MIGNON G. EBERHART LA CASA SEGRETA (Danger Money, 1975) 1 Quando gli alti cancelli in ferro battuto si profilarono al ch...
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MIGNON G. EBERHART LA CASA SEGRETA (Danger Money, 1975) 1 Quando gli alti cancelli in ferro battuto si profilarono al chiarore dei fari, l'auto si fermò dolcemente. I lampeggiatori si accesero e si spensero rapidi, in codice: un punto, un punto e un punto. Quel codice, Susan lo sapeva, veniva cambiato una volta la settimana. Quando le segnalazioni cessarono, ci fu una breve pausa, poi gli ampi cancelli si aprirono, azionati da un congegno elettrico. Nello stesso tempo, una guardia in uniforme, con una enorme fondina appesa al fianco, comparve e scrutò attraverso la luce del crepuscolo. Vide Greg e grugnì: «Oh, siete voi. Il grand'uomo mi aveva detto che sareste venuto oggi.» «Eccoci qui, infatti» esclamò Greg. La guardia, uno dei Clanser che il grand'uomo chiamava causticamente pensionati, si abbassò per vedere meglio Greg, e Susan che gli sedeva accanto. «La signorina?» «È la signorina Beach. Fa parte del personale dell'ufficio del signor Manders. Si occuperà della casa per qualche giorno.» La guardia grugnì di nuovo e si spostò per vedere il sedile posteriore. Milly Clanser gridò indignata con voce stridula: «Mi conosci! Anch'io mi fermo qui per vedere che tutto vada bene.» "Con questa Milly avrò delle noie. Se crede che avrà la colazione a letto si sbaglia" pensò Susan. Come sempre, però, intuiva quando doveva parlare e quando, invece, era il caso di tacere. La guardia emise un terzo, ansimante borbottio. La luce del giorno stava rapidamente tramontando. La parte di casa che si poteva scorgere oltre la curva dei pini e le macchie di arbusti ai lati del lungo viale che si estendeva davanti a loro non era illuminata. «Tutto a posto, mi pare» concluse la guardia alla fine della sua ispezione. «Suvvia, Col. Conoscete me e la signorina Clanser perfettamente» osservò Greg con la sua naturale bonarietà. «E va bene. A ogni modo il grand'uomo è qui.» Nessuno dei collaboratori di G.M. si stupiva mai qualunque cosa egli facesse, ma nella debole luce del tramonto parve a Susan che il viso di Greg
si fosse leggermente contratto per la sorpresa. Non si erano aspettati che G.M. li precedesse. «Oh!» si lasciò sfuggire Greg. Col Clanser borbottò di nuovo qualcosa, ma questa volta sembrava soddisfatto. «Sì, è arrivato con il suo elicottero. Ho udito il rumore. L'elicottero non è ancora ripartito, dunque lui è ancora qui. Non ha voluto fare il viaggio con voi, eh?» «Può darsi che non gradisse la nostra compagnia» ridacchiò Greg. Col rise allo stesso modo. Milly disse, dal sedile posteriore: «Proseguiamo verso casa. Fra poco sarà buio.» Col spinse la testa dentro al finestrino dalla parte di Greg. «Come stai Milly? Come va la vita?» domandò. Ludmilla Clanser non parve disposta a prendere un Clanser di grado minore sul suo ampio petto. «Che ne è stato di quel distributore che la cara Rose ti ha comprato?» la sua voce era di ghiaccio. «Non ce l'hai fatta, vero? Così hai un posto qui.» «In fin dei conti, Rose è mia cugina... e tua sorella.» «Andiamo in casa» ripeté Milly. «Possiamo passare?» domandò Greg a Col, rispettando la formalità che vietava di entrare senza l'esplicita autorizzazione della guardia. Col annuì e Greg partì. Mentre percorrevano il viale, Susan ebbe l'impressione di vedere Col Clanser compiere un gesto irrispettoso nei riguardi di Ludmilla Clanser. Era un lungo viale. I pini premevano ai lati e la luce di quel tramonto d'ottobre sembrava ammassarsi in dense ombre blu oltre il sentiero luminoso tracciato dai fari della macchina. A una curva, ebbero improvvisamente l'intera visione della casa. Quello che Susan vedeva era decisamente brutto: lustri mattoni rossi e inferriate dovunque. Gli alberi e gli arbusti in quel punto circondavano la casa tanto da vicino da non lasciare che un fazzoletto di prato, dall'aspetto bruno e riarso. Greg guidò la macchina di fronte a un ingresso tutto vetri e ferro battuto. «Eccoci arrivati» disse, e spense il motore. Il silenzio dei boschi calò di colpo su di loro. Poi Milly cominciò a lottare con la sua montagna di indumenti e di sciarpe, Greg aprì la portiera e cominciò a estrarre le borse e le scatole di provviste che si erano portati dalla città. Susan scivolò fuori dalla macchina e andò ad aiutarlo. «State attento» disse. «Mi sembra che ci siano le uova in quella scatola.» Avevano fatto le provviste insieme, lei e Greg, prima di partire. «Nessuno mi dà una mano?» disse Milly in tono lamentoso.
Le rispose Greg. «Susan e io vi togliamo questa roba d'attorno.» Lui e Susan entrarono in casa. La grande porta a vetri non era chiusa a chiave, dunque doveva essere vero quello che aveva detto Col, che il grand'uomo era là. Destreggiandosi alla meglio con le braccia cariche, Greg accese la luce nel vestibolo. Un vestibolo sorprendentemente fastoso, che, a quanto sembrava, immetteva in un atrio più grandioso ancora. «Porto questa roba in cucina» disse Greg. C'era anche una porticina che conduceva fuori dallo stupefacente vestibolo, tutto marmi e specchi. Greg la spinse e Susan lo seguì, attraverso un breve andito, in cucina. C'era ancora abbastanza luce da poter vedere il bianco brillante dei fornelli e del frigorifero e dei lunghi ripiani. Un pacco parve sfuggire dalle braccia di Greg. Egli balzò con uno scarto verso il più vicino ripiano, senza però riuscire a evitare che la scatola dei pomodori scivolasse sul pavimento. Borbottò qualcosa, mentre si chinava a raccoglierli. Susan passò oltre fino a un punto vicino alla finestra e, mentre si liberava del suo peso di pacchi e pacchetti, guardò fuori ed ebbe la rapida visione di un uomo che correva velocemente verso i boschi e il muro di cinta. «Greg!» esclamò. «Che c'è?» «C'è un uomo! Guardate.» Greg scivolò su un pomodoro schiacciato, imprecò di nuovo e mentre cercava di rimettersi in equilibrio, l'uomo che correva si voltò per gettare alla casa un rapido sguardo. Susan riuscì a malapena a vederlo sotto il cappello tenuto basso sul viso. Poi scomparve, proprio mentre Greg, riuscito a rimettersi in piedi, si avvicinava per guardare. «È andato, ma era là. L'ho visto, correva.» «Era G.M.?» «No, no. Sono sicura che non era lui.» «Allora era il pilota dell'elicottero, Snell Clanser.» «Perché correva? C'era qualcosa di sospetto, qualcosa fuori posto in quella figura che si allontanava di corsa e nello sguardo che ha gettato indietro verso la casa.» «Vorrà essere di ritorno all'eliporto più presto che può.» L'elicottero del grand'uomo veniva custodito all'eliporto di Madilson a New York. Ma egli aveva fatto abbattere una parte di bosco oltre la casa e il muro di cinta, per costruire una piazzola, nascosta dall'alto muro e dagli alberi che circondavano la casa. Greg e Susan stettero in ascolto. I minuti passavano. Finalmente udirono
il colpo sordo della messa in moto e il rombo dell'elicottero che si alzava. «Doveva per forza essere Snell» osservò Greg. Susan sapeva che Snell era un altro della tribù dei Clanser, un ex aviatore. La diceria che correva in ufficio era che quando Snell aveva preso di tanto in tanto a ubriacarsi, il signor Manders aveva avuto compassione di lui e gli aveva dato un lavoro. Greg e Susan continuarono a guardare e ascoltare. Sembrò passasse molto tempo prima che il ronzio dell'elicottero diminuisse gradatamente in lontananza. Milly parlò irritata dalla porta d'ingresso: «Ma non c'è proprio nessuno che mi aiuti a portare la valigia?» Un po' d'esercizio non le avrebbe fatto male, pensò duramente Susan. Era troppo grassa e avrebbe dovuto fare un po' di moto per dimagrire. Susan non sapeva che età avesse e non si curava di saperlo. Si allontanò dalla finestra e si chinò a raccogliere i pomodori caduti. Greg brontolò qualcosa e uscì, passando accanto a Milly. «A proposito, qual è la mia stanza?» domandò MilDora Clanser, da lungo tempo segretaria particolare del grand'uomo, aveva dato minuziose istruzioni a Susan sulla casa che G.M. teneva segreta e sui compiti che doveva svolgervi. Ma se lo stesso grand'uomo era presente, parve a Susan doveroso annunciare a lui il loro arrivo. Fece per rispondere a Milly, ma Milly era uscita di nuovo. Susan tornò nel vestibolo, poi passò nel grande atrio. Una scala con la balaustrata in ferro battuto e il corrimano ricoperto di velluto rosso portava al piano superiore. Poiché il grand'uomo non si era affacciato a nessuna delle stanze che si aprivano sull'atrio d'ingresso, e nessuna era illuminata, Susan pensò che fosse al piano superiore nell'ampia camera da letto, che, come le era stato detto, egli usava di rado. Stava facendosi buio anche al piano di sopra. Cercò un interruttore, e lo premette, facendo splendere un grande lampadario a molte luci. Salì. A quanto sembrava il suo datore di lavoro, Gilbert Manders, non si era accorto del loro arrivo. Le era stato detto quale camera doveva occupare: una piccola stanza in cima alle scale a destra, che aveva una cassaforte posata sopra al camino. Anche qui cercò l'interruttore e lo trovò. Trovò anche Rose Manders. Rose non aveva certamente udito il loro arrivo. Giaceva riversa sul pavimento. Sul suo vestito attillato, verde pallido, si andava allargando una chiazza rossa. Aveva gli occhi aperti, il volto incavato. Una stola di pelliccia le giaceva accanto. Susan si rese conto di aver gridato solo quando udì Greg salire a precipi-
zio le scale. Doveva averlo chiamato disperatamente. Greg entrò nella stanza e vide Rose. Le si inginocchiò accanto, si chinò su di lei, le sentì il polso e le tenne il vetro dell'orologio davanti alle labbra. "È per vedere se respira ancora" pensò confusamente Susan. Greg rimase poi accovacciato a guardare la morta. «Non so cosa fare» disse, come se parlasse a se stesso. Milly entrò ansimando nella stanza, diede un'occhiata a Rose e a Greg, e gridò anche lei. Mandò un urlo che sembrava quello di una locomotiva. Nessun essere umano può gridare in questo modo, si disse Susan come inebetita, ma Milly lo fece e svenne. Svenne sul letto, per fortuna, perché né lei né Greg sarebbero stati in grado di sollevarla. Greg si raddrizzò lentamente. «Cercherò di trovare G.M. Ci sono delle linee telefoniche rosse giù, delle linee d'emergenza. Linee dirette...» Uscì in fretta e scese le scale di corsa. Doveva aver fatto dei gradini in più oltre quelli che conducevano al pianterreno. Susan se ne accorse perché seguiva mentalmente i suoi passi. C'era solo una cosa da fare: chiamare la polizia. Milly rinvenne all'improvviso, si alzò e si trascinò barcollando accanto a Susan, che si sentiva irrigidita come se fosse stata un blocco di ghiaccio. Guardò a lungo Rose, poi si chinò, raccolse qualcosa di lucente e disse: «Lo ha fatto lei con questa, naturalmente.» Quella che Milly aveva raccolto era una rivoltella. Un remoto avvertimento si agitò nella mente di Susan. «Non dovete toccare quella cosa» disse. «Non dobbiamo toccare nulla. La polizia...» Gli occhi verdi di Milly, del verde chiaro dell'uva spina, si spalancarono come se volessero uscirle dalle orbite. «La polizia...» Aprì la bocca per gridare, ma ci ripensò e disse, invece, cacciando la rivoltella in mano a Susan: «Io non avrei mai pensato a nulla di simile. Prendete questa. Mettetela in qualche posto.» «Ma io...» Susan sentiva di non poter reggere il contatto della rivoltella. Capì anche, fin troppo chiaramente, che in quel modo sarebbero rimaste sull'arma le impronte digitali di Milly, e le sue. «Io ho paura delle armi» proseguì Milly. Anche Susan aveva paura. Si guardò attorno nella stanza (instabile ai suoi occhi come la cabina di una nave, in movimento e ferma al tempo stesso) poi si mosse per andare ad appoggiare la rivoltella sulla mensola del caminetto. Milly ansimò con voce strozzata: «La cassaforte! È aperta! La cassaforte!»
Spostò la propria mole attorno a Rose e scrutò nella cassaforte. «Ma... ma... Non c'è dentro niente. Niente! Un ladro...» Susan stava per svenire. Non poteva rimanere in quella stanza. Qualcuno doveva tirar giù quella gonna verde attillata sopra le gambe di Rose. Si sedette sul letto. Milly continuava a guardare dentro la cassaforte. Greg salì di nuovo frettolosamente le scale ed entrò nella stanza. «Non riesco a trovare né lui né Dora» disse. «Mio Dio, Susan, la conferenza è fissata per la prossima settimana. Dobbiamo fare qualcosa.» «E là c'è la rivoltella» mormorò Susan indicandola con un cenno del capo. Greg attraversò la stanza verso il caminetto, guardò l'arma senza toccarla, poi si rivolse di nuovo a lei: «L'avete toccata?» «Io... sì. L'ha trovata Milly e l'ha raccolta... e me l'ha messa in mano.» «Sciocca che siete» disse Greg a Milly. «Ma si è uccisa. È chiaro. Povera Rose! Non riusciva più a sopportare il modo di fare di Gilbert. Mandare questa ragazza, Susan Beach, in questa casa.» Milly girò la massiccia persona verso Susan. «Credo che vi aspettaste di prendere il posto di Dora. La nuova segretaria amante. Rose non ha potuto sopportarlo! È ovvio.» Greg la prese per le spalle. «State zitta» le intimò. Lei schiuse le labbra pallide sulle quali il rossetto formava come una striatura di sangue in superficie, ma non replicò. Greg, con una voce che Susan non gli aveva mai udito, riprese: «G.M. vi ha mandata qui proprio per prevenire dei pettegolezzi su lui e Susan. Avete abbastanza buonsenso per arrivare a capirlo.» Milly si riprese un poco e disse, avvilita: «Potete anche dirmi che Dora passava tanto tempo qui sola con Gilbert per ragioni di lavoro. È perfettamente chiaro. Ma ne ha avuto abbastanza di Dora e adesso...» «Non è affar vostro.» Rivolgendosi di nuovo a Susan, Greg disse: «Dobbiamo chiamare la polizia. Ho usato le linee d'emergenza, giù, nel seminterrato. Ho chiamato per prima la Casa Bianca» annunciò con una specie di sogghigno, smentito dalla serietà dello sguardo. «Chiunque abbia risposto, ignorava dov'è G.M. Poi ho telefonato in ufficio. Nessuno. Ho telefonato a casa di Dora. Non ha risposto. Non conosco tutti i numeri delle linee rosse e ho abbandonato qualsiasi tentativo. Ho avuto paura a chiamare Londra o Parigi o Dio sa che altro. C'è una linea telefonica normale, nella camera da letto di G.M. Chiamo la polizia da lì.» Sembrò aspettare l'assenso di Susan. Lei annuì. «È quello che il signor Manders ci direbbe di fare» disse.
«Il signor Manders!» l'apostrofò Milly. «Non lo chiamate così quando siete sola con lui.» Greg stava attraversando di corsa l'atrio e non la udì. "Buon per voi" pensò Susan dandole un'occhiata. «Lo chiamo signor Manders perché questo è il suo nome. È il mio datore di lavoro. Era un amico di mio padre.» «Cara, cara» esclamò Milly sarcasticamente. «Così vi ha mandata qui in questo... questo nido d'amore. Non ancora del tutto arieggiato dopo Dora.» «Dora è la sua segretaria privata e assistente, da anni.» Milly annuì. «Oh, sì, da anni.» «Non è... non... non dobbiamo star qui a parlare in questo modo.» «Rose non può udirci» disse Milly, con freddezza. «Io sapevo tutto su Dora.» Dora Clanser era la prima assistente del grand'uomo. Era alla testa del suo ufficio di New York. Sapeva tutto sugli affari del grand'uomo, o almeno così si diceva. Aveva dato a Susan delle istruzioni. Era superiore a Susan per età e di gran lunga superiore nella gerarchia dell'ufficio. Susan udì la voce di Greg provenire da una camera da letto in fondo all'atrio. «...è così. Non so che cosa sia accaduto. Io... sono appena arrivato. No, il signor Manders non c'è. Non sappiamo dove sia andato. Sono venute qui con me una segretaria dell'ufficio e la sorella della signora Manders. Dite a Col Clanser, al cancello, di lasciarvi entrare. No, glielo dico io. Userò il citofono. Va bene.» Susan sentì che non le era più possibile rimanere in quella camera con Rose, ma non poteva lasciarla con le gambe scoperte a quel modo. Sentì su di sé lo sguardo attento di Milly, mentre si dirigeva verso il cadavere. Non poté guardare la faccia incavata ma tirò giù delicatamente la sottana. Milly scosse le spalle, andò alla porta, tornò indietro per agguantare la stola di pelliccia di Rose e uscì dalla stanza dietro a Susan, trascinandosi faticosamente e ansimando. Greg le incontrò nell'atrio. «Ho parlato con la polizia. Avvertono il medico legale di venire. Non c'è niente altro da fare, ma vorrei non avere il pensiero di quel convegno.» «Che convegno?» domandò Milly con irruenza. «Mi ha detto di venire qui per qualche giorno, ma non mi ha parlato di convegno.» Greg posò su di lei uno sguardo stanco. «Finanzieri, industriali. Doveva essere un incontro segreto. È lo scopo di questa casa.» «Oh, so bene a che cosa serve questa casa.» Milly sollevò le rade sopracciglia. «Gli serve per le sue amanti.»
«È una casa fuori della casa. È un luogo dove può ricevere con formalità e tuttavia familiarmente. Dove si può parlare senza il timore di essere spiati, visti e uditi. Perché credete che Col sorvegli la casa?» «Oh, Col...» «I grandi uomini vanno e vengono e qualche volta non deve circolare nemmeno un bisbiglio sui loro colloqui. G.M. si è fatto costruire questa casa per tale scopo e voi lo sapete bene.» «Ha mandato qui questa ragazza.» «Naturalmente. Deve avere chi lo assista nel ricevere gli ospiti, qualcuno che si occupi del pranzo.» Gli occhi di Milly s'oscurarono e presero un'espressione di scherno. «Volete dire che cucini?» «Oh, no» replicò Greg in tono distratto. «Ingaggia dei fornitori esterni per questo. Portano i pasti a domicilio, li servono e se ne vanno. Sono fornitori scelti accuratamente e pagati per tenere la bocca chiusa. Citofono a Col per dirgli quello che è accaduto e per avvertirlo di lasciar passare la polizia.» Conoscendo la casa, andò senza esitazione a un citofono a muro. Col doveva aver risposto immediatamente alla chiamata di Greg. «Col è successo... è successo qualcosa qui. Non importa. Volevo soltanto avvertirvi di lasciar entrare la polizia quando arriva. Sì, ho detto la polizia. Ci sarà anche un medico. Diavolo, vi mostrerà i documenti se glieli chiedete, ma non è necessario. No, non posso dirvi altro, ora. Devo mettermi in contatto con il signor Manders.» Appese il ricevitore, prese Susan gentilmente per un braccio. «Voi due andate nella camera da letto del signor Manders e chiudete la porta. Prima o poi la polizia dovrà interrogarvi, ma avranno da fare, prima. Non c'è ragione che assistiate... voglio dire...» «Grazie» disse Susan. Le condusse in una grande camera da letto all'estremità della casa. Milly fece il tragitto ansimando. «State qui. Io tornerò appena possibile.» Accese la luce e uscì chiudendo accuratamente la porta dietro di sé. «Bene» osservò Milly. «Devo dire che questo giovanotto crede di avere dell'autorità.» «Sì, penso che ne abbia. È l'assistente del signor Manders.» Milly si guardò attorno. Su un tavolino accanto al letto c'era una lampada. L'arredamento era quasi spartano nella sua semplicità. Lo sguardo di Milly indagò avidamente su una scrivania e un cassettone. Susan stava per
dire: "Non tiene nessun documento qui" ma ancora una volta tacque. Si sentiva come paralizzata e si sedette perché le ginocchia non la reggevano. Milly scelse per sé l'unica sedia comoda della stanza, che scricchiolò sotto il suo peso. Accarezzò la stola di pelliccia e guardò Susan. «Rose ha lasciato un bel testamento. Aveva molto denaro. È di lì che Gilbert ha preso il via.» Susan sapeva qualcosa di quella storia, ma non molto. Milly continuò, assorta: «Rose era morta solo da pochi minuti quando l'abbiamo trovata. Posso dirlo.» Solo allora Susan si ricordò dell'uomo che aveva visto allontanarsi di corsa, e del rombo dell'elicottero che si alzava in volo e partiva. Il pilota doveva essere Snell Clanser. 2 Ma Snell Clanser non poteva sapere della morte di Rose, altrimenti avrebbe chiamato aiuto, non avrebbe lasciato che Rose si uccidesse. Era uno dei Clanser che dipendevano da lei per il lavoro. Ciò significava che dipendeva dal grand'uomo. Il grand'uomo era veramente un grand'uomo. Era chiamato così da una parte del personale del suo ufficio. Altri, come Greg, lo chiamavano con le iniziali del nome, G.M. Ma in qualunque modo uno lo chiamasse, era un grand'uomo. Susan lo sapeva perché suo padre era stato uno dei suoi amici e quando era morto, il grand'uomo si era preso la briga di scriverle un biglietto per offrirle un amichevole appoggio, se le occorreva. Molto presto Susan si era resa conto che aveva bisogno almeno di un lavoro. Aveva messo insieme tutto il denaro che aveva potuto, aveva frequentato una buona scuola, e aveva appreso quello che era possibile apprendere di stenografia, archivio, contabilità, lavori d'ufficio in genere. Poi si era armata di coraggio e aveva chiesto un impiego a G.M. Lui si era ricordato di lei, l'aveva convocata immediatamente e l'aveva assunta. Le aveva detto che Dora, cioè la signora Clanser, le avrebbe spiegato tutto quello che c'era da sapere. Aveva aggiunto qualche parola d'incoraggiamento, le aveva dato un colpetto sulla spalla e le aveva detto che non doveva essere nervosa perché in poco tempo avrebbe preso pratica del lavoro. Lei aveva cominciato in quel momento ad ammirarlo come un eroe. Aveva intuito alcune delle sue attività, sebbene lui fosse molto riservato, e tutto il personale dell'ufficio sapesse tenere la bocca chiusa. Tuttavia il
suo nome era noto e rispettato in alte e oculate sfere. Il suo parere era ricercato da altri grandi uomini. Aveva una specie di genio in fatto di denaro e non amava pubblicità. Non appariva in nessuna rivista o giornale se poteva evitarlo. Tuttavia, la sua posizione era nota. Era un buon amico, ma si sapeva che poteva essere anche un temibile nemico. Milly, nondimeno, aveva ragione, per quanto riguardava il denaro di Rose. G.M. aveva cominciato a lavorare in un'agenzia di Borsa. Ben presto era diventato il consigliere di fiducia dei clienti, poi aveva conosciuto Rose, che era allora Rose Clanser Whitelaw. Il suo anziano marito era morto da poco, lasciandole un cospicuo patrimonio. G.M. aveva sposato Rose. Se fosse stato o no influenzato dalla sua ricchezza era un mistero, ma si era senz'altro servito del denaro di lei per imboccare i sentieri dell'alta finanza. Tutto quello che lui toccava si cambiava in denaro, e non per mera fortuna, ma per i suoi studi, per il suo prodigioso spirito di osservazione e intuito, per il suo senso del denaro. Aveva mano in molte imprese fortunate, che portavano la sua impronta. C'era denaro proveniente dal petrolio, denaro proveniente da banche e da miniere; c'era ogni genere di obbligazioni e di titoli di Borsa comprati con cautela e saggezza. La sua tacita fama era cresciuta fra gli altri finanzieri. Ma egli era un'anomalia. Non aveva mai sentito alcun interesse per la politica; mai aveva comprato o venduto quella che poteva essere chiamata influenza. Nel vasto mondo del denaro, tentacoli di società che gli appartenevano, o che controllava, si propagarono in tutto il mondo. Molte di tali compagnie erano senz'altro autonome; il suo controllo rimaneva nell'ombra. Ma il suo principale interesse era rappresentato dagli affari interni, non dal commercio con l'estero. Greg aveva spiegato qualcosa: "Patriottismo all'antica, circoscritto all'orto di casa" aveva detto. "Ed è anche un solitario, gli piace così." Ma G.M. aveva abilità e istinto. Conosceva il mercato. Quando tutti vendevano, sembrava che sapesse a che punto comprare. Sempre Greg aveva raccontato a Susan una storia strana e rivelatrice; nel pomeriggio del giorno funestato dalla tragedia del Presidente Kennedy, la Borsa sembrava impazzita. Tutti vendevano. C'era stato il tentativo di chiudere il mercato azionario, che però era dovuto rimanere aperto fino a quando il comitato della Borsa era stato in grado di dare il suo consenso. Nel frattempo, con le azioni che precipitavano come mercurio, il grand'uomo aveva continuato a comprare. Non perché avesse bisogno di investire del denaro, aveva detto Greg, ma semplicemente perché era un patriota e non poteva veder andare a pezzi la Borsa.
Il fatto che le azioni così acquistate ricuperassero quasi immediatamente il loro valore era stato incidentale, secondo Greg, ma era anche indicativo del genio finanziario di Gilbert Manders, a voler guardare la cosa con freddezza. Susan, però, non la guardava con freddezza, e nemmeno Greg. Lei aveva anche saputo, sempre da Greg, benché egli parlasse di rado di G.M. e dei suoi affari, che il grand'uomo aveva ripagato Rose al cento per cento del denaro che gli aveva dato agli inizi. Si era anche sobbarcato un'armata di parenti di Rose, in parte perché Rose lo desiderava, pensava Greg, in parte perché aveva la sensazione di doverglielo. Le due guardie, Col Clanser, e l'altra, Wilfred Clanser, erano parenti di Rose, cugini, rammentava Susan, o forse secondi cugini. A Milly era stata data una casa nella parte alta di New York e abbastanza denaro da vivere comodamente. Nonostante ciò, approfittava della generosità di Rose (e, se possibile, anche della sopportazione di Gilbert Manders) per concedersi lunghi soggiorni nello sfarzoso appartamento della Quinta Avenue, che Gilbert Manders aveva acquistato per Rose e dove lui abitava raramente. Susan aveva visto l'appartamento una volta, quando Dora l'aveva mandata a consegnare una busta di documenti a G.M. che in quel momento era a casa. Ma non doveva starci molto, aveva pensato Susan, suo malgrado, e non se la sarebbe sentita di biasimarlo, dopo aver visto Rose e l'appartamento. Milly era là, in quel momento, e le aveva rivolto un lungo sguardo scrutatore con quei suoi occhi verdi. Per desiderio di Manders, era venuta anche Rose a salutarla nella lussuosa biblioteca, seguita da due cagnolini che abbaiavano perché Susan era una sconosciuta. Rose era enormemente grassa. Il suo viso sembrava un pallone bianco e rosa. Aveva i capelli di un biondo acceso, tutti scarmigliati. Appariva incredibilmente sciatta in una vestaglia color rosa pallido, piena di macchie. I cani avevano annusato i tacchi di Susan con un leggero brontolio. Era arrivato anche un gatto siamese, che aveva dato a Susan un'occhiata assorta con gli occhi blu. Rose aveva tentato di prenderlo in braccio, ma il gesto non era stato gradito. Il gatto aveva lottato nella stretta delle sue braccia grasse e bianche, poi aveva tirato fuori le unghie. Con un grido, Rose lo aveva lasciato cadere. Il gatto era andato ad arrampicarsi sullo schienale della poltrona dalla quale G.M. si era appena alzato. Lo aveva fatto senza sforzo alcuno ed era rimasto là, a guardare Susan, con quei suoi occhi azzurri, nella maschera nera del suo piccolo muso. Dopo aver dato i documenti a G.M., Susan si era accomiatata e aveva
preso l'autobus per tornare a casa, senza riuscire a distogliere il pensiero da quell'appartamento. Era, ovviamente, enorme. In origine, doveva essere stato arredato da un buon architetto, ma Susan non poté impedirsi di pensare che a guastare tutto nel salone fosse stato lo zampino di Rose, o meglio la sua mano grassa e bianca. Susan si era guardata in giro di sfuggita, riportandone l'impressione di qualcosa di orripilante. Tendaggi di taffetà rosa increspato, cuscini coperti di trine non immacolate, un'abbondanza di false poltroncine francesi tutte ori e satin. Nessun buon arredatore le avrebbe tollerate. In quella rapida occhiata, Susan aveva visto, anche, che c'erano zone di polvere su un tappeto Aubusson e delle macchie che facevano pensare, forse a torto, che i cani non venissero portati all'aperto con la dovuta assiduità. Per il gatto doveva esserci qualche arnese di ripiego. La colpì, infatti, nell'appartamento, un odore di gatto che un forte profumo di deodorante cercava inutilmente di soverchiare. No, non poteva biasimare G.M. se lasciava che i suoi affari lo tenessero tanto spesso lontano da casa. Non sapeva, in quel momento, che aveva un altro appartamento in un albergo. Nemmeno Rose lo sapeva. Susan ne era venuta a conoscenza solo più tardi, un giorno che Dora era andata a Washington con G.M. e avevano consegnato a lei alcuni conti da pagare. Così aveva trovato un assegno per l'affitto. C'era anche un altro assegno, e questo le parve enorme, per le spese dell'appartamento della Quinta Avenue. Ma anche se era lui a pagarlo, evidentemente non poteva resistere ad abitare in quella casa con quella sciattona di Rose, i cani, il gatto, i tendaggi rosa increspati. E l'odore. S'era domandata, allora, come Rose riuscisse a tenere dei domestici. Seppe più tardi che non ci riusciva. Una delle incombenze che Dora le aveva affidato consisteva nel cercare fin troppo spesso del personale di servizio presso le agenzie di collocamento, a salari che le sembravano esorbitanti. Un'altra delle abitudini di G.M. era di tenere ben poco personale d'ufficio, poco in rapporto al denaro che aveva e all'enorme complesso di affari che controllava. C'erano dattilografe, contabili e segretarie come Susan. C'era il servizio legale in uffici staccati di un piano dagli uffici di G.M. Susan aveva visto poco del servizio legale, ma credeva che anche lì il personale non fosse molto. G.M. non aveva alle sue dipendenze addetti alle pubbliche relazioni. Non impiegava spie o persuasori occulti. Era davvero, come aveva detto Greg, un solitario, ma un solitario non comune, il cui parere era ricercato e sollecitato da altri grandi uomini, che a loro volta erano
in grado di tenere consiglio con uomini di governo. Susan non sapeva nulla di tutto questo. Fra il personale dell'ufficio, per quanto relativamente limitato, non correvano chiacchiere. G.M. non era uomo da permetterle e tutti nell'ufficio lo sapevano. Tuttavia, qualche diceria sembrava circolare spontaneamente. G.M. non voleva ferire Rose, alla quale doveva tanto, ma correva voce che Dora Clanser fosse la sua amante e da lungo tempo. Era un'altra Clanser, ma Clanser era il nome che aveva preso dal marito. Suo marito era stato Ligon Clanser. Erano divorziati da anni. Dora era eccellente nel lavoro d'ufficio: brava, vigile, acuta e indubbiamente di bell'aspetto, anzi bellissima, con dei capelli biondi naturali, occhi scuri languidi, che sapevano diventare risoluti all'occasione, la pelle vellutata, una figura sempre molto ordinata e attraente, degli abiti certo costosi, ma eleganti e appropriati. Oh, sì, Dora era durata a lungo. Era stato necessario molto tempo a Susan per far combaciare il mosaico delle sue intuizioni, ma G.M. rimaneva per lei oggetto di venerazione. Dopo aver visto Rose, non lo avrebbe biasimato nemmeno se avesse tenuto un harem, purché fosse stato un harem assai discreto. Non poteva pensare a Rose in quel momento, a quella grassa, scarmigliata, patetica figura, così spaventosamente riversa nella stanza della cassaforte. Ma non riusciva a cacciarne l'immagine dalla mente. Vi sarebbe rimasta per sempre, pensò, con un brivido freddo, come se la casa fosse diventata d'improvviso gelata. Rose poteva aver avuto delle ragioni per uccidersi. Se si fosse resa conto di come aveva tragicamente perduto G.M., per esempio, e si fosse lasciata trascinare a quello spaventoso atto finale. Tuttavia, per quanto poco sapesse di Rose, Susan non credeva verosimile che si fosse suicidata. Ma naturalmente c'erano ben poche spiegazioni a quel tragico avvenimento. Suicidio, o disgrazia, o assassinio per furto. La cassaforte era stata aperta. Un uomo era scappato via dalla casa, gettandosi alle spalle uno sguardo furtivo prima di sparire, e presumibilmente si era allontanato con l'elicottero. Doveva essere stato Snell Clanser, qualcuno che aveva portato lì Rose. E se le avessero sparato? Oh, no, pensò Susan con uno scatto di repulsione. Non può essere stato un delitto. Forse la polizia lo avrebbe definito un incidente. Era buio fuori dalle finestre, quando udì alcune voci e passi di uomini su per le scale e nella stanza dove Rose giaceva, in un patetico ammasso di
capelli spettinati, vesti spiegazzate e grosse gambe. Era contenta di averle abbassato la sottana. La cassaforte nella stanza era aperta, ma Dora le aveva detto che G.M. non teneva mai nulla di valore nella casa segreta. La cassaforte doveva servire come deposito di annotazioni dopo le conferenze. Le note venivano poi portate negli uffici di New York o nell'appartamento di G.M. in albergo. Alla fine, i passi lungo le scale si fecero più numerosi e pesanti. Dunque il primo controllo medico era finito e stavano portando via Rose, portavano quel corpo goffo e pesante giù per le scale. Susan ringraziava il cielo che le fosse risparmiato di vedere il viale e le luci dei fari delle auto che a quell'ora dovevano essersi assembrate: auto della polizia, un'ambulanza, l'auto del medico legale. Era buio fitto dopo il rapido tramonto d'ottobre. Anche Milly doveva essersi accorta che qualcosa stava accadendo, perché andò alla porta, vi premette contro una guancia e stette in ascolto. Nel voltarsi verso Susan, si portò rapidamente una mano sul grosso petto, come per calmare il cuore. «La mia Rose! La mia cara Rose! Sparita per sempre» disse. C'erano parecchi libri sul tavolino da notte, insieme a una piccola sveglia. Le dita di Susan si allungarono per afferrare un libro da scaraventare contro Milly. Un libro o la sveglia. Ma poteva rompere la sveglia, pensò, con cattiveria. Poi rimproverò se stessa. Doveva imparare a controllarsi se lei e Milly dovevano rimanere in quella casa insieme. Ma ora, naturalmente, avrebbero anche potuto non starci. G.M. poteva cambiare idea, cambiare la data del convegno, fare qualsiasi cosa in considerazione della morte violenta di Rose. Milly si mise di nuovo in ascolto. «Stanno andando via. Hanno chiuso la porta del vestibolo. Ecco! Ecco, c'è una macchina che sta mettendosi in moto.» Aprì la porta della camera da letto e guardò sul pianerottolo. «Non sento niente. Ce n'è voluto di tempo. Non capisco. Vado a dare un'occhiata.» Scomparve nella direzione della camera dove avevano trovato Rose. Sì, ce n'era voluto di tempo, pensò Susan accorgendosi stupefatta che era rimasta là, raggomitolata senza muoversi, in quel grande letto dalla semplice coperta bianca, a tracciare col pensiero cerchi concentrici attorno a quello che sapeva e a quello che non sapeva di Rose e di G.M. Poi udì Greg salire le scale, Greg o un altro uomo dal passo svelto e pesante. Era Greg.
Si incontrò con Milly, che gli disse: «Che cosa hanno fatto? Che cosa hanno fatto della mia povera, cara Rose?» «Portata via» disse Greg brevemente. «Dov'è Susan?» «Là dentro. Seduta immobile come una pietra. Nemmeno una lacrima.» «Susan non sapeva...» Greg si fermò di colpo, comparendo sulla porta mentre Susan si alzava in piedi. «Sono riuscito a parlare con Dora al telefono» disse. «Le ho detto quello che è accaduto. Cercherà di mettersi in contatto con G.M., la polizia vuole parlarvi. Siete in grado? Non vi domanderanno molto. Ho detto tutto io.» «Va bene.» Susan si lisciò i capelli, si spianò la gonna marrone e si mise a posto la giacca. «Non vi seccheranno troppo. Ho detto io perché eravamo qui. Non vi preoccupate.» Milly li seguì giù dalle scale con passo ovattato, come un grosso pachiderma. L'atrio al pianterreno conduceva a quello che ovviamente era un salone da ricevimento. Le luci erano accese, così Susan poté vedere, attraverso quella splendida stanza, una sala da pranzo di pari bellezza, che poteva contenere almeno trenta ospiti a tavola. File di sedie lucevano contro le pareti. I tappeti erano a colori soffici e profondi. Il dipinto sulla mensola del caminetto doveva essere un Cézanne, pensò Susan. Milly, sempre tenendosi dietro a loro, borbottò: «Uhm, un nido d'amore.» Ma era tutto, tranne un nido d'amore. Il salone era di una grazia austera e dignitosa, che Susan sentì più che vedere perché Greg proseguì, scendendo due gradini, fino a una grande biblioteca. Anche di questa Susan avvertì la bellezza. Pensò che lì il grand'uomo poteva intrattenere i suoi ospiti in modo appropriato, come non avrebbe potuto nel disordine maleodorante dell'appartamento della Quinta Avenue, con Rose a fare gli onori di casa. Riuscì a cacciare dalla mente quelle immagini e a riprendersi quando si trovò davanti a un uomo in abito borghese che la stava aspettando. C'erano anche due uomini in uniforme. Le fu presentato l'uomo in borghese. Il suo nome era Lattrice e doveva essere incaricato di investigare sulla morte di Rose. I due uomini in uniforme avevano le rivoltelle nella fondina appesa alla cintura e non dissero una sola parola. In un angolo, dietro un lungo e lucido scrittoio, stava Col Clanser in piedi, con aria spaventata. Lattrice, che aveva il grado di sergente, come Susan scoprì ben presto, la invitò a sedersi. «Il signor Cameron» disse con un cenno della testa ben
pettinata a Greg «ci ha detto come siete capitata qui. Vorremmo ora il vostro racconto di quanto è accaduto, cioè lo vorremmo verbalizzare, se siete d'accordo. Se invece preferite consultare il vostro avvocato, prima di fare una qualsiasi dichiarazione, siete nel vostro diritto.» «Ma come, io...» Susan era sconcertata. «Non ho bisogno di un avvocato.» Lattrice fece scorrere una mano molto curata sopra i capelli scuri e si schiarì la gola. «Bene, vedete... signorina Beach, vero?... abbiamo ragione di credere che la morte della signora Manders sia dovuta a un caso, o a suicidio, ma è nostro dovere esplorare ogni strada aperta all'indagine. Lo capite, vero?» Susan si sedette. Le accadde di sedersi su una sedia imbottita, molto comoda, ma anche troppo grande. Arrivava appena coi piedi a toccare il tappeto orientale giallo pallido e verde, e la sensazione di non essere in equilibrio le riusciva in se stessa molesta. «Sì, certo, capisco. Ma noi l'abbiamo proprio trovata così.» «Eravate appena arrivata?» «Sì. Noi, cioè Greg, il signor Cameron, e io abbiamo portato delle provviste in cucina. Poi Milly, la signorina Clanser, e io siamo salite e l'abbiamo trovata.. la signora Manders.» «Non avete avuto nessuna impressione di quando fosse morta?» «No, no.» Milly proruppe: «Solo da pochi minuti. Era ancora calda.» Lattrice annuì gravemente. «Col Clanser...» guardò Col che sembrò rattrappirsi dietro lo scrittoio. Col aveva due occhi piccoli e sfuggenti e aveva bisogno di una rasatura. «Col Clanser dice che la signora Manders non è entrata dal cancello principale. Dice che deve essere arrivata in elicottero. Ha udito l'elicottero arrivare. E l'ha udito ripartire dopo che voi tre siete entrati in casa.» «Infatti.» «Così nessuno ha avuto il tempo di scappare. Eccetto il pilota dell'elicottero, naturalmente.» «Ma lui... Oh...» Susan si voltò verso Greg. «Quell'uomo! Quell'uomo che correva!» Nulla sembrò che cambiasse in Lattrice, tuttavia Susan sentì che si era prodotto in lui una specie di irrigidimento. Disse a Greg: «Un uomo che correva? Non me ne avete parlato.» «Non me ne sono ricordato» rispose Greg.
«Ma l'avete visto?» «A dire la verità, no. Eravamo appena entrati in cucina e stavamo scaricando le provviste. Susan, la signorina Beach, era andata alla finestra e ha detto che c'era un uomo che correva. Io mi sono mosso per raggiungerla, ma mi sono caduti dei pomodori, sono scivolato su uno di questi e nel tempo che ho impiegato ad arrivare alla finestra, l'uomo era scomparso. Abbiamo atteso fino a quando l'elicottero è partito.» «Siete riuscita a vedere bene quell'uomo, signorina Beach?» «Mi pare... cioè...» Si impappinò. "Non era il signor Manders" pensò inaspettatamente. «Era il pilota di cui si serve il signor Manders? Snell Clanser?» «Non lo so. Non ho mai visto il pilota.» «Ma potreste identificare l'uomo che correva, se lo vedeste di nuovo?» Susan esitò ancora. Chiuse gli occhi cercando di richiamarsi alla mente la scena con l'uomo che correva. Lattrice disse per aiutarla: «Alto o basso?» «Di media statura. Aveva il cappello calato sul viso. Ha guardato indietro verso la casa.» «Ma potreste identificarlo?» insistette Lattrice. Greg fece un movimento improvviso come per metterla in guardia, ma lei era troppo confusa, troppo scossa dal terribile avvenimento della morte di Rose per afferrare il significato. Disse lentamente: «Potrebbe darsi. Sì, nella giusta luce... sì, lo potrei.» Lattrice annuì. Greg si cacciò le mani in tasca e fissò il tappeto. Col Clanser gridò: «Io non l'ho visto. Non si vede di qui il cancello sul retro, il cancello che si apre sul sentiero del bosco che conduce alla piazzola. E non si vede nemmeno dal cancello principale, dov'ero io.» «Ah» disse Lattrice. «Il signor Cameron dice che è la prima volta che venite in questa casa, signorina Beach.» «È così.» «Mi ha detto che lavorate nell'ufficio del signor Manders e che voi e la sorella della signora Manders...» «Sono io.» Milly era in piedi, le braccia incrociate sul vasto petto con aria bellicosa. Lattrice annuì educatamente e riprese: «Dovevate fermarvi qui per vedere che la casa fosse in ordine per una riunione d'affari che il signor Manders aveva in programma per la prossima settimana.» «Sì» disse Susan.
«Quando avete visto il signor Manders l'ultima volta?» «Ieri pomeriggio.» «Che cosa vi ha detto?» «Non molto. Solo che la signorina Clanser sarebbe venuta con me. Ha detto che la signora Clanser...» «Volete dire la signora Dora Clanser?» Sembrava che l'investigatore si fosse preso la briga di informarsi, probabilmente da Greg. «Vi ha detto quali dovevano essere i vostri compiti?» «Sì. Dovevo solo vedere che la casa fosse a posto per ricevere gli ospiti che dovevano arrivare. Il signor Manders voleva che facessi le veci della padrona di casa al pranzo. Poi dovevo lasciare la sala da pranzo. Voglio dire che dovevo andare di sopra e rimanere con la signorina Clanser, non prima però di essermi assicurata che il personale ingaggiato per il pranzo avesse lasciato la casa.» «Le veci della padrona di casa!» esclamò Milly, sprezzante. Una voce si alzò nel vestibolo, poi due, una di esse alta e rabbiosa. L'investigatore andò alla porta della biblioteca e disse: «Portatelo dentro.» Un poliziotto in uniforme scese i due gradini tenendo un uomo per un braccio ed entrò. Col Clanser si fece avanti. «Mio Dio, Wilfred, non sai che cosa sta succedendo!» Il nuovo venuto girò lo sguardo su Col, sul sergente, su Greg e Susan e si scompigliò i capelli già spettinati. Si inumidì le labbra. Girò attorno a Milly e sogghignò. «Così sei qui. Non riesci a lasciar stare Rose, vero?» Milly non parlò. Greg disse in fretta: «Wilfred, è successa una disgrazia. La signora Manders è stata uccisa.» «Rose! Come, io non... non posso crederlo. Ma perché e chi l'ha uccisa?» «È stata una disgrazia» rispose Greg con fermezza. «Deve aver tirato fuori quella rivoltella che è nella cassaforte.» Il nuovo venuto, Wilfred Clanser, scosse il capo. L'ombra di un sorriso gli aleggiò sulla bocca rossa e flaccida. «Peccato! La rivoltella non ha ucciso lei, vero?» Milly si voltò verso di lui come se volesse schiaffeggiarlo. Wilfred si scansò bruscamente. Milly gridò con maestosa dignità: «Si è uccisa proprio mentre noi percorrevamo il viale e ha visto questa ragazza, questa Susan Beach. Rose sapeva che era il nuovo capriccio di Gilbert. La sua nuova donna. Così la mia povera, povera Rose, non ha più potuto resistere e si è
suicidata.» 3 In un cieco istante di rabbia, Susan desiderò di avere a portata di mano un'arma da usare contro Milly. Milly! G.M. le aveva chiesto di chiamare quella grassona Milly perché aveva detto che ciò semplificava tutto. Con un sospiro aveva osservato che c'erano tanti Clanser, poi l'aveva mandata via rapidamente per dettare a Dora. Così, lungo tutta la strada venendo dalla città, lei si era ripetuta: Milly, Milly. Susan sentì su di sé gli sguardi allarmati degli uomini che erano nella stanza. Solo Greg non la guardò e lei intuì che era tutto preso dallo sforzo di dominarsi. Lo vide girarsi verso il sergente e dichiarare: «Non c'è una parola di vero in quell'accusa.» Wilfred Clanser rise apertamente. «Come lo sapete? Il grand'uomo è molto astuto e non c'è dubbio che le signore gli piacciano. La cugina Dora Clanser... l'ha avuta per molto tempo. Dov'è?» Greg riuscì a padroneggiarsi. «La signora Dora Clanser sta venendo qui.» Wilfred si passò una mano sulla bocca. «E dov'è il grand'uomo?» «Non lo so.» «È stato qui, oggi?» domandò Wilfred con un guizzo della stessa avida curiosità che aveva mostrato Milly. Un tratto di famiglia, pensò Susan duramente, e non piacevole. «No, non è stato qui, oggi» rispose Greg recisamente. «Ne siete sicuro, signor Cameron?» domandò il sergente. «Voi, la signorina Beach e la signorina Clanser siete arrivati nello stesso momento. Poteva essere venuto prima, durante il giorno.» «Avrebbe potuto, ma non credo che lo abbia fatto. Col, al cancello, lo avrebbe saputo.» Lattrice si rivolse a Susan. «Siete sicura che l'uomo che correva non fosse il signor Manders?» L'intimo convincimento di Susan che l'uomo che correva non fosse G.M. era basato su un indefinibile ma molto preciso istinto. «Ne sono sicura» disse decisamente. «Avrei riconosciuto il signor Manders.» «Ha visto qualcuno correre?» domandò Wilfred, di nuovo con una specie di morbosa curiosità. «Non importa» disse Lattrice bruscamente. «Quanto a voi, il vostro nome è Wilfred, mi sembra.»
«Wilfred Clanser, certo. Sono di guardia al cancello di notte, Col di giorno, facciamo due turni: uno di giorno e uno di notte. C'è una specie di portineria là, nascosta fra i pini, per quando fa freddo.» «Volete dire che la casa è sempre sorvegliata?» Entrambi, Wilfred e Col, annuirono. Uno dei poliziotti parlò rispettosamente: «Io abito nel villaggio, sapete, sergente. Tutti sanno che c'è questa casa e sanno che Wilfred e Col ne sono i guardiani. Hanno entrambi il porto d'armi. È...» deglutì impacciato e proseguì: «Qui attorno ci scherzano, sopra questa casa, sapete.» «Ci scherzano?» osservò Lattrice. «Be', vedete, c'è qualcuno che afferma che questo luogo serva al grand'uomo per incontrarsi con le sue amiche. O questo, o che tiene qui dei valori, denaro forse, o gioielli o qualche cosa che conta per lui. Ci scherzano» ripeté confuso. Greg, con calma: «Posso parlarvi in privato, sergente?» «Come no. Certo.» I due uomini salirono i gradini. Il rumore dei loro passi era attutito dallo spesso tappeto. Non vi fu il più lieve suono delle loro voci. Dovevano essere entrati in cucina, dove lei, Susan, si era fermata alla finestra e per pochi secondi aveva visto correre un uomo, che non poteva essere G.M. Cadde un profondo silenzio nella biblioteca, come se ognuno tendesse l'orecchio per udire qualcosa della conversazione privata. Susan, con aria assente, girò lo sguardo attorno alla stanza. I muri erano coperti di scaffali. C'erano delle comode sedie, un divano, un lungo scrittoio, uno scanno o due. Gli alari di ottone del camino di marmo nero striato di giallo pallido brillavano di una luce morbida e viva. Anche gli altri utensili del camino erano di ottone e brillavano alla luce della lampada accesa sullo scrittoio. La base della lampada, color verde pallido, doveva aver fatto parte di un bel vaso cinese. Anche lì c'era un quadro sopra la mensola del camino, questa volta un Utrillo, originale, pensò Susan. G.M. non era un collezionista nel senso comune della parola, aveva solo un senso istintivo della bellezza. Rose doveva essere stata bellissima, un tempo. La reazione allo spavento e all'orrore cominciava a serpeggiarle in tutto il corpo come una specie di gelo. In quel momento, la casa era calda, forse troppo calda. Col e Wilfred si erano avvicinati pian piano l'uno all'altro, quasi furtivamente, come se volessero parlarsi ma non osassero farlo apertamente per la presenza dei poliziotti. Milly, Susan ora lo capiva, era una
donna da temere. Non aveva nessun motivo che le desse il diritto di accusarla, ma l'aveva accusata e con una specie di maligno piacere. Susan cominciava a sentire che quella famiglia non le piaceva, non le piaceva in nessuna delle sue estese ramificazioni. Dora, naturalmente, non era una Clanser di nascita. Se le dicerie che correvano erano fondate ed era veramente l'amante di G.M. da anni, voleva dire che lui aveva buon gusto, rifletteva Susan. Per la prima volta provò un poco di avversione per Dora. D'altronde, se Dora era da anni l'amante di G.M. non era affar suo. Il pensiero che la sua avversione somigliasse molto alla gelosia le si affacciò per un attimo alla mente. Ma non poteva essere gelosa di Dora. Lei non aveva raggiunto l'esperienza di Dora e non aveva i suoi anni di pratica d'ufficio per competere con lei. Col raddrizzò di colpo la testa e altrettanto fece Wilfred. I poliziotti si misero in ascolto come dei terrier che subodorassero la preda. Anche Milly alzò la faccia da luna piena. «È l'elicottero» disse. Susan udì l'elicottero farsi sempre più vicino e le parve anzi che si appesantisse come se stesse per cadere sopra la casa. Il rombo e gli scoppi del motore si susseguivano. Finalmente cessarono. Tutti, forse, tirarono un sospiro di sollievo. Milly disse: «Deve essere Gilbert.» Si avviò verso il salone, ma un poliziotto le sbarrò la strada. «Toglietevi d'attorno, giovanotto» gridò lei. «Vi prego, signora. Il sergente mi ha dato ordine di trattenervi tutti qui.» Milly lo guardò con gli occhi che le uscivano dalle orbite. «Fate come vi dico!» gli ordinò con l'aria di volerlo spingere da parte. Ma lui non si mosse. Lei ansimò rabbiosamente. Il giovane poliziotto disse ancora: «Vi prego, signora.» Così Milly rimase ad attendere, in ascolto come gli altri. Passò molto tempo, tempo sufficiente, in ogni modo, perché chiunque fosse arrivato con l'elicottero potesse percorrere il sentiero dalla piazzola al cancello posteriore, e dal cancello posteriore alla casa. Ma il suono che giunse dall'atrio di là dal salone colse tutti di sorpresa. Si trattava infatti del miagolio indignato che solo un gatto siamese può emettere. Quasi nello stesso istante, un cagnolino dal pelo marrone, ispido, arrivò attraverso il salone e si fermò sopra i gradini. Girò gli occhi lucidi e vivaci attorno alla stanza, poi corse ad accucciarsi contro una gamba dell'enorme scrittoio. Un altro cane, ugualmente sporco e arruffato, comparve dietro al primo e si guardò rapidamente attorno. «Mio Dio» disse Milly «c'è tutto il serraglio.»
