiegheremmo così... – Quindici settimane. – Il che significa che dovremmo rimanere in orbita intorno al planetoide almeno per il tempo necessario a recuperare tutti i dormienti, oppure potremmo cancellare tutta la biblioteca dell'Enterprise per immagazzinare le forme mnemoniche.
– È contro i regolamenti, signor Veblen. – Esatto. – Perché non li trasferiamo a bordo ancora congelati e poi li reinseriamo nell'unità quando arriva il loro turno? – Ecco l'inghippo, Jim – interloquì McCoy. – A causa del danno provocato dalle radiazioni, possiamo rischiare di teletrasportarli una sola volta: alla seconda morirebbero. – Era questo il problema insito nei regolamenti a cui avete accennato? – No. Anche se riuscissimo a trasportarli a bordo, dovremmo comunque programmare alcune modifiche nei serbatoi per ripristinare gli strati di mielina, e i monitor potrebbero impedircelo. Vi ho già detto che non ero certo che i regolamenti fossero molto sensati. – Mi avete detto di non voler fare l'avvocato. C'è qualche motivo che c'impedisca di traghettare i dormienti con uno shuttle? – Ci potrebbero essere dei rischi – spiegò il dottore. – Gli ibernacoli richiedono fonti di alimentazione molto stabili e temperature basse e costanti. È un rischio che forse dovremo correre, ma preferirei avere altre alternative. – Signori, c'è qualcos'altro che dovrei sapere prima di dare inizio alla nostra missione di soccorso? – Capitano, è assai probabile che ci siano molte cose che dovreste sapere – rispose Spock – ma noi non siamo in grado di dirvene nessuna. La Mason annotò anche questo e lo sottolineò due volte. – Capitano – disse, quando gli ufficiali si alzarono per tornare ai loro posti – trattandosi di una missione così insolita, verrò sbarcata sul mio pianeta? Kirk quasi non la guardò nel passarle accanto. – Solo se ne farete esplicita richiesta. La ragazza l'osservò seguire Spock fuori della sala riunioni e si prese mentalmente a calci: adesso non poteva più tirarsi indietro. Quell'uomo era così arrogante! Perché non le aveva reso le cose più facili, invece di fare a scaricabarile? Ora avrebbe fatto la figura della vigliacca se fosse tornata su Yalbo e la cosa si fosse risaputa; l'avrebbero accusata di aver gettato la vergogna sull'intero pianeta e, per di più, davanti a dei non-umani! Serrò con forza il blocco per le annotazioni, mordendosi il labbro inferiore e tentando di zittire una voce che la tormentava, dicendole che era troppo giovane e inesperta e che il SIF aveva commesso un grosso errore mandandola a bordo dell'Enterprise.
CAPITOLO V Kirk non cessava mai di essere affascinato dalle procedure necessarie per preparare l'Enterprise a un lungo viaggio. Conosceva a fondo ogni azione come un uomo che osserva la moglie vestirsi ogni mattina, e tuttavia permaneva sempre la stessa sensazione di fascino, e di responsabilità mista ad un perverso e inverosimile senso di proprietà. Nessun singolo individuo poteva possedere un'astronave, non più di quanto un uomo possa possedere la propria moglie, eppure l'Enterprise era sua e lui si chiese cos'avrebbe provato il giorno in cui avrebbe dovuto rinunciarvi e se sarebbe riuscito a rimanere in termini di amicizia con quello dei suoi colleghi della Flotta Stellare che lo avrebbe sostituito nel comando. Dalla sua poltrona, teneva sotto controllo i preparativi servendosi dei vari display a sua disposizione, il più grande dei quali era lo schermo centrale; con il tocco delle dita, posate sui pulsanti inseriti nel braccioli, e con il suono della voce poteva destare la nave. Accarezzando... Accantonò dai propri pensieri tali aberranti assurdità (era un bene che né Spock né McCoy sapessero leggere a distanza nella mente) e si concentrò sul rapporto di Scott: le procedure preventive di manutenzione erano state completate in un tempo record, anche se ci sarebbero volute ancora quattro ore, a velocità di curvatura due, per calibrare i tubi di Jeffries. Scott aveva suggerito che tre dei suoi subordinati ricevessero note di elogio, Kirk le registrò nella consolle di comando e ordinò che venissero inserite nell'archivio di bordo e nei fascicoli individuali degli interessati; le raccomandazioni di Scott erano per lui come oro colato. L'andoriano, il tenente Yimasa, arrivò sul ponte e sedette al posto del navigatore. – l'Enterprise risponde bene, capitano – annunciò Sulu, voltandosi verso Kirk con un sorriso. – Sì. – Kirk sapeva che il suo equipaggio avrebbe dovuto essere teso ed esausto, pronto per almeno un mese di licenza, eppure sembravano tutti ansiosi, quasi impazienti di tornare all'azione. Sentì una calda ondata d'emozione salirgli agli occhi e sbatté le palpebre per reprimerla. – Signor Sulu, signor Yimasa, effettuate i vostri rilevamenti. Attendete il mio ordine per uscire dal bacino. – Rilevamenti effettuati, capitano.
McCoy si accostò a Kirk e gli posò una mano sulla spalla. – Jim – mormorò – vi voglio parlare di quella ragazza, la Mason. – Cosa c'è da dire? – Siete certo che sia meglio... – È una professionista, Bones. E poi, il Comando di Flotta ci ha ordinato di cooperare con il SIF. – Jim, ha sempre vissuto su un piccolo avamposto. Non si saprebbe orizzontare in una cittadina, tanto meno sull'Enterprise e ancor meno sull'Enterprise impegnata in una, missione di soccorso d'emergenza. – Io non prevedo pericoli. E voi, Bones? – Ogni volta che andiamo da qualche parte esiste la possibilità d'incontrarne. – È vero. Cosa vi fa supporre che non sappia cavarsela? – L'istinto. Potrei sbagliarmi, ma non mi sembra a suo agio. Avete notato in che modo guarda Spock e Yimasa? – Non ci sono non-umani su Yalbo, e forse loro sono i primi che gli passano davanti agli occhi. – Ho il sospetto che il SIF l'abbia scelta perché era la sola persona che potevano infiltrare a bordo dell'Enterprise, prima del volo di collaudo. Avanzo quindi il mio suggerimento sulla base di due motivi... – Quale suggerimento? – Quello di sbarcarla su Yalbo adesso. Ci sono due ragioni per farlo, Jim: non è all'altezza della situazione e non sono sicuro che vorrei questa responsabilità, se fossi in voi. – Mi sono rimesso a lei. Se la scaricassi a terra adesso, tanto il SIF quanto il Comando di Flotta mi darebbero addosso. È stata scelta dal SIF, e presumo che quella sia gente che sappia quello che fa. – Humph. – McCoy parve molto dubbioso. – Per caso, avete letto l'ultimo articolo del SIF su una nave della Flotta Stellare? – No, non m'interesso molto di cronaca, Bones. – Un corrispondente da Marte ha trascorso due giorni a bordo di una nave da carico pesante e, in quel periodo, ha scoperto una corruzione dilagante, la possibile esistenza di un'ignota pestilenza spaziale e la totale incompetenza del capitano. Posso aggiungere che nessuna di queste accuse è stata presa sul serio dalla speciale commissione d'inchiesta. – Bones – sospirò Kirk – lei non se ne vuole andare e io non posso costringerla. Ha un lavoro da svolgere. – Oh, se ne vuole andare, solo che non le avete offerto una facile via
d'uscita. – McCoy sgranò leggermente gli occhi. – Jim, in effetti voi avreste piacere che rimanesse, vero? Kirk contemplò il medico con sguardo fermo. – Dottore, ho una nave da portare fuori dal bacino di carenaggio. Ne potremo discutere più tardi, se non vi sarete ancora arreso. – Girò la poltrona verso lo schermo e McCoy si raddrizzò, scosse il capo e indietreggiò di qualche passo. Rientrava nella politica personale del dottore rimanere sul ponte, quando era possibile, durante la prima ora di viaggio; la Chapel aveva il controllo assoluto dell'infermeria e questo gli permetteva d'indulgere in quella sua piccola debolezza. – Ingegneria – chiamò Kirk. – Qui Scott, capitano. – Pronti a muovere, signor Scott? – Bollitori al massimo, signore. – Gaschette in tensione, signor Scott. – Sì, signore. Gaschette in tensione. – Avanti piano, signor Sulu – sorrise Kirk. – Tenente Uhura, trasmettete i nostri sinceri ringraziamenti al personale del bacino e i nostri complimenti al comitato per il controllo orbitale su Yalbo. La Mason giunse sul ponte con aria apprensiva, seguita a una discreta distanza dal suo registratore, e si fermò accanto a McCoy fissando lo sguardo sullo schermo principale. – Stiamo partendo? – chiese. – Sì, signora. – Quanto ci vorrà prima che passiamo alla velocità di curvatura? – Pochissimo. – Motori a impulso, signor Sulu – ordinò Kirk. – Avanti tutta. – Sì, capitano. L'Enterprise, erede di tre secoli di esperienza umana e vulcaniana sul mare, sulla sabbia e nello spazio, era uscita con maestosa lentezza dal bacino orbitale, e ora forzò delicatamente l'attrazione gravitazionale di Yalbo, allontanandosi con un movimento a spirale e allineandosi con i campi magnetici del piccolo sole giallo del pianeta. Kirk percepì le vibrazioni dei motori a impulso, lievi ma pur sempre grossolane se paragonate alla costante potenza dei motori a curvatura. – Allineati per l'uscita dal sistema solare, signore – comunicò Yimasa. – Molto bene. Curvatura uno, signor Sulu. Kirk provò una tensione al torace quando l'Enterprise ignorò di colpo tutti i vincoli gravitazionali: adesso la nave era subordinata a una
geometria più elevata che la sospingeva a una velocità appena superiore a quella della luce e l'allontanava dal piccolo pianeta color ocra, chiamato Yalbo, e dal suo sole giallo. Kirk fece apparire per un momento un'immagine virtuale del panorama esterno: l'intero universo parve compresso in una scintillante banda luminosa, ruotato e curvato in direzione opposta a quella delle telecamere esterne. – Curvatura due, da mantenere fino a quando il signor Scott non ci darà via libera per completare la sequenza di curvatura. – Sì, capitano. Kirk cancellò l'immagine virtuale e sullo schermo principale apparve la simulazione effettuata dal computer del sistema stellare e degli astri più lontani. Quando l'Enterprise fosse arrivata a curvatura quattro, alcune delle stelle più vicine sarebbero sembrate in movimento. Kirk lanciò uno sguardo verso la Mason, chiedendosi se stesse provando le stesse sensazioni; la velocità di curvatura gli vibrava nelle ossa come una meravigliosa melodia, come il canto di una splendida sirena che stesse spingendo la nave più in fretta in rapporto alla geometria statica e all'universo, ma che nel contempo ne stesse frenando la rapidità in relazione agli spazi più alti che stavano attraversando. In effetti, il segreto della velocità di curvatura consisteva nel non permettere all'Enterprise di raggiungere una velocità infinita in geometrie aliene, cosa che avrebbe trasformato la nave e i suoi occupanti in un minuscolo e letale buco nero. – Benvenuto alla velocità di curvatura, signor Mason. – Grazie, capitano. È un'esperienza notevole. – La ragazza si chiese se si sarebbe sentita male. E dov'era l'ufficiale scientifico, il vulcaniano? Non avrebbe dovuto trovarsi sul ponte in un momento come questo? Quasi in risposta ai suoi pensieri, le porte del turboelevatore si aprirono e Spock si diresse verso la sua postazione, al computer scientifico, seguito dal tenente Veblen che rivolse un sorriso alla ragazza, nel passarle accanto. – A questa velocità, usciremo dal vostro sistema in due ore – spiegò Kirk. – Suppongo che non abbiate mai viaggiato tanto in fretta prima d'ora. – Non avevo mai lasciato Yalbo, finora. Sono una ragazza di campagna, capitano, ma spero di diventare presto più sofisticata. – Rowena si sentì in imbarazzo per il proprio tono di voce. – Non precipitate le cose, signor Mason – le consigliò Kirk. – Le prime esperienze vanno assaporate. – Le assaporerò quando non sono in servizio, capitano. E vi prego di chiamarmi Rowena..
– Certo, Rowena. Vedo che avete richiesto un'intervista con me in sala computer. Alle 16.00 vi andrebbe bene? Se Scotty... il signor Scott avrà ultimato in tempo le riparazioni, dovremmo aver raggiunto la massima velocità di curvatura e avrò una quindicina di minuti liberi. – Ci sarò. – Rowena deglutì e decise che aveva bisogno di sedersi; dal momento che sul ponte non c'era un sedile che non fosse già occupato, si diresse verso l'ascensore. Mentre le porte del turboelevatore si richiudevano dietro di lei, McCoy si accigliò e tamburellò con le dita sul corrimano. – Capitano, qui ingegneria. Parla Scott. Abbiamo ultimato le riparazioni e ora la nave dovrebbe sopportare la velocità massima di curvatura senza troppe difficoltà. – Cosa, non mi garantite una sicurezza totale? – chiese Kirk. – Non ci saranno problemi a cui non si possa porre rimedio – replicò Scott. – E se ce ne dovessero essere, sarete il primo a saperlo. Dopo di noi, capitano. – Pronti, signor Scott? – Quanto potremo mai esserlo. – Bene. Signor Yimasa, effettuate le ultime rilevazioni di rotta. – Sì, signore. Usciremo dal braccio galattico fra due ore e dieci secondi, tempo di bordo. Curva catenaria attraverso quattro geometrie selezionate non appena arriveremo a curvatura sette. – Eseguite la sequenza fino a curvatura cinque, signor Sulu. – Sequenza in corso. La vibrazione nelle ossa accelerò il ritmo. – Curvatura tre, capitano. Quattro... cinque. – Sequenza fino a curvatura undici, signor Sulu, Signor Yimasa, calcolate il punto d'ingresso nella zona neutrale romulana, non appena possibile, e trasmettete i dati alla mia consolle. – Curvatura sei. Sette. Kirk socchiuse gli occhi. – Otto – continuò Sulu. – Nove. Dieci. Massima velocità di curvatura undici, capitano. Curvatura undici costituiva un trattamento speciale per James Kirk; la vibrazione divenne una sinfonia e lui godette, nel segreto del suo intimo, al pensiero di sfuggire alla geometria statica per diciassette giorni, anche se lungo una rotta che li avrebbe portati attraverso territori contesi. Se erano fortunati, avrebbero trascorso meno di un'ora nelle zone neutrali...
Almeno, se non ci fossero state interferenze. Conosceva alcuni comandanti romulani e kshatryiani che pattugliavano quelle regioni: buoni ufficiali e ottimi comandanti... molto ansiosi di mettere alla prova le loro capacità e le loro navi contro le sue. "Ah, la pace 'pensò' è come la seduzione, qualche volta più eccitante dell'azione stessa." Prese mentalmente nota di regolare la doccia sonica a una temperatura molto fredda prima del prossimo periodo di sonno. – Cosa mi potete dire di T'Prylla, Spock? Il vulcaniano sedeva con aria stolida su un'immacolata piattaforma di meditazione in pietra, con gli occhi chiusi, immerso negli esercizi matematici a cui si era di recente dedicato e che erano indispensabili per il suo ingresso nel terzo stadio della vita vulcaniana, ora che aveva raggiunto i settantanove anni di età. Kirk era conscio di non interrompere il suo amico, perché i Vulcaniani avevano la notevole dote di saper dedicare la loro attenzione a più cose contemporaneamente. – È una vulcaniana davvero straordinaria, capitano, e mi rincresce di non averla conosciuta meglio. È stata una pioniera nell'adozione di nuovi metodi logici, metodi considerati in passato inaccettabili dallo Spyorna. Si è sposata contravvenendo agli accordi presi dalla famiglia... – Una tradizione che ha causato difficoltà anche a voi, se ben ricordo – osservò Kirk, in tono di rammarico. – Nel mio caso – annuì Spock – si poteva trovare una giustificazione nel fatto che sono contaminato da sangue umano, ma T'Prylla è una vulcaniana pura e, sotto molti aspetti, le sue concezioni si riallacciano a quelle di un nostro famosissimo strovadorz, filosofo, di nome Skaren, che consigliava il predominio della logica induttiva su quella deduttiva. Il ragionamento induttivo è essenziale ma non è quello preferito dai Vulcaniani. – State dicendo che usa l'intuito femminile? – Un'affermazione degna del dottor McCoy, capitano. – Sì, chiedo scusa. Comunque, è stata considerata una ribelle. – È anche molto intelligente. È altamente improbabile che lei e Grake non abbiano previsto i pericoli connessi alla loro ricerca e non si siano preparati a essi. Devo quindi supporre che nella Nebulosa Black Box sia accaduto qualcosa che esula completamente da ogni esperienza umana o vulcaniana. Ci dobbiamo preparare di conseguenza. – Come faremo? – Ho studiato i testi del signor Veblen sui nuovi sistemi di computer. Il
principio degli algoritmi stocastici è davvero affascinante. Riservare una parte del computer di bordo perché prospetti le varie possibilità, inserendo variabili improbabili, potrebbe essere molto utile. Kirk osservò il vulcaniano per parecchi minuti, riflettendo. Sotto alcuni punti di vista, questa sembrava prospettarsi come una normale missione di soccorso, ma le affermazioni di Spock lo preoccupavano e di certo avrebbero potuto fare di peggio che lasciare, entro certi limiti, mano libera a Veblen. Kirk non era sicuro di fidarsi completamente del tenente, che si allontanava dalla normativa della Flotta Stellare, più o meno nello stesso modo in cui Spock diceva che T'Prylla deviava da quella vulcaniana. Comunque, quella di preparare un modello stocastico sembrava un'idea abbastanza ragionevole. – Lo metterò subito al lavoro – decise Kirk, e si alzò. – Attraverseremo la zona neutrale romulana domani alle 15.36. – 15.36 punto 42 – lo corresse Spock. – Naturalmente. Perdonate l'interruzione. – Krawkra – rispose Spock, usando un complesso termine vulcaniano che equivaleva vagamente allo spagnolo de nada.
CAPITOLO VI La sala computer era una piccola stanza di appena tre metri quadrati, collocata parecchi livelli più in basso rispetto al ponte di comando nel piatto dell'Enterprise. Il computer principale della nave era inserito nelle pareti, spesse poco più di tre centimetri, e l'ambiente era vuoto, a parte un piedistallo nel centro e un percorso di rete metallica che portava a esso. La Mason era in piedi sul percorso con la tavoletta per le annotazioni in mano, sconcertata per l'assoluto silenzio: qui era assente perfino l'ineffabile sensazione data dalla velocità di curvatura. Kirk era fermo accanto al piedistallo, in paziente attesa della domanda successiva. Avevano iniziato l'intervista da una decina di minuti, e fino a ora lui aveva fornito solo una sintesi della sua carriera, che la donna aveva diligentemente registrato, pur sapendo che avrebbe dovuto cercare altrove per rimpolpare quei dati. – Suppongo che sia ora di arrivare all'inevitabile. – E di cosa si tratterebbe? – domandò Kirk, guardingo. – Come si sente un capitano di astronave, sapendo che ogni sua decisione dovrà essere valutata e approvata da una macchina?
Kirk detestava essere diplomatico al punto d'ingannare l'interlocutore, ma questo era un caso che richiedeva una risposta evasiva. – La Flotta Stellare ha ben presenti gli interessi della Federazione. Se un capitano d'astronave dovesse comportarsi in maniera stravagante, i monitor fungerebbero da valvola di sicurezza, togliendogli il comando. È mio dovere perciò non essere... stravagante. – Ma certamente la Flotta Stellare è molto cauta nella scelta dei suoi capitani; non è forse impossibile che un uomo o una donna, avendo superato tutti i test, si riveli poi una mela bacata? Quella donna lo stava portando di nuovo su un terreno pericolosamente delicato. Kirk conosceva degli ufficiali che erano "finiti male", ma si trattava di casi rari e le sfortunate conseguenze non erano mai andate oltre qualche danno per le navi della Flotta Stellare... e la morte per qualche membro dell'equipaggio; comunque, sussisteva sempre la possibilità... – Non è mai impossibile che un essere umano commetta un errore. I monitor sono stati installati per bloccarmi, o bloccarci, nel caso che quell'errore si verifichi. – Ma se si trattasse di un contrasto di opinioni, di una decisione da prendere e non vi venisse permesso di agire secondo le vostre convinzioni? – Questo non è ancora accaduto. – Il sistema non è ancora stato sperimentato, capitano. – È vero, ma non mi piace indulgere in speculazioni. Entro la fine di questa missione, dovremmo aver accumulato un'esperienza sufficiente a stabilire se siano necessarie o meno delle modifiche. – Vi aspettate che se ne debbano apportare? – No – disse sorridendo Kirk, e si trovò a sperare che così fosse. – In effetti i monitor sono costituiti dalle esperienze di sei fra i nostri migliori capitani di astronave, ed è come se loro si trovassero alle mie spalle, pronti a elargire consigli amichevoli. Non mi aspetto davvero di trovarmi in dissenso con sei fra i più grandi capitani della Flotta. – Sì, ma sono certa che a nessun capitano faccia piacere vedere messi in discussione i propri ordini, neanche dai più brillanti dei suoi colleghi. Un capitano non dovrebbe essere autonomo e avere il pieno controllo delle proprie azioni? – Un capitano di astronave è parte integrante di una catena di comando e non è mai padrone di se stesso. – Quante volte aveva oltrepassato i limiti di questa regola, fin oltre il punto di rottura? – Qualche volta l'aspetto romantico del comando viene esagerato, non vi pare? Io sono sempre
responsabile delle mie azioni, anzi, sono responsabile delle azioni dell'Enterprise e di tutti coloro che si trovano a bordo, e se i monitor mi possono aiutare nel mio lavoro, allora sono i benvenuti. Forse dovreste parlare con il tenente Veblen: lui vi potrebbe fornire tutti i dettagli tecnici, perlomeno quelli che non sono riservati. – Mi sarebbe molto utile. È disponibile adesso? "Anche se non lo è" pensò Kirk "farò in modo che lo sia". Fece cenno alla Mason di uscire dalla sala e contattò il centro controllo computer, dov'era probabile trovare Veblen, impegnato in un costante controllo dei comandi periferici dei monitor. – Avrò bisogno del signor Veblen sul ponte di comando fra quarantacinque minuti – disse alla donna. – Vi prego quindi di non tenerlo impegnato più a lungo. – Non lo farò – promise la Mason, e seguì Kirk con lo sguardo mentre questi entrava nell'ascensore. Non aveva appreso nulla d'importante, o almeno nulla che fosse in grado di provare, e lui le aveva concesso solo tredici minuti. Una cosa le era comunque evidente, forse più di quanto lo fosse allo stesso Kirk: il capitano dell'Enterprise detestava l'idea di essere controllato nel suo operato. Sul ponte, tutto procedeva in maniera ordinata. Kirk sedette sulla poltrona di comando e indugiò un momento prima di effettuare una registrazione sul diario di bordo. Era possibile, seppur vagamente, che l'Enterprise potesse funzionare meglio senza di lui? Accantonò quel dubbio, quasi prima di averlo concepito, ed effettuò la registrazione di routine sulle condizioni della nave, usando la tastiera inserita nel compatto bracciolo della poltrona. Un momento più tardi Veblen apparve sul ponte. – Buon giorno, signor Veblen – lo salutò Kirk. – Confido che l'intervista con il signor Mason sia stata piacevole. – Sì, lo è stata – rispose il tenente, sorridendo. – È una persona molto simpatica. Posso ascoltare le comunicazioni del monitor con la consolle di comando, capitano? Kirk lo guardò con aria vagamente irritata. – Sì, certo. – Veblen effettuò i necessari collegamenti attraverso la consolle scientifica e s'inserì nell'orecchio un auricolare, poi la sua faccia assunse un'espressione di beata concentrazione, mentre ascoltava le voci dei computer che conversavano fra loro in svariati linguaggi macchina. – Signor Veblen – lo chiamò Kirk, qualche minuto più tardi. – Sì, capitano? – Il tenente aveva collegato un computer diagnostico alla
consolle scientifica e l'immagine sullo schermo era di una spettacolare complessità. – Il signor Spock raccomanda che l'Enterprise sia pronta a qualsiasi necessità, e io sono d'accordo con lui. Avremmo bisogno... – Signore, ho già avviato un algoritmo stocastico nei centri per la strategia e la previsione. – Naturale. – Kirk si morse un labbro. – Si è avuto qualche risultato? – Il programma è in funzione da appena un'ora, signore. – Veblen esibì un sorriso deliziato. – L'ultima volta che ho controllato, stava esaminando un modello relativo allo sviluppo delle nubi di Hoyle in condizioni protostellari. – Le nubi di Hoyle, signor Veblen? – Vaste masse senzienti di gas interstellare, capitano, battezzate con il nome di un astronomo del ventesimo secolo. – Sì. l'Enterprise ha incontrato molte volte creature del genere. Ma cosa c'è di tanto divertente, signor Veblen? – Di per sé nulla, signore, ma l'algoritmo stava esaminando la possibilità che quelle entità fossero campioni di scacchi. – Il sorriso del tenente si accentuò come se lui si stesse divertendo per uno scherzo segreto che non poteva in nessun modo spiegare. – Devo presumere che questo rientri nella natura dell'algoritmo e che non vi sia motivo di allarmarsi, signor Veblen? – Sarebbe del tutto inutile, capitano. Il programma non si aspetta di essere interrotto mentre prepara la sua lista di situazioni assurde. Sceglierà di sua iniziativa gli scenari più utili. – Grazie. – Chissà come, Kirk perdeva il suo senso dell'umorismo quando aveva a che fare con il giovane ufficiale addetto ai computer. Forse dipendeva dal fatto che Veblen sembrava incapace d'indossare l'uniforme in maniera corretta... – Ora vi prego di lasciare libera la consolle di comando, signor Veblen. – Sì, signore. – Il tenente disattivò il tricorder diagnostico e i collegamenti, restituendo a Kirk l'intimità della sua poltrona. McCoy arrivò sul ponte con aria moderatamente giubilante, si arrestò accanto a Kirk, sorrise e scosse il capo. – Capitano, credo di aver scoperto come lavorare con i cani da guardia. Sto imparando a ragionare con loro, Dio mi aiuti. Non ci dovremmo aspettare troppi fastidi. – Abbassò la voce. – A meno che non c'imbattiamo in qualcosa che esuli, anche solo in maniera minima, dal consueto. – Lanciò un'occhiata significativa verso Veblen.
– Lieto di sentirlo, dottore. Quando avrete ottenuto il loro controllo, forse mi spiegherete come affrontare l'override del signor Veblen sulla consolle di comando. – È facile, Jim. Basta che non facciate errori. Usate la vostra capacità di giudizio ma, per l'amor di Dio, non prendete decisioni. Kirk rise. – Rapporto sull'andamento delle prove degli armamenti, signor Chekov. Il russo fece ruotare la sua sedia. – Siamo pronti quasi a tutto, capitano. Diario del capitano, Data Astrale 4380.4. Sto riesaminando le mie registrazioni nel tentativo di reperire tutte le informazioni possibili sul conto del vice commodoro kshatryiano, Uligbar Dar Zotzchen. Dar Zotzchen è l'ultimo comandante di cui sia stata confermata la presenza nel tratto kshatryiano della zona neutrale. Come previsto, i Romulani non ci hanno dato fastidi nel corso del nostro breve passaggio, ma è improbabile che i Kshatryiani si dimostrino altrettanto disponibili, nonostante l'assenso fornito dai loro rappresentanti presso la Federazione. L'ultima volta che ho avuto a che fare con Dar Zotzchen è stata quando ero un inesperto ufficiale esecutivo a bordo del Bonne Homme Richard, di scorta a un carico di software inviato, in base al trattato, al reggente in carica, Dom Hauk. La mia impressione è stata allora che Dar Zotzchen sia un astuto figlio di buona donna e un soggetto di cui non bisogna fidarsi quando si ha fretta...
INTERROMPERE/INTERROMPERE/INTERROMPERE/ INTERROMPERE/INTER Kirk arrivò sul ponte in meno di un minuto. Veblen disattivò con prontezza l'override del monitor di comando, che per fortuna, nel frattempo, non aveva fatto nulla e Uhura ritrasmise il messaggio. Kirk ascoltò con attenzione: sì, la voce, perfino nella traduzione, era quella di Dar Zotzchen. Indimenticabile. – Il difensore dell'Assegnazione Divina Kshatryiana, primo commodoro Uligbar Dar Zotzchen, all'inetto comandante del facilmente riconoscibile vascello della Federazione, chiamato Enterprise. La vostra rotta attuale vi porterà attraverso il territorio kshatryiano, e questo è considerato un atto di guerra. Siete pronto a violare tutto ciò che i nostri trattati rappresentano? – Saluti – rispose Kirk – al giusto difensore Dar Zotzchen. Congratulazioni per la vostra promozione e tutto il dovuto rispetto al reggente in carica. – Omise deliberatamente il nome del reggente, nell'eventualità che vi fossero stati dei cambiamenti in seno alla famiglia reale. – Gli ufficiali al servizio del primo commodoro devono essere
davvero degli incapaci nell'assolvere i loro doveri, se non hanno informato vostra vigilanza del fatto che avevamo già chiesto e ottenuto il permesso di passare. Siamo impegnati in una missione di soccorso. Uhura ascoltò con attenzione, poi fece ruotare la sedia verso Kirk. – Nessuna risposta, capitano. – Signore – intervenne Veblen – il monitor suggerisce che il kshatryiano trasmetterà probabilmente una risposta conciliante su un oscuro canale per... – Il tenente Uhura e io ne siamo consapevoli, signor Veblen – replicò Kirk, forse in tono troppo brusco. – Tenente, ripetete il mio messaggio e aggiungete un condensato della comunicazione con cui i Kshatryiani hanno concesso, al Comando di Flotta il permesso di passaggio. Spock giunse sul ponte, sedette alla postazione scientifica e controllò furtivamente i punti di accesso di Veblen ai computer. Kirk lo notò ed ebbe un sorriso di apprezzamento: non gli piaceva questa specie di cospirazione contro uno dei suoi ufficiali, ma nell'eventualità di un'emergenza era meglio sapere tutto in anticipo... anche se i nuovi sistemi gli avrebbero lasciato assoluta libertà di azione. La Mason arrivò sul ponte un momento più tardi; la sua espressione era più seccata che spaventata, ma si trasformò in un rigido autocontrollo non appena ebbe afferrato la situazione. – Ancora nessuna risposta, capitano – riferì Uhura, lanciando un'occhiata alla sua nuova compagna di stanza. – Distanza dalla zona neutrale, signor Yimasa. – Tre ore luce, in rapida diminuzione, capitano. – Mantenere massima velocità di curvatura. Signor Chekov, caricate i tubi di lancio dei siluri fotonici con bersagli fasulli e preparatevi a lanciarli. Schermi al massimo. – La risposta è in arrivo, capitano. – Sentiamola. – Siete il capitano Kirk, vero? – Il kshatryiano aveva modificato il tono in modo da sfruttare le inflessioni umane. – I nostri archivi non sono così precisi, ma ricordo un giovane ufficiale con una voce molto simile alla vostra. Suppongo che siate arrivato a ottenere il comando di una nave e vi porgo le mie congratulazioni. Già allora, vi avevo giudicato un degno avversario, nonostante la vostra inesperienza. Le nostre macchine stanno già cercando il messaggio in questione, ma nell'attesa vi preghiamo di passare alla velocità a impulso e di costeggiare la zona neutrale.
Kirk fece una smorfia. – Rispondete, tenente. Impossibile passare a velocità sub-luce. Ripeto, siamo in missione di soccorso e il tempo è d'importanza vitale. Abbiamo già trasmesso la risposta del vostro governo, completa di identificazione codificata. Vi preghiamo di lasciarci passare. La vostra ostilità potrebbe rappresentare il primo passo verso una situazione davvero sgradevole. Uhura rimase in ascolto per alcuni minuti, durante i quali sul ponte regnò il silenzio, rotto solo dal respiro irregolare della Mason. Kirk lanciò uno sguardo a Veblen e vide che aveva il viso acceso di eccitazione ma privo di paura, mentre la giornalista iniziava a tradire la tensione con una serie di gesti e di contrazioni nervose. – Nessuna risposta, capitano. – Mantenere la massima velocità di curvatura, signor Sulu. Signor Chekov, liberate i tubi da due bersagli e caricate due siluri fotonici. Abbiamo individuato le navi kshatryiane, signor Yimasa? – Sono ancora nascoste e fuori dalla portata dei sensori, signore. – Signore... – accennò a dire Veblen. – Niente interruzioni, signor Veblen, prego. – Ma signore, potrebbe essere importante... – Per favore! – Kirk indirizzò uno sguardo irato all'ufficiale addetto ai computer, che annuì e indietreggiò di un passo. – Distanza, signor Yimasa. – Due ore luce dalla boa ottantuno, la più vicina della zona neutrale, signore. – Allarme giallo, signori. – Le sirene presero a suonare su tutti i ponti. – Postazioni di combattimento. – Echeggiò un fischio penetrante, seguito dalla ripetizione meccanica di quell'ultimo ordine, mentre sulla consolle di comando un display segnalava tutte le stazioni che riferivano di essere pronte e al completo degli effettivi. Lo schermo del ponte mostrava un'immagine ricostruita delle stelle nelle immediate vicinanze e la supposta disposizione della flotta da battaglia kshatryiana. – Li abbiamo, capitano – annunciò Chekov, e Yimasa lo confermò. – Sono nella classica formazione a Curvatura E e sembrano molto combattivi. Kirk annuì, mentre le posizioni presunte delle navi sullo schermo, segnate in verde, venivano sostituite da luci rosse di conferma. Nella Curvatura E, le file esterne di navi viaggiavano a una velocità di curvatura fra il minimo e tre, e la retroguardia e il centro avanzavano con i motori a impulso. Se l'Enterprise fosse stata intrappolata dentro quella formazione,
indipendentemente dalle tattiche cui avesse fatto ricorso, avrebbe dovuto affrontare avversari preparati. Kirk notò che McCoy era arrivato sul ponte ed era fermo accanto alla Mason, con le mani strette intorno alla ringhiera e il viso atteggiato a una studiata espressione di autoritario interesse. – Signor Sulu – iniziò Kirk, poi indugiò mentre l'ufficiale si girava, in attesa. – Mantenere la rotta, in maniera costante. – Signore, così passeremo entro il raggio di azione della loro formazione – obiettò Yimasa. – L'avevo supposto, signor Yimasa. Nessun segnale, Uhura? – Niente, capitano. – Avanti, allora. Avanti. – "Sembra che stia rassicurando un cavallo" pensò la Mason. Kirk batté un colpetto sul bracciolo della poltrona e fissò con attenzione lo schermo di prua. Veblen se ne stava da un lato e tentava di apparire contrito, senza però riuscirci del tutto. Era in momenti come questo che Kirk sentiva di essere quasi in contatto telepatico con Spock: la semplice presenza del primo ufficiale era sufficiente per indurre Kirk a ritenere che le sue azioni fossero proprio quelle che il vulcaniano gli avrebbe suggerito. – Cinquantasette minuti luce. – Rapporto sulle condizioni della nave. – Tutte le postazioni sono pronte, capitano. – Allarme rosso condizionale. – Di nuovo suonarono le sirene e tutti i ponti accusarono ricevuta dell'ordine presso la consolle di comando. Seguì l'eterno afflusso di adrenalina, lo stesso che l'uomo delle caverne aveva usato per prepararsi a fronteggiare un lupo o un orso... e a cui Kirk ricorreva ora per prepararsi ad affrontare una flotta d'incrociatori da battaglia ad alta tecnologia, fra le stelle e le dimensioni. Veblen deglutì in maniera vistosa, e Kirk pensò che quella doveva essere la sua prima battaglia e che l'esperienza gli avrebbe fatto bene. La Mason non si era mossa e continuava a spostare lo sguardo da Kirk a Spock a McCoy. – Nessuna risposta, capitano – ripeté Uhura. – Spock, riusciamo a intercettare le comunicazioni fra le loro navi? – Sì, capitano. Non sembrano essere in stato di eccessivo allarme ma, a parte questo, non riesco a decifrare con chiarezza i segnali. Potrebbero essere falsi. Se quel figlio di buona donna kshatryiano lo stava costringendo a sottoporre il suo equipaggio a un allarme rosso condizionale solo per
divertimento... – Due minuti luce – annunciò Yimasa. – Siamo a tiro. – La formazione a Curvatura E si sta dividendo e chiudendo – avvertì Chekov. – Allarme rosso effettivo – ordinò Kirk. – Le navi a impulso passano a curvatura minima – disse ancora Chekov. – La formazione sta convergendo su di noi, signore – aggiunse Sulu. – Prepararsi al combattimento. Imminente allarme danni. – Capitano! – Uhura si portò una mano all'orecchio. – Un messaggio dal primo commodoro. Ci augura la miglior fortuna da parte del Creatore e accusa ricevuta del permesso di attraversare la zona neutrale... Kirk, McCoy e la Mason esalarono il respiro nello stesso momento, poi il capitano si rivolse all'ufficiale ai computer con un sorriso asciutto. – Allora, signor Veblen? – Capitano? – Cosa suggerivano i monitor? – Di non preoccuparci, signore. Attualmente i Kshatryiani non sono in condizioni d'impegnarsi in una guerra su vasta scala, non hanno bisogno di farlo e vanno famosi per il gusto perverso di mettere alla prova gli avversari. I monitor hanno concordato con le vostre azioni su tutta la linea, signore. – Sono molto lieto di sentirvelo dire, signor Veblen. Ma allora, come mai la vostra comunicazione era tanto urgente? – Ecco, signore, ritenevo che non ci fosse motivo di essere in tensione, se tutto doveva andare per il meglio. Energia sprecata. – Davvero, signor Veblen – commentò Kirk, guardando verso la Mason. – Davvero.
