«PICCOLA COLLANA MODERNA» Serie biblica n.84
Ultimi volumi pubblicati di sponibili nel la collana: 53. 55. 56.
L. SCHOTIROFF, W. STEGEMANN, Gesù speranza dei poveri V. SUBILIA, Il problema del male A. JACQUES, Lo straniero in mezzo a noi. Gli sradicati nel mondo d'oggi
57.
E. BEIN RICCO,
G.
PONS, Conoscenza scientifica e fede.
Incontri e scontri fra saperi del nostro tempo 58.
G. BOUCHARD,
I Valdesi e l ' Italia. Prospetti ve di una vocazio
ne 59.
M.L.
61.
A. BERLENDIS, La cicogna de/2000. Le nuove tecniche ripro-
STRANIERO, Don Bosco e i Valdesi
dutti ve extracorporee AA.VV. , Dio e la storia D. BONHOEFFER, Una pastorale evangelica 64. M. BARTH, Riscopriamo la Cena del Signore 65. R. BERTALOT, Pau[ Tillich: esistenza e cultura 66. E. SCHWEIZER, Il discorso della montagna (Matteo, capp. 5-7) 68. R. GRIMM, Senso di colpa e perdono 69. E. SCHWEIZER, Gesù Cristo: l 'uomo di Nazareth e il Signore glorificato 70. W. MARXSEN, Il terzo giorno risuscitò. . La risurrezione di Gesù: un fatto storico? 7 1 . H. CLARK KEE, Che cosa possiamo sapere di Gesù? 72. V. BENECCHI, I dieci comandamenti avventura di libertà 73. D. BONHOEFFER, La Parola predicata. Corso di omiletica a 62.
63.
.
Finkenwalde 74. 75.
K. STENDAHL, Paolo tra ebrei e pagani CH.DEMUR - D.MOLLER, L 'omosessualità. Un dialogo teolo gico
76. 77.
E. BETHGE, Dietrich Bonhoeffer, amicizia e resistenza JOHN POLKINGHORNE, Quark, caos e cristianesimo. Doman de a scienza e fede
79.
P. RICCA - G . TOURN, Le 95 Tesi di Lutero e la cristianità del nostro tempo E. STRETTI, Il Movimento pentecostale. Le Assemblee di Dio
80.
L.
78.
in Itali a 81. 82. 83.
KAENNEL, Lutero era antisemita? S. AMSLER, Il segreto delle nostre origini. La singolare attua l i tà di Genesi 1 - 1 1 C. BIRCH- L. V ISCHER, Vivere con gli animali B. CORSANI, La seconda lettera ai Corinzi. Guida alla lettura
Robert Kysar
Giovanni Il Vangelo indomabile
Claudiana - Torino
Robert Kysar, professore di Nuovo Testamento e omiletica al Semi nario teologico luterano di Filadelfia, è uno dei massimi esperti mondiali su Giovanni e ha pubblicato nel 1 986 uno dei principali Commentari al quarto Vangelo.
ISBN
8 8-70 1 6-332-6
Titolo originale: John, the Maverick Gospel
©
John Knox Press, 1 976 Westminster/John Knox Press, Louisville (Kentucky)
Revised edition © Robert Kysar, 1 993
Per l'edizione italiana:
©
Claudiana Editrice, 2000 Via Principe Tommaso l- 1 0 1 25 Torino Tel. O 1 1 .668.98.04 - Fax O 1 1 .650.43.94 E-mail:
[email protected] Sito web: www.claudiana.it Tutti i diritti riservati - Printed in ltaly
Ristampe:
04 03 02 0 1 00 Traduzione di Domenico Tomasetto Revisione di Stefano Frache Copertina di Umberto Stagnaro Stampa: Stampatre, Torino
l 2 3 4 5 6
Dedicato con gratitudine a Edward P. Blair
PREFAZIONE
Questo libro è rivolto a coloro che si accingono per la prima volta allo studio dei libri del Nuovo Testamento. Non vuole essere né tecnico, né dotto, piuttosto cerca di avvicinare il letto re al modo in cui, sempre più diffusamente, gli studiosi contem poranei comprendono il pensiero e il simbolismo del Nuovo Testamento. Conseguentemente confido di introdurre il quarto Vangelo al lettore e di aggiornarlo sul modo in cui questo viene percepito e compreso da gran parte degli studiosi di grado superiore. Tra i tanti modi possibili di introdurre il quarto Vangelo, vorrei che questa pubblicazione portasse a termine alcuni compi ti importanti . Prima di tutto, vorrei evidenziarne la peculiarità tra gli scritti presenti agli albori del cristianesimo. Parallelamente, vorrei inquadrarne il pensiero e il simbolismo in un contesto più ampio del solito, precisamente nell' ambito dell ' universa le ricerca umana della religiosità. Il Vangelo di Giovanni , presentato i n questo volume, è una straordinaria pagina d i lette ratura religiosa che propone interrogativi che vanno al di là della cristianità stessa per inserirsi nel contesto della religio ne intesa in senso generale . Il terzo compito importante di questa introduzione è il tentati vo di coinvolgere il lettore proprio nel testo del Vangelo. Troppo spesso, leggendo un' introdu zione al Nuovo Testamento o a parti di esso, capita di essere distratti dal documento che si sta leggendo e di trovarsi concen trati in una lettura che risulta di secondaria importanza. Per evitare ciò, le pagine che seguono conterranno indicazioni circa il contenuto del testo, nella forma di «letture preparatorie». S]1ero che questi suggerimenti per la lettura del Vangelo siano di aiuto per poter instaurare un confronto a tre, una discussio ne tra il Vangelo, il lettore e i concetti espressi da questo libro. Più il lettore si troverà addentrato nel dialogo con le altre due parti di questa triade, maggiore sarà il successo di questo libro. 7
Si è spesso detto che la creatività è l' arte di dimenticare la fonte delle proprie idee. Questo è di certo il caso di questo libro: ho cercato di riconoscere le origini delle mie idee fonda mentali, quando sono stato consapevole di esse, ma sono sicuro che in molti casi la sola dimenticanza spiega ciò che potrebbe apparire creatività. Tuttavia, un libro di questo genere non dovrebbe essere appesantito con note a pié pagina, così chiedo indulgenza ai miei colleghi studiosi impegnati nella critica del quarto Vangelo, e imploro il lettore di considerare seriamente il debito che questo volume ha, non solo con gli altri elencati nella bibliografia, ma anche nei confronti di molte letture e conversazioni. Una storia di questo libro implicherebbe niente meno che un' autobiografia, siccome rappresenta la mia perso nale lotta, lunga una vita, con il Vangelo di Giovanni . Il detto: «Se non è rotto, non aggiustarlo» è u n buon consi glio. Il riscontro della prima edizione sembra indicare che questo libro ha funzionato. Per questo motivo, quando incomin ciai la versione riveduta, era rischioso metter mano a ciò che sembrava aver raggiunto lo scopo prefissato. La mia battaglia con il Vangelo di Giovanni è continuata negli anni seguenti la prima stesura. In quegli anni si sono verificati molti cambia menti negli studi scientifici del Vangelo così come è avvenu to per il mio personale punto di vista. In fin dei conti , anche i libri, proprio come fanno le persone, dovrebbero cambiare e crescere. Nella prima versione, però, c ' erano degli argomenti che non erano stati affrontati ma che un lettore ha il diritto di aspet tarsi in un' introduzione al pensiero religioso del quarto Vangelo. Erano necessarie alcune precisazioni, in particolar modo per quel che riguarda il tema della salvezza. Nell ' appendice di questa edizione vengono affrontati altri argomenti che non si trovano all ' interno del testo per non interferire con l ' imposta zione di base del libro, ma che forniscono al lettore spunti di discussione su argomenti di interesse attuale. Nella storia di questo libro ci sono molte persone impor tanti alle quali devo dei ringraziamenti. Primi e più importan ti fra questi sono i miei studenti che si sono susseguiti negli anni. Le idee di questo libro rendono conto del tentativo, da parte mia, di fornire un' interpretazione del Vangelo agli studen8
ti ali ' inizio dei loro studi e di rispondere con una certa chiarez za alle loro preoccupazioni . Alcuni erano giovani, alcuni più anziani , alcuni inseriti in un contesto accademico (sia studen ti alle prime armi, sia studenti già avanti negli studi), altri in un contesto ecclesiale. I capitoli, in realtà, li ho preparati per lo studio biblico per laici organizzato in una comunità. Da allora sono stati modificati numerose volte per altri gruppi e in risposta alle osservazioni che ho appreso dai miei allievi. Sono in debito nei confronti di tutti coloro che hanno contri buito con le loro osservazioni critiche riguardo la prima edizio ne; esse hanno posto le basi per questa nuova versione. Sono riconoscente anche a tutti i miei colleghi nel campo degli studi giovannei che, proprio come i miei studenti, mi hanno impedi to di ritenermi soddisfatto di tutto ciò che una volta credevo vero ! Soprattutto devo ringraziare mia moglie, la pastora Dr. Myrna C. Kysar. Con la sua intuizione teologica e la sua comprensione della natura umana mi ha insegnato molte cose; se non avesse incoraggiato i miei sforzi letterari questo volume non esisterebbe. Un'altra persona che ha formato la mia intera carriera è Edward P. Blair, professore emerito del Garret Theological Seminary. Dedico a lui questo volume con la mia più profonda gratitudine per tutto ciò che mi ha insegnato.
INTRODUZIONE
C'è un delizioso film che parla di un bambino che imparò a camminare sulle mani invece che sui piedi. La storia è in forma di cartone animato e mette in evidenza le pressioni ali' in temo della nostra società che spingono al conformismo. Lo strano comportamento del ragazzino gli riservava dei piace voli risvolti: camminare sulle mani gli permetteva di avere un punto di vista originale sul mondo. Poteva annusare il profu mo dei fiori senza chinarsi, era vicino alla terra a tal punto da poter vedere nitidamente la bellezza dell'erba ed incrociare lo sguardo della farfalla quando questa sfiorava il terreno. I suoi genitori, però, erano estremamente preoccupati. Il loro caro piccolo era un disadattato! Fu così che lo portarono prima da un medico, poi da uno psichiatra e infine dali'assistente socia le. Tutte le più moderne teorie furono utilizzate per modifi came il comportamento. A poco a poco gli fu insegnato a camminare sui piedi, come tutte le altre persone. I genitori ne furono sollevati; i medici, gli assistenti sociali e tutti quelli che avevano contribuito al raggiungimento di questo risultato erano fieri del loro successo. Da quel momento, però, il piccolo cominciò anche a vedere il mondo come tutti gli altri: sporco, brutto, inquinato e pieno di gente che diligentemente fa tutto ciò che ci si aspetta facciano. Quel punto di vista particolare, mantenuto per così poco tempo, non c'era più ed egli non poteva più apprezzare facilmente le meraviglie del mondo. Lo vedeva ormai come tutti gli altri! Questa piccola parabola ci mostra come sia data un'enor me importanza al conformismo nella nostra società. Ci fa inoltre intuire come le posizioni anticonformiste in religione possa no essere fatte rientrare nei canoni della tradizione. Per loro natura, i pensieri religiosi devono essere omogenei, per evita re che sembri compromessa la pretesa di verità sulla natura umana e sul cosmo. 11
Talora una tradizione religiosa è flessibile al punto da riusci re a gestire, in qualche modo, le variazioni interpretative che si verificano al suo interno ; l ' hinduismo ne è un esempio. Altre tradizioni religiose più conformisticamente tendono a soffo care i movimenti eterodossi interni. La storia del cristianesi mo è costellata di simili avvenimenti, in particolar modo per quel che riguarda la frammentazione del protestantesimo. In un modo o in un altro, le religioni devono sempre confrontar si con gli anticonformisti, quelli che, appunto, sembrano camrni nare sulle loro mani . Anche la comunità cristiana primitiva sviluppò precoce mente la tendenza ad inquadrare le proprie origini all ' interno di un unico punto di vista. Si fece presto strada il convinci mento che i primi anni della cristianità videro la nascita di una comunità omogenea, armoniosa. Si legga il resoconto delle prime chiese negli Atti degli apostoli e lo si confronti con le lettere dell ' apostolo Paolo. L' autore degli Atti tende in manie ra evidente a presentare una visione della chiesa che smorza le differenze presenti tra i primi credenti. Verso gli anni 80-90 d.C., l ' autore del Vangelo di Luca stava già tentando di diffon dere una forma di comprensione della chiesa primitiva esente da significative contraddizioni ! D ' altra parte, le epistole paoli ne paiono suggerirei che si manifestavano già allora signifi cative differenze, per lo meno tra Paolo stesso ed altre impor tanti personalità cristiane (questo è evidente in modo partico lare nella lettera ai Galati) . Non deve quindi stupire che la storia delle interpretazioni del quarto Vangelo abbia mantenuto la tendenza a mettere in risalto le affinità tra questo e gli altri tre Sinottici. Le cosid dette concordanze dei Vangeli, così popolari nei secoli scorsi, si impegnarono per far coincidere il resoconto del ministero di Gesù, così come presentato dal Vangelo di Giovanni, con lo schema dei primi tre. Per esempio, per il quarto Vangelo Gesù purifica il Tempio all ' inizio del proprio ministero (Giov. 2 , 1 3 -22), mentre negli altri Vangeli questo avviene nella sua ultima settimana di vita (Mt. 2 1 , 1 2- 1 3 ; Mc. 1 1, 1 5- 1 9; Le. 1 9,4546). Gli armonizzatori risolsero la discrepanza suggerendo che Gesù avesse purific ato il Tempio non una volta ma due ! Camminiamo proprio sui nostri piedi ! 12
Stante la tendenza ad armonizzare i quattro Vangeli, le peculiarità di ciascuno vengono sottovalutate. Questo è tanto più vero per il quarto Vangelo. U niformarlo agli altri tre compor ta la cancellazione della sua forza vitale e il suo contributo alla comprensione delle origini della cristianità. Lo stesso nome che viene ora dato ai primi tre Vangeli dagli studiosi del Nuovo Testamento mette in evidenza la peculiarità del quarto: essi sono chiamati Vangeli sinottici. Questo sta a significare che condi vidono lo stesso punto di vista, vedono e prospettano il loro contenuto in modo simile. Il quarto Vangelo, quindi, non è sinot tico, presenta i temi trattati in un modo che si differenzia marca tamente dagli altri tre del canone cristiano. Se si vuole, lo si può vedere come un dissidente tra i Vangeli. Si sviluppa libero dalla prospetti va presentata da Matteo, Marco e Luca. Lo si può considerare l' anticonformista del gruppo. Non c ' è da stupirsi se si pensa che molti movimenti eretici nella storia della chiesa hanno utilizzato il Vangelo di Giovanni per fondare la loro autorevolezza a proposito del Nuovo Testamento. Vorrei sottolineare, all ' inizio di questa introduzione al pensiero religioso del quarto Vangelo, che esso rappresenta una forma unica di pensiero cristiano primitivo. Si tratta di una forma eterodossa di cristianesimo, per lo meno se la si confron ta con altre parti del Nuovo Testamento. Tenendo a mente il carattere dissidente del quarto Vangelo, passiamo ad esami nare alcuni fatti preliminari che Io riguardano. Gli argomenti che dobbiamo brevemente introdurre sono tre:
l. il rapporto tra questo Vangelo e i tre Sinottici ; 2 . la struttura letteraria del quarto Vangelo; 3. un certo numero di argomenti, tra cui il proponimento che sta alla base di questo Vangelo, la data a cui risale e i suoi destinatari nonché il contesto storico nel quale si è svilup pato. Quelle che seguono sono affermazioni dei miei convinci menti su questi argomenti; esse forniranno il contesto all ' in terno del quale procederemo ali' esame del pensiero religioso del Vangelo. Siete invitati a confrontare le mie opinioni con l ' evidenza dei fatti espressi dal Vangelo medesimo mentre procediamo. 13
leggere rapidamente l'intero Vangelo. Si osser vi il linguaggio e Io stile con cui è espresso. Se ne costruisca un'im magine mentale generale a grandi linee.
Letture preparatorie:
IL RAPPORTO TRA IL QUARTO VANGELO E I SINOTTICI
Siccome il mio intento è quello di evidenziare le caratteri stiche peculiari del quarto Vangelo nel confronto con quelli Sinottici, metteremo in evidenza dapprima le differenze tra di essi ; una volta fatto questo, potremo estrinsecare i punti che hanno in comune. si leggano: Matteo 1 -2; Marco 1 , 1 - 1 1; Luca 1 -2 e si confrontino con Giovanni 1 , 1 - 1 8. Si leggano e si confrontino Luca 1 1 , 1 4-20 e Giovanni 5, 1 0-24. Si legga una parabola presente nei Vangeli sinottici (per esempio Le. 1 0,29-37) e un discorso metaforico riporta to in Giovanni (per esempio Giov. l 0, 1 - 1 8). Si confronti Matteo 6 con Giovanni 8. Si confronti Matteo 9, 1 8-26 con Giovanni 1 1. Letture preparatorie:
Non è il caso che il lettore vada oltre i capitoli introduttivi del Vangelo per scoprirne l ' unicità. I Vangeli di Matteo e di Luca, ciascuno alla propria maniera, si presentano al lettore con un racconto della nascita di Gesù e una genealogia; quello di Marco si tuffa subito nel ministero di Gesù ; il quarto non presenta alcun racconto della nascita di Gesù e inizia con la predicazione di Giovanni Battista. Proprio come Matteo e Luca, inizia con una prefazione al racconto della predicazione del B attista, ma è del tutto particolare ! Non vi troviamo nessuna narrazione della natività ! Nessun concepimento verginale ! Nessuna genealogia ! Piuttosto, il lettore si ritrova in una dimen sione cosmica. Si inizia con: «Nel principio». L' attenzione è rivolta sulla «Parola» e la sua opera. Essa è con Dio dall ' ini zio: partecipa alla creazione, diventa carne. Il Battista viene presentato come una persona distinta da questa Parola incar nata e come uomo che le rende testimonianza. Il lettore è colpito dal contesto cosmico del Vangelo. Se gli autori di Matteo e di Luca sottoline ano il ruolo di Dio nell'o14
rigine della persona che è il soggetto del loro Vangelo, Giovanni ne sottolinea lo status eterno. Gesù non nasce, neanche per un intervento straordinario dello Spirito santo, egli esisteva da sempre; non è altro che l ' apparizione incarnata della Parola eterna. Per questo il quarto Vangelo si apre avanzando la prete sa più alta possibile per la persona di Gesù: la sua natura divina. Il Prologo del quarto Vangelo (l, 1 - 1 8) manifesta anche differenze di stile e di linguaggio rispetto ai Sinottici. Non si nota forse l ' uso di parole come «vita» , «luce», «tenebre», «Vero», «mondo», «Padre» e «Figlio» ? Queste sono alcune delle espressioni preferite dell' autore, altre sono: «conosce re», «Vedere» e «i giudei». A questo evangelista piace presen tare Gesù che apre il suo discorso con l ' espressione: «Amen, ameM (tradotta in italiano con «in verità, in verità»). Inoltre, Gesù spesso parla con l ' espressione enfatica: «Io sono» ( analiz zeremo questi modi di esprimersi nel corso del cap. 1 ). Nonostante la maggior parte di queste espressioni si ritrovino anche nei Vangeli sinottici, esse non giocano là un ruolo così caratteri stico nelle parole di Gesù. Per esempio, quegli studiosi che hanno tempo per queste cose, hanno contato il numero di volte in cui Gesù si rapporta a Dio chiamandolo Padre nei Vangeli sinottici e nel quarto Vangelo. I loro risultati sono istruttivi: l' espressione Padre si riferisce a Dio sessantaquattro volte nei tre Sinottici presi assieme e centoventi volte nel quarto Vangelo. Inoltre , alcune delle espressioni più caratteristiche dei Sinottici sono relegate ad un ruolo secondario in Giovanni. «Il regno di Dio» (o «regno dei cieli» come preferirebbe Matteo), «convertitevi», «apostoli», «scribi», «farisei», «funzionari delle tasse» («pubblicani» ), «adulterio», «demoni» ed «ereditare» sono esempi dì parole utilizzate spesso nei Sìnottici che si ritro vano raramente, o quasi mai, nel quarto Vangelo. Che cosa ne possiamo concludere? Semplicemente che questo autore ha un vocabolario unico, ricco e profondo, ma soprattutto distintivo. Un terzo moti vo di unicità del quarto Vangelo possiamo chiamarlo di tipo cronologico (riguarda l ' ordine degli avveni menti). Un dettaglio, apparentemente piccolo, che può tutta via avere un grande significato, è il numero di riferimenti alla festa di Pasqua. Nei Vangeli sinottìcì c ' è un unico riferìmen15
to alla Pasqua; si tratta dell' occasione del viaggio di Gesù a Gerusalemme che culmina con il suo arresto, il processo e la crocifissione. Nel quarto Vangelo, invece, la festa di Pasqua viene richiamata in tre occasioni (2, 1 3 ; 6,4; 1 1 ,55). Questi riferimenti cronologici implicano che Gesù abbia svolto gran parte del suo ministero in Giudea anziché in Galilea. Questo è in profondo contrasto con i Sinottici, dove Gesù impegna la maggior parte del suo tempo in Galilea e si spinge in una sola occasione verso Gerusalemme, per la celebrazione della libera zione di Israele dalla schiavitù egiziana, la Pasqua. Più importante della semplice differenza geografica, forse, è il fatto che questo cambiamento nel luogo del ministero di Gesù, come è riportato nel Vangelo di Giovanni, comporti un radicale allontanamento dallo schema base dei Sinottici. La loro struttura (forse creata dal Vangelo di Marco e seguita da quelli di Matteo e Luca), infatti, divide il ministero di Gesù in due parti: una in Galilea e una in Giudea. L'autore del Vangelo di Giovanni non aderisce in nessun modo a questo schema e presenta Gesù che si muove liberamente fra le due regioni. Se dovessimo prendere alla lettera la cronologia del quarto Vangelo, dovremmo dedurne che il ministero di Gesù si è svolto nell' arco di tre anni, uno per ciascun riferimento al tempo di Pasqua. La cronologia sinottica indicherebbe che il ministero di Gesù si è svolto nell' arco di un solo anno. È probabile che quella del quarto Vangelo abbia un significato teologico; l' evan gelista ha voluto sottolineare la Pasqua in rapporto al ministe ro di Gesù in quanto rappresentava per la comunità giovannea un nuovo esodo e l ' occasione per una nuova celebrazione della Pasqua. Tali osservazioni devono però essere sottoposte ad analisi più approfondite. Un' altra differenza cronologica risulta evidente al lettore attento. Secondo i Sinottici, l ' Ultima cena di Gesù con i disce poli , prima dell ' arresto, del processo e infine della c rocifis sione, avviene nello stesso momento in cui gli altri giudei stanno celebrando il pasto pasquale. Nel quarto Vangelo questo fatto avviene, in verità, ventiquattr'ore prima: quindi la croci fissione e la sepoltura di Gesù sono completate prima della mensa pasquale. Il rapporto fra questi avvenimenti della vita di Gesù e l ' osservanza della Pasqua nei Vangeli sinottici e in Giovanni sono evidenziati dallo schemal. 16
Sinottici:
Mercoledì
Giovedì
1 3 Nisan Pasqua-.. Gesù
Venerdì 15 Nisan
1 4 Nisan
Pasto p reparatorio
l
Ultima cena
--..
Arresto, processo, ecc.
Giovedì
Quarto
Venerdì
Sabato
Vangelo:
1 3 Nisan Pasqua-.. Gesù
--..
14 Nisan 1 5 Nisan 1 6 Nisan Pasto preparatorio
Ultima cena
l
Arresto, processo, crocifissione
Schema l
Prendiamo nota di un paio di fatti riguardanti questo confron to prima di mettere da parte, con troppa facilità, quella che può sembrare una differenza apparentemente insignificante fra i Sinottici e il quarto Vangelo. Innanzitutto, l'implicazione del 17
racconto sinottico è che l' Ultima cena di Gesù con i discepo li era una celebrazione pasquale. L' istituzione del sacramento della Cena deve quindi essere compresa nel contesto dell' os servanza della Pasqua ebraica. II quarto Vangelo tralascia, però, questo significativo collegamento, ponendo l ' avvenimento un giorno prima nel corso della settimana. Così manca l ' i stitu zione formale della Cena (vedi cap. 4), inoltre la circostanza dell' ultimo pasto di Gesù con i suoi discepoli non viene colle gata con la normale cena pasquale. Ancora, si notino i risvolti del cambiamento del Vangelo di Giovanni nei confronti degli altri Vangeli, in riferimento al rapporto fra crocifissione e Pasqua. Stando a questo, Gesù fu crocifisso proprio nel momento in cui si svolgevano i prepa rativi della cena pasquale. Questi comportavano, naturalmen te, l ' uccisione degli agnelli pasquali e la loro preparazione per il pasto che segui va. Gesù viene ucciso nello stesso tempo in cui si uccidono gli agnelli per la Pasqua! Una coincidenza? Non dobbiamo forse intendere che il parallelo sia una delibe rata allusione alla natura della morte di Gesù? Non dobbiamo forse collegarlo con la testimonianza del Battista a Gesù: «Ecco l ' Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo» { 1 ,29)? In verità, questa lieve variazione nella datazione dell' Ultima cena solleva un'intera serie di domande (che qui non possiamo prendere in considerazione) : l' ultimo pasto che Gesù condivi se con i suoi discepoli era un'osservanza pasquale? II quarto evangelista ha utilizzato un calendario giudaico diverso da quello in uso presso la maggior parte dei giudei del tempo e per questo motivo ha datato la circostanza in modo difforme dai Sinottici? La variazione è una sottolineatura storica intenzio nale da parte dell' autore, oppure è un errore casuale? Dobbiamo leggere un qualche significato simbolico in questa datazione della crocifissione? Si potrebbe ipotizzare che il quarto evange lista volesse comunicarci un significato teologico nel paralle lo fra la crocifissione di Gesù e l ' uccisione dell' agnello pasqua le? Quale dei due racconti (se non alcuno), quello dei Sinottici o quello di Giovanni, è storicamente accurato? Abbiamo già accennato alla diversa collocazione cronolo gica della purificazione del Tempio nel quarto Vangelo. È interessante notare che nei Sinottici questo avvenimento è l ' ulti18
mo atto pubblico di Gesù. Per quanto riguarda i suoi opposi tori si tratta della goccia che fa traboccare il vaso. Essi vengo no presentati come persone che cercano il modo per far fuori questo perturbatore immediatamente dopo che ha compiuto quest' azione impudente (Mc. Il, 1 8). Così la purificazione del Tempio è l ' avvenimento che costituisce il punto di svolta nella trama degli ultimi giorni della vita di Gesù. Il quarto evange lista, però, presenta questo episodio come la prima azione pubblica di Gesù (non considerando le nozze di Cana tra queste). L'evento pubblico di svolta che porta al complotto per uccide re Gesù, nella presentazione di Giovanni, è la risurrezione di Lazzaro. È paradossale che una azione benevola come il rende re la vita ad un morto stimoli gli oppositori di Gesù a cercare il modo per distruggerlo ( 1 1 ,47-54). Non possiamo qui analiz zare i motivi di questa diversità ma possiamo notare, ancora una volta, che c ' è un significato simbolico attribuito alla purifi cazione del Tempio. L'episodio, essendo posto all ' inizio del ministero di Gesù, sembra suggerire che questo fosse conce pito, in generale, per purificare il giudaismo. È stato detto abbastanza per quanto riguarda le differenze fra i Sinottici e Giovanni ; prendiamo in considerazione, allora, le differenze nella presentazione di Gesù. Dapprima dobbia mo notare il silenzio del quarto Vangelo nei confronti di una serie di avvenimenti molto importanti, presenti invece nello schema dei Sinottici . Nel quarto Vangelo mancano i seguenti episodi: •
il battesimo di Gesù da parte di Giovanni il Battista (egli ' non è altro che un testimone di Cristo);
•
le tentazioni nel deserto (Gesù non è mai soggetto alla tenta zione nel quarto Vangelo e sembra ben distante da tali problemi) ;
•
la confessione a Cesarea di Filippi dove Gesù fa dire a Pietro: «Tu sei il Cristo» (Mc. 8,29, cfr. Giov. 6,66-7 1 );
•
la trasfigurazione;
•
l ' agonia nel giardino del Getsemani ( 1 2,27);
•
l ' istituzione dell' Ultima cena;
•
il grido di abbandono dalla croce («Mio Dio, mio Dio, 19
perché mi hai abbandonato?»- Mc. 1 5 ,34-35 ; Mt. 27,46le uniche parole di Gesù in croce riportate da questi due Vangeli). D ' altra parte, ci sono pochi esempi di avvenimenti presen ti nel quarto Vangelo di cui non sappiamo nulla dai Sinottici: •
le nozze di Cana;
•
il dialogo con Nicodemo ;
•
l ' incontro con la donna samaritana;
•
la risurrezione di Lazzaro;
•
la lavanda dei piedi dei discepoli .
Ci sono anche delle variazioni correlate. Nei Sinottici il ministero di Gesù non inizia prima dell' arresto di Giovanni il Battista (Mc. 1 , 1 4 ; Mt. 4. 1 2 ; Lc. 3 , 1 9-20) ma nel quarto Vangelo Gesù svolge un ministero che coesiste con quello del Battista. In forte contrasto con il Vangelo di Luca, in particolare, secon do Giovanni ( 1 1 ,4 1 -42), Gesù non ha bisogno di pregare. Dai Sinottici ricaviamo l ' immagine di Gesù come Maestro: egli discute con i maestri del suo tempo su argomenti quali l' osser vanza del sabato (Mc. 2,23-28), il digiuno (Mc. 2, 1 8-22) e il divorzio (Mt. 1 9,3-9). L' impressione che si ricava è quella di un insegnante e interprete della Bibbia ebraica, per quanto a dir poco radicale. Tuttavia, il suo carattere di rabbino è molto meno evidente (ma non del tutto perso) nel quarto Vangelo. Non c ' è discussione, Gesù ha avuto dispute con i capi del giudaismo, ma la controversia è sempre sull' argomento della sua identità personale. Essa coinvolge l ' interpretazione della Torah soltanto nella misura in cui questa è rilevante per una corretta comprensione del chi è Gesù (vedi Giov. 5 ,2 1 -29 per un esempio) . Inoltre, i Vangeli sinottici (e specialmente Mc.) contengono il fascino di quello che è stato chiamato il «segre to messianico}} . Nella maggior parte dei casi esso si riferisce alla prassi di Gesù di esortare quelli che aveva guarito a mante nere il silenzio e a non parlare a nessuno del miracolo che egli aveva operato (per esempio Mc. l ,43-44 ). Questo aspetto è del tutto assente dal quarto Vangelo e l ' unica cosa che possiamo ritenere parallela è il modo in cui Gesù viene continuamente frainteso da tutti quelli che lo circondano (per esempio 8,27). 20
L' impressione che queste differenze lasciano nel lettore è che il Gesù giovanneo sia chiaramente un essere divino, celeste. Il Gesù del quarto Vangelo è palesemente e dichiaratamente extra-umano: egli conosce se stesso e parla continuamente di questo. Se i Sinottici accennano in qualche modo all ' esitazio ne di Gesù a identificarsi, il quarto Vangelo ha tralasciato questa esitazione. Inoltre, i poteri straordinari di Gesù nel quarto Vangelo vengono sottolineati . Vedremo ciò nei miracoli che gli vengono attribuiti, quando analizzeremo più avanti questo argomento. Per ora è sufficiente osservare che la presentazio ne giovannea di Gesù è continuamente stupefacente ! Quest' uomo non ha bisogno di pregare; conosce i pensieri degli altri prima ancora che parlino ( 1 ,47 ; 2,25 ) . Cammina in mezzo ad una folla ostile senza che nessuno osi alzare la mano su di lui, perché «l ' ora sua non era ancora venuta» (7,30; 8,20) . Non voglio dire che la presentazione di Gesù fatta nei Vangeli sinot tici manchi della dimensione extra-umana, perché questo non è certo il caso. Non voglio nemmeno dire che il Gesù del Vangelo giovanneo sia puro spirito senza dimensione umana, perché nemmeno di questo si tratta (per esempio 1 1 ,35 ; 1 9,28 ; 2 1 ,9- 1 3). Nonostante ciò, il Gesù giovanneo è extra-umano in modo più marcato rispetto alla presentazione datane dai Vangeli sin ottici. I suoi discorsi in questi ultimi e nel quarto Vangelo manife stano un' altro contrasto nelle presentazioni del Galileo. Voglio generalizzare partendo dalle testimonianze che avete saggia to leggendo i discorsi di Gesù nei Sinottici e in Giovanni. Questi sembrano essere di dueJ:ipi : detti brevi e parabole. I discorsi più estesi dei Sinottici (come per esempio il Sermone sul monte presente in Mt. 5 - 7) appaiono chiaramente come una colle zione di brevi e semplici detti. Le parabole sono talvolta più prolisse, talaltra più concise. Spesso narrano una storia (per esempio Le. 1 5 ,3-32), oppure sono semplici paragoni (per esempio Mt. 5 , 1 3). Nel Vangelo di Giovanni le parole di Gesù sono molto diver se. Come primo elemento, osserviamo che la parabola che narra una storia è del tutto assente. Si attuano dei paragoni, ma essi assumono la forma di immagini elaborate e perdono la sempli cità delle loro controparti sinottiche (ma vedi 1 2,24 per una 21
metafora di stile sinottico). Inoltre cambia l' argomento; è sempre lo stesso in tutti i discorsi metaforici presenti nel quarto Vangelo: l ' identità di Gesù (vedi 8, 1 2; 1 0, 1 - 1 8; 1 5, 1 - 1 0). L'argomento delle parabole presenti nei Sinottici, per contrasto, è sempre il regno di Dio (per esempio M t. 25, 1 ) . I detti brevi e semplici di Gesù presenti nei Sinottici, nella maggior parte dei casi, sono similmente assenti. Al loro posto ne troviamo di lunghi ed estesi, forse anche stancanti nella loro prolissità. Gesù viene presen tato come uno che parla . . . parla (si potrebbe dire, come un professore di Liceo). Dal punto di vista della buona comuni cazione egli si espone alla ripetitività e all' oscurità; inoltre la struttura logica di questi discorsi non è del tutto chiara. Se si volesse presentarli come discorsi logici, si dovrebbe dire che si tratta di una struttura con sviluppo a spirale e non lineare. Come avviene con i paragoni delle parabole, anche i discorsi di Gesù non hanno che un solo argomento: la sua identità, la sua origine, il suo rapporto con il Padre. Infine, dovrei aggiun gere che, nei Sinottici, molti di questi detti incisivi si trovano a conclusione di brevi incontri e discussioni (solitamente con oppositori di Gesù). Un esempio è il famoso detto sul giorno di sabato (Mc. 2,23-28). C ' è una struttura dialogica in molti dei discorsi presenti nel Vangelo di Giovanni, ma gli interlocutori di Gesù vi partecipano borbottando il loro disaccordo o poco più, e fraintendendo completamente e stranamente le sue parole. Questo offre semplicemente a Gesù l ' occasione per riprende re da capo l ' argomento e andare avanti per un altro bel po' . I discorsi di Gesù nel quarto Vangelo indicano una diver sa comprensione della figura di Cristo e una diversa visione delle sue parole. Egli è soprattutto il rivelatore, le cui parole sono la conoscenza essenziale necessaria per la sal vezza umana: si distingue dagli insegnanti umani, in quanto è il proclama tore la cui parola è tutt' uno con la sua persona. Vale a dire, la rivelazione presente nelle parole del Gesù giovanneo ha a che fare con l ' identità del proclamatore. Siamo stati condotti, infine, a prendere in considerazione le differenze fra i Sinottici e il quarto Vangelo nel loro modo di presentare le azioni miracolose di Gesù. Ci sono quattro osservazioni da fare: cominciamo con l ' osservare che la più comune forma di miracolo attribuita a Gesù nei Vangeli sinot22
ti ci è l ' esorcismo, ovvero il cacciare i demoni e sconfiggere la possessione demoniaca delle persone. L' esorcismo domina fra le potenti opere di Gesù, in special modo nel Vangelo di Marco (vedil,23-28; 5, 1 - 1 0; 7,25-30; 9, 1 9-27) . Ma, abbastanza strano a dirsi, queste attirano l' attenzione soltanto per la loro assen za nel Vangelo di Giovanni . Si dice che Gesù avesse un demonio (8,48), ma mai che ne avesse esorcizzato uno. Possiamo poi correttamente generalizzare, dicendo che la straordinarietà delle opere di Gesù è intensificata nel quarto Vangelo. Le guarigioni compiute dal Gesù giovanneo sono ancor più notevoli di quelle presentate nei Sinottici . Le malat tie curate duravano da più tempo; spesso si tratta di mali di cui la persona soffre fin dalla nascita (per esempio 9, 1 ) . In un certo senso si può dire che i miracoli compiuti sulla natura siano ancora più stupefacenti . Si tratta, cioè, di quei casi in cui Gesù opera splendidamente con la natura, ancor più straordinaria mente di quanto non faccia con le persone. Esempi di questo genere comprendono la trasformazione dell' acqua in vino (2,l l O) e la pesca miracolosa (21, 1 - 1 1 ). Il più significativo confronto si ha osservando la descri zione della risurrezione dei morti . Vi viene chiesto di confron tare il racconto della risurrezione della figlia del capo della sinagoga in Matteo 9 con la risurrezione di Lazzaro in Giovanni 1 1 . Nel racconto di Matteo la condizione della ragazza è dubbia: Gesù precisa: «La bambina non è morta, ma dorme» (M t. 9,24 ). Questo in contrasto con le parole del padre che aveva detto che era morta (v. 1 8). Nel caso di Lazzaro non ci sono dubbi : è morto. È stato nel sepolcro per quattro giorni (Giov. 1 1 ,39). Questa precisazione avrebbe dovuto dire ai primi lettori che il suo spirito (il suo soffio vitale) se n ' era andato (sembra che il pensiero giudaico del tempo sostenesse che lo spirito vitale dei deceduti rimanesse attorno al sepolcro per tre giorni prima di allontanarsene definitivamente). Quelli che piangevano la sua morte erano riluttanti a rimuovere la pietra che chiudeva il sepolcro, in quanto il corpo aveva già iniziato il processo di decomposizione e la puzza era spaventosa. Lazzaro è morto: non c'è alcun dubbio a riguardo. Quindi non siamo in presen za di un semplice «risveglio», come potrebbe essere il caso dei racconti Sinottici. Questa è un ' autentica risurrezione dei morti. 23
Come terza osservazione, notiamo il modo in cui viene enfatizzata la straordinarietà dei miracoli di Gesù. Infatti , nonostante quanto abbiamo appena detto, si deve precisare che il numero di prodigi operati da Gesù nel quarto Vangelo è signi ficativamente minore che nei Sinottici. Essi dominano il Vangelo di Marco ma il Quarto ne presenta soltanto sette (o otto): l. le nozze di Cana (2, 1 - l l ) ; 2 . guarigione del figlio dell' ufficiale (4,46-54) ; 3 . guarigione nella piscina di Betesda (5 ,2-9); 4. la moltiplicazione dei pani (6, 1 - 1 5 ) ; 5 . il camminare sul mare (6, 1 6-2 1 ) ; 6. guarigione del cieco fin dalla nascita (9, 1 -7); 7. risurrezione di Lazzaro ( 1 1 ) ; 8. la pesca miracolosa (2 1 , 1 -7). Il capitolo 21 viene infatti considerato dalla maggior parte degli studiosi un' aggiunta redazionale posteriore al Vangelo. Quindi, possiamo dire che conteneva originalmente soltanto sette racconti di questo tipo; sono pochi, ma quanta forza hanno ! Gli esorcismi, comuni nei Sinottici, sono sorprendente mente omessi in Giovanni ; i prodigi sono rafforzati ancor più dalla loro straordinarietà, per quanto siano numericamente inferiori. Inoltre, i miracoli di Gesù nel quarto Vangelo hanno chiaramente una funzione diversa da quelli presenti nei primi tre. Come si legge in Luca, la cacciata dei demoni (esorcismo) era significativa, in quanto segnalava l ' avvento del regno di Dio ( 1 1 , 1 4-20). Collocati, come sono, nel contesto della predi cazione di tale avvento (Mc . l , 1 4), i miracoli operati dal Gesù sinottico puntano alla realtà di questo affermato nuovo dominio di Dio nel mondo. Si potrebbe dire che queste opere vadano oltre Gesù, indicando la presenza del Regno inaugurato con il suo ministero. Le cose non stanno così per quel che riguarda il Gesù giovanneo; le sue opere non puntano al regno di Dio (ci sono pochissimi riferimenti al Regno nel quarto Vangelo). Piuttosto puntano all ' identità dell ' operatore stesso; sono infat ti chiamate «segni» in molti testi (vedi 2, l1 ; 4,54; 20 30-3 1 ) e sono comprese come indicazioni della vera identità di colui .
24
che le ha operate. Esse hanno l ' intenzione di far nascere una risposta di fede sulla base della pretesa di chi le pone in essere. Ai miracoli, quindi, viene attribuito un carattere rivelatorio, così come accade con le parole di Gesù : schiudono la verità sull ' identità del rivelatore. Ci sono vari problemi più comples si collegati alla funzione dei segni e delle opere di Gesù nel quarto Vangelo che richiederanno la nostra attenzione più avanti. Per il momento dobbiamo notare il modo in cui i miracoli di Gesù hanno un trattamento così diverso nel quarto Vangelo rispetto ai Sinottici. Questo basta per evidenziare le differenze fra il quarto Vangelo e i Sinottici. Questa è solo metà della storia (quella più ampia, credo). L' altra è il senso in cui ci sono sorprendenti somiglianze fra il Vangelo indomabile e i tre precedenti. Vorrei suggerirne solo alcuni esempi, sufficienti , credo, a porre più nettamente il problema della determinazione del rapporto fra i Sinottici e questo Vangelo. La somiglianza più ovvia è la narrazione della Passione. Lungo le linee dei Sinottici, il quarto Vangelo ricorda la stessa storia di base della separazione di Gesù dai discepoli, il suo arresto, il processo sia dinnanzi all ' autorità religiosa, sia dinnan zi al responsabile politico locale, la sua esecuzione, la sua sepoltura e, infine, la sua risurrezione. In verità, ciascuno dei Vangeli ha le proprie caratteristiche in qualche punto del raccon to (per esempio il Vangelo di Luca riporta che Gesù fu porta to nella casa del sommo sacerdote, ma non c ' è alcuna traccia di un processo dinanzi a questi ; vedi 22,54). Anche Giovanni non costituisce eccezione. In questo Vangelo, Gesù viene sotto posto ad un primo esame sia da parte di Caiafa, il sommo sacer dote in carica, sia di A nano, il suocero predecessore ( 1 8 , 1 224). Questo per indicare soltanto una variazione nel racconto della Passione secondo il quarto Vangelo, che però condivide la stessa struttura di base della narrazione sinottica. In secondo luogo, si noterà che pur essendoci delle varia zioni cronologiche, il quarto Vangelo conserva comunque la somiglianza nella struttura di base dell' ordine del ministero di Gesù presentato nel Vangelo di Marco. Riteniamo che la strut tura storica di quest' ultimo costituisse il fondamento sul quale gli altri due Sinottici si modellarono ed alcuni propongono che 25
il quarto Vangelo sia similmente dipendente dall' ordine degli avvenimenti presente in Marco poiché segue, infatti, questo schema di fondo: l. la predicazione di Giovani il Battista (Mc. 1 ,4-8; Giov. 1 , 1 9-36) ; 2. l' opera in Galilea (Mc. 1 , 1 4s; Giov. 4,3) ; 3 . l a moltiplicazione dei pani (Mc 6, 34-44; Giov. 6, 1 - 1 3 ) ; 4. Gesù cammina sul mare (Mc. 6,45-52; Giov. 6, 1 6-2 1 ) ; 5 . l a confessione di Pietro (Mc 8 ,29; Giov. 6,68s) ; 6. viaggio verso Gerusalemme (Mc. 9,30s; 1 0, 1 . 32.46; Giov. 7,10- 1 4) ; 7 . l ' entrata in Gerusalemme e l'unzione d i Gesù (Mc . 1 1 , 1 0 ; 1 4,3-9; Giov. 1 2, 1 2- 1 5 . 1 -8 ; si noti che Giovanni rovescia l' ordine dei due avvenimenti) ; 8 . l' ultima Cena (Mc. l4, 1 7-26; Giov. 1 3 , 1 - 1 7,26) ; 9. il racconto della Passione (Mc. 1 4,43- 1 6, 8 ; Giov. 1 8, 1 20,29). (Ho sintetizzato l' elenco dei paralleli presentato da C.K. BARRETI, The Gospel According to St. John, Londra, SPCK, 1 965, pp. 34-35 ) . Il parallelo è ovvio anche in virtù delle diffe renze che abbiamo notato sopra. Da questo punto in avanti le somiglianze sono meno eviden ti al lettore, ma ciò nonostante ancora visibili. Si confrontino, per esempio, i racconti della guarigione del figlio del centu rione in Matteo 8,5- 1 3 , la guarigione della donna sirofenicia in Marco 7 ,24-30 e la guarigione del figlio dell' ufficiale reale in Giovanni 4,46-54; ci sono alcune somiglianze sorprenden ti anche se i racconti si servono di personaggi diversi. C ' è una presentazione comune di Giovanni il Battista nei Sinottici e nel quarto Vangelo: a grandi linee tutti lo identificano allo stesso modo e tutti lo presentano come colui che preannunzia l' apparizione del Messia. Inoltre, non ci si deve aspettare di ritrovare dei paralleli fra i discorsi di Gesù presenti nel quarto Vangelo e nei Sinottici ; essi sono presenti nelle parole. Siete invitati a confrontare gli esempi che seguono:
26
Giovanni
Sinottici
«Chi ama la sua vita, la perde ma chi odi a la sua vita in questo mondo, la conserverà in vita eterna» ( 1 2,25).
«Chi avrà trovato la sua vita la perderà; e chi avrà perdu to la sua vita per causa mia, la troverà» (Mt. 1 2,25) .
«In verità, in verità vi dico: chi riceve colui che io avrò mandato, riceve me; e chi riceve me riceve colui che mi ha mandato» ( 1 3 ,20).
«Chi riceve voi, riceve me; e chi riceve me, riceve colui che mi ha mandato» (Mt. 1 0,40) .
Gesù disse (al paralitico ) : «Alzati, prendi il tuo lettuc cio e cammina» (5,8).
Gesù disse (al paralitico) : «lo ti dico alzati, prendi il tuo lettuccio e v attene a casa tua» (Mc. 2, 1 1) .
C i sono anche alcune metafore utilizzate d a Gesù, come, per esempio, quella del granello di frumento (Giov. 1 2,24; M t. 5, 1 3 o Mc. 3 ,24) . Ci sono perfino dei dialoghi che seguono uno schema simile a quello presente nei Vangeli sin ottici, come Giovanni 7,3 ss. e Luca 1 3,3 1 ss. (per ulteriori paralleli si può vedere C.H. DODD, La tradizione storica nel quarto Vangelo, Brescia, Paideia1 1 983 ) . Queste somiglianze dovrebbero essere sufficienti a convin cerci che ci sono sorprendenti analogie fra il quarto Vangelo e i Sinottici. Talvolta il parallelo si verifica esclusivamente con uno di questi, qualche altra con uno schema sinottico comune. Dobbiamo concludere, allora, che le diversità sottolineate in precedenza devono essere temperate da queste somiglianze. Ah, ma questo è appunto il problema! Il quarto Vangelo potreb be essere spiegato più facilmente se avessimo solo l ' una o l' altra possibilità; vale a dire, o una narrazione totalmente diffe rente del ministero di Gesù, oppure totalmente armonizzata con gli altri Vangeli. Il modo in cui si presenta, sia con diffe renze sia con somiglianze, ci pone un problema ben più vasto. Come possiamo spiegare tutto ciò? Ritengo che ci siano in realtà tre modi per spiegare il rapporto fra il Vangelo indoma27
bile e i tre canonici : innanzitutto, si è sostenuto che il quarto evangelista conoscesse almeno uno o forse tutti i Vangeli canoni ci e che, in qualche misura, fosse dipendente da esso o da essi. In base a questa teoria, l' autore intendeva seri veme uno «supple mentare>> . Il Quarto presume, infatti, che i lettori avessero una qualche conoscenza della narrazione sinottica di Gesù e ne ha offerto una meditazione, come in effetti si presenta. Con questa proposta l' evangelista cercava di serivere un documento "teolo gico" o "spirituale" che avrebbe sottolineato nuovi aspetti impliciti nei Vangeli sinottici. Questa posizione ha dominato per un certo numero di anni ed è ancora sostenuta in alcuni settori della ricerca teologica. A ciò si contrappone la possibilità che il quarto evangeli sta non conoscesse affatto i Vangeli sinottici. L' autore, si sostie ne, ha scritto in qualche misura sulla base di conoscenze perso nali e di ricordi senza l ' aiuto della testimonianza dei pri mi tre evangelisti. In base a questa seconda teoria, le differenze sono ovviamente spiegate, ma le somiglianze sono più problemati che. Per quanto riguarda le affinità con i Sinottici, la teoria propone si tratti di memorie che, casualmente, sono in accor do con le testimonianze sinottiche. La terza ipotesi è quella con la quale mi trovo d'accordo. Il quarto evangelista aveva la possibilità di far ricorso ad una tradizione che si collegava a quelle sinottiche. Vale a dire, la trasmissione orale dinamica delle parole e delle opere di Gesù ha assunto forme di verse (come anche le differenze fra i Sinottici indicano). Una di queste ha raggiunto il nostro evangelista: nel tempo necessario a raggiungerlo, essa divenne molto diversa da quella che è stata incorporata nei Vangeli sinottici, ma manifestava ancora tracce evidenti della sua origine nella stessa corrente di trasmissione orale del materiale sin ottico. Riportata in un diagramma, questa posizione può essere illustrata così come indica lo schema 2. La tradizione orale, sviluppatasi dopo la crocifissione di Gesù, era un corpo di detti e di narrazioni in continua espan sione e in continua crescita. Questo sviluppo era il risultato dello sforzo della chiesa di comprendere e collegare a se stessa il ministero del Gesù storico. Era anche il risultato della fede in Gesù vivente e attivo nella chiesa, che parlava mediante i 28
Gesù
Figura 2
profeti e i maestri cristiani . Quindi, il bagaglio di «materiale riguardante Gesù» non era fissato dalla semplice memoria dei testimoni oculari del suo ministero, ma era dinamico e in conti nua crescita. Per una qualche ragione, sembra che si fossero sviluppati due segmenti principali di questa tradizione. La prima è nota a noi oggi in virtù dei Vangeli sinottici, la secon da è incorporata, almeno in parte, nel quarto Vangelo (potrem mo parlare anche di una terza tradizione presente nelle lettere di Paolo) . Forse è stata la geografia ad essere responsabile della separazione delle tradizioni; forse la diversità fu dovuta agli interessi e ai caratteri tipici della comunità nell' ambito della quale si formò il quarto Vangelo. Le due correnti della tradi zione non furono del tutto indipendenti l ' una dall ' altra. Oltre ad avere un' origine comune, fra di loro c' era uno scambio (nello schema 2 questo viene suggerito dalle frecce che si inter secano fra le due correnti di tradizione). Il risultato finale è che le tradizioni sono quasi distinte l ' una dall'altra, eppure hanno alcune analogie e somiglianze. La tradizione raggiunse il nostro evangelista in varie forme; ci potrebbe essere stato del materiale scritto che egli ha incor29
porato nel suo Vangelo. È molto probabile che questo conte nesse un documento riguardante principalmente le azioni miracolose di Gesù e il materiale narrativo dei sette segni di Gesù. Inoltre, c ' erano forse altri scritti (come il racconto della Passione) tramandati alla comunità di cui il quarto evangeli sta era membro. Sicuramente, però, la tradizione orale era ancora molto ricca e atti va quando egli si mise ali' opera. Questo significa che gran parte di quello che l ' autore ascoltava nella vita della comunità cristiana non era ancora stato scritto, ma veniva tramandato con parole vive a beneficio dei credenti che man mano si avvicinavano. Potendo attingere a questa ricca tradizione, il nostro evange lista, che continueremo per convenienza a chiamare Giovanni, senza però presumere che l ' autore fosse un maschio (vedi l ' Appendice B, «Le donne nel Vangelo di Giovanni>>), si mise a serivere il Vangelo. Questa persona ali' inizio voleva rimane re fedele al materiale tradizionale di cui (egli o ella) era a conoscenza, ed essere importante per la comunità a cui si rivol geva nella sua opera. Il quarto evangelista non fu diverso da un buon teologo cristiano (o da un predicatore) dei nostri giorni che cerca fedelmente di articolare l 'eredità della propria religio ne in risposta alle domande scottanti del suo tempo.
LA STRUTTURA LETTERARIA DEL QUARTO VANGELO
scorrere rapidamente l'intero Vangelo, cercan do di notare le parti principali e come si collegano le une alle altre. Ponetevi queste domande: che cosa unisce l'intera narrazione? Cosa ha fatto l'autore per rendere coinvolgente e leggibile il racconto?
Letture preparatorie:
Prima di scandagliare il quarto Vangelo in cerca di possi bili risposte ad alcune domande storiche, dobbiamo esamina re il testo stesso. Per poter avere una serie di informazioni sul passato di un' altra persona, dobbiamo arrivare a conoscere quella persona nel presente. La sua storia non ha molto senso finché non conosciamo che cosa l ' ha prodotta; lo stesso vale 30
per un documento storico antico. Cercheremo quindi di fare una breve analisi sullo stato attuale del Vangelo di Giovanni come base mediante la quale rintracciare il contesto in cui si è sviluppato. La nostra attenzione si focalizzerà principalmente sul come scorre la vicenda di Gesù presentataci dal quarto Vangelo, sul come è formulata e sul modo in cui l ' autore condu ce il lettore attraverso le varie tappe. Vogliamo concentrarci sul come noi, lettori, viviamo quella storia, sul come ci coinvol ge e incide sulle nostre emozioni. Quando leggiamo con attenzione il Vangelo, notiamo, prima di tutto, che esso inizia con una sorta di prefazione. I primi diciotto versetti del Vangelo sembrano una bussola per orien tarci nella storia che seguirà. La prefazione di un libro spesso avvisa il lettore di quello che deve conoscere, tenere a mente e valutare man mano che procede con la lettura. Giovanni l , 1 1 8 è appunto un esempio di tale prefazione informati va e orien tativa del Vangelo, ma è anche molto di più: ha la funzione del coro di una tragedia greca che occupa la scena prima che gli attori prendano il loro posto e abbia inizio la rappresentazio ne. In altre parole, questa prefazione ci dà la chiave del dramma che si sta per sviluppare sotto i nostri occhi. Ciò svela quel segreto, ce ne rendiamo subito conto, che molti dei personaggi della storia stanno cercando di scoprire . Cosa ancor più importante, la prefazione ci informa sul chi è realmente il personaggio principale e da dove viene. Egli non è altro che la Parola di Dio, e le sue origini sono con Dio fin dal principio. Possiamo dire ancora di più ! Egli stesso è Dio ( 1 , 1 . 1 8). Ancor di più ! In questa prefazione ci viene prean nunciato che la figura divina centrale della storia è responsa bile dell' esistenza del mondo, tuttavia viene rifiutata proprio da coloro che sono sue creature. Però, per quelli che lo accet tano e non lo rifiutano, la Parola di Dio garantisce un benefi cio significativo: il potere di diventare figlioli di Dio ( 1 , 1 2). L' identità di Gesù, la probabilità che lo si rifiuti, i benefici derivanti dalla sua accettazione, questi sono i nuclei di infor mazione vitali che ci vengono affidati prima ancora di immer gerci nel·racconto. Questi ci forniranno le informazioni che ci consentiranno di cogliere quanto sta avvenendo, anche quando alcuni dei personaggi della narrazione si imbatteranno nella 31
loro ignoranza. L'autore ci fa un dono speciale, ci pone all'in terno della storia, se è possibile, dove possiamo cogliere le varie fasi del racconto in modo più profondo e comprensibile. Poi, in l, 18 il prologo si interrompe improvvis amente e siamo immersi nella narrazione vera e propria. Nel corso dei successivi undici capitoli partecipiamo ad un dramma strano e coinvolgente. Non siamo sorpresi dal fatto che questo perso naggio, che è stato identificato come la Parola di Dio, compia delle opere meravigliose. Egli sembra conoscere quel che c ' è all'interno delle persone (l ,47 ; 4 , 1 7- 1 9), trasforma l a comune acqua nel miglior vino (2, 1 - 1 1 ), guarisce gli afflitti senza speran za (5,2-29 ; 9, 1 -7), trasforma pochi pani e pesci in un pasto sufficiente per una folla ( 6, 1 - 1 4) e risuscita anche un caro amico defunto ( 1 1 , 1 -44) . Non siamo neanche sorpresi dal fatto che i l protagonista del racconto parli in modo strano. Il suono delle sue parole somiglia a quello di una persona le cui origini sono in un'al tra realtà, come se fosse un alieno che viene da un altro piane ta. Le sue parole sono enigmatiche e provocatorie: «Se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio» (3,3); «L'acqua che io gli darò diventerà in lui una fonte d'acqua che scaturisce in vita eterna» (4, 14 ); «Io sono il pane della vita» (6,35); «Io sono la luce del mondo» (8, 1 2); «lo sono la risur rezione e la vita» ( 1 1 ,25) . C'è un alone di mistero attorno a questa persona, qualcosa di molto particolare ! Così la controversi a che suscita non è inaspettata. Sappiamo che egli è una creatura divina e nei racconti ci aspettiamo cose insolite dalle creature divine. Possiamo capire perché le reazio ni della folla contro di lui siano diverse ; abbiamo immediata mente il sentore che questa persona susciterà un vespaio presso le autorità religiose. Egli manda in frantumi il Tempio e preten de di poter ricostruire una tale struttura in tre giorni (2, 1 9). Non dimostra alcun rispetto per il sabato e pretende di poter lavorare in quel giorno perché suo «Padre» opera di sabato (5, 1 7). Le strane parole pronunciate riguardo al mangiare la sua carne e bere il suo sangue nel capitolo 6 sono, in verità, la causa che solleva l'opposizione (6,60) e da questo momento in poi ci sono opinioni nettamente divise su di lui (7, 1 2). Peggio ancora, si comincia a parlare di condannarlo a morte (7,l) ! Nel 32
tempo che impieghiamo per arrivare alla fine del capitolo I l , queste parole si sono trasformate in un complotto giunto a maturazione ( 1 1,45-54 ) . Come lettori siamo sorpresi d a tutto questo; i n verità, possia mo comprendere come questo misterioso personaggio possa suscitare qualche controversia. Ricordiamo dalla prefazi o ne che l ' eroe della storia sarà rifiutato. Nonostante conoscessimo il segreto della sua identità, anche noi siamo stati sviati da alcune sue dichiarazioni riguardanti se stesso. Uccidere l ' eroe sarebbe uno sbaglio terribile; assistiamo allo svolgersi della tragedia verso il suo inevitabile epilogo. Pensiamo che giunga al culmine al capitolo 1 2 . Gesù inter preta l' unzione da parte di Maria come preparazione alla sua sepoltura ( 12,7). Poi ascoltiamo le parole: «L' ora è venuta» ( 1 2,23) ; ricordiamo che in precedenza Gesù aveva detto che l' «ora» stava per venire (4,2 1 .2 3 ; 5 ,25 .28), ma che non lo era ancora (2,4; 7,30; 8,20). Ora ci siamo ! Gli oppositori faranno la loro mossa. Che cosa farà il nostro eroe? In 1 2,32 egli parla ancora di essere «innalzato», così come aveva fatto in 3 , 1 4 e 8,28, ma non abbiamo la più pallida idea di ciò che significhi . Tra poco, forse, lo sapremo. La narrazione prende un'improvvisa svolta nel capitolo 1 3 ; Gesù si è mosso tra la folla per gran parte della storia. Ora si ritira nel privato (si nasconde?) con i suoi discepoli. Siamo a questo punto, aspettando ansiosamente di vedere se gli antago nisti realizzeranno i loro piani per ucciderlo e come rispon derà se ci proveranno. Invece di risolvere immediatamente questa terribile suspence, la narrazione occupa cinque interi capitoli riportando le conversazioni private di Gesù con i suoi seguaci. Siamo quindi tentati di saltare ali 'ultima pagina per conosce re l 'epilogo, ma non dobbiamo farlo perché i capitoli inter medi sono importanti . L' enigmatico eroe non ci delude in queste conversazioni ; all ' inizio c ' è quel sorprendente atto di lavare i piedi ai suoi discepoli ( 13 , 1 -20). Poi, gran parte di quello che dice sorvola le nostre teste senza farsi capire, come fanno i personaggi della storia. Egli parla di essere glorificato (per esempio in 13,32; 1 6, 14; 17,5), dell' «and;trsè ne» ( 1 4,28; 1 6,7) e di un qualche «Consolatore» ( 1 4, 1·� .26 ; 1 5 ,26; 1 6 ,7). Il 33
linguaggio elusi v o che ha utilizzato in pubblico rimane invaria to : «lo sono la via, la verità e la vita» ( 1 4,6); «lo sono la vera vita, e il Padre mio è il vignaiuolo» ( 1 5 , 1 ). Continuiamo ad affidarci a quel l a informazione segreta dataci nel prologo, la Parola nel mondo, il rifiuto, l ' accettazione. Come in prece denza, questo ci aiuta, ma non risolve tutti i nostri problemi . Terminata la lunga preghiera di Gesù nel capitolo 1 7 sembra vicina la fine della suspence. Siamo quasi sollevati quando Giuda compie la sua vile azione e Gesù viene arrestato, ma siamo respinti nuovamente in una situazione di attesa quando Pilato emette il suo giudizio su Gesù . Sembra proprio che la tragedia debba essere sconvolta. Pilato sta per sbarrare la strada che le autorità religiose avevano programmato, in quanto ritie ne che Gesù sia innocente ( 1 8,3 1 ). Emerge una strategia nasco sta quando lo vediamo muoversi fra Gesù e «i giudei » : le autorità religiose sono determinate, egli però cerca di dar loro soddisfazione senza far violenza alla propria coscienza ( 1 9 , 1 5), m a l a cosa non funziona. L a paura che h a dei suoi sosteni tori lo vince ( 1 9,8) e infine consegna loro Gesù. Stiamo ancora pensando che forse questo uomo-Dio schioc cherà le dita e chiuderà l' intera vicenda, ma non lo fa. Viene crocifisso. È vero, Gesù muore con dignità, ma comunque muore: ci sentiamo ancora provocati e sfidati dalle sue parole anche quando pende dalla croce, quando «egli rese lo spirito» ( 1 9 ,30). L' ultima tragica scena è terminata: il mondo ha schiaccia to questo estraneo. Allora nella narra zione accade un immedia to rovesciamento delle parti . Dovremmo aver ascoltato con più attenzione la sua strana affermazione circa l ' essere la risurre zione ( 1 1 ,25); avremmo dovuto notare con più attenzione quello che fece per Lazzaro, perché ora egli risorge dalla tomba. Appare, in un primo tempo, a Maria Maddalena, che si trova piangente all' entrata della tomba vuota e l ' incarica di annun ciare la sua risurrezione agli altri suoi seguaci (20, 1 1 - 1 8) . Poi si presenta improvvisamente ad alcuni di questi, impauriti nei loro nascondigli, non una sola volta, ma due (20, 1 9-23 e 24 28) . Essi vanno a pescare, cercando di prendere le distanze da quanto era avvenuto, ed egli appare loro ancora una volta alla riva del lago, serve loro da mangiare ed ha una lunga conver sazione con uno di essi (2 1 , 1 -23). 34
Il racconto termina con Gesù risorto che appare ai suoi seguaci in tempi e in luoghi inaspettati. Ci viene allora detto che questa intera storia è stata scritta affinché arriviamo «a credere che Gesù è il Cristo, il figlio di Dio, e affinché, creden do, abbiamo vita nel suo nome» (20,3 1 ) . Questa non è proprio una storia come tante altre: si tratta di un racconto che ha l' inten zione di produrre un cambiamento in noi . Non possiamo non coglierne l ' intento posando il libro per poi dire : «Però, è stato interessante}} . Dobbiamo decidere se la storia è «Vera}} o meno, come chiede l ' autore, (21 ,24) e se Io è, allora «crediamo}} . La narrazione ha lo scopo di condurci ad incrociare la stessa strada sulla quale ha condotto i personaggi del racconto, per decide re se credere che il personaggio principale sia veramente quello che pretende di essere, oppure metterei dalla parte dei suoi oppositori. Il Vangelo di Giovanni ci narra una storia affascinante, prevedibile in qualche modo, piena di suspence in un altro. Non appena prendiamo le distanze dalla storia e riconsideria mo l ' intera vicenda, alcuni schemi diventano chiari . Sembra dividersi tra i capitoli 1 1 e 1 3 , con quest'ultimo che si pone come una specie di ponte fra le due parti . Nella prima (capp. l 1 1 ), il capitolo 6 funziona da punto di svolta cruciale, il momento in cui l 'opposizione è piena di energie per svilup pare un complotto contro il protagonista. Nella seconda (capp. 1 3 - 2 1 ), il capitolo 1 8 funge da riassunto della tesi fonda mentale della vicenda, dopo un importante iato nei capitoli 1 3 1 7 . Nel finale (capp. 2 0 e 2 1 ) l ' intera vicenda viene capovol ta, non senza che ci fosse stato qualche suggerimento in questo senso. Non ci è mai stato detto che Gesù sarebbe stato croci fisso e che avrebbe sconfitto la morte, ma accenni enigmatici a questo proposito sono disseminati per tutto il corso della narrazione. Per esempio, iniziamo a comprendere che cosa intenda Gesù quando parla del suo essere «innalzato}} . Distolti dalla narrazione e messi in grado di riflettere sull ' e sperienza di lettura che abbiamo fatto, arriviamo a capire che la storia ha avuto un ritmo ben preciso. L' autore ha narrato in primo luogo il ministero pubblico di Gesù, poi l ' insegnamen to privato ai suoi discepoli; inoltre il processo pubblico, l' ese cuzione e infine una serie di apparizioni private ai suoi disce-
-
35
poli. L' alternarsi fra opera pubblica e privata di Gesù costi tuisce la cadenza della narrazione. L' intera storia giovannea di Gesù può essere rappresenta ta in un diagramma come indica lo schema 3 .