Inaspettatamente, Susan sentì dentro di sé una leggera ondata di simpatia per Milly. Intanto, il primo cane, addossatosi a un piede dello scrittoio, alzò una gamba, gravemente. Il secondo cane sembrò ispirarsi a quell'atto e andò a porsi nel mezzo del sontuoso tappeto. Un cerchio di bagnato si allargò prima che il poliziotto che aveva detto di abitare a Medbury Hills balzasse avanti. «Non potete fare una cosa simile qui» gridò. Ma non era possibile fermare quelle due fontanelle. Col ansimò come se gli mancasse il fiato, si fece di fiamma e gridò: «Devo pulire. Ci sono delle salviette di carta in lavanderia.» «Andate a prenderle» disse il poliziotto vicino alla porta. Col salì vacillando i gradini e attraversò pesantemente il salone accanto. Il gatto, ancora invisibile, lanciò un altro lacerante miagolio. Milly si lasciò cadere seduta nella più vicina poltrona. Per lei la misura era colma, a quanto sembrava. Il cane, accanto alla gamba della scrivania, si scrollò energicamente. Quello nel mezzo del tappeto continuò a spandere liquido con evidente soddisfazione, guardando con interesse uno per uno i presenti. Il poliziotto che abitava nel villaggio sollevò uno dei cani, senza incontrare resistenza, ma dovette attendere la femmina. Alla fine si prese anche quella sotto un braccio e, senza chiederne il permesso, si lanciò fuori. Dopo pochi secondi la porta del vestibolo si aprì e si richiuse. «Scapperanno» disse Milly senza pietà. «Oh, no» esclamò Susan. «No.» «Non preoccupatevi, signorina» osservò uno dei poliziotti. «Il mio collega li guarderà.» Il gatto, sempre fuori della biblioteca, fece udire un suono irriverente e parve che graffiasse qualcosa di friabile. «È il suo cesto» spiegò di nuovo Milly, ma come se parlasse a se stessa. «G.M. è qui. Deve averli portati lui.» Il miagolio e il graffiare del gatto si approssimarono. Dora comparve sui gradini, portando un cesto scosso dall'interno con violenza. Si guardò attorno, puntò i begli occhi scuri su Susan e disse: «Prendetene cura.» Mise giù il cesto. La bestiola, intanto, doveva aver posto le unghie in un punto strategico perché improvvisamente la chiusura del canestro scattò e il gatto emerse. Si calmò subito. Apparve corrucciato ma dignitoso, nonostante il pelo arruffato, il dorso flessuoso arcuato, gli occhi blu nel musetto nero che mandavano fiamme. «Volete dire...» incominciò Susan. Ma Dora la interruppe. «G.M. vuole che stiate qui, per il momento. Non
potevamo lasciare le... quelle bestiole» disse con disgusto «abbandonate nell'appartamento. Così G.M. ha detto di portarle qui e che voi ne avreste avuto cura.» Si tolse i guanti con l'aria di aver portato a termine una missione e di lavarsi le mani delle conseguenze. Susan guardò il gatto, la pozza in mezzo al tappeto, e domandò freddamente: «Avete portato una cassetta di sabbia?» «Una cassetta...» Dora spalancò gli occhi. Col riapparve, mormorò qualche parola di scusa all'indirizzo di Dora e la oltrepassò in fretta per andare ad asciugare il tappeto. Wilfred ghignò e tentò di nascondere il bagnato. Dora afferrò l'idea. «Non avete che da chiuderle fuori. Santo cielo, c'è tanto bosco qui attorno per correre!» Susan fece appello al proprio buonsenso. Si ricordò dell'odore di gatto che appestava l'appartamento della Quinta Avenue e sbottò: «Voglio una cassetta di sabbia per il gatto e la voglio subito.» Dora inarcò le sopracciglia setose, ma Wilfred, sempre con lo stesso ghigno sulle labbra, si fece avanti. «La preparerò io, la cassetta, signorina» disse. «Se i poliziotti me lo consentono.» I poliziotti sembrarono imbarazzati, ma uno di loro fece un gesto affermativo. «Andate. E portatevi dietro il gatto.» Dopo aver sfregato vigorosamente la pozza nel mezzo del tappeto, Col si diresse verso la gamba del dissacrato scrittoio, facendo ondeggiare metri di carta. Wilfred avanzò verso il gatto, che, comprendendone l'intenzione, lo guardò e scelse all'istante un posto palesemente più sicuro: saltò in grembo a Susan. Poi, aiutandosi con le unghie, le salì su una spalla, miagolando e soffiando, con il pelo dritto, contro Wilfred. Susan si rallegrò che le spalle della sua giacca marrone fossero leggermente imbottite. «Posso portarlo fuori io?» domandò. Rispose il medesimo poliziotto, con voce stanca. «Non so che altro fare. Va bene, andate, ma non allontanatevi.» Il gatto sembrò percepire la vittoria, quando Susan salì i due gradini, e passando davanti a Dora soffiò e annusò il suo costoso profumo. Si equilibrò meglio. Susan udì Milly dire, dietro di lei: «Dov'è Gilbert?» Udì anche la risposta di Dora. «È in cucina. Sta parlando con Greg e un uomo, un investigatore, credo. Faresti meglio a dirmi tutto. Che cosa è accaduto, esattamente?» Milly cominciò a raccontare. Nessuno la interruppe. Attraverso l'atrio, Susan andò nel vestibolo. La porta della cucina era chiusa, non si udiva
nessuna voce. Aprì la porta esterna. Un fiotto di luce si riversò fuori, illuminando la figura in uniforme del poliziotto fermo a sorvegliare i cani. Quello si voltò bruscamente nell'udire i suoi passi sul viale e si portò automaticamente, parve a Susan, la mano alla fondina della rivoltella. Quel gesto le diede una specie di tremito alla spina dorsale. «Mi hanno detto che potevo portar fuori il gatto» disse lei. «Non succederà niente? Voglio dire, non si perderà?» «No. Mettetelo giù. Un gatto non si perde. Vorrei poter dire lo stesso di quei cani. Sembra che non siano mai stati all'aperto prima di adesso. Non riesco più nemmeno a vederli.» Susan si fermò e il gatto accondiscese a scendere nel viale. Si leccò un pelo apparentemente fuori posto, soffiò, si guardò attorno e scomparve cautamente fra i cespugli. Susan non riuscì a vedere nessuno dei due cani. I fari di due macchine mandavano una debole luce nel buio del viale. «Provate a fischiare» consigliò al poliziotto. Egli tentò, ma senza successo. Disse imbarazzato: «Non sono mai stato capace di fischiare. Dipende dalla conformazione dei miei denti.» Susan inspirò profondamente, poi mandò un lungo fischio. Fu un fischio lacerante, che fece sobbalzare il poliziotto. «Dove avete imparato a fischiare in questo modo?» «Ho sempre avuto dei cani, quando ero piccola. Anche dei gatti. Credete che i cani mi abbiano sentita?» «Non so come avrebbero potuto non sentirvi» le rispose il poliziotto con un certo risentimento, sfregandosi un orecchio come per accertarsi che non gli si fosse rotto un timpano. Poi riprese con più gentilezza: «Non preoccupatevi. Torneranno dopo una buona corsa e quando avranno fame. Le bestie sono piene di buon senso.» "Più di me" pensò Susan. "Come ho fatto a mettermi in una situazione simile?" Ma non poteva sapere né prevedere che un lavoro d'ufficio, e in un ufficio come quello di G.M., potesse coinvolgerla in una tragedia anche solo come testimone. Aveva soltanto visto Rose già morta e un uomo correre. Il freddo di quella sera di ottobre si stava facendo sentire. La sua giacca di lana era pesante, ma non abbastanza. Sperò che i cani tornassero. Avrebbe voluto poter tornare a New York, nel suo piccolo, ma sicuro appartamento. Avrebbe voluto essere in qualsiasi posto tranne lì, e al tempo stesso voleva vedere G.M., voleva vederlo prendere tutto nelle sue mani e agire con la sua forza magnetica, il suo vigore, la sua intelligenza, in un
caso simile. Lui sapeva che cosa andava fatto. Nel frattempo, Dora aveva detto che lei, Susan, doveva rimanere nella casa e prendersi cura di quello che Milly aveva chiamato il serraglio. Il freddo stava penetrandole nelle ossa. Il poliziotto lo comprese e disse di nuovo, gentilmente: «Sto qui io, signorina, se avete freddo. Sembra che debba esserci una precoce brinata.» «Preferisco rimanere qui.» Il poliziotto comprese. «Non vi do torto. Sono nella polizia da otto, quasi nove anni. I guai non mi piacciono. Quanto a omicidi, be', non posso dire di averne visti molti, e non ci tengo a vederne.» Susan si mostrò d'accordo, senza parlare. Il gatto ricomparve, sbucando da sotto un'auto. Aveva un'aria compiaciuta. Si accoccolò ai piedi di Susan e prese a lisciarsi vigorosamente il pelo. La porta del vestibolo si aprì. Susan e il poliziotto si girarono e videro uscire due uomini illuminati dalla luce del vestibolo. Uno era G.M. Si diresse con passo fermo nella loro direzione. Era un uomo alto, che si teneva vigorosamente eretto, amava l'esercizio fisico e se lo procurava anche quando era incalzato dal lavoro. Il sergente appariva insignificante accanto a G.M. Inoltrandosi nel viale, entrarono nella striscia di luce proveniente da una delle macchine e G.M. vide Susan. Le si avvicinò rapidamente e le circondò con un braccio le spalle. «Povera bambina» disse. La sua voce era bassa, ma infondeva una grande fiducia. Lei sentì che la spina dorsale le si raddrizzava. «Mi dispiace avervi mandata in questo posto. Snell deve averla portata qui in elicottero. Non sono riuscito a trovare Snell. A dire il vero, non sono riuscito nemmeno a trovare il mio elicottero. Ne ho noleggiato uno con un pilota che ci portasse qui. Oh, ecco Toby.» Toby doveva essere il nome del gatto, perché la bestiola guardò su con piacere e fece le fusa. «Curatelo voi, Susan. Devo chiedervi di stare qui per... per un po'. Voi e Milly. Lo farete?» Susan non avrebbe potuto rifiutare. Nessuno rifiutava niente a G.M. quando parlava con quel tono. Nella luce che proveniva dai fari delle macchine, G.M. le era così vicino che poteva vedere i suoi occhi profondi e volitivi nel bel viso sereno, la linea dura della guancia, il naso e il mento forti, perfino gli spruzzi grigi dei suoi capelli neri. Possedeva del magnetismo: lo sapeva già, ma prima d'allora non aveva sentito il battito del suo polso accelerare come se il cuore volesse balzarle dal petto. Disse, e non avrebbe potuto dire niente altro: «Sì, certo, rimango.»
«Siete una brava ragazza. Greg, quando sono arrivato, stava spiegando al sergente le ragioni che ho per tenere questa casa. Ora vado al villaggio con il sergente Lattrice. Ci sono delle cose che devo vedere. Qui starete bene. Ho mandato Greg a dire al pilota dell'elicottero di riportare indietro l'apparecchio. Gli ho detto di attendermi, caso mai avessi bisogno di lui. E ora... Oh, sono qui.» I cani avevano ignorato il fischio di Susan, ma corsero lì a precipizio quando udirono la voce di G.M. e gli balzarono incontro, felici. «È stata una buona idea lasciarli correre in libertà» osservò G.M. Il poliziotto si schiarì la gola nervosamente: «Era forse troppo tardi, signore. Voglio dire...» G.M. alzò il capo. «So quello che intendete. Susan...» Susan amava i cani, ma senza debolezze. «Li guiderò io» disse con una fermezza che piacque a G.M. Egli accentuò la stretta intorno alle sue spalle. «Tornerò il più presto possibile. Va bene, Lattrice.» Si mosse con il sergente verso una delle macchine. La portiera si aprì, la luce illuminò per un momento l'atletica figura di G.M., poi si richiuse. Il poliziotto disse: «Credo che sarebbe bene far rientrare i cani, adesso, signorina. Come si chiamano?» «Non lo so. Venite, voi due» disse ai due cani, non aspettandosi di essere ubbidita. I cani, invece, le rivolsero uno sguardo intelligente e la seguirono docili. Arrivò anche Toby, con l'aria di accodarsi a loro per pura cortesia. «Avranno fame» osservò il poliziotto aprendo la porta per lasciar entrare quella processione. Susan pensò rapidamente alle provviste che lei e Greg avevano portato e si ricordò con piacere la carne tritata che Greg aveva voluto comprare. "Non si può mai dire" aveva osservato. "È sempre conveniente averne. Fra l'altro la possiamo tenere nel freezer." Fece strada verso la cucina. La porta era aperta. Qualcuno aveva pestato un altro dei pomodori caduti. Il poliziotto impallidì leggermente. «Sembra sangue.» Srotolò una salvietta di carta, come aveva fatto Col, l'inumidì e pulì il pavimento. Nel darle gli ordini, Dora le aveva detto di procurarsi tutto quello che poteva occorrere a lei e a Milly per qualche giorno. Non aveva precisato il tempo. Le aveva detto soltanto che G.M. non si faceva portare niente da Medbury Hills: era troppo lontano e ci sarebbe voluto troppo tempo. Così Susan doveva sapersi regolare. Qualcuno, Greg probabilmente, aveva mes-
so l'enorme pacco della carne tritata nel frigorifero. Susan la tirò fuori. «Sono troppo grassi, tutti e tre» disse. «Ma sono veramente affamati.» «È un modo per abituarli a un nuovo posto. Così si sentono a casa» osservò il poliziotto mentre gettava la salvietta di carta nel cestino dei rifiuti. «Dovete avere un cane.» Lei prese un piatto e con un cucchiaio vi mise dentro la quantità di carne che le parve sufficiente. «Ne ho tre. I più bei setter che ci siano. Non assomigliano a queste matasse arruffate. Ma, d'altra parte» e sembrò scusarsi «questi devono essere cani di città. I miei setter non starebbero volentieri in città.» Entrò Greg. Sorrise brevemente nel vedere i cani divorare la carne. Anche Toby mangiava, ma più contenuto. «Ve l'avevo detto che sarebbe stato comodo avere a portata di mano della carne tritata.» La voce di Greg era tesa e stanca. Greg assomigliava molto a G.M. Era alto e diritto, aveva dei bei lineamenti forti, ma il suo viso era più largo e non c'era del grigio nei suoi capelli folti e neri. Guardò il poliziotto. «Vorreste far venire qui la signora Clanser per un momento?» «Certo, io... lo chiederò.» Raggiunta la porta, il poliziotto si voltò. «Non dimenticate che hanno bisogno di bere» disse a Susan, e uscì. «L'ho tolto d'attorno.» Greg si sedette stancamente sulla bassa scaletta della cucina. La luce era così vivida che sembrava gli portasse via il colore dalle guance. «Susan, non riescono a trovare Snell Clanser. Dora ha potuto raggiungere G.M. proprio mentre tornava al suo albergo. Hanno cercato insieme Snell, ma inutilmente. Nemmeno l'elicottero di G.M. è stato riportato all'eliporto. G.M. ne ha dovuto noleggiare uno con un pilota per venire qui.» «G.M. me lo ha detto» rispose Susan, mentre riempiva d'acqua una ciotola. «Il fatto è che qualcuno deve aver portato qui Rose. Deve essere morta proprio mentre arrivavamo.» Susan mise in terra la ciotola, sotto la tavola. «Non avrebbe dovuto sentire lo sparo quell'uomo che sta al cancello?» «No. G.M. ha fatto insonorizzare tutta la casa. Non si sente nulla, all'esterno. Perfino questa cucina è completamente isolata dai rumori.» «Ma, santo cielo, perché lo ha fatto?» Greg alzò le spalle. «Perché non si sentisse l'acciottolìo dei piatti quando aveva degli ospiti. È quello che ha detto a quell'investigatore, quel Lattrice. Ma deve essere
stato per impedire che quelli del servizio a domicilio, i camerieri, il loro sovrintendente o altri udissero i discorsi che venivano fatti a tavola. Naturalmente, Dora deve aver sentito e preso delle annotazioni, qualche volta. Non ne so nulla. Susan, pensate che ci fosse il tempo, mentre eravamo qui in cucina indaffarati attorno alle provviste, e poi fermi a guardare fuori della finestra dove avete visto quell'uomo correre, mentre ascoltavamo l'elicottero partire, pensate che ci fosse tempo sufficiente perché Milly salisse e uccidesse Rose?» Susan si chinò sulla tavola. «Milly! Non avremmo potuto udire lo sparo. Milly eredita un vero patrimonio, qualcosa come tre milioni di dollari dalla sorella Rose. Me lo ha detto G.M.» 4 Il trambusto creato dai cani e dal gatto e la banale conversazione di carattere del tutto normale scambiata con il poliziotto erano valsi a riportare Susan al consueto equilibrio, gravemente scosso dall'avvenimento innaturale e tragico della morte di Rose. Sempre protesa verso Greg, lei cercò di concentrarsi. «Sì» disse alla fine. «Credo che il tempo ci sarebbe stato. Non sapevo che la casa fosse isolata dai rumori.» «Da tutti, meno quelli che provengono dalle finestre. Impossibile udire il minimo rumore nella casa. Si colgono invece i rumori esterni attraverso le finestre. Noi infatti abbiamo udito l'elicottero. Ma G.M. ha affermato categoricamente che nessun rumore si propaga nella casa. In particolar modo quello di una calibro trentadue.» «Una calibro trentadue? È una rivoltella?» Greg accennò di sì. «L'ha presa il sergente. E Milly, se ha ucciso Rose, è stata furba a raccoglierla e a imprimervi le proprie impronte, e le vostre anche, in un modo apparentemente naturale.» «Poteva cancellare le sue impronte subito dopo il fatto.» «Ma doveva affrettarsi. Non vedo Milly nei panni di un'assassina, ma aveva un motivo per liberarsi di Rose. E quello di cancellare le impronte sarebbe stato un lavoro da fare molto rapidamente.» Fece una pausa e, dopo essersi concentrato, disse: «Una calibro trentadue non fa rumore come, diciamo, una calibro trentotto. Certo non come una quarantacinque. Milly sapeva che la rivoltella era nella cassaforte. G.M. ha detto alla polizia che Milly era già stata qui una volta o due, con Rose.» Si sfregò gli occhi con
un gesto stanco. «Sapevo anch'io della rivoltella. E anche Dora.» «Dora non era qui.» «Oh, no. E voi avete visto un uomo correre via. Poteva essere Snell. Se fosse precipitato con l'elicottero, si sarebbe saputo subito. Ma Snell è un buon pilota, esperto. Qualcuno deve aver condotto qui Rose. Quel sergente Lattrice ha fatto delle domande a G.M. a questo proposito. Lattrice sembra convinto che chiunque abbia portato qui Rose, doveva essere una persona che Rose conosceva. Lattrice ha chiesto se non c'era stata nessuna minaccia a Rose. G.M. ha risposto di no, che Rose glielo avrebbe detto. Poi Lattrice ha domandato a G.M. se fosse stato minacciato. Anche a questa domanda G.M. ha risposto di no. Ma qualcuno deve aver detto a Rose qualche cosa, una cosa qualsiasi, per indurla a venire qui. Odiava l'elicottero. Se si potesse trovare chi l'ha condotta qui, chi l'ha spinta a venire...» La porta si aprì. Non avevano avvertito il rumore degli alti tacchi delle scarpe di Dora sul pavimento esterno di ceramica. Susan si ricordò che per quanto avesse teso l'orecchio per sentire la voce di G.M., quella del sergente o di Greg, mentre parlavano nella cucina, non era riuscita a cogliere il minimo suono. Anche nella biblioteca tutti erano rimasti tesi in ascolto, ma senza udire nulla. Però uno sparo avrebbe dovuto rompere quell'isolamento. Dora entrò nella cucina, camminando nel modo agile e pieno di grazia che le era abituale. Guardò i cani che mangiavano, alzò un sopracciglio verso Toby, intento a lavarsi, e disse a Susan: «Perché non li avete presi prima che accadesse quello che è accaduto in biblioteca?» «Perché non lo avete fatto voi? Voi li avete portati dall'elicottero. Non dovevate lasciarli scappare.» «No, non potevo.» Era strano come gli occhi di velluto scuro di Dora potessero diventare non metallici o duri, ma opachi, come se lei vi calasse sopra una cortina per nascondere intenzionalmente i propri pensieri. È un artificio magari inconscio, pensò Susan, ma insolito e piuttosto inquietante. Susan aveva avuto poche occasioni di notare quello sguardo, ma aveva visto l'effetto che produceva sugli altri nell'ufficio. Provocava delle scuse immediate e un'immediata obbedienza. «G.M.» continuò Dora «ha fatto il possibile per trattenerli, uno sotto ciascun braccio. Io portavo il canestro col gatto. Spero che non sarete più così disattenta, Susan. Non intendo che questa casa diventi come l'appartamento di Rose. Mi libererei di loro, se fossi G.M.» «Ma non lo siete» ribatté Greg fiaccamente.
«Mi avete mandata a chiamare, Greg.» «Sì, non sono pratico del centralino dabbasso. Ho visto il vostro nome e numero e quello di G.M., ma null'altro. Così, dopo aver chiamato la Casa Bianca...» «La Casa Bianca! Ma perché?» «Oh, non intendevo farlo. Stavo per dire che se si può telefonare a Snell da quel centralino sarebbe una buona idea tentare.» Dora rimase un attimo assorta. «Va bene. Mi avete raggiunta, sapete, Greg, proprio mentre entravo in casa. Ero andata a prendere un cocktail con Bert.» Era un nome nuovo per Susan, ma non doveva esserlo per Greg a giudicare dall'occhiata piuttosto dura che diede a Dora. «Volete dire Bert Prowde?» Dora accennò di sì con noncuranza, mentre si accarezzava con una mano i capelli biondi, luminosi e ben pettinati. Il suo abito e la giacca arancione avevano una sfumatura adatta a mettere in risalto gli sprazzi dorati dei suoi capelli e la bellezza della sua carnagione chiara. Aveva sulle palpebre un leggero e seducente tocco di verde, visibile come trucco soltanto perché la luce della cucina era molto viva. «Due frecce al vostro arco, vero? Ben calcolato» insinuò Greg. Gli occhi di Dora si velarono, pensosi, solo per un attimo. Poi lei rise gentilmente, si avvicinò a Greg e si protese carezzevole verso di lui. «Tesoro, non siate geloso.» Greg parve sinceramente sbalordito, ma rise anche lui. «Non usate i vostri trucchi con me, Dora. E adesso, per favore, tentate di raggiungere Snell. Qualcuno ha portato qui Rose.» Dora scrollò le spalle. «Va bene. State attenta a quegli animali, Susan. Non voglio che concino questo appartamento come quello di città.» Susan non volle rispondere, non per paura di dire troppo, ma perché temeva di dire troppo poco. «Avanti, esplodete» la incitò Greg, ridendo, quando la porta si chiuse dietro Dora. «No, no. Ha ragione. Quell'appartamento di città... Ci siete stato, Greg?» «Certo. Rose non era una donna di casa.» Susan sbuffò. «È un mitigare le cose. Ma, d'altra parte, poverina... Greg, che cosa pensa in realtà G.M.? Disgrazia? O suicidio? O... omicidio?» «Non sono certo di quello che pensa. Ma so quello che penserà la polizia quando avrà esaminato la faccenda con lui.»
«Disgrazia» disse Susan con voce piatta. «Può darsi che lo sia stata davvero.» «Voi però vi siete domandato se Milly avrebbe potuto uccidere Rose mentre noi eravamo in cucina.» «Continuo a domandarmelo. Ma se la polizia dice che è stato un incidente, allora G.M. è fuori causa.» «Fuori causa? Non penserete che possa averla uccisa G.M. Greg, non è l'uomo che ho visto correre via. So che non lo era.» «Voglio dire che G.M. vuole che le cose siano chiarite il più possibile per il convegno della settimana prossima. Non può disdirlo senza sollevare una quantità di chiacchiere. Se la fiducia in G.M. subisse qualche scossa, sarebbe...» Greg si alzò, andò alla finestra, vi si fermò con le mani ficcate nelle tasche. «Avrebbe un pessimo effetto. Qualche volta si ha l'impressione che il mondo intero sia continuamente in un mare di guai per colpa del denaro. Una crisi aspetta l'altra. Non c'è alcun dubbio che G.M. abbia la mano ferma... e un cervello geniale. Si è messo da sé in una posizione di potere e di autorità, gli piaccia o no. Il fatto è che non deve nemmeno essere sfiorato da un sospetto di assassinio nella sua vita privata. È troppo importante per troppe persone.» Susan rimase pensosa un momento. Uno dei cani aveva terminato di mangiare e ora andava verso la ciotola dell'acqua. «Fa di nuovo il pieno» disse Greg. «Poi un altro viaggio contro la gamba di qualche tavolo. Col mi ha detto quello che è accaduto. Dora avrebbe dovuto saperne un po' di più prima di portare i cani in tassì all'elicottero, e lungo il sentiero fino alla casa, poi lasciarli liberi. Ma state attenta. Li porterà dal veterinario, che li spedirà ai felici paradisi della caccia, se le si presenta l'occasione.» «L'occasione di farli sopprimere non le si presenterà.» «Non siatene troppo sicura. Adora questa casa. Ha passato qui un bel mucchio di tempo, sapete.» Greg tacque all'improvviso. «Greg» disse Susan. «Era... è... voglio dire che sembra sicura che sarà lei a prendere le redini della casa.» Greg rispose prontamente alla sua inespressa domanda. «Non so, Susan. È una donna molto attraente. Però, per essere franco, io non sono mai stato nascosto sotto il letto. Non so se è l'amante di G.M.» «Io credo» disse Susan lentamente «che progetti di sposarlo.» Greg si strinse nelle spalle. «Sarebbe un eccellente matrimonio per Dora.» «Ma allora, chi è Bert Prowde?»
«Ho parlato di due frecce al suo arco solo per stuzzicarla. Mi dà ai nervi. Prepotente, autoritaria. Sono stato spinto a dirlo, ma non avrei dovuto.» «Perché no?» «Principalmente perché tutti odiano i padroni. Io non odio G.M., non c'è cosa che non abbia fatto per me. Ma non posso dire che mi piaccia Dora come padrona di paglia. A ogni modo, Bert Prowde è un cicisbeo, un boyfriend. Porta in giro Dora. Quando G.M. non è libero.» «Com'è?» «Non è niente al mondo. No, ritiro quello che ho detto. L'ho visto poche volte insieme a Dora: quando sono andato a casa di lei per ritirare qualcosa, e una volta sola, credo, in un ristorante. È piuttosto giovane e certamente bello. Non gli affiderei un soldo e ho torto, perché non ho motivo di pensare che sia disonesto. Non lo conosco, ma mi ha dato l'impressione di uno di quegli incapaci che sono soltanto belli, di buone maniere e fin troppo ben vestiti! Può darsi che sia un bravissimo individuo. Io sto parlando troppo.» «E così io. Tutta questa faccenda...» «Capisco. Sentite, è tardi e si sta facendo ancora più tardi. Se indovino, G.M. farà in modo che la polizia sospenda ogni cosa, per il momento. Saranno tutti affamati fra poco. Voglio tirar fuori qualcosa di liquido e...» Girò lo sguardo attorno alla splendente cucina e vide il pacco della carne tritata aperto. «Metteremo insieme qualche polpetta. Ci sono delle focacce?» Era un'idea sensata e allontanava l'orrore del tardo pomeriggio, come avevano fatto i cani e l'oziosa ma ristoratrice chiacchierata con quel cortese poliziotto. Col aprì la porta e spinse dentro una faccia indagatrice, insieme a una cassetta di legno che sembrava pesante. «Non è qui Dora?» Dora? Ma certo, c'era tutto il parentado dei Clanser, due cugini, una sorella, Dora, una Clanser per matrimonio, e si chiamavano tutti per nome. Susan pensò tuttavia che Dora non avrebbe gradito esser chiamata per nome da Col in presenza di altri. Tantomeno se intendeva sposare G.M., ora che il matrimonio era possibile data la morte di Rose. Col avanzò nella stanza. «Volevo solo dire che abbiamo preparato la cassetta con la sabbia per il gatto. Dora è stata molto severa riguardo ai cani e a quello che è accaduto in biblioteca» aggiunse delicatamente. «A quanto sembra, crede che questa casa sia sua.» Fece una pausa deliberata e intenzionale, guardando Greg. «Già, sua.» «Non è affar nostro, non è vero, Col?» ribatté Greg freddamente. «Dove
pensate di metterla, quella cassetta?» «Nel vestibolo, direi. Il pavimento è di marmo e si può lavare. Per dormire, metterò per il gatto una coperta in qualche posto. Non appena si sarà abituato, non avremo più da preoccuparci. Quanto ai cani...» «Ci penserò io» lo interruppe Susan. «Va bene. Se Dora è d'accordo.» «Diciamo se il signor Manders è d'accordo, Col» lo corresse Greg gentilmente, tuttavia con un tono di comando nella voce che non sfuggì a Col. «Oh, certo. Qualunque cosa dica G.M. Certo.» Indietreggiò, reggendo la cassetta goffamente mentre chiudeva di nuovo la porta. Greg corrugò la fronte. Susan si lasciò sfuggire: «Non pensavo davvero che ci dovessero essere tanti parenti di Rose.» «Oh, sì. Col è fondamentalmente degno di fiducia. Non sono sicuro che lo sia Wilfred. Anche Snell è un qualche parente di Rose. G.M. sapeva come prendersi cura di chiunque stesse a cuore a Rose, come impiegarlo o altro, e naturalmente questi parenti chiamano l'un l'altro per nome, cosa che deve avere infastidito G.M. Tuttavia» Greg sembrò tornare indietro col pensiero «credo che nessuno abbia mai chiamato lui per nome, tranne Milly. Dora, forse, ma in privato. Dora sa da che parte è imburrato il suo pane. Dora...» «Parlate di me?» domandò Dora musicalmente, aprendo la porta. «Sì. Avete trovato Snell?» «No, non ci sono riuscita. Ho tentato e ritentato, ho provato anche con l'altro telefono nei bar dove altre volte sono riuscita a trovarlo, occasionalmente, quando G.M. lo voleva in fretta. Non l'ho trovato.» «Nessuna notizia circa l'elicottero?» «No. Ho tentato anche all'eliporto. Inutilmente.» C'era una certa nota di sorpresa nella sua voce, come se di rado le succedesse di non riuscire in quello che si prefiggeva. Dora non era donna da darsi per vinta facilmente. Si accarezzò i lucidi capelli biondi e girò lo sguardo attorno alla stanza. «Che cos'è tutta quella roba? Oh, le provviste! Mettetele via, Susan. E...» Andò a guardare il pacco aperto della carne tritata. «Vedo che avete dato da mangiare alle bestie. Cucinate qualche polpetta per noi, Susan. Deve esserci abbastanza da poterci sfamare in tutti questi pacchi. Ve lo avevo detto di portare le provviste per qualche giorno. Avanti, Susan, occupatevi del pranzo. Tirate fuori qualcosa da bere, Greg. Fra poco sarà qui G.M. Mettete i bicchieri e il ghiaccio sullo scrittoio in
biblioteca.» Greg rise davvero, questa volta, brevemente ma di cuore. «Sì, Madama.» Gli occhi di Dora si fecero fissi e opachi. «Non voglio spiritosaggini da voi, Greg.» «Dico quello che mi pare di dire» replicò Greg allegramente e scomparve. Dora rimase immobile per un momento, poi riprese: «Proseguite col pranzo, Susan, ma non lasciate di nuovo libere quelle bestie nella casa.» «Okay» esplose Susan mentre la porta si chiudeva. «Okay.» Ma le sembrava ragionevole mettere insieme qualcosa da mangiare. Stava cercando di destreggiarsi con la graticola, quando Greg ritornò. «Lasciate fare a me. Vi mostrerò come si fa. Conosco questa casa.» Premette un pulsante, attese, poi mise le polpette sulla graticola e regolò la contaminuti. «Potranno mangiarle, quando arrivano. Crude o stracotte. Milly, per citarne una, non dovrebbe essere in condizione di accorgersene. Si sta facendo una potente bevuta. È mezzo ubriaca. Non la biasimo.» «Nemmeno io» commentò Susan sinceramente. Greg le lanciò un rapido sguardo, lasciò la cucina e tornò con un bicchiere pieno in mano. «Bevete, ne avete davvero bisogno.» Lei si sedette sull'orlo del tavolo. «Grazie» disse. «I poliziotti ne avrebbero una gran voglia, ma non bevono. Col e Wilfred stanno dando fondo a tutto.» «Sarebbe meglio preparare qualcosa d'altro oltre alle polpette e alle focacce. Credo che ci siano dei funghi e delle verdure surgelate» disse Susan. «A vedere come bevono, Milly, Col e Wilfred c'è da credere che non sapranno mai che cosa mangiano. Sempre che Dora permetta che mangino. Ho versato da bere a Dora e lei ha rifiutato così nobilmente, che ho vuotato il bicchiere io stesso.» La contaminuti trillò e Greg tirò fuori la padella. «Le voglio voltare per essere più sicuro. Sono pratico dei lavori di casa. Si impara, quando si vive da scapoli. Ricordatevelo.» Strizzò un occhio. «Nel caso che arrivi a prendere la laurea in legge e riesca a mettere su un ufficio.» «Legge?» Susan non aveva mai sentito Greg parlare di sé. Sapeva solo che era una specie di aiutante di G.M. Lui la guardò. «Oh, è opera di G.M. Ve l'ho detto che è stato molto buono con me. Quando sono tornato dal Vietnam, avevo una laurea, ma volevo frequentare legge. E avevo bisogno di denaro.» Voltò le polpette con
molta cura, prima di continuare. «Un giorno G.M. mi disse che ero troppo... diciamo intelligente, se non vi dispiace che mi vanti, per continuare a fare... ben poco. Mi chiese anche che cosa mi sarebbe piaciuto fare. Glielo dissi e lui ha arrangiato le cose in modo che potessi frequentare la facoltà di legge e nello stesso tempo facessi quello che desiderava da me per lui.» «Oh!» Questo spiegava la posizione di Greg nell'ufficio di G.M. Susan lo aveva giudicato una specie di supersegretario, qualcosa come un aiutante di campo per G.M. «È proprio da lui» affermò con convinzione. «Il grand'uomo. È veramente un grand'uomo.» Greg diede un'altra occhiata alle polpette, le annusò e spense. «Credo che vadano bene. Sono pronte giusto in tempo. Mi pare che G.M. stia arrivando.» Entrò per prima Dora. Annusò. «Santo cielo, Susan. C'è un ventilatore. L'odore di cibo si spargerà in tutta la casa.» Allungò una mano verso un cordone e lo tirò. Greg osservò, calmo: «È un buon odore, se lo chiedete a me. C'è G.M.?» «Sì, la macchina della polizia è appena arrivata. Oh, smettetela voi due.» I cani si erano lanciati verso la porta, abbaiando per salutare l'arrivo di G.M. Dora fece per colpirli con un piede, ma essi schivarono il calcio destramente e si lanciarono nel vestibolo. Susan comprese che non doveva essere la prima volta che Dora sferrava dei calci a quei cani. Poi udì la voce di G.M. «Greg...» Greg corse fuori, dietro ai cani. Dora lo seguì. Susan si sedette di nuovo sull'orlo del tavolo e vuotò il suo bicchiere, sentendosi poi un poco rianimata e riacquistando quel tanto di energia che le occorreva per alzarsi, andare nel vestibolo e poi nell'atrio. Nel frattempo, gli altri si erano radunati in biblioteca. I cani le fecero festa. Lei li aveva non solo portati all'aperto, un'esperienza eccitante per loro, ma li aveva nutriti e dissetati. Era un'amica. Ma prima che si facesse un'idea di quello che stava accadendo vide che i poliziotti se ne andavano, che Col e Wilfred si trascinavano dietro di loro passandole davanti nel salone, e che Greg veniva in coda come scorta. Dora si affacciò alla porta e disse con voce perentoria: «Wilfred, fermati in cucina e portati qualcosa da mangiare al cancello. Col, tu vai a casa e non dire nulla, tranne che è stata una disgrazia. E ora, Susan, come va il pranzo?» Sopra la spalla di Dora, Susan vide Milly camminare barcollando verso il tavolo sul quale erano appoggiati i bicchieri e la bottiglia del whisky. G.M., in piedi davanti al camino, alzò lo sguardo e vide Susan. «Venite,
mia cara. Vi dirò io qual è la situazione. Dora, se volete dare un'occhiata per qualcosa da mangiare, qualsiasi cosa...» «Ma... Susan» cominciò a dire Dora. Poi si voltò di scatto e si diresse verso la cucina. Milly emise un rumoroso singulto e la seguì barcollando, portandosi dietro il bicchiere. «Ci vorrà un argano per trascinare Milly di sopra» disse G.M. «se continua così. Susan, voglio dirvi come stanno le cose. La polizia, su pressione di qualcuno dall'alto è disposta a definirla una disgrazia, per il momento. Continueranno le indagini, ma con tutta la discrezione possibile. Ci sarà qualche notizia sui giornali, ma sarà definito un incidente.» «Non è stato un incidente?» G.M. scosse la testa. «Oh, no. Rose era pratica di armi. Non è nemmeno stato suicidio. Non Rose.» «Ma allora...» «Omicidio, sì.» Si sedette. Per la prima volta, per quanto ne sapeva di G.M., le parve esausto, senza più nulla della sua abituale energia. «Omicidio. Povera Rose! Era una cosina così graziosa una volta. Bianca e rosa e sottile. Io la chiamavo la mia rosa selvatica. È stato molto tempo fa» disse, e sembrò guardare indietro negli anni. C'era qualcosa di tanto triste, un tale rimpianto sul suo viso, una tale angoscia per l'amore perduto, che Susan fece qualcosa che mai si sarebbe sognata di fare in giorni normali. Cadde sulle ginocchia vicino a lui, senza trovare una sola parola di conforto da dirgli. Il grand'uomo comprese. La circondò con un braccio e le chinò il viso sul capo. La tenne avvinta strettamente e teneramente come se quella partecipazione al suo dolore, non espressa a parole, avesse in qualche modo toccato profondamente il cuore di lui. Aveva parlato di Rose com'era una volta, non com'era stata negli anni recenti. Susan lo sapeva. Ma capì anche la sensazione di perdita e di dolore che doveva essergli perdurata nell'intimo fin da quel tempo lontano. «C'è qualcosa da mangiare in tavola» Dora disse dalla soglia. G.M. non abbandonò subito la stretta. Sembrò che tirasse un lungo respiro, poi batté affettuosamente qualche colpetto sulla spalla di Susan, come per ringraziarla. Dora disse seccamente: «Si può sapere perché non mi aiutate, Susan? Che diavolo fate lì, inginocchiata?» Greg era arrivato attraverso il salone e, guardando sopra la spalla di Dora, disse in fretta: «Sono andati via tutti, G.M.» Susan si alzò, sentendosi all'improvviso sciocca e imbarazzata. Anche
G.M. si alzò. «Va bene, Greg. Cercate di tenere lontano i giornalisti più che potete.» Il telefono sul lungo scrittoio squillò. Greg e Dora si mossero insieme per andare a rispondere, ma G.M. li fermò. «Voglio occuparmene io» li avvertì entrambi. Prese il ricevitore: «Hello» disse. Rimasero tutti in ascolto. Da principio sembrò che G.M. non comprendesse. «Chi?... Oh, siete voi. Sì, è qui.» Guardò Dora. «È vostro marito che telefona. Ligon Clanser.» 5 «Ligon!» Susan non aveva mai visto Dora scomporsi, ma la vide alterarsi in quel momento. Aveva gli occhi foschi e pieni di collera. Con una rapida mossa si avvicinò allo scrittoio e afferrò la cornetta. «Ligon! Cosa vuoi?» Dall'altro lato del filo, l'uomo disse qualcosa che non dovette piacere a Dora. «Come lo sai? Avevo detto a Col e a Wilfred di tenere la bocca chiusa. Dici sul serio che Wilfred ti ha telefonato dal cancello d'ingresso?» I suoi lineamenti si contrassero in un modo che non faceva presagire nulla di buono per Wilfred. «E perché dovevi essere avvertito?... No, non puoi venire qui. Non m'importa se sei un cugino di Rose... Ho detto di no... perché non voglio averti qui...» «Un momento, Dora» si intromise G.M., calmo. Le tolse di mano il telefono. «Dobbiamo fare tutto serenamente. Gli altri parenti di Rose saranno qui per il funerale. Dobbiamo vedere... ma nel frattempo Ligon ha lo stesso diritto di assistervi di Col o di Milly. Ditegli che può venire. Non vi darà fastidio.» Dora esitò. «Ma G.M.!» G.M. non disse nulla, ma aveva parlato in tono perentorio e a Dora non rimase che ubbidire. «Va bene, puoi venire. Ma non puoi stare qui in casa. Non c'è posto. È già troppo piena... Non so... nessuno sa quando ci saranno i funerali... Va bene, parla con lui, se lui accetta di parlarti.» Diede di nuovo il ricevitore a G.M., che lo prese e parlò pacatamente. «Sì, è stato un tragico incidente. È naturale, è giusto che voi desideriate venire. Mi rincresce che la casa sia piena, ma c'è la locanda di Medbury Hills... Capisco... Sì... Grazie.» Riattaccò il ricevitore e guardò Dora. «Arriverà da Highbury nella mattinata. Sono soltanto cinquanta chilometri circa di automobile, vero? È
giusto e gentile da parte sua venire, benché da qualche tempo non vedesse spesso Rose. Ma nessuno, del resto, andava molto spesso a trovarla, eccetto Milly.» Dora era ancora irritata. Tentava di nasconderlo, ma senza riuscirvi. «Come fa a staccarsi dalla sua preziosa azienda?» disse ironicamente. G.M. sorrise. «Ligon non è più nella fase in cui non ci si può assentare dal proprio posto di lavoro, e per tutto il tempo che si vuole. Ricordatevelo, Dora: è diventato un uomo piuttosto ricco, anzi molto ricco, credo. Non deve chiedere permesso a nessuno, qualunque cosa voglia. Adesso faremmo bene a metterci a tavola.» Fece strada verso la sala da pranzo. Dora lo seguì. Greg indugiò un momento con Susan, ma Dora chiamò la ragazza imperiosamente. «Susan, portate quei cani e quel gatto in... oh, in qualche posto, nel vestibolo, e chiudeteli là. Non voglio averli attorno a correre per la sala da pranzo, mentre mangiamo.» Greg sollevò i due cani uno per braccio e Susan lo seguì nel vestibolo. Il gatto non si vedeva. «Non preoccupatevi» disse Greg. «Lo troverò io.» I cani cominciarono a esplorare il vestibolo con molto interesse. Susan diede un'occhiata a un lungo sedile di marmo e andò a sedervisi. Pensò a Ligon Clanser, l'unico Clanser per il quale non provvedesse G.M., secondo le chiacchiere dell'ufficio. Era presidente di una piccola banca del nord quando Dora lo aveva sposato, ma, sempre secondo le dicerie che correvano in ufficio, Dora aveva poi incontrato G.M., aveva chiesto un posto nell'ufficio di G.M., e lei e Ligon avevano divorziato. In ogni caso, gli affari di Ligon erano prosperati. Già da molto tempo aveva acquistato la maggioranza dei titoli della banca, da molto tempo aveva cominciato a comprare delle proprietà qua e là nello Stato, fino a diventare una figura molto nota e stimata. "Dora ha gettato via il certo per giocare una partita d'azzardo" aveva detto una volta una ragazza dell'ufficio, maliziosamente. "G.M. non lascerà mai Rose. Tutti lo sanno, anche lei" intendendo Dora "avrebbe dovuto saperlo". G.M. aveva ragione di permettere a questo solo membro della famiglia dei Clanser, che non contava sulla sua generosità o su quella di Rose, di arrivare in tempo per i funerali. Le chiacchiere dell'ufficio si coloravano di avversione per Dora. "Tutti odiano i padroni, e le loro teste di legno, gli uomini o le donne di paglia" aveva detto Greg. Susan non voleva pensare a Rose, ma non poteva impedirsi di ricordare l'espressione triste e grave del volto di G.M. mentre parlava della sua rosa
selvatica, di tanto tempo prima. Assassinio, G.M. aveva detto. Ma com'era possibile che qualcuno che lei, Susan, conosceva, sia pure superficialmente, fosse assassinato? Com'era possibile che un assassinio fosse stato commesso, come pareva, nell'esatto momento in cui lei e Greg si avvicinavano alla casa? Greg si era domandato se Milly avesse avuto l'opportunità e il tempo di uccidere la sorella. Milly aveva un motivo. "Assassinio" ripeté fra sé, incredula. Erano passate poche ore da quando lei, Greg e Milly erano arrivati ed erano entrati nel vestibolo, ma sembrava che fossero trascorsi dei mesi. Non poteva pensare a Rose, grassa e trasandata e tragica, col vestito verde sollevato sopra le grosse gambe, gli occhi aperti e fissi, il volto infossato con quell'orribile e significativa mollezza. Greg arrivò col gatto su una spalla. Lasciarono i cani e il gatto nel vestibolo, chiusero la porta e raggiunsero gli altri. Quel pasto fu come un picnic su cui gravasse un incantesimo. Qualcuno, Greg a quanto sembrava, aveva aperto una scatola di fagioli lessati e li aveva scaldati. Susan fu colta dal pensiero che mai, probabilmente, quella stupenda tavola aveva portato il peso di cibi tanto volgari, per quanto ristoratori. Greg e Susan mangiarono. Milly, con gli occhi vitrei, si sbrodolò di fagioli l'ampio petto. La faccia di G.M. non esprimeva nulla. Dora, con la sua solita efficienza, predispose tutto per la notte. Nessuno accennò, nemmeno per un momento, a dormire nella camera dove Rose era morta. Le stanze bastavano appena. Erano tutte ammobiliate con la stessa semplicità quasi spartana della grande camera di G.M. Greg riuscì a issare Milly al piano superiore, poi ritornò per portare fuori i cani con Susan. I cani si adattavano alla nuova vita, come fosse un diversivo. G.M. e Dora si erano eclissati nella biblioteca. Susan si incamminò accanto a Greg lungo il viale che conduceva al cancello principale, rischiarato da una luce che lo faceva apparire immerso in un boschetto di pini. Poi tornarono lentamente indietro, verso la casa, e Greg fischiò per richiamare i cani. Sapeva i loro nomi: Beau e Belle. Li aveva chiamati così Rose. Aveva detto che ogni Beau doveva avere una Belle. Povera Rose! «Hanno estremo bisogno di essere lavati e tosati. Bisogna portarli in un negozio per cani» disse Susan. «Va bene. Fisserò un appuntamento per domani. Mia piccola Susan, sembrate mezzo morta... voglio dire...» «Lo so.» I cani arrivarono di corsa. Il gatto era già raggomitolato graziosamente sulla coperta che Col aveva portato.
Nella biblioteca, le luci erano spente e Dora e G.M. si erano già ritirati. Qualcuno aveva portato la valigia di Susan in quella che doveva essere la sua camera. «Non sono lontano» disse Greg. «Chiamatemi se... oh, se niente.» Prima che chiudesse la porta, i cani s'infilarono nella stanza e saltarono sul letto. Lei non ebbe cuore di respingerli o di mandarli fuori dalla stanza, ma si rafforzò nel proposito di farli tosare e lavare, il giorno dopo. Beau si distese subito con un latrato di soddisfazione. Belle invece stette a guardarla, mentre si svestiva. Susan lasciò accesa la luce sul comodino, senza saperne il perché. Era troppo stanca, troppo svuotata di qualsiasi energia per dare un indirizzo ai suoi pensieri. L'indomani, Snell e l'elicottero sarebbero stati certamente rintracciati. Sperò che non le fosse chiesto di identificare Snell come l'uomo che correva. Sapeva solo che quell'uomo non era G.M., per quanto lo sguardo che gli aveva dato nella luce morente del giorno fosse stato così rapido che non riusciva a comprendere come potesse essere così sicura che non fosse G.M. Forse quel qualcosa di furtivo nel modo di guardarsi indietro sopra la spalla, e ogni sua mossa fisica la convincevano che non poteva trattarsi di G.M. Il letto era stretto, ma buono. Le camere erano state preparate probabilmente per quei distinti ospiti di G.M. che per una ragione o per l'altra fossero stati costretti a fermarsi la notte nella casa segreta. Susan stava domandandosi chi avesse dormito lì prima di lei, quando passò dalla veglia al sonno. Trovarono Snell la mattina seguente e lo portarono alla casa segreta. La polizia di New York, per un atto di cortesia verso la polizia di Medbury Hills, era andata semplicemente a cercarlo nel suo appartamento del West Side e lo aveva strappato a un greve sonno con il quale stava smaltendo una tremenda sbornia. Le sue dichiarazioni erano state brevi. Sì, aveva portato Rose alla casa segreta. No, non sapeva perché ci fosse voluta andare. Si turbò però quando gli chiesero dove avesse lasciato l'elicottero. Disse semplicemente di averlo lasciato all'eliporto, ma quando G.M. gli fece notare che all'eliporto l'elicottero non c'era, ci fu qualcosa di evasivo nella sua risposta. Greg e Susan ascoltavano l'interrogatorio. Milly non era comparsa. Era probabile che stesse smaltendo i postumi della sbornia, della sera avanti. Dora entrò nella biblioteca mentre l'interrogatorio era in corso. Solo un artistico arco divideva la biblioteca dal salone ed era quindi impossibile tenere una conversazione privata in uno dei
due locali. Non che l'interrogatorio di Snell potesse definirsi privato e confidenziale. Il pilota sembrava ansioso soltanto di convincerli di aver condotto Rose, dietro sua richiesta, alla casa segreta, e che aveva riportato l'elicottero immediatamente all'eliporto. Rose aveva la chiave del cancello posteriore e del vestibolo. «Voi avete una chiave del cancello?» domandò Lattrice. Era la prima volta che Susan sentiva parlare di un problema di chiavi, ma non sarebbe stata l'ultima. Si capiva chiaramente che Lattrice doveva avere già interrogato G.M. a quel proposito. Risultò che c'erano troppe chiavi. «No» rispose Snell. «Ma Rose ne aveva una.» «Vi avevo detto» intervenne G.M. rivolgendosi a Lattrice «che con la stessa chiave si aprono il cancello e la porta.» «Avete detto anche che c'è un gran numero di chiavi.» «Sì, è così. Col ha una chiave, Wilfred pure, ve l'ho spiegato. Devono essere in grado di entrare in casa in qualsiasi momento, se necessario. Mia moglie aveva una chiave, io ho una chiave.» Dora interloquì con impazienza: «Sapete tutto questo, sergente. Anch'io ho una chiave. Ci sono dei duplicati nella credenza.» «Sì, li ho visti» rispose Lattrice in tono tagliente. «Sembra quasi che chiunque avesse la possibilità di prendere una chiave ed entrare dal cancello e in casa.» Il viso di G.M. ebbe una leggera contrazione, ma egli continuò a essere cortese e di modi come sempre controllati. «Ma vedete, sergente, io non me n'ero accorto. O Col o Wilfred erano di guardia e dovevano accorgersi se qualcuno entrava in casa.» «Ma non hanno visto la signora Manders arrivare.» Col si contorse. «Non possiamo tenere di continuo gli occhi incollati alla casa.» Lattrice guardò di nuovo G.M. «Credete che un estraneo potesse entrare, magari in compagnia di qualcuno che avesse la chiave, e impadronirsi di uno dei duplicati?» G.M. doveva avervi già riflettuto. La sua risposta fu immediata. «È possibile, sì, ma non so a chi pensare, o quando potrebbe essere accaduto.» Lattrice sembrò abbandonare il problema delle chiavi, almeno per il momento, poiché si rivolse di nuovo a Snell. «Voi avete visto la signora Manders entrare in casa.» «Oh sì» rispose Snell. Ma non aveva visto arrivare Milly, Susan e Greg.
Non ricordava di essersi guardato indietro mentre ritornava alla pista attraverso il cancello dal quale erano entrati lui e Rose, dall'altro lato della casa. L'investigatore si rivolse a Susan direttamente. «È questo l'uomo che avete visto correre via dalla casa?» Susan guardò Snell dubbiosa. Era un poco meno sgradevole di Col e di Wilfred. Aveva il viso non rasato, nel quale spiccavano gli occhi verdi. Tutto il suo aspetto denotava una specie di ruvida fiacchezza. Susan cercò di tener conto della sbornia che lui aveva ammesso, senza troppo vergognarsene. Il sergente attendeva. G.M. attendeva. Dora era immobile e composta come un gatto davanti al nascondiglio di un topo. «Aveva un cappello» disse Susan alla fine «tirato giù sul viso.» Snell si rianimò un poco. «Io non porto mai il cappello, lo sanno tutti. E... aspettate un momento: indossavo una giacca di cuoio, ieri.» «Ebbene, signorina Beach?» la interrogò il sergente. «No. L'uomo che ho visto portava un soprabito scuro. Almeno credo che sia così. L'ho visto tanto di sfuggita!» Chiuse gli occhi cercando di richiamare alla mente la sagoma che aveva visto così brevemente, poi disse come ricordandosi all'improvviso: «Aveva i guanti. Ne sono sicura.» Ci fu una breve pausa. Lattrice si voltò verso Greg. «Avete detto che voi non lo avete visto per nulla.» «È così. Era sparito nel tempo che ho impiegato ad arrivare alla finestra. Ma siamo rimasti tutti e due in ascolto finché abbiamo udito l'elicottero muoversi.» Ci fu un'altra pausa. Poi il sergente tornò di nuovo a interrogare Susan. «Siete sicura che l'uomo che avete visto andar via di corsa non fosse Snell Clanser?» «Sì» rispose lei. «O almeno lo credo.» «Ma siete sicura che riconoscereste quell'uomo, se lo vedeste di nuovo.» «Credo di sì.» «Siete sicura che c'era veramente un uomo che correva?» Intervenne Dora, con un'insinuante sfumatura di scetticismo. «Sì.» Lattrice si rivolse a Snell. «E dite che non siete entrato in casa.» «Giusto. Rose, voglio dire mia cugina, ha aperto il cancello. Poi l'ho vista usare la stessa chiave per aprire la porta. Non sono andato oltre, per quel che mi riguardava. Sono tornato all'elicottero. Non ho udito niente dalla casa, nessuno sparo, niente. È tutto quello che so.»
«Avete chiuso il cancello a chiave, quando siete ripartito?» Ci fu una pausa. Alla fine Snell disse: «No, non avevo la chiave.» «Ed era ancora aperto, quando siete arrivato?» Lattrice si rivolgeva ora a G.M. «No, era chiuso a chiave. Ve l'ho detto. Cioè, è stata Dora, la signora Clanser, effettivamente, ad aprirlo, con la mia chiave.» Dora fu esplicita. «Sergente, il signor Manders aveva le mani impedite dai due cani. Mi ha detto di prendergli di tasca la chiave. Io avevo la mia, ma era più semplice usare la sua. Il cancello era chiuso a chiave» terminò categoricamente, come se avesse appianato la questione per sempre. «Capisco.» L'investigatore non parve impressionato, ma d'altra parte non mostrava nessuna reazione. Aveva una faccia inespressiva ma molto intelligente. Parlò di nuovo a Snell. «Abbiamo visto che avete firmato il registro d'entrata all'eliporto, come sempre. L'uomo dell'ascensore e quello delle partenze si ricordano di voi. A uno di loro sembra che con voi ci fosse una signora.» «Ve l'ho detto, Rose.» «Gli è sembrato anche che ci fosse un uomo con voi due. Lui era occupato, era un momento di lavoro, ma questa è la sua impressione.» «No» rispose Snell. «Sbaglia. Non c'era nessuno con me, tranne Rose.» G.M. si protese attraverso lo scrittoio al quale era seduto. «Snell, dovete rendervi conto che è una cosa molto seria. Dovete dire tutto quello che sapete.» «Ma ve l'ho detto!» «No» replicò G.M. assorto. «A ogni modo» continuò rivolgendosi all'investigatore «non credo davvero che riusciremmo a cavargli fuori nulla di più in questo momento. Quando avrà avuto modo di riflettere, può darsi che gli venga in mente qualcosa che non ci ha detto.» Era un presentare le cose molto delicatamente. G.M. parlava sempre con cortesia ai parenti di Rose. Ma il volto di Dora si contrasse. «Volete dire quando ritorna in sé dopo aver smaltito l'ubriachezza. Sinceramente, Snell, capisco perché nessuno vi vuole. Sarete stato un buon pilota una volta...» «Sono un buon pilota» la interruppe Snell. «Ma avete preso a bere, e così nessuno, tranne G.M., vuole darvi lavoro. E G.M. lo fa solo perché siete cugino di Rose.» I suoi occhi erano foschi come un morbido velluto scuro e le sue parole sferzanti come frustate. Snell si passò sul viso una mano tremante. Sembrò che l'investigatore rinunciasse all'inchiesta come a una fatica i-
nutile, almeno in quel momento. Non è che un rinvio, disse fra sé Susan. Greg interloquì deciso: «Vorrei servirmi del pullmino di Col. Col è ritornato al cancello proprio adesso ed è là sul viale in piedi. Voglio portare questi cani dal veterinario perché siano lavati e tosati.» «Certo» osservò G.M. Susan disse: «Vengo con voi.» Dopo un chiassoso inseguimento, riuscirono a spingere i due cani in un angolo e a condurli al pullmino di Col, nuovo e splendente. I cancelli erano chiusi, ma Col sbucò subito dal boschetto di pini e disse che sì, potevano prendere il pullmino. Dopo che Greg, Susan e i cani furono saliti, Col affacciò al finestrino la sua faccia sottile. «Ho visto che hanno preso Snell. Era ubriaco, vero? Cosa aveva da dire? Ha portato qui lui, Rose, ieri?» «Dice di sì. Faremo qualche acquisto al supermercato dopo aver portato i cani dal veterinario.» Prima che Col potesse fare altre domande, Greg mise in moto il pullmino e sfrecciò via così velocemente che Col fece un salto indietro. «È un curioso» osservò Greg. «Non posso biasimarlo. Mi dispiace per Snell. Credo davvero che fosse un buon pilota, un tempo. Ho cercato sulla guida del telefono un veterinario e gli ho telefonato. Ha detto che sta bene, che è attrezzato per lavare e tosare i cani. Devo dire che ne hanno bisogno.» I due cani, intanto, guardavano fuori del finestrino, con le orecchie agitate dal vento, attenti a quello spettacolo, nuovo per loro. «Credete che Snell abbia detto la verità?» «Non tutta la verità» rispose Greg, brevemente. «Sembrava... come dire... evasivo. Malsicuro.» «Ubriaco. È certo che aveva bevuto. Ma deve avere un'idea di dove ha lasciato l'elicottero o dell'uomo che voi avete visto correre via. Siete sicura che non fosse Snell?» «So che non aveva una giacca di cuoio. È molto difficile descrivere qualcuno. Ma credo che lo riconoscerei da... come si riconosce la gente. Qualche cosa nella loro figura, nel loro modo di muoversi, o qualcosa...» «Centinaia di cose» disse Greg sommariamente. «Credo che sarebbe una buona idea che fingeste, o diceste anche francamente, che ci avete ripensato e sentite che non siete in grado di identificare quell'uomo.» «Ma perché? Oh, volete dire che potrebbe aver ucciso Rose.» «Potrebbe, certamente.» «Così potrebbe essere pericoloso per me insistere che sono in grado di riconoscerlo.»