CAPITOLO VII Quando la Mason entrò nell'alloggio di Uhura, l'ufficiale addetto alle comunicazioni era appena smontato di servizio e stava indossando una lunga tunica rossa e arancione, decorata lungo il bordo da leopardi a caccia fra l'erba della giungla. Uhura le sorrise e le offrì un bicchiere di vino, prelevato dal servizio automatico della cabina. – È stata una cosa davvero impressionante – commentò la giornalista, sedendo sul bordo della sua cuccetta. – Non credo di aver mai avuto tanta
paura. – Era un bluff – spiegò Uhura – e ritengo che la maggior parte di noi ne fosse consapevole. Mi spiace che non ci sia stato il tempo per prepararvi. – Il capitano non si è comportato come se si trattasse di un bluff. – Faccia da poker – rise Uhura. – E tutti sono sembrati sollevati quando è finita. – Ecco, non si può mai sapere cosa farà un kshatryiano. Che ne sapete di loro? – Solo quello che ho letto sui testi scolastici e appreso dai bollettini subspaziali – rispose la Mason, scuotendo il capo. – Notizie di cronaca. – In effetti, sono una razza davvero ammirevole, molto duri e sempre sulla difensiva, ed è giusto che lo siano. Mi ricordano gli Zulù. Sono una razza antica, circondata dai Romulani e dalla Federazione e minacciata dai Klingon... e tuttavia riescono a conservare i loro retaggi, anche contro tecnologie più progredite. – Sono fondamentalmente della stessa razza del comandante Spock, vero? – Fanno parte delle migrazioni dakhriane del terzo ottante, se è questo che intendete dire. Vulcaniani, Romulani, Klingon e Kshatryiani sono tutti imparentati fra loro, se si torna abbastanza indietro nel tempo. – E Spock non prova disagio per il fatto di essersi alleato con gli umani contro gente del suo stesso sangue? – Temo che si tratti di legami troppo antichi perché possa sussistere ancora qualche vincolo di fratellanza. E poi, chi può sapere cosa provi il signor Spock? – Non capisco. Uhura sollevò un po' la tunica e accostò una sedia al letto della Mason. – È un vulcaniano, e quel popolo ha princìpi molto rigidi per quanto riguarda il controllo delle emozioni. – Sì, lo so. – Rowena avvertì una leggera irritazione. – Non siamo isolati fino a questo punto su Yalbo. Ma non ha una sua opinione? – Solo quando vi sono numerose prove a convalidarla. Le opinioni personali sono un anatema per i Vulcaniani, e qualsiasi cosa abbia a che fare con i tratti personali e meschini del carattere viene soffocato durante il processo dell'educazione. Ma ora basta parlare di Spock: mi piacerebbe sapere qualcosa di più su di voi. – Sono una reporter – rispose la Mason, scrollando le spalle. – Vengo da un pianeta molto piccolo e isolato. Che altro c'è da dire? E poi io non
conto, importa solo l'articolo. – Mi spiace che nessuno di noi sia potuto scendere su Yalbo – osservò Uhura. – Mi piace visitare ogni tipo di pianeta, anche quelli piccoli. – Yalbo è nato come colonia mineraria – spiegò la Mason, accarezzandosi il dorso di una mano; poi abbassò lo sguardo e intrecciò le dita. – È ricco di metalli e terre rare... tanto che non possiamo bere l'acqua sorgiva perché ci avvelenerebbe. L'atmosfera è piena di acido nitrico e quando usciamo dagli insediamenti dobbiamo indossare tute protettive complete. Non lo definireste un paradiso. – Eppure, scommetto che a voi piace. – Uhura si protese in avanti con un bagliore negli occhi neri e la Mason scosse il capo con un sorriso. – Tutti troviamo qualcosa di bello nel posto dove siamo cresciuti. – La gente, forse? – Certo. C'è un sacco di brava gente su Yalbo. – Ne siete orgogliosa, ammettetelo. – Naturale – confermò la giornalista, dopo un momento di riflessione. – Abbiamo fatto alcune cose notevoli laggiù, come per esempio rimanere vivi fino a quando la Federazione ci ha scelti come avamposto. Non è stato facile, perché Yalbo è diventato produttivo proprio in concomitanza con il boom metallifero del secondo ottante: avremmo dovuto spedire la nostra produzione a mille parsec di distanza per essere appena competitivi. Sono stati tempi duri. – Quanti anni avevate? – Oh, non ero neppure nata a quell'epoca, ma i miei genitori me ne hanno parlato. Parte della popolazione sarebbe morta di fame se non fosse stato per le navi di soccorso della Flotta Stellare. – Mio padre ha servito su una nave di soccorso. Forse è venuto su Yalbo. – Accettare la carità è stato duro. La mia gente era una comunità di hippies, sapete, voleva essere autosufficiente per distaccarsi dal governo galattico e costituire una sua comune, e i più erano originari delle città minerarie di Marte. Avevano bisogno delle navi di soccorso, ma non erano lieti di vederle arrivare; non abbiamo mai approvato le organizzazioni militari. – Credevo che gli hippies risalissero al ventesimo secolo. – Le comuni su Marte hanno ridato inizio al movimento e la gente di Yalbo ha cambiato molte cose. Noi siamo Umanisti, crediamo che ogni cosa nella Galassia abbia al centro gli esseri umani e che tutte le altre
specie siano a essi subordinate. – Non mi sembra una filosofia molto sensata – commentò Uhura, con una smorfia. – Funziona abbastanza bene su un pianeta dove non ci sono altre specie, e poi dovete ammettere che ci vuole un po' ad abituarsi a qualcuno come Spock. Uhura si alzò in piedi e incrociò le braccia. – Rowena, vi suggerisco di non tentare di applicare le filosofie di Yalbo su un'astronave. Noi siamo stati in troppi luoghi e abbiamo visto troppe cose; se volete sapere come siamo davvero, dovete passare un po' di tempo a studiare le parti del diario di bordo accessibili al pubblico. – Fece una pausa, poi si chinò sulla giornalista. – Ho incontrato dei non-umani al confronto dei quali noi non siamo che vermi: strisciamo al loro cospetto e ce ne andiamo strisciando, e l'unico motivo per cui non ci schiacciano è che sono del tutto diversi da noi. Gli esseri umani non sono il centro di nulla. – Mi dispiace – replicò la Mason. – Non ho nulla contro le altre specie, ma credo che noi umani siamo importanti. – Importanti sì, più importanti no. Ora sarà meglio che la smetta con la mia arringa e prepari qualcosa per cena. Mangiarono in silenzio, reciprocamente guardinghe; quando il periodo di sonno fu terminato, Uhura si alzò e indossò l'uniforme nella cabina della doccia sonica, poi attese accanto alla porta mentre la Mason si vestiva. – Sarò sul ponte fino alle 18.00. Salite un po' prima e vi farò vedere in che cosa consiste il mio lavoro, poi andremo a cena in sala mensa e assisteremo a qualche spettacolo nella sala ufficiali. – Uhura – chiamò la Mason, mentre il tenente stava per andarsene. – Sì? – Avete difficoltà a dormire quando si è in velocità di curvatura? – Cielo, no! Perché? – Me lo stavo solo chiedendo. – Forse dipendeva dall'essere lontana da Yalbo, dagli odori e dalla compagnia dell'insediamento; si sentiva così sola, così circondata da stranieri, e se lei lo avesse permesso, l'isolamento avrebbe potuto facilmente deprimerla, esercitando un influsso negativo sul suo lavoro, cosa che non avrebbe mai potuto accettare. Ed era arrabbiata. Uhura era umana e, di qualsiasi natura fossero le sue esperienze, di certo doveva sentirsi più affine agli umani che alle altre specie! Come poteva una razza qualsiasi sopravvivere se i suoi membri non sentivano con maggiore intensità i vincoli che li legavano? Possibile
che qui sull'Enterprise tutti quanti pensassero che gli Umanisti fossero rivoluzionari retrogradi? Controllò le apparecchiature. Forse non era una cattiva idea fare qualche ricerca sul diario di bordo; aveva ancora quindici giorni prima che l'astronave arrivasse alla Black Box, durante quel tempo si sarebbe potuta immergere nelle tradizioni della Flotta Stellare e nella storia dell'Enterprise... e avrebbe potuto trovare una maglia rotta in quell'armatura di militaresca virtù.
CAPITOLO VIII ATTENZIONE! STATE ENTRANDO IN UN SETTORE DI SICUREZZA! L'ACCESSO NON AUTORIZZATO PUÒ ESSERE PERSEGUITO LEGALMENTE... Spock, seduto davanti alla consolle dei monitor nel centro controllo computer, contemplò il messaggio apparso sullo schermo con leggero disgusto; secondo quanto lui e Veblen erano riusciti a capire, in ciò che stava per fare non vi era nulla che violasse i regolamenti della Flotta Stellare e neppure i codici dei monitor, e tuttavia i progettatori umani avevano costellato con avvertimenti e ambigue minacce ogni aspetto della programmazione dei monitor. Conosceva un metodo per aggirare quell'avvertimento, un metodo illustrato nelle istruzioni stesse del sistema, quindi cancellò la scritta e procedette verso il cuore del sistema, i banchi di memoria che contenevano le esperienze memorizzate di sei comandanti della Flotta Stellare. Di quei sei, quattro erano ormai morti, e gli altri due si erano ritirati dal servizio attivo. Fra i deceduti vi era un vulcaniano, l'unico della sua razza che avesse mai raggiunto il grado di ammiraglio della Flotta, l'ammiraglio Harauk. Spock era molto interessato alle opinioni di Harauk su certe questioni e, da quanto riusciva a capire, i monitor erano in grado di replicare la struttura di pensiero dell'ammiraglio, sia pure entro certi limiti. Fintanto che Spock non avesse cercato di alterare la memoria in questione o di modificare il sistema, in qualsiasi modo che ne potesse influenzare il funzionamento, la cosa più grave che avrebbe potuto fare sarebbe stata offendere il senso di dignità dei monitor... come lui descriveva l'intenzione che aveva dettato tutti quegli avvertimenti. (Spesso era meglio trattare con
macchine complesse come i monitor considerandole capaci di avere personalità e capricci, specialmente quando erano state progettate da umani.) AVVERTIMENTO! I MONITOR NON SONO STATI PROGETTATI PER OPERARE CON L'INPUT DI UNA SOLA MEMORIA-ESPERIENZA. POTREBBE DERIVARNE UN... Spock cancellò ancora la scritta, si mise gli auricolari per la comunicazione diretta e sentì un lontano sibilo che non era un'interferenza ma solo il segnale che distingueva la memoria dell'ammiraglio Harauk; a questo punto non c'era più bisogno dell'interfaccia di un linguaggio macchina, quindi Spock premette un pulsante per attivare la comunicazione vocale. – Lunga vita e prosperità, ammiraglio Harauk – disse. – Io sono Spock, figlio di Sarek di Vulcano e di Amanda Grayson della Terra. Sono ufficiale scientifico e primo ufficiale a bordo dell'Enterprise. – Lunga vita e prosperità, Spock – fu la risposta. La voce di Harauk era forte e chiara, anche se un po' metallica. – I monitor sono stati attivati? – No, signore. Sto ponendo delle domande di mia iniziativa. – A quale fine, Spock? – L'ammiraglio è consapevole che la prima preoccupazione di un vulcaniano è il dovere. Il mio ufficiale comandante è un umano, James T. Kirk. Gli umani hanno creato i monitor e li hanno installati sulle navi della Flotta Stellare, ma non sono convinto che, così facendo, abbiano dimostrato molta saggezza. – Tuttavia, il tuo dovere è quello di obbedire ai regolamenti della Flotta Stellare, come faccio anch'io. – E lo farò. Ma ho anche un dovere verso il mio capitano, il dovere di scoprire se i monitor possano costituire un ostacolo all'assolvimento delle sue funzioni. Inoltre... sono interessato alla reazione di un vulcaniano ai monitor. – Non posso comunicare con te da vulcaniano a vulcaniano, Spock, perché non sono vivo in questo sistema. Sono solo un programma destinato a dare consigli. – È per avere consigli che sono qui. – Gli umani sono noti per il loro comportamento stravagante. Nel migliore dei casi, sono meno disciplinati di un vulcaniano scadente, e
hanno creato i monitor per aggirare eventuali difficoltà create dai loro simili. In linea di principio, non vedo nulla di sbagliato in quest'idea. – Ma nella sua attuazione? – Non sono a conoscenza dell'effettivo funzionamento del sistema. I Vulcaniani hanno partecipato alla sua creazione e i migliori progettisti umani vi hanno lavorato assiduamente per anni. Tuttavia, è ovvio che in linea di principio approvo la cosa, visto che ho acconsentito a essere parte del sistema. – E se si dovesse presentare una situazione che esuli dall'esperienza dei monitor... o dall'esperienza del programma consultivo? – Di certo tale possibilità è stata presa in considerazione. È ovvio che il comandante di un'astronave incontri situazioni senza precedenti. – Sono preoccupato – dichiarò Spock, dopo un momento di riflessione. – Il sistema non ha mai dato prova della sua validità all'atto pratico, e non credo che ci stiamo avviando verso una missione ideale per questo genere di verifica. – C'è una sola cosa che puoi fare. – Sì? – Dare la precedenza al tuo dovere. – Ne sono consapevole, ammiraglio. – Dare la precedenza al tuo dovere. Per quanto Spock modificasse più volte la formulazione delle sue domande, quella fu la sola risposta che le esperienze memorizzate di Harauk potessero dargli, il che era tutt'altro che rassicurante. A quale dovere si riferiva l'ammiraglio... verso il capitano, la nave o la Flotta Stellare? Oppure al dovere di obbedire ai monitor? Nessun vulcaniano avrebbe mai sostenuto un "credo" che l'obbligasse all'autodistruzione gratuita, oppure alla distruzione di altri, in nome del dovere; quindi era ovvio che le esperienze memorizzate di Harauk stavano cercando d'imprimere nella sua mente la necessità di una gerarchia di doveri. Fra i Vulcaniani, una gerarchia del genere si rendeva di rado necessaria, ma in mezzo agli umani e in una situazione del genere... ATTENZIONE! L'USO CORRETTO DEI MONITOR DIPENDE DALL'INTERAZIONE DELLE SEI ESPERIENZE MEMORIZZATE CONTENUTE NEL SISTEMA. Spock riportò i monitor alla normale modalità di funzionamento e si
tolse gli auricolari per la comunicazione diretta; in quel momento la porta del centro controllo computer trillò e Veblen entrò, tenendo in mano una tavoletta per annotazioni su cui era intento a fare dei calcoli. – Signor Spock! Forse potete rispondere a un interrogativo... – Anche voi, signor Veblen, potreste dare una risposta a una mia domanda. Il tenente si arrestò e fissò Spock con aria apertamente lusingata. – Tutto quello che volete, signor Spock. – Prima la vostra domanda. – Oh, quella può aspettare. – Veblen era incuriosito dalla possibilità che l'ufficiale scientifico avesse un quesito da porre a lui. – Non ho ancora avuto l'occasione di studiare le operazioni di controllo del corretto funzionamento dei monitor. È possibile disattivarli, nel caso che dovessero commettere un errore valutando le prestazioni degli ufficiali, dell'equipaggio o della nave? – Un simile errore è molto improbabile, signore. – Questo non risponde alla mia domanda. – Non... non lo so neppure io, signore. – Allora non credete che sia giunto il momento di studiare più dettagliatamente i sistemi di sicurezza? Veblen fissò Spock con aria astuta. – Signore, se posso chiedere una cosa del tutto fuori argomento... cosa vi aspettate di trovare nella Black Box? – Io sono come gli Esploratori Interstellari della Federazione, signor Veblen, e ritengo che sia necessario essere preparati a tutto. La Mason aveva trascorso la vita negli insediamenti di Yalbo, quindi trovava qualcosa di familiare nei corridoi e negli ambienti all'interno dell'Enterprise, ma vi era comunque un non so che, nelle dimensioni di quel microcosmo autosufficiente, che la intimoriva e l'affascinava. Vi erano poche aree dell'Enterprise a cui non avesse il permesso di accedere e ancora meno in cui non avesse il permesso di addentrarsi, almeno senza scorta, per motivi di sicurezza personale, quindi l'esplorazione della nave divenne uno dei suoi passatempi preferiti. Anche da bambina, era sempre stata affascinata dagli angoli più remoti degli insediamenti, dai posti dov'erano immagazzinate le attrezzature inutilizzate o dove gli impianti automatici ronzavano e vibravano con solitaria efficienza; perciò, quando il guardiamarina Chekov le procurò una
mappa plastificata dell'interno della nave, lei pregustò subito giorni interi da trascorrere camminando, strisciando e arrampicandosi. Tuttavia, poiché l'articolo che doveva scrivere aveva la precedenza, la sua prima visita fu in infermeria. L'infermiera Christine Chapel, una donna efficiente che, anche se aveva una vaga aria da zitella, manteneva intatta una classica bellezza, le mostrò i lettini diagnostici di vecchio modello e quelli più recenti, spiegandole lo scopo e il funzionamento della fabbrica degli organi, il cui nome ufficiale era Centro Conservazione Genitipi, costituita da una serie di contenitori di un lucido colore grigio, posti sul retro dell'infermeria. – Si tratta del precursore dell'unità TEREC – spiegò la Chapel. – Abbiamo a disposizione le registrazioni genetiche di ogni membro dell'equipaggio e, in caso di lesioni, possiamo rigenerare una parte nuova per sostituire quella ferita... con l'eccezione, è ovvio, di quelle troppo peculiari, come il cervello. Possiamo ricreare un cervello, ma sarebbe del tutto vuoto. Il principale progresso costituito dal TEREC è che ora possiamo replicare un individuo nella sua singolarità. Già che siete qui, tanto vale che diate anche voi il vostro contributo. Con la paura che le incutevano gli aghi, Rowena ebbe bisogno di una certa dose di autocontrollo per non protestare, quando la Chapel prese uno strumento per biopsie. Con abilità e in maniera del tutto indolore, l'infermiera le prelevò alcune cellule dall'interno della guancia e richiuse la piccola ferita con una sutura elettronica. – La metteremo nella fabbrica degli organi e se... il Cielo non voglia... dovesse accadere qualche incidente, avrete una certa garanzia di sicurezza. La Chapel ritenne che sarebbe stato meglio se lo stesso McCoy le avesse mostrato il TEREC, ma il dottore era occupato a "giocare a poker con i monitor", per usare la descrizione dell'infermiera. – È come un giocatore di professione con una nuova vittima, ma entro pochi giorni dovrebbe essere di nuovo umano. È possibile che il personale dell'Enterprise si diverta a cercare un modo per aggirare i monitor? Annotò la Mason. Durante alcuni dei suoi giri, portò con sé il registratore SIF ed effettuò alcuni brevi documentari sulle svariate attività della nave. Utilizzò un intero quarto d'ora di registrazione per i giochi in cui l'equipaggio s'impegnava nella palestra. Altamente competitivi come sono, annotò, i membri dell'equipaggio dell'Enterprise amano mettersi alla prova a vicenda ed esibire la propria abilità. Per quanto vi sia scarsa spacconeria
fine a se stessa, vi è però la salda determinazione di fare del proprio meglio in ogni circostanza. La composizione delle squadre può essere modificata a piacimento e tuttavia i giocatori armonizzano fra di loro in maniera immediata e perfetta, come se fossero stati compagni di squadra per tutta la vita... il che è vero, considerando la vita di bordo. L'ingegnere capo Scott fu fin troppo entusiasta di mostrarle i ponti della sezione ingegneria. Durante un'ora in cui non era di servizio, la guidò in una "spedizione speleologica" (come lui stesso la definì) attraverso i condotti di accesso e di manutenzione dell'impianto dei motori a impulso della nave e poi insistette perché lei appoggiasse la mano sulla schermatura esterna di una delle enormi "bottiglie", schiacciate alle estremità, in cui materia e antimateria si miscelavano con precisione, perché avvertisse l'indescrivibile vibrazione della distruzione totale tenuta sotto controllo. La Mason registrò, pur sapendo che il SDF non l'avrebbe mai accettata, la descrizione dettagliata che l'ingegnere le fece della teoria su cui si basava l'impianto, ma quello che più la colpì fu la frase conclusiva. – Potremmo viaggiare da un'estremità all'altra dell'universo, se solo riuscissimo a mettere bene a punto la comprensione di ciò che già abbiamo... – Scosse il capo e sorrise. – È un motore splendido, ma su navi aliene ho visto cose che lo fanno somigliare alla catena di una bicicletta, e riducono me al livello della scimmia che pedala. Cos'avrei dato per poter anche solo sfogliare i manuali tecnici di quei motori! Quando McCoy si decise finalmente a mostrarle il TEREC, la Mason rimase alquanto delusa. Il dottore le spiegò il funzionamento di base dell'unità, accennando a come s'integrasse con i monitor, ma si limitò a sorridere quando la ragazza gli chiese se ritenesse che i monitor avrebbero causato difficoltà. – Ci sto lavorando – rispose, ma non volle aggiungere altro. Mentre Spock e McCoy cercavano di comprendere il funzionamento dei monitor, la giornalista esplorava prendendo annotazioni e l'Enterprise cavalcava onde d'urto spazio-temporali curvate, al di sopra e attraverso nastri di stelle e nubi di gas interstellare, tra braccia galattiche e oscuri abissi, a velocità troppo elevate per essere del tutto reali. Attraverso i misteri della fisica avanzata, la nave si liberava della propria lentezza, disseminandosi alle spalle una serie di fantasmi in dissoluzione, e scivolava attraverso reami incomprensibili alla mente della maggior parte di coloro che si trovavano al suo interno. Nel giro di due settimane, i sensori poterono ricostruire con facilità la
sagoma incombente della Nebulosa Black Box, non più completamente oscura. Osservando la nebulosa sullo schermo, nella cabina di Uhura, la Mason ebbe l'impressione di ravvisare una sinistra somiglianza nel nuovo aspetto che essa aveva assunto: là dove trapelava, la luce delle protostelle delineava con nitidezza tre artigli ricurvi che, mentre la nave si avvicinava, parvero allargarsi a ogni ora che passava. Poi le propaggini della nebulosa si chiusero intorno a loro, e l'Enterprise con il suo equipaggio furono riportati indietro al momento stesso della genesi.
CAPITOLO IX La Stazione Uno era adesso immersa in un filamento contorto di gas e polvere lungo il perimetro della nebulosa. L'Enterprise avanzò in mezzo alle nubi a una velocità inferiore a un quarto di quella della luce, perché, con una rapidità maggiore, gli sballottamenti dovuti al materiale diffuso nella nebulosa sarebbero diventati pericolosi. Uhura tentò parecchie volte di contattare la stazione, ma senza risultato. Le vivide forme della nebulosa, che apparivano come disegni a una distanza di parecchi anni luce, erano ormai ridotte a un costante bagliore trasparente che avvolgeva la nave in un fantastico chiarore purpureo. Kirk esaminò i dati forniti dallo schermo di prua, e non gli piacquero affatto. Spock era in piedi accanto a lui, la nave era in stato di emergenza e l'equipaggio del ponte era al completo, mentre la Mason era ferma accanto all'ascensore con un registratore che le si librava accanto. – Sembra che siamo venuti fin qui per nulla – commentò Kirk, e Spock non lo contraddisse. I grafici che coprivano l'immagine del piccolo planetoide, che un tempo era stato la Stazione Uno, non registravano alcuna forma di vita, e la nave aveva sondato il piccolo corpo astrale da ogni lato. – A meno che non vi sia stato un guasto nel sistema di supporto vitale della stazione – osservò Spock – le condizioni del planetoide non danno ragione di sospettare che il personale abbia subìto ulteriori danni. – Forse sono timidi – commentò McCoy. – Quel che mi serve sono suggerimenti seri, Bones. – Kirk lanciò un'occhiata alla Mason e s'irritò nel vederla annotare le sue parole. In effetti, lo infastidiva il fatto che lei fosse là a trascrivere ma, come McCoy aveva spesso rilevato dall'inizio del viaggio, lui era l'unico da biasimare
per la presenza della giornalista. Avrebbe potuto sfidare il Comando di Flotta e questo avrebbe probabilmente provocato un certo scompiglio, qualche parola un po' dura, ma lui si sarebbe imposto. No, aveva il forte sospetto di averla fatta rimanere a bordo per un altro, recondito motivo: se i monitor si fossero rivelati un miserabile fallimento, ci sarebbe stato un osservatore obiettivo per prendere atto della cosa. E se lui avesse miseramente fallito... McCoy era a metà di una frase quando Kirk riprese ad ascoltare. – ... quindi sono d'accordo con Spock. Non ci sono prove che l'ambiente all'interno della nebulosa sia diventato, dopo l'ignizione, più aspro di quanto lo sia stato nel corso di essa. – Signor Veblen – chiamò Kirk, e l'ufficiale ai computer venne subito avanti. – Cosa dicono i nostri computer? – Se chiedete i risultati dell'algoritmo stocastico... – Infatti. – Non ho avuto molto tempo per inserire questi rilevamenti, signore. Posso farlo ora, in modo che l'algoritmo possa essere riselezionato. – Sono curioso di sapere cos'avesse elaborato l'algoritmo prima del nostro arrivo. – Sono state presentate tre possibilità, signore. Due erano chiaramente errate... – Oh? Spock? – Il signor Veblen si riferisce alle varianti che gli stessi computer hanno rigettato come improbabili. Una riguardava l'occupazione della stazione da parte di una forza esterna, e l'altra considerava l'ipotesi della follia e del suicidio collettivo dei suoi occupanti. Nessuna delle due possibilità è stata presa in seria considerazione nella valutazione finale. – La terza ipotesi invece è molto interessante, capitano – intervenne Veblen. – In base a essa, uno o più fra i ricercatori vulcaniani presenti nella stazione sarebbero stati colpiti dalle radiazioni Ybakra... – I Vulcaniani hanno una minore capacità di adattamento a dosi massicce di Ybakra – spiegò Spock – così come sono meno resistenti al freddo rispetto agli esseri umani. Tuttavia, si tratta di differenze che non sono molto importanti. – ... e abbiano subìto un cedimento mentale. A questo punto, l'ipotesi si ramifica: gli altri membri della squadra potrebbero essere stati tutti imprigionati oppure uccisi, il che risulterebbe più probabile, una volta regolati gli algoritmi in base alle nuove scoperte.
– Non sono certo che il vostro algoritmo mi piaccia, signor Veblen. – Kirk si accigliò. – Spock, esploriamo ancora il planetoide, poi prepareremo nella sala principale del trasferitore una squadra di sbarco munita di attrezzatura ambientale e di schermi portatili. – Posso scendere con voi? – chiese la Mason, e Kirk le rivolse uno sguardo penetrante. – No – rispose. – Non scenderò con la prima squadra: la Flotta Stellare non desidera che i suoi comandanti corrano rischi inutili. Comunque, potete istruire uno dei membri della squadra di sbarco nell'uso del vostro registratore, ma non avrà responsabilità nel caso che esso vada perduto o venga danneggiato. La Mason annuì con un certo sollievo. Dopo che l'ultima esplorazione non ebbe localizzato alcuna forma di vita, Kirk raggiunse la squadra di sbarco nell'area di preparazione del trasferitore. La squadra era composta da sei membri dell'equipaggio, comandati dal capo del servizio di sicurezza, il tenente Olaus. Il registratore della Mason seguiva Olaus come un cucciolo, e il tenente osservò l'apparecchio con divertito imbarazzo mentre la ragazza lo regolava e lo calibrava per il nuovo incarico. – Questa sarà un'esplorazione veloce – spiegò Kirk. – Il signor Devereaux effettuerà i rilevamenti con il tricorder e il registratore del signor Mason servirà da controprova delle osservazioni. Rimarrete giù meno di due minuti, scaduti i quali verrete automaticamente riportati a bordo; comunque, uno qualsiasi di voi può chiedere di risalire in ogni momento. Come di consueto, sarete preceduti da un congegno per la verifica del trasferitore. Signor Shallert, trasferite il CVT. Signor Olaus, radunate la squadra sulle postazioni del trasferitore. Il CVT venne inviato giù per primo e riferì che l'interno della stazione era normale dal punto di vista ambientale e che l'area selezionata appariva deserta. – Temperatura ventinove gradi centigradi, capitano – comunicò Shallert, dai controlli del trasferitore. – Livello d'ossigeno ventitré per cento, tutti gli altri gas nelle quantità prevedibili in un sistema di supporto vitale operante. Spock si accostò a Kirk. – La temperatura più elevata è assai confortevole per dei Vulcaniani, capitano. – Sì. Signor Shallert, procedete al trasferimento.
L'effetto del teletrasporto avvolse le sagome dei membri della squadra in pulsanti linee di disintegrazione, catalogando e dissemblando i loro corpi. Gradualmente, le linee rimpicciolirono e le forme svanirono nel nulla. Shallert controllò le forme-memoria immagazzinate, poi spinse la leva che trasportò il gruppo per cinquecento chilometri, fino all'interno della Stazione Uno. – È possibile che la stazione sia ancora operativa e rutti i ricercatori morti? – chiese la Mason a Kirk. – È concepibile, ma improbabile. – Allora perché non avete rilevato alcuna forma di vita? – Ne sapremo molto di più fra pochi minuti – replicò Kirk. – La pazienza è una virtù. Giusto, Spock? Il vulcaniano fissò con aria stoica i display di controllo del trasferitore. – Hanno trasmesso il segnale di arrivo – disse. – Sono nella stazione.
CAPITOLO X Una tenue e tiepida brezza soffiava nel corridoio vuoto. Dopo dieci anni, la stazione era ancora immacolata e tutto era in ordine, come in attesa di ospiti. E gli ospiti arrivarono, sotto forma di sei splendide colonne di fuoco strutturato che rischiararono il grigiore delle pareti e aggiunsero un tenue odore di elettricità all'aria secca e pulita. – Allargatevi a ventaglio – ordinò Olaus, e la squadra si sparpagliò con rapidità su e giù per il corridoio, mentre il guardiamarina Devereaux effettuava con il tricorder i prescritti rilevamenti. Il registratore della Mason si tenne vicino a Olaus, ronzando leggermente; il capo della sicurezza aprì il comunicatore. – Squadra di sbarco a Enterprise, Olaus a rapporto. La stazione appare in buone condizioni, non ci sono tracce di danni e Devereaux sta eseguendo i rilevamenti. Un minuto e trenta secondi al rientro. – Richiuse il comunicatore e lo inserì nella cintura. – Muoviamoci! I sei uomini si divisero in due gruppi di tre e corsero verso le due estremità del corridoio. Quella dove si trovava Olaus sfociava in una porta che dava accesso a un magazzino e che era chiusa, ma non a chiave. Dalla parte opposta, il corridoio si ramificava a T e le due diramazioni terminavano con due portelli a chiusura stagna. Devereaux avanzò, con
passo rapido, verso l'estremità della diramazione di sinistra e compose un codice standard sui pulsanti di controllo del portello, che scivolò di lato con un sussurro. Il guardiamarina puntò il tricorder verso lo spazio così rivelatosi... E mancò di poco la testa di un ragazzo vulcaniano! – Salve – salutò Radak, in perfetto inglese della Federazione. Devereaux lo fissò con stupore. – Tenente! – chiamò, indietreggiando. – Tenente Olaus! Radak protese le mani in un gesto di saluto, ma l'effetto del teletrasporto era già iniziato; il tempo a disposizione della squadra era scaduto e i suoi membri vennero di nuovo trasformati in pilastri di luce e riportati a bordo dell'Enterprise, come se fossero stati attaccati a un cavo elastico. Il trasferitore li raggruppò nello stesso ordine in cui li aveva inviati a terra, ma Devereaux si materializzò in posizione leggermente accucciata e con il tricorder proteso, mentre Olaus, che era stato colto nell'atto di correre, balzò giù dalla piattaforma e andò a sbattere contro la Mason prima di riuscire a frenare. Il tenente si scusò e il registratore ritornò accanto alla padrona, continuando a ronzare. – C'è un bambino vulcaniano nella stazione! – esclamò Devereaux. – Parla inglese... almeno credo, perché ha detto salve. – Con gentilezza, Spock tolse il tricorder dalle mani del guardiamarina ed esaminò i dati scientifici da esso raccolti. – L'apparecchio non mostra traccia di alcun vulcaniano, bambino o meno – osservò il primo ufficiale. – Chi altri l'ha visto? – Io ho scorto qualcuno in piedi dietro a Devereaux – dichiarò un altro membro della squadra – ma non ho potuto vederlo chiaramente. Spock effettuò alcune regolazioni sul tricorder, ma ottenne ancora un risultato negativo. – Signor Devereaux, per favore, descrivete questo bambino vulcaniano. – Non sono un esperto, signor Spock, ma mi è parso che avesse una dozzina di anni terrestri, occhi color porpora scuro, e indossava una specie di uniforme verde. Vi somigliava un po'. Spock inarcò un sopracciglio e guardò verso Kirk. – Il tricorder non ha rilevato altre forme di vita oltre quelle della squadra di sbarco, ma non posso presumere che il signor Devereaux abbia avuto un'allucinazione, capitano, perché il figlio di T'Prylla, Radak, dovrebbe avere all'incirca quindici anni terrestri e ha occhi porpora scuro, un colore insolito per un vulcaniano puro. Inoltre, alla squadra di sbarco non era stata fornita una
descrizione specifica del personale della stazione. La Mason analizzò il contenuto della memoria del registratore. – Era con la persona sbagliata – commentò poi. – Avrebbe dovuto essere con Devereaux. Non ci sono immagini visive, e se qualcun altro, oltre la squadra di sbarco, ha parlato, non riesco a sentirlo. Forse potrei ricavare qualcosa amplificando... – Inutile – la interruppe Spock. – Il tricorder non ha rilevato onde sonore, tranne quelle emesse dalla squadra, e nel corridoio non c'erano radiazioni infrarosse o a microonde in eccesso, come ci si aspetterebbe se un vero corpo vivente fosse apparso al guardiamarina Devereaux. – Allora ho avuto un'allucinazione? – chiese Devereaux, contrariato. – Non necessariamente – replicò Kirk. – Aspetterò il vostro rapporto fra quindici minuti nel mio alloggio. Signor Spock, voglio vedere anche voi e il dottor McCoy... e il signor Veblen, fra quindici minuti. – Si rivolse alla Mason. – Inutile dire che se volete venire sarete la benvenuta. – Non mancherei per nessuna ragione – rispose la ragazza. – Una stazione stregata... non mi perderei questa storia per una provvista a vita di filtri. Per la prima volta in nove anni, Grake fu consapevole di un'esistenza separata. Abbassò lo sguardo sul proprio corpo, protese le braccia e si accostò le mani alla faccia. Oh sì, c'erano dei ricordi, ma non appartenevano a lui soltanto. – Grake. – Si voltò e vide T'Prylla. Protese una mano verso di lei e le loro dita si sfiorarono in quello che, per due vulcaniani, era un gesto di profonda passione. – Non siamo stati separati – disse T'Prylla, con una certa confusione – e tuttavia lo siamo stati. Dove sono i bambini? E Anauk e T'Kosa? – Ricordo. Eravamo tutti insieme. – Eppure... non lo eravamo. – Si trovavano nel centro della cupola di ricerca, circondati da mucchi confusi di apparecchiature assemblate. Gli strumenti, che avevano usato per seguire la nascita delle protostelle, erano rimasti inattivi per nove anni e la maggior parte delle loro componenti era stata utilizzata per costruire quell'incubo ingegneristico che riempiva la cupola. – Qual è il tuo ultimo ricordo... il tuo ultimo ricordo personale? – Radak e T'Raus insieme... – Grake esitò – ... ci dicevano che non ci avrebbero fatto del male, ma solo... – Adattati – concluse T'Prylla. – E così è stato. Quanto tempo è passato?