Prologo 1,1-18
Gesù rivela la gloria Gesù riceve la gloria Riswrezione di Dio di Dio 1, 1 9 - 1 2,50
1 , 1 9 - 12,50
Segni e discorsi
20, 1 - 2 1 ,25
Appari zione
L'identità di Gesù è annunciata. Il lettore conosce il segreto. Gesù è Dio
L' identità si manifesta. L'opposizione aumenta. Si accresce
20,28
A
( 1 , 1 - 1 8)
1
Gesù è Signore e Dio
L'opposizione si intensi fica
re ma non arrivata.
è
ancora
giunta
1 7,1
1 2,23
2,4; 7 ,30; 8,20
Gesù sarà «innalzato»
1 2,32
3 , 1 4 ; 8,28
«innalzamento»
1
t�-------------------------------------... · - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - .:
Schema 3
36
SCOPO, DESTINAZIONE, CONTESTO STORICO E DATAZIO NE DEL QUARTO VANGELO
Letture preparatorie : i testi biblici indicati sono di grande impor tanza in relazione ai problemi che stiamo affrontando: 20,30-3 1 ; capitolo 9; 6,22-5 8 .
Per quale scopo è stato scritto questo racconto così ben strutturato? Dobbiamo spingerei oltre la struttura del testo, mediante la storia, fino ali ' origine del Vangelo. Che cosa volev a ottenere l' autore? A chi era rivolto in particolare questo scrit to? Ci sono due piani sui quali dobbiamo procedere per affron tare questi temi . Ci chiediamo dapprima se l ' autore abbia fatto un' esplicita dichiarazione di intenti da qualche parte nel corso del Vangelo, poi verifichiamo se altri testi implichino uno scopo e una destinazione che potrebbero non essere esplicitamente dichiarati. Mentre affrontavamo il tema della struttura del Vangelo, abbiamo già notato che sembra esserci uno scopo esplicito, dichiarato in 20,30-3 1 . Ciò che è scritto nel Vangelo ha lo scopo di far sorgere la fede nei lettori ; quanto si propone il Vangelo è convincere i lettori che questo Gesù è il Messia dell ' attesa giudaica (il Cristo) e un rivelatore divino unico (Figlio di Dio). Secondo questi versetti, l 'evangelista sperava di portare altre persone a credere. Lo scopo era quello di predisporre un documento da utilizzare nell ' impresa missionaria, un documen to che avrebbe spinto a credere quelli che ancora non aveva no abbracciato la fede . Egli, allora, è stato un vero evangeli sta nel significato moderno del termine, uno che proclama l a fede cristiana perché altri si convertano. Tuttavia questa dichiarazione esplicita dello scopo del Vangelo non è adeguata per molte ragioni . In primo luogo, la dichiara zione dello scopo che troviamo in 20,3 1 è discutibile a causa della variante nella forma del verbo greco tradotto con «crede re» . Ci sono alcuni antichi manoscritti che contengono una forma verbale che si può tradurre al meglio con «possano giunge re alla fede» , come appunto riportano molte versioni moderne. Però ci sono altri manoscritti che presentano una variante che 37
dovrebbe essere resa con qualcosa del tipo «possano continua re a credere». La differenza fra le due forme greche è determi nata da una singola lettera, ma il significato che le due parole esprimono è notevolmente di verso. Se si accetta la prima, questa vorrebbe indicare che il Vangelo è stato scritto con lo scopo di portare increduli alla fede. D ' altra parte, se si accetta la secon da, lo scopo del Vangelo sarebbe sostenere quelli che sono già credenti. Sfortunatamente gli specialisti di critica del testo sono divisi su quale delle due espressioni si avvicini di più al testo originale; l' utilità del testo per determinare lo scopo del Vangelo è seriamente messa in discussione. Inoltre, quando analizziamo il Vangelo nella sua totalità, questo non ci colpisce in modo particolare come se fosse un documento di tipo missionario. In verità, ci sono alcune sue parti che si leggono proprio così , come se questo fosse lo scopo per cui sono state scritte. L' esempio più significativo di questi testi sono i cosiddetti segni di Gesù, in quanto sembra siano stati scritti per evocare la fede, proprio come indica 20,30-3 1 . Gran parte del Vangelo, però, lascia l ' i mpressione di avere uno scopo diverso. I discorsi di Gesù, per esempio, sembrano troppo complicati e sofisticati perché si possano intendere rivolti a non credenti. Parlando un momento per analogia, i segni sono quel genere di cose che un Billy Graham scriverebbe per i suoi scopi evangelistici, ma i discorsi sono per la maggior parte come qualcosa che un teologo - mettiamo Paul Tillich - scrive rebbe con lo scopo di comunicare un modo di comprendere la fede ad altri credenti. Oltre a ciò, anche se «affinché crediate» fosse quello che l'autore ha scritto in origine, le parole potrebbero essere state parte di quella tradizione che l' evangelista stava utilizzando. Si suppone, e io concordo con questa tesi, che 20,30-3 1 una volta costituisse la conclusione della collezione del «libro dei segni» che l ' evangelista usò. Questa fonte scritta, facciamo un' ipotesi, era un documento missionario che narrava sette opere potenti di Gesù. I versetti 20,30-3 1 costituivano la conclu sione di questo piccolo libro come una chiara e accurata dichia razione del suo scopo. Avendo egli utilizzato i segni presenti in questa fonte scritta, aggiunge ora la sua conclusione al termi ne di quel lavoro, riconoscendo correttamente la sua dipen38
denza da quella fonte. In verità questa conclusione è meno appropriata per l ' intero Vangelo di quanto lo fosse per il suo contesto originale (R. T. FORTNA, nella sua opera The Gospel of Signs, difende questa tesi). Il secondo piano che prendiamo in considerazione per capire lo scopo del Vangelo è costituito dalle implicazioni dell ' inte ro documento. Se mi date fiducia per un momento e accettate il fatto che l ' intento missionario non sia pienamente adegua to per spiegare lo scopo del Vangelo, vedremo quali altre possi bilità possiamo trovare. Ce n'è una che è implicita in una serie di testi e più chiaramente nel racconto della guarigione della persona nata cieca del capitolo 9. Quello che è suggestivo in questo racconto non è la storia in sé, ma ciò che segue. La guarigione operata da Gesù sembra suggerire quell ' intento evangelistico che abbiamo preso in considerazione; la narra zione della reazione delle autorità alla testimonianza della persona guarita è affascinante. Dopo che ha testimoniato per la seconda volta il fatto che Gesù lo ha guarito e che egli deve essere da Dio, le autorità «lo cacciarono fuori» (9,34). Poi incontra nuovamente Gesù e rende una piena confessione di fede (9,35-38). Nel mezzo di questa narrazione ci viene detto che i genitori del guarito avevano paura, «infatti i giudei aveva no già stabilito che se uno avesse riconosciuto Gesù come Cristo sarebbe stato espulso dalla sinagoga» (v. 22). Questo racconto potrebbe suggerire il genere di situazione che sperimentavano l' evangelista e la comunità giovannea e indicare uno dei motivi che hanno spinto alla redazione del Vangelo. Sappiamo che i giudei che abbracciavano la fede cristiana si separavano gradualmente dalla sinagoga. È molto probabile che talvolta lo facessero per propria scelta e talvol ta la separazione era il ri sultato della pressione da parte di loro sorelle e fratelli della sinagoga. Il libro di Atti accenna a questo molte volte (At. 9, 1 -2 ; 1 4, 1 -7 ; 1 7, 1 -9 ; 1 8,4-7 ; 1 9,8- 1 0) e il Vangelo di Matteo indica che il primo evangelista era a conoscen za di dispute fra giudei e cristiani (vedi M t. 1 0, 1 7 ; 23 ,34-36). Quello che la narrazione di Giovanni 9 sembra implicare è che, in verità, esisteva una lotta fra i giudei che credevano che Gesù fosse il Messia e quelli che non lo credevano. Alcuni giudei diventati cristiani continuavano a frequentare la sinagoga, 39
convinti che la loro nuova fede non fosse incompatibile con la vita e prassi giudaica. I membri della sinagoga, però, in molti casi non accettavano questa situazione ed espellevano dalle comunità cultuali giudaiche chiunque aderisse alla fede cristia na. In altre parole, c ' era tensione fra cristiani e giudei nella città in cui fu scritto il quarto Vangelo. Questa tensione saliva e inoltre causava a molte persone una grande angoscia. Giudei diventati cristiani si sentirono intrappolati fra la fedeltà alle proprie radici giudaiche e le loro nuove convinzioni che Gesù fosse il Messia atteso da lungo tempo. Quindi i cristiani furono imbrigliati in una disputa con i loro precedenti compagni della sinagoga. Torneremo su questa discussione più avanti nel capito lo per presentare alcune ragioni dell ' inasprirsi del conflitto fra cristiani giovannei e membri della sinagoga (è stato ipotizza to che questa situazione fosse dovuta ad un decreto formale, emanato da un concilio di rabbini verso la fine del primo secolo; questa ipotesi però non può essere più sostenuta, grazie alle ricerche storiche che non hanno trovato alcuna prova di un decreto di questo tipo). Sostengo che questo contesto ci presenti un quadro accet tabile della situazione e dello scopo dell ' evangelista. Se le cose stanno così, allora alcuni elementi del Vangelo di Giovanni cominciano ad avere più senso. Permettetemi di suggerime soltanto alcuni. È per questo motivo che il Vangelo parla dei «giudei» alla sua maniera. Questa espressione non viene utiliz zata come qualifica etnica ma è un' allusione diretta agli opposi tori principali della chiesa giovannea del tempo. Per questo motivo, in qualche misura, il Vangelo sembra contrapporre Gesù a Mosè o almeno sembra interessato a dimostrare che Gesù è superiore a Mosè (per esempio 1 , 1 6- 1 7; 6,32). Così viene anche chiarito il motivo del costante sforzo di presenta re Gesù come inviato da Dio, che gode di status divino, ma che comunque è subordinato al Padre. Non potrebbe essere questa la risposta dell ' evangeli sta alle accuse da parte dei capi giudaici che i cristiani credessero in due dèi : Gesù e il Padre? Forse viene spiegato anche il ruolo importante assegnato al complotto mortale contro Gesù nel quarto Vangelo (questo complotto appare molto presto - 5 , 1 8 e per implicazione anche 2,23 -25 - si noti ciò, in contrapposizione ai Vangeli sinottici). 40
Forse l ' attuale persecuzione fisica dei cristiani ad opera dei giudei dava nuovo significato alla sofferenza di Gesù avvenu ta molti decenni prima. Infine, Nicodemo (cap. 3) potrebbe essere un esempio di come alcuni giudei si comportassero al tempo dell' evangelista. Essi erano segretamente cristiani o stavano segretamente esplorando la possibilità di aderire alla fede cristiana, ma lo facevano col fav ore delle tenebre, altri menti i loro compagni avrebbero potuto scoprire le loro inten zioni (questa ipotesi si basa sullo studio di J.L. MARTYN, Histo ry and Theology in the Fourth Gospel). Penso che nella misura in cui ana lizziamo più profonda mente il pensiero e il simbolismo del Vangelo di Giovanni, diverrà sempre più evidente che la situazione proposta per la redazione del Vangelo acquista senso. L' evangelista si è posto al servizio di una comunità bloccata in una disputa cruciale con la sinagoga giudaica locale. La comunità giudaica stava minacciando quella cristi ana, proprio come gli sforzi evange listici cristiani stavano minacciando la stabilità della sinago ga giudaica. Il risultato era che entrambe le comunità si difen devano. L'evangelista contribuì alla difesa di quella cristiana rivolgendo il suo scritto in primo luogo ai membri di questa. Utilizzando le tradizioni di cui disponeva e adattandole, egli mise a disposizione dei primi lettori un importante messaggio. L' autore, o l ' autrice, mostrò loro che essi potevano discutere con i vicini giudei in risposta alle acc use sollevate contro il cristi anesimo. Egli, o ella, presentò Gesù drammaticamente impeg nato in una lotta con i suoi contemporanei giudei che non lo avrebbero accettato e che alla fine lo avrebbero messo a morte. Mostrò loro come Gesù fos se l ' ultimo anello della tradizione mosaica, non la sua contraddi zione. Questo fatto era particolarmente importante in quanto alcuni suoi lettori (anche se non tutti) erano di eredità giudaic a. Lo scopo primario del Vangelo, allora, non era di tipo «evange lico», né missionario. È stato rivolto alla comunità cristiana da uno dei capi più stimati ; aveva Io scopo di rafforzare i credenti cristiani nella lotta dovuta alla situazione locale. Era, se si vuole, un documento infracomunitario, era un Vangelo destinato alla fami glia. In verità, l 'evangelista potrebbe aver sperato che alcuni gi udei, che avevano un qualche intere s se per la fede cristiana, 41
fossero persuasi da questo scritto. Per questo motivo l ' intento missionario di 20,30-3 1 non è da considerarsi improprio. Ma lo scopo dell' evangelista non era tanto quello di convertire, quanto quello di educare; non tanto evangelizzare, quanto piuttosto incoraggiare quelli che erano già nella fede. Può sembrare una piccola digressione quella che sto per fare, ma, a questo punto della nostra discussione, è importante solle vare la domanda: perché l' evangelista ha scelto di scrivere un vangelo? Vale a dire, per poter raggiungere lo scopo, perché l ' autore ha selezionato, fra i molti possibili generi letterari, questa forma piuttosto rara di letteratura cristiana che siamo arrivati a chiamare «vangelo»? Naturalmente, in nessuna parte l ' autore chiama la sua opera un vangelo (diversamente da Mc. 1 , 1 ). Tuttavia, l ' evangelista preferisce dare espressione allo scopo del suo lavoro, che descrive la figura di Gesù, con una narra zione che almeno sembra possedere una sequenza storica. Come Paolo e forse altri hanno fatto, si poteva scegliere di scrivere una lettera pastorale. Oppure con la forma apocalittica, come quella che utilizzerà Giovanni di Patmos qualche anno dopo, avrebbe potuto avere l ' onore di incoraggiare i cristiani in crisi. Il problema è ancor più complicato, credo, se il quarto evangelista non conosceva gli altri Vangeli nella loro forma letteraria scritta. Forse egli, o ella, conosceva alcune tradizio ni (orali o scritte) che formarono gli ingredienti della forma letteraria vangelo, ma non aveva mai visto un vangelo intero. Crediamo che fu l 'evangelista che chiamiamo Marco ad aver inventato tale forma letteraria nella tradizione cristiana (forse con una conoscenza di qualche letteratura ellenistica che potreb be essere stata simile ai Vangeli). Ma se il quarto evangelista non aveva mai visto il Vangelo di Marco o altri, perché arri vò a scegliere questo genere? Alcuni direbbero che questa doman da smonta la nostra ipotesi che il quarto evangelista non dipen desse, per la forma letteraria, almeno da uno dei Vangeli sin ot tici. Ritengo tuttavia che esistano altre possibilità. La prima di esse ci dice che è alcuni hanno proposto che la fonte dei segni, che noi riteniamo egli abbia utilizzato nello scrivere il suo Vangelo, fosse essa stessa una forma primitiva del genere letterario vangelo. Vale a dire, presentava i miraco li di Gesù insieme ad altro materiale narrativo in una sequen42
za storica; faceva questo con lo scopo di proclamare la «buona novella» della fede, che è, naturalmente, il significato lettera le di «evangelo». L' autore del quarto Vangelo adottò sempli cemente questa forma dalla fonte e la riempì con discorsi e ulteriori testi narrativi (inclusa, forse, la storia della Passione ; vedi le opere di R.T. FORTNA segnalate nella Bibliografia finale). Una seconda possibilità che ritengo più concreta è che la tradizione orale che l ' evangelista conosceva e che utilizzò fosse già strutturata in quella che chiamiamo la forma letteraria vangelo. Allora, nel tentativo di ripresentare questa tradizio ne il più fedelmente possibile, egli utilizzò naturalmente la forma letteraria vangelo. Questo per dire che la creazione del genere letterario vangelo non è dovuta al genio dell' autore del materiale scritto (i Vangeli di Marco e Giovanni), ma al gradua le e non deliberato sforzo della comunità cristiana primitiva di preservare le conoscenze che aveva a sua disposizione; la tradi zione orale, allora, che si ricollegava al ricordo storico di Gesù di Nazareth, si formò come vangelo. Completando il materia le storico precedente con leggende, miti e nuovi insegnamen ti oltre a quelli che essi ritenevano provenire dal Gesù viven te, i primi cristiani gradualmente strutturarono la forma vange lo al tempo della tradizione preletteraria. Riprendiamo il filo dopo la nostra digressione: questa discus sione ha ben consolidato il mio punto di vista sullo scopo del Vangelo e sulla situazione concreta che portò alla forma scrit ta. Nello stesso tempo abbiamo chiarito il fatto che il Vangelo è diretto ad una comunità di cristiani alla quale probabilmen te apparteneva lo stesso evangelista. Si tratta di una comunità, così mi sembra, composta da cristiani aventi sfondo cultural religioso vario. Alcuni sono giudei, come abbiamo già detto, altri sono senza dubbio di origine pagana. Per questo motivo l ' autore non poteva presumere che il lettore comprendesse l ' ebraico. Di conseguenza, pone la massima cura nel tradurre alcune parole da tale lingua, per esempio in l ,38 e l ,42. Ora dobbiamo affrontare un aspetto supplementare: il contesto culturale dell'evangelista. Se si vuole comprendere una persona, è necessario conosce re qualcosa del suo contesto socio-culturale. Se si volesse comprendere la strana reazione di un amico, poniamo, nei 43
confronti di una persona dell' altro sesso, si dovrebbe conosce re qualcosa riguardo i suoi genitori o i suoi parenti stretti. Soltanto allora si potrà capire perché si comporta in un determinato modo. La stessa cosa è vera per un brano letterario. Il conoscere qualcosa di Shakespeare ci aiuta quando si leggono i suoi scrit ti. Conoscere la vita di Albert Camus e l ' i nfluenza che l ' esi stenzialismo francese ha esercitato sulla sua personalità rendo no la lettura dei suoi racconti più significativa. Abbiamo cercato di ricostruire al meglio questo contesto fondamentale per la comprensione del Vangelo di Giovanni, ma ci rimane ancora da affrontare il problema dell ' influenza culturale sul pensiero del documento. Con quali tipi di idee era venuto a contatto l ' evangelista? Quali scritti avevano struttu rato il suo pensiero? Ci sono nel Vangelo idee ed espressioni prese in prestito altrove? Tutti questi sono modi di informarsi sull' atmosfera intellettuale in cui ha operato il quarto evange lista: quella che lui, o lei, respirava. La situazione in cui scrisse suggerisce di per sé i fatti essen ziali che dobbiamo conoscere per i nostri scopi. Prima di tutto, è evidente da quanto abbiamo detto sopra che io ritengo che l' evangelista sia stato significativamente influenzato dal pensie ro ebraico. Questo implica che le Scritture ebraiche e gli scritti extra-biblici fossero parte del patrimonio culturale dell' autore. Ci sono, però, segni evidenti che il giudaismo che ha conosciu to, e che potrebbe aver abbracciato a suo tempo, non fosse sempli cemente il giudaismo rabbinico che divenne la tradizione princi pale al termine del primo secolo. I paralleli fra il pensiero giovan neo e la letteratura scoperti nei cosiddetti Rotoli del Mar Morto sono sufficienti per convincerci che l 'evangelista conoscesse il movimento giudaico in generale, il quale comprendeva una grande varietà di forme e di espressioni. Possiamo incontrare caratteristiche tipicamente rabbiniche nel Vangelo, per esempio, il discorso nel capitolo 6 sembra proprio un' interpretazione rabbi nica di un testo scritturai e. Ma possiamo rintracciare nel Vangelo caratteristiche non presenti nel rabbinismo tradizionale: per esempio, il pensiero dualistico del Vangelo (vedi cap. 2). Non posso soffermarmi a lungo su questo per ora. Vi chiedo soltanto di accettare questa affermazione come un' ipotesi di lavoro sulla quale continuiamo l ' argomentazione: l ' evangeli44
sta era innanzitutto sottoposto all ' influenza di un giudaismo misto, che poteva tollerare da una parte un fariseo stretto e dall' altra un fanatico apocalittico (come sono alcuni autori dei Rotoli del Mar Morto). Si trattava di un giudaismo che tollerò per un certo periodo di tempo perfino il movimento cristiano al suo interno, considerandolo una setta. Un tale giudaismo come ora descritto, allora, non sarebbe privo di influenze provenienti dal mondo ellenistico: filosofie greche rivisitate, religioni misteriche importate (alcune dall'e st), filosofie speculative e forse anche il culto dell ' imperatore romano. Tutte queste forme religiose o parareligiose influen zarono il giudai smo del primo secolo d.C. così come avevano fatto nei due secoli precedenti . II risultato fu che il giudaismo che influenzò il quarto evangelista non era esente dal pensie ro ellenistico più di quanto non Io sia in America il pensiero democratico rispetto a quello repubblicano. La conseguenza di questa mescolanza di idee e influenze è che il magazzino concettuale del quarto evangelista era pieno fino a traboccare. Questo autore, o autrice, aveva a disposi zione concetti provenienti integralmente da altre tradizioni . Un esempio a portata di mano è il ricco concetto utilizzato per introdurre il Vangelo, vale a dire, la Parola oppure, per utiliz zare il termine greco, Logos. Quest' ultimo è un termine che aveva profonde radici nella filosofia greca, per la precisione nello stoicismo . Ma esso era anche radicato nel concetto di Parola di Dio della Bibbia ebraica e fu rivestito di speculazioni giudaiche in collegamento alla Sapienza. Possiamo immagi nare, allora, che I' evangeli sta impiegasse spesso elementi simbolici e idee che erano il risultato dell ' influenza di diver se eredità religiose e filosofiche. Potrebbe essere stato consa pevole della ricchezza di molte di queste eredità. Possiamo anche immaginare che alcune di queste idee e concezioni del Vangelo potessero essere semplici luoghi comuni e che la loro ricchezza fosse considerata nota sia dall' autore, sia dai Ietto ·ri . Comunque stiano le cose, il risultato è che l ' evangelista era particolarmente adatto a scrivere un vangelo con concetti stupe facenti e di respiro enigmatico. È proprio questo che ha contri buito in parte alla formazione di questo brano indomabile della letteratura cristiana antica. 45
Ecco che ci siamo : un autore generosamente dotato di strumenti concettuali e simbolici, che può beneficiare di un' in vidiabile e stimolante tradizione, posto in una situazione criti ca per la comunità cristiana. Quando è più probabile che avven ne tutto ciò? È difficile dirlo con certezza e in un certo senso non è necessario stabilire una datazione precisa per il Vangelo. Sappiamo che il quarto Vangelo circolava in Egitto prima della metà del secondo secolo, poiché il frammento papiraceo più antico del materiale neotestamentario è un piccolo pezzo del Vangelo di Giovanni. Questo significa, così ritengono gli studio si, che il Vangelo doveva essere stato scritto prima della fine del primo secolo. Possiamo anche ritenere che non fosse stato scritto prima del 70 d.C. quando fu distrutto il tempio di Gerusalemme nella guerra fra giudei e romani. Il modo in cui si allude al Tempio nel Vangelo ha convinto di questo fatto la maggioranza degli studiosi (vedi 2, 1 3-22). Suggerisco allora la datazione 75-85. Ma la decisione per una datazione più precisa è imperniata su una domanda diffi cile: quando potrebbe essersi verificata la situazione che deter minò la redazione del Vangelo? La datazione da me proposta si basa su un' altra considerazione. Si immagini questo: nella sinagoga di una certa città alcuni credenti nel Messia (che noi chiamiamo cristiani) erano tollerati da lungo tempo. In questa sinagoga eterodossa è facile immaginare che vi fosse un altro gruppo di credenti che sostenevano punti di vista strani ! Due cose devono essere accadute che hanno spinto la maggior parte dei credenti a iniziare a mettere in dubbio la loro tolleranza. La prima era forse dovuta ai giudei cristianizzati. Essi stava no diventando sempre più evangelizzatori nel loro atteggia mento nei confronti degli altri giudei. Probabilmente, inoltre, l ' utilizzazione delle fonti che alla fine furono incorporate nel Vangelo suscitarono malcontento. È normale in una comunità religiosa tollerare differenti posizioni quando c'è pieno e recipro co rispetto. Ma che cosa accade quando uno dei gruppi presen ti in quella comunità inizia a dire qualcosa del genere : «La nostra posizione è più fedele della vostra e voi siete religiosa mente inferiori a noi in quanto non avete la nostra stessa posizio ne» ? La tolleranza comincia a scemare. È comprensibile allora 46
che i giudei della sinagoga fossero sempre più scontenti di ospitare questi cristiani fra loro. Il secondo avvenimento è la distruzione del tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. che fece un gran scalpore in tutte le sinagoghe giudaiche. Cosa poteva essere il giudaismo senza il Tempio? Cosa significava essere giudeo? I cristiani di origine giudaica potevano rendere le cose ancor peggiori, sostenendo che la distruzione del Tempio da parte dei romani esprimesse il giudizio di Dio sul giudaismo (vedi Giov. 2, 1 3-22). Le doman de che i membri della sinagoga si ponevano e forse anche la posizione dei membri cristiani di questa comunità suscitaro no un impulso naturale: «Facciamo pulizia in casa nostra. Quelli che sostengono una posizione diversa da quella autocom prensione che cerchiamo di sviluppare qui devono andarsene altrove». È un' ironia della storia che l ' espulsione dei cristia ni dalla sinagoga nascesse dalle nuove domande sull' autoi dentità giudaiche causate dalla distruzione del Tempio. Questo a sua volta costrinse i cristiani a porsi la domanda sulla propria identità: chi siamo se non giudei che credono che Gesù sia il Messia lungamente atteso? Tutto questo probabilmente è accaduto nel decennio succes sivo alla distruzione del Tempio. Ritengo ragionevole ipotiz zare che il Vangelo sia stato scritto nell' arco degli anni 75-85 . Forse il lettore si chiederà perché ci siamo addentrati così nell' argomento senza fare alcun riferimento ali ' identità del quarto evangelista, noto con il nome di Giovanni . La ragione di questo ritardo è che, credo, non possiamo dire quasi nulla di più sull' autore di quanto sia stato già indicato in questa intro duzione. La sua figura è troppo immersa nell' oscurità della storia da non consentirci di presentare altro che un personag gio dai contorni vaghi. L'autore di questo Vangelo rimarrà proba bilmente anonimo per sempre. Gli studiosi del Nuovo Testamento hanno giustamente messo in discussione il tradizionale colle gamento del quarto evangelista con Giovanni, il figlio di Zebedeo, che ci è noto dai Vangeli sinottici. Anch' io dubito molto che si possa identificare l ' evangelista con il misterioso «discepolo che Gesù amava» (anche se molti non condividono il mio stesso scetticismo a tal proposito). Ciò che abbiamo a disposizione per procedere è il documento stesso e dal testo si può leggere 47
soltanto questo. Abbiamo cercato di descrivere il contesto dell' au tore, o dell' autrice, che meglio si adatta allo scopo di scrivere questo Vangelo. Inoltre, abbiamo sostenuto che la tradizione a sua disposizione fosse ricca e completa. Sostenere più di questo sullo scrittore significherebbe avventurarsi senza necessità ben oltre l ' ambito della speculazione. Negare la possibilità che quest' autore fosse una donna non è corretto e tradisce il pregiu dizio dei secoli precedenti (vedi l' Appendice B, «Le donne nel Vangelo di Giovanni», per una breve digressione sulla possi bilità che il quarto evangelista fosse appunto una donna). Quello che abbiamo cercato di fare con questa introduzio ne è suggerire il modo in cui il quarto Vangelo è indomabile rispetto a quelli canonici : vale a dire, «Va da solo per la sua strada» se confrontato con i Sinottici. Si presenta a noi con una struttura letteraria unica e leggendolo suscita un ' esperienza diversa da quella dei Sinottici. Inoltre è stato proposto che ci siano motivi che giustificano la natura indomabile di questo Vangelo. È stato scritto in base ad una tradizione diversa da quella incorporata negli altri tre, da un evangelista che era dotato in modo unico di un vasto corredo di concezioni e strut ture simboliche che hanno avuto origine in un giudaismo cultu ralmente misto e influenzato per di più dal pensiero ellenisti co. È stato indirizzato ad una chiesa cristiana nel bel mezzo di una disputa vitale con la sinagoga giudaica: una situazione che richiedeva concezioni nuove e radicali . Tutte queste cause hanno contribuito al prodotto finale: un Vangelo che non si conformava ai canoni standard del cristianesimo che si stava no sviluppando. Possiamo essere grati alla chiesa primitiva per non aver escluso il quarto Vangelo dal suo canone; se lo avesse fatto, noi saremmo stati veramente più poveri. Ora è tempo di rivolgersi all ' esposizione del pensiero teolo gico e al simbolismo di questo Vangelo. Questa analisi dimostrerà ancor di più il concetto che abbiamo presentato in questa intro duzione: penso, in particolare, che esso esprima un' imposta zione diversa del pensiero cristiano primitivo. Nello stesso tempo, cominceremo a vedere quanto sia universale nel suo pensiero e come ci fornisca l' esempio principale del modo in cui una persona di fede combatte con molti problemi vitali .
48
l
IL FIGLIO DEL PADRE : LA CRISTOLOGIA GIOVANNEA
La storia delle religioni è piena di racconti di straordinari fondatori di movimenti religiosi. La maggior parte delle princi pali tradizioni religiose del mondo, ma non tutte, hanno ali ' o rigine un fondatore. Esse si riferiscono a questi e ne ricono scono il (di lui o di lei) ruolo nella scoperta del nucleo di verità che è diventato la pietra angolare di quella religione. Si ritie ne che queste figure fondanti abbiano avuto una qualche rivela zione o ispirazione speciale. Questa concezione è stata traman data alle generazioni successive mediante strutture istituzio nali della religione stessa. Il fondatore della tradizione viene considerato per lo meno come l ' iniziatore storico della fede. Similmente, ogni tradizione religiosa che si basi su di una figura storica rivendica l' unicità del fondatore e nello stesso tempo quella della sua rivelazione. Questo sviluppo è elabora to e vario; in alcuni casi l' esperienza del fondatore diventa dispo nibile per tutti i seguaci devoti a quella fede. Questo sembra essere il caso di alcune forme di buddismo, per esempio, dove l ' illuminazione di Gautama è lo scopo di tutti coloro che aderi scono a questa religione. In altri casi l ' unicità del fondatore è così marcata che non è la sua esperienza a poter essere ripetu ta, ma quella personale che il credente fa della persona del fondatore. Il cristianesimo tradizionale sembrerebbe essere un esempio di quest'ultimo tipo, ma in ogni caso, l' unicità del fonda tore e della sua rivelazione è vitale per lo sviluppo della religio ne e tende ad essere vista come un fatto autoevidente riguar dante la figura storica fondante. Così, nelle rispettive tradizio ni religiose, si pensa che Maometto, Mosè, Zoroastro e Gautama siano stati esempi sicuri e lampanti delle loro straordinarie qualità. La rivendicazione di unicità del fondatore costituisce, però, 49
uno sviluppo successivo di queste tradizioni. Vale a dire, la religione medita sulla natura del suo fondatore finché giunge, i n un certo senso, ad una visione ultima, ortodossa. Questa impostazione finale può presentare tutto l ' intero spettro di posizioni: dalla semplice pretesa di una pietà specifica (Maometto), una nascita straordinaria (Gautama) o la natura divina (Cri sto) .Ovviamente, ciò che è comune alle religioni del mondo è che quasi tutte hanno un fondatore per il quale fanno deter minate rivendicazioni, che si sviluppano ali ' interno della storia della singola religione. La verità della rivendicazione è di solito nascosta n eli ' oscurità della storia, ma viene chiaramente testi moniata dagli aderenti a quella fede . A questo punto ci interessa il conflitto interno a ciascuna tradizione religiosa per definire la natura del suo fondatore. La spiegazione di tale natura è uno dei livelli primitivi-e di impor tanza vitale per l ' emergere di una tradizione religiosa di grande rilevanza. Mettetevi a studiare una qualsiasi tradizione religio sa e scoprirete una storia affascinante dell'evoluzione delle posizioni sul fondatore. Nella tradizione giudaica, per esempio, si scopre già nella stessa Bibbia ebraica un atteggiamento onori fico nei confronti di Mosè (per esempio Deut. 34,l0). Poi, nel pensiero giudaico successivo alla chiusura del periodo della Bibbia ebraica, inizia un ' elaborata speculazione su Mosè. Le leggende si moltiplicano; si sostiene, per esempio, che egli non sia mai morto ma che sia stato rapito in cielo (Assunzione di Mosè). Una tradizione religiosa non arriva mai facilmente alla definizione della figura del suo fondatore: questo è il risulta to di un lungo processo di riflessioni e discussioni, di formu lazioni e riformulazioni. La veridicità di queste annotazioni per il cristianesimo primitivo è evidente: la lotta dei cristiani per arrivare ad alcune visioni comuni sulla natura di Gesù di Nazareth inizia fin dai primi anni del movimento. Raggiunge il culmine (ma non termi na) nel Concilio di Nicea e nel suo Credo (325 d.C.). Il Nuovo Testamento si presenta a noi con molte prove degli sforzi fatti dai primi cristiani per formulare quello che volevano dire su Gesù, sulla sua persona e sulla sua opera. Se si cerca di estra polare dal Nuovo Testamento una visione di Cristo unica e coerente ci si trova nei guai . Sembra proporre una serie di fatti 50
diversi sulla persona di Gesù : io credo che il quadro che se ne ricava sia quello di pensatori cristiani primitivi che lottano per cercare le parole adeguate ad esprimere la loro fede in Cristo. Il quarto Vangelo costituisce un importante contributo a questa visione di Cristo che emerge fra i cristiani del primo secolo. Riprende la sua figura da un diverso punto di vista e ne propo ne alcune posizioni radicali . È corretto dire che con il quarto Vangelo la visione che il pensiero cristiano primitivo ha di Cristo progredisce enormemente in una direzione. Come poi avvenne, questa si dimostrò essere la strada che la chiesa avrebbe preso nelle sue confessioni di fede sulla persona di Cristo. Tuttavia non dobbiamo avvicinarci a questo Vangelo con l ' impressione che esso abbia una visione unica e coerente da propagare. Esso presenta non una ma più dichiarazioni sul fondatore della religio ne. Non sono sempre del tutto coerenti nel modo in cui un teolo go moderno vorrebbe che fossero, ma tendono a muoversi in una specifica direzione. È difficile sopravvalutare l ' importanza di queste affermazioni per il pensiero cristiano successivo. Questo capitolo si soffermerà su alcuni aspetti del quarto Vangelo riguardanti la persona e l ' opera di Cristo. Ci occupe remo di cinque argomenti : l . il Logos o la cristologia della Parola del prologo di Giovanni; 2. la varietà di titoli rivolti a Cristo presenti in l, 1 9-5 1 ; 3 . il Figlio dell ' uomo e il rapporto fra Padre e Figlio nel Vangelo; 4. l ' importanza dei detti «io sono» per la cristologia; 5. l ' opera di Cristo compiuta con la sua morte.
LA CRISTOLOGIA DEL LOGOS
si ri legga ancora una volta il Prologo del Vangelo ( l , l - 1 8), prestando la massima attenzione a quanto viene affermato sulla natura e l ' opera della Parola.
Letture preparatorie:
I prinù diciotto versetti del quarto Vangelo sono fra i più importanti deli' intero Nuovo Testamento: sono anche i più enigma51
tici. È corretto affermare che questo è uno dei testi della lettera tura cristiana primitiva studiati più frequentemente. Ci sono alcuni aspetti di esso che tralasceremo e credo che il lettore debba esserne informato. Il primo riguarda la caratteristica innica di questi versetti : molti studiosi del quarto Vangelo «sentono» che il cuore di questo testo si legge come una poesia e ritengono che esso sia stato utilizzato, in un modo o nell' altro, nel corso del culto cristiano. Questo fatto suggerisce una nuova domanda: il quarto evangelista ha composto questo testo, oppure ha incor porato un inno cristiano popolare all' inizio del Vangelo (in questo caso l' autore sarebbe stato un «raccoglitore» molto attento che ha preso al volo questo testo con cui aprire il suo Vangelo) ? Oppure è possibile che questi versetti siano stati aggiunti qualche tempo dopo che era stato scritto per intero? Esiste una forte prova a sostegno dell ' ipotesi che questa parte sia stata aggiunta poste riormente: in nessun' altra pagina del Vangelo si fa riferimento alla Parola con significato simile a quello utilizzato in questi versetti iniziali. L' evangelista può aver composto questo testo o può aver utilizzato un inno cristiano preesistente quale introdu zione al Vangelo. In entrambi i casi, non ci dovremmo forse aspettare che l ' autore colleghi la restante parte del Vangelo alle dichlarazioni teologiche presenti in questa introduzione? Credo che le affermazioni teologiche di questo Prologo presentino un buon numero di temi coerenti con il Vangelo. Non ultime le affermazioni sulla reiezione di Cristo (per esempio l, 1 0-11 ) e sulla superiorità della rivelazione di Dio in Cristo rispetto a quella sulla quale si fonda il giudaismo (per esempio l, 1 7 - 1 8). Proprio a causa del gran numero di questi temi, sono convinto che il Prologo sia strettamente collegato a tutto il Vangelo, come una ouverture in un' opera sinfonica o lirica che coglie l ' umore dell ' intera esecuzione. Grazie a questa carat teristica, sono propenso a ritenere che il quarto evangeli sta, o la comunità giovannea, sia responsabile del contenuto del Prologo. Se esso fosse posteriore, sarebbe stato aggiunto sicura mente da qualcuno che aveva compreso correttamente e piena mente l ' atmosfera dell' intera opera. Quale che sia la sua origi ne ne costituisce una parte importante, quindi dobbiamo studiar lo per quello che dice sulla concezione di Cristo condivisa dall 'evangelista e/o dalla comunità giovannea. 52
L' Introduzione ha già fatto allusione alla ricchezza del conce t to di Parola o Logos. Molto tempo è stato impiegato nel cerca re i precedenti storici di questa concezione. La nostra inten zione è soltanto quella di espandere il concetto che abbiamo già precisato, secondo cui il Logos era una concezione radica ta in contesti religiosi e filosofici molto diversi. In primo luogo nello stoicismo, presente nelle filosofie ellenistiche, era conce pito come una specie di ragione cosmica. Era la mente al centro dell 'universo, ne spiegava interamente il funzionamento, la struttura e gli dava ordine. Un granello di questo Logos univer sale è presente in ogni persona, così sosteneva questa conce zione, e in questo modo collegava tutti al cuore del cosmo. Naturalmente gli ebrei avevano una tradizione della Parola di Dio similmente antica: la dabar Yahvè. Fu la Parola di Dio che portò ogni cosa ali ' esistenza, secondo la tradizione racchiu sa in Genesi l. Era la Parola di Dio che si rivolgeva ai profe ti e li riempiva del messaggio da portare al popolo ebraico : era come un ponte fra il Dio trascendente del pensiero ebraico e il mondo umano. Il pensiero giudaico successivo elaborò più a fondo il concet to di sapienza. La Sapienza era con Dio e pervadeva le perso ne devote, fu fatta persona divina in qualche forma, in alcune pagine di letteratura giudaica, come Proverbi 8 ,22-3 1 . Più tardi, al tempo della Bibbia ebraica e oltre questo periodo, nel corso del primo secolo dell' èra cristiana, la speculazione giudaica sulla Sapienza la mise in relazione alla Torah, la parola scrit ta di Dio. Similmente, essa fu identificata con la Parola di Dio (memra, la forma aramaica per «parola»). Con un' eccessiva semplificazione di un lungo percorso storico, si può dire che la Sapienza fu personificata, poi collegata e armonizzata con la precedente tradizione relativa alla Parola di Dio. Da questa ricca eredità l ' autore del Prologo del Vangelo ricavò i suoi pensieri . Si può vedere come il significato del Prologo potrebbe essere simile a quello del Logos del pensie ro stoico, come si collega alla concezione della Parola di Dio presente nelle scritture ebraiche e anche come «parola>> potreb be essere la traduzione di «sapienza» , così com' era concepita nella riflessione giudaica. Quali che siano le sue radici speci fiche, l' autore intende affermare che il Logos ha un significa53
to ricco e vario. Egli, o ella, potrebbe aver voluto essere elusi vo circa i precedenti specifici a cui si richiamava, così che sia i lettori giudei sia quelli pagani potessero sentirvi riecheggia re i loro significati impliciti . Anche così, l ' autore ha voluto dire qualcosa di specifico su Gesù mediante l ' impiego di questi concetti . Lui, o lei, intende applicare quest' ampia categoria filosofico-religiosa del Logos a Gesù, per affermare che egli era il compimento dell' intera vasta tradizione di molte differenti religioni e visioni filosofi che dell ' universo. L' autore, in effetti, sta dicendo che Cristo è tutto questo, Logos della tradizione stoica, Parola della Bibbia ebraica e Sapienza della riflessione giudaica, condensato in una persona. Questo, io credo, è il colpo decisivo del Prologo: il Logos per i cristiani è una persona. Non è un concetto filoso fico astratto, non è una categoria dell' esperienza religiosa, né è mitologia religiosa speculati va. È una persona incarnata, viven te, storica; proprio a questo punto si pone il genio del Prologo. Esso sostiene che il mito astratto, quello sperimentato sogget tivamente, è diventato ed è una persona: questa è quasi una rivendicazione. Che si creda vero o meno, se ne deve ricono scere l ' importanza in quanto rivendicazione cristiana per Gesù. M a immergiamoci nel Prologo stesso: che cosa ci dice a proposito del Logos? Ecco quanto viene affermato sulla Parola: era nel principio; era con Dio; era Dio; è stata l ' agente della creazione; era la vita che illumina gli uomini ; (non era Giovanni il Battista) ; era nel mondo, ma non fu riconosciuta dal mondo ; non fu ricevuta dai suoi ; dava il diritto a diventare figli di Dio; è diventata carne ed ha abitato nel mondo; ha rivelato la gloria; era Figlio di Dio; (Giovanni il Battista le ha reso testimonianza) ; ha portato grazia e verità; era superiore a Mosè; ha fatto conoscere Dio come mai prima di allora. 54
Alcune di queste affermazioni richiedono il nostro esame, non ultima fra queste proprio la prima. Essa costituisce una delle rivendicazioni più alte che i cristiani abbiamo fatto per Cristo: egli esisteva fin dal principio (nel testo farò riferimen to al Logos utilizzando i pronomi maschili, come nel greco, soltanto per il fatto che si afferma che il Logos è una persona e che il Cristo preesistente si è incarnato come uomo. In verità, preferirei ipotizzare che il Logos, come Dio, sia nello stesso tempo maschile e femminile e che soltanto nell ' i ncarnazione la Parola assuma forma maschile). La preesistenza del Logos significa non solo che esso esisteva prima della stessa creazio ne, ma ancor prima che «iniziassero ad essere tutte le cose» . La sua esistenza risale a quel misterioso tempo prima del tempo, nel regno della temporalità che sfugge alla concettualizzazio ne umana. Per quanto non possiamo neanche immaginare che cosa significhi esistere prima di ogni cosa, possiamo provare a intuire che cosa stia cercando di affermare l ' autore nel dire tutto ciò. Cristo è così importante che non può semplicemente essere venuto ali ' esistenza come ogni altra persona o cosa. Lo si presen ta come trascendente gli esseri viventi e le cose con 'l ' affermazione della sua esistenza pretemporale. Gli evangelisti responsabili dei Vangeli di Matteo e di Luca hanno detto qualcosa di simile quando hanno incorporato nella loro narrazione i raccon ti della nascita verginale e/o del concepimento per mezzo dello Spirito santo. Essi volevano affermare che il significato di Cristo nella vita delle persone esclude che egli possa essere venuto ali' esistenza in modo ordinario: la sua origine è dovuta ad una iniziativa divina straordinaria. Il quarto evangelista (o I ' autore del Prologo) ha fatto un passo in più per dire la stessa cosa: Cristo non è un essere creato, egli è prima della creazione. II concetto che vorrei sottolineare è che questa affermazione è una espressione del valore assoluto di Cristo. Un altro elemento che si evidenzia fra quelli presenti nel Prologo è che il Logos era l ' agente della creazione. «Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lui ; e senza di lui, neppure una delle cose fatte è stata fatta» (v. 3). Qui c ' è un' affascinante svilup po del pensiero cristiano su Cristo. I primissimi cristiani sicura mente affermavano la qualità redentiva della vita e morte di Gesù di Nazareth; egli è la fonte di un nuovo genere di vita, 55
tutta protesa al progetto divino per l' esistenza umana. Ma in qualche momento dello sviluppo del pensiero cristiano primi tivo si arrivò ad una tappa successiva, vi fu un salto, direi. Questa persona che redime e salva è anche l' agente della creazio ne divina. Il nostro Prologo potrebbe, o no, essere stato la prima espressione scritta conosciuta di questa concezione: esso compe te per questo onore con l ' inno cristologico presente in Colossesi 1 , 1 5-20 (vedi in particolare il v. 1 6). Che idea sorprendente è questa ! Ancora una volta si è portati a chiedersi cosa inten dessero dire i primi cristiani con questo concetto di Cristo quale agente della creazione. Potrebbero aver colto nettamente la sua funzione in riferimento alla redenzione divina, ma non erano ancora contenti : volevano andare oltre, complicando le cose, attribuendogli anche un ruolo nella creazione. Certamente questa affermazione ha origini radicate nel significato esisten ziale di Cristo per la vita umana. La rivelazione in Cristo è così basilare per il significato e per lo scopo dell' esistenza che egli deve essere concepito come la forza che struttura il tutto fin dal principio de li' esistenz a ! Qual è, allora, i l rapporto che intercorre fra questo Logos preesistente e creativo e Dio? Su questo punto il Prologo è invitante. È come se l ' autore stesse stuzzicando il lettore con il linguaggio del primo versetto. Nell'originale greco si legge rebbe qualcosa di simile a: «II Logos era con il Dio» . La prepo sizione «con» indica il genere di rapporto. «E la Parola era Dio» . Dio e la Parola sono identificati. L' articolo determina tivo che precede «Dio» nella prima frase del versetto viene omessa nella seconda. Questo piccolo dettaglio grammatica le ha portato alcuni a ritenere che l ' identità del Logos con Dio non si dovesse intendere completa. Essa indicherebbe qualco sa del tipo «il Logos era divino/la Parola era divina» . Penso, tuttavia, che una tale interpretazione stia sopravvalutando il significato de li' assenza di un articolo determinativo. Questa frase del Prologo introduce immediatamente al letto re una concezione basilare di Cristo presente nel quarto Vangelo: il Logos è un essere distinto e tuttavia identico a Dio. Vale a dire, nel rapporto fra Dio e il Logos (o Cristo) esiste sia l' indi vidualità, sia l' identificazione. «Con Dio», «Era Dio» ! N o n vogliamo che il Prologo si legga come una confessione di fede 56
cristologica sviluppata dalla chiesa in epoca posteriore. Esso è stato scritto in un tempo antecedente quello in cui la chiesa si trovò a combattere con la concezione trinitaria. Tuttavia, un' interpretazione onesta deli ' espressione ci costringe a pensa re che qui l' autore ci stia conducendo in un paradosso, proprio al cuore del rapporto fra Cristo e Dio. Come ci può essere individualità (distinzione, separazione, dualità) e identità (unità, unicità) nello stesso tempo? L' autore non lo dice. Si può quasi udire il sorriso giovanneo alle nostre spalle nel momento in cui cerchiamo di spremerei le meningi per cercare di compren dere il significato profondo di queste parole. In ultima analisi, l' autore intende dire che Cristo è la dimen sione espressiva dell' essere divino. Mi sia permesso far ricor so ad una semplice analogia: si può affermare che una perso na ha due aspetti o dimensioni. Ve n ' è uno che esprime chi essa sia con azioni e parole nei confronti di amici e compagni . Ma v e n ' è u n altro, quello interiore, inespresso del tutto o quasi. In funzione del grado di intimità che si ha con gli altri, questo aspetto può essere colto oppure può essere quasi non rileva bile. Se ne dimentichi l ' applicazione, il Logos è ciò che espri me il lato esterno di Dio. Questo non vuoi dire che egli è compiutamente espresso nel Logos, ma che (questo afferme rebbero i cristiani) il significato dell ' esistenza divina per gli uomini è manifestato in questa espressione dell 'essere di Dio. Se questo è quanto aveva in mente l ' autore del Prologo, ci sta dicendo che il Logos è quella dimensione di Dio che è giunta ad espressione per poter essere compresa dagli esseri umani . Questo ci porta al cuore del Prologo stesso, così come esso . si trova ora nel Vangelo, il famoso versetto 1 4: «E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi». L' espressione dell' essere divino dimora in una singola creatura umana e vive fra altri esseri umani per un certo periodo . La dimensione espressiva dell'essere di Dio è fisicamente presente. È stata resa sensibile, così che possa essere toccata, vista, udita e speri mentata. Naturalmente, per il quarto evangelista, questo «Logos sensibile» è l' uomo di nome Gesù di Nazareth. Questa dichia razione costituisce per il cristianesimo l ' affermazione norma tiva della cristologia incarnazionalista. È stato affermato che il Logos è Dio e che è di ventata persona umana. 57
Non si può cogliere il pieno significato di questo sforzo per articolare l ' identità del fondatore del movimento cristiano senza paragonarlo brevemente ad altre affermazioni dello stesso tipo, presenti in esso. Si potrebbe sostenere che ci siano tre conce zioni fondamentali di Cristo nel Nuovo Testamento. Noi le indichiamo con i nomi di «cristologia adozionista», «cristolo gia dell ' inviato» e «cristologia incarnazionalista». La prima sostiene che Gesù era un uomo che a motivo della sua obbedienza a Dio fu adottato come Messia. Questa adozio ne può essere avvenuta in qualche momento del ministero di Gesù, ma più spesso si ritiene che essa costituisca il vero signi ficato della risurrezione. In questa impostazione non c ' è preesi stenza di Cristo, né iniziativa divina nella sua nascita. Egli vive una vita di obbedienza e poi viene costituito come persona speciale di Dio, appunto come Messia. Credo che questo tipo di pensiero cristologico sia stato la forma primitiva adottata dai cristiani per parlare del loro fondatore. È presente soltan to marginalmente nelle pagine del Nuovo Testamento, in quanto i cristiani iniziarono subito a elaborare una cristologia in termi ni (spiegheremo perché) più appropriati . La presenza di una primitiva cristologia adozionista, tuttavia, fa capolino da questi testi del Nuovo Testamento: Atti 2,36; 3 , 1 3 ; Romani l ,3-4 (per una difesa più completa di questa ipotesi si veda J.A. T. ROBINSON, The More Primitive Christology at Ali ?, in Twelve New Testament Studies, Londra, SCM Press, 1 962, pp. 1 39- 1 5 3 ) . La cristologia dell' inviato è più comune nel Nuovo Testamento. In qualche modo essa dichiara che Dio ha preso l ' iniziativa di inviare un suo messo per svolgere una funzione rivelatoria e salvifica. Questo tipo di pensiero è presente in tutti quei testi neotestamentari che si limitano semplicemente a dire che Gesù fu «inviato» da Dio. È abbastanza interessante notare che una delle espressioni favorite del quarto Vangelo è vicina a questo concetto (per esempio 3 ,34). Tale cristologia è anche presen te in altri testi del Nuovo Testamento come Matteo 1 0,40 e Romani 8 , 3 . Gesù viene talora concepito come un profeta di Dio inviato con un messaggio ed una missione, ma io sosten go che i «Vangeli d eU' infanzia» in Matteo e Luca siano sostan zialmente espressioni di una forma di cristologia dell ' inviato. In questo caso, egli è più che un semplice uomo: il suo essere 58
è in qualche modo strutturato dall' azione speciale di Dio. Inoltre, sia che la natura dell' inviato sia quella di un prescel to o di una creatura sovraumana, la sua funzione è essere invia to, rappresentante o, se si vuole, ambasciatore. La più ardita delle affermazioni nei confronti di Cristo si trova nella cristologia incarnazionalista. In questo modo di concepirlo si sostiene una qualche forma di esistenza previa, si ritiene che egli sia esistito prima della sua apparizione come uomo in questo mondo. Questa affermazione è di pari impor tanza, e logicamente necessaria, al tema centrale della cristo logia dell ' incarnazione: l ' essere divino è diventato una perso na umana. Il contributo di tale concezione, allora, è afferma re la natura divina di Cristo e nello stesso tempo la sua forma umana. Il Prologo del quarto Vangelo è la dichiarazione più piena e completa della cristologia incarnazionalista presente nel Nuovo Testamento, però Colossesi 1 , 1 5-20 gareggia in qualche modo per le sue affermazioni su questo tema. Si dibat te ancora se l 'inno di Filippesi 2,6- 1 1 esprima anch' esso conce zioni simili. Se posso permettermi, vorrei utilizzare i sommari, in forma di diagrammi , proposti da Reginald H. Fuller di queste tre impostazioni cristologiche, che presento nei tre schemi seguen ti (vedi R.H. FULLER, The Foundations of New Testament Christology, New York, Charles Scribner's Sons, 1 965, pp. 243-246):
Cristologia adozionista
Adozione da parte di Dio ' '
Obbedienza della vita di Gesù
'
'
'
•
Esaltazione di Cri sto come Messia
59
Cristologia dell ' inviato
�:�:tDio (Iniziativa divina)
._
l
\
. Vita d t G es ù '--·--_ ___.....
_.
Es�ltazione di Cnsto
Cristologia incarnazionista Esistenza di Cristo prima del mondo (o prima della creazione)
Esistenza di Cristo dopo il mondo
incarnazione .Vita di Gesù
Esaltazione di -. Cristo (Ritorno)
Schema 4 Il Prologo del quarto Vangelo, allora, si presenta a noi con il più elaborato esemplare di pensiero incarnazionalista del cristianesimo primitivo. Qui la natura divina del Logos preesi stente è più chiaramente affermata e l ' umanizzazione o incar nazione dello stesso è apertamente espressa. Giovanni l , 1 4 non solo l a dichiara, m a dice molto d i più. I l verbo tradotto con «ha abitato» significa letteralmente qualcosa come «ha messo lè sue tende per un periodo fra di noi». L' implicazione è che il Logos è in viaggio, e ha «campeggiato» in questo mondo per un tempo come parte del suo itinerario: qui viene articolato il cuore dell ' evangelo cristiano. Non è nostro compi to parlare a favore o contro questo evangelo, ma soltanto di metterlo in evidenza e stupirsi della mente religiosa (o della comunità di menti) che ne è responsabile. Vorrei identificare il contenuto del Prologo con il nome di mito primario di Cristo. Con questo non voglio dire che le 60
affermazioni su Cristo presenti nel testo siano necessariamente non vere (in verità, questo uso scorretto della parola «mito» deve essere accantonato una volta per tutte), ma che quelle sul cosmo, sulla straordinaria esistenza e sul comportamento del Logos sono poetiche e piene di immaginazione nel senso più profondo. Sono mezzi per esprimere il significato e lo status di Cristo nella vita delle persone di una comunità cristiana. Il Prologo è colmo di descrizioni mondane, storiche e «fattuali» per dirci qualcosa sugli antichi cristiani e la loro percezione della realtà. Il mito è quella prospettiva sulla vita umana e sul mondo che ha dato forma e ha strutturato l ' esistenza per loro. Ogni volta che qualcuno esprime ciò che dà significato e scopo alla vita, parla in forma mitologica. Fare questo significa propor re un modello di comprensione del mondo che sposi bene l ' esperienza e la presa di posizione del credente. Questa è la funzione che ha svolto il mito di Cristo, presente nel Prologo, nella comunità dalla quale emerse. Esso ha articolato questo modello di significato e di scopo. Proponeva una prospettiva cosmica che andava al di là di tutte le esperienze della comunità di fede. Ha sviluppato una prospettiva all ' interno della quale si poteva vivere la vita senza paure mortali e/o disperazioni assolute. È in questo modo che ogni comunità religiosa propo ne un mito che dà significato alla vita. Il Prologo ne è un esempio supremo alle origini del cristianesimo.
l TITOLI CRISTOLOGICI IN 1 , 1 9-5 1
si legga l , 1 9-5 1 elencando tutti i titoli utiliz: zati in riferimento a Cristo in questo testo. Si noti anche ogni altra affermazione fatta su di lui. Letture preparatorie :
Il capitolo l del Vangelo è colmo fino all ' orlo di afferma zioni cristologiche. Il Prologo ci viene incontro con le dichia razioni collegate al Logos e alla sua incarnazione. Nei verset ti successivi alla sua conclusione viene attribuita a Cristo un ' in tera serie di titoli. A questo punto una carrellata su di essi costi61
tuisce, in effetti , un sommario delle molte i mpostazioni con le quali il quarto Vangelo esplicita la sua comprensione di Cristo. Il primo titolo con il quale il lettore viene messo a confron to nel testo si ritrova sulle labbra di Giovanni il Battista: «Agnello di Dio» (vv. 29.36). Questo evoca una serie di possibili signi ficati, che esamineremo soltanto superficialmente. Come molti dei titoli utilizzati qui e altrove nel Nuovo Testamento per Cristo, può avere molti significati . Il più ovvio l ' abbiamo già indicato nell ' Introduzione, vale a dire quello dell ' agnello pasquale. Questo aveva un particolare collegamento con la celebrazione della Pasqua ed evocherebbe immagini di libera zione del popolo dalla schiavitù. Il Battista qualifica ulterior mente la portata dell' espressione «Agnello di Dio» precisan do «che toglie il peccato del mondo» . Questa aggiunta sugge risce che il significato dell 'espressione non è quello dell ' a gnello pasquale, ma quello sacrificale (oppure dell' agnello pasquale inteso in senso sacrificale : vedi anche I Cor. 5, 1 7). Si tratta di qualcuno la cui morte simboleggia il pentimento di colui che offre il sacrificio. La sua morte è in qualche modo espiatoria: viene offerta a Dio e cancella il peccato. L' agnello pasquale e quello sacrificale potrebbero essere stati collegati, per quanto sia discutibile che la morte dell' agnello pasquale fosse considerata una forma legittima di sacrificio espiatorio. La terza attribuzione del titolo «Agnello di Dio» è presen te nella letteratura apocalittica giudaica: gran parte di questa parla di un agnello nel dramma della fine del tempo. Esso costi tuisce la figura centrale nella distruzione del male nel mondo (un esempio di questo genere di visione apocalittica della figura dell' agnello è presente in Apoc . 5 ) . Infine, il servo sofferente del De utero-Isaia in Isaia (42 , 1 -4; 49, 1 -6; 50,4-9; 52, 1 3 - 5 3 , 1 2) viene descritto come un agnello in uno dei testi (5 3 ,7). Dal momento che molti ritengono che i primi cristiani interpre tassero Cristo a partire dal contesto di questa immagine del servo sofferente, essi scoprono con naturalezza allusioni alla figura del servo in questo uso del titolo «Agnello di Dio» (sono in debito con R. BROWN, Giovanni, Commento al Vangelo spirituale, Assisi, Cittadella editrice, 1 979 per alcune indica zioni dei possibili significati del titolo che ho usato in questa sintesi). 62
Che cosa ne deduciamo allora? Utilizzando il titolo «Agnello di Dio», l'evangelista potrebbe voler indicare per Cristo una o più tra queste possibilità: l . egli è il simbolo della nuova Pasqua, della nuova libera zione dalla schiavitù offerta da Dio;
2 . egli è la vittima innocente le cui sofferenze e morte otten gono la rimozione del peccato umano; 3 . egli è la figura che appare alla fine della storia per distrug gere tutto il male presente nel mondo; 4. egli è il servo di Dio le cui sofferenze compiono l ' espia zione per il peccato di altri. La nozione apocalittica di Cristo come colui che distrugge il male viene accennata nel Vangelo (per esempio 1 2,3 1 ) , ma non costituisce un tema centrale. Il riferimento pasquale è attraente, dal momento che secondo la struttura storica di questo evangelista, Gesù viene crocifisso precisamente nel momen to in cui si uccidevano gli agnelli in preparazione della cena pasquale. L' idea di liberazione è certamente collegata con l ' agnello sacrificale, per cui la morte della vittima effettua la cancellazione del peccato. Questa idea, a sua volta, ha chiare radici nel concetto del servo sofferente del Deutero-Isaia. Quello che l ' evangelista voleva farci comprendere con l ' affermazione che Gesù è l ' Agnello di Dio credo sia che egli è l ' inviato di Dio la cui vita e morte producono liberazione. Nel quarto Vangelo una piccola parte del linguaggio e del pensiero propone che Gesù venga concepito come espiazione per il peccato. Per l ' evangelista la sua morte non è tanto un sacrificio, quanto piuttosto un mezzo mordace per esprimer ne la glorificazione. Quindi, è probabile che volesse farci comprendere le qualità liberatrici di Cristo in termini più ampi di quel li di una morte espiatrice. «Voi conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (8,32) e, naturalmente, secondo il quarto Vangelo Cri sto stesso è la verità ( 1 4,6) . L' Agnello di Dio è il Rivelatore di Dio che libera. La sua opera non avviene soltan to mediante le sue sofferenze e la sua morte, ma per mezzo della sua stessa persona: conoscerlo significa essere liberato. In questo modo il quarto evangelista ha utilizzato il titolo di 63
Agnello di Dio, ma gli ha dato un significato nuovo e fresco che, nonostante tutto, non crea una discontinuità con i signi ficati precedenti. Successi v amen te ci imbattiamo nel primo di molti titoli che hanno tutti significato sostanziale, vale a dire la messianicità di Gesù: «Figlio di Dio» (nella variante presente in molti codici antichi si legge «il Santo di Dio>>) ( 1 ,34), «Messia» (v. 4 1 ) , «Colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i profeti» (v. 45) e «Re d ' Israele» (v. 49). Tutti questi titoli sono forme diverse per far riferimento all ' inviato particolare di Dio che sta per venire e sono colmi dell' attesa giudaica di un re ideale che regnerà con giustizia. Ma a partire dal primo secolo dell ' e ra cristiana, tutti i titoli messianici suggeriscono qualcosa di più che un sovrano politico. Essi fanno riferimento ad una figura che avrebbe liberato il popolo dall' oppressione econo mica, politica, che avrebbe corretto le ingiustizie e le falsità, che avrebbe distrutto le forze del male nel mondo, che era molteplicemente concepita come un uomo, un superuomo e una figura angelica di creatura divina. Con questi titoli l' evangelista sottolinea la convinzione che Gesù fosse appunto l ' adempimento dell ' intero corpo di attese messianiche. Di fronte all ' opposizione da parte dei capi giudei della città, proprio all' inizio del suo Vangelo il quarto evange lista vuole rendere chiaro un fatto : Gesù è il Messia. L' intera gamma di titoli utilizzati per riferirvisi sono qui raggruppati per fissare questo concetto. Il testo chiede a voce alta e con chiarezza: «C ' è qualcuno che non è ancora sicuro del fatto che noi cristiani crediamo che Gesù è il Messia?» Questo ci porta al titolo «Figlio di Dio», utilizzato nel verset to 49 (per il v. 34 vedi sopra). Qui dobbiamo chiederci ancora una volta quali precedenti storici abbiano contribuito a produr re il significato che l ' evangelista vuoi farci intendere. Figlio di Dio può indicare, a partire dal suo uso nella Bibbia ebrai ca, semplicemente il re d' Israele unto: quello scelto in parti colare da Dio (per esempio ii Sam. 7 , 1 4). Gli stessi figli d ' Israele sono talvolta chiamati figli di Dio (Os. 2, l ). La concezione del Figlio di Dio come essere divino emerge dal mondo ellenisti co. L' uomo divino è una persona particolarmente dotata di poteri che hanno la loro origine nella divinità. Tale titolo fu 64
adottato molto presto dai cristiani come attributo per Cristo e con questo si intendeva veicolare il suo status particolare in rapporto a Dio (per esempio Rom. 8,3). Applicandolo a Cristo, in che misura l ' evangelista voleva dire che egli è divino? Analizzeremo l' uso del titolo generico «Figlio» più avanti . L' autore voleva che veicolasse il peso speciale della divinità, ma qui «Figlio di Dio» sembra in stret to rapporto con il titolo messianico. A Natanaele viene fatto utilizzare «Figlio di Dio» come apparente sinonimo di «Re d ' Israele}}. Di conseguenza, qui esso ha un significato messia nico tradizionale, che I ' evangelista vuole modificare in uno più ampio. L' intenzione è dimostrare che Gesù è certamente il Messia, il Figlio di Dio, il Re d' Israele, ma ancora qualco sa in più di questo. Prima di arrivare al culmine di questa serie di titoli cristo logici, contenuti nella seconda parte di questo primo capitolo, dobbiamo osservare un altro elemento presente nel testo. Accanto a questi attributi c ' è un tema insistente : quello del rapporto fra Gesù e Giovanni il B attista. Nel corso della narrazione che descrive la testimonianza resa dal Battista a Cristo, si distin guono tre affermazioni su questo argomento: l . Cristo è più grande del Battista. Questo ci viene detto non una volta, ma due. Il B attista non è degno neanche di chinar si per sciogliere i calzari di Gesù (Giov. l ,27), in quanto Cristo si pone ad un livello ben diverso dal suo (v. 30). 2. II B attista esclama: «Egli era prima di me» (v. 30). Questo potrebbe significare semplicemente che Gesù è più anzia no di Giovanni il Battista. Ma dato il tema della preesi stenza di Cristo contenuto nel Vangelo (8,58, così come nel Prologo), è del tutto chiaro che qui l ' evangelista mostra il B attista che testimonia la preesistenza di Cristo. 3 . II battesimo di Giovanni è con I ' acqua, Cristo invece battez za con Io Spirito santo (v. 33). Si afferma chiaramente che Cristo è superiore al Battista in base al dono che egli fa dello Spirito stesso: il dono di Giovanni è un battesimo d' acqua, simbolico del pentimento. Dobbiamo aggiungere a questo elenco l' affermazione del 65
Prologo che Giovanni non era la luce, ma soltanto un testi mone di essa (v. 8). Perché tutta questa preoccupazione di far notare che Gesù è superiore a Giovanni il Battista? Alcuni sostengono che il quarto evangelista conoscesse un gruppo di persone che crede vano che il Battista fosse il Messia, quindi l ' argomentazione sarebbe in polemica proprio con quelli. Ciò è possibile, poiché sembra che il B attista avesse attratto un gruppo di seguaci (vedi l ,35); questi potrebbero aver considerato il loro capo come Messia, in particolar modo dopo la sua morte. Più probabil mente, credo che ancora una volta l' evangelista stia replican do ad una accusa sollevata dai capi giudaici contro i cristiani. Essi dicevano : «Il vostro Gesù è stato soltanto un' altra voce profetica simile a quella del Battista, niente di più ! » . L'evangelista sta replicando a questa accusa con l' affermazione che Gesù si pone in una categoria del tutto diversa. Per fare in modo che questa replica abbia la massima efficacia possibile, l ' autore l ' ha posta sulla bocca dello stesso Battista. Così Gesù è l ' insieme di tutto questo: Agnello di Dio, l' Eletto di Dio, il Messia, colui del quale hanno scritto Mosè e i profe ti, il Re d ' Israele ed è di gran lunga più grande di Giovanni il B attista. Ora arriviamo al punto cruciale di questo piccolo trattato sull' identità di Gesù : l ' ultimo titolo di questa serie utilizzato per presentare Cristo è «Figlio dell 'uomo». È impor tante che l ' evangelista presenti Gesù che riceve tutti i titoli precedenti. Il Gesù giovanneo non solleva obiezioni, né correg ge le varie confessioni di fede a lui rivolte. Ma dopo la forte confessione di fede di N atanaele presente nel versetto 49, Gesù replica: «Voi vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell' uomo» (v. 5 1 ). Certamente Gesù è il Messia nella linea che tutti questi titoli indicano. Certamente Gesù è più grande di Giovanni il B attista, ma la sua vera identità è riposta nel significato di quest' ultima espressione: Figlio dell ' uomo. · Molto è stato scritto alla ricerca del significato di questo titolo. Per noi è sufficiente dire semplicemente che esso denota un inviato particolare di Dio. La mitologia giudaica ha dato origine ad una figura celeste dalle forme umane che è con Dio fin dalla creazione. Egli verrà fra gli uomini al tempo scelto 66
da Dio, alla fine dell ' età presente per sconfiggere il male e stabilire il regno di Dio sulla Terra. Egli rappresenta la figura messianica ma anche una figura la cui natura è sovraumana, è nello stesso tempo il prototipo degli esseri umani e il restau ratore escatologico del l ' umanità. La sua natura sarà misterio sa e nascosta fino al tempo in cui è destinato ad entrare nella storia e portarla infine al culmine (vedi Dan. 7, 1 3- 1 4; qui è presente l ' espressione «Figlio dell ' uomo» con questo signifi cato escatologico) . Penso che l ' evangelista stia dicendo: se voi volete utiliz zare un titolo per Cristo, Figlio dell ' uomo è quello che calza meglio. L' autore sembra chiaramente preferire questo fra tutti quelli utilizzati per indicare Gesù nel testo. Le cose stanno così per alcuni motivi: il titolo «Figlio dell ' uomo» aveva un ruolo dominante nella tradizione che l ' evangelista ha ricevuto. Naturalmente il quarto Vangelo lo condivide con i Sinottici e con esso la sua rilevanza. Inoltre l ' evangelista potrebbe aver preferito questo attributo rispetto agli altri in quanto lasciava dello spazio in cui muoversi, designava un personaggio miste rioso. All ' evangelista questo piaceva, così poteva utilizzare l ' ambiguità di significato a proprio vantaggio. Egli ha riempi to di significato il titolo Figlio dell' uomo a partire dalle affer mazioni su Cri sto presenti nelle tradizioni della comunità giovannea e della sua personale interpretazione di queste. Tale attributo permetteva lo sviluppo creativo delle particolari riven dicazioni che troviamo nel quarto Vangelo, le quali fanno esplo dere le concezioni messianiche pregiudiziali. A partire da questo appellativo, io credo, l ' evangelista ha utilizzato quello favorito del Vangelo, semplicemente il Figlio. È questa designazione per Gesù che domina fra i nomi di Cristo nel quarto Vangelo e noi dobbiamo soltanto addentrarci nella cristologia giovannea fino a quando abbiamo esaminato in profondità le affermazioni sul Figlio e il suo rapporto con il Padre. A motivo del la preminenza di Figlio del l ' uomo in Giovanni l , 1 9-5 1 (esso viene utilizzato altre dodici volte, per esempio in 6,5 3 ; 9,3 5 ; 1 3 ,3 1 ), sono propenso a ritenere che funga, per tutto il corso del Vangelo, da abbreviazione per il titolo completo Figlio dell' u omo. Tuttavia, anche il Figlio di Dio è presente, ma soltanto in sette testi (per esempio in 3, 1 8 ; 67
1 1 ,27 e il forte 20,3 1 ) L' attributo Figlio, senza qualificazioni ulteriori, potrebbe essere proprio una sintesi giovannea del contenuto e delle associazioni teologiche delle due qualifica zioni legate al Figlio (dell' uomo e di Dio). Come titolo (in forma sintetica e assoluta) compare pochissime volte nei Vangeli sinottici. È presente in Matteo 1 1 ,27 e in Luca l 0,22 (un testo della fonte «Q»), in Matteo 24,36 e in Marco 1 3 ,22 (dove il primo evangelista sembra dipendere dal Vangelo del secon do), e in Matteo 28, 1 9 (un testo presente soltanto in Matteo) . Paolo lo utilizza occasionalmente (per esempio Rom. 1 ,3 . 9 ; 8 , 3 . 2 9 . 3 2 ; I Cor. 1 ,9 ; 1 5 ,28 ; Gal. 1 , 1 6 ; 4,4.6; I Tess. 1 , 1 0) . Questo fatto potrebbe suggerire che l ' appellativo fosse larga mente conosciuto nella tradizione cristiana primitiva, ma non godesse di quel favore che ha raggiunto in quella giovannea. .