«N... no. Be', sì. È meno pericoloso per voi dire il contrario.» Pericoloso, Susan pensò incredula. Era una giornata d'ottobre azzurra e oro, le foglie brillavano in tutte le loro belle sfumature di rosa, giallo e marrone, i boschetti di pini lungo la strada si ergevano vigorosamente nell'aria. Pericoloso? Non riusciva ad accettarne l'idea. Ma non avrebbe nemmeno accettato l'idea della morte di Rose in quel triste modo, se non avesse visto Rose. «Va bene, Greg. Ma temo che sia troppo tardi» disse. «Faremo in modo che non sia troppo tardi. Eccoci in città.» Girò in una via spaziosa. «E, ora, dal veterinario.» Il veterinario era giovane e fu un bene che fosse molto agile, perché Beau e Belle, dopo aver annusato l'aria del canile, tentarono di scappare. Il veterinario balzò su di loro e li afferrò con tale destrezza che Beau, frustrato, si voltò per morderlo. Belle guardò verso Susan, sopra la spalla del giovane, con grandi occhi tristi, come se volesse dire: "E pensare che ti credevo mia amica!". «Saranno tosati, lavati e asciugati per le cinque del pomeriggio» disse il veterinario e spinse i due cani recalcitranti al di là di una solida transenna. «Mi è dispiaciuto per la signora Manders» aggiunse. «Eh, sì» si limitò a dire Greg. «Deve essere stato un terribile colpo per il marito. Lo stimiamo moltissimo, da queste parti, sapete. Non che lo vediamo spesso, ma è la celebrità di Medbury Hills.» «Sì» ripeté Greg. «Vi ringrazio. Torneremo a riprendere i cani alle cinque. Adesso» disse a Susan mentre si muovevano verso la porta cercando di ignorare i guaiti dei cani «andiamo a fare gli acquisti. Occorre mettere insieme un po' di scorte. Dora mi ha dato una lista.» La trasse dalla tasca e la porse a Susan, che le gettò un'occhiata e rise. «Che cosa c'è?» domandò Greg. «La lista. Caviale, pâté, fagiani. Dove credete che possiamo procurarci dei fagiani?» «Nel bosco» replicò Greg brevemente. «Oh, no, non possiamo. Non è la stagione. Dovremo usare il cervello. Dora riesce a essere così raffinata, che fa fin ridere. Ecco qui il supermarket.» Misero insieme, fra loro, varie provviste riuscendo a trovare anche del caviale rosso. «Sarebbe buono con del pane di riso» disse Susan, così comprarono anche del pane di riso. Greg pagò e portò i sacchetti nel pullmino. «Non preoccupatevi» disse. «Dirò io a Dora di andare lei stessa a
fare le provviste. La vita, intanto, continua. Mi domando se Snell è tornato in sé e ha detto la verità a quest'ora. Deve sapere qualcosa dell'elicottero. Un apparecchio così non può svanire nel nulla.» «Ma gli elicotteri non seguono un programma di volo preordinato? Un piano di volo, mi pare che lo chiamino.» «Gli aerei di linea, sì. Gli elicotteri compilano una specie di modulo e seguono delle date regole. Non devono alzarsi sopra i cinquecento metri, e tenersi anche più bassi vicino agli aeroporti per non interferire con gli aerei commerciali. Prelevare un elicottero non è semplice come prendere un'auto da un parcheggio, ma non è nemmeno troppo difficile per uno che sia pratico. La firma sul modulo dev'essere senz'altro quella di Snell. Gli uomini là lo conoscono. L'elicottero di G.M. è piccolo, quattro posti. Quell'eliporto è molto grande, quindi c'è molto personale che va e viene. Il pomeriggio del venerdì il traffico è intenso. Ci sono stato con G.M. e Snell: nessuna domanda e nessuna lista dei passeggeri. Capisco come possa esserci stata della confusione sul numero dei passeggeri che Snell ha imbarcato. Poteva senz'altro aver avuto con sé altri oltre a Rose. Non vedo come qualcuno possa provare niente, a meno che non ci sia chi si ricorda di quella partenza. La sola testimonianza concreta sembra riguardare il fatto che Snell fosse là. Che cosa sia accaduto dopo è affidato a delle congetture. Ma Rose e l'elicottero sono arrivati qui. Rose e il suo assassino.» «Snell?» Greg scosse il capo. «Non so perché, ma credo di no.» Dopo un poco, lei disse lentamente: «Meglio pensare che sia stato l'uomo che correva.» Lui le lanciò una rapida occhiata. «Perché? Oh, capisco.» «Sì. Non un Clanser. Nessuno fra quelli che sono nella casa con noi.» «Così voi non li guardate a uno a uno pensando: "È questa la mano? È questo il volto?". Sì, capisco quello che intendete. Ma sono là, lo stesso. Tutti quanti parenti prossimi di Rose. Tutti nella possibilità di prendere le chiavi.» Quando raggiunsero la casa segreta, Col corse ad aprire con la curiosità dipinta in volto. Scrutò i pacchi nel baule del pullmino. «Cosa c'è in questi pacchi?» domandò. «Bombe» dichiarò Greg, serio. Ma poi rise dell'espressione allarmata che comparve sul viso di Col. «Oh, siate serio» sbottò Col. «Mi è stato detto di stare attento a tutto. Immagino che ci siano soltanto delle provviste. È come se voi tutti proget-
taste di stare qui del tempo. È appena arrivato Ligon.» «Oh!» esclamò Greg. Gli occhietti di Col ammiccarono. «Era il marito di Dora. È così che lei è diventata una Clanser. E non è tutto. Chi è il signor Prowde?» «Prowde? Che c'è da dire sul signor Prowde?» «Oh, allora lo conoscete?» «Non proprio. Vado col pullmino fino alla porta per scaricare le bombe.» «Dora ha citofonato dalla casa per dirmi che quando il signor Prowde arriva lo devo lasciar entrare.» «Allora fatelo, per l'amor del cielo. Grazie per il pullmino, Col.» «Conoscete Ligon?» domandò Susan mentre passavano vicino ai boschetti di pini e alle macchie di arbusti andando verso la casa. «No. Sembra che abbia ereditato lui tutto il cervello finanziario della famiglia.» «E Dora lo ha lasciato per G.M.?» Lui le lanciò una rapida occhiata. «No. Cioè, Dora può aver avuto in mente qualcosa su G.M., ma giurerei che G.M. non ci pensava. È stata molto efficiente. Davvero superlativa nel suo lavoro. Gliene devo dare atto. Peccato!» La casa, mentre si avvicinavano, sembrava tutto meno che una casa segreta. I mattoni rossi splendevano al sole, le finestre brillavano gaiamente, il ferro battuto, dipinto di nero, sembrava un ricamo. Non era molto attraente, forse, ma non aveva l'aria di voler tener lontano gli intrusi. Susan aveva uno strano senso di déjà vu, di visto prima, quando aiutò Greg a scaricare le borse e le scatole di provviste. Le portò in casa attraverso il vestibolo e l'andito che conduceva alla cucina. Di nuovo lasciò cadere i pacchi sulla lunga tavola. Sentì quasi che, se fosse andata alla finestra e avesse guardato fuori, avrebbe visto l'uomo che correva, e rimanendo in ascolto avrebbe udito l'elicottero alzarsi e partire con il suo caratteristico rombo. Sarebbe poi salita al piano sovrastante e avrebbe trovato Rose. No, no! Cacciò via quel ricordo. Milly entrò malferma. Non aveva indossato l'abito sporco di fagioli. Ne vestiva uno da campagna di lana scozzese a quadri verdi e gialli, che la ingrassava più che mai. Guardò Greg e Susan fiaccamente, portandosi una mano alla testa. «Mi sono buscata un terribile mal di testa. Non riesco a capire come. Susan, un po' di caffè, per favore.» «Vi ci vuole dell'aspirina» osservò Greg bruscamente. «Avete mal di te-
sta perché vi eravate ubriacata, ieri sera. Andiamo, Susan. Il caffè può farselo da sé.» Milly mandò un lamento e si lasciò cadere su una sedia. Greg spinse Susan fuori dalla cucina. «Vedo che vi rincresce per lei, ma non siete qui per accudire a Milly. Andiamo a vedere Ligon. Non mi aspetto che sia un piacere, ma Milly vi metterebbe in croce. Incamminiamola subito sulla buona strada.» Effettivamente non era un piacere vedere Ligon. Sembrava però che si fosse sottratto alla generale cialtroneria dei Clanser, perché si alzò prontamente. Era di media statura, né grasso né magro, con un lungo mento. Indossava una giacca di tweed, calzoni sportivi e scarpe pesanti da campagna. Quando Greg e Susan furono entrati nella biblioteca, G.M. li presentò. Ci fu un educato mormorio dei soliti convenevoli. G.M. era seduto allo scrittoio. Snell sedeva in un angolo, guardando tutti furtivamente. Dora arrivò, con gli alti tacchi ticchettanti. «Bert Prowde è arrivato adesso al cancello» disse. «Col me lo ha citofonato. Oh!» e guardò Susan. «Spero fermamente che abbiate procurato quello che era segnato nella lista.» Fu Greg a rispondere. «Non tutto, Dora. Medbury Hills non è una metropoli, sapete. Perché viene Bert Prowde?» Dora non fece nemmeno l'atto di rispondere. G.M. disse: «C'è del nuovo, Greg. L'elicottero è stato localizzato vicino al margine dell'aeroporto di Westchester. La polizia lo sta esaminando per il rilievo delle impronte.» «Qualcuno lo ha visto arrivare?» domandò Greg. G.M. scosse la testa negativamente. «Sembra di no. Sarebbe stato abbastanza semplice se fosse andata così. Troppo lontano perché la torre di controllo se ne preoccupasse. E poi quell'ondulazione di colline, gli arbusti, gli alberi... Una rapida fuga in un'auto già parcheggiata in qualche punto, su, vicino a Mount Kisco, Greenwich o chissà dove. Comunque sia avvenuto, l'elicottero è là.» «Vado alla porta incontro a Bert» disse Dora e uscì a passo lesto. 6 Snell, come Milly, soffriva ancora dei postumi dell'ubriacatura del giorno precedente. Si prese la testa fra le mani e disse tetro: «Nessuno può dire di avermi visto correre via dalla casa, ieri. Ho bisogno di una tazza di caffè.» Mandò un lieve gemito, si alzò e attraversò la stanza con passo stra-
scicato, seguendo Dora. La faccia a lanterna di Ligon mostrava della perplessità. «Cos'è questa faccenda dell'uomo che correva via dalla casa?» G.M. sospirò. «Susan, cioè la signorina Beach, qui, ha visto un uomo correre verso la pista.» Greg intervenne un po' troppo energicamente: «Ma non è possibile che lo possa identificare. Nemmeno da pensarci. Lo ha appena intravisto. E il congresso, G.M.? Avete deciso?» «Sì» rispose G.M. con riluttanza. «Non c'è nient'altro da fare in simili circostanze. Andrò dabbasso e mi darò da fare con le linee d'emergenza. Dora mi aiuterà.» «Volete rimandarlo?» «Non so. Posso raggiungere uno dei nostri amici a Londra, credo. Un altro a Parigi. L'incontro era programmato per mercoledì prossimo. Forse per allora... Vedremo.» La faccia di Ligon non poté nascondere un moto di curiosità. «Uno dei vostri "vertici" economici decisionali?» «Non lo chiamerei precisamente così. Vuole solo essere un confronto di idee.» G.M. si alzò in piedi stancamente, quando si sentì il ticchettio dei passi di Dora attraverso il salone. La seguiva un uomo con l'aria di desiderare vivamente di essere altrove. Greg aveva descritto Bert Prowde molto bene. Era notevolmente bello, capelli neri ondulati, fattezze regolari, grandi occhi azzurri e un simpatico sorriso sulle labbra mobili. Si accarezzò i capelli e si aggiustò la cravatta, senza che ce ne fosse alcun bisogno. Dora lo presentò. «Il mio amico Bert Prowde, il signor Manders, il signor Cameron, la signorina Beach. Oh, sì, il mio primo marito, Ligon Clanser.» Ligon si era di nuovo alzato compitamente, ma lo sguardo che diede al bel Bert era gelido. Anche Bert Prowde accennò a un inchino, mostrandosi piuttosto turbato e aggiustandosi di nuovo la cravatta. Dora si sedette tranquillamente. «Ora, Bert, volete dire a tutti, qui, dov'ero io, ieri fra... oh, le cinque e le sei e mezzo?» «Bene, non sono sicuro del tempo preciso, lo sapete Dora» disse il signor Prowde. «Ma era press'a poco quella l'ora in cui abbiamo preso il cocktail insieme.» «Dite dove» gli ingiunse Dora. «Nel... nel mio appartamento, naturalmente.» Il signor Prowde deglutì faticosamente.
Ligon guardò G.M. «Che cos'è questo? Che cosa importa dov'era Dora quando la disgrazia è accaduta?» Dora ribatté decisamente: «Devi certo averlo capito anche tu, Ligon, che non è stata una disgrazia.» «Ma allora, che cosa?» Il lungo mento di Ligon sembrò allungarsi ancora di più. «Omicidio, probabilmente.» «Ma... Omicidio!» L'indignazione e la dignità lottavano nella voce di Ligon. «Nessuno me lo ha detto. La polizia...» «La polizia è già stata qui e ritornerà» lo interruppe Dora freddamente. «È il motivo per il quale ho voluto che Bert venisse e vi dicesse del mio alibi.» «A... alibi!» fece eco Ligon. G.M. tirò un lungo respiro. «Non è sui giornali, ancora, Ligon. Fino a questo momento è definito... un incidente.» «Ma Dora ha detto omicidio! Ha detto che la polizia...» «La polizia sta investigando e continuerà a farlo.» «Ma io... ma la polizia... ma...» Ligon sembrò riprendersi. «Se lo avessi saputo...» cominciò. Dora lo interruppe. «Puoi andar via quando vuoi, Ligon. Ricordati che sei stato tu a insistere per venire.» «Ma Wilfred non mi ha detto... ha parlato solo di un incidente.» «È soltanto così, finora» intervenne G.M. asciutto. «Non dovevate far venire il signor Prowde, Dora. Non credo che la polizia sia ancora giunta al punto da chiedere degli alibi.» «Ma lo farà» rispose Dora. «Io l'alibi ce l'ho, non è vero, Bert?» «Che cosa?» Il signor Prowde trasalì, strinse le spalle nervosamente e disse: «Oh, sì. Sì, certo. Eravate con me esattamente come avete detto. Io non ho controllato l'ora, naturalmente, ma l'avete fatto voi.» «Sono sicura di averla guardata.» Gli occhi di Dora erano tempestosi. «Voi starete qui, Bert, non è vero? Fino a quando non avrete parlato con la polizia. La casa è piena, ma c'è una locanda molto buona in paese. Alloggerà là anche Ligon.» Ligon non fece attenzione a Dora. «E voi» disse rivolgendosi a Susan «voi avete visto davvero qualcuno correre fuori dalla casa?» «Solo intravisto» si intromise Greg, sempre in fretta. «Non sarebbe in grado di identificarlo.» «Non è certo» disse Snell, comparendo all'improvviso sulla soglia. Sem-
brava rinfrescato e reggeva in mano una bottiglia. «Ha degli occhi acuti. Ha detto senza esitare che non ero io quello che ha visto.» «Snell!» Milly emerse accanto a lui. «Dammi quella bottiglia.» «Certo» le rispose lui cordialmente. «Prendine un po', vecchia mia. Facciamo da buoni fratelli.» «Oh, mio Dio!» Per un istante sembrò che Dora volesse balzargli alla gola. Greg la precedette, bonariamente ma velocemente, e tolse la bottiglia di mano a Snell senza dar peso a una specie di strillo di Milly. Attraversò poi il salone e scomparve. Ligon si tolse di tasca un fazzoletto e si asciugò la fronte. «Ma io pensavo... voglio dire... be', naturalmente non posso rimanere se...» «Desideravate venire, l'avete detto voi» disse G.M. «Sì, naturalmente. Ma non sapevo...» Si diede un'altra passata alla fronte. «G.M., voi siete una persona importante. Io non sono del vostro calibro, ma sono rispettato nel mio ambiente. Credo di poter dire che sono abbastanza noto e stimato. È stato detto che sono alle soglie del Congresso. Ho le mie relazioni e... il fatto è che se si tratta di omicidio...» G.M. fece un cenno affermativo. «Non volete averci a che fare.» «I giornali e tutto quanto...» Bert Prowde si produsse in una spontanea osservazione. Trasse un giornale dalla tasca. «È nel giornale di stamane. Vi si parla di un incidente. Non è stato dato molto risalto alla notizia.» Esitò, diede a G.M. uno sguardo preoccupato, poi allungò il giornale a Dora. Dora non esitò un istante, lo spalancò, diede un'occhiata, poi si avvicinò rapidamente a G.M. «È qui. Non è troppo male, G.M.» Gli si chinò sulla spalla mentre leggeva. Greg ritornò, fu informato, si collocò dietro l'altra spalla di G.M. e lesse lui pure. Sembravano due ben ammaestrati e devoti aiutanti di campo, sull'attenti accanto al loro comandante, pronti a dare il loro sostegno. Snell e Milly erano occupati in una specie di borbottio appena percettibile, del quale Susan colse qualche parola. «Greg ha la chiave... Sì, è chiuso a chiave.» Doveva riferirsi ai liquori, avendo Snell ribattuto: «Ma ce ne sono giù in cantina. Ce n'è in quantità.» Milly aveva obiettato: «Anche quelli sono chiusi a chiave.» E aveva aggiunto austeramente: «Non che io desideri bere niente.» Snell aveva chiuso il discorso con un: «Uh!» borbottato alla maniera dei Clanser, di cui Col aveva i diritti d'autore. Dora osservò con aria assente: «Il giornale non è cattivo, G.M. Può darsi che la polizia continui a chiamarla una disgrazia.»
Ligon doveva aver preso una decisione. «In qualunque modo la chiamino, mi dispiace, ma io proprio non posso rimanere. Mi dispiace molto, ma io...» «Scappi via?» domandò Dora. Ligon si concentrò e, dopo una pausa, tornò a sedersi. «No. Capisco che in questo avvenimento, cioè in una simile circostanza, farà migliore impressione che la famiglia di Rose mostri il suo appoggio a G.M.» Guardò Bert Prowde. «Credo proprio che non ci sia bisogno che voi restiate.» Dora rise. «Non muovetevi, invece, Bert.» Bert, molto bello e in apparenza molto infelice, si sedette, accomodandosi con cura la piega dei pantaloni. G.M. disse con tono pacato: «Dobbiamo metterci al lavoro, Dora. Voi potete aiutarci al telefono, se volete, Greg.» Dora esitò. «G.M., ho pensato... forse dovreste chiamare qui il vostro avvocato.» G.M. scosse la testa. «No, non allo stato attuale delle cose.» Lasciò cadere il giornale nel cestino della carta e disse con aria assente a Ligon: «Milly si occuperà del vostro pranzo. Spero che starete bene alla locanda.» E uscì dalla stanza. Dora e Greg lo seguirono, marciando dietro di lui come due efficienti aiutanti di campo. Ligon si spostò sulla sedia, a disagio. Bert Prowde conservava il suo aspetto bello, infelice e imbarazzato. Milly imbandì una ricca tavola fredda, in modo che ciascuno si servisse da sé. Era un pasto sano e copioso ma piuttosto semplice: burro di arachidi, panini imbottiti di salame e caffè. Susan non poté trattenersi dal pensare ancora una volta che mai nulla di simile doveva essere stato servito in quella stanza raffinata. Pensò anche, tuttavia, con sollievo, che Greg aveva fatto una buona scorta di quella provviste. Dopo aver riflettuto qualche istante, riempì un piatto di panini e lo portò, esitante, giù, nel seminterrato. G.M., Greg e Dora sedevano insieme: Dora al telefono. Greg con un taccuino in mano intento a prendere appunti, G.M. con la cuffia collegata al telefono. G.M fece un cenno affermativo e lei posò il piatto sulla tavola. Dora disse: «C'è la persona di Londra.» Era una piccola stanza, per nulla somigliante a un ufficio, tranne che per la scrivania. I muri erano a calce. Le porte dovevano condurre, suppose Susan, alla cantina e all'inceneritore. C'erano delle tavole da gioco, carta e matite e qualche sedia da cucina. Quando G.M. cominciò a parlare, Susan lasciò in fretta la stanza e salì in camera sua.
Era stata una lunga mattinata. Fu un corto pomeriggio. Tentò di dormire, ma senza riuscirvi. Si domandò se Ligon e Bert fossero insieme, ma non era probabile. Le ombre andavano allungandosi nei boschi quando G.M. bussò alla sua porta. «Susan?» Lei balzò in piedi e corse ad aprire la porta. «Ho terminato ora tutto quello che era possibile fare. Ho bisogno di respirare un po' d'aria pura. Volete venire con me?» «Oh, sì.» «Meglio che prendiate una giacca. Si sta rinfrescando.» Lei afferrò la sua giacca e si fermò un attimo a ravviarsi i capelli. A G.M. piacevano le donne ordinate. "Dopo Rose, incurante dell'ordine" pensò Susan all'improvviso, ma vergognandosi subito. Povera Rose! Nessuno, eccetto G.M., sembrava soffrire per lei, e anche il dolore di G.M. sembrava rivolto più al passato e alla sua Rose bianca e rosa che al presente e al fatto terrificante del... ebbene, dell'assassinio. "Chiamalo così" disse a se stessa "proveranno che è omicidio, abituati a questo pensiero". G.M. la condusse fuori dall'ingresso. Lei gettò un'occhiata all'orologio che portava al polso: era quasi ora che andassero a riprendere i cani, lei e Greg. «Andiamo giù nei boschi» disse G.M. «A dirvi il vero, sono arrivato al limite della sopportazione, per ora. Che bisogno avesse Dora di portar qui quel Prowde... ma, naturalmente» G.M. era sempre ragionevole «la capisco. Dora è concreta. Sa che è stato un omicidio. E sa che...» Esitò, poi riprese: «Che tutte le persone vicino a me o vicine a Rose saranno sospettate. Ha ragione di fare i passi necessari per costituirsi un alibi.» Girarono verso il sentiero che conduceva alla piazzola per l'elicottero. I pini cominciavano a premerli da vicino. Proprio lì, Susan pensò, aveva visto l'uomo che correva. Il muro di mattoni era alto circa due metri, con un cancello dall'apparenza rustica, ma molto solido. G.M. tirò fuori una chiave di tasca, aprì, poi spinse il cancello. Entrarono, quasi all'improvviso, in un paesaggio fittamente boscoso. G.M. si cacciò le mani nelle tasche della pesante giacca da campagna. Indossava un maglione marrone e dei calzoni sportivi. Sembrava molto diverso, più giovane dell'uomo che aveva conosciuto in ufficio. I suoi capelli erano appena spruzzati di grigio. Aveva il viso tirato in quel momento ma, mentre camminavano, riguadagnò gradualmente qualcosa della sua elasticità e della padronanza che gli era abituale in ogni situazione. «Ho fatto quello che dovevo. Non potevo passare sotto silenzio la morte
di Rose, anche se è stato giusto che lo tentassi. Io ho continuato a chiamarla una disgrazia, ma dovevo pur dire che la polizia stava investigando. Non potevo fare niente di diverso.» «Volete dire che avete riferito alle... alle personalità che dovevano venire qui la prossima settimana, di Rose?» «Oh, sì. Come ho detto, lo dovevo. Mi sono sempre comportato lealmente. Del resto, è solo questione di tempo, poi la polizia dirà che è stato un assassinio.» «E il convegno?» «Non posso fare molto per il convegno. Ho lasciato la decisione agli altri. Naturalmente le persone che dovevo vedere non possono venire qui, ora. Vorrei solo essere informato di quello che succede altrove, dovunque. Una crisi monetaria può imperversare con la rapidità di un uragano, ma può anche dissolversi altrettanto presto.» «Ma voi siete necessario.» G.M. abbassò lo sguardo su di lei, con un mezzo sorriso sulle labbra. «Non sono indispensabile, Susan. Ho soltanto studiato e lavorato durissimamente da giovane. Credo di aver avuto, o di aver sviluppato, un certo istinto del denaro. Un Paese riposa sulla sua economia. Ci sono tempi di crisi...» Fece una pausa, rifletté un momento, poi continuò: «C'è una crisi, a me sembra, quasi ogni giorno. Il problema è che una crisi può travolgere non solo i miei interessi privati, ma l'intera economia nazionale.» «Voi lavorate molto.» «Il mio non mi sembra lavoro. È più... come se avessi un debito verso qualche cosa. I miei stessi interessi, naturalmente. Ma anche il mio Paese. Non vorrei sembrare presuntuoso, ma tutti confidano in quello che io posso avere di discernimento e capacità e allora è giusto che faccia del mio meglio.» «Non avete mai assunto una carica pubblica.» «Oh, no.» G.M. scosse il capo energicamente. «Non avrei potuto e non potrei. Mi sono sempre tenuto fuori dalla politica. Lavoro meglio così, dietro le quinte. Non sono il solo uomo che tenta di fare ciò che gli sembra giusto e saggio più quietamente che può. Possiamo finire tutti in un groviglio. Come gatti in un sacco. Le relazioni d'affari non si producono da se stesse. Ognuno lavora per conoscere il punto di vista degli altri.» Camminarono finché giunsero alla radura che era stata predisposta per l'atterraggio dell'elicottero. G.M. disse improvvisamente: «Povera Rose, era così ambiziosa, sapete, a suo modo.»
«Rose!» Mai Susan sarebbe riuscita a cancellare lo stupore dalla sua voce. «Oh, sì. Nei primi giorni del nostro matrimonio voleva essere la moglie di un senatore o del titolare di un gabinetto ministeriale. Qualcosa del genere. Io l'ho delusa. Probabilmente è stato questo a farla ripiombare nelle abitudini di famiglia.» «Famiglia...» «Avete visto Snell e Milly. Dora tiene a freno saldamente Col e Wilfred, ma sta attenta che in casa i liquori siano sotto chiave. Sarebbe meglio non tenerne.» «Rose beveva? Non posso crederlo.» «Lo credereste se... non importa. Era una cosina così graziosa, una volta. Tuttavia, se frugo nella mia coscienza, e l'ho fatto tante volte, devo essere onesto e dire che, se non avesse avuto tutto quel denaro che le aveva lasciato il suo primo marito e io non lo avessi saputo, sarei anche potuto non essere tanto precipitoso nel volerla sposare. Arrivo a pensare di averle forzato la mano. Era maggiore di me di cinque anni, ma era bambina. Aveva solo Milly a consigliarla, e Milly è veramente una sciocca, qualche volta una sciocca maliziosa e maligna. In ogni modo, eccovi la storia della mia vita. Potete assolvermi?» Susan alzò lo sguardo verso di lui, ma non notò nei suoi occhi il solito guizzo scherzoso. Era serio e assorto. «Dovevate essere molto giovane.» «Abbastanza vecchio da riuscire a persuadere Rose a sposarmi e a lasciarmi usare il suo denaro. Oh, sì, ero abbastanza vecchio per questo. Le ho restituito tutto. Ho cercato di darle qualsiasi cosa volesse. Ma ho fallito miseramente.» Lei guardò indietro e quello che si poteva scorgere della casa di mattoni rossi. «Buffo» egli continuò come parlando a se stesso «tutte queste assurdità di guardie armate e di casa segreta. Le linee d'emergenza del mio stesso centralino mi costano un occhio. Come se tutti, in Medbury Hills, stessero in ascolto di qualunque cosa io dica al telefono.» «Ma io credevo che fosse una vostra idea. Voglio dire, tutte queste precauzioni per proteggere da indiscrezioni ciò di cui voi e i vostri ospiti potevate parlare.» Egli rise brevemente. «Quella della casa e del resto non è stata una mia idea.» «E di chi, allora?» «È stata un'idea di Rose» rispose seccamente.
«Rose!» 7 «Un'idea dovuta a un caso, veramente. Una notte, mentre tornavo a casa a piedi attraverso il Central Park, sono stato aggredito. Non mi avevano fatto un gran male, mi avevano malmenato. Ma quando sono giunto a casa, Rose aveva bevuto, vedete. Era però abbastanza in sé per vedere che mi avevano colpito alla testa. Ho dovuto chiamare un medico, che mi ha dato qualche punto. Lei è riuscita a cavarmi fuori la verità prima che avessi avuto il tempo di inventare qualcosa di banale e di riflettere sulle conseguenze che avrebbe prodotto su di lei la notizia di un'aggressione. Si convinse che era opera di un agente nemico o di una spia industriale, lusingandomi, devo confessarlo.» «Poteva aver ragione.» «Veramente, credo che nessuno al mondo si sarebbe disturbato per me. Ma c'erano stati quei tragici assassinii. Il succo di tutto è stato che io ho ceduto e, per essere onesto, in quel tempo avevo cominciato a capire che un'altra casa mi sarebbe stata di una reale utilità.» «Oh!» Susan pensò all'appartamento della Quinta Avenue, come lo aveva visto. G.M. indovinò il suo pensiero. «Naturalmente non potevo contare su Rose per ricevere. Non potevo contare che un pranzo, diciamo, potesse essere servito o preparato a dovere nel grande appartamento. L'appartamento che ho in albergo è molto piccolo, soltanto un posto per dormirci. Una volta deciso, sono andato fino in fondo, per così dire. Tutto quello che l'imprenditore edile mi ha proposto è stato realizzato.» «Isolamento acustico? Un uomo fisso al cancello?» Egli annuì. «Ma in realtà è stato per dar lavoro a due parenti di Rose, Col e Wilfred. Ho fatto sistemare l'interno della casa da alcuni arredatori. Io mi sono limitato a scegliere i colori, i tappeti, un paio di buoni quadri. Non posso dire che mi sia mai piaciuto molto l'esterno della casa, ma mi piace l'interno. È bellissimo, credo. E molto comodo. Anche le linee d'emergenza, devo dirlo, mi danno una grande libertà nel raggiungere le persone con le quali devo parlare e nel dire quello che voglio. L'unica cosa alla quale ho fatto obiezione è stata la proposta di un impianto di congegni elettronici di allarme. Non volevo che la polizia di Medbury Hills dovesse precipitarsi qui ogni volta che Col e Wilfred si fossero scordati dell'allarme
e avessero aperto qualche porta o finestra senza staccarlo. Il grande cancello d'ingresso ha un dispositivo elettrico, ma è controllato dalla guardiola, quella specie di tettoia dove Col e Wilfred passano tutto il tempo concesso loro da Dora. Guardano che la casa sia in ordine. Io, soprattutto, cominciavo a comprendere i vantaggi di avere una casa qui, in campagna.» Sospirò. «Suppongo che adesso ne parleranno i giornali, con ogni sorta di sciocchezze.» «Può darsi che riusciate a fermarli.» «Non potete fermare i giornali. Ma mi è piaciuta la casa. Dora mi è stata di grande aiuto nel condurla. Io non ho fatto niente. Ed è stato un posto davvero piacevole per mangiare e bere con la gente che dovevo vedere o che voleva vedere me. Ho avuto il senso della libertà, qui. Oh, mi sono scusato con i miei ospiti per tutta questa segretezza, voglio dire le guardie. E il resto. Ma il fatto è che diventava sempre più comoda per me.» Continuarono a camminare lentamente. La luce del crepuscolo si stava colorando di blu sotto gli alberi. Alla fine Susan disse: «A Rose piaceva la casa?» Egli sorrise. «Nel tempo che ci è voluto per costruirla, aveva perso ogni interesse. E intanto aveva preso a bere sempre più e si era messa in testa che ogni tentativo di assassinare me sarebbe stato pericoloso anche per lei. Raramente lasciava il grande appartamento. Vi si chiudeva dentro, paurosa di tutto e di tutti, tranne di Milly. In un certo senso aveva ragione. Qualcuno l'ha uccisa. Ma troverò chi è stato.» Lei lo credette. C'era una così fredda determinazione nella sua voce e nel suo aspetto, che ebbe pietà di chiunque dovesse incorrere nella sua collera. Egli riprese: «Rose è venuta qui un paio di volte. Non le piaceva, non ci voleva vivere e, a dire la verità, io ne provavo sollievo. Non sapevo mai in che stato potesse presentarsi. Ora devo scoprire perché è venuta qui ieri. Che cosa intendeva fare. Non aveva l'intenzione di uccidersi, lo so. Inoltre, molto tempo fa, le avevo insegnato a maneggiare una rivoltella. Era sempre nervosa, anche prima che io diventassi, attraverso il suo denaro, devo ripeterlo, abbastanza ricco da poter attirare ladri e parassiti. No, mai si sarebbe uccisa. Non sarebbe mai venuta qui, ieri, senza una ragione pressante. Ma è venuta ed è stata uccisa, e io devo trovare l'uomo che voi avete visto correre via dalla casa.» «G.M.» disse Susan esitante «c'è qualcuno che avesse ragione di odiare Rose a tal punto?» Lui corrugò la fronte. «Ci ho pensato. Ho pensato a tutti, ma nessuno dei
suoi parenti l'avrebbe uccisa. Da un lato, significava troppo per loro, in termini di denaro.» Si voltò bruscamente verso di lei. «Sono il genere di uomo che si guarda avanti. È quello che chiamano il mio genio. Non ho potuto guardare avanti, quando io e Rose ci siamo sposati. Avremmo dovuto cercare di conoscerci meglio.» «Deve essere stata molto bella.» «Lo era. Ascoltava tutto quello che dicevo, qualsiasi opinione esprimessi. Ma non molto tempo dopo averla sposata ho scoperto che non afferrava niente. Alla fine, mi sono dovuto convincere che non interloquiva mai perché non aveva nulla da dire. La sua bellezza ha cominciato a sfiorire molto presto. Milly non ha mai esercitato su di lei una buona influenza. Nessuno dei Clanser ha influito su di lei in senso buono. Invece, hanno speculato tutti sulle sue debolezze. A lei piaceva fare qualcosa per loro e non lo faceva atteggiandosi a fata benefica, ma con vero, grande affetto. Loro sapevano che, se riuscivano a incontrarsi con lei quando aveva bevuto, potevano cavarle fuori qualsiasi cosa. Milly è l'erede della maggior parte del denaro di Rose. Le toccheranno circa tre milioni di dollari. Il resto sarà diviso in parti uguali fra gli altri, esclusa Dora. Rose non ha mai voluto accettare Dora come una Clanser e del resto non lo è. Non so esattamente quanto prenderanno gli altri Clanser. Trentamila dollari ciascuno, direi, e credo che non gli dureranno molto. A Col, Snell e Wilfred trentamila dollari sembrano una fortuna. Ligon è più esperto. Ho fatto del mio meglio per Rose, veramente. Ma non potevo combattere contro quel suo gran bere. Non sono riuscito a prendere le cose per il verso giusto con lei.» Era la vecchia, solita storia, pensò Susan guardando il viso energico, e in quel momento molto triste, di G.M. Un uomo si sposa quando è giovane, sposa un bel viso e un bel corpo, solo per scoprire più tardi, col passare del tempo, che quelle doti svaniscono e non rimane nulla, solo una moglie incapace di stargli al fianco nel corso della vita. «Rose era tanto credulona, sapete» riprese G.M. «Il suo primo matrimonio fu una cuccagna per la famiglia. Lui era molto più vecchio di Rose e, come sapete, aveva una quantità di denaro che a loro deve essere sembrata una fortuna enorme. Sembrava così anche a me quando l'ho sposata, ve l'ho detto. E loro mi consideravano un cacciatore di dote. Lo ero, in un certo modo, non lo dimentico mai.» Abbassò lo sguardo su di lei nella luce incerta del tramonto. «Ho parlato molto di me. Perdonatemi.» «Mi dispiace talmente!» disse Susan.
Il volto di lui era grave. Mosso dall'impulso, G.M. la circondò con le braccia e la tenne stretta. «Sì, sono convinto che vi dispiace per me. Sono certo che avete ascoltato tutto quello che vi ho detto.» Fece una pausa come se volesse vagliare le proprie parole, poi continuò: «Per bontà di cuore. Non ho mai pensato a nessuno in questo modo, prima d'ora.» Lei rimase chiusa nel cerchio caldo e saldo delle sue braccia. Le sue braccia, le braccia del grand'uomo che la stringevano come se lei gli avesse reso un grande favore, come se, pensò stupefatta, lei gli piacesse perché era una donna con la quale poteva parlare. Sentirono un guaito, e qualcosa si mosse attorno alle caviglie di Susan. G.M. la sciolse dall'abbraccio ed entrambi guardarono in giù e videro Belle che scodinzolava e guaiva di gioia, come se li avesse insperatamente ritrovati dopo una lunga separazione. Arrivò anche Beau. Greg si era fermato ai margini della pista, col buio dei boschi alle spalle. L'espressione corrucciata del suo viso lasciò Susan perplessa per un istante, ma poi capì che doveva averla vista fra le braccia di G.M. Forse aveva udito anche le parole di G.M., ma non c'era nulla di allarmante in quello che aveva detto. «Non vi ho trovato in casa, Susan» Greg ruppe per primo il silenzio «così sono andato a prendere i cani prima che chiudessero il negozio.» G.M. guardò i cani e il loro frenetico piroettare. «Povero me, come sono eleganti!» esclamò divertito. Erano eleganti davvero. Tosati a regola d'arte, con il ciuffo spazzolato alla Pompadour e il pelo delle gambe assestato a pantaloncino. Avevano gli occhi lucidi e vivi mentre si sfogavano in una sarabanda di corse e capriole, come se fossero impazziti dalla gioia. «Cagnetti da Quinta Avenue» commentò Greg, asciutto. «Visto che vengono a dormire sul mio letto» disse Susan «spero che siano stati lavati a fondo.» Greg aveva ancora un'aria che non gli era naturale. Si comportava come se fosse un estraneo in rapporti molto formali. Sul sentiero comparve Dora, tanto graziosa anche in quella poca luce, che Susan si domandò come un uomo potesse resistere al suo fascino. Non degnò Susan di uno sguardo. Si diresse subito verso G.M. e gli mise le due mani su un braccio. «Non sono riuscita a strappare una parola di più a Snell. Continua a ripetere le stesse cose, senza fine. Rose gli ha telefonato e gli ha chiesto di portarla qui e gli ha detto di aspettarla all'eliporto. Sostiene che l'ha portata qui, che aveva una chiave del cancello e della porta di casa. Dice di non aver senti-
to nulla e di non aver visto nessuno e di non sapere come e perché l'elicottero si trovasse vicino all'aeroporto di Westchester. Ma naturalmente io capisco perché!» «Capisco anch'io» disse G.M. «È riuscito a cacciar giù un po' di whisky e fortunatamente ce l'ha fatta ad atterrare senza fracassare il velivolo. In qualche modo è riuscito a raggiungere la città e il suo appartamento, dove ha smaltito la sbornia dormendo. Ma non posso fare a meno di credere che Snell sappia qualche cosa che non dice.» Dora annuì, col bel viso molto serio. «Non vedo però in quale modo farglielo dire, ora, quello che può sapere. Susan...» Sembrò che si accorgesse della presenza di Susan solo in quel momento, ma senza dubbio l'aveva vista subito arrivando alla radura «siete sicura che non sia Snell l'uomo che avete visto correre verso il cancello?» Questa volta Greg non si fece avanti a dichiarare decisamente che Susan non sarebbe stata in grado di identificare quell'uomo. Fu G.M. a parlare: «L'avete udita, Dora. È soltanto sicura che non era Snell.» «A me sembra, Susan, che quell'uomo dovrebbe esservi rimasto in mente tanto da poterne fare una descrizione, anche se, come dite, l'avete visto per così breve tempo.» La voce di Dora era tagliente. Si avvicinò a Susan. «Ora ascoltatemi, mia cara. Sappiamo tutti che fareste qualsiasi cosa per evitare di coinvolgere qualcuno di noi nell'inchiesta per l'assassinio di Rose e, a dirlo più chiaramente, per evitare di coinvolgere G.M. Non è così?» «Non era G.M. Lo avrei riconosciuto.» «Si capisce.» La voce duttile di Dora, una delle sue attrattive, si fece di nuovo dura. «È chiaro. Ma se veramente avete visto qualcuno, lo potrete identificare.» «Ho visto un uomo correre» ripeté Susan. G.M. intervenne: «È tardi. Torniamo a casa. Sempre fredde queste sere d'autunno.» Mandò un fischio per richiamare i cani, che arrivarono di corsa festosi. «Avete veramente l'intenzione di tenere questi cani, G.M.?» domandò Dora. «Certamente» rispose G.M. perentorio. Si trovò a camminare vicino a Dora quando si inoltrarono nel sentiero fra i boschi verso la casa. Susan veniva dietro. Dora prese il braccio di G.M. confidenzialmente, con un gesto che le era abituale. Greg, che chiudeva la fila dietro a Susan, non fiatò. I cani saltellavano allegramente attorno a loro. Nell'uscire dal bosco, scorsero le finestre della casa, illuminate. La finestra della cucina dalla quale Susan aveva visto
l'uomo che fuggiva era chiaramente visibile, ed era chiaramente visibile anche Milly, china sopra la tavola. G.M. chiuse il cancello a chiave e tutti insieme ripresero il cammino verso la casa. Snell, sulla soglia della cucina, si lagnava con Milly, a quanto sembrava, ricevendo per tutta risposta una scrollata di spalle. Dora disse forte nella penombra: «Snell vuole la chiave dei liquori o della cantina. Ha già chiesto a me di dargli una delle due. Ho rifiutato.» Girarono l'angolo della casa. Susan fu colpita dal fatto che non ci fosse un ingresso posteriore. «L'uomo che ho visto correre deve essere uscito dalla porta principale. È la sola porta?» domandò. Le rispose Dora. «Oh, sì. G.M. non ha voluto porte per l'uso della servitù. L'andito dalla cucina al vestibolo è sufficiente anche per depositare i rifiuti. Col e Wilfred portano poi tutto in un inceneritore vicino al garage. Avete proprio ragione, l'uomo che dite di aver visto poteva essere uscito soltanto dalla porta del vestibolo.» «A meno che non fosse stato affatto nella casa» osservò Greg seccamente. «Snell dice di aver lasciato Rose alla porta.» «Qualcuno doveva essere nella casa» ribatté Dora con una conclusione logica. G.M. aprì la porta del vestibolo. «Non ci cambieremo per il pranzo» disse Dora. «Non ci sarebbe senso. Dio sa che pranzo Milly sta mettendo insieme. Ha detto che quel miserabile gatto ha portato via le bistecche.» «Ci sarà dell'altro» obiettò indulgente G.M. «Greg, avete la chiave dei liquori. Prendete qualcosa da bere per noi.» Greg annuì e si diresse verso l'andito della cucina. G.M. attraversò l'incantevole salone e scese i gradini verso la biblioteca, altrettanto bella. Ligon e Prowde erano seduti là e si guardavano. Sembrava che nessuno dei due gradisse quello che vedeva. Bert Prowde sedeva in un angolo, sull'orlo della sedia. Ligon era sprofondato a suo agio in una comoda poltrona. Ligon prese la parola. «Snell aiuta Milly a preparare il pranzo.» «Bene» approvò G.M. «Intanto è meglio che beviamo qualcosa.» Ligon sollevò leggermente le sopracciglia. «Come sapete, io non sono uno che beve, G.M. Ma in questa circostanza...» «Va bene, Ligon, va bene.» G.M. proseguì verso lo scrittoio. Dora gettò un'occhiata a Ligon e ribatté in tono pungente: «No, tu non hai mai avuto dei piccoli vizi, Ligon. Io ho sempre pensato che dovessi averne e magari
ne nascondessi qualcuno grosso.» «Veramente, Dora!» La faccia di Ligon diventò purpurea, e Susan pensò per un momento che gli prendesse una sincope. Dopo avergli dato quella pugnalata, Dora continuò quasi contenta: «Oh, non dico che tu ti sia appropriato di denaro indebitamente. Ti conosco troppo bene, per questo. Tu sei un tirchio, ma ti servi di una delle migliori organizzazioni del paese per la contabilità, e i tuoi registri sono passati al microscopio. No, non hai rubato a nessuno. E poi, ne saresti spaventato. Che cosa ricavi dalla vita, Ligon, a parte il denaro?» G.M. si sfregò la fronte con una mano. Bert Prowde parve che si rattrappisse sulla sedia. Fortunatamente ci fu il tintinnio dei bicchieri e del ghiaccio attraverso il salone. Ligon riprese il controllo di sé, lanciò a Dora uno sguardo mezzo divertito e si assestò meglio sulla poltrona, mentre Greg compariva con le bottiglie. Lo seguivano Milly con il ghiaccio e Snell con i bicchieri e l'acqua. Sembravano calamitati dalle bottiglie. Snell si prese il compito di versare i liquori e ne versò in abbondanza per tutti. Dora li servì, spingendo un bicchiere verso Ligon come se volesse farlo seguire da un'unghiata. Greg mise da parte per sé un bicchiere di whisky che sembrava molto ben fornito, ne preparò un secondo di un colore decisamente più chiaro e lo portò a Susan. Non la guardò, le allungò semplicemente il bicchiere, senza che le loro dita si incontrassero. I Clanser stavano vuotando il secondo bicchiere, quando arrivò Lattrice. Snell andò ad aprire col bicchiere in mano e ritornò accompagnato dal sergente. I lineamenti di G.M. si contrassero come se egli avesse saputo che sarebbe entrato Lattrice e avesse previsto quello che avrebbe detto. Lattrice fece un cenno di saluto e guardò G.M. «Mi dispiace, ma non si può fare di più, signor Manders. Il medico legale dice che non c'è alcun dubbio che sia stato omicidio. Non ci sono tracce di polvere da sparo sui suoi vestiti e sembra che, chiunque le abbia sparato, le stesse lontano di qualche passo. Dice...» Lattrice si portò davanti allo scrittoio. «Io... noi... dobbiamo fare delle indagini.» «Lo so» disse G.M. calmo. «Ero sicuro che sarebbe andata così. In principio avevo molto sperato che si potesse ritardare l'inchiesta.» «Ci è stato detto di smorzare la cosa il più possibile» osservò Lattrice «ma quando si tratta di omicidio, le notizie saltano fuori a dispetto di tutto. E la riunione che dovevate tenere la prossima settimana?» «Proprio non so. Ho informato qualcuno dei partecipanti della morte di mia moglie. Fino a questo momento i giornali l'hanno chiamata disgrazia.
Tuttavia voi dovete usare ogni mezzo a vostra disposizione per scoprire da chi mia moglie è stata uccisa e perché è stata uccisa.» Non pronunciò una parola di compianto. Si limitò a raddrizzare le spalle come per prepararsi a far fronte a un difficile problema. «Quanta pubblicità si porterà dietro questa cosa?» «Tenteremo di tenerla al minimo, ma non si possono fermare le notizie.» «No, naturalmente no.» «Finché potevamo supporre che fosse un incidente...» disse Lattrice. G.M. lo interruppe. «Sì, lo so. Nessuno poteva essermi di maggior aiuto di quanto lo siete stato voi e la polizia di Medbury Hills. Ma dopo aver riflettuto, sono arrivato alla conclusione che non poteva essere stato un incidente e che mia moglie non si sarebbe mai uccisa. Ora il referto del medico legale non lascia adito al dubbio che non sia stato un omicidio. Sono sicuro che tutti i presenti vorranno collaborare con voi all'indagine.» Dora si portò vicino allo scrittoio e vi appoggiò una mano in modo possessivo. «So, o almeno mi è stato detto, che il marito è sempre un sospetto. Ebbene, io posso dirvi che il signor Manders non avrebbe mai ucciso sua moglie. È vero che lei si ubriacava ed era trasandata, ma non l'avrebbe mai uccisa.» Ligon posò il bicchiere con un colpo secco. «Non devi parlare di Rose in questo modo. Aveva le sue debolezze, ma era affezionata alla sua famiglia.» 8 «Sedetevi, Lattrice. Bevete qualcosa?» disse G.M. Lattrice sembrava averne bisogno, ma il dovere ebbe il sopravvento. Scosse la testa in segno di diniego. «No, vi ringrazio. È una brutta faccenda, signor Manders. Non riusciamo a trovare chi ha portato l'elicottero così vicino all'aeroporto di Westchester e lo ha lasciato là... Io... noi... non riusciamo a capire perché vostra moglie sia venuta qui.» Ci fu un'ombra di reticenza nei suoi modi, che Susan non capì, ma che G.M. intese poiché passò un lampo di comprensione nei suoi occhi sagaci. Fece un cenno affermativo, e Lattrice continuò: «Vostra moglie sarebbe venuta, naturalmente, se voi glielo aveste chiesto.» «Ve l'ho detto. Io non sapevo che fosse venuta.» «Allora, signor Snell Clanser? Voi eravate il pilota. Siete sicuro che non vi abbia detto assolutamente nulla sullo scopo della sua venuta qui?»
Snell sollevò brevemente la faccia dal bicchiere. Scosse il capo. «Non una parola. Vi ho detto tutto quello che so.» «Non siete rimasto sorpreso quando vi ha chiesto di portarla qui?» «Sorpreso?» Parve che soppesasse attentamente quella parola, come se nascondesse una trappola. Poi scosse di nuovo la testa. «No, affatto. Niente di quello che Rose faceva mi sorprendeva mai. Voglio dire che lei aveva le sue piccole teorie, sapete.» «Teorie?» disse Lattrice con asprezza. «Nulla... voglio dire... ebbene, non intendevo proprio niente. Ma mi ha telefonato per dirmi che doveva venire qui e voleva che la portassi con l'elicottero. Che cosa potevo rispondere? Era la moglie di G.M., aveva il diritto di venire qui, se lo voleva.» Si incollò il bicchiere alla bocca e lo vuotò fino all'ultima goccia, poi aggiunse: «Naturalmente, Rose ha lasciato a Milly un bel gruzzolo.» Anche Milly prosciugò rapidamente il bicchiere. Susan non aveva mai visto nessuno che avesse la capacità di bere dei Clanser. Sembravano essere senza fondo. Peccato, pensò con distacco, che non fossero là anche Col e Wilfred a prendersi la loro parte. Milly non posò il bicchiere dopo averlo vuotato. Si alzò, andò barcollando fino al tavolino dove Greg aveva deposto le bottiglie, si versò un'altra generosa porzione. Poi, girando la testa, disse: «Come lo sai, Snell?» «Come lo so!» la schernì Snell. «Tu me l'hai detto. Tu mi hai detto che se fosse successo qualcosa a Rose, io non avrei avuto nulla perché avresti ereditato tutto tu. Mi hai detto che era stata lei a dirtelo.» Milly si diresse verso una profonda e comoda poltrona e vi si lasciò cadere, mettendo in mostra le grosse caviglie sotto un eccentrico vestito color porpora, tipo caffetano. «Ebbene, e se me lo ha detto, che cosa significa? Non starai cercando di dire alla polizia che ho sparato io a Rose. Mia sorella. La mia migliore amica sulla terra. E, fra l'altro» ingoiò un'altra lunga sorsata «io ho un alibi. Susan e Greg, tutti e due, sanno dove sono stata tutto il pomeriggio.» Lattrice si rivolse a Greg. «Sono sicuro che è vero.» «Ebbene...» il viso di Greg era sempre teso, anzi più teso di prima. «Non di continuo. Come sapete, Susan, la signorina Beach, e io stavamo collocando le provviste in cucina. Lei ha visto un uomo correre. Io sono andato alla finestra per guardare. Abbiamo aspettato qualche tempo finché abbiamo sentito l'elicottero partire.» «Scusatemi tutti se vi sembra che mi ripeta nelle domande» disse Lattri-
ce educatamente. «È soltanto perché alle volte la gente ha dei ripensamenti e si sovviene di qualcosa che ha tralasciato. Ora, credete, signorina Beach, che l'uomo che avete visto correre potrebbe riconoscervi? Cioè, vi ha vista chiaramente tanto, diciamo, da sapere chi siete? O, come ho già detto, potrebbe riconoscervi vedendovi ancora?» Parve che una corrente fredda attraversasse la stanza. «Ma io... io non so» rispose lentamente Susan alla fine. «Credo che mi abbia vista. Sì.» Greg intervenne. «L'ha appena intravisto.» «Sì, sì» proseguì Lattrice. «Ora, io continuo a pensare al tempo che siete rimasti in cucina ad aspettare che l'elicottero partisse.» «Come vi ho detto, non lo so. Non molto. Abbastanza a lungo, forse, perché qualcuno potesse entrare in quella stanza e uccidere Rose.» «Come, Greg! Bugiardo!» Milly si corroborò con un'altra sorsata e lo fissò. «Sapete che io... io... Sapete benissimo che non sarei mai potuta entrare in casa senza che ve ne accorgeste e non avrei mai potuto sparare a Rose. Come osate pensare a una simile cosa? G.M., voi dovete liberarvi di questo arrivista, questo bugiardo, questo... questo...» «Milly» intervenne G.M. pacatamente «nessuno vi accusa.» «Lui lo fa. Cioè, non con tante parole, ma mi accusa.» Snell sogghignò. «E avevi un movente, Milly. Un grosso movente. E sembra che tu abbia avuto anche l'occasione.» Lattrice sospirò, turbato. «Non credo...» disse guardando Ligon e Bert Prowde. Pareva che Bert Prowde volesse sprofondare sotto terra. Ligon invece si alzò. «Io sono Ligon Clanser. Il mio nome non vi sarà familiare, ma...» «Piacere» disse Lattrice educatamente e si rivolse a Bert Prowde. Dora si affrettò a presentarlo. «Un mio caro amico, il signor Prowde. Stavamo prendendo un cocktail nel suo appartamento al momento della disgrazia, cioè dell'omicidio.» Bert Prowde si raddrizzò un poco e accavallò le gambe. Lattrice assentì e annunciò. «Sarà qui domani uno della polizia di Stato per prendere le impronte digitali. È solo una formalità» aggiunse vedendo Milly protestare vivacemente. «È una regola» disse ancora con tono sincero, ma in modo piuttosto inquietante. «Le mie impronte sono sulla pistola. L'ho raccolta, l'ho detto a tutti» gridò Milly. Ligon si rivolse a Lattrice. «Ma le impronte digitali le avrete già prese ieri quando siete stati chiamati qui.»