Perché richiamarci alla realtà? Grake accennò alla massa di macchinari. – Dobbiamo distruggere tutto questo, e subito! Radak si materializzò dal nulla dinanzi a loro. – Onorati genitori – disse – è necessario riportare la stazione alle normali attività operative. – Figlio mio – rispose Grake – quello che abbiamo fatto è maut akspra e deve cessare, adesso! – Protese la mano verso Radak, ma il ragazzo fissò le dita del padre, sbatté lentamente le palpebre e gli volse le spalle. – Molto è stato realizzato – replicò – e vi siamo grati. Ma ora abbiamo ospiti. Coloro che voi avete convocato dieci anni fa sono finalmente arrivati. – C'è una nave? – chiese T'Prylla. – Una nave grande e bene armata – confermò Radak. – Un gruppo di umani è apparso nel corridoio reshek. – I corridoi della stazione erano indicati con i simboli dell'alfabeto vulcaniano, di cui reshek era il terzo. – Dove sono? – domandò ancora T'Prylla. – Sono rientrati prima che potessi fare qualcosa di più che salutarli. Perché non c'erano vulcaniani fra loro, madre? T'Prylla si accostò al figlio, o alla sua immagine, non lo sapeva con certezza, e protese le mani verso le spalle del ragazzo, stringendo la solida carne coperta da una concreta tuta verde... la stessa uniforme verde per bambini che Radak aveva indossato per un decennio, ma modificata in modo da adattarsi alla crescita. – Non c'è molto tempo – disse. – Questi sono i nostri soccorritori. Abbiamo inviato loro un segnale per chiamarli: non se ne andranno fino a quando non avranno scoperto cos'è accaduto e modificato la situazione. O fino a quando non ci avranno portati via. Gli occhi di Radak si dilatarono in un'espressione allarmata. – Sarebbe orribile – osservò. – Dobbiamo rimanere. – Perché? – chiese Grake. – Non è ancora giunto il momento che lo sappiate. – Ma ti hanno visto. Sanno che siamo qui. – Hanno visto me, ma non sanno altro. Ignorano che ci sono altri in vita nella stazione, perché abbiamo schermato tutto e non abbiamo risposto ai loro messaggi. – Perché questi inganni? – domandò Grake. – Sono qui per il nostro bene. – Non è vero. Il bene è realizzato dalla nostra permanenza qui e dalla continuazione del nostro lavoro, non dalla nostra partenza. Non abbiamo
bisogno di essere salvati. – Chi sei tu? – chiese di colpo T'Prylla, e Radak la squadrò con freddezza: nel suo sguardo non c'era affetto, ma solo una strana specie di acuto interesse. – Sono vostro figlio. – Dov'è T'Raus. – È impegnata nel lavoro. Voi dovete collaborare con noi... – E gli altri? – Stanno bene. Lavorano con noi, proprio come avete fatto voi. – Non possiamo collaborare – dichiarò, calmo, Grake aggirando il figlio. Il ragazzo lo seguì con la coda dell'occhio, ma il suo corpo non tradì alcuna tensione. – Ci tenete prigionieri, non ci concedete nessuna libertà né un'effettiva partecipazione. Avete fatto di noi i vostri schiavi e non ci date alcuna spiegazione. Questo non può essere tollerato: non ti stai comportando come un figlio... – Perché ora ho doveri più importanti – rispose Radak. – Scegliete di non cooperare? – No – confermò T'Prylla, sapendo che era inutile mentire perché non potevano nascondere nulla a questa forma di Radak, qualsiasi cosa fosse. – Allora non ci resta che adattarvi di nuovo. Non subirete alcun male... Il braccio di Grake scattò verso la spalla del figlio, con il pollice e l'indice disposti in modo da stringere un nervo sensibile, per far perdere i sensi al ragazzo, ma Radak svanì nel momento stesso in cui le dita si serravano e la sua voce echeggiò sommessa nell'aria intorno a loro. – Mi dispiace, genitori miei. T'Prylla vide con orrore che la faccia di Grake s'irrigidiva per poi rilassarsi, mentre ogni resistenza svaniva dai suoi lineamenti. Poi anche la forza di volontà della donna parve dissolversi e lei ripiombò in quello stato d'indifferenza in cui aveva trascorso gli ultimi nove anni. Nel profondo del suo intimo, tuttavia, al di sotto di tutti quei livelli civilizzati coltivati con tanta cura, in quelle aree della sua personalità che emulavano le violente figure vulcaniane del passato, T'Prylla odiava, lottava e urlava la sua rabbia. – Signor Veblen, devo dire che non ho molta fiducia nel vostro algoritmo stocastico. Tuttavia, visto che non sembra esserci ment'altro di sensato, cosa ci dice la nuova versione? – Kirk sedeva sulla sua sedia preferita, un consumato modello Delkin a funzionamento manuale, che
aveva acquistato alcuni anni prima durante una licenza. Le altre sedie, più moderne, della cabina erano occupate da Spock, Veblen, McCoy, Devereaux, Olaus e dalla Mason, munita di un semplice registratore vocale. – Signore – esordì Veblen, deglutendo. – I computer suggeriscono che a questo punto gli algoritmi non sono più appropriati. Siamo prossimi a ottenere informazioni utilizzabili per scoprire cosa sia effettivamente accaduto... – Davvero? Vicini quanto? – Kirk si rivolse a Spock. – L'intensificazione dei segnali è stata di qualche aiuto? – Qualsiasi cosa il guardiamarina Devereaux abbia visto nella stazione, il tricorder non l'ha registrata. E nonostante il parere contrario del signor Mason siamo fortunati che fosse presente il tricorder e non la sua apparecchiatura stampa, in quanto è uno strumento molto più diversificato e sensibile. – Signor Devereaux? – L'immagine del ragazzo... al tempo in cui è stata presa aveva solo tre anni, ma somiglia al ragazzo più grande che ho visto sulla stazione. – Spock, c'è qualche possibilità che ci siano altri giovani vulcaniani sulla stazione? – Non di quell'età, capitano. – Naturale. Allora, come mai Radak risulta talmente incorporeo che il tricorder non lo registra? – C'è un solo modo per scoprirlo, capitano: dobbiamo mandare una seconda squadra di sbarco. – Spock, è risaputo che ho la tendenza a correre rischi, ma non sono certo di voler affrontare questo... La voce di Uhura scaturì dall'intercom. – Capitano, è appena arrivato un segnale dalla Stazione Uno. – Trasmettetelo, tenente. – Ecco il video, capitano. Kirk si protese e attivò lo schermo della cabina. In un primo momento, l'immagine risultò annebbiata, ma si mise subito a fuoco e Kirk riconobbe immediatamente Grake. Il vulcaniano aveva l'aria stanca, ma appariva quanto più entusiasta possibile per uno della sua razza. – Qui il ricercatore Grake della Stazione Uno della Nebulosa Black Box. Vorrei parlare con il capitano Kirk, dell'astronave della Federazione Enterprise. – Sono il capitano James T. Kirk. Siamo sollevati di vedere che state
bene e siete vivo, Grake. Abbiamo avuto alcuni momenti allarmanti sulla vostra stazione. – Sì, mio figlio mi ha informato. Chiedo scusa per la confusione, ma siamo rimasti isolati e abbiamo disattivato tutte le attrezzature di comunicazione per trasferire l'energia ad altri progetti. Stiamo tutti bene, capitano, con la sfortunata eccezione dei nostri colleghi in animazione sospesa. – Ditegli che dovremo scendere al più presto – intervenne McCoy. – Chiediamo il permesso di accedere alla vostra stazione per eseguire gli ordini ricevuti – dichiarò Kirk. – Stiamo agendo in base alla vostra richiesta di soccorso, Grake. – Sì, certo. È passato molto tempo, capitano, perfino per dei vulcaniani, molte cose sono cambiate e alcuni dei cambiamenti sono stupefacenti. Per ora, posso suggerirvi di mandare giù solo il personale essenziale? – Ma certo. Spock, il dottor McCoy e io stesso faremo parte della seconda squadra di sbarco. – È meraviglioso. T'Prylla e io saremo molto contenti di rivedere Spock. E naturalmente tutti voi eravate attesi da tempo. Kirk lanciò un'occhiata al suo primo ufficiale, che era fuori del raggio visivo delle telecamere della consolle; Spock aveva un'espressione turbata, quasi accigliata. – Vi prego di fornirci le giuste coordinate, Grake – chiese poi – in modo che non interferiamo con nessuno dei vostri progetti. Il vulcaniano lesse loro le coordinate per il teletrasporto e ripeté ancora quanto fosse lieto di vederli, quindi interruppe la comunicazione. – Spock? – domandò Kirk, non appena lo schermo si spense. – C'è qualcosa che non va? – Non posso esserne certo, capitano. Ho conosciuto Grake solo in maniera superficiale, ed è accaduto più di vent'anni fa. – Allora? – Devo esaminare la situazione con maggiore attenzione, prima di avanzare qualsiasi ipotesi – rispose il primo ufficiale, ma dalla sua espressione, che Kirk sapeva interpretare molto bene, si capiva che un vulcaniano poteva mantenere intatto il suo record di osservazioni esatte solo se non veniva prematuramente sollecitato. – Molto bene. Grazie, guardiamarina, signor Olaus. Rowena, – avete il permesso di scendere sul planetoide non appena avremo appurato che non vi siano rischi. La seconda squadra scenderà quando il dottor McCoy avrà approntato le sue apparecchiature.
– Sarò pronto fra dieci minuti, capitano. Voglio portare con me l'infermiera Chapel. – Ottimo. – Quando rimase finalmente solo nel proprio alloggio, Kirk guardò di nuovo la registrazione del messaggio e scrutò con attenzione la faccia di Grake, cercando di leggervi ciò che vi aveva visto Spock... qualcosa di tanto vago e incerto che il vulcaniano non sapeva ancora come definirlo. Anche Kirk percepì qualcosa... Qualcosa di molto sconcertante.
CAPITOLO XI McCoy era in preda a un'attività febbrile; impartiva alle infermiere ordini secchi e precisi ma il suo strascicato accento meridionale si era fatto così pronunciato che, di tanto in tanto, era costretto a ripetersi per farsi capire, il che lo esasperava terribilmente. L'analizzatore TEREC, una scatola di circa trenta centimetri quadrati, era già in attesa su una piattaforma portatile antigravitazionale mentre accanto ad esso venivano ammucchiate altre attrezzature mediche, fra cui la sonda remota del TEREC, un tricorder diagnostico e la "piccola borsa nera" di McCoy, un'unità di pronto soccorso generale che lui aveva già equipaggiato per la popolazione vulcaniana della Stazione Uno. La Mason osservava e registrava, facendo del suo meglio per non essere d'impiccio, anche se sapeva che McCoy non le avrebbe mai parlato in tono aspro; la ragazza sentiva già nascere fra loro un rapporto molto simile a quello esistente fra padre e figlia, anche se si erano scambiati solo poche parole. Si chiese se fosse la sua personalità ad attirare McCoy, ma ebbe il sospetto che si trattasse piuttosto del suo handicap di essere originaria di un piccolo pianeta isolato. La piattaforma portatile antigravitazionale, carica all'eccesso, venne spinta verso un turboelevatore da un affannato guardiamarina e McCoy la seguì, tallonato dalla Chapel; entrambi indossavano giacche mediche da campo costellate di tasche. – Manovra quella piattaforma come se fosse un mulo – borbottò il dottore nell'oltrepassare la Mason, che sorrise e si accodò agli altri. Nella sala del teletrasporto, Kirk e Spock si stavano allacciando le cinture di sicurezza e i faser, quando McCoy e la Chapel entrarono e sistemarono la piattaforma su uno dei dischi del trasferitore.
Shallert era pronto ai comandi. Quando presero posizione, Kirk e Spock furono raggiunti da Chekov, che avrebbe fatto anche da guardia di sicurezza in coppia con Olaus; Shallert azionò il trasferitore e il dottore prese a borbottare qualcosa sottovoce fino a quando non incontrò lo sguardo della Mason, a cui lanciò un sorriso coraggioso e assolutamente falso. – Procedete, signor Shallert – ordinò Kirk, e l'ufficiale diede inizio al trasferimento. Mentre si è avvolti dal raggio del trasferitore, non si ha alcuna sensazione del tempo o degli eventi; al massimo, si avverte un leggero solletico alla base del collo (il dottor McCoy non sa spiegare la cosa, ma tale sensazione viene avvertita almeno una volta da chiunque venga teletrasportato). Corrono voci secondo cui si abbiano esperienze spirituali durante il teletrasporto, come l'impressione di essere morti e di tornare alla vita, o di aver visto ciò che si trova oltre i confini della morte... o anche quelle più diffuse che vi siano soggetti in grado di vedere il futuro mentre vengono trasferiti, ma non sono mai state provate. Eppure... Spock, il meno propenso a prestare fede a simili dicerie, avverte un tocco, un lievissimo sussurro interrogativo leggero come una piuma, come se tutte le particelle sparse che si ricombineranno per formare la sua persona venissero esaminate individualmente... – Spock! Spock! Si trovavano nell'ampia cupola per l'immagazzinamento delle apparecchiature della Stazione Uno, raccolti intorno al vulcaniano che giaceva a terra, supino e immobile. Kirk si chinò sul primo ufficiale mentre McCoy ne controllava le pulsazioni sotto l'ascella; poi le palpebre di Spock si sollevarono e lui voltò il capo. La prima faccia che scorse fu quella di Radak, che lo fissava con curioso interesse tenendosi alle spalle di Grake e di T'Prylla. – Jim, voglio che quel trasferitore venga smontato da cima a fondo – dichiarò McCoy in tono sommesso. – Non mi è mai piaciuto quell'affare, e ora lo farò disattivare. – D'accordo. Spock, state bene? – Non mi sembra di aver riportato lesioni – rispose il primo ufficiale, alzandosi in piedi con l'aiuto del medico. L'interno della cupola era vuoto e il pavimento, di un grigio opaco, era striato e ammaccato nei punti in cui in passato si erano trovate le apparecchiature di scorta. Kirk aprì di scatto il comunicatore e ordinò un completo controllo di
manutenzione del teletrasporto. – Sono stato l'unico a essere colpito? – chiese Spock. – Io sto bene – affermò la Chapel, puntando il tricorder diagnostico verso il torace del vulcaniano. Anche Chekov confermò di non aver risentito di effetti negativi, e a quel punto Kirk si voltò verso il gruppetto che li attendeva. – Mi scuso per il nostro arrivo così goffo – disse – ma sembra che si sia trattato di un problema di scarsa entità. Vorrei presentarvi il dottore di bordo e la sua assistente: il dottor Leonard McCoy e il tenente Christine Chapel. Io sono il capitano James Kirk, questi è il guardiamarina Chekov e, come già saprete – aggiunse, rivolto a T'Prylla – questo è il primo ufficiale e l'ufficiale scientifico dell'Enterprise, il comandante Spock. – Benvenuto nella Nebulosa Black Box, capitano – rispose T'Prylla, protendendo la mano: la sua stretta era forte e asciutta, ancor più calda di quella di Spock. – Ammesso che sia possibile, per i membri di una squadra tanto piccola, dare il benvenuto a qualcuno in un territorio tanto vasto. Mio marito ha già espresso il suo apprezzamento per la vostra presenza, che io desidero rinnovare. Sono T'Prylla, questo è il nostro assistente astrofisico Anauk. – Il vulcaniano separò le dita della destra nel saluto tradizionale. – Questa è la sua compagna di clan, T'Kosa. Nostro figlio Radak, che alcuni dei vostri uomini hanno già incontrato. In questo momento nostra figlia T'Raus è impegnata in un progetto. – Il nostro dovere primario è quello di sottoporvi tutti a un completo esame medico – disse McCoy. – Non sarà necessario – obiettò Grake, rivolgendo al dottore un aggraziato cenno del capo. – Qui abbiamo un eccellente centro medico e temo che quelli di noi che più avevano bisogno del vostro aiuto ormai non possano più usufruirne. – Se vi state riferendo ai dormienti – replicò McCoy – potremmo salvarli. Quanto alle vostre condizioni di salute, il regolamento della Flotta Stellare prescrive che sia io a giudicarle. – Il dottor McCoy ha ragione – intervenne Kirk. – E mentre lui e l'infermiera Chapel si occuperanno di questo, a me piacerebbe essere messo al corrente della situazione. – Ma certo – convenne T'Prylla. – Tutto quello che possiamo fare per soddisfare i nostri salvatori. Ma dobbiamo avvertirvi che la situazione non è così disperata come sembrava quando abbiamo trasmesso il nostro messaggio di soccorso.
McCoy chiese quindi di essere accompagnato al centro medico e, quando Grake si avviò per mostrargli la strada, Kirk si rivolse a Spock e a Chekov. – Voglio che teniate d'occhio Radak – ordinò, quando gli altri non furono più a portata d'udito. – C'è qualcosa che non va nel ragazzo? – domandò Chekov, perplesso. – Non è un fantasma. Tenetelo d'occhio. – Sì, signore. Kirk trasse un profondo respiro e segnalò ai due di accompagnarlo. Spock era interessato al tono di voce del capitano: come al solito, questi rimaneva colpito dalle stesse incongruenze rilevate dal primo ufficiale, anche se le sue reazioni erano del tutto diverse e si concretizzavano in un atteggiamento brusco che tradiva irritazione e quasi rabbia. – Spock – osservò Kirk – mi sembra di ricordare che questa cupola dovrebbe essere piena di attrezzature d'emergenza. – Così era descritta nell'inventario della Stazione Uno – convenne il vulcaniano. – E allora dov'è quella roba? Possibile che l'abbiano usata tutta? – È concepibile, capitano, ma non nel caso in cui il danno sia stato lieve, come siamo indotti a supporre. Camminarono verso il portello che metteva in comunicazione la cupolamagazzino con il corridoio rashek. – Che cosa dice il vostro tricorder riguardo a Radak? Spock protese lo strumento, mostrando i rilevamenti a Kirk. – È un ragazzo vulcaniano di quindici anni, del tutto normale. I suoi dati sono molto chiari. Kirk annuì e accelerò il passo, tanto che Chekov dovette fare una breve corsa per raggiungerlo. Il centro medico della stazione aveva subìto drastiche alterazioni. McCoy si guardò intorno con sgomento, notando le prove, a stento nascoste, di manipolazioni e di ricostruzioni delle apparecchiature e della rimozione di parte del mobilio e dei macchinari diagnostici. – Questo posto è in rovina! – esclamò, rivolto alla Chapel. – In nome di Dio, cos'è successo qui? Grake venne avanti e prelevò una strana sfera di cromo da una scatola di metallo nero. – T'Kosa ha fatto importanti progressi. Adesso questo è il solo congegno che utilizziamo per cure mediche. Per quanto possibile, il resto delle apparecchiature è stato convertito in modo da esserci utile nelle
nostre ricerche. Porse a McCoy la sfera al cromo, che pesava circa mezzo chilo e non presentava alcuna rilevante caratteristica sulla superficie. – Il suo uso è estremamente semplice, e io lo raccomando. – Come... – cominciò il dottore. – Se sussiste un problema medico, il congegno lo diagnostica e lo cura su richiesta. Adesso risponde alla lingua vulcaniana, ma mi ci vuole un attimo per programmarlo in modo che reagisca all'inglese della Federazione. – Ho più familiarità con le mie apparecchiature. Vi ringrazio, ma per il momento continuerò a usare quelle. – Il medico indicò la piattaforma carica di strumenti. – Esaminerò prima i bambini. Potreste far venire qui T'Raus? E mentre l'aspettiamo... – Sorrise a Radak e gli fece un cenno con un dito. Il ragazzo venne avanti e lasciò che la Chapel facesse rapidamente scorrere su di lui il tricorder diagnostico, mentre Grake si accostava a un impianto di comunicazione murale e pronunciava qualche parola in vulcaniano. McCoy frugò nella borsa, estrasse la siringa ipodermica e la riempì con una fiala di vitamine e ricostituenti; Radak si allontanò dalla Chapel mentre il dottore gli avvicinava la siringa al braccio. – No! – protestò, e McCoy adottò la sua espressione più incoraggiante. – È del tutto indolore. Solo una sensazione di calore... – Mio figlio intende dire che le vitamine e ogni altro medicinale sono inutili. – E io ripeto che è mio dovere... – Lasciate perdere, Bones – intervenne Kirk, entrando nel centro medico. Un passo più indietro rispetto a lui veniva una ragazzina vulcaniana, forse di un paio d'anni più giovane di Radak, che camminava dando la mano a Spock. Chekov entrò per ultimo e si sistemò di lato. – Jim, ci sono dei regolamenti a cui mi devo attenere se dovremo agire in cooperazione con il personale... – Ho la garanzia di T'Raus che il personale della Stazione Uno è in perfetta salute. McCoy fissò Kirk con espressione addolorata e confusa. La ragazzina, che aveva i capelli dritti e nerissimi, lunghi fino alle spalle, lasciò andare la mano di Spock e si affiancò a T'Kosa. – Abbiamo fatto cose notevoli qui – disse – e forse avrete bisogno di un po' di tempo per assuefarvi. Fino ad allora, vi preghiamo di non imporci con la forza i
vostri regolamenti: ci potete esaminare a vostro piacimento, ma siamo in grado di curarci da soli. McCoy ritrovò quasi subito la propria dignità. – Allora, se mi è permesso, vorrei vedere gli ibernati, sempre che non vi siano degli impedimenti anche per questo... – Non abbiamo da obiettare a che facciate un tentativo – rispose T'Kosa. – Per noi, sono morti da dieci anni. – È quello che temevo di sentirvi dire – borbottò McCoy; quando T'Kosa accennò ad accompagnare lui e la Chapel, il medico sollevò una mano per fermarla. – Il capitano ha più bisogno di voi di quanto ne abbia io. Se non è cambiato nulla, ce la dovremmo cavare bene anche da soli. – Allora possiamo cominciare subito con il rapporto formale – decise T'Prylla. – Ci sono tante cose da dire e tante registrazioni da mostrare. Vediamo di non perdere tempo. Mentre si radunano nella sala dove si consumano i pasti comuni, T'Prylla lotta per ritrovare i propri ricordi degli ultimi dieci anni. Non può controllare le proprie parole o azioni, ma forse può ricordare quello che è accaduto, nel modo in cui vi ha assistito... Ma è tutto così confuso. C'era la costruzione del Trasformatore, da completare senza alcun aiuto da parte degli adulti e con l'impiego delle apparecchiature della cupola-magazzino... E i ricordi sono misti, non sono solo suoi, anche se rammenta la meraviglia e il terrore provati quando si è accorta che i suoi giovani figli avevano creato qualcosa che esulava dalle potenzialità dei più brillanti ingegneri vulcaniani. I soccorritori sarebbero stati informati del Trasformatore? O dell'Occhio Stellare? McCoy e la Chapel si trovavano nella sala d'ibernazione, con le tute ambientali che proiettavano intorno a loro una cortina di calore. L'atmosfera a elio, al di là di quella cortina, era di -260 gradi centigradi e la temperatura, all'interno degli ibernacoli sospesi tutt'intorno alla camera, superava di pochi gradi lo zero assoluto. McCoy aveva esaminato l'apparecchiatura per ibernare e riportare in vita i dormienti, che sembrava a posto, mentre la Chapel passava da un ibernacolo all'altro, prendendo dettagliati rilevamenti di dati con il tricorder. McCoy controllò le ultime registrazioni mediche disponibili sul conto degli individui in animazione sospesa e le confrontò con i rilevamenti della Chapel: come si aspettava, tutti i soggetti erano
invecchiati forse di un'ora, in dieci anni, e tuttavia erano clinicamente morti perché il rivestimento di mielina di tutti i loro nervi aveva ceduto a causa dei livelli, senza precedenti, raggiunti dalle radiazioni Ybakra. McCoy ebbe la bizzarra visione di quello che sarebbe accaduto se fossero stati risvegliati adesso... Gli ibernacoli si sarebbero aperti a comando, e le persone all'interno avrebbero cercato di muoversi; ciascuna di loro avrebbe sperimentato orribili e agonizzanti convulsioni, ma in pochi secondi sarebbe stata isolata dalle sue sofferenze... e dalla vita stessa. – Credevo di averli sconfitti, ma quei dannati monitor ci daranno battaglia, una mossa dopo l'altra – disse. – Altrimenti mi merito di tornare in campagna a suonare OB-GYN ai polli. – La Chapel represse un sorriso, fissando il volto freddo e immobile di uno dei trenta ricercatori in animazione sospesa. – Queste persone sono tecnicamente morte, e a me non sarà permesso di recitare il ruolo di Dio e di riportarle in vita. – Ma non sono fisicamente morti – obiettò l'infermiera. – Non ancora... – Diavolo, sono morti da dieci anni. Danneggiamento completo e irreversibile del sistema nervoso: questa è una delle definizioni di decesso inserite nei monitor. Il fatto che siano ben conservati non ha alcuna importanza... – Ma possiamo salvarli? Voglio dire, è possibile? – Solo se recito la parte di Clarence Darrow davanti a un robot completamente sordo alla retorica – rispose McCoy, scuotendo il capo. Secondo Grake, la stazione era stata colpita, per mesi, da intense e intermittenti tempeste di radiazioni e un violento bombardamento di particelle aveva spostato di alcuni gradi il planetoide dalla sua posizione originale; fortunatamente, la stazione si era trovata nell'ombra del planetoide durante la parte peggiore del fenomeno, e i suoi occupanti avevano trascorso due mesi in un rifugio schermato contro tutti i tipi di radiazioni tranne le Ybakra. I sensori dall'altra parte del planetoide avevano fornito ai ricercatori i dati necessari per determinare la posizione e la categoria spettrale delle nuove stelle. All'inizio, c'erano state diciotto possibili nubi protostellari nella loro sezione della nebulosa, ma almeno sette, quelle che più probabilmente avrebbero dato inizio alla fusione, erano state distrutte dalle loro precoci sorelle. – È stato meglio così – concluse Grake, sia pure con un accenno di rammarico nella voce. – Ci sarebbero stati utili ulteriori dati su altre nascite di stelle, ma il tempo che potevamo trascorrere nel rifugio stava esaurendosi e il bombardamento di particelle ci avrebbe potuto uccidere.
Quando la situazione si era stabilizzata e le stelle avevano iniziato il processo verso la sequenza principale, i ricercatori avevano lasciato il rifugio e avevano scoperto che i colleghi in ibernazione avevano subìto gravi danni. – Gli ibernati sono fortemente schermati quasi contro ogni tipo di radiazione – spiegò T'Kosa – ma non eravamo preparati a una simile dose di Ybakra e credevamo che la prossimità del planetoide ne avrebbe mantenuti bassi i livelli. Non esiste un'altra forma di protezione contro le Ybakra... comunque non avremmo potuto fare di più. Spock intercettò un'occhiata di Kirk ma non disse nulla e il capitano evitò a sua volta di fare commenti. – Siamo riusciti a riparare la maggior parte dei danni subìti dalla stazione e a riprendere il lavoro – aggiunse Grake. – Abbiamo compreso che non avremmo mai potuto usare la radio subspaziale per contattare la Federazione perché, in presenza di anomalie di massa, le radiazioni Ybakra avrebbero bloccato tutte le trasmissioni di quel genere. Conoscevo la posizione di una boa della Federazione, oltre i confini della Black Box, ma solo in maniera approssimativa, dato che la nostra stessa posizione era cambiata e che non potevamo vedere altre stelle a causa delle nubi di gas in espansione della nebulosa. Comunque, sono riuscito a inviare il segnale. Radak sollevò lo sguardo dal tavolo e fissò Spock. – Supponiamo che il messaggio sia stato intercettato solo parzialmente. – Sì – confermò il primo ufficiale. – Abbiamo ricevuto una buona parte dei dati scientifici ma molto poco della trasmissione audiovisiva di Grake. – Anche questo si è rivelato positivo. Allora eravamo pessimisti circa le nostre possibilità di sopravvivere e il messaggio avrebbe potuto causare un allarme ingiustificato. Così come sono andate le cose, ce la siamo cavata molto bene e abbiamo fatto significativi progressi, non solo nella comprensione dei processi protostellari, ma anche della fisica in generale. Ben presto vi potremo mostrare il nostro nuovo centro di ricerca, magari dopo che il dottor McCoy avrà finito con i dormienti. – Potremmo avere problemi nel salvare rapidamente la vostra gente – spiegò Kirk. – Non eravamo preparati ad assumerci un compito tanto gravoso. Ci potrebbero volere intere settimane. – Ci sono anche dubbi sul fatto che la nebulosa si sia stabilizzata – aggiunse Spock. – Consigliamo vivamente che vi trasferiate tutti a bordo dell'Enterprise e torniate con noi alla più vicina base stellare, appena avremo terminato di trasportare i dormienti. Radak scosse il capo una volta, con fermezza, imitato da Grake. –
Questo è impossibile, Spock – dichiarò T'Prylla. – Non possono esserci interruzioni nel nostro lavoro. Come potete ben vedere, non abbiamo bisogno di soccorso, e anche se la nebulosa si dovesse agitare ancora, siamo sopravvissuti una volta, e ora siamo molto più preparati. Vi renderete meglio conto che siamo al sicuro quando avrete visto la nostra cupola di ricerca. – Non ci fraintendete – interloquì Radak. – Siamo rimasti qui, senza contatti con l'esterno, svolgendo il nostro lavoro – proseguì T'Prylla, come imbeccata dal figlio. – Avere qui con noi altri esseri viventi, poter confrontare le nostre scoperte con il lavoro di altri scienziati, con quanto è successo nella Federazione negli ultimi dieci anni, è meraviglioso. – Guardò verso Spock con un'espressione che su un volto umano sarebbe stata classificata severa; lui inarcò un sopracciglio e prelevò una scheda dati dalla cintura. – Avevo previsto una simile necessità – rispose, porgendo la scheda a T'Prylla. – Qui troverete tutti i risultati delle ricerche portate avanti nei vostri campi di specializzazione. Sono stati compiuti considerevoli progressi nello studio delle anomalie di massa subspaziali. – Fece una pausa. – E ci sono stati molti cambiamenti nello Spyorna di Vulcano. T'Prylla non reagì a quell'ultima informazione; prese la scheda che le veniva offerta e la passò a Grake. – In cambio, abbiamo preparato un rapporto sui nostri studi sulle protostelle e sulle radiazioni Ybakra. – Accuratamente censurato. – Con quanta rapidità i dormienti potranno essere trasferiti sull'Enterprise? – Per il momento, ne possiamo trasportare a bordo solo sei alla volta – spiegò Kirk – e ricostruirne due alla settimana. Stiamo analizzando la possibilità di attrezzare uno shuttle per traghettare gli ibernacoli, ma anche questo richiede tempo e presenterebbe dei rischi. – "E per questo motivo" pensò "ci farebbe comodo un po' più di cooperazione."
CAPITOLO XII Dietro richiesta di McCoy, l'analizzatore TEREC inviò la sua sonda remota a fare un secondo giro della camera d'ibernazione, prima di dare una risposta definitiva. Il dottore e la Chapel attesero fuori della fredda camera cilindrica, osservando dal vetro della finestra di controllo la sonda che fluttuava da un ibernacolo all'altro, calcolando la massa e la
complessità di ciascuno dei trenta ricercatori in animazione sospesa. La sonda remota agiva come un trasferitore equipaggiato solo per la raccolta dei dati e privo del potere di disintegrare e di riassemblare effettivamente qualsiasi cosa: inseriva i risultati raccolti nell'analizzatore che valutava la situazione e decideva cosa potesse fare il TEREC, da un punto di vista pratico e legale. McCoy nutriva pochi dubbi su quella che sarebbe stata la risposta. – Lento come la melassa – borbottò, prendendo una sedia e sistemandovisi a cavalcioni, con il torace premuto contro lo schienale, mentre la Chapel rimaneva in piedi, accanto alla finestra, con le braccia incrociate e le mani strette intorno alle spalle. – Solo guardare là dentro mi fa sentire congelata – osservò. – Dieci anni d'ibernazione... – Sì, anche senza le radiazioni Ybakra non credo che da almeno un secolo si sia verificata un'ibernazione così prolungata. Sarebbero dovuti rimanere in quelle condizioni per due o tre anni, fino a quando T'Prylla e i suoi avessero concluso le ricerche preliminari. – Mi chiedo come sarebbe lavorare con dei vulcaniani... voglio dire, in un ambiente in cui quasi tutti sono vulcaniani tranne te. – C'erano solo quattro umani in ibernazione, gli altri erano tutti di Vulcano. – Erano volontari. Suppongo che sapessero a cosa stavano andando incontro. Da quello che dice Spock, T'Prylla non è precisamente il tipo di vulcaniano classico a cui voi alludete. È anche più strana di Spock, per quanto non lo si direbbe possibile. – Analisi completata – avvertì l'analizzatore. – Bene, sentiamo – lo incitò McCoy con impazienza. – Questi individui hanno subìto gravi danni al sistema nervoso durante l'ibernazione e sono legalmente morti. I monitor medici proibiscono all'unità TEREC di riportare in vita soggetti che siano morti secondo la definizione stabilita per ciascuna categoria di esseri viventi. – Dannazione – commentò il dottore. – Ci sarebbero anche difficoltà tecniche. Dal momento che i corpi possono essere teletrasportati una volta sola, senza subire danni ancora più gravi, a causa dei pericoli connessi al teletrasporto di esseri in stato d'ibernazione, e che di conseguenza i loro dati devono essere inseriti direttamente nel TEREC, se ne possono teletrasportare solo sei alla volta: il TEREC può ospitare due forme-memoria per la ristrutturazione e quattro nei banchi di memoria ausiliari.