IL FIGLIO DELL' UOMO E IL RAPPORTO PADRE-FIGLIO
Letture preparatorie: per comprendere il cuore della cristologia giovan
nea dovete leggere i seguenti testi sparsi, facendo attenzione a quanto dicono circa il Figlio dell ' uomo e il rapporto fra il Padre e il Figlio: testi sul Figlio del l ' uomo: 1 ,5 1 ; 3, 1 3- 1 5 ; 5 ,27; 6,27.53.62; 8,28; 9,35-3 8 ; 1 2,23.34-36; 1 3,3 1 ; testi sul rapporto Padre-Figlio: 3, 1 6- 1 7.3 1 -3 5 ; 4,34; 5 , 1 9-23 .37; 6,29.38.40-46; 7 , 1 6.28-29; 8 , 1 6.36-38 .42.54; 10, 1 7.30-38; 1 2,4549 ; 1 4,9- 1 1 .20.28; 1 6,5.28; 1 7,8. 1 1 -24.
I titoli «Figlio dell' uomo» e «Figlio» costituiscono il cuore della cri stologia giovannea. Il nostro compito è cercare di comprendere quello che il quarto evangelista dice su Cristo come Figlio e come Figlio dell' uomo, e il suo rapporto con il Padre. Lo faremo sintetizzando in nove affermazioni quello che i testi più rilevanti sembrano dire in proposito. Siete invita ti a controllarle in riferimento ai testi del Vangelo che vi è stato chiesto di leggere per la vostra preparazione. Prima affermazione: Gesù è il Figlio dell ' uomo (9,35-38). Questo forse è un punto ovvio, ma è necessario affermarlo ali ' inizio. L'evangelista vuole che i lettori comprendano che 68
l ' uomo Gesù di Nazareth era certamente questo misterioso Figlio dell' uomo. Seconda affermazione: la sua dimora è nel regno celeste con Dio. Giovanni 3 , 1 3- 1 5 è la più semplice dichiarazione di questa concezione. Il Figlio dell' uomo ha la sua origine in questa dimora celeste, scende nel mondo umano e vi ritornerà ancora una volta dopo aver completato la sua missione (3, 1 3 ; 6,62; 1 6,28). Egli non appartiene a questo mondo, l a sua origi ne è altrove: è divina. Egli appare in forma misteriosa da un qualche luogo, dimora fra gli uomini per un breve tempo e poi va via. Per questo c ' è una grande discussione all ' interno del quarto Vangelo sull' origine di Gesù . Quando egli dichiara di essere il pane che è disceso dal cielo, i suoi oppositori sono perplessi . Dicono di conoscere suo padre e sua madre, sanno da dove viene e non è certo dal cielo (6,42-43 ) ! Similmente, essi non possono credere che il Messia venga dalla Galilea (7,4 1 ). Quando Gesù parla del suo ritorno (ascesa) al cielo in termini di «andare via» , i suoi ascoltatori sono ancor più confu si. Forse pensa di andare ad uccidersi (8,22) ! Il tema della discesa e dell' ascesa sono buoni esempi del modo in cui l' evan gelista rappresenta la folla che fraintende totalmente le parole di Gesù . L' origine del Messia era una credenziale importante per il pensiero giudaico del primo secolo e il nostro evangeli sta utilizza questo motivo per fare più volte il punto sul fatto che il Figlio dell' uomo non ha origini terrene. Terza affermazione: la concezione che il Figlio dell ' uomo sia stato inviato dal Padre viene collegata con la sua origine e destinazione celeste. I testi che esprimono questa concezione sono troppo numerosi per analizzarli tutti, ma per ora è suffi ciente indicare 3 ,34; 4,34; 8,26; 9,4; 1 7,3. Il Figlio viene invia to nel mondo degli umani come fosse un profeta cosmico; egli rappresenta il Padre e parla in suo nome in quanto inviato da Dio. Tipica espressione della concezione corrente in quel tempo, la persona inviata riveste l ' autorità di colui che lo invia (vedre mo l' autorità del Figlio dell' uomo nella sesta affermazione). Come in una missione diplomatica, il Figlio è incaricato dal Padre, ne riveste l' autorità e agisce per conto di Dio. Molto di quello che dobbiamo ancora dire su li' autorità del Figlio dell' uo mo e sul fatto che ha assunto le funzioni del Padre ha le sue 69
radici proprio nell' essere stato inviato. Quella che abbiamo chiamato cristologia dell ' inviato è presente in modo eminen te nella cristologia del quarto Vangelo. Ma questo inviato non è un semplice profeta (come Giovanni il Battista?). Egli non è altri che il Figlio dell ' uomo. Quarta affermazione: questa è collegata all ' ascesa del Figlio dell' uomo al cielo. I detti rilevanti su di essa sono di due tipi. I primi sono quelli in cui Gesù parla della sua «glorificazio ne)) : egli rivendica il fatto che la sua morte costituisca anche la sua glorificazione ( 1 2,23) e che onorare lui significa onora re il Padre ( 1 3 ,3 1 ). Il contrasto è evidente: egli morirà e la sua morte sarà in effetti la sua glorificazione . Il secondo tipo di detti accentua questa ironia. Per tre volte Gesù parla del suo essere «innalzato)) (3, 1 3- 1 5 ; 8,28; 1 2,32). La parola greca è anch' essa ambigua, infatti può indicare l ' atto della crocifissione, l' innalzare la vittima sulla croce, ma può anche significare l'esaltazione: l' atto di onorare una persona. Nel presen tare Gesù che parla della sua morte come un innalzamento, il quarto Vangelo sta suggerendo che proprio con la crocifissione, nonostante l ' umiliazione che comporta, Gesù viene onorato. Questa è la sua elevazione: quando verrà innalzato, dice Gesù, la sua vera identità si manifesterà con evidenza (8,28) e il suo ritorno alla casa celeste sarà compiuto ( 1 2,34-36). Ci sono due osservazioni su questo tema dell' essere innal zato che meritano una piccola pausa nella nostra affrettata andatu ra. Per prima cosa si tratta di un buon esempio di ironia giovan nea e di doppio senso. Il quarto evangelista ama giocare con parole che hanno doppi significati . Dico giocare per suggerire l ' approccio al linguaggio, ma questa tecnica porta sempre ad un concetto serio ed importante. Si può sentire il forte parados so nelle parole: «Quando avrete innalzato il Figlio dell' uomo, allora conoscerete che io sono)) (8,28). «Quando eseguirete la condanna a morte contro di me nella forma più vile come con un comune criminale, voi porterete a compimento la mia esalta zione, la rivelazione della mia vera identità)) . Un altro esempio dell ' uso di parole con doppio significato si trova nella parola greca pneuma in 3,8. Questa parola significa contemporanea mente «vento)) e « spirito)) . In 3,8 con l ' utilizzo di questa singo la parola l ' evangelista ha costruito una piccola metafora. Come 70
il vento si muove tutt' intorno liberamente e senza controllo da parte umana, così fa anche lo Spirito di Dio ! Si deve ancora dire che il tema dell' innalzamento del Figlio dell ' uomo racchiude come un guscio tutta la teologia giovan nea della croce ! Giovanni sottolinea per tutto il corso del Vangelo, in particolar modo nella narrazione della passione, che la morte di Gesù costituisce la rivelazione della sua identità. Quindi questo significa che la crocifissione è onorare il Figlio dell' uomo per ciò che è veramente. È stato osservato molte volte che Gesù non si muove come una vittima nella presen tazione giovannea della Passione. Egli non appare come colui sul quale si stanno abbattendo disgrazia e umiliazione, piutto sto si comporta come signore sovrano nel corso di tutto il processo. Dal punto di vista giovanneo è giusto così, perché in Giovanni questo è il racconto del Re che va verso l' incoro nazione. Si tratta del racconto delle vicende di un monarca anonimo che rivela la sua identità e che tutti i suoi sudditi devono riconoscere. Ne consegue che difficilmente si possa ritenere presente il tema dell ' umiliazione; anche se così fosse, poiché Gesù pare umiliato, si tratta di un aspetto che è parte integrante del processo di glorificazione. Il Figlio dell ' uomo, il Cristo giovanneo, non può essere umiliato. Egli non è sogget to all ' influenza umana, a meno che non lo permetta voluta mente come mezzo per raggiungere la sua glorificazione. Questo aspetto della teologia giovannea diventa evidente quando si paragona il punto di vista del quarto Vangelo con quello di Luca e di Atti : quest'ultimo distingue chiaramente la crocifissione dall' ascensione. Per un periodo di quaranta giorni il Cristo risorto appare ai suoi discepoli (A t. l ,3), poi, come questi osservano, egli «fu elevato, e una nuvola, accogliendo lo, lo sottrasse ai loro sguardi» (A t. l ,9). Nella maggior parte delle pagine di Giovanni, invece, si trova la proposta che la crocifissione stessa costituisca il suo «essere innalzato» . Il Cristo risorto non può essere distinto dal Cristo glorificato. Crocifissione significa glorificazione, e la prima è un' espres sione della seconda. Quindi, crocifissione e risurrezione nel Vangelo di Giovanni sono strettamente collegate. La risurre zione è proprio il significato della crocifissione, è la glorifi cazione che quest' ultima apporta. Di conseguenza il quarto 71
evangelista non sa che uso fare di una scena di ascensione simile a quella che troviamo negli Atti degli apostoli. Dobbiamo confessare, tuttavia, che il dato che si ricava dalle Scritture non è proprio così evidente. C ' è un testo che sembra indicare un' ascensione oltre la risurrezione. Il Cristo risorto dice a Maria: «Non trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre» (20, 1 7).Questa allusione ad una futura ascen sione non si inserisce con precisione nello schema generale del pensiero teologico giovanneo. Si è portati a pensare che nel testo di 20, 1 7 1 ' evangelista stia riprendendo un' antica tradi zione: l ' allusione alla futura ascensione del Cristo risorto viene ripetuta, anche se l ' idea dell' evangelista è che l ' ascensione sia avvenuta in effetti nella crocifissione-risurrezione. Se le cose stanno così , allora si spiegano alcune contraddizioni presenti nel quarto Vangelo che possono essere il risultato del duplice sforzo dell' autore di conservare, da una parte, la tradizione della comunità e, dali ' altra, di articolare nuove interpretazio ni di essa. Quinta affermazione: le funzioni del Figlio sono quelle di Dio. Il Padre ha consegnato al Figlio quei compiti che di solito si pensa siano prerogativa divina. Il Figlio allora compie cose che normalmente ci aspettiamo da Dio: un esempio è dato dall ' argomento del giudizio. Il Figlio giudica per conto del Padre (3, 1 8 ; 5 ,22.27). Similmente, il Figlio dell' uomo (o il Figlio) è colui che dona la vita (o la vita eterna, 3 , 1 3- 1 5 ; 6,27 . 5 3 ) . Brevemente, parla del dono dell' esistenza autentica, la vera qualità dell' esistenza umana, come deve essere per creazione. I n Giovanni, Gesù è colui che dispensa questo genere di vita; in modo analogo, il Figlio rivela la gloria di Dio. Nella Bibbia ebraica, la gloria indica la presenza stessa di Dio. Dicendo che il Figlio la ri vela ( 1 3 ,3 1 ) , l ' evangelista sta affermando che la presenza di Dio coincide con quella di Gesù. L' autorivelazione del Padre è stata delegata al Figlio. La sua opera è anche del Figlio; questo ci porta al prossimo punto. Sesta affermazione: il Figlio esercita la piena autorità del Padre il quale ha apposto il «sigillo» divino sul Figlio (6,27). L' autorità di quest' ultimo viene affermata, inoltre, nell' insi stenza di Gesù sul fatto che la sua glorificazione è anche quella del Padre ( 1 3,3 1 ). L'argomento dell' autorità divina che risiede 72
nel Figlio è probabilmente il significato dell ' enigmatica dichia razione di l ,5 1 : che cosa significa dire che i discepoli «vedran no il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell ' uomo» ? Si tratta di una concezione difficile, ma sicura mente significa proprio questo: l ' autorità della sovranità divina è affidata al Figlio. Questi ha vie di comunicazione "riservate" con il Padre. Se si vuole, i messaggeri (angeli) di Dio vanno e vengono di continuo nel rapporto fra Figlio e Padre. Il Figlio è allora il portatore dell' autorità divina: le sue parole, le sue opere e la sua stessa persona hanno l ' autorità dell ' essere di Dio. Settima affermazione : il Padre e il Figlio sono presentati come uno e tuttavia con distinte individualità. Nell' esame del Prologo abbiamo sostenuto che è caratteristica specifica della cristologia giovannea dire che c ' è identità fra il Padre e Cristo; nello stesso tempo ci sono individualità specifiche. Questo concetto nasce dall' analisi dei testi che parlano del rapporto fra Padre e Figlio. Da una parte c ' è una serie di testi che parla no dell' identità fra i due ( l 0,30.3 8 ; 1 7, 1 .22) : viene detto con estrema chiarezza che essi sono uno e viene ulteriormente sotto lineato che la loro opera è una (5, 1 9) . Essi costituiscono, come in effetti sono, una comunità dall ' unico agire. Così possiamo concludere che, almeno stando alla prima impressione, il quarto Vangelo indica che il Padre e il Figlio sono tutt' uno nell' es sere e nell ' operare. D ' altra parte ci sono dei testi che indicano chiaramente che esiste una distinzione fra il Padre e il Figlio. Ci viene detto che il Figlio obbedisce al Padre (4,34) : un' affermazione simile potrebbe suggerire che il Figlio è un essere separato e libero che sceglie di obbedire al Padre. L' obbedienza implica indivi dualità, così pure l' amore. Il Padre ama il Figlio (3,35), ma ci può essere amore se non supponendo un rapporto, che a sua volta implica individualità? Infine, il Padre è più grande del Figlio ( 1 4,28) e sicuramente anche questa affermazione ha la stessa implicazione. Essa articola anche una chiara subordi nazione del Figlio al Padre che contraddice ogni conclusione secondo la quale sono completamente uno e uguali. Vorrei evitare sia di dire che l ' evangelista fosse confuso nella descrizione del rapporto Padre-Figlio, sia di affermare che questo costituisca la prima dichiarazione consapevole della 73
teologia trinitaria. Nessuna delle due indicazioni è corretta. Penso che l ' evangelista fosse consapevole di quello che stava facendo nel presentare i detti che abbiamo appena analizzato in linea generale. Il rapporto paradossale ipotizzato da questi testi era lungi dall'essere trascurato dal quarto evangelista; questi però non è un teologo moderno interessato ad articola re un rapporto coerente e logico fra Padre e Figlio. Potrebbe darsi che l' autore cercasse di conciliare fattori divergenti presen ti nella tradizione della comunità o nel proprio pensiero. Accade tuttavia che il Vangelo lasci il lettore con un profon do paradosso: questo Figlio è uno con il Padre ma non identi co a lui, è di vino e tuttavia subordinato a Dio. L' evangelista sta lottando per definire il rapporto fra il fondatore della sua fede e Dio, pur non avendo facili soluzioni da offrire. Dobbiamo ammirarlo per questo: è chiaro che il Figlio è la persona divina che partecipa all ' essere del Padre, tuttavia ha una propria identità. Ottava affermazione: questa è la più semplice. L'evangelista chiama Gesù con il nome di «Unigenito» (3, 1 6. 1 8 e forse 1 , 1 8). La parola greca monogenes (tradotta con «unigenito») signi fica letteralmente «unico nel suo genere»: per quanto l' evan gelista non faccia uso esteso di questo aggettivo, sembra impor tante che il significato del Figlio sia veicolato da quel titolo in queste due o tre occasioni . Probabilmente tale qualificazione vuole suggerire l ' assoluta distinzione tra la figliolanza di Gesù e una qualsiasi concezione degli esseri umani intesi come figli di Dio (dal momento che essi possono essere appunto «figli di Dio)),l, 1 2). La figliolanza di Cristo, Figlio dell' uomo, è assolu tamente unica. Non ci sono altri di natura paragonabile alla sua. Quindi quel titolo può anche voler dire che, qualunque altro essere divino possa esistere, Gesù gli è superiore in virtù del carattere unico della sua figliolanza con Dio. L' autore della lettera agli Ebrei era coinvolto nel combattere un' argomenta zione a favore del fatto che Gesù fosse semplicemente uno della schiera degli esseri angelici (cap.l). L'autore del Vangelo potrebbe trovarsi ancora una volta a dover rispondere alle accuse giudaiche che quel Gesù che i cristiani confessano come Messia, sia al più un angelo. Le cose non stanno affatto così , replica l ' evangelista: egli è l ' unico figlio unigenito d i Dio. Nona affermazione: è evidente che il quarto evangelista 74
vuole che il lettore colga un messaggio forte e chiaro. Rispondere a Gesù, il Figlio, significa rispondere a Dio, il Padre (5,23)� Il punto della discussione sull' identità del Gesù giovanneo non è puramente teologico quando lo si approfondisce. Ciò che l' evan gelista sta affermando è di natura pratica: comunque si defini sca il rapporto fra il Figlio e il Padre, il modo in cui si rispon de al Figlio costituisce la risposta a Dio. Accetta lui e avrai accet tato Dio. Rifiutato e avrai rifiutato Dio. È come se l ' evangeli sta stesse dicendo: «Bene, io non sono un teologo sufficiente mente abile per dire più di quanto ho detto sul il rapporto fra il Figlio e il Padre. Ma di questo noi cristiani siamo sicuri : il tuo rapporto con Cristo determina quello con Dio» . Il risultato finale di questa discussione cristologica è quindi pragmatico. La figliolanza di Cristo nel quarto Vangelo sta a indicare un rapporto unico con Dio da parte di colui che partecipa all ' es sere di Dio (e quindi è divino egli stesso). Potrei aggiungere, a conclusione di questa sezione, che ancora una volta la cristo logia giovannea è un matrimonio creativo tra due temi diffe renti. Nel pensiero giudaico, essere un figlio di Dio costituiva principalmente un motivo di obbedienz a . Essere obbedienti a Dio rendeva gli uomini figli. Anche oggi l ' espressione bar oppure bar mitzvah significa che si è figlio o figlia del coman damento quando lo si prende su di sé in obbedienza. Ma la figliolanza della divinità nel pensiero ellenistico era un argomen to di natura cosmica od antologica. Essere il Figlio di Dio signi ficava avere la natura della deità nella propria persona. I figli di Dio erano mitologicamente generati da altre divinità. La figliolanza divina neli ' ellenismo era un argomento sul! ' essenza della persona, mentre nell ' ebraismo riguardava la funzione o il comportamento della persona stessa. L' evangelista ha presen tato Gesù come il Figlio del Padre in modo tale da comporre le differenze. Gesù è il Figlio del Padre quasi certamente in virtù della sua obbedienza (4,34 ) , ma è ancor più di questo. La sua vera essenza è quella del Padre ( 1 0,30). Non vorremmo imporre il linguaggio ecclesiastico posteriore, ma dobbiamo attribuire all' autore il merito di aver percepito la differenza fra i significati di figliolanza nel pensiero ellenistico e in quello ebraico, quindi di aver proceduto a rendere la figliolanza di Gesù il compimento di quelle due. 75
I L SIGNIFICATO CRISTOLOGICO DEI DETTI «IO SONO»
Letture preparatorie: elenchiamo i testi più significativi in cui compa re in greco l 'espressione «io sono» : senza predicato: 8,24.28.58; 1 3 , 1 9 ; con il predicato implicito: 6,20; 1 8 ,5; con i l predicato esplicito: 6,35.5 1 ; 8, 1 2. 1 8.23; 9,5 ; 1 0,7.9. 1 1 . 1 4; 1 1 ,25 ; 1 4,6; 1 5 , 1 . 1 5 ; forse 4,26. Spero ci siano di ai uto i brani seguenti : ho tradotto dal greco in modo più letteralistico ed enfatizzato il ruolo dell ' espressione «io sono» nella frase; anche visivamente il corsivo utilizzato per questa espres sione dovrebbe facilitarvi . 6,20 « M a e g l i disse loro: i o sono , non temete» ; 8 , 1 8 «lo sono a testimoniare di me stesso» ; 8,23 «lo sono di lassù; voi siete di questo mondo; io non sono di questo mondo»; 8,24 «Se non credete che i o sono, morirete nei vostri peccati » ; S ,28 «Quando avrete i nnalzato il Figlio del l ' uomo, allora conosce rete che io sono» ; 1 3 , 1 9 «Ve lo dico fi n d' ora, affinché quando sarà accaduto, voi credia te che io sono » ; 1 8, 5 «Gesù disse loro: "io sono"» . •
Il Cristo giovanneo è la Parola eterna di Dio che si è incar nata. Egli è tutto quello che il Messia giudaico doveva essere e anche di più: in particolare è il Figlio del Padre e il Figlio dell' uomo e in quanto tale partecipa pienamente all ' essere di Dio, tuttavia conserva la sua individualità rispetto al Padre. A questa raffigurazione di Cristo data dal quarto Vangelo dobbia mo aggiungere ancora un altro elemento: il significato cristo logico degli enigmatici detti in cui Gesù afferma: «lo sono» . Essi devono essere analizzati da di v erse angolazioni, ma questa breve occhiata introduttiva riguarderà soltanto ciò che indica no sulla visione di come Cristo è presentato nel quarto Vangelo. Prima di tutto, che cosa è un detto «io sono» ? Si tratta di una parola di Gesù molto pregnante in cui è presente una costru zione enfatica greca (ego e imi). Il modo normale in cui si seri ve rebbe «io sono» in greco koine (greco parlato popolare, la forma utilizzata per scrivere il Nuovo Testamento) è semplicemente eimi (il verbo « sono» senza pronome personale) . Volendo 76
enfatizzare l' espressione si potrebbe aggiungere il pronome di prima persona (egO). Il risultato letteralmente suonerebbe come «io stesso sono ! » , ma vedremo che la peculiare espressione giovannea sembra avere un significato che va ben oltre una semplice enfatizzazione del pronome. La costruzione enfatica ricorre sulle labbra di Gesù in tre forme nel quarto Vangelo. La prima è «io sono» con un predi cato esplicito. Un esempio di questo genere lo troviamo in 6,35 : «lo sono il pane della vita» . Un ' altra forma è l ' espres sione «io sono» seguita da quello che sembra essere un predi cato implicito. Ne troviamo un esempio in 6,20. La traduzio ne della Nuova Riveduta presenta la forma: «Sono io» (le tradu zioni inglesi possono utilizzare la forma «it is l», che rende ragione della presentazione di Kysar, in quanto il traduttore dal greco aggiunge correttamente il pronome personale dopo il verbo, come un predicato). Però nell ' originale greco si legge semplicemente ego eimi, «io sono» . Il significato di queste formulazioni con il predicato implicito potrebbe essere qualco sa del tipo «io sono quello», ma la forma enfatica lascia intui re che l ' evangelista ha qualcosa di speciale in mente. Questo significato particolare è evidentemente inteso nei cosiddetti «io sono» in forma assoluta, quelli che non hanno alcun predi cato né implicito, né esplicito. Giovanni 8,24 servirà come esempio. Gesù dice: «Perché se non credete che io sono, morire te nei vostri peccati» (gli esempi tratti dai Vangeli sinottici comprendono Mc. 1 4,62 e Le . 22,70). La maggior parte degli interpreti del quarto Vangelo concor da sul fatto che i detti «io sono>> siano più che semplici affer mazioni enfatiche. Essi ritengono che il quarto Vangelo abbia utilizzato questa espressione in una forma profondamente cristo logica. Il cuore del problema è costituito dai detti «io sono» in forma assoluta (cioè quelli senza alcun predicato). Il loro signi ficato potrebbe suggerime uno più profondo in quelli che hanno predicati espliciti e impliciti . Il significato dei detti «io sono» può essere colto median te l ' affinità che essi hanno con detti simili, presenti nelle altre tradizioni religiose. In alcune di esse, presenti nel mondo elleni stico del primo secolo, il dio rivelatore parlava con l ' enfatico ego e imi. In una iscrizione si cita il dio Iside che utilizza l' espres77
sione <<Ìo sono» seguita da predicati (vedi H.C. KEE, The Origins of Christianity: Sources and Documents, Englewood Cliffs [New Jersey ] , 1 973, pp. 83-84). Altri paralleli simili si posso no rintracciare nell ' insieme di testi conosciuti come Corpus Hermeticum, in particolare là dove Poimandres si rivela come Ermes. Altri hanno pensato che sia importante la letteratura mandaica: per quanto questi testi siano comparsi molto dopo il primo secolo d.C., si ritiene che il movimento religioso avesse una datazione contemporanea alle origini del cristianesimo. La letteratura mandaica contiene testi che sembrano avere analogie con l ' espressione «io sono». La maggior parte di queste, presenti nelle religioni ellenistiche, sono paragonabi li ai detti giovannei, in particolar modo a quelli nei quali il predicato segue l ' espressione «io sono». Per esempio, nella letteratura ermetica si può trovare la seguente formulazione: «Il messaggero di luce io sono)) e «il tesoro io sono, il tesoro della vita)) , oppure, nella letteratura mandaica: «Un pastore io sono, che ama le sue pecore)) e «un pescatore io sono, che . . . )) (questi esempi sono ricavati per la maggior parte da R. BULlMANN , Das Evangelium des Johannes, Gottinga, Vandenhoeck & Ruprecht, 1 94 1 ). Sembra allora che ci fossero dei precedenti nel pensiero religioso ellenistico e nella relativa prassi di attribuire alla divinità questi enfatici detti «io sono)), almeno nella forma con un predicato. Alcuni ritengono che questi «io sono)) presenti nel quarto Vangelo siano intenzionalmente modellati a parti re dall' uso che si ritrova nelle religioni ellenistiche e che il quarto evangelista stia affermando l ' identità di Cristo, in contra sto con alcune pretese delle altre divinità. Quindi, quando Gesù dice enfaticamente «io sono il buon pastore)) ( l 0, 1 4 ), si inten de deliberatamente affermare un contrasto con altre rivendi cazioni di status divino delle divinità ellenistiche. Che questo sia vero o meno, è chiaro che le religioni ellenistiche presen tano un precedente con il dio che si rivela utilizzando l ' espres sione enfatica «io sono)) . Una simile affermazione sulle labbra di un dio indicava la presentazione della rivelazione di verità che voleva offrire. Quando ci rivolgiamo alla Bibbia e alla religione ebraiche per cercare precedenti dei detti «io sono)), troviamo qualcosa 78
di simile alla forma assoluta. La letteratura ellenistica sembra offrire dei paralleli soltanto per le espressioni «io sono» con predicato. Non è così per quanto riguarda la Bibbia ebraica. Si ricordi il significato del nome sacro di Dio rivelato a Mosè in Esodo 3 , 1 4. È difficile dire come deve essere tradotta quella espressione ebraica; una delle traduzioni più letterali dice: «lo sono colui che sono. Dirai così ai figli d' Israele: "L' io sono mi ha mandato da voi"». Non potrebbe forse darsi che il quarto evangelista intendesse indurre il lettore a riconoscere che il nome sacro di Dio, YHWH, fosse radicato nel nome «io sono» che egli ha dato di se stesso? La ricerca di paralleli in ambito giudaico diventa più interes sante quando ci rivolgiamo alla traduzione greca della Bibbia ebraica. Questa traduzione (chiamata Septuaginta e abbrevia ta con la sigla LXX) veniva comunemente utilizzata da giudei e cristiani che, vivendo nella diaspora ellenistica nel corso del primo secolo, parlavano solitamente in greco. In molti testi i traduttori hanno utilizzato l' espressione enfatica ego e imi per rendere l ' originale ebraico. In certi altri l ' originale stesso, in cui si legge qualcosa come «io, YHWH», viene tradotto dalla LXX con «io sono» (ego eimi, Is. 41 ,4; Os. 1 3 ,4; Gioele 2,27). In alcuni testi di Isaia che in ebraico presentano l ' espressione «io, sono io che», la traduzione greca dice: «io sono, io sono» . Tutti questi brani trattano della parola diretta di Dio ed enfatiz zano l ' unicità del l ' esistenza di Dio (ringrazio R. E. BROWN per la sua eccellente Appendice sui detti «io sono» presente nel suo Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, Assisi, Cittadella editrice, 1 979). Muovendo queste allusioni schematiche ai possibili prece denti dell' uso dell'espressione «io sono» nella letteratura religio sa del primo secolo, possiamo iniziare a ricostruire il signifi cato che intendeva dargli l ' evangelista. Innanzitutto possiamo ritenere con buona certezza che con l ' espressione «io sono» l ' evangelista volesse segnalare che stava parlando Dio stesso. Da precedenti, sia ellenistici sia ebraici, l ' autore ha ricavato l ' idea sull' uso di questa espressione in rapporto alla rivela zione divina. La presenza della stessa segnala una teofania, l ' apparizione e la rivelazione (una parola) di Dio. Il quarto evangelista intende utilizzare una formula che attragga i letto79
ri cristiani di origine ellenistica ed ebraica. Quando gli uni o gli altri leggevano questo maestoso «io sono» , pensavano ad una rivelazione di Dio agli uomini. Inoltre possiamo concludere che l ' evangelista stesse facen do un' affermazione esclusiva nei confronti di Cristo con l ' uso di questi detti. Forse il contrasto con altre affermazioni religio se è implicito in alcuni detti che contengono predicati del tipo «il buon pastore» e «il pane della vita». L' evangelista sta dicen do che qualunque altra affermazione si possa aver udito, Gesù è il vero rivelatore divino. C ' è quindi una consapevolezza dell' uso della formula ego eimi nelle religioni ellenistiche. Tuttavia questa affermazione della verità esclusiva di Cristo è anche radicata nella tradizione ebraica. Il nostro autore sta dicendo che proprio come YHWH è l ' unico vero Dio, così Cristo è l' unico vero rivelatore divino: nessun altro è parago nabile a lui. Infine, sembra che pronunciare le parole «io sono» all 'e poca dell ' evangelista volesse far riferimento al nome proprio di Dio. Quel nome, infatti , non poteva essere pronunciato. La pietà giudaica aveva proibito da lungo tempo di pronunciare YHWH. Così quando Gesù viene presentato mentre dice «io sono», sta pronunciando il nome proprio di Dio. L' implicazione è che egli stesso è Dio. Può permettere che il nome sacro passi da bocca a bocca, perché egli è colui che quel nome indica. Come Yahvè nella Bibbia ebraica pronuncia il nome divino, così Cristo può dirlo. Se le cose stessero così, allora avremmo una delle più alte rivendicazioni per la divinità di Cristo dell ' in tero Nuovo Testamento. Se questo è vero, abbiamo un' indi cazione certa che il quarto evangelista riteneva che Cristo fosse Dio, almeno per quanto attiene argomenti pratici, umani. In sintesi, l ' autore utilizza questa particolare espressione greca con piena conoscenza del suo significato religioso sia ellenistico, sia ebraico. Egli, o ella, la utilizza per affennare la divinità del fondatore della fede cristiana e per rivendicare che questi è l' unica fonte della verità e della piena esistenza umana. Quando Cristo parla, sta parlando Dio stesso. Tutto questo sembra perfettamente coerente con la presentazione di Gesù che abbia mo visto emergere in altre pagine del Vangelo. È coerente con il Prologo, con l ' insistenza dell'evangelista sul fatto che Cristo 80
è più che il Messia giudaico e con i testi che parlano del Figlio dell' uomo e del rapporto Padre-Figlio. Essa sottolinea l'equi valenza funzionale di Dio e di Cristo. In altre parole, dice che per quanto riguarda argomenti umani, Cristo e Dio sono uno e lo stesso. Le parole di Cristo sono le parole di Dio, le opere di Cristo sono le opere di Dio, la risposta umana a Cristo è la rispo sta a Dio. Per tutti gli intenti umani, quindi, la persona di Cristo è Dio. Il quarto evangelista fa questo coerentemente, e la miste riosa espressione «io sono>> sviluppa questo concetto.
L' OPERA DI CRISTO COMPIUTA CON LA SUA MORTE
Letture preparatorie: si
leggano nuovamente i capitoli 1 8-20 e si noti come il Vangelo interpreta il processo, la morte e la risurrezione di Gesù.
Il nostro sguardo sul come Gesù viene compreso da questo Vangelo non è ancora terminato. C ' è un altro argomento che richiede la nostra attenzione . Di solito i teologi dividono la cristologia in due sottotemi : chiamano il primo la «persona» di Gesù e il secondo la sua «opera» . Con questa divisione essi vogliono indicare che il chi è Gesù (la sua natura e la sua identità) può essere separato, per questioni di studio, da quello che ha fatto (in particolare la sua morte). Naturalmente la divisione non è così ferrea, dal momento che ciò che Gesù ha fatto e la sua persona sono strettamente collegati . Di conse guenza non possiamo aspettarci che il quarto evangelista abbia pensato a questi argomenti come divisibili. Tuttavia, la visione giovannea di Cristo non può essere compresa distaccandosi da quanto il Vangelo sembra dirci che egli ha compiuto. In fin dei conti, questo argomento ha già fatto la sua apparizione nella nostra discussione. Per sintetiz zare: abbiamo già detto che c ' è poca riflessione sulla morte di Gesù intesa come espiazione e molte più indicazioni del fatto che la sua morte producesse liberazione. La morte di Gesù è vista come una glorificazione. Il carattere mordace di tale morte è ricapitolato nell ' espressione «innalzato» . La narrazione della 81
Passione in Giovanni presenta i fatti più come si trattasse di un' incoronazione che di un ' umiliazione e presenta una rivela zione dell ' identità di Gesù . Anche dopo aver detto tutto questo, dobbiamo ancora cercare di mettere assieme i dettagli frammen tari in una dichiarazione più sistematica che riguardi la conce zione della croce nel Vangelo. Iniziamo con l' osservazione che il Nuovo Testamento presen ta una varietà di modi per comprendere la croce. Come per le interpretazioni della persona di Gesù, i primi cristiani non avevano ancora stabilito un ' unica visione della croce. In verità, all ' inizio, questa si presentava come qualcosa di imbarazzan te. Essi dovevano comprendere perché era accaduto che il Messia promesso avesse sofferto l 'umiliazione dell ' esecuzio ne come un comune criminale per mano dell ' impero romano . Paolo chiama la croce uno «scandalo per i giudei e pazzia per i pagani», anche se essa è «potenza di Dio e sapienza di Dio» per i credenti (l Cor. 1 ,23 -24). La «pazzia» di Dio nel permettere che il Messia soffrisse la morte sconcertava i cristiani, anche se essi sperimentarono che le sofferenze del loro Signore erano un' azione divina per la salvezza umana. Come poteva essere compresa la croce? Quale linguaggio ne poteva esprimere il significato? li Nuovo Testamento ci informa dei diversi sforzi volti a rispondere a queste doman de. Il Vangelo di Luca, per esempio, utilizza un' impostazione relativamente semplice. Gesù muore come un martire, come una vittima innocente della brutalità sociale (vedi Le. 23,47; cfr. Mc. 1 5 ,39). Paolo, però, parla talvolta della croce utiliz zando il linguaggio preso in prestito dal culto sacrificale ebrai co, chiamandola «espiazione» (Rom. 3,23). La lettera agli Ebrei spinge questo paragone agli estremi, presentando Gesù come sommo sacerdote e come vittima che egli stesso offre (Ebr. 9, 1 2). L' uso delle immagini ricavate dal culto sacrificale ebrai co per comprendere il significato della croce sembra occupare un ruolo di primo piano nel periodo in cui l ' èra neotestamen taria giunge al termine (vedi inoltre I Giov. 4, 1 0). Lasciamo che il Vangelo di Giovanni ci presenti diversi punti di vista sullo stesso argomento ! Se volessimo ridurre le concezioni giovannee in merito alla croce al punto da farlo combaciare come uno stampo con gli altri scritti del Nuovo 82
Testamento, vedremmo che ciò non è possibile . Pensando in maniera conformista, la visione giovannea della croce solle cita la nostra immaginazione e sfugge alla nostra presa. Possiamo arrivare ad un appiglio più saldo sul cavallo indomabile giunti a questo punto? Iniziamo con una breve sintesi della storia della passione di Gesù, così come ci viene presentata nel Vangelo di Giovanni. Il racconto segue la stessa struttura base della narrazione della Passione che conosciamo dagli altri tre Vangeli. Tuttavia questa ha le sue peculiarità. Come abbiamo già accennato, qui non ritroviamo l ' agonia nel giardino del Getsemani (o sul Monte degli ulivi, ma vedi 1 2,27). L' arresto di Gesù viene effettuato senza l ' indicazione della fuga dei discepoli che si trova nei Sinottici, ma emergono due differenze fondamentali. La prima è che il procedimento religioso contro Gesù viene condotto da Anna, il suocero del sommo sacerdote in carica, Cai afa ( 1 8, 1 3 ss.). Gesù si difende, anche se brevemente, davanti al capo religioso. Il rinnegamento di Pietro viene raccontato in due scene nel corso della narrazione del provvedimento religioso ( 1 8 , 1 5- 1 8 . 25-27), con il risultato che la sua codardia è posta in contrapposizione alla ferma difesa di Gesù . Quando ci viene detto che Anna inviò Gesù a Caiafa, il sommo sacerdote ( 1 8 ,24 ), la scena torna indietro a Pietro nel cortile (v v. 25-27), per ripren dere nuovamente con Gesù che viene condotto dalla casa di C ai afa al quartier generale di Pilato (v. 28 ). N o n abbiamo alcuna notizia di un procedimento davanti a Caiafa. La seconda differenza tra gli episodi del processo riguar da la preminenza attribuita alla scena dell ' interrogatorio di Gesù davanti a Pilato. Mentre il procedimento religioso viene presentato in sei versetti, quello politico ne occupa ventinove ( 1 8,28 - 1 9, 1 6). Il processo viene presentato abilmente come una mini tragedia narrata in otto scene . Il difetto fatale di Pilato è la sua riluttanza a mettere in pericolo la popolarità di cui gode presso il popolo, così infine consegna Gesù perché sia croci fi sso. L' ultimo brandello rimasto dell' integrità del romano è la sua fermezza nel mantenere il cartello appeso alla croce che dice : «Gesù di Nazareth, re dei giudei». Nonostante le insisten ze egli non lo rimuoverà, né lo modificherà ( 1 9, 1 7-22). La scena della crocifissione è descritta con parsimonia. I 83
soldati tirano a sorte per sapere chi dovesse prendersi la tunica di Gesù, così da adempiere la profezia ( 1 9,23 -24) . Gesù dalla croce parla con sua madre e con il discepolo prediletto (vv. 2527), ha sete e gli viene dato dell ' aceto (vv. 28-30a). Poi dice : « È compiuto» e «chinato il capo, rese lo spirito)). Conformemente alla profezia, le gambe di Gesù non vengono spezzate, ma il suo fianco viene ferito da una lancia così da confermare ai suoi esecutori che avevano fatto bene il loro lavoro e per sancire che Gesù era veramente morto. Dalla ferita sgorgano sangue e acqua (vv. 3 1 -37); il corpo viene reclamato da Giuseppe d ' Arimatea e dallo sfuggente Nicodemo e viene posto in una tomba nuova (vv. 3 8-42). Seguono quindi la scoperta della tomba vuota e le tre apparizioni del Cristo risorto (20, 1 -29), con ancora un' altra apparizione narrata nel capitolo 2 1 . Una serie di argomenti contenuti nella narrazione giovan nea della passione potrebbero attirare la nostra attenzione, ma ci dobbiamo accontentare di alcune generalizzazioni riguar danti le sottolineature specifiche di questo racconto (vedi il mio commentario, John, Minneapolis, Augsburg Publishing House, 1 972, per una discussione più dettagliata). La prima sottolineatura nel racconto giovanneo della passio ne è la notevole attenzione prestata a Pilato. È interessante notare che il procuratore romano è uno dei personaggi centrali de li' in tero dramma del Vangelo, la cui personalità viene analizzata più a fondo. Sembra che l ' evangelista non volesse che scorres simo tutto il Vangelo senza prendere consapevolezza di quanto sia pericoloso rimanere neutrali nei confronti di Gesù. La secon da sottolineatura riguarda la responsabilità certa delle autorità giudaiche per la morte di Gesù, fino ali ' estremo ridicolo di far sembrare che i capi sacerdoti fossero gli artefici della crocifis sione stessa (si noti il richiamo sintattico al v. 15 dei pronomi sottointesi in 1 9, 1 6- 1 8) ! Questo deve essere attribuito all' in tenzione deli' evangelista di attaccare gli oppositori della comunità nella sinagoga. Non si deve quindi ricavare da questa strana affermazione una prova storica del fatto che i giudei in genera le fossero responsabili della morte di Gesù (per una discussio ne sui giudei nel Vangelo di Giovanni, si veda il cap. 2). La terza sottolineatura nella narrazione giovannea della passione è posta sulla centralità di Gesù stesso. La «cinepre84
sa» non sbaglia mai , è sempre a fuoco su Gesù, anche quando si volge brevemente su Pietro per il suo rinnegamento o quando Pilato si porta in primo piano con l ' accusato. Soltanto un occhio attento coglierebbe però la quarta sotto lineatura: il racconto non dichiara mai espressamente che Gesù morì ! Certamente, il racconto della crocifissione vuole affer mare la realtà della sua morte. Ma Gesù dice: « È compiuto». Lo scopo è stato raggiunto, quindi egli «rese lo spirito». L' autore si prende gioco di noi domandandosi di chi sia lo spirito che viene reso. Vuoi forse far intendere che Gesù volontariamente permette al suo spirito di !asciarlo? Vuoi forse dire che Gesù, avendo completato la sua missione, riconsegna lo Spirito a Dio? Oppure dobbiamo supporre che l ' evangelista-poeta, ancora una volta, utilizzi intenzionalmente un'espressione con un ulterio re significato: nel rendere volontariamente la sua vita, Gesù consegna lo Spirito di Dio ai credenti? Questo scrittore non vuole evitare ai lettori l' opera di interpretazione. Li lascia pensa re a questo proposito da soli. Infine, per concludere, è ben diffi cile che possiamo caratterizzare l ' attore principale di questa storia della passione con aggettivi quali umiliato o vittimizza to. Certo, egli viene battuto e ingiuriato ( 1 8 ,22; 1 9, 1 -5), ma questo Gesù giovanneo si comporta con dignità e compostez za. In effetti egli è un re che va verso la sua incoronazione. La storia della passione ci fornisce alcuni indizi per compren dere il significato di ciò che Gesù ha compiuto secondo la conoscenza che ne ha il quarto evangelista, ma questi indizi ci rimandano a scorrere velocemente il contesto dell' intero Vangelo per la soluzione dell' enigma. Ci potrebbe forse essere d' aiuto far convergere il significato della morte di Gesù nel Vangelo di Giovanni in una serie di temi, la maggior parte dei quali, a questo punto, ci è familiare. Ovviamente, il primo tema deve essere questo: la croce è l 'incoronazione di Gesù come re. Questo tema viene suggeri to dai detti che parlano di «innalzamento» (3 , 1 4; 8,28; 1 2,3234). La crocifissione è nello stesso tempo la morte scandalo sa di Gesù e la sua incoronazione. Questo tema viene ulterior mente suggerito dali' enfasi posta n eli' evidenziare la scritta che · Pilato ha fatto appendere sulla croce. Il suo ostinarsi affinché fosse lasciata com' era, pendente al di sopra della testa del croci85
fisso, è una dichiarazione vera, piena d' ironia. Pilato voleva che il segno (la scritta) fosse una provocazione per i capi giudai ci e una derisione per Gesù. Ma essa è vera ! Gesù è il Re ! E non soltanto il re del popolo giudaico. Così la scritta è in lingua ebraica, latina e greca. Questi è il re universale. A questi piccoli frammenti di prova si aggiunga il compor tamento regale di Gesù durante tutto il racconto della Passione e si avrà il quadro completo. Gesù, in verità, non è mai una vitti ma ma ha sempre il pieno controllo del proprio destino (per esempio 1 9, 1 1 ). Egli consente il suo arresto ( 1 8,6-8); in verità non muore ( 1 9,30). Inoltre, l ' intero processo davanti a Pilato è una discussione sul chi sia il vero re, tra Cesare e Cristo (vedi 1 9, 1 4- 1 5). Il Vangelo rivendica che la croce sia il mezzo median te il quale Cristo prende giustamente il suo posto sul trono, per governare come re dell ' umanità e dell ' intera creazione. La croce è l 'ascensione e la glorificazione di Gesù. Questo secondo tema indica una parte del processo mediante il quale Gesù «Se ne va» ( 1 6,7; 20, 1 7 ). Insieme alla risurrezione, la crocifissione costituisce la partenza del rivelatore da questo mondo e la sua ascensione, dopo aver assolto completamente la sua funzione. Colui che è disceso deve nuovamente risali re alla sua casa celeste (3 , 1 3 ) e la crocifissione-risurrezione è l ' i mmagine di questa ascesa. S i tratta di una concezione non facile da cogliere, specialmente per coloro che si riallacciano alla distinzione lucana fra crocifissione, risurrezione e ascen sione. Ma si tratta chiaramente di un concetto giovanneo. L' ascensione è compiuta mediante la glorificazione. Glo rificare significa sostanzialmente onorare una persona. Nel quarto Vangelo l ' espressione si riferisce ali ' apparizione poten te e chiara della presenza divina. La croce, per questo evange lista, è l ' avvenimento medi ante il quale la presenza divina è riversata su Gesù affinché tutti la vedano ( 1 2,28; 1 7 , l ) . La croce glorifica Gesù nel senso che essa proietta la presenza divina con lucidità inequivocabile. Essa glorifica Dio in quanto rende nota la sua presenza nel mondo. In questi temi l ' autore dice che nella croce Dio onora Gesù e sanziona le opere e le parole del rivelatore per mezzo della presenza del Creatore . La croce è la nuova Pasqua. Questo è il nostro terzo tema. Molto è già stato detto a tal proposito, ma passiamo in rasse86
gna i dati. Il primo è rappresentato dal contesto pasquale dell ' in tero Vangelo, che spicca come un pesante indizio (2, 1 3 ; 6,4; 1 1 ,55). L' intero quadro del ministero di Gesù è cadenzato dalle feste di Pasqua. La morte di Gesù corrisponde al momento dell' uccisione degli agnelli pasquali in preparazione del pasto commemorativo di quella sera ( 1 9, 1 4; vedi l ' Introduzione). Cristo è il nuovo agnello pasquale con il quale Dio libera ancora una volta e definitivamente il popolo dall' oppressione. Di conseguenza, la croce viene presentata come un nuovo esodo, un nuovo atto di Dio per liberare l ' umanità da tutte le forze opprimenti che le impediscono di essere l ' insieme dei figli propri di Dio (vedi 1 , 1 2). Come si effettua questa liberazione ? Mediante la rivelazione della vera natura di Dio. Quando gli esseri umani conoscono chi realmente è Dio, essi sono libera ti dall ' oppressione delle false comprensioni. Questo ci porta al quarto tema, quello finale. La croce è l 'atto supremo d'amore di Dio. Questo tema viene anticipato in 3 , 1 6 e si ritrova per tutto il Vangelo sotto forme diverse. La motivazione dell' invio del Figlio da parte di Dio è l ' amore divino per il mondo, per quanto malvagio questo possa essere. Questo amore si ritrova anche in 1 5 , 1 3 . Gesù obbedisce alla volontà del suo genitore celeste e dona la sua vita per i suoi «amici», i credenti. Così la morte di Gesù modifica il rapporto degli esseri umani con Dio. Essi non sono più servi, ma amici amati (la parola greca per amici è philoi ed ha le sue radici nella philia, una delle parole che significa no amore). La croce allora diventa il modello di quello che significa «amarsi gli uni con gli altri» ( 1 5 , 1 2). La croce è il paradigma dell' amore. Alcuni testi del Vangelo acquistano maggior significato nel contesto di questa enfasi posta sull ' amore e sulla sua espres sione nel sacrificio di Gesù. Egli afferma che quando sarà croci fisso attirerà tutti a sé ( 1 2,32). Se la croce è suprema espres sione dell ' amore di Dio, è la potenza di quell' amore che attira gli uomini a Cristo, proprio come fa una calamita col metallo. L' amore divino pone in una luce nuova anche la piccola parabola del seme che troviamo in 1 2,24. L' amore per il Padre e per l ' umanità porta Gesù alla morte ma, come un seme nel terreno, in virtù di questa morte germoglia qualcosa di nuovo: 87
l ' amore divino nel mondo. Si consideri anche 1 1 ,50, quando Caiafa involontariamente suggerisce che la morte di Gesù è un vantaggio per l ' intera nazione. Il dono di Gesù crocifisso è per l ' intero popolo. L' amore, ancora, spiega in che modo la morte di Gesù si configuri come purificazione. Potremmo voler spiegare l ' aspetto purificatore della croce mediante immagini tratte dal culto sacrificale (come l'espressione popolare «purifi cato nel sangue»). Lo si potrebbe anche spiegare paragonan dolo al tipo di purificazione che si prova quando si è amati . L' atto di Gesù di lavare i piedi ai suoi discepoli li purifica ( 1 3,8 ss.), perché si tratta di un gesto che anticipa il supremo atto d ' amore sulla croce. Infine, quest' ultima crea una nuova famiglia di Dio. Il Prologo ci annuncia che a tutti quelli che l' hanno ricevuto e hanno creduto nella Parola viene dato il diritto di diventare figli di Dio ( 1 , 1 2) . Nella croce questo annuncio è compiuto e da essa Gesù crea la nuova famiglia di Dio. Egli chiama sua madre la madre del discepolo prediletto e questi figlio di sua madre. La morte di Gesù semplifica la nuova creazione di una famiglia di Dio basata sull ' amore divino. L' annuncio del dono di poter diventare figli di Dio e la scena della croce circonda no l ' intero Vangelo, proprio come un paio di fermalibri (vorrei ringraziare A. CULPEPPER per questo suggerimento: vedi la sua
Anatomy of the Fourth Gospel). Questi sono i quattro temi attorno ai quali ruota la conce zione giovannea della croce: è l ' insediamento di Gesù sul trono come re, la sua ascensione e glorificazione, la nuova Pasqua liberatrice e la suprema espressione dell ' amore di Dio. Forse, ora siamo in grado di sintetizzare in forma più conci sa e sistematica l ' intera discussione su ciò che Gesù ha compiu to sulla croce. Possiamo dire, prima di tutto, che il significato della croce nel quarto Vangelo è il compimento della rivela zione redentiva (vale a dire, essa porta gli esseri umani in relazione fraterna con Dio). La rivelazione del vero essere di Dio ha in sé il potere di sconfiggere l ' alienazione degli esseri umani . La disperazione dell' umanità ha le sue radici nell' as senza di verità, la cui manifestazione (l' identità di Dio) consen te di ristabilire il rapporto con Dio. Quindi «conoscere la verità» (8,32) è sinonimo di aver intrapreso un rapporto corretto. 88
Allora possiamo dire che la rivelazione della croce e del! 'in tero ministero di Gesù è un 'espressione di amore, e quest 'ul timo libera. La rivelazione del vero essere di Dio è l ' articola zione dell' amore che ha per gli esseri umani. Esserne a conoscen za rappresenta la forza che rompe i legami del peccato e dell ' a lienazione per potersi riferire a Dio come a un amico. Infine, tutto questo è esposto con ironia. Così dobbiamo dire che la croce è l 'ironia di Dio e la rivelazione stessa ne è intrisa. Questo perché comunica l ' opposto di quello che gli uomini ritengono sia il divino. Lo strumento della rivelazione è la croce; ironicamente I' esecuzione del Figlio di Dio è proprio I' opposto di quanto noi umani immagineremmo essere la rivela zione della realtà ultima. Quella croce è la dimostrazione de li ' es sere stesso di Dio. Nel quarto Vangelo l ' ironia è molto più di una tecnica letteraria, è una categoria teologica, ironica - da un punto di vista umano - per quel che riguarda l ' atto rivela torio di Dio (si veda il provocante libro di Gail O'DAY, Revelation in the Fourth Gospel, Filadelfia, Fortress Press, 1 987).
CONCLUSIONE
Il quarto evangelista ha espresso una visione chiara del fondatore del movimento cristiano, l ' esperienza del quale è prova basilare per la formulazione del punto di vista svilup pato nel Vangelo. Vale a dire, quanto viene detto sulla perso na di Cristo è il tentativo di esprimere ciò che i cristiani speri mentarono nella loro comunità di fede. Potremmo rivolgere ali ' evangelista l ' accusa che egli, o ella, si stia lanciando in speculazioni, che un semplice personaggio storico, Gesù di Nazareth, sia stato reso qualcosa che non era. Ma con un po' d ' immaginazione possiamo intuire la risposta che ci darebbe I' evangelista. La comunità di fede giovannea conosce quest' uo mo Gesù in un modo diverso: Io vede come colui che ha porta to un modo del tutto nuovo di affrontare la vita. La loro fede in lui Ii ha condotti a quella che considerano la vera essenza della vita umana, noi diremmo la vita eterna. Essi conoscono 89
il loro fondatore non come una persona sepolta nella storia, ma come una presenza vivente, comunicata loro mediante l ' opera dello Spirito (vedi il cap. 4). Di conseguenza, l ' auto re del nostro Vangelo rifiuterebbe qualsiasi accusa di specula zione o di distorsione della verità storica. Piuttosto concepi rebbe il quarto Vangelo come una realtà articolata, così come viene sperimentata dalla comunità di fede giovannea. Il fondatore di questa fede non era altri che il Figlio del Padre, dice il Vangelo. Questo significa che l ' evangelista e la comunità giovannea hanno tratto la conclusione che colui il quale poteva comunicare la verità nel modo in cui Cristo l ' ave va portata loro, non poteva essere altro che Dio in persona. Si tratta di un tipo di verità che non può essere comunicata per interposta persona. Non si trattava di una verità filtrata da un profeta umano; la verità divina era stata comunicata a Israele e alle persone del mondo ellenistico mediante profeti umani e rivelatori . Ma quella che la comunità giovannea ha trovato nella rivelazione attribuita a Gesù è di un' altro tipo. Si tratta della «realtà vera», incontrata in Cristo. Nessun intermediario può attribuirsi la responsabilità per questa verità. Se così non fosse, come potrebbe cambiare così radicalmente i credenti ovunque, alterare così profondamente le loro vite? L' evangelista dichiara apertamente e senza remore che è soltanto nella persona di Cristo che si incontra la realtà divina. Egli è il vero pane, la vera luce, la vera vita, la risurrezione e la via di un'esistenza autentica. Il Gesù giovanneo sintetizza questo esclusivismo nell' affermazione: «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» ( 14,6). Una tale pretesa di accesso esclusi v o alla realtà ultima spaventa la mentalità moderna, suona dogmatica e restrittiva. Può essere compresa soltanto nel conte sto di una comunità di fede per la quale il fondatore è stato la via per intraprendere un nuovo rapporto con la verità ultima. L'evangelista riconosce che il fondatore è il Figlio del Padre. Tutte le dichiarazioni che affermano la divinità di Cristo sono giustificate dal fatto che egli è il Figlio, non il Padre in perso na. L'autore non è un teologo sistematico, ma (egli o ella) è preparato teologicamente per poter chiarire che Cristo non deve essere confuso con Dio. Cristo è divino e partecipe della vera natura di Dio, ma è distinto e subordinato al Padre� Egli è la 90
dimensione espressi va dell' essere di Dio, o il Figlio che è piena mente obbediente al Padre e da questi inviato. Il nostro evange lista riconosce che qualunque cosa voglia indicare l ' incarna zione della Parola, non può dirci in ogni caso che l'essere umano è pienamente di natura divina. Se la comunità giovannea avesse conosciuto il concetto dell' autosvuotamento (kenosis) di Cristo che si trova nell ' inno cristologico della lettera ai Filippesi (2, 7), l ' avrebbe utilizzato. Così come stanno le cose, la fede della comunità si esprime nelle affermazioni paradossali secondo le quali Cristo è Dio, possiede individualità, distinzione e gli è subordinato. In altre parole, Cristo è il Figlio del Padre. Per dirlo in un altro modo, il quarto evangelista sostiene che Cristo è l ' equivalente funzionale di Dio. Per quanto riguar da l ' essere, li si può distinguere, ma in pratica sono uno e per gli esseri umani , Cristo è Dio in mezzo a loro . Siamo quindi portati a riconoscere che la principale preoccupazione dell ' e vangelista non è l ' elaborazione di una dottrina teologica, quanto piuttosto il fornire supporto alla fede pratica. La funzione del Vangelo consiste nell ' esporre un punto di vista che sia pragma tico, utile. In pratica i cristiani possono pensare che Gesù sia Dio in mezzo a loro: la ragione di questa convinzione è che essa riflette l ' esperienza reale e innegabile della comunità cristiana in cui viveva l ' evangelista. Questa è dunque la prima base su cui egli ha elaborato il pensiero espresso nel Vangelo. La seconda consiste nell' op posizione da parte della sinagoga che la chiesa affrontava. Questo Vangelo in usuale in parte rappresenta una reazione alle accuse lanciate contro i cristiani. La comunità è tacciata di rendere il culto a due divinità; il loro Cristo viene considera to per nulla divino da parte degli oppositori. Viene riconosciuto come un angelo, un profeta o forse anche come un pretenden te al trono messianico ma non è certamente il Messia, né di vino. L' autore del quarto Vangelo replica a queste accuse con una visione di Cristo quale Messia, di vino e che tuttavia non rappre senta un secondo Dio. Lascio giudicare al lettare in quale misura la risposta data sia all' altezza del compito. È importante vedere la cristologia del quarto Vangelo nel contesto della controver sia fra la chiesa e i suoi oppositori . Si può correttamente affermare che la cristologia del quarto 91
Vangelo rappresenti una reazione agli assalti degli oppositori . Prendendo coscienza di questo fatto, siamo facilitati nel capire l ' esclusivismo della comunità giovannea. Quelle affermazio ni uniche su Cristo, che abbiamo incontrato nella sezione che presentava i detti «io sono» , sono dovute alla situazione della chiesa in quel momento storico: sta giocando di rimessa, lotta per difendere la propria linea della porta. Sta combattendo per la propria sopravvivenza contro un formidabile nemico. Le comunità religiose che si trovano in queste situazioni affer mano i propri punti di vista nel modo più radicale e sono proba bilmente portate a formulare il pensiero più creativo e forma tivo sulla loro teologia. Una fede sotto tiro è costretta a pensa re in modo attento e definitivo. Di conseguenza, la cristologia del quarto Vangelo è una concezione sviluppatasi in una situazione reale, vissuta. Due aspetti sono allora di importanza vitale per la nostra compren sione dell ' evangelista: la profonda esperienza di fede di Cristo da parte della comunità e l' intensa lotta contro l ' opposizione locale. La cristologia del Vangelo è allora un esempio ammire vole dello sforzo di una comunità di fede per elaborare in forma nuova una riflessione sul suo fondatore, proprio nel bel mezzo di una situazione concreta. Potremmo pensare che la visione di Cristo presentata nel quarto Vangelo abbia bisogno di essere equilibrata dalle prospettive degli altri Vangeli e dall ' elabora zione successiva della chiesa. Potremmo anche voler mettere in questione la concezione giovannea della stessa esperienza cristiana primitiva. Ciò nonostante, possiamo ancora compren dere le preoccupazioni di questo Vangelo e apprezzare il modo in cui espone la sua tesi centrale. Possiamo essere partecipi della situazione in cui si trovava la comunità giovannea e apprezzare la sua risposta ai problemi che stava affrontando. In modo fedele e creativo, l ' autore di questo documento rifor mula le risposte ai problemi di fondo che sono stati sollevati sulla natura e sul ruolo del fondatore del movimento cristia no, facendo tutto ciò alla luce dell' esperienza reale dei creden ti. In questo modo il quarto evangelista ha fatto quello che ciascun pensatore religioso creativo deve fare in ogni periodo della storia, come spesso accade anche a noi.