Lattrice lo guardò freddamente. «Noi speravamo che la morte fosse accidentale. E, d'altronde, nessuno è scappato. La polizia di Stato non sa da che parte sbattere la testa, tanto è carica di lavoro. Non c'è bisogno di disturbare tutti voi, stasera.» Si rivolse a Susan. «Signorina Beach, posso parlarvi da sola? Cioè, devo ricordarvelo, solo se siete disposta senza riserve a farvi interrogare. È vostro diritto rifiutare di parlarmi e chiedere l'assistenza del vostro legale, se lo volete.» Susan lanciò uno sguardo a G.M., che annuì, quindi si alzò e andò con Lattrice nel salone. Proprio in quel momento, Col, Wilfred e due poliziotti entravano nel vestibolo. Uno dei due era il proprietario dei setter che le aveva parlato tanto gentilmente la sera prima. Lo salutò: «Buonasera» mentre lui le rivolgeva uno sguardo buono e compassionevole. Col e Wilfred apparivano piuttosto depressi ma anche assetati e si diressero in biblioteca seguendo un loro infallibile istinto che li guidava verso le provviste di bevande. Lattrice si concentrò un momento. «È tutto così aperto qui» disse, guardando il bell'arco che divideva il salone dalla sala da pranzo. «Nessun posto per parlare in privato.» «C'è la cucina» disse Susan, ma si arrestò subito, pensando al disordine che quasi certamente Milly si era lasciata dietro dopo aver preparato il pranzo. «Se non vi dispiace, c'è la mia camera.» «Se non dispiace a voi» disse Lattrice educatamente, e la seguì su per le scale. Quando arrivarono nella stanza, si guardò attorno sbalordito. «È piuttosto sorprendente» esclamò. «Voglio dire... Tutti nei dintorni sanno di questa casa, vedete. Bellissima al piano terreno. Sappiamo, naturalmente, che degli uomini importanti vengono qui... precisamente da tutto il mondo. Anche il Presidente, qualche volta, dicono.» «Io non so... per la verità, non credo. Non so chi siano gli ospiti di G.M. So solo che lui trova questa casa adatta allo scopo.» «Deve avere avuto degli aiuti esterni nel costruirla. Isolamento acustico e anche un centralino telefonico privato. Costano un patrimonio, ma di soldi lui ne ha. Be', non è affar mio. Meglio che venga al punto. Io» si appoggiò a una sedia «ho parlato al procuratore distrettuale. Credo che lui abbia parlato al procuratore di Stato e al Governatore. Il signor Manders deve aver parlato con uno di loro, magari con tutti e due, ieri sera. Ha usato una cabina telefonica pubblica. Il procuratore distrettuale è quello che ha telefonato a me per dirmi di parlare di disgrazia, a meno che, e fino a che, non sia provato che si tratta di assassinio. Ora, una volta di più, osser-
vo che voi avete visto un uomo correre via dalla casa.» «Sì.» Lattrice non aveva chiuso la porta. Scosse la testa come seccato della sua sbadataggine e andò a chiuderla. Guardò ancora la stanza, sorpreso. «Il resto della casa è così lussuoso» disse come per scusarsi della sua meraviglia. «Credo però che non molti rimangano qui la notte e del resto non è affar mio. Ora, io voglio assicurarmi... di nuovo... se riconoscereste quell'uomo sì o no.» «Non so. Davvero. Ve l'ho detto.» Lui annuì. «Sembrate sicurissima che non fosse il signor Manders.» «Ne sono sicura.» «O il pilota Snell.» «Non lo credo.» Lattrice ci pensò sopra, con gli occhi vigili e circospetti. È un bell'uomo, pensò Susan distrattamente. Non come G.M. e senza aria dominatrice. Ma si capiva che era intelligente, osservatore e anche tenace. «Ma non è possibile che lui abbia potuto vedere voi.» «Non lo so.» «Forse no. Mi avete parlato di quando avete trovato la signora Manders, ieri sera. Volete, per favore, parlarmene di nuovo, dirmi tutto quello che riuscite a ricordare?» Fu un lungo interrogatorio, ma non saltò fuori nulla che secondo Susan potesse riuscire nuovo a Lattrice. Probabilmente il martellamento su quei pochi fatti aveva nelle intenzioni di lui il fine di scoprire qualche piccolo indizio utile. Le domandò della rivoltella, dove si trovava quando Milly l'aveva raccolta. Susan pensava che fosse sul pavimento insieme alla stola di pelliccia e alla borsetta di Rose. Egli annuì a quelle parole. «Le chiavi della porta principale e del cancello che conduce alla piazzola dell'elicottero non erano nella borsetta. Le aveva prese Milly?» «Non credo. Ha solo raccolto la sciarpa di pelliccia.» Lattrice proseguì: «Come mai hanno portato una simile quantità di provviste nella casa? Dovevano bastare fino alla riunione della settimana prossima.» «Dovevano servire a noi. Il pranzo degli ospiti sarebbe stato servito dall'esterno.» Lattrice ci pensò sopra un momento. «Ma sembrerebbe eccessivo il tempo per preparare, voi e la signorina... la chiamate Milly... quello che doveva essere un puro pranzo d'affari. Perché siete state mandate qui, voi e an-
che il signor Cameron, tanto in anticipo?» «Non credo che ci fosse nessuna ragione speciale. Dora, cioè la signora Clanser, mi ha detto che non poteva venire lei perché era molto presa dal lavoro. D'altra parte, voleva essere sicura che la casa fosse in perfetto ordine e che io avessi il tempo di prendere pratica del posto. Mi ha detto che qualche volta gli ospiti di G.M. desideravano qualcosa di particolare e che dovevo sapere come procurarglielo. Voglio dire... oh, uno di loro poteva volere uno speciale tipo di acqua minerale, un altro poteva essere allergico alle fragole. Cose del genere.» «Capisco. Sì, sembra ragionevole. La signora Clanser deve essere estremamente efficiente.» «Sì, lo è.» Egli si guardò la punta di una scarpa. «Signorina Beach, vi sembra possibile che la signora Manders, Rose, sapesse di essere in pericolo, quindi abbia aperto la cassaforte, preso la rivoltella... e il suo assassino gliel'abbia strappata di mano, le abbia sparato e sia uscito dalla casa prima che voi e il signor Cameron arrivaste?» «Non so. Non ci ho pensato.» «Sembra un prenderla alla lontana, ma l'omicidio stesso è fuori dell'ordinario. La sorella aveva certo un movente.» Senza fare una pausa, Lattrice balzò in piedi e attraversò la stanza leggero come un gatto. Senza fare rumore, spalancò la porta e stette in ascolto. La chiuse di nuovo. «Non badate a me. Mi era parso di sentire del rumore dietro la porta. Non c'è proprio nient'altro, signorina Beach?» Per un attimo lei fu presa dal forte desiderio di ripetergli quello che G.M. le aveva detto, il perché della casa segreta, ma si controllò. Quelle rivelazioni le erano state fatte in confidenza. Ne avrebbe parlato lui alla polizia, se lo avesse voluto. Scosse la testa. «Nulla.» «Capisco. Sì. Ritorniamo su tutto ancora una volta, se non vi dispiace.» Lei ripeté ogni cosa, con fatica. Lattrice interveniva quando esitava oppure ometteva qualche particolare. Non disse nulla che non avesse già detto. Aveva l'impressione che fosse passato molto tempo e cominciava a sentirsi stremata. Le dispiacque di non essersi portata dietro il bicchiere di whisky e soda che Greg le aveva preparato. I Clanser, pensò in una specie di parentesi, stavano certo approfittando senza risparmio delle scorte di liquori di G.M. Lattrice finalmente la ringraziò e andò verso la porta. «È tutto?» domandò lei, quasi incredula.
«Siete stata molto paziente e gentile. Ma, una volta ancora, è possibile che in giuste circostanze, nella giusta luce e così via, possiate identificare l'uomo che correva del quale avete parlato?» «Potrei riuscirci. Nel crepuscolo e se indossasse gli stessi abiti.» «Un soprabito scuro. Cappello tirato sul volto.» «S... Sì.» «Non parlatene. Tenetevelo per voi. Buonanotte.» Lattrice uscì. Lei rimase seduta ancora qualche momento, troppo svuotata di energia per alzarsi. Quando si rimise in piedi e si avvicinò al cassettone che serviva da toilette, l'estremo pallore del suo viso, riflesso dallo specchio, la stupì. Anche le labbra erano esangui. Le ritoccò col rossetto, poi si diresse verso le scale e scese lentamente, reggendosi al corrimano. Aveva avuto ragione e torto nello stesso tempo circa i Clanser: stavano ancora bevendo. Milly, Snell e Col avevano davanti dei bicchieri, ma erano nella sala da pranzo, dopo quella specie di pasto che Milly aveva preparato. Anche Bert Prowde era là, con il suo solito aspetto infelice, e c'era Ligon Clanser, con l'aria di desiderare di essere altrove. Dora non c'era e nemmeno G.M. Non c'era neppure Greg. Susan si diresse verso la biblioteca e, prima che scendesse dal tappeto e si udissero i suoi passi sul parquet, le arrivò la voce di Dora, limpida e musicale, rispetto al chiacchierio dei Clanser dalla sala da pranzo. Dora stava dicendo: «...così, dopo quello che ti ho detto giovedì sera, l'hai uccisa. Sapevi che c'era solo un mezzo. Io non ne parlerò mai, naturalmente.» Susan non sarebbe stata in grado di muoversi nemmeno se da quello fosse dipesa la sua vita. Udì Dora continuare con la stessa voce melodiosa: «Così ora non ci sono ostacoli. Rose è scomparsa, possiamo sposarci non appena...» «Dora, ricordati quello che ti ho detto giovedì sera.» Dora rise. «Oh, quello! Hai detto che non avevi intenzione di sposarmi! Non lo pensavi. Giovedì sera ti ho detto che dovevi scegliere fra me e Rose, venerdì Rose è stata uccisa.» «È stata una tragica coincidenza.» «Chiamala come vuoi, ma hai scelto me.» «Dora, io non ho ucciso Rose né per sposare te né per nessun'altra ragione. Vai a vedere se Greg ha ottenuto la comunicazione.» «Dovrai fare quello che voglio io.» Susan si sforzò di muoversi in fretta. La casa segreta non era certo un luogo per dialoghi segreti. Corse rapida e leggera attraverso il salone. Non
si curò del chiacchierio dell'assemblea dei Clanser. Andò nel vestibolo, dove il gatto aprì un pigro occhio azzurro e i cani le balzarono addosso con l'evidente desiderio di essere portati all'aperto. Non c'era nessuna macchina della polizia lungo il viale. Lattrice e i poliziotti dovevano essere andati via. L'aria era fredda e infinitamente ristoratrice. I cani scomparvero ben presto nelle fitte ombre dei pini. Era una notte nuvolosa, senza luna né stelle. Delle luci provenivano dalla casa alle sue spalle e a lei, dopo la curva, parve di vedere illuminata anche la guardiola accanto al cancello, dove a quell'ora Wilfred era presumibilmente seduto, con la rivoltella appesa all'ampia cintola. Probabilmente quasi ubriaco, se non interamente ubriaco. Origliare non è bello, si disse, ma non sarebbe stata in grado di muoversi dopo aver udito le prime parole di Dora. «Così, dopo quello che ti ho detto giovedì sera, l'hai uccisa. Sapevi che c'era solo un modo. Non lo dirò mai...» Era trasparente. Susan non aveva prestato molta attenzione ai pettegolezzi uditi in ufficio, secondo i quali Dora era da lungo tempo l'amante di G.M. Era nondimeno una conferma di quelle dicerie il fatto che Dora, secondo le sue stesse parole, avesse dato a G.M. un ultimatum. Gli aveva detto, il giovedì sera, come aveva precisato, che doveva scegliere o lei, o Rose. G.M. aveva respinto quell'idea. Il venerdì, però, Rose era stata uccisa. Susan fu tremendamente colpita dal pensiero che, in qualche modo, l'assassino prezzolato, il sicario, potesse essere l'uomo che correva, visto da lei. Ingaggiato da chi? Una tragica coincidenza, l'aveva chiamata G.M. Era una coincidenza che avrebbe potuto interessare fin troppo la polizia. Avanzò, udendo appena il rumore dei suoi passi sul viale. I cani erano lì attorno, nell'ombra. Ebbe la sensazione improvvisa di un grave e immediato pericolo. Se a Dora fosse venuto in mente di recarsi alla polizia a dire le stesse cose che Susan aveva udito, la polizia avrebbe pensato - e come no? - che G.M. aveva avuto un movente per uccidere Rose. Non era facile che ingoiassero senza riserve l'idea della coincidenza. Ma se Dora lo avesse fatto, avrebbe automaticamente reso impossibile per sempre il suo matrimonio con G.M. Lui non era il tipo d'uomo che perdona.
In uno strano modo, Susan si sentì ingenuamente ferita, come se un'illusione a lungo accarezzata si fosse dissolta. Era come se lei stessa fosse stata innamorata di G.M. Non ne era innamorata, naturalmente, ma gli era molto grata e lo ammirava con tutto il cuore. Poche ore prima le aveva fatto delle confidenze che sembrava non avesse mai fatto a nessuno. Le era parso che facesse affidamento su di lei, l'insignificante Susan Beach. Per un momento, lei si era sentita come la Cenerentola della favola: il grand'uomo le aveva parlato affettuosamente, con abbandono, quasi come se avesse voluto appoggiarsi a lei nel momento del suo dolore, dei suoi rimpianti e del suo turbamento. Era quasi arrivata ai cancelli. Notò con sorpresa che erano aperti. Malgrado l'oscurità della notte, vide che il viale si apriva senza barriere fino alla strada maestra. Si domandò se dovesse parlarne a Wilfred, ma poi concluse che per qualche ragione dovevano avergli detto di lasciarli aperti. Forse stava per arrivare qualcuno. Lattrice? No, non così presto. Da dietro i gruppi di pini che nascondevano la guardiola provenivano delle deboli luci. Profondamente assorta nei suoi pensieri, Susan attese a lungo prima di tornare indietro. I cani dovevano esserle molto vicini, in qualche punto fra gli arbusti. Udiva un leggero fruscio e come uno scalpiccio di piedi, ma non provenienti dal viale. "Lasciali correre" si disse, ricordandosi del soffocante appartamento della Quinta Avenue, dove Rose li aveva sempre tenuti segregati. Stranamente, sembrava che tenessero il suo passo mentre tornava verso casa. Erano così vicini da far pensare che la seguissero di proposito e senza voler fare nessun rumore, benché lei riuscisse a sentirli. Il lieve fruscio si avvicinò, come se qualcuno la seguisse furtivamente, osservandola dall'ombra, quasi un animale che aspettasse il momento adatto per piombare sulla preda. 9 È assurdo, disse a se stessa. Non doveva lasciar correre la fantasia. Però doveva affrettarsi. C'era una densa macchia d'ombra proiettata da un folto di pini, poi una curva. Se fosse potuta passare oltre, sarebbe riuscita a sconfiggere quella scorta silenziosa e furtiva. Oh, è un'assurdità, si ripeté, ma cominciò a correre.
I suoi passi risuonavano lungo il viale, ma riusciva ugualmente a percepire un tramestio crescente che la seguiva muovendosi più rapido di lei. Una luce brillò da qualche punto dietro le sue spalle. Nello stesso tempo i passi di un uomo risuonarono sul viale, provenienti dalla casa e diretti verso di lei. La luce veniva da una grossa torcia elettrica. Wilfred le gridò: «È successo qualcosa? Aspettate. Che cosa è successo?» La sagoma di un uomo sbucò dalle ombre più avanti. Era Greg. «Cosa c'è che non va?» Lei gli afferrò le braccia, si strinse a lui e tentò di riprendere fiato, mentre il cuore le batteva da scoppiare. Wilfred si avvicinò con la sua torcia, illuminandoli e spargendo tutt'attorno un forte odore di whisky. «Cos'è successo?» ripeté Greg. «Perché la signorina correva in quel modo? Sentivo i suoi passi.» «Che sia dannato se lo so» rispose Wilfred dietro la cortina di luce che gli nascondeva la faccia. «Non è stato niente» singhiozzò Susan. «È stupido... non è stato niente.» Greg inclinò la testa: «Uno non scappa per niente. Che cosa è stato?» «I cani... pensavo che fossero i cani, so che erano i cani, ma ho avuto paura lo stesso. Senza ragione. I cani correvano vicino a me fra gli arbusti e i pini e io ho pensato... Oh, non è stato nulla.» «E va bene» disse Greg, ma non sembrò soddisfatto. «Wilfred, avete chiuso i cancelli?» «Oh, mio Dio!» Wilfred si girò di scatto e andò a passi pesanti verso i cancelli, dondolando la torcia e lasciandosi dietro l'odore dell'alcol. Greg le prese il braccio. «Torniamo in casa. Vi siete spaventata.» «Mi sono spaventata da sola. Mi sento proprio sciocca.» «Va bene» ripeté Greg. Uscirono dalla profonda macchia d'ombra. Dal vestibolo proruppe un fiotto di luce e illuminò due piccole figure che aspettavano pazienti di essere fatte entrare. Potevano i cani averla oltrepassata nel tornare verso la casa? Sì, naturalmente. Ma si strinse a Greg. «Dovete andar via di qui» disse lui mentre apriva la porta. I cani si precipitarono dentro e corsero verso la biblioteca. Mentre Greg si voltava per chiudere la porta, lei vide che Wilfred si era portato rapidamente dietro di loro. «Per favore, Greg, non dite niente a G.M. Avevo lasciato aperto i cancelli. Mi scorticherebbe se lo sapesse.» Mandò un grido di spavento sentendo qualcosa balzare attraverso la porta e correre verso la coperta sul pavimento. Era Toby, con gli occhi iniettati di sangue, indignato e col pelo dritto.
«Brrr!» fece Wilfred. «Mi sono chiesto per un momento se non avessi bevuto un po' troppo.» «Avete bevuto troppo» confermò Greg, aspramente. «Susan, avete fatto uscire voi il gatto?» «No, dormiva sulla coperta quando ho portato fuori i cani.» «Allora qualcuno è uscito dopo che siete uscita voi. Vediamo chi è stato. E che cosa faceva.» La casa era stranamente silenziosa. Non si udiva né l'incrociarsi del chiacchierio dei Clanser, né alcun altro suono. Greg andò in cucina, si guardò attorno e tornò. «Non c'è niente, tranne piatti da lavare e roba da gettare. Tutto alla rinfusa.» «Me ne occuperò io» disse Wilfred premuroso. «Non devo stare sempre ai cancelli. Posso sentire il segnalatore. Laverò i piatti.» Era un gesto chiaramente inteso a farsi perdonare. Greg si limitò a replicare: «Fate voi. Io vado a chiudere a chiave i liquori.» Wilfred si morse le labbra con disappunto. Greg scomparve di nuovo verso la cucina e tornò indietro. «Avanti, allora, Wilfred, andate a riordinare. Susan, venite con me.» In quel momento la porta d'ingresso si aprì di nuovo e Susan e Greg si voltarono insieme per vedere chi entrava. Era Dora. «Oh, siete voi. Siete uscita per fare due passi?» disse Greg. Dora aveva un soprabito arancione, buttato negligentemente sulle spalle. Aveva il viso risoluto. «Certo. Con Bert» ribatté. «Bert Prowde comparve dietro di lei, con il bavero rialzato. Dora riprese sorridendo:» Dove siete stati, voi due, Greg? Fuori anche voi per fare una passeggiatina? Non vi ho visti. Greg disse asciutto: «Eravamo fuori coi cani. Avete lasciato uscire voi il gatto?» «Naturale. Vedo che è tornato. Speravo che si perdesse.» Bert mormorò una delle poche osservazioni che Susan avesse udito da lui; qualcosa sull'impossibilità che un gatto si perdesse. Dora non gli prestò attenzione. Wilfred guardò di sfuggita dalla porta che conduceva alla cucina. G.M. stava salendo dalle scale del seminterrato. Aspettarono tutti che parlasse come se fosse il capo dello stato. Lui invece li salutò solo con un cenno e andò in biblioteca. Greg esitò un attimo, poi lo seguì. Susan si sedette sul sedile di marmo come se le gambe si rifiutassero di reggerla.
«Ma che avete, per l'amor del cielo?» chiese Dora. Susan scosse la testa. «Nulla. Davvero.» Bert rischiò un'altra osservazione. «Sembrate sconvolta.» Greg la chiamò. «Susan, G.M. vuole parlarvi.» Susan si avviò verso la biblioteca. Dora le si affiancò rapidamente, mentre Bert le seguiva, ma non oltre il salone, dove si fermò, esitante. G.M. era seduto allo scrittoio. «Allora, che cosa è successo? Greg mi ha detto che vi siete spaventata.» «Ecco» interloquì Dora. «Lo avevo capito che era successo qualcosa.» «Ditemi, Susan» ripeté G.M. «È stata una sciocchezza. Mi era parso che qualcuno mi seguisse. Tutto qui. Mi rincresce.» G.M. attese un momento, poi chiese: «Greg, Wilfred ha lasciato aperto il cancello?» «Sì, lo ha chiuso adesso.» «Non è la prima volta che lo fa» osservò G.M. «Di solito non importa, ma ora... Dov'è Wilfred?» «È in cucina» rispose Greg. «Sta lavando i piatti.» Una specie di guizzo increspò le labbra di G.M. «Bene! Più tardi voglio dirgli due parole. E ora, Dora, dove sono Milly e... tutti loro?» «Non ne ho la più lontana idea» rispose Dora freddamente. «L'ultima volta che li ho visti, Ligon stava tentando, insieme a Snell, di issare Milly su per le scale. Il mio consiglio sarebbe di chiudere a chiave i liquori fino a quando sono qui i Clanser.» G.M. sollevò le sopracciglia. «Non è un cattivo consiglio. Adesso... Dora, volete andar giù al centralino e tentare di mettervi in comunicazione con il nostro uomo in California? Io parto alla fine della settimana. Il luogo della riunione sarà cambiato.» «E i funerali di Rose?» Dora lo interrogava con spigliatezza come se i fatti di lui fossero anche fatti suoi. Come, in un certo qual modo, era sempre stato. G.M. si fregò gli occhi con gesto stanco. «Devono essere rimandati» disse. «La polizia deve continuare le indagini, ma sperano di poterlo fare senza rumore. Il fatto è... oh, è una sciocchezza... ma ricorderete che Rose si era messa in mente una volta che qualche agente straniero o qualche industriale concorrente potesse attaccarmi. Sembra che sussista la vaga idea che qualcuno possa aver ucciso Rose proprio per screditarmi.» Greg disse subito: «Voi non avete cariche ufficiali, ma siete necessario.
Siete come un ministro senza portafoglio.» G.M. sorrise. «Vi dirò una cosa. Se io avessi un qualsiasi posto al Governo, vi fossi stato debitamente eletto o debitamente designato, davvero penso che potrei vivere la mia vita più quietamente. Sembra una contraddizione. Ma quando qualcosa mi viene sottoposta come a un'autorità, e allo stesso tempo come a un amico e fidato collega, che posso fare? Io mi trovo mani e piedi legati.» Dora intervenne. «G.M., potrebbero aver ragione? Potrebbe qualche vostro nemico aver commesso una simile cosa nella speranza di screditarvi, nella speranza che siate sospettato della morte di vostra moglie?» «No» replicò G.M. con fermezza. «Non c'è la più lontana possibilità. Io non sono una minaccia per nessuno al mondo.» «Siete un uomo molto famoso, anche se non volete ammetterlo. Avete rifiutato tutti gli incarichi che il Governo vi ha offerto. Avete detto che non avevate tempo per nulla di simile. Non avete mai la vostra foto sui giornali, non volete che sia fatto il vostro nome, tuttavia anche l'uomo della strada sa tutto di voi.» G.M. scosse di nuovo la testa. «No...» «So di che cosa sto parlando. Greg, siete d'accordo con me?» «Sì, in un certo modo. G.M. è un grand'uomo. Non importa che tenti con tutte le sue forze di tenersi fuori dagli sguardi del pubblico: è là, proprio nel bel mezzo di importanti operazioni finanziarie. Ma non vedo che cosa un nemico potrebbe sperare di guadagnarci screditandolo.» «Un rinvio!» lo investì Dora. «Un annullamento... o semplicemente impedire a G.M. di essere presente. Io ne so qualcosa di più sull'infinito garbuglio di cose che complica gli affari economici, ne so qualcosa di più di quanto non ne sappiate voi, Greg.» «Ne sono sicuro» osservò calmo Greg. «E c'è un'altra cosa che nessuno di voi è in grado di capire: che un grand'uomo è un bersaglio. Tutto quello che dovete fare è riandare col pensiero alla storia recente.» «Ci sono sempre degli insensati» commentò Greg. «E gli insensati possono usare le armi» continuò Dora. «Vado al centralino telefonico, G.M.» Il ticchettio dei suoi alti tacchi si spense quando giunse sul folto tappeto. «E ora, Susan» riprese G.M. «io credo che dovreste dire a Lattrice che qualcuno, stando fra i pini, può avervi seguita.» Susan rispose con fermezza: «G.M. no, per favore. Sono sicura che mi
sono spaventata... senza motivo.» G.M. scosse il capo. «Non siete un tipo isterico.» «Lo sono stata questa volta» replicò lei come se esprimesse un'amara verità. «Greg non ha visto nessuno. E nemmeno Wilfred.» «Potrebbe aver visto qualcuno...» disse G.M. con tono pacato «se c'era un Clanser a seguirvi. Non si sa mai con i Clanser. Sono legati l'uno all'altro, devo dirlo, ma fanno delle cose imprevedibili. Povera Rose! Lei era fedele alla sua famiglia. Loro lo erano a loro modo. Le davano un senso di sicurezza che io non le davo. La trascuravo, ma senza accorgermene. Da giovane studiavo duramente. Cercavo di imparare tutto sul denaro e i mercati. «Ho studiato su certi bilanci industriali come avevo studiato sul calcolo a scuola, ma molto più duramente. Mi servivo del denaro di Rose per avallare quello che arrivavo a imparare. Sì, è così che ho fatto. Ero il ragazzo prodigio» disse asciutto. «Avevo fatto una fortuna, partendo dal denaro di Rose mentre ero giovanissimo. Stranamente" guardò giù alle sue mani sensibili, intrecciate "qualche volta penso ancora a me come al ragazzo prodigio. E ho quasi cinquant'anni. Mi sento come se ne avessi cento. E probabilmente, anche arrivando a un'età molto avanzata, continuerei a pensare a me stesso come al ragazzo prodigio. È bello avere fortuna quando si è giovani, ma da un altro lato è un intralcio. Si ha tanto così presto! Uno sente una spinta a proseguire, a diventare sempre più grande nel proprio campo, qualunque sia. Mi dispiace. Sto quasi facendo una conferenza a voi due.» Fu Greg a parlare: «Voglio controllare i Clanser. È troppo tardi perché Lattrice e la polizia possano trovare un intruso nei boschi, adesso.» Ma, mentre si voltava per dirigersi verso il salone, arrivò Dora di corsa. «G.M., una chiamata proprio mentre arrivavo giù al centralino. Dovrete cambiare di nuovo i vostri piani. Quei signori hanno parlato con molta delicatezza, con molto tatto, ma dato che vostra moglie è morta così da poco... sta di fatto...» G.M. terminò la frase: «Sta di fatto che la mia presenza non è più desiderata.» Dora annuì. «Sì, me lo aspettavo. Avevo riferito l'accaduto, quanto ne sapevo almeno, immediatamente. Ma c'è stato il tempo per un ripensamento, anche il tempo per vederne il vago resoconto sui giornali. Loro capiscono perfettamente. Me lo aspettavo prima ancora che arrivasse la telefonata.» Greg esclamò: «Ma non possono farvi questo!»
«Oh, sì. Non sono il benvenuto in un consiglio segreto mentre sono sospettato di omicidio» osservò G.M. spassionatamente. «Ma voi non l'avete uccisa!» esclamò Greg, sdegnato. «Non posso provarlo. Non allo stato attuale delle cose. Non ho nemmeno un alibi. In un grande albergo non è pensabile che qualcuno ricordi o noti qualche persona conosciuta andare e venire. No» pensò un momento «non mi sono fermato al banco per nessuna ragione. C'erano diverse persone nell'ascensore, quando sono arrivato io. Nessuna in particolare mi ha notato.» «Ma G.M.» Dora appoggiò le belle mani sullo scrittoio, il viso proteso verso di lui come se potesse forzare la sua attenzione guardandolo «ma G.M., quando ho cercato di raggiungervi per telefono, non eravate in ufficio e non eravate in albergo.» G.M. attese un momento, poi rispose: «Mi sono fermato al bar per un paio d'ore, forse.» «E non lo avete detto alla polizia» disse Dora con un tono quasi di accusa. «Perché avrei dovuto?» Anche Greg si diresse verso lo scrittoio. «Voi perciò sospettavate anche allora che Rose fosse stata uccisa nel tentativo di coinvolgere voi, di screditarvi. Per farvi accusare di omicidio.» G.M. parve all'improvviso stanchissimo, tuttavia estremamente sincero. «Mio caro ragazzo, nella mia vita ho imparato a sospettare di tutti e di tutto, quasi di continuo. Vedete, siete costretto a sapere o dovete avere l'abilità di intuire quello che gli altri vanno tramando. Di solito è un piano per tagliarvi la gola. In ogni caso è sempre un piano per scavalcarsi l'un l'altro. Il sospetto fa parte della mia vita. Tento di nasconderlo. Naturalmente dovevo riferire la sua morte e la possibilità che non fosse accidentale, solo per onestà. Ho pensato che fosse meglio tacere ai giornali quello che sapevamo della sua morte, almeno per il momento. È stato un compromesso. Il mio dovere è in queste due strade. Dovevo pensare alle mie responsabilità. Il mio istinto mi spingeva a dire la verità subito, a dare alla polizia tutto l'aiuto possibile. In un certo modo, la polizia è stata intralciata dalla mancanza di pubblicità. Sì, Ligon?» Ligon Clanser era fermo sulla soglia. «Vi ho interrotto? Mi dispiace. Stavo solo aspettando che Dora e il giovane... cioè il signor Prowde, tornassero in casa. Ho sentito che noi due dobbiamo alloggiare alla locanda. Pensavo che Dora potesse telefonare per un tassì. Nel frattempo mi sono
addormentato.» «Dove?» domandò Dora aspramente. «Ma in una stanza vuota, di sopra. Cioè, non ci sono valigie, niente del genere attorno. C'è una cassaforte nel muro.» Seguì un profondo silenzio. Poi G.M. disse: «Naturale. Telefonate per un tassì, volete, Dora?» Greg si rivolse a Ligon. «Non siete uscito per nulla dalla casa stasera?» Ligon lo fissò, poi alzò le spalle. «No.» «Dora, dove siete andati a passeggiare voi e il signor Prowde?» domandò G.M. «Qui attorno, verso l'altro lato della casa. Vedete» Dora non esitò a far scoppiare la bomba «stavamo facendo dei progetti per il nostro matrimonio, data e tutto. Non è così, Bert?» Una voce piuttosto riluttante giunse dal salone: «Sì, sì, certamente.» «Come, Dora!» C'era un'espressione divertita negli occhi di G.M. «Questa è davvero una sorpresa. Pensavo che voleste sposare me.» Il bel viso di Dora si irrigidì. Parve a Susan che il mondo attorno a lei si fosse in qualche modo rovesciato: solo qualche ora prima aveva udito Dora insistere perché G.M. la sposasse. Ora, praticamente in un istante, aveva fatto un giro di valzer ed era diventata la futura moglie di Bert Prowde. G.M. si alzò e le tese la mano. «Mia cara Dora, vi auguro ogni felicità.» Sembrò che Dora volesse mordere quella mano coi suoi denti saldi, e invece la prese, con grazia e compostezza. Ligon disse bruscamente: «Stai tirando fuori uno dei tuoi giochetti, Dora.» 10 Un improvviso fracasso proveniente dal salone impedì a Dora di rispondere. Milly apparve sulla soglia, in un paludamento che sembrava fatto con una tenda di seta color salmone. Aveva i capelli scarmigliati, la faccia gonfia. Con una mano si teneva aggrappata allo stipite della porta come se temesse di cadere. «G.M.» ansimò «proprio adesso mi sono ricordata qualcosa. Ho sentito il telefono squillare.» Snell, ancora in calzoni sportivi, camicia color tortora e giacca di cuoio, si mostrò, dietro di lei. «Sinceramente, Milly, quando ti portiamo a letto vorrei che tu ci rimanessi. Ti ho sentita lungo le scale. Non è un compito facile trascinarti di nuovo su.»
«Sedetevi, Milly» disse G.M. «Di che telefono state parlando?» «Il vostro stesso telefono. Nel vostro appartamento. È squillato proprio mentre io stavo andando via. Proprio mentre stavo per scendere per incontrarmi con Greg e... lei.» Spinse il capo verso Susan. «Chi era?» «Non lo so» rispose Milly. «Eravamo rimaste senza servitù, come sapete. O come avreste saputo se foste venuto a casa più spesso.» Snell la prese per un braccio e la spinse verso una sedia, poi diede un'occhiata al tavolo dov'erano poste le bottiglie e il secchiello del ghiaccio, vi si avvicinò e guardò deluso le bottiglie completamente vuote. G.M. ripeté: «Chi ha telefonato a Rose?» «Ve l'ho detto, non lo so. È stata Rose a rispondere e io ho creduto che fosse qualcuno che conosceva. Poi è arrivato l'ascensore, così io ho chiuso la porta. Ma qualcuno ha telefonato.» Sembrò che solo Susan osservasse Snell. Lo vide gettare uno sguardo al disopra della propria spalla verso Milly ed ebbe l'impressione che fosse spaventato. Era spaventato, pensò quasi subito. Ne era sicura. Ma perché? Lo vide voltarsi di nuovo verso il tavolo dei liquori. «Milly» continuò pazientemente G.M. «che cosa ha detto Rose al telefono?» «Ha detto "Hello".» «È stato tutto?» «Tutto quello che ho udito.» «Che cosa vi ha fatto pensare che fosse qualcuno che Rose conosceva?» Milly si sfregò gli occhi vitrei. «Qualche cosa nel suo modo di parlare, si può sempre capire. Voglio dire che non era un estraneo.» «Siete sicura?» «Io... ma certo. Credo di sì. Ora che ci penso, credo che abbia detto qualcosa come: "Oh, sei tu".» «Ne siete sicura?» Milly sbatté le palpebre, poi annuì energicamente. «Oh, sono sicura, credo.» G.M. attese un momento, infine disse: «Vedo. Avete fatto bene a dirmelo. Snell, volete ricondurre Milly a letto?» «No, tu non mi toccherai!» gridò Milly furibonda afferrando il bracciolo della poltrona con atteggiamento di sfida. «Voi credete, perché Rose è morta, di gettarvi su di me per prendere il suo denaro. Ma io non ve lo la-
scerò prendere. È mio ora... o lo sarà.» «Milly» disse G.M. conciliante, ma Milly gli si rivoltò contro. «E voi manderete via a calci tutti i Clanser, più presto che potrete. L'ho sentito subito appena ho visto Rose morta. Voi non avreste voluto aver niente a che fare con noi. Avete dato a Snell, là, e a Col e Wilfred del lavoro solo per far piacere a Rose. Vi sentivate in debito verso di lei ed era giusto che fosse così.» G.M. fece un cenno a Snell, che afferrò Milly strettamente sopra un gomito. Lei mandò uno strillo e il gatto, che era rimasto a vagare lì attorno, saltò sul tavolo dove si trovavano le bottiglie vuote e il secchiello del ghiaccio. Per un momento, Susan ebbe il folle pensiero che anche il gatto cercasse i liquori come i Clanser, ma, naturalmente, non era così. Snell aveva tolto il coperchio al secchiello del ghiaccio e il gatto, piegato elegantemente il collo, si era messo a bere con avidità il ghiaccio sciolto. Susan lo sentì come un giusto rimprovero per aver dimenticato di guardare se la ciotola era rifornita d'acqua. Ci fu un poco di lotta, ma Snell riuscì a forza di muscoli a trascinare Milly su per i due gradini, nel salone. Ligon si asciugò la fronte con un fazzoletto bianco come la neve. «Dora» disse «vuoi chiamare il tassì, per favore?» «Con piacere» rispose Dora, ancora con l'aspetto di chi voglia mordere qualcuno. Prese il telefono dallo scrittoio. Era da lei, pensò Susan vagamente, sapere a memoria il numero di chiamata dei tassì di Medbury Hills. «Viene subito. Ti conviene dire a Wilfred di aprire il cancello. O andare al cancello tu stesso. Ti farà bene.» Bert Prowde comparve sulla soglia, girò attorno uno sguardo piuttosto impaurito e disse: «È una buona idea. Buona notte.» Ligon non diede nemmeno la buona notte. Uscì senza guardarsi indietro, come se non sapesse che altro fare. Bert lo seguì. G.M. sorrise. «Potevate dare la buona notte al vostro fidanzato, Dora.» «Non ha importanza» rispose Dora, gelida. «Povero caro! Gettato in una faccenda così terribile. Non è colpa sua. Né mia, posso dirlo. Buona notte, G.M.» Uscì in fretta e con molta grazia dalla stanza. G.M. attese qualche istante, poi disse a voce bassa: «Greg, credete che Milly possa aver detto la verità?» «Quando ha detto che qualcuno ha telefonato a Rose proprio mentre lei usciva? Sì, credo di sì.»
«Avrebbe dovuto parlarne prima.» «Milly?» osservò Greg. «Sì, va bene, lei è così. Ma non è del tutto stupida. È abbastanza acuta quando parla dei suoi interessi, sempre che non abbia bevuto. Credo che davvero non abbia pensato a quella telefonata prima d'ora.» «Può darsi.» «Può darsi che quella chiamata abbia attirato Rose all'eliporto e poi qui.» Greg annuì. «E l'uomo che Susan ha visto poteva essere qui ad aspettarla. Ma io, proprio, sento che Snell mente su qualcosa.» Susan intervenne. «Ha paura.» Ci fu un momento di stupito silenzio. Poi G.M. le domandò: «Che cosa ve lo fa pensare?» «Qualcosa nella sua faccia. È stato quando Milly ha parlato di quella telefonata.» Greg vide il gatto, lo tolse distrattamente dal tavolo e lo rimise in terra. Posò il coperchio sul secchiello del ghiaccio. G.M. giocava, assorto, con un tagliacarte. Il gatto balzò sullo scrittoio e cominciò a lavarsi il musetto nero come se volesse cancellarne il colore. «Pensate che sia stato lo stesso Snell a telefonare a Rose, Greg?» disse G.M. alla fine. Greg scosse il capo. «Chiunque può averle telefonato. Vorrei che Milly avesse udito qualcosa di più.» Si avvicinò allo scrittoio e disse serio, con calore: «G.M., mi dispiace per il convegno.» «Pensate che sia un colpo inferto al mio prestigio? Sopravviverò.» G.M. diede un lieve pizzicotto al gatto, che non reagì, ma si mise a fare le fusa. «Devo cambiare i piani per i funerali di Rose.» «Sì» disse Greg. «Me ne occuperò io. Ditemi che cosa volete che faccia.» «Grazie, Greg. Non era molto rispettoso verso Rose tentare di rimandare i funerali e non mi piaceva. Ma anche qui ero combattuto fra due incalzanti doveri. Commetto anch'io i miei errori. Ne ho fatti in passato e ne farò ancora. Uno sbaglio, forse, è stato quello di lasciare che voi, Susan, parlaste con me invece che con la polizia, stasera, appena siete rientrata. Se avete udito un estraneo e i cancelli erano aperti, sarebbe stato abbastanza facile per lui entrare. Sarebbe stato facile anche uscire. L'interruttore che controlla i cancelli è nella guardiola che usano Col e Wilfred. Chiunque avrebbe potuto togliere la corrente in qualsiasi momento. Ma non è successo, dato che Wilfred ha poi chiuso il cancello. Se era un Clanser...»
Susan disse di nuovo decisamente: «Non penso che ci fosse qualcuno. Vi prego di credermi. G.M. fissò Greg, che aveva lo sguardo assente. Susan colse una breve occhiata del gatto, come un rimprovero.» Vado a procurare dell'acqua per il gatto e per i cani «disse, e si avviò verso la cucina. Wilfred stava ancora riordinando, apparentemente immerso in profondi pensieri. Lei prese due ciotole dalla credenza, ne riempì una e la mise nel vestibolo, poi salì al piano superiore portandosi dietro l'altra. G.M. e Greg erano sempre nella biblioteca. Udiva il mormorio delle loro voci.» Nonostante quello che G.M. aveva detto, il suo prestigio personale avrebbe sofferto fino a quando non si fosse provato che non aveva ucciso sua moglie e non fosse stato scoperto il colpevole. I cani le balzarono incontro festosi. C'era uno stanzino da bagno adiacente alla sua camera, anche quello tanto spartano sia come spazio sia come arredamento, da rivelare apertamente che non era prevista una lunga permanenza dei visitatori nella casa segreta. Riempì d'acqua la ciotola e la pose sul pavimento, colta di nuovo da un senso di colpa quando vide i due cani bere avidamente. Era chiaro, pensò con un lamento, basandosi sull'esperienza che aveva, che tutto quel bere avrebbe reso necessaria un'uscita antelucana il mattino seguente. E lei proprio non voleva uscire di casa sola, neppure nella luce del mattino. L'uscio della sua camera non aveva chiave, ma aveva un catenaccio. Lo fece scorrere, vergognandosi un poco della propria inquietudine. Era già coricata, e i cani, fatto il pieno d'acqua, avevano preso il loro posto ai piedi del letto, quando qualcuno bussò alla porta. Non aveva ancora spento la luce. Si drizzò a sedere. «Chi è?» domandò. «Greg. Voglio parlarvi.» «Va bene. Un minuto solo.» Scivolò dal letto, infilandosi una vestaglia. Greg entrò senza far rumore e gettandosi dietro un rapido sguardo chiuse la porta. «Ebbene, Susan, ne ho discusso a fondo con G.M. Dovete lasciare questa casa domattina. Troveremo un posto in città dove possiate rimanere nascosta.» «Andare via di qui?» balbettò Susan, smarrita. «Certo. Qualcuno ha paura di voi.» «Di me?» «Non siate sciocca» esclamò Greg, irritato. «Avete visto l'uomo che correva. Io sono sicuro che questa sera la vostra impressione era giusta. Credo che ci fosse qualcuno fra gli alberi in attesa dell'occasione per... per... non fate quella faccia.»
«Non vorrete dire per uccidermi! Perché lo potrei identificare.» «Certo, è questo che voglio dire. Ma non intendo lasciare che accada.» «State cercando di spaventarmi.» «Sì, è così. Voglio che andiate via da questa casa, che andiate in città, dovunque, ma che vi nascondiate.» Lei si sedette sul letto. Beau si mosse per mettersi più a suo agio. Belle le andò accanto e le posò la testa su un braccio. «No» disse Susan «no, non posso farlo.» «Per l'amor di Dio, perché no?» «Dove potrei nascondermi?» Egli fece un gesto di impazienza. «In un centinaio di posti. Un milione di posti. Ma dovete andar via di qui. Dovete credermi. Sono sicuro che non vi siete sbagliata, stasera. Sono sicuro - ve l'ho detto anche prima - che se l'uccisore di Rose, chiunque sia, crede che possiate identificarlo, identificare l'uomo che correva, la vostra vita è in pericolo. Non riuscite a comprenderlo?» «Ma io non sono sicura di poterlo identificare. E non sono sicura che l'uomo che correva sia l'assassino.» «Sappiamo che avete visto qualcuno.» «Non era G.M.» «Così avete detto. Ma... questa faccenda stasera... voi non l'immaginavate. Dovete andar via.» Lei accarezzò la graziosa testolina di Belle e le tirò le orecchie setose. «No.» «Perché no?» «Dove posso nascondermi? No, non ripetete che ci sono milioni di posti. Credo che andrei nel mio appartamento, ma chiunque può trovarmi là. Se qualcuno vuole... uccidermi, ci sono più occasioni in città che qui. Nel momento che si attraversa una strada, o si scende a prelevare la posta, oppure si va nel negozio all'angolo a fare delle spese, dovunque. Non posso rinchiudermi nel mio appartamento e rifiutarmi di aprire la porta e di rispondere al telefono o...» «Lo potete. Ma se non lo volete fare...» Greg guardò assorto il pavimento per qualche istante «potete andare in un albergo. E non dire a nessuno dove siete.» «Se qualcuno è deciso a uccidermi, troverà la strada.» «Questo non è da voi, Susan. C'è qualche altra ragione che vi trattiene qui? È G.M.?»
Lei lo guardò direttamente negli occhi. «Greg, chi pensate che abbia ucciso Rose?» «Non credo che sia stato G.M. Ma ci sono dei moventi per qualcun altro, qui.» «Milly?» «Milly ha avuto il tempo, credo. È grassa, ma può muoversi rapidamente, quando vuole. Eredita da Rose. Ma Milly non può essere l'uomo che correva. Che cosa faceva quell'uomo qui? Naturalmente Ligon Clanser potrebbe essere ritenuto non privo di un movente.» «Ligon?» «Vendetta. Dora lo ha lasciato. Sapete le dicerie.» «Potrebbe essere vero.» Gli occhi di lui si strinsero. «Perché lo pensate?» «Perché ho udito G.M. e Dora parlare.» «Che cosa dicevano?» Lei sollevò le orecchie di Belle e le lisciò, con grande soddisfazione della bestiola, che guardò su con occhi brillanti e compiaciuti. «Dora ha detto di aver avvertito G.M. che doveva scegliere fra lei e Rose. Ha detto che, poiché Rose era morta, non c'erano più ostacoli. Ha detto che potevano sposarsi.» «Che cosa le ha risposto G.M.?» «Che si ricordasse ciò che le aveva detto quel giovedì sera.» «Che cos'era? Lo avete udito?» «Le aveva dichiarato che non aveva intenzione di sposarla. Qualcosa del genere.» «Povero me! A Dora non è senz'altro piaciuto.» «Gli ha risposto di sapere che lui non diceva quello che pensava. E che Rose era stata uccisa il giorno dopo. Lui ha risposto che era stata una tragica coincidenza. Dora ha replicato che la chiamasse pura coincidenza, ma che lui aveva scelto lei. G.M. ha allora affermato che non aveva ucciso Rose né per questo né per alcun altro motivo. Oh, sì, all'inizio del discorso Dora aveva detto che lui sapeva di poter contare sul suo silenzio.» «Avete udito molto» disse Greg, seccamente. «Parlavano nella biblioteca e non mi avevano udita attraversare il salone. Non avrei potuto non ascoltare per un minuto o due.» «Io avrei ascoltato dal principio alla fine, se fossi stato là. Potrebbe mettersi male per G.M. Dora non prende ancora sul serio il suo rifiuto.» «Ma ha detto chiaro e tondo che sta per sposarsi con Bert Prowde.»
«Non so se lo pensi davvero. Ne dubito. Si è messa in testa di sposare G.M. L'ha sempre voluto, credo. Ed è per questo che Ligon potrebbe avere un movente. Supponete che Dora lo abbia lasciato per causa di G.M. Supponete che Ligon sia stato ad aspettare un'occasione per danneggiare G.M. e che l'uccisione di Rose sia stato il modo scelto per screditarlo e mettere fine alla sua carriera facendolo sospettare di uxoricidio...» «Greg, continuiamo a supporre che G.M. fosse il bersaglio. Supponete che sia stata Milly, invece.» «Ci abbiamo pensato. Milly ha avuto il tempo e l'opportunità di uccidere Rose, e Milly trae beneficio dalla sua scomparsa. I Clanser non ne traggono un grande profitto individualmente, e, se dobbiamo credere all'esplosione che Milly ha avuto stasera, non riusciranno certo a dissanguarla. Ma nessuno può fare affidamento su ciò che dice un Clanser, questo è certo.» «Chi altri? Ci deve essere qualcun altro.» «L'uomo che correva. E ora, perché mi avete risposto evasivamente quando vi ho domandato se era per causa di G.M. che non volevate andar via di qui?» Lei si concentrò qualche momento prima di rispondere; poi replicò: «Non so.» «Non lo sapete!» Greg durante il colloquio si era seduto sull'unica sedia che si trovava nella stanza. Balzò in piedi e le si avvicinò con tanta irruenza, che lei fece istintivamente l'atto di ritrarsi. «Ascoltate, Susan. Siete innamorata di lui? Non credo che sia il suo denaro che volete. Deve trattarsi di G.M.» «Non parlatemi in questo modo, Greg. Ma io... no, non voglio lasciarlo, ora. È nei guai. Lo aspettano dei brutti momenti. Lasciarlo è come disertare, per ognuno di noi.» Lui le appoggiò le mani pesantemente sulle spalle e la scrollò con esasperata durezza. «Ma lui non è in pericolo di morte! Voi sì. Lascerete questo posto dovessi trascinarvi per i vostri bei capelli.» «Voi non lo abbandonereste.» «È diverso. Io gli devo della fedeltà e...» «Anch'io.» «Ma voi siete decisa a rimanere qui perché pensate di essere innamorata di lui, non è questa la verità?» «Greg, lasciatemi. Mi fate male.» Qualcuno bussò leggermente alla porta e l'aprì. Entrò G.M. I suoi occhi, sempre vigili e intelligenti, valutarono la situazione al pri-
mo sguardo. Sorrise, di quel sorriso un poco enigmatico che spesso accompagnava qualche sua sottile intuizione. Chiuse la porta, si sedette sul letto accanto a Susan e disse dolcemente: «State gridando, tutti e due. Non ho capito le parole, ma ho capito, naturalmente, che stavate bisticciando. Non è bello da parte vostra, Greg.» Circondò Susan con un braccio. Lei si piegò verso di lui con gratitudine. Con G.M. si sentiva sicura e protetta. Greg avvampò in viso: «Ve ne ho parlato. Voglio che Susan parta.» «E lei non vuole?» domandò G.M. sommessamente. «Partirà» disse Greg, ostinato. «Presumo che dobbiate lasciar decidere a Susan. Quello che pensavo ancor prima di udire le voci notevolmente alte che uscivano da questa stanza - i suoi occhi ammiccarono - era qualcosa che desidero che facciate per me.» «Dora è pronta a fare tutto quello che volete meglio di me.» Greg era ancora irritato e rosso in viso. G.M. attirò Susan un po' più vicino al suo corpo asciutto. Diceva di essere sulla cinquantina, ma dimostrava poco più di trent'anni. Ne dimostrava poco più di trenta, ma sapeva cose che a un uomo di trent'anni non è dato di sapere. «Non posso incaricare Dora. Avete sentito che sta per sposare quel giovane Prowde.» «Non credo che ne abbia veramente l'intenzione» commentò Greg. «Dobbiamo fare in modo che l'intenzione le venga. Ecco in sostanza quello che voglio che facciate per me, voi e Susan, domani. No, domani è domenica. Lunedì, allora. Ma prendete la macchina domattina e andate in città. Mi metterò d'accordo io con Lattrice. Lunedì scegliete il più bell'anello di fidanzamento che potete trovare per Dora. Vedete» continuò G.M. con tono pacato «il giovane Prowde non ha un soldo, per così dire. Dora merita un bell'anello. Tutte le donne lo vogliono.» 11 Greg appariva stupefatto e incredulo. Si lasciò cadere di nuovo sull'unica sedia, mentre un risolino divertito sfiorava le labbra di G.M. «C'è qualche ragione per cui non dovrei farlo?» C'erano, probabilmente, tutte le ragioni perché acquistasse un anello di fidanzamento, ma l'anello doveva essere offerto a Dora come preludio a un matrimonio con lui. Susan poté quasi vedere le parole formarsi sulle labbra
di Greg e lo sforzo che egli faceva per fermarle. Alla fine, con l'aspetto di essere in procinto di scoppiare in un nuovo accesso di collera, Greg disse, secco: «Il denaro non sarebbe un bel dono di nozze? Se Bert Prowde è così a corto di denaro...» «No, no. Dora non lo accetterebbe.» "Dora vuole sposare voi." Ancora una volta Susan lesse nel pensiero di Greg. E ancora una volta vide Greg lottare per reprimere quelle parole e sostituirle con altre: «Ma Dora accetterebbe un anello di fidanzamento da voi? Lo accetterebbe Prowde?» «Oh, penso di sì» rispose G.M. bonariamente. «E ora ci sono alcune cose che voglio che facciate domenica, Greg. Vi spiegherò.» G.M. si alzò continuando a tenere una mano sulla spalla di Susan. «Lasciamo che questa bambina si riposi un poco.» La faccia di Greg tornò a rannuvolarsi. «Ma G.M., bisogna convincerla che deve stare in città. O in qualche posto sicuro.» «Che cosa ne dite, Susan?» «No, sarei più in pericolo in città che qui.» «Ma potete tenere segreto il luogo. Non dovete dirlo nemmeno a me e a Greg. Davvero, se c'è qualcuno che costituisce un pericolo per voi, non dovete dire a nessuno dove siete. Io credo che abbiate ragione, Greg. Quando andate in città, domattina, portate Susan nel suo appartamento a prelevare qualche indumento e poi... lasciatela andare. Ha abbastanza buon senso da trovare un posto dove nascondersi e rimanervi fino a quando avremo messo in chiaro le cose. Che ne dite, Susan? Farete una cosa giusta per voi e anche per me. Dio sa che non voglio che abbiate a spaventarvi o che vi sia fatto del male. Così, scegliete il posto dove nascondervi e rimaneteci.» «Non voglio» ripeté Susan. Greg interloquì aspramente: «Siete uno scaltro mascalzone, G.M.!» «Ma come, Greg!» G.M. sorrise. «Sapete perfettamente che quello è il miglior modo per trattenerla. Dirle di andare via, di lasciare voi. Dirle che non volete che le sia fatto del male.» «Ma io non voglio che le sia fatto del male» disse G.M. dolcemente. Susan abbassò la testa contro il dorso setoso di Belle. Sentiva che stava per scoppiare a piangere per l'esasperazione. «Volete andarvene tutti e due e lasciarmi sola?» gridò. La sua voce, tuttavia, era così malferma da tradirla, e ambedue parvero colpiti. Uno di loro disse: «Buona notte, Susan.» Fu
G.M. Greg non disse nulla, ma entrambi uscirono in fretta. Quando Susan udì la porta chiudersi, si tolse Belle dalle ginocchia e andò a mettere il catenaccio. Non c'è nulla, pensò, che spaventi tanto un uomo come una donna che piange. E lei stava per piangere, stava per affondare la testa nel cuscino e piangere a dirotto. Nervi, si disse. Troppo spavento e troppe rivelazioni in una sola serata, troppi conflitti e decisamente troppi Clanser. Avrebbe pianto da spezzarsi il cuore. Avvertì un grande vuoto nello stomaco, ma non si sentì di scendere in cucina per cercare qualcosa da mangiare. Nel tempo che le ci volle per sistemarsi a letto, fu soverchiata dalla fame e dalla stanchezza e non ebbe più nemmeno la forza di piangere. Il sonno calò su di lei come una nuvola. Fu Greg a svegliarla il giorno dopo. Bussò ancora lievemente alla porta, ma passò un momento o due prima che lei riuscisse a ricordarsi delle incombenze di G.M. Indossò una vestaglia e corse ad aprire. Greg le aveva portato il caffè. «È meglio che partiamo» disse. «I Clanser sono tutti addormentati. Porto fuori io i cani.» I cani lo seguirono docilmente. «Grazie.» Prese il caffè. Greg aveva avuto l'avvertenza di portarle dei toast. Un quarto d'ora dopo scese anche lei, senza far rumore, perché non aveva nessuna voglia di incontrarsi con qualcuno dei Clanser. Greg l'attendeva nel vestibolo. «G.M. non è ancora sceso. Non avete preso la valigia?» «No.» La macchina grande era davanti all'ingresso. I cani, rientrati nel vestibolo, tentarono di seguirli, ma Greg chiuse decisamente la porta. Col era al cancello. «Non so quando saremo di ritorno» disse Greg. «Ve lo dirà G.M.» Col lo fissò con curiosità, come aveva fatto il venerdì sera quando erano arrivati. «Pranzeremo in città.» Greg rimise in moto la macchina, lasciando Col a guardarli. «Ci sono delle cose che G.M. vuole che io faccia» aggiunse rivolto a Susan. «Me le ha dette ieri sera dopo che ci avete cacciati fuori dalla vostra camera.» «Non vi ho cacciati.» «Mi è parso di sì. A ogni modo, vuole che veda per i funerali di Rose in città. È una cosa che si può fare anche di domenica. Così voi passerete la notte nel mio appartamento.»