– Sì, sì, questo lo sapevamo. Se necessario, li potremmo portare a bordo con uno shuttle, anche se soltanto Scotty sa come fornire le scorte di energia e le misure di sicurezza necessarie. Mostrami il profilo di un caso tipico, vulcaniano e umano. – L'analizzatore esibì una carta multidimensionale, divisa in tre parti, che forniva i risultati del sondaggio con riferimento a un vulcaniano e a un umano. Il dottore fissò i dati per un momento, fece ripetere il display e si accigliò. – Qui c'è qualcosa che non quadra. Questi corpi sono stati manipolati oppure sto prendendo un terribile granchio. Ma non ha senso: forse la sonda dev'essere regolata meglio. – McCoy disattivò l'analizzatore e si mise a riflettere con il mento appoggiato ai polsi incrociati. Nella sala mensa, Kirk non si sentì incoraggiato dall'espressione di McCoy quando il medico e la Chapel fecero ritorno. – Se i trasferitori funzionano correttamente, possiamo portare a bordo i primi sei anche adesso. Potremmo poi trasportare gli altri con lo shuttle. In un modo o nell'altro, ci serviranno quindici settimane per ristrutturare le persone in ibernazione. Il problema principale sarà quello di trovare un modo per aggirare i monitor. – Ci bloccheranno? – chiese Kirk. McCoy fece una smorfia e sollevò una mano. – Aspettate un momento. Non siamo ancora fuori gioco, siamo solo bloccati: dobbiamo tornare a bordo e discutere una strategia. Presumo sia possibile, visto che questa gente è in ottime condizioni fisiche e non sembra comunque avere un immediato bisogno di noi. – Abbiamo completato il rapporto preliminare – intervenne Spock – e ritengo che sarebbe utile tornare sull'Enterprise. Potremmo essere sostituiti da una squadra di sicurezza. – Non ci serve protezione – obiettò Radak. – Fa parte dei regolamenti – replicò Kirk. Quel ragazzo lo irritava. – La Stazione Uno è ora sotto la nostra responsabilità e ci deve essere una squadra in ogni momento. – Aprì il comunicatore. – Kirk a Enterprise. – Enterprise. Parla Uhura, capitano. – Come procedono i controlli del trasferitore? Uhura lo mise in contatto con Scott. – Capitano, non c'è niente di guasto. È in condizioni perfette. – Qualche spiegazione per quello che è successo al signor Spock? – No, signore, ma la responsabilità non può essere delle mie macchine. I
miei uomini le hanno revisionate quattro volte. – Siete disposto a garantire che i miei atomi non si spargeranno per tutto lo spazio conosciuto? – chiese McCoy. – Sì, dottore – rispose Scott. – Sono pronto a garantirlo o a buttare via le mie lauree in ingegneria e a diventare mastro birraio. – Non sarebbe un cambio equo – borbottò McCoy sottovoce. – Avremo bisogno di una squadra di sicurezza che ci dia il cambio. Trasportate tutti a bordo tranne il signor Chekov e inviate due rimpiazzi per il prossimo periodo di guardia. Chiudo. – Kirk si rivolse a Chekov. – Aggiornate i rimpiazzi sulla situazione e rimanete con loro fino al cambio di turno; voglio che rientriate entro quattro ore. – Sì, signore. Spock, Kirk, McCoy e la Chapel iniziarono il trasferimento pochi secondi più tardi; quando furono scomparsi, Chekov rivolse un nervoso sorriso ai vulcaniani e si piazzò, rigidamente, vicino alla porta della mensa. – Spero che la presenza dei miei uomini non vi sia d'intralcio – disse. – Saranno i benvenuti – rispose Radak, passandogli accanto mentre se ne andava, seguito da Grake, T'Prylla e T'Kosa. Anauk ordinò del cibo vulcaniano al cuoco automatico, poi si accodò ai compagni per andare a mangiare in privato. – Sono certo che abbiamo tutti delle domande da porre – affermò Kirk, nel lasciare la piattaforma del trasferitore. – E sono sicuro che sappiate quale sia la mia – ribatté McCoy, guidando la piattaforma medica. – Nel mio alloggio. Abbiamo bisogno di parlare e di rilassarci un po'. – Guardò Spock. – Almeno, la maggior parte di noi ne ha bisogno. Il dottore affidò le apparecchiature alla Chapel e seguì Kirk e Spock verso il turboelevatore. Non appena le porte si chiusero, ebbe inizio il trasferimento sulla stazione di due guardiamarina. Kirk oltrepassò la soglia della sua cabina e si passò le dita fra i capelli. – Dio ci aiuti – disse. – C'è qualcosa... – Perché avete usurpato la mia autorità di dottore di bordo? – chiese McCoy in tono aspro, affrontandolo. – Perché la loro riluttanza a farsi curare era evidente – ribatté Kirk. – E T'Raus mi ha fatto capire che, se avessimo insistito, avrebbero opposto un netto rifiuto. I regolamenti sono regolamenti, Bones, ma possiamo obbligarli a sottomettervisi con la forza?
McCoy indietreggiò, con le mani sui fianchi; anche se non aveva una risposta immediata, la sua ira non era placata. – Spock, perché non abbiamo parlato loro degli schermi contro le radiazioni Ybakra? – Per il momento non posso rispondere a questa domanda, Jim. Ma sulla Stazione Uno c'è qualcosa di anormale e noi dovremmo appurare di cosa si tratti. – Vi dirò io cosa non quadra – intervenne il dottore. – L'analizzatore TEREC ha rilevato alcuni dati anomali, senza importanza immediata ma che non hanno senso. – E sarebbe? – Jim, la gente in ibernazione è stata manipolata. Non sono riuscito a capire i display dell'analizzatore fino a pochi minuti fa, ma sono pronto a giurare che qualcosa ha prelevato o immagazzinato informazioni nei loro cervelli. Visto che stiamo parlando di regolamenti, posso farvi notare quanto questo sia illegale? – Jim – aggiunse Spock – T'Prylla non ha manifestato il minimo interesse quando le ho comunicato che lo Spyorna aveva subìto dei cambiamenti e questo non è normale, come non lo è neppure il comportamento dei suoi figli. Un bambino vulcaniano non ha il permesso di condurre la conversazione di chi è più anziano di lui, comunque non prima dell'età del ka-nifoor. – Allora, a cosa ci porta tutto questo? – Grossi guai a River City – commentò McCoy. – Prego, dottore? – chiese Spock, genuinamente perplesso. – Non importa. Jim, li dovremmo prelevare tutti per poi passare la stazione a pettine fitto, centimetro per centimetro. Non mi fido di nessuno di loro. – Per una volta, dottore, sono d'accordo con voi – dichiarò Spock. – Per quanto sia riluttante a spiegare nei dettagli le mie perplessità, c'è qualcosa di anormale nella Stazione Uno. – Va bene, siamo tutti d'accordo su questo. Ora passiamo al problema successivo: i monitor non ci permetteranno di riportare in vita i dormienti. – Questo serve solo a confermare i nostri peggiori timori – osservò Kirk. – Sì, e non sono del tutto impreparato. Intendo oppormi ai monitor: li voglio ingannare, Jim, e per fare questo avrò bisogno... – Bones... – Avrò bisogno che mi aiutiate tutti e due.
– Bones, se manipoliamo i monitor, ne potrebbe andare di mezzo il mio comando, o peggio, ci potrebbe essere la corte marziale per tutti noi. – Ci hanno mandati qui per salvare la gente della Stazione Uno e non possiamo agire per via di uno stupido computer pieno di assurdi regolamenti! Il mio compito è quello di salvare vite, Jim, che i regolamenti lo permettano o meno. – È evidente che la tecnologia ha ridotto all'osso la legislazione della Federazione – ammise Spock. – Anch'io ho indagato sulla possibilità che i monitor siano in errore. McCoy fissò il vulcaniano con occhi sgranati, poi sorrise. – Per Dio. Comincia a piacermi questo tipo alto dal sangue verde. Kirk sedette pesantemente sulla poltrona e posò le mani sul tavolo, dinanzi a sé. – Ci vorrebbero due settimane per far pervenire alla Flotta Stellare un messaggio subspaziale e per ottenere una risposta. Ho corso diversi rischi durante la mia carriera e ho valicato i limiti dei regolamenti abbastanza spesso perché sappiate che non sono schizzinoso, ma se aggiriamo i monitor farò ben più che disobbedire al Comando di Flotta, perché violerò il mio giuramento di servire la Federazione. Ognuno di noi deve fedeltà a questa diramazione civile del governo. – Non vi sto chiedendo di chiudere i monitor, Jim, ma solo di fare loro un po' di solletico. – E come pensate di riuscirvi, dottore? – chiese Spock. Kirk fece scorrere lo sguardo dall'uno all'altro. – Non avrei mai immaginato di vedere il giorno in cui voi due sareste stati in combutta. – Spock, considerato che siete così comprensivo, speravo che poteste fornirmi voi qualche suggerimento.
CAPITOLO XIII La Mason si avvicinò alla soglia del centro controllo computer e si fece coraggio; poi la porta si aprì e lei vide con sollievo che all'interno c'era solo Veblen e che Spock non era presente. – Il capitano ha detto che posso trovare del materiale informativo nella parte del diario di bordo accessibile al pubblico. Veblen la guardò per un momento senza capire, poi appoggiò la testa all'indietro e spalancò la bocca in un'espressione di stupore. – Potete accedervi dal terminale del vostro alloggio. Non era necessario venire qui.
– Invece sì, se voglio scoprire cosa sta succedendo veramente. C'è qualcosa che non viene inserito nel diario consultabile? Veblen sorrise e scosse il capo. – Non sono la persona giusta a cui chiederlo, signorina Mason. La ragazza sedette alla consolle, di fronte a lui, emettendo un profondo sospiro. – Ringrazio Dio che ci sia qualcuno disposto a chiamarmi signorina e non signore. Il capitano l'ha fatto una volta, ma sono certa che sia stata una mossa tattica. Perché non ve lo dovrei chiedere? Veblen distolse lo sguardo, sempre sorridendo. – Niente commenti alla stampa. Ma il motivo dovrebbe essere ovvio. – Non sarei dovuta venire da voi perché siete l'elemento estraneo, vero? – È naturale – annuì lui. – Sono il latore di cattive notizie e poiché faccio parte dell'amministrazione e non del servizio attivo, non ho molti altri compiti oltre a quello di portare brutte notizie. E questa volta, le notizie in questione sono sul diario di bordo consultabile: le ha inserite il capitano in persona. – Risparmiatemi la fatica di una ricerca. Devo inviare un dispaccio e non posso permettermi il lusso di perdere troppo tempo. – I monitor negano il permesso di riportare in vita il personale della stazione. – In nome di Dio, perché? – Perché sono tutti legalmente morti. – Ma è assurdo. Se possono essere riportati in vita, non sono morti. – Io sono solo il latore delle notizie e non le giustifico. – I monitor mettono in discussione l'attitudine di Kirk al comando? – chiese ancora la Mason, protendendosi in avanti. Questa domanda lasciò Veblen interdetto. – Niente affatto. Il capitano ha completamente soddisfatto i monitor. – E il dottor McCoy? – Il dottor McCoy non ha fatto altro che chiedere il parere dei monitor. – Non c'è la possibilità che il dottore stia commettendo qualche errore che provochi la reazione dei monitor? – Nessuna. – Veblen finì d'inserire una serie di comandi nella sua consolle e spinse indietro la sedia. – Credo che a questo punto dovremmo... come si dice... proseguire la conversazione in veste non ufficiale. – Ma certo – convenne la giornalista. La porta si aprì ed entrò Spock; la ragazza si sollevò rigidamente sulla
sedia ed evitò lo sguardo del vulcaniano. – Grazie, signor Veblen – disse, con voce un po' acuta. – Ne parleremo più tardi. Dopo che la Mason se ne fu andata, Veblen preparò lo schermo per il lavoro di archivio di Spock. – Non credo che si sia abituata a voi, signor Spock – commentò. Il primo ufficiale non reagì. – Signor Veblen, il dottor McCoy desidera un elenco dei file con i riferimenti medici dei monitor. – Sì, signore. Ho appena finito di analizzare i dati sulle radiazioni Ybakra forniti dalla stazione. Non appena avrò fatto una copia per il dottore mi prenderò un intervallo, se non avrete più bisogno di me. – No, signor Veblen, grazie. Il tenente raggiunse la Mason al terminale a disposizione dell'equipaggio, fuori della sala riposo sottufficiali. – Potremmo parlare un momento? – le chiese. – Conversazione ufficiale o no? – Ufficiosa. Riguarda voi e quello che ho detto pochi minuti fa. – Certo. – Presero il turboelevatore fino all'Area 39 e, nella sala ricreativa aperta a tutto l'equipaggio, si sedettero a un tavolo da gioco libero, in un angolo appartato. – Primo – esordì Veblen – non mi è piaciuto che siate venuta da me come se fossi il punto debole a bordo dell'Enterprise. – Non era affatto mia intenzione... – Secondo, credo che siate sulla pista sbagliata e anche che abbiate alcuni problemi personali da risolvere. – Dove avete... – Aspettate un momento. Avete promesso che mi avreste ascoltato. – Veblen la fissò con un'intensità che troncò ogni ulteriore protesta. – Vi dirò perché mi sono irritato. Certo, indosso l'uniforme in un modo che esula un poco dai regolamenti, non sono nella forma migliore, se paragonato al resto dell'equipaggio e sono l'unico ufficiale amministrativo di bordo; ma non sono un punto debole e il mio lavoro procede indipendentemente dalla reazione di tutti gli altri. – Non era mia intenzione... voglio dire, non ho mai pensato che foste un punto debole. – Bene. Allora forse la mia prossima osservazione sarà più esatta. Io sono incaricato della manutenzione e della sperimentazione dei monitor e lavoro con il signor Spock a tutti i computer della nave perché i monitor s'interfacciano virtualmente con ogni sistema di bordo. E lavoro con il capitano perché i monitor sono molto complessi e nessun ufficiale
comandante può avere un'assoluta familiarità con un sistema così nuovo e difficile. – Sì – commentò la Mason, osservando il tenente con attenzione. – Non ho obiezioni, se pensate di poter costruire una storia sostenendo che il capitano stenti ad abituarsi ai monitor. Questo tipo di pubblicità ci potrebbe mettere un po' a disagio ma così vanno le cose, ed è una storia legittima. Ma se credete di trovare del materiale che dimostri che il capitano Kirk sta cercando di sconfiggere i monitor, di trovare un modo per aggirarli, allora vi dico che siete in errore. Il capitano mi ha interrogato, perfino tartassato su vari punti, ma non ha mai suggerito neppure una volta che io possa sbagliarmi o che non faccia parte dell'Enterprise. Qualsiasi alienazione possiate scorgere, è imputabile prevalentemente a me e non al capitano né all'equipaggio. – Io devo seguire il mio istinto, signor Veblen. – Ci troviamo in una situazione molto difficile, anche più di quanto immaginiate. – Veblen abbassò lo sguardo sul tavolo. – Mi dispiace se mi sono irritato con voi. Quello che dirò adesso dev'essere doppiamente confidenziale... – Alla Mason parve evidente che Veblen, nonostante le sue dichiarazioni, avesse bisogno di sfogarsi con qualcuno. – Stiamo parlando in veste non ufficiale: so mantenere la mia parola. – I monitor... non sono perfetti. Sono validi solo quanto coloro che li hanno progettati, e neanche le leggi cui obbediscono sono perfette. Il dottor McCoy si trova ad affrontare un muro di mattoni: non intendo spiegarvi il perché, non ora, ma voglio che lo comprendiate. Voglio che qualcuno lo comprenda. Dovranno fare qualcosa e, se si dovesse arrivare al peggio, saranno costretti a trovare un modo per aggirare i monitor, e io mi dovrò opporre. Non voglio, ma ci sarò obbligato. La Mason guardò il tenente con nuova comprensione e con rispetto. Veblen era molto turbato: probabilmente stravedeva per il capitano Kirk quanto il resto dell'equipaggio! – Quindi, forse dovrebbe essere questo l'argomento del vostro articolo: se la Federazione vuole essere al corrente di ogni piccolezza compiuta da un'astronave, allora dovremmo forse trovare un modo per controllare quelli che creano le leggi e si aspettano che le applichiamo. La cosa dovrebbe funzionare nei due sensi. – Cosa farà il dottore? – Non lo so e non lo voglio sapere. Quello che non so non mi può danneggiare, giusto?
La donna annuì. – Allora siamo tutti e due dei paria, qui. Per la nostra occupazione, se non altro. – Spero che mi scuserete – aggiunse Veblen, arrossendo – ma credo che anche voi abbiate dei problemi. – Oh? – Sì. Ritengo che abbiate difficoltà ad affrontare il signor Spock, e forse anche il signor Yimasa. – Cosa vi ha dato questa impressione? – Fu la volta della Mason di arrossire. – Quando mi sono arruolato nella Flotta Stellare, provenivo da un insediamento esclusivamente di umani, su Titano. – Dove sarebbe? – È la luna più grande di Saturno. I miei erano dei Terraformatori. Erano persone meravigliose, ma mi hanno inculcato un sacco di stupidaggini sui Vulcaniani, sugli Andoriani e su tutti gli altri, non su quelli che non hanno forma umana, perché non ne avevamo mai visti, ma sugli umanoidi. Avevo la testa piena di spazzatura e dovevo liberarmene. Dal modo in cui evitate il signor Spock e... – Fece una pausa. – Ecco, ho letto una parte del fascicolo che il SIF ci ha trasmesso, sul vostro conto, da Yalbo. – Il mio fascicolo? – Ritengo – annuì lui – che anche voi abbiate un po' di quella spazzatura da eliminare. Se dovesse rivelarsi un problema, forse vi potrei aiutare. – Grazie per l'offerta – replicò la Mason, alzandosi in piedi. – E spero di esservi stata utile permettendovi di sfogarvi. Veblen scrollò le spalle. – D'ora in avanti, credo che preferirò dare veste ufficiale ai nostri colloqui. Devo scendere sulla stazione: non posso inviare rapporti se non sono neppure stata sulla scena dell'azione. – Gli rivolse un secco cenno del capo e lasciò l'Area 39. Chekov diede le necessarie istruzioni ai suoi rimpiazzi, i guardiamarina Pauli e Wah Ching, poi contattò l'Enterprise per essere ritrasferito a bordo. Quando l'effetto del teletrasporto ebbe inizio, vide Radak che lo fissava dal portello della cupola-magazzino. Alcune linee rosse parallele gli apparvero davanti agli occhi quando il segnale gli scompose la corteccia cerebrale, ma non vi era nulla d'insolito; questa volta, però, l'effetto non venne seguito dal consueto processo inverso e dal concretizzarsi della sala del teletrasporto della nave. Invece, il guardiamarina Pavel Chekov si trovò in
un luogo molto buio e solitario, colmo di una moltitudine di domande formulate con precisione... – Interrompere il teletrasporto! – Shallert premette il pulsante che metteva in allarme la sezione ingegneria e azionò immediatamente i sistemi ausiliari; il trasferitore emise un basso e profondo ronzio che aumentò di frequenza fino a trasformarsi in un fischio acuto e delicato. Poi si ripeté il suono cupo. – Cosa succede, signor Shallert? – chiese Scotty, dal ponte principale della sezione ingegneria. – C'è un ritardo nel riassemblamento del guardiamarina Chekov. Ho inserito gli ausiliari. – Sto arrivando. Nel momento stesso in cui Scott troncava la comunicazione, un singolo effetto teletrasporto iniziò a consolidarsi sul disco prestabilito e Shallert guardò con stupore il guardiamarina Chekov che si materializzava... esattamente quaranta secondi dopo essersi smaterializzato sulla Stazione Uno. – Non c'è niente di guasto nelle apparecchiature – ripeté Scott. Si trovava fra Kirk e McCoy nella sala del teletrasporto; i corti capelli neri gli pendevano in ciocche arruffate sulla fronte, l'uniforme era spiegazzata e le mani erano strette intorno a un paio di tricorder ingegneristici diagnostici. – Bene, fino a quando non avrete scoperto cosa c'è di guasto, io metto in quarantena quel mostro – dichiarò McCoy, e Scott si rivolse a Kirk con un'espressione angustiata sulla faccia. – Signore, se ci fosse stato un guasto qualsiasi, Chekov non sarebbe tornato indietro! – C'è stato un ritardo, Scotty. Non veniva trasferito attraverso uno strato di solido acciaio, ma attraverso il vuoto. Ci dev'essere una spiegazione e, anche se ritengo che il trasferitore stia funzionando in maniera corretta, devo avallare la decisione del dottor McCoy: fino a quando non avremo scoperto la causa dell'anomalia, useremo lo shuttle ed eviteremo di teletrasportare il personale. Scotty acconsentì con un cenno del capo, ma le spalle gli si accasciarono. – Sono pronto ad accettare qualsiasi suggerimento da parte vostra, signori.
Chekov esaminò il proprio alloggio con occhi sgranati per l'interesse. Prese in mano un oggetto di vetro che aveva acquistato due anni prima da un andoriano che faceva parte dell'equipaggio: gli scintillava fra le dita e, pur sembrando spinoso come un riccio di mare, risultava liscio al tatto come una sfera. – Vetro, con lo stesso indice di rifrazione dell'aria – disse a se stesso, con la propria voce, anche se non era lui a parlare. Si girò verso lo schermo e sfiorò con esitazione la tastiera sotto di esso. – Forse dovrei parlare al capitano. Tutto questo non mi sembra normale: non mi dovrei sentire in questo stato. – Si costrinse a protendere una mano verso l'intercom inserito nella parete, ma le dita si ritrassero lentamente, prima di aver toccato il pulsante, e la fronte gli s'imperlò di sudore. – Desidero essere lasciato solo e ristabilirmi – dichiarò, ma la presenza che si serviva della sua voce e che interferiva con i suoi pensieri non rispose. La Mason finì di comporre il dispaccio e porse la scheda con i dati a Uhura, sul ponte di comando; il tenente l'inserì nella sua consolle. – Siamo stati promossi? – chiese. – È un rapporto molto blando, se è questo che intendete. Non mi sono potuta avvicinare abbastanza all'azione. Kirk e Spock arrivarono sul ponte. – Rowena, stiamo per scendere sulla stazione con lo shuttle – la informò il capitano, e lei lo fisso, piena di aspettativa. – L'idea non piace al dottor McCoy, ma siete invitata anche voi. – Verrò – rispose con fermezza la donna. – Verrò, e vi ringrazio.
CAPITOLO XIV Già in età molto giovane, McCoy aveva imparato a nascondere le sue emozioni più profonde perché era giunto alla conclusione che la maggior parte della gente non le condivideva o era più brava di lui a celarle: in un modo o nell'altro, comunque era meglio non dimostrare gli eccessi emotivi a cui era spesso soggetto. Aveva scoperto che il modo migliore per non darli a vedere era quello di camuffarli, e da qui era derivato quel brusco modo di fare che adottava anche con gli amici più intimi. McCoy, profondamente romantico e addirittura cavalleresco, avvertiva il costante bisogno di proteggere il "sesso debole", ma non era possibile trattare con tanta deferenza le donne con cui si doveva lavorare. La
soluzione? La rudezza. E quando il suo appassionato rispetto per tutte le cose viventi diventava troppo intollerabile, si nascondeva anche a se stesso. Sapeva che se fosse vissuto nei secoli passati probabilmente sarebbe diventato un alcolizzato: gli stress e le tensioni avrebbero prodotto un micidiale miscuglio ormonale e lui si sarebbe dato al vizio del bere. Adesso, tuttavia, mediante un severo controllo dell'alimentazione, l'assunzione di adeguati medicinali e l'uso di svariate terapie meditative, riusciva a tenere sotto controllo gli aspetti più distruttivi della sua personalità. Tormentava Spock in manierà così spietata perché si accorgeva di somigliare al vulcaniano in un modo che lo sgomentava. I colleghi e gli amici, e di rado gli uni non erano anche gli altri, avevano imparato ad accettare queste contraddizioni, intuendo le ragioni presenti dietro di esse, e non offrivano consigli che sarebbero stati inutili. Inoltre, come Kirk ben sapeva, per quanto queste caratteristiche potessero essere tormentose per lo stesso McCoy, il risultato che ne derivava era un dottore dannatamente abile: ciò che forse gli mancava in acutezza d'ingegno era più che compensato dall'intuizione e dalla sensibilità. Perfino Spock rispettava il suo modo di fare perché era molto efficace, e non solo con i pazienti umani. Il vulcaniano ricordava molto bene le cure prestate alcuni anni prima da McCoy alla Horta, una creatura a base di silicio, e la guarigione ottenuta con la tenerezza e con metodi più adatti al mestiere di carpentiere che non alla pratica della medicina ortodossa. Ora McCoy si trovava davanti a un dilemma che lo sottoponeva a una tensione ancora maggiore: aveva a disposizione i mezzi pratici per salvare trenta pazienti da uno stato di morte vivente, ma gli veniva impedito di usarli. Aveva già lasciato capire a Kirk, uno dei suoi migliori amici, che per aggirare quelle barriere avrebbero dovuto piegare o anche infrangere la legge ("frantumare" sarebbe stato forse il termine più appropriato). Per Kirk, una simile azione poteva anche significare la fine della carriera, e naturalmente lo stesso valeva per McCoy. Nel mettere a fuoco questo problema, il medico non poteva fare a meno di considerare anche gli altri: l'erratico funzionamento del trasferitore, la strana situazione sulla Stazione Uno e la presenza di una giornalista civile, pronta a documentare ogni cosa per i posteri. McCoy sedeva nella penombra del suo alloggio, intento a prendere annotazioni su un foglio di carta con un'antiquata penna stilografica, sotto il raggio di luce concentrata di una piccola lampada. "Con il teletrasporto
messo fuori uso fino a nuovo ordine, tutti i pazienti sulla Stazione Uno dovranno essere trasportati a bordo dell'Enterprise con lo shuttle, che già in questo momento è in fase di adattamento. La soluzione adottata non è però di mio gradimento; muovere delle persone in ibernazione è pericoloso. Le normali vibrazioni provocate da un viaggio su un veicolo tanto piccolo potrebbero essere rischiose per soggetti ibernati. Tale pericolo sussiste anche applicando uno speciale campo di sospensione a ciascun ibernacolo; e munire la navetta di queste particolari attrezzature significa che potremo trasportare solo due pazienti alla volta. Spock dice che le condizioni nella nebulosa non sono ideali per piccoli veicoli, e lo shuttle non può produrre contro le radiazioni una schermatura potente come quella offerta dall'Enterprise." Si massaggiò la faccia con entrambe le mani e decise di accantonare le preoccupazioni relative al trasferimento. "Come aggirare i monitor..." Iniziò a elencare le possibili soluzioni, nessuna delle quali era certo che avrebbe funzionato. "Ho preso in considerazione un folle piano per creare un falso messaggio, da parte della Federazione, che notifichi modifiche nei regolamenti... una nuova definizione di morte, e a questo scopo mi sono procurato una copia di tutti i riferimenti medici inseriti nei monitor. Comunque, sono certo che Jim vieterebbe un simile piano, e se Veblen lo scoprisse... non è salutare alienarsi i compagni di bordo. Simili obiezioni valgono anche per l'idea di trovare un modo per disattivare temporaneamente il monitor medico, ma ora Spock..." Staccò la stilografica dal foglio e fissò per un momento un ologramma delle paludi salmastre di Chincoteague Islarid. "Buon vecchio Spock" riprese a scrivere. "Ha lasciato cadere degli accenni circa l'esistenza di un modo per penetrare nei monitor in profondità anche maggiore. Quelli di comando contengono le esperienze memorizzate di sei ufficiali della Flotta Stellare arrivati al grado di ammiraglio, e quelli medici ne contengono altre sei, tutte di dottori di bordo..." Qual era il motivo per cui Spock stava passando suggerimenti a McCoy? Il dottore seppe subito la risposta: come vulcaniano, Spock doveva obbedire innanzitutto al suo dovere, poi al capitano e infine alla missione. Il suo scopo era quello di eliminare un dilemma che avrebbe potuto rovinare non solo l'esito della missione ma anche il suo ufficiale comandante, e il concetto di dovere vulcaniano non richiedeva un grande rispetto delle leggi, specie di quelle umane che si sconfiggevano da sole.
Ci si poteva fidare di un vulcaniano per trovare un modo legittimo per aggirare le inadeguatezze umane. McCoy sorrise. Se ogni altro tentativo fosse fallito, Spock avrebbe fatto in modo di metterlo in contatto diretto con le esperienze memorizzate contenute nei monitor medici. Non c'erano garanzie. "Ma è più prudente evitare di prendere il toro per le corna quando lo si può acchiappare per la coda." Ripose i fogli nel diario di pagine sfuse e rimise il cappuccio alla penna. Prima di avvalersi dell'aiuto di Spock, si sarebbe dovuto verificare che fosse possibile trasportare gli ibernacoli con lo shuttle: aveva da tempo imparato ad affrontare i problemi in ordine di difficoltà crescente. In questo modo, se uno di essi si rivelava insolubile, non si perdeva tempo con quello successivo e più arduo. Chekov si sollevò a sedere di scatto sul letto e si guardò intorno nella cabina con occhi dilatati, come se avesse avuto un incubo; poi gli occhi gli si socchiusero a poco a poco e tornò a riadagiarsi sul cuscino. – Ora? – chiese. – Ore 12.07 – rispose la consolle. Fra venti minuti sarebbe dovuto tornare sul planetoide con lo shuttle. Aveva dormito molto male, cercando di opporsi alla crescente follia, o almeno così interpretava la graduale perdita della volontà e i gesti inconsulti. Aveva anche cercato di resistere all'impulso di avvicinarsi alla consolle per fare quello che la nuova voce ordinava e, fino a ora, c'era riuscito, ma ormai la voce si era fatta troppo insistente e sapeva che avrebbe obbedito. Si alzò dal letto... E sarebbe andato verso la consolle. Si avvicinò alla consolle... E avrebbe richiesto una mappa dell'interno dell'Enterprise con tutti i dettagli grafici. Batté i comandi sulla tastiera, tentando invano di commettere errori. Sapeva che avrebbe rivolto domande alla biblioteca del computer... domande relative a dettagli specifici dei motori della nave e della propulsione materia-antimateria con cui non aveva familiarità. Inserì altre istruzioni, poi fece una copia di tutte le informazioni richieste e ripose in una tasca la scheda con la copia. Andò quindi in bagno per rendersi presentabile e iniziare il turno di servizio, ma non riuscì a eliminare le ombre scure sotto gli occhi.
Grazie, disse la Voce. Non sei affatto la benvenuta, rispose Chekov. Chekov sorrise e protese il braccio per invitare la Mason a entrare nello shuttle; Kirk e Spock erano già all'interno, insieme alla Chapel e a McCoy, che stava esaminando con attenzione le nuove installazioni per il trasporto degl'ibernacoli. L'infermiera spuntava le varie voci, a mano a mano che il dottore vagliava i punti cruciali. Alla fine, McCoy si alzò facendo leva con le mani sulle ginocchia e annuì, rivolto a Kirk. – È quanto di meglio potremo mai ottenere – dichiarò. – Chi verrà sul pianeta con noi? – Spock e anche Rowena, presumo – rispose il capitano. – Mi piacerebbe rimanere laggiù e trasmettere i miei rapporti dalla stazione – disse la Mason. – Nel viaggio di ritorno ci servirà tutto lo spazio possibile – precisò McCoy. – Vorrei poter trasportare due ibernacoli alla volta. Kirk lasciò scorrere lo sguardo sui membri del gruppo, poi assentì. – Preparatevi al lancio dello shuttle – raccomandò, e tutti andarono ai loro posti, occupando i sedili intorno all'area destinata agli ibernacoli e assicurandosi con le cinture. La Mason si voltò per vedere le porte dello shuttle che si chiudevano, quindi assicurò il registratore a un fermo per il carico posto sopra di lei, accertandosi che la sonda visiva potesse guardare dall'oblò. Chekov, seduto accanto a lei, l'osservò con attenzione ma non disse nulla. Fuori delle pareti dello shuttle, il rombo dell'aria aspirata dall'hangar si ridusse a un ronzio e infine a un tenue sibilo. Il cupo borbottio delle porte dell'hangar che si aprivano venne trasmesso all'interno attraverso i sostegni d'atterraggio, poi cessò bruscamente quando il velivolo decollò. Uscirono dall'hangar grazie a un raggio trattore inverso, poi accesero i motori a impulso e discesero sul planetoide. T'Raus e T'Prylla si dematerializzarono e attraversarono lo spazio fra la stazione e l'Occhio Stellare. La sensazione che provarono fu simile a quella di volare perché, al contrario del raggio del teletrasporto, quel particolare modo di viaggiare comprendeva percezioni fisiche e il ricordo di esse. T'Prylla gradì il tragitto molto meno di T'Raus perché non aveva mai l'assoluta certezza di dove stessero andando o di cosa sarebbe accaduto al loro arrivo. La Voce che aveva sentito così spesso nella mente, e che era associata
alle emanazioni di radiazioni Ybakra da parte delle stelle triple, le era ormai tanto familiare che le aveva dato un nome: Pau, o Corona, in inglese della Federazione. Corona non dava mai spiegazioni e tutto ciò che T'Prylla aveva appreso negli ultimi nove anni era basato su semplici deduzioni. La donna sospettava che i suoi figli conoscessero molto meglio di lei i segreti di Corona. Si vennero a trovare sulla superficie priva di atmosfera del planetoide, senza tuta e avvolte in un tenue chiarore verdastro. T'Raus protese la mano e toccò la roccia sfregiata; in alto, il costante bagliore purpureo della nebulosa, estremamente vivido nel buio del piccolo pianeta, parve gorgogliare e distorcersi, poi a poco a poco la deformazione divenne perfettamente rotonda e l'Occhio Stellare si aprì come un grande disco nero. T'Raus sorrise e batté le mani una volta; T'Prylla protese il tricorder astronomico, come le veniva imposto di fare, e lasciò che registrasse quanto l'Occhio Stellare vedeva. Quando ebbero finito, e la curiosità di Corona fu soddisfatta, T'Raus prese il tricorder ed esaminò le informazioni raccolte. – Questo materiale è ottimo – disse. – Presto il nostro lavoro sarà finito. – Poi si accigliò. – Non possiamo rientrare nel punto da cui siamo partite perché ci sono altri visitatori. Questo è molto orniaga. T'Prylla dovette concentrarsi intensamente per ricordare il significato della parola vulcaniana usata da T'Raus: voleva dire "irritante" ed era un termine che non sentiva da decenni, perché non veniva quasi mai usato dai vulcaniani in una conversazione educata. Non disse nulla; non ne aveva il potere: non volevano la sua opinione, ma solo le sue capacità scientifiche e la sua mano d'opera. Il braccio le prudeva in maniera insopportabile e non poteva neppure grattarsi...