92
2 DUE MONDI DIVERSI : IL DUALIS MO GIOVANNEO
Perché esiste il male? Perché gli esseri umani incontrano continuamente la parte devastante e senza senso della vita umana? Perché le persone buone soffrono senza alcuna apparen te ragione? Perché ci sono terremoti, uragani e altre forme di distruzione naturali? Se per molti degli aspetti indesiderabili della vita possiamo prendercela con l ' ignoranza e l ' immatu rità umana, che cosa pensare di quella dimensione della natura che ci colpisce e di cui non comprendiamo il senso? Come possiamo rendere ragione di questi fatti? Quale spiegazione si può dare dell ' intera realtà del male? Naturalmente, tutte le persone nel corso della storia si sono trovate di fronte a queste domande. Si può anzi dire che una delle dimensioni più importanti del pensiero religioso sia stato il tentativo di comprendere il problema del male, ovvero arriva re a farsene una ragione. La spiegazione religiosa più sempli ce è stata quella di attribuire il male alle azioni degli dèi. Si trattava della manifestazione della loro collera e se gli uomini volevano sfuggire alla distruzione dovevano in qualche modo placare le divinità. Dalla più semplice delle spiegazioni religio se del male alle più complesse, i sistemi religiosi hanno messo a disposizione dei loro adepti modi diversi di affrontare questa dimensione sfuggente dell ' esistenza umana. In alcune religio ni (l' hinduismo, per esempio) il male è semplicemente un'il lusione; si tratta soltanto dell' apparenza della realtà e la salvez za consiste in quella concezione che rivela il male apparente per quello che è veramente. Per altre religioni (come per esempio lo zoroastrismo) il male è molto reale: si tratta del risultato di una volontà sovraumana che si oppone alla volontà divina. Questa opposizione scatena disastri e danni in tutto il corso 93
della storia del mondo, ma sarà definitivamente sconfitta alla fine della storia. Anche in quei sistemi in cui il pensiero e l' azio ne umana sono concepiti in modo soltanto quasi religioso, si assiste allo sforzo di dare una risposta alla realtà del male: esso diventa parte del ritmo della natura (confucianesimo), oppure è interamente il risultato delle decisioni umane (umanesimo). Quindi, il problema del male non è un semplice enigma intellettuale per pensatori senza occupazione. Si tratta di un problema umano basilare che ogni persona prima o poi incon tra. La sua difficoltà consiste nel fatto che non si tratta di un semplice argomento accademico, ma è radicato nel cuore della personalità umana. Si tratta, se proprio si vuole, di un proble ma vivente. Vale a dire, è un problema che sperimentiamo diret tamente e senza scampo. La realtà del male ci fa tremare e scuote le fondamenta della nostra fiducia nel significato dell'e sistenza. Esso tocca ogni angolo della nostra vita: non è neces sario essere un cristiano per lottare contro le esperienze radical mente indesiderabili della vita e continuare ad andare avanti affermando che la vita è degna di essere vissuta. Il cristianesimo primitivo aveva ereditato un dualismo modificato dal suo «progenitore», il giudai smo. Nei cinque secoli precedenti l ' origine del cristianesimo, il giudaismo aveva sviluppato una comprensione del male che era sostanzialmente un dualismo condizionato, il quale sosteneva che c' era una forza sovraumana d' opposizione che ostacolava la volontà divina. Questa, però, ve n i va intesa di breve durata. I suoi giorni erano limitati in quanto, in un avvenimento che doveva accade re al culmine della storia, sarebbe apparso il Messia atteso da tempo e tutta l ' opposizione sarebbe stata sconfitta. Dio avreb be regnato nuovamente da sovrano unico sul mondo. Nel frattempo, la forza del male non era soltanto reale, ma anche preminente. Il cristianesimo primitivo credeva chiaramente che negli avvenimenti della vita di Gesù di Nazareth, la potente sovra nità fos se stata decisamente sconfitta. La seconda apparizio ne di Cristo dal cielo avrebbe portato all ' annichilimento di ogni parvenza di male. Quindi, questi primi cristiani ritene vano di vivere nel periodo interinale fra la prima apparizione di Cristo e la sconfitta dal male da una parte e la sua seconda 94
apparizione dall' altra, che avrebbe portato a compimento l ' eli minazione di ogni traccia di male. Essi credevano, quindi, in un dualismo condizionato nel senso che le forze del male erano reali, ma non erano in definitiva potenti quanto Dio e alla fine avrebbero cessato di esistere. Essi avevano anche un dualismo temporale. La storia veniva divisa in due periodi fondamentali : l ' èra presente, ancora dominata dal potere di Satana e l ' èra futura, in cui Satana e il suo potere sarebbero stati distrutti e il regno di Dio sarebbe diventato realtà. Potremmo pensare a questa doppia forma di dualismo nel modo rappresentato dallo schema 5. La dimen sione verticale rappresenta un dualismo cosmico e la dimen sione orizzontale un dualismo temporale o storico (qui il termi ne «cosmico» viene utilizzato nel senso di considerato reale in ogni tempo e in ogni luogo) . DIO
Apparizione del Cristo vittorioso Il tempo presente malvagio
Il tempo futuro governato da Dio
governato da Satana origine di Satana
f
Satana
distruzione di Satana
Schema 5 Il nostro quarto Vangelo, è un dato caratteristico, non accet ta totalmente questa impostazione. Esso presenta una revisio ne del pensiero dualistico del Nuovo Testamento in generale. Si pone fra i testi più fortemente caratterizzati dal dualismo; tuttavia non semplicemente in linea di continuità rispetto ali ' i m95
postazione cristiana. Dobbiamo analizzare la revisione del pensiero primitivo per mano del quarto evangelista da due angolazioni. In questo capitolo presenteremo il dualismo giovan neo in generale. Nel capitolo 4 torneremo su questo tema quando cercheremo di comprendere l ' escatologia giovannea. Per ora il compito che ci sta davanti, è di cogliere il modo in cui il quarto evangelista utilizzi i simboli dualistici. Divideremo la presentazione in tre sezioni : l . i simboli dualistici nel quarto Vangelo;
2. l ' atteggiamento specifico del Vangelo verso «i giudei»; 3 . il problema del determinismo nel Vangelo.
LE ESPRESSIONI SIMBOLICHE DEL DUALISMO NEL QUARTO
VANGELO
si scorra nuovamente l ' intero Vangelo. Questa volta si cerchi di rintracciare ed elencare tutte le coppie di opposti che si incontrano. Tal volta avrete la sensazione che una parola o un' espressione venga uti lizzata per indicare il polo negativo o quello positivo della coppia, ma non si ritroverà l ' uso espl icito del polo opposto. Elencatelo comunque. Un esempio al quale poter fare riferi mento è la coppia di opposti <
Non si deve leggere molto il Vangelo per essere colpiti dall ' uso di simboli del linguaggio dualistico'del nostro autore. Il Prologo si presenta a noi con il dualismo della luce e delle tenebre : «La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l ' han no sopraffatta» ( 1 ,5). Naturalmente tali coppie di opposti non sono insoliti nel Nuovo Testamento o nella B ibbia ebraica. Quel che è insolito nel nostro Vangelo è la loro rilevanza. Sembra che l ' intero sistema del pensiero teologico presentato nel quarto Vangelo sia ancorato ad una struttura dualistica che contiene due punti saldi, all ' interno dei quali lo scrittore ha intessuto il pensiero del Vangelo. Lo schema 6 presenta soltan to un elenco parziale delle più evidenti coppie di opposti utiliz zate dali' evangelista. Il vostro probabilmente includerà molti 96
altri simboli che questo elenco abbreviato omette. Aggiungete i vostri.
Polo positivo
Testo biblico
Polo negativo
luce alto spirito vita (eterna) verità cielo Dio I sraele
1 ,5 8,23 3,6 3,36 8,44 s. 3,3 1 1 3 ,27 1 , 1 9.47 17,14
tenebre basso carne morte menzogna terra Satana «i giudei» (talvolta) i l mondo (talvolta)
Schema 6
Cerchiamo ora di analizzare il significato di questo duali smo mediante l' analisi di uno dei più importanti simboli giovan nei : il «mondo» (kosmos ) . In primo luogo proveremo ad accer tare quello che vuole indicare l'evangelista con questa espres sione e a specificare il suo ruolo nel sistema dualistico. In secondo luogo utilizzeremo il significato che troveremo negli usi dell' espressione «mondo» per fare alcune affermazioni generali sul dualismo giovanneo . Scegliamo questo concetto di mondo in quanto è veramente centrale nel pensiero del Vangelo e poiché esemplifica il complesso uso dei simboli in tutto il documento. si deve cercare di cogliere con quali significa ti il quarto evangelista utilizzi l ' espressione «mondo». Quelli che seguono sono alcuni dei testi che si devono leggere e ponderare atten tamente. Ci si chieda che cosa significa l ' espressione «mondo» in ciascuno di questi casi : 1 , 10; 3, 16; 8, 1 2.23; 9,32.39; 1 1 ,9- 1 0 ; 1 2,25.3 1 35 .46; 1 3, 1 ; 1 4, 1 7.3 1 ; 1 6,7- 1 1 ; 1 8,36. Letture preparatorie:
Innanzitutto dobbiamo notare che l ' uso dell 'espressione
kosmos (mondo) non è coerente. L' abbiamo messa nell' elen co sopra riportato come una delle espressioni simboliche del polo negativo del dualismo giovanneo. E qualche volta è così. 97
Tuttavia, il lettore del Vangelo deve esaminare il contesto in cui questa parola (e altre) viene utilizzata, in quanto può avere diversi significati . In molti passaggi, questa parola viene utilizzata con un signi ficato neutro oppure addirittura positivo e affermativo. In questi casi la parola vuole indicare il mondo stesso della creazione, la realtà fisica della terra. Alcuni possibili esempi includono 1 ,9 ; 3, 1 6 ; 1 6,2 1 ; 1 7 ,24. Questi c i devono aiutare a comprendere meglio quello che si vuole intendere con l' uso negati vo del termi ne. L'autore del Vangelo non ha una visione cupa del mondo fisico in sé: quando utilizza il termine kosmos con il significa to negativo, nel presentare la visione dualistica, egli non si riferi sce al mondo fisico nel quale viviamo. Per quanto il kosmos possa apparire sfigurato nel contesto dell' incredulità, il mondo creato è oggetto dell' amore di Dio (3, 1 6) e costituisce il quadro in cui la luce illumina le persone ( l ,9). A questo proposito alcune interpretazioni cristiane negli anni passati hanno seriamente frainteso il Vangelo, ritenendo che il quarto evangelista stesse disprezzando il mondo fisico e, di conseguenza, che il Vangelo chiamasse i cristiani ad avere soltanto contatti molto remoti con la fisicità di questa terra (per esempio 1 7, 1 8). Allora, che cosa intende l' autore, o l' autrice, quando utiliz za questo termine in modo negativo? Il mondo, in questi casi , sembra essere un' espressione simbolica che rappresenta il regno dell ' incredulità, l ' area in cui c'è totale rifiuto della verità di Dio rivelata in Cristo. Viene utilizzata in collegamento con il giudizio e con Satana in 9,39; 1 2,3 1 e 1 6, 1 1 . Essa è il simbo lo di quel modo di essere, di quel modo di vivere, che si oppone a Dio e al progetto divino di salvezza per gli esseri umani . Si indica una presa di posizione nella vita che considera il rappor to con Dio non necessario e non desiderabile. Si tratta di quello che B ultmann chiama « l a perversione della creazione » . «L'illusione che nasce dalla volontà d i autonomia perverte la verità in menzogna, perverte la creazione in "mondo"» (R. BULTMANN , Teologia del Nuovo Testamento, Brescia, Queriniana, 1 985 , p. 359). La creazione ha bisogno che l ' uomo dipenda da Dio. Il mondo simboleggia la falsa pretesa che l ' esistenza umana possa essere indipendente da Dio. Si tratta di un modo di vivere in cui gli uomini cercano di essere qualcosa che non 98
sono, in particolare, esseri indipendenti, che non hanno alcun bisogno dell ' Uno responsabile della loro esistenza. Se questa è una interpretazione corretta del significato giovanneo, allora ciò implica che la creazione è un modo auten tico di essere umani . Tuttavia, la creazione può essere distor ta, come appunto è avvenuto. Il risultato è un modo di conce pire se stessi non autentico, falso. Nell ' uso negativo dell ' e spressione dualistica della parola, l ' evangelista ha in mente questa distorsione. La distinzione non è fondamentalmente su un piano morale, fra quelli che vivono «buone vite» e quelli che vi vono «vite mal vage», piuttosto è fra due modi di compren dere se stessi in rapporto all ' intera realtà, fra due modi in cui una persona può rispondere alla domanda: chi sono io? Quando il mondo è legato al polo negativo del dualismo evangelico, esso fa riferimento al fraintendimento di ciò che gli esseri umani sono. Allora (e solo allora) il mondo è avvolto dalle tenebre (8, 1 2) e dominato da Satana ( 1 2,3 1 ). Dobbiamo ancora confrontarci con l ' uso pienamente duali stico della parola. In 8,23 e 1 3, l questo mondo viene contrap posto a un altro regno. Nei due casi il punto è che la dimora di Gesù non è in questo mondo, ma in un altro. «Voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo» (8,23). «Gesù seppe che era venuta l ' ora di passare da questo mondo al Padre» ( 1 3 , 1 ) . Qui i l mondo è la sfera deli ' essere distinta dalla sfera del d ivino e sembrerebbe che questa distinzione sia sinonimo di molte altre presenti nel quarto Vangelo: per esempio cielo e terra, alto e basso. Il regno del divino è altro da questo mondo ; è altrove. La dimora di Gesù si trova in quell ' altro posto, ed egli viene nella sfera di questo mondo soltanto temporaneamente. La distinzione è fra il mondo inteso come regione umano-natura le contrapposto al regno non-creato, divino. Il primo è dipen dente e creato, il secondo è indipendente e increato. L' uso del mondo come una sfera distinta dal regno celeste, insieme a quello di altre polarità come alto e basso o cielo e terra, suggeriscono un concetto importante . Sembrerebbe che il quarto evangelista accetti un dualismo cosmico di due mondi . Molte pagine del Nuovo Testamento sembrano muoversi in una specie di universo a tre piani : Dio e gli angeli occupano il piano più elevato, Satana e i demoni quello più basso, con gli 99
esseri umani e la natura posti fra i due . In nessun ' altra pagina il dualismo cosmico è così evidente come nel quarto Vangelo. Alcuni studiosi hanno suggerito che qui il dualismo storico del pensiero cristiano primitivo (la dimensione orizzontale dello schema 5) sia stato completamente trasformato in un dualismo cosmico (la dimensione verticale dello schema 5 ) . Si afferma ciò in parte perché si ha l ' impressione che molti riferimenti all' escatologia storica siano assenti dal Vangelo di Giovanni. Vale a dire, allusioni alla fine dell' età presente e l ' inizio dell' età futura (di durata infinita) sono vistosamente assenti . Al loro posto si pone un dualismo cosmico radicale. Se le cose stanno così, allora il quarto evangelista ha detemporalizzato il duali smo storico del cristianesimo primi ti vo e ha elaborato un duali smo cosmico (per un'ulteriore analisi di questa possibilità, vedi il cap. 4). Tuttavia, ci troviamo i n presenza di alcune difficoltà. Accettiamo che ci sia una qualche verità nell ' ipotesi che il dualismo temporale sia stato trasformato in dualismo (comun que, si possono ancora rintracciare alcuni resti della conce zione dualistica temporale). Qual è allora il rapporto di questo dualismo cosmico con quello dell' autocomprensione umana che abbiamo incontrato in precedenza? Noi osserviamo la divisione delle persone fra quelle che vivono autenticamente come creature di Dio e quelle che vivono come se fossero indipendenti da Dio. Questo dualismo è forse diverso da quello cosmico, del mondo visto in alto e in basso che abbiamo appena incontrato? Oppure, per porre la domanda in modo diverso, il quarto evangelista e la comunità giovannea hanno abbraccia to così letteralmente questo dualismo cosmico? Essi credeva no veramente in due mondi diversi? Ci sono due possibilità. Una è che nel quarto Vangelo si abbiano due tipi di dualismo, entrambi rappresentati dalla parola «mondo»: uno umano (due modi di autocomprensione) e uno cosmico (due regni di essere). In questo caso saremmo porta ti a leggere il dualismo cosmico piuttosto letteralmente. Si potrebbe avanzare l' idea che, con questo tipo di comprensio ne del Vangelo di Giovanni, il dualismo cosmico sia quasi un tipo di divisione platonica della realtà. L' altra possibilità è che rappresenti una forma diversa per indicare il dualismo umano. 1 00
Vale a dire, i due mondi differenti, il mondo degli umani e quello del divino, sono linguaggi raffigurativi per dire che le persone possono (e devono) scegliere di comprendere se stesse come indipendenti da Dio oppure come creature dipendenti. In questo caso il quarto evangelista non vorrebbe dire che ci sono due diversi regni all ' interno di questo cosmo. Piuttosto, questi due regni sono un modo poetico per esprimere la convin zione che gli esseri umani devono scegliere di vivere sotto la sovranità di Dio oppure sfuggire a questa. Il cosmo a due piani del Vangelo di Giovanni sarebbe allora una metafora per indica re due stili di vita umani . Qui ci troviamo in presenza di un argomento estremamen te arduo, in quanto la scelta fra queste due interpretazioni del dualismo cosmico richiede una comprensione approfondita di come l ' evangelista ha utilizzato le espressioni simboliche. Siamo legati ad una distinzione fra descrizione letterale e poeti ca. La scienza moderna in tutte le discipline (nella storia come nella biologia, per esempio) ci ha aiutati nel cercare di tenere separati i momenti in cui vogliamo descrivere una realtà ogget ti va e quelli in cui vogliamo descrivere una realtà soggettiva. Parliamo da una parte di «fatti)) e dall' altra di poesia e di immaginazione (esperienza o comprensione soggetti va). Teniamo questi due ambiti ben separati . Non vogliamo che i biologi ci dicano come si s_entono di fronte a quella piccola creatura che stanno analizzando, ma che ci descrivano quella particolare forma di vita con la maggiore esattezza possibile. Ma quando ci mettiamo a leggere una poesia o un romanzo non ci aspet tiamo che quelle analisi siano scientifiche. Questa distinzione, in verità, è un concetto del tutto moder no. Si tratta di qualcosa che il nostro evangelista non conosce va. I cristiani del primo secolo non dividevano così attentamente la descrizione storica dall ' interpretazione del significato degli avvenimenti. Gli scrittori del Nuovo Testamento potevano muover si liberamente, dalla presentazione del fatto al suo significato soggetti vo, per poi tornare nuovamente al fatto in sé se�za alcuno stacco e senza alcuna preoccupazione di far risaltare la diffe renza. Quindi nella letteratura cristiana antica il mito e la verità oggettiva sono mescolati ; il linguaggio per immagini e quello descrittivo si trovano all ' interno di una stessa frase. 101
Tutto questo significa che il nostro evangelista non poteva aver distinto, così come noi cerchiamo di fare, a proposito dell ' interpretazione delle espressioni simboliche del dualismo che ritroviamo nel Vangelo. Vogliono forse descrivere il cosmo? Oppure vogliono presentare il modo in cui le persone devono decidere su come comprendere se stesse? I cristiani giovannei probabilmente non pensavano in questo modo. Se il dualismo cosmico è veramente un linguaggio per immagini che riguar da l' autocomprensione umana, i primi lettori del Vangelo proba bilmente non lo concepivano consapevolmente. Questo non vuoi dire che essi, o il Vangelo, fossero culturalmente meno sofisticati di quanto lo siamo noi, soltanto che vivevano in un periodo prescientifico e non erano costretti a rimanere nei limiti delle distinzioni che si impongono ora. Non ci dobbiamo aspet tare che il Vangelo utilizzi con cura i differenti generi di linguag gio nel modo in cui facciamo noi . Sono portato a pensare che il dualismo umano giovanneo si ponga in continuità con il suo dualismo cosmico. Il Vangelo in primo luogo fa il punto sul fatto che gli esseri umani si trova no di fronte a due possibilità ineludibili e questo dualismo cosmico entra nel suo linguaggio per due motivi. Il primo riguarda il fatto che rafforza l ' importanza del dualismo umano. Sostengo ancora che il riferimento al diverso regno divino (come in cristologia) sia un segnale dell ' importanza esisten ziale dell' argomento che aveva per l' evangelista e per i cristia ni giovannei in generale. In secondo luogo il Vangelo intro duce il dualismo cosmico per legare la bipolarità della vita alla cristologia. Cristo viene dal regno dell' autocomprensione orien tata divinamente : questo mondo (kosmos) continua a rappre sentare l ' altro falso genere di autocomprensione umana. Dopo aver detto questo, non voglio negare che i cristiani giovannei credessero in un tipo di cosmo a due volti. Potevano proprio crederlo. Quello che penso essi avrebbero detto, tuttavia, è che credere in una struttura del cosmo non è la cosa importante. Il nodo vitale è se accetti te stesso come creatura di Dio con tutto quello che implica, oppure se cerchi di pretendere di poter vivere indipendentemente da Dio come se la propria vita fosse opera di ciascuno di noi. Il Vangelo di Giovanni narra un racconto nel quale il regno 1 02
storico, temporale, è intrecciato nell' altro regno, cosmico, trans storico o trans-temporale. Il mistero della trascendenza è intrec ciato con la materialità. Il protagonista della storia è nello stesso tempo una persona storica e un essere del regno trascendente. La risposta umana nei suoi confronti è tanto un avvenimento storico quanto un avvenimento che ha valore trascendente. Tutto ciò non è diverso dal come un semplice gesto fisico (un abbraccio o un bacio) è nello stesso tempo sia un avvenimen to storico e temporale sia un'espressione della realtà d' amo re, una realtà che trascende il singolo avvenimento. Di conse guenza, una delle caratteristiche aggiuntive del Vangelo di Giovanni e della sua storia è che il tempo è contemporanea mente storico e oltre la storia. Così , per esempio, la sequenza temporale di crocifissione, risurrezione e ascensione che noi conosciamo così bene dagli altri Vangeli (in particolare da Luca) nel quarto Vangelo è sfumata. Gesù parla della sua risali ta (20, 1 7), ma il lettore non è mai così sicuro che questo avveni mento accada proprio. Il tempo è compenetrato e permeato dal regno divino, che è oltre il tempo. Il risultato è che la sequen za temporale viene offuscata. Per lo più in egual misura il duali smo umano e cosmico sono intrecciati. si leggano alcuni testi in cui si utilizzano o sono i mplicite altre coppie di opposti e si provi a capire quale significato sembrano avere : 1 ,4-5 ; 3 , 1 -2 1 .3 1 -36; 8,2 1 -26; 9,5; 1 3 ,27-30.
Letture preparatorie:
Ora abbiamo la chiave per schiudere i misteri delle altre espressioni simboliche del dualismo giovanneo. Esiste un polo negati vo che descrive la situazione della vita umana mal indiriz zata e confusa. Questa situazione viene descritta in vari modi con termini quali «tenebre», «menzogna» , «carne», «morte» , «regno d i Satana» e «basso». Anche l' uso della parola «notte» da parte dell' evangelista potrebbe suggerire che le tenebre caratterizzano un ' errata autocomprensione umana ( 1 3 ,30; 3,2). Il polo positivo è indirizzato da espressioni simboliche del tipo: «luce», «verità» , «spirito», «vita » e «vita eterna» , «regno di Dio» e «alto». Ancora una volta abbiamo un doppio dualismo, una divisione cosmica di ogni realtà in due regni, quello creato e quello divino (in particolare 8,23) e una divisione fra modi di essere umani, forse meglio espressi dal dualismo verità/menzo1 03
gna. Le varie espressioni simboliche hanno tutte lo stesso signi ficato. Non esiste una differenza sostanziale fra il dualismo di luce/tenebre e la scissione fra alto/basso. Il polo positivo della scissione rappresenta un unico concetto: la rivelazione di Dio in Cristo permette alle persone di diventare quello che veramen te sono. «Verità» indica ciò che sal va gli esseri umani da un'esi stenza malvissuta e distorta. L'amore di Dio motiva la rivela zione della vera identità umana. Se un bambino, per una qualsia si ragione, ritiene di essere un cucciolo di cane, i genitori preoc cupati fanno tutto quello che possono per correggerne l' iden tità equivocata e distorta. Dio non sta facendo niente altro, nello sforzo di dimostrare agli esseri umani che essi sono creatu re e dipendono dal Creatore per la loro esistenza. Il dualismo giovanneo dei due mondi differenti ci indica pertanto il modo in cui l' evangelista comprende il bisogno umano di salvezza e la natura di questa. Si tratta di un modo per dire che tutto il male del mondo è radicato in un' auto comprensione errata. Le tenebre e la menzogna di questo mondo emergono perché le persone cercano di essere di v erse da quello che sono. Suona sorprendentemente semplice, ma sembra che questa sia la visione giovannea della situazione. Perché c ' è il male? Perché gli esseri umani sono confusi sulla propria identità. Come si sconfigge il male? Mediante la correzione della falsa comprensione umana. I due mondi di Giovanni costituiscono due diverse identità ! Possiamo sintetizzare questa impostazione del dualismo giovanneo mediante un semplice schema (vedi schema 7). La sua forma vuole suggerire che il dualismo umano dell' evan gelista confluisce in un dualismo cosmico e che quest' ultimo, in ultima analisi, è veramente un'espressione del precedente. Nello schema 7 si fa riferimento a Satana, ma non abbia mo detto nulla su questa figura. Come certamente ricordere te, l' Introduzione ha evidenziato il fatto che il quarto Vangelo è stranamente silenzioso a proposito dei demoni . Esso ha poco da dire sul loro capo oltre al fatto che, per fare un'analogia col mondo aziendale, sia il «direttore esecutivo» . Il titolo «S atana» ricorre nel quarto Vangelo soltanto in un' occasione e viene utilizzato per spiegare il motivo del vile tradimento di Giuda ( 1 3 ,27, in massima parte segue la stessa linea del Vangelo di 1 04
o (.)
"§"' o (.)
Dualismo o
e
-� c;; ;:l
Q
Schema 7
Luca in 22,3). Più frequente nel Vangelo di Giovanni si ritro va l ' espressione «principe di questo mondo» ( 1 2,3 1 ; 1 4,30; 1 6, I l ). Riallacciandoci alla comprensione giovannea del mondo (kosmos) inteso come il regno del male e dell'incredulità, la personificazione del male è presentata come colui che eserci ta autorità sul mondo. La figura del male è collegata esclusi1 05
v amen te alla crocifissione di Gesù . Il Vangelo ha poco interes se neli' immagine di una figura cosmica responsabile del male e in questa mancanza di interesse si distacca in modo signifi cativo da molte altre pagine del Nuovo Testamento. È più interessato al modo in cui l ' esistenza umana è deformata dalla falsa comprensione e sembra quasi del tutto intento ad evita re la tentazione di sminuire la responsabilità di questa defor mazione gettando la colpa su una qualche personificazione cosmica del male. Il dualismo del quarto Vangelo è complicato da altri due argomenti che si pongono al centro di questo problema dell' au tocomprensione umana. Il primo è lo strano (e pericoloso) uso dell' espressione «i giudei» . L' altro è lo spinoso problema di chiedersi se le persone siano o meno spinte da Dio nell ' ab bracciare l ' una o l ' altra forma di autocomprensione.
l «GIUDEI» NEL QUARTO VANGELO
si legga rapidamente il Vangelo e si segnino tutte le occorrenze del l ' espressione «i giudei». Si cerchi di capire se essa viene utilizzata i n forma neutra per indicare un gruppo etnico di perso ne, oppure se viene utilizzata con senso negati vo. Si paragoni l ' uso che ne viene fatto nei capitoli 1 1 e 12 con quello del capitolo 8.
Letture preparatorie:
Una delle stranezze di questo Vangelo è che, mentre ciascu no dei Vangeli sinottici fa riferimento ai giudei solo cinque o sei volte, il quarto evangelista vi si riferisce per oltre settanta volte, mentre la comune distinzione dei Sinottici fra scribi , farisei e sadducei si trova meno frequentemente. Il modo in cui il quarto Vangelo parla dei giudei ha avuto una serie di tragiche conseguenze; è stato più e più volte utilizzato come base dell' antisemitismo cristiano. Nessun altro Vangelo sembra presentare i giudei in modo così avverso ai cristiani, nei panni dei loro nemici. Per questo motivo, chi cercava capri espiato ri per la propria ostilità si è rifatto ali ' evidente antigiudaismo del Vangelo e lo ha utilizzato come base logica per una conce zione della collera divina contro i giudei. I cristiani interessa1 06
ti a cancellare ogni traccia di antisemitismo si trovano imbaraz zati dal quarto Vangelo. L' uso dell'espressione «i giudei» non ha avuto soltanto importanti ramificazioni sociali, ma è impor tante per la comprensione generale del pensiero teologico di questo Vangelo. Ci sono due importanti motivi per esaminare il modo in cui l 'evangelista si serve di questa espressione . Innanzitutto dobbiamo notare, ancora una volta, che l' uso giovanneo di tale espressione non è coerente ; spero che nella lettura che è stata fatta si sia rilevata l ' ambiguità del termine, nel senso che esso sembra essere utilizzato con un significato qua e con un altro là. Affrontiamo prima quello più facile. Talvolta l'espressione viene utilizzata semplicemente per identi ficare un gruppo di persone, dal punto di vista nazionale, etnico e religioso. In 1 1 ,45 , per esempio, appare semplicemente come identificazione di un gruppo dal quale sono emersi alcuni credenti in Cristo. In 4,22 Gesù dice (parlando egli stesso come un giudeo) che la salvezza viene dai giudei . Questo viene integrato dal fatto che le grandi figure del giudaismo passato sono riconosciute come importanti predecessori del rivelato re (5 ,46; 8,39). Tutto ciò non comporta problemi . Ci presenta i giudei come preparatori dell' apparizione del Cristo giovan neo e ipotizza una continuità fra giudaismo e cristianesimo primitivo. Il problema spinoso emerge quando incontriamo l' uso di tale espressione con sapore polemico. Nella gran parte dei casi i giudei sono i malvagi del Vangelo. Essi perseguitano Gesù (5 , 1 6), lo fraintendono (8,22), cercano di lapidario (8,59), sono responsabili del suo arresto e della crocifissione ( 1 8 , 1 2 ; 19, 1 2) . I I più delle volte l i caratterizza il fatto che sono coloro che rifiutano di credere in lui ( 1 0,3 1 -39). Raymond E. Brown presenta un argomento forte del perché non possiamo leggere questi testi come se si riferissero in generale all ' intero popolo giudaico. Innanzitutto, l ' espressio ne «i giudei» spesso non ha nulla a che fare con considerazioni di natura religiosa, nazionale o etnica. I genitori del cieco fin dalla nascita del capitolo 9 hanno paura dei «giudei», ma essi stessi sono certamente dei giudei ! Inoltre, l'espressione viene spesso utilizzata in modo interscambiabile con i capi religio si del popolo (si confronti 1 8,3 con 1 8, 1 2 e 8, 1 3 con 8,22). 1 07
Infine, quando si confronta il quarto Vangelo con i Sinottici, «i giudei» svolgono quelle funzioni che in questi ultimi sono attribuite al Sinedrio ( 1 8,28-3 1 ; cfr. Mc. 1 5 , l ). La tesi di Brown è che «i giudei» sia un'espressione utilizzata per indicare soltan to le autorità religiose del giudaismo che si oppongono a Cristo (vedi R.E. BROWN, Giovanni cit., p. 82). Io suggerisco un significato più ampio: «l giudei» si riferi sce spesso alle autorità religiose, questo è certo, ma l' espres sione include anche una più vasta classe di oppositori. I giudei costituiscono lo stereotipo di coloro che rifiutano Cristo e questo uso linguistico chiarisce questa strana categoria. La caratteristica specificamente etnica nel quarto Vangelo spari sce. L' espressione non indica più un corpo di persone catalo gato religiosamente, in quanto l' evangelista l ' avrebbe utiliz zata per indicare una figura tipica, non persone in particolare. Permettetemi di proporre un' analogia. In tutti i romanzi d' avventura e nei gialli che parlano di investigatori privati, la polizia ufficiale gioca un ruolo molto importante. Essa è sempre piuttosto ottusa, lenta, impantanata nella burocrazia e solita mente segue una falsa pista. Funge da contrasto mediante il quale l ' autore dimostra la bravura e l ' intelligenza dell ' inve stigatore privato, il protagonista del romanzo. Possiamo dire che in questi romanzi la polizia è diventata uno stereotipo, senza personalità distintiva. L'autore è interessato a loro per un solo motivo, vale a dire in qualità di figure di contrasto con il protagonista. In questo genere letterario e mediatico c ' è una massiccia generalizzazione. Questa analogia ci aiuta a comprendere quello che il quarto evangelista ha fatto con i giudei. Non c ' è alcun interesse per loro come persone. Spesso non ci sono distinzioni significati ve fra essi (eccetto occasionalmente, quando alcuni sembrano credere in Gesù). L'interesse nei loro confronti è limitato al ruolo che rivestono come stereotipi di incredulità. Ci può aiutare a comprendere questa strana caratterizza zione dei giudei il proporre due cause supplementari del perché i giudei sono presentati in questo modo nel quarto Vangelo. La prima è letteraria: i giudei costituiscono il contrasto letterario nei confronti del protagonista della storia, il rivelatore divino. Ogni racconto ha bisogno di un antagonista con il quale rappor1 08
tare il protagonista del racconto. Nel nostro Vangelo i giudei hanno la sola funzione di dare all ' evangelista l ' occasione di dire certe cose su Cristo. Non dobbiamo concludere che l ' auto re, o l ' autrice, avesse in mente una motivazione antisemita; non diciamo infatti che l ' autore di un romanzo giallo che tratta di un investigatore privato sia un rivoluzionario anti-istituzio nale e contro la polizia. Non possiamo neppure accusare l' evan gelista di essere antisemita: la presentazione dei personaggi è una strategia per raccontare una storia. Ma perché sono stati scelti in particolare i giudei per questo ruolo sconveniente? Perché l' autore non ha utilizzato qualche gruppo interno al giudaismo, come i farisei (come nel caso dei Vangeli sinottici)? La mia seconda motivazione è di tipo stori co. Dobbiamo ricordarci alcuni accenni fatti nell ' Introduzione. Si ricordi che l' evangelista sta scrivendo nel bel mezzo di una feroce disputa con la sinagoga, una di quelle che potevano anche aver generato episodi di violenza ogni tanto. Il proble ma immediato per la comunità giovannea è l ' accusa solleva ta contro di loro da quelli che prima erano fratelli e sorelle della sinagoga. Per questo motivo, il quarto evangelista sceglie l ' antagonista della storia proprio tra quelli presenti nel conte sto originale dei lettori e presenta i giudei come stereotipi d' incredulità. È stata la pressi òne della situazione storica concre ta che ha motivato questa scelta. Possiamo anche pensare che lo scrittore del Vangelo abbia antenati giudaici, o almeno che un gran numero (forse anche la maggioranza) di quelli che componevano la comunità cristiana fossero giudei. Il Vangelo non sta pronunciando un giudizio sul popolo giudaico nel suo insieme, ma implica che gli oppositori giudaici della chiesa in quel tempo e in quel luogo fossero esempi tipici del fallimen to umano di accettare Cristo. Il Vangelo presenta questo genere di rifiuto con l ' espressione simbolica «i giudei», per quanto poco felice questo possa essere stato e sia per le generazioni future di lettori del Vangelo. Possiamo concludere che la presen tazione dei giudei come simbolo di incredulità è stato un inciden te della storia e anche uno dei più tragici in quanto tale ! Ne consegue che dobbiamo cogliere il significato religio so dell' espressione «i giudei}} . Questa espressione simbolica è una parte del più vasto dualismo giovanneo. Le persone che 1 09
non riescono a capire che in Cristo è presente l ' adempimento dell 'eredità della Bibbia ebraica, che si attaccano al proprio orgoglio, che non possono accettare l' autocomprensione presen tata nella rivelazione di Dio in Cristo, sono quelle rappresen tate nell 'espressione simbolica «i giudei» . Esse si pongono nel polo negativo dello schema dualistico come esempi tipici dell ' i ncredulità umana. L' espressione non indica un gruppo etnico, geografico, nazionale oppure religioso per quanto attie ne allo stereotipo della reiezione. Ogni persona che rifiuta di accettare l 'identità umana presentata da Cristo nel Vangelo è per l 'evangelista un «giudeo» . Può essere che il polo positivo della coppia dualistica in questo caso sia «israelita)) . Un israe lita è colui che accetta la rivelazione ( 1 ,3 1 ) . Ma, allora, perché il Vangelo non è coerente nell ' uso dell 'e spressione «i giudei)) ? Se si tratta di un' espressione stereoti pata, utilizzata quando si voleva fare riferimento ai giudei, come possiamo spiegare i testi citati nella prima parte di questa sezione in cui la stessa espressione non viene utilizzata con questa accezione negativa? Questa domanda, in ultima anali si, potrebbe non avere risposta, ma ci sono alcune possibilità. Una è che l 'evangelista non fosse uno scrittore così coerente come avremmo gradito. Ci sono dei lapsus nell ' uso stilistico dell ' espressione, dovuti forse alla mancanza di accuratezza proprio da parte dell' autore. In questi casi lui, o lei, utilizza l ' espressione col solito significato descrittivo. Una spiegazione migliore (e complementare alla prece dente) è che questa mancanza di coerenza sia il risultato dell' u so di materiale tradizionale a disposizione dell' evangelista. La chiesa giovannea attingeva a narrazioni e detti che erano stati coltivati nella comunità precedente la separazione dalla sinago ga. Nei giorni ormai passati, quando i cristiani erano ancora partecipanti ben accetti nella sinagoga, le narrazioni e i detti che riportavano l ' espressione «i giudei)) nel suo significato normale e positivo (per esempio 4,22) erano conservati e svilup pati . Soltanto quando l' evangelista mise insieme i materiali tradizionali e scrisse la prima stesura del Vangelo ricorse all ' u so del simbolo stilistico «i giudei)) . Questo avvenne soltanto dopo che i cristiani erano stati espulsi dalla sinagoga e quando furono impegnati in una disputa molto accesa. Come abbiamo 1 10
suggerito in precedenza, il metodo ordinario dell'evangelista era quello di conservare i materiali tradizionali, spesso, forse, anche nella loro forma originale. Le narrazioni e i detti più antichi non fur!J nO sempre riveduti per renderli coerenti con la prospettiva generale del Vangelo e in particolare per quanto riguarda l ' utilizzo dell ' espressione «i giudei» . Piuttosto, il precedente significato dell ' espressione fu lasciato inalterato in alcuni punti. Ne risulta che l 'espressione è stata utilizzata in modo incoerente. Da un punto di vista moderno, il lavoro redazionale del nostro evangelista lascia molto a desiderare, mentre come «conservatore}} della tradizione della comunità non c ' era niente di meglio da fare . Si deve pur dire, infine, che tutto questo non disinnesca definitivamente il pericoloso tono antisemita del Vangelo. Possiamo comprendere la raffigurazione dei giudei a partire da prospettive sia letterarie sia storiche, ma questo non mitiga il tono del Vangelo quando lo si legge oggi . I cristiani interes sati al miglioramento dei rapporti con i loro fratelli e sorelle in fede ebrei devono rifiutare in modo definitivo il Vangelo di Giovanni su questo punto specifico. Essi devono confessare che questa caratteristica del Vangelo non rappresenta un atteg giamento normativa divinamente ispirato. Il nostro Vangelo indomabile ha le sue debolezze insieme ai suoi molti punti di forza (per maggiori dettagli, vedi R. KYSAR, Anti-Semitism in the Gospel ofJohn, in Faith and Polemic, a cura di Craig Evans e Donald Hagner, Minneapolis, Fortress Press, 1 993).
IL DETERMIN ISMO GIOVANNEO
Letture preparatorie: i seguenti testi sono fra quel l i in cui si dice qualcosa riguardante il passaggio dal l ' incredul ità al la fede. Si legga no con attenzione e ciascuno decida se il Vangelo i nsegni o meno una forma di determini smo. Questi testi ipotizzano che l ' evangeli sta pensasse che soltanto quelli scelti da Dio potessero passare dal la vita non autentica ad una esistenza autentica? Si faccia un elenco delle caratteri stiche che sembrano sottolineare una forma di determini smo
111
e di quelle che sembrano ipotizzare la libertà umana nei seguenti testi: 3 , 1 8 .2 1 . 3 3-36; 5 ,24; 6,35-40.44-47.65 ; 8 ,47; 1 0,3-5. 1 4.25-26; l l ,2526; 1 2,39-48; 1 7,2.9. 1 2.24; 1 8,37.
•
Come avviene il passaggio dal regno delle tenebre, dal mondo e dai giudei al regno della verità, della luce, dell ' alto? Come si passa da un'esistenza non autentica, basata sul presup posto che le persone sono autonome e indipendenti, ad un' esi stenza autentica, che riconosce la creaturalità e la dipendenza da Dio? Oppure, per porre il problema nel contesto di questo capitolo, come si sconfigge il male? Se esso è radicato in una falsa identità umana, come si può modificare tale identità? Che cosa controlla il passaggio fra i due diversi mondi del pensie ro giovanneo? Queste domande ci portano al concetto di fede espresso del quarto Vangelo e questo argomento sarà affrontato direttamente nel capitolo 3 . Per ora dobbiamo esaminare se è vero o meno che è principalmente la predeterminazione di Dio ad incidere sul destino delle persone, oppure il libero arbitrio dei singoli. È soltanto il libero arbitrio che provoca il male, oppure esso è in parte opera di Dio? Ancora una volta il quarto Vangelo non ci fornisce una risposta chiara. Ci sono dei testi che sembrano favorire la libertà umana e altri che suggeriscono la volontà dominante di Dio. Il nostro compito sarà quello di presentare i dati e quindi formulare alcune possibili conclusioni. Nel Vangelo ci sono frequenti accenni a quello che assomi glia ad un determinismo. Gesù nel quarto Vangelo parla spesso come se la volontà di Dio avesse determinato quelli che rispon deranno alla rivelazione divina in Cristo. Dio dona a Cristo quelli che crederanno (6,39; 1 7,2.6.9. 1 2.24). Questo signifi cherebbe che il primo passo nel movimento dal polo negativo a quello positivo del dualismo giovanneo è opera di Dio. Egli dona a Cristo quelli che sono scelti per credere. Talvolta Gesù dice che uno deve essere «attirato» da Dio perché creda (6,44). Forse che Dio attiri alcuni e non altri ? Secondo 6,55, non è possibile credere a meno che non gli sia stato dato. Credere in Cristo e appropriarsi della vera identità umana non sono sempli ci opere della volontà individuale. Alcune persone sono figlie di Dio e altre no. Quelli che ascoltano la verità e la abbrac1 12
ciano sono quelli che «sono da Dio» (8,47) . Lo stesso concet to viene espresso con una metafora: alcune sono pecore del buon Pastore e conoscono la sua voce, altre no (l 0,3.26). Sembra addirittura che Dio renda impossibile il credere per alcune persone ( 1 2,37-40). Alcuni sono resi sordi alla verità e ciechi alla falsità del loro modo di vivere (8,37). Questo tipo di linguaggio è chiaramente messo a confron to con una implicita libertà di credere o meno. Non abbiamo necessità di insistere troppo su questo tema, in quanto sembra evidente. In molti testi il credere sembra essere lasciato alla volontà del singolo. Per esempio, ci sono casi riguardanti l ' uso dei pronomi «tutti», «chiunque» e «ogni» in rapporto al crede re, che potrebbero suggerire un invito appunto a credere (3, 1 6.202 1 . 3 3 .36; 4, 1 3 ; 6,45.47.67-69; 1 2,32 e forse anche 3,8). In alcuni passaggi la fede è richiesta ( l :Ì ,36; 1 4, 1 1 ). I commenti dell' autore del racconto, così come alcune affermazioni di Gesù, sembrano suggerire la libertà di credere o meno ( 1 9,35 ; 20, 3 1 ) . L' invito, l' ordine di credere e la testimonianza di altri incaricati di chiamare alla fede, tutto questo implica che ciascu no è responsabile per la sua fede o per la sua incredulità. Come si può accettare, come si può obbedire, o come si può porre fede nella rivelazione a meno che non si abbia per natura la capacità di scegliere liberamente? Un insegnante non offrirà ad una classe di studenti la possibilità di scegliere fra lo svolge re una piccola ricerca o una serie di resoconti di libri se ha già deciso che a tutti gli studenti maschi viene richiesta una ricer ca e a tutte le studentesse il resoconto di un libro. La realtà della libertà umana sembra chiaramente fare da sfondo a gran parte del Vangelo. Abbiamo qui una delle più sorprendenti contraddizioni di questo enigmatico Vangelo. Come la risolveremo? Ancora una volta, esaminiamo le varie possibilità. Innanzitutto, si potrebbe ritenere che una serie di testi debba essere letta alla luce degli altri, oppure i testi che evidenziano la libertà devono esseri presi come insegnamento dominante del Vangelo e limitati soltanto da quelli di tipo deterministico, o viceversa. Così , il concetto espresso dal Vangelo potrebbe essere che tutte le persone sono scelte da Dio per giungere alla fede. Tutte sono date al Figlio, tutte sono attirate da Dio, a tutte 1 13
viene data la capacità di credere. Allora diventa un problema di libertà individuale se scegliere di accettare o rifiutare la facoltà donata da Dio di credere. Questo è un modo popolare e possibile di comprendere il Vangelo. L' approccio opposto sostiene che i testi concernenti il determinismo costituiscano il motivo dominante della concezione deli ' evangelista: soltan to a coloro che sono scelti da Dio viene data la capacità di credere. Gli altri sono messi da parte per decisione divina. Per quanto questa decisione sia meno popolare, è sostenibile. Il gusto giovanneo spesso sembra suggerire che tutte le persone siano divise in due gruppi : alcune di queste hanno origine e destino celeste, altre no (per esempio vedi le espres sioni che alcuni non sono «da Dio» come in 8,47). Percorrendo questa via, i cristiani gnostici del II secolo hanno utilizzato il quarto Vangelo per fondare la loro visione: soltanto pochi eletti hanno il dono di udire e rispondere alla rivelazione della verità. Per quel che riguarda la seconda possibilità, forse il Vangelo presenta deliberatamente una contraddizione a questo propo sito. Probabilmente intende dire che esiste una dimensione paradossale che appartiene alla fede religiosa. Mentre la scelta umana sembra avere un ruolo nell ' accogliere la verità, l ' argo mento non è poi semplice come sembra. Dio ha un ruolo neli' o rigine della fede religiosa; una persona non arriva a credere se questo dono non gli viene elargito divinamente. Il quarto evange lista, ammesso che questa sia la sua (di lui o di lei) posizione, non cerca di risolvere il rapporto fra queste due affermazioni. L'autore non è, come potrebbe esserlo un teologo moderno, alla ricerca di un'esposizione logica sul come siano intreccia ti il determinismo divino e la libertà umana per produrre la fede. Le due affermazioni sono lasciate l ' una accanto all ' altra nel Vangelo, senza alcuna spiegazione (alimentando la frustra zione degli interpreti posteriori, come noi). L' evangelista potreb be voler dire che esiste un mistero sull' origine della fede: il motivo per cui alcune persone giungono alla fede e altre no è sfuggente. Gli psicologi della religione analizzano questo enigma e offrono le loro teorie, ma il mistero rimane. Forse voi avete conosciuto una famiglia in cui alcuni dei figli hanno sviluppa to una genuina fede religiosa, seguendo l 'esempio dei loro 1 14
genitori, mentre un altro si è rifiutato di credere. Questi è, dal punto di vista religioso, un estraneo alla famiglia. Perché? Forse i dati psicologici e sociologici, fors' anche fisiologici , possono aiutare a capire una tale situazione, ma nessuna teoria sembra convincente o sicura. Il quarto evangelista potrebbe aver conosciu to proprio una situazione di questo genere nella chiesa giovan nea. Quello che intende esprimere con il contraddittorio linguag gio deterministico e decisionale è che vi è un mistero nella capacità umana di giungere alla fede. Se questa è allora la spiega zione della sconcertante presenza dei motivi contrapposti nel documento evangelico, allora dobbiamo dar credito all' evan gelista di essere sensibile ad un mistero specificamente religio so e di essere sufficientemente onesto da non pretendere di fornire una compiaciuta risposta al problema. Questa ambiguità ci costringe a prendere in considerazio ne una terza possibilità, impopolare e non attraente per la maggioranza dei lettori . Si tratta del fatto che il documento potrebbe essere il prodotto di una persona che più semplice mente non era abbastanza preparata dal punto di vista teolo gico da notare le contraddizioni nella sua opera. Non c ' era consapevolezza che le due serie di testi ponevano un proble ma logico, ma soltanto un' ingenua mancanza di sensibilità sulle loro implicazioni. Se le cose stessero così, l ' autore avreb be prodotto qualcosa come una tesi di ricerca in cui il profes sore individua un' evidente contraddizione che ha completa mente messo fuori strada lo studente. Fra questa possibilità per la comprensione del Vangelo e la seconda presentata, siamo nuovamente al bivio: o il quarto evangelista era un teologo molto profondo oppure molto ingenuo ! Infine, ci rifacciamo a uno dei terni favoriti in questo volume: il fatto che il Vangelo riporta, l ' una accanto all' altra, sia le convinzioni proprie dell ' autore, sia quelle della tradizione della comunità giovannea. Ancora una volta la posizione dell ' auto re e il materiale proveniente dalla tradizione non sono stati amalgamati. Le tradizioni sono state onorate per quanto riguar da il loro punto di vista, ma in modo tale da veicolare le posizio ni dell 'evangelista che le aveva conservate. C'è ora il pericolo che questo genere di distinzione fra tradizione e pensiero proprio dell' evangelista possa diventare una soluzione troppo facile da 1 15
proporre per ogni contraddizione che incontriamo nel corso del Vangelo. Dobbiamo stare attenti a non utilizzare questa soluzio ne ad ogni difficoltà. Eppure, se l ' orientamento della nostra sintesi del pensiero giovanneo fosse corretta, tale risposta rimar rebbe solo una possibilità. Voglio )asciarla così : come una sempli ce eventualità. Questo perché non sono pronto a sostenere fino in fondo la possibilità che una serie di testi che abbiamo incon trato siano il risultato di materiale tradizionale e che un' altra costituisca il punto di vista dell' evangelista. Vorrei però portare ali ' attenzione del lettore una domanda. Non potrebbe essere che il materiale tradizionale che l ' evan gelista ha utilizzato abbia avuto origine in un periodo in cui i cristiani erano molto ottimisti circa la possibilità di convertire le persone alla loro fede? Se le cose stessero così, questo materia le non potrebbe aver sottolineato il concetto che tutto quello che si deve fare è decidere di prendere la via per la fede? Al tempo in cui l ' evangelista scriveva, il lavoro missionario della chiesa aveva incontrato giorni difficili: c ' erano sempre meno persone desiderose di accettare gli insegnamenti della chiesa. In particolare fra i giudei, là dove gli sforzi missionari dei cristia ni avevano avuto i migliori risultati all' epoca in cui il materia le tradizionale aveva visto la luce, c 'erano inesorabilmente sempre meno convertiti. Così, i cristiani giovannei erano diven tati un po' più titubanti . La loro esperienza li aveva portati a pensare che occorresse più di un atto di volontà affinché una persona giungesse alla fede: occorreva uno specifico dono divino, ovvero serviva che la persona fosse «attirata)) a Cristo. Il nostro evangelista non è così audace da tentare una spiega zione del rapporto fra l' attrazione divina e la libertà umana. L'autore, lui o lei, sta semplicemente sostenendo che sembra essere coinvolto molto più delle reminiscenze dei «bei tempi andati)) dei nostri padri e delle nostre madri quando vi fu una rapida espansione della chiesa. Non è così semplice come dire : «Credi, se vuoi b) . C ' è un significato nel fatto che qualcuno non crederà mai e Dio deve aver qualcosa da dire su questo. Se quest' ultima prospettiva fosse quella giusta (e noi vedia mo che ha molte affinità con alcuni elementi delle altre alter native), l' evangelista sarebbe del tutto comprensibile. Possiamo immaginare che nella situazione della chiesa si fosse verifica1 16
to questo tipo di cambiamento. Inoltre, è facile per noi compren dere come i cristiani della comunità giovannea possano aver risposto a ciò nel modo in cui lo hanno fatto. Negli anni Sessanta, fra le proteste contro la guerra nel Vietnam, in America è avvenu to un cambiamento simile fra coloro che protestavano contro il conflitto. Ali ' inizio c' era l ' idea che ogni persona sana, se solo ci avesse pensato un momento, avrebbe visto l ' insensatezza e l ' immoralità della guerra. Poi, con il passare degli anni e con i capi della protesta che diventavano più anziani, gli oppositori persero l 'ottimismo. Si resero conto che per molte persone, nella loro decisione pro o contro la guerra, c' era molto di più in gioco. Fattori economici, caratteristiche psicologiche e affilia zioni sociali influivano sulla decisione di voler sostenere od opporsi all 'impegno militare degli Stati Uniti in Vietnam. Gli oppositori divennero meno ottimisti sul numero di sostenitori che la loro causa avrebbe convinto, ma nello stesso tempo diven nero più realistici e più astuti nella loro analisi degli esseri umani. Questo potrebbe essere stato il caso della comunità giovannea. Anch' essi divennero meno ottimisti sulla libertà delle persone di credere nella rivelazione che essi avevano trova to in Cristo, ma divennero anche più profondi nella loro compren sione della psicologia dell' esperienza religiosa e, naturalmen te, la loro sola spiegazione fu di parlare deli' esitazione nel crede re nei termini dell ' azione di Dio fra le persone. Quale che sia l 'origine dell' insegnamento del Vangelo, ci lascia con una visione paradossale sull' origine della fede. Da una parte insiste sul fatto che nessuno può vantarsi di essere giunto alla fede. Non ci si può vantare dicendo «ho deciso di avere fede», perché la fede è sempre, almeno in larga parte, un dono di Dio. Dali ' altra, il Vangelo ribadisce di ritenere gli uomini responsabili della loro incredulità. Non ci si può gloriare della propria fede, ma non si può neanche essere scusati per la propria mancanza di fede; siamo lasciati a valutare il paradosso !
1 17
CONCLUSIONE
Può sembrare che siamo andati fuori strada rispetto all' o biettivo originale che riguardava la spiegazione del male e del dualismo giovanneo, ma le cose non stanno così . Abbiamo preso le mosse dal problema iniziale della causa del male fino alla sua soluzione giovannea nel dualismo umano, poi siamo passati al problema della libertà contrapposta al determinismo. Una tale apertura di problemi è necessaria per tracciare le linee fondamentali del pensiero del quarto Vangelo. A partire dali' in sistenza della comunità su due differenti mondi di autocom prensione umana, essi devono essere stati condotti, così come lo siamo stati noi, al problema di come si viene portati ad abban donare lo stile di vita che produce il male e scegliere la posizio ne opposta. Non potevano accettare a lungo il loro dualismo senza chiedersi se fosse superabile. Se è possibile muoversi dal polo negativo verso quello positivo, come può avvenire questo cambiamento? Soltanto per una decisione umana oppure mediante un' azione persuasiva di Dio? Ho sostenuto che per il quarto evangelista il male ha radici negli esseri umani. Più in particolare, esso è radicato in uno specifico aspetto della vita umana, ovvero, l ' identità. Quando le persone pensano a se stesse come a esseri che non dipen dono da un creatore per la loro esistenza, l ' intera esistenza è sbilanciata. A motivo di questa errata costruzione del sé, l ' inte ra creazione è distorta, con il risultato che il male è dominan te . Ci sono due strade di fronte alle persone : la via del male con la sua pretesa di indipendenza, oppure la via della verità con il riconoscimento della dipendenza da Dio. Queste sono polarità contrapposte e costituiscono due mondi completa mente differenti . Vengono descritti nel Vangelo sia in termini di dualismo umano sia di dualismo cosmico ma l ' ultimo, proba bilmente, è soltanto un modo di sottolineare la grande portata del precedente. ll quarto evangelista utilizza una vasta gamma di simboli per descrivere questi due mondi. Tuttavia, ritiene che il passaggio da uno ali ' altro non sia un semplice proces so che dipende esclusivamente dalla scelta umana. Qui un'osservazione di natura sociologica è appropriata. La risposta dualistica alla realtà del male insegnata dal quarto 1 18
Vangelo ha le sue radici nella situazione sociale della comunità giovannea. La chiesa ha vissuto una dislocazione sociale. Questi cristiani sono stati espulsi dalla loro casa d' origine, dalla sinago ga a fianco dei loro compagni giudei e questa situazione è stata vissuta come un trauma sociale. Le loro radici sono state taglia te, sono stati buttati fuori nel mondo, spogliati del loro rappor to sociale con i giudei. All 'improvviso essi non hanno più né casa né identità, sono alieni nella città in cui sono abituati a vi vere come membri della sinagoga. Subiscono un trauma simile a quello patito dai rifugiati dei nostri giorni che vengono nei paesi del Primo mondo per sfuggire alle condizioni insoppor tabili della loro patria. Il loro intero orientamento sociale è distrutto. Il risultato nella comunità giovannea è forse quella tendenza naturale a rinchiudersi in se stessi: hanno costruito la loro comunità e l' identità di gruppo, hanno sviluppato un sotto gruppo che guarda agli altri con sospetto come ad un estraneo. Hanno agito così sia come sforzo per ricostruirsi una identità sociale, creare una nuova casa per se stessi nella loro città, sia per difendersi contro l' assalto violento dei loro oppositori. Un gruppo attaccato dali' esterno tende sempre a rinchiudersi in se stesso e cementare la sua unità per trovare la propria identità (vedi il provocante saggio di W. MEEKS, The Manfrom Haeven in Johannine Sectarianism, in The Interpretation offohn, a cura di John Ashton, Filadelfia, Fortress Press, 1 986, pp. 1 4 1 - 1 73). Uno dei risultati di questo nuovo orientamento sociale è che si sviluppò una visione dualistica del mondo. La separa zione fra «noi» e «loro» viene naturale. Insieme a questa nasce anche una tendenza a pensare se stessi come nati dall' alto, come la verità, come la luce in un mondo di tenebre e cose simili. Similmente, essi ritengono che gli altri, oppositori loro e della loro fede, siano come dal basso, siano il mondo, siano le tenebre, siano «i giudei» . Il pensiero dualistico soddisfa sia una necessità teologica, sia una necessità sociologica. Quelli che non stanno dalla nostra parte non sono soltanto confusi nei riguardi della la vita, sono ciechi alla verità. Essi non crede ranno, come invece facciamo noi , anche perché non hanno sperimentato l ' attrazione divina che invece a noi è stata data. Esiste una tendenza immediata a giudicare un tale svilup po del pensiero in maniera autogiustificante. Niente fa ammat1 19
tire più di un gruppo di persone che crede di possedere la verità e che quelli al di fuori del gruppo siano perduti, senza speran za. Tuttavia, con un piccolo sforzo possiamo comprendere perché la comunità giovannea ragioni in questo modo. Possiamo immaginare che noi avremmo fatto le stesse cose se ci fossi mo trovati nei loro panni: minacciati dagli oppositori, social mente distrutti e ancora sulla via della maturazione teologica, è comprensibile che abbiano trovato attraente una distinzione dualistica fra «noi» e «loro». Il quarto Vangelo offre alla comunità qualcosa per comprendere quanto sta loro avvenen do. I suoi simboli offrono sollievo e nuovo orientamento. Il suo insegnamento mette loro a disposizione uno schema per una nuova e più chiara identità. La sua visione del male raffor za i cristiani offrendo loro un modo per interpretare la loro condizione. Che cosa ha mai fatto di più una fede religiosa? Ancora un concetto finale riguardante la presentazione sociologica del pensiero del quarto evangelista: la teologia (o il pensiero religioso) non è mai semplicemente un esercizio mentale. Essa è sempre radicata nella situazione sociale dei credenti. Noi siamo animali sociali ; quando la nostra situa zione cambia radicalmente, di solito modifichiamo nello stesso senso la nostra prospetti va religiosa. Il quarto evangelista e la comunità giovannea non fanno eccezione a questa regola: il dualismo presente nel Vangelo è il risultato di riflessioni teolo giche alle prese con crisi di tipo sociale e religioso. La spiegazione della realtà del male accettata dal quarto evangelista può essere o meno adeguata. Ci può colpire come sommamente utile nel trattare con gli aspetti i ndesiderabili della vita, oppure può apparire come una tesi interessante di un' epoca ormai passata e che non è più rilevante. Dovrebbe essere evidente a tutti, però, che l ' evangelista ha affrontato un grande argomento e che la tesi riguardante il male è soltanto una parte della più completa comprensione del significato di Cristo da parte dell ' autore. È utile ricordare che comunque si affronti l' argomento, può rappresentare per noi il contesto della tragedia e delle perplessità della vita in cui ascolti amo la testi monianza della B ibbia a Cristo. I due di versi mondi del Vangelo di Giovanni sono un ardito sforzo per comprendere un antico problema che continua a sconvolgerei. 1 20
Abbiamo riscontrato che il dualismo giovanneo sfocia in un altro argomento di pari importanza: la natura e l ' origine della fede religiosa. È a questo argomento che dobbiamo rivol gerei, ed è giusto, in quanto la risposta religiosa alla realtà del male ruota sempre attorno al dato di fede. Qualunque cosa una religione insegni sul come affrontare il problema del male, essa ci ricorda sempre che il suo insegnamento dipende da una prospettiva di fede. A ciascuno di noi viene richiesto di crede re che il male sia un' illusione, o di credere che sia radicato in un essere cosmico opposto a Dio, oppure di credere che appar tenga semplicemente al ritmo della natura, ma ci viene sempre richiesto di credere. Come si arriva a credere? Che cosa dà origine alla fede? E che cosa significa, dopo tutto, la fede?