«Oh, no.» «Avete detto che non vi sentireste sicura nel vostro. Vi assicuro» aggiunse Greg con una punta di sarcasmo «che sarete perfettamente al sicuro a casa mia.» Guardò nello specchio retrovisore, non una, ma parecchie volte. «Buon vecchio Lattrice» disse infine. «Ci lascia andare senza metterci qualcuno dei suoi alle calcagna. G.M. ha detto che gii avrebbe parlato. C'è un'altra cosa che G.M. vuole che faccia. Mi ha dato la chiave e un biglietto per il custode nel caso che occorresse. Vuole che dia un'occhiata nell'appartamento di Rose.» «Perché?» «Per qualsiasi cosa possa essere accaduta, credo. E per qualsiasi cosa Rose possa aver lasciato. Specificamente, potrebbe anche aver annotato qualcosa riguardante la chiamata che Milly ha udito nel lasciare l'appartamento. Vuole anche che parli con l'uomo dell'ascensore e col portiere per cercare di scoprire se c'era qualcuno con Rose, venerdì, quando è partita. Lattrice ha riferito a G.M. che ha interrogato quei due ieri, ma che non hanno parlato molto.» Così, pensò Susan tra parentesi, era quella la ragione dell'ambiguità nei modi di Lattrice la sera prima e del rapido lampo di comprensione negli occhi perspicaci di G.M., quando Lattrice aveva dichiarato di non riuscire a scoprire perché mai Rose fosse andata alla casa segreta. «Forse non gradivano l'idea di essere interrogati dalla polizia» proseguì Greg. «Non sapevano come G.M. avrebbe preso le cose che fosse capitato loro di dire. Io sono conosciuto da tutti. Sono andato abbastanza spesso all'appartamento e sanno che faccio parte dell'ufficio di G.M. e G.M. pensa che possano dare a me qualche spunto che non hanno dato alla polizia. Non lo so. Tento.» Era una giornata strana e un po' tetra. Il cielo era grigio e pesante, le strade di Manhattan erano quasi deserte. Susan rimase seduta nell'auto in Madison Avenue, mentre Greg assolveva il primo incarico. Quando uscì dall'edificio, si scrollò come se avesse trovato molto pesante il suo compito, poi portò Susan a pranzo al Plaza, dove sedettero vicino a una finestra dalla quale potevano vedere il fogliame oro e bruno del parco e i piccoli gruppi di gente che passeggiava. Il cibo era ottimo. «Meglio della cucina di Milly» osservò Greg. «Ma non possiamo biasimarla del tutto. Abbiamo fatto noi le provviste.» L'aperitivo aveva rianimato un poco Susan. Si sentiva affamata e la bontà dei cibi contribuì a rimetterla in sesto. Ben presto però dovettero alzarsi
da tavola per recarsi nella Quinta Avenue, in quella che era stata la casa di Rose. «Per prima cosa diamo un'occhiata all'appartamento» disse Greg mentre parcheggiavano la macchina alla più vicina svolta della strada. Nessuno li fermò all'ingresso della casa. Non comparve nessun custode. Il portiere doveva ricordarsi di Greg, perché lo salutò con un cenno del capo e lo chiamò "signor Cameron". L'uomo addetto all'ascensore era un po' più loquace, ma non molto. Aveva letto i giornali. Era davvero spaventoso quello che era successo alla signora Manders, disse. Supponeva che il signor Cameron fosse lì per sbrigare qualche affare per conto del signor Manders. Greg rispose di sì, ma l'uomo rimase fermo davanti alla cabina dell'ascensore a osservare fino a quando non ebbero girato la chiave nella serratura e aperto la porta. La prima cosa che colpì Susan fu l'odore di chiuso che ristagnava nell'appartamento, il sottofondo di odore di gatto e la sovrapposizione del forte profumo di un deodorante per ambienti. Greg annusò, fece una smorfia e corse ad aprire una delle ampie finestre. «Dobbiamo far entrare un po' d'aria. E adesso da dove incominciamo?» Guardò, smarrito, il superdecorato salone tutt'attorno, i falpalà, i cuscini, i cumuli di riviste, i molti bicchieri sporchi sui tavolini. Senza una parola, raccolse i bicchieri, fece un'altra smorfia per l'odore che emanavano, e sparì attraverso la sala da pranzo. Dopo pochi secondi Susan lo udì sciacquarli vigorosamente sotto un rubinetto. Al ritorno era di nuovo padrone di sé. «Povera, povera Rose. Beveva. Non posso biasimare G.M. se evitava di stare qui più che poteva. C'era sempre Rose che vagava attorno paludata in qualche specie di vestaglia disordinata, intenta a bere. E Milly errante con lei, anche lei sempre con un bicchiere in mano. Qualche volta c'era Snell. Qualche volta tutti i Clanser, credo. Era una famiglia unita, tutti si ingozzavano a spese di Rose... cioè di G.M. Avrei dovuto dire che è una famiglia unita.» «Milly non sembrava molto attaccata a nessuno di loro, ieri sera.» «Milly era ubriaca. Cambierà opinione. E adesso, dov'è il telefono che Milly avrebbe udito? Direi che si tratta di questa derivazione. Ce n'è una nella camera da letto di Rose, credo, e un'altra in cucina. L'ho appena vista. Una è nella biblioteca di G.M. Ma quella dalla quale Rose ha risposto deve essere abbastanza vicina alla porta, altrimenti Milly non avrebbe udito nulla. Guardiamo attorno al tavolo, per prima cosa.» Il tavolo era abbastanza vicino alla porta perché Milly potesse udire Ro-
se rispondere alla chiamata e dire: "Hello... oh, sei tu". Era un tavolo piuttosto basso, con il ripiano di marmo rosa, le gambe ricurve, ornato. Ancora una volta, Susan si sentì sicura che mai un arredatore ne avrebbe permessa l'introduzione in quella che originariamente doveva essere stata concepita come una bellissima stanza. Il telefono era rosa, posto nel mezzo del tavolo e contornato da foglietti strappati da un blocco, ritagli di giornale e portaceneri pieni. Poco prima c'era anche un bicchiere sporco. Parecchie matite, rosa, con impresso in oro "Rose Manders", erano pressoché tutte spuntate e mangiucchiate in cima. Bastava quel tavolo a dare un'idea dello stato dell'appartamento, ben diverso dal nitido ed elegante ufficio di G.M. e dalla bellissima armonia della casa segreta. Diverso come il giorno e la notte. Greg fissò lo sguardo sulla confusione di giornali buttati su una seggiolina dalle gambe fragili, che doveva armonizzare con lo spaventoso tavolino, a quanto sembrava, e cominciò a esaminare attentamente le carte una per una. «Non vedo niente» disse alla fine. «Inserzioni di ogni genere, da parrucchieri a vendite all'asta. Liste di cibi, cibi per gatti e cani. Gin, gin, gin. Nessuno crederebbe a un Clanser bisognoso di un'annotazione per ricordare di rifornirsi di gin. Ieri G.M. ha dato la chiave di questo appartamento a Lattrice e Lattrice deve averlo ispezionato da cima a fondo. Se ha trovato qualcosa di interessante, l'ha preso. Ma G.M. ha detto che potrebbe esserci qualcosa di significativo ai miei occhi e non a quelli di Lattrice. Ma non c'è niente. G.M. mi ha detto di dare un'occhiata anche alla camera da letto di Rose, specialmente attorno al telefono che c'è là. Pensa che avrebbe potuto buttar giù l'annotazione di... un numero di telefono, una cosa qualsiasi. Vi dispiacerebbe molto darmi una mano?» C'era qualcosa di allucinante in quella casa e a Susan dispiaceva seguirlo, ma andò ugualmente. Le dispiacque ancor più quando vide la camera di Rose dove, tra l'altro, campeggiava un enorme tavolino da toilette, con balze di seta rosa increspata, poi il letto disfatto, le lenzuola sporche. Una vestaglia di pizzo era abbandonata sul pavimento, vicino a un corsetto elastico arrotolato. Una bottiglia di gin, vuota, giaceva sul pavimento. Greg andò alla porta della stanza da bagno adiacente, guardò dentro e mormorò: «Non è possibile!» Susan guardò sopra la sua spalla. Dovunque schizzi d'acqua e sporco, asciugamani sul pavimento, un paio di calze penzolanti dall'asta per gli asciugamani. Un nastro di dentifricio si snodava dal tubetto aperto. Una spazzola per capelli era gettata sul pavimento piena di capelli di Rose,
biondo-tinti. Susan cominciò a sentire un certo malessere. Il floreale odore della stanza era soffocante. Un tubetto di rosso per le labbra, privo del cappuccio, giaceva sull'orlo del lavabo rosa. Stanza da bagno e camera da letto offrivano un'immagine troppo intima e troppo sgradevole del carattere di Rose. Susan la rammentò chiaramente, stesa sul pavimento. Rose era stata una figura patetica. Forse era ubriaca quando aveva lasciato l'appartamento. Sembrava un'idea ragionevole. «Andiamo via di qui» disse Greg. «Come G.M. potesse sopportare tutto questo è un mistero. Andate a sedervi nel salone. Io do una rapida occhiata al resto.» Susan fu fin troppo contenta di lasciare quel compito a Greg. Si sedette su una delle assurde, finte poltroncine francesi accanto alla porta e pensò a Rose, una volta graziosa e snella. "La mia rosa selvatica" l'aveva chiamata G.M. Si domandò come e quando fosse incominciato il declino di Rose. Era dovuto a un'innata mancanza di carattere? Era, in qualche modo, l'effetto della deleteria influenza dei Clanser, di Milly in particolare? O era stata, come G.M. sembrava rimproverarsi almeno in parte, quella che Rose poteva giudicare la trascuratezza del marito? Qualunque ne fosse stata la causa, il risultato era stato tragico e triste. Greg ritornò. «Che obbrobrio! Se vi siete scandalizzata a vedere la camera di Rose, avreste dovuto vedere quella di Milly. Che casa aveva qui G.M.! Non serve a nulla continuare a esplorare. Bisogna parlare con l'uomo dell'ascensore e con il portiere.» Ma non era semplice come poteva sembrare. Anzitutto doveva assicurarsi che fossero gli stessi uomini che erano in servizio il venerdì pomeriggio e, quando li ebbe trovati, fu solo con difficoltà che riuscì a ottenere qualche informazione. Interrogò per primo l'addetto all'ascensore. Sì, era stato di servizio il venerdì pomeriggio. Sì, aveva visto la signora Manders uscire. Aveva una stola di pelliccia sul braccio. No, non gli aveva detto dove andava, naturalmente. Sì, era sola. «Nessuna visita quel pomeriggio?» domandò Greg. L'uomo esitò, parve che si agitasse, nella sua ordinata uniforme, poi rispose: «C'è stato un uomo... cioè, ho portato su io un uomo.» «Un uomo?» Susan era sicura che Greg si sforzava di non mostrare un eccessivo interesse per non spaventare l'addetto all'ascensore. «In visita dalla signora Manders?» «Ha suonato. Io ho aspettato un momento finché lei ha aperto la porta. Ma poi mi hanno chiamato. Io servo due ascensori, vedete. L'ho condotto
giù pochi minuti dopo. Venti minuti più tardi ho condotto giù la signora Manders. Era sola.» «Che cosa potete dirmi dell'uomo che è venuto a farle visita? Siete in grado di descriverlo?» L'uomo si passò una mano sulla bocca, preoccupato. «Non so. Se il signor Manders vi ha mandato, vuol dire che non vuole che nessuno di noi parli alla polizia. C'è stata la polizia qui, ieri. Due poliziotti in abiti borghesi, ma poliziotti. Io ho pensato che il signor Manders non gradisse che parlassi di quell'uomo. Non lo avevo mai visto prima.» «Ma lo riconoscereste, se lo vedeste di nuovo?» «Non ne sono certo. È stato un giorno di grande lavoro. Non direi di avergli prestato molta attenzione.» «Sapete che mi ha mandato il signor Manders. Faccio parte del suo ufficio. Mi ha chiesto lui di parlare con voi. Non c'è niente altro che ricordate di quell'uomo?» L'uomo tornò a sfregarsi le labbra con le dita, guardò Greg turbato. «Signor Cameron» disse bruscamente «i giornali parlavano di disgrazia. Non capisco tutte queste indagini se è stata solo una disgrazia.» «Oh, è il modo di fare della polizia. Sapete, devono far qualcosa per guadagnarsi la paga.» La faccia dell'uomo si rischiarò un poco. «Sì, è così. Quel signore, come dicevo, non l'ho guardato bene. Era di altezza media, come lo ricordo, con niente di particolare. Un abito scuro normale, cappello. Adesso che ci ripenso, continuava a guardare nello specchio della cabina, e così aveva le spalle voltate verso di me. Non ho potuto guardarlo bene in faccia. Dovevo guardare i piani e le segnalazioni. No, non ricordo altro di lui.» «Ma la signora Manders gli ha aperto la porta?» «Oh, sì.» «Non ha detto niente? Come state... non lo ha chiamato per nome, o non ha detto niente del tutto?» «N... no. Ha solo aperto la porta. Indossava una specie di abito verde. I capelli... be', sembravano una matassa arruffata. Ma d'altra parte lei non era mai in ordine come le altre signore chic» disse l'uomo pronunciando la parola come "clic". «Non perché non comprasse una quantità di abiti e altre cose. Così dicevano sempre nel reparto dove arrivano i pacchi.» Greg andò verso la finestra e vi rimase qualche momento, con le mani nelle tasche e gli occhi rivolti al cielo grigio. L'uomo dell'ascensore guardò nervosamente verso l'atrio. Greg tornò finalmente e chiese molto serio:
«Devo porvi una domanda delicata. Agisco come il signor Manders mi ha detto di fare. La signora Manders era un poco ubriaca quando ha aperto la porta? O quando è uscita di casa?» Uno sguardo cauto comparve negli occhi dell'uomo. Scosse il capo, ma non molto decisamente. «Non proprio ubriaca.» «Appena un poco... alterata?» «Io... mi scuserete con il signor Manders. Tutti qui gli vogliono bene.» «Così vi è parso che avesse bevuto.» «Beveva sempre» disse, ma poi si diede un colpo sulla bocca. «È una cosa terribile da dire. Noi proteggiamo sempre i nostri inquilini. Non intendevo...» «Va tutto bene. Non c'è proprio più niente che possiate dirmi sulla sua partenza, su... niente altro?» «No, no! Scusatemi. Sono sicuro che suona il mio campanello. Scusatemi.» Si affrettò verso l'ascensore, che cominciò la sua discesa con un ronzio appena percettibile. «È scappato via come un coniglio» osservò Greg. «Non posso dire di biasimarlo. Domani, probabilmente, comparirà sui giornali che è stato un assassinio. Gli dispiacerà di aver parlato, povero diavolo. E ora il portiere. Vediamolo giù, dabbasso. Non sopporto un minuto di più il tanfo che c'è qui dentro.» «Meglio chiudere la finestra che avete aperto. Potrebbe piovere.» «Farebbe bene alla casa» ribatté Greg di malumore, ma la chiuse. Susan si alzò dalla poltroncina e fece strada. Greg esclamò: «Santo cielo! Dovreste vedervi dietro.» «Dietro!» Indossava un vestito con giacca marrone. Aveva speso più di quello che poteva permettersi per comprarlo, ma era di buona stoffa e di buona fattura. Si girò. «Che cosa c'è?» Greg emise un suono che stava fra la risata e il gemito. «Peli di gatto. Ne siete coperta. Aspettate, guardo se trovo una spazzola in questo posto pazzesco.» Trovò una spazzola nella camera da letto di G.M. «È il solo posto della casa che abbia una parvenza d'ordine» mormorò al ritorno. «Giratevi.» Le spazzolò gonna e giacca: «Questi dannati peli si attaccano come francobolli. Ecco, va un po' meglio. Andiamo.» Lanciò via la spazzola, uscì nell'atrio con lei e chiamò l'ascensore. Il portiere li aiutò ancor meno dell'uomo dell'ascensore. Si vedeva che
era preoccupato. «C'è qualcosa... qualcosa che non va nella disgrazia che ha colpito la signora Manders?» domandò facendo una pausa impercettibile prima della parola "disgrazia". «Vedete, degli uomini, dei poliziotti sono stati qui ieri proprio quando sono entrato io in servizio. Hanno interrogato anche me, mi hanno domandato se non avevo visto nessuno salire dalla signora Manders e se l'avevo vista uscire. L'avevo vista. Andava verso l'angolo, però è tutto quello che so. Non ho visto nessun estraneo, ma c'è sempre molta gente a quell'ora, attorno alle quattro o un po' prima. C'è davvero qualcosa che non va?» «Oh, l'inchiesta è solo routine della polizia» rispose Greg. «Credete che la signora Manders avesse appuntamento con qualcuno?» «Come potrei dirlo? Io ricordo soltanto che è uscita a piedi e ha girato l'angolo. È ovvio che nessuno può parcheggiare davanti all'edificio, a meno che non provenga dal nord. Chiunque venga dal centro della città deve risalire Madison Avenue e deve parcheggiare in una trasversale, poi fare a piedi il tratto fino al nostro edificio. Così se... non dico che lo abbia fatto, si è incontrata con qualcuno che l'aspettava in auto, è dovuta andare a piedi fino a una trasversale di Madison Avenue, dove l'auto poteva essere parcheggiata.» «Lo so» disse Greg. «Ho sempre dovuto seguire anch'io questo sistema. Non c'è niente altro che ricordate di quando la signora Manders è uscita?» «È tutto. Mi dispiace della... disgrazia. Ditelo al signor Manders, vi prego. Tutti vogliamo bene al signor Manders.» Se il portiere aveva visto il misterioso visitatore che era salito dalla signora Manders, Greg era convinto che non sarebbe mai stato in grado di riconoscerlo o identificarlo. Rifecero a piedi lentamente la strada fino alla macchina. Greg guidò senza più parlare fino a un garage con servizio di parcheggio nel quartiere della Settantesima Strada. Depositò la macchina, poi chiamò un tassì, che si inoltrò tranquillamente nello scarso traffico domenicale. Quando raggiunsero il numero della Sessantatreesima Strada che Greg aveva dato al conducente, Greg scese, pagò e prese Susan per un polso. «Dite all'autista di tenere la bandierina alzata» disse lei. «Voi dovete starmi vicina. Ho promesso a G.M. di non perdervi mai di vista.» «Ma io... ma come, non posso stare qui tutta la notte.» Il viso di Greg cambiò, si fece più giovane e vivace. Rise di cuore, tanto che l'autista del tassì si voltò a guardarlo.
«Andiamo, Susan, o dovrò trascinarvi a viva forza dando spettacolo al vicinato, con il risultato di una probabile denuncia alla polizia. Volete che io sia arrestato dalla polizia per rapina, aggressione o qualcos'altro? Andiamo.» L'autista del tassì rise. «Meglio andare, signorina. Credo che sia deciso.» Con una sensazione di disagio, Susan comprese che era veramente deciso. E, d'altra parte, se le sue congetture erano esatte, sarebbe stata certamente più al sicuro con Greg e nel suo appartamento. Scivolò fuori dal tassì con improvvisa docilità. Quando furono saliti in ascensore, Greg disse seccamente: «Non preoccupatevi. Dormirete nel mio letto e io mi aggiusterò sul divano in salotto. È miserevolmente scomodo, a dire la verità. Una mia zia me l'ha mandato quando ho preso in affitto l'appartamento e io non ho avuto il coraggio di liberarmene. Così, considerate il fatto che dovrò dormirci come un segno di devozione da parte mia.» Susan si sentì piena di gratitudine. «Non sono una sciocca.» «Qualche volta agite come se lo foste» disse Greg allegramente. «Eccoci arrivati.» La condusse in un soggiorno piuttosto piccolo, ma comodo. Era, ovviamente, la stanza di un uomo: sedie a sdraio, libri, una poltrona, un divano che doveva veramente essere durissimo a giudicare dall'aspetto, un tappeto molto comune, dei portacenere. «Quella porta conduce alla camera da letto, l'altra alla stanza da bagno.» Greg le indicò con la mano. «E quella che chiamano cucina è laggiù. Ho sete, vado a prendere qualcosa da bere per me e anche per voi.» Si fermò un momento, preoccupato. «Credete possibile che io sia stato contagiato dall'attaccamento al bere dei Clanser? Non potete immaginare quante volte ieri ho dovuto farmi forza per non bere da stordirmi.» Susan si sedette. «Anch'io.» Greg andò in cucina. Si sentì il rotolio dei cubetti di ghiaccio nel secchiello e il tintinnio dei bicchieri. Con tono pensieroso, a voce alta, Greg disse: «Il visitatore di Rose di venerdì pomeriggio potrebbe essere l'uomo che avete visto correre. Era senza dubbio qualcuno che lei conosceva e probabilmente è rimasta ad attenderlo dopo la telefonata.» 12 Tornò e mise un bicchiere in mano a Susan. «Vorrei proprio sapere quel-
lo che ha detto a Rose. Vorrei che l'uomo dell'ascensore avesse udito qualche parola. Qualunque cosa sia stata, sembra che abbia indotto Rose ad andare alla casa segreta e pare che sia stato lui a portarvela. Bene, ora brindiamo a... non al crimine... a noi due.» Lei si adagiò nella poltrona. «Greg, quell'appartamento non vi è sembrato orribile?» «Avreste dovuto vedere la cucina. Vi avrebbe tolto l'appetito per un mese. Rose non era una donna di casa.» «Mi ha fatto venire i brividi.» «Anche a me ha dato i brividi. Sempre me li ha dati. Non so come G.M. lo sopportasse, anche se per poco, come faceva.» «Sarebbe stato così facile per Rose essere il genere di moglie che lui desiderava!» Greg rifletté, mosse un portacenere e scosse il capo. «No, non è così. Non aveva forza di volontà e nemmeno cervello. Prendeva sempre la via più facile.» «L'appartamento deve essere stato bellissimo.» «Non l'ho visto quando G.M. lo ha acquistato. L'ho visto solo dopo che Rose lo aveva ridotto come piaceva a lei. E a Milly.» «Credete che potrebbe portare a qualche risultato prendere delle fotografie di tutte le persone che erano vicine a Rose o a G.M. e mostrarle al portiere e all'uomo dell'ascensore?» «Se Rose è stata uccisa perché era Rose, cioè, se era lei il bersaglio... come lo è stata in senso letterale, allora sarebbe ragionevolmente semplice, direi, scattare delle fotografie di tutti quelli che le erano vicini. Deve sempre esserci una certa intimità fra uccisore e uccisa. Come regola, almeno. Io non riesco a immaginare in Rose la volontà che occorre per farsi amica di una qualsiasi persona. Tuttavia aveva del denaro e i suoi parenti ereditano.» «Specialmente Milly.» «Specialmente Milly. Anche il contegnoso e tronfio Ligon potrebbe aver bisogno di denaro. Credo che Lattrice indagherà su una simile evenienza. Un uomo che si dà da fare, quel piccolo Lattrice. Rose è stata uccisa nel tardo pomeriggio di venerdì. Siamo a domenica e si è già fatto consegnare le chiavi dell'appartamento, lo ha visitato e ha fatto degli interrogatori. Penso che abbia anche tentato di controllare l'alibi di Dora. Di Dora e del suo Bert. Naturalmente Bert, a mio parere, direbbe qualsiasi cosa Dora gli chiedesse. È una donna vigorosa. Ma potrei fargli torto.»
«Non sembrate molto soddisfatto.» «Chi lo sarebbe in quell'atmosfera? Credo che si potrebbero prendere facilmente le fotografie della gente che era vicina a Rose. Sembra che non uscisse mai, che stesse sempre rintanata in quel pauroso appartamento. Una casa impossibile, come avete detto voi. Ma, se il bersaglio era G.M., il campo è vasto. È difficile scoprire quanti nemici possa essersi fatto. Potrebbe non saperlo nemmeno lui. Impossibile avere delle fotografie di tutti quelli che conosce. Comunque credo che l'uomo che ha telefonato a Rose quel pomeriggio le abbia poi fatto visita. Quindi sarà sceso nella via evitando di farsi vedere con lei, avrà girato l'angolo e sarà andato ad attenderla in macchina. Più tardi sarà arrivata lei e l'uomo deve averla portata all'elicottero.» «Doveva certamente sapere come guidare un elicottero.» «Oh, sì. Io, per esempio, sono stato nell'Air Force, in Vietnam. G.M. è stato nell'Air Force nella seconda guerra mondiale. Vorrei davvero che si finisse di chiamarla seconda guerra mondiale, come se ci fosse l'assoluta certezza che ci impegneremo in una terza guerra mondiale. O in un qualsiasi numero di altre guerre mondiali.» «Non può essere» commentò Susan. «Lo so. Se qualcuno comincia a usare la superbomba, tutti la useranno e non rimarrà più nessuno da massacrare. Ho concepito un bel pensiero, devo dirlo. Avete fame?» «Non ancora, veramente.» «È più tardi di quel che sembra. Abbiamo perso molto tempo in quell'appartamento.» Guardò l'orologio. «C'è spazio per un secondo aperitivo.» Le prese di mano il bicchiere vuoto e glielo riportò pieno. Ne portò un altro per sé, si sedette sul divano e tenne gli occhi fissi nel vuoto. «Dora, Ligon, Milly... hanno tutti un motivo, sì. Ligon la gelosia, un movente più verosimile del denaro che Rose gli ha lasciato. Il movente di Dora sarebbe stato quello di prendere il posto di Rose e sposare G.M. Contro questa ipotesi, c'è che Dora non avrebbe avuto il tempo di essere di nuovo in città quando io l'ho chiamata al telefono. Quanto a Milly, lei il movente lo ha: il denaro di Rose. Ma il tempo in cui l'abbiamo lasciata sola mentre ci siamo fermati in cucina è stato breve. Avrebbe dovuto muoversi come un lampo. Può darsi che lo abbia fatto e che all'occasione ne sia capace. Ma questa congettura non spiega il visitatore di Rose e l'uomo che correva. Possono essere la stessa persona. E resta inspiegato quello che quell'uomo ha detto a Rose per spingerla a recarsi alla casa segreta.»
Il buio cominciava a invadere la stanza. Greg si alzò distrattamente, accese alcune lampade e tornò a sedersi. «Non c'è scopo a lavorare di fantasia. Dobbiamo limitarci ai fatti... che cosa succede?» «Perché? Niente.» «Mi era parso di sentirvi sospirare.» «Oh, era... dev'essere perché mi sento così a mio agio. Questo posto è così... ordinato» disse lei impetuosamente. «Così ordinato e normale...» «Dopo l'appartamento di Rose? Lo spero. Viene una donna due volte la settimana per le pulizie. Di solito lascia qualcosa da mangiare nel freezer.» «Che cos'è?» Susan si drizzò a sedere. Greg balzò in piedi all'istante. Qualcuno premeva il pulsante del citofono, ripetutamente. Poco dopo la maniglia della porta girò, con un scintillìo dell'ottone lucidato. Ci fu il rumore di una chiave nella serratura. Greg si rilassò. «Va tutto bene. È mia zia. Abita qui vicino. Avanti, zia Lalie» disse aprendo la porta. Entrò una donna, si guardò attorno, poi posò lo sguardo su Greg e salutò. «Hello.» Era una donna piccola, dall'aspetto molto femminile, ordinata nel suo abito nero, una stola di pelliccia, guanti bianchi e senza cappello sui lucidi capelli grigi. «Questa è mia zia» disse Greg a Susan. «La mia amica Susan Beach. Rimane qui con me.» La zia Lalie rimase impassibile. «Davvero, Greg? Che buon gusto hai!» Porse una mano piccola ma forte, come scoprì subito Susan. «Sono lieta di conoscervi. Non mi accade spesso di conoscere degli amici di Greg. Stai bevendo qualcosa, Greg?» Greg rise. «Vuoi favorire?» «Certamente.» La zia Lalie si sedette sul divano, ma si rialzò subito. «Sai, questo sofà era il preferito di tuo zio.» «Doveva avere una spina dorsale elastica» commentò Greg allegramente, mentre andava in cucina. La zia scelse una sedia, si sedette, gettò la stola di pelliccia sul vituperato divano, si levò i guanti e fissò Susan. Aveva degli occhi grigi vivaci e intelligenti. Malgrado la sua apparenza femminilmente fragile, qualcosa nella forma del viso e negli occhi la rivelava parente di Greg. «E ora» disse tranquillamente «spiegatemi perché io non ho creduto nemmeno per un momento che voi siate venuta qui per vivere con Greg. In effetti, so che non è così. Ho letto i giornali. Eravate tutti e due nella casa di campagna di Gilbert Manders quando la sua povera moglie è stata uccisa... o si è uccisa.»
Greg la udì dalla cucina. «Rimane qui, va bene così. È più sicura.» La zia aguzzò lo sguardo. «È più sicura?» Greg riapparve con un altro bicchiere in mano e lo diede a sua zia che dopo aver bevuto un sorso, riprese: «È un omicidio la morte della signora Manders?» Greg annuì. «E sfortunatamente Susan ha intravisto un uomo correre via dalla casa subito dopo che Rose è stata uccisa.» A quanto sembrava, la zia non aveva bisogno che le si ripetessero le cose. «Capisco. Non è molto simpatico essere in grado di... identificare qualcuno.» Bevve un altro sorso. «Be', ora che me ne avete detto una parte, potete anche dirmi tutto.» «Vuoi dire che sei venuta per questo?» «Niente affatto. Ho visto la luce accesa mentre stavo passando e ho pensato che la donna delle pulizie avesse dimenticato di spegnerla. Stavo cercando di farti risparmiare venendo a spegnerla io.» «Sei davvero gentile, zia. Così non ti starò a parlare di niente che riguardi la signora Manders.» Era un bisticcio simpatico e amichevole. Ma la zia Lalie non tardò molto a posare il suo bicchiere e a dire, seria in volto: «Naturalmente volevo sentire. Ho visto la luce accesa e ho pensato che tu fossi qui. Non sono una donna sospettosa, ma c'era qualcosa nel resoconto del giornale che mi ha fatto...» «Sentire odore di bruciato?» Sua zia annuì. «Non so perché, era un po' troppo misurato e circospetto. Come se ci fosse di più. Mi riusciva difficile credere che la signora Manders andasse in quella casa dove mi avevi detto che non andava quasi mai, tirasse fuori una rivoltella e avesse un incidente mortale. Tanto vale che mi diciate tutto.» «E d'altra parte non la smetteresti fino a quando non mi avessi cavato fuori tutto. Ma è piuttosto complicato.» «Chi l'ha uccisa?» la zia lo affrontò direttamente. «Non lo sappiamo. Ci sono numerose possibilità, ma... no, non lo sappiamo. La polizia nemmeno. Susan e io abbiamo fatto un po' gli investigatori, oggi. Però non siamo approdati a niente.» «Dimmi tutta la storia.» Susan si sistemò meglio nella poltrona, prestando un orecchio distratto, mentre Greg incominciava dal loro arrivo alla casa segreta. Ma nel mezzo del racconto lei si raddrizzò e disse bruscamente: «Greg!»
«Ho dimenticato qualcosa?» chiese lui. «No. Cioè, sì. I cani, il gatto.» «Oh, è tutto a posto. Ho incaricato Col di guardarli. È di buon cuore, quando non è ubriaco.» «Col...» intervenne la zia. «Oh, l'uomo al cancello. Columbine Clanser.» Greg sussultò: «Columbine?» «Era sul giornale. Sebbene non riesca a capire come un cristiano possa lasciarsi chiamare Columbine.» Greg si sfregò un occhio, poi l'altro. «Bene, è chiaro che non era un cristiano quando gli è stato dato il nome. Ma... Columbine!» «Ti dico che era nel giornale e compitato, lettera per lettera. L'uomo al cancello, uno dei Clanser, magari l'assassino?» «Non lo credo» rispose Greg. «No.» «Va' avanti» lo incitò la zia. «Eri all'arrivo dei cani, del gatto, di G.M. e di Dora Clanser.» Greg continuò. Nel tempo che gli ci volle a giungere allo spavento che Susan aveva preso la notte prima quando si era sentita tanto sicura che qualcuno l'avesse seguita dal bosco e come, tuttavia, più tardi, si fosse mostrata altrettanto sicura di aver lasciato briglia sciolta alla sua immaginazione, il viso della zia si irrigidì. «Hai fatto bene a condurla qui. Va' avanti, Greg. Com'era l'appartamento?» Greg ebbe un leggero brivido. «Te lo risparmio. Gin. Bicchieri vuoti. Portacenere pieni. Peli di gatto anche, dovunque. Sulle sedie, sulla gonna di Susan, quando siamo venuti via. Ascolta, zia Lalie, non mangiamo più se continuiamo a parlare di quell'appartamento. Andiamo a vedere se c'è qualcosa nel freezer.» Tre persone bastavano ad affollare la piccola cucina, splendente e ordinata. Trovarono una casseruola nel freezer con un arrosto pronto da cuocere. La zia Lalie la mise nel forno. Susan si diede da fare a preparare dei vassoi seguendo le indicazioni della zia Lalie per trovare posate, piatti e tovaglioli. Intanto ascoltava distrattamente i discorsi fra zia e nipote. «Ma se è uno dei Clanser che l'ha uccisa» disse alla fine la zia «allora Susan non è in pericolo qui in città. Nessuno di loro oserà lasciare la casa di campagna di Manders. Se l'assassino è qualcun altro... quello che chiamate l'uomo che correva... può essere chiunque. Il signor Manders deve essersi fatto qualche nemico durante la sua vita d'affari. Ha fatto una fortu-
na così enorme e, a quel che sembra, già da giovane! Controlla Dio sa quante società. Deve aver pestato i piedi a qualcuno durante il cammino, forse senza accorgersene. Ho incontrato il vostro Gilbert Manders un paio di volte.» Greg si mostrò sorpreso. «Dove?» «Oh, sì. Quell'ospedale che sai, del cui consiglio d'amministrazione faccio parte, era incappato in difficoltà finanziarie. Qualcuno dei membri conosceva Gilbert Manders e lo ha convinto a venire a consigliarci. E lui è venuto e devo dire che tutto quello che ci ha fatto fare si è dimostrato utile. Ogni problema di investimento e di denaro è stato appianato. Credo che sia una specie di genio. Non che un genio sia sempre intellettualmente di grande livello fuori del suo campo specifico. Siete proprio sicuri che non abbia fatto in modo da attirare là fuori sua moglie, l'abbia uccisa e sia ritornato in città?» «Susan dice di essere sicura che non era l'uomo che correva.» «Siete sicura?» la zia Lalie domandò a Susan. «Ero sicura. Lo sono ancora, ma ci ho pensato tanto che non riesco più a essere sicura di nulla.» «Oh, siete soltanto stanca e sconvolta. Se si presenterà l'occasione di identificare quell'uomo, vi sentirete completamente sicura. Certo questo non significa che debba essere stato proprio l'uomo che correva a uccidere Rose Manders.» «Non hai bisogno di esporre così chiaramente le cose» borbottò Greg. «Non penso affatto di essere troppo chiara. Ma il vostro Gilbert Manders... Io non mi lascio impressionare facilmente, però devo dire che colpisce molto. È anche attraente. E bello, per giunta. Quella Dora deve aver avuto qualche buona ragione per credere che Gilbert Manders l'avrebbe sposata.» «Mangiamo» consigliò Greg. Riempirono i piatti e portarono i vassoi nel soggiorno, Greg accese il televisore. «Dovrebbe esserci qualcosa in proposito, ora.» C'era qualcosa, ma assolutamente nulla che riguardasse G.M. Quando il telegiornale fu terminato, la zia Lalie raccolse i guanti e la stola di pelliccia, li fissò assorta e, come parlando a se stessa, disse: «Quei peli di gatto aderiscono terribilmente, vero? Buona notte, Susan.» Porse la guancia per ricevere il bacio che Greg le diede piegandosi un bel po', poi uscì, lasciando nei due che rimanevano un senso di distensione e di sicurezza. Greg si affaccendò attorno alla serratura per un poco, poi disse: «Bene.
La mia camera è là. Devo solo prendere un cuscino e qualche coperta. Che cosa avrà voluto dire mia zia dicendo che i peli del gatto aderiscono?» «Be', è vero.» Inaspettatamente Susan sbadigliò. «Ci vuole il letto, per voi.» Era stanca. Dormì nel grande letto di Greg, con indosso un bel pigiama di seta rossa che egli aveva avuto in regalo dalla zia a Natale. Non aveva mai avuto il coraggio di indossarlo, affermava. Nel mezzo della notte, però, un grande fracasso e una sequela di parole che sembravano imprecazioni la svegliarono. Si alzò e andò incespicando ad aprire la porta. Greg, arrabbiatissimo, stava rialzandosi da terra e tirando su le coperte e la lampada dal tappeto. «Sono caduto» disse furibondo. «Questo dannato sofà!» «Oh!» Stese di nuovo le coperte sul divano e borbottò fra l'altro: «Quel mio letto è più che sufficiente per due.» Lei si ritirò in fretta e si addormentò subito per svegliarsi la mattina dopo solo quando Greg la chiamò. C'era nell'aria un fragrante odore di caffè e pancetta affumicata. Quando fu pronta, Greg l'accolse con un'invitante colazione. «Ve l'ho detto che sono un buon cuoco. Che marito sarò per qualche fortunata fanciulla!» Aveva i giornali del mattino. «Il delitto...» cominciò Susan. «Sì, trattato con molta delicatezza, ma c'è.» Lei lesse il resoconto del giornale con attenzione. Greg prese un'altra tazza di caffè. «Cartier aprirà a quest'ora.» «Questo resoconto non è cattivo come potrebbe essere. Parla di delitto, ma c'è una specie di accenno a un ladro.» Greg annuì. «Oh, certo. Ma la storia si ingrosserà. Allora, avete preso la borsetta, i guanti, la giacca, tutto? Prendiamo un tassì per andare da Cartier e un tassì anche per andare a prelevare la macchina di G.M. dal parcheggio.» Durante il percorso in tassì, egli disse all'improvviso: «Che genere di anello credete che le piaccia? O che piaccia a G.M.?» «Una stella di zaffiri» rispose immediatamente Susan. Greg si voltò a fissarla, sorpreso. «Parlate come se aveste desiderato ardentemente una stella di zaffiri per tutta la vita.» «Non che io abbia molta probabilità di arrivare ad averne una, ma in ogni modo ho l'impressione che a G.M. non piacerebbe il solito grosso brillante.» Egli la guardò dubbioso. «A Dora forse sì. Ma prendiamo una stella di
zaffiri.» La gioielleria di Cartier era quieta e solenne come una chiesa, in quell'ora tanto vicina all'apertura. Un solenne e impeccabile giovanotto, che sembrava volesse indirizzarli al giusto inginocchiatoio, avanzò verso di loro. «Una stella di zaffiri» disse Greg. Il giovane valutò Susan con una rapida occhiata. E subito dopo, Greg. «Nessun... ehm, limite di prezzo?» domandò delicatamente. «Credo che il limite sia il cielo» rispose Greg. «A ogni modo, mostratecene qualcuna.» «Per la vostra... la vostra fidanzata, nessun dubbio.» «Già» replicò Greg dandosi un contegno. «Deve scegliere quella che le piace.» «Se volete seguirmi...» Greg strinse amorosamente il braccio di Susan mentre seguivano il giovane, che ebbe un lampo negli occhi quando cominciò a mostrare loro le gemme già incastonate negli anelli. «Dovresti provare questo» disse Greg a Susan, e ancora con modi da innamorato, le prese la mano sinistra e le infilò l'anello all'anulare. «Ti piace, tesoro?» domandò. «Lo detesto, tesoro» rispose Susan con dolcezza. «Ma, se non c'è niente di meglio, credo che dovrà piacermi per forza.» Il commesso era seccato. «È un anello perfetto, lo vedete. Anche la montatura delle pietre è molto bella. Pietre semplici, ma perfette. Penso che alla signorina finirà col piacere, portandolo.» «Avrà tutta la convenienza a trovarlo di suo gusto» disse Greg, divenuto all'improvviso meno amoroso, forse nel pensare a Dora. «E va bene. Questo fa al caso.» «Bene. E... contanti o...» «Un assegno» disse Greg, estraendolo dalla borsa. Susan lo guardò, posato sul banco, e non poté fare a meno di osservare che era in bianco e firmato G.M. «Santo cielo! Vi siete portato attorno un assegno in bianco firmato per l'incasso, proprio in questo modo, nella borsa? Ma supponete che fosse accaduto qualcosa!» «Non è accaduto niente» ribatté Greg, mentre domandava l'ammontare dell'imposta da aggiungere al prezzo dell'anello e porgeva l'assegno allo sbalordito commesso. «Ma io pensavo che il signor Manders... lo credevo più vecchio di voi...»
Il commesso balbettava. «Lo è» rispose Greg. «È meglio che telefoniate al suo ufficio per l'identificazione.» «Io... ehm... non è necessario. A ogni modo, un momento solo.» Il commesso scomparve. Greg tamburellò con le dita sul cristallo del banco. «Vedete, è così sottosopra che io potrei andarmene via con questo anello senza dover rispondere a nessuna domanda.» «Credo che delle domande ve ne farebbero in buon numero prima di raggiungere la porta. Veramente, Greg, fareste una cosa simile?» «Perché no? Dare a quel giovanotto qualche brivido il lunedì mattina, un pizzico di romanticismo.» Il commesso tornò, tutto sorrisi. «Grazie, vi auguro ogni felicità. Io lo dico sempre che noi possiamo non essere presenti al matrimonio ma che il vero matrimonio ha luogo qui, quando lo sposo infila l'anello al dito di lei... voglio dire il futuro sposo. Volete...» «Mettetelo in una scatola» disse Greg. «Sono sicuro che la mia fidanzato preferisce metterselo quando siamo soli.» «Ti strozzerei, Greg» ribatté Susan, questa volta senza molta dolcezza. Il commesso era impietrito per la sua evidente e inequivocabile sorpresa. Greg gli spiegò: «Lo dice per dire, ma non lo pensa. Il mio cuoricino! È solo il suo modo di parlare.» Fu per il commesso e la sua solennità un duro colpo. Mise l'anello in un astuccio, l'astuccio in un altro astuccio, scortò i due "fidanzati" fino alla porta, riprendendosi nel frattempo tanto da poter dire: «Tanti auguri a tutti e due» mentre si inchinava alla loro uscita. «Ci conviene andare a piedi fino a Madison Avenue e di là prendere un tassì per recarci a prelevare la macchina» disse Greg allegramente. «Non avreste dovuto farmi sembrare una stupida a quel modo.» «No, potete farlo da sola.» Non meritava una risposta, anche se Susan era in grado di dargliene una schiacciante. Furono inghiottiti in un subitaneo flusso di traffico. Il tassì li portò al garage e Greg condusse fuori la grossa macchina di G.M. Dopo il breve viaggio, arrivati al cancello della casa segreta, lo trovarono stipato di automobili. Col (Columbine? Susan pensò incredula) andò loro incontro e senza attendere comunicò loro, ansimando, la novità, con gli occhi che gli sporgevano dalle orbite. «Hanno ucciso Snell.»
13 Greg fermò del tutto la macchina con un sobbalzo. «Chi lo ha ucciso? Come?» Col appariva come afflosciato, con la faccia di un pallore verdastro. «Era nel mio pullmino. Non so se riuscirò mai più a guidarlo.» «Voi non riuscirete più a guidare nulla» ribatté Greg con voce pericolosamente sommessa «se non mi spiegate di che state parlando.» «Ve l'ho detto, Snell è stato ucciso. La testa fracassata, dicono, da un masso.» «Dov'era?» «Sulla strada di Medbury Hills, stava ritornando qui. Mi aveva chiesto in prestito il pullmino.» «Andate avanti.» «Il mio turno era finito, ma avevo fatto tardi dovendo accudire ai cani e al gatto, come mi avevate detto di fare. Wilfred era appena arrivato per il turno di notte, così ho detto a Snell che senz'altro poteva portarmi a casa e poi ricondurre qui lui il pullmino. Così ha fatto. E stamane lo hanno trovato. Col pullmino parcheggiato lungo la strada.» «Chi lo ha trovato?» «Ligon e quel Prowde, l'individuo che Dora dice di voler sposare. Stavano venendo qui in tassì. Hanno visto il pullmino fermo e hanno trovato Snell. La testa fracassata. Morto stecchito.» «Che cosa hanno fatto?» «Sono rimasti là con Snell e hanno mandato l'autista del tassì a chiamare la polizia. Poi uno dei poliziotti, Charlie, che abita a Medbury Hills, tiene dei cani...» «Non divagare» lo interruppe Greg aspramente. «Che cosa ha fatto?» «Ha condotto qui il pullmino. Sono pure arrivati poliziotti dalla città, pattuglie e agenti investigativi dello Stato.» Si asciugò la fronte con il dorso della mano. «Domande sopra domande. Quel tizio, Lattrice, qui, a girare attorno come un cane da caccia in cerca di una pista. Non che» uno sguardo beffardo comparve nei suoi occhietti «non che abbia trovato una pista. Almeno, non mi risulta.» Greg stette zitto un momento. «Wilfred avrà lasciato aperto il cancello, ieri sera, immagino.» «Ha detto di no.» Lo sguardo beffardo perdurava negli occhi di Col.
«Ma non ne sarei troppo sicuro. C'era una bottiglia vuota nello scaffale. L'ho buttata via io. Non credo troppo che abbia chiuso il cancello.» Lanciò un'occhiata furtiva alla strada, dietro la macchina. «Uh! Sembrano giornalisti. Con macchine fotografiche. Devo assolutamente chiudere il cancello e avvertire Dora.» Si trascinò con una strana rapidità da granchio al pulsante di comando del cancello. Fece appena in tempo a chiudere, che si alzò un grande stridìo di freni e di voci rabbiose dalla strada. Greg rimise in moto in fretta la macchina di G.M. «Dovevo lasciarvi in città. Dalla zia Lalie, in qualsiasi posto. Sembra che il nostro assassino si senta alle strette. Snell sapeva qualcosa... C'è là il pullmino di Col.» Girarono la curva e videro il pullmino di Col. Era al centro dell'attenzione di uno stuolo di poliziotti, poliziotti dello Stato in divisa e agenti investigativi in borghese. «Impronte digitali, tutto» osservò Greg. «Entriamo in casa, se ce lo permettono.» Uno dei poliziotti in divisa si staccò dal gruppo di uomini indaffarati attorno al pullmino e andò a passo spedito verso di loro. «Siete il signor Cameron?» Greg annuì. Il poliziotto chiese ancora: «La signorina Beach? Il signor Manders mi ha detto di aspettarvi.» «Possiamo entrare in casa?» «Certamente.» I cani arrivarono da qualche parte della casa e li festeggiarono con salti di gioia e zampate come se fossero stati lontani per mesi. Anche Toby uscì pigramente a salutarli, ma si sedette, subito dopo, per leccarsi qualche pelo uscito di posto. G.M. era in biblioteca con Lattrice. «Avete sentito?» disse. «Sì, quando sono arrivato al cancello. Col me lo ha detto.» «Abbiamo cercato di telefonarvi, presto, quando abbiamo sentito di Snell.» «Stavamo eseguendo quell'acquisto che ci avete affidato. Ecco qui.» Greg si tolse dalla tasca l'anello e lo diede a G.M., che lo lasciò cadere in un cassetto con indifferenza, come se si fosse trattato di una scatola di fiammiferi. «Non avete avuto nessun fastidio per l'assegno?» «Ho una faccia onesta» rispose Greg. «Avete avuto qualche informazione che il sergente Lattrice non abbia ottenuto dall'uomo dell'ascensore e dal portiere della casa?»
Greg annuì e si sedette. Susan fece altrettanto, rammaricandosi di non essere rimasta in città con la zia di Greg o con qualcun altro. Il gatto andò a sederlesi in grembo senza perdere tempo, frustrando un'analoga aspirazione di Belle. Belle le si accoccolò ai piedi. Susan ascoltò, mentre Greg raccontava dell'uomo che era andato in visita da Rose, il pomeriggio della sua morte. L'espressione di Lattrice rimase immutata. Greg osservò: «Non hanno potuto lasciarsi andare troppo con voi, signor Lattrice.» «Sergente» lo corresse Lattrice a voce bassa. «Proseguite, vi prego.» «Si sono giustificati dicendo che non volevano offendere il signor Manders. La loro opinione sarebbe che la signora Manders abbia lasciato l'appartamento poco dopo quella visita e che abbia girato a piedi l'angolo della casa, dove, è possibile, il suo visitatore aveva parcheggiato la macchina. Non è certo: è un'ipotesi.» G.M. intrecciò le belle mani. «Raccontateci tutto minuziosamente.» Greg raccontò tutto minuziosamente... quasi minuziosamente. Omise qualsiasi accenno ai bicchieri sporchi e alla bottiglia di gin che aveva trovati nella camera da letto di Rose. «Dobbiamo provare a mostrar loro delle fotografie» disse Lattrice, quando Greg ebbe finito. «Sì, si potrebbe» acconsentì G.M. «Però, se si tratta di un vostro nemico, signor Manders, non saprei proprio dove guardare.» «E nemmeno io» disse lentamente G.M. «Oh, mi sono fatto qualche nemico. Forse ho attraversato la strada a qualcuno senza nemmeno accorgermene. Ma Snell...» «Snell conosceva la persona che è venuta qui con lui e Rose» disse Greg. «Sempreché Snell fosse qui» disse Lattrice gentilmente. «Ma doveva essere qui. L'elicottero...» incominciò G.M., arrestandosi però subito. «Capisco quello che intendete dire. Il visitatore di mia moglie può averla portata qui pilotando lui. Snell può aver mentito quando ha detto di essere stato lui a condurla qui con l'elicottero e di averla vista girare la chiave nella serratura della porta prima di andarsene. Ma in questo caso...» Lattrice annuì. «Sì, dobbiamo controllare che cosa ha fatto Snell il pomeriggio e la sera a New York, molto più a fondo di quanto ci sia stato possibile fare finora.» Belle mise una zampa implorante su un ginocchio di Greg ed egli di-
strattamente la prese sulle ginocchia. «Questo significa che Snell sapeva fin dal principio chi è venuto qui con Rose. Perciò avrebbe potuto sapere chi era l'uccisore di Rose e aver deciso di ricattarlo e... Ha preso le sigarette, Snell?» «No» rispose Lattrice. «Ma non balzate alla conclusione che abbia preso in prestito il camioncino di Col per andare a qualche appuntamento. Abbiamo controllato. Ci sono solo tre posti a Medbury Hills dove Snell poteva trovare la marca di sigarette che voleva e ho domandato in ognuno. Ci sono però delle cabine telefoniche in ogni spaccio, e ovviamente lui e il suo assassino dovevano aver stabilito il momento in cui incontrarsi. Abbiamo cercato di controllare i movimenti di tutti quelli che si trovano nella casa, anche quelli di Ligon e Prowde. I proprietari della locanda sanno solo che i due, Ligon e Prowde, hanno preso alloggio ieri sera e per quanto risulta a loro non sono più usciti. Che non siano più usciti non può essere provato, ma non può nemmeno essere provato che Snell avesse un appuntamento. Però deve averlo avuto.» «Per incontrarsi in strada» disse Greg. «Già, credo che sia così. Wilfred dice di aver chiuso i cancelli a chiave durante la notte.» «Col mi ucciderà perché ve lo dico» disse Greg «ma Col non ne è tanto sicuro. Sembra che abbia trovato una bottiglia vuota nello scaffale e l'ha buttata via per proteggere Wilfred.» Lattrice si irrigidì e disse calmo: «Sembra che i Clanser si proteggano l'un l'altro, vero?» «Sì, è così.» Era stato G.M. a rispondere. «Tuttavia sento che a un dato momento potrebbero mettersi l'uno contro l'altro e piuttosto violentemente. Senza dubbio, nessuno ha davvero un alibi per il momento in cui Snell è stato ucciso.» Tacquero tutti per qualche momento, poi Greg disse bruscamente: «Se siamo di nuovo alla caccia di alibi, posso darne a Susan uno perfetto: ha passato la notte nel mio appartamento.» Lattrice non mosse ciglio, ma sembrò che lo volesse fare. «Povero me» disse G.M. «E in più lei corrobora il mio alibi perché sono caduto dal divano del mio salotto e ho fatto cadere un tavolino e lei mi ha sentito.» Ci fu un impercettibile lampo negli occhi di G.M. «Mia cara ragazza» disse rivolto a Susan «nessuno pensa che siate venuta qui nel cuore della notte, o almeno presto nella serata, in realtà su per giù dopo le sette, quan-
do Snell si è fatto prestare il pullmino... e si è separato da Col durante il tragitto...» «...e che gli abbiate fracassato la testa» finì Lattrice con quello che Susan definì mentalmente un "finto distacco professionale". Susan cominciò di nuovo a sentire un certo malessere. «Dov'è Dora?» domandò. «E dove sono gli altri?» «Dora e Ligon sono dabbasso. Dora sta facendo quello che può per fermare, be', non proprio per fermare la pubblicazione del fatto, non lo potrebbe, ma per ammorbidirne la forma. Ligon l'aiuta. Non so dove sia il giovane Prowde. Ha preso qualche pastiglia di aspirina, poi è scomparso. Vorrebbe non essere mai venuto qui, credo.» "Nessuno lo vorrebbe" pensò Susan, ma soffocò dentro di sé le parole. Greg domandò: «Dov'è Milly?» Comparve di nuovo un lampo distratto negli occhi di G.M. «In collasso. Lo dice lei.» Una specie di simpatia per i Clanser sembrò stranamente spuntare nel cuore di Susan, come se vi fosse caduto uno sgradito ma tenace seme. Non c'era niente di simpatico in loro. C'era, senz'altro, una latente pericolosità in Milly. Susan non riusciva a trovare nessuna ragione che giustificasse quel suo nuovo sentimento. Non c'era una ragione, disse a se stessa. «Posso andare di sopra?» domandò a Lattrice, che istantaneamente si alzò, abbozzò un inchino e disse: «Certamente. Dobbiamo prendervi le impronte digitali, ma non occorre prolungare l'interrogatorio proprio ora.» «Le mie impronte digitali? Avete detto che la polizia...» «Oh, sì, naturalmente. Condurrò qui l'esperto.» Fu una cerimonia piuttosto sgradevole. Susan fissò le brevi linee nere che aveva impresso con le dita e si pulì in qualcosa che Lattrice gentilmente le porse. Stette poi a osservare mentre prendevano le impronte di Greg. «Naturalmente» disse Lattrice faceto «questo permetterà un controllo delle vostre impronte, signorina Beach. Ce ne sono dappertutto, facilmente identificabili, e, si capisce, sulla rivoltella che ha ucciso la signora Manders.» «Oh!» Susan si sentì mancare. Greg disse: «Avanti, Susan, occupatevi di Milly.» Lei posò il gatto, che fece dapprima una certa resistenza, ma poi cedette, lasciandole una nube di peli sulla sottana. G.M. la fermò. «Aspettate un momento, Susan.» Prese dal cassetto l'astuccio contenente l'anello e glielo porse. «Mettetelo nella cassaforte, per favore. È aperta. Quando la chiude-
te, vi basterà dare al disco qualche giro. Vi ringrazio.» G.M. non aveva nemmeno guardato l'anello, che per Susan, qualunque fosse il suo significato, rappresentava una grande somma di denaro. Prese la scatoletta e salì al piano superiore, entrando subito nella camera dov'era la cassaforte. Le mancò la forza di avvicinarsi alle linee tracciate con il gesso che contornavano il punto nel quale era stato rinvenuto riverso il corpo di Rose. Vi girò lontano e fece il possibile per cacciare dalla mente il ricordo di come Rose le era apparsa, altrimenti, lo sentiva, sarebbe svenuta. La cassaforte era aperta. Vi introdusse la scatola, chiuse lo sportello con forza e girò il disco. Ebbe la snervante sensazione che, se la stanza avesse potuto esprimersi, se gli oggetti a uno a uno per un miracolo avessero acquistato la parola, la sequenza dei fatti dell'assassinio di Rose non sarebbe stata più un segreto. Uscì in fretta. Un moto di pietà la spinse a bussare alla porta di Milly. Milly rispose con un borbottìo e lei entrò. Milly aveva già ridotto quella stanza, dalla semplicità quasi monastica, a un caos. Abiti sparsi dovunque, scarpe, calze, fazzoletti di carta disseminati tutt'attorno. Milly era a letto con un asciugamano bagnato sulla fronte e una bottiglia di whisky posata accanto al letto. Dalla casa di città era parso che la bevanda preferita da Rose e Milly fosse il gin, ma forse i gusti dei Clanser non erano così ristretti: tutto andava bene, purché fosse alcol. E tuttavia, in uno strano modo erano come dei ragazzi, dei ragazzi tardivi, e certamente capricciosi e caparbi. Milly poteva essere pericolosa. Tutti, forse, potevano essere pericolosi. Susan le domandò se poteva fare qualcosa per lei. «Vi hanno detto di Snell?» «Sì.» «Povero Snell! Era il mio cugino preferito. Oh, povero Snell!» Si drizzò su un gomito e fissò con occhi vitrei Susan. «Doveva sapere chi ha ucciso Rose» affermò. Susan non trovò una risposta da darle. Milly crollò di nuovo distesa, biascicò dei lamenti, disse più e più volte: «Povero Snell!» Poi allungò la mano verso la bottiglia. Susan la lasciò così. Nella stanza che le era stata assegnata trovò Bert Prowde, anche lui prostrato, nel letto. Bert guardò in su verso di lei quando entrò, borbottò come aveva fatto Milly e richiuse gli occhi.