CAPITOLO XV Lo shuttle atterrò vicino al portello per le merci della cupola-magazzino disturbando, con i campi di atterraggio, uno strato di polvere micrometeorica vecchio di anni e proiettando le particelle in raggi diritti, lontano dalla piattaforma. Un tubo di attracco si protese automaticamente dal portello verso la porta posteriore dello shuttle, collegandosi con un sospiro dovuto al bilanciarsi della pressione. La Mason sentì svanire il
senso di occlusione alle orecchie mentre si protendeva per staccare il registratore. Quando la squadra dell'Enterprise lasciò la cupola-magazzino, Chekov si separò dagli altri e s'incontrò con T'Raus in un corridoio laterale, vicino alla cupola di ricerca. Una zona della mente dell'ufficiale fissò con curiosità la porta chiusa, perché nessuno aveva ancora visto le aree scientifiche ricostruite della stazione. T'Raus protese la mano e lui le consegnò la copia delle mappe e delle specifiche dell'Enterprise, poi la ragazza annuì e Chekov si affrettò a raggiungere i compagni, prima che la sua presenza venisse notata; i due non si erano scambiati una sola parola. Il gruppo oltrepassò Pauli e Wah Ching, ancora di turno; Chekov diede loro il cambio e ordinò ai due di attendere nello shuttle che gli altri li raggiungessero. – Niente da riferire? – chiese, domandandosi se anche loro fossero controllati, provando uno scoppio di angoscia nascosta tanto intenso da fargli salire le lacrime agli occhi. – Niente d'insolito – rispose Pauli. – C'è un po' di gelo dal punto di vista sociale, ma suppongo che sia normale. – Sorrise. Le parole sottintese erano "per dei vulcaniani". Chekov osservò i due che tornavano verso la cupolamagazzino. McCoy e Spock si recarono nella camera d'ibernazione, accompagnati da Anauk e da T'Kosa, azionarono i campi ambientali ed entrarono nel portello stagno: esso si chiuse dietro di loro e un momento più tardi si trovarono in mezzo al gelo e al silenzio; fuori Anauk e T'Kosa attendevano di recarsi con loro alla prevista riunione con Grake e T'Prylla. Spock esaminò gli ibernacoli con il tricorder scientifico mentre il dottore effettuava le ultime misurazioni, chinandosi accanto all'ibernacolo più vicino al portello e osservando i cavi che fornivano energia. – Li dovremo spostare in fretta – decretò. – Le barelle li possono mantenere freddi per circa cinque minuti, poi dovremo agganciarli alle scorte di energia dello shuttle. Spock invitò, con un cenno, il dottore a guardare il display del tricorder scientifico. – I vostri sospetti erano esatti – affermò. – Non vi sono ulteriori danni, ma i corpi sono stati manomessi. – Perché? Cosa ci guadagnerebbero gli altri? – Come sospettavate, sembra che i dormienti siano stati utilizzati per l'immagazzinamento d'informazioni. – Mi pare molto irregolare, Spock. E poi sono troppo freddi perché i loro cervelli possano avere qualsiasi attività chimica.
– – Alla temperatura attuale, quei cervelli hanno proprietà superconduttive e non serve alcuna attività chimica: potrebbero conservare enormi quantità d'informazioni senza l'uso delle normali operazioni mnemoniche. – Se è così, sgelandoli cancelleremmo le informazioni, le distruggeremmo. Spock annuì. – Allora cosa credete che diranno gli altri? – Se qui abbiamo finito, possiamo andare al centro medico e scoprirlo. – Spock, avete tenuto la bocca chiusa fin da prima che arrivassimo qui e vi comportate come un gatto che abbia scoperto dov'è nascosta una gabbia di canarini. Mi vengono i brividi solo a guardarvi. – Sarei indotto a presumere che la cosa sia normale, dottore. McCoy gli restituì il tricorder e scosse il capo. – Jim sembra ritenere che noi due stiamo cospirando e forse è così. Non credete che i complici di una cospirazione debbano condividere tutti i loro segreti? – Forse in seguito – rispose il vulcaniano, e il dottore lo conosceva troppo bene per insistere ancora. Uscirono dalla camera d'ibernazione e accompagnarono Anauk e T'Kosa alla riunione. – Non possiamo permettere la rimozione dei dormienti – dichiarò Grake. Si trovava di fronte ai visitatori provenienti dall'Enterprise, nel centro medico della stazione, e serrava le mani sul bordo di un lettino diagnostico, spogliato di ogni attrezzatura utile. – Ci sono troppi rischi. – T'Prylla, i ragazzi, Anauk e T'Kosa contemplavano gli ospiti con un apatico isolamento che a Kirk sembrava quasi una forma di disprezzo. – Ho valutato i rischi – ribatté McCoy. – Ce ne sono, ma si tratta di una cosa minima. – Kirk lanciò un'occhiata a Spock per valutare la sua reazione agli eventi: il vulcaniano stava fissando intensamente Grake, che però rifiutava d'incontrare il suo sguardo. – Pur rispettando l'abilità del dottor McCoy, noi abbiamo scoperto molte cose sulle radiazioni Ybakra negli ultimi dieci anni; siamo costantemente immersi in esse, ma a un livello che non può causare ulteriori danni ai dormienti. Qui le Ybakra sono molto meno intense grazie alla vicinanza del planetoide, ma tale protezione verrebbe a mancare sullo shuttle e questo potrebbe causare ulteriori danni. McCoy si alzò e puntò un dito contro Grake. – Attualmente, i vostri dormienti sono come morti. Cosa potete fare per loro?
– Li possiamo proteggere fino a quando si troverà un modo per portarli sull'Enterprise senza rischi, oppure possiamo studiare un metodo per curarli noi stessi. – L'Enterprise non può rimanere qui a tempo indefinito – intervenne Kirk. – Francamente, il livello di resistenza che stiamo incontrando mi lascia perplesso; siamo vostri soccorritori, non vostri nemici. – Il suo tono conteneva una tranquilla minaccia. – Sostengo la decisione del dottor McCoy di trasferire i dormienti nell'infermeria dell'Enterprise. T'Kosa si accostò a Grake. – Ritengo che sia giunto il momento di convincere i nostri visitatori del fatto che ce la siamo cavata ottimamente anche senza il loro aiuto. – Stiamo omettendo il punto fondamentale! – esclamò McCoy, esasperato. – Jim, sprechiamo tempo prezioso se non trasportiamo subito i dormienti per la ristrutturazione! Kirk non sapeva cosa fare. Era ovvio che Spock non desiderava ancora rivelare l'esistenza degli schermi contro le radiazioni Ybakra, ma accennare a essi avrebbe evitato molte discussioni. (Oppure no? Avrebbero trovato un'altra scusa? E perché non erano anche loro al corrente degli schermi? Le loro ricerche sulle Ybakra erano state estese e complete). Non voleva prendere una decisione che lo mettesse ulteriormente in antagonismo con McCoy, ma non gli veniva in mente nessun'altra soluzione. – Credo che ci sia il tempo per una breve ispezione prima di decidere sul da farsi. – Sperò che il dottore intuisse quello che stava accadendo. McCoy parve ancor più esasperato, ma non protestò. – Bene – commentò Grake. – Come ho già detto prima, riteniamo di avere molte sorprese in serbo per voi... Veblen finì di esaminare le unità di forma-memoria e di esperienzamemoria del trasferitore e scosse il capo. Scotty era in ansiosa attesa, un passo più indietro. – Devo convenire con voi – dichiarò il tenente – che non c'è nulla di guasto nei circuiti. – Allora dev'essere un'interferenza esterna. Magari le radiazioni... – Le Ybakra operano in uno strato di spazio frazionale diverso da quello delle memorie transitorie – rispose Veblen, accigliandosi. Estrasse una scheda dati dalla cintura e la soppesò, riflettendo: aveva trascurato d'inserire nell'algoritmo stocastico le nuove informazioni derivanti dalle ricerche sulle Ybakra, svolte dal personale della stazione. – Non credo che
avrebbero alcun effetto. Comunque... – Non so più cosa fare – protestò Scott. – Ho controllato ogni aspetto del funzionamento del teletrasporto, dall'alimentazione d'energia ai coordinatori di memoria, ma non ho trovato guasti. – Assunse un'espressione di sfida. – Non è colpa delle mie macchine! E non ho mai sentito parlare di un ritardo nella materializzazione. – È un enigma – ammise Veblen – e sosterrò il vostro rapporto entro i limiti delle mie cognizioni. – Grazie – rispose Scott, sollevato. Il tenente lasciò la sala del teletrasporto e prese il turboelevatore fino al centro controllo computer, dove inserì le nuove informazioni nell'algoritmo, che era stato temporaneamente messo in pausa, richiedendo poi uno specifico livello d'indagine. È possibile, domandò tramite la tastiera, che il personale della stazione abbia imparato a manipolare le radiazioni Ybakra e stia usando tali cognizioni per provocare eventi anomali a bordo dell'Enteprise? Fece ripartire l'algoritmo e si appoggiò allo schienale della sedia, rosicchiandosi un'unghia in attesa di risultati coerenti. La Mason si tirò più vicino il registratore e s'incamminò dietro Radak. Si sentiva fuori posto e tuttavia aveva la sensazione che stesse per accadere qualcosa d'importante. Grake si diresse verso gli ambienti adibiti alla ricerca, seguito da T'Prylla e Spock; gli altri oltrepassarono il portello aperto sulla loro scia e si ritrovarono tutti, in gruppo compatto, su un lato della cupola più grande della stazione. Adesso era facile capire come fossero state utilizzate tutte le apparecchiature stivate nella cupola-magazzino; la stanza era ingombra di ogni concepibile combinazione di hardware, di parti elettroniche e di computer, collegati fra loro in grossi blocchi e senza un apparente criterio di ordine estetico o logistico. Alla Mason, quella sembrava la camera dei giochi di un bambino... un bambino vulcaniano a cui fosse stato dato tutto quello che desiderava. Guardò in direzione di Radak e di T'Raus e incontrò lo sguardo della ragazza: per un momento, si fissarono e la Mason rabbrividì, non solo perché T'Raus era vulcaniana. Pensava di essersi abituata alla vicinanza dei vulcaniani; Spock non era certo un orco, nonostante tutte le sue stranezze, ma T'Raus... Nei suoi occhi vi era un'espressione di fredda valutazione che andava ben oltre il freno emotivo tipico della sua razza. – Molto impressionante – commentò Kirk, con diplomazia. Grake li
guidò lungo il perimetro della cupola, fino a una piattaforma sopraelevata su cui era montato un piccolo quadro di controllo. Il registratore SIF si piazzò vicino al limitare della piattaforma, con i motori che ronzavano sommessamente mentre le lenti riprendevano Grake che stava salendo i gradini, – È una costruzione preliminare – spiegò il vulcaniano, facendo cenno a T'Prylla di raggiungerlo. Radak seguì la madre. – Ma è molto più utile di quanto lascino supporre le apparenze. – Radak si fermò accanto al pannello di controllo e Grake parve esitare prima di continuare la sua spiegazione. – Con il Trasformatore possiamo controllare tutte le forme di materia, energia, spazio e tempo nelle vicinanze della stazione. Le nostre ricerche ci hanno dato la padronanza delle fondamenta stesse dell'universo, da cui è scaturita la creazione. Il nostro lavoro è ancora in fase sperimentale ma abbiamo ottenuto molti risultati. La Mason vide McCoy muovere le labbra in qualche parola silenziosa, apparentemente relativa alla follia. – Mio figlio preparerà una dimostrazione. Radak protese una mano verso gli interruttori, vagamente illuminati, del pannello e ne sfiorò qualcuno con la grazia derivante da una lunga esperienza. Conosce il sistema meglio di suo padre, si disse la Mason, chiedendosi come mai Grake non eseguisse lui stesso la dimostrazione. Il macchinario nella cupola fece sentire la sua presenza con una sensazione al di sotto della soglia uditiva e che ricordava l'emanazione di una grande energia. Poi, molto gradualmente, Radak svanì, e i visitatori impiegarono alcuni secondi per comprendere cosa stesse accadendo. Chekov, per quanto sotto un rigido controllo, sussultò per lo stupore quando il ragazzo svanì e la Mason ebbe l'impressione di vedere un tremolio nel punto prima occupato dal giovane vulcaniano, ma avrebbe potuto anche essere uno scherzo ottico. Quanto a Spock, il primo ufficiale osservò la dematerializzazione senza reazioni apparenti. Per quanto l'uscita di scena di Radak fosse stata molto suggestiva, infatti, Spock aveva notato qualcosa ancor più significativo nel percorrere il perimetro della cupola, e cioè che parte delle apparecchiature erano state ricavate da una nave automatica di soccorso della Federazione, indubbiamente la stessa mandata là alcuni anni prima e che non aveva mai fatto ritorno. Almeno per il vulcaniano, alcuni pezzi dell'enigma cominciavano a
combaciare. Shallert era di guardia nella sala principale del trasferitore, compito che non richiedeva una costante vigilanza e che gli permetteva di dedicare parecchio tempo allo studio dei manuali di aggiornamento delle apparecchiature. Con la coda dell'occhio, ebbe l'impressione di vedere qualcosa muoversi sulla piattaforma del teletrasportatore e sollevò lo sguardo: sul disco posizionale c'era un giovane vulcaniano sorridente. Shallert sbatté le palpebre e il ragazzo svanì in quello stesso istante. Con la bocca spalancata, l'ufficiale controllò la consolle del trasferitore, ma non era in funzione. Inoltre non vi era stato nessuno dei caratteristici effetti del teletrasporto. Ebbe un momento di esitazione, poi contattò la sezione sicurezza. – Qui Olaus – fu la risposta. – Edward, sono Jonathan. Prepara la cella d'isolamento. State registrando un intruso? – No – replicò Olaus. – Cosa succede? Aspetta un momento... c'è un corpo caldo nel quadrante 2, ponte 7, ma non c'era nessuno, un secondo fa. Sul ponte 7 di piatto, o scafo primario della nave, in un corridoio appena fuori dalla sezione ingegneria e dall'impianto dei motori a impulso, Radak stava camminando tutto solo, guardandosi attorno, meravigliato dalla struttura in metallo della nave. Allungò una mano per toccare la porta della sezione ingegneria: era chiusa, ma non aveva alcuna importanza per Radak, che l'aprì e sbirciò nella sala motori, strutturata a diversi livelli e quasi vuota. C'era solo un ufficiale cadetto di guardia al secondo livello, perché in quel momento erano necessarie ben poche correzioni orbitali che potevano essere effettuate con i motori d'attracco e posizionali, montati in vari punti intorno allo scafo primario e secondario dell'Enterprise. Senza fare rumore e con estrema baldanza, Radak esaminò i pannelli di controllo all'insaputa dell'ufficiale e notò subito che quello non era il principale impianto motori della nave. Visualizzò i motori esterni, che ospitavano le unità primarie di propulsione, ma decise di non avvicinarsi per osservarli per il momento: era assente già da tempo. – Siamo piuttosto abituati a questo modo di andare e venire – dichiarò Kirk, non appena si fu ripreso. – Lo facciamo spesso anche noi. – Era consapevole della differenza fra il teletrasporto e quello che Radak aveva
appena fatto, ma non intendeva rivelare a Grake il proprio stupore. – Il ragazzo non è stato smaterializzato e poi rimaterializzato da un trasferitore – spiegò T'Prylla, salendo sulla piattaforma. – Il suo corpo è stato replicato esattamente in un altro punto spazio-temporale e l'evento è stato bilanciato da una completa trasformazione della sua passata struttura. In pratica, le singole turbolenze dei suoi atomi sono state separate e riunite in coordinate differenti. Qualcuno la definirebbe coincidenza controllata. Adesso possiamo dominare la sincronia, capitano. Radak riapparve accanto alla madre, allungò la mano verso i comandi e toccò un'altra serie di interruttori mentre T'Prylla fissava Spock, quasi sollecitandone la comprensione. – Presumo – commentò questi – che abbiate sfruttato l'apparente identità di certe particelle subatomiche con altre simili, quali che siano e dovunque si trovino nell'universo. Qual è la portata della vostra capacità di trasformare le coordinate? – Attualmente è di duecento chilometri – rispose Radak. – Stavo appunto effettuando una trasformazione di questo genere quando ho incontrato la vostra prima squadra di sbarco. – Questo spiegherebbe alcune letture anomale del tricorder – ammise la Chapel. – È vero, Spock? – chiese Kirk. – È presumibile, capitano. – Qui si stanno facendo un sacco di supposizioni – intervenne McCoy. – Potremmo approfittare di questo congegno per trasferire i dormienti sull'Enterprise, supponendo – sottolineò con enfasi – che la vostra tecnica non presenti nessuno degli svantaggi del teletrasporto. – No, dottore. – Grake scosse il capo. – In teoria, è possibile, ma non adesso. Attualmente le nostre apparecchiature possono spostare masse non più grandi di mio figlio. Neppure io posso essere trasformato, anche se mia moglie rientra appena nei limiti. Non potremmo trasformare contemporaneamente l'ibernacolo e l'occupante. Comunque, non abbiamo finito con la nostra dimostrazione: T'Raus ha portato avanti un suo progetto speciale. – Grake protese la mano per aiutare la figlia a salire sulla piattaforma. – Nella scala del micromatico, che in vulcaniano è chiamata numosma e che gli umani definiscono lunghezza Planck-Wheeler, lo spazio si frantuma in un labirinto di singolarità – esordì T'Raus, ferma sul limitare della piattaforma, con le mani intrecciate dinanzi a sé.
– Sembra una studentessa di piano in procinto di dare un saggio – sussurrò la Chapel alla Mason, che però ebbe l'impressione che la ragazza mostrasse molta più sicurezza di sé. – Fino a ora, non abbiamo avuto modo di studiare queste regioni estremamente piccole e abbiamo dovuto limitarci alla sola teoria. Sappiamo tuttavia che a questi livelli si determina la natura della materia e dell'energia e ora, grazie al trasformatore, possiamo creare simulazioni virtuali di piccole sezioni spazio-temporali ma anche di regioni molto grandi, fino ad arrivare alle dimensioni di un universo. Queste simulazioni sono esatte in ogni dettaglio tranne uno... non sono "reali". Presto, potremo finalmente ricreare regioni spazio-temporali con il tocco finale della realtà, e il nostro lavoro volgerà allora alla sua conclusione. La ragazza pronunciò le parole successive quasi con noncuranza. – La nostra meta è del tutto ovvia. Intendiamo creare un nuovo universo, in una scala che ci renda possibile controllare e studiare il suo sviluppo. Quando ci riusciremo, saremo vicini a comprendere il periodo più interessante della vita del nostro universo, quei primi minuti subito dopo la creazione. Da allora, tutto è stato decadenza e declino. – Spero non sia davvero così – commentò McCoy. – Affascinante – fu il solo contributo di Spock. La Mason era più confusa che affascinata, e Kirk non batté ciglio. T'Raus sollevò un braccio e toccò parecchi pulsanti del pannello con la stessa grazia disinvolta del fratello. – Per favore, guardate nella camera trasparente, a destra della piattaforma. È là che avrà inizio la nostra dimostrazione del micromatico.
CAPITOLO XVI La sfera di vetro, montata su una sola asta argentea, era occupata da quelle che sembravano ombre d'alberi; poi le ombre cominciarono a vorticare, disegnando lungo il perimetro della sfera strisce scure che sbavarono e si fusero fino a tingere l'interno di un grigio neutro. – I nostri occhi possono percepire solo le cose con cui hanno familiarità – spiegò T'Raus. – Per questo motivo, perderete la maggior parte della simulazione e inoltre, poiché i nostri occhi fanno affidamento sulla luce, come mezzo di trasporto delle informazioni, ciò che vedremo non sarà del tutto esatto. Comunque, la simulazione contiene tutte le informazioni necessarie per
una completa comprensione spazio-temporale. La nostra macchina può interpretarci quello che abbiamo difficoltà a percepire. – Adesso la sfera era piena di colori che scaturivano dal grigio e ne venivano riassorbiti. La Mason ebbe l'impressione che la stessero ipnotizzando. Anche a distanza di cinque o sei metri, l'immagine occupò ben presto tutto il suo campo visivo e per un momento le parve che la sfera stesse brulicando di serpenti, che subito diventarono nuvole di palloncini fluttuanti. A loro volta, le nuvole divennero strisce di gomma che si contorcevano, ma ben presto si riempirono di buchi che si flessero verso l'interno e toccarono altri buchi prima che le strisce scomparissero lasciando solo quei buchi; essi presero a pulsare e parvero ingrandirsi e rimpicciolirsi al tempo stesso, secondo uno strano ritmo che era insieme regolare e caotico. Subito dopo, la sfera divenne un labirinto di tunnel che rimpicciolirono e si trasformarono in filamenti sottili che assunsero un meraviglioso colore grigio azzurro e danzarono con tanto vigore da far vorticare tutta la cupola intorno alla ragazza. Kirk vide un'immagine del tutto diversa che gli ricordò le eliche degli aeroplani antichi, migliaia e migliaia di eliche che ruotavano con un rumore di diversa intensità, allungandosi e unificandosi fino a essere tutte collegate, pur continuando a girare individualmente. Chekov avvertì un legame con il contenuto della sfera e lo riconobbe, o meglio il riconoscimento venne da ciò che lo controllava, accompagnato dalla stessa bizzarra nostalgia che si potrebbe provare per le rovine fumanti della propria antica casa. Tutto questo non aveva senso per Chekov, ma vi partecipò lo stesso. La Chapel vide un'infinità di strani fiori, i cui petali si univano e si separavano. Spock fece uno sforzo per vedere solo quello che c'era davvero, ma non vi riuscì. Non c'era nulla di reale nella sfera, nulla a cui potesse collegare la rigida logica della sua razza, e di colpo fu consapevole, in maniera spiacevole e immediata, dei limiti del suo condizionamento; i Vulcaniani perseguivano la logica suprema in un mondo governato dal caos, uno sforzo destinato in ultima analisi a essere inutile. Le immagini lo depressero e lo rattristarono, ridestando la sua metà umana... E d'un tratto si accorse del paradosso: apparentemente, questa strana ricerca era opera di vulcaniani, erano stati loro a creare quelle immagini. Nonostante i suoi metodi logici poco ortodossi, T'Prylla era condizionata quanto lui e forse ancora di più, e una ricerca del genere avrebbe dovuto
essere difficile, forse addirittura impossibile, per lei e per qualsiasi vulcaniano. Ma allora chi, o che cosa, aveva svolto la ricerca, visto che i fisici umani, che avrebbero potuto aiutare i ricercatori e condividere simili intuizioni, erano tutti in ibernazione? Spock voltò le spalle alla sfera, non essendo disposto a tollerarne oltre le immagini. Anche McCoy si girò per motivi simili; per lui, la sfera era piena di facce, e le facce si trasformavano in teschi, le cui orbite si allungavano fino a diventare interminabili corridoi di morte e di sofferenza e i cui denti scintillavano. L'intuizione che lo costrinse a distogliere lo sguardo fu che tutte le stelle dell'universo erano solo riflessi di quei teschi e di quei denti. La sfera gli stava mostrando in che modo sarebbe potuto impazzire se mai avesse perduto il controllo. T'Raus toccò i pulsanti con mano leggera e la sfera tornò ad essere una vuota palla di vetro. Durante tutta la dimostrazione, gli spettatori avevano mantenuto un silenzio assoluto, che si protrasse. Kirk fu il primo a parlare. – Non sono certo di poter giudicare quello che avete realizzato – commentò, portandosi una mano alla fronte. – Per quanto si possa trattare di una grande scoperta, non capisco che cosa abbia a che vedere tutto questo con il nostro problema immediato. Radak, che era vicino a Kirk, si girò lentamente verso il capitano, tradendo un'agitazione assai poco vulcaniana. – Fra un anno avremo raggiunto una padronanza così completa che potremo duplicare i corpi dei nostri dormienti, senza ricorrere alle apparecchiature della vostra nave, o a qualsiasi altro macchinario. Tutto questo verrà accantonato e, con le nostre menti, potremo viaggiare dovunque vorremo e trasformare qualsiasi cosa. – Fissò lo sguardo su Kirk. – Non saremo più confinati su questo planetoide e non ci serviranno le navi della Federazione. Non è vero! agonizzò T'Prylla, lottando per comunicare con Spock, con chiunque, per avvertire che Corona avrebbe concluso il suo lavoro molto prima che cose simili potessero essere realizzate. Kirk si rivolse a Grake. – Vostro figlio parla per tutti voi? – Grake e T'Prylla annuirono contemporaneamente. – Posso apprezzare la grandiosità delle vostre future realizzazioni – continuò Kirk – ma io devo considerare la realtà presente, e la legge della Federazione richiede che io faccia tutto quello che è in mio potere per salvare i cittadini da ogni pericolo. I dormienti sono in pericolo e noi dobbiamo agire secondo le indicazioni del nostro esperto medico. Io... io posso garantire che i vostri timori per la loro
sicurezza sono infondati e che non subiranno danni durante il viaggio fino all'Enterprise. – McCoy annuì con soddisfazione. – Vi sono molte altre modifiche che devono essere apportate allo shuttle per rendere il tragitto assolutamente sicuro per i dormienti – aggiunse Spock. – Faremo ritorno sulla nave, eseguiremo le installazioni finali e traghetteremo i dormienti con la massima rapidità possibile. – Molto bene – rispose T'Prylla, assentendo con un cenno del capo. La Mason pensò che quel cedimento era troppo repentino e arrendevole, dopo tutte le obiezioni che quella gente aveva sollevato. Chekov tornò per primo nella cupola-magazzino, dove Wah Ching e Pauli erano fermi fuori del condotto di collegamento allo shuttle. Il guardiamarina scambiò con loro poche parole, poi percorse il condotto e si chiuse alle spalle il portello della navetta. Una volta dentro il piccolo velivolo, Chekov si guardò intorno, con i gesti lenti di un drogato, e attraversò la cabina passeggeri fino a raggiungere il posto di pilotaggio e il pannello dei comandi. Con una chiave di servizio svitò il piano di protezione e scrutò il labirinto di cavi in vetro e di guide per raggi energetici, poi estrasse il faser e lo regolò in modo da ottenere un raggio sottile e di scarsa penetrazione, per evitare di danneggiare l'isolamento delle guide. Il sistema di auto-diagnosi dello shuttle avrebbe rilevato la presenza di un guasto, ma poiché non c'erano sensori collegati direttamente all'isolamento, il computer di bordo non avrebbe potuto spiegare la natura del guasto, ma solo localizzarlo. E, a occhio nudo, sarebbe stato difficile notare qualcosa. Lo shuttle sarebbe rimasto bloccato sulla stazione. Chekov combatté per resistere alla tentazione di qualsiasi gesto fino a quando il suo corpo fu percorso da rivoli di sudore, ma invano. Ripose il faser nella cintura, si asciugò la fronte con la manica e riaprì il portello, assumendo un'espressione furente e precipitandosi lungo il condotto. – Chi è entrato qui dentro? – domandò, e le guardie lo fissarono con stupore. – La copertura del pannello è aperta – aggiunse, mentre Kirk, Spock, McCoy, la Chapel e la Mason si avvicinavano; Chekov li raggiunse, desiderando di poter morire e di porre fine a quel tormento. – Signor Spock... – cominciò. Spock emerse dallo shuttle e scosse il capo. – Sospetto un atto di sabotaggio, capitano.
McCoy imprecò sottovoce. – Ho l'impressione che stiamo annaspando nella colla, Jim. Bloccano ogni nostra mossa. Kirk si guardò intorno nella cupola-magazzino. – Spock, effettuate un controllo con il tricorder per localizzare eventuali congegni di ascolto o qualsiasi altra cosa sospetta. Chekov, andate di guardia all'ingresso della cupola. Il vulcaniano eseguì il controllo e riferì che non vi erano congegni d'ascolto individuabili. – Non posso però garantire che parleremo in privato. – Correremo il rischio, Spock. Cosa diavolo sta succedendo qui? – Qualcosa di molto grave, Jim. Nella cupola di ricerca ho visto alcune apparecchiature che sono certo siano state rimosse dalla nave automatica di soccorso. A quanto pare, all'arrivo della nave, la gente della Stazione Uno era già riluttante a essere salvata, ma aveva bisogno di tutte le strumentazioni e della materia prima disponibili. Inoltre, il personale della stazione non si comporta come dei vulcaniani e neppure come dei vulcaniani impazziti: le loro giustificazioni sono deboli e contraddittorie, i bambini sembrano controllare la situazione molto meglio di Grake e di T'Prylla, e questo è assolutamente atipico. – Non potrebbe dipendere dall'isolamento? – chiese la Mason. – No – replicò il primo ufficiale. – Il loro comportamento segue un certo criterio, che però non coincide con nessuno di quelli tipici del mio popolo. È un comportamento determinato da una presenza che li controlla e che ha fini diversi dai nostri. – Ma qui non c'è vita – obiettò McCoy. – Sappiamo che le nubi protostellari sono del tutto sterili. Oh, ci sono le solite molecole organiche... – Io non credo che siano controllati da una forma di vita organica – spiegò Spock. – Tutte le prove indicano che si tratta di qualcosa che ha molte conoscenze ed è molto interessato a quei processi che i ricercatori sostengono di essere arrivati a dominare. – Qualche idea su cosa potrebbe essere? – Suggerirei di contattare l'Enterprise e di verificare come se la stia cavando il signor Scott con il trasferitore. Dubito che abbia individuato un guasto di qualsiasi tipo: se la mia ipotesi è esatta, l'apparecchiatura è in perfette condizioni di funzionamento, ma il raggio vero e proprio viene alterato. Questo spiegherebbe il mio maldestro arrivo alla stazione e le difficoltà incontrate dal guardiamarina Chekov.
– Cosa diavolo dobbiamo fare? – domandò McCoy. – Giocheremo il nostro asso nascosto, dottore. Chiederemo che ci vengano mandati giù i materiali per riparare lo shuttle. Veblen osservò i modelli dell'algoritmo mordendosi il labbro inferiore, poi agì d'impulso e batté sulla tastiera: Stai scherzando? Questi sono i modelli migliori che l'algoritmo stocastico possa attualmente produrre, replicò il computer sullo schermo. Veblen aveva eliminato l'audio perché preferiva di gran lunga lavorare con i display: era molto più facile individuare gli errori di programmazione. – Signor Veblen, sul ponte – chiamò Uhura dall'intercom. Il tenente trasferì i dati dei modelli sulla sua tavola, portatile e corse verso il turboelevatore. Scott era già sul ponte, intento a parlare con Kirk che si trovava ancora sulla stazione. – Credo che le conclusioni raggiunte dal signor Spock siano un grosso sollievo – stava dicendo l'ingegnere capo. – Noi no – replicò Kirk, laconico. – C'è Veblen? – Presente, capitano – rispose il tenente. – Signor Veblen, Spock ha una richiesta speciale per alcune parti di ricambio dello shuttle. – Il tenente e Scott si scambiarono un'occhiata: Veblen non era certo l'uomo adatto per occuparsi di parti di ricambio. – Signor Veblen – disse il vulcaniano – la Galileo II ha bisogno delle seguenti parti. – Spock snocciolò quindi un elenco di ventisei diversi pezzi, che pareva conoscere a memoria; Veblen li annotò tutti e porse la lista a Scott, che la lesse rapidamente. Solo cinque riguardavano davvero lo shuttle e nessuno, sorprendentemente, gli ibernacoli. – M'interessa anche sapere come stia reagendo l'algoritmo ai nuovi dati. C'è stato qualche incremento di probabilità del Modello C? Veblen sgranò gli occhi. – In effetti sì, signor Spock. Il Modello C è ora in posizione primaria in seguito alle aggiunte. Le radiazioni Ybakra... – Grazie, signor Veblen. Vi prego di effettuare l'invio delle parti. Fino a quando non avremo riparato lo shuttle saremo bloccati sulla stazione. – Il primo ufficiale chiuse la comunicazone e Scott scosse il capo. – Cos'hanno chiesto, signor Scott? – domandò il tenente. – Alcune delle parti sostituiranno gli isolamenti delle guide per i raggi nei pannelli strumentali dello shuttle. Questo ha senso, ma il resto del materiale serve per costruire un campo d'isolamento dalle radiazioni Ybakra.
– Per i dormienti? – Non credo – rispose Scott – altrimenti il dottor McCoy avrebbe specificato le dimensioni del campo. Non penso che queste componenti ne potranno creare uno abbastanza grande per due ibernaceli. Veblen soppesò, pensoso, la tavola per le annotazioni. – Ritengo che il Modello C sia stato confermato. T'Prylla avvertì, con distacco, un senso d'irritazione, ma ciò che le causò maggior disagio fu l'indecisione di Corona. Venne sballottata qua e là, indotta a fare ora questo e ora quello: non aveva mai avvertito una simile indecisione o una simile confusione in Corona. Lavorò per qualche tempo, aggiungendo altri macchinari alle apparecchiature nella cupola di ricerca e, per un momento, scorse Grake intento a fare qualcosa di simile. Anauk e T'Kosa, lo sentiva, erano in attesa fuori della cupola-magazzino; T'Raus e Radak non si vedevano da nessuna parte. I ragazzi vulcaniani erano fermi sotto il cielo purpureo della nebulosa, intenti a contemplare un nastro verde che andava da un orizzonte all'altro e si srotolava allo zenith. Non era nulla di significativo, solo la rivelazione di una nuova regione di gas, ma servì per un momento a distrarre Corona; fra tutte le stranezze di questo antico regno, le nuvole di polvere e gas della nebulosa erano le più piacevoli, perché la loro astrazione gli ricordava... Ma quel pensiero non si concluse. T'Raus toccò ancora la roccia e aprì l'Occhio Stellare; la meta era tanto vicina, ma il tempo scarseggiava. Dove si sarebbe verificata l'apparizione successiva? L'Occhio Stellare era più di un telescopio. Sondava fra gli universi probabili, oltre che nelle distanze spazio-temporali, e il solo universo che non poteva esplorare era quello situato lungo la linea della realtà presente; Corona non poteva conoscere il risultato del suo lavoro. Durante i primi anni, Corona aveva cercato giovani galassie amorfe e sepolte in nubi di gas ardenti, ma non ne aveva trovate e si era imbattuto invece nelle prove della propria opera, dei propri timidi esperimenti e dei suoi fallimenti, sepolti in un antico passato e appena visibili attraverso eoni-luce. Dopo nove anni di paziente ricerca, tormentato da una frustrazione crescente e dalla consapevolezza dei propri limiti, aveva trovato la regione in cui sarebbe stato più probabile effettuare la prossima apparizione, se avesse fallito nella Nebulosa Black Box. All'inizio, le cose erano state più semplici: aveva incontrato condizioni
ostili, ma non come adesso. Ora doveva fare affidamento su un'altra improbabile congiunzione di masse subspaziali e di protostelle in fase di collasso, e l'Occhio Stellare aveva appunto individuato una regione del genere. Ma Corona sapeva che trovare un'altra opportunità soddisfacente quanto questa offerta dalla Black Box era alquanto improbabile; in effetti, in tutti i suoi strani viaggi, non si era mai imbattuto in nulla di analogo. La novità della situazione non era costituita dalla nebulosa in se stessa, un grembo di stelle alquanto tipico, ma dai visitatori vulcaniani, da esseri vivi e intelligenti fatti di materia. Corona non aveva mai incontrato nulla di simile e non aveva idea di quanto questa intelligenza organica sarebbe stata diffusa in futuro, nella prossima tappa del suo viaggio; quindi era estremamente importante per lui portare a termine il lavoro adesso. Tutto quello di cui aveva bisogno era ancora qualche ora senza intralci, una minuscola parte di quella bizzarra dimensione che il tempo era diventato in questo vecchio universo agonizzante. Ma come poteva continuare il lavoro nella cupola e, al tempo stesso, tenere a bada questi nuovi e fastidiosi visitatori? Era questa l'indecisione che più negativamente si rifletteva su T'Prylla, ma alla fine Corona fece una scelta: i visitatori erano pericolosi, perché potevano distruggere alcune delle informazioni più utili da lui raccolte rimuovendo i dormienti. Se fossero riusciti a riparare lo shuttle, il trasbordo avrebbe avuto inizio. Corona aveva scoperto troppo tardi che gli umani resistevano alla sua intrusione anche più dei vulcaniani adulti, ed era stato solo con una leggera modifica delle proprie qualità nel raggio teletrasportatore che era riuscito a controllare quello chiamato Chekov, per un puro colpo di fortuna. Il nuovo mezzo vulcaniano combinava in sé le peggiori caratteristiche delle due razze e i primi passaggi di Spock nel raggio non erano bastati per metterlo sotto controllo. Ma Corona aveva imparato dai propri fallimenti: se solo Spock avesse usato ancora una volta il teletrasporto... Scott aveva difficoltà a controllare la direzione del raggio, che deviava con violenza ora da una parte ora dall'altra. Veblen osservò l'ingegnere capo imprecare nel regolare i comandi, anche se nel raggio c'era solo un congegno di prova; le componenti chieste da Spock erano ammucchiate su due piattaforme antigravitazionali, vicino al teletrasporto. – Qualche effetto? – chiese Veblen a Kirk.