3 VEDERE
È CREDERE : LA CONCEZIONE
GIOVANNEA DELLA FEDE
Il vecchio slogan «vedere è credere» porta in sé un' idea realistica: la nostra fede deve avere una qualche base nell ' e sperienza. Normalmente crediamo sulla base di alcune esperien ze che danno ragione e motivazioni alla fede. Se qualcuno afferma un punto di vista che sembra essere discutibile, noi naturalmente chiediamo alcune motivazioni per credere che si tratti di qualcosa di vero anziché di falso. Talvolta sembra che le affermazioni suscettibili di indagi ne scientifica siano più facilmente analizzabili. Quando le persone dell' ambito scientifico proclamano che le loro idee sono vere, presentano i risultati degli esperimenti che si suppo ne dimostrino la veridicità della loro pretesa. Analogamente, avendo a che fare con bisogni quotidiani, spesso esigiamo alcune prove tangibili prima di credere : «La sedia ti sosterrà. Guarda. Mi ci siederò sopra» . La nostra esperienza ci mette in grado di credere, o ce lo impedisce. Guardo in televisione la pubblicità che annuncia che una nuova macchina percorre molti chilometri con un litro di benzina, ma l ' automobile che ho appena comprato non ottiene affatto quei risultati . La mia esperienza mi rende impossibile accettare l ' annuncio fatto dalla pubblicità. In modo simile, le affermazioni teologiche richiedono una base nell ' esperienza. Le religioni tradizionalmente rivolgono il loro appello alla fede con l ' annuncio che l ' esperienza offre prove di un qualche tipo a loro supporto. L' esperienza di cui si parla, naturalmente, è considerata ben di versa da quella che normalmente si osserva o si misura nelle procedure scientifi che. Le religioni ritengono che un'esperienza personale, sogget ti va, confermi le loro idee ed argomenti. Avete ascoltato le 1 23
testimonianze che le varie religioni propongono. Pace della mente, soddisfazione, serenità e arricchimento sono spesso considerate le basi della fede. U buddista zen parla della grande pace e dell ' intuizione che riesce a penetrare nell ' esperienza come risultato dell ' illuminazione (satori). Christian Science testimonia di una gioiosa serenità e liberazione da sofferenze fisiche e mentali come risultato dell' adesione agli insegna menti di Mary Baker Eddy. I confuciani presentano il loro punto di vista in base al modo in cui la totalità della vita acqui sta significato supremo come risultato della pratica della loro etica. Alcune forme più primitive di religione parlano di esperien ze piene di successo nella coltivazione, deli' assenza di tempo rali e della presenza benedetta di figli nelle loro famiglie come prova del fatto che le cerimonie religiose sono state efficaci. Nei secoli precedenti i calvinisti, così si dice talvolta, ritene vano che la verità delle loro dottrine potesse essere confermata dal fatto che i cosiddetti eletti vivevano nella prosperità e nella ricchezza. Di quale tipo di esperienza più persuasiva si ha bisogno per abbracciare la fede? Di recente, in alcuni circoli, le posizioni cristiane sono state presentate come valide in quanto portano ali ' esperienza del successo. In questi ultimi tempi sentiamo dire che il cristianesimo porta serenità di mente, successo negli affari e nei rapporti sociali e familiari. Le conversioni sono spesso il risultato di alcune esperien ze emotive profonde. John Wesley, il «fondatore}} della chiesa metodista nel XVIII secolo, parlava della sua esperienza di avere il cuore «stranamente riscaldato». Oggi sentiamo posizio ni che ritengono di avere la «prova}} sperimentale del fatto che preghiera e fede guariscono. Come risultato delle loro creden ze, essi dicono, le loro vite sono più ricche, piene di signifi cato e i loro rapporti umani più profondi . In generale, allora, le religioni affermano che esiste un rapporto positivo tra fede ed esperienza. La fede nasce da un' esperienza o dalla ricerca di questa. Il consolidamento dipen de dal l ' esperienza attuale di vivere la vita da una particolare prospetti va. Il famoso e intrigante romanzo di Hermann H esse, Siddharta, è la storia di un uomo alla ricerca di una fede che fosse sostenuta dalla sua esperienza personale. Una religione non può, di solito, avanzare alcuna pretesa sul fatto che la sua 1 24
posizione sia provata o verificata scientificamente, ciò nonostan te può affermare che l ' esperienza porta in una direzione tale da indicare la validità della sua proposta. Il rapporto tra fede ed esperienza nella religione è però spesso piuttosto complesso. Di frequente si è osservato che viene richiesta fede prima che troviamo nella nostra esperien za gli elementi che la sostengano. In altre parole, la fede è resa credibile dall' esperienza, ma prima che possiamo compren dere la nostra esperienza in modo che essa sostenga la fede, dobbiamo averne. Si potrebbe dire che la natura propria della fede sia la volontà di fidarsi di certe affermazioni sulla verità, in attesa che l' esperienza le verifichi. Per dirlo in altre parole, le persone devono avere sufficiente fede da pregare almeno una volta prima che abbiano quell ' esperienza che le assicuri del fatto che la loro fede è ben fondata. Potremmo allora dire che in ambito religioso esiste una fede che precede e una che si fonda sull ' esperienza: una anticipa l ' esperienza della confer ma e una deriva da essa. Il rapporto tra fede ed esperienza in ogni religione, specialmente nel cristianesimo, è difficile da definire. Questa difficoltà di definizione non si perde nel Nuovo Testamento. In ogni sua pagina ci imbattiamo nella ricerca del rapporto fra questi due termini. Le lettere di Paolo riflettono le sue esperienze personali e il loro rapporto con la sua fede sempre più matura. In nessun altro punto del Nuovo Testamento, credo, troviamo un' analisi attenta e complessa del rapporto fra fede e esperienza come quella presente nel quarto Vangelo. Questo documento evangelico sembra particolarmente interes sato al problema di come si sia in grado di confessare Cristo senza esperienza e quale sia appropriata per una fedele accet tazione della rivelazione. Nel capitolo 2 abbiamo visto che l'evangelista ha analizzato la complessità del rapporto fra libera scelta e azione divina nella nascita della fede. Questa audacia nel prendere di petto problemi di grande rilevanza ha seguito nel quarto Vangelo, in quanto siamo testimoni del fatto che l' evangelista si impegna nell ' argomento fede e conoscenza. Il compito è reso arduo dalla situazione condi vi sa con la maggior parte degli altri scrittori del N uovo Testamento: la prima genera zione cristiana aveva chiaramente un' esperienza immediata o 1 25
molto ravvicinata di Gesù di Nazareth. I primi cristiani erano convinti dall 'esperienza che nei Vangeli viene rappresentata come l ' apparizione del Gesù risorto. Questo va tutto molto bene, ma che fare con le generazioni successive? Quale esperien za le avrebbe portate alla fede? Non è forse il caso di dire che le prime generazioni cristiane siano state in una posizione di privilegio e nessuno dei loro successori abbia speranza di una fede basata su tale esperienza? I cristiani, dopo questo primo gruppo, non sono forse condannati a edificare la loro fede su di un' esperienza di seconda mano? Nel contesto di tali doman de l ' evangelista affronta questo tema. Scrivendo forse una cinquantina d' anni dopo la fine del ministero terreno di Gesù, l ' autore del Vangelo di Giovanni deve cercare di comprende re come siano correlate l ' esperienza e la fede. La nostra presentazione tratterà una serie di temi collate rali :
l . i «segni» come provocatori di fede; 2. vedere e ascoltare come percezione di fede; 3 . conoscere e credere; 4. sintesi sui modi di vedere la fede nel quarto Vangelo.
l «SEGNI» COME PROVOCATORI DI FEDE
si studino i testi sotto elencati e si cerchi di rispondere alle domande: che cosa intende il quarto Vangelo con la parola «segno»? Qual è il ruolo dei segni nel dare inizio e nel far maturare la fede in Cristo? 2, 1 - 1 1 . 1 8-25 ; 4,46-54; 5 , 1 -9 ; 6, 1 -28; 9, 1 1 2; 1 1 , 1 -46 ; 1 2,37-4 1 ; 20,30-3 1 ; 2 1 , 1 - 1 4. Si legga anche il raccon to riguardante Tommaso in 20,24-29. Letture preparatorie:
«Segno» (semeion) è la parola che il quarto Vangelo utiliz za per i ndicare i miracoli di Gesù (vedi l ' Introduzione). Per chi è abituato ai Vangeli sinottici, si tratta di un uso sorpren dente di tale parola. Quando questi Vangeli la utilizzano in rapporto alle azioni straordinarie di Gesù, si tratta spesso di 1 26
un' espressione con connotazioni negative. A Gesù viene richie sto di fare un segno per convincere i dubbiosi della sua identità ed egli li rimprovera per la richiesta (Mt. 1 6, 1 -4; Mc. 8, 1 1 - 1 3 ; 1 2,3 8-42 ; Le. 1 1 , 1 6- 1 7.29-32). L' interesse nel vedere u n segno come base per la fede viene condannata come un'espressione di sfiducia e di sospetto. È strano, allora, che il nostro Vangelo la utilizzi in tennini positivi. Gli Atti degli apostoli, tuttavia, forniscono un parallelo neotestamentario per l' uso giovanneo del tennine. Atti ci ricorda che Pietro parlava di «opere poten ti, prodigi e segni» di Gesù (A t. 2,22) e che gli apostoli opera vano «grandi prodigi e segni}} (At. 6,8) che incutevano sacro timore ai presenti. Il segno nel Vangelo di Giovanni, però, ha un significato più specifico. Possiamo definire in via provvi soria il significato giovanneo del segno come un 'azione di
Gesù che mette a disposizione della testimonianza un 'oppor tunità per comprendere la sua vera identità. In realtà, questa definizione è una forte semplificazione del significato della parola in questo Vangelo e del suo rapporto con la fede. Quelli che il quarto Vangelo chiama i segni compiuti da Gesù sembra svolgano un ruolo ambiguo in rapporto al crede re nella rivelazione offerta da Cristo. Come per quasi tutti i temi affrontati nella nostra analisi, questo Vangelo non propo ne risposte facili. La situazione non è diversa nel caso del rapporto tra l ' esperienza dei segni e la fede in Cristo. Questi sono opere di Dio, azioni meravigliose o espressio ni di potenza che producono fede. Questo è vero per ciascuno dei sette o otto segni principali operati da Cristo nel Vangelo: l. trasfonnazione dell ' acqua in vino (2, 1 - 1 1 ) ; 2 . guarigione del figlio di u n ufficiale reale ( 4,46-54 ) ; 3 . guarigione dell ' uomo paralizzato da trentotto anni (5 , 1 -9); 4. moltiplicazione dei pani ( 6, 1 - 1 4 ); 5 . Gesù cammina sul mare (6, 1 5-25); 6. guarigione del cieco nato (9, 1 -8); 7. risurrezione di Lazzaro ( 1 1 , 1 -46) ; 8. la pesca miracolosa (2 1 , 1 - 1 4 ). Questi avvenimenti sono narrati in modo tale da far pensa1 27
re che conducano alla fede. Della trasformazione dell' acqua in vino viene detto: «Gesù fece questo primo dei suoi segni miraco losi in Cana di Galilea, e manifestò la sua gloria, e i suoi disce poli credettero in lui}} (2, 1 1 ). I segni producono una diffusa fede in Cristo, così ci viene detto in 2,23. Inoltre, l 'evangelista confes sa in 20,30-3 1 che egli ha narrato soltanto alcuni dei molti segni che Gesù fece così da chiamare alla fede i lettori. L' implicazione di ciò è che questi segni sono presentati come prova del fatto che Gesù è realmente il Messia (per esempio 2, 1 8). Costituiscono le sue credenziali, appunto, e legittimano la sua pretesa. È una situazione simile a quella di una persona che aspira al dottorato, alla quale viene richiesto di legittimare il proprio status, la propria pretesa, con una dissertazione scientifica. Così anche al Messia viene richiesto di dimostrare la sua identità facendo segni miracolosi. Questa era, naturalmente, un' attesa giudaica comune nel corso del primo secolo. Tuttavia, l' evangelista sembra tracciare una linea tra la fede in Gesù dovuta alle azioni miracolose e al «vedere i segni}} . Che cosa ne facciamo d i 6,26? Dopo aver fatto mangiare l a folla, Gesù la incontra di nuovo e dice: «Voi m i cercate non perché avete visto dei segni miracolosi, ma perché avete mangia to dei pani e siete stati saziati}} (il corsivo è mio). Sembra che l ' evangelista voglia dire che andare alla ricerca di Gesù nella speranza di ricavare qualcosa da mangiare, o di approfittarne in qualche modo fi sico o materiale, non è come seguirlo poiché si sono visti i segni che ha operato. Seguire Gesù semplice mente in funzione dei suoi doni o benefici non è sufficiente (assomiglia molto al seguire un milionario e aspettarsi di riceve re un biglietto da cinque dollari). Fare ciò non è indicativo dell ' aver colto veramente l ' identità di Cristo che si esprime nel segno. « Vedere il segno}} coinvolge qualcosa di più del ricavare un beneficio da parte di chi può soddisfare i vostri bisogni. Che cosa si intende allora con «vedere i segnh} ? Questa domanda ci porta all' i nizio della nostra storia. Per ora sembra che il vedere le azioni miracolose di Gesù sia molto più che avere una percezione visiva di quello che egli opera e del benefi ciare di tale azione. Si tratta di un' intuizione sull' identità di 1 28
colui che opera il segno, che fa comprendere che questa perso na è molto più di un operatore di miracoli . Egli è il Cristo, il rivelatore celeste, il Figlio unico del Padre. Quindi l ' evange lista ha proposto due livelli di sperimentazione dei segni : una comprensione di Gesù come colui che soddisfa i bisogni fisici umani e un' altra che lo identifica come il rivelatore divino. In tutti questi casi i segni sono trattati in modo molto positi vo. Anche nell ' ultimo citato, in cui si esprime una riserva sul seguire Gesù semplicemente per trarre dei benefici dalla sua azione miracolosa, i segni sono comunque considerati come mezzi positivi per far nascere la fede nelle persone. Altrove il quarto Vangelo ha molte riserve più serie sull ' efficacia dei segni nel produrre una fede genuina. Li presenta in modo positi vo nei testi che abbiamo appena esaminato, ma negativamen te in altri. Innanzitutto il Vangelo riconosce che i segni non fanno sempre sorgere la fede. Sembrano non avere il potere di far scaturire la fede in alcuni che pure ne fanno esperienza ( 1 2,37). Questo non è il problema principale, il Vangelo continua. Presenta Gesù che parla in modo tale da gettare dubbi su ogni fede basata sull 'esperienza dei segni . Si rilegga ancora una volta l' episodio della guarigione del figlio dell'ufficiale reale (4,46-5 3). Gesù ha operato la guarigione, ma soltanto dopo essersi lamentato di una fede basata sui segni o su azioni miraco lose. Il versetto 48 di questo episodio è forse un dolce rabbuffo all ' eccessiva dipendenza dai segni pensati come base per la propria fede? Oppure è il rifiuto totale di ogni fede fondata sui segni ? Gesù sta forse dicendo che se è basata su azioni miraco lose la fede non ha alcun valore ? Oppure ancora (ed ecco la terza alternativa) da queste parole siamo chiamati a conclude re che la fede basata sui segni è inferiore a quella che non li richiede ? Questo è un versetto chiave nella nostra analisi del rapporto tra fede ed esperienza per quanto riguarda i segni . Molto di ciò che può essere detto su questo argomento dipen de dalla nostra comprensione delle parole del versetto 48. Ci sono alcune posizioni che possono essere e sono state prese. La prima dice che la fede basata sui segni è legittima, matura, nella misura in cui non si limita ad essere soddisfa zione di autoricerca (come si evince da 6,26) . Il testo di 4,48 1 29
non è altro che una prova della fede dell' ufficiale reale. Questi esprime la sua continua fiducia in Gesù nel versetto 49. È simile all ' episodio della guarigione della figlia della donna cananea in Matteo 1 5 ,2 1 -28. Là Gesù rimprovera la donna in risposta alla sua richiesta di guarigione; la replica di quest' ultima mette in evidenza una fede profonda a tal punto che Gesù opera i mmediatamente la guarigione. Il rimprovero non significa disprezzo della richiesta dell' azione miracolosa, ma costitui sce una prova dell' intensità della fede con cui la richiesta è fatta. Le altre alternative sono di diverso genere. Ritengono che questa prima opzione non tenga conto del fatto che nel Vangelo si accenna ad una riserva ancor maggiore sul ruolo dei segni. I tre modi di leggere il Vangelo che seguono suggeriscono che il quarto evangelista volesse rivedere un'impostazione non corretta della comprensione dei segni. Vediamo la prima: alcuni dicono che il quarto evangelista volesse rifiutare del tutto la fede basata sui segni. La fonte che potrebbe aver utilizzato nella composizione del suo Vangelo (per questo vedi l ' Introduzione), questa è la proposta, conte neva una teologia molto semplice sul rapporto tra segni e fede. Secondo questa fonte scritta, i segni sono azioni miracolose che provocano una fede genuina e adeguata. L'evangelista utilizza tale fonte, ma cerca di correggerla in corso d'opera. Una fede basata sui segni non è affatto tale, ritiene il Vangelo: si tratta di soddisfazione di autoricerca. Quindi 6,26 costituisce il commen to dell ' evangelista su questa pseudofede costruita sui segni e 4,48 costituisce il rifiuto totale di tale ricerca di segni. Se le cose stessero così, ci troveremmo ancora una volta nella situa zione in cui l 'evangelista si riallaccia alla tradizione della comunità (in questo caso alla cosiddetta fonte dei segni) ma ha cercato di correggerla. Il suo punto di vista sembrerebbe quello indicato in 20,29, dove il testo raccomanda il tipo di fede che si sviluppa senza dipendere dall'esperienza dei segni. Vediamo ora la seconda posizione: quella appena indicata è un po' radicale, infatti cerca di ricavare una grande conclu sione dai pochi dati presenti nel Vangelo. Arriva però più vicino alla verità della posizione che non vede nel Vangelo alcuna riserva sulla fede basata sui segni. Una posizione più modera1 30
ta è quella secondo la quale l ' evangelista riconosce che la fede basata sui segni sia una specie di primo livello, un inizio, ma vuole anche dire che essa deve crescere, diventare qualcosa di più. La fede può iniziare basandosi sui segni, ma deve uscire dalla dipendenza da essi finché raggiunge ciò di cui si parla in 20,29. Questa impostazione ritiene anche che il quarto evange lista utilizzi una fonte scritta che presenta una visione più semplice della fede. Quella basata sui segni non viene rifiuta ta, ma solo qualificata più solidamente. In verità, è cosa buona costruire la propria fede sull ' esperienza di azioni miracolose, all ' inizio, ma si deve poi superare il bisogno di tali esperien ze. È la stessa situazione in cui i genitori, all ' inizio, aggiun gono due ruote più piccole alla prima bicicletta del loro bambi no. È bene che il bambino dipenda da queste due piccole ruote supplementari per tenere in equilibrio la bicicletta per un certo periodo di tempo, ma deve infine abbandonare questo aiuto e imparare a mantenere l 'equilibrio indipendentemente da esse. Altrimenti, una volta adulto, correrà a comprare le ruotine per la nuova bicicletta a dieci rapporti di velocità ! Si lasci che la fede dipenda dalle azioni miracolose di Gesù per un po ' di tempo ! Ma che essa si sviluppi finché queste azioni non siano più necessarie alla fede cristiana. Infine la terza posizione, che è leggennente diversa. II quarto evangelista non riterrebbe che la fede in risposta ai segni sia vera fede, ma che costituisca soltanto una fase preparatoria. Quelli che rispondono positivamente ai segni di Gesù non credono ancora, ma hanno una lodevole apertura alla fede . Percependo le azioni miracolose di Cristo, queste persone sono veramente pronte a «vedere», vale a dire, a percepire ciò che quella persona è nonché ad accettare la sua rivendicazione. Le riserve sulla fede basata sui segni presenti nel quarto Vangelo sono, ancora una volta, il prodotto della revisione compiuta dali' evangelista sulla fonte dei segni. Queste riserve sono semplici: la fede basata sui segni non è fede, è piuttosto un valido primo passo nel processo che a essa conduce. Pedalare su una bicicletta con le ruote supplementari non è propriamente quello che si intende con «andare in bicicletta», ma è un passo necessario ad alcuni per imparare bene ad andarci. Il quarto Vangelo sta cercando di dire alcune cose sui segni 131
e sul loro ruolo nel far scaturire la fede. La prima indica che è importante notare come il Vangelo riconosca l ' ambiguità dei segni. Le azioni miracolose non garantiscono che il risultato sia fede. Non c ' è fondamento certo, sperimentale per la fede in Cristo: questo ci sta dicendo il Vangelo. Non conta quali radici nell' esperienza abbia la fede religiosa; l ' esperienza non è mai prova certa di fede. Le cose stanno così, come l' evangelista evidentemente ben sa, perché l'esperienza è sempre ambigua, è sempre passibile di interpretazioni diverse. Quello che una persona chiama profonda esperienza religiosa di Dio, un' altra la comprende come il risultato di certi precondizionamenti psico logici. Il nostro evangelista non è un filosofo della religione, ma lui, o lei che sia, esprime tutto ciò abbastanza chiaramen te. Anche le azioni più miracolose di Gesù non sono garanzia di fede: possono essere comprese come atti di una persona di ver sa dal rivelatore. Così il quarto Vangelo riprende la testimo nianza sinottica secondo la quale alcuni rispondono a Gesù e ai suoi segni sostenendo che egli non fosse il Cristo, ma che fosse posseduto da un demonio (8,48). I segni di Gesù schiu dono semplicemente le possibilità: o Gesù è una persona alla quale Dio ha concesso potere in modo speciale, oppure egli ottiene potere da altre fonti, più verosimilmente di tipo demonia co. In questo modo il quarto evangelista perpetra una visione biblica delle azioni miracolose, in particolare, chiarendo che esse non costituiscono prove assolute, ma sempre ambigue. Il secondo concetto che l ' evangelista sta cercando di comuni care è che, affinché i segni contribuiscano,positivamente alla nascita e alla crescita delle fede religiosa, essi devono essere percepiti in un certo modo. Devono essere inquadrati nella prospettiva della possibilità del coinvolgimento attivo di Dio nella storia umana. Quindi, affinché i segni producano fede essi devono essere sperimentati da una prospettiva che già la presuppone, almeno a un livello minimo. «Vedere i segni» allora, nel senso più profondo, significa sperimentare le azioni di Gesù e comprenderle correttamente. Significa vedere attra verso di loro, come appunto avviene, fino alla vera identità del loro autore. Nella misura in cui noi chiamiamo «fede» un' aper tura alla possibilità della realtà e dell' azione di Dio, i segni richiedono e provocano fede. Esiste un' analogia a portata di 1 32
mano: la valutazione dell' arte. Vedere oggetti d'arte fa matura re il proprio apprezzamento dell ' arte stessa. Ammirare un bel dipinto produce un nuovo apprezzamento del l ' espressione artistica. Ma per «vedere>> un dipinto si devono già possedere alcuni standard soggettivi. Se un osservatore non ha una propria consapevolezza di che cosa sia la bellezza, un Picasso è spreca to. Questa conoscenza previa non deve essere necessariamen te raffinata o matura. Potrebbe essere soltanto un' inclinazio ne, un vago senso del fatto che quel quadro è più piacevole da guardare rispetto ad un altro, e così via. Ma ci deve essere una qualche sensibilità fondamentale per la bellezza. Così , sembra che l 'evangelista stia dicendo che ci deve essere una predi sposizione per sperimentare un segno in modo tale che induca alla fede. Che noi consideriamo questo vera fede o soltanto un primo passo verso di essa è irrilevante: quel che è importante è che cogliamo quanto sta dicendo l ' evangelista. Vedere i segni prima di aver fede è impossibile: sarebbe come aspettarsi fiori dai semi prima ancora di averli seminati. La nostra piccola metafora molto semplice sul seme ci porta al terzo punto. Vedere i segni con questa «fede iniziale» mette in moto un processo che evolve fino al punto che i segni stessi perdono via via importanza e ciò che conta veramente è la prospettiva di fede. Subito al di sotto della superficie dei dati del Vangelo che abbiamo analizzato schematicamente, credo che possiamo riconoscere una profonda concezione di fede dinamica. L' esperienza di cogliere le azioni di Gesù in modo significativo richiede una specie di fede embrionale. Nel Vangelo non tutti coloro che sono testimoni delle azioni di Gesù le considerano segni ( 1 2,37). Questa fede embrionale si nutre con l ' esperienza dei segni . L' evangelista sostiene che le azioni miracolose di Gesù costituiscano esperienze positive per la fede (2,23) ma ritiene che questa non maturi del tutto fin quando non ha più bisogno di una continua presenza dei segni. Diventa una fede che crede senza vedere (20,29). Sono molto esitante nel semplificare questo processo complicato che l 'evangelista sta cercando di farci comprendere. Ciò nonostante, mi avven turo nel proporre un diagramma. Sostengo che il quarto Vangelo non disprezzi alcuni di questi livelli nella maturazione della fede, ma spinga a farla cresce1 33
Fede matura Fede basata sui segni Apertura alla fede o fede embrionale
•
SEGNO
•
SEGNO
Schema 8 re oltre i primi due. Come uno psicologo dell ' età evolutiva, l ' evangelista apprezza ciascun passo della maturazione, ma aborre la fermata in qualunque punto preliminare. Mi sembra probabile che l ' evangelista utilizzi una fonte dei segni che potrebbe non aver contenuto il primo o il terzo livello del nostro schema 8. Questa fonte non riesce a coglie re in pieno i motivi per cui le persone non rispondono, come dovrebbero, alle azioni miracolose di Gesù, né descrive adegua tamente il come la fede debba maturare spingendosi oltre la sua dipendenza dai segni. La fonte di questi è senza dubbio una raccolta molto antica di episodi che aveva a che fare con le azioni miracolose di Gesù, l ' uomo divino. Il quarto evange lista vuole basare la sua costruzione su questa comprensione. Lo fa mettendo in evidenza l ' ambiguità dei segni e presen tando una visione della fede matura che non li necessiti. Egli opera questa revisione della fonte cui attinge in quanto la generazione contemporanea di cristiani è arrivata a compren dere quanto possano essere poco convincenti i racconti dei miracoli di Gesù. Tali narrazioni non spingono più a credere come un tempo, forse, avevano fatto. Inoltre, fra i cristiani stessi quelle gloriose opere non sono più così numerose come 1 34
pare fossero una volta. Quindi il quarto Vangelo sottolinea che la sua generazione di credenti non deve dipendere dai segni, né dalla loro narrazione, ma deve essere in grado di credere senza vedere. Uno studioso, Robert T. Fortna, ritiene che l ' evangelista abbia fatto un' altra revisione nella fonte dei segni (vedi la sua opera, The Gospel ofSigns, Cambridge, Cambridge University Press, 1 970). Fortna individua due livelli nelle narrazioni dei principali segni: in uno Gesù risponde ai bisogni fisici delle persone, come ad esempio la salute e il cibo. Neli' altro i bisogni fisici sembrano una specie di simbolo delle necessità spirituali più profonde. Così , mentre Gesù guarisce l ' uomo cieco dalla nascita, la vittoria sulla cecità è molto di più di una semplice guarigione fisica. Nel contesto del simbolismo giovanneo, la cecità indica tenebre e la guarigione indica luce, pertanto i ri sultati fisici sono simboli di benefici spirituali più profondi che Cristo offre ai credenti . Fortna è convinto che la fonte che l ' evangelista utilizza sottolinei il fatto che Gesù risponde a questi bisogni fisici fondamentali. L' evangelista riprende la narrazione dalla fonte originale ma vuole che i lettori apprez zino il significato simbolico di tali fatti. Così la distinzione fra il seguire Gesù in virtù dei benefici materiali e il vedere i suoi segni (6,26) è il segnale dell' evangelista che queste azioni di Gesù hanno importanti significati spirituali. Una tale propo sta è molto sensata e corrisponde benissimo al modo in cui sembra che l ' evangelista abbia pensato. La comunità giovan nea è meno interessata ai semplici benefici materiali che Gesù può aver dato ai suoi seguaci, quanto piuttosto ai benefici pretta mente spirituali . C ' è qui una profonda comprensione della fede religiosa e della sua crescita. Essa non ha alcun fondamento di assoluta certezza. Anche l ' esperienza di essere stati testimoni del Gesù storico non offre una prova sicura per la fede. Essa è invece la capacità di vedere l ' esperienza a partire da una prospettiva particolare; si tratta di essere aperti alla rivelazione di Dio nella storia, anche se la nostra esperienza è sempre ambigua. Inoltre, la fede è un processo continuo di riequilibrio e di crescita. Ma non ci possiamo fermare qui : il Vangelo ha molto più da dire su questo argomento. 1 35
VEDERE, UDIRE E CREDERE NEL QUARTO VANGELO
La comprensione della fede che abbiamo portato alla luce nella sezione precedente è emersa ed è stata successivamente elaborata dali' evangelista mediante l'uso di tre parole: «vedere», «Udire» e «conoscere». Esamineremo le prime due in questa sezione e lasceremo la terza per la prossima. date uno sguardo al modo in cui sono usate le parole che significano «vedere» nel corso di tutto il Vangelo. Cercate di cogliere alcuni schemi fissi nell ' uso di queste da parte dell' evan geli sta: 1 , 1 4.50-5 1 ; 3, 1 1 .32; 5 , 1 9; 6,40; 9,39; 14,7; 1 7,24; 1 9,35-37; 20,8.25 .29 .
Letture preparatorie:
Le parole greche utilizzate nel quarto Vangelo per indica re l ' azione del vedere sono interscambiabili per indicare una percezione sensibile o una di fede. Esempi della differenza fra questi due tipi sono dati da 1 ,47 e 1 4,8. Nel primo testo si dichiara semplicemente che «Gesù vide Natanaele». Qui il verbo vuoi indicare l' azione sensibile del percepire mediante gli occhi. Ma in 1 4,8 Filippo chiede a Gesù di fargli vedere il Padre. Gesù replica: «Chiunque ha visto me, ha visto il Padre)). Il vedere di cui parla Gesù è evidentemente qualcosa di più del semplice atto della percezione sensibile. Vedere il Padre in Gesù indica sicuramente una qualche forma di percezione spiri tuale o di fede. Significa ravvisare nella persona di Gesù la natura della realtà ultima. Un tale discernimento va ben al di là delle sensazioni fisiche percettive. Potrebbe essere parago nabile all ' atto con il quale l ' esperto in una galleria d' arte vede un dipinto di Picasso ma vede anche qualcosa di più. Egli vede bellezza, forma, vita, alla quale è stata data espressione. Forse la distinzione fra percezione fisica e discernimento pieno di apprezzamento nella galleria d' arte costituisce un parallelo con la distinzione che l 'evangelista sembra proporre fra una visio ne materialistica e una visione di fede. Il Vangelo di Giovanni ha una profonda comprensione del rapporto fra questi due tipi di percezione. Ciò appare eviden te dal modo in cui i due modi di vedere sono collegati e inter dipendenti . Buoni esempi di questo stretto legame sono dati da 6,40; 1 1 ,45 e forse 1 2,45 . In ciascuno di questi testi, l ' atto 1 36
di credere segue strettamente la percezione. Vedere sembra essere una parte integrante del processo di credere. Più in parti colare, il concetto espresso è che l' azione di vedere per fede si basa sull'esperienza della visione sensoriale. Percepire la verità a disposizione degli esseri umani è il risultato della perce zione di qualcosa del tutto materiale e fisico; in questo caso, l' uomo Gesù. Quindi la fede è radicata nell ' esperienza senso riale, ma va al di là di tale esperienza per affermare più di quanto i semplici dati osservabili potrebbero di per sé conva lidare. La fede non fiorisce interamente dall' io interiore. Il quarto evangelista afferma un aspetto fondamentale della tradizione giudeo-cristiana. La fede religiosa non è il risultato di pura meditazione nella quale ci si ritira dal contatto sensibile con il mondo per entrare in contatto soltanto con il proprio corpo. Questo genere di processo meditativo potrebbe essere valido e molto utile, ma il Vangelo di Giovanni, insieme alla tradi zione biblica in generale, afferma che la fede ha origine dal contatto con un oggetto percettibile ai sensi. Potremmo sugge rire una grossolana analogia. Un giovane sostiene con buona fiducia che una ragazza sia interessata a lui per il modo in cui l ' ha baciato. La percezione dell' interesse della ragazza si basa su quella, fisica, del bacio e noi potremmo anche dire che questa comprensione ha bisogno di quel bacio come mezzo di comuni cazione. Ma la sua affermazione dell'interesse della ragazza nei suoi confronti va molto al di là della percezione fisica in quanto tale . «Oh, si tratta soltanto di un bacio», lo rimbecca no gli amici. Ma egli insiste fortemente che quel bacio signi fica qualcosa di più per lui . Il Cristo, dice Giovanni, afferma la verità della rivelazione sulla base dell' azione fisica di vedere Gesù, ma tale affermazione va ben al di là delle percezioni sensoriali in quanto tali. L' osservazione fisica o visiva, con la sua interpretazione comune dei dati, è necessaria, ma si tratta soltanto di un fondamento per affermazioni ulteriori. La comprensione che ha l ' evangelista del come l ' esperienza favorisca la fede si riflette anche negli altri modi in cui egli, o ella, utilizza il verbo «vedere». L' evidente uso metaforico di 9,39 ora acqui sta senso. Sicuramente, la missione di Gesù consiste nel compiere alcune guarigioni, come la reintegra1 37
zione delle capacità visive e uditive, ma l ' evangelista intende esprimere qualcosa di più. Gesù concede il dono di percepire la verità per quanto riguarda la vita e l' esistenza. Egli dona la possibilità di vedere e udire affinché si possa correggere la propria malfondata autocomprensione. La percezione di fede a cui si allude con la parola «vedere» è evidente anche nell ' af fermazione che Gesù vede il Padre (5 , 1 9). Nella misura in cui il Figlio vede il Padre, così il credente vede (nel senso della percezione di fede) il Figlio. Questo è in gran parte vero anche quando ci rivolgiamo all' uso, fatto dall'evangelista, delle parole che hanno li signi ficato di «udire» o «ascoltare». si leggano ora alcuni testi i n cui viene utiliz zato il verbo greco che significa «udire» o «ascoltare». Che cosa vuoi i ntendere l ' evangelista? 3,32; 5,24-26.30.37; 6,45 .60; 8,26.40-43.4547; 1 0,3.8.26-27 ; 1 2,45-47 ; 1 5 , 1 5 ; 1 8,37. Letture preparatorie:
Udire può essere un semplice atto sensoriale, come in 6,60, dove le parole di Gesù sono udite ma non c ' è alcuna perce zione intima del loro significato. Potrebbe anche trattarsi dell' e sperienza da cui nasce la fede (5 ,24). In quest'ultimo caso, un discernimento della vera identità di Gesù inizia con un norma le «ascolto» ma va al di là di questo. La mancanza di fede è radicata nella mancanza di un ascolto coinvolgente e del ricono scimento della voce di Dio nel Figlio. «l giudei» non possono credere, in quanto essi non ascoltano correttamente (8,43). Così l ' ascolto mediante fede, se si vuole, è un' azione di discernimento della presenza della realtà ultima nella voce dell' uomo Gesù. Proprio come per la vista, l' ascolto di fede coinvolge percezione fisica e comprensione del significato basato sul credere. Si tratta di trovare una dimensione del signi ficato ultimo nell 'esperienza di ascolto. Similmente, esiste lo stesso parallelo fra l' ascolto del Figlio da parte dei discepoli e l' ascolto del Padre da parte del Figlio (8,26). Ancora una volta, abbiamo motivo per ritenere che il quarto evangelista vedesse l ' origine della fede religiosa nel particolare discerni mento di una esperienza fisica, sensoriale : vedere e ascoltare. Allora, nel Vangelo di Giovanni abbiamo un'esperienza a due livelli che costituisce il fondamento della fede. La base di 1 38
quest'esperienza è un' azione sensoriale consistente nel vedere le azioni di Gesù e nell ' ascoltare le sue parole (vedi schema 9).
IL PADRE
Il H gli o v ede il
Padre
�
LE PAROLE DI GESÙ
GLI ATTI DI GES Ù
Vede il
Padre
Vede Gesù
D F;giio ascolta ii Padre
FEDE:
Ascolta il Padre
SENSORIALE:
Ascolta Gesù
Schema 9 Spero che si colga la somiglianza nella distinzione fra vedere e ascoltare mediante i sensi e la percezione di fede, e quella fra la percezione delle opere miracolose di Gesù e il «vedere i segni» . Nei due casi il Vangelo ci propone un profondo rappor to tra esperienza e fede. Quest' ultima emerge da un' esperien za colta in maniera particolare. Per questo evangelista, allora, la fede religiosa è almeno in parte il risultato di una compren sione del dato sensoriale. Si cerca di cQgliere il significato di quanto accade: quello che si vede, si asco lta, si sperimenta. La fede è la tendenza, posteriore a questa fase, a comprendere l ' esperienza in un certo modo : vedere e ascoltare il Padre nelle opere e nelle parole di Gesù. Ci troviamo in un circolo vizioso e siamo riportati alla nostra precedente discussione su determinismo e libertà. L'autore riconosce che il vedere e l ' ascoltare che producono fede ne richiedono già in una certa misura: serve la volontà di discer nere un livello più profondo nella realtà presentataci dall'e sperienza. Se non si possiede questa volontà, l ' esperienza non 1 39
·
può dare origine alla fede. Così, l ' evangelista è riportato alla dimensione misteriosa di questo processo. Alcuni sono porta ti a scandagliare quella realtà più profonda, altri no. Questo discernimento sembra essere un dono di Dio che precede ogni fede. L' evangelista non voleva eliminare questo aspetto di mistero o di perplessità dal processo che dali' esperienza porta alla fede. La mancanza di volontà di dare una spiegazione più accurata potrebbe dispiacere a qualcuno. Però è degno di nota che per molti di noi costituisca meraviglia il fatto che alcune persone comprendano la loro esperienza in modo così profon do da essere portati alla fede religiosa, mentre altri no. Dobbiamo parlare di un altro aspetto del pensiero giovan neo connesso a ciò. Questo ci porterà molto avanti nella nostra storia ed ora è il momento appropriato per farlo. Tale compren sione del rapporto fra esperienza e fede espressa nel tratta mento giovanneo dei segni e verbi «vedere» e «ascoltare)) è di tipo sacramentale nel suo significato più profondo. Con questo intendo dire che il quarto Vangelo esprime un profondo apprez zamento per il modo in cui le esperienze sensoriali portano una persona alla fede. Il mondo fisico, il sensoriale, la materialità sono i mezzi tramite i quali nasce la fede. La dottrina cristia na nel corso dei secoli ha ritenuto che questo avvenisse in funzione di particolari esperienze sensoriali. L' acqua nel batte simo, il pane e il vino nella Cena del Signore, questi sono elementi fisici che accrescono la fede e mediante i quali si manifesta il divino. Nel capitolo 4 mostreremo che il Vangelo ha soltanto un limitato interesse per i sacramenti cristiani. Voglio mostrare, nello stesso tempo, che la comprensione giovannea della fede e dell ' esperienza coincide fondamental mente con quello che i cristiani intendono con la concezione sacramentale. L' affermazione del Vangelo è audace quando viene vista così come abbiamo fatto nelle pagine precedenti. La realtà ultima d eli ' universo, ovvero Dio, si deve sperimentare median te gli eventi sensoriali della vita (si veda 1 , 1 4) ! Questa è una concezione sorprendente, in particolar modo quando viene vista nel contesto delle altre tradizioni religiose del mondo. Vedere e ascoltare sono i necessari prerequisiti per credere. Non dobbiamo minimizzare la posizione del Vangelo su questo 1 40
argomento presumendo che intenda inquadrare la questione del vedere e dell' ascoltare soltanto nel contesto di una parti colare persona storica, Gesù. Vale a dire, il quarto evangelista non vuoi dire che la fede è nata nei primi discepoli per le azioni sensoriali del vedere e ascoltare Gesù di Nazareth, ma che successivamente, nel periodo dell' assenza di Gesù, non fosse più così. Penso che il Vangelo sia maggiormente interessato ai suoi lettori degli anni 70 e 80 del primo secolo piuttosto che a quelli precedenti . Sta dicendo che i primi discepoli videro e udirono il Gesù storico e che la loro fede emerse da esperien ze fisiche di quel tipo. Vuole però anche dire che la fede di ogni credente nasce da esperienze sensoriali di vista e ascol to. Il Cristo della fede deve essere ancora visto e ascoltato nella comunità dei credenti . Dall ' ascolto della predicazione, della testimonianza cristiana e dal vedere le azioni fatte sotto l' impul so dell' amore cristiano, la fede nasce continuamente. La teolo gia sensoriale è adatta ali' epoca in cui venne scritto il Vangelo, non solo per il periodo della vita di Gesù di Nazareth. La soluzione di Giovanni al problema dell'esperienza e della fede è interessante e anche audace . Ma c ' è un altro argomento che ha attirato la nostra attenzione: il rapporto fra conoscere e credere .
C ONOSCERE E CREDERE NEL QUARTO VANGELO
La presentazione del rapporto tra fede e conoscenza è un argomento classico nei circoli cristiani. Gli studiosi hanno lotta to per secoli sulle sottigliezze di questo rapporto. C ' è forse una conoscenza previa che si deve avere prima della fede? Oppure questa è il fondamento della conoscenza? La storia di tale discussione non ci riguarda in questo momento, né vogliamo porre la presentazione giovannea di questi temi necessaria mente in risposta ai problemi dei teologi. Vogliamo notare, tuttavia, che già nel corso del primo secolo del movimento cristiano c ' erano alcuni che avevano un modo di pensare che includeva il rapporto tra fede e conoscenza. 141
la lettura necessaria per la nostra breve presen tazione di questo argomento sarà soddisfatta dai seguenti testi: 6,69; 8,3 1 -32; 1 7,7-8.2 1 -23. Quando si leggono questi tre testi, ci si doman di quale delle due azioni è venuta prima nello schema giovanneo: conoscere o credere? L' una è più importante del l ' altra? Sono forse sinonimi?
Letture preparatorie:
Le persone, come risultato del credere, conoscono forse qualcosa che prima non conoscevano ? Più semplicemente : esiste una conoscenza che ha origine dalla fede? Oppure, si deve avere una certa conoscenza prima di credere? Si ascolti il quarto evangelista: in 8,3 1 sembra che coloro che credono in Cristo conoscano di conseguenza qualcosa ( l 0,3 1 pare dire la stessa cosa). Ma attenzione : 1 7,8 dice esattamente l' oppo sto ! I discepoli vengono a conoscenza del fatto che Cristo è venuto dal Padre e quindi (o dovremmo evitare di inserire questo «quindi}} fra le due frasi) essi credono (vedi anche 1 6,30, dove si può ritrovare la stessa relazione).
Nel primo caso: fede
�
conoscenza
Nel secondo caso: conoscenza
---J��
fede
Tuttavia, una contraddizione semplice come questa non è certo abbastanza per il nostro enigmatico Vangelo: c ' è ancora un ulteriore elemento di confusione. In alcuni testi pare che le parole greche utilizzate per rendere «conoscere» e «credere» siano usate come sinonimi. «Noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto» confessa Pietro (6,69). In 1 4,7 e 1 7,3 possiamo sostituire la parola «conoscere» con «credere» ed avere esatta mente lo stesso significato. In questi casi allora: fede
=
conoscere
Ci sono studiosi che vorrebbero farci fare delle sottili distin zioni fra credere e conoscere nel quarto Vangelo. Essi trova no un significato più intellettuale in quei testi dove «conosce re» viene utilizzato in forma più volitiva di come sia utilizza to «credere>} . Bultmann ci vuoi far pensare che «conoscere» nel quarto Vangelo si riferisca alla qualità «strutturale» del 1 42
credere (Teologia del Nuovo Testamento, Brescia, Queriniana, 1 985, pp. 40 1 -422) . Mi sembra, però, che tali argomenti siano infondati. Cercano di immettere distinzioni di tipo filosofico in un testo che non ne presenta. La visione giovannea è più semplice di tutto questo ! Il motivo per cui il Vangelo di Giovanni può utilizzare fede e conoscenza in modo interscambiabile è che sono veramen te sinonimi per la chiesa giovannea. Quello che il Vangelo vuoi indicare con «Conoscere» non è affatto diverso da quello che si vuole indicare con «credere>> . La chiave del rapporto fra queste due espressioni si trova in quei testi in cui percepiamo di poter sostituire le espressioni l' una con l ' altra senza che il significato venga distorto. Questo non vuoi dire che l ' equiva lenza delle due espressioni sia stabilita senza criterio. Il Vangelo può utilizzare «conoscere/conoscenza» come sinonimi di «credere/fede», credo, perché utilizza le prime espressioni nell ' accezione ebraica. Anche se il Vangelo è scrit to in greco e i suoi lettori originali lo comprendevano, sembra che il loro bagaglio cultural-religioso fosse, per la maggior parte di loro, giudaico. Questo fatto portava i cristiani giovan nei a pensare al concetto di conoscenza con mentalità ebraica. Nella B ibbia ebraica la parola usata per «conoscere» aveva una connotazione cognitiva o intellettuale meno marcata di quanto non l ' avesse invece il relativo verbo in lingua greca. Nella maggior parte dei casi presenti nella Bibbia ebraica, «Conoscere» si riferisce ad un rapporto personale. Non si tratta di una conoscenza distaccata di un oggetto. Quando oggi dicia mo di conoscere qualcosa, come per esempio di conoscere un libro, vuoi dire che l' abbiamo esaminato e studiato. Possiamo descriverlo come un oggetto. Possiamo rimanere sconcertati, allora, quando la Bibbia ebraica ci dice che tizio venne e «conobbe» sua moglie e lei concepì un figlio. Che cosa significa allora che quell' uomo ha conosciuto la donna? Ovviamente significa qualcosa di ben diverso da un' osservazione oggettiva e distaccata. La parola ebraica yada ', che noi molto rapidamente traduciamo con «conoscere», significa entrare in un rapporto personale, intimo. Riguarda due soggetti (o persone) che si trovano in un rappor to di reciproco coinvolgimento. Quello che si conosce non è 1 43
un oggetto, staccato dal conoscente, ma è esso stesso un sogget to che è in comunione spirituale con il conoscente. Questa espressione viene utilizzata per indicare il rapporto sessuale quasi nello stesso modo in cui potremmo dire che una coppia ha «rapporti» : due soggetti in rapporto di scambio pieno di fiducia e aspettativa. Similmente, quando il profeta Osea dice che il popolo soffre per mancanza di conoscenza di Dio (Os. 4,6 ss.) egli non si sta lamentando del fatto che la loro teolo gia è difettosa, piuttosto sta dicendo che il loro rapporto perso nale con Dio è morto. Quando il Vangelo di Giovanni utilizza la parola greca gnoskein, questa viene utilizzata nel significato ebraico di yada . Come soggetto, si è entrati in un rapporto personale pieno di fiducia con un altro soggetto. Il Vangelo può allora utilizzare «conoscenza>> come sinonimo di «fede», perché conoscere sugge risce lo stesso tipo di rapporto che esiste nel rapporto di fede. Quindi , non c'è alcun costrutto nel suggerire un maggior grado di contenuto o scambio intellettuale quando si utilizza il verbo «conoscere» anziché «credere». Tutti e due implicano un coinvol gimento fra due persone. Entrambi indicano un rapporto intimo, da soggetto a soggetto e non fra soggetto e oggetto. Nel signi ficato giovanneo di «conoscere» non c ' è distacco fra due sogget ti, ma proprio il contrario, un reciproco coinvolgimento. Se il quarto Vangelo vuoi far intendere quello che inten diamo quando utilizziamo il verbo conoscere e se può utiliz zare questa parola come sinonimo di «Credere», allora un aspet to di quello che vuoi indicare con «fede» inizia a chiarirsi. La fede è un rapporto personale di fiducia fra due soggetti . Si tratta di un interscambio al livello più intimo. Credere non deve semplicemente voler dire accettazione intellettuale di una dottri na (per quanto questo sia un elemento presente nel quarto Vangelo, come vedremo), ma deve implicare quella fede che coinvolge l ' intera persona, mente, corpo, emozioni e tutto il resto, in un rapporto personale. Si racconta la storia di un uomo che doveva camminare su di una fune sospesa sulle cascate del Niagara spingendo una cariala davanti a sé. Quel giorno si radunò una grande folla per assistere ali ' impresa piena di rischi . Il vento soffiava abbastanza forte e faceva ondeggiare la fune avanti e indietro. '
1 44
Quando si avvicinò l ' orario fissato per la prova, la gente comin ciò a gridare: «Fermati ! Non ce la farai mai ! » . In quel momen to una persona si staccò dalla folla e si avvicinò all ' impavido. Gli disse : «Va avanti ! Fa' la tua camminata. Puoi farcela ! Ho fede in te>>. A questo incoraggiamento, il tale che doveva cammi nare sulla fune rispose con un invito: <
V ISIONE SINTETICA DELLA FEDE NEL QUARTO VANGELO
si scorra velocemente il Vangelo e si faccia un elenco del le risposte che esso propone per le domande : qual è l' ogget to della fede (cioè, in che cosa viene richiesto di credere alla gente)? Qual è la natura del l a fede così come viene indicata nel Vangelo? Letture preparatorie:
Il Vangelo utilizza novantotto volte il verbo «credere»
(pisteuein). Credere ! Ma che cosa mi viene chiesto di crede re? Per il quarto Vangelo ci sono almeno tre diversi oggetti della fede. Vale a dire, cambia ciò che o in cui ci viene richie sto di credere . Nella maggior parte dei casi sembra trattarsi di una fiducia in Gesù, una relazione personale con lui. Questo accade per esempio in 4,39. La costruzione sintattica più comune è l ' uso del verbo «Credere» con la preposizione «eis» (in) e l ' oggetto della preposizione è per lo più Gesù stesso. Questa costruzio ne fa ritenere che le nostre proposte sulla natura della fede, esposte a conclusione della precedente sezione, siano estre mamente rilevanti nel quarto Vangelo. 1 45
Talvolta l ' oggetto del credere non è una persona, ma una dichiarazione che viene fatta. «Credettero alla parola che Gesù aveva detto» (2,22). Questo non è sostanzialmente diverso dal primo oggetto della fede, Gesù stesso, se non che qui la fede consiste nel credere in una dichiarazione del rive latore anziché nella sua persona. L' una implica l ' altra. Se si ripone fede in Gesù in quanto rivelazione di Dio, si crede che quello che dice sia vero. Qualcosa di diverso, invece, viene suggerito dal terzo ogget to della fede . Si tratta di fede in dichiarazioni su Gesù. Al letto re non viene chiesto di credere nella sua persona nel senso di un rapporto di fiducia personale, né viene richiesto di accet tare come vero quello che dice. Al lettore, invece, viene richie sto di credere che Gesù è il rivelatore, il Messia, il Figlio del Padre (per esempio 1 1 ,27 ) . Questo uso del verbo credere ha spostato il significato della fede da un rapporto personale ad un' accettazione intellettuale. La mia è fede in un Credo, in questo caso, non in una persona. Il quarto evangelista ci ha così presentato due diversi tipi di fede in Cristo. Il primo è quello che riguarda il coinvolgi mento personale di lealtà con e verso Gesù, che comporta fiducia e intimità. Il secondo tipo presenta una comprensione della fede come accettazione di una formula di fede, o almeno di una affermazione di fede riguardante Cristo. Il primo è il più antico tipo di fede cristiana. La concezione paolina di fede è sostanzialmente di questo genere. Il secondo è il genere di fede che vediamo emergere soltanto più tardi, nel periodo del Nuovo Testamento, ed è simile all ' uso della parola «fede» in alcuni testi molto tardivi degli scritti neotestamentari . In questo caso la fede è stata trasformata in un credo o in un corpo di dottrine. «La fede» non è una relazione personale, dinamica, fra i cristiani e Cristo, ma una serie di dichiarazioni dottrinali su Cristo (vedi Ebr. 1 1 ; Giac . 2, 1 7 ; I Giov. 5, l; III Giov. 4- 1 1 ; Giuda 3 ) . Il cambiamento è estremamente rilevante perché trasforma completamente la natura del credere e la sposta in un' area che può essere ridotta a semplice dato intellettuale. Il primo significato della fede aveva una dimensione ben più personale e richiedeva l ' intero essere del credente. Sarebbe come amare prima una persona e arrivare poi ad amare le affer1 46
mazioni che potete fare su quella persona. Amare l ' afferma zione «lei è una persona estremamente amabile» è radical mente diverso dall' amare la persona stessa. L' evangelista sembra essere parzialmente responsabile del graduale spostamento verso una comprensione della fede come confessione avvenuto nella chiesa primitiva. Il quarto Vangelo è probabilmente fra i primi scritti nei quali possiamo ritrova re espressioni che utilizzano il verbo «credere» con una sfuma tura confessionale (in italiano si tratta della formula «credo che . . . » al posto di quella più pregnante e più antica «credo in . . . »). Il quarto evangelista forse non era consapevole di questo spostamento di significato nell ' uso di tale formula. II senso fondamentale della fede per l' autore è quello di un rapporto personale . Tuttavia, la comunità giovannea è sottoposta ad attacchi : sta soffrendo per una dislocazione sociale e si trova in mezzo ad una crisi d ' identità. Quello che chiaramente la distingue dai suoi oppositori è che essa può fare alcune affer mazioni su Cristo che danno struttura ad un senso di identità e solidarietà di gruppo. «Noi siamo quelli che possono affer mare che Gesù è il Messia» . Questa confessione traccia le frontiere fra la comunità giovannea e il mondo che la circon da. Questo valore funzionale del Credo seduce l ' evangelista e lo porta ad utilizzarlo. L' autore, lui o lei, non vede ciò come una violazione dell ' altra fondamentale concezione della fede : un rapporto personale con Cristo. Naturalmente, nel Vangelo non c ' è ancora alcun pericolo di sopraffazione del carattere personale e dinamico della fede a causa della formula confes sionale. I cristiani giovannei credono senza dubbio che un rapporto personale con Cristo porti naturalmente e logicamente a dichiarazioni di fede sul chi è Cristo. In altre parole, il moti vo del sorgere della concezione confessionale della fede è il deside rio di parlare onestamente e chiaramente sulla persona di Cristo. Senza tener conto delle motivazioni, dobbiamo attribuire (o incolpare) al quarto evangelista una primitiva riduzione della fede a confessione. Se questo sia stato uno spostamento tragi co o soltanto la conclusione logica della visione della fede come rapporto personale, lo lascio al vostro giudizio. Dobbiamo chiudere questa sezione con una nota positiva, avendo conservato il meglio per la fine. C'è ancora un' altra 1 47
caratteristica della concezione giovannea che non abbiamo ancora indicato. Prende l ' avvio da un' annotazione grammati cale. Il quarto evangelista non utilizza mai il sostantivo «fede» , o «credenza», ma sempre e soltanto i l verbo «credere» (il greco ha soltanto una parola che noi possiamo tradurre o con «crede re» con «fidarsi») . Che significato ha questa osservazione? L' autore preferiva i verbi ai sostantivi? Naturalmente signifi ca che per il quarto evangelista la fede è sempre una materia atti va, dinamica, non è una disposizione interiore, non è qualco sa che si possiede. La fede è qualcosa che si fa o che viene fatta per noi, non è uno stato dell ' essere, ma un di venire dinami co. Se la fede è sempre un verbo, questo implica certamente che non è qualcosa che si fa una volta per tutte. Piuttosto, che la fede sia espressa da un verbo significa che il credere è una decisione presa una voi ta soltanto perché sia ripresa volta dopo volta, oppure un dono ricevuto non in una sola occasione, ma un poco alla volta. La fede è una dinamica continua, non uno stato dell' essere. Questa comprensione della fede implicita n eli' uso del verbo in luogo del sostantivo indica che la concezione fondamenta le che ne ha l ' evangelista è quella di un rapporto personale. Mentre il Vangelo usa il verbo «credere» in collegamento con formulazioni di fede, quest' uso non è la sua visione specifica. Si tratta piuttosto di una digressione, una scorrettezza, molto importante per di più. Fondamentalmente, il quarto Vangelo afferma che dali' esperienza sorge un rapporto di fiducia con un essere personificato.
C ONCLUSIONE
Il Vangelo di Giovanni non è un saggio filosofico. La sua esposizione del rapporto tra fede ed esperienza viene fatta ali' in terno del contesto di un vangelo, che non è un trattato di natura filosofica, né teologica. È piuttosto un documento che ha lo scopo di preservare il materiale tradizionale e rivolgerlo in forma nuova e rilevante a quegli argomenti sui quali dibatte la comunità 1 48
dì fede. La preoccupazione del quarto evangelista è dì far cresce re la fede religiosa in mezzo a severe prove e difficoltà. È quindi irragionevole aspettarsi da questo lavoro un' esposizione coeren te e completa del problema del rapporto tra fede ed esperien za. Il filosofo non legge trattati di protesta sociale per la sua spiegazione dei problemi filosofici. Tuttavia, in una protesta sociale sono implicite alcune posizioni : valori fondamentali, elementi per la comprensione della società, delle persone e della libertà. Così neanche noi dobbiamo leggere questo Vangelo aspettandoci di trovare una dissertazione filosofica su argomen ti come fede ed esperienza. Esso propone una visione del rappor to tra fede ed esperienza per una e una sola ragione : affinché la fede del lettore possa crescere. Quello che poi troviamo nel quarto Vangelo è una visione piuttosto approfondita del modo in cui la fede religiosa è radica ta n eli ' esperienza. Sì tratta di una visione re lati vamen te ardita dell' argomento, in quanto sostiene il ruolo positivo dell 'espe rienza sensoriale ali ' origine della fede. Assegna un posto dì primo piano alla percezione dei segni e all 'esperienza fonda mentale della percezione sensoriale quale il vedere e l ' udire, però sostiene che al di là dell' uso dei sensi deve intervenire un discern imento più profondo che vada oltre. Se si coglie questo livello più profondo, allora dall' esperienza può sorgere un rapporto personale di fiducia con la persona divina. Questo può essere descritto in vari modi come fede o conoscenza (nel suo significato ebraico) . A partire da questo rapporto fonda mentale, la fede può spesso essere compresa come l ' accetta zione di dichiarazioni su dì essa. Quando andiamo ad analizzare quello che il Vangelo inten de con la fede intesa come percezione delle parole e delle azioni dì Gesù, scopriamo un mistero irrìsolto. Ci lascia senza alcuna spiegazione chiara di questa iniziale apertura ad un più profon do discernimento che dà origine al processo di fede. Una fede dinamica che deve crescere e maturare inizia nel mistero. Quindi, forse dobbiamo accusare l ' autore di averci presenta to un ' argomentazione incompleta o, forse, di essere caduto in un circolo vizioso: la fede è richiesta per l ' esperienza che la fa nascere ! Anzi, siamo lasciati con la sensazione che la parte cipazione divina alla propria vita inizi nello sforzo di compren1 49
dere e cogliere l ' esperienza dalla prospettiva della fede. Non potrebbe essere, allora, che questa spieghi in modo più adegua to la tensione paradossale presente nel quarto Vangelo fra le affermazioni del fatto che essa nasce da un' azione di Dio ed è generata dalla decisione umana? La fede iniziale è l ' opera di Dio, l ' attrazione divina, il dare i singoli individui a Cristo. Questo dono iniziale di fede apre gli occhi, così che la fede come percezione sia resa possibile. Oltre a questa iniziale sensi bilizzazione all ' esperienza della presenza divina, l ' uomo è allora responsabile per il credere e maturare nella fede. Le persone non possono mai vantarsi della loro fede, in quanto essa ha origine in un' azione di Dio nella loro vita, né gli uomini possono abdicare le loro responsabilità per la maturazione di essa. Se questo costituisca o meno il pieno significato dell ' in segnamento del Vangelo lo si può scoprire soltanto mediante un attento studio, ma ci può fornire un punto dal quale inizia re la ricerca. Il nostro Vangelo non ha risolto una volta per tutte il proble ma dell ' esperienza e della fede. Il suo contributo può sembra re insignificante nel contesto delle tradizioni religiose del mondo, in quanto si tratta di uno fra molti, ma ritengo che la posizione sostenuta da questo documento sia per lo meno una delle risposte più creative che si possano trovare così preco cemente in una tradizione religiosa. Pur senza il beneficio di secoli di discussioni e di sottigliezze filosofiche, l ' interpreta zione giovannea è nello stesso tempo responsabile e persona le. Merita certamente il nostro studio e la nostra critica alla luce della continua riflessione della tradizione ecclesiastica sul significato della fede. Così l ' evangelista analizza il significato della fede e della sua origine nell 'esperienza con considerevole capacità. Essa rappresenta il modo in cui il singolo individuo passa da un polo all ' altro del dualismo umano. Essa è il mezzo di passaggio dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dalla menzogna alla verità. Ma qual è il carattere di questa luce, di questa vita e di questa verità? Qual è il compimento della fede? Che cosa si guadagna per aver creduto? Questo ci porta all 'ultimo e più importante capitolo della nostra analisi del pensiero giovan neo: la sua concezione della vita del credente. 1 50
4
L' ETERNITÀ
È ORA :
L' ESCATOLOGIA
GIOVANNEA
Nel periodo della presidenza di Richard Nixon apparve una vignetta che proponeva il tema di questo capitolo. La scena si svolge di fronte alla Casa Bianca. Una persona con la barba e dalle forme piuttosto bizzarre con indosso un vestito lungo sta portando un cartello che dice: «La fine è vicina ! » . Questa perso na sta fissando con stupore un altro uomo, di cui si possono vedere soltanto le spalle. Questa seconda persona, riconosci bile come l ' allora residente della Casa Bianca, porta a sua volta un cartello che dice : «Ancora quattro anni ! » . Questa miscela di motivi religiosi e politici propone la tensione fra presente e futuro; sintetizza nell' ambito religioso quelli che credono che il presente sia tempo di compimento e nell' ambito politico quelli che guardano con speranza al futuro per il loro compi mento. Il tema della tensione tra futuro e presente come tempo del compimento è un altro classico argomento religioso. Ogni religione insegna, in una forma o nell' altra, la speranza che il compimento e la soddisfazione umane siano disponibili. Questo insegnamento viene spesso espresso con il concetto di salvez za, dichiarando che gli esseri umani possono raggiungere ciò a cui furono destinati al tempo della loro creazione, che le più profonde aspettative dell' anima umana possono essere realiz zate, le fondamentali necessità possono essere esaudite e le speranze saranno adempiute. Una tale promessa di salvezza, però, può avvenire in un futuro distante, oppure potrebbe avveni re nel corso della vita del credente. In alcune tradizioni religio se, il compimento della salvezza viene promesso soltanto nel futuro (per esempio, una dimora celeste dopo la morte). Arriverà un momento, insegnano queste religioni, in cui l ' umanità sarà 151
resa perfetta, ma questo tempo è ancora nel futuro. Il cristia nesimo e il giudaismo sembrano rientrare in questa categoria. In altre tradizioni religiose, il compimento della salvezza promessa è disponibile immediatamente. Il maestro buddista zen spera di condurre con abilità i suoi adepti a questa esperien za di i lluminazione che è la realizzazione di quella serenità per cui gli esseri umani sono stati creati . Naturalmente la distinzione non è mai così netta. Per quanto la tradizione cristiana insegni generalmente un compimento futuro, si trovano spesso delle dichiarazioni sull' anticipazio ne di questa realizzazione futura nel presente del fedele. L' esperienza dello Spirito santo viene spesso intesa in questo modo. Anzi, l ' apostolo Paolo parlava dello Spirito come una sorte di caparra della promessa di Dio. L' esperienza dello Spirito è la garanzia che ci sarà un compimento della salvezza (per esempio Rom. 8 ,23 ). Fra quei cristiani dall ' impostazione misti ca, si trova l ' affermazione che il cristiano, in questa vita, è in grado di sperimentare la quasi pienezza della salvezza promes sa da Dio. Similmente nelle religioni orientali, lo scopo promes so è spesso l ' unità con Dio nello stato del Brahman o del Nirvana che a quelli più fedeli spetta al momento della morte e chiude il ciclo di una vita senza fine (specialmente nell' hin duismo ). Ancora, si sperimenta qualcosa in questa vita riguar dante lo stato finale come risultato della meditazione. È eviden te che le religioni «miscelano» le idee del compimento presen te e futuro della promessa di salvezza. In questa stessa linea si pone l ' argomento trattato da questo capitolo. La sal vezza promessa al credente è soltanto una passi bilità futura? Oppure la si può ritrovare nell ' esperienza attua le del credente? Ancora, il presente è in qualche modo un compi mento parziale che anticipa quello finale, nel futuro? Per quanto le generalizzazioni non reggano sempre, c ' è del vero nell ' af fermazione secondo la quale alcuni insegnamenti religiosi sulla salvezza sono orientati al futuro, altri al presente. Nel primo caso la speranza per il compimento futuro del progetto di Dio gioca un ruolo di primo piano. Nel caso di quelle religioni che sono orientate al presente, c ' è uno spostamento dell ' attenzio ne : la speranza può essere realizzata ora. Si sta realizzando. Vivila ora ! Connesso con questo aspetto c ' è un conflitto di 1 52
base nelle religioni per risolvere l ' esperienza presente del credente e la sua speranza futura. Il cristianesimo è nato probabilmente n eli' ambi to di una concezione per cui la sal vezza dell ' umanità era posta nel futuro e quel futuro era molto vicino. I primi cristiani crebbero in mezzo alle forti speranze del giudaismo di u n ' apparizione immediata del Messia e dell ' età che egli avrebbe inaugurato. Il cristianesimo, sotto questo aspetto, non era troppo diverso dalla prospettiva religiosa di quei giudei responsabili degli scritti dei Rotoli del Mar Morto. Nella loro comunità a Qumran, sul Mar Morto, questi fanatici giudei si preparavano per un' im minente apparizione del Messia e per la grande guerra con il male che ne sarebbe derivata. Il cristianesimo nascente si nutri va di questo genere di visione apocalittica giudaica. Alcuni scritti primitivi da parte del movimento cristiano sottolineano proprio questo aspetto (per esempio I Tes s . ; apocalittico è il nome dato a un particolare modo di pensare e di scrivere sul compimento delle promesse di Dio nel futuro. Si distingue per almeno due caratteristiche speci fiche: per la discontinuità radicale fra la storia e il compimento futuro e per l ' utilizzo elaborato di simboli per descrivere quest' ultimo) . I cristiani giunsero presto a credere di poter sperimentare il compimento divino nel presente. Il credente sperimentava la presenza del Cristo vivente e gli venivano dati i doni che erano anticipazioni di quello finale della pienezza della salvez za. Paolo, per esempio, parla della salvezza sia come esperien za presente sia come speranza futura. Questo è molto chiaro dalla sua dichiarazione in Romani 8,24: «Poiché siamo stati salvati in speranza». Molti critici del Nuovo Testamento sosten gono che i primi cristiani dovessero combattere con la delusio ne derivante dal ritardo del ritorno di Cristo. All' inizio si crede va che Cristo sarebbe tornato subito (parusia è la parola spesso utilizzata nel Nuovo Testamento per questa riapparizione). In quella occasione, egli avrebbe portato la pienezza della sal vez za di Dio. Ma essa non si concretizzò, almeno non nel modo in cui era attesa. Quando questo non accadde e la speranza dell' apparizione di Cristo in gloria fu rimandata ad un futuro più lontano, ci si focalizzò con maggiore attenzione sul modo in cui la salvezza era già presente nella vita dei credenti . 1 53
Il quarto Vangelo si inserisce nel dramma dello sviluppo della fede cri stiana primitiva, la cui collocazione nella lotta fra speranza nel futuro e realizzazione presente è significativa. In poche altre pagine neotestamentarie è più evidente la tensio ne fra le dimensioni presente e futura della salvezza. Il dibat tito degli studiosi si sofferma sulla posizione del quarto evange lista su questo problema, ma tutti concordano che nel Vangelo viene posto l ' accento sulla presenza della salvezza nella vita del credente. Forse nessun altro documento neotestamentario evidenzia più del quarto Vangelo la speranza realizzata dei cri stiani. Il motivo della presenza della salvezza viene propo sto in vari modi . In primo luogo, naturalmente, lo si trova nel modo in cui l ' evangelista tratta i terni escatologici (l' escato logia è semplicemente una parola utile per sintetizzare le creden ze in ciò che accadrà nell ' «ultimo giorno», alla fine della storia, secondo il pensiero cristiano). Ma la presenza della salvezza è anche affermata dal modo in cui l ' evangelista tratta alcuni altri argomenti, in parti colar modo lo Spirito, la chiesa e i sacra menti . Ciò che lega i temi che andremo ad analizzare in questo capitolo è la semplice concezione che l ' evangelista sostene va: la salvezza è già accessibile al credente in questo tempo. Oppure, per sintetizzare la concezione in termini meno prosai ci: l ' eternità è ora ! Nelle pagine seguenti tratteremo in ordine questi argomenti : l. la concezione del Vangelo sul compimento delle promes se legate alla fine della storia (vale a dire, l ' escatologia) ; 2. la sua concezione sulla presenza dello Spirito fra i creden ti (pneumatologia); 3 . la sua concezione della comunità dei cristiani confessanti (la chiesa o ecclesiologia) ; 4. la sua concezione dei sacramenti (sacramentologia) . Mediante ciascuno di questi temi, dice l 'evangelista, la salvezza promessa è già disponibile, adempiuta nella vita dei credenti. Quindi le concezioni dello Spirito, della chiesa e dei sacramenti sono legate alla comprensione dell ' escatologia.