«Siete nella mia stanza. Dovete andarvene» disse Susan senza complimenti. Lui borbottò di nuovo e sembrò che volesse chiudere gli occhi ancor più fermamente. Anche così era molto bello: un profilo da John Barrymore, capelli che mantenevano compostamente la loro larga ondulazione, mentre una mano gli penzolava fiaccamente dal letto. Quella mano appariva sorprendentemente pesante. «Vi ho detto che dovete andarvene.» «Vi prego, non parlate.» Susan avanzò verso il letto e annusò l'aria con giustificato sospetto, essendo attorniata da quei bevitori dei Clanser. No, non c'era il minimo odore di whisky. Egli aprì gli occhi azzurri. «Voi non sapete com'è stato orribile. Là, nell'auto... aveva un aspetto terribile.» «E altrettanto voi» rispose lei brutalmente. «Andiamo, ora, alzatevi.» Lui chiuse gli occhi di nuovo. «Non riuscirò mai a scordarlo.» Susan rifletté un momento. «Dov'è Dora?» «Giù, nel seminterrato, ai telefoni. Ligon è con lei.» Ci fu una breve pausa, poi lui aprì gli occhi di nuovo. Sembrò a Susan di leggervi una tenue luce di speranza. «Ligon non vuole che mi sposi. Può darsi che la convinca.» Susan lo fissò meravigliata. «E non ve ne importa?» Egli sospirò. «Ma non c'è scampo. Dora è una donna fortissima.» Susan lo fissò di nuovo. Lui si abbandonò di nuovo sul cuscino, sconfortato, e sembrò che si sentisse male. «Oh, insomma, dovete uscire da questa stanza» proruppe lei alla fine. «Non posso» disse il futuro sposo di Dora. «Oh, non potete?» Lo prese per le spalle, notevolmente muscolose sotto la giacca, e gli diede uno strattone. Quando fu evidente che stava di nuovo cadendo all'indietro, lo afferrò per i piedi e glieli trascinò di lato fino a quando non furono posati sul pavimento. Egli la guardò con rimprovero. «Come potete trattarmi in questo modo?» «Perché sono una bisbetica, dura di cuore» e tale si sentiva Susan in quel momento. Ma se i recenti avvenimenti non riuscivano a trasformare una donna in una strega, nulla lo avrebbe potuto, disse fra sé, e gli diede una spinta. «Adesso uscite, avanti.» Egli vacillò sui piedi, mentre balbettava: «Dove devo andare?» «Andate giù nel seminterrato e state con Ligon e Dora. Andate dove vo-
lete, ma via di qui.» Gli diede un altro spintone, e lui se ne andò, trascinandosi malfermo sulle gambe alla maniera di Col, ma non altrettanto in fretta. Lei gli chiuse la porta alle spalle e mise il catenaccio. È uno stupido, pensò. È quello che dice Greg, senza spina dorsale. Perché mai, si chiese, Dora si sarà fidanzata con lui? Ma era affar suo, di Dora. Si era sbagliata, però, Dora, se aveva pensato di ferire G.M. Si tolse la giacca e l'appese. C'erano ancora attaccati dei peli di Toby. Non la finiva mai quel gatto di spargere peli, pensò irritata. Indossò un abito di lana blu, semplice e diritto, che aveva acquistato (sembrava che ormai fosse passato tanto tempo) in città, per portarlo in campagna, durante il tempo che avrebbe passato con Milly nella casa segreta. Qualcuno doveva occuparsi del pranzo. Ebbe la deprimente sensazione che quel qualcuno dovesse essere lei. Ma sbagliava. Quando arrivò in cucina, Ligon e Dora erano là. Dora le lanciò una rapida occhiata. «Oh, così siete ritornata. Era ora. Suppongo che sappiate di Snell.» «Sì.» «Ebbene, aiutatemi. Ligon preparerà la carne. Santo cielo! Non siete riusciti a pensare ad altro, voi e Greg, che a della carne tritata?» «Perché non siete andata voi stessa a fare le provviste?» «Ma come! Ma davvero!» I begli occhi di Dora si fecero sognanti, ma si fissarono su di lei. «Cominciate a darvi delle arie, vero? Non dovete credervi già padrona del campo solo perché io sto per sposare Bert e lasciare l'ufficio di G.M. Nessuno» aggiunse con piena convinzione «è in grado di prendere il mio posto.» «Dov'è il vostro Bert?» domandò Susan. «Non ne ho la più pallida idea.» Dora allungò una graticola a Ligon. «Renditi utile, Ligon.» «Sembra che non stia molto bene» riprese Susan. «Lo avete visto?» «Era nella mia stanza. L'ho aiutato a uscire.» «Mah!» Dora esitò un attimo. «È rimasto impaurito, è chiaro. È sensibilissimo.» «Sono sensibile anch'io» disse seccamente Susan. «Io sono un sensitivo» intervenne Ligon «ma ho più coraggio, lo spero
almeno, di quel mollusco che stai per sposare.» «Non lo chiamerei esattamente un mollusco.» Dora sorrise. «Posso sposarlo e posso anche non sposarlo» proseguì con disinvoltura mentre usciva dalla cucina, lasciando soli Ligon e Susan. Ligon cominciò a dare forma alla carne tritata e a metterla sulla graticola. Susan aprì delle scatole quasi a caso, prese ancora dei fagioli lessati e risolse in cuor suo di non mangiare mai più carne tritata e fagioli lessati. Ligon insistette: «Se Dora sposa quel giovanotto, non starà mai con lui, e la prima cosa che farà sarà di cadermi fra le braccia.» «Non la volete?» domandò Susan con circospezione, pensando al movente della gelosia che lei e Greg avevano preso in esame. Ligon collocò sulla graticola un hamburger. «Diavolo, no. È puro veleno. Prepotente, insopportabile. Farebbe molto meglio a sposare G.M. Se avete qualche influenza su di lei o su G.M...» «Non ne ho» rispose Susan decisamente. Non le sembrò il caso di raccontare a Ligon che G.M. aveva rifiutato di sposare Dora. «Potete tentare» insistette Ligon, tetro, mentre metteva altri hamburger accanto al primo. Quando il profumo dal fornello andò spargendosi nella cucina, Susan, affamata, pensò che era stata precipitosa nel risolvere di non mangiare mai più carne tritata. La porta si aprì ed entrò Milly. Indossava lo strano abito color porpora del giorno precedente e non si era pettinata, ma sembrava che avesse ricuperato una certa stabilità. O forse l'odore del cibo l'aveva attirata in cucina. "A una donna grassa come Milly piace mangiare" aveva detto Greg. In qualche modo, alla meglio, portarono qualcosa da mangiare sulla tavola della grande e maestosa sala da pranzo. «Possiamo anche mangiare» disse Ligon, ancora cupo. «Io non so quello che gli altri stanno facendo e non voglio saperlo. Non mi credereste se vi dicessi come mi ha tenuto sui carboni ardenti la polizia questa mattina.» «Si capisce» disse Milly. «L'hai trovato tu il caro Snell.» Ligon diventò pallido come la morte. «Devi smetterla subito di parlarne.» Con il primo boccone, la curiosità di Milly, non meno vorace del suo appetito, esplose. «Perché siete andata a New York?» domandò a Susan. «Voi e Greg? E siete rimasti là la notte anche. Perché?» «Commissioni per G.M.» spiegò Susan brevemente. «Che genere di commissioni?»
«Ve lo dirà lui, se vorrà.» Susan stava imparando a difendersi, ma nello stesso tempo sentì che il piccolo seme di simpatia per i Clanser aveva messo qualche radice dentro di lei. Versò altro caffè a Milly. Dora entrò camminando svelta ma con molta grazia, com'era sua abitudine. «Ho convinto Lattrice a ricondurre Bert alla locanda a Medbury Hills.» Si sedette. «Santo cielo, non potevate trovare altro da mangiare?» «Ringrazia Dio di avere questo» disse Milly con inaspettata ironia. Greg e G.M. comparvero sulla soglia e si diressero verso la tavola. G.M. si sedette, guardò il cibo e si servì. Anche Greg prese posto. Dora disse: «Ho fatto tutto quello che ho potuto, G.M. Come sapete, conosco la maggior parte degli inviati dei giornali e sono sempre stata in ottimi rapporti con loro. Ci sarà la notizia, naturalmente, ma cercheranno di ammorbidirla, credo. Circola l'ipotesi che deve essere stato un ladro e che Rose lo abbia visto... qualche cosa del genere.» «Un'idea che avete dato voi, ne sono certo, Dora» disse G.M. mitemente. «Ho fatto del mio meglio. Ho toccato tutte le corde che avevate al vostro arco, G.M.» «Sono sicuro anche di questo.» G.M. prese un altro hamburger e mangiò con appetito. «Sono andati via tutti quelli della polizia?» domandò Milly. G.M. annuì. «Per il momento. Hanno fatto tutto quello che potevano, per ora. Hanno portato via il pullmino di Col. Col non lo gradirà. Ma G.M. alzò le spalle - non era possibile evitarlo. Incidentalmente, non è stato Snell a condurre qui Rose, venerdì pomeriggio.» 14 Fu come se fosse scoppiata una bomba. Dora si drizzò sulla sedia come spinta dallo scatto di una molla. Anche Milly, a metà di una boccata di fagioli che aveva condito con salsa piccante, disse, sbrodolandosi il mento: «Che cosa?» G.M. era freddo come al solito. «Lattrice è stato aiutato da alcuni agenti investigativi della polizia di New York. Non hanno impiegato molto a scoprire quali erano i bar preferiti da Snell. Sembra che sia rimasto in uno di essi dalle quattro circa di venerdì pomeriggio fino a quando hanno chiuso, alle sei e mezzo. Aveva fatto completamente il pieno, come i poliziotti hanno saputo. A quanto sembra, è uscito barcollando ed è ritornato nel suo appartamento, dove ha dormito smaltendo la sbornia.»
«Così non può aver portato qui Rose» disse Milly, ancora con la bocca piena di fagioli e di salsa. «Ma... ma deve essere andato all'eliporto» osservò Susan. «Oh, sì.» G.M. prese un altro hamburger. «Snell era là, e va bene. Ma dopo molte domande è venuto fuori che nessuno sapeva chi era con lui, se si eccettua... una signora con un vestito verde.» «Rose!» gemette Milly. G.M. proseguì: «E un meccanico ha l'impressione di aver visto Snell andar via dall'eliporto. Non ne è sicuro, ma naturalmente ciò significherebbe che qualcun altro ha portato qui Rose, qualcuno che sa come si pilota un elicottero.» «Così» Dora parlò come se pensasse fra sé «così, forse Susan ha visto davvero l'assassino correre verso la radura per l'elicottero.» «Ho visto qualcuno» confermò Susan con fermezza. «Così» proseguì Dora «se quell'uomo ha portato qui Rose, potrebbe averla uccisa ed essere ripartito. In fretta.» Greg le diede un'occhiata. «In fretta, naturalmente. Susan non ha potuto vederlo tanto bene da poterlo identificare.» Gli sguardi di tutti si posarono su Susan. Anche G.M. aveva una domanda negli occhi. «Se avete veramente visto qualcuno» disse Milly «e rifiutate di identificarlo, ragazza mia, siete una conniv... conniv...» «Una connivente» l'aiutò Dora in tono gelido. «È quello che ho detto.» Milly cominciò a piangere, lasciandosi colare lacrime e salsa sull'ampio petto. «Povero Snell! Qualche malvagio lo ha fatto ubriacare, poi ha condotto Rose all'elicottero, l'ha portata qui e l'ha uccisa. Povera Rose! Ho bisogno di bere qualcosa.» «Hai già bevuto troppo» la rimproverò Dora. «Mangia, invece.» Milly singhiozzò. «Prima Rose, poi Snell. Ora ci siamo solo io, Col e Wilfred. Oh, e Ligon, ma Ligon non ha mai avuto molto l'aria di un Clanser.» «Vuoi dire che non beve come una spugna» ribatté Dora. «Gli potrebbe giovare un po' se lo facesse.» «Dora!» esclamò Ligon, punto sul vivo. «Un uomo nella mia posizione!» «Oh, taci» singhiozzò Milly. «Come se avessi fatto qualcosa di straordinario.» «Mi guadagno da vivere» replicò Ligon «e mi sono fatto una posizione
da solo. A dispetto dei parenti Clanser.» «Tu sei un pallone gonfiato e anche tu» dichiarò Milly rivolgendosi a Dora. «Voi due siete fatti l'uno per l'altra, veramente, tu, Dora, e Ligon. Ambiziosi. Proprio uguali.» «Uguali un'acca» scattò Dora. «Milly è ubriaca» fu il commento di Ligon. «Non badarle, Dora. Siamo divorziati, è vero. Ma io ho sempre avuto un grande rispetto per te e per il tuo raziocinio.» «Allora smettila di darmi dei consigli» lo rimbeccò Dora. «Se sono rimasti solo quattro Clanser, sono quattro Clanser di troppo per me.» Susan era, in un certo senso, affascinata. In un altro senso, predominante, sentiva che non sarebbe stata in grado di sopportare più a lungo quel bisticciarsi dei Clanser. Fortunatamente a quel punto comparve Col sulla porta. «Sono andati via tutti i poliziotti» disse rivolgendosi a G.M. «e mi sono liberato dei giornalisti. Qualcuno è riuscito a prendere delle fotografie del cancello e mie. Mi dispiace, ma non ho potuto farci niente.» «Non importa» commentò con senso di giustizia G.M. «Avete mangiato?» «Oh, il mio pranzo è giù al cancello» rispose Col. Poi, rivolgendosi a Susan: «Li portate fuori voi i cani, signorina, o devo pensarci io? Non li ho lasciati uscire mentre era qui la polizia.» «Vado io.» Susan si alzò rapidamente e uscì con Col nel vestibolo. I cani si unirono festosi a lei e a Col, scomparendo subito fra i pini e gli arbusti, in un'incontenibile voglia di correre. Col si trascinò con fatica accanto a lei. «Sapete» le confidò cupamente «ho la terribile sensazione che qualcuno voglia far fuori tutta la famiglia Clanser.» «Oh, non lo credo.» «Non sapete una cosa. O la sapete?» la scrutò sospettoso. «No, non ne so proprio niente. Ma non credo possibile che qualcuno voglia attuare una specie di faida che coinvolga tutta la famiglia Clanser.» Egli si trascinò avanti ancora per un po' prima di concludere: «Forse no. Lo spero fermamente. Io sono in una posizione molto esposta, là ai cancelli tutto il giorno, così lontano dalla casa.» «Per Wilfred è anche peggio. Lui è là di notte.» Col sembrò un po' più sollevato. «È vero, ma il cancello non viene quasi mai aperto di notte. A meno che non resti aperto tutta la notte perché Wilfred si dimentica di chiuderlo, come ha fatto ieri» aggiunse, ripiombando nel suo abbattimento.
Camminarono fianco a fianco fino al cancello, che adesso era chiuso. Col scomparve nella guardiola fra i pini. Susan, provando un certo sollievo nel ritrovarsi fuori dalla casa segreta e lontano da tanti opposti personaggi, pensò con invidia a Bert, che era riuscito a svignarsela. Si sovvenne delle sue spalle, così straordinariamente muscolose, e del sorriso soddisfatto e misterioso di Dora quando aveva detto che Bert non era un mollusco. Si diresse verso i boschi, aprendosi la via fra gli arbusti e i pini, lungo l'alto muro di mattoni di cinta. I cani la raggiungevano di quando in quando come per controllare che fosse presente, poi si addentravano di nuovo nel bosco, fingendosi a caccia di conigli e scoiattoli, benché di conigli e scoiattoli non dovessero mai averne visti. Susan costeggiò il muro, non perdendo di vista i mattoni rossi della casa, finché giunse al cancello che conduceva alla piazzola. Era chiuso, anche quello, a chiave. I cani arrivarono saltellando verso di lei e dietro di loro apparve Greg. «Allora siete qui» disse egli. «Non ero sicuro che non aveste seguito il Bert di Dora a Medbury Hills. Una buona cosa potersene andare. Vorrei farlo anch'io.» «Oh, Greg, sono terribili.» Lui annuì. «E però, sapete, mi pare che i Clanser comincino un po' a piacermi. Ma non è possibile, non vi pare?» Egli rise. «Credo di sì. Ma dev'essere duro.» Si ficcò le mani nelle tasche e si appoggiò con le spalle al cancello, guardando verso i lucidi mattoni rossi della casa segreta. Non era bello come Bert, ma aveva il genere di viso che piaceva a Susan e le ispirava fiducia. Egli disse, pensieroso: «L'uomo che ha condotto qui Rose con l'elicottero deve essere stato l'uomo che correva. Deve saper pilotare un elicottero. Deve aver avuto esperienza di volo. Questo fatto dovrebbe circoscrivere alquanto le ricerche della polizia. Non molto, forse. Ma un elicottero non è semplice da pilotare come sembra a molti. Non voglio dire che sia particolarmente difficile imparare, almeno non per chi ha già esperienza di pilotaggio di aeroplani. Ma non è lo stesso tanto semplice.» «Così, tutto quello che la polizia deve fare è di trovare qualcuno che sappia guidare un elicottero.» «E nemmeno questo è facile come sembrerebbe. Io continuo a pensare che l'assassino di Snell doveva aver paura di quello che Snell sapeva, qualunque cosa fosse. Sembra verosimile che non solo Snell conoscesse l'uomo che ha condotto qui Rose, ma che si preparasse... a ricattarlo, credo. In
ogni caso, non sembrerebbe questo il motivo dell'uccisione di Snell.» I cani si dedicarono alla caccia di un altro immaginario scoiattolo. Susan, dopo una pausa, disse lentamente: «Milly non ha guidato l'elicottero. Era con noi. Dora era nell'appartamento di Bert...» «Così dice lei. Così dice Bert. Susan, l'uomo che avete visto correre poteva, in realtà, essere una donna in... abiti maschili?» Lei considerò mentalmente l'idea, poi scosse il capo in segno di diniego. «Il cappello era da uomo, ne sono sicura. E il soprabito scuro pure. Ma una donna, no. Anche se, sinceramente, ho tentato con tanta forza di ricordare i particolari, tutti, ogni cosa che riguardasse quell'uomo, che sto entrando in quello stato in cui non si è più sicuri di niente. Io so solo che qualcuno correva verso questo cancello, che si è fermato per guardarsi indietro verso la casa in un modo... furtivo, non riesco a definirlo diversamente, poi ha ripreso la corsa ed è sparito prima che voi arrivaste alla finestra. Abbiamo atteso. Abbiamo udito entrambi l'elicottero. È proprio tutto quello che so.» «Poteva essere Bert?» «Bert! Non lo so. Se lo vedessi di nuovo, vestito allo stesso modo, nella stessa luce, lo stesso... oh, non so. Ma non credo che Bert avrebbe avuto tanto sangue freddo da venire qui come se nulla fosse e uccidere qualcuno.» «Io non ne sono sicuro» mormorò Greg lentamente. «Ho domandato di lui a G.M. e G.M. certamente sapeva di lui, doveva sapere. Io sbagliavo completamente sulle sue capacità. Il fatto è che Bert era un ufficiale dell'esercito.» «Bert!» «È incappato in guai, recentemente, per avere percosso un altro ufficiale che non era d'accordo con lui. Per poco non lo uccideva.» «Bert!» ripeté ancora lei. «Questo non è tutto. La ragione per la quale è incorso in quei guai è che una volta era un pugile professionista.» Lei lo guardò esterrefatta. «Sembra incredibile.» «G.M. sapeva tutto. Vedete, questo fa delle mani di Bert delle armi letali, secondo la legge. Gli è proibito per sempre colpire chicchessia. È per questo motivo che ha avuto tanti guai quando si è preso a pugni con l'altro ufficiale. È stato espulso dall'esercito.» «Ma il suo viso! Quel naso perfetto...» «Sembra che abbia avuto anche un soprannome: il bello. Si è ritirato dalla professione, a ogni modo. Forse non era niente di speciale.»
Lei pensò ancora ai sorprendenti muscoli delle sue spalle e alle sue mani possenti. «È questo, dunque, che Dora intendeva. Ha negato con Ligon che Bert fosse un mollusco. E, oh Greg, ho dovuto cacciarlo fuori dalla mia stanza.» «Che cosa faceva nella vostra stanza?» «Si era sdraiato sul letto, niente altro. Diceva di sentirsi terribilmente male. Ma io l'ho preso per le spalle per cacciarlo e ho sentito che erano come quelle di un camionista.» Greg sorrise. «Sapete tutto di quelle spalle?» «Oh, finitela! Sto tentando di spiegarvi... ma Greg, se ha fatto una cosa simile a uno dei suoi compagni o, insomma, a qualcuno, è capace di usare violenza.» Greg replicò distratto, quasi senza avvedersene: «Credo che quasi tutti lo siano se vengono sufficientemente provocati. O se hanno un movente.» «A ogni modo Dora ha una fortissima influenza su di lui.» «Altrettanto Dalila su Sansone. Ligon pare che sia sfuggito all'influenza di Dora, ma non so. Potrebbe essere gelosa di G.M. e riuscire a nasconderlo. Può sempre avere dei motivi per dare dei fastidi a G.M.» «No, non ne ha. Me lo ha detto e sono sicura che era sincero. Non vuole che Dora sposi Bert perché sposandolo gli ricadrebbe sulle braccia, dice, e lui non vuole. Puro veleno, l'ha chiamata. Vuole che sposi G.M. Sono sicura che è questo che vuole.» «Mi domando quando G.M. darà l'anello a Dora.» «Io mi domando se lei lo prenderà.» «Oh, lo prenderà. Dora conosce il valore di un cent, figurarsi poi quello di un magnifico gioiello.» «Penso che ci saranno fulmini e saette.» «Oh, certo. Una parte di inferno da scontare, quando scoprirà che G.M. è deciso a prendere per oro colato la sua dichiarazione di voler sposare Bert. Lei certo conta che G.M. si penta della sua decisione. Ligon non ha tutti i torti. Dora è puro veleno.» «Oh, non è così cattiva! Sul serio.» «È pessima. Se avesse potuto sparare a Rose, lo avrebbe fatto senza batter ciglio. Cioè, se avesse potuto farlo impunemente.» «Sappiamo che non l'ha fatto.» «C'è sempre la possibilità di un assassino prezzolato, un sicario. Non ho mai creduto molto negli assassini che si prendono a nolo, però si sa che è successo. Lo sanno tutti.»
«A quanto sembra, questo assassino prezzolato doveva sapere come indurre Rose a incontrarlo e come persuaderla a venire qui con lui, e deve essere pilota di elicotteri.» «Doveva anche sapere che c'era una rivoltella nella cassaforte. Ma questa informazione potrebbe avergliela data Dora.» «Chiunque potrebbe avergliela data» aggiunse Susan tristemente. «Ci sono due importanti considerazioni da fare. Una, che Rose non si sarebbe mai fatta accompagnare da un estraneo per venire qui in elicottero. In teoria, poteva, ma non è verosimile. L'altra è una domanda: perché è venuta qui senza parlarne a nessuno? Voglio dire, senza dirlo a G.M. o a Milly, o a qualcun altro?» «Greg» Susan parlò lentamente «noi pensiamo a Col come a una specie di sciocco bonario. Sembrava però perfettamente in se stesso quando siamo arrivati al cancello, venerdì. E la possibilità di uccidere Rose e tornare indietro l'aveva avuta.» «Sì, l'ho pensato anch'io.» «E G.M. sembra convinto che nessuno fra quelli che sono in relazione d'affari con lui cercherebbe di danneggiarlo.» Greg annuì. «G.M. sa quello che dice. Anch'io lo credo impossibile. Da un lato, si tratta di uomini che hanno un alto senso di responsabilità. Anche i membri del consiglio di amministrazione delle varie società, compresa la Manders nel suo complesso, possono essere compiacenti e servili in qualche caso, ma non... non ne so quanto Dora sull'intera rete di quei rapporti, ma non penserei nemmeno per un istante che G.M. non abbia analizzato e smussato ogni possibile fonte di inimicizia. Può aver offeso qualcuno senza accorgersene, si capisce, ma è più probabile che lo avrebbe percepito e sarebbe stato all'erta, se mai, per fronteggiare qualsiasi... chiamiamola rappresaglia, contro di lui. Difficile contro Rose.» Si voltò bruscamente e provò la serratura del cancello. Era solida, incassata in un tassello di legno di sequoia. «Ci sono troppe chiavi. Troppe dannate chiavi. Quasi tutti possono averne presa una. Oh, hello, G.M.» G.M., girato l'angolo della casa, stava dirigendosi con calma verso di loro. «Vi interrompo?» domandò sorridendo. «Sì» rispose Greg. «No» disse Susan. «Sembra che ci sia una disparità di opinioni qui. Non litigate, vi prego. Ne ho già avuto abbastanza delle liti dei Clanser in questi ultimi giorni. Non credo di poterlo sopportare oltre.»
I cani lo udirono e arrivarono di corsa, con le orecchie spinte indietro. Egli si chinò ad accarezzarli con dei leggeri colpetti. «La bomba scoppierà stasera. Tutti i mezzi di informazione. Dora è molto brava nelle pubbliche relazioni e nel manovrare tutte le leve possibili, ma...» Si raddrizzò e guardò triste e pensieroso la casa segreta. «Questa casa mi piaceva sempre di più. Mi sentivo libero, qui. Ora diventerà Dio sa cosa. Una casa segreta, simbolo di pirateria e di dissolutezza. Riunioni segrete con finanzieri che manipolano combinazioni di denaro per vie tenute oscure al pubblico, orge segrete fra me e il mio harem. Tutto segreto. Oh, staranno attenti a non incappare nella legge e a non fare loro il processo prima del tribunale e dei giudici. Non che la polizia abbia ancora in vista qualcuno da arrestare o da accusare, da gettar loro in pasto. Ma stasera scoppierà la bomba. Credo che mi ubriacherò insieme a Milly.» «Sotto» disse Greg. «Io mi unirò a voi.» «E anch'io» aggiunse Susan con un'energia che sorprese i due uomini. Greg si riprese per primo. «Non credo che reggereste al confronto con Milly. Dovrei poi portarvi di sopra a forza di braccia, stanotte.» Quello che accadde, tuttavia, fu che solamente i soliti tre Clanser bevvero molto quella sera. Ligon era là e si limitò alla sua abituale modesta porzione. Dora era sempre moderata, ma Wilfred e Col fecero il possibile per lasciare il loro posto ai cancelli e unirsi a Milly e agli altri. Bert Prowde, a quanto risultò, soffriva ancora di quello che Dora chiamò un mal di testa nervoso e non si fece vedere. La bomba scoppiò, ma fu uno scoppio estremamente controllato. G.M. era un uomo importante e a quanto pareva era stato fatto uno sforzo particolare per non offendere o far balenare dei sospetti di colpevolezza su nessuno. Guardarono la televisione in biblioteca. C'era un bel televisore, non ingombrante, in un angolo. Susan non lo aveva notato prima. La cronaca iniziò con la notizia della morte di Rose (seguita da quella dell'assassinio di Snell) con commenti molto diplomatici ma realistici, quindi tali da destare curiosità. La carriera di G.M. era descritta sommariamente come quella del "ragazzo prodigio di Wall Street", dell'uomo che aveva ammassato una fortuna quando non aveva ancora trent'anni, che era diventato (e questo era detto con molta cautela) un consigliere e un eminente esperto nel campo dell'alta finanza. Si era pensato dapprima che sua moglie fosse rimasta uccisa incidentalmente; più tardi però, era stato provato che si era trattato di
un delitto, probabilmente commesso da un ladro sorpreso nell'atto di forzare la cassaforte. Infine era stato anche ucciso nel modo più brutale il pilota dell'elicottero del grand'uomo, sulla strada che da Medbury Hills conduce a quella che già era chiamata la casa segreta. Fu fatto quasi un romanzo della casa segreta e delle sue guardie armate in vedetta, di giorno e di notte. Fu rappresentata quasi come un luogo di incontri riservati fra giganti dell'industria. Il signor Manders, dissero, vi aveva fatto installare delle linee rosse, in modo da poter raggiungere un gran numero di personalità in ogni momento senza il pericolo di intercettazioni. Vi avevano posto l'accento, ma senza esagerazione. Ci fu un elenco, breve questa volta perché l'annunciatore stava andando fuori tempo per questa particolare notizia, delle persone presenti al momento del rinvenimento della signora Manders: la signorina Beach, una segretaria; la signorina Ludmilla Clanser, una sorella della signora Manders; il signor Greg Cameron, un addetto dell'ufficio di New York del signor Manders. Nulla fu riferito dell'uomo che correva, nulla dell'isolamento acustico della casa. Ma era stato detto abbastanza per sollecitare la curiosità e l'interesse del pubblico e cercare la verità dietro quelle caute dichiarazioni. C'erano anche delle vedute della casa e della tenuta non molto belle perché erano state prese attraverso i cancelli. Consistevano principalmente in boschetti di pini e di arbusti, attraverso i quali si scorgeva solo la sommità del tetto e la faccia imbambolata di Col che scrutava dietro i cancelli. C'erano delle riprese più chiare dell'appartamento della Quinta Avenue, definito "lussuoso", come del resto doveva essere stato una volta. La polizia di New York collaborava con la polizia di Medbury Hills e con quella di Stato. Adesso sarebbero seguite le notizie sportive e quelle sul tempo. Dora spense il televisore. Il silenzio fu rotto solo dal solito gorgoglio di Milly. Dopo qualche attimo G.M. osservò: «Non tanto male, rispetto a quanto mi aspettavo.» Ci fu un altro silenzio, piuttosto dubbioso, poi Wilfred, inghiottendo anche lui da un bicchiere, disse: «Questo significa, credo, che venderete questa casa, e Col e io rimarremo senza impiego.» G.M. li fissò. «Avrete abbastanza denaro dal patrimonio di Rose.» «Venderete la casa, G.M.?» domandò Col apertamente. «Troppo presto per decidere. Fra l'altro non sarà una casa facile da ven-
dere dopo... tutto questo.» Milly trotterellò indietro verso la sua sedia dopo essere andata a riempirsi di nuovo il bicchiere. «Col e Wilfred daranno fine alla loro eredità in un anno. E quando sarete rimasti senza un soldo» riuscì a dare a Col e a Wilfred un'occhiata minacciosa malgrado stentasse a muovere gli occhi vitrei «non perderete tempo a venire da me a chiedere aiuto. Non lo dico per dire.» Ligon si appoggiò allo schienale della sedia, congiungendo la punta delle dita ben curate. «Non fate nulla in fretta. Date tempo al tempo. È quello che io consiglio, G.M. Questa è una bella casa, molto comoda. E Dora la conduce magnificamente, neanche a dirlo.» Col e Wilfred farfugliarono qualcosa, indignati, mandando spruzzi di saliva. Fu la voce di Col a prevalere. «Ma chi fa il lavoro? Voi fate presto. Siamo Wilfred e io, oltre a Dora. Siamo in tre.» «Parlando di lavoro» intervenne Dora rivolgendosi a Col «come mai siete qui? È il turno di Wilfred al cancello. Pensandoci, perché non siete al cancello, Wilfred?» Si udì Col borbottare a mezza voce che erano andati lì pensando che alla televisione avrebbero parlato del fatto. La trasmissione era confusa e altrettanto confuso era Col. Wilfred gettò appena un'occhiata a Dora e disse che era là perché voleva sentire quello che avrebbero detto alla televisione e che il cancello era chiuso a chiave, perciò lei non aveva nessuna ragione di lagnarsi. Ligon si guardò attentamente le mani congiunte e disse che naturalmente i parenti di Rose erano davvero sensibili nei riguardi di G.M. e, anche, che era sicuro che Dora avrebbe fatto del suo meglio per aiutarlo in ogni momento. Un'altra frecciata per Dora, pensò Susan, pungente come una vespa. G.M. si alzò. Lo spettacolo era finito. Ci fu un'insolita asprezza nella sua voce, quando disse: «Dora, volete chiamare un tassì per Ligon? Voi, Wilfred, assicuratevi che il cancello sia chiuso come al solito, dopo che sarà partito.» Dora afferrò il telefono. Il suo sguardo cadde sul tavolo dove erano posate le bottiglie, il ghiaccio e i bicchieri. «Greg, chiudete a chiave tutti i liquori, per favore» disse e cominciò a formare il numero. Wilfred non afferrò una sedia per calarla sulla testa a Dora, ma ebbe l'aria di volerlo fare. Sul tavolo erano rimaste due o tre bottiglie piene a metà. Milly balzò in piedi e ne afferrò una per il collo. Dora borbottò qualcosa
nel telefono. Greg fece il tentativo di strappare la bottiglia a Milly, ma lei gli si rivoltò contro agitandola minacciosamente. «Il mio tranquillante!» esclamò. «Devo avere il mio sonnifero.» «Lasciategliela» disse G.M. «È forse meglio che restiate qui, Wilfred, quanto basta per aiutarla ad andare a letto.» Augurò un formale "buonanotte" a tutti nella stanza, evitò Toby che aveva scelto quel momento per entrare e si avviò verso le scale. «Odia tutto questo anche se non lo dimostra» osservò Milly astutamente. «Vuole che sia rispettata la sua intimità.» Ligon si alzò. «Non lo biasimo. Sono così anch'io.» «E allora perché stai a gironzolare qui attorno?» ribatté Milly. Ligon non si credette in dovere di rispondere. «Buonanotte. Aspetterò il tassì giù al cancello» disse, e uscì senza più voltarsi. Col e Wilfred si diressero verso Milly, o meglio verso la bottiglia che lei stringeva. Sentendo nell'aria una battaglia fra i Clanser, Susan scappò su per le scale ed entrò nella sua cameretta. Fu contenta, ma non sorpresa, di sentirsi trotterellare i cani alle calcagna e di vederli poi andare ad assestarsi sul letto. Belle aveva un aspetto soddisfatto e compiaciuto di se stessa, Beau cadeva dal sonno. Susan mise il catenaccio. Non voleva pensare a Snell, né a Rose, né alle trasmissioni televisive che si sarebbero fatte via via più drammatiche col proseguire delle indagini. Non voleva nemmeno pensare a G.M., la cui intimità, quel valore inestimabile per tutti, stava per essere violata tanto crudelmente, e la cui dignità e costume di vita sarebbero stati spietatamente attaccati. Si domandò quando G.M. avrebbe dato l'anello di zaffiri a Dora e che cosa Dora avrebbe detto. Ma probabilmente Greg aveva ragione: avrebbe preso l'anello. È "puro veleno" aveva detto Ligon. Ma Ligon non voleva che sposasse Bert, voleva che sposasse G.M. Poteva essere ragionevolmente spiegato: se Dora sposava G.M., Ligon, sia pure per via traversa, avrebbe avuto un qualche legame con G.M. Guardò il catenaccio per assicurarsi che fosse a posto e quella notte ebbe per la prima volta il coraggio di spegnere la lampada accanto al letto. Aprì la finestra e vi si trattenne per qualche momento. Guardò verso il cancello che conduceva alla pista e una volta ancora cercò di richiamarsi alla mente i minimi particolari sull'uomo che correva, senza però riuscire a ricordarne uno solo. Era tuttavia possibile che, se lo avesse rivisto nella stessa luce e nella stessa posa, lo avrebbe riconosciuto. La notte era scura, nuvolosa e senza stelle. Il muro di mattoni, il cancel-
lo, i boschetti di pini erano come cancellati dal buio che avviluppava tutto. Un impercettibile soffio di vento, simile a un sussurro, filtrava nella sua stanza e sembrava che volesse frugarla. No, non doveva pensare a nulla, assolutamente a nulla. Certo non a Snell, nella sua giacca di cuoio. Non a Rose, no, non a Rose. Scivolò sotto le coperte. Come se avesse aspettato quel momento, Belle andò a rannicchiarsi accanto al suo braccio e prese a russare leggermente. Susan si sentì confortata dalla presenza dei cani e dal loro calore. La casa era immobile come la notte. Ma nel sogno le sembrò che il tempo diventasse improvvisamente burrascoso. Si svegliò, pensando pigramente di essere stata svegliata da un tuono lontano. Non era il tuono. Era Belle che ringhiava piano, vicino a lei. Beau si svegliò e prese lui pure a ringhiare. Susan balzò a sedere di scatto, cercò a tastoni la lampada e l'accese. Sbatté le palpebre, cercando di schiarirsi la vista. Entrambi i cani balzarono giù dal letto e corsero guaiolando verso la porta. Susan gridò con voce acuta: «Chi è?» Non vi fu risposta. Disse fra sé che doveva essere stato Greg. Oppure G.M. O, le venne in mente, l'uomo che correva, che aveva chiuso il cancello dietro di sé e che perciò poteva essere in possesso della chiave. 15 I cani non avrebbero ringhiato e non si sarebbero messi in atteggiamento minaccioso contro la porta, se di là ci fossero stati Greg o G.M. Non avrebbero ringhiato contro Milly o Dora. Wilfred sarebbe potuto entrare in casa, ma il suo compito era di rimanere al cancello. Era Wilfred l'uomo che aveva visto correre? Non c'era alcun suono nella casa. Lei poteva udire il mormorio della lieve brezza nell'oscurità della notte, fuori, ma nella casa neppure il rumore di un passo echeggiava in nessun punto, o almeno, se c'era il rumore di un passo, non riusciva a udirlo. Non si sentiva la forza di togliere il catenaccio e aprire la porta. Non aveva il coraggio di andare a esplorare la casa, nemmeno per cercare Greg o G.M. e avvisarli... Avvisarli di che? Dire che i cani avevano ringhiato. Ma per cosa? Per qualcuno? Si sdraiò dopo molto tempo. I cani rimasero accanto alla porta, senza ringhiare ma immobili, gli occhi vivaci all'erta, le orecchie dritte. Dopo
qualche tempo si sedettero, ma rimasero, chiaramente, in guardia. "Sono dei cani così buoni" pensò lei in un impeto di gratitudine. Dora non voleva che G.M. li tenesse. Se G.M. avesse deciso di liberarsene, li avrebbe presi lei e avrebbe preso anche il gatto, anche se le sarebbe toccato cercare un appartamento diverso da quello che aveva. Ma era un guardare troppo avanti. Non riuscì a riprendere sonno. Dopo qualche tempo si alzò e andò verso una pila di libri, probabilmente lasciati là da altri che avevano occupato brevemente la stanza prima di lei. Ciascuno di quei libri aveva qualcosa da dire sul denaro e i suoi usi. Ne sfogliò uno, se lo portò a letto, ma a dispetto della certezza che aveva di non poter più riaddormentarsi, gli occhi le si chiusero sopra un capitolo, probabilmente emozionante, sulla saggezza o follia dello spendere in deficit. Non aveva ancora ben capito come la pensasse l'autore quando fu sopraffatta dalla stanchezza e dal sonno. La mattina era tanto gaia e luminosa quanto la notte trascorsa era stata buia e coperta. Arrivò Greg, bussò e disse che voleva portare fuori i cani. Le due bestiole lo seguirono felici. Non avevano certamente ringhiato contro di lui la notte. Ora, nella chiara luce del giorno, il comportamento che avevano tenuto durante la notte le sembrava una specie di sogno confuso. Milly era in cucina. Con una mano cucinava e con l'altra stringeva un flacone di aspirina. Mentre prendeva il caffè, che Milly faceva molto buono a dire il vero, Susan si domandò se doveva parlare a Greg o a G.M., o a entrambi, di quanto le era accaduto la notte. Ma Greg, se parlava con lui, sarebbe stato capacissimo di trascinarla via di nuovo, in città. G.M. sarebbe stato più ragionevole. C'erano solo lei, G.M., Dora, Milly e Greg nella casa. Come poteva qualcun altro essere entrato, aver strisciato fino alla porta della sua camera da letto ed esservi rimasto fino a quando i cani, e lei stessa, lo avevano allarmato e fatto sgusciar via di nuovo? Usando una delle numerose chiavi che erano alla portata di tutti quelli che in ogni tempo erano entrati nella casa... passando dal cancello all'insaputa di Wilfred, cosa possibile se Wilfred aveva dimenticato di chiuderlo? In effetti, se a qualcuno fosse venuta l'idea di aprirsi la strada attraverso i boschi e di entrare dal cancello del muro di cinta, introdursi nella casa sarebbe stato facile e altrettanto facile arrivare alla porta della sua stanza. Se qualcuno lo aveva fatto, a che scopo? Greg e anche G.M. avevano fornito una spiegazione troppo ragionevole:
lei poteva identificare l'uomo che correva. Il caffè le diede coraggio, così decise di non parlare a Greg di quello che infine era per metà immaginazione, ma poi, appena le si presentò il momento adatto, gli disse tutto. L'occasione le si offrì solo nel tardo pomeriggio, dopo una giornata intensa. Da New York era giunto un impiegato dell'ufficio di G.M. con una cartella piena di corrispondenza e di rapporti. Nell'andarsene, aveva guardato con curiosità le persone e il luogo. Dopo quella visita, Dora, Greg e G.M. si erano ritirati in quello che era diventato un ufficio di fortuna per G.M. e vi erano rimasti fino a un tardivo desinare, preparato da Milly, con l'aiuto di Susan. Ligon e l'ex pugile si presentarono dopo il pranzo. L'ex pugile aveva ancora l'aria di desiderare di essere altrove. Susan gli guardò le mani, ricordando con una specie di brivido che per legge erano armi letali. L'aspetto però era soltanto di due mani piuttosto grandi e pulite, e lui era bello come sempre, non aveva orecchie a cavolfiore e neppure il naso rotto. Milly li informò che Greg e Dora erano occupati. Ligon andò a fare un giro. Bert si accomodò nella biblioteca, prese un libro, ma parve che lo leggesse senza interesse. La polizia non ritornò. Tornarono i giornalisti, facendo un gran fracasso contro Col, al cancello. Col lo riferì a G.M. e G.M. li fece entrare tutti. I cronisti affollarono la biblioteca. Si mostrarono, essi pure, curiosi, mentre esaminavano l'interno della casa, e non solo curiosi, pensò Susan, per professione ma anche a titolo personale. Era evidentemente la prima volta che dei giornalisti erano ammessi a visitare la casa. Furono condotti nella biblioteca da Dora. Lei e Greg si misero a fianco di G.M. dietro lo scrittoio, ancora una volta con l'aria di due efficienti aiutanti di campo, mentre G.M. parlava con i cronisti. Si mostrò molto affabile, sembrò sincero e non disse quasi niente. No, non sapeva proprio che sua moglie intendesse recarsi alla loro casa di campagna. Non sapeva nemmeno chi l'avesse accompagnata. Sì, aveva mandato una delle sue segretarie - accennò a Susan - e un'altra persona del suo ufficio - accennò a Greg - e la sorella di sua moglie a precederlo nella casa di campagna. Un giornalista più sveglio degli altri gli domandò perché. Semplicemente, egli rispose, perché aspettava degli amici del mondo della finanza per un pranzo e per parlare degli affari economici del giorno. Qualcuno poteva desiderare di passare lì la notte: la sorella di sua moglie, la sua segretaria e il signor Cameron erano lì per far sì che tutto fosse in ordine.
Piovve un torrente di domande. Quali argomenti dovevano essere trattati nel convegno? Che cosa venivano a discutere? Chi ci sarebbe stato? G.M. tagliò corto. Alzò le spalle, disse con noncuranza che c'erano sempre cose che andavano discusse, che non poteva entrare in particolari e continuò pacatamente. Lui e la signora Clanser - fu il momento di Dora di ricevere un cenno - erano giunti alla casa dopo aver avuto notizia di quello che in principio avevano creduto una disgrazia. Sì, la polizia di New York collaborava con quella di Medbury Hills e con la polizia di Stato. No, non sapeva perché Snell Clanser era stato ucciso. No, non sapeva quando l'inchiesta avrebbe avuto luogo. La polizia poteva dirglielo. Credeva che tutti gli elementi riguardanti il fatto fossero raccolti in un fascicolo preparato per la futura inchiesta. Questa era una novità per Susan che non aveva ancora osato pensare a un'inchiesta. Notò anche che G.M. parlava della casa come della "loro" abitazione di campagna. Nessuno dei giornalisti la chiamò casa segreta, e tutti, ne fu certa, avrebbero usato la definizione di G.M. nei loro articoli. Una casa segreta, come aveva detto G.M., faceva pensare a ogni genere di affari nascosti e suscitava maggior curiosità di una semplice casa di campagna. Quando fu accennato al fatto che c'erano delle guardie armate di continuo nel luogo, G.M. scosse ancora una volta le spalle e disse che la casa era isolata e che entrambi i guardiani erano parenti di sua moglie. Quando un ostinato giornalista gli domandò delle varie società che controllava sia direttamente sia attraverso la maggioranza del pacchetto azionario, G.M. assunse un'aria più formale e sbrigativa. Era tutto quanto oggetto di registrazioni, disse. Se il giornalista lo voleva, poteva rilevarlo da sé. Ora G.M. fu cortese ma risoluto - ora dovevano comprendere che non poteva dire più di quello che aveva già detto. Gli dispiaceva, ma aveva molte cose da affrontare, lo avrebbero certamente compreso. E con ciò si alzò in piedi, li salutò affabilmente con un cenno e uscì dalla stanza. Il suo aspetto era così dignitoso, che nessuno tentò di fermarlo. Dora con efficienza e Greg con risolutezza accompagnarono i giornalisti fuori dalla casa, fino al cancello. Susan raccolse le lampade bruciate e scartate dai fotografi durante i continui lampi al magnesio, poi tornò fuori con i cani. Entrambi erano stati chiusi prudentemente in cucina da qualcuno, forse da Dora. Non avrebbe portato nessun giovamento al resoconto dei giornalisti il fatto che Beau avesse dato un morso ai garretti di qualcuno di loro, o che Belle li avesse attaccati, se le fosse passato per la graziosa testolina.
Così Susan si trovava di nuovo fuori come il precedente pomeriggio, quando Greg andò a cercarla. Arrivò asciugandosi la fronte. «Bisogna proprio lasciar fare a G.M. Nessuno avrebbe potuto destreggiarsi meglio in quell'intervista. Non so come faccia. Dov'è Ligon? E Bert?» «Non lo so, Greg. Credo che ci fosse qualcuno fuori dalla porta della mia camera da letto, ieri notte.» Lui la fissò. «Che cosa?» «I due cani ringhiavano. Continuavano a latrare.» «Perché non avete gridato?» «Non... non lo so.» «Chi era?» «Non lo so.» «Non sapete proprio niente?» la guardò irritato, esasperato, ma anche allarmato. «Sono stata in ascolto, ma non sono riuscita a udire nessuno andarsene.» Avevano quasi raggiunto il cancello verso la pista. Greg camminava accigliato, con le mani sprofondate nelle tasche. «Va bene» disse alla fine. «Questo sistema tutto. Voi andate in città e ci rimanete. Nascosta. Lo vogliate o no.» «Sapevo che lo avreste detto. Ma io non voglio.» «Susan, è così sciocco che vi esponiate a dei pericoli.» «Chi poteva esserci alla porta?» «Chiunque.» «No, è sbagliato. Se Wilfred aveva chiuso i cancelli...» «Supponete che non li avesse chiusi. Non erano chiusi la notte in cui Snell è stato ucciso.» «Nemmeno un Clanser riuscirebbe a ubriacarsi ogni notte.» «Perché no?» disse Greg. «Le scorte finiscono, ogni tanto.» «Possono avere un talento nascosto per fiutare e cavar fuori dei liquori. Questo... chiunque fosse, o era già nella casa o ha una chiave per aprire la porta. L'ho chiusa a chiave io stesso.» «Avete detto voi che ci sono troppe chiavi. Quasi tutti possono essersi impossessati di una chiave.» «Siete decisa a far entrare qualche estraneo in questa storia, non è così? Qualcuno che avesse accesso alle chiavi e potesse indurre Rose a venire qui, no? Qualcuno che potesse condurla qui in elicottero, farle salire le scale fino alla stanza della cassaforte, potesse prendere la rivoltella dalla cas-
saforte, ucciderla e scappare?» «Oh, Greg, io non so che cosa penso.» «Bene, io so quello che farete. Vado a chiedere a G.M. la macchina grossa e vi porto in città.» «Non voglio andarci.» Lui la prese per le spalle e, senza molte cerimonie, le fece fare mezzo giro finché furono faccia a faccia. «Susan, ditemi la verità. È G.M.? Siete così... non dico innamorata di lui, ma vi piace fino a questo punto?» «Non c'entra per nulla. Ne abbiamo già parlato.» «Non sopporto una donna testarda.» «Non ne avete alcun bisogno... Ecco qui Ligon e Bert.» C'erano Ligon e Bert provenienti dal cancello della piazzola dell'elicottero. «Uno di loro ha la chiave» disse Greg. Ligon si voltò a guardarli. Bert, ex pugile dal bel viso e dalle mani che potevano essere armi letali, guardò pure verso di loro con i grandi occhi blu vacui e attraenti. Susan non avrebbe voluto incontrarsi con lui, faccia a faccia, in una notte buia, magari al Central Park, se le fosse stato nemico. Sembrava, tuttavia, abbastanza mite e sottomesso da poter essere preso per il naso, quel suo bel naso, da Dora. Una donna formidabile, aveva detto Bert. Veleno puro, aveva detto Ligon. Greg aveva parlato di Dalila. Né Dora né alcun'altra donna poteva essere pericolosa a quel modo, pensò Susan, ma poi dubitò di questa sua conclusione. Dora era pericolosa. Quando i suoi occhi castani si annebbiavano e si facevano sognanti, Susan sentiva l'impulso di correre in cerca di un riparo. Fino a quel momento, però, si era controllata. Ligon si cavò la chiave dalla tasca della giacca di tweed. Greg osservò: «Vedo che avete la chiave del cancello.» «Sì, perché? Cioè, l'ho in questo momento. La metterò giù.» «Giù, dove?» Ligon corrugò la fronte. «Nel suo gancio nella credenza a vetri della cucina. Ce ne sono parecchie là. Duplicati.» «Come lo sapete?» «Me lo ha detto Milly. Sembra che le abbia provate su... non importa.» «Sull'armadietto dei liquori» finì Greg. «E va bene, chiunque avrebbe potuto prendere queste chiavi.» «Credo di sì, io... oh, capisco. State pensando all'uomo che questa signorina ha visto, o crede di aver visto.»
«Penso all'assassino di Rose. Deve aver avuto una chiave, dal momento che ha chiuso il cancello dietro di sé.» «Era chiuso, allora, quando G.M. e Dora sono arrivati venerdì pomeriggio?» «Sì» rispose Greg, asciutto. Bert sembrava sorpreso, ma parlò. «Sembra strano che si siano dati tanta pena per far sorvegliare il cancello principale, e poi abbiano lasciato un mazzo di chiavi di questo secondo cancello dove chiunque poteva trovarle.» «Doveva sapere dov'erano» disse Greg lentamente. «O avere il tempo di cercarle, o qualcuno doveva avergli detto dove poteva trovarle. O Rose gli ha dato la sua chiave. O, più semplicemente, l'assassino gliel'ha presa dopo il delitto. Non l'hanno trovata nella sua borsa, ha detto Lattrice. Sembrano le ipotesi più attendibili dato che il cancello era stato chiuso.» «Credo che abbiate ragione, ma ciò non prova nulla» commentò Ligon. «Sono andati via i giornalisti?» «Tutti andati» rispose Greg. «Così non avete più bisogno di stare in pensiero per i giornali.» «Non ho paura della pubblicità. Il mio è un buon nome.» «Non è buono il nome di nessuno a questo punto» ribatté Greg. Ligon prese la cosa con calma. «Tutti i miei affari sono alla luce del sole e sono tali da poter sostenere qualsiasi controllo. Tutti possono dirlo.» «Ha ragione, anche» intervenne di nuovo, inaspettatamente, Bert. «Stamattina presto Lattrice ci ha interrogati a Medbury Hills. Avevano l'intero... come lo chiamate... dossier.» «Incartamento» Ligon alzò un sopracciglio. «Va bene, incartamento. Su di lui. E anche su di me» soggiunse mestamente. Ligon lo guardò. «Io non avrei proprio mai creduto che foste stato un pugile di professione.» «Non lo sono stato per molto tempo. Nei pesi medi leggeri» spiegò a Greg spingendo in fuori le mani affondate nelle tasche. "Armi letali" pensò Susan di nuovo. Ma Rose non era stata percossa o strangolata. Tuttavia, pensò, era stata una mano a impugnare quella pistola, puntarla e uccidere. Rose non si era opposta, non aveva compreso il pericolo che correva... o più probabilmente non aveva visto l'assassino togliere l'arma dalla cassaforte. «Così la polizia vi ha lasciati liberi e puliti?» domandò Greg.
«Credo di sì» replicò Ligon. «Non credo, esattamente, che siamo liberi» disse Bert. «Ci hanno detto che ci saranno grati se rimarremo a Medbury Hills. Non hanno detto per quanto tempo.» «Fino a quando non abbiano trovato chi ha ucciso Rose... e Snell, penso» precisò Ligon. «Io non voglio il denaro che Rose mi ha lasciato. Non ne ho bisogno e Rose lo sapeva. Che movente potreste aver avuto voi, signor Prowde, non riesco a immaginarlo. Io non partirei, in ogni modo, fin dopo i funerali di Rose. Credo che G.M. tenga alla mia presenza. I funerali sono stati fissati per giovedì... non è vero, signor Cameron?» Greg annuì. «In città. Non ve l'hanno detto G.M. o Dora?» «Milly, mi pare. Ma Milly è spesso molto inesatta. Giacché la polizia se n'è andata, vado a fare una passeggiata fino al cancello. Stare a ciondolare attorno, in questa casa, non... non mi diverte» dichiarò Ligon. «E chi ci sta bene?» osservò Bert amaramente. «Vengo con voi.» «Come volete.» Ligon fece un compito cenno di saluto a Susan e si avviò. Bert si accompagnò a lui. Il suo passo elastico e leggero rivelava la sua prima professione. «Benissimo» disse Greg. «Vado a prendere la macchina grossa di G.M. Potrete stare con mia zia, se questo vi mette più a vostro agio. Non è il caso di essere caparbi, Susan.» «Ma G.M...» «Dimenticatevene una volta tanto, vi è possibile?» disse Greg irritato. La prese per un braccio, stringendoglielo forte. «Andate a prendere dalla vostra stanza tutto quello che credete. Ma no, meglio di no. Meglio non far vedere a nessuno che andate via.» «Greg, vi ho detto...» «Ascoltate un altro motivo. Anche se non mi preoccupassi di un vostro possibile rischio... non fate quella faccia, dico sul serio... c'è un'altra ragione perché partiate. Se qualcuno vi segue, se qualcuno si allontana di qui per cercarvi, sapremo chi è. Partendo, è possibile che escludiate l'intera tribù dei Clanser. Non è sensato?» Era un'argomentazione di sua zia e aveva una certa validità. Escludere i Clanser come possibili colpevoli avrebbe non solo recato sollievo ai Clanser, cosa di cui a Susan non importava gran che, ma avrebbe recato sollievo a G.M., e di questo le importava molto. Greg, in ogni caso, non le diede il tempo di riflettere. La trascinò attorno alla casa, verso il garage, e là si fermò. C'era una macchina della polizia nel viale.
«Va bene» disse Greg. «Partiamo senza dirlo a G.M. Non gli importerà che prenda la macchina grossa. Gli spiegherò tutto dopo. Non voglio dire a nessuno, in ogni caso, dove vi fermerete. Andiamo.» Lei lo seguì. Pensò vagamente che era un bene che avesse indossato il suo abito a giacca di lana marrone. Greg aveva le chiavi della macchina. L'aveva guidata, silenziosamente fuori del garage, aveva oltrepassato l'automobile della polizia e aveva raggiunto velocemente il cancello, prima che lei avesse il tempo di ricordarsi dei cani. «Ma Greg, i cani!» gridò. Greg guardò giù verso di lei con un sorriso che sembrava involontario: «Va bene, se ne occuperà Col. Lo ha già fatto prima.» I cancelli erano aperti, ma Col si avvicinò con un'andatura strascicata e li guardò fissamente. «Andate in qualche posto?» «Un'altra commissione di G.M.» mentì Greg. «C'è qui la polizia. Cioè Lattrice e, credo, un agente della polizia di Stato. Sembra che abbiano ispezionato il bosco vicino al punto in cui Snell è stato trovato morto, e alla fine hanno trovato un... un masso.» Sembrava che Col stesse per venir meno. «Devono averlo mandato al laboratorio della polizia, ma sono sicuro che è il masso che ha fracassato la testa a Snell. C'erano sopra dei segni.» «E va bene» disse Greg in fretta. «Abbiamo afferrato l'idea. Col, volete dare un'occhiata ai cani se stiamo via fino a tardi stanotte?» «Oh, certo» promise Col. Greg sfrecciò via, attraverso i cancelli, lasciando Col a fissarli con la consueta curiosità dei Clanser dipinta sul viso. «Non credo che questa sia la giusta cosa da fare» disse Susan dopo i primi chilometri. «Io sì» ribatté Greg. Più avanti le domandò l'indirizzo del suo appartamento. «Potete prendere là quello che vi occorre. Io telefonerò alla zia Lalie.» Si era fatto quasi buio nel tempo che avevano impiegato a raggiungere i primi bagliori delle luci di New York. L'appartamento di lei era in una casa di mattoni restaurata. Era piccolo, ma Susan pensava che a suo modo fosse grazioso. I piani erano solo due, senza ascensore. Susan non si era portata dietro le chiavi, ma aveva l'abitudine di lasciare una chiave di scorta sotto lo zerbino. Frugò un poco, conscia del risolino divertito di Greg. «Non volete correre il rischio di rimanere chiusa fuori» disse lui quando furono entrati, guardandosi in giro nella stanza di soggiorno, arredata con pochi mobili di buona fattura, tende bianche come la neve, scaffali per i libri.