– Non ancora – rispose il capitano. – Un momento... solo una traccia. – Allineo il raggio – disse Scott, cupo. – Ondeggia come un serpente. Il congegno dovrebbe materializzarsi... ora! – Arriva! – esclamò Kirk. – È intatto! – Lo riporto indietro – avvertì Scott. Quando la sonda fu rientrata, segnalò a Shallert di mettere in posizione le piattaforme sul disco di riferimento due. – Ora ci prepariamo a inviare le componenti – avvertì Veblen. Controllò il display del suo terminale portatile, collegato al computer di bordo: era in corso un'analisi dettagliata del comportamento irregolare del raggio, al fine di ottenere dati che confermassero ed espandessero il Modello C. – Qualunque cosa sia quella che sta manipolando il raggio, deve utilizzare un campo grande quanto il planetoide stesso – osservò Scott. Il display di Veblen indicava che il campo era molto più grande e arrivava a un diametro di forse centomila chilometri. La sua immagine in fase di costruzione mostrava una complessa struttura a svariati livelli e operante al tempo stesso nella geometria statica, nel subspazio e almeno in tre geodesici di spazio frazionato. Adesso i sensori dell'Enterprise, erano attenti a cogliere certi indizi e stavano penetrando nel cuore della Black Box, verso le triple stelle neonate. – Iniziamo il trasferimento – comunicò Scott – e sono lieto che quello che sto per smaterializzare non siano persone. – Comincia l'effetto – confermò Kirk. – Abbiamo due strutture in formazione... si consolidano. Arrivate, intatte! Scott troncò il raggio e stiracchiò le braccia per alleviare la tensione muscolare, poi gemette e rivolse un sorriso a Veblen. – È stato come pilotare una barca in mezzo a una tempesta – dichiarò. – Una tempesta molto interessante, anche – rispose Veblen. – Mi piacerebbe discuterne con il signor Spock, ma laggiù sembrano tutti decisi a parlare nella maniera più contorta e artefatta possibile. I sensori avevano rintracciato le origini del campo: avvolte in un intenso e oblungo sferoide di radiazioni Ybakra, le tre giovani stelle, che orbitavano una intorno all'altra, a distanze di centinaia di milioni di chilometri, ne erano esse stesse la fonte.
CAPITOLO XVII Kirk e Spock costruirono la gabbia anti-Ybakra all'interno del compartimento merci dello shuttle, senza fare commenti o fornire indizi sulle loro intenzioni che, in buona parte, erano sconosciute allo stesso Kirk. Quando ebbero finito, Chekov e McCoy, il russo con particolare attenzione, esaminarono il congegno: lo scudo era una scatola cubica di quasi due metri di lato, costituito da sottili tubi neri e munito di cubi rossi più piccoli, posti su ciascuno degli otto angoli. La Mason sedeva su una sedia pieghevole dalla parte opposta rispetto ai portelli di carico e osservava quell'attività con aria sconsolata, perché non si era mai sentita tanto inutile e fuori posto; era ovvio che si trovavano nei guai, ma lei non faceva parte della squadra e non le veniva confidato nulla né assegnato alcun compito. Era un bagaglio in eccesso. La Chapel le rivolse un sorriso rassicurante che, per quanto sincero, servì solo ad aumentare la sua infelicità. – Ora dobbiamo fare una prova – dichiarò Kirk – e ci serve qualcuno che stia dentro con un tricorder. Bones? – Non io. Sono superiore di grado a Chekov. Che vada dentro lui. Il guardiamarina impallidì e quando Spock gli porse il tricorder indietreggiò di un passo, sollevando le mani. – Non c'è pericolo – lo rassicurò Kirk, socchiudendo gli occhi. – Serve solo a proteggere gli ibernacoli. Non c'era via d'uscita, se non quella di fare una scenata, e per la prima volta Chekov comprese che l'alieno dentro di lui era incapace di controllare del tutto le cose. L'essere prese in considerazione la possibilità di scatenare una lotta nella cupola, ma poi decise che il rischio era troppo scarso per agitarsi e costrinse Chekov a sorridere. Il guardiamarina accettò il tricorder ed entrò nella gabbia. – Accensione – ordinò Kirk, e Spock azionò un interruttore posto su uno dei cubi superiori: non vi fu alcun suono o qualsiasi altro effetto, ma il cubo venne escluso da ogni effetto delle radiazioni Ybakra. Chekov crollò al suolo e McCoy accennò d'istinto a entrare nella gabbia, ma Kirk lo trattenne. – Jim, è... – Aspettate un momento, un momento solo – rispose il capitano. – Spock? – Ritengo che la mia ipotesi fosse corretta, Jim. Le radiazioni Ybakra sono il vettore dei messaggi di controllo. Chekov non era in sé nelle ultime
ore. – Il vulcaniano oltrepassò lo scudo e s'inginocchiò accanto al russo. Le palpebre di Chekov tremolarono e si sollevarono, poi lui fissò Spock con una beata espressione di sollievo. – Signor Spock... orribile... così tremendo e orribile... Il primo ufficiale fece cenno a McCoy di raggiungerli; il dottore passò il tricorder sul corpo del guardiamarina e lo dichiarò in buone condizioni, solamente esausto per una tremenda tensione nervosa. – Ho lottato – mormorò Chekov. – Lottato contro cosa? – domandò Kirk. – Contro quello che mi controllava, che mi costringeva... ho sabotato, lui ha sabotato lo shuttle... – Lo sappiamo – ammise Kirk. – Spock aveva lasciato in funzione le telecamere di sicurezza e siete stato colto sul fatto. Che cosa avete provato? Cos'è questa entità? – Non lo so. È decisa, molto grande e furente, in cerca di qualcosa. Non lo so. – Chiuse gli occhi. – Dovrebbe essere in infermeria – disse McCoy. – Non può essere rimosso dall'interno dello schermo altrimenti ricadrebbe sotto il controllo dell'alieno – avvertì Spock. – Quando è stato catturato? – chiese Kirk. – Ritengo di aver avvertito la presenza di questa entità appena prima di crollare, dopo il trasferimento – spiegò Spock – quindi suppongo che essa abbia assunto il controllo del signor Chekov mentre lui era nel raggio del trasferitore. Questo spiegherebbe il ritardo con cui si è materializzato sull'Enterprise. – Ma allora perché non ci ha controllati tutti? – insistette Kirk. Lanciò una rapida occhiata alla Mason e lei si raddrizzò sul sedile, in procinto di protestare, ma Spock la prevenne. – Forse si stava sintonizzando agli umani. Fino a oggi ha controllato solo vulcaniani e, per quanto l'idea non mi piaccia, questo può riuscirgli più facile che controllare gli umani... anche se non so perché io sia stato risparmiato. – Indubbiamente per il vostro sangue umano – ribatté McCoy. – Questo significa che tutti gli occupanti della stazione sono posseduti? – Iniettò una corroborante soluzione nutritiva nel braccio di Chekov e si alzò in piedi. – È quello che dobbiamo presumere – affermò Kirk – anche se rimane ancora da scoprire da chi o da che cosa, e per quale scopo. – Sappiamo qualcosa sul tipo d'influenza esercitato – spiegò Spock. – Si
serve delle radiazioni Ybakra, che noi abbiamo sempre ritenuto avere un effetto trascurabile sul sistema nervoso umano e un effetto minimo su quello vulcaniano, a meno che, ovviamente, l'elevata esposizione non avvenga in stato d'ibernazione. A quanto pare, l'effetto può essere più grave. Ho già avvertito il signor Veblen che le probabilità di validità del Modello C sono aumentate. – Cosa diavolo è questo "Modello C? – volle sapere McCoy. – Gli algoritmi stocastici del signor Veblen hanno prodotto alcuni modelli assurdi che in origine avevamo scartato, e il Modello C supponeva che gli abitanti della stazione fossero sotto il controllo di un agente esterno. L'algoritmo è tornato a quel modello quando abbiamo inserito le notizie relative alle radiazioni Ybakra e al comportamento del personale della stazione. Ritengo che ora tale modello sia stato confermato. – Perlomeno, la nave è avvertita che sta succedendo qualcosa – commentò Kirk. – Possiamo correre il rischio di dire tutto quanto? – Può già essere troppo tardi per nascondere la scoperta fatta – annuì Spock. – Quel che dobbiamo fare è trarre vantaggio dalla confusione che la perdita dell'unico strumento umano può aver causato nell'entità. Dobbiamo portare qui uno dei vulcaniani, se necessario con la forza. Suggerirei T'Prylla. – Avete qualche metodo da proporre? – domandò il dottore. – La persuasione, se possibile. Se l'entità nutre ancora dei dubbi, ne dobbiamo approfittare. – In che modo vi posso aiutare? – chiese la Mason, ma Kirk scosse il capo. – Mantenendo la vostra obiettività – rispose in tono brusco. – Siete un'osservatrice. Dunque osservate. – Jim... – iniziò McCoy, ma il capitano agitò una mano. – Siamo in grossi guai, Bones. Farò le mie scuse più tardi. In orbita intorno al planetoide, l'Enterprise passò ancora una volta sulla stazione entro il limite di duecento chilometri. Radak apparve per brevi momenti in parecchie cabine e corridoi, li trovò occupati e alla fine si materializzò in uno stretto e deserto corridoio di servizio, sotto il computer di bordo, fra i ponti 8 e 9. I cavi di energia e le guide per i raggi ricoprivano con un fitto strato le pareti e il soffitto del corridoio dove non c'era gravità artificiale, per cui il ragazzo fluttuò per un momento nell'aria prima di decidere il da farsi.
Di colpo, come se gli fosse stato tranciato un dito di netto, Corona perse una delle sue estensioni: l'umano chiamato Chekov non era più sotto il suo controllo. Corona aveva concentrato troppa attenzione su Radak; ora le cose stavano precipitando sulla stazione, ma lui non poteva ancora ritirare il ragazzo dall'Enterprise, non quando gli si offriva una simile opportunità di apprendimento. Se c'era un modo per controllare la nave, questo avrebbe risolto i suoi problemi e gli avrebbe permesso di concludere il suo lavoro. Ma ora gli umani stavano avvicinando T'Prylla e lui sentiva che la femmina vulcaniana stava per tentare qualcosa. Radak era rimasto così a lungo sotto il controllo di Corona che questi poteva abbandonare il ragazzo a se stesso, per ore intere, perché eseguisse ordini già impartiti. In un certo senso, Radak, T'Raus e Corona si erano evoluti insieme e la loro correlazione si era consolidata nel tempo; senza i due giovani vulcaniani, Corona non avrebbe avuto alcuna sensazione di luogo e di tempo, almeno non nei termini di questi esseri organici. I due erano gli strumenti grazie ai quali l'entità poteva percepire quello che facevano gli altri vulcaniani e gli umani. Decise di lasciare Radak a bordo per espletare il suo incarico e riportò tutta la sua attenzione sulla stazione, ma non arrivò in tempo per impedire un ulteriore disastro. – Non c'è bisogno che io controlli il vostro lavoro – protestò T'Prylla, nel corridoio rashek. Kirk e Spock le camminavano accanto, seguiti da McCoy e dalla Mason. – Vogliamo dimostrarvi quanto saranno sicuri i dormienti nello shuttle – rispose Spock. – T'Kosa sarebbe più qualificata di me per stabilirlo. – T'Prylla guardò Spock che, per un brevissimo istante, scorse dietro quella maschera esteriore un bagliore di consapevolezza ribelle, una singola personalità; poi le labbra della donna si mossero, formulando la parola "costringetemi", in vulcaniano, senza emettere suoni. La maschera tornò a calare quasi subito. – Infermiera Chapel, prendetela per il braccio sinistro – ordinò Spock, e la Chapel serrò con forza le mani intorno al braccio della donna. – Dottore, voi il destro. Anche McCoy obbedì, e Spock allungò la mano verso il collo di T'Prylla, il cui corpo ebbe un sobbalzo improvviso che mandò McCoy e la Chapel a sbattere contro una parete. L'infermiera cadde all'indietro, stordita, e Kirk si affrettò a prenderne il posto; la Mason balzò di lato
mentre il registratore manovrava con abilità in modo da togliersi dalla mischia. Spock afferrò la spalla di T'Prylla e la strinse con forza ma, per quanto si contorcesse, il corpo della donna non crollò. McCoy estrasse la siringa ipodermica e tentò di premerla contro il braccio della vulcaniana, che si voltò di scatto, con il respiro affannoso e la faccia di un colore marrone. McCoy approfittò dell'occasione e riuscì a iniettarle il tranquillante, poi lui e Kirk lasciarono la presa, indietreggiando. T'Prylla si appoggiò alla parete, ansando, e tentò di rimanere eretta senza riuscirvi. Era terribile vederla lottare, specialmente per la Mason, a cui venne in mente un animale ferito che non volesse lasciarsi curare. Poi T'Prylla parve avvizzire: nove anni di controllo, quasi costante, da parte di Corona non poterono impedire che la droga facesse effetto. Il dottore e Spock l'afferrarono quando si accasciò. – E così, addio teoria della gentile persuasione – commentò McCoy, in tono ironico. – Dobbiamo portarla immediatamente nello shuttle – avvertì Spock; Kirk estrasse il faser, regolato per stordire, e con l'altra mano aprì il comunicatore. – Kirk a Enterprise. – Enterprise. Parla Uhura. – Allontanate la nave dall'orbita sincrona, subito. – Sì, signore. – E dite a Scott... Il comunicatore sfrigolò e Kirk tentò invano di regolarlo. – Interferenza – disse. Spinto dall'intuito, puntò il faser contro la parete e tentò di sparare, ma senza alcun effetto. – È davvero padrone dell'energia – commentò Spock, e Kirk ripose l'arma inutilizzabile e aiutò il vulcaniano e McCoy a sollevare l'esanime T'Prylla; la Mason offrì alla Chapel una spalla a cui appoggiarsi. Olaus aveva informato Scott che stavano ancora cercando l'intruso. Veblen giunse sul ponte con Shallert ed entrambi fissarono lo schermo di prua mentre i sensori interni della nave visualizzavano il settore non sorvegliato. – È nel corridoio di servizio, sotto il computer di bordo – spiegò Scott. – Lo riconoscete? – È quello che ho visto nella sala del teletrasporto – confermò Shallert. – Pensavo di essere impazzito... fino a ora. Com'è arrivato qui?
– Non lo so – rispose Scott. – Il signor Olaus e io non siamo sicuri di quello che dobbiamo fare. – Dite agli uomini della sicurezza di stargli alla larga – consigliò Veblen. Scott fissò l'ufficiale amministrativo con aria dubbiosa. – È in mezzo alle apparecchiature più delicate della nave. – Dovrebbero almeno rimanere nascosti. Lo stiamo controllando e lo possiamo fermare prima che faccia qualche disastro, se è qui per questo. Dobbiamo sapere di più su di lui, o su ciò che lo tiene sotto controllo. Su quello che vogliono fare. – Non posso accettare questo rischio – decise l'ingegnere capo. – Scott a squadra di sicurezza A. Entrate nel corridoio e tentate la cattura. Il corridoio di servizio formava un cerchio intorno e sopra il computer; Devereaux e i suoi uomini si tenevano premuti contro le piastre isolanti delle apparecchiature, appena oltre la curva rispetto al punto in cui fluttuava Radak. Ricevuto l'ordine, afferrarono le funi-guida e avanzarono rapidi e silenziosi. Radak sapeva che c'erano dei problemi sulla stazione, ma era stato temporaneamente abbandonato a se stesso; sapeva quello che stava cercando e cosa avrebbe dovuto fare quando lo avesse trovato... Corona poteva fidarsi di lui. Sbirciò oltre le guide per i raggi dei condotti per i dati centrali della nave, ancora inconsapevole che la squadra di sicurezza stava avanzando alle sue spalle. Quando giunse l'improvvisa comunicazione di Kirk, Scott eseguì immediatamente gli ordini: l'Enterprise accelerò e si spinse in un'orbita più elevata, manovrando fino a trovarsi di nuovo in orbita sincrona con la stazione, ora quattromila chilometri più in basso. L'intera azione richiese meno di cinque minuti, e in quel periodo... Radak si girò, fissò le guardie e tentò di rientrare alla stazione con il trasformatore, ma non poteva farlo da solo e Corona non era ancora, tornato. Le guardie fluttuarono verso di lui con i faser in pugno e il ragazzo non riuscì a disattivare le armi; indietreggiò, avvertendo la propria debolezza, poi si accorse che la nave si stava muovendo e che lui era troppo lontano dalla stazione per potervi rientrare con il trasformatore, anche se Corona fosse tornato. – Non sta facendo nulla – commentò Scott. – Forse lo teniamo – rispose Veblen. Devereaux avanzò fino a mettere il ragazzo con le spalle contro
l'estremità del corridoio. – Non ti faremo del male – disse. – Ma come diavolo sei arrivato fin qui? Per la prima volta in dieci anni, Radak si sentì del tutto disorientato: le sue istruzioni non spiegavano il comportamento da adottare in caso di cattura.
CAPITOLO XVIII Sistemarono T'Prylla nella gabbia, accanto a Chekov, e McCoy regolò diversamente la siringa ipodermica in modo da iniettare alla donna un antidoto al tranquillante. – Si riprenderà fra pochi minuti – annunciò – ma rimarrà debole per almeno un'ora. – Mi chiedo se un vulcaniano possa mai essere debole – commentò la Chapel, massaggiandosi la spalla. – Capitano, non credo che sia lei il centro dell'entità – intervenne Chekov. – Ritengo che si concentri nei ragazzi. T'Prylla aprì gli occhi e fissò con intensità Spock. – Nove anni, tre mesi, due giorni e dodici ore – disse. – Così a lungo siamo stati schiavi. La mia gratitudine, Spock. – Tentò di mettersi a sedere, ma le braccia cedettero sotto il suo peso e la Mason la sostenne per le spalle quando si accasciò all'indietro. – Ho parecchie domande da fare – avvertì Spock – e non c'è molto tempo per le risposte. – Allora le domande devono aspettare. Durante tutto questo tempo, ho studiato diversi modi per sopraffare Corona. – Corona? – ripeté Kirk. – Sì. Si manifesta come un'immensa corona di radiazioni Ybakra in emanazione dalle stelle neonate e ha uno scopo specifico, quello di creare un nuovo universo. Non gli dobbiamo permettere di riuscirvi. Radak è stato il primo a essere controllato, poi è toccato a T'Raus e, attraverso i bambini, l'entità ha esteso il suo controllo sul resto di noi. Devi stabilire un contatto mentale con Radak, in modo da comunicare direttamente con Corona e costringerlo ad ascoltare... altrimenti non capirà mai. – Come si costringe un'onnipotente intelligenza ostile ad ascoltare? – domandò McCoy. – Non è onnipotente e neppure ostile – lo corresse T'Prylla. – È solo
concentrato nel suo compito: è l'ultimo della sua razza e non ci saranno altri esseri simili a lui se non riuscirà nel suo intento. È molto debole, non è abituato al regno della materia ed è solo tramite noi che ne può manipolare piccole quantità. – Ma domina l'energia, lo spazio e il tempo – obiettò Spock. – Hai dedotto tanto? Non avremmo mai potuto progredire così nelle nostre ricerche senza il suo aiuto, eppure non posso dire che le nuove macchine appartengano a noi o realizzino i nostri intenti. Spock! Devi trovare Radak e impartirgli il ka-nifoor? – Cos'è? – chiese Kirk. – Era solo un bambino quando è stato messo sotto controllo – spiegò Spock. – Né lui né T'Raus sono stati sottoposti alla disciplina vulcaniana della maturità. Se riuscirò a impartire il ka-nifoor, è probabile che l'influenza dell'entità svanisca. – Ci controlla tutti attraverso loro – aggiunse T'Prylla. Spock assunse un'espressione preoccupata. – Allora, Spock? – lo incitò Kirk. – Sussiste anche la possibilità che l'essere riesca a occupare la mia mente – replicò il primo ufficiale. – Fino a ora gli ho resistito, anche se non so con certezza come... – È solo che non volete ammetterlo – interloquì McCoy. – Dottore, Chekov è completamente umano e l'essere ne ha assunto il controllo con la massima efficacia. – Nel raggio del teletrasportatore – specificò T'Prylla. – Ed è per questo che non lo useremo – dichiarò Kirk. Fuori dello shuttle echeggiò un suono acuto e sibilante, seguito da un secco e sonoro crepitio. – Che diavolo è stato? Wah Ching arrivò di corsa lungo il condotto, con il faser in pugno. – Capitano, sono tutti nella cupola-magazzino, tutti tranne il ragazzo... e stanno venendo da questa parte! – Fate rientrare Pauli nello shuttle – ordinò Kirk. – Spock, si torna indietro. – Sì, signore – rispose il primo ufficiale, accostandosi ai comandi. Adesso T'Prylla si era ripresa abbastanza da star seduta da sola e la Mason la lasciò andare, pulendosi istintivamente le mani sui pantaloni. Pauli rotolò all'interno nel momento stesso in cui il sigillo del condotto d'imbarco si staccava; lo shuttle venne invaso da un suono assordante mentre l'aria sfuggiva dalla spaccatura e la Mason urlava in silenzio,
premendosi le mani sulle orecchie e tenendo gli occhi serrati. Pauli rimbalzò contro una paratia e si protese per abbassare di scatto le leve del portello, poi l'aria entrò stridendo nella cabina e la Mason sentì che l'orribile senso di oppressione e di vuoto nei polmoni svaniva e il respiro tornava alla normalità. – Hanno cercato di ucciderci! – gridò Pauli con voce rauca, mentre i sostegni di atterraggio dello shuttle imprimevano una spinta che sollevò il velivolo di qualche metro dalla piattaforma di atterraggio. McCoy si affrettò a legare dei cavi per il carico attraverso la cabina, passandoli sopra Chekov e T'Prylla. – Assicuratevi ai sedili! – gridò alla Mason e alla Chapel. – E agganciate quella dannata macchina! – La giornalista tirò in avanti il registratore e lo sbatté contro un gancio magnetico, poi si legò, appena in tempo per evitare un scossone che sbatté il dottore dalla parte opposta dello scomparto per il carico. La gabbia antiYbakra scricchiolò in maniera sinistra. Kirk si puntellò aggrappandosi al sedile del navigatore. – Non ci lasceranno andare senza lottare. Spock faticava per controllare i comandi e le luci di segnalazione di un danno lampeggiavano sul pannello. – Non l'avevamo aggiustato? – gridò McCoy dalla cabina passeggeri, lasciandosi cadere su un sedile. Il comunicatore di Kirk trillò e lui l'aprì dopo essersi legato al posto del navigatore. – Qui Kirk. – Capitano! Sono ore che cerchiamo di contattarvi! – Scotty! Agganciate un raggio traente allo shuttle! Tirateci su! – Non possiamo, non in quest'angolazione, con il planetoide nel mezzo, capitano. Cosa succede? Kirk lanciò un'occhiata al primo ufficiale per incitarlo a dare una spiegazione. – I nostri motori vengono neutralizzati – dichiarò, cupo, Spock. – Non riusciremo a decollare. L'entità non vuole lasciare libera T'Prylla. – Scotty – intervenne Kirk. – Forse è un errore, ma ci potete intercettare con il teletrasportatore? – Sì, questo posso farlo, ma... – Rischiate, Scotty! Fate risalire a bordo tutti gli occupanti dello shuttle e anche lo schermo anti-Ybakra! – Kirk incontrò lo sguardo interrogativo di Spock e scrollò le spalle. – Non c'è altra soluzione, Spock... speriamo solo che l'attenzione di Corona non sia concentrata sul teletrasportatore.
Quando l'effetto ebbe inizio, la Mason si mise a pregare, con le mani strette intorno ai braccioli del sedile e con gli occhi chiusi. Dall'altra parte della cabina, McCoy emise una lunga e colorita sfilza d'imprecazioni. La navetta precipitò da una quota di duecento metri e si fracassò sulla grigia superficie del planetoide. – Li abbiamo – annunciò Shallert, dalla sala del teletrasporto. – Ma quella dannata cosa sta interferendo di nuovo. – Isolate ciascuna forma-memoria – ordinò cupamente Scott dal turboelevatore in cui si trovava con Veblen. – Sono isolate. Stanno accumulando ritardo... trenta secondi. – Triangolazione – disse Veblen. – Come sarebbe, signor Veblen? – domandò Scott, poi le porte del turboelevatore si aprirono e l'ingegnere capo balzò verso i comandi del trasferitore. Shallert si trasse in disparte e Scott prese a manovrare leve e pulsanti come se fossero stati i tasti di un piano; Veblen rimase in un angolo, osservando le deboli scintille sui dischi della piattaforma. – Ho già abbandonato la gabbia anti-radiazioni – spiegò Shallert – ma anche così... – Ne teniamo saldamente solo sette – gemette Scott, che sembrava sul punto di piangere. – Sto lottando per trattenerli!– Il trasferitore sibilava e scricchiolava, l'aria era satura di un odore elettrico e dolciastro, prodotto dagli spettri del teletrasportatore non materializzati, che fece scattare un ventilatore speciale. – Non puoi tenerli, dannazione a te! – urlò Scott, abbassando tutte le leve in una volta e inserendo l'energia d'emergenza. Il pavimento della sala del teletrasporto vibrò e uno dei dischi non assegnati si mise a fumare. A uno a uno, quelli assegnati mostrarono il concretizzarsi dell'effetto teletrasporto, finché sette di essi risultarono occupati. Gli ultimi due mostravano nitide strisce di luce bianca che significavano segnali perduti; ancor prima che gli effetti si fossero materializzati, Scott invertì la direzione dei due passeggeri perduti. – Li sto rimandando sulla stazione – spiegò. – Non possono rientrare nello shuttle. Li sto rimandando indietro e che Dio li aiuti ad arrivarci interi! Corona rinunciò al tentativo di controllare tutte le forme-memoria nel raggio trasferitore: il compito era superiore alle sue forze senza l'aiuto di Radak e di T'Prylla, due perdite che Corona avvertiva in maniera acuta.
Pur sapendo che la vulcaniana era una delle persone racchiuse nel raggio, i suoi dati erano confusi con quelli della forma-memoria della gabbia e non li poteva separare in così breve tempo. Quando poi la gabbia venne esclusa, l'entità si era già concentrata su altri due occupanti il raggio, separandoli; l'ufficiale scientifico per metà vulcaniano, Spock, e la sola altra femmina del gruppo, la Mason, cominciarono a materializzarsi nella cupola-magazzino dove Scott li aveva rimandati. Corona s'immerse nella forma-memoria di Spock ed esultò. Kirk, McCoy, la Chapel, T'Prylla, Chekov e le due guardie giacevano, completamente materializzati, sulla piattaforma del teletrasporto. Kirk si sollevò sulle ginocchia e guardò verso gli altri dischi. – Spock? La ragazza? Dove sono? L'espressione di Scott era piena di rammarico. – Non ho potuto tenerli, capitano. C'era troppa interferenza. Kirk sussultò e per un momento si strinse la testa fra le mani, ma poi sollevò subito lo sguardo, chiedendo dove fosse la gabbia. – Scaricata dal raggio – spiegò Shallert. – Ce ne serve un'altra, grande, e anche qualche schermo portatile. – Kirk si alzò in piedi e rimase vicino a Chekov e a T'Prylla, distesi su dischi adiacenti, scrutandoli con sospetto. McCoy aiutò la vulcaniana a rialzarsi mentre il capitano e Shallert pensavano al guardiamarina e alle due guardie. – Portate delle barelle – ordinò McCoy, guardandosi intorno alla ricerca di qualcuno che gli obbedisse e soffermandosi su Veblen. – E preparate l'infermeria. – Il tenente annuì e si accostò all'intercom per riferire gli ordini. Kirk rimase immobile per un momento, aprendo e serrando impotente le mani, poi scattò con gambe tremanti verso il turboelevatore, seguito da Veblen che si protese a sorreggerlo quando il capitano barcollò. – Ponte – ordinò Kirk, e le porte si chiusero. – Capitano, abbiamo catturato il ragazzo vulcaniano, Radak. In qualche modo è arrivato sull'Enterprise: lo abbiamo trovato nel corridoio di servizio, sotto il centro computer. Quanto agli schermi Ybakra, il ragazzo è ora in uno di essi; abbiamo schermato tutta una cella. – Allora teniamo due delle estensioni principali di Corona – commentò Kirk. – E Radak è quello con cui T'Prylla voleva che Spock entrasse in contatto mentale. – Scosse energicamente il capo. – Forse siamo in guai
peggiori di quanto credevamo, signor Veblen. Laggiù, T'Prylla ha detto qualcosa che mi spaventa, specie dopo quel che abbiamo visto. – Capitano, mi servono tutte le informazioni possibili da inserire negli algoritmi. Kirk lanciò a Veblen un'occhiata in tralice e fu sul punto di mandare al diavolo l'addetto ai computer e l'algoritmo, ma poi controllò la rabbia e la preoccupazione e annuì. – Sul ponte – disse – registrerò tutto il possibile sul diario di bordo mentre decidiamo sul da farsi. Spock rotolò sulla schiena, con gli occhi serrati. La Mason si era materializzata in piedi e ora si guardò intorno senza capire cosa fosse accaduto: dov'era la sala del trasferitore? Dov'era l'Enterprise? Si trovava nella cupola-magazzino, che era vuota. Poi scorse Spock, che si dibatteva e gemeva ai suoi piedi. Oh, mio Dio, si disse. Adesso era il momento di farsi prendere dal panico: era sola sulla stazione, sola con i vulcaniani... Spock controllò le proprie convulsioni e aprì gli occhi; si mise in ginocchio e scosse il capo, poi puntellò una mano sul pavimento e si alzò in piedi. Appariva intontito e angosciato, faceva fatica a muovere le labbra e quasi subito richiuse gli occhi. – Ho bisogno di aiuto – disse. La Mason indietreggiò, serrandosi le mani intorno alla gola. – Sto per essere controllato da Corona – aggiunse Spock. – Mi rimangono solo pochi minuti di resistenza. Mi dovete... aiutare... – Per favore... – Lo sento nella mia mente. Percepisco i suoi pensieri. Non sa ascoltare, non ci rispetta, siamo qui solo per essere usati. E sta per distruggere... tutto. – Gli occhi del vulcaniano si dilatarono. Ha paura, comprese la Mason. Ha visto qualcosa che lo terrorizza! Ogni riserva di pragmatismo e di energia che ancora rimaneva in lei evaporò e la donna tornò a essere una ragazzina che ascoltava storie terribili di incredibili mostruosità di altri mondi, di orrori alieni, di demoni inumani mai visti. In piedi davanti a lei c'era la prova vivente di tutte quelle storie, un alieno strano e ripugnante che era sotto il controllo di un demone. I narratori di storie su Yalbo avevano detto la verità! – Non riesco a resistere, devo entrare in uno stato di trance. Ma non posso farlo... – L'espressione di Spock era supplichevole. – Dovete prendere una parte di me dentro di voi. – Si contorse per la sofferenza, con
le braccia protese nell'aria, urlando una sfilza di parole vulcaniane. La ragazza indietreggiò di altri due passi, inorridita e affascinata. – Devo trasmettere il rituale. Lui non è consapevole... è cieco dentro di me finché resisto... posso trasmettere tutto a voi, darvi le istruzioni, una parte temporanea della mia mente... – NO! – Ma la ragazza non indietreggiò più. Spock rabbrividì e parve raccogliersi su se stesso. – Sono consapevole dei vostri pregiudizi, della vostra paura, ma li dovete superare. La vostra vita, la vostra esistenza, forse l'esistenza dell'universo stesso, sono in gioco. Noi non siamo nemici. Mi serve il vostro coraggio! – Protese entrambe le mani verso di lei. D'accordo, disse una voce distaccata dalla repulsione e dall'orrore, nella mente della ragazza.. È il momento di smetterla con le fesserie e di darsi da fare, non credi? Puoi vivere il resto della tua vita, per quanto breve possa essere, slittando e scivolando su tutto il fango che i tuoi amici di Yalbo hanno accumulato per te, oppure puoi sollevarti al di sopra di esso. Puoi aiutare il cattivo vulcaniano alieno che hai imparato a conoscere e a rispettare sotto il tuo stupido bigottismo, oppure puoi lasciare che vada tutto al diavolo. È la tua unica occasione, Ragazza di Piccolo Pianeta! Avanzò di un passo, con lo stomaco contratto: tutto sembrava deforme e strano. Afferrò le mani calde e asciutte di Spock e se le guidò alle proprie tempie; lui ne fece scivolare una più in basso, fino alla base del collo, poi disse qualcosa in vulcaniano e nel cervello di Rowena vi fu il fuoco... un fuoco che incideva lettere microscopiche su ogni centimetro disponibile di oscurità. E d'un tratto la giornalista comprese le parole vulcaniane. – Tu hai il coraggio e la grazia di un ahkor – aveva detto Spock, e tramite lui la Mason ricordò l'uccello più bello, grande e splendente che avesse mai visto, con le piume color rame, oro e cromo e gli occhi rossi come il sole, che volava sulle sabbie e sulle rocce aspre e fumanti di Vulcano. Parte del vulcaniano era dentro di lei. Spock giaceva ora inerte a terra, con il viso atteggiato a un'espressione serena: era in trance e Corona non poteva servirsene. Insieme a quello di Spock, Rowena avvertì dentro di sé un altro tocco, debole ma comunque presente. Corona, o una parte di esso, aveva effettuato a sua volta la trasmissione: ora lei non era più una sola entità ma tre.
CAPITOLO XIX La guardia annullò il campo di forza della prigione e Kirk entrò nella cella dove T'Prylla sedeva, in un angolo, con Radak, su mobilio trasportato là dalla sala ricreativa. Chekov, che occupava l'angolo opposto, era ancora intento a registrare il suo rapporto sul diario di bordo portatile, e una tenda improvvisata divideva diagonalmente il locale in modo da garantire un minimo d'intimità. Non era comunque una sistemazione particolarmente comoda e Kirk si sentì in dovere di scusarsi. – Comprendiamo perfettamente – rispose T'Prylla, poi sfiorò la spalla del figlio. – Mi avete restituito Radak, e per il momento è un lusso più che sufficiente. Cos'è successo sulla stazione? – Spock e la Mason non sono riusciti a rientrare con noi. Presumiamo che si trovino nella cupola-magazzino, ma non lo sappiamo con certezza. Corona blocca tutte le trasmissioni e le letture dei sensori. – Il capitano era pallido e aveva la faccia incisa da rughe di preoccupazione; e non si era neppure cambiato l'uniforme, dopo la loro fuga riuscita a stento. – Corriamo tutti un enorme pericolo – dichiarò T'Prylla con calma, poi guardò Radak. – Conosco a grandi linee i piani di Corona, ma mio figlio è molto più informato di me. Tuttavia, non vuole dire nulla. – Il ragazzo osservò Kirk con gelido disprezzo. – Sembra che Corona gli abbia concesso una certa autonomia e lui sta aspettando di ristabilire il contatto. È tutto ciò che ha conosciuto per dieci anni. – Due cose mi preoccupano – replicò Kirk. – In maniera più immediata, la sorte della Mason e di Spock; poi questo tentativo da parte di Corona di creare un nuovo universo. L'idea non mi piace affatto. – Neppure a me, capitano – convenne la vulcaniana. – Suppongo che Corona intenda ricreare le condizioni che più gli sono familiari. – E quali sarebbero? – Corona è un esule, capitano, e una specie di scienziato. Il suo mondo ha cessato di esistere quindici miliardi di anni fa, quando ha dato vita al nostro. Era bello e comodo essere coraggiosa, in teoria; Rowena era sempre stata un'impulsiva, ma c'erano zone della sua mente che non erano nobili e adattabili quanto il suo io cosciente e che ora stavano contorcendo e annodando i suoi pensieri. La voce di Spock risuonò dentro di lei, tentando
di rassicurarla. Non abbiate paura. Posseggo cognizioni prelevate da Corona, rubate, se volete. È questo che sentite." (Confusione e panico.) Siete nella mia mente! "Voi conservate il controllo. Io sono solo un agglomerato di cognizioni, non Spock: posso solo suggerire e rispondere alle domande. Sono come i monitor dell'Enterprise, tranne che non posso neppure vietare le vostre azioni. Spock è in trance e io sono solo una sezione, una parte molto piccola, di lui entrata in voi." La Mason rimase ferma, barcollando e sentendosi peggio di come si sarebbe sentita se avesse scoperto delle larve che le fuoriuscivano dalla pelle. Quanta parte della sua memoria gli era accessibile, dettagli della sua vita, momenti intimi e momenti d'imbarazzo o di vergogna? "Cosa sapete di me?" "Nulla. Non è importante che io sappia. Ma dobbiamo fare molte cose..." "Io... non... credo... di poter... sopportare... questo..." "C'è pochissimo tempo. Grake, T'Raus e gli altri torneranno presto e dobbiamo essere preparati. Siete temporaneamente al sicuro dall'intrusione di Corona: adesso non vi può controllare e non tenterà neppure. Ecco la prima cosa che dobbiamo fare." "Vulcaniano! Esci dalla mia mente!" Di colpo, non ci fu più nulla, solo lei stessa e il silenzio. Non avvertiva più neppure quel filamento, del tutto sconosciuto, che era stato la traccia di Corona presente in lei. Udì dei passi dall'altra parte della cupola, poi T'Raus e T'Kosa le si materializzarono accanto e Grake e Anauk entrarono dal portello. La ragazza fece scorrere lo sguardo dall'una all'altra delle due vulcaniane, serrando i muscoli della mascella per soffocare un urlo; alcuni gemiti le salirono alla gola e lei affondò le dita nel tessuto dei pantaloni e nella carne sottostante. Grake e Anauk sollevarono il corpo inerte di Spock e lo trasportarono fuori, poi T'Raus sfiorò il gomito della Mason. – Vieni con noi – disse. La giornalista non si mosse. – Non intendiamo farti del male. Con uno sforzo spinse avanti un piede, ma qualcosa stava insorgendo dietro la paura, qualcosa di più irrazionale e cocciuto; cos'avrebbero pensato di lei quei vulcaniani se avesse agito da vigliacca?