1 54
'
L ESCATOLOGIA GIOVANNEA
Ho già detto che i critici del quarto Vangelo sono divisi sul problema del rapporto fra l ' esperienza presente e la speranza nella salvezza futura. Questo perché i dati del Vangelo non sono univoci. Il nostro primo compito in questa sezione è ricer care i testi più rilevanti. In alcuni di essi il Vangelo sembra affermare che la pienezza della salvezza del singolo è posta in un giorno futuro, in altri sembra dichiarare che queste speran ze sono già realtà nell ' esperienza attuale del credente. qui sono indicati i testi più importanti che tratta no del la speranza escatologica. Si leggano con attenzione 3, 1 8- 1 9.36; 5,2 1 -29; 6,39-54; 9,39; 1 1 ,23-25 ; 1 2,25 . 3 1 .48 ; 1 4,2-3 . 1 8.28; 1 7, 1 2 6 e s i cerchi di determinare s e l ' evangelista stia parlando del compi mento di queste speranze nel futuro o nel presente. Si leggano i capito li 1 5 e 16 e si noti quanto viene detto riguardo alle tribolazioni che i credenti dovranno affrontare o stanno affrontando. Letture preparatorie:
Fino a questo punto il lettore è stato abituato alle contraddi zioni presenti nel Vangelo, così ora non sarà sorpreso nel trova re dichiarazioni contrastanti su questo argomento. Ma qui le contraddizioni sembrano più pronunciate. Proponiamo lo schema l O come breve sommario del problema dell'escatologia giovan nea. Voi potete mettere in discussione alcune di queste citazioni o aggiungerne altre alla luce delle vostre letture dei dati biblici.
Realtà presenti
Realtà future
Giudizio (3, 1 8 ; 9,39)
Giudizio ( 1 2,48)
Vita eterna (3,36; 5 ,24)
Vita eterna ( 1 2,25)
Risurrezione (5 ,2 1 ; 24,26)
Risurrezione ( 6,39-40.54) Parusia ( 1 4, 3 ; 1 8,28)
Sconfitta del «principe di questo mondo» ( 1 2,3 1 )
Tri bolazioni che segnano l ' avvento del Messia (capp . 1 5 - 1 6)
1 55
È comprensibile se qualche volta rimaniamo sconcertati nello studio dei dati biblici, in quanto sembra che ci siano non meno di tre tipi di escatologia nel quarto Vangelo. La prima la chiame remo escatologia futuristica, poiché sembra dire che la salvez za promessa è nel futuro. Il giudizio verrà nell' ultimo giorno della storia ( 1 2,48). Ci sarà una risurrezione dei morti in quel giorno decisivo (6,39-40.54). La risurrezione finale e il giudi zio sono collegati l ' una con l ' altro (5,28). A questo si aggiunge un accenno ad una nuova venuta di Cristo nel futuro (cap. 1 4). Si possono trovare nei capitoli 15 e 1 6 dati supplementari relati vi alle tribolazioni che saranno sperimentate dai cristiani. Una concezione riguardo ali' escatologia futuristica, comune al cristia nesimo primitivo e al giudaismo del primo secolo, riteneva che le tribolazioni si sarebbero verificate man mano che l' ultimo giorno si avvicinava. Proprio prima dell' apparizione del Messia (nel pensiero giudaico) o della seconda venuta di Cristo (nel pensiero cristiano) il male sarebbe abbondato e i credenti sareb bero stati perseguitati duramente. I riferimenti alla sofferenza presenti nei capitoli 1 5 e 1 6 del quarto Vangelo sembrano rifar si a quelle «tribolazioni messianiche» . Sembra che i cristiani giovannei accettassero l ' idea che poco prima che le cose volges sero tutte al meglio, sarebbe stato ancor peggio. Ora, queste attese futuristiche combaciano con la visione escatologica tradizionale protocristiana. Esse esprimono l ' idea che la storia sia condotta verso un gran finale. Questa volta Cristo riapparirà in forma trionfante. Il male sarà sconfitto e il dominio di Satana terminerà. Ci sarà una risurrezione genera le dei morti seguita dal giudizio. Alcuni riceveranno la vita eterna. Niente di tutto questo coglie di sorpresa gli sperimen tati studenti del Nuovo Testamento che abbiano avuto l' occa sione di esaminare la cultura del primo secolo cristiano. Queste concezioni hanno radici nell ' adattamento protocristiano del pensiero apocalittico giudaico. Ritroviamo concezioni simili non solo in altri scritti neotestamentari, ma anche negli scrit ti giudaici dei due secoli precedenti l' èra cristiana, così come nel primo secolo d.C. Questi testi prevedono un dualismo stori co: l ' èra presente è governata da Satana e giungerà a termine, seguita da un' altra, però eterna, governata soltanto da Dio. Esiste un secondo tipo di escatologia nel Vangelo che chiame1 56
remo escatologia attuale (del presente). Questa si rintraccia in quei testi in cui il Vangelo di Giovanni sembra dire che le attese future dei cristiani sono già realizzate, ora, nel loro rapporto con Cristo. Si è già giudicati dalla risposta che si dà a Cristo (per esempio 3 , 1 8). La risurrezione è l ' esperienza di essere portato ad una nuova comprensione di se stessi mediante la fede in Cristo. Si è portati dalla morte alla vita nell ' immedia to presente mediante la fede (per esempio 5 ,24). Il racconto della risurrezione di Lazzaro è, per il nostro caso, molto istrut tivo. Maria incontra Gesù, finalmente giunto al villaggio in cui è morto il suo amico Lazzaro. Egli dice a Maria: «Tuo fratel lo risusciterà» . Maria risponde come se stesse recitando le parole giuste della fede cristiana tradizionale: « Lo so che resusciterà, nella risurrezione, nell'Ultimo giorno» ( 1 1 ,23-24). Le parole hanno un timbro impersonale o retorico. Maria le dice, ma non ne è convinta; non sembrano aiutarla molto di fronte alla morte del fratello. Gesù allora replica con uno dei famosi detti «io sono» : «lo sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; e chiunque vive e crede in me, non morirà mai» ( 1 1 ,25-26). Poi Gesù procede nel reinte grare Lazzaro alla vita. Il concetto espresso dal capitolo sembra essere questo: un rapporto di fede con Cristo significa risur rezione. Non è una qualche vaga speranza che si avvererà chissà quando in un fumoso futuro. È un' esperienza nel presente quando Cristo è presente. Un'escatologia più marcatamente rivolta al presente viene espressa nelle affermazioni sulla vita eterna. Vivere con la fede in Cristo è già vivere la vita eterna (5,24 ) . Quest' ultima espres sione è, naturalmente, parte di quel dualismo giovanneo che abbiamo presentato. Sembra voler indicare la qualità dell ' esi stenza del credente. Non è una speranza per il futuro (ma non dimentichiamoci di 1 2,25). Si tratta di una realtà del presente derivante dalla fede in Cristo. Si tratta, se si vuole, della nuova autocomprensione che risulta dalla rivelazione di Dio in Cristo. Di certo, può avere qualcosa a che vedere con la sopravvivenza dalla morte fisica (come afferma il cap. 1 1 ) , ma si tratta princi palmente di qualità di vita, che, potremmo dire, deriva da una corretta autocomprensione in Cristo che non può essere distrut ta dalla morte. 1 57
Questo tipo di escatologia è nuova, almeno nella sua radica lità. Ha delle affinità con alcuni fatti espressi da Paolo riguar danti la presenza della salvezza nell'esperienza del credente. Il quarto Vangelo prende quelle esperienze connesse con l ' ulti mo giorno nella tradizionale escatologia cristiana e dice : «Esse sono presenti ora nella vita del credente ! » . Egli rovescia la direzione de li' attesa cristiana, almeno i n alcuni testi, sottraen do l ' attenzione dal futuro e concentrandola sul presente. Prima di esaminare più a fondo questo aspetto, dobbiamo dare un' oc chiata al terzo tipo di escatologia e poi cercare di riconciliare i vari tipi. Alcuni degli ultimi capitoli del Vangelo possono esprime re un' escatologia celeste. Questa è sempre una visione futuri stica, ma è ben diversa da quella tradizionale del pensiero prato cristiano. Esiste una dimora celeste che aspetta i cristiani : Cristo li condurrà là con sé ( 1 4,2-3). In questa dimora ci sarà il perfe zionamento del rapporto fra cristiani e tra essi e Dio. Arriveranno ad una perfetta unicità ( 1 7,23 ) Ora questa escatologia celeste non viene esplicitamente collegata con quella futuristica. Vale a dire, non viene dichiarato che, in seguito alla risurrezione e al giudizio, i cristiani saranno portati alla loro dimora celeste e resi perfetti . Sembra, invece, che ci sia qualcosa che accade dopo la morte del singolo credente e questo perfezionamento celeste è in parallelo alla continuazione della storia del mondo. Se le cose stanno così (e ci sono molte ragioni di incertezza su questo), allora abbiamo ancora un' altra visione radicalmente diversa della promessa di salvezza. Questa non è parte di un dualismo storico come sembra essere il caso dell'escatologia futuristica del quarto Vangelo. Piuttosto, questa ipotizza un dualismo cosmico. Esistono due regni nel cosmo: il mondo e il cielo. Nel regno celeste i cristiani hanno una dimora e là viene loro promessa la perfezione (E. KASEMANN è un inter prete che ritrova questa escatologia celeste nel Vangelo. Si veda il suo L 'enigma del quarto Vangelo. Giovanni: una comunità in conflitto con il cattolicesimo nascente ?, Torino, Claudiana, 1 977). Quale posizione dobbiamo assumere alla presenza di questi tre diversi tipi di pensiero escatologico nello stesso Vangelo? Siamo stati testimoni di molti casi in cui gli insegnamenti .
1 58
sembravano contraddittori . Ora nelle posizioni escatologiche un' altra contraddizione richiede una risposta risoluti va. Ancora una volta, permettetemi di suggerire alcune possibili alterna tive prima di presentare la mia risposta per la soluzione del conflitto. l . La risposta sia-sia è la prima ad imporsi. Essa afferma sem plicemente che il Vangelo di Giovanni sostiene tutto quello che dice. L' escatologia celeste non deve essere dissociata da que lla futuristica. Si tratta di una parte di ciò che il credente può sperare nella futura consumazione del progetto di Dio. L' evangelista trascura semplicemente di rendere esplicito questo collegamento. Non esiste dualismo cosmico nell ' e scatologia celeste. Il cielo è semplicemente la nuova èra che si avvicina con il completamento dell' opera di Dio in Cristo. Così gli avvenimenti dell ' escatologia celeste devono essere compresi come un'ulteriore sequenza storica degli avvenimenti escato logici futuristici. Inoltre, la distanza tra l ' escatologia futuri stica e presente non dev ' essere esagerata. Come Paolo, tutto quello che l ' evangelista vuole indicare è che le future benedi zioni dei credenti stanno già diventando disponibili mediante il loro rapporto in Cristo. Avere vita eterna e risurrezione ora vuoi semplicemente dire averne la promessa. Il compimento di queste benedizioni rimane ancora nel futuro. Il presente manifesta il sapore del futuro. Si tratta del! ' anticipo e il futuro costituirà il saldo del pagamento. L' antipasto consente a chi sta pranzando di assaporare il gusto delle portate che fra poco arriveranno. Così , l 'escatologia del presente proposta dal quarto evangelista vuoi farci intendere che queste esperienze sono un' anticipazione di ciò che verrà. Questa visione dell'escatologia del Vangelo rende l' evan gelista piuttosto ortodosso. Forse sottolinea il presente un po' più del futuro, ma non fino ali ' eliminazione della speranza nel futuro. Questa alternativa ci porterebbe a prendere qualsiasi cosa dica l' evangelista con pari serietà e notare che collega il tutto in una forma tradizionale. 2. L' alternativa della revisione redazionale è ben diversa. Alcuni (il più inflessibile è Bultmann) ritengono che il quarto evangelista abbia scritto soltanto i testi che presentano un'esca tologia presente. L' evangelista rifiuta completamente l ' esca1 59
tologia futuristica e crede soltanto nel compimento delle promes se nel presente. Bultmann, quindi, ritiene che l ' evangelista in verità demitologizzi l ' escatologia futuristica. Vale a dire, l ' auto re ha interpretato tutto il simbolismo sulla risurrezione nell' ul timo giorno, il giudizio e argomenti simili, in termini di possi bilità del rapporto presente con Dio. Quando l ' evangelista ha terminato il Vangelo, non c ' era nessuna traccia di escatologia futuristica nelle sue pagine. Allora son sorti i «redattori» . Cristiani credenti piuttosto ortodossi hanno preso nelle loro mani il Vangelo e si sono senti ti insoddisfatti di quello che vi leggevano, così si sono presi il compito di «rivedere» il documento e renderlo più congeniale alle loro impostazioni. Fra le altre cose, hanno fornito al Vangelo un'escatologia futuristica. Sono stati loro che hanno scritto i testi che sottolineano come le promesse siano ancora da compier si. Bultmann sostiene che questi redattori ecclesiastici del Vangelo abbiano lasciato traccia del loro lavoro. Quindi, il loro inter vento sul testo si può separare mediante l ' analisi esegetica di stile e di contenuto, così come si può rintracciare il modo in cui il loro intervento produce delle cadute nel corso della narra zione (Bultmann in verità parla di un solo redattore di questo tipo, ma ritengo che possa essere coinvolto un gruppo di cristia ni. Per le posizioni di Bultmann sia veda sia il suo Commentario, sia la sua Teologia del Nuovo Testamento, § 4 1 -50). L' alternativa della revisione redazionale può anche giusti ficare l ' escatologia celeste in molti modi di versi . Innanzitutto, alcuni sostengono che si tratti di una parte dell 'escatologia presente tipica dell ' evangelista. I credenti sono nella dimora del Padre nella comunità dei credenti . Quivi essi sono resi perfetti nell' unità. Quindi, l ' escatologia celeste è ridotta ad una parte dell 'escatologia presente dell ' evangelista. Poi , B ultmann sostiene che l ' evangelista affermi che la qualità dell' esisten za presente del credente sopravviverà al sepolcro. L' evangelista crede in una vita oltre la morte, che continuerà l ' esistenza di fede iniziata in questa vita. In questo modo l ' escatologia celeste viene armonizzata con l ' escatologia come parte dell' opera dell ' evangelista. Soltanto quella futuristica è opera dei reviso ri del Vangelo, i quali in effetti hanno ridotto l ' armonia della posizione del Vangelo sull' argomento. 1 60
3 . L'alternativa della conservazione è diversa soltanto per un elemento. Bultmann è nel giusto quando dice che con l 'esca tologia presente l 'evangelista sta reinterpretando (demitolo gizzando) quella futuristica. Ma questa alternativa propone che i testi futuristici siano pervenuti all'evangelista nella tradizio ne e siano conservati nel Vangelo. Piuttosto che sostenere che un «redattore» abbia aggiunto l'escatologia futuristica, questa soluzione propone che quella visione dell'escatologia sia presen te in quanto risultato dell' interesse dell' evangelista a conser vare il materiale tradizionale. Come per altri aspetti dell' ere dità della comunità, l 'evangelista ha incorporato impostazio ni escatologiche tradizionali anche se contraddicevano la sua (di lui o di lei) impostazione teologica. Questo autore ha rispet tato la tradizione e ha onorato il suo posto fra i membri della comunità, ma ha anche aggiunto altre dimensioni alla prece dente impostazione, vale a dire, i temi dell'escatologia presen te e di quella celeste, così da rispondere ai bisogni attuali della comunità. In un certo senso, quello che il quarto evangelista stava cercando di fare era di prendere i simboli della precedente escatologia futuristica ed esprimerne il significato per i cristia ni appartenenti al periodo in cui fu scritto il Vangelo. Che l ' autore abbia fatto questo è provato della vicinanza recipro ca nel corso del Vangelo di testi in cui si parla di escatologia futuristica e presente. Forse si è notato quanto spesso l' esca tologia presente e quella futura si ritrovino nello stesso capito lo, per esempio, 5,24-26 e 5 ,27-30 (si veda anche 6,39-58). Spesso (ma non sempre) l' autore riprende i simboli tradizio nali dell'escatologia futuristica più vicini ali ' argomento di cui viene espressa la nuova interpretazione in quella presente. Le posizioni contraddittorie del Vangelo sono il risultato del conti nuo sforzo dell' autore per essere fedele «conservatore» e nello stesso tempo interprete della tradizione della comunità. Questa alternativa accorderebbe con la posizione di Bultmann, secondo la quale l' evangelista ha esposto una escatologia celeste che era coerente con quella presente. Oppure si potrebbe soste nere che l ' e scatologia celeste venga intesa soltanto come un' espressione simbolica della presente. Potrebbe darsi che il dualismo cosmico dell 'escatologia celeste significhi soltanto 161
che la vita presente del credente è il punto d ' incontro dei regni divino e umano. Abbiamo ipotizzato nel capitolo 2, sul tema del dualismo giovanneo, che il dualismo cosmico dell' evan gelista potrebbe essere un'articolazione simbolica di una polarità umana. Si potrebbe sostenere anche che l' escatologia celeste sia una forma più poetica di esprimere quelle credenze che hanno a che fare con l'escatologia presente. Oppure ancora potrebbe essere che l ' escatologia celeste si fosse sviluppata nella comunità come supplemento all' altra forma. Vale a dire, in presenza della morte di alcuni credenti giovannei, può essere che la comunità cominciasse a chiedersi: che cosa accade dopo la morte a quelli che in questa vita hanno già la vita eterna? La conclusione fu che essi, al momento della loro morte fisica, andavano ad occupare una dimora celeste. Crediamo che la soluzione dei conservatori per risolvere le contraddizioni presenti nell' escatologia giovannea sia la più promettente fra le alternative. La nostra ricerca ha ritrovato continuamente il fatto che l ' evangelista ha conservato materia le tradizionale anche quando contraddiceva la sua posizione sull' argomento. Abbiamo anche visto che spesso l ' autore ha tentato un' interpretazione del materiale ereditato per adattar la ai credenti suoi contemporanei, così come si è visto per la comprensione della fede nella fonte dei segni. Quindi sembra del tutto possibile che quanto abbiamo riscontrato riguardo all'escatologia giovannea si muova lungo quelle stesse linee. L' evangelista ritiene che l' escatologia futuristica tradizionale non sia più significativa. Erano già quasi cinquant' anni che i primi cristiani aveva no iniziato ad anticipare la parusia. Essi avevano pensato che l' evento fosse ormai imminente ma non avveniva nulla. Ogni successivo gruppo di credenti era stato deluso, Cristo non era tornato. «Basta con questa linea ! )) dice l'evangelista. «Finiamola di concentrare la nostra attenzione sul futuro e rendiamoci conto che il presente porta il compimento di quelle promes se ! )) Utilizziamo per un momento la nostra immaginazione: l' evangelista potrebbe essere cresciuto in una casa di cristiani che avevano atteso, pieni di aspettative, l ' imminente ritorno di Cristo. I suoi genitori erano morti, delusi dal non aver vissu to abbastanza per essere testimoni del compimento delle attese 1 62
escatologiche. Disillusi, l ' evangelista e altri cristiani hanno intrapreso l'esame di queste stesse promesse. Hanno pensato che l ' esperienza presente dei credenti è piena di quella realtà che si aspettavano nel futuro. Così essi iniziarono ad insegna re che il presente è il tempo del compimento delle promesse di Dio. Il credente vive già nell' ultimo giorno. L' eternità è ora ! Questa è una delle più forti revisioni del pensiero cristia no tradizionale che il Vangelo proponga. Sostiene che i cristia ni non hanno bisogno di vivere soltanto in speranza, ma nella realtà delle benedizioni della loro vita presente. L' orientamento futuristico dei primi cristiani li aveva privati della benedizio ne del presente. Il Vangelo espande la loro teologia sensoria le con un' escatologia dell ' esperienza. La fede non nasce soltan to dalle esperienze sensibili, ma le benedizioni del futuro sono già qui per essere sperimentate ora. Questo è un orientamen to radicalmente rivolto al presente, un orientamento sull' im mediato. Si potrebbe trovare un' analogia nelle reazioni di molte persone al programma spaziale americano; essi non vogliono che sia senza controllo. L' esplorazione dello spazio è una ricer ca legittima e promettente, ma si preoccupano per il denaro impiegato nell'esplorazione dello spazio esterno mentre i proble mi della vita qui ed ora, in questo mondo, aumentano. Essi dicono: «Spendiamo di più in denaro e in energia per il miglio ramento della vita di questo pi aneta pri ma di impegnarci maggiormente su11e frontiere dello spazio aperto» . Il quarto evangelista sta dicendo che troppe energie sono state spese nell ' attesa del futuro. Ci si deve concentrare di più sul presen te e sulla qualità della vita cristiana qui ed ora. Il quarto evangelista ha capito che il presente è gravido di possibilità e vorrebbe che i lettori fossero sensibili a queste possibilità e le realizzassero. La vita eterna? È già vostra, ora, quando vi vete un nuovo tipo di esistenza sulla base della rivela zione di Dio in Cristo. La risurrezione? Essere nati ad una nuova vita come risultato della fede in Cristo significa vivere la risurrezione. State giudicando voi stessi dal tipo di risposta che date alla proclamazione dell ' evangelo cristiano. La parusia? Cristo viene di nuovo quando voi credete in lui . Noi possiamo aver sottolineato troppo l ' i mpatto dell'esca1 63
tologia presente che troviamo nel Vangelo. La verità è che il testo contiene promesse sia per il presente sia per il futuro. Le attese sono state riviste e riqualificate con le affermazioni sull'e scatologia presente. Ma esse non sono state eliminate ! Stanno là, nel testo, accanto alle dichiarazioni sull 'esperienza presen te dei cristiani . Questo deve voler dire che il Vangelo insegna sia una acuta attenzione al modo in cui il presente compie le promesse di Dio sia la portata di queste promesse, che devono ancora essere adempiute. Così, in modo reale, la soluzione «sia . . . sia» al problema escatologico è corretta. L' evangelista non solo conserva l ' escatologia futuristica tradizionale, ma l ' afferma anche nel conservarla. Questa visione delle promes se di Dio è corretta ! Merita ancora la nostra fiducia ! Il risultato è che il Vangelo di Giovanni ci si presenta con quella che abbiamo chiamato escatologia dialettica. Questo significa che la verità non si trova nell ' una o nell ' altra posizio ne, ma soltanto in un dinamico interscambio fra l' una e l' altra. La vera escatologia cristiana, insiste il Vangelo, non consiste in un nostro orientamento esclusivamente futuristico o presen te. Piuttosto, si trova nel tenersi strettamente collegati alle due posizioni, che abbracciano sia il già, sia il non ancora. In un certo senso, Dio ha già compiuto le promesse divine nella nostra vita presente. Inoltre, Dio deve ancora portare a compi mento quest' opera nel futuro. Le due posizioni devono andare insieme, come dice una vecchia canzone dei tempi della «frontie ra» , riguardante l ' amore e il matrimonio, il cavallo e il carro. Ricordiamo il titolo di questo libro: «Giovanni, il Vangelo indomabile» . Nella sua dialettica escatologica il quarto Vangelo è proprio un indomabile fra gli scritti del cristianesimo primi tivo. Corre libero e senza briglie, scevro dal vincolo di aderi re semplicemente alle visioni tradizionali. Ma diversamente da molti indomabili, rispetta e onora il passato. Conserva ciò che viene dalla tradizione mentre cerca di fargli prendere una nuova direzione, sposa quello che si è perso con alcuni indoma bili elementi culturali americani. Sa che un cambiamento effica ce nel pensiero e nella pratica non deve mettere totalmente da parte il passato, ma conservarlo e reinterpretarlo. Questo è appunto quello che il Vangelo fa con la sua complessa escato logia. 1 64
L A VISIONE GIOVANNEA DELLO S PIRITO
Dobbiamo ora iniziare a prendere in considerazione il perché il quarto Vangelo potesse avere una così grande stima per le possibilità della vita presente del credente cristiano. La sua escatologia è certamente il risultato di convinzioni che la comunità giovannea condi vide va sulla qualità dell' esperienza cristiana. Una di queste convinzioni prevede la presenza dello Spirito fra i credenti . Poiché i credenti giovannei tenevano in gran conto la presenza dello Spirito nell ' e sperienza della comunità cristiana, potevano dichiarare che le benedizioni future sono già realtà presenti. La loro visione dello Spirito è un altro dei grandi contributi che questo Vangelo ha dato al pensiero cristiano. si legga velocemente il Vangelo, facendo atten zione al l ' uso del l a parola «Spirito>> . Si cerchi poi di determinare il significato di questa parola nel Vangelo.
Letture preparatorie:
Iniziamo il nostro esame della visione dello Spirito nel Vangelo di Giovanni notando il modo in cui viene utilizzata la parola grecapneuma. Ricorre approssimativamente ventiquattro volte, nella maggior parte dei casi in riferimento allo Spirito di Dio, ma occasionalmente allo spirito umano. Giovanni 1 1 ,33 e 1 3 ,2 1 sono esempi di quest' ultimo uso. Tuttavia, è l ' uso dello Spirito per far riferimento alla presenza di Dio che ci interes sa in particolare. In questi casi sembra che i l Vangelo parli dello Spirito in quattro modi diversi ma correlati . Nel primo, indica semplicemente la potenza e il carattere di Dio dato all ' uomo Gesù. Questo sembra essere il caso di l ,32 e 3 3 . Giovanni il Battista rende testimonianza della disce sa dello Spirito su Gesù. Il concetto viene confermato in 3 , 34: il Padre ha dato al Figlio lo Spirito senza limiti . Il quarto Vangelo condivide questa visione con i Sinottici (si veda in particola re il Vangelo di Luca) . Nel secondo modo d' uso, la parola «Spirito>> è più speci fica, sta ad indicare «la vita spirituale» . Sembra collegata con la presenza divina che produce la nuova vita del credente. È mediante Cristo che questa presenza viene trasmessa ai crede n1 65
ti (7 ,39; 20,22) : il commento del redattore in 1 9,30 è ambiguo. La normale traduzione dice: «E [Gesù] chinato il capo, rese il suo spirito)) . Evidentemente in questo caso il traduttore prende la parola «spirito)) per indicare lo spirito della vita propria di Gesù . Però, anche i traduttori sono, inevitabilmente, degli inter preti ! Il greco letteralmente dice semplicemente: «rese lo spiri to)) . Quindi il riferimento potrebbe essere, ancora una volta, all' azione di Gesù del donare lo Spirito divino ai credenti. Nel capitolo 4 del Vangelo si trovano alcune indicazioni sul come la presenza di Dio nello Spirito produca un nuovo genere di vita. Il versetto 23 parla della trasformazione del culto dei credenti e il versetto 24 rende esplicito il fatto che lo Spirito è la presenza stessa di Dio. Questo secondo versetto non è tanto una definizione di Dio, quanto piuttosto un' affer mazione del fatto che Dio è conosciuto dal credente nello Spirito. «Spirito)) viene utilizzato in tutti questi testi per indica re una presenza divina che modifica la vita dei credenti . In questo modo, esso è collegato con la rivelazione di Dio in Cristo. La rivelazione rende possibile un nuovo senso della presenza di Dio, che a sua volta trasforma l ' esistenza umana. Il terzo tema si sviluppa dal secondo nella concezione giovannea dello Spirito. Il passaggio a questa nuova vita accor data dallo Spirito è presentato come una nascita. La vita spiri tuale emerge da una «nascita spirituale)), Il credente nasce da acqua e da spirito (3,5) e questa nuova venuta al mondo è diver sa da quella fi sica poiché la sua origine è opera di Dio, non a causa di un' azione umana (3,6; 6,63). Pertanto è misteriosa, come il soffio del vento (3,8; si ricordi che pneuma vuol dire sia spirito sia vento). Questa idea della nascita per Spirito è una metafora per suggerire come la vita del credente emerga dali' essere circondati dalla presenza di Dio. Il Vangelo di Giovanni non si propone di dirci esattamente come avvenga questa nascita spirituale ma, quasi all ' opposto, suggerisce che si tratta di qualcosa di imprevedibile e misterioso, come le folate di vento in un pomeriggio di marzo. Il Vangelo afferma chiaramente che lo Spirito riordina radicalmente la vita umana. Infine, troviamo lo Spirito utilizzato in collegamento con u n ' espressione tipicamente giovannea: l ' «Avvocato)) o il «Consolatore)) . Avremo bisogno di esaminare questa conce1 66
zione più a fondo tra un momento. Per ora si noti che il quarto evangeli sta mette sullo stesso piano lo Spirito divino e il Consolatore. Quest' ultimo è chiamato «Spirito di Verità» in 14, 1 7 ; 1 5 ,26 e 1 6, 1 3 . Se la mia impressione è corretta, Verità nel Vangelo di Giovanni significa la rivelazione di Dio in Cristo. Quindi, lo Spirito di Verità è colui che comunica questa rivela zione di Dio. In 1 4,26 il Consolatore è chiamato lo «Spirito santo», un 'espressione tradizionale utilizzata quando si parla va della misteriosa presenza di Dio fra i cristiani. Poche, veloci conclusioni: il Vangelo afferma che lo Spirito è stato dato a Gesù (l ,32), così che egli, a sua volta, potesse darlo ai credenti (20,22). Il conferimento dello Spirito ai creden ti è strettamente collegato alla crocifissione e alla risurrezio ne di Gesù ( 1 9,30; 20,22) . Sembra, allora, che il quarto Vangelo prenda alcune affermazioni cristiane tradizionali sullo Spirito e le rielabori . Questo processo determina due sottolineature: Gesù stesso dona lo Spirito ai credenti e questo dono della presenza divina comporta una vita radicalmente nuova. Però il contributo più creati vo dato dal Vangelo di Giovanni al pensie ro cristiano sullo Spirito dobbiamo ancora esaminarlo. si leggano i seguenti testi in cui Gesù parla del Consolatore: 1 4, 1 5 - 1 7.25-26; 1 5,26-27; 1 6,7- 1 5 . Si prendano in consi derazione queste domande: chi è questo Consolatore? In che modo è in rapporto a Cristo e al Padre? Che cosa fa il Consolatore, a chi e per chi? Qual i sono le affermazioni più i mportanti su di esso fatte in questi testi ? Letture preparatorie:
Il passo successivo che dobbiamo compiere nel nostro esame della pneumatologia (vale a dire, quello che si crede e si insegna sullo Spirito) nel quarto Vangelo è esaminare la parola parti colare che a volte utilizza per parlare dello Spirito. Questa è Paracleto (parakletos). Il quarto Vangelo è l' unico documen to neotestamentario che utilizza questo termine per indicare lo Spirito. Il suo significato è un po' difficile da definire con esattezza. In verità, ci sono almeno quattro sfumature di signi ficato e quindi quattro traduzioni della parola greca. Le prime due hanno in comune il fatto che provengono dal linguaggio tipico dei tribunali del tempo. Paracleto può voler dire «uno che è chiamato a fianco di un altro per aiutarlo». Si tratta di qualcuno che è chi amato ad assistere un cliente in un caso 1 67
giudiziario davanti alla corte. Quindi la traduzione «Avvocato» viene utilizz ata per la parola greca originale in alcune versio ni moderne della B ibbia. Il secondo significato è simile : il Paracleto è «uno che intercede, implora o rivolge appello per un altro». Ancora una volta il contesto è quello di un proces so legale. Il Paracleto è l ' avvocato difensore (una specie di figura alla Perry Mason, se si vuole), che parla per il suo assisti to. Quindi, la traduzione «lntercessore}} si trova talvolta nei testi che sono stati indicati per la lettura. I prossimi due possibili significati della parola grecaparak letos non hanno accezioni legali né sono legati a vicende foren si. Il primo è «colui che conforta e consola un altro}} . Questo significato ha dato origine alla traduzione «Consolatore}> . Come se questa schiera non fosse ancora sufficiente, ci imbattiamo nel fatto che questa affascinante parola greca è stata utilizza ta anche per indicare colui che «proclama o esorta}> . Così può anche essere tradotta correttamente con «Proclamatore}} . Evidentemente era un vocabolo molto ricco di significati al tempo del nostro evangelista. Era una parola dai molteplici e vari signifi c ati : Avvocato, Intercessore, Consolatore e Proclamatore . Il quarto evangelista sembra collegare i signi ficati in un modo originale per creare un nuovo concetto. Sappiamo anche che la parola era utilizzata in alcuni circoli giudaici in riferimento alle funzioni degli angeli. Il Vangelo di Giovanni ha preso questa parola densa di significati e l ' ha applicata allo Spirito di Dio. Il risultato è una stupefacente teologia dello Spirito. Questo non ci deve sorprendere: abbia mo visto nel capitolo l come il Vangelo faccia esattamente lo stesso con la parola Logos, che pure aveva significati dispa rati. Riferendola a Cristo, questo Vangelo ne suggerisce una visione profonda e penetrante. Lo stesso è vero per quanto riguarda lo Spirito. Con la parola parakletos il Vangelo cattu ra l ' immaginazione di un' ampia gamma di persone e apre numerose possibilità di significato per lo Spirito. È certamen te giusto dire che il quarto evangelista avesse dimestichezza con le parole . Gran parte del genio di questo Vangelo è radica to n eli ' uso «provocatorio}} della parola. Su questo piano, l ' auto re ha tanto in comune con un buon poeta quanto con un buon teologo. 1 68
Sicuramente l ' applicazione della parola parakletos per indicare lo Spirito significa qualcosa di più. Vuoi dire che, per qualche ragione, la comunità giovannea non era completa mente soddisfatta del semplice titolo di Spirito. Naturalmente il Vangelo utilizza questa espressione senza alcuna riserva apparente, come abbiamo visto, ma quando si arriva alla spiega zione della funzione dello Spirito santo nei capitoli da 14 a 1 6, inizia ad utilizzare la parola parakletos. Forse l ' evangelista aveva alcune obiezioni verso una concezione comune fra i giudei, secondo la quale c ' era un angelo speciale che agiva come parakletos. Forse i testi osano attribuire alla concezio ne cristiana dello Spirito di Dio una denominazione partico lare, così da affermare che soltanto Cristo dona lo Spirito e che soltanto egli è il parakletos. Avendo a che fare con i respon sabili della sinagoga giudaica, i cristiani giovannei avevano bisogno di parlare della presenza di Dio in mezzo a loro in modo da distinguersi . Quale che possa essere la ragione, il Vangelo di Giovanni collega questo titolo allo Spirito e con ciò provoca un gran movimento di pensiero. Dobbiamo cercare di sintetizzare la natura e la funzione del parakletos così come le descrive il Vangelo di Giovanni (in questo caso, come altrove, sono in debito con l ' eccellente Appendice del Commentario di R . E. B ROWN , Giovanni, Commento al Vangelo spirituale, Assisi, Cittadella editrice, 1 979). Sulla natura del parakletos possiamo dire due cose: l . il parakletos viene da ed è legato sia al Padre sia al Figlio:
a) viene soltanto se Gesù se ne va ( 1 5 ,26; 1 6,7.8. 1 3) ; b ) viene dal Padre ( 1 5 ,26); c) il Padre lo dona in risposta alla richiesta di Gesù ( 1 4, 1 6); d) viene inviato nel nome di Gesù ( 1 4,26); e) Gesù invia il parakletos dal Padre ( 1 5 ,26; 1 6,7); 2. il parakletos viene identificato in modi diversi: a) «Un altro Consolatore», con l ' i mplicazione che Gesù è il primo ( 1 4, 1 6) ; b) lo «Spirito d i verità» ( 1 4, 1 7; 1 5 ,26; 1 6, 1 3) ; c) l o «Spirito santo» ( 1 4,26).
1 69
Riassumendo questi dati, possiamo dire che il parakletos è la continuazione di Cristo, anzi, il suo alter ego. Quello che viene detto sui rapporti del Figlio con il Padre nel corso del Vangelo vale anche per buona parte del rapporto del parakle tos con il Padre. Ma questo essere misterioso dipende dal ministero di Gesù. Il parakletos è, com'era, i ì «secondo atto», che non può iniziare finché il «primo atto» (il ministero di Gesù) non è terminato. Possiamo parlare delle funzioni del parakletos sotto due punti di vista separati : l . il rapporto del parakletos con i discepoli : a) è facilmente riconoscibile dai discepoli ( 14, 1 7) ; b ) è in loro e continua a rimanere con loro ( 1 4 , 1 6- 1 7) ; c) è il loro maestro ( 1 6, 1 3 ) ; d ) annuncia loro l e cose che accadranno in futuro ( 1 6, 1 3) ; e ) indica ciò che viene o che non viene d a Cristo ( 1 6, 1 4) ; f) glorifica Cristo ( 1 6, 1 4 ) ; g ) rende testimonianza a Cristo ( 1 5,25); h) ricorda ai discepoli tut>o quello che Gesù ha detto ( 1 4,26); i) parla solo di ciò che ha udito ( 1 6, 1 3). 2. il rapporto del parakletos con il mondo. Il mondo: a) non può accettare il parakletos ( 1 4, 1 7) ; b) non può vedere o riconoscere il parakletos ( 1 4, 1 7) ; c) rifiuta il parakletos ( 1 5 ,26) ; d) questo rifiuto non impedisce al parakletos di rendere testimonianza a Cristo ( 1 5 ,26) ; e) è condannato, trovato mancante e giudicato colpevole di peccato dal parakletos ( 1 6,8- 1 1 ; questo testo è molto diffi cile sia da tradurre sia da comprendere, ma questa sinte si ne coglie almeno il suo significato fondamentale). Evidentemente, secondo il quarto Vangelo, il parakletos ha una doppia funzione: comunicare Cristo ai credenti, mettere il mondo sotto giudizio e riconoscer! o colpevole secondo l' accu sa rivolta. 1 70
II quarto evangelista sta sciogliendo due problemi fonda mentali con questa concezione del parakletos. II primo viene affrontato da gran parte delle pagine neotestamentarie, vale a dire, il ritardo della parusia. Cristo non è ritornato così come si aspettava che facesse, ma, dice l ' evangelista, è riapparso sotto forma del parakletos. Egli è presente anche se sembra che la parusia non sia mai avvenuta. Il parakletos e Cristo sono strettamente correlati nei testi che abbiamo appena esaminato cosicché questo concetto ha potuto essere stabilito. Il parak letos è Cristo in mezzo a noi, proclama l ' evangelista ! Egli sta indicando ai suoi lettori che la vecchia attesa cristiana del ritor no di Cristo si rivolgeva nella direzione sbagliata. Non guarda te al futuro per il suo ritorno. Guardate, piuttosto, ali ' espe rienza presente della comunità. Provare in maniera cristiana lo Spirito è la loro esperienza del Cristo riapparso. La parusia è avvenuta ma non nei termini piuttosto grossolani in cui era attesa. Quindi, la concezione del parakletos nel Vangelo è parte dell'escatologia del libro . Si tratta di una branca del l ' escato logia del presente insegnata dali' evangelista e costituisce parte della convinzione dello scrittore che l'esperienza presente del credente sia gravida di possibilità. Il Vangelo di Giov anni rispondeva anche ad una domanda ben più grande con la sua dottrina del parakletos. Il ritardo della parusia costituiva un problema prettamente cristiano in un determinato momento della storia di questa religione. L' altro problema combattuto dall' evangelista ha una portata univer sale . Si tratta della distanza storica dal tempo della rivelazio ne. Se una religione insegna che la realtà ultima è stata rivela ta in un particolare momento della storia, si pone immediata mente un dilemma: come possono le persone avvalersi di questa rivelazione se esse vivono in un momento successivo della storia? Il cristianesimo riuscì più tardi a risolvere questo proble ma con la creazione del canone. Avrebbe detto che la rivela zione storica di Dio è conservata in questi particolari testi, che costituiranno la Bibbia e si può avere accesso a questa rivela zione mediante la lettura della B ibbia. Ma i cristiani giovan nei vivevano in un periodo precedente alla formazione di un canone cristiano. La risposta del Vangelo al problema di annul lare il lasso di tempo necessario per collegarsi con il tempo 171
della rivelazione storica è risolto mediante la persona e l ' ope ra del parakletos. Questi prende la rì velazìone resa da Dio nella persona dì Gesù e fa da tramite per le persone dì tempi successivi . Quindi, il Vangelo sottolinea che il parakletos non insegna cose nuove, ma riprende soltanto quello che Cristo ha insegnato (per esempio 1 4,26). Il Vangelo sostiene nello stesso tempo che il parakle tos è il testimone della rivelazione di Dio in Cristo ( 1 5 ,26). In verità è il mediatore della rivelazione divina, il messaggero divino della rivelazione.
DIO
:-----.. -
""�
�
PARAKLETOS - - - - - "' '� INDIVIDUI
GES Ù
STORIA Schema 1 1 Possiamo comprendere perché il problema della rivelazio ne fosse un argomento al quale l ' evangelista doveva necessa riamente rispondere . I cristiani giovannei vivevano in un perio do in cui i testimoni oculari del Gesù storico stavano moren do. C ' erano cristiani della seconda e della terza generazione che si chiedevano come avrebbero potuto avere accesso diret to a quanto era accaduto quasi cinquant' anni prima. Il Vangelo di Giovanni fornisce loro la risposta. In virtù dell ' opera del parakletos, essi avevano accesso diretto a quella rivelazione, così come l ' avevano avuto i discepoli originali (del Gesù stori co) . Essi non sono cristiani di seconda mano: la loro verità proviene da un inviato che è niente meno che l' alter ego di Cristo stesso. Esiste un altro modo di porre questo problema che costi tuisce forse una forma maggiormente positiva per esprimere la stessa preoccupazione. Come può avvenire che i cristiani continuino a sperimentare la presenza di Cristo anche dopo 1 72
tutti questi anni? Perché la rivelazione di Dio in Cristo conti nua ad afferrare la vita delle persone e a trasformarle ? Come spieghiamo la realtà della presenza di Cristo per i credenti? La risposta che l ' evangelista propone è contenuta nella sua conce zione del parakletos. L' esperienza dei cristiani può essere spiegata soltanto in base alla presenza divina. È il parakletos che costituisce la presenza vivente di Cristo ed è l ' opera dello Spirito che rende facilmente disponibile a tutti la rivelazione di Dio in Cristo. Il concetto del parakletos è allora un lampo di genio ! Espande arditamente il più antico concetto dello Spirito di Dio utiliz zando un nuovo termine in forma originale. Ha dato ai cristia ni un modo specifico di pensare alla presenza di Dio, ha rispo sto alla domanda critica sul ritardo della parusia e ha risolto il problema della crescente distanza temporale dalla rivelazione storica. In qualche circostanza, un grande pensatore perviene ad un 'idea che in modo quasi perfetto «parla» alla sua genera zione. Possiamo dire che Platone, Tommaso d' Aquino, Hegel, Freud e molti altri erano pensatori di questo calibro. Credo che anche il quarto evangelista appartenga a questa categoria, almeno per quanto riguarda la concezione del parakletos. Con tale concetto il quarto Vangelo ha riaffermato la ricchez za dell 'esperienza presente dei cristiani, dichiara che in questo tempo, ora, adesso, è presente Cristo. La pienezza della rivela zione di Dio nella storia è a portata di mano del singolo nell'o pera del parakletos. L' eternità e la storia si sono intrecciate in passato nel l ' incarnazione di Dio in Cristo e possono ancora intrecciarsi in futuro, quando Dio condurrà la storia all ' epilo go. Ma esse sono correlate nel presente del credente. L' eternità è ora.
LA CONCEZIONE GIOVANNEA DELLA CHIESA
La ricchezza del presente dei credenti viene affermata ancor di più in quello che il Vangelo ha da dire sulla comunità cristia na. È stato detto che la concezione della chiesa svolge un ruolo 1 73
minore nel quarto Vangelo e perfino che esso non contiene una concezione della chiesa. Questo viene affermato in base al fatto che non utilizza mai la parola «chiesa)) . Un tale giudizio è però prematuro. Pur senza mai utilizzare questa parola, il Vangelo esprime una forma di comprensione della comunità cristiana molto importante. Articola una visione della chiesa senza mai ricorrere all ' uso di questa parola. due discorsi metaforici di Gesù sono rilevanti per la nostra analisi dell a vi sione del Vangelo sulla comunità cristia na: il Buon pastore e la Porta ( 1 0, 1 - 1 8) e la vera vite ( 1 5 , 1 - 1 0). S i leggano questi d u e testi e poi si continui a leggere i capitoli 1 5, 1 6, 1 7 e 20. Il cuore della concezione della comunità cristiana si trova in quel che vien fatto dire a Gesù in questi testi sui rapporti fra i credenti cristiani e fra loro e Cristo. Si veda se è possibile preparare una lista delle caratteristiche di questi rapporti .
Letture preparatorie:
La concezione della comunità cristiana nel quarto Vangelo è molto diversa da quelle che si trovano altrove nel Nuovo Testamento. Ciò è particolarmente vero se ci interroghiamo sulla concezione della chiesa formulata nei testi del Nuovo Testamento scritti dopo il 70 d.C. Da quel momento in poi nella storia del movimento cristiano primitivo si è manifestato un interesse preminente per la comprensione della chiesa e, in particolare, un interesse nella crescita di materie istituzionali e in problemi riguardanti la sua specifica autorità. Si confrontino, per esempio, i testi che sono stati appena letti con il Vangelo di Matteo. In quest'ultimo, la natura e la struttura della chiesa sono estrema mente rilevanti. Le famose (e controverse) parole di Gesù dette a Pietro dopo la confessione di Cesarea di Filippo costituisco no il modo in cui il Vangelo di Matteo comprende il fondamento della chiesa sull' autorità apostolica (M t. 1 6, 1 3-20). L'interesse centrale del primo Vangelo per questo argomento si può vedere quando confrontiamo il suo modo di raccontare l'episodio con quelli dei Vangeli di Marco e Luca (Mc. 8,27-33 ; Le. 9, 1 8-22). Questo interesse non è preminente in Giovanni. L' intero passaggio presente nel Vangelo di Matteo riguardante la confes sione a Cesarea di Filippo è del tutto assente nel quarto Vangelo. Il nostro evangelista non sembra essere interessato alla strut tura istituzionale della chiesa. La sua (di lui o di lei) compren sione della comunità cristiana non si focalizza sull' autorità 1 74
della chiesa o dei suoi responsabili, né condivide l ' insistenza del primo evangelista sul fondamento apostolico della chiesa. Perché? Dirò più avanti che il quarto evangelista non si doveva ancora confrontare con quegli argomenti che hanno originato un interesse per i problemi istituzionali. La chiesa giovannea si sta ancora confrontando con una seria minaccia che provie ne dali ' esterno della comunità dei credenti . Per questo motivo la concezione della chiesa nel nostro Vangelo è strutturata su questo aspetto. Soltanto più tardi, quando la comunità giovan nea verrà minacciata dall ' i nterno da concezioni che potevano minare la comunità, si manifesterà una preoccupazione per l' autorità e la struttura istituzionali. Non assistiamo a questo sviluppo nel Vangelo di Giovanni, ma nelle lettere giovannee. Quando fu scritto il Vangelo, il problema dell' istituzionaliz zazione semplicemente non era per nulla rilevante. Tale proces so si rivolge a problemi interni, non esterni, e i cristiani giovan nei erano interamente assorti dai problemi esterni quando il nostro evangelista scrisse il suo testo. Ma il quarto Vangelo non è in verità anti-istituzionale. L'evangelista e i primi letto ri semplicemente non erano ancora presi dal problema delle strutture istituzionali della chiesa (vedi l ' Appendice A, «Le epistole giovannee e il Vangelo di Giovanni>)). Che cosa ha da dire il quarto evangelista sulla comunità cristiana? Presentiamo cinque generalizzazioni sulla comunità dei credenti presentata dal quarto Vangelo. Si tratta, in effetti, di forti generalizzazioni , ma colgono l ' essenza della conce zione giovannea. In primo luogo, la comunità dei credenti è una a motivo della sua unità con Cristo. Questo punto viene sintetizzato in 1 7,23 come parte della preghiera di Gesù : «lo in loro e tu in me affinché siano perfetti nell' unità)). La comunità dei creden ti è una in Cristo ed egli è uno con il Padre. I membri della comunità sono uno. Qui la concezione giovannea della comunità dei credenti è ricavata dalla sua comprensione di Cristo. Come esiste identità e individualità fra il Padre e il Figlio, così avvie ne nella comunità. L' unità di cui si parla nel rapporto fra i credenti cristiani gli uni con gli altri e con Cristo è modellata sul rapporto esistente fra Cristo e Dio. I membri sono uniti a Cristo, tuttavia questo non significa che essi siano assorbiti 1 75
nella sua persona. Questa non è una concezione mistica della comunità. L' identità distintiva viene conservata nell ' unità con Cristo, così come l ' i ndividualità di Cristo è conservata nella sua unità con il Padre. Se è vero che il rapporto del Padre con il Figlio è il model lo che viene utilizzato, ne consegue ancora qualche altra cosa. L' unità dei credenti non è tale da abolire la loro individualità. Essi sono uno, ma sono uniti in quanto individui singoli . La specificità è mantenuta all' interno della loro comunione in quanto membri della comunità. Abbiamo allora lo stesso tipo di tensione fra l ' individualità e l ' identità che abbiamo incon trato nel c apitolo l quando abbiamo trattato la cristologi a giovannea. I legami all ' interno della comunità dei credenti potrebbero essere analoghi alla comprensione moderna del matrimonio. Si tratta di un' unione di due persone: «Saranno una sola carne» (Gen. 2,24). Ma l ' individualità degli sposi è mantenuta. L' unione è reale e nel contempo preserva la sacra lità della distinzione delle persone. Il rapporto potrebbe essere rappresentato nella conformazione del numero «8». Se la si guarda da una prospettiva, si tratta di una linea continua nella sua unità. Vista da un' altra, si tratta di due cerchi . Ciascuno dei due è indipendente dali' altro . Tuttavia i due si toccano in un punto. Quindi, esiste unità ma anche individualità distinti va. Si pensi, volendo, a una serie di numeri «8» tutti compo sti da una linea continua, ma che formano una serie di cerchi singoli disposti l ' uno accanto ali ' altro. Una tale figura immagi naria potrebbe rappresentare la concezione giovannea della comunità cristiana: l ' unità nella diversità. In secondo luogo, la comunità è una nell 'amore. Questo tema viene espresso nel modo migliore in 1 5 , 1 4- 1 7. Il coman damento sotto cui vive la comunità cri stiana è semplice : «Amatevi gli uni gli altri» ( 1 5 , 1 7) . Ancora una volta, il model lo è cristologico. Dio ama il Figlio e il Figlio ama il Padre. Il Figlio a sua volta ama i credenti ed essi devono amarsi gli uni gli altri. La qualità del rapporto fra il Padre e il Figlio e fra il Padre e il mondo {3, 1 6) costituisce il tipo di rapporto al quale la comunità viene chiamata. Si tratta di amore reciproco. La comunità dei credenti deve esemplificare quel genere di amore che esiste tra Dio e il suo unico Figlio. 176
La terza generalizzazione ci porta al cuore della concezio ne giovannea della chiesa: la comunità è il luogo della manife stazione di Dio. Questo concetto si coglie in 1 7,22-23, ma esso coinvolge una logica piuttosto complessa. Innanzi tutto, si deve intendere che l ' espressione «gloria» qui venga utilizzata nel significato fondamentale ebraico della parola kabod. Questa parola ebraica viene util izzata nelle Scritture ebraiche per indicare la manifestazione di Dio. Egli si rivela, si fa presen te nella storia medi ante opere potenti . La sua presenza è gloria! La logica della concezione giovannea presuppone questo fonda mento presente nel Primo Testamento, e nel capitolo 1 7 si muo ve secondo queste linee di tipo sillogistico: la gloria viene data a Gesù ( 1 7,22.24); Gesù dona questa gloria ai credenti ( 1 7,22) ; quindi i credenti manifestano la gloria di Dio ( 1 7,23). Questo significa che la manifestazione di Dio in Cristo è stata ora trasferita alla comunità dei credenti . Ora è in mezzo a loro che Dio si fa conoscere come una volta si faceva conosce re con le opere potenti nella Bibbia ebraica e poi nella perso na e neli' opera di Cristo. Questa è una concezione sorprendente ! Sostiene che la rivelazione di Dio è presente nella comunità dei credenti cristia ni . Questo significa che la comunità è oggi quello che le opere potenti di Dio nella storia e in Gesù erano per il mondo. Se il luogo della ri velazione era una volta in Gesù, ora si colloca nella comunità dei credenti e per loro mezzo. Se si vuole, la comunità svolge il ruolo di un 'incarnazione conti nua. Il parak letos è attivo fra i credenti ed è fra di loro che va ricercata la presenza di Dio. Qui c'è un ulteriore motivo per il quarto Vangelo di sotto lineare l' esperienza presente dei cristiani . La loro comunità è il luogo della ri velazione di Dio, della presenza divina. Quindi, Dio è disponibile per il credente nel proprio tempo mediante ilparakletos. Essi sono invitati dal quarto evangelista a guarda re alla loro esperienza presente nella comunità per riconoscervi la rivelazione di Dio. L' eternità tocca la storia nella comunità dei credenti cristiani, così dice arditamente l ' evangelista. In questo modo, per loro, l ' eternità è ora. 1 77
Possiamo sintetizzare queste prime tre generalizzazioni sulla concezione giovannea della comunità dei credenti. Questi tre punti sono in verità uno solo, come dimostra lo schema 1 2 .
PADRE
l
amore - gloria - unità
� t
amore - glori a - unità
t
CREDENTI interrelazione = amore - gloria - unità
Schema 1 2
178
La comprensione della comunità cristiana prende forma sulla base del rapporto fra il Padre e il Figlio. Come il Padre ama il Figlio, così i credenti devono amarsi gli uni gli altri. Così come essi sono uniti come singoli individui, così è unita la comunità dei credenti. Come il Padre si rivela mediante il Figlio, così il Padre si rivela nella comunità e mediante essa. Ritengo che questa sia una concezione della chiesa molto signi ficativa. Si tratta di una visione che dà il massimo rilievo al ruolo della comunità dei credenti, forse un posto anche troppo alto ! Considera la comunità come il luogo dell ' azione conti nua di ciò che è stato così decisivo nella rivelazione storica di Dio in Cristo. La quarta generalizzazione sulla concezione giovannea della chiesa è di un genere diverso: il quarto evangelista «democra ticizza» l 'ordinamento ecclesiastico (qui mi collego esplicita mente a E. KASEMANN , L'enigma delquarto Vangelo. Giovanni: una comunità in conflitto con il cattolicesimo nascente ?, Torino, Claudiana, 1 977. In tutta questa sezione sulla chiesa, in verità, le tesi di Kasemann sono state una fonte di riferimento fonda mentale). Egli ha scritto probabilmente in un tempo in cui l ' orga nizzazione della chiesa si stava sviluppando rapidamente. Tuttavia, il Vangelo dimostra un interesse estremamente ridot to verso questo argomento. Nel momento in cui si sviluppa un maggior interesse nella chiesa primitiva per lo sviluppo di responsabili particolari nell'organizzazione della chiesa, il nostro evangelista sembra muoversi nella direzione opposta. La cosa più sorprendente circa la presentazione giovannea della comunità dei credenti è che non si fanno distinzioni di sorta fra di essi che possano costituire una base per responsabilità ecclesiasti che ufficiali. Non si ha alcuna distinzione fra il ruolo degli apostoli (i dodici discepoli originali) e gli altri credenti. Il Vangelo, e questo è un dato di fatto, non utilizza mai l' espres sione «apostolo». Utilizza la parola «discepolo>> dove ci aspet teremo di trovare «i Dodici». Il Vangelo, quando usa la parola «discepolo», sembra indicare ogni credente. Per esempio, l' auto rità di rimettere i peccati e il dono dello Spirito sono dati ai discepoli in generale e non esclusivamente ai Dodici (20,2 1 23). Questo fatto ha portato Kasemann a dire che i l quarto Vangelo ha democraticizzato l 'ordinamento ecclesiastico. Ha 1 79
fortemente ridotto l ' accentuazione dell' autorità dei seguaci originari di Gesù e sostiene che tutti i credenti abbiano pari autorità e pari doni. Questo avviene, e lo si ritrova facilmente, in virtù della presenza dello Spirito-parakletos fra i credenti. Siamo spinti, allora, a sollevare la difficile questione del ruolo di Pietro nel quarto Vangelo. Con questa domanda emerge anche il ruolo dell ' enigmatico «discepolo che Gesù amava>> e del misterioso «altro discepolo». Non si tratta soltanto di far fronte al problema di «due al prezzo di uno», ma addirittura di «tre al prezzo di uno» ! Non possiamo risolvere tutti i proble mi connessi con queste tre domande intrecciate: qual è il ruolo di Pietro? Chi è il discepolo prediletto e qual è il suo (di lui o di lei) ruolo? Chi è l ' «altro discepolo» e qual è il ruolo di questa persona? Non possiamo neanche prenderei il tempo di sinte tizzare adeguatamente la complessità delle domande e la loro interdipendenza. Quanto segue dovrà essere sufficiente. qui di seguito sono elencati i testi in cui si parla del «discepolo che Gesù amava» . Segue anche un elenco dei testi i n c u i s i parla dell ' «altro di scepolo» . Man mano che vengono letti , si potrebbe cominciare a riflettere su alcune domande che riguardano direttamente l ' argomento: chi era il discepolo prediletto? Chi è l ' altro discepolo? È un 'espressione sinonimica per il discepolo predi letto? Questi vi sembra essere una persona storica oppure una figura simbo lica? Qual è il rapporto intercorrente fra il discepolo prediletto o l ' altro discepolo e Pietro in quei testi in cui sono presenti entrambi ? 1 ,3742; 1 3 ,23-26; 1 8 , 1 5- 1 6; 1 9,25-27; 20,2-20; 2 1 ,7.20-24. Letture preparatorie :
Per cominciare, poche parole per presentare il ruolo di Pietro nel quarto Vangelo. Qui è meno preminente di quanto sia nei Sinottici. Pietro non emerge come il capo del gruppo origina le dei Dodici nel modo che avviene negli altri Vangeli. Né egli funge come una sorta di discepolo modello che siamo soliti trovare nelle pagine dei Sinottici. L' indicazione della missio ne specifica di Pietro a Cesarea di Filippo nei testi citati in precedenza manca del tutto nel quarto Vangelo (per quanto 6,67-69 possa costituirne il parallelo giovanneo). Il racconto che lo sostituisce, centrato su Pietro nel capitolo 2 1 , da molti studiosi non è ritenuto parte originale del Vangelo. Il capitolo 2 1 è considerato quasi universalmente come una appendice, aggiunta posteriormente da un altro autore. 1 80
In secondo luogo, accanto a questa diminuzione del ruolo di Pietro emerge il discepolo prediletto («il discepolo che Gesù amava»). Questo discepolo sembra quasi prendere, a volte, il ruolo di Pietro. È lui, o lei, che è più vicino a Gesù (per esempio 1 3 ,23). Pietro sembra affidarsi a lui, o a lei, per comprendere il significato delle parole di Gesù. Quando Pietro e il disce polo prediletto corrono al sepolcro dopo aver udito che era vuoto, è quest'ultimo che arriva per primo (20,4). È lui, o lei, che viene accreditato di aver creduto per primo che Cristo è risorto dai morti (20,8). Questo vuoi forse dire che il quarto evangelista disprezza il ruolo di Pietro e sottolinea le pre minenza del discepolo predi letto? Alcuni hanno sostenuto che le cose stessero appunto in questo modo. Essi dicono che l ' evangelista sta reagendo contro l ' importanza assegnata a Pietro nella nascente organizzazio ne dell ' autorità ecclesiastica. Il quarto evangelista si sta ribel lando, così dicono questi studiosi, contro l ' autorità di Pietro e vuole sottolineare che un altro discepolo era più vicino a Gesù di quanto non fosse Pietro. Molti studiosi sostengono che questo discepolo prediletto e senza nome non fosse altri che Giovanni, I ' apostolo, il figlio di Zebedeo, sulle cui memorie si basa il quarto Vangelo. Una tale ipotesi ha del vero. Il quarto Vangelo sembra sminuire la preminenza di Pietro in favore del discepolo predi letto e senza nome. Ritengo che non dobbiamo giungere tutti alle stesse conclusioni come vorrebbero alcuni. Non è neces sario credere che il Vangelo sia caduto nella trappola dell ' in fantile gioco di discutere su chi sia il discepolo più importan te . Il quarto evangelista non sta dicendo alle altre comunità ' cristiane qualcosa come : «Mio padre è più importante del vostro ! » . È più probabile, penso, che la tradizione ricevuta dal quarto evangelista non desse a Pietro la stessa rilevanza di quella ripresa dai Vangeli sinottici. Tuttavi a, la tradizione giovannea conosceva qualcosa su di un discepolo anonimo che veniva messo in primo piano nei racconti del ministero di Gesù . L' evangelista sta elaborando questa tradizione, senza cercare coscientemente di sminuire un discepolo per valorizzarne un altro. Detto in altre parole, se esiste un motivo antipetrino (o anti Pietro) nel quarto Vangelo, non è un tema deliberato . 181
Ritengo che il quarto evangelista non fosse consapevole della crescente autorità di Pietro in alcune altre comunità cristiane. Non aveva ancora letto l' ultimo best seller, il Vangelo di Matteo ! Chi è il misterioso e anonimo discepolo prediletto? Ci sono almeno quattro risposte a questa domanda: potrebbe essere (lui o lei) il tradizionale apostolo Giovanni che ha dato origine alla tradizione riportata dal quarto evangelista; potrebbe essere stato Lazzaro, di cui si dice che era molto amato da Gesù ( 1 1 ,5), infatti il discepolo prediletto appare per la prima volta nella narrazione del Vangelo nel capitolo 1 3, dopo che Gesù ha richiamato Lazzaro dalla tomba ( 1 1 , 1 -44). Potrebbe anche impersonare un discepolo ideale, vale a dire che forse non esiste alcuna persona storica rappresentata in tale figura, ma soltanto un simbolo di quello che comporta il vero discepola lo cristiano. Forse si trattava di un uomo o una donna che era considerato un discepolo modello anche se non era stato un testimone oculare del Gesù storico. Era un discepolo modello nello stesso senso in cui si pensa che Abramo Lincoln sia parte dello spirito americano, anche se la sua presidenza è avvenu ta quasi un secolo dopo la fondazione della nazione america na. A causa della radicale natura democratica della comunità giovannea, non possiamo escludere la possibilità che questi fosse una donna (vedi l ' Appendice B, «Le donne nel Vangelo di Giovanni»). Preferiremmo lasciare irrisolto il mistero del discepolo prediletto, in parte perché, in fondo, non importa granché ! Forse la cosa migliore è pensare che egli o ella sia una perso na del tutto anonima. Penso che la teoria che questi possa essere l ' apostolo Giovanni, il figlio di Zebedeo, sia difficile da soste nere ulteriormente. Forse è anche inappropriato negare a questa figura la possibilità di un'esistenza storica concreta, renden dola così un personaggio puramente simbolico. Tuttavia, questa persona nel Vangelo svolge le funzioni di un ideale simboli co. Vale a dire, è del tutto irrilevante che questa sia stata o meno una persona storica. Mediante il discepolo prediletto, l ' evangelista dipinge un discepolato esemplare. Con ciò il Vangelo invita il lettore a identificarsi e a emulare tale perso naggio. Talvolta in un romanzo ci si domanda se il protagonista 1 82
della narrazione si basi su di una persona realmente esistita. Domande di questo tipo aprono la strada a interessanti specu lazioni. Ma quel che conta, alla fine, è il messaggio che il narra tore vuole comunicare mediante il protagonista del racconto. Il problema della sua esistenza storica diventa irrilevante. Questo avviene anche con il discepolo prediletto. O l ' evange lista non vuole rendere noto il nome di questo personaggio, oppure presume che tutti lo conoscano già. Così ci presenta il tipo di uomo di fede che il credente è chiamato ad essere. Inoltre, per quanto riguarda la responsabilità di governo della chiesa, l ' evangelista non pretende di attribuire una particola re autorità a questo discepolo anonimo. La sua autorità non è ufficiale, né istituzionale, deriva semplicemente dal fatto che ha amato Gesù e sia stato, a sua volta, amato. Questo tipo di autorità, suggerisce l ' evangelista, è a disposizione di ogni credente. Se questa visione del discepolo anonimo è corretta, abbia mo ulteriori prove del fatto che il quarto evangelista sostenga una concezione molto democratica della struttura e dell ' auto rità della chiesa. Tutti i credenti sono chiamati a rifarsi allo stereotipo del discepolo prediletto. Tramite il parakletos tutti sono abilitati allo stesso modo ad ottenere autorevole accesso alla rivelazione di Dio in Cristo. La visione del Vangelo rappre senta un' indomabile forma di cristianesimo primitivo, in quanto non ha un apparente interesse nel delegare autorità specifica a persone particolari nella comunità. Tutti i credenti sono disce poli e possono usufruire di quel tipo di rapporto con Cristo che viene esemplificato nel discepolo prediletto. La concezione democratica giovannea dell ' autorità della chiesa non ci porta così troppo fuori dal tema centrale di questo capitolo, come invece potrebbe sembrare. La ragione, penso, per cui i cristiani giovannei possano sostenere una tale conce zione della comunità dei credenti è la loro fiducia nel fatto che la rivelazione sia disponibile senza mediazioni nella chiesa. Tutte le persone hanno accesso alla presenza di Dio con la loro esperienza immediata. Quindi, tutti hanno pari autorità. Poiché l ' eternità è presente nell 'esperienza attuale della comunità, non c ' è alcun bisogno di struttura né di autorità ecclesiastica. Forse questa concezione della chiesa e della sua struttura 1 83
è ingenua. Forse si tratta del punto di vista di quelli che non hanno ancora visto tutti i problemi a cui la chiesa deve far fronte nel mondo. L' idea che la comunità sia il luogo della presenza di Dio e che il governo radicalmente democratico possa e debba prevalere sono, forse, posizioni troppo ideali stiche. I cristiani giovannei hanno forse dimenticato il pecca to e lo stato di rovina umana? Hanno tenuto conto del fatto che la comunità non può essere perfettamente una, al contrario di come pensavano? Hanno forse sottovalutato l' inevitabilità delle divisioni e delle differenze? Non hanno forse previsto che la comunità avrebbe alla fine accettato anche coloro che soste nevano concezioni radicalmente diverse e che queste doveva no essere controllate da un' autorità ecclesiastica forte? La loro concezione della comunità dei credenti è ingenua, oppure è espressione di come deve essere veramente? Forse è meno ingenua di quanto pensi amo. Forse la convinzione giovannea riguarda il come deve impegnarsi ad essere la chiesa, senza tener conto delle situazioni storiche a cui deve fare fronte. Arriviamo finalmente alla quinta e ultima generalizzazio ne sulla concezione giovannea della chiesa: la comunità è invia ta nel mondo. Nel capitolo 20 del Vangelo, quello culminan te, il Cristo risorto appare inaspettatamente ai discepoli barri cati per la paura dietro porte ben serrate (20, 1 9). Cristo saluta i suoi seguaci, mostra loro le sue ferite causate dalla crocifis sione, poi dice loro parole piene di significato. Il nostro interes se si concentra su quelle attribuite al Cristo risorto presenti nel versetto 2 1 : « Pace a voi ! Come il Padre mi ha mandato, anch ' io mando voi » . L' invio dei discepoli in verità completa una serie di altri invii nell' arco dell ' intero Vangelo. Ricordiamo che Giovanni il Battista era stato inviato ( l ,6) e non possiamo evita re tutte le affermazioni sul fatto che Gesù era stato inviato da Dio (le più notevoli 3, 1 6- 1 7, ma presenti in tutto il Vangelo, per esempio 5 ,24 ) Poi leggiamo come sarebbe stato inviato lo Spirito santo dopo la «partenza» di Gesù ( 1 4,26; 1 5 ,26; 1 6,7). Ora sono gli stessi discepoli ad essere inviati . L' impressione che si ricava dal Vangelo è quella di un «Dio che invia» . Dio ha un programma che include la salvezza del mondo dalla sua condizione di difficoltà (vedi in particolare 3, 1 6- 1 7). Per questo egli manda suoi inviati nel mondo a servi.