«Il telefono è nella camera da letto» disse lei. Egli si affrettò verso l'apparecchio. «Fate presto, per favore. Vorrei tornare in fretta per evitare che a qualcuno venga la voglia di sapere dove sono stato. Cioè, capiranno, naturalmente, che vi ho portato in qualche posto, ma non dovranno saperne troppo.» Compose il numero, mentre lei gettava qualche indumento in una valigetta. «Andiamo» disse lui dopo che ebbe riappeso il ricevitore del telefono. «La zia Lalie vi vuole. Prendo io la valigia. Non vi ho lasciato il tempo di prendere la vostra borsetta quando siamo partiti: avete del denaro?» Lei aveva preso un'altra borsetta, l'aprì, ma era tristemente vuota. «Ecco.» Greg si mise una mano in tasca, ne estrasse il portafogli e mise qualche banconota nella borsetta di lei. Quel gesto diede a Susan una strana e insolita sensazione: solo suo padre l'aveva fornita del denaro che le occorreva, ma nessun altro, mai. Il modo noncurante di Greg nel metterle quel denaro nella borsetta sembrava che stabilisse un legame fra loro. Si sentì... e perché no... si sentì protetta. Egli chiuse a chiave la porta e infilò la chiave nella borsetta di lei, non sotto lo zerbino. «Che cosa direte a tutta quella gente?» «Per spiegare la vostra assenza? Dirò che vi ho portata a New York perché G.M. aveva del lavoro da sbrigare in ufficio e voleva che fosse fatto da voi. È facile. G.M. mi appoggerà.» «A lui direte la verità?» «Oh, sì, Susan, G.M. non ha ucciso Rose. Può averlo desiderato, ma non lo avrebbe fatto in quel modo, anche se avesse deciso di saltare il fosso e di uccidere, cosa che sono sicuro che non ha fatto. Toglietevi questa ideuzza dalla testa.» «Non ce n'è bisogno perché non ho mai, mai sospettato di G.M.» «Si è senz'altro conquistato un posto nella vostra considerazione, vero?» «Sì.» Egli si inoltrò nel pesante traffico della sera. Sapeva dove trovare un parcheggio vicino alla casa di sua zia e sua zia li attendeva. Aprì rapidamente la porta quando Greg premette il pulsante del campanello e a mani tese trasse Susan nel soggiorno. «Devo tornare indietro al volo» disse Greg. «C'è però qualcosa.» Esitò. «Non so... Susan potrebbe voler uscire o... o altro. Voglio dire...» La zia capì fulmineamente. «Una parrucca» disse con fermezza. «Facile. E degli occhiali che le nascondano gli occhi. Niente da obiettare. Sarà libera come l'aria.»
Greg parve dubbioso. Susan sentì un'ondata di assoluto scetticismo: una parrucca, i grandi occhiali da sole e nessuno l'avrebbe riconosciuta! «Possono servire» disse Greg. «Qualcuno, in casa Manders, sa il mio nome?» domandò la zia Lalie. Egli esitò, turbato. «Dora forse. G.M... no, non ne sono sicuro. Qualcuno dell'ufficio, ma non mi pare. Oh, Dio!» «Che cosa?» domandò sua zia ansiosamente. «Il portiere della casa dove abito lo sa. Se glielo chiedono...» «Vedo io di appianare le cose. Ora va', Greg.» Ma Greg indugiò a raccomandare a Susan, prendendole il mento: «Tenete duro. State facendo la cosa giusta.» «Non ne sono sicura nemmeno un po'. Mi ci avete spinta voi.» «Volete essere uccisa?» «Che domanda assurda! Non avrei voluto lasciare la casa.» «O lasciare G.M.» la rimbeccò Greg e uscì. Tornò indietro per affacciarsi alla porta che zia Lalie stava chiudendo e disse: «Grazie, zia Lalie.» «Va bene. E ora, Susan, ho una stanzetta per gli ospiti. Vorrete certo rinfrescarvi prima di cena. Sembrate appena uscita da una galleria del vento. Greg è impetuoso, qualche volta, mi dispiace. Ma è assennato» aggiunse con fermezza. «È fatto così.» La camera era piccola ma graziosissima e con uno stanzino da bagno accanto. Nel tempo che Susan impiegò a rimettersi in sesto, la zia Lalie aveva già pronti gli aperitivi su un vassoio. «Non posso chiamarvi zia Lalie» disse Susan inaspettatamente, dopo l'aperitivo. «Sono la signora Rogan» la zia Lalie sorrise e versò un secondo aperitivo a Susan e un secondo per sé. «Ma credo che zia Lalie vi riuscirà più facile.» «Grazie» disse Susan di cuore. La cena fu servita da un'impeccabile cameriera ed era buona. Si coricarono presto. Nella camera degli ospiti c'erano dei libri, ma Susan era troppo stanca anche per leggere. Le mancavano Belle e Beau e anche Toby. Le mancava G.M. Le mancava... sì, le mancava molto Greg. L'indomani la zia Lalie la mandò risolutamente a comprarsi una parrucca e degli occhiali. «È più ragionevole di quanto vi sembra» disse gentile ma decisa. «Non potete rimanere confinata in questo appartamento per Dio sa quanto tempo. Chiamo un tassì.» Susan si sentiva riconoscente a Greg per il denaro che le aveva messo
nella borsetta. Scelse una parrucca bionda e se la calzò con cura. Si procurò degli enormi occhiali scuri, poi ritornò alla casa di zia Lalie, sentendosi un po' strana quando colse la visione dei suoi riccioli biondi e degli occhiali scuri nello specchio del tassì. All'arrivo, uscì, pagò la corsa e all'improvviso le apparve l'uomo che aveva visto correre il giorno del delitto. 16 Credette, almeno, di averlo visto. L'impressione che aveva provato era stata così violenta che il cuore le era balzato in gola. Quello che aveva intravisto attraverso una casuale occhiata era una figura d'uomo che dal marciapiede s'infilava nel primo portone. Lo aveva fatto rapidamente, in un modo tale da richiamarle subito alla mente l'uomo che correva. Ma non poteva essere, pensò. Si convinse del contrario quando, dopo che fu entrata a precipizio dentro il portone della casa della zia Lalie, il portiere le si rivolse per informarla che "una persona era stata lì un momento prima a chiedere della giovane ospite della signora Rogan. Era appena andato via". Guardò curiosamente la parrucca di lei, ma sembrò attribuirla a un innocuo capriccio femminile. Lei, con finta indifferenza, chiese: «Ha lasciato il nome?» «No, signorina. È andato via in fretta, proprio mentre arrivava il vostro tassì.» Il portiere esitò e fu evidente che infrangeva una delle sue regole sulla discrezione. «Non credo che conosca la signora Rogan.» «Ha detto che sarebbe tornato?» «No, signorina.» Arrivò l'ascensore. Lei ringraziò il portiere e salì, senza riuscire a dominare il tremito che l'aveva invasa nemmeno quando ebbe suonato alla porta della zia Lalie. La cameriera andò ad aprire e rimase qualche attimo a fissarla esterrefatta, alla vista di quella enorme parrucca bionda e degli occhiali neri. Si riprese, pur chiedendole perplessa: «La signorina Beach?» «Sì, è solo una parrucca.» «Naturalmente. C'è un biglietto per voi. Il signor Greg ha telefonato dalla campagna. Voleva sapere dove eravate. Gli ho risposto che mi pareva che foste uscita per fare delle compere. Ha detto che non lo chiamiate, che voleva solo ricordarvi i funerali della signora Manders, alle dieci, domattina. Ha detto che sapete dove.» «S... sì, grazie.»
«La signora Rogan mi ha detto di avvertirvi, se foste ritornata prima di lei, che era uscita per comprarvi un abito diverso.» «Diverso...» «È quello che ha detto.» Un abito diverso, una parrucca, occhiali scuri. Ma non era verosimile che l'uomo che correva, o qualcun altro, si sarebbe ricordato del suo abito marrone. Forse Susan non era ancora ben convinta di essere in pericolo. Ringraziò nuovamente la cameriera e si sedette per riflettere sulla via da seguire. Doveva telefonare a Greg e dirgli che le pareva - solo le pareva - di aver visto l'uomo che correva? Che pensava - era solo un'idea - che quell'uomo poteva aver scoperto il nome e l'indirizzo di Greg e poi, con accorte domande, l'indirizzo di sua zia? No, non era immaginazione, ne era sicura, ne era assolutamente sicura. La "persona" aveva domandato di lei. Aveva interrogato il portiere. Si sentì paralizzata da un senso di pericolo vicino, immediato. Doveva fuggire e inoltre non poteva esporre la zia Lalie a quel pericolo. Un uomo che aveva ucciso due volte non si sarebbe fermato di fronte alla possibilità di proteggersi. Scrisse rapidamente un biglietto: "Cara zia Lalie, devo andarmene. Non aprite la porta a nessuno. Io mi metto al sicuro. Grazie, Susan". Sapeva che la cameriera era affaccendata in cucina. Cacciò le sue poche cose nella valigetta, lisciò la bionda parrucca e scese nella via. La fortuna era dalla sua parte, pensò confusamente non vedendo il portiere al suo posto. Doveva essere andato a mangiare. L'uomo dell'ascensore aveva preso il suo posto e fischiò per fermarle un tassì. Lei vi salì in fretta. Andò all'ingresso del parco del Plaza e pensò al pranzo che aveva consumato lì con Greg soltanto la domenica prima. Pareva che fossero trascorse delle settimane, e invece era soltanto mercoledì e i funerali di Rose dovevano aver luogo l'indomani. Non sapeva se era stata seguita, ma corse su per i gradini del Plaza, mischiata alla folla lenta del mezzogiorno, uscì dall'ingresso opposto, usato molto poco e solo da gente che partecipava a feste nella sala da ballo, sfrecciò attraverso la via verso la Quinta Avenue ed entrò ai magazzini Bergdorf. Lì comprò un cappello a larghe tese, che però le copriva tutto meno la faccia. E ora che cosa doveva fare? La valigetta pesava poco, ma era un ingombro e le ostacolava i movimenti. Poteva andare in un albergo. Sì, sarebbe andata in un albergo, avrebbe preso una stanza e sarebbe rimasta là. Il ser-
vizio di stanza dell'albergo le avrebbe procurato i pasti, benché sentisse che non sarebbe mai più stata capace di inghiottire niente. Passò attraverso il reparto scarpe, girò a sinistra e uscì dalla porticina della Quinta Avenue. La porta grande della Quinta Avenue era così dietro di lei. Si fermò come se volesse osservare la vetrina di VanCleef & Arpie, diede un'occhiata alla magnifica esposizione di gioielli e nello stesso tempo si guardò rapidamente alle spalle. Attraverso i gruppetti di clienti che andavano e venivano, vide un uomo, fermo, proprio all'angolo del marciapiede. Era appostato in modo da riuscire a tener d'occhio entrambi gli ingressi del Bergdorf. Non guardava verso di lei in quel momento, ma lo avrebbe fatto entro pochi secondi. Lei riuscì soltanto a vedere una sagoma d'uomo, fermo, attento come un cacciatore, col cappello calato sul viso. La sensazione di un imminente pericolo la riprese. Nessuno poteva farle del male tra la folla dei compratori e i poliziotti! Ma lei si affrettò lungo la strada, attraversò soltanto perché il semaforo era verde, continuò a camminare quasi di corsa con la valigetta che le batteva contro le gambe. Notò che la gente la guardava piuttosto sorpresa, si accorgeva di dare dei colpi a qualcuno con la valigia, si scusava in fretta e proseguiva. Ecco i grandi magazzini Mark & Cross e ancora un semaforo verde. Attraversò. Sarebbe andata all'albergo St. Regis, avrebbe preso una stanza e... una fila di tassì era ferma lungo la cordonatura del marciapiede. Senza pensare a nulla, ubbidendo solo all'istinto dell'animale in cerca di scampo, saltò sul primo tassì della fila e diede al conducente l'indirizzo di casa sua. Era una fortuna che Greg le avesse messo la chiave di scorta nella borsetta. Se l'uomo che correva era riuscito a seguirla fino al St. Regis e l'aveva vista prendere un tassì, avrebbe senz'altro pensato che tornava a casa della zia Lalie. Se era veramente l'uomo che correva. Non poteva esserne certa! Ma ne era certa. Allora non doveva tornare nel suo appartamento. Se quell'uomo aveva trovato la casa della zia Lalie, avrebbe certamente trovato la sua. Il suo indirizzo era sulla guida del telefono. Guardò indietro, girando la testa sopra una spalla, ma vide soltanto il solito traffico. Il tassì non poteva prendere la direzione nord della Quinta Avenue. Aveva girato attorno a Madison, affollato dovunque. Bastava la sua valigetta a farla riconoscere all'uomo che la seguiva. Poteva aver visto lei e la valigia e difficilmente il cappello a larghe tese l'a-
vrebbe ingannato. Poteva anche averla vista saltare sul tassì. Ma non poteva certamente sapere dove sarebbe andata. Il tassì proseguì e, quando giunsero all'edificio dove lei abitava, le parve di essere arrivata in paradiso. Non c'era nessun tassì dietro di loro. Scrutò la strada prima di pagare la corsa. Il conducente le diede una strana occhiata. «State bene, signora?» C'era una sincera gentilezza nella sua voce. «Sì. Almeno... non avete visto un tassì seguirci, vero?» Nulla riesce a turbare l'impassibilità dei tassisti di New York. Ne vedono troppe. Scosse il capo, guardò nello specchietto retrovisore e fece ancora cenno di no. «Non lo avrei notato a meno che non si fosse avvicinato troppo e avesse tentato di sorpassarmi. No, non c'è nessun tassì in vista adesso. Ma siete spaventata. Fareste bene a correre dentro casa mentre io sono qui e vi tengo d'occhio. È la vostra casa, questa?» Lei annuì. «Ho un piccolo appartamento, qui.» «Avete un bel po' di chiavistelli e catenacci alle porte?» «Solo una porta. Ma, oh, sì... tutti a New York hanno chiavistelli e catenacci.» «Avete degli amici? Certo. Allora saltate dentro. Io starò qui a guardare che arriviate in casa sana e salva. Poi andate nel vostro appartamento, chiudete a chiave e fate scorrere il catenaccio della porta. Telefonate a qualche amico fidato di venire a stare con voi. Mi pare un consiglio sensato. Non potete continuare a correre per la città così impaurita, vi pare?» «No. Io... vi ringrazio. Vi ringrazio davvero.» «Non c'è di che, signora. Correte, adesso.» Aveva ancora un po' del denaro che Greg le aveva dato. Il tassista prese il biglietto che lei gli porse, la ringraziò quando gli disse di tenere il resto e stette a guardarla mentre attraversava di corsa il marciapiede con la valigetta che le sbatteva contro. Dopo che ebbe aperto il portone, lei si voltò e salutò con la mano. Il tassista le sorrise, alzò allegramente il pollice e l'indice chiusi a formare un cerchio e partì. Lei salì le scale, prese la chiave dalla borsetta e aprì. Chiuse di nuovo dopo essere entrata e mise la spranga di sicurezza che, stando all'uomo che gliel'aveva venduta, era sicurissima. Ma lei non era certa che ci fossero spranghe tanto robuste da resistere a chi volesse veramente entrare. I vigili del fuoco non erano addestrati a rompere chiavistelli, catenacci e spranghe? Perché non lo avrebbe saputo fare l'uomo che correva? Doveva telefona-
re immediatamente a Greg. Potevano rispondere Dora o qualche Clanser, ma poteva rispondere anche G.M. e lui avrebbe saputo che cosa bisognava fare e lo avrebbe fatto. G.M. avrebbe mandato un plotone di uomini a proteggerla se avesse parlato con lui. Lasciò cadere la valigia, posò la borsetta, si strappò via l'enorme cappello e la parrucca e andò nella camera da letto dove teneva, sul comodino, il telefono. Afferrò il ricevitore come se fosse il filo che la legava alla vita e compose il numero. Lo compose parecchie volte, ma inutilmente. Si fermò un momento, poi riprese da capo. La linea era muta e rimase muta. Quasi non credendo a se stessa e sentendosi come sperduta in un sogno, si piegò sulle ginocchia, seguì il cavo lungo il bordo della parete in basso e sentì che era stato troncato: in qualche modo, ma troncato. Un piccolo coltello da cucina giaceva sul pavimento lì accanto. E così qualcuno era già entrato nell'appartamento. Qualcuno si era già assicurato che lei non fosse là e che, se fosse tornata, non potesse telefonare per chiedere aiuto. C'era qualcosa di agghiacciante in quell'affilato coltello da cucina e nel modo col quale era stato adoperato e poi gettato là, come se la persona che lo aveva usato si sentisse molto sicura di sé. Si rimise in piedi con l'impressione di essere stata percossa. Non c'era nessun altro segno di quell'irruzione. Pur sentendosi mancare, ispezionò a fondo tutto l'appartamento, ma non trovò altre tracce. Fortunatamente la spranga che lei riteneva sicura era all'interno della porta e non poteva - lo credeva e lo sperava - essere manomessa dall'esterno. La serratura normale poteva essere invece manipolata da un esperto, anzi lo era stata. Ma poteva essere stata usata la sua stessa chiave per aprire! Era, difatti, dentro la borsetta che aveva lasciato nella sua camera da letto della casa segreta. Chiunque fra coloro che abitavano la casa in quel momento avrebbe potuto prenderla e darla all'uomo che correva. Doveva calmarsi e osservare attentamente tutti gli accessi a quell'appartamento, che pur le era così familiare. Dal corridoio il solo ingresso era la porta sprangata dall'interno. La cucinetta aveva soltanto un aeratore; la finestra della stanza da bagno guardava su un piccolo cortile fra il muro della sua casa e un enorme edificio ad appartamenti; le due finestre della camera da letto avevano la stessa vista. Per raggiungere le finestre del suo appartamento, chiunque avrebbe dovuto munirsi di una scala di una decina di metri. Ma le finestre erano sigillate da una speciale protezione che do-
veva difenderla dai malintenzionati oltre che dalla polvere e dallo smog, le due minacce imperanti a New York, alle quali anche lei si sentiva esposta. Una finestra doveva essere infranta per togliere la solida serranda e in questo caso il rumore le avrebbe dato il tempo di fuggire attraverso l'ingresso del corridoio e di arrivare nella strada uscendo dal portone della casa. Sarebbe stato così. E l'uscita di emergenza? No, non offriva possibilità di entrata. La porta era in fondo al corridoio dell'ingresso. Guardò attraverso la finestra della camera da letto e pensò che nessuno al mondo avrebbe potuto saltare i tre metri almeno che la separavano dalla più vicina finestra. Pensò brevemente alla validità di quell'uscita di sicurezza. Non le aveva mai dedicato la minima attenzione prima d'allora. Cominciò a sentirsi ragionevolmente sicura. Quell'appartamento poteva essere una trappola per un topo spaventato e smarrito, ma in ogni modo nessuno poteva entrare senza che lei se ne accorgesse e senza che avesse la possibilità di scappare. Si tolse la giacca, domandandosi vagamente che genere di vestito la zia Lalie avesse scelto per lei. Ovviamente doveva essere qualcosa che non ricordasse il vestito a giacca marrone che Susan indossava quando aveva visto l'uomo che correva... e lui aveva visto lei. Non poteva averla vista che di sfuggita, ma era fin troppo evidente che quell'occhiata gli era bastata. Era proprio conforme a quello che sapeva del carattere della zia di Greg pensare immediatamente a un vestito diverso e andare difilato a comprarlo. Ciò metteva l'accento - se pur ce n'era ancora bisogno - sul pericolo che lei correva. Si preparò un po' di tè. Teneva sempre qualcosa nel freezer e qualche scatola nella credenza. Non sarebbe morta di fame fino al mattino seguente. Inoltre la zia di Greg avrebbe letto il suo biglietto e avrebbe quasi certamente telefonato a Greg. Greg avrebbe capito dove Susan era andata. Avrebbe tentato di telefonarle a casa e, non udendo alcun suono, avrebbe capito che la linea era stata tagliata e sarebbe corso da lei. G.M. avrebbe mandato un intero corpo di polizia, se fosse stato necessario. Sorrise e cominciò ad accorgersi di essere stremata: era come se i muscoli delle gambe le si fossero afflosciati. Prese un'altra tazza di tè. Greg poteva pensare che si fosse nascosta in un albergo, ma lei doveva fare assegnamento sul fatto che, prima di cercarla altrove, chiamasse il suo numero di casa. Non doveva pensare al peggio prima del tempo, fasciarsi
la testa prima di essersela rotta. Fu un lungo e snervante pomeriggio, durante il quale rimase costantemente con l'orecchio teso. Era ormai sera quando, dentro di sé, Susan arrivò a stabilire che l'uomo che aveva visto correre doveva essere Bert Prowde. Bert Prowde era sottile e muscoloso e, soprattutto, sapeva muoversi con la disinvolta rapidità di un pugile. Non era piacevole pensare alle sue mani, potenzialmente letali. Se Bert avesse detto di avere qualcosa di urgente da sbrigare a New York, dubitava che la polizia lo avrebbe trattenuto a Medbury Hills. O forse lo avrebbe potuto e lo aveva fatto. Ma la persona che era entrata nel suo appartamento le aveva tagliato il cavetto del telefono, aveva chiesto di lei alla casa di zia Lalie, l'aveva seguita quel giorno, non poteva essere un Clanser. La polizia non avrebbe permesso a un Clanser di allontanarsi. Chiunque fosse, non era Milly, l'enorme, impacciata Milly, che aveva un miglior motivo degli altri per uccidere Rose. Col e Wilfred avrebbero dovuto escogitare una scusa molto convincente per lasciare Medbury Hills. Ligon? Avendo chiarito la sua posizione con la polizia, era da credere che potesse trovare una scusa per recarsi in città, ma la subdola e svelta figura che aveva visto non le ricordava Ligon. Ligon le piaceva meno di qualsiasi altro Clanser. Se avesse dovuto designare un colpevole della morte di Rose... e Snell... avrebbe puntato il dito contro Ligon. La colpì il pensiero che a dispetto della sua apparente prosperità e benché non avesse alcun bisogno dell'eredità che gli proveniva da Rose, c'era sempre un momento in cui anche il più abile uomo d'affari può trovarsi improvvisamente a corto di denaro. La polizia, nondimeno, aveva minuziosamente indagato negli affari di Ligon e lo aveva dichiarato libero da ogni sospetto in materia finanziaria. Il denaro, si disse, deve essere alla radice della morte di Rose e di Snell. Se Snell aveva tentato di ricattare qualcuno, era ovvio che quel qualcuno doveva possedere del denaro. Ligon? Improvvisamente si ricordò di qualcosa che G.M. aveva detto un giorno, piuttosto tristemente, mentre le dettava una lettera di risposta a una delle molte richieste d'aiuto che gli arrivavano: «Il denaro è un pericolo». E aveva aggiunto con stanchezza: «Mentre si guadagna, si pensa che sia la strada buona per mettersi al sicuro da... oh, da tutto. Ma una grossa quantità di denaro è... ebbene, chiamatelo denaro pericoloso. Richiama alcune cose veramente orribili... ricatti, minacce, anche il delitto».
Denaro pericoloso, pensò Susan freddamente. Sentì a un tratto il grattare di una chiave, un impercettibile rumore e un fruscio fuori della porta. Un nodo le strinse la gola. Non sarebbe riuscita a gridare neppure se qualcuno avesse potuto udirla, qualcuno oltre la persona che stava armeggiando attorno alla serratura e che, udendone lo scatto, stava adesso spingendo la porta. Ma c'era qualcun altro fuori che poteva udirla! La voce di una donna fluttuò nel corridoio. «Cercate la signorina Beach?» Ci fu una specie di mormorio, probabilmente una conferma, qualche risposta. La spinta contro la porta cessò. La donna che aveva parlato era la signora Liley, che abitava sopra di lei. La sua voce era inconfondibile, sottile e un po' strascicata. Lei e Susan non erano propriamente amiche, ma si parlavano e si scambiavano i soliti commenti sul tempo se per caso si incontravano. «Credo che la signorina Beach sia in campagna» disse ancora la signora Liley, chiaramente. Credeva che Susan fosse in campagna. Doveva averla vista partire, ma era probabile anche che avesse letto i giornali. In ogni caso, la persona - un uomo, Susan ne era certa - che aveva la sua chiave parve sentirsi obbligata ad allontanarsi dalla porta. Parlò con la signora Liley. Il suono delle loro voci si dissolse lungo il corridoio e giù dalle scale. Susan corse alla finestra del soggiorno che si affacciava sulla strada e premette il viso contro i vetri. Il massiccio portone non veniva mai chiuso. Il chiuderlo si era dimostrato un disturbo per gli inquilini, che preferivano chiudere e sprangare le porte dei loro appartamenti. Solo la signora Liley attraversò la strada. Susan poté vederla di scorcio: indubbiamente doveva andare a una festa, perché indossava un abito di seta, una stola di pelliccia, e calzava un paio di sandali a tacco alto. Attese un tassì e fu un bene, perché colui che aveva tentato di forzare la porta di Susan era così costretto ad andarsene per non incorrere in un esame più lungo e approfondito da parte di lei. Susan non era riuscita a vedere lui: doveva essersi tenuto molto vicino al muro e aver camminato in fretta. L'episodio era stato troppo improvviso e si era svolto troppo in fretta. Ora che l'occasione era svanita, si domandò perché mai non aveva chiamato la signora Liley, perché non aveva gridato per chiedere aiuto, gridato a ogni modo. Che cosa avrebbe fatto la signora Liley? Forse le aveva salvato la vita a non gridare! Adesso era troppo tardi per fare una cosa qualsiasi, ma quell'esperienza la ricondusse a una relativa calma. Fortunatamente la spranga era robusta e aveva tenuto. Senza dub-
bio, il venditore aveva detto il vero. Vi furono altri due tentativi. Stava cucinando qualche uovo, quando il campanello squillò. Lei andò silenziosamente alla porta. Una voce dall'esterno la chiamò: «Signorina Beach, signorina Beach, fiori da consegnare.» Ci fu una pausa, mentre lei tratteneva il fiato. La voce riprese: «Fiori da consegnare da Christatos, signorina Beach.» Non riconobbe quella voce, capì solo che era di un uomo. Ma c'erano tanti modi per alterare la voce. Dopo lungo tempo, ci fu un impercettibile movimento nel corridoio e poi silenzio. La persona che era fuori la credeva veramente tanto ingenua da aprire la porta? Pensava davvero che non avrebbe sospettato che qualcuno andasse a bussare con un pretesto? Bert era sufficientemente svelto fisicamente, ma lei non aveva molta fiducia nella sua agilità mentale. L'istinto le disse che chiunque fosse stato nel corridoio era andato via. Dopo essere rimasta lungamente in ascolto, tornò in cucina con la fronte madida di sudore. La frittata era mezzo bruciata. Si sforzò di grattarla via dal fondo della padella e di farne un'altra. Stava rischiando la vita, pensò amaramente, sulla parola di un venditore di serrature e spranghe di sicurezza. Il tentativo seguente arrivò alle ventidue circa. Questa volta la voce annunciò che c'era una consegna di liquori. In mancanza di una risposta, ci fu il clic della chiave girata nella serratura e di nuovo la cauta ma forte pressione contro la porta. Ancora una volta la spranga fu all'altezza della sua fama. Neppure questa volta Susan riuscì a identificare la voce. Era una voce d'uomo, ne era sicura - ragionevolmente sicura - e sembrava piuttosto nasale, come se chi parlava si tenesse qualcosa sulla bocca o si stringesse le narici. Il bel naso di Bert? Le mani potenzialmente mortali di Bert? Era mezzanotte quando arrivò G.M. Premette il pulsante del citofono, la chiamò dalla porta. «Susan, siete lì?» Non avrebbe potuto confondersi sulla sua voce. Era rannicchiata in una profonda poltrona vicino al camino. Ascoltò, pensando per un momento di udire in sogno la voce di G.M. Ma poi capì che era realtà, che G.M. era venuto a prenderla. Si sforzò di alzarsi. Aveva le gambe rigide e piene di crampi, ma corse a togliere l'efficientissima spranga e spalancò la porta. Non si gettò nelle braccia di G.M., ma vi si trovò in un istante e G.M. la
tenne forte. «Eravamo spaventati, Susan!» «È venuto qualcuno.» «Chi?» «Non so. Non sono riuscita a vedere. Era un uomo. Una voce sconosciuta. Era qui poco fa. Ha tagliato il filo del telefono. G.M...» affondò il viso nella spalla di lui. Egli la tenne stretta, mentre lei si sentiva invadere da un tale senso di gratitudine e di calore che avrebbe voluto piangere. «Non avete nessun liquore in casa?» domandò lui. Un Clanser avrebbe avuto qualcosa, pensò lei a malincuore. No, lei non aveva liquori. G.M. disse: «Non importa. Ora vi porto dalla zia di Greg.» Intanto a lei era un po' passato il gelo dello spavento, sentiva meno dentro di sé l'impressione dell'animale braccato che vuol credere che la sua tana sia sicura. «Come avete fatto a sapere dove trovarmi?» «La zia di Greg ha telefonato. Ha detto che eravate andata via e le avevate lasciato un biglietto. Così» G.M. si strinse nelle spalle «siamo venuti tutti e due. Greg sta setacciando gli alberghi. Il guaio era che non eravamo sicuri che vi foste fatta registrare sotto il vostro nome. Poi, a un tratto, io ho sentito che dovevate essere a casa vostra.» Era tipico di G.M.: riusciva sempre a indovinare le mosse degli altri. Si sciolse dal suo abbraccio, si lisciò l'abito e tentò di ravviarsi alla meglio i capelli. Lui sorrise. «Non importa l'aspetto. E ora... oh, no, non posso telefonare alla zia di Greg. Ci eravamo messi d'accordo, io e Greg, di telefonarle se qualcuno di noi vi avesse trovata.» I suoi lineamenti si indurirono e il suo sguardo si fece freddo e tagliente mentre osservava il cavo del telefono troncato e il coltello da cucina. «Non avete toccato questo coltello...» «No, non avrei potuto. E poi ho qualche nozione di impronte digitali.» «Eravate troppo spaventata per pensare. Lasceremo il coltello dov'è per le indagini. Non che i criminali non ne sappiano abbastanza in materia di impronte digitali.» «Era l'uomo che correva, ne sono sicura.» Gli occhi di G.M. si fissarono di scatto nei suoi. «Come lo sapete?» «Perché sono riuscita a vederlo per un attimo vicino alla casa della zia Lalie. Credo che avesse chiesto di me là. Poi l'ho visto ancora all'angolo della Quinta Avenue all'altezza del Bergdorf. Dopo non so, ma so che qualcuno ha tentato di introdursi qui. Aveva una chiave, la mia chiave.»
«Come poteva averla? Oh, capisco. L'avete lasciata nella casa di campagna. Sì, capisco. Chiunque nella casa di campagna poteva impadronirsene. Quell'uomo era Bert Prowde?» «Non so. Ho potuto dargli soltanto un'occhiata di sfuggita. Cappello sugli occhi e qualche cosa di particolare nel modo di muoversi. Ma so che era l'uomo che ho visto correre.» «Susan» disse G.M. all'improvviso «questo non è il momento e non è nemmeno il luogo adatto. Non è giusto... così presto dopo la morte di Rose. Ma devo dirvelo. Io non mi sono mai innamorato prima d'ora...» Le tese le mani. 17 Non era possibile sbagliarsi sull'espressione dei suoi occhi, sul richiamo delle sue mani tese verso di lei. Susan non riusciva a crederci. Eppure aveva sempre creduto a G.M. Ma aveva ragione lui. Non era il momento e non era il luogo. Le mani gli ricaddero lentamente. «Capisco. È perché sono troppo vecchio per voi?» Lei ritrovò la voce. «Oh, no! Non voi.» «Non sapevo, quando vi ho vista in principio, e non ho mai pensato, non mi sono mai reso conto, fino a oggi, di quanto significate per me. Quando siete andata via, io ero così... ero fuori di me. Ho indotto Lattrice a lasciarmi venire a cercarvi. Capite?» Si fermò un attimo, poi riprese: «Naturalmente è troppo presto dopo la morte di Rose. Buon Dio! Il suo funerale è fissato per domani, ma Rose non era più mia moglie di fatto. Non riesco a ricordarmi quando il nostro matrimonio è... è finito. È di pessimo gusto parlarvi a questo modo proprio ora. Ma dovevo farlo.» Lei aveva la sensazione di vivere in un sogno. G.M., il grand'uomo e la piccola Susan Beach. Si sentì di nuovo la Cenerentola della fiaba, come quando si era confidato con lei. Dopo una pausa, lui le domandò: «È per Dora?» Lei scosse la testa. G.M. la guardò ancora per un lungo momento. «Va bene, non vi faccio fretta. Adesso vi porto dalla zia di Greg. Prendete la vostra giacca.» La prese lui stesso da una sedia dove Susan l'aveva gettata, gliela mise sulle spalle, guardò la borsetta e la parrucca ed esclamò: «Per l'amor del cielo, che cos'è questa? Una parrucca?»
«L'ho comprata. Alla zia di Greg sembrava una buona idea. E degli occhiali scuri, anche.» Egli rimase un momento pensieroso. «Va bene, può darsi che sia stata una buona idea se l'uomo che correva vi ha vista bene dalla finestra della cucina. Io credo di sì. Ma non ne avrete più bisogno, ora.» Prese la sua valigetta. «Ho giù una macchina e un autista che aspettano, un buon individuo, vigoroso e cordiale. Non dovete aver paura.» Nulla avrebbe potuto farle paura al fianco di G.M. Scesero le scale, nella casa ora silenziosa e sicura. Una lunga macchina era ferma lungo il bordo del marciapiede. Un autista in uniforme balzò fuori. Era ovviamente una macchina presa a nolo. Attraversarono velocemente delle strade quiete, illuminate soltanto dalle luci provenienti dagli appartamenti, dalle automobili e dai semafori. G.M. parlò una volta sola durante la corsa. «L'uomo che avete visto potrebbe essere Bert Prowde. Non mi pare di averlo notato nella casa di campagna, oggi. Non penso che sia stato uno dei Clanser. Ho l'impressione che fossero tutti là, fuori e dentro, tutto il giorno. Eccoci arrivati.» Disse all'autista di aspettare. Voleva essere riportato a Medbury Hills. Dopo essersi fatto annunciare dal portiere condusse Susan dalla zia Lalie. La zia Lalie era in piedi nel vano della porta aperta. «Cara, povera bambina! Entrate... Greg è al telefono proprio in questo momento. Gli dico subito che siete qui.» G.M. non attese che glielo dicesse la zia Lalie. Prese il ricevitore lui stesso. «Sta bene. Era andata nel suo appartamento. No, no, vi dico che sta bene. È qui. Voi dove siete? Passo a prendervi e possiamo tornare in campagna. Credo che, ci convenga andare ora. Lattrice dovrebbe essere informato subito. Vi dico che sta bene, ma...» si voltò verso Susan. «Vuole parlare con voi.» Lei attraversò la stanza con le gambe che le tremavano. G.M. le tese una mano e lei la prese con gratitudine. «Greg...» «Susan, abbiamo messo sottosopra tutta la città.» «Sto bene. G.M. mi ha trovata. Sto bene.» Greg non rispose. Lei gridò: «Va bene tutto, davvero, Greg. Ho udito G.M. dire che viene a prendervi e...» «Voglio vedervi io stesso.» «Credete a vostra zia?» «Credo a voi, ma... va bene. Dite a G.M. che lo aspetto.»
Non le diede la buona notte. Riappese semplicemente. Susan aspettò un momento e fu G.M. a prenderle la cornetta dalle mani. «Dovreste andare a letto, ora. Qui siete al sicuro» disse. «Ci penso io» disse la zia Lalie, con un lampo nello sguardo che ricordò a Susan certe occhiate improvvise di Greg. G.M. le mise una mano sulla spalla. «Ora prendete le cose con calma. È passato tutto. Vedrò io che nulla del genere succeda più. Buona notte. Buona notte, signora Rogan.» Era da lui ricordarsi il nome della zia Lalie. Lei lo condusse alla porta, chiuse di nuovo, mise una spranga e disse: «E ora a letto. Lo vorreste qualcosa di caldo da bere? Un ponce, del latte, qualche cosa?» Susan si lasciò sfuggire un lungo sospiro. «Latte» disse, quasi non potesse pronunciare altre parole. Zia Lalie l'aiutò a liberarsi degli abiti e a indossare la camicia da notte tolta dalla sua valigia. Prese dall'armadio e mostrò a Susan un abito di lana color corallo, ben confezionato, con un corto giacchino. «Ho detto che il quarantaquattro era la taglia giusta. Lo è?» «Oh, sì. Non ho mai sognato nulla di diverso da questo abito.» «E nemmeno io, fino a quando siete uscita per andare a comprare la parrucca.» «Dovrò rimborsarvi. Ho usato il denaro di Greg. La mia borsa con il denaro contante e il mio libretto di assegni è nella casa di campagna.» La zia Lalie era troppo educata per protestare. «Certo, me lo rimborserete. E ora lasciamo accesa la luce. Se doveste sentirvi a disagio oppure... sognare o qualcos'altro, non avete che da chiamarmi. Sono nella stanza accanto.» Andandosene, si lasciò dietro un senso di rassicurante benessere e un lieve profumo. Troppo, pensò Susan, troppo quello che era accaduto. Troppo presto, aveva detto G.M. Lui con il suo potere, la sua garbata saggezza. Sì, lei si sentiva come Cenerentola. Si addormentò come se fosse stata drogata. Fu la zia Lalie a destarla il giorno dopo. «Mi rincresce svegliarvi. Sembravate così stanca quando vi siete coricata! Ma Greg mi dice che i funerali della signora Manders sono fissati per le dieci. È bene che ci andiate, credo. Sono le nove e mezzo e qui c'è la vostra colazione.» Il simpatico viso della cameriera si affacciò, a quelle parole. Non c'era la minima traccia di curiosità nella sua espressione mentre appoggiava il vassoio sulle ginocchia di Susan.
La zia Lalie accompagnò Susan alla cappella. «Se non vi dispiace» le aveva detto «Greg dice che è meglio se entriamo da una porta di lato. Per i giornalisti.» Non riuscirono però a sfuggire completamente ai solerti cronisti e fotografi, essi pure a conoscenza dell'ingresso laterale. Ci fu il rapido scatto delle macchine fotografiche. Dentro, G.M. e Dora, tutti i Clanser e Bert Prowde, con l'aspetto più depresso che Susan gli avesse mai visto, erano riuniti in gruppo. Poteva, Bert Prowde, essere l'uomo che correva? Poteva aver ucciso a sangue freddo Rose e Snell? Poteva aver braccato Susan la notte prima e aver tentato con assurde scuse di entrarle in casa, quando già vi si era introdotto e le aveva tagliato il filo del telefono con quel piccolo, affilato coltello da cucina? Non le parve possibile, guardandolo. Greg andò incontro a lei e alla zia e prese Susan per un braccio. C'erano molti altri uomini che Susan non conosceva, ma che, suppose, dovevano essere soci d'affari di G.M. La piccola, solenne cappella era satura di profumo di fiori fino a impedire il respiro. Il servizio fu misericordiosamente breve. Susan, Greg e la zia Lalie sedettero nella terza fila di piccoli banchi. Ligon, non più col suo abito di tweed, ma con un abito scuro da uomo d'affari, sedeva proprio davanti a loro con Dora, Bert Prowde e qualche altro, pure vestito di scuro. Susan non riusciva a vedere G.M. dal punto in cui si trovava, ma la mole di Milly, con la stola di pelliccia di Rose avvolta attorno alle spalle, appariva in prima fila ed era certamente accanto a lui. Si sentì sollevata quando poterono lasciarsi dietro il profumo dei gigli e il tono solenne dell'invisibile organo. Greg aiutò lei e la zia Lalie a salire sull'auto che li attendeva e tutti e tre insieme tornarono a casa della zia Lalie. «Ora» disse Greg «tira fuori un po' del tuo sherry, zia. Voglio sentire tutto quello che è successo ieri. E ieri sera.» «E altrettanto io» fece coro la zia Lalie mentre portava una bella caraffa con dei bicchieri. Raccontare fu per Susan come parlare di un incubo. Quasi altrettanto irreale di un incubo. Quando terminò, Greg disse, pensieroso: «Bert Prowde non era nella casa ieri, almeno per quanto ne so io. Credo che tutti i Clanser ci fossero. Non credo che qualcuno di loro possa essere venuto in città.» «Un sicario?» congetturò zia Lalie.
«Se è così, la polizia di qui ne ha a piene mani.» «Forse no.» La zia Lalie si versò un altro bicchiere di sherry. «La polizia ha esaminato l'elicottero con tutta, ma tutta l'attenzione possibile?» «Certamente. Credo di sì.» «Uhm...» sua zia bevve, meditò alquanto e riprese: «Fate le vostre valigie, Susan. Vi toccherà ritornare alla casa di campagna. Vale a dire, se volete veramente ritornarci.» «Oh, sì, vuole tornare là.» C'era una sfumatura di irritazione nella voce di Greg. «Dice che sarebbe sleale verso G.M. se lasciasse il suo posto ora. O piuttosto se lasciasse lui.» Zia Lalie aguzzò di nuovo lo sguardo. «In un certo modo sarebbe sleale. Però è Susan che deve decidere.» "Certo che torno là. G.M. mi vuole" pensò Susan, riempiendo di nuovo la sua valigetta. Per un istante, la visione di una vita futura con lui sembrò librarsi nell'aria. Padrona di casa, pranzi con i grandi del mondo, viaggi lussuosi, un fasto che non aveva mai nemmeno sognato, G.M. e la sua gentilezza, la sua lealtà, la sua saggezza. E com'era degno di fiducia! Non poteva figurarselo come marito. Quel volo fantastico si arrestò alle soglie della camera da letto. Eppure non era una stolta. Come non accorgersi che aveva provato solo commozione e tenerezza quando G.M. la teneva fra le braccia la notte scorsa? Non c'era stata la minima reazione fisica in lei, il minimo brivido e allora, perché l'equivoco del matrimonio? "Oh, taci" disse a se stessa irritata "taci e finisci di preparare la valigia." Il viaggio, nella grande automobile ben molleggiata, li portò attraverso la città e viali alberati, fino a Medbury Hills e alla casa segreta. Greg non disse quasi nulla. Col era certamente stato ai funerali, ma apparve all'istante al cancello con la notizia che G.M. era arrivato qualche tempo prima. Non si spinse fino a chiedere dove Greg e Susan fossero stati e perché ritornassero con tanto ritardo rispetto a G.M., ma la curiosità dei Clanser, al solito, traspariva dai suoi occhietti. L'automobile percorse rapidamente il lungo viale fino alla porta della casa segreta, dove G.M. era fermo ad attenderli. I cani erano con lui e saltellarono festosi addosso a Susan quando uscì dalla macchina. Anche Toby sbucò pigramente da un cespuglio e la guardò fissamente con gli occhi azzurri che sembravano esprimere una certa amicizia. Ma il saluto di G.M. fu
di calda e protettiva autorità mentre le dava il benvenuto. Greg allungò la mano verso la sua valigia, ma fu G.M. che la prese subito. «Così siete ritornata» disse G.M. «Ne sono lieto.» Greg diede un "buon giorno" piuttosto sostenuto, poi domandò se poteva continuare a servirsi della macchina. «Voglio andare a Medbury Hills.» Negli occhi di G.M. si affacciò un'interrogazione, ma egli non domandò nulla. Si limitò ad annuire, mentre prendeva Susan per mano. Greg risalì sulla macchina e scivolò via. I cani giocavano rumorosamente attorno a G.M. e Susan, Toby si unì a loro, divertendosi, ma più compostamente. «Vi ho aspettata. Mi pareva che non arrivaste mai. Oh, sta bene, Susan. Non vi annoierò. Voglio solo che sappiate come sia grande la mia contentezza nel rivedervi. A dire la verità, ero piuttosto spaventato all'idea che decideste di non tornare.» «Non avrei potuto.» «Vi porto in camera la valigia.» Lei lo seguì nell'atrio, lasciando aperta la porta del vestibolo in modo che i cani e il gatto potessero andare e venire liberamente. Non poté fare a meno di guardarsi indietro nel salire le scale. Abbracciò così con lo sguardo il salone, in tutta la sua bellezza. G.M. la precedette nella camera da letto e posò la valigetta. «State bene davvero?» «Oh, sì. La casa sembra così quieta!» «Non c'è un solo Clanser, eccetto Col. Gli altri sono andati al cimitero di Long Island. Io sono stato letteralmente assalito dai giornalisti e, dopo averli fronteggiati come meglio ho potuto, ho deciso di tornare qui. Non sono sicuro di essermi destreggiato molto bene. Susan, non credo che fosse Bert Prowde, ieri. Il vostro uomo che correva. Ho parlato con Lattrice, per telefono ieri sera tardi. Senza che ce ne sia la certezza assoluta, sembra che Bert Prowde ieri sia stato a Medbury Hills tutto il giorno. Tendo a credere che quel Lattrice sia molto scrupoloso. Scendiamo.» La casa era fortunatamente silenziosa. Le pareva impossibile che i beoni, litigiosi Clanser non dovessero apparire. G.M. era di umore espansivo. Le mostrò i quadri sopra il caminetto e parlò di pittura con amore e competenza. Le mostrò le sedie della sala da pranzo e improvvisamente rise fra sé, le scompigliò i capelli e disse: «Mi sto comportando molto male. È come se vi portassi sulla cima di una montagna per mostrarvi le bellezze e i piaceri del mondo che posso offrirvi. In tutti i casi, posso darvi moltissimo. Tutto quello che volete. Non più un buchetto in un angolo come casa
per voi. Avremo l'appartamento della Quinta Avenue, rinnovato, cambiato completamente. O meglio, venderò quell'appartamento e ne comprerò un altro, qualunque cosa vogliate.» «Ma... ma G.M...» «Vi ho promesso di non farvi fretta e di non tormentarvi. Manterrò la promessa.» Lei, nondimeno, non poteva impedirsi di vedere se stessa padrona di quella bellissima casa nascosta, signora di uno splendido e fastoso appartamento in città. La sua immaginazione navigò a vele spiegate verso il lusso fantastico che il matrimonio con G.M. avrebbe procurato proprio a lei, Susan Beach, la piccola Susan Beach. I penetranti occhi di lui videro troppo. Egli scosse il capo. «Aspetteremo. Aspetteremo tutto il tempo che vorrete. Perché Greg è voluto andare a Medbury Hills?» «Non so. Non sapevo che volesse andarci.» «Una ragione deve esserci, e una buona ragione, se conosco Greg. Avete mangiato?» Lei scosse il capo e lui ne fu lieto. «Lo speravo. Mi sono fermato a Madison e ho comprato uno sformato, una crostata salata alla lorenese, dell'insalata e della frutta. Tutto quello che dobbiamo fare è scaldare la crostata. Sherry?» Aveva anche preparato una caraffa e due bicchieri. Le diede lo sherry, con gli occhi rivolti in giù, verso di lei, sorridendole spensieratamente. «Ho creduto che vi ci volesse qualcosa di diverso dal whisky.» Lei si sedette, appoggiò le spalle allo schienale, sorseggiò lo sherry e pensò: "Niente di tutto questo è reale. Questa stupenda stanza, G.M. così giovane, così soddisfatto, i cani sdraiati vicino a me, anche loro contenti e soddisfatti". Anche Toby era nelle vicinanze, con gli occhi tanto socchiusi da mostrare appena due fessure di azzurro. Una bellissima stanza. Un bell'uomo, gentile, brillante e, sì, innamorato di lei. E molto, molto ricco. Le avrebbe dato tutto e lei sarebbe stata pazza a rifiutare. Egli aveva il pericoloso dono di leggere nel pensiero degli altri e così disse quietamente: «Non prendetemi perché ho tanto denaro. Prendetemi perché vi piaccio. Devo avvertirvi, però, che non sono sempre un marito perfetto. Mi piacciono gli affari, mi piacciono i miei vari interessi. Qualche volta dovrò lasciarvi sola. O...» si fece girare il bicchiere dello sherry nelle belle mani, poi continuò come a caso: «domandare a Greg di occuparsi di
voi. Di portarvi a pranzo, qualche cosa di simile.» Lei finì lo sherry e posò il bicchiere piuttosto sgarbatamente. «No, no» protestò «non sarebbe una buona idea.» La colpì, ma come un'eco lontana, il modo troppo casuale di lui nell'accennare a Greg come scorta. La colpì il fatto di aver risposto troppo in fretta, con troppo impeto. Ma era solo un'impressione. «Muoio di fame» disse. «Devo scaldare la crostata?» «La scaldo io.» Balzò in piedi con la prontezza di un ragazzo. Sembrava sconveniente a così breve distanza dalla morte di Rose, che si comportasse come se fosse stato liberato da uno spaventoso fardello. Nondimeno quella era la verità e non serviva a nulla eluderla. Si trovava perfettamente a suo agio anche in cucina, come se fosse ritornato indietro, agli anni della sua giovinezza. Era il G.M. che lei conosceva, in un certo senso, ma lo sapeva capace di assumere la maschera della dignità e del comando in ogni istante. Scaldarono e tagliarono la crostata, rimestarono l'insalata. Parlarono di cibo, di tutto, tranne che di morte. Si sedettero alla lunga tavola nella sala da pranzo. G.M. sapeva dov'era l'argenteria e sapeva dov'erano i bicchieri di cristallo. Tirò fuori anche del vino, frizzante come un bel giorno d'autunno. Lei sentì che il calore cominciava a salirle alle guance. «Adesso siete voi. C'è del calore nel vostro viso» disse lui e alzò il bicchiere. «Ho promesso di non farvi fretta, ma possa, questo, essere il principio di molti anni felici da vivere insieme.» Proprio in quel momento come spinta in scena da un regista, arrivò nel vestibolo la folata dei Clanser. Toby fu il primo a dare il segnale del loro arrivo. Rimasto sotto la tavola attento a ogni boccone che potesse arrivargli, balzò fuori e sparì, seguito da una nuvola di peli, mentre la porta del vestibolo sbatteva fragorosamente. Voci e rumori di passi si avvicinarono e Milly comparve sulla soglia della sala da pranzo. I suoi occhi sporgenti si posarono sulla piccola imbandigione, sui bicchieri e sul vino. «Il giorno preciso che la povera Rose è stata seppellita!» gridò. «Non m'importa di quello che siete, G.M., e nemmeno del vostro denaro o... ma questo è scandaloso!» G.M. si alzò in piedi cortesemente. «Mi dispiace, abbiamo mangiato tutto. Ma deve esserci dell'altro.» Dora corse vicino a Milly con gli occhi che le si erano offuscati al vedere i bicchieri e l'atmosfera di amicizia che dominava. Non disse nulla. Poi venne Greg.
Un altro rapido sguardo corse attraverso la tavola, si posò sui piatti, sui bicchieri, su G.M. e Susan. «Sono affamato e spero sia rimasto qualcosa» furono le sue parole. Dora disse con estrema freddezza: «Ci siamo fermati lungo la strada per fare qualche provvista. Col ci aveva preceduti qui. Ma Milly pensava che dovessimo andare al cimitero. Mi dispiace che voi foste troppo... troppo occupato, G.M., per accompagnarci.» Egli accolse anche questo cortesemente, riprendendo il suo abituale controllo. «Sono stato trattenuto. Greg, avete visto Lattrice a Medbury Hills?» Greg annuì. «Sì. Vado a prendere qualcosa da mangiare.» E sparì in cucina. G.M. disse: «Dora, ho del lavoro da sbrigare. Volete darmi una mano, per favore?» E uscì, dignitoso, cortese e inaccessibile. Gli occhi di Dora erano foschi mentre guardava Susan, e Susan, in un subitaneo impulso, le lanciò uno sguardo di sfida. Dora non le avrebbe più fatto paura. Dora non le avrebbe più dato ordini. Dora doveva aver letto tutto ciò nei suoi occhi. Il suo pensiero era rapido. Si girò e seguì G.M. giù dalle scale, nella stanza con i tavoli per il bridge e le linee telefoniche rosse. Susan salì nella sua camera. Nessuno andò da lei, nessuno la seguì, nulla accadde fino a quando Belle arrivò, grattò alla porta ed entrò con un balzo quando Susan aprì. Beau la seguì con un passo più dignitoso, poi arrivò Toby. Si sedettero tutti e tre, poi guardarono Susan, che comprese, si ricordò all'improvviso che toccava a lei provvederli non solo di cibo ma anche di acqua. Riempì di nuovo la ciotola e tutti e tre bevvero, con i nasi aristocratici riuniti insieme pacificamente. Susan indossò l'abito rosa corallo, che le stava bene e le risollevò lo spirito. Vide che nella borsetta lasciata nella casa, la chiave non c'era. Sapeva che non ci poteva essere, ma si sentì depressa. Così un Clanser l'aveva presa e l'aveva data all'uomo che correva. Nel tardo pomeriggio vide Greg e Ligon attraversare il cancello, che questa volta era aperto. Si erano tolti i severi abiti del mattino. Greg indossava i suoi soliti pantaloni e un maglione, Ligon il suo abito di tweed. Non parlavano, camminavano soltanto. Greg non alzò gli occhi verso la sua finestra. Greg era svelto nell'afferrare le situazioni, svelto come Dora. Era sicura che aveva intuito molto di quello che G.M. le aveva detto. Aveva anche immaginato, a torto, che lei avesse già promesso a G.M. di diventare sua
moglie. Ne ebbe la conferma più tardi, Greg stesso, un'ora dopo circa, andò alla sua porta, bussò e disse: «Sono Greg. Potete aprire la porta?» E quando lei aprì, soggiunse con calma: «Devo farvi le mie congratulazioni. O piuttosto farle a G.M.?» 18 «Ma... ma, Greg!» «Ho visto giusto, no? G.M. è così cambiato e altrettanto voi. Sareste ben sciocca a non accettarlo. Non vi si presenterà mai più una simile occasione. C'è qui Lattrice.» «Voi non capite.» «Oh, capisco. Lattrice vuol chiedervi dell'uomo che avete visto ieri.» Si girò all'improvviso e sparì rapidamente. Lei non ebbe modo di richiamarlo e di dirgli... dirgli che cosa?, si domandò. Dirgli che sì, G.M. le aveva chiesto di sposarlo, dirgli che intendeva acconsentire. Greg doveva aver trovato Dora nel corridoio, perché le giunse la voce di lei. «Siete stato da Susan, Greg? Dovete sbrigarvi a parlarle.» Greg borbottò qualcosa che Susan non riuscì a comprendere, all'improvviso Dora le entrò in camera. Si accomodò compostamente nella poltrona. Era meravigliosamente bella e senza dubbio infuriata. I suoi occhi sembravano zucchero caramellato, ma senza nulla di dolce. Passò subito all'attacco. «Avete fatto del vostro meglio per agguantare G.M. con i vostri artigli. G.M. non fa per voi. Perché, sciocca che non siete altro, credete che Ligon abbia divorziato da me? Non sono io che ho divorziato da Ligon. È stato lui per causa di G.M. Non lo sapevate?» Susan cercò di guadagnare tempo. «Questo non ha niente a che fare con me.» «Oh, no, vero? Non conoscete G.M. abbastanza bene da sapere che non ha mai dimenticato un obbligo? Non avete visto come ha lasciato che l'intera famiglia Clanser si gettasse su di lui perché era stata Rose a dare il via alla sua fortuna? Non avrebbe mai tollerato che gli si parlasse di divorziare da Rose.» «E voi lo volevate?» «Vi sentite molto sicura, non è vero? Vi dirò qualcosa che spero abbiate abbastanza buon senso da capire. G.M. non può stare senza di me.» «Nessuno è indispensabile.»