T'Kosa la prese per un braccio ma lei si scrollò la mano di dosso. – Lasciami stare! – ringhiò. – Non puoi rimanere qui – spiegò T'Kosa, con calma. – Il sigillo d'emergenza del condotto d'imbarco è difettoso e l'aria sta sfuggendo. Dobbiamo sigillare questa cupola. – Rowena si voltò a guardare l'accesso al condotto d'attracco: in un angolo, c'era una fessura orlata di bianco e il sibilo era piuttosto forte. Poi la voce di Spock tornò a farsi sentire, gentile e per nulla invadente. "Dovete toccare T'Raus. Deve ricevere la disciplina del ka-nifoor." "D'accordo, d'accordo!" rispose la Mason. "D'accordo!" T'Prylla prese Radak per le spalle e lo sollevò in piedi. La donna non era né rude né gentile: trattava il figlio recalcitrante nel modo più efficace possibile, e Radak non oppose resistenza. Lei gli disse qualcosa in vulcaniano, ma il ragazzo non rispose. McCoy entrò nella cella e iniziò a parlare, ma Kirk sollevò una mano per bloccarlo mentre T'Prylla faceva avanzare il ragazzo e gli appoggiava una mano appena sotto l'orecchio sinistro. – Grake avrebbe dovuto impartire il ka-nifoor a nostro figlio quando ha compiuto dodici anni – spiegò la donna, in inglese della Federazione – ma non ha potuto farlo. Adesso non è qui, e neppure Spock, quindi dovrò procedere di persona al rituale. È un po' irregolare, ma ci sono dei precedenti. – Non aveva distolto lo sguardo dalla faccia di Radak. – Pstha na sochya olojhica, sfisth inoor Gracka? – chiese. – Non stai forse tu, sangue del mio sangue, cercando la pace della maturità? Radak tentò di girare la testa da un lato, ma lei gli afferrò il mento con l'altra mano e lo trattenne con fermezza. A parte questo, il ragazzo non oppose resistenza. – In ere lontane, i Vulcaniani recavano il marchio del calore, la cicatrice della sabbia rovente e del sole ardente. Il terreno si spalancò per divorarci, il vento danzò sui nostri raccolti e spianò le nostre città. Piangemmo nel dolore e lottammo. Rapida come un serpente, la Mason colpì T'Kosa fra le spalle con le nocche, secondo le istruzioni interiori di Spock. T'Kosa cadde a terra con la massima violenza permessa dalla gravità del planetoide; la Mason ruotò sulle punte dei piedi e sferrò un uguale colpo a T'Raus, che non era molto più preparata della compagna a incassarlo. Si chinò quindi sulla ragazzina
e le collocò la mano sotto l'orecchio sinistro. T'Raus era cosciente, ma in preda a una paralisi temporanea. La Mason cominciò inaspettatamente a parlare in vulcaniano. – Pstha na sochya olojhica, sfisth noor numkwa Gracka? – Ascoltò affascinata la propria voce e T'Raus sgranò gli occhi. La giornalista si chiese se la ragazzina sarebbe improvvisamente scomparsa; dal corridoio, più avanti, giungeva fino a lei un rumore di lotta. – Nessuno del tuo sangue te la può donare, ma sei pronta a ricevere la pace della maturità? "Questa domanda" spiegò Spock "non può essere ignorata da nessun vulcaniano che parli la nostra lingua. È il segnale che attiva anni di addestramento, iniziato subito dopo la nascita." La Mason intonò altre parole nella lingua aliena. – In ere lontane, i Vulcaniani recavano il marchio del calore, la cicatrice della sabbia rovente e del sole ardente. Il terreno si spalancò per divorarci... Ci volle meno di un minuto. La resistenza opposta da Radak parve dissolversi a mano a mano che sua madre procedeva con il rituale. Per un momento, Kirk ebbe la sensazione che il ragazzo stesse per piangere o gridare d'angoscia, ma T'Prylla continuò, invocando tutte le reazioni radicate, costruite dall'educazione vulcaniana, eliminando con il tacito consenso del figlio, le ultime vestigia di atteggiamenti infantili. Quando ebbe finito, lasciò andare Radak: il ragazzo mosse un passo indietro, barcollando, poi si accasciò sulla sua sedia, massaggiandosi le tempie. – Tutto quello che ha permesso a Corona di entrare in te con tanta facilità ora è svanito – dichiarò T'Prylla. – C'è pochissimo tempo. Cosa progetta di fare Corona e come lo possiamo fermare? Kirk segnalò a McCoy di azionare il traduttore-registratore. Adesso gli occhi di Radak erano quelli di un vulcaniano molto giovane, ma con qualcosa in più: l'esperienza di dieci anni di presenza di Corona. Per un momento, il ragazzo parve confuso, ma quando T'Prylla sedette di fronte a lui, cominciò a parlare con esitazione. Si esprimeva nella sua lingua, ma senza usare una terminologia infantile e a Kirk parve che parlasse in modo molto simile a Spock anche se, di tanto in tanto, incespicava e aggrottava la fronte per la difficoltà di spiegare alcuni concetti. – L'universo di Corona era un equilibrio termico quasi perfetto – cominciò Radak – e, sotto questo aspetto, molto simile all'interno di una
stella. Tutto era luce ed energia, estremamente condensate, e il tempo non era come lo conosciamo oggi. Corona dispone di un modo per rendere questa galassia, e forse l'intero universo, qual era in passato, alterando la geometria locale. Vuole comprimere tutta la materia fino a farla tornare allo stato di energia e ricreare il monoblocco, la sfera di fuoco delle origini. Allora la sua specie potrà tornare a esistere e l'universo diventerà un luogo di vita e di attività piuttosto che rimanere il vuoto inerte della fredda materia e delle radiazioni allungate. – Di cosa sta parlando? – chiese McCoy, in tono sommesso. Ci volle un momento perché Kirk afferrasse in pieno il senso di quel discorso. – Sta descrivendo la creazione – spiegò. – Corona vuole rendere il nostro universo com'era nei primi istanti della creazione. – Ma cosa significa "vuoto inerte"? Radak li sentì e si rivolse ai due umani. – Nei primi tre minuti della creazione, ci sono stati più eventi, più complessità che in tutti i quindici miliardi di anni successivi. Corona era una creatura di quel tempo e, per quelli della sua specie, i primi tre minuti parvero un'eternità. Ma poi quell'eternità finì e dovettero lottare per sopravvivere. La sfera di fuoco si raffreddò nell'espandersi, le particelle cominciarono a formare gli atomi e la razza di Corona si estinse. Lui solo sopravvisse, perché aveva scoperto un modo per tornare a esistere con un effetto "eco" dovunque ci fossero condizioni favorevoli. Nei primi miliardi di anni dopo la creazione, le apparizioni di Corona furono frequenti perché la temperatura dell'universo era molto più elevata di adesso e le galassie erano in formazione. Riuscì così a eseguire molti esperimenti, alcuni dei quali richiesero milioni di anni, ma senza successo. "Quando le galassie ebbero preso forma e l'universo si fu raffreddato, le apparizioni di Corona si diradarono. Là dove le anomalie di massa del subspazio disturbavano la creazione di giovani stelle, lui poteva riprendere gli esperimenti, ma solo quando ha localizzato la nostra stazione ha trovato un modo per lavorare in maniera affidabile con la materia stessa. Tramite noi, ha costruito delle macchine per alterare la struttura spazio-temporale e per espandere al macromatico le qualità del micromatico." – Cosa ne sarà di noi se ci riuscirà? – domandò McCoy. – Noi siamo prodotti dell'"universo morto" – rispose T'Prylla. – Siamo come germi in un cadavere: se il cadavere torna in vita, i germi vengono distrutti. Non possiamo sopravvivere nel mondo di Corona. Gli esperimenti falliti nel lontano passato, e che Corona ha seguito con
l'Occhio Stellare, hanno comportato la distruzione di intere giovani galassie e i loro risultati ci sono molto familiari, anche se ancora misteriosi. Noi li chiamiamo quasar. La Mason non sapeva con esattezza cos'avesse fatto, ma si trovò seduta su T'Raus, che non opponeva più resistenza. T'Kosa era ferma da un lato come un burattino e i rumori della lotta fra Spock, Anauk e Grake erano cessati. La giornalista si alzò in piedi, incerta sul da farsi. "Il rituale è finito. Ora T'Raus deve scegliere, Corona non le può più imporre la sua volontà." Spock venne avanti lungo il corridoio; aveva la faccia ammaccata e un taglio sull'occhio destro ma, a parte questo, era illeso. Non appena la Mason lo vide, la parte del vulcaniano che era in lei si squagliò come un fiocco di neve sulla punta di un dito. – Avete impartito il ka-nifoor? – chiese, chinandosi su T'Raus. – Lo avete fatto voi – rispose Spock, e sfiorò il viso della ragazzina, che si girò verso di lui. – Corona è dentro di te? – domandò il primo ufficiale, e T'Raus scosse il capo. – È stata una brutta esperienza – disse, – Ha intrappolato mia madre e mio padre. – Toccò la mano di Spock, che annuì per indicare di aver compreso. – T'Raus è di nuovo una giovane vulcaniana – spiegò alla Mason. – Non ha esperienza, anche se ora è matura. Corona si dev'essere concentrato su Radak, operando prima attraverso lui e poi attraverso la sorella, i genitori, Anauk e T'Kosa. – Aiutò T'Raus ad alzarsi. – Il capitano dovrà prendere una decisione. Bisogna comunicare al più presto con lui, altrimenti potremmo non sopravvivere. La Mason si sentì invadere da un'apatica insensibilità. – Perché? – chiese. – Adesso Corona non comanda più. – E d'un tratto comprese il perché. La parte "rubata" dell'entità era ancora dentro di lei e le fu chiaro quello che essa voleva fare subito dopo averlo chiesto. La donna non sapeva se essere più sbalordita o inorridita. – Il processo ha già avuto inizio – disse Spock. – Presto le macchine nella cupola di ricerca cominceranno ad alterare la struttura locale del nostro universo. Dobbiamo trovare un modo per fermarle e per comunicare con l'Enterprise, prima che Kirk sia costretto a distruggere le macchine, la stazione e forse anche tutto il planetoide.
CAPITOLO XX Kirk occupò la poltrona di comando e ordinò a Sulu di modificare la rotta dell'Enterprise. – Tenere pronti i faser alla massima potenza. Caricare siluri fotonici. Uhura tentò più volte di contattare la stazione ma non ricevette risposta e fu costretta a scuotere il capo quando Kirk la guardò con aria speranzosa. Veblen e McCoy arrivarono sul ponte, e il tenente, senza una parola, si accostò alla postazione del computer. Controllò i monitor e li trovò vigili: Kirk vi aveva già inserito le informazioni date da Radak. Quanto a McCoy, si arrestò accanto alla ringhiera, sapendo che non era il momento di parlare e conoscendo la decisione che Kirk doveva prendere. Il capitano si protese in avanti, osservando le immagini sullo schermo di prua. Il planetoide ruotava lentamente sotto di loro, un inerte agglomerato grigio di rocce. – Massimo ingrandimento sulla stazione – ordinò. L'immagine si alterò più volte in rapida successione e i sensori dell'Enterprise tennero sotto controllo la stazione su frequenze multiple, mostrando luci visibili che evidenziarono in modo nitido le due cupole, quella di ricerca e il magazzino. Si potevano distinguere perfino i rottami della Galileo II sulla piattaforma di atterraggio. – Signor Veblen, ci sono corpi nello shuttle? Il tenente accostò la sedia alla postazione scientifica e inserì alcune domande nei computer che interpretavano i dati dei sensori. – No, signore – rispose. – Quanta gente c'è nella stazione? – Non possiamo sondare l'interno, signore. Troppa interferenza. – Qualche idea su cosa stia accadendo nella cupola di ricerca? – chiese ancora Kirk, pur sapendo che era una domanda inutile. – No, signore – replicò Veblen. Il capitano tamburellò con le dita sul bracciolo della poltrona. – Tenente Uhura, mantenete aperti i canali su tutte le frequenze che Spock potrebbe usare per contattarci. Signor Veblen, che possiamo fare riguardo a Corona? Il tenente scosse il capo con una smorfia. – Le sue uniche manifestazioni sono il campo di radiazioni e la sua estensione intorno al planetoide, capitano. Non possiamo sperare di schermare un'area neppure lontanamente pari a quella necessaria per troncare il suo contatto con la
stazione. – E se applicassimo i siluri fotonici lungo tutta l'estensione del campo? – Non avrebbero efficacia, signore. I siluri fotonici non sono distruttivi al livello degli spazi frazionati. – Allora che diavolo possiamo fare? Veblen non rispose a quella che era, ovviamente, una domanda retorica. Comunque, i monitor sapevano cosa si doveva fare. Kirk riprese a tamburellare. Non poteva credere che Spock fosse morto e in qualche modo avvertiva ancora la presenza rassicurante del vulcaniano: era certo che fosse vivo e che stesse facendo tutto il possibile dalla stazione, ma Corona non permetteva loro di comunicare. Comunicazione, questo era ciò che serviva, e non solo fra l'Enterprise e la stazione. Dovevano trovare un modo per contattare ancora Corona. – Liberate T'Prylla e Radak e accompagnateli sul ponte, Devereaux. – ordinò. – Sotto sorveglianza. – Senza schermo anti-Ybakra, signore? – Senza schermo. La guardia di sicurezza, che si trovava nella consueta postazione a destra del turboelevatore annuì e lasciò il ponte. Corona si sentiva cieco e sordo. Dopo aver sperimentato il contatto con intelligenze materiali e aver vissuto tanti anni nella loro scala temporale, osservando grazie ai loro sensi, gli ci volle un po' per assuefarsi. Poteva ancora controllare il funzionamento delle macchine ma non aveva previsto la perdita delle sue estensioni vulcaniane e non poteva quindi modificare subito quello che i macchinari stavano facendo. Questo non disturbava Corona. Le apparecchiature procedevano senza intoppi, espandendo lo spazio, simile a schiuma, delle fondamenta estreme di questo universo morto. Ebbe l'impressione di esistere fra le ossa del suo antico universo, scorgendo accenni di un lontano passato, ma nulla di più. Sarebbe stato lieto di far collassare ogni cosa attraverso gli effetti cavitazione e le singolarità che le macchine avrebbero presto creato; avrebbe provato una specie di gioia nell'assistere all'improvviso contrarsi della galassia, dal punto di vista della consapevolezza spazio-frazionale di Corona. E se le macchine fossero riuscite a creare una singolarità autorigenerante, intessuta attraverso tutte le dimensioni e subdimensioni, Corona avrebbe accettato con gioia la propria distruzione. Ci sarebbe
sempre stata la soddisfazione finale di sapere che l'universo era stato ringiovanito. E tuttavia, c'era una sfumatura di rincrescimento. Per quanto strane, le intelligenze materiali si erano rivelate molto interessanti. Corona non si sarebbe mai aspettato di trovare creature così complesse fra le ossa del vecchio universo e, anche se gli era impossibile considerarle con lo stesso rispetto e lo stesso affetto che avrebbe provato per esseri della sua specie, ne riconosceva almeno l'utilità. Ed esse avevano mostrato di possedere una notevole elasticità nel combattere contro di lui, fino a sottrarsi al suo controllo: anche questo era interessante. Ma le creature di materia non sarebbero sopravvissute se Corona fosse riuscito nel suo intento: nulla di remotamente simile a esse avrebbe continuato a esistere. Con esitazione, quasi con nostalgia, Corona protese i filamenti di radiazioni per vedere se poteva toccare di nuovo qualcuno dei vulcaniani o degli umani e, con sua sorpresa, trovò Radak e T'Raus ad attenderlo. Intuì la presenza di una trappola, ma non riuscì a immaginare nessun modo in cui quelle intelligenze materiali potessero danneggiarlo: nella loro scala temporale, avevano a disposizione solo pochi minuti prima che le macchine completassero la loro opera. – Corona è qui – annunciò Radak, e guardò verso T'Prylla perché lo guidasse. – Permettigli di parlare, ma non lasciare che ti controlli. Ora gli puoi resistere senza difficoltà. – Benvenuto – disse il ragazzo. Corona non replicò e guardò invece, attraverso gli occhi di Radak, il ponte dell'Enterprise, l'umano chiamato Kirk e i suoi compagni. Simultaneamente, contattò anche T'Raus, sul planetoide, ma neppure lei poteva più essere controllata. Per Corona, la conversazione era solo una forma di divertimento da protrarre fino a quando la trasformazione finale non fosse iniziata. – Madre – dichiarò Radak. – Posso percepire T'Raus. Corona ci collega. – Chi c'è con loro? – chiese Kirk. – I nostri colleghi, il vostro ufficiale scientifico e la donna umana chiamata Mason. – Devo parlare con Corona – disse Kirk – e sapere cosa sta accadendo sul planetoide. Radak protese la mano fino a toccare la madre e T'Prylla percepì ancora
la presenza di Corona e si preparò a resistere all'ondata di emozioni indesiderate, paura, risentimento, odio, che però non venne: Corona era rilassato e non chiedeva nulla. Per suo tramite, la donna raggiunse poi T'Raus e vide attraverso i suoi occhi. – Sono T'Raus – disse T'Prylla. – Spock! – esclamò Kirk. – Devo parlare con il mio ufficiale scientifico. Corona deve smettere d'interferire nelle nostre comunicazioni. Radak parlò in modo lento e preciso, con la voce di Corona. – Non interferisco più con esse. È in atto una distruzione dei livelli minimi spazio-temporali fra la vostra nave e il planetoide. Questo non posso bloccarlo. Sullo sfondo, Veblen controllò le più sensibili apparecchiature scientifiche di bordo ed effettuò valutazioni diagnostiche che potevano rivelargli altre cose; lo interessarono in particolare alcune stranezze negli eccitati atomi d'idrogeno, test che faceva parte dei controlli dei motori a curvatura e che era programmato nei motori di bordo. – Spock desidera parlare – annunciò T'Raus/T'Prylla. – Ora accetterà anche lui il tocco di Corona. – La voce della donna si alterò. – Capitano, parla Spock. Corona c'è riuscito. Non possiamo comunicare perché i macchinari nella cupola di ricerca hanno già cominciato ad alterare il continuum locale. – Confermato, capitano – aggiunse Veblen. – Le strumentazioni di bordo ne risentono già. – Dobbiamo convincere Corona che anche noi abbiamo un valore – spiegò Spock. – Ci restano solo pochi minuti e io non posso far nulla qui per interrompere il processo. Una vivida luce rossa lampeggiò sul pannello di comando di Kirk, il segnale di avvertimento dei monitor. – Cos'è questo, signor Veblen? – I monitor stanno per assumere il comando, capitano. Non avete agito tempestivamente nel distruggere la stazione. – Teneteli a bada, signor Veblen! – Kirk si girò verso Radak. – Corona! Mi devi ascoltare. Abbiamo i mezzi per distruggere tutto quello che hai tentato di realizzare qui e non potrò impedire più a lungo tale distruzione. Dobbiamo... arrivare a capirci, altrimenti... – Aveva un'espressione angosciata. – Delle brave persone moriranno, amici, colleghi di lavoro, brillanti scienziati. Sai cosa significhi avere degli amici? – Tutti i miei amici sono morti da eoni – rispose Corona/Radak. – L'universo è morto e io lo riporterò in vita. – No!– esclamò Kirk. – L'universo non è morto! Noi siamo qui, e anche
milioni di altri esseri che abitano i pianeti intorno alle stelle di questa e presumibilmente di altre galassie. Ci sono perfino creature come te, che non sono fatte di materia, esseri simili a divinità in confronto a vulcaniani e umani. Noi abbiamo visto ben poco di questo che tu chiami un universo morto, ma è quanto basta per sapere che è pieno di vita! Vita in grado di pensare, di agire e di sperare! Con il potenziale per crescere ed evolversi. Il tuo tempo è passato, ma il nostro è appena cominciato. Cercare di riportare il passato... – Capitano! – gridò Veblen. La luce rossa sul quadro comandi di Kirk era diventata fissa: i monitor avevano assunto il comando. – Signor Sulu, portate la nave in posizione di tiro – ordinò la loro voce al timoniere. Sulu guardò verso il capitano e in quel momento di esitazione i monitor assunsero anche il controllo della sua postazione e dei comandi delle armi. – No!– gridò Kirk, in piedi davanti alla sua poltrona con le braccia protese. La consolle degli armamenti emise un trillo e, sotto il ponte, echeggiò il distante ruggito del tubo di lancio dei siluri che si svuotava, suono che annunciò l'azione finale intrapresa dall'Enterprise. I siluri saettarono verso il planetoide mentre il loro rivestimento si trasformava già in plasma rovente. Corona li contemplò con interesse perchè tendevano a imitare il plasma del monoblocco, sia pure in modo primitivo. Ancora qualche secondo e quei siluri non gli avrebbero dato noia, ma adesso l'impatto sarebbe avvenuto prima che le macchine avessero concluso il loro lavoro; quindi Corona si protese e toccò i siluri. Somigliavano ai giocattoli della sua infanzia e conosceva un semplice trucco che si poteva fare con essi; Corona distrusse la loro parità locale. I siluri colpirono il planetoide e iniziarono, obbedendo al loro compito, a farlo a pezzi a un livello subatomico, ma poi tutta la loro energia venne di colpo riversata in un'inversione temporale e la limitata distruzione che erano riusciti ad arrecare fu eliminata in milionesimi di secondo. L'involucro si ricostituì e volò verso l'Enterprise, svuotato e innocuo, rimbalzando contro gli schermi e perdendosi nello spazio. Per Corona era stato divertente, ma quell'infantile magia aveva disturbato le macchine nella cupola di ricerca, che ora si stavano automaticamente riazzerando prima di riprendere da dove erano state interrotte. A bordo dell'Enterprise, i monitor ordinarono alla nave di usare i faser contro la stazione e di manovrare per il lancio di altri siluri fotonici; Kirk
sedeva impotente al suo posto e Veblen fissava, con affascinato orrore, i sensori che segnalavano di nuovo un rapido deteriorarsi della realtà locale.
CAPITOLO XXI Per la Mason, il senso di urgenza si era trasformato in una grande calma. Non aveva quasi idea di cosa stesse accadendo, ma i vulcaniani che la circondavano sembravano in attesa di un cataclisma imminente: perfino Spock si era eretto maggiormente sulla persona, con le mani strette dietro la schiena e le labbra serrate in un'espressione decisa. Non c'era nulla da fare. Corona stava per distruggerli tutti. E perché? Secondo lei, perché Corona sembrava ritenerli tutti detriti alla deriva in un universo morto e non riusciva a capire come fosse veramente il nuovo universo. La Mason lasciò scorrere lo sguardo da una faccia all'altra per alcuni secondi, poi si avvicinò alla piattaforma di controllo su cui si trovavano T'Raus e T'Kosa, evitando di guardare verso la sfera dimostrativa, piena di assurdità ancor più sconvolgenti di quelle a cui tutti erano stati in precedenza assoggettati. Sono una scrittrice, si disse, il mio lavoro è quello di comunicare. Spesso, il mio compito è quello di accompagnare i registratori, spostandoli qua e là in modo che possano registrare tutto. Poi mi siedo, tiro fuori il materiale e magari cerco di dargli un senso. Ma di tanto in tanto, anche quando ero su Yalbo, mi si presenta l'occasione di scrivere sul serio, di comunicare. Dio sa che non ho un grande talento e che ho molte idee provinciali e bigotte... diavolo, sono una bigotta, ma... qualche volta, lo so, lo sento, riesco a comunicare. Riesco a far capire il mio punto di vista, magari meglio di chiunque altro o a spiegare le cose. E credo che farei meglio a cominciare subito con la spiegazione, dato che nessun altro sembra avere intenzione di farlo. Si concentrò sul proprio intimo, sondando in profondità i ricordi di Corona, ma si ritrasse di fronte alla loro alienità. Con uno sforzo, accantonò quella repulsione e rimosse le ultime barriere che separavano i ricordi di Corona dai suoi. Sollevò lo sguardo su T'Raus, che ora la stava fissando in modo da trasmettere la sua immagine a Corona. – È ovvio che non capisci – disse la Mason. – Se tutte queste persone preparate non riescono a spiegarti la situazione, non so come potrò farlo io. Ma spero comunque che mi ascolterai. Mi auguro che ci sia tempo. Vedi,
noi siamo tutti molto giovani, non siamo neppure lontanamente vecchi come te, il nostro mondo è molto diverso. – Salì sulla piattaforma e si protese verso la faccia di T'Raus, serrando con forza la mascella, e appoggiò la punta delle dita contro le tempie della vulcaniana. T'Raus la imitò e la Mason poté trasmettere direttamente i suoi pensieri a Corona. Quando i ricordi dell'entità si mescolarono ai suoi, un'immagine specifica emerse dalla sua infanzia, le grandi nuvole arancioni di Yalbo, piene di acido e letali da respirare, ma meravigliose da ammirare al tramonto. Dalle ampie vetrate della scuola o dalle finestre più piccole del suo modulo abitativo, lei le aveva osservate pensando che il cielo di Yalbo fosse il più bello dell'intero universo, con le sue tonalità arancio, verde, giallo, rosso e ocra acceso. In quelle nubi aveva edificato grandi palazzi fluttuanti, magnifiche strade sinuose, vi aveva immaginato creature di ogni forma e dimensione e, quando il vento sospingeva le nuvole con tanta forza da spostarle in pochi secondi da un orizzonte all'altro, non riusciva a immaginare nulla di più suggestivo. Poi aveva trovato nella biblioteca scolastica alcuni nastri relativi alla Terra e li aveva guardati. – È stato uno shock – spiegò. – I cieli della Terra sembravano ancora più belli. Non c'era bisogno di una tuta per sostare sotto di essi, si poteva salire sulle montagne e toccare le nuvole, o lasciare che fossero loro a sfiorarti, proprio sulla pelle. Sentì Corona rabbrividire al pensiero di una pelle che costringeva il corpo: cercò un'analogia e la trovò. – La pelle è come un orizzonte possibile del tuo mondo – disse. – Nei primi tempi, il tuo popolo ha dovuto attendere che l'universo diventasse abbastanza ampio per permettervi di comunicare, in maniera diretta, gli uni con gli altri. Eravate tutti racchiusi in piccole bolle spazio-temporali, incapaci di protendervi. C'erano sempre le radiazioni Ybakra, riuscivate a parlare, ma non potevate essere gli uni con gli altri. È più o meno come con la nostra pelle: ci dobbiamo toccare, dobbiamo parlare e comunicare in tanti modi, perché non possiamo valicare la barriera da essa costituita. – Parlami ancora delle nuvole – ordinò T'Raus/Corona. La Mason ampliò l'argomento. Spiegò che le nubi di materia presenti al sorgere dell'universo, create migliaia di anni dopo l'estinzione della razza di Corona, erano andate alla deriva nello spazio-tempo in espansione, cominciando gradualmente a raggrupparsi e a separarsi. – Poi persero le loro caratteristiche originali – proseguì. – Vi rinunciarono per permettere l'inizio di altre forme di esistenza. – Quelle parole parvero confuse, ma non
vi si soffermò oltre. – Ciò che sarebbe diventato un gruppo di galassie scaturì da quelle nubi, poi vennero le galassie vere e proprie. In principio, c'erano solo enormi sfere ma, nel crescere, si appiattirono e le stelle si condensarono dalle nubi di gas delle galassie più giovani. Ho distrutto molte di quelle giovani galassie, confidò Corona, Colpa dei miei esperimenti falliti. La Mason tentò di non apparire sgomenta. – Non capisci? Tutti dovevano contribuire. Ora, anche se non posso esserne certa, non credi che quelle arcaiche nubi di materia possano, un tempo, aver avuto la capacità di pensare, come pure i sistemi galattici e le galassie stesse? Ma quando le cose sono cambiate, loro sono morte... hanno dovuto cedere il posto a nuove forme. La reazione di Corona poté essere definita solo di scetticismo. – Supponiamo che sia stato così – insistette la Mason, che si stava lasciando prendere la mano. – E supponiamo che, a un certo punto, una galassia si sia ribellata, si sia rifiutata di mutare e abbia scoperto che, così facendo, stava condannando all'estinzione milioni di nuove e più piccole forme di intelligenza. Non sarebbe stato un... Ebbe difficoltà a trovare un'altra analogia perché continuava a chiedersi quanti secondi mancassero prima che giungesse la fine per tutti. Si accigliò nello sforzo di concentrarsi: cosa c'era, nell'esperienza di Corona, che si potesse paragonare a quello che lui stava per fare? – Nella tua epoca, alcuni dei tuoi compagni hanno rifiutato di espandersi al di là del loro possibile orizzonte giovanile. Si sono avvolti in rigide bolle spaziotemporali perché avevano paura di cambiare; in un primo tempo, sono stati tollerati, ma quando un numero sempre maggiore di universi reali è entrato in congiunzione e l'universo è diventato sempre più grande, questi isolazionisti sono diventati pericolosi. Potevano addirittura distruggere gli altri, erano degli assassini, non per cattiveria ma perché si rifiutavano di cambiare; alla fine è stato necessario dar loro la caccia e distruggerli, per permettere agli altri di vivere. Questo è quello che l'Enterprise sta facendo adesso... si sta proteggendo da te. La donna aveva tenuto gli occhi chiusi mentre diceva e pensava tutte queste cose, ma ora li aprì e vide che T'Raus la stava ancora fissando. – Tutti dobbiamo cambiare – disse ancora la Mason. – Tutti dobbiamo morire, lasciar posto al nuovo. Se tentiamo di vivere in eterno, diventiamo d'intralcio a qualcuno, impediamo a qualcosa di accadere, a qualcuno di nascere... e poi, chi può dirlo, magari il nuovo costituirà un miglioramento
rispetto al vecchio. Questo ha senso? T'Raus non trasmise alcuna risposta e staccò le mani dalla faccia della giornalista, che indietreggiò di un passo mordendosi il labbro inferiore. Si sentiva strana, tutti i suoi pensieri erano intrappolati da qualche parte, fra i "ricordi" di Corona presenti nel suo cervello e le sue riflessioni infantili sulle nubi di Yalbo. – Mi dispiace – disse, soffocando una sensazione di panico improvviso e di orrore, temendo di aver sprecato la loro ultima occasione mentre qualcun altro, magari Spock, avrebbe potuto essere più efficace. – Mi dispiace enormemente. Nonostante la loro utilità, Corona aveva avuto la convinzione che le intelligenze materiali fossero quasi esclusivamente peculiarità dell'universo in declino. Dopo tutto, l'unico contributo da esse fornito all'universo locale era l'entropia; essa era già stata dominante ai tempi di Corona, ma allora il declino era appena rilevabile e la seconda legge della termodinamica era apparsa come una possibilità remota e insignificante. Secondo il modo di pensare di Corona, l'unica forma significativa d'intelligenza poteva essere quella che almeno sperasse di ringiovanire il suo mondo. Tramite T'Raus, l'entità aveva ascoltato la donna umana perché le sue parole e i suoi pensieri servivano a riempire i lunghi minuti che dovevano trascorrere prima che il continuum si alterasse, ma essi avevano avuto anche un altro effetto. Particolarmente efficace era stato l'interesse della donna per le "nuvole", che suggerivano (sempre in maniera primitiva)la bellezza esistente ai tempi di Corona, quando era impossibile la presenza delle cose solide e tutto era meravigliosamente fluido. Fra i vulcaniani, Corona non aveva mai incontrato un simile concetto di "libertà": i vulcaniani erano più preoccupati di aderire a un rigido codice e di seguire i vincolanti principi della logica che lasciavano Corona piuttosto perplesso. Adesso l'entità contemplò la "libertà", applicandola ai movimenti privi di schematicità delle "nuvole" e al comportamento delle intelligenze materiali. Libertà di muoversi, di pensare, di realizzare; libertà di seguire gli impulsi dettati dalle proprie necessità. Di esistere. La libertà era un concetto pericoloso: se eccessiva, essa poteva diventare un'imposizione sulla libertà di un altro essere; poteva essere contraddittoria. Quando la donna umana aveva fatto notare a Corona che lui si stava imponendo alla sua razza, e a molte altre forme di vita materiali, tentando di porre fine all'eternità locale, l'immagine presente
nella sua mente era stata quella di un banco di nubi lacerato da un vento aspro e rovente. E questo era qualcosa con cui Corona poteva empatizzare. Migliaia di anni dopo la fine delle ultime generazioni della sua specie, durante la sua prima riapparizione, l'universo era di colpo diventato trasparente a causa di quelle piccole onde irritanti, note come luce fotonica; invece di rimbalzare da una particella all'altra, i fotoni avevano sciamato attraverso l'universo, portando energia da un luogo all'altro e soffiando come un vento arido attraverso uno spazio che aveva un tempo contenuto esseri liberi e intelligenti. Il vento fotonico aveva disperso quel che rimaneva della specie di Corona. Secondo l'attuale misurazione del tempo, l'esistenza del popolo di Corona, la sua "eternità", era durata solo pochi minuti; esso era sopravvissuto a molti cambiamenti, ma poi era giunta la fine e soltanto Corona aveva scoperto il modo di percorrere le apparentemente infinite distese del tempo, ricomparendo in presenza di certe condizioni per ricostruire il suo campo Ybakra. Questi esseri materiali sapevano dunque che cosa fosse la libertà. E libertà responsabile, come Corona la concepiva, significava lotta contro l'entropia. La scarica dei faser non ebbe alcun effetto e i siluri lanciati successivamente cessarono di funzionare, dissipandosi contro il planetoide senza arrecare danno. Sul ponte dell'Enterprise, l'aria sembrava annebbiata e i comandi elettronici non erano più affidabili. Veblen rimase al tempo stesso affascinato e sgomento nel vedere i computer di bordo ridotti a qualcosa di appena superiore a un generatore di numeri random. I monitor lottavano coraggiosamente per mantenere il controllo, ma era un'impresa impossibile; essi facevano affidamento, più delle menti organiche, sulle sottigliezze del continuum temporale. Quindi, mentre l'equipaggio (per ora) procedeva funzionalmente, senza risentire che di effetti minimi, ai monitor non rimase altra scelta che quella di disattivarsi. Il che fece scarsa differenza. Kirk provava un senso di vertigine simile all'esaltazione che provava quando la nave entrava in velocità di curvatura, ma soffuso di una paralizzante sensazione di fallimento. Il ponte sembrava sommerso dall'acqua: tutto ondeggiava in un modo che era, al tempo stesso, debilitante e ipnotico.