1 84
zio del programma d' azione di vino. Il progetto di Dio compren de una serie di invii, ciascuno dei quali ha uno specifico ruolo da svolgere nello schema generale. Giovanni il B attista, come preparazione per Cristo, questi come rivelazione suprema di Dio per il mondo e lo Spirito santo come permanente presen za di Dio con i credenti . Ora i discepoli prendono il loro posto tra gli invii centrali di questo schema generale. Troviamo il preludio di ciò che è narrato da 20,2 1 in 4,38, dove i discepo li sono inviati come un gruppo di mietitori nei campi. La risposta sul dove o a chi i discepoli siano inviati dal Cristo risorto è conservata in 1 7, 1 8 : «Come tu hai mandato me nel mondo, anch ' io ho mandato loro nel mondo». Ad una prima lettura, questo ci colpisce per la sua stranezza. Nel quarto Vangelo il mondo viene caratterizzato come il reame dell' in credulità e del male: il polo contrapposto alla comunità dei credenti (si veda la presentazione dei simboli dualistici del Vangelo nel cap. 2). Gesù dice senza possibilità di equivoco che i credenti non appartengono al mondo più di quanto egli stesso non vi appartenga (per esempio 1 7, 1 6). Uno si aspette rebbe di trovare i discepoli messi al riparo dal mondo, isolati in una torre d' avorio chiusa ermeticamente. Ma non è così ; essi sono inviati nel mondo, in quanto il programma d' azione divino comporta il recupero della creazione distorta. Il loro posto, allora, è nel mondo in qualità di inviati di Cristo. Tutto questo è reso ancor più chiaro da una caratteristica di estrema ri levanza presente nell ' ordine di missione dei disce poli. L' invio dei discepoli da parte di Cristo viene paragonato sia in 20,2 1 sia in 1 7, 1 8 all ' invio di Cristo da parte di Dio. Il parallelo è sorprendente, dal momento che l' assoluta unicità di Cristo metterebbe fuori gioco qualunque invio di persone umane. Che cosa potrebbe voler dire, per la comunità giovan nea, comprendere la sua missione in modo analogo alla missio ne unica di Cristo? L' invio di questi era motivato dall' amore di Dio e dalla sua determinazione a salvare il mondo (3, 1 61 7). Quindi, come Cristo era il punto cruciale del progetto redento di Dio per il mondo, i discepoli costituiscono la conti nuazione di quel piano concepito dall' amore divino. Le prove sono inattaccabili. La comunità giovannea compren deva se stessa come un gruppo inviato in missione, mandato 1 85
nel mondo per portare a termine il progetto divino di Dio che aveva avuto origine da Cristo. Una tale autocomprensione è molto forte. Essi sono gli inviati mandati nello stesso modo e per gli stessi motivi del loro Signore ! Ci sono molti elementi nel Vangelo di Giovanni che tradiscono l ' immagine di un gruppo quasi settario di persone, che lottano per respingere gli attac chi degli oppositori . Finora ci siamo limitati a vedere una dicotomia tra interni/esterni in gran parte della documenta zione, una lotta settaria fra «noi» e «loro» . Con questa menta lità settaria si determina anche un propensione a separarsi dal mondo. Ma ora la nostra immagine deve essere ridisegnata. È vero, la vita interna della comunità presentata dal Vangelo è molto forte. Similmente forte è la consapevolezza missiona ria: in questa presentazione schematica ci sono linee scure che si muovono in due versi opposti, ma nella stessa direzione. Uno è rivolto all ' interno, che presta attenzione alla solidarietà del gruppo e all ' amore reciproco vissuto all ' interno della comunità. L' altro è rivolto all 'esterno, che si dirige all' opera della chiesa nel mondo circostante. Eppure queste due linee che si muovono in versi contrapposti sono concepite come se, per i credenti, puntassero nella stessa direzione. Anche l ' unità della chiesa (una caratteristica interna) viene compresa come parte della missione nel mondo più ampio, perché questo, così indica la preghiera di Gesù, porterà il mondo a credere ( 1 7,2 1 ) Paragonata ad altre tradizioni religiose del mondo, l ' auto comprensione giovannea la pone fra i modelli che noi chiamia mo «evangelicali» . Convinto della missione divina, il cristia nesimo giovanneo sa di dover essere impegnato in collabora zione con il suo Dio nella salvezza del mondo. Armati dell ' aver compreso la dimensione missionaria della chiesa giovannea, si fanno più chiari alcuni aspetti della narra zione del Vangelo. Siamo in grado di capire come l ' evangeli sta volesse far trovare ai lettori, nei personaggi del Vangelo, dei modelli per la loro missione nel mondo. Possiamo capire come e perché, in questo Vangelo, la testimonianza sia impor tante. Tra i tanti modelli per la testimonianza cristiana nel mondo, il Vangelo ne presenta tre in particolare. Il primo è sicuramente Giovanni il Battista, il cui insistente scopo di far convergere l ' attenzione su Cristo più che su se stesso (l, 1 9.
1 86
34) è presentato così vividamente insieme al suo disconosci mento, che egli non era altri che un testimone per Cristo ( 1 ,68). Il secondo è la donna samaritana nel capitolo 4. Ella serve da modello per far capire il modo in cui un incontro con Cristo suscita la testimonianza verso altri, e il racconto è la dimostra zione del potente effetto di una tale testimonianza (4,39-42). Il terzo modello è Maria Maddalena. Prima degli altri disce poli , Maria viene inviata in missione dal Cristo risorto per condividere le notizie della sua risurrezione (20, 1 7- 1 8 ; non è un caso che due di questi tre modelli siano donne. Vedi l ' Appendice B , «Le donne nel Vangelo di Giovanni»). In sintesi, la concezione giovannea della chiesa include il senso di unità della comunità, l ' amore reciproco dell ' uno per l ' altro, la convinzione che Dio continua a manifestarsi in mezzo alla comunità, la vita democratica comune, di uguali e la missio ne nel mondo. Come una gigantesca ragnatela, questa corren te di pensiero nel Vangelo viene intercalata ad altre. La conce zione della chiesa è sostenuta dal fatto che le benedizioni escato logiche dell ' ultimo giorno sono già presenti nella comunità. La concezione giovannea della comunità si interseca con quella dello Spirito . Il parakletos nella comunità di fede produce un ambiente in cui i credenti sono resi forti per vivere insieme e per la loro missione esterna.
l SACRAMENTI NEL QUARTO VANGELO
Qui la nostra tesi riguardante l ' importanza del l ' esperienza presente dei credenti si scontra con un muro di pietra ! Ci aspet teremmo che una posizione cristiana come quella che abbia mo schematizzato in questo capitolo desse importanza ai sacra menti, che sono di solito considerati come i mezzi mediante i quali il cristiano può sperimentare immediatamente la presen za di Dio. Quindi , data la propensione del quarto evangelista per una teologia dell' esperienza dei sensi, sicuramente i sacra menti giocheranno un ruolo importante nel Vangelo. Purtroppo le cose non stanno così ! Almeno, questo in apparenza non 1 87
sembra essere il caso. Dobbiamo chiederci quale posizione assuma il Vangelo in rapporto ai sacramenti. Letture preparatorie: due gruppi di testi sono importanti per la discus
sione che segue: si legga 1 ,29-39. Perché Giovanni il Batti sta non battezza Gesù? S i confronti 3,22 con 4,2. Si legga 1 3 , 1 -20. Questo è il momento del racconto in cui ci si aspetterebbe (seguendo lo schema sinottico) di trovare l ' istituzione del la Cena del S ignore. Forse che il racconto del la l avanda dei piedi dei discepoli funzioni da sosti tuto del sacramento del la Cena? Si tratta poi di un sacramento?
Questi sono i testi del quarto Vangelo che di solito si fanno riferire ai sacramenti della Cena del Signore e del battesimo. Si leggano e si valuti personalmente se sono intesi in riferi mento ai sacramenti : 2, 1 - 1 1 ; 3 ,5 ; 6, 1 - 1 3 .5 1 -5 9 ; 1 3 , 1 - 1 7 ; 1 5 , 1 6 e 1 9,34. Quando si pone il problema dei sacramenti nel Vangelo di Giovanni, la prima cosa che colpisce è un fatto molto sempli ce: manca l ' istituzione dei sacramenti ! Gesù stesso non viene battezzato. Il suo battesimo ha costituito la tradizionale autoriz zazione per il rito del battesimo nella pratica cristiana. Inoltre, dal quarto Vangelo non possiamo neanche discernere chiara mente se Gesù abbia mai battezzato ! In un punto si dice che egli battezzava, in un altro lo si nega (3 ,22 e 4,2), né Gesù ha istitui to la Cena del Signore o eucaristia! Omissioni così eclatanti pongono interrogativi sulla sacramentalità nel quarto Vangelo. È come chiedere se i fratelli Wright credessero nei viaggi spazia li ! Manca semplicemente una qualsiasi esplicita menzione dell' au torizzazione per i due riti del battesimo e della Cena del Signore. Tuttavia, alcuni studiosi trovano riferimenti espliciti ai sacra menti in altri punti del Vangelo. Essi sostengono che la trasfor mazione dell' acqua in vino nel racconto delle nozze di Cana alluda al vino dell ' eucaristia. L' affermazione di Gesù che si deve essere nati «d'acqua e di Spirito» in 3 ,5 è, così dicono alcuni, un' allusione diretta al battesimo. Inoltre, la moltiplica zione dei pani nel capitolo 6 viene intesa da molti come l ' i sti tuzione giovannea della Cena del Signore. Nel versetto 1 1 , Gesù rende grazie e distribuisce il pane e i pesci. Il verbo greco tradot to con «rendere grazie» è eucharistesas. Questa parola deriva dalla radice della stessa parola da cui deriva la nostra espres sione «eucaristia» importata linguisticamente. Il significato 1 88
eucaristico del racconto della moltiplicazione dei pani è reso esplicito, dicono questi interpreti, nel discorso di Gesù che segue immediatamente (6,5 1 -58). Qui si presenta Gesù che dice: «Se non mangiate la carne del Figlio dell' uomo e non bevete il suo sangue, non avete vita in voi» (v. 53). Altri interpreti ritengo no che la lavanda dei piedi dei discepoli da parte di Gesù, nel capitolo 1 3 , costituisca una rappresentazione simbolica del significato dell' eucaristia. Forse l ' allegoria della vite ( 1 5 , 1 -6) è intesa come un' allusione al vino eucaristico. Infine, 1 9,34 parla del sangue e dell' acqua che sgorgano dal costato di Gesù. Il sangue può rappresentare la coppa eucaristica e l ' acqua il battesimo, sempre secondo alcuni interpreti. Di conseguenza, nonostante l' assenza dell ' istituzione dei sacramenti , alcuni studiosi sostengono che il quarto Vangelo li apprezzi moltissimo. Il punto è, così ritengono, che il Vangelo considera come sicura la conoscenza del l ' istituzione dei sacra menti da parte del lettore. Quindi , esso mette a fuoco il loro significato, in particolare nei capitoli 6 e 1 3 . Questo modo di comprendere il Vangelo richiede che il quarto evangelista fosse un sacramentarista di altissimo livello. In questo caso, il silen zio viene inteso come profondo apprezzamento anziché come rifiuto. Il poeta che vuole ricordare la nostra eredità naziona le in una sua opera non ripete la storia della fondazione degli Stati Uniti . Piuttosto, allude forse sottilmente alle profondità di significato dello spirito di questi avvenimenti fondanti. Così, sostengono alcuni , si è mosso anche il quarto evangelista nell ' e saltare il significato della Cena del Signore e del battesimo. Ci sono coloro che vogliono proporre un' alternativa drasti ca. Bultmann e altri hanno sostenuto che il quarto Vangelo sia antisacramentale. La loro argomentazione si sviluppa più o meno lungo queste linee : il quarto evangelista conosce i sacra menti, ma è disgustato dal loro abuso nella chiesa del tempo . Così , questo autore li ignora deliberatamente nel Vangelo. Il silenzio grida una solenne protesta contro i sacramenti ! L' acqua del battesimo e il pane e il vino dell' eucaristia sono arri v ati a prendere il posto di Cristo stesso, pensa l 'evangelista. Alla fine, però, il Vangelo viene rivisto da un cristiano dalla concezione piuttosto tradizionalista. Questa persona non ama l' omissione di qualunque riferimento ai sacramenti, così questo scano1 89
sciuto redattore aggiunge i testi sacramentali in punti specifi ci, come 3 ,5 (con l ' inserimento delle parole «d' acqua e») e in 6,5 1 -58 (questa concezione è parte della teoria della revisio ne redazionale, descritta nella prima sezione di questo capito lo) . Il risultato è che questi testi si innalzano come segnalato ri irritanti, secondo B ultmann. Una terza concezione interpreta il quarto Vangelo come revisio ni sta. Vale a dire, egli non è contrario ai sacramenti (come Bultrnann vorrebbe farci credere), né li sostiene (come ritengono i propo nenti la prima alternativa). Piuttosto, il Vangelo cerca di sotto porre a revisione la comprensione dei lettori. Così, il discorso sul pane di vita (cap. 6) e la scena della lavanda dei piedi (cap. 1 3) sono ambedue interpretazioni del significato della Cena del Signore. Il battesimo viene reinterpretato come una rinascita significativa soltanto mediante il dono dello Spirito (3,5). C'è anche una quarta alternativa per comprendere i sacra menti in questo Vangelo, che si muove secondo queste linee: la chiesa giovannea non intende ignorare i sacramenti nel suo Vangelo. Piuttosto, li lascia ad un livello implicito, anziché esplicito. Gradualmente apporta piccole variazioni che cerca no di rendere sempre più espliciti i riferimenti sacramentali. Il battesimo era certamente implicito nella discussione del capito lo 3, così un amabile revisore ha aggiunto le parole «d' acqua e» per rendere più chiaro il significato del testo. Questa conce zione si differenzia dalla teoria della revisione redazionale di Bultmann e dei suoi seguaci per un aspetto importante. I reviso ri che sono responsabili dell ' inserimento di molti dei testi sacra mentali sono d' accordo, anziché in contrapposizione, con la concezione originale del Vangelo. Essi aiutano il Vangelo a dire con più chiarezza quello che erano certi che intendesse origi nariamente dire. Infine, c ' è un' ultima alternativa ardita: la chiesa giovan nea non conosce la tradizione dei sacramenti. Questi credenti non hanno accesso ai racconti della loro origine e non li osser vano. Questo è possibile perché la chiesa giovannea è al di fuori della corrente principale di sviluppo del cristianesimo primitivo (vale a dire, lo sviluppo a noi noto tramite le episto le paoline e i Vangeli sinottici). Non è né sacramentale, né antisacramentale, quanto piuttosto asacramentale, intendendo 1 90
con questo che i cristiani giovannei ignoravano i sacramenti e le tradizioni che li riguardano. Una tale concezione è possibi le soltanto se si prende sul serio qualche presupposto. In primo luogo, la comunità giovannea non è collegata strettamente alle altre comunità cristiane del tempo. Se essa non conosceva i Vangeli sinottici e le epistole di Paolo, allora era una chiesa cristiana relativamente isolata. Inoltre, il loro i solamento è dovuto in parte al fatto che sono stati per anni una comunità cristiana all' i nterno della sinagoga. Hanno vissuto, come infat ti è stato, ali ' interno dei confini di una comunità giudaica e per questo motivo erano non sacramentali. Il risultato è, come abbiamo visto più volte, un cristianesimo indomabile. Inoltre, la concezione del quarto Vangelo come asacramentale richie de che si prenda in considerazione la possibilità che i sacra menti non fossero parte della prassi di tutti i cristiani del primo secolo. Vuoi dire considerare il primo movimento cristiano molto diversificato al suo interno, anche in materie così vitali come il battesimo e l ' eucaristia. Se si prende per buona l ' ultima alternativa, allora i riferi menti, che spesso sono stati considerati sacramentali, devono essere letti in modo diverso. Le espressioni «rendere grazie» e «mangiare la carne» non sono eucaristici . Ogni volta che il Vangelo menziona il vino o l ' acqua non allude ai sacramenti (succede lo stesso fenomeno con la musica moderna: dato che il tempo sincopato è tipico della musica popolare rock, questo non significa che dovunque si incontra una sincope, lì c ' è musica rock, anzi, è vero il contrario ! ) . Quindi, senza voler alludere al significato sacramentale, il Vangelo può ben utiliz zare parole che altrove, nel movimento cristiano, sono colle gate ai sacramenti, senza per questo pensare di suggerire un significato sacramentale. Forse anche alcuni testi che hanno sapore sacramentale sono addizioni posteriori . Dopo che il Vangelo era in circolazione nella comunità cristiana più larga, forse parole e frasi vennero aggiunte per far riferimento ai sacramenti . Questo è certamente il caso in 3,5, dove si può sostenere facilmente che le parole «d' acqua e» non fossero presenti nel testo originale. Tali addizioni non sono in conflit to con la concezione dell' evangelista, né sono revisioni amabi li per rendere esplicito quello che l ' evangelista aveva espres191
so in modo i mplicito. Esse sono state aggiunte nei punti in cui l 'evangelista si manteneva neutrale. Il problema sfugge ad una soluzione ! Eppure, credo che sia possibile un' altra alternativa. Gran parte del Vangelo sembra non riflettere alcun interesse per i sacramenti. In quei punti della narrazione in cui la tradizione parlava di essi, questi sono lascia ti cadere. Però la prova costituita da 3,5 e 6,5 1 -5 8 è difficile da mettere da parte come revisione tardiva e ostile. Se colleghia mo la quarta e l ' ultima alternativa, emerge ancora una piccola differenza. Quindi ritengo che nel periodo in cui vi vevano ali ' in temo della sinagoga, i cristiani giovannei non utilizzassero i sacramenti, almeno non come elementi centrali nella loro vita. È per questo che la loro tradizione non riporta né il battesimo, né l' eucaristia, ma dopo l 'espulsione dalla sinagoga e la loro ricerca di una nuova identità cristiana, i due sacramenti arriva rono a svolgere un ruolo sempre più significativo nella vita della comunità. Il battesimo fu sempre più apprezzato come segno della loro identità. La Cena del Signore fu valorizzata molto come fonte di sostegno nelle lotte con il mondo circostante. Giovanni 3 ,5 e 6,5 1 -5 8 possono ben essere ritenute interpreta zioni posteriori delle più antiche tradizioni giovannee. Penso che queste furono incorporate in una delle primissime revisio ni del Vangelo, non nei decenni successivi. Si tratta di inter pretazioni che fanno parte dell' intera riformulazione della tradi zione giovannea da parte del quarto evangelista. Anche così, questa alternativa è vulnerabile quanto le altre. Tuttavia, dobbiamo ancora mettere a fuoco un' altra dimen sione del problema della visione giovannea dei sacramenti. Quale che sia la concezione del battesimo e dell'eucaristia del Vangelo, esiste una fondamentale sacramentalità concernente la teologia giovannea, come ho indicato nel capitolo 3 . La teologia del Vangelo è di tipo sensoriale. L' ipotesi che la fede nasca da esperienze fisiche quotidiane è proprio quello che i sacramenti rappresentano nel pensiero cristiano. Quando il Vangelo dice che vedere e udire costituiscono l ' inizio della nascita della fede propone una forma di sacramentalità, in quanto i sacramenti sono esperienze sensoriali che sintetizza no la presenza di Dio nella realtà ordinaria. Pane, vino e acqua diventano le esperienze sensoriali mediante le quali la realtà 1 92
ultima viene comunicata ai credenti nella loro situazione presen te. Così , la concezione giovannea del rapporto tra fede ed esperienza è fondamentalmente una concezione sacramenta le. Ha un senso dire che, se i sacramenti non fossero stati conosciuti o così largamente praticati nella comunità, essi sareb b�ro emersi comunque in primo piano. Nel contesto della teolo gia del Vangelo, battesimo ed eucaristia potevano facilmente diventare azioni che racchiudevano l ' intera esperienza di vita dei cristiani . Anche se può essere difficile accertare gli insegna menti del Vangelo sui sacramenti , paradossalmente, la sua concezione della normale esperienza quotidiana è sostanzial mente sacramentale ! Riallacciandomi alla concezione del Vangelo sul rapporto tra fede ed esperienza, penso che possiamo vedere sempre più chiaramente quanto egli sottolinei il fatto che l ' esperienza attua le dei cristiani è piena di attualizzazione della salvezza di Dio. Il Vangelo rende onore al presente come tempo della salvezza. L' eternità tocca la storia nell' esperienza attuale del credente.
CONCLUSIONE
Se la presentazione appena terminata è del tutto in linea con il Vangelo, abbiamo un quadro notevolmente coerente. L'esperienza del parakletos, la comprensione della chiesa e la concezione che ha l ' evangelista del rapporto tra esperienza e fede, tutto si integra perfettamente. Questi elementi costituiscono il fonda mento sul quale il quarto Vangelo afferma la sua radicale escato logia del presente. Essi costituiscono gli assiomi del suo siste ma, portano tutti ad una conclusione: Dio è conosciuto ora. I doni di Dio della salvezza sono immediatamente disponibili . Tutti questi elementi confluiscono nella convinzione che il presente è il tempo della salvezza. Ciascuno di essi guida il lettore verso una radicale escatologia del presente e ben lonta no da una focalizzazione sul futuro (vedi schema 1 3 ). Questo approccio costituisce un' ardita soluzione al proble ma religioso posto ali ' inizio di questo capitolo. I benefici della 1 93
Parousia rimandata nel futuro
Presenza di Dio nella comunità
ETERNITÀ
È
..., Parakletos
ADESSO
t Teologia dei sensi
Schema 1 3
salvezza religiosa sono disponibili nell'esperienza presente dei credenti o soltanto nel futuro? Il quarto Vangelo afferma con piena fiducia che i credenti li conoscono già ora. Esso avanza questa posizione in base ali ' esperienza della comunità giovan nea. Il Vangelo non nega il futuro e la speranza per quello che porterà, ma insegna che il futuro non riserva sorprese per i cristiani, in quanto essi già lo sperimentano nel loro presente. I benefici di Dio per l ' umanità non sono confinati in un benedet to passato, né sono soltanto pie illusioni. Questo è il tempo per ricevere quei doni che tutta l ' umanità attende. La concezione del Vangelo, nel modo in cui l ' abbiamo esposta, ha un buon grado di affidabilità. Fondamentalmente, c ' è coerenza fra l ' esperienza della comunità e le conclusioni del Vangelo. Questo è ammirevole. Accertare se la concezio ne giovannea dell ' argomento sia universalmente vera o meno è un compito molto più difficile. La comunità giovannea ha 1 94
compreso in modo corretto la sua esperienza? Oppure si è ingannata? Hanno forse posto eccessivamente l ' accento sul presente? Stavano forse esagerando nella loro reazione all ' e scatologia cristiana futuristica (come un adolescente potrebbe esagerare reagendo alle concezioni dei suoi genitori su un parti colare problema) ? Queste sono domande che lascio valutare e discutere al lettore . Rimane da dire soltanto che il Vangelo struttura una visio ne che deriva dali' esperienza di una comunità religiosa di secoli fa. Questo è tutto quello che gli esseri umani devono fare meglio che possono : stabilire il significato della loro esperienza e ricavare le loro credenze religiose (quali che possano essere) sulla base di quella determinazione. Se il quarto Vangelo si sbaglia nelle conclusioni sulla presenza deli ' eternità nel presen te, è almeno un esempio del modo in cui deve essere svolto il compito di formulare una posizione religiosa.
CONCLUSIONE GIOVANNI : IL VANGELO UNIVERSALE
Qualche decennio fa in America si è svolta una grande discussione sul salto generazionale e sulla ribellione dei giova ni . Quello che poco alla volta è venuto alla nostra attenzione è il fatto che quasi ogni periodo storico dell' umanità ha speri mentato in qualche modo la stessa cosa. I giovani si diversifi cano dai loro genitori per una diversa concezione del mondo, per differenti priorità, opinioni e obiettivi. La comunicazione fra genitori e figli giovani diventa tesa e problematica. Abbiamo imparato che una tale situazione non costituisce una peculia rità dell' America del XX secolo, la si può ritrovare anche molto addietro nel passato, al tempo dell ' antica Grecia. I ribelli in età giovanile sono per molti versi un fenomeno universale . Vorrei portare a conclusione la nostra presentazione del pensiero e del simbolismo del quarto Vangelo con questa propo sta: esso è per molti aspetti un brano indomabile della lettera tura cristiana del primo secolo: un ribelle. Ci conduce prepo tentemente in una direzione del tutto diversa da quella degli altri scritti del Nuovo Testamento. Nello stesso tempo, sotto i temi fondamentali del Vangelo che abbi amo presentato, si ritro vano problemi religiosi universali. Quelli di cui tratta il Vangelo di Giovanni non sono confinati alla cristianità del primo secolo. Sono domande che molte tradizioni religiose hanno valutato e continuano a soppesare. Il quarto Vangelo visto in un deter minato contesto è indomabile, un ribelle. Tuttavia, se visto in uno più ampio, si tratta di un Vangelo universale. Concludiamo la nostra breve presentazione prendendo in considerazione queste due di verse concezioni dell ' opera: un Vangelo indoma bile e un Vangelo universale.
1 97
I L PENSIERO E IL SIMBOLISMO GIOVANNEI NEL CRISTIA NESIMO PRIMITIVO
Abbiamo sostenuto fin dall ' inizio che il quarto Vangelo rappresenti una forma peculiare di pensiero cristiano del primo secolo. Questa concezione è pericolosa, in quanto potrebbe essere fatta in riferimento a tutti gli scritti neotestamentari . S i potrebbe dire , per esempio, che il Vangelo d i Luca e il libro degli Atti degli apostoli siano forme di pensiero cristiano ben diverse dai Vangeli di Marco e di Matteo e che siano chiara mente differenziate rispetto al cristianesimo paolina. Una simile affermazione si potrebbe fare per altre sezioni del Nuovo Testamento. Tuttavia, la tesi di questa introduzione al quarto Vangelo è che con il cristianesimo giovanneo si ha a che fare con un' unicità di fondo. I Vangeli di Matteo e di Luca erano ambedue dipendenti da quello di Marco e forse dall' ipotetica fonte di detti chiamata «Q» . Mentre gli Atti degli apostoli potrebbe aver frainteso Paolo, quest' opera sostiene di rappre sentare accuratamente l ' antico apostolo. Il Vangelo di Giovanni non fa alcuna rivendicazione di collegamento con altre forme di cri stianesimo primitivo e ci sono molte prove del fatto che le cose stessero proprio così. Possiamo parlare dell ' u nicità del cristianesimo giovanneo sotto molti punti di vista. Il primo è la specificità della tradi zione ripresa nel Vangelo. Come abbiamo suggerito nell ' In troduzione, questa era una corrente indipendente del pensiero cristiano. Doveva essere radicata in una tradizione orale che alla fine dette origine a quelle sinottiche. Ma è distinta da queste sia nella forma sia nel contenuto. Il quarto Vangelo conserva fedelmente quelle tradizioni, condi vi se dalla comunità giovan nea e per questo ci ha colpito ogni volta nel corso del nostro studio. Il fatto che le conservi pone il Vangelo di Giovanni in una condizione unica fra gli altri scritti cristiani antichi, in base alla considerazione che l ' eredità giovannea era unica. Per quanto possiamo conoscere, infatti, soltanto il quarto Vangelo ci informa dell ' esistenza di questa tradizione non sinottica e non paolina. Per quanto riguarda il secondo punto di vista, possiamo 1 98
parlare dell ' unicità della situazione giovannea. Mentre tutto il cristianesimo primitivo può essere ricondotto a radici ebrai che, il quarto Vangelo è diverso. I primi cristiani erano tutti di origine ebraica, erano legati ali ' eredità ebraica e nello stesso tempo aderenti alla nuova fede cristiana. Ma molto presto si separarono dal giudaismo. Già negli scritti dell ' apostolo Paolo questa divisione è ormai in via di definizione. Egli trova ascol tatori più promettenti per la fede cristiana non fra i suoi concit tadini ebrei, ma fra i pagani . La divi sione fra cristiani di origi ne pagana e quelli di origine ebraica fu promossa dal cosid detto Concilio di Gerusalemme, verso il 49 d.C. L' indipendenza del cristianesimo dal giudaismo fu completata verso i primi anni Sessanta e certamente al tempo della distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. Tuttavia, nel Vangelo di Giovanni troviamo il dato che la separazione dalla sinagoga rappresenta un fenomeno più tardi v o. Tutto quello che abbiamo incontrato nei capitoli precedenti ha indicato che il quarto evangelista ha a che fare con una comunità recentemente espulsa dalla sinagoga ed impegnata in una seria disputa con le autorità giudaiche. Si è quasi tenta ti di dire che la chiesa giovannea ha atteso troppo a lungo prima uscire dal grembo del giudaismo ! Ha vissuto pacificamente fra gli ebrei più a lungo di qualsiasi altra comunità cristiana. Possiamo osare dire che in confronto alle altre comunità cristia ne questa è stata più lenta nel suo sviluppo? La comunità giovan nea è forse come quei giovani che continuano a vivere con i genitori fino ali ' età di trentacinque anni e soltanto allora sono mandati fuori di casa? Questa analogia ha i suoi limiti. È vero che la comunità giovannea è rimasta più a lungo al sicuro nella cerchia della sinagoga giudaica, ma non sembra che questa sicurezza abbia ritardato il suo sviluppo, in quanto la tradi zione conservata nel quarto Vangelo indica che essa ha avuto una lunga stori a ed è stata fatta crescere con molta cura. Certamente non possiamo dire che il quarto evangelista fosse un cri stiano meno maturo degl i altri scrittori del Nuovo Testamento ! Comunque sia, la comunità giovannea si ritrovò cacciata dalla sinagoga. Ne risulta, come abbiamo detto, una disloca zione sociale profonda e traumatica. La crisi incide sull' iden1 99
tità dei cristiani di questa comunità. Chi sono essi se non ebrei che hanno abbracciato Cristo? Che cosa è il loro cristianesi mo se non un tipo di giudaismo raffinato e sofisticato? Come i figli ormai maturi spinti fuori casa dai genitori, la comunità giovannea si trova a vivere una crisi di identità. Questa situa zione è resa ancor più dura dal conflitto permanente con la sinagoga ebraica e contribuisce significativamente alla forma zione del carattere distintivo del Vangelo di Giovanni e del suo pensiero. Possiamo parlare di questo in riferimento alla sua tradi zione e alla sua situazione. Infine, possiamo darne una lettura in riferimento al suo pensiero e simbolismo. L' unicità di tali elementi è in parte il ri sultato dei primi due punti di vista. Le tradizioni utilizzate nel quarto Vangelo rendono uniche le conce zioni e il simbolismo del documento. La situazione in cui e per cui il Vangelo è stato scritto contribuisce parimenti a questa caratterizzazione di pensiero e di linguaggio. Tuttavia, il genio dell'evangelista ha svolto chiaramente un ruolo importante nella forma di cristianesimo specifica articolata nel Vangelo. I capitoli precedenti hanno dimostrato come la mentalità dell'e vangelista si muovesse in modo del tutto peculiare. Per citare solo un esempio, si ricordi la passione profusa nel riformula re parole con significato pregnante (come logos e parakletos) per utilizzarle nel Vangelo. Questo autore ha ripreso termini carichi di significato e li ha plasmati per utilizzarli con un nuovo significato cristiano. Non ci resta che rivedere soltanto brevemente e in via generale alcune delle peculiarità del pensiero e del simboli smo del quarto Vangelo. La concezione di Cristo come Figlio del Padre assume un ruolo di primo piano. In nessuna altra pagina del Nuovo Testamento troviamo una cristologia strut turata in modo simile a questa. L'evangelista ha cercato di conservare sullo stesso piano l ' unità e l ' individualità del Padre e del Figlio. I detti «io sono . . . » contribuiscono alla cristolo gia del Vangelo e servono a distinguere la concezione giovan nea di Cristo dalle altre presenti nel Nuovo Testamento. Inoltre, il dualismo è più pronunciato di quello che possia mo ritrovare in qualsiasi altro brano di letteratura cristiana antica. La miscela di dualismo umano e dualismo cosmico è 200
diversa. Differente è anche l ' uso di una gran varietà di parole per esprimere i poli del dualismo. Nello stesso modo, vorrei sostenere che nessuno scritto del Nuovo Testamento combat te così consapevolmente con il problema del determinismo divino e della libertà umana come fa il Vangelo di Giovanni, però concordo sul fatto che Paolo si classifichi ad un buon secondo posto, a breve distanza ! Ancora, la teologia dell' esperienza presentata dal Vangelo emerge con prepotenza. In nessun altro luogo del Nuovo Testamento possiamo trovare una concezione del rapporto tra fede ed esperienza elaborata così finemente. In nessun altro luogo la base sensoriale della fede è sottolineata come in questo testo. Similmente distintiva è l ' insistenza nell ' affermare che l ' obiettivo del credente è la fede senza l' ausilio della vista. Fede e conoscenza sono spiegate in modo diverso da quello di altri pensatori cristiani. La sottolineatura posta sulla presenza della salvezza nell'e sperienza del credente si scosta in modo significativo dai temi comuni della restante letteratura neotestamentaria. Mentre lo sforzo di risolvere il problema del ritardo della parusia può essere celato in alcuni scritti del N uovo Testamento, la soluzio ne che questi offrono non è così radicale come quella del quarto evangelista. La profonda valorizzazione del presente del creden te è senza pari nel Nuovo Testamento. Potremmo continuare nell' accennare alla concezione peculiare dello Spirito parak letos, della chiesa e del modo in cui sono trattati i sacramenti ma riteniamo che questo sia sufficiente per far sobbalzare la memoria del lettore. Il carattere distintivo del pensiero e del simbolismo giovan neo è chiaro, almeno così spero, però non deve essere troppo enfatizzato. Forse questo è il pericolo che la nostra presenta zione ha favorito. Si può scendere nel dettaglio per definire gli aspetti in cui due gemelli sono radicalmente diversi. Essi abbrac ciano due diversi stili di vita. Non hanno neanche una «rasso miglianza nei caratteri generali della famiglia» . Hanno diver si talenti e diverse capacità. Ci si interroga su quali basi siano legati, eppure lo sono. Quando l ' analisi è sufficientemente approfondita, l' eredità familiare è evidente. Per quanto siano diversi, sono genericamente simili. Hanno in comune gli stessi 20 1
genitori . Così , la nostra analisi dell'individualità del quarto Vangelo deve riconoscere che esso condivide la stessa strut tura genetica delle altre forme di cristianesimo del primo secolo. Ha la stessa parentela degli altri scritti del Nuovo Testamento . Anch' esso è radicato nella testimonianza resa all ' uomo Gesù di Nazareth e alla prima comunità di credenti raccolta attorno a lui. Forse il carattere distintivo gli deriva dall' ambiente che l ' ha strutturato dopo il suo sorgere, così come la diversità fra due gemelli potrebbe essere identificata nei loro rispettivi ambienti di vita. Come caratterizzeremo, allora, la collocazione del pensie ro e del simbolismo giovannei nel cristianesimo primitivo? Abbiamo utilizzato l ' espressione « Vangelo indomabile» . Questa sembra la più adatta, in quanto il pensiero e il simbolismo che presenta non sembrano andare alla ricerca della coerenza con qualsiasi altra forma di pensiero protocristiano. Piuttosto, esso va liberamente per la sua strada ed esplora nuove forme di espressione. È un cristianesimo che ama le avventure, che non fluisce nell ' alveo centrale del pensiero neotestamentario, ma deve comunque essere evidenziato che si tratta di pensiero cristiano. Condivide con il resto degli scritti canonici un profon do impegno nel credere che Dio ha operato in modo decisivo nella persona di Cristo per la salvezza dell' umanità. È istruttivo guardare avanti nella storia del cristianesimo neotestamentario, oltre il momento in cui fu scritto il Vangelo stesso. Le tre epistole, nel canone, che portano il nome di Giovanni, ci aiutano a comprendere la collocazione del quarto Vangelo in rapporto al cristianesimo primitivo. Sembra che queste epistole giovannee siano tutte state scritte in un perio do di tempo posteriore al Vangelo. Furono composte dopo che il cristianesimo giovanneo si era collegato più strettamente con la corrente principale del pensiero cristiano primitivo. Sono state scritte, almeno in parte, per arginare la tendenza di un movimento deviante all' interno della chiesa giovannea. Sembra che questo movimento si basasse sullo stesso quarto Vangelo ! C ' erano alcuni nella chiesa giovannea posteriore che guarda vano seriamente ad esso, forse troppo. Come risultato, si trova rono a marciare fuori passo rispetto agli altri membri della loro chiesa. Gli autori delle tre epistole hanno cercato di identifi202
care gli errori di questo gruppo ribelle. Si sono rivolti e hanno scritto a comunità cristiane che discendevano teologicamente dal quarto Vangelo, ma a quelle che da quel momento si sono armonizzate con la corrente cristiana principale (vedi l' Appendice A, «Le epistole giovannee e il Vangelo di Giovanni))). Si noti quali siano gli aspetti che le epistole giovannee si preoccupano di correggere in questi eretici . L' escatologia della I Giovanni sottolinea la vicinanza della parusia (2, 1 8-25 ; 2,283 ,2). Ci si sofferma a fondo sull' umanità di Gesù contro una cristologia che non prende affatto sul serio l ' incarnazione come invece dovrebbe fare (I Giov. 2,22 ; 4,2 ; II Giov. 7). Sottolinea il peccato umano perché i ribelli non erano sufficientemente consapevoli del loro peccato (I Giov. l , 1 8 ss.). Le epistole sono state scritte da coloro che ritenevano che il cristianesimo giovan neo fosse completamente omogeneo alla corrente principale del cristianesimo ortodosso. Volevano correggere questi pensa tori radicali. Come dice J.L. Houlden, le epistole giovannee «sono tutte parte di una campagna per porre un freno a quelli che volevano "gnosticizzare" la tradizione giovannea dell ' in segnamento cristiano)) (The Johannine Epistles, New York, Harper & Row, 1 97 3 . Nel suo Commentario, Houlden compie un ottimo lavoro di collegamento fra il Vangelo e le epistole). Molto probabilmente, il quarto Vangelo era un documen to che costituiva la base di ispirazione per un movimento indipendente e di sfida. Non stiamo sostenendo che il gruppo attaccato dalle epistole giovannee interpretasse correttamente il Vangelo. Normalmente si sostiene proprio il contrario. Tuttavia, il fatto che tale movimento sorgesse dalla comunità giovan nea sulla base del quarto Vangelo è della massima importan za. II movimento gnostico del II secolo ali ' interno della chiesa cristiana trovò il Vangelo di Giovanni congeniale alle sue idee. Questo accadde, così ritengo, perché esso non era un documen to per cristiani standard, era diverso. In molti dei suoi temi dava spazio alla possibilità di interpretazioni eretiche: il suo dualismo, il suo determinismo e la sua cristologia. Questo dato di fatto storico, che il quarto Vangelo fosse suscettibile di inter pretazioni eretiche, rende chiara la nostra osservazione. Si tratta di un testo insolito della letteratura cristiana del primo secolo. Ernst Kasemann ha definito la teologia del quarto evangelista 203
come uno «gnosticismo ingenuo». Non penso che sia del tutto corretto, ma è anche vero che egli scrive con un ingenuo disin teresse per come le concezioni e i simboli possano inserirsi perfettamente all' interno dello schema emergente del pensie ro cristiano primitivo. Il Vangelo non è marchiato, è un indoma bile. Il suo autore non si preoccupa di «inserirsi» all ' interno del pensiero dominante. Questo evangelista, uomo o donna che sia, parla come pensa, preserva le tradizioni giovannee e si rivolge con il maggior effetto possibile ai primi lettori. C ' è qualcosa d i rinfrescante e d i eccitante in questo. È ciò che rende così intrigante lo studio del quarto Vangelo.
I L PENSIERO E IL SIMBOLISMO GIOVANNEI COME ESEMPI DELLA RICERCA DI FEDE
Come possiamo allora intitolare questa conclusione del nostro studio, «Giovanni. Il Vangelo indomabile»? Il suo rappor to con altre concezioni cristiane primitive sembra portare alla conclusione che si tratti di un Vangelo molto particolare, pensa to e scritto a partire da una situazione del tutto specifica. È difficile che possa essere uni versate ! Eppure, l ' altro tema del nostro studio è stato il mostrare come il quarto Vangelo, nel suo modo specifico, tratti con alcuni temi fondamentali della ricerca di fede delle persone. Abbiamo cercato di collegare i maggiori temi del pensiero giovanneo alle principali domande che si ritrovano in gran parte delle religioni. Abbiamo dimostrato che temi di caratte re generale, quasi universali, sono stati affrontati nel Vangelo indomabile. Rivediamo quelli evidenziati nel corso del nostro studio. Vi è la questione della natura del fondatore del movimen to religioso. Ogni religione deve pervenire a qualche defini zione della natura e dell' opera del suo fondatore. Ogni tradi zione religiosa si trova a elaborare questo problema, identifi cando alla fine una prospettiva teologica basata su qualche dichiarazione sul suo fondatore. Nella sua cristologia, il quarto 204
Vangelo cerca, con un sforzo audace, di fare esattamente questo con Gesù di Nazareth. Nella sua affermazione che egli era il Figlio del Padre, il Vangelo di Giovanni riflette sulla natura e sull ' opera del fondatore del movimento cristiano. Qual è la natura e la fonte del male, che si oppone e vuoi rendere vana la volontà di Dio? Ancora una volta, questa è una domanda di tipo uni versate nell ' ambito delle religioni . Ognuna propone una risposta, alcune più chiare delle altre, alcune con più insistenza delle altre. Ma quasi sempre un sistema religio so prende in considerazione la realtà degli aspetti indesidera bili della vita. Il Vangelo di Giovanni (forse inconsapevol mente) lo fa con il suo dualismo provocatorio. Quale che sia . il problema nella comprensione della natura di questo duali smo, si tratta di una risposta alla realtà del male. Questa divisio ne dualistica fra le persone è proprio quello che la volontà divina cerca di sconfiggere e il polo negativo di questo duali smo esprime la realtà della resistenza alla fede. Il rapporto fra fede ed esperienza ossessiona ogni pensa tore religioso. Come si deve inquadrare l 'esperienza in rappor to alla fede religiosa? La fede si basa sull' esperienza? Se è così, come? Tali domande non sono limitate al pensiero cristia no e neppure alla mentalità religiosa occidentale. Sono interes si religiosi universali. Il nostro Vangelo analizza a fondo e mette alla prova queste domande. Il risultato è che, celata in questo documento, rimane una concezione molto profonda del rapporto tra fede ed esperienza. Le religioni promettono una qualche salvezza, alcuni benefi ci per gli esseri umani . Il problema è se questi benefici venga no accordati nel corso dell'esistenza umana del credente o promessi per una qualche età futura. Il problema religioso del
rapporto del presente e del futuro nella promessa di salvezza è forse espressione di una domanda filosofica più ampia. Forse la domanda religiosa esprime l' interesse filosofico per la tripli ce ripartizione del tempo in passato, presente e futuro. Senza distinzione, la preoccupazione per la fruizione presente o futura del beneficio della fede cova in quasi tutte le tradizioni religio se. Nel suo enorme sforzo di mettere in primo piano il presen te come il tempo della salvezza, il quarto Vangelo offre una soluzione a questo interesse religioso universale. A partire 205
dal l ' esperienza della sua comunità, il Vangelo osa annunciare che per i cristiani l ' eternità è ora. Il fatto che il nostro Vangelo tratti di queste quattro temati che religiose universali costituisce il motivo per sostenere che si tratti di un Vangelo universale. Non intendiamo necessaria mente dire che offra un sistema religioso di pensiero e di prassi che, in ogni età, ogni persona può abbracciare completamen te. Certamente, ci potrebbe essere una buona base per una ri ven dicazione di questo tipo, ma ora non siamo interessati a questo genere di cose. Il punto è che questo documento ci mostra come combatte una comunità religiosa, almeno contro quattro (e senza dubbio anche di più) problemi che riguardano ogni perso na, quasi in ogni età. In questo senso il nostro è un Vangelo universale. Un esempio tratto da un' altra area della letteratura cristia na primitiva potrebbe aiutarci. Il libro dell ' Apocalisse e gli scritti di Karl M arx hanno molto in comune. S i a l ' autore dell ' Apocalisse (Giovanni di Patmos) sia Marx trattano di un problema religioso universale. Qual è il significato della storia? Ciascuno di loro ne propone una concezione e cerca il suo significato. Tutti e due tentano di provocare la fede dei loro lettori sul fatto che la loro concezione della storia sia quella corretta. Essi hanno a che fare con una domanda umana fonda mentale, che tutte le persone pensanti rivolgono a se stesse. Che cosa è la storia? Si tratta soltanto di una sequenza infor me di avvenimenti che non portano in nessun luogo? Esiste uno schema per gli eventi della storia? Il corso della storia è determinato soltanto dagli esseri umani? Oppure, esiste una qualche forza esterna che determina, o almeno indirizza, il senso generale della storia? Giovanni da Patmos e Marx danno risposte radicalmente diverse a queste domande, ma entram bi propongono delle soluzioni . Tutti e due rispondono ad un desiderio universale della mente umana di comprendere la storia. Il quarto Vangelo è universale in quanto si rivolge ad alcuni problemi di questo genere. Esso si estende al di fuori della sua ristretta cerchia parrocchiale per abbracciare esigen ze universali che sorgono dagli esseri umani in cerca di una comprensione basata sulla fede. Può darsi che il nostro concetto possa essere espresso in 206
questo modo: quel che è universale, nel pensiero del Vangelo, non è il contenuto, ma il metodo. Si tratta del modo in cui affronta tali argomenti . Lo sforzo di risolvere i problemi osses sionando le persone religiose è la sua caratteristica universa le. Quel che lo rende tale non è la soluzione che offre, ma i dilemmi che affronta. Le soluzioni sono forse meno rilevanti della volontà di porre interrogativi . Le sue risposte possono essere meno appropriate delle sue stesse domande ! Talvolta un insegnante viene ricordato da un suo alunno per anni. Spesso non è ciò che ha insegnato, ma il come lo ha insegnato a lasciare un' impressione così durevole. Il quarto evangelista è forse un pensatore universale non in virtù di quello che insegna, ma per come lo ha insegnato. In questo modo l ' autore, uomo o donna che sia, si pone come esempio per ogni persona religiosa e rappresenta la necessità di affrontare certi argomenti direttamente e con onestà. Alcuni vorrebbero evidenziare altri elementi per sostene re l ' universalità del Vangelo. Non voglio negare la loro richie sta e ho fatto io stesso tali richieste. Ma, al momento, vorrei che di ventassimo consapevoli del primo livello di universali smo presente nel Vangelo : il livello delle domande che vengo no poste . Infine, il quarto Vangelo è un indomabile, irriducibile, nel contesto del cristianesimo primitivo. Però tratta aspetti impor tanti della vita delle persone di fede dalle convinzioni molto differenti in molti secoli diversi . Esso rappresenta la varietà del pensiero cristiano primitivo e l ' universalità delle domande fondamentali collegate ali' essere persone di fede. Quindi è nello stesso tempo un Vangelo indomabile e un Vangelo universale. È mia convinzione che per anni , dopo la prima esecuzione della Nona sinfonia di Beethoven, il brano corale alla fine di quest' opera sia stato al centro di forti polemiche fra i critici . Essi dibattevano accoratamente il drastico allontanamento di Beethoven dalla tradizionale forma sinfonica classica. Il tema del movimento fi nale veniva considerato o un completo falli mento, oppure veniva salutato come un colpo di genio. I criti ci erano fortemente divisi su questo problema. Era chiaro che qualcuno era convi nto del fallimento artistico del l ' ultimo movimento, mentre altri della sua genialità senza precedenti. 207
Spesso è difficile distinguere fra genialità e completo falli mento. Sovente le persone geniali nel loro tempo sono consi derate degli idioti e la storia fornisce la prova che alcuni di quelli che sono stati acclamati come geni sono invece degli idioti . Così avviene con il quarto Vangelo. Dobbiamo dire che la sua opera o è geniale, un vero colpo di genio, oppure è uno spiacevole errore nel pensiero cristiano primitivo. Sembra che ci sia poco spazio per le valutazioni intermedie. Il problema, così penso io, può essere risolto soltanto da ciascun lettore alla luce delle sue convinzioni. Eppure, su questo dato possiamo concordare pienamente: il quarto Vangelo rappresenta un testo intrigante e provocatorio di letteratura religiosa. Si tratta di un testo che è degno del nostro studio volta dopo volta. Che sia l ' opera di un genio o di un pasticcione, il Vangelo di Giovanni ci invita ad analizzarlo e stuzzica la nostra mente con le sue idee e con il suo linguaggio pieno di immagini: ha avuto questi effetti sui cristiani per quasi venti secoli e continuerà a farlo senza dubbio nei secoli a venire.
208
APPENDICE A LE LETTERE GIOVANNEE E IL VANGELO DI GIOVANNI (con una nota sul libro d eli ' Apocalisse)
Gli aderenti ad una tradizione religiosa talvolta considera no i libri sacri della propria religione come un'espressione singolare, armonica e stati ca della verità. Mentre la storia dell' o ri gine di una religione può interessare gli studiosi, essa spesso sembra (e forse lo è) irrilevante per i credenti stessi . La vita è già troppo complicata anche senza le complessità del cambia mento e dello sviluppo storico presenti nella propria religio ne. Dopo tutto, noi vogliamo che la nostra religione abbia un' unica dimensione immutabile nell' ambito di un'esistenza piena fino al colmo di cambiamenti senza fine. Eppure la verità è che, quasi in ogni caso, uno studio critico e attento dei libri sacri fa emergere la diversità e i cambiamenti alle origini di una religione. La mentalità giudaica popolare ha voluto ritene re che il giudai smo risalisse indietro fino ad Abramo, con coerenza immutabile. Ma gli studiosi delle origini giudaiche dimostrano ondate di marea di cambiamento per tutti gli anni cruciali in cui si è consolidato il giudaismo normativo. Le cose non stanno diversamente per il cristianesimo. In verità, questo libro è stato scritto sulla premessa che il cristia nesimo giovanneo fosse considerevolmente diverso dalle altre espressioni di fede cristiana presenti nel primo secolo della nostra èra. Le indicazioni sulla fede e sulla vita che ricaviamo attraverso gli spioncini del Vangelo di Giovanni ci indicano cambiamenti anche ali ' interno di un' unica corrente del cristia nesimo primitivo. Se poi noi siamo così fortunati da poter dare un' occhiata supplementare a quello che potrebbe essere stata la stessa corrente del cristianesimo primitivo, si rimane senza 209
respiro per quello che si trova. Il primo mezzo secolo di esisten za del cristianesimo giovanneo costituisce un caso paradig matico dei mutamenti di una religione. Alcuni di questi cambia menti sono l' argomento di questa aggiunta alla nostra visita al quarto Vangelo. Un qualsiasi studio di esso solleva inevitabilmente una serie di domande riguardanti altri tre scritti presenti nel Nuovo Testamento, ai quali la tradizione ha collegato il nome di Giovanni. Qual è il rapporto fra la l, la II e la III lettera di Giovanni e il quarto Vangelo? Sono anch' esse opera del quarto evangelista? Sono state scritte prima o dopo il Vangelo? Una brevç occhiata a questi scritti più brevi, conosciuti con il nome di Epistole giovannee, fa da supplemento al nostro studio. Cerchiamo prima di sintetizzare alcune informazioni impor tanti su questi tre scritti prima di porre la domanda sul loro rapporto con il Vangelo di Giovanni.
LE LETTERE GIOVANNEE
si leggano le tre lettere di Giovanni, cercando di ricavarne le indicazioni centrali .
Letture preparatorie:
Una breve introduzione alle lettere giovannee richiede che esaminiamo l ' autore, la forma, l ' ambiente e il messaggio di ciascuna delle tre. L' autore delle tre lettere è stato considerato «Giovanni», sulla base delle evidenti somiglianze fra queste lettere e il Vangelo a lui attribuito. Prenderemo in esame queste somiglian ze nella prossima sezione. Per il momento è necessario dire soltanto che questi tre scritti non gettano maggior luce sui loro rispettivi autori più di quanto non faccia il quarto Vangelo sull' identità del quarto evangelista. Nella II e III lettera l' auto re chiama se stesso l' «anziano» (nel versetto iniziale di ciascu na lettera), ma la I lettera di Giovanni non ci fornisce in nessun luogo un'indicazione sul l ' identità del suo autore (suppongo che l ' anziano della II e della III lettera di Giovanni fosse un uomo, dal momento che la parola ho presbyteros in greco è un 210
maschile, mentre in Tito 2,3 troviamo un esempio della forma al femminile) . In conclusione, sull ' autore della prima lettera di Giovanni possiamo dire poco più che egli era una persona con una qualche autorità nella chiesa (o nelle chiese), in quanto lui, o lei, ritie ne di dare indicazioni alla/e comunità in materia di fede e di vita. Possiamo pensare anche che questo autore avesse il dono di una considerevole capacità letteraria e acume teologico. Possiamo dire poco di più della persona che si identifica con il nome di «anziano». Evidentemente, il titolo indica una certa autorevolezza. Tuttavia, l'espressione «anziano» potrebbe anche non riferirsi ad un ufficio stabilito. Potrebbe invece collegar si ad uno stadio iniziale dello sviluppo di quella che successi vamente è stata ovunque riconosciuta come una posizione di governo ecclesiastico. È anche possibile che il titolo si riferi sca semplicemente ad una persona avanti negli anni, la quale, in virtù dell' età e dell ' esperienza, è rispettata dalla comunità. Con prove così scarse non è allora un caso che la chiesa abbia impiegato quasi tre secoli per mettere insieme questi tre scrit ti e attribuirli allo stesso autore, il quarto evangelista. La forma della prima lettera è notevolmente diversa da quella delle altre due di Giovanni. Queste ultime sono eviden temente lettere, scritte nella forma standard presente nella lette ratura epistolare del mondo greco-romano. In quanto lettere, iniziano normalmente con una formula che identifica il mitten te e il destinatario: «L' anziano alla signora eletta e ai suoi figli>> (Il Giov. l) ; e «l' anziano al carissimo Gaio» (III Giov. 1 ) . Nel classico stile epistolare, questo primo elemento è seguito dai saluti che troviamo in II Giovanni 3 e in III Giovanni 2. Seguono poi alcune delle formalità che spesso si ritrovano nelle lettere contemporanee: «Come stai? Io sto bene» (vedi II Giov. 4 e III Giov. 3-4 ) . Poi l' autore entra nel merito dell ' argomento per cui scrive, per poi concludere con saluti e parole di pace (Il Giov. 1 2- 1 3 e III Giov. 1 3 - 1 5). Determinare la forma della II e III lettera di Giovanni è facile ! Il vero problema viene quando ci interroghiamo sulla I Giovanni . Come dobbiamo intenderla? Una lettera circolare, un sermone, un trattato argomentati v o o qualcosa d' altro? Non presenta nessuna delle caratteristiche di una lettera. Gli studio21 1
si hanno suggerito tante forme diverse quanti sono gli studio si stessi ! Così siamo lasciati con alcune indicazioni generali. Il documento sembra essere costituito da una serie di ammoni zioni e di parole di consolazione, collegate l ' una all ' altra in modo molto vago, ciascuna scritta in quello che possiamo considerare uno stile piuttosto sconnesso e quasi monologan te. È difficile formulare uno schema della prima lettera di Giovanni, in quanto è quasi impossibile cogliere gli stacchi logici nel flusso dell' argomentazione. La presentazione, tutta via, alla fine si concentra in alcuni temi, sui quali ci soffer miamo un momento. Sembra che la prima lettera di Giovanni sia una specie di antologia di frammenti che si collegano fra di loro per temi, per quanto indeterminati . I frammenti potreb bero essere spunti di sermoni, estratti dalla loro collocazione originaria e messi insieme in forma scritta. Questa antologia è stata scritta, questa è la mia proposta, con lo scopo di farla circolare fra alcune chiese. Una tale impostazione è soltanto uno spunto nell' oscurità della struttura della prima lettera di Giovanni, ma potrebbe essere un punto d' inizio. Quel che è più chiaro è una serie di indizi sulla situazione storica nella quale fu scritta e alla quale era diretta la lettera. Presentiamo una veloce sintesi di questi indizi: un gruppo, una volta interno alla chiesa (o alle chiese) si è volontariamente allontanato e i suoi membri, secondo la visione dell' autore giovanneo, non ne sono stati mai pienamente partecipi, né sono stati autentici cristiani (2,9). Secondo l ' autore, queste perso ne appartenenti al gruppo separatista: •
non praticano l ' amore, almeno in rapporto ai lettori della prima lettera di Giovanni (2,9- 1 1 ; 4,20-2 1 );
•
negano l ' umanità di Cristo (2,22; 4,2-3 ; 5 ,5-6) ;
•
sono alleati con forze in lotta con la fede della chiesa (2, 1 51 6; 4,5-6) ;
•
sono strumenti del male (3,8) e anche gli anticristi degli ultimi giorni (2, 1 8-23), in quanto non si riconoscono negli insegnamenti presenti nella generalità delle chiese (4,6);
•
pretendono di conoscere e amare Dio e di mettere in prati ca la loro fede, ma in verità non lo fanno ( l ,6; 2 ,9);
212
•
sono quindi colpevoli di un «peccato mortale», anche se essi pretendono di essere liberi dal peccato ( l ,6- 1 O; 3 ,3-6);
•
vivono senza limiti morali (3 ,4- 1 0).
L' autore scrive senza dubbio in base a pregiudizio nella presentazione di questi ribelli e il lettore non ne ricava nulla che si avvicini ad una descrizione oggettiva e corretta di costo ro né della loro fede. Gli sforzi per identificare il gruppo di dissidenti generalmente si spingono nel II secolo per arrivare a cristiani di impostazione gnostica. Questo gruppo negava l ' umanità di Cristo in favore di un essere puramente divino ed erano propensi a credere che la loro fede cristiana li liberasse da qualsiasi legge morale. Tentativi di questo genere per identi ficare i ribelli descritti nella prima lettera di Giovanni hanno un valore molto relativo. Ci poniamo su di un terreno più solido se diciamo soltanto che i «separatisti» della I e II lettera di Giovanni erano probabilmente i precursori dei cristiani gnosti ci del periodo successivo. Ma certamente la prima lettera di Giovanni fu scritta per affrontare una situazione determinata si da uno scisma in una comunità o in una serie di comunità. Inoltre, la diversità fra l ' autore della prima lettera di Giovanni e i suoi (di lui o di lei) oppositori aveva il suo centro nella concezione più corretta di Cristo, del peccato e della morale. Il documento, allora, è stato scritto per rafforzare la fiducia delle chiese originali. La prima lettera di Giovanni alterna assicurazioni (per esempio 3, 1 9-24) ed esortazioni (per esempio 2, 1 5- 1 7). L'autore vuole cementare i lettori attorno ad un' uni ca comprensione della vita e della fede cristiana. Egli aveva anche sufficiente spirito pastorale per sapere che i lettori erano stati scossi da questo trauma nella (o fra le) comunità. La separa zione da precedenti fratelli e sorelle nella fede aveva causato dubbi e incertezze : «Forse i dissenzienti sono nel giusto e noi nel torto ! » . Così, essi hanno bisogno di essere riassicurati del fatto che la loro comprensione del cristianesimo sia vera. Questo autore ha l' obiettivo di placare un disagio nella/e comunità, di prevenire altre divisioni fra i suoi membri e di proporre l' iden tità fondante della comunità così da purificare il corpo da una malattia mortale. Questo sembra essere un probabile contesto e un possibile scopo per la stesura della prima lettera di Giovanni. 213
Il contesto della II lettera può essere parallelo a quello proposto per la prima. La seconda sollecita i lettori a vivere una vita morale, forse in contrasto con altri (vv. 5-6). Anche questa propone una concezione di Cristo come essere umano, contro «ingannatori» che insegnano altrimenti (v. 7). A simili falsi cristiani, si sostiene, si deve negare ospitalità quando vengono nel paese in cui abitano i destinatari della lettera (v. l 0). Non è difficile immaginare che qualcosa di simile al conte sto proposto per la prima lettera di Giovanni si nasconda nelle oscurità storiche che si celano dietro la seconda. I dissenzien ti stanno propagando i loro punti di vista nei paesi vicini e l ' «anziano» cerca di smorzare la loro influenza. È più difficile collegare la terza lettera di Giovanni al conte sto di uno scisma. Un certo Diotrefe si è dimostrato egli stesso un perturbatore della pace nella comunità di cui Gaio (al quale è inviata la lettera) è il responsabile. Questo distruttore viene accusato di pretendere più autorità di quanto non meriti (v. 9). Egli rifiuta di riconoscere l ' autorità dell ' anziano e alimenta chiacchiere sul responsabile della comunità. Ha anche caccia to quelli che non la pensano come lui (v. l 0). Più serio, forse, è il fatto che non riceve i cristiani in visita (v. 1 0) . In questo caso l ' anziano cerca di guadagnarsi la lealtà di Gaio e con questa rafforzare l ' influenza dell' autore della lettera all ' inter no della comunità. Tutto questo è abbastanza chiaro. Lo è meno il fatto che la situazione evidenziata dalla terza lettera di Giovanni sia colle gata a quella che si coglie nella prima e nella seconda. Forse la terza si collega alla seconda soltanto mediante il titolo dell' au tore («l' anziano») e in origine non aveva alcun rapporto con le comunità alle quali sono rivolte le due prime lettere giovan nee. Ma è anche possibile che Diotrefe abbia reagito alla confu sione determinatasi dalla divisione nelle chiese ricercando una posizione di isolamento. Confuso dalla disputa creatasi fra il settore centrale della chiesa e quelli che si erano separati da esso, egli in verità dice: «Sono tutti e due una piaga. Noi non avremo più nulla a che fare né con i cosiddetti "dissenzienti", né con l ' anziano ! » . Un a connessione di questo genere, in verità, richiede molta immaginazione, comunque è plausibile. In ogni caso, nella terza lettera di Giovanni assistiamo ad una lotta di 214
potere fra coloro che pretendono di esercitare autorità all ' in terno di una comunità. Il messaggio della prima epistola di Giovanni (condiviso in parte dalla seconda) è di gran lunga il più importante dei tre. Per quanto la struttura rimanga oscura, i terni dello scritto si possono facilmente raggruppare attorno a cinque punti . Il primo è la natura umana di Cristo (per esempio l Giov. 4,2; vedi anche II Giov. 7). Il secondo è l' opera salvi fica di Cristo (per esempio I Giov. 1 ,7b.9; 2,2; 3 , 5 ; 4, 1 0) . La comprensione della natura del peccato costituisce il terzo tema (l Giov. 1 ,8 . 1 0 ; 3 ,4.8.9; 5 , 1 6- 1 7). Quarto, tutte e tre le lettere sottolineano l ' importan za di una vita morale per il cristiano (per esempio I Giov. l , 7 ; 2,3 .4.6.24; 3,7. 1 4 ; 4,5 .7. 1 6; II Giov. 5-6; III Giov. 1 1 ). I l coman damento «amatevi gli uni gli altri» è presente non meno di cinque volte in queste lettere (l Giov. 3 , 1 1 .23; 4,7. 1 1 - 1 2; II Giov. 5). Infine, il tema dell' «ultimo giorno» occupa un posto importante nella prima e nella seconda (l Giov. 2, 1 8.28; 3,2; 4, 1 7 . 1 8 ; II Giov. 7-8). Questi documenti sono importanti per il Nuovo Testamento e per la nostra comprensione della storia del cristianesimo primitivo, in quanto ci permettono di avere un ' istantanea della lotta della chiesa primitiva per mantenere la sua unità e integrità. Ci portano dietro le quinte per farci vedere qualche panno sporco del cristianesimo primi ti v o. La chiesa non è, dopo tutto, una grande famiglia felice. Ci sono divisioni, dispute, accuse, condanne e lotte per il potere. Tuttavia, queste lettere sono più che una semplice presentazione di un lato oscuro della storia del cristianesimo primitivo. Dimostrano la sfida di fronte alla quale si sono trovati i primissimi cristiani per definire la loro identità. Che cosa è di importanza cruciale per la fede cristia na? Si può credere qualunque cosa su Cristo, oppure esiste una concezione vera che rende false tutte le altre? In altre parole, le lettere giovannee ci presentano la lotta per determinare un' unica, vera teologia: l ' ortodossia. Esse ci permettono di dare una sbirci atina nella lotta per la purezza dottrinale ed etica da una parte e la tolleranza dali' altra. Inoltre, ci permettono di guardare attraverso il buco (determinato dalla caduta del nodo di una tavola di legno) di un muro vecchio di quasi duemila anni, da cui osservare la lotta per il potere che è in pieno svolgi215
mento. Qual è l ' autorità dei capi della chiesa? Fin dove si esten de? Questi due argomenti gemelli dell' ortodossia (nella fede e nella prassi) e dell' autorità sono di somma importanza per l'emergere della chiesa. Le lettere giovannee ci permettono di bloccare l ' azione in un luogo e in un tempo specifici, così da essere testimoni della lotta su questi argomenti. Ancor più importante è il fatto che esse ci mettono in grado di rivedere questi argomenti in carne e sangue, vedendoli rivivere negli occhi combattenti e nei cuori feriti di alcuni dei partecipanti e di poter assistere al trauma del processo di maturazione della chiesa avvenuto verso la fine del primo secolo.