«Io sono indispensabile. Ha bisogno di me. Dovunque vada o qualunque cosa faccia, ha bisogno di me. Ne so più io dei suoi affari di chiunque altro. Non vuole che nessun altro sappia le cose che so io.» Susan si concentrò e decise rapidamente. «Ha tutta l'aria di essere un ricatto.» Dora si alzò. Sollevò la bella testa e disse: «Ricatto o no, le cose stanno così.» «Supponete che io riferisca le vostre parole a G.M.» Dora rise. «Pensate che vi crederebbe? Mi conosce da troppo tempo. Sa di potersi fidare di ogni parola che io dico e di qualunque cosa io faccio per lui. Non si fiderà mai di nessun altro così completamente.» Andò via, muovendosi con grazia e ondeggiando leggermente i fianchi. Con ogni probabilità aveva ragione. Dora conosceva senz'altro tutti i sentieri del vasto labirinto degli affari di G.M. Ma quanto al ricatto... no! Nemmeno spingendosi al limite estremo dell'immaginazione, Susan avrebbe mai creduto per un attimo che G.M. potesse indulgere a un qualsiasi doppio gioco o artificio, e tanto meno all'aperta disonestà tanto da poter essere ricattato. Sapeva però che poteva esserci una venatura di durezza nel comportamento di G.M. Una cosa Dora le aveva fatto capire chiaramente: con G.M. avrebbe agitato la minaccia di sposare Bert Prowde, per indurlo a sposare lei. Ma qualunque cosa facesse, sposasse Bert Prowde o no, Dora non aveva la minima intenzione di lasciare G.M. Con un sussulto, Susan si ricordò che Lattrice la stava aspettando per interrogarla e si affrettò a scendere al piano di sotto. Lattrice e G.M. erano nella biblioteca. Ligon era con loro, irritato. «Vi dico che c'è un ladro nella casa. Se volete sapere chi è, ve lo dico io. È quel giovane Prowde.» G.M. indicò a Susan una sedia accanto a lui. Lattrice le parlò affabilmente. G.M. sembrava perplesso. «Ma Ligon, volete dire che avete portato una valigia di indumenti qui? Alloggiavate alla locanda.» «Alloggio ancora là. C'è una camera vuota di sopra, qui, ma Dora non vuole che la usi. Non so perché. Cioè, lo so, ho saputo che Rose è stata trovata uccisa in quella stanza. Ma la maggior parte delle case ha delle stanze dove è morto qualcuno.» «Non in quel modo» commentò G.M. «No, no! Io pensavo solo...» «Dov'erano i vostri abiti quando, come dite, ve li hanno rubati?»
«Sto dicendovelo. Avevo indossato un abito scuro per i funerali. Non avrei potuto assistervi vestito così... giacca e calzoni sportivi.» «E allora che cosa avete fatto?» La pazienza di G.M. stava esaurendosi. Ligon spiegò a sua difesa: «Naturalmente io indossavo un abito scuro. Ma sapendo che sarei tornato qui dopo il funerale, stamattina, quando sono venuto qui per unirmi a voi e andare tutti insieme in città per il funerale mi sono portato dietro dalla locanda l'abito sportivo che indosso ora. Al ritorno mi sono cambiato, ho messo degli abiti più comodi e adatti e ho appeso l'altro vestito nell'armadio della stanza dove c'è la cassaforte. E ora non c'è più. Sparito. L'ha preso Bert Prowde.» G.M. sospirò. «Ma non riesco a capire perché Bert Prowde vi avrebbe rubato quel vestito.» «Ruberebbe qualsiasi cosa!» Ligon non aveva parlato a voce alta, ma fu come se lo avesse fatto. «Vi dico che è un poco di buono. Ed è un ex ufficiale dell'esercito...» «Non c'è niente di male in questo» disse Lattrice. I suoi occhi scuri mandavano lampi. Ligon farfugliò: «Ho detto ex, non è così. È stato espulso dopo che aveva ucciso qualcuno. So che quel Prowde è anche un ex pugile. È contro la legge, nel suo caso, usare le mani in una rissa.» «Sì, lo so» ribatté Lattrice con tale calma da togliere ogni soffio di vento alle vele di Ligon. «Eravate presente quando ce l'ha detto.» Ligon cadde a sedere su una sedia. «Bert Prowde ha rubato quel bell'abito. Fatto su misura. Un abito costoso.» «Lo avete visto prenderlo?» domandò G.M. «No, no, non l'ho visto prenderlo. Ma c'è di più. Quella cassaforte nella stanza di sopra. Non era chiusa, così l'ho chiusa io. È vuota. Non c'è dentro niente.» La cassaforte e l'anello comprato per Dora! Susan balzò in piedi. «Non è possibile!» «Va bene, Susan» disse G.M. in fretta. «Me ne occuperò io. Allora, Ligon, vi pagherò un altro vestito... fatto su misura.» Non ne imitò la voce, ma le parole punsero Ligon. «Sono in grado di pagarmi i vestiti da solo, grazie» disse. «Ma desidero che vi liberiate di Bert Prowde.» «Sta per sposarsi con Dora» osservò G.M. Ligon arrossì lievemente. «Come potete sopportare che Dora lo sposi! Non è una persona perbene. E Dora... nemmeno io sono potuto andare
d'accordo con lei, lo sapete. I nostri due caratteri erano... incompatibili» disse con dignità. «Ma voi farete bene a sposarla. È stata fedele a voi e ai vostri interessi da quando ha cominciato a lavorare per voi.» «Sì» disse G.M. «Questo è vero.» «Già, non ha voluto prendersi nemmeno il tempo per divorziare. Ho fatto tutto io. Io potevo disporre del tempo per andare a...» «Dove?» domandò Lattrice. «Reno. Tutto regolare e a posto. Mi rincresceva, come ho detto, ma non ci incontravamo. Io la rispetto lo stesso. Mi stanno a cuore i suoi interessi. Sposatela, G.M. Non lasciate che sposi quel... quel...» Ligon si fermò, farfugliando e asciugandosi la fronte con un fazzoletto bianchissimo, poi finì balbettando: «Quello... quello smidollato.» Uno sguardo divertito comparve negli occhi di G.M. «Proprio un momento fa ci avete fatto balenare l'idea che fosse un pericoloso malandrino.» «Io non ho paura di lui» gridò Ligon infuriato. «Ma Dora... Dopo tutto, è stata mia moglie. Mi preoccupo del suo futuro.» «Ne sono certo» disse G.M. educatamente. «E ora, Ligon, il sergente Lattrice vuole parlare con me. Non disse che voleva interrogare Susan.» Ligon si ricompose, fece una specie di inchino cerimonioso all'indirizzo di tutti e uscì. Susan sbottò: «Ma G.M., l'anello!» «Dimenticatelo. E ora, sergente...» Ma sapendo il costo dell'anello, la giudiziosa natura di Susan non poté rassegnarsi a quella perdita. «L'ho chiuso io nella cassaforte. Ho girato io il disco.» G.M. annuì. «Va tutto bene. Ma l'abito di Ligon... Io non so davvero che cosa pensare. Sembra... Ebbene, Lattrice?» Fu un lungo colloquio. Alla fine di esso, parve a Susan di non aver fatto un passo avanti nel compito di identificare l'uomo che correva. Aveva solo detto a Lattrice che era sicura di averlo visto e che doveva averla seguita. Intanto, il buio si era fatto completo. G.M. aveva acceso le luci nella biblioteca quando Wilfred e Milly entrarono con un vassoio, facendo tintinnare bottiglie e bicchieri e il secchiello del ghiaccio. Lattrice ringraziò G.M. e Susan e partì. Non aveva l'aspetto di saperne più di quando era arrivato, ma era difficile capire quello che Lattrice pensava. Come attratta da una stessa calamita, tutta la tribù dei Clanser, quelli di loro che erano rimasti, si riunì, seguita da Ligon.
Si immersero nella loro solita occupazione ed erano già ottimamente avviati quando arrivò Greg. Non guardò Susan. I cani erano entrati con lui e si accucciarono con la loro aria di compiaciuta partecipazione. Mancava solo Bert Prowde e Wilfred ne spiegò la ragione. «Quel giovane Prowde era molto stanco e ha convinto Col a condurlo con la mia macchina alla locanda.» Col stava riempiendosi il bicchiere alla maniera esperta dei Clanser. «Io non capisco perché volete sposarlo, Dora. Non riuscirà mai a cavare un ragno dal buco. Non ha spina dorsale.» «Era un pugilatore di professione» disse Dora a voce bassa. Col si lasciò quasi cadere di mano la bottiglia. «Volete scherzare?» Dora si strinse con grazia nelle spalle. «Non sei obbligato a crederlo. Attento, stai versando il whisky sul tappeto.» Col raddrizzò la bottiglia, più preoccupato per il whisky che per il tappeto. «Davvero, Dora, vi comportate come se questo posto fosse vostro.» «Per nulla» ribatté Dora dolcemente. «Me ne è stata affidata soltanto la cura.» Milly intervenne. «Non litigate, io sono così stanca! È stato un bellissimo funerale, non è vero? Mi domando chi abbia mandato quel grande fascio di orchidee. Uno dei vostri amici, G.M.?» «Non ne ho idea» rispose asciutto G.M. «Non desidero parlare dei funerali di Rose, Milly.» Per la prima volta lei gli diede un'occhiata sorpresa e spaventata. Era chiaro che G.M. aveva usato raramente quel tono di voce metallico con lei. Fu presa da una grande agitazione, armeggiò inutilmente con le mani attorno al bicchiere facendoselo sgocciolare sull'ampio petto e disse: «Oh, no, certamente.» Ma poi si riprese un poco. «E ora per riguardo al povero Snell e a tutta la famiglia...» «Basta» le intimò G.M. Milly si fermò. Dora disse sommessamente: «Devo accendere il televisore?» «No» rispose G.M. sempre con la stessa voce imperiosa. Ligon aveva continuato a bere quietamente, ma si vedeva che rimuginava i suoi pensieri nell'ampia poltrona che sembrava avesse acquisito per contratto. «Io, proprio, vorrei sapere chi mi ha rubato il vestito.» «Rubato il vestito!» Milly strillò. Col e Wilfred spalancarono gli occhi. Lo sguardo di Dora si rannuvolò. «Ma com'è... com'è buffo!»
Milly fu presa da un convulso di risa. Col le diede una pacca sulla schiena che la fece tossire, ma non smettere di ridere. Ligon aggrottò la fronte. «Non vedo niente di divertente nel fatto che ci sia un ladro per casa.» Nemmeno Susan. Non le importava dell'abito di Ligon, ma era preoccupata per il bellissimo e costoso anello che aveva messo lei stessa nella cassaforte. Dora si incaricò di ricondurre l'ordine. «Finiscila, Milly. Vai a preparare la cena. Avete tutti bevuto abbastanza. Greg, per favore, portate via le bottiglie e chiudete a chiave la credenza.» Ma una volta ancora Milly fu velocissima. Si impadronì di una bottiglia e se la tenne stretta con aria di sfida contro il petto, ammantato di un abito color porpora. «Oh, cucinerò io la cena. Non ci sarebbe niente da mangiare in questa casa se non me ne occupassi io.» Scoppiò in una grande risata. «Non credo che sarebbe un gran piacere vedere quel pallone gonfiato di Ligon senza vestiti. Non posso fare a meno di trovarlo buffo!» Sta per esserci un nuovo delitto, pensò Susan, in allarme per la faccia congestionata di Ligon. Greg intervenne. «Va bene, Milly. Se volete essere assassinata anche voi, continuate ad agire così. Va benissimo.» Egli accennò tranquillamente a Ligon. «È soltanto ubriaca, di nuovo.» «Solo a metà. Cucina meglio quando è così, a ogni modo» disse Col, anche lui tranquillamente. «Ti aiuto, Milly.» «Tu non avrai questa.» Milly strinse la bottiglia. Greg prese freddamente il vassoio e uscì. Un altro litigio dei Clanser, un altro turno di bevute dei Clanser. Susan si domandò come avesse fatto G.M. a sopportarlo, anno dopo anno. La risposta era, naturalmente, che non lo aveva sopportato. Era andato a stabilirsi silenziosamente in un albergo. Dora sbottò: «Se devi tornare alla locanda, Ligon, tanto vale che tu ci vada subito e ceni là. Avrai una cena migliore di quella che ci preparerà Milly.» «Potresti darle una mano.» Ligon si alzò, tuttavia, con aria di offesa dignità. «Verrò a piedi con voi fino al cancello, Wilfred. Potrete telefonare di là perché mi mandino un tassì.» Uscì con passo deciso, seguito da Wilfred. Dora si scordò per un momento della sua pacata compostezza e rise. Era così irresistibile mentre rideva, che Susan si domandò se ci fosse un uomo sulla terra che potesse non cadere vittima di Dora e del suo fascino.
Ricordò, tuttavia, la minaccia di Dora, prossima al ricatto. Dora interruppe la sua musicale risata e si voltò verso G.M. «La polizia ha guardato davvero in tutti gli affari di Ligon? È possibile per chiunque sia in affari, non importa con quale successo, incappare in qualche momento critico di tanto in tanto.» Intendeva alludere a G.M.?, si chiese Susan. Era questo un velato promemoria a G.M. che c'erano stati dei tempi nel passato nei quali lui aveva avuto bisogno di contante, magari di una piccola somma, tanto bisogno che sarebbe potuto andare contro la legge per procurarsela? Se era un richiamo del genere, il viso di G.M. non lo dimostrò. Disse calmo che avrebbe gradito che Dora lo aiutasse al telefono dabbasso. «C'è una minaccia di sciopero a "gatto selvaggio" agli stabilimenti Manders Jig e Dye Works. Il direttore mi ha telefonato stamattina. Credo che faremmo bene a smussare le cose. Voi, Dora, siete molto brava, in questo.» Dora sorrise. «È così che ho conosciuto Bert» osservò con aria di sufficienza. «Vi ricordate? Non c'è niente come la diplomazia personale e, se devo dirlo, il saper fare. Io sono in grado di dare tutto questo. Non è vero, G.M.?» Non attese il grave cenno di affermazione di G.M., ma continuò: «Quel primo sciopero alla Jig e Dye ho dovuto vedermelo tutto da sola. Voi eravate in California, G.M. È, così che ho conosciuto il rappresentante del sindacato, che era Bert.» Sorrise con civetteria, guardando G.M. negli occhi. «Credo che riusciremo a sistemare questa faccenda prima che lo sciopero prenda veramente piede e dilaghi.» La Manders Jig e Dye Works, Susan lo sapeva, era la prima società che G.M. aveva acquistato in proprio. Il nome aveva un gioviale richiamo a una danza macabra, ma dalla corrispondenza che Susan stessa batteva a macchina aveva compreso che G.M. l'aveva comprata in un momento in cui si profilava all'orizzonte una forte richiesta di pezzi di ricambio. G.M. era già sul mercato per far fronte a tale richiesta al momento adatto e la piccola società era prosperata. Da allora G.M. aveva veleggiato con il vento in poppa fino a diventare una potenza. Ma era una potenza tenuta in sordina, dietro le quinte, pensò Susan, nulla che egli mettesse in evidenza, o a cui in effetti tenesse. Denaro pericoloso, aveva detto. G.M. seguì Dora attraverso il salone e giù nel seminterrato, nella stanza delle linee telefoniche. Susan si distese sulla poltrona, provando di nuovo, come le era tanto spesso accaduto a causa dei Clanser, la sensazione di essere travolta da un uragano. Se sposava G.M. non ci sarebbero più stati Clanser in quella splendida
casa. Con la morte di Rose, sarebbero stati tutti congedati. Non avevano più presa su G.M. Essendo però G.M. quello che era, non era improbabile che cercasse di non perderli completamente di vista. Non si sarebbe mai liberato dalla sensazione del suo debito verso Rose e di conseguenza verso la sua famiglia. Ma non c'era bisogno che se li tenesse fra i piedi. Quella bellissima casa, pensò di nuovo Susan, rilassandosi, nella relativa quiete della biblioteca. Passò molto tempo prima che si accorgesse di avere fissi su di sé gli occhi dei cani e del gatto. Si raddrizzò e guardò il piccolo gruppo in paziente attesa. Di cibo, questa volta. «Benissimo» disse. «Andiamo.» La seguirono, i cani saltellando, il gatto pacato e dignitoso ma deciso. In cucina Milly stava arrostendo delle bistecche alla griglia, mentre Col pelava delle patate. Nessuno dei due fece attenzione a lei. I cani divorarono come lupi il loro cibo, il gatto inghiottì con voracità. Quando ebbero terminato e Toby si fu seduto per pulirsi il muso, lei lo prese in braccio, con fastidio di lui, chiamò i cani e si mosse verso il vestibolo. Doveva portarli fuori. Non aveva paura dei Clanser, ma non voleva uscire sola. Si sedette sul sedile di marmo del vestibolo. Toby, lasciato libero, la guardò indignato e riprese vigorosamente a pulirsi. I cani, invece, rimasero fermi, in attesa, davanti alla porta. Alla fine si alzò e si avviò verso l'uscita, ma proprio allora Greg la chiamò dalle scale. «Aspettatemi Susan, vengo con voi. Fa più freddo. Vi occorre un soprabito o un pullover.» Conosceva tutti i meandri della casa e andò diritto verso un piccolo armadio a muro che si apriva fuori dall'atrio, nel sottoscala. Lei non lo aveva mai notato prima. Prese una giacca da uomo e gliel'accomodò sulle spalle. «Sono certo che a G.M. non importerà che mettiate la sua giacca.» Aprì la porta del vestibolo e i cani balzarono all'aperto. Toby li seguì. «Mi domando quando Col li ha portati fuori l'ultima volta» osservò Greg. «Sono davvero delle buone bestiole. Non hanno mai fatto del moto prima di adesso.» Lei si strinse la giacca attorno alle spalle. Le sembrò che le pieghe del soffice cashmere le facessero da scudo, come se lo stesso G.M. fosse là. Disse all'improvviso: «Greg, l'anello che abbiamo comprato per Dora è sparito.» Greg continuò a camminare. Era più tardi di quanto lei pensasse e molto buio, perché la notte era nuvolosa. Si lasciarono dietro la striscia di luce
proveniente dal vestibolo. I cani e il gatto erano spariti nell'ombra. Greg disse finalmente: «Lo sa G.M.?» «Sì. Sembra che non gli importi.» Proseguirono ancora per un tratto prima che Greg riprendesse a parlare dando voce agli stessi pensieri di Susan. «È denaro suo. Se non si cura lui di sapere dove l'anello è finito, a me non importa niente. Può darsi che importi a voi, invece.» Susan ignorò quelle parole. Proseguì nella sua spiegazione. «Ligon dice che c'è un ladro per casa. Accusa Bert Prowde. Dice che un suo abito è stato portato via dopo che lui lo aveva appeso nell'armadio della stanza dove Rose... la stanza con la cassaforte. Ha detto che la cassaforte era aperta, che ha guardato dentro e non c'era nulla.» «Una bella indiscrezione da parte sua. Però, se foste un Clanser e vedeste una cassaforte aperta o anche semichiusa, credo che vi sarebbe impossibile resistere all'impulso di guardarci dentro.» Susan annuì senza parlare. I Clanser altro non erano che dei curiosi incorreggibili. Proseguirono il loro cammino e dopo un poco Greg ripeté: «È denaro di G.M. Una perdita sua. Può permettersela. Può avere una ragione per non prendere molto sul serio la perdita dell'anello. Una moglie non può essere citata a testimoniare contro il marito.» «Una moglie!» Lei si fermò per fissarlo negli occhi, che però il buio velava. Poteva solo indovinare una specie di rabbia nel suo sguardo. «Che cosa intendete con questo? Dora?» «Forse.» «Ma ha detto che non vuole sposarla. E inoltre... voi non capite.» Egli le prese un braccio e la voltò in modo che lo guardasse in viso. «Volete dire che state per sposarlo voi, vero?» «È forse affar vostro?» «Come no, lo è certamente. Oh, per essere giusto verso G.M., devo dire che si fa da solo costumi e qualche volta leggi. Se gli pare che non sia troppo presto per sposarsi di nuovo dopo la morte di Rose, segue quello che sente. E d'altra parte è vero che Rose non è stata sua moglie per molto tempo. È soltanto questione di onestà ammetterlo. Siete sicura di amarlo abbastanza da sposarlo?» «Greg, come fate a saperlo? Come lo avete indovinato? Avete detto che volevate farmi le vostre congratulazioni.» «Come avrei potuto non indovinarlo! Ho degli occhi. E poi conosco G.M. Ha qualcosa che alle donne piace. Magnetismo, o altro. Per essere
onesto di nuovo, non sono solo la sua potenza e il suo denaro che contano.» Lei disse debolmente: «Nulla è ancora stabilito.» Egli rise. «Tentate di essere evasiva. Non fatelo.» «Non lo sono» scattò lei irritata, ma sapeva che stava facendo del suo meglio per eludere la domanda di lui e la propria incertezza. Se fosse stata appena un po' ragionevole, avrebbe accolto con salti di gioia la fortuna che G.M. le offriva. Greg riprese: «Vi darà tutto quello che una donna può desiderare in fatto di lusso: gioielli, pellicce, case fastose. Ha il denaro per farlo.» «Mi ha detto che non devo pensare a simili cose, mi ha detto che potrebbe non essere un buon marito e che ci sono dei momenti nei quali è così preso dal lavoro che potrebbe non far più molta attenzione nemmeno a me.» «Naturalmente voi avrete risposto che non v'importa.» «Non lo so... non so proprio che cosa ho detto. È stato tutto...» «Così inaspettato!» finì Greg ironicamente. Poi esplose: «Buon Dio! Veramente il più diabolico, astuto serpente velenoso che sia mai stato messo al mondo.» «Chi sta parlando di serpenti?» domandò G.M. arrivando dietro di loro e, mentre essi si voltavano, emerse indistintamente dal buio, alto, snello, ridendo gentilmente. «Non ci sono serpenti velenosi in questa parte del mondo, Greg. O, almeno, c'è solo il genere umano, con il quale noi sappiamo come trattare.» Con gesto possessivo, circondò con il braccio le spalle di Susan e le strinse attorno, un poco di più, la giacca. «Avete la mia giacca. Bene. Stasera il freddo si fa sentire. Passeggiamo un poco. Greg, credo che la cena sia pronta.» «Oh, vengo con voi, se non vi do fastidio» disse Greg con freddo garbo. G.M. rise soltanto. «Non sopportate Milly? O Col?» «Non sopporto nessuno di loro, se volete saperlo» rispose Greg con sincerità. «Nemmeno io» fece G.M. bonariamente, tenendo stretta Susan. «Ma d'altronde non ne avrò ancora per molto. Non appena la polizia si sarà data da fare...» «Si sono dati molto da fare» ribatté Greg. Stranamente, sembrò a Susan che nelle parole di Greg o nella sua voce ci fosse qualche significato che G.M. aveva afferrato e compreso, ma che a lei era rimasto oscuro. Continuarono la passeggiata, tutti e tre quietamente,
nel silenzio rotto soltanto dal rumore dei loro passi. Poi G.M. domandò: «Credete che la polizia arriverà presto a dei risultati?» «È probabile» rispose Greg. La stretta di G.M. attorno al braccio di Susan si fece più forte. La fece girare indietro. «Torniamo a casa.» 19 Milly era scomparsa. Dora sedeva in una delle maestose poltrone del salone, come una bellissima regina, conscia di sé e del suo reame. Anche Wilfred doveva essersene andato. «C'è ancora qualcosa da mangiare» disse Dora amabilmente. «Dovete mangiare, G.M. Anche voi, Greg. Non posso dire che assomigli molto a un pasto quello che c'è. Proprio, G.M., la vostra prevenzione contro i domestici fissi, qui, è assurda.» G.M. scrollò le spalle, mentre toglieva la giacca a Susan. Dora guardò la giacca e Susan, e solo per un secondo i suoi occhi scuri si annebbiarono. «Sono affamato!» esclamò Greg e andò nella sala da pranzo. Susan, G.M. e Dora lo seguirono. Dora servì G.M. da piatti che dovevano essere stati tenuti in caldo. Greg commentò: «State diventando una vera donna di casa, Dora. Avete messo davvero le pietanze in caldo in quel bellissimo scaldavivande della cucina.» «Si capisce» replicò Dora con sorprendente cordialità. «G.M., ho sistemato la faccenda dello sciopero.» «Bene» rispose G.M. «Volevo solo fermarlo prima che si estendesse. Prendiamo una bottiglia di vino. Posso sopportare la cucina di Milly, ma non completamente.» Greg andò a prendere una bottiglia di vino. G.M. la stappò, ne versò un poco in uno dei bicchieri che Dora aveva portato dalla cucina, lo assaggiò, fece un gesto di approvazione e riempì gli altri bicchieri. Era un po' come il loro spuntino di mezzogiorno, pensò Susan, e tuttavia non era affatto la stessa cosa. A mezzogiorno erano soli, lei e G.M. Era stato un felice pranzetto. Forse, pensò lei modestamente, G.M. l'aveva blandita e lusingata, ma lo aveva fatto con tanta accortezza, così gentilmente, che lei si era sentita soltanto riscaldata e protetta. Era sorprendente che il fiuto di Wilfred per l'alcol non lo richiamasse dal cancello. Susan si aspettava di vederlo apparire con la lingua penzolante,
quando G.M. alzò il bicchiere. Milly, non c'era da meravigliarsi, non comparve. Stava certamente tracannando fino in fondo la bottiglia che era riuscita a ghermire prima della cena. Il vino li rianimò e creò anche una certa amicizia fra Dora e Susan. Senza parlarne, le due donne sparecchiarono insieme la tavola e riordinarono la cucina. Greg e G.M. erano scomparsi quando Susan e Dora tornarono. Dora si guardò le mani bianche. «Una cosa ho promesso a me stessa: di non lavare piatti.» Le sue belle mani non portavano, ovviamente, il bellissimo anello di zaffiri. «Buon per voi» mormorò Susan piuttosto confusamente. Il vino le aveva dato un poco alla testa. Si disse che stava diventando una candidata a far parte della tribù dei Clanser e salì le scale piuttosto malferma sulle gambe. Dora la seguì, facendo scorrere la mano, senza anello, lungo il velluto rosso della balaustrata. Al termine delle scale, disse annebbiata, fissando il vuoto: «Ora vedete il genere di cose che sono in grado di fare per G.M. Ho scongiurato quello sciopero. So maneggiare tutte le fila. G.M. ha bisogno di me.» Susan annuì. Non era altro che la verità. Era anche verosimile che se qualche cadavere fosse stato sepolto durante la carriera fantastica di G.M., Dora ne sapesse il luogo. Poi il pensiero della morte di Rose e di Snell diede a quel comune modo di dire un significato pauroso e letterale che in effetti in quel caso non era appropriato. Disse un affrettato "Buonanotte" e mise la spranga alla porta. La casa sembrava molto quieta. G.M. e Greg erano probabilmente nella stanza del seminterrato, indaffarati intorno alle linee rosse. Esitò prima di spegnere la lampada, poi cedette al codardo impulso di lasciarla accesa. Si girò su un fianco, e si addormentò, cullata dallo stormire degli alberi all'aria fredda della notte e sognando, in una specie di dormiveglia, il magico mondo che le si apriva davanti con G.M. Il giorno seguente fu simile a un qualsiasi giorno nell'ufficio di città. G.M. e Dora lavorarono nella stanza del seminterrato, G.M. a dettare e Dora a scrivere a macchina. Greg passò la maggior parte del tempo con loro, benché facesse una scappata, Susan suppose, a Medbury Hills, con un fascio di lettere in mano. Milly gironzolò là attorno, Col rimase al cancello. Wilfred non si fece vedere per nulla. E nemmeno Bert Prowde e Ligon. Non venne nemmeno la polizia e nemmeno Lattrice, o almeno Susan
non aveva visto nessuno. Aiutò Milly a cucinare il pranzo e le disse il vero quando asserì di non sapere dove fosse la chiave del credenzino dei liquori o della cantina. Milly mise il broncio. A tavola, Greg cominciò a parlare di chiavi. Quante chiavi c'erano del cancello posteriore? Dora disse che non poteva ricordarselo. Non sembrava importante. O Col o Wilfred erano al cancello di continuo. Nessuno era in grado di entrare nella casa senza che se ne accorgessero. «Ma qualcuno è venuto» osservò Greg. Dora si offese. «Veramente, Greg, questa non è stata una svista. È chiaro che Col e Wilfred dovevano avere le chiavi, per entrare in casa a fare le pulizie. Lo sapete. Rose aveva una chiave. Io ho una chiave. G.M. ha una chiave.» «Troppe dannate chiavi» commentò Greg. Il fatto, ovviamente, era che tutti quelli che erano entrati nella casa avevano avuto la possibilità di impossessarsi di un duplicato. G.M. e Dora tornarono al lavoro, G.M. con l'aria di scusarsi con Susan. «Ho lasciato che si accumulasse del lavoro e c'è qualcosa che non può attendere. Ve la caverete a passare il pomeriggio sola?» Susan annuì ed egli tornò nel seminterrato con Dora. Era nello stile di G.M. riuscire a concentrarsi negli affari anche in un simile momento. Il ticchettio della macchina di Dora riprese. Fu un lungo pomeriggio, stranamente quieto. Susan ne passò la maggior parte in biblioteca. Uscì solo per portare i cani a fare una corsa attorno alla casa, come al mattino. Era un giorno d'autunno bellissimo, appena velato da una leggera foschia. I cani corsero e giocarono, poi ritornarono in casa con lei. Il rituale della sera ebbe inizio. Non era proprio come al solito, poiché c'era solo Milly a compiere delle reali incursioni a danno delle scorte di whisky. Nulla accadde. Non vi fu quasi conversazione a tavola, quella sera. Dopo cena, tuttavia, G.M. propose a Susan di andare con lui a portar fuori i cani. «Ho bisogno d'aria» disse. Lei si accorse della fissità dello sguardo di Dora quando G.M. le avvolse di nuovo attorno alle spalle la sua giacca. Uscirono. G.M. tenne la porta aperta per lasciar passare lei, i cani e il gatto. Ma nell'ombra dei pini G.M. le diede l'anello di zaffiri. Lo fece direttamente e semplicemente, prendendole la mano, frugandosi in tasca e infilandoglielo al dito. «Così» disse. «Ciò sistema tutto.»
«Ma era sparito. Qualcuno lo aveva preso.» «Lo avevo preso io.» «Pensavo Dora.» Egli rise appena. «Non vi piace?» «È bellissimo. Ma avete detto che Dora...» «Metterò a posto le cose con Dora. Gliene comprerò un altro.» Greg arrivò, camminando svelto dietro di loro. «Oh, siete voi» disse. «Voglio fare una passeggiatina prima di andare a letto.» «Bene» commentò G.M., ma non troppo cordialmente. Si spinsero fino al cancello, dove Wilfred li salutò, probabilmente per mostrare a G.M. che era al suo posto di lavoro e che i cancelli erano chiusi. Chiamarono i cani e tornarono in casa. Nessuno si accorse che mancava il gatto. Greg vide subito l'anello al dito di Susan. Non disse nulla. Se ne andò soltanto, e lo fece in un modo che avrebbe potuto significare un addio per sempre. Anche Dora vide l'anello. Era arrivata dal salone con gli occhi spiritati. «Ho telefonato a Bert. Ha malmenato Ligon. Ligon lo accusava di avergli sottratto un abito. Bert ha perso la testa e ha lasciato andare un pugno in un occhio a Ligon. Poi si è reso conto di quello che aveva fatto e altrettanto Ligon. Ligon lo ha minacciato di farlo arrestare, poi si sono messi d'accordo... indovinate come? Giocando a ramino tutto il giorno. Ecco dove sono stati. Ligon si è sempre creduto bravo a giocare a carte, sebbene sia cauto. Ma Bert ha più esperienza. Credo che Bert sia realmente un giocatore nato. A ogni modo ha vinto a Ligon...» I suoi occhi vivaci e ridenti si erano spostati su Susan e così vide l'anello. Rimase immobile come una statua. Il suo viso sembrava di pietra. G.M. disse giovialmente: «Abbiamo passato una giornata faticosa. Buonanotte, Susan.» La sensazione di Susan fu che egli sottolineasse di proposito il fatto che lei aveva al dito l'anello. La prese fra le braccia, la baciò sotto gli occhi di Dora e salì le scale. Dora non si mosse. Greg era scomparso. Susan lasciò cadere la giacca di G.M. sopra una sedia e salì lei pure al piano superiore. Dora era ancora là, immobile a guardarla. Susan accese la luce nella sua camera e fece scorrere il catenaccio nella porta. Poi si sedette e rimase seduta a lungo a guardare l'anello. Era un meraviglioso vincolo. Cominciò a sentirsi come se fosse legata, sigillata e pronta per la consegna, ma non ancora consegnata. Consegnata a che cosa? A un ragionevole evento. Ragionevole, certamente.
Si spogliò, alla fine, e si coricò. Le parve di aver impiegato delle ore ad addormentarsi. Doveva essere caduta in un sonno inspiegabilmente disturbato, quando un grido rauco, rabbioso e spaventato al tempo stesso la svegliò di colpo. Si drizzò a sedere sul letto, mentre il grido si ripeteva. Aveva un timbro stranamente inumano, ma era disperato. Il gatto! Era sotto la sua finestra. Doveva essere là. Il grido fu soffocato, ma riprese di nuovo. Toby doveva essere incappato in qualche trappola messa là per catturare qualche animale selvatico. Susan balzò dal letto, afferrò la vestaglia e tolse il catenaccio dalla porta. Mentre si accingeva a scendere, l'istinto di conservazione la fermò: non voleva spingersi fuori, sola, nel cuore della notte. Non le sovvenne che Greg aveva l'aria di non voler più vederla. Sapeva che stanza occupava e la raggiunse a tastoni, aprì la porta e lo chiamò in un sussurro. Greg apparve, dopo aver acceso la luce, con i capelli arruffati, in pigiama. «Che cosa succede?» «Il gatto. È fuori. Oh, Greg, è finito in qualche trappola o qualcosa del genere. Sta male.» Egli si infilò un soprabito che era stato gettato su una sedia. «Va bene, ci penso io.» «Vengo con voi.» Greg non la udì, o almeno non replicò, ma corse giù dalle scale davanti a lei. Susan lo seguì. Greg corse attraverso l'atrio, poi accese la luce del vestibolo. I cani erano là e dormivano. Belle saltò su e agitò la coda, felice di quell'arrivo di amici. Beau, invece, andò alla porta, annusando e mandando un leggero latrato. Greg spalancò la porta e si avviò lungo il viale, ma Susan lo fermò. «No, è proprio sotto la mia finestra. Così mi è sembrato, almeno. Di qui.» Costeggiò la casa di corsa fin dove il muro finiva. Le luci provenienti dalla sua camera illuminavano una zona d'erba. Non vide il gatto. Lo chiamò: «Toby, Toby!» e si voltò per parlare a Greg. Greg non era là. Non c'era altro che buio fuori della zona di luce proiettata dalla finestra della sua camera sul prato e nulla che si muovesse. Corse via attorno al retro della casa e raggiunse il viale. Improvvisamente sentì sotto i piedi il freddo del cemento. C'era una luce diffusa che proveniva dal vestibolo. Corse in quella direzione, inciampò in un ostacolo, cadde sulle ginocchia e capì che Greg era là disteso. «Greg!» Tastò a caso nel buio. Doveva fare qualcosa, dirlo a qualcuno, chiamare
aiuto. Si rimise in piedi e in quel mentre udì come un tuono, vide una furiosa esplosione di stelle e si sentì crollare in un mucchio. Poi le stelle, il tuono, tutto svanì e le fu tolto anche il respiro da solide mani. Qualcuno cominciò a scuoterla. Una donna chiedeva aiuto, chiamava Wilfred. Una voce gridava nel vuoto e nel buio che circondava Susan. «Wilfred! Aiuto! Wilfred!» Era Dora. Erano le mani di Dora che le cercavano il polso, le mani di Dora che la tenevano, la voce di Dora che le parlava. «Non muovetevi. Sta arrivando Wilfred. Lo sento.» Susan riusciva a udire un rumore di passi lungo il viale. Doveva essere Wilfred. Tentò di parlare e sentì la propria voce bisbigliare: «Greg...» «Credo che stia bene. Steso a terra, ma non colpito seriamente. Wilfred andrà a chiedere aiuto.» Greg mormorò qualcosa, si sedette e si portò le mani alla testa. «Dio!» disse. Un'ondata di vita sommerse Susan. Greg era vivo! «Chi mi ha colpito?» domandò Greg. «Siete voi. Dora? Dov'è Susan? Dov'è...» «Sono qui, Greg» la voce di Susan non era che un sussurro. Sentiva alla gola un lancinante dolore. «Qualcuno...» disse ancora Greg, mentre si metteva in piedi. Wilfred li raggiunse trafelato. «Tornate al cancello, Wilfred!» ordinò Greg. «Tenete pronto il fucile e usatelo. Ma lasciate entrare la polizia. La chiamo subito. Avanti, Dora, portiamo Susan in casa.» Fu principalmente Dora che aiutò Susan a rimettersi in piedi e a camminare fin nel vestibolo. Toby entrò come un proiettile dietro di loro. Era un Toby in preda a una furia scatenata, un Toby che aveva combattuto. Aveva gli occhi iniettati di sangue, e la coda che sferzava l'aria rabbiosamente. A Susan balenò il pensiero che le sue unghie fossero rosse di sangue. Cercò di spiegare che lo aveva udito lamentarsi, gridare come se avesse avuto bisogno d'aiuto. «Non parlate» le disse Dora. «Venite nel salone. Avete la gola... Vado a prendere del ghiaccio e degli asciugamani.» Manovrò in modo da condurre Susan verso una poltrona, poi corse in cucina. Ritornò con una grossa bacinella piena di cubetti di ghiaccio e degli asciugamani. Susan udiva la voce di Greg parlare al telefono nella biblioteca. «Lattrice? L'abbiamo preso, credo. Deve essere stato qui. Ha tentato di ucciderla proprio ora. Oh, avete avuto tutte quelle prove? Bene, allora... Sì, difilato.»
Dora mise delicatamente una mano sotto il mento di Susan, le rovesciò leggermente la testa all'indietro e cominciò ad applicarle degli asciugamani freddi sulla gola. «Mi avete salvato la vita» mormorò Susan. «Sì, credo di sì» disse Dora come constatando un fatto. «Siete riuscito a parlare con la polizia, Greg?» Greg arrivava correndo dalla biblioteca. «Stanno venendo. Hanno avuto le prove. Non vi piacerà, Dora.» Dora gli rivolse uno sguardo lungo e fisso. Ancora una volta Susan percepì che l'agile mente di Dora stava galoppando. «Allora è così» disse alla fine. «Ma io non ne vedo il perché.» Greg non rispose. Si sedette accanto a Susan e lei lo guardò per convincersi che era là, vivo. Non indenne, però, perché lo vide prendere un asciugamani bagnato e premerselo contro la nuca. «Devo avere un bernoccolo grosso come un uovo.» Si tastò la testa e fece una smorfia. Milly gridò dalle scale: «Che cosa sta succedendo lì giù?» Nessuna risposta. Susan cercò con una mano la mano di Greg per convincersi che era là. Lui gliela strinse. Dora lo notò, accennò appena a sorridere, mentre continuava a immergere gli asciugamani nella bacinella dove i cubetti di ghiaccio si stavano sciogliendo. Era una strana messinscena, da incubo. Susan sussurrò: «Il gatto gridava. Doveva essersi fatto male. Io pensavo che fosse stato preso in una trappola.» «Era una trappola per voi» disse Greg. Milly comparve nel vano della porta e rimase là con gli occhi sgranati. Toby fece udire un miagolio. Susan lo intravide sotto una sedia, il pelo ancora dritto, la coda enorme, gli occhi rossi che mandavano lampi. Quando lei lo guardò, miagolò ancora, poi soffiò velenosamente. Milly lo udì, lo vide e si tirò indietro. «Quel terribile gatto! Sembra che stia per attaccarmi.» «Non voi» disse Greg brevemente. «Ma che cosa è accaduto? Che cosa fate qui? Che cos'ha Susan alla gola?» «Oh, sta' zitta, Milly!» disse Dora. Poi si addolcì e spiegò: «Susan ha udito miagolare il gatto, che sembrava essersi fatto male e si lamentava. Ha svegliato Greg, credo. Almeno, li ho visti uscire dalla stanza di Greg e scendere le scale. Ho atteso un momento, ho infilato qualcosa e sono scesa anch'io. Greg era stato colpito. Susan altrettanto. Così, siediti, Milly, e sta'
quieta.» «Vuoi dire che l'assassino...» «Taci» ripeté Dora con tale determinazione che Milly si pose una mano sulla bocca e si abbandonò sulla sedia. Toby lo prese come un insulto e soffiò di nuovo nella sua direzione. «Ma che succede...» disse G.M. dalle scale. Attraversò l'atrio ed entrò nella stanza. Aveva i capelli pettinati e una sciarpa sotto la vestaglia beige di taglio perfetto. «Che cosa sta succedendo?» «Lo udrete fra un minuto, G.M.» rispose Greg. «Sta per arrivare la polizia.» «Credo che sia meglio che me lo spieghiate ora» replicò G.M. nel suo freddo tono di comando. Chiunque avesse attaccato il gatto, doveva avere dei graffi nelle mani, pensò vagamente Susan. Toby era ovviamente un gatto battagliero. Senza una seria intenzione, guardò le mani grasse di Milly, le belle mani di Dora che la stavano curando, guardò G.M., che aveva le mani infilate nelle tasche. Non c'era indifferenza sul suo viso. «Ditemi, Greg.» Milly strepitò. «Qualcuno ha tentato di ucciderla. Ecco che cosa vuol dire Dora. E qualcuno ha tentato di uccidere Greg.» Greg la fermò con un debole guizzo del suo naturale umorismo nella voce: «Ho un cranio duro. Fortunatamente. Ma non credo che il colpo fosse destinato a me. Senz'altro a Susan.» «Proseguite» disse G.M. con voce dura e imperiosa, quella voce che sapeva tuttavia essere anche morbida e persuasiva. Greg rispose, altrettanto fermo e deciso: «Lattrice vi spiegherà. Sta arrivando.» «È qui» intervenne Dora, sempre in ginocchio accanto alla bacinella del ghiaccio, sedendosi sui calcagni. Lattrice era là. Doveva essersi aspettato che qualcosa accadesse, pensò Susan confusamente. Non sarebbe potuto arrivare così presto, altrimenti. Ma allora perché non aveva impedito quello che era accaduto? Mancanza di prove? Se non fosse stato per Dora, lei, Susan Beach, avrebbe fornito una prova fin troppo convincente. Qualcuno aprì la porta del vestibolo. Lattrice doveva essersi portato dietro la polizia di Medbury Hills o la polizia di Stato, o entrambe, perché lo udì dare concitatamente degli ordini. Dovevano rastrellare tutto il posto. Dovevano sorvegliare i cancelli. Dovevano usare la forza se necessario. Significava usare le armi, pensò Susan.
Perché, allora, se si aspettava un attacco mortale contro di lei, Lattrice aveva atteso tanto a intervenire? Lattrice lo spiegò subito. Entrò, guardò Greg e disse: «Avevate ragione. Abbiamo avuto, alla fine, tutte le prove che ci occorrevano. O almeno gran parte. Abbiamo dovuto mandare qualche telegramma, vincere delle resistenze, attendere per arrivare ad avere il rapporto sull'elicottero e altre cose, e colmare altri vuoti. Ci eravamo preparati a lavorare tutta la notte, quando ci è arrivata la vostra telefonata. Ma abbiamo trovato proprio quello che pensavate. E credo che abbiamo individuato l'uomo che correva. C'è voluto un po' di tempo.» Si volse verso G.M. «Il suo nome è John Nelson o, almeno, si è servito di questo nome da quando è stato sorpreso a compiere delle malversazioni. Era facile ingaggiarlo. Bastava la minaccia di denunciarlo alla polizia e mandarlo in prigione. Doveva fare quello che gli dicevano. È in grado di pilotare un elicottero. Dopo essere stato licenziato, ha preso lezioni di pilotaggio e si è guadagnato la vita facendo fare qualche volo ai turisti.» G.M. disse: «Credo che farete meglio a spiegarvi.» «Come no» acconsentì Lattrice educatamente. «Ma il vostro giovanotto, qui, Greg, mi ha dato l'informazione che ci occorreva.» Greg osservò modestamente: «Non io. Mia zia Lalie. E il gatto.» 20 Gli occhi di G.M. cominciavano a mandare lampi. Milly si era appoggiata allo schienale della poltrona, respirando affannosamente. Wilfred entrò, diede uno sguardo spaventato attorno e disse, senza rivolgersi a nessuno in particolare, che sperava che sarebbe stato tutto a posto con la polizia se si fosse trovato nella necessità di sparare. Lattrice gli fece un rapido cenno affermativo. Fu un cenno così deciso, che Wilfred tornò via rapidamente. Lattrice si avvicinò a Susan e le piegò un poco il capo indietro, gentilmente come aveva fatto Dora. Dopo averle scrutato la gola, disse: «Siete una ragazza fortunata.» La faccia di Greg si infiammò per la collera. «Dovevate essere qui! Dovevate stare di guardia qui!» «Sì» disse Lattrice. «Avrei dovuto capirlo, ma non l'ho capito. In realtà, siamo stati sotto pressione tutto il giorno ieri e oggi per avere le prove che ci occorrevano. Ma le abbiamo, finalmente. Ci manca un documento, e io comincio a dubitare che esista. Se non esiste, c'è una ragione che spiega
l'uccisione di vostra moglie, signor Manders.» «Proseguite» sbottò G.M. Ma Lattrice si voltò verso Dora. «Perché avete divorziato da vostro marito?» «Perché non andavamo d'accordo. È mio marito che ha ottenuto il divorzio. Aveva il tempo di occuparsene. Io lavoravo per il signor Manders e non potevo concedermelo.» «Avete un documento che comprova il vostro divorzio?» Gli occhi di Dora si offuscarono, ma il suo alacre cervello lavorò rapidamente: «Non mi sono mai soffermata a pensarci. E così era questo?» Lattrice fece di sì col capo. «È un possibile motivo, certamente. Voleva che sposaste il signor Manders, vero?» Greg disse improvvisamente: «Dovevo immaginarlo! Dovevo capirlo quando Susan mi ha confidato di avergli sentito dire che se Dora non avesse sposato G.M., lui l'avrebbe avuta ancora sulle spalle. Dora, non c'è stato nessun divorzio.» «Un momento» disse Dora «un momento. No, non ho nessun documento. Gli ho creduto. So bene che voleva che sposassi G.M.» «Cioè, voleva rendermi perseguibile per bigamia e farmi condannare. È così, Lattrice?» precisò G.M. «Temo proprio di sì, signor Manders.» «Ma che cosa poteva volere? Non denaro.» G.M. guardò Dora. «È molto ambizioso» disse lei con voce atona. G.M. parlò lentamente. «Può aver pensato che una simile minaccia mi avrebbe indotto ad aiutarlo nel realizzare i suoi sogni di potenza?» Dora annuì. «Avrebbe potuto pensarlo. Ha parlato di presentarsi candidato al Congresso. Voi siete in grado di renderlo potente.» Con gesto inaspettato, G.M. si avvicinò a Dora, ancora inginocchiata accanto alla bacinella del ghiaccio, e le pose una mano sul capo. «Voi non potevate saperlo.» La sua mano non portava graffi. Susan si vergognò del suo momentaneo sospetto. Dora trasse un lungo sospiro. «Io credevo che avesse ottenuto il divorzio. Non gliel'ho mai domandato. Ero così contenta di essermi liberata di lui! Oh, aveva successo, in un certo modo. Tortuoso. Già, deve aver aspettato con pazienza fin da quando mi ha detto che eravamo divorziati, sperando...» Milly ebbe un singulto. «Aspettando che G.M. potesse sposarti. Questo
per quanto ti riguarda. Ma come è riuscito, Ligon, a far venire qui Rose?» Lattrice disse pacatamente: «C'erano molti modi. Il più verosimile è che le abbia detto che Col e Wilfred erano in qualche guaio.» Milly ci pensò sopra, poi annuì con forza: «Sì, Rose sarebbe venuta per aiutare chiunque della sua famiglia. Ma lei deve avergli detto che sarei stata qui io.» «Oh, sì» disse Lattrice. «Anche questo è possibile. Doveva stare attento a far bene le cose. Ha pensato che l'elicottero sarebbe arrivato qui molto prima dell'auto. È possibile che abbia colto l'occasione per fare di voi, signorina Clanser, il capro espiatorio.» «Di me!» gemette Milly. «È un uomo crudele.» Dora pronunciò la frase lentamente. «È nel suo carattere ricattare un povero infelice che si trovi nei guai. Come quel Nelson.» «Era cassiere in una banca di proprietà di vostro marito» spiegò Lattrice. «Va bene un cassiere. È da Ligon lasciarlo libero, ma tenerlo per i capelli per servirsene in caso di bisogno. Così il cassiere era l'uomo che correva, non è vero? Ha portato qui Ligon in elicottero?» «Lo pensiamo» rispose Lattrice brevemente. «Crediamo che Ligon sia andato nel vostro appartamento, signor Manders. Deve essersi seduto su una sedia vicino alla porta dove, più tardi, si è seduta la signorina Beach, coprendosi dei peli del gatto. Solo qualcuno che conosceva bene, poteva indurre la signora Manders a venire qui. Una volta qui e nella stanza della cassaforte dove c'era la rivoltella, e lui aveva certo avuto innumerevoli occasioni di apprenderlo, le ha sparato. Credo che gli sia stato abbastanza facile farle salire le scale e farla entrare in quella stanza: tutto quello che gli rimaneva da compiere era di impossessarsi della pistola e chiamarla. Ma non possiamo essere sicuri di questo particolare finché non prendiamo l'assassino e lo facciamo confessare... se è possibile.» «Non è possibile. Non con uno come Ligon» disse Dora con il viso che sembrava di nuovo impietrito. «L'uomo che correva ha intuito che Ligon aveva ucciso Rose. È corso indietro anche Ligon verso l'elicottero, e il cassiere, John Nelson, lo ha seguito.» G.M. continuò l'esposizione, andando a intuito. «Snell, probabilmente, ha pensato a un piccolo ricatto che lo mettesse al sicuro per il resto della sua vita. Suppongo che Ligon avesse sistemato le cose in modo da incontrarlo su quella strada.» Lattrice confermò. «Crediamo che sia così. Ligon poteva andare e venire
a suo piacimento a Medbury Hills. Snell sapeva solo quello che Ligon gli aveva detto. Ligon deve aver trovato qualche scusa per usare l'elicottero, probabilmente ha dato del denaro a Snell. Snell, per debito di riconoscenza, si è preso una bella sbornia, come Ligon deve aver previsto. Quando avremo preso John Nelson, avremo maggiori prove.» «Ligon è andato dentro e fuori dai cancelli almeno una volta» osservò Greg. «Forse molte volte, certamente stanotte. Tutto quello che doveva fare era di mettere una bottiglia di liquore dove Wilfred poteva vederla. Ligon poteva documentarsi con facilità sul funzionamento degli impulsi elettrici che manovrano i cancelli. Sapeva anche dov'erano tenuti i duplicati delle chiavi del cancello posteriore. Poteva averne preso uno e andare e venire attraverso i boschi. A pedinare Susan a New York ha mandato il giovane cassiere, il malversatore, l'uomo che correva. Ligon ha preso la chiave di Susan, ha fatto in modo di incontrare Nelson a Medbury Hills. Nelson era ancora atterrito dalla minaccia che Ligon gli teneva sospesa sulla testa. Non poteva provare che Ligon aveva ucciso Rose. Ma Snell sapeva troppo. Lo abbiamo sempre pensato. Snell aveva capito che Ligon aveva avuto mano nell'uccisione di Rose.» Lattrice intervenne pacatamente: «Abbiamo trovato dei peli del vostro gatto sul vestito scuro di Ligon Clanser. Fra parentesi, quell'abito lo avevo prelevato io, ieri pomeriggio, mentre Greg tratteneva Ligon fuori all'aperto. Ieri mattina, ai funerali, la zia di Greg aveva notato tutti quei peli sull'abito di Ligon e Greg sapeva che la poltroncina vicino alla porta nel vostro appartamento, signor Manders, ne era piena. Ne era pieno anche l'abito di Ligon, dietro. Abbiamo cominciato a spedire dei cablogrammi per far compiere una più ampia indagine sui suoi affari. Devo dire che anche prima lo avevamo tutt'altro che prosciolto dai sospetti, benché la prima indagine lo mostrasse un rispettato uomo d'affari.» «Lui voleva di più» disse Dora. «Voleva diventare un uomo potente, e G.M. era in grado di renderlo potente. G.M. poteva portarlo... Oh, a tutto, quasi. Fargli vincere un'elezione, forse. Più tardi avrebbe mirato più in alto. Pensava di poter avere voi, G.M., nelle mani, come quel povero cassiere.» Milly aveva ascoltato a bocca aperta. «Ma perché avrebbe tentato di uccidere Susan? Perché avrebbe messo quello spaventoso giovanotto, quel malversatore, alle calcagna di Susan? Perché...» Le rispose G.M.: «Perché in effetti c'erano due uomini che correvano. Ligon doveva essere molto più avanti di Nelson, così Susan non lo ha vi-
sto. Ma lui non poteva esserne sicuro. No, credeva che Susan avesse visto lui. E sapeva anche che la polizia non si sarebbe mai arresa. Presto o tardi, esaminando minutamente la sua contabilità, avrebbe scoperto, come infatti è avvenuto, le appropriazioni indebite di Nelson e il fatto che Ligon s'industriava a tenerle segrete. Quando hanno trovato Nelson, Ligon ha capito che lo avrebbe accusato. Solo il tempo e le circostanze, credo, hanno salvato John Nelson finora. Ma proprio adesso Susan era il suo maggior pericolo.» «Dopo aver ucciso Rose» disse Dora «poteva uccidere ancora. Come ha fatto.» Ci fu un silenzio nella stanza. Un uomo, fuori, aveva gridato, e un altro gli aveva risposto. G.M. guardò gravemente Susan, ancora aggrappata alla mano di Greg. Lei ricordò improvvisamente qualcosa che G.M. le aveva detto durante il loro pranzetto a due, sebbene G.M. non fosse mai incauto, mai disattento. Aveva detto (troppo casualmente o troppo di proposito) che poteva star lontano da casa e che allora Greg le avrebbe fatto da accompagnatore, l'avrebbe portata a pranzo. Si ricordò del suo rifiuto, troppo immediato, troppo rivelatore. G.M. lo aveva notato, a lui non sarebbe mai sfuggito, così come non gli sfuggiva ora il suo modo di aggrapparsi a Greg. Una strana espressione gli guizzò sul viso. Non era di decisione o indecisione. Cercò la parola adatta e la trovò: era un'espressione filosofica, lo sguardo di un uomo che sa vincere e che sa anche perdere. Per quanto sincera fosse stata la sua proposta di sposarla e presa a mente lucida, non era certo uomo da accontentarsi di un amore non ricambiato. Non G.M. «Oh, sì, Ligon diceva che dovevo sposare G.M. Voglio dire la verità. Io ho sempre desiderato sposare G.M., ma lui non vuole sposare me» dichiarò recisamente Dora. «Così dimenticherò tutto.» Susan strinse ancora di più la mano a Greg. «Dora mi ha salvato la vita. Lo ha spaventato e fatto scappare.» Lattrice alzò la testa di scatto e lo stesso fecero gli altri. Si udivano dei colpi d'arma da fuoco all'esterno. Lattrice balzò verso la porta e corse fuori. Nel silenzio, spaventoso come il rumore degli spari, Milly disse: «Spero che lo prendano. Molto meglio per tutti noi.» G.M. si lasciò sfuggire un impercettibile sospiro, ma era di nuovo se stesso, sicuro e deciso, contento della vita e di tutto quello che la vita gli aveva dato. «Denaro pericoloso» disse. «Sì, è sempre così. Il denaro dà un
certo potere, ma invita il pericolo e... Ma tutto questo non importa. Voglio solo riconoscere che ho dello spirito d'osservazione. Qualche volta è un dono che aiuta, qualche volta è sgradito. In ogni modo so quando prendere quello che la vita dà ed esserne riconoscente.» Erano parole piuttosto enigmatiche, ma Susan si sentì sicura di capirle. Era come se le avesse reso la libertà da un vincolo che l'aveva avviluppata quasi senza che se ne accorgesse. Un'espressione di gentile ma ferma risoluzione comparve sul viso di G.M. Era un'espressione che Susan conosceva, significava che aveva preso una decisione su qualcosa. Le andò accanto, le tolse gentilmente la mano da quella di Greg, e le sfilò l'anello, sorridendo. «Voi proprio non lo volete, vero? L'ho intuito.» Si avvicinò a Dora. «Qui c'è l'anello che ho comprato per voi, Dora. Prendetelo, vi prego. Dimenticheremo tutto di Bert Prowde. Lui non è importante per me. Voi sì.» «Volete dire... come vostra moglie?» G.M. le mise l'anello al dito. Susan scoppiò in una piccola, sommessa risata. «Come G.M.?! Io credo di essere stata maltrattata.» Anche G.M. rise, a fior di labbra. «Non proprio. Ma io riesco spesso a intuire di più di quello che gli altri credono.» La guardò e guardò Greg. «Ma verrò a fare un brindisi al vostro matrimonio, carissima.» FINE