Veblen riferì l'interpretazione dei dati forniti dai pochi strumenti ancora funzionanti, quelli diagnostici, costruiti per sopravvivere agli stress imposti dai motori di curvatura. Kirk ascoltò il tenente con la massima attenzione possibile, ma continuò a pensare a quello che aveva visto nella sfera dimostrativa, quando Corona aveva accennato per la prima volta a quanto intendeva fare. Tutto si sarebbe davvero dissolto nel caos ipnotico del micromatico? Dove sarebbe finita l'Enterprise in un simile maelstrom? Dove sarebbe finito lo stesso Kirk? McCoy non era mai stato così terrorizzato. Era convinto di sapere che cosa c'era dall'altra parte, se tutto si fosse dissociato, e quel qualcosa era l'Inferno. Niente cure, niente guarigioni, solo l'infinita mancanza di controllo, il cedimento alle torture imposte da quelle forze interiori che non poteva affrontare. "Compiango il povero Spock" pensò, sentendo un impeto di cameratismo nei confronti del vulcaniano che aveva tormentato per anni così spietatamente e per il quale provava tanto rispetto. Spock, tuttavia, si trovava ancora in un mare di relativa calma. Le macchine della cupola di ricerca avevano intessuto una piccola bolla protettiva intorno a loro per poter funzionare fino a quando il lavoro non fosse stato ultimato. Spock aveva ascoltato le parole della Mason e aveva intercettato alcuni dei pensieri trasmessi da Corona; si era sentito perplesso e incuriosito per quell'approccio straordinario e irrazionale, perché il perorare una causa era un comportamento estraneo a tutta la cultura vulcaniana: una cosa era o non era, ma opinioni e persuasione avevano ben poco spazio nella vita vulcaniana. Grake, T'Kosa, Anauk, Spock, T'Prylla sull'Enterprise, tutti avevano preso commiato in pace dall'esistenza.
CAPITOLO XXII Da un orizzonte all'altro, il cielo era pervaso da un cupo bagliore purpureo, interrotto da filamenti di un bianco latteo e di un verde vivido. La Mason sentì lo scricchiolio di ciottoli vecchi di secoli sotto le suole, l'unico rumore a parte quello del suo respiro; i nuovi soli stavano comparendo oltre l'orizzonte irregolare del planetoide, ammantati nel vitreo e polveroso velo della loro recente nascita. La donna allungò una mano, incerta sul perché fosse qui o su come facesse a sopravvivere. La tenue iridescenza verdastra che l'avvolgeva
emise un debole bagliore, come in risposta a quell'unica domanda, poi l'Occhio Stellare apparve più in alto e proiettò su di lei un vivido raggio di luce. La Mason sollevò lo sguardo, ma dovette proteggersi gli occhi con la mano. – Dietro di te, prego – disse una voce. La giornalista si voltò e balzò indietro per la sorpresa: un'indistinta nube arancione era con lei nell'aura protettiva e si agitava, allargandosi, sotto la spinta di venti impercettibili. – Questa è la forma che tu mi hai insegnato e che trovo molto piacevole. Io sono ciò che T'Prylla chiama Corona. La Mason, non sapendo cosa ribattere, evitò di farlo. – Da dove vieni? La donna balbettò qualcosa, poi si controllò e cercò di rispondere con disinvoltura. – Da un pianeta chiamato Yalbo. – "Questo è un sogno" aggiunse fra sé. "Sono quasi morta e sto sognando". – Dev'essere un posto molto bello. – Lo è? – Sì, perché tu vi scorgi tanta bellezza. Quelle formazioni nella sua atmosfera possono trasmetterti il concetto di libertà, e tu l'hai trasmesso a me. – La nube si oscurò, come se fosse sopraggiunto il crepuscolo. – O forse sei tu che sei bella, per riuscire a trovare tanta bellezza dovunque ti trovi. – Io... sono molto spaventata – rispose la Mason. – Sei la cosa, l'essere, più strano che abbia mai conosciuto. – Eppure hai alcune delle mie memorie dentro di te, trasmesse dall'umano-vulcaniano Spock. Anche la tua specie è strana per me. Forse potremmo superare questa mancanza di familiarità facendo uno scambio. – Uno scambio? – Ho ricevuto molti insegnamenti nelle ultime ore ma non sono affatto sufficienti. Ho una comprensione imperfetta della vostra modalità di essere, della razza umana. Anche dopo dieci anni, adesso mi accorgo di capire ben poco i vostri simili, i vulcaniani. Richiedo uno scambio di esperienze: io completerò i ricordi che hai in te, nella misura che vorrai, e tu dividerai le tue esperienze con me, in modo che le possa portare con me, nella regione che vedi ora nell'Occhio Stellare. – Dove? In un nuovo sistema stellare? Seguì un momento di silenzio. – Non esiste nel tuo continuum attuale. È una lontana possibilità. Deve prima passare molto tempo, le stelle e le galassie devono invecchiare e sbiadire, l'universo si deve riempire di buchi
neri che poi restituiranno la loro massa al vuoto e diventeranno singolarità nude. Il tempo stesso invecchierà e si arresterà. Quello che accadrà dopo è difficile da capire... il vuoto, una desolazione ancora maggiore di quella attuale. – Quello non sembra molto vuoto – obiettò la Mason, proteggendosi gli occhi. – Tu mi hai prospettato un'alternativa, altri metodi per conseguire il mio scopo senza distruggere questo universo. Ciò che l'Occhio Stellare mostra è un'alternativa, se sopravviverò al vuoto e all'oscurità. Quando tutto il resto si sarà arrestato e l'universo sembrerà completamente morto, io diverrò un punto focale. Ci saranno solo le radiazioni dello spazio frazionale da voi chiamate Ybakra e io le incanalerò e riempirò ancora il vuoto. Non serviranno apparecchiature, materia o altro, basterò io. La Mason ebbe la speranza che forse non stava sognando. – Era questo che volevi? – domandò Corona. – Che la tua realtà venisse risparmiata in modo che tutti poteste continuare la ricerca della libertà? – Saremo risparmiati? – domandò a sua volta la donna. – Sì. Le macchine stanno invertendo il loro procedimento. Ho riportato quelli che erano nella stazione a bordo dell'Enterprise, tutti tranne gli ibernati, riguardo ai quali aspetto istruzioni. Fra le cose che potevano venirle in mente a quel punto, la Mason finì per cedere alla propria sospettosa indole di giornalista. – Ma io credevo che non potessi trasformare nulla di molto più grande di un ragazzo – obiettò. – Non potevo finché le macchine assorbivano così tanta energia – ammise Corona. – Perché le hai fermate? – Perché tu mi hai fatto capire che, nelle ere a venire, noi potremmo condividere gli stessi scopi. Forse la tua razza riuscirà a controllare l'entropia e, in questo caso, l'universo non morirà, perlomeno non nel modo che ora sembra più probabile... e io non sarò necessario. Tuttavia potreste fallire perché siete ancora giovani, anche quelli menzionati dall'umano Kirk e che a voi sembrano divinità. Avete molto tempo per crescere e prepararvi, e potreste commettere errori, anche fallire. Se non riuscirete nell'intento, forse io ce la farò. – Vuoi dire che i miei discendenti potrebbero salvare l'universo? – La tua razza. Voi siete imparentati con tutti gli esseri costituiti di materia o nati dalla materia, e ai miei occhi siete tutti molto simili fra voi. Le differenze sono minime.
La Mason fissò il cuore della nuvola che somigliava così tanto a quelle che lei aveva osservato con meraviglia da bambina, alle nubi che avevano popolato i suoi sogni. – Sì – disse, deglutendo a fatica. – Scambierai tutte le tue informazioni con me? – Tutte quelle che posseggo – annuì lei.
CAPITOLO XXIII – Dottor McCoy. La voce interruppe le sue riflessioni; stava contemplando la morte, una morte più universale di come l'avesse mai concepita, forse la morte di tutto, sul ponte dell'Enterprise, quando aveva provato un momentaneo disorientamento, la spiacevole sensazione di viaggiare, e ora... Vide T'Kosa in piedi davanti a lui. – Cosa, in nome di... – La Mason ha detto che dovevamo rivolgerci a voi. McCoy si guardò intorno: si trovava fuori della stanza cilindrica d'ibernazione della stazione. Il suo stupore sarebbe stato comico per un umano, ma non per la donna vulcaniana. – Per cosa? – Per sapere in quale luogo debbano essere trasformati i dormienti. – Non... non capisco. – Non c'è molto tempo. A Corona rimangono meno di tre minuti, lo shuttle è distrutto e il teletrasporto non è abbastanza rapido per trasferire tutto il personale sulla nave: solo Corona li può salvare adesso. – T'Kosa lo stava osservando con attenzione, mostrando un ovvio interesse per i suoi tempi di reazione e per la sua elasticità mentale e McCoy, quale che fosse la situazione, non voleva apparire inadeguato. – Naturale – rispose, riacquistando l'autocontrollo. – Abbiamo fatto spazio in infermeria, nella sezione per i feriti in combattimento; ogni ibernacolo ha a disposizione una presa d'energia e la trasformazione dovrà essere abbastanza delicata da evitare fluttuazioni nella temperatura. – Molto bene. Noi li accompagneremo – dichiarò T'Kosa. – No, aspettate! Ma era troppo tardi. Per quanto riguardava McCoy, la trasformazione era molto peggio del teletrasporto: questa volta, fu pienamente consapevole di ogni tappa del viaggio. La Chapel si arrestò a un'estremità della sezione per i feriti in
combattimento, a bocca aperta, mentre le lastre mediche le cadevano di mano, a una a una, e trenta ibernacoli comparivano in rapida successione nelle posizioni loro assegnate. I sistemi d'energia sibilarono per il sovraccarico, le luci dell'infermeria per un momento si attenuarono per poi tornare alla normalità. Nella sezione sicurezza, Olaus registrò un'invasione dello scafo dell'Enterprise da parte di una straordinaria quantità di massa, almeno trenta tonnellate metriche. In ingegneria, l'ufficiale di turno annotò un aumento nel consumo d'energia. Sul ponte, McCoy riapparve nella solita posizione dietro il corrimano; Uhura assistette alla sua materializzazione, ma era troppo stordita dagli ultimi eventi per reagire. Poi Spock e gli altri quattro vulcaniani apparvero accanto al dottore, proprio mentre Kirk si girava sulla poltrona di comando. – Bones... – Non fate domande – rispose McCoy. – Non c'è tempo, devo scendere in infermeria. – Ed entrò nel turboelevatore. – Spock? – Sono completamente all'oscuro di quanto è accaduto, capitano. Dov'è la Mason? – Come diavolo faccio a saperlo? – fece Kirk. – E cosa sta succedendo, in nome di Dio? Veblen concluse un passaggio con i sensori e si rivolse al capitano. – Il continuum locale è tornato alla normalità, signore. Le strumentazioni di bordo funzionano correttamente. – Non siamo morti – aggiunse Sulu, e quella parve un'eccellente sintesi. Gli sguardi dei presenti si concentrarono su Kirk quando la Mason apparve accanto a lui: i due si fissarono, e la donna sorrise... quasi con soddisfazione. – Corona suggerisce che l'Enterprise si ritiri fino a una distanza di almeno un miliardo di chilometri – comunicò la donna in tono asciutto. – La sua presenza nella nebulosa sta svanendo e non può più garantire la stabilità delle macchine nella stazione di ricerca. – Timoniere... – cominciò Kirk. – Rotta inserita – rispose Sulu. – Procedo. – I motori a impulso della nave entrarono in funzione e fecero vibrare ogni ponte del piatto con un'improvvisa esplosione di potenza che allontanò la nave dal planetoide
con un movimento a spirale, appiattendo la curva orbitale sino a ridurla quasi a una linea retta mentre Kirk ordinava la massima accelerazione. La Mason rimase in piedi accanto alla poltrona di comando, quasi inconsapevole dell'attività che la circondava, perché stava ricevendo gli ultimi segnali Ybakra di Corona. In profondità, al di sotto delle misure della geometria statica, le anomalie nella massa subspaziale si stavano frantumando e separando su parecchie geodesiche che la mente umana non poteva visualizzare: le condizioni che avevano permesso a Corona di manifestarsi nella nebulosa stavano scomparendo e forse non si sarebbero ripetute per miliardi di anni. La Mason sapeva che, anche se esse si fossero ripresentate, Corona non sarebbe tornato. Solo alla fine, se ogni altro tentativo fosse fallito, se tutti i loro discendenti, che vivevano in questo nuovo universo svuotato e percorso dai fotoni e dalla materia, non fossero riusciti a impedire il trionfo dell'entropia... solo quando non fosse più esistito altro che il nulla, la morte e l'assenza di libertà... Solo allora Corona sarebbe tornato per adempiere a una promessa fatta all'inizio dei tempi. Ancora un favore, chiese. Cosa può mai essere? C'è ancora un piccolo problema. La Mason lo specificò. Lo puoi risolvere? La risposta di Corona era quasi troppo debole per poter essere sentita, ma le parve che fosse affermativa. – Addio – disse ancora, ma non ci fu reazione: il contatto era già stato interrotto. Spock era accanto a Veblen, intento a osservare i sensori mentre l'Enterprise si allontanava velocemente. – Capitano, il planetoide sta per distruggersi – avvertì, e regolò il computer per il funzionamento grafico, in modo da poter interpretare quanto stava accadendo. La Mason guardò lo schermo di prua, avvertendo dentro di sé il passato di Corona, reale quasi quanto il suo: su scala ridotta, lo schermo mostrava quello che Corona aveva progettato per una sezione spazio-temporale incomprensibilmente più vasta. Il planetoide si rivoltò dall'interno in maniera lenta e perfetta, rivelando tutto il proprio nucleo amorfo come attraverso una lente che lo distorcesse. Dietro di esso sbadigliavano due masse oblunghe di oscurità che attrassero il piccolo pianeta, trasformandolo in un'ellisse e poi in un cilindro dalle estremità fiammeggianti che vennero inghiottite e allungando poi quanto
rimaneva fino a ottenere un filo sottile che svanì oltre i limiti della risoluzione. Per mezzo milione di chilometri tutt'intorno, i gas della nebulosa furono risucchiati in quell'abisso spazio-temporale. Nel centro del filo invisibile nacque un nuovo universo, minuscolo e incompleto; dapprima, con un diametro di pochi centimetri, emanò poca luce e apparve di un opaco colore marrone, ma quando tutta la materia racchiusa in quella fetta di nebulosa, grande mezzo milione di chilometri, tornò indietro nello spazio normale, trasformata in energia pura, il nucleo si espanse e si tinse di un vivido color arancione maculato. L'arancio divenne verde e il verde mutò in un azzurro tanto intenso da obbligare i sensori a disattivarsi. Lo schermo anteriore si spense. Il bagliore svanì in fretta, perché il nuovo universo non era stabile e tutto il potenziale contenuto in esso non poteva competere con le preesistenti tensioni della geometria statica. La sua energia andò dispersa e tutto ciò che rimase fu un piccolo sole che andò a raggiungere i suoi compagni più antichi, nelle vesti di un nuovo fratello più debole e incostante. Il fenomeno non durò a lungo. Quando l'Enterprise raggiunse la sua posizione di sicurezza, il bagliore era ormai svanito e non c'era nulla che consentisse di distinguere la Nebulosa Black Box da una qualsiasi delle altre nebulose che punteggiavano il braccio a spirale della galassia.
CAPITOLO XXIV McCoy non perse tempo a riflettere su quanto gli era accaduto. Andò subito a visitare la sezione feriti dell'Enterprise, con il tricorder medico alla mano, verificando che gli ibernacoli fossero al loro posto e che i dormienti non avessero subìto ulteriori danni. In teoria, la loro ristrutturazione poteva cominciare in qualsiasi momento e tuttavia, dopo quanto era successo, i monitor medici impedivano ancora di procedere. La Chapel gli si fermò accanto quando lui ebbe finito. – Il signor Spock vi attende al centro controllo computer – lo informò. – Sono stanco – ammise d'un tratto il dottore, chiudendo gli occhi. – È proprio questo il momento di chiedermi di andare a discutere con un mucchio di fantasmi computerizzati? – Il signor Spock... – iniziò l'infermiera, tentando di apparire comprensiva. – Sì, sì, lo so – brontolò McCoy. – Il tempo stringe. – Si soffermò
ancora un momento, con i muscoli indolenziti, a osservare le due file di ibernacoli. – Dio solo sa perché uno qualsiasi di noi sia ancora vivo. Nel centro controllo computer, Spock era in attesa accanto alla consolle dei monitor, mentre Veblen era seduto poco più in là, con le mani serrate in grembo. Il tenente aveva concesso loro di accedere ai monitor, solo dopo la garanzia, data da Spock, che non avrebbero fatto nulla d'illegale, ma anche così quell'approccio poco ortodosso lo preoccupava. Come per McCoy, la tensione delle ultime ore gli perforava lo stomaco e le braccia con una miriade di aghi smussati. L'ultima cosa che desiderava era un conflitto a causa dei monitor: era giunto a odiarli, per le loro inadeguatezze e per il dovere che gli imponevano, ma non intendeva cedere. McCoy sedette alla consolle mentre Spock richiamava la prima delle esperienze memorizzate contenute nei monitor medici e preparava la comunicazione vocale. – Con chi parlerò? – volle sapere McCoy. – È un uomo o una donna? È vivo o morto? – Ritengo sia morto – rispose Spock. – Parlerete con la memoria del commodoro del Corpo Medico, Elias R. Rostovtzev. – Diavolo, Spock, ma era il mio professore all'Accademia di Medicina della Flotta Stellare! – Me ne rendo conto, dottore. È l'unico che abbiate avuto modo di conoscere in precedenza. – È andato dannatamente vicino a bocciarmi! – Posso richiamare un'altra memoria, se lo desiderate – replicò il vulcaniano, inarcando un sopracciglio. – No, no, lui andrà bene. Quanta parte della personalità c'è ancora là dentro, Spock? – Solo qualche traccia, dottore. Per questa funzione, i monitor forniscono le basi del ragionamento e la capacità di porre domande e di rispondere. Il commodoro non è vivo nel sistema, se è questo che volete sapere. – Spock dubitava però della completa esattezza di quell'asserzione: l'ammiraglio Harauk era stato molto più attivo di quanto lui si fosse aspettato, attivo e indipendente. – D'accordo. Sono pronto. McCoy non aveva nulla su cui fissare lo sguardo, solo lo schermo della consolle che però era stato spento per permettere la conversazione. Il sibilo della frequenza-segnale riempì gli auricolari, poi seguì la sensazione che qualcuno fosse in attesa, una presenza definita e un po' minacciosa.
– Commodoro Rostovtzev? – Sì. – La voce era metallica ma riconoscibile. – Chi parla? – McCoy, dottor Rostovtzev. Leonard McCoy. – Il tenente J.G. Leonard McCoy? – Tenente comandante adesso, dottore. Ufficiale medico dell'Enterprise. – Perché non sei stato ancora promosso comandante, Leonard? Batti ancora la fiacca? – No, signore. – McCoy arrossì. – Non so, con esattezza, da dove cominciare... – Dal principio, Leonard – replicò la voce, con pazienza. – C'è una decisione che vi sarà chiesto di prendere – cominciò il medico, e Veblen si alzò in piedi per protestare, questa storia si avvicinava ormai troppo a una manipolazione dei monitor, ma Spock lo fermò e il tenente tornò a sedersi riluttante, pronto a intervenire. – Sì. Siamo in sei qui, Leonard, se ben ricordo. Non che la nostra presenza sia reale, capisci. – Una distinzione sottile, signore. – Sia come sia. Procedi. – Voi dovete applicare le leggi relative al sistema TEREC impiantato a bordo dell'Enterprise... – Ah, sì – lo interruppe Rostovtzev. – I trenta dormienti che hanno subìto le radiazioni Ybakra. Credo che questo problema ci sia già stato sottoposto. – Sì, signore. Speravo di poter discutere il caso con voi in maniera più dettagliata. – Perché? I monitor hanno già concesso il permesso di procedere. Non ci opporremo alla ristrutturazione. McCoy e Veblen spalancarono contemporaneamente la bocca. – Ma signore... – Datti da fare, uomo! Io... noi, siamo molto interessati al procedimento. Sarai certo ansioso d'iniziare. – Sì, signore! – McCoy si alzò, lanciando un'occhiata a Veblen e a Spock e scrollando le spalle. – Comincerò subito. Non appena il dottore ebbe lasciato la stanza, Veblen sedette alla consolle e controllò tutti i programmi e le misure di sicurezza: niente era stato alterato, i monitor erano intatti. – Signor Spock, questo è impossibile... – Chiaramente no, signor Veblen, dal momento che è successo. – Il
primo ufficiale lasciò il centro computer e Veblen ripeté i controlli parecchie volte, senza trovare alcun indizio che le regole fossero state modificate. Durante l'ultimo passaggio, tuttavia, richiamò sullo schermo le normative che regolavano l'uso del TEREC, con particolare riguardo alla legge relativa al richiamo in vita di esseri inanimati, impostando una ricerca che individuasse definizioni, di nuova aggiunta, del concetto di "inanimato". La definizione scivolò sullo schermo per parecchi paragrafi e, nel leggerli, il tenente avvertì una leggera alterazione nel loro tono, qualcosa che non riusciva a definire, sino a quando arrivò all'ultima riga. Con occhi sgranati, lesse: "Non sarà fatto alcun tentativo per impedire ciò che possa portare avanti la causa della vita, della libertà o della lotta contro l'entropia, indipendentemente dai dettami della legge o dalle imposizioni del dovere." Quelle parole erano seguite da un'equazione che non rientrava in nessuna definizione medica. Veblen la studiò perplesso per qualche momento, prima di capire che cosa fosse. L'equazione descriveva con precisione certi stati delle radiazioni da spazio frazionale, le Ybakra, per l'esattezza. Era una firma. Veblen cominciò a ridere, poi a piangere e poi ancora a ridere, affondando la testa fra le braccia incrociate sulla tastiera del computer.
CAPITOLO XXV L'Enterprise iniziò il viaggio di ritorno, con in programma due soste fra la Nebulosa Black Box e la Base Stellare Diciannove. In primo luogo, avrebbero riportato la Mason su Yalbo. La ragazza non era seccata di tornare a vivere su un piccolo pianeta: in virtù di ciò che era adesso, di ciò che si portava dentro, dovunque si fosse trovata le sarebbe sembrato di essere in un luogo esotico e strano, perché Corona le aveva fornito un indistruttibile senso del nuovo e dell'inatteso. L'Enterprise avrebbe quindi descritto un lungo cerchio verso il sistema stellare Epsilon Eridani, in modo da deporre i vulcaniani della Stazione Uno sul loro pianeta natale. Grake e T'Prylla ricevettero Spock, nell'alloggio loro assegnato, secondo l'antico rituale di famiglia vulcaniano, offrendogli prima un aforisma
particolarmente apprezzato inciso su un cristallo di dilitio consumato, poi una breve seduta di meditazione, seguita da una formale cena vulcaniana. Non furono offerte scuse per quanto era accaduto: ovviamente, non erano necessarie. Tutti si comportarono come se l'incidente nella Black Box fosse stato qualche passata rappresentazione drammatica, affascinante e sconcertante, ma su cui non valeva la pena di recriminare. Dopo che il gruppo al completo ebbe pulito le stoviglie usate per la cena, Radak e T'Raus ebbero l'onore di lavare le mani del visitatore. A quel punto, T'Prylla parlò. – Spock, c'era stato un accenno a un cambiamento in seno all'Accademia Scientifica. Che tipo di cambiamento? L'ufficiale scientifico fece scomparire le mani appena lavate nelle maniche della tunica. – Ritengo ci sia un interesse nell'accettare i tuoi metodi logici come un'alternativa alla Via. Forse, negli ultimi giorni abbiamo assistito all'inadeguatezza di un approccio troppo rigido agli insegnamenti di Surak. Solo tramite la mente di un umano, Corona ha cominciato a comprendere che le sue azioni erano sconsiderate. Come dobbiamo interpretare tale fallimento da parte nostra? – Se le mie alternative avessero avuto valore, certamente Corona avrebbe compreso l'errore mentre occupava le nostre menti. La mia famiglia e i nostri colleghi conoscono bene i miei metodi. – Allora c'è ampio spazio per la discussione e per il progresso. – Spock s'inchinò senza alzarsi quando entrarono Anauk e T'Kosa. – Abbiamo aiutato McCoy con il TEREC – spiegò T'Kosa. – Devo rivedere la mia valutazione del comportamento dell'umano. Non sembra nutrire rancore verso di noi. – Gli umani, al contrario dei Vulcaniani, raramente sono prevedibili – dichiarò Spock. Fra la sua gente, questo truismo soleva provocare una reazione simile a quella determinata da una battuta umoristica, e gli altri sollevarono le ultime tre dita della sinistra per indicare il loro apprezzamento. La Mason rivelò quello che poteva del ruolo avuto nella vicenda, in presenza di Spock, Kirk e McCoy, durante una riunione degli ufficiali anziani che venne tenuta a porte chiuse nell'alloggio del capitano. Quando il primo ufficiale la interrogò in merito a Corona, la donna rispose con assoluta sincerità. – So ben poco di lui, non più di quanto voi avete lasciato nella mia mente, signor Spock. – Ma stava imparando sempre di più ogni giorno. – So che i monitor medici sono stati manipolati: l'ho chiesto io e
mi prendo la responsabilità. – Voi... l'avete chiesto? – Sì. Se i vostri capi militari non riescono a far funzionare le cose, forse possiamo farlo noi civili. – Kirk stava per ribattere quando scorse un bagliore divertito nello sguardo di lei, insieme all'ormai abituale sorriso di compiacimento. La donna rivelò su Corona solo lo stretto necessario. Il resto era una cosa privata, e se un giorno l'avesse divulgata, come sapeva che avrebbe sicuramente fatto, bene, allora sarebbe stata più preparata e più matura. Meno bigotta. Corona era il suo biglietto per acquistarsi la pace interiore. Spock, che probabilmente sapeva che lei stava tacendo molte cose, non insistette, e la donna gliene fu grata. Il mattino successivo ebbe luogo un'altra riunione, più seria e formale, nella sala principale. – Signori. Dichiaro aperta questa inchiesta. Presiede il capitano James T. Kirk. – Kirk batté un colpo con il martelletto cerimoniale, sentendosi importante e sciocco al tempo stesso, come gli accadeva sempre in quelle occasioni. – Il nostro dovere è quello di giudicare l'efficacia dei monitor installati sull'Enterprise, specialmente in relazione alla nostra recente missione. Dottor McCoy, ritengo abbiate un commento d'apertura. McCoy si alzò e lasciò correre lo sguardo sulle persone raccolte intorno al tavolo: Kirk, Spock, Scott, Veblen, Olaus e la Mason; il secondo registratore SIF fluttuava a destra della donna. – Non valgo gran che come mago legale – ammise il dottore – e non so come potremo superare le future difficoltà, provocate dai monitor medici. – Lanciò un'occhiata a Veblen. Il tenente non disse nulla. – Sono semplicemente grato per la risoluzione del nostro attuale problema. La ristrutturazione è ben avviata e fra quattro giorni avremo i primi due ibernati in perfetta salute e bisognosi di un alloggio temporaneo. Signor Veblen, per quanto potessero sembrare una buona idea negli uffici della Federazione, qui fuori i monitor non funzionano a dovere. All'Enterprise era stata assegnata una missione speciale, proprio perché disponeva di nuove apparecchiature, ma per poco il risultato di tale missione è stato rovinato fin dall'inizio. La cosa non mi è piaciuta: non amo fare affidamento sui miracoli dell'ultima ora. – Grazie, dottor McCoy. Signor Spock, qual è la vostra analisi dei
monitor in relazione all'incidente con Corona? – Capitano. – Il vulcaniano si alzò senza guardare nessuno in particolare. – I monitor di comando hanno confermato tutte le vostre decisioni fino all'ultimo momento, quando hanno stabilito che non stavate intervenendo abbastanza in fretta per bloccare il pericolo. Esaminando le registrazioni interne dei monitor, il signor Veblen e io abbiamo riscontrato che tutte e sei le esperienze memorizzate di ufficiali comandanti della Flotta Stellare erano unanimi nel ritenere che voi non aveste agito tempestivamente. Tuttavia, è possibile che il risultato finale non sia stato influenzato dall'intervento dei monitor, il che indica che la vostra valutazione della situazione può non essere stata erronea. È necessaria un'ulteriore analisi. Spock sedette e Kirk rivolse un cenno del capo a Veblen. L'addetto ai computer si alzò, incontrando lo sguardo della Mason che sedeva dall'altra parte del tavolo. – I monitor hanno funzionato esattamente com'era previsto. In questo senso, sono un successo. Tuttavia... – Estrasse una scheda dati dalla cintura. – È mia opinione che i monitor abbiano gravi controindicazioni, non ultima quella che sono alterabili, nel senso che possono essere influenzati dall'instabilità del continuum temporale. I monitor medici si sono rivelati chiaramente inadeguati e io simpatizzo con la frustrazione del dottor McCoy. Ritengo che non avremo difficoltà a convincere la Federazione che certe restrizioni vanno eliminate e che certi progressi nella scienza medica devono essere accettati senza riserve. – Guardò verso la Mason come se si aspettasse una spiegazione, ma lei gli rivolse soltanto un cordiale sorriso. – Per quanto riguarda i monitor di comando, personalmente ritengo che il capitano Kirk non avrebbe dovuto essere esautorato; si stava infatti comportando nella maniera migliore possibile e la sua azione o inazione non hanno messo in pericolo l'Enterprise, la missione o... – Per poco non disse "l'universo", ma questo suonava comicamente grandioso. – O qualsiasi altra cosa. Raccomanderò l'apporto di modifiche anche nei monitor di comandò. Non vi furono ulteriori testimonianze e Kirk aggiornò la riunione; quando la sala fu vuota, si avviò verso il suo alloggio, ma a metà strada venne chiamato dalla Mason. – Vi posso parlare, capitano? – Certo. La donna gli si affiancò, ma tenne lo sguardo fisso dinanzi a sé. – Cosa ne pensate dei monitor, capitano? Personalmente, intendo. – Volete finire l'articolo?
– Non lo so. Non mi sento una giornalista in questo momento, anzi non so con esattezza che cosa sono. Mi sono lasciata coinvolgere dalla storia e ho perduto la mia obiettività. Raggiunsero la porta dell'alloggio. – Vi dirò il mio parere personale, ma in via ufficiosa. – D'accordo. – Ufficiosamente... – ripeté – credo che i monitor avessero ragione. Ho la sensazione che sparare contro la stazione ci abbia dato qualche secondo, magari qualche minuto in più. Non so come, ma è quello che sento. Ho esitato perché ero troppo preoccupato per Spock, per i vulcaniani, per voi... troppo preoccupato. – Aprì la porta ed entrò nell'alloggio. – Chiederete la rimozione dei monitor? – domandò la Mason. Kirk scrollò le spalle. – Sapete, c'è un altro aspetto della questione. – Sempre in via ufficiosa? – Sì. Se non ci fossero stati i monitor, se non avessi intuito che avrebbero preso il comando e sollevato la responsabilità dalle mie spalle, avrei aperto il fuoco contro la stazione? – Lo avreste fatto? – Non lo so. È un interrogativo che mi porterò nella tomba. Chiuse la porta e andò allo scrittoio per inserire alcune osservazioni nel suo diario personale, ma trascorsero parecchie ore prima che riuscisse a indursi a farlo. La Mason raggiunse Veblen nella sala ufficiali. – Volete sedere con me? – domandò il tenente. La donna assentì e prelevarono i vassoi dal cuoco automatico. – Suppongo che sappiate quale sia l'attuale pettegolezzo che circola a bordo – esordì Veblen. – È trapelata la notizia del contenuto del vostro rapporto. – Non ero sola. E non ero neppure l'unica umana: c'erano Chekov, Spock e sei vulcaniani sulla stazione. – Ma voi siete l'unica che può spiegare le motivazioni di Corona, o almeno è questa la voce che corre. È vero? La donna scosse il capo con aria sgomenta. – Dovrei essere una giornalista, non la protagonista di una storia a sensazione. Veblen la incitò a continuare e, quando lei rifiutò, le rammentò la loro precedente conversazione. – Da un fuoricasta a un altro – disse – come facevate a conoscere le motivazioni di Corona?
– Siete davvero molto curioso – replicò la Mason, e il suo sogghigno era volutamente cattivo. – Ho i miei motivi – insistette Veblen. – Pensavo poteste chiarire alcuni misteri. – Perché non lo chiedete personalmente a Corona? Tramite me, se ritenete sia possibile. – Volete dire... – Mangiate il vostro pranzo. Tutti abbiamo i nostri problemi. Quando si recò nell'alloggio di Uhura per il successivo periodo di sonno, la Mason ascoltò l'ufficiale addetto alle comunicazioni cantare alcune vecchie ninna-nanna africane, fra cui c'era una canzone che parlava di bambini che catturavano le nubi su una montagna molto antica e le cavalcavano dal tramonto all'alba. La Mason ebbe una reazione che non nasceva completamente dal suo intimo... una sensazione di profondo piacere e di nostalgia. Questo non l'allarmò e le fu anzi di un certo conforto. – Sapete – disse, quando la canzone terminò – quel signor Spock è davvero un tipo notevole. Uhura rise e si protese a prendere la mano della giornalista. – Brava ragazza – commentò, stringendole con affetto le dita. Diario del Capitano, Data Astrale 4997.54. Mentre lotto con alcuni pensieri che mi turbano profondamente, mi volto indietro a contemplare quanto è accaduto, e vengo sopraffatto da una sensazione di profondo stupore. Il mio equipaggio, io stesso... nessuno di noi è infallibile, tutti possiamo andare incontro a ogni tipo di errore. I vulcaniani sono... stavo per dire che sono "solo umani", ma quello che intendo esprimere è che anche loro sono limitati. Ora, ripenso alla testimonianza confidenziale della Mason e, per quanto abbia il sospetto che ci abbia taciuto molto, sono comunque meravigliato. Quale altro gruppo di esseri umani ha mai vissuto in maniera tanto vasta, stupefacente e completa come l'equipaggio di questa nave? Abbiamo visto molte cose, siamo stati in molti luoghi e abbiamo portato a compimento missioni che esulavano quasi dai confini dell'immaginazione, almeno per un tipo equilibrato e romantico come me. Qualche volta, tuttavia, penso che forse sarei stato altrettanto felice se avessi fatto il pilota di qualche nave stellare, fra i vari pianeti di un sistema. Perlomeno, in quel caso non avrei dovuto vivere con questa sofferenza, con la paura di non essere all'altezza del mio compito, con il timore che, se fossi stato lasciato a me stesso, forse la galassia... Dio, l'universo... non esisterebbero più. C'è qualcuno che possa
affrontare una simile prova, un simile giudizio? Che universo strano e incredibile è questo, se un grido proveniente dalla sua remota infanzia può echeggiare attraverso tutta l'eternità e rappresentare una simile sfida per me, per tutti noi.
FINE