IL RAPPORfO FRA LE LEITERE E IL VANGELO DI GIOVANNI
si rileggano ancora una volta le tre lettere di Giovanni, questa volta ricercandone i paralleli e i contrasti con il Vangelo di Giovanni .
Letture preparatorie:
Ora abbiamo almeno una qualche idea sulle preoccupa zioni centrali delle lettere giovannee. Siamo quindi pronti a domandarci come si rapportano al Vangelo indomabile. Le domande vitali sono queste : le lettere sono state scritte dal quarto evangelista? Dove e in quali situazioni sono state scrit te rispetto al Vangelo di Giovanni? In che cosa si differen ziano dal quarto Vangelo nella loro comprensione della fede e della vita cristiane? Il problema dell 'autore è intriso di difficoltà. L'identificazione tradizionale con il quarto evangelista è stata oggetto di indagi ne critica e questa tesi non è più sostenuta così largamente come in passato. Però, quando si leggono le lettere giovannee, si rimane colpiti da quanto spesso si ritrovi un' atmosfera familia re per quanto riguarda il linguaggio e lo stile. Le lettere conten gono un impressionante numero di somiglianze con il Vangelo. Sono più frequenti nella prima lettera di Giovanni. Pochi esempi sono sufficienti : l' uso di parole e di espressioni come «vita» 216
(3,5), «Vita eterna» (5, 1 1 ) , «verità» (5,6), «Padre»l«figlio» (4, 1 4) e <
> (vv. 3 .9) e «nuovo comandamento» (v. 5). Nella terza l' affinità di vocabolario è rintracciabile soltanto nell' u so della parola «verità» (vv. 1 . 3 .4.8. e 1 2). Tuttavia, dal momen to che la seconda e la terza lettera di Giovanni sono così brevi e sono, dal punto di vista letterario, delle lettere (un genere ben diverso dal vangelo), non ci dobbiamo aspettare di trovare la stessa impressionante sequenza di paralleli. Eppure si possono anche evidenziare le differenze, special mente di tipo tematico, fra il Vangelo e le lettere giovannee. Nella prima, per esempio, il lettore è colpito dall' accento che viene posto sull' escatologia futuristica (per esempio 2, 1 8), con poca, se non alcuna, evidenza del presente, sull ' escatologia realizzata che siamo giunti a conoscere nel quarto Vangelo. La parola «dottrina» (didache) in II Giovanni 9, 1 0 ha una diversa connotazione di quella presente nel quarto Vangelo (cfr. Giov. 7, 1 6. 1 7 ; 1 8 , 1 9). L' espressione «signora eletta» di II Giovanni l è estranea al lettore del Vangelo. Il particolare rilievo dato all' ospitalità verso gli stranieri nella III Giovanni (vedi 5-8), così come l' uso della parola «chiesa» (ekklesia) nel versetto 9, sono, nel migliore dei casi, addizioni al vocabolario giovanneo. Questa breve presentazione dei rapporti fra il Vangelo e le lettere di Giovanni è sufficiente per indicare che ci troviamo dinnanzi ad un problema. Come possiamo spiegare, da una parte, le somiglianze di vocabolario e, dall' altra, le differen ze? Se permettiamo alla nostra mente di elaborare liberamen te questo problema, emergono due possibilità. Potremmo conclu dere che lo stesso autore abbia scritto il Vangelo e le lettere di Giovanni, ma in un di verso periodo di tempo e in due conte sti differenti. Questa ipotesi renderebbe ragione delle somiglian ze e nello stesso tempo delle differenze. Oppure, diversi autori potrebbero essere stati sufficientemente influenzati dal Vangelo di Giovanni da indurii ad imitarne il vocabolario, senza essere 217
necessariamente del tutto coerenti con il suo pensiero. Si pensi per esempio al modo in cui un romanziere potrebbe essere influenzato dalle opere di un autore precedente. Infine, possia mo combinare le due ipotesi e completarle in modo da prende re in considerazione uno scenario diverso. Si supponga che questo autore (o questi autori) fosse parte della comunità giovan nea già da molto tempo, oppure da poco, rispetto al momento in cui fu scritto il Vangelo. Il vocabolario giovanneo sarebbe naturale, anche quando le circostanze esterne fossero diverse. Almeno per quanto mi riguarda, questa terza possibilità si fa preferire. Non potrebbe forse essere il caso che le lettere giovannee (o almeno la prima e la seconda) siano state scritte dalla e per la comunità giovannea in un momento in cui la sua situazione era fortemente diversa da quella in cui fu scritto il Vangelo? Questa proposta spiegherebbe le somiglianze senza pretendere che l ' autore (o gli autori) sia del tutto coerente con il Vangelo. Ci consente di non essere obbligati a spiegare le cause delle differenze di pensiero di un singolo autore fra un documento e l ' altro. Inoltre, questa proposta apre la possibi lità che ciascuna delle tre lettere possa provenire da una mano diversa. Sicuramente, la seconda e la terza lettera vengono dallo stesso autore, l' «anziano» . Ma la prima potrebbe benis simo essere stata scritta da un altro capo della comunità. Questa proposta richiede che riflettiamo bene sul quando e in quali condizioni furono scritte le tre lettere. Il problema della datazione si scioglie più facilmente se si concorda con l ' ipotesi che le lettere siano state scritte da autori diversi dal quarto evangelista, ma provenienti dalla sua stessa comunità. Il problema allora si modifica e consiste nello stabi lire se le lettere siano state scritte dopo il Vangelo o prima. La natura dei problemi con i quali la comunità sta lottando nelle lettere giovannee costituisce la chiave del nostro rompicapo. Questi sembrano riflettere un momento posteriore della chiesa cristiana, certamente successivo a quello che ha dato origine al Vangelo di Giovanni . In particolare, l ' interesse mostrato per una fede e una prassi cristiana corretta e per l' autorità eccle siastica fanno propendere per un tempo posteriore. La comunità giovannea al tempo della redazione del Vangelo era preoccupata per la disputa con la sinagoga. Il suo obietti218
vo vitale era definire la propria identità differenziandola bene rispetto al giudaismo. Il suo interessamento per una dottrina corretta si riferisce soltanto alla confessione di fede messiani ca: Gesù è il Cristo, nonostante quello che dice la sinagoga. Sembra esserci ben poco interesse, se non alcuno, per le diver se concezioni di Cristo all' interno della comunità cristiana stessa. Inoltre, la chiesa vista attraverso le lenti del quarto Vangelo ha ben poco interesse per l ' autorità dei suoi capi. Anzi, la chiesa giovannea del tempo in cui fu scritto il Vangelo ritene va di essere governata dall' autorità dello Spirito (vedi nel cap. 4, le sezioni sullo Spirito e sulla chiesa). Una comunità religio sa molto sensibile alla guida immediata dello Spirito divino non ha bisogno di capi ufficiali umani. Le sue figure princi pali emergevano in forma non ufficiale (in modo carismatico, diremmo oggi) e costituivano la dimostrazione convincente della guida dello Spirito. Al tempo in cui furono scritte le lettere, la comunità giovan nea si era occupata dei problemi interni. L' attenzione era scivo lata dall' antagonista presente ali ' esterno della chiesa verso quello interno. Quale tipo di confessione messianica è più corretta e vera? Il rapporto con la sinagoga non è più rilevan te, ma i rapporti fra i diversi gruppi cristiani sono ormai al primo posto. Inoltre, la guida dello Spirito ora viene intesa come mediata dalle persone che rivestono un incarico ufficia le nella chiesa. Il senso di immediatezza della guida dello Spirito, che pensiamo di vedere nel Vangelo di Giovanni, ha lasciato il suo posto ad una guida mediata. I mediatori sono coloro che sono stati eletti dalla comunità tramite un qualche procedimento ufficiale. Questa prassi non è ancora universal mente accettata, così sembrerebbe, dal momento che la III Giovanni suppone che ci siano cristiani che si sentono liberi di sfidare l ' autorità dell' «anziano» . È possibile che il Vangelo di Giovanni sia stato scritto prima, e le lettere giovannee più tardi . Se dobbiamo indicare delle date per questi scritti , potremmo indkarle così . Il Vangelo è stato scritto forse nel decennio successivo alla distruzione del tempio di Gerusalemme (70 d.C. , vedi la discussione sulla datazione del Vangelo nell ' Introduzione). Almeno un altro decennio passa dal momento della sua composizione prima 219
che le lettere siano stilate. Quindi, il Vangelo è stato scritto fra il 75 e 1 ' 85 e le lettere fra il 90 e il 95 d.C. Naturalmente queste sono approssimazioni e il risultato di alcune supposizioni . Tuttavia, c ' è ancora molto da fare sulla strada del confronto fra i gemelli letterari giovannei. Si deve affrontare ora il problema della prospettiva cristia na. Molte prove mettono in evidenza il fatto che, al tempo i n c u i sono state scritte le lettere, la comunità giovannea avesse compiuto alcuni importanti scostamenti dalla tradizione presen tata nel Vangelo. Per quanto si tenesse ancora strettamente legata a quella tradizione, la comunità era stata influenzata da altre correnti di pçnsiero cristiano. Se guardiamo le cose da un punto di vista positivo, la tradizione giovannea è stata «arric chita» da altre tradizioni ed è stata allineata al risultato delle altre prospettive cristiane. Alcuni esempi di tali mutamenti di prospetti va sono eviden ti. Abbiamo già parlato del fatto che l ' escatologia futuristica delle lettere sembra aver spinto in un angolo l ' escatologia del presente proposta dal Vangelo. Il delicato equilibrio fra presen te e futuro, così efficacemente raggiunto nel testo del quarto evangelista, si è sbilanciato verso il futuro. Inoltre, la compren sione deli ' opera sal vi fica di Cristo presente nella prima lette ra di Giovanni è considerevolmente diversa (dovremmo dire più matura?) di quella del Vangelo. La morte di Gesù è un «sacrificio espiatorio» (hilasmòs, I Giov. 2,2; 4, 1 0) che purifi ca (kathariziJ) i peccati mediante lo spargimento del sangue. Gesù è ora il parakletos «che toglie il peccato» (2, 1 ), un uso molto diverso della stessa parola utilizzata nel Vangelo (vedi nel cap. 4 la sezione sullo Spirito). Anche la soteriologia è coinvolta nella «unzione» (chrisma, una parola estranea al vocabolario del quarto evangelista) di cui si parla in 2,20 e 27. Mentre il Vangelo ha poco da dire nel settore dell' insegna mento etico, la prima lettera di Giovanni parla del pericolo di «assenza di legge» nel campo della morale (3 ,4). Mentre per il quarto evangelista il peccato è semplicemente mancanza di fede, l ' autore della prima lettera sente la necessità di distin guere fra «peccato che conduce a morte» e «peccato che non conduce a morte» (l Giov. 5, 1 6- 1 7). Queste differenze non costituiscono contraddizioni eclatan220
ti, ma semplici cambiamenti. Ogni punto di contrasto può essere spiegato a partire dalle sue radici nel Vangelo, ma qualcosa di nuovo è stato aggiunto o qualcosa è stato sottratto. Non potreb be forse essere che la comunità giovannea abbia imparato e si trovi in un processo di adattamento ad altre forme (forse predo minanti) di pensiero cristiano? Molte differenze, ma non tutte, della prospettiva cristiana del Vangelo e delle lettere possono essere spiegate sulla base di questa premessa. La comunità in cui fu scritto il Vangelo, così ho sostenuto fin dal principio, era una comunità relativamente isolata dalle altre correnti di pensiero cristiano, come quella paolina. Tuttavia, la comunità dalla quale sono emerse le lettere giovannee tradisce la prova di aver avuto alcuni rapporti con queste altre tradizioni (per esempio, un' escatologia che propende per l ' attesa futura e una comprensione della morte di Gesù espressa con la metafora ripresa dal culto sacrificale giudaico). Ne risulta un nuovo filone di cristianesimo giovanneo molto più compatibile con altre chiese cristiane. Però la proposta di una tale origine delle innovazioni nelle lettere non sminuisce il fatto che l ' autore (o gli autori) e la comunità furono creativi (per esempio, il concet to della «unzione» di cui si è parlato qui sopra, non ha un esatto corrispondente in nessun altro testo del Nuovo Testamento). Uno schema può aiutarci a vedere più chiaramente la storia della comunità giovannea nel suo rapporto con le altre comunità cristiane del primo secolo. Lo schema 1 4 ipotizza che ci fosse uno scambio fra tradizioni cristiane prima ancora che fossero scritti sia i Sinottici sia il Vangelo di Giovanni (vedi la presen tazione deli' argomento dei rapporti fra i Sinottici e il Vangelo di Giovanni nell ' Introduzione), ma che l ' influenza degli altri gruppi cristiani sulla chiesa giovannea fu minima nel periodo in cui questa rimase in rapporti con la sinagoga. Dopo l' espul sione dalla sinagoga, però, si stabilirono frequentazioni con le altre chiese che ebbero un forte impatto sulla comprensione giovannea del cristianesimo. Forse le linee di influenza agiro no anche in senso inverso, vale a dire, può darsi che la comunità giovannea abbia influenzato le altre chiese. Il Vangelo indomabile sta per essere addomesticato !
22 1
Cristiani nella sinagoga
r
ulsione
Cristiani giovannei ----
Chiesa giovannea
Influenza Altre chiese cristiane
t
delle epistole
______ ...._ ...
_______
Schema 1 4 NOTA SUL LIBRO DELL' APOCALISSE
Poiché l ' autore dell' Apocalisse si presenta con il nome di «Giovanni» ( 1 , 1 .4.9; 22,8), l ' ultimo libro del Nuovo Testamento viene spesso messo sullo stesso piano del Vangelo e delle tre lettere di Giovanni . In particolare, dal momento che l' autorità e il valore dell' Apocalisse furono messe in dubbio per un certo periodo nella chiesa primitiva, la sua attribuzione al quarto evangelista è stata un modo per rendere autentico il suo inseri mento nel canone cristiano. Quindi il problema del rapporto dell �pocalisse con il Vangelo di Giovanni merita almeno una nota. Alcuni studiosi dell' Apocalisse hanno notato somiglianze fra questo libro e il quarto Vangelo. Due tipi di affinità vengo no messe in evidenza, molto diverse fra di loro, e ci permet tono di cogliere il dato in base al quale molti ritengono che vi sia un rapporto fra i due documenti . Il primo è l ' associazione di vocabolario, in particolare per quanto riguarda l 'uso del 222
titolo «Agnello» per indicare ·cristo. Il Vangelo di Giovanni utilizza esplicitamente questo titolo soltanto due volte ( l ,29.36). Tuttavia, la datazione della crocifissione riportata dal Vangelo, che corrisponde al giorno in cui si immolavano gli agnelli per la festa di Pasqua, può implicare il titolo (vedi n eli' Introduzione la sezione sul rapporto fra i Sinottici e il Vangelo di Giovanni). Nell ' apocalisse, «Agnello» è il titolo utilizzato più frequente mente per Cristo (per esempio 5,6. 8 ; 1 2, 1 1 ; 1 3, 8 ; 1 7, 14; 2 1 ,9). Una seconda somiglianza esemplare viene spesso colta nello stile dell' Apocalisse e del quarto Vangelo. Entrambi sono poeti ci e talora sfociano in vera poesia (per esempio Giov. 1 , 1 -8; Apoc. 1 8,2 1 -24; 1 9, 1 -3). I testi innici, inoltre, appartengono al genere che potrebbe aver avuto origine ed essere utilizzato nel culto cristiano primitivo (per un' analisi completa di questo argomento si può vedere l ' introduzione del classico commen tario al libro dell' Apocalisse di R.H. Charles). Sotto le apparenti somiglianze, però, esiste una differenza sostanziale. L' Apocalisse è un genere letterario specifico, conosciuto come apocalittico (si riveda la presentazione intro duttiva al cap. 4). Quindi l ' intera sua prospettiva invita il letto re a proiettare la promesse di Dio nel futuro. Il Vangelo di Giovanni, come abbiamo visto, è molto attento nel completa re questa con una forte attenzione al presente. Può anche essere letto come un consiglio contro i pericoli di una mentalità apoca littica. Tuttavia, esprimere le diversità in questo modo potreb be essere superficiale. L'apocalisse di Giovanni ha il chiaro scopo di modificare la percezione del presente del lettore, dimostrandone il suo rapporto con il futuro. Poiché Dio ha promesso ai cristiani la vittoria definitiva sui loro oppressori, l ' esperienza di oppressione è radicalmente trasformata. Non possiamo accantonare con troppa facilità l ' Apocalisse, consi derandolo orientato completamente al futuro. In realtà, si potreb be sostenere che l ' escatologia apocalittica cerchi di raggiun gere in modi diversi lo stesso obiettivo che il Vangelo di Giovanni vuole centrare con la sua attenta articolazione dell' escatolo gia del presente e del futuro. Il genere letterario dei due testi è radicalmente diverso: uno è di tipo apocalittico, l ' altro è un vangelo. Quindi ciascuno tratta i ' argomento del futuro in modo diverso. 223
Tuttavia, date le somiglianze e la natura attenuata delle differenze più importanti, l ' argomento è ancora pieno di diffi coltà. Il linguaggio e lo stile dei due documenti sono radical mente diversi, così come pure le rispettive teologie (cfr. le rispettive teologie della croce) . Anche una lettura casuale dei due libri, l' uno dopo l ' altro, rende difficile credere che siano opera dello stesso autore. Supponiamo, però, che il libro dell' Apocalisse abbia avuto origine nella comunità giovannea e forse anche dalla mano del quarto evangelista. Quale rapporto esiste fra i due testi nell' am bito della storia della comunità? Sono ipotizzabili due schemi molto diversi. Il primo vedrebbe l ' origine dell 'Apocalisse molto presto nella storia della comunità, prima ancora della redazio ne del Vangelo di Giovanni (e dell ' espulsione dei cristiani giovannei dalla sinagoga) e prima delle lettere giovannee. L'attento equilibrio fra escatologia presente e futura presente nel Vangelo, allora, si deve comprendere come un modo diver so di esprimere le promesse di Dio presentate nell ' Apocalisse. Una tale ipotesi richiede che la datazione dell' Apocalisse sia molto anticipata. Dal momento che molti ritengono che tale libro sia stato scritto in un periodo in cui i cristiani erano in serio conflitto con l' Impero romano, farlo risalire agli anni 60 sarebbe l ' unica possibilità. L' altro schema rovescia completamente l' ordine. Prima furono scritti il Vangelo e poi le lettere, seguiti dall' Apocalisse. In questo caso la traiettoria indicherebbe una sempre maggior attenzione all ' escatologia futuristica. Il Vangelo manteneva un equilibrio fra presente e futuro. La prima lettera di Giovanni sottolineava ancor più fermamente la dimensione futura delle promesse di Dio. Il libro dell' Apocalisse sarebbe stato scritto subito dopo le lettere, nel tempo in cui i cristiani pativano le persecuzioni per ordine dell' imperatore Domiziano (oppure per il fatto che Giovanni preannuncia questa persecuzione) nell' ultimo decennio del primo secolo. Per quanto queste speculazioni siano interessantissime, sembra molto meglio non forzare l ' Apocalisse nella costru zione già di per sé speculativa della storia della comunità giovannea. I due schemi storici sopra abbozzati danno l' impres sione di forzare l ' Apocalisse in una strettoia inizialmente non 224
prevista. Certamente c' erano molti «Giovanni>> nella chiesa cristiana primiti va. Che l' autore del libro dell' Apocalisse chiami se stesso Giovanni e che la tradizione abbia chiamato l ' auto re del quarto Vangelo con il nome di Giovanni ben difficil mente può costituire la base per attribuire i due scritti ad uno stesso autore. La mia ipotesi, quindi, è che il libro dell' Apocalisse sia considerato sulla base dei propri meriti, senza ricorrere alla cosiddetta letteratura giovannea nel tentativo di penetrarne i suoi misteri . L' Apocalisse è un testo indomabile nel suo genere, nell' am bito della letteratura neotestamentaria. Corre libero, così come abbiamo detto per il Vangelo di Giovanni. È molto meglio lasciare che ciascuno di questi cavalli in domabili sia se stesso, anziché cercare di sostenere che sono figli diversi degli stessi genitori.
APPENDICE B LE DONNE NEL VANGELO DI GIOVANNI
Non è insolito per una religione formulare norme per la vita comunitaria e per i ruoli specifici di gruppi all' interno della comunità. Esempi di tali sforzi si trovano in quei testi del Nuovo Testamento noti con l ' espressione «codici domestici» (per esempio Ef. 5,2 1 -6.9). Nella cultura islamica degli anni Novanta il ruolo delle donne, dettato dal Corano, ha attirato l' attenzio ne del mondo occidentale quando alcune donne islamiche hanno protestato contro la proibizione di guidare un' automobile. Come il cristianesimo, anche l ' islam combatte una vecchia posizio ne delle donne fra crescenti pressioni della vita moderna per aggiornarsi. Anzi, il posto e il ruolo delle donne è uno degli elementi cruciali che tutte le principali religioni del mondo devono affrontare. Per essere un documento del primo secolo, il nostro affasci nante Vangelo indomabile ci presenta una concezione unica su di esse, per quanto non sia insolito trovare donne presenti nelle narrazioni dei Vangeli sinottici. Anzi, esse svolgono un ruolo preminente in tutti i Vangeli presenti nel Nuovo Testamento. Occorre solo richiamare la solida fede della donna cananea in Matteo 1 5,2 1 -28 (vedi anche Mc. 7 ,24-30). Gesù stesso si meraviglia del grado di fede presente nella donna. Oppure, basta richiamare alla mente la donna che aveva sofferto per dodici anni di perdite di sangue e sgusciò fra la folla per tocca re il lembo del mantello di Gesù (Mc. 5,25-34; vedi anche M t. 9, 1 8-22 e Le. 8,43-48). Gesù le dice che la sua fede l ' ha guari ta. Queste sono soltanto due delle molte donne presenti nei Vangeli sinottici poste come esempio di fede. Le donne sono ben lungi dall' essere cittadini di seconda classe nei racconti sinottici di Gesù. Il Vangelo di Giovanni è degno di nota per la sua presen226
tazione intenzionale delle donne come modelli di fede. Possiamo facilmente cogliere questa straordinaria qualità esaminando, prima di tutto, il ruolo delle donne nella struttura generale del Vangelo, avvicinandoci poi a ciascuno dei personaggi femmi nili che incontrano Gesù ed infine traendo qualche conclusio ne da questa mini panoramica.
LE DONNE NELLA STRU1TURA DEL VANGELO DI GIOVANNI
Questo evangelista è scaltro e intelligente nella presenta zione delle donne. L' intera struttura narrativa sembra costrui ta in modo tale da far insinuare alcuni messaggi sottili nella mente dei lettori . Come i messaggi subliminali, l ' autore del Vangelo lancia messaggi fra le righe, oppure, come in questo caso, fra le diverse scene della narrazione. Una delle tecniche letterarie utilizzate è l ' insinuarsi furtivamente dietro l ' inso spettabile lettore e impiantarvi una suggestione di cui lo stesso lettore non è del tutto consapevole in un primo momento. Solo dopo che l ' evangelista ha fatto ciò abilmente più volte, il letto re comincia a coglierne il messaggio. Questo è quanto accade con il tema delle donne. Quando ci chiediamo dove, nel corso del racconto giovan neo, l ' autore presenti personaggi femminili in azione, scopria mo che spuntano in tutte le scene cruciali. Se il lettore ha fatto le letture preparatorie indicate, non sarà sorpreso nel consta tare che le donne compaiono nei capitoli 2; 4; 1 1 ; 1 2 ; 1 9 e 20. Quanto sono importanti questi capitoli ! Le donne sono presen ti molto presto nella narrazione del ministero di Gesù, inizian do con il ruolo di sua madre nel primo miracolo in pubblico (2, l - 1 1 ) . Segue da vicino la donna samaritana del capitolo 4. Poi per sei capitoli il racconto è dominato dagli uomini. Ma al momento cruciale della risurrezione di Lazzaro, Maria e Marta compaiono in primo piano. Marta assume il ruolo di guida femminile nel capitolo l l e Maria nel capitolo 1 2. Questi costi tuiscono il punto di svolta centrale della narrazione giovannea (si veda nell ' Introduzione, la sezione sulla struttura letteraria 227
del Vangelo). L' azione miracolosa di Gesù del capitolo 1 1 fa scattare il complotto mortale contro di lui ( 1 1 ,45-54) che verrà messo in atto nel capitolo 1 8. L' unzione di Gesù da parte di Maria ( 1 2, 1 -8) lo prepara per la morte e apre il capitolo che costituisce l ' ultima apparizione pubblica di Gesù prima della passione. Al culmine di tale fase, un gruppo di donne è presen te ai piedi della croce, compresa sua madre, Maria di Magdala e altre ( 1 9,25). La loro presenza è sottolineata dalla vistosa assenza di tutti i seguaci maschili, tranne uno (il discepolo prediletto, se questo personaggio era un maschio). Infine, il punto culminante dell'intero Vangelo si trova nei racconti delle apparizioni del Risorto, e chi potrebbe essere il primo a scopri re la tomba vuota e a incontrare il Cristo risorto se non una donna: Maria di Magdala ! Le donne sono coinvolte all' inizio, al centro e alla conclu sione della narrazione giovannea, come indica lo schema 1 5 .
Donne ai piedi della croce Maria Marta Donna samaritana 4 Madre di Gesù 2 Schema 1 5
Qual è il messaggio subliminale di questo progetto? Innanzitutto, le donne erano fra i discepoli di Gesù: su questo fatto il quarto Vangelo non ammette alcun dubbio. Esse sono uguali ai discepoli maschi. Inoltre il loro discepolato è fonda mentale per la storia di Gesù. Senza di loro sarebbe difficile 228
raccontare la versione giovannea del ministero di Gesù. Infine, il lettore viene indirizzato verso personaggi femminili (come anche maschili) in quanto testimoni di modelli di fede. Questa conclusione, tuttavia, richiede che esaminiamo brevemente ciascuna delle principali donne presenti nel quarto Vangelo.
PERSONAGGI FEMMINILI NEL VANGELO DI GIOVANNI
si leggano i racconti delle seguenti donne: la madre di Gesù (2, 1 - 1 1 ; 1 9,25-27), la donna samaritana (4, 1 -42), Maria e Marta ( 1 1 , 1 - 1 2,8) e Mari a di Magdal a ( 1 9,25-27; 20, 1 - 1 8).
Letture preparatorie:
Prima di iniziare l ' esame di ciascuna delle donne presenti nel Vangelo di Giovanni, è necessario fare qualche generica osservazione sull ' uso dei personaggi da parte dell' evangeli sta. Prima di tutto, nessun personaggio è pienamente svilup pato e tutti svolgono un ruolo di supporto. La loro collocazio ne nella narrazione è sempre in rapporto al personaggio princi pale, Gesù. Essi rimangono non sviluppati così da mantenere l ' attenzione concentrata su di lui. Inoltre svolgono tutti la medesima funzione: ciascuno rappresenta un tipo di risposta dinanzi a Gesù. Alcuni sono presentati come esempi di reazio ne negativa, come l ' uomo paralitico del capitolo 5, che viene guarito da Gesù, e forse Ponzio Pilato. Altri danno una rispo sta positiva, di fede, e altri ancora ne danno una ambigua (per esempio Nicodemo). Quelli ai quali è stato assegnato un ruolo positivo rappresentano invariabilmente un certo livello o una certa dimensione di fede, come vedremo nella presentazione che segue. In altre parole, i personaggi del Vangelo sono utiliz zati per provocare una risposta di fede da parte del lettore. Es� i sono strumenti nelle mani di un bravo chirurgo, il quale aspor ta il tessuto dell ' incredulità. Infine, osserviamo che ciascuno dei personaggi femminili della narrazione viene presentato in un ruolo positivo, mai ambiguo o negativo. Ciascuna di esse esemplifica una misura o una caratteristica della fede. La madre di Gesù appare soltanto due volte in questo Vangelo: una durante la prima apparizione pubblica di Gesù, 229
l ' altra nella scena della crocifissione. Molto è stato detto a proposito del ruolo simbolico che essa può ricoprire nel Vangelo, ma noi ci occupiamo di argomenti più pratici. La incontriamo per la prima volta ad un pranzo di nozze, quando essa infor ma Gesù di un'imbarazzante mancanza delle riserve di vino. Quando Gesù replica che questo non è un problema che la riguardi, lei molto tranquillamente dice ai servi: «Fate quel che vi dirà» (2,5). La sua parte sembra essere di minor importan za nel contesto del primo miracolo di Gesù, ma essa dimostra una calma fiducia nel figlio. Si tratta di sicurezza che lascia presagire fede. Il primo personaggio femminile nel dramma è un esempio del modo in cui la fede viene all ' inizio sperimen tata ed espressa. Più significativa, forse, è la presenza della madre di Gesù al momento della sua crocifissione. Qui, con altre donne, ella condivide la misteriosa esaltazione di Cristo, ed è anche benefi ciaria di un onore specifico: le parole di Gesù fanno di lei la madre del discepolo prediletto e quest' ultimo diventa suo figlio. Così, dal piccolo gruppo raccolto ai piedi della croce si forma una nuova comunità, con la madre di Gesù come sua matriar ca. Su questo episodio Alan Culpepper ha scritto: «L' impatto di questa scena è stato tremendo. Sono presenti l ' uomo e la "donna", il discepolo ideale e la madre che egli è chiamato ad accogliere, sotto la croce del donatore di vita. Questo è l ' ini zio di una nuova famiglia per i figli di Dio» (Anatomy of the Fourth Gospel, p. 1 34). Come aveva promesso il Prologo, quelli che credono nella Parola fatta carne ricevono il diritto di diventare figlioli di Dio ( 1 , 1 2), creando una nuova famiglia. Questa prende come suoi genitori terreni soltanto coloro il cui nome deriva dall' amore di Gesù per lui e dalla stessa madre di Gesù. La chiesa compren de indistintamente uomini e donne di fede che rendono testi �onianza alla croce. La donna samaritana è un personaggio diverso. Un membro samaritano, anti-istituzionale, nonconformista e per di più donna, impegna Gesù in una discussione sulla tradizione religio sa e sulla legge (4, 1 2.20.25). Nel dibattito lei sostiene la propria posizione egregiamente. In verità, fraintende in forma umori stica Gesù, non coglie il significato dell' espressione «acqua 230
viva» di cui parla (4, 1 5 ), ciò nonostante l ' evangelista ben diffi cilmente si fa beffe di lei (si ricordi, anche i discepoli maschi si muovono con incertezza nello sforzo di comprendere Gesù , come per esempio in 1 6,29-3 3), né la descrive necessariamente come una donna immorale. Non ci viene mai detto il perché lei abbia avuto cinque mariti e ora viva con un uomo che non è suo marito, inoltre Gesù non mostra alcuna intenzione di darle una piccola lezione di moralità. Al contrario, lei è una donna perspicace e vi v ace, che vede nella conoscenza che Gesù ha di lei l ' indicazione che egli è un profeta (4, 1 9) . Inoltre, si dimostra fiduciosa nella rivelazione di Gesù della sua vera identità (4,25-29). Difficilmente ci aspetteremmo che questa semplice donna samaritana arrivi a comprendere ciò che costi tuiva un rompicapo per Nicodemo (3 , 1 - 1 4), ma lei crede. Il contrasto è evidente : Nicodemo è parte dell ' istituzione religio sa, ma non può credere in Gesù (almeno pubblicamente); d' altra parte la donna samaritana è esclusa, rifiutata e odiata dalla religione costituita, ma riesce a credere. Ella rappresenta il modo in cui Cristo viene accettato fra gli emarginati e i disprez zati, anche quando egli viene rifiutato dalle persone colte e oneste. Quando la donna samaritana viene accostata all 'uffi ciale pagano incontrato alla fine del capitolo 4 (vv. 46-54) , il lettore incontra due diversi emarginati che credono: una povera donna samaritana e un ricco uomo pagano. . Ma il ruolo di questa donna è ancora più importante . Non soltanto arriva a credere, ma testimonia la sua fede. Dimenticando il secchi o per prendere l ' acqua nel pozzo, torna in paese per condividere con i suoi concittadini la fede appena trovata. Con gioioso entusiasmo invita i suoi vicini : «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto» e poi li solle cita con una domanda che, lei sa bene, stuzzicherà la loro curio sità: «Non potrebbe essere lui il Cristo?» ( 4,29). La sua testi monianza ci ricorda subito l' invito di Gesù ai primi discepoli di «venire a vedere» e il loro rivolto ad altri ( 1 ,39.46). Il primo testimone di Cristo nel quarto Vangelo è Giovanni il Battista (l ,29-34). La donna samaritana è la controparte femminile del B attista. Che efficace testimone dimostra di essere ! La sua fede e il suo entusiasmo promettente hanno indotto la fede in molti del suo villaggio ( 4,39). Sulla base della sua testimonianza i 23 1
credenti del paese proclamano Gesù il «Salvatore del mondo» (4,42): una dichiarazione che coglie l ' essenza di 3, 1 6. Questo Cristo è la salvezza del mondo, inclusi gli emarginati e i dimen ticati. Nella narrazione del Vangelo la donna samaritana è la prima persona fra gli emarginati che crede. Diventa l 'esempio di come l ' incontro con la parola di Gesù susciti la fede e questa traboc chi in testimonianza. A causa sua, il lettore del Vangelo viene a sapere che la rivelazione di Dio in Cristo è proprio per lui, non importa chi egli sia né la classe sociale a cui appartenga ! Maria e Marta appaiono improvvisamente in due scene e poi spariscono. Ci viene detto che condividono con Gesù un particolare affetto per loro fratello, Lazzaro, ( I l ,3.2 1 ; 1 2, 1 -2). Marta interviene nella prima scena: la veglia per Lazzaro. La sua fiducia in Gesù è evidente fin dalle prime parole che gli rivolge: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sareb be morto; e anche adesso so che tutto quello che chiederai a Dio, Dio te lo darà» ( 1 1 ,2 1 -22). Marta non riesce a cogliere quel che le è riservato, quindi segue una breve conversazione sulla speranza per la risurrezione di Lazzaro. Ripete obbedien temente il credo, memorizzato senza dubbio nella classe di catechismo: «Lo so che risusciterà, nella risurrezione, nell'ul timo giorno» ( 1 1 ,24 ). Ella dunque apprende che Gesù stesso è la risurrezione e la sua presenza corrisponde all' ultimo giorno. Marta è la rappresentazione provocatoria della punta crescen te della fede che matura e scopre il pieno significato di colui che è l 'oggetto di questa. Lei è il mezzo usato dall'evangeli sta per proclamare che la fede non può mai essere stagnante, ma sarà sempre spinta oltre i suoi limiti. Maria svolge un ruolo diverso. Con l ' unzione dei piedi di Gesù lo prepara per la sepoltura ( 1 2, 1 -7). Il suo è un sempli ce atto d' amore e di gratitudine per colui che ha riscattato suo fratello dalle fauci della tomba. Ella dimostra che la fede è radicata nel grato riconoscimento del donatore di vita. Ma la sua azione è più di un'espressione di ringraziamento, è infat ti profetica, dice più di quanto conosce, per cui anticipa la grande glorificazione di Gesù. Questa coppia femminile delinea le caratteristiche della fede. Fondata sulla fiducia e l ' affidabilità, estesa dalla matura232
zione e sagomata dalla gratitudine e dali ' amore, la loro fede è un mezzo mediante il quale Dio compie il suo progetto divino nel mondo. Maria di Magdala è l' ultima donna a presentarsi sulla scena giovannea e il meglio viene appunto riservato per la fine. Se il lettore non ha ancora colto il quadro, l 'evangelista glielo dipinge a tinte forti in questo paradigma femminile della fede. In Maria sono presenti tutte le caratteristiche dei fedeli creden ti . Mentre ricopre un ruolo di supporto nella prima scena culmi nante, Maria di Magdala è la protagonista del ruolo più impor tante assegnato ad una donna nell' intera narraz ione. Ella arri va alla tomba che crede conservi il corpo di Gesù per esprimer gli il suo affetto ma, scoprendola vuota, non può trattenere le lacrime. La sua devozione e il suo amore ci fanno pensare a Maria di Betania; quando il Cristo risorto le appare, lo riceve con gioia, richiamandoci la ricettività di Marta. Il suo ruolo è valorizzato ancor più quando Gesù le chiede di andare e dare l' annuncio della sua risurrezione agli altri discepoli. Maria immediatamente va e adempie esattamente quanto le è stato chiesto, riportandoci alla mente l ' immagine della testimonianza della donna samaritana. Devozione, amore, ricettività e testi monianza: queste sono le caratteristiche del discepolato, tutte presenti in una singola figura femminile. Maria di Magdala è la personificazione di tutto quello che significa essere un discepolo. Ma è anche qualcosa di più : ricopre un ruolo preminente in quanto prima testimone della tomba vuota, prima testimone del Cristo risorto e prima ad annunciare l ' evangelo della risurrezione. Come Raymond E. Brown ha indicato, Maria di Magdala è la prima donna aposto lo, infatti rende testimonianza al Cristo risorto e viene inviata per annunciare la sua risurrezione : è un apostolo inviato agli apostoli, («apostola degli apostoli», R. E. BROWN, La comunità del discepolo prediletto, Assisi, Cittadella editrice, 1 982, p. 225).
233
CONCLUSIONI
Che cosa pensare della preminenza delle donne nel Vangelo di Giovanni? Si presentano due drastiche alternative: la prima è che il quarto evangelista ritenga necessario riaffermare il posto e il ruolo delle donne nel ministero di Gesù perché la chiesa del suo tempo correva il pericolo di dimenticare questi dati vitali. Possiamo immaginare la possibilità che la chiesa dell' evangelista sia caduta nel dominio maschile, una vittima della propensione maschilista di affermare la propria superio rità sulle donne. Allarmato da questa serie di avvenimenti, l ' evangelista scrive un messaggio correttivo per richiamare la chiesa alla sua ispirazione originaria, ovvero che in Cristo «non c ' è più né maschio, né femmina» (Gal. 3 ,28). Tuttavia, non si coglie nulla di polemico nella presenta zione delle donne nel Vangelo. Non c ' è alcun cenno a sprona re il lettore a liberarsi dalle catene del sessismo. La presenta zione, per dire la verità, è molto più casuale e naturale. Il messaggio centrale rimane Cristo, non il linguaggio inclusivo del genere. Certamente, sembra esserci un sottile contrasto tra Nicodemo e la donna samaritana. Forse, anche la presenta zione di Maria di Magdala vuole indurre un confronto con Pietro e il discepolo prediletto. Ma questi contrasti non costi tuiscono una polemica. La seconda alternativa è di supporre, allora, che nella comunità dalla quale e per la quale l' autore scrive è data per scontata l ' uguaglianza del posto e del ruolo delle donne e degli uomini. Si tratta di una comunità paritaria, nella quale i due sessi occupano posizioni preminenti e nella quale i doni di entrambi sono altamente considerati. Il racconto che parla della fede dei samaritani indica che la comunità giovannea è consa pevole del fatto che i rifiutati e gli emarginati dalla società partecipano parimenti ai benefici di Cristo e sono in comunio ne gli uni con gli altri. Questa inclusività può anche costitui re lo sfondo per la presentazione delle donne nel Vangelo. Il quarto evangelista non conosce altra tradizione, né altro modo di narrare la storia di Gesù, se non nel contesto di uguaglian za fra donne e uomini in Cristo. 234
Possiamo allora osare porre un' altra domanda che deriva da questa discussione? N on potrebbe darsi che il quarto evange lista sia una donna? L' importante ruolo delle donne nel Vangelo spinge certamente verso questa possibilità. Nulla lo impedi sce nel Vangelo. Tuttavia, questo importante ruolo delle donne permette anche di prospettare un autore maschile sensibile che apprezza le sue sorelle nella fede. L' accentuazione dei rappor ti fraterni è un ' altra caratteristica da prendere in considera zione. Tutta la discussione dei rapporti tra Padre e Figlio, tra Padre e credenti, tra Figlio e credenti e tra credenti stessi (vedi il cap. 1 7) potrebbe far ipotizzare una consapevolezza femmi nile. Ma, ahimè, temo che una tale ipotesi derivi più dalla nostra mentalità del XX secolo, piuttosto che da quella del primo secolo, e potrebbe essere soltanto un altro stereotipo dei generi. In fondo l ' obietti vo di risalire al sesso di un autore senza nome è impossibile da raggiungere, non esistono criteri semplici e validi per poterlo dedurre dalla sola opera letteraria (ancor meno dal tipo teologico). L'argomento diventa costantemen te sessista proprio a causa delle generalizzazioni che assume. Tuttavia, un elemento di vitale importanza ci si presenta dinnanzi quando ipotizziamo che il quarto evangelista potreb be essere una donna: si tratta della predominanza di immagi ni maschili di Dio presenti nel quarto Vangelo, in particolare a cominciare dal comune nome di «Padre». Non possiamo parlare di Dio come Padre nella nostra cultura senza solleva re il problema del linguaggio sessista. L' immagine di Dio come padre evoca associazioni maschili e le attribuisce alla realtà ultima. Dobbiamo allora concludere che il Vangelo di Giovanni, nell ' ambito degli scritti del Nuovo Testamento, sia il più sessi sta nella sua immagine di Dio? È proprio impossibile per una femminista, o per un uomo sensibile all ' argomento, concor dare con questa presentazione estremamente maschile? È forse impossibile, allora, credere che una donna sia responsabile del il linguaggio usato per Dio nel Vangelo? Penso di no. Il titolo parentale per Dio sembra essere radica to nella tradizione nel cui ambito Gesù ha parlato di Dio come «Abba, Padre» (Mc. 1 4,36; vedi anche Rom. 8, 1 5 e Gal . 4,6). Di conseguenza, siamo costretti a porre domande sul contesto e la motivazione di tale tradizione. La spiegazione più convin235
cente, credo, è quella fornita da Elisabeth Schltisser Fiorenza: ella sostiene che Gesù non si riferisce a Dio come Padre inten dendo che sia un maschio. Egli non vuole, innanzi tutto, insegna re che il discepolo cristiano debba immaginarsi un Dio maschi le e quindi attribuirgli tutte le caratteristiche che conseguono. Piuttosto, dice Schtissler Fiorenza, le cose stanno proprio al contrario: il fatto che Gesù chiami Dio con il titolo di Padre deriva dal tentativo di allentare l' impatto con la superiorità maschile e l ' autori tà su donne e bambini . Esiste una sola autorità e questa è Dio; esiste un solo padre che pretende obbedienza assoluta e questi è Dio. Allora: «Non chiamate nessuno sulla terra vostro padre, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è nei cieli» (Mt. 23,9). Immaginando Dio come Padre, l' autorità dei maschi è sovvertita. Il dominio maschile sulle donne e sui bambini nella struttura familiare del tempo è azzera to (vedi Elisabeth SCHOSSLER FIORENZA, In memoria di lei Una ricostruzione femminista delle origini cristiane, Torino, Claudiana, 1 990, pp. 1 67- 1 78). Se è corretta questa ipotesi sull' origine della tradizione in cui Gesù chiamava Dio Padre, ne conseguono alcune conclu sioni sulla preminenza del titolo Padre nel Vangelo di Giovanni . Fra tutti gli scritti del Nuovo Testamento, questo Vangelo concentra radicalmente l' autorità al di fuori delle strutture della società. Il quarto evangelista sviluppa la tradizione primitiva del linguaggio di Gesù su Dio ancora più, concentrando il linguaggio per parlare di Dio nella raffigurazione parentale. Ben l ungi dali ' imporre la supremazia e l' autorità maschile sulle donne e sui bambini, sfilaccia del tutto la corda. Di conse guenza, credo che il carattere ugualitario della comunità giovan nea si estendesse fin dentro i rapporti familiari. Qui esso contri buiva a mitigare e democraticizzare il ruolo dell' uomo. Per questo moti vo l ' abbondante uso dell 'immagine maschile di Dio come Padre non indebolisce necessariamente la prospet tiva che il Vangelo di Giovanni abbia come autore una donna. Piuttosto, potrebbe essere il contrario, poiché il Vangelo è impostato su di una prospettiva femminista e all' interno di una comunità ugualitaria. Il linguaggio per parlare di Dio potreb be essere u n ' ulteriore prova della dissoluzione dell ' autorità patriarcale, insieme a tutta l ' altra autorità umana. 236
Questo è quanto possiamo concludere e forse non possia mo andare oltre: non esiste prova convincente che ci costrin ga a rifiutare la possibilità che il quarto evangelista fosse in effetti una donna. Ella potrebbe essere stata un eminente capo nella comunità giovannea, che (se le fosse stata negata l ' oppor tunità di imparare a scrivere) avrebbe potuto dettare il Vangelo ad uno scriba. Se le nostre conclusioni sulla natura ugualita ria della comunità giovannea sono valide (vedi nel cap. 4 la sezione sulla chiesa), ne consegue che una donna potrebbe essere stata tenuta in così alta considerazione e potrebbe aver assunto una tale preminenza da essere ispirata a scrivere per la sua comunità cristiana. Si tratta soltanto di una possibilità, ma i dati del Vangelo ci spingono a mantenerla aperta. Comunque stiano le cose, il nostro Vangelo indomabile va per la sua strada senza riguardo per i costumi sociali del suo tempo. Esso onora i personaggi femminili attribuendo loro i ruoli più significativi della narrazione e per loro tramite stuzzi ca il lettore con una varietà di modelli di vera fede. C ' è una crescente prova che le donne fossero in primo piano nel ministe ro di Gesù e nella guida delle chiese più ;mtiche ; la testimo nianza del Vangelo di Giovanni è molto significativa a questo proposito. La tragedia è che questo Vangelo i ndomabile diven ne addomesticato a tempo debito, vittima dei ruoli culturali dominati dagli uomini. Nella nostra continua ricerca per uno schema di società più autentica rispetto a quella legata ai ruoli di sesso, il Vangelo di Giovanni annuncia una parola chiara e autorevole.
237
BIBLIOGRAFIA
Le opere sono state scelte per due ragion i : primo, sono quelle su cui ho principalmente basato il mio studio. Secondo, sono lavori che possono permettere a chi Io desideri di approfondire temi affrontati in questo li bro.
Commentari: BARRETI C . K . , The Gospel According 2 Westminster Press, 1 978 .
to St. John,
Fi ladelfia,
BEASLEY-MURRAY George R . , John, Word Bibl ica) Commentary, vol . 36, Waco (Tex.), Word lnc . , 1 987 . B ROWN Raymond E., The Gospel According to John, Anchor B ible, vol . 29 e 29a, Garden City (N.Y.), Doubleday & Co., 1 970 (tr. it. :
Giovanni: commento al Vangelo spirituale , As s isi,
Cittadella, 1 979). Dopo tutti questi anni forse ancora il miglio re commentario sul quarto Vangelo.
BULTMANN Rudolf, Vandenhoeck
Das Evangelium des Johannes, Gottinga, & Ruprecht, 1 94 1 .
CARSON D.A., The GospelAccording to John, Grand Rapids, Wm. B . Eerdmans Publ ishing Co., 1 99 1 . HAENCHEN Emst,
Das Johannes-Evangelium,
Tubinga, Mohr,
1 980.
KYSAR Robert , John , Augsburg Commentary on the New Testament, Minneapol is, Augsburg Publishing House, 1 986. LINDARS Barnabas , The Gospel of John, New Century B i ble Commentary, Grand Rapids, Wm. Eerdmans Publishing Co., 1 972.
SCHNACKENBURG Rudolf,
Das Johannes-Evangelium, Friburgo Vangelo di Giovanni, Brescia,
in Br., Herder, 1 992 (tr. it.: Il
Paideia, 1 965- 1 984). Uno dei più completi commentari con una serie di excursus molto uti l i .
239
SLOYAN Gerard, John, Interpretation, Atlanta, John Knox 1 98 8 . Un commentario per catechisti e predi catori .
Press,
Studi:
ASHTON
John (a cura di),
The Interpretation of John, Issues in 9, Filadelfia, Fortress Press, 1 986.
Religion and Theology, n.
Cfr. soprattutto i saggi di Borgen, Martyn e Meeks .
BEASLEY-MURRAY G . R . , Gospel of Life: Theology in the Fourth Gospel, Peabody (Mass .), Hendrickson Publ i shers, 1 99 1 . BROWN
Raymond E.,
The Community of the Beloved Disciple, 1 979 (tr. it. : La comunità del disce polo prediletto, Assi si, Cittadella, 1 985). Il migliore sul proble New York, Paulist Press,
ma del rapporto fra il Vangelo e le Epistole giovannee.
BULTMANN Rudolf, Theologie des Neuen Testaments, Tubinga, Mohr, 1 977 (tr. i t . : Teologia del Nuovo Testamento, Brescia, Queriniana, 1 992 2 ). CULPEPPER Alan R . , Anatomy of the Fourth Gospel: A Study in Literary Design, Fi ladelfia, Fortress Press, 1 983. Ottimo sulle caratteristiche letterarie del Vangelo. DODD C . H . ,
The Interpretation ofthe Fourth Gospel, Cambridge, 1 953 (tr. it. : L'interpretazione del quarto vangelo, Brescia, Paideia, 1 974) . Cambridge Uni versity Press,
DODD C. H . , Historical Tradition in the Fourth Gospel, Cambridge, Cambridge Uni versity Press, 1 963 (tr. i t. : La tradizione stori ca nel quarto vangelo, Brescia, Paideia, 1 983). Gli studi di Dodd sono un classico in questo ambito.
FIORENZA ScHOSSLER Eli sabeth, In Memory of Her: A Feminist Theological Reconstruction of Christian Origins, New York, Crossroad, 1 984 (tr. i t . : In memoria di Lei. Una ricostruzione femminista delle origini cristiane, Torino, Claudiana, 1 990) . FORTNA Robert T. , The Gospel ofSigns, Society for New Testament Studies Mon ograph Series, n . 1 1 , Cambridge, Cambridge Uni versity Press, 1 970. FORTNA
Robert T. ,
The Fourth Gospel and Its Predecessor, 1 988. In questi due volumi l ' auto
Fi ladelfia, Fortress Press,
re tenta di costruire e difendere una teori a del le fonti del Vangelo.
240
FULLER Reginald H . , HARNER Phi lip B . , Series, n .
The Foundations of the New Testament 1 965.
New York, Charles Scri bner's Sons,
Christology, 26,
The
<
Am» of the Fourth Gospel, 1 970.
Biblica!
Filadelfia, Fortress Press,
KASEMANN Emst, Jesu letzter Wille nach Johannes 1 7 - 3. , Tubinga, Mohr, 1 966 (tr. i t . : L 'enigma del quarto Vangelo, Torino, Claudiana, 1 977). Un classico della teologia ! KEE Howard Clark,
Documents,
Kl:NG Win ston L.,
Approach,
The Origins of Christianity: Sources and 1 973.
Englewood Cliffs (N.J.), Prentice-Hall ,
lntroduction to Religion: A Phenomenological & Row, 1 968.
New York, Harper
KYSAR Robert, The Fourth Evangelist and His Gospel: An Examination of Contemporary Scholarship, M i n neapol i s , Augsburg Publ ishing House, 1 975 . KYSAR Robert, John 's Story of Jesus, 1 984.
Filadelfia, Fortress Press,
KYSAR Robert, Anti-Semitism in the Gospel ofJohn, i n : Faith and Polemic: Studies in Anti-Semitism and Early Christianity (a cura di Craig A. Evans e Donald A. Hagner), Minneapol is, Fortress Press, MARTYN J. Louis,
1 993 . History and Theological in the Fourth Gospel, 1 979. Un lavoro di fondamenta
Nashv ille, Abingdon Press,
le importanza negl i studi giovannici. O' DAY Gai l R., Revelation in the Fourth Gospel, Fi ladelfia, Fortress Press,
1 987. Affronta il
tema del l ' ironia con tutti i suoi signi
fi cati teologici .
PERRIN Norman , The New Testament: An lntroduction, New York, Harcourt Brace Jovanovich, 1 974. ROBINSON J .A.T. ,
The Most Primitive Christology ofAli ?, nel suo Twelve New Testament Studies, Naperv i l l e (11 1 .), A l ec R. Al lenson, 1 962.
SEGOVIA Fernando F.,
The Farewell ofthe World: The Johannine Cali toAbide, Min neapol is, Fortress Press, 1 99 1 . Un commen
tario letterale sui di scorsi di addio. SMITH D. Moody, John, Proclamation Commentaries, Fi ladelfia, Fortress Press,
1 986 2 .
S MITH D. Moody,
John Among the Gospels: The Relationship in Twentieth- Century Research, M i nneapol i s , Fortress Press, 24 1
1 992.
Una erudita rassegna sul tema del rapporto fra il quarto
Vangelo e i S inottici .
THOMPSON Mari an ne Meye, The Humanity ofJesus in the Fourth Gospel, Fil adelfia, Fortress Press, 1 988. Una risposta a Kiise man n .
Le Epistole giovannee: B ROWN Raymond E.,
The Epistles of John, Anchor B i ble, vol . 30, Garden City (N. Y.), Doubleday & Co., 1 982 (tr. i t.: Lettere di Giovanni, Assisi, Ci ttadella, 1 986). Il miglior commenta rio sulle epistole giovannee.
HOULDEN J.L., The Johannine Epistles, Harper's New Testament Commentary, New York, Harper & Row, 1 973. KYSAR Robert, J, 2, 3 John, Augsburg Commentary o n the New Testament, Minneapol is, Augsburg Publishing House, 1 986.
L 'Apocalisse: CHARLES R. H . , Revelation, 2 vol i . , Intemational Criticai Commen tary, Edinburgo, T.
& T. C lark, 1 920. Un commentario classi
co !
FIORENZA SCHOSSLER EUSABETH, The Book ofRevelation: Justice and Judgment, Fi l adel fi a, Fortress Press, 1 985. FIORENZA SCHOSSLER EUSABETH,
Revelation: Vision of a Just
Procl amation Commentaries, Minneapoli s , Fortress Press, 1 99 1 . Un esempio significativo dei più recenti studi
World,
sul l ' Apocal isse.
KRODEL Gerhard A.,
Revelation, Augsburg
Commentary on the
New Testament, Minneapol is, Augsburg Publishing House,
1 989.
242
BIBLIOGRAFIA ITALIANA SUL VANGELO DI GIOVANNI (a cura di Bruno Corsani)
Chi avesse necessità di una bibliografia internazionale potrà consultare questi due repertori :
MALATESTA E . ,
St. fohn s Gospel 1 920-1 965 1 967.
(Analecta Biblica)
Roma, Pont. l st. B i blico
VAN BELLE G., Peeters,
Johannine Bibliography 1 966- 1 985, 1 988.
Lovanio,
Inoltre i commentari più importanti offrono i ndicazioni bibl io grafiche nel l e principal i l i ngue europee. Qui segnaleremo pubbli cazioni in lingua italiana s u l quarto vangelo.
BARRETT C . K . , Il
vangelo di Giovanni fra simbolismo e storia, 1 983.
Torino, Claudiana,
B ARRETT C . K., Il Paideia,
vangelo di Giovanni e il giudaismo,
Brescia,
1 980.
BLINZLER J.,
Giovanni e i Sinottici,
B OR NK AMM G.,
Storia e fede
Brescia, Paideia,
1 969.
(saggi ), Bologna, EDB , pp.
101-
1 93. B ROWN R . E . , La comunità del discepolo prediletto, Assisi, Citta della,
1 985 .
CrLIA L., La morte di Gesù e l 'unità degli uomini, Bologna, EDB ,
1 992. COLOMBO G., La
dultera,
l miracoli di Gesù nel quarto vangelo, 1 983.
CORSANI B., Paideia,
critica testuale di fronte alla pericope dell 'a 42, 1 994, 8 1 - 1 02.
"Ri vista Biblica"
B rescia,
243
Il posto dell 'evangelo di Giovanni nel mondo ambiente e nella comunità primitiva, "Protestantesi mo" 30, 1 975, 65-78.
CULLMANN 0.,
CULLMANN o , , l sacramenti nel vangelo giovanneo, in : CULLMANN,
La fede e il culto della chiesa primitiva, Roma, AVE, 1 974, pp. 1 8 1 -295 . CULLMANN 0.,
L'opposizione contro il Tempio, motivo comune della teologia giovannea e dell 'ambiente, i n : CULLMANN, Dallefonti dell 'Evangelo alla teologia cristiana, Roma, AVE, 1 97 1 , pp. 29-5 1 .
CULLMANN 0., La lbi d . , pp.
Samaria e le origini della missione cristiana, 53-62.
CULLMANN 0., Eiden kai episteusen. La vita di Gesù oggetto della
«vista» e della
lbid., pp.
97- 108.
La p reghiera nell 'evangelo di Giovanni, 33, 1 978, 1 -20.
"Protestantesimo"
CULLMANN 0.,
vanni,
Origine e ambiente dell 'evangelo secondo Gio 1 976.
Torino, Marietti ,
CULLMANN 0 . ,
L 'evangelo giovanneo e la storia della salvezza, Studi di teologia biblica, Roma, AVE, 1 969,
i n : CULLMANN,
1 85-20 1 . DALBESIO A., La comunionefraterna,
dimensione essenziale della vita cristiana secondo il quarto vangelo e la prima lettera di Giovanni, "Laurentianum" 36, 1 995, 1 9-33.
DESTRO A., PESCE M . , Dialettica di riti e costruzione del movimen
to di Gesù nel Vangelo di Giovanni, 1 995, 77- 1 09.
"Augustinianum"
35,
Dono C.H., L'interpretazione del quarto vangelo, Brescia, Paideia,
1 974. Dono C.H., La Paideia,
tradizione storica nel quarto vangelo, 1 983.
Brescia,
FERRARO G . , Lo Spirito e il Cristo nel vangelo di Giovanni, Brescia, Paideia,
1 964.
« Vecchio» e «Nuovo» in Giovanni: per una rilettu ra di Giovanni ( Vangelo e lettere), "Rivi sta Bibl ica" 43, 1 995 , 225-25 1 .
GHIBERTI G . ,
GHIBERTI G., l racconti pasquali del cap. 20 di Giovanni, Brescia, Paideia,
244
1 972.
HUNTER A . M . , Claudiana,
Il dibattito sul vangelo di Giovanni, 1 969.
Tori no,
JAUBERT A., Come leggere il vangelo di Giovanni, Torino, Gribaudi,
1 978. KASEMANN E.,
L 'enigma del quarto vangelo, Tori no, Claudiana,
1 977. MANNUCCI V., Giovanni il vangelo narrante.
te narrativa del quarto vangelo, MARZOTTO D.,
Un solo unico pastore, 1 975, 834-843.
MATEOS J . , BARRETO J . ,
Giovanni, Assis i , PANIMOLLE S .A.,
raria, R o m a,
Introduzione ali ' ar 1 993 .
Bologna, EDB ,
"Scuola cattol ica"
Dizionario teologico del Vangelo di 1 982.
Ci ttadel l a,
L 'evangelista Giovanni: pensiero e opera lette 1 985.
Boria,
R ICCA P. ,
Note di ecclesiologia giovannica, 22, 1 967, 1 48- 1 66.
SEGALLA G . , La preghiera di Paideia,
1 03,
"Protestantesimo"
Gesù al Padre (Giov. 1 7),
Brescia,
1 983.
SMITH D . M . , La teologia del vangelo di Giovanni, Brescia, Paideia,
1 998. STEMBERGER G., La simbolica del bene e del male in San Giovanni, M i l ano,
Ed. Paol ine, 1 972.
Personaggi del quarto vangelo. Figure della fede in San Giovanni, Mi lano, Glossa, 1 994.
VIGNOLO R.,
Principali commentari disponibili in lingua italiana: H. STRATHMANN,
Il Vangelo secondo Giovanni, Brescia, Paideia,
1 973; A. WIKENHAUSER, L 'evangelo secondo Giovanni, cel l i ana, 1 962;
Brescia, Mor
R . E. BROWN (due vol umi), Giovanni: commento al Vangelo spiri
tuale,
Assi s i , Ci ttadella,
H. VAN DEN BUSSCHE,
Giovanni, Assi si,
G . MIEGGE e A. COMBA, i n : Tori no, Claudiana,
1 979; Cittadella,
1 970;
Nuovo Testamento Annotato, 1 968;
vol . II,
245
R. SCHNACKENBURG (quattro volumi), Il B rescia, Paideia, 1 965- 1 984;
S .A . PANIMOLLE, Bologna, EDB , R . FABRIS,
Vangelo di Giovanni,
Lettura pastorale del Vangelo di Giovanni, 1 98 1 - 1 984;
Giovanni,
Roma, Boria,
1 992.
INDICE
Prefazione Introduzione
7
11
Il rapporto tra il quarto Vangelo e i Sinottici
14
L a struttura letteraria del quarto Vangelo
30
Scopo, destinazione, contesto storico e datazione del quarto Vangelo
37
l . Il Fi g lio del Padre: la cristologia giovannea
49
La cristologia del Logos
51
I titoli cristologici in l , 1 9-5 1
61
Il Figlio dell'uomo e il rapporto Padre-Figlio
68
Il significato cristologico dei detti «io sono»
76
L'opera di Cristo comp iuta con la sua morte
81
Conclusione
89
2. Due mondi diversi: il dualismo giovanneo
93
Le espressioni simboliche del dualismo nel quarto Vangelo
96
I «giudei>) nel quarto Vangelo
1 06 247
Il determinismo giovanneo
111
Conclusione
1 18
3 . Vedere è credere: la concezione giovannea
della fede
1 23
I «segni» come p rovocatori di fede
1 26
Vedere, udire e credere nel quarto Vangelo
136
Conoscere e credere nel quarto Vangelo
141
Visione sintetica della fede nel quarto Vangelo
1 45
Conclusione
1 48
4. L' eternità è ora: l ' escatolo g ia giovannea
151
L' escatologia giovannea
1 55
La visione giovannea dello Spirito
1 65
La concezione giovannea della chiesa
173
I sacramenti nel quarto Vangelo
1 87
Conclusione
1 93
Conclusione Giovanni : il Van g elo universale
1 97
Il p ensiero e il simbolismo giovannei nel
cristianesimo p rimitivo
Il pensiero e il simbolismo giovannei come esempi della ricerca di fede
248
1 98 204
Appendice A Le lettere giovannee e il Van g elo di Giovanni (con una nota sul libro dell ' Apocalisse)
209
Le lettere giovannee
210
Il rapporto fra le lettere e il Vangelo di Giovanni
216
Nota sul libro dell' Apocalisse
222
Appendice B Le donne nel Van g elo di Giovanni
226
Le donne nella struttura del Vangelo di Giovanni
227
Personaggi femminili nel Vangelo di Giovanni
229
Conclusioni
234
Bibliografia
239
Bibliografia italiana
243
Finito di stam pare il 29 febb raio 2000
-
Stampatre, Torino 249