© 2008, Gius. Laterza & Figli Prima edizione 2008
Margherita Pelaja Lucetta Scaraffia
Due in una carne Chiesa e sess...
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© 2008, Gius. Laterza & Figli Prima edizione 2008
Margherita Pelaja Lucetta Scaraffia
Due in una carne Chiesa e sessualità nella storia
.Editori l.ater:m
Referenze iconografiche Fig. l: © Contrasto Fig. 2: Per gentile concessione della Soprintendenza BAPPSAE dell'Umbria Fig. 3: © 1999. Foto Scala, Firenze Fig. 4: © Contrasto Fig. 5: © 1990. Foro Scala, Firenze Fig. 7: © Contrasto
Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel luglio 2008 SEDIT- Bari (ltaly) per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 978-88-420-87 39-7
Fig. 8: Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali © 1990. Foto Scala, Firenze Fig. 9: MSK Ghent, photo ©Lukas-Art in Flanders vzw Fig. 10: Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali © 2007. Foro Scala, Firenze
L'Editore è a disposizione di tutti gli eventuali proprietari di diritti sulle immagini riprodotte, là dove non è stato possibile rintracciarli per chiedere la debita autorizzazione.
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Introduzione DUE IN UN LIBRO
Due nomi, due biografie, due passioni intellettuali. Sono mol ti i libri che affiancano autrici e autori diversi in una stessa pro spettiva di ricerca, in un comune progetto conoscitivo. In questo libro le differenze tra le autrici sono più profonde, perché toccano la concezione stessa dell'oggetto di indagine; ma aggiungono senso alla ricerca, perché si propongono di mostrare la possibilità di confrontare, interrogare - mai contrapporre ideo logicamente e mai mediare per opportunità politica - due visioni diverse nella sostanza. E il lavoro comune si basa su una condivi sa volontà di riesaminare e verificare stereotipi acclamati, come quello che il cristianesimo prima, e la Chiesa cattolica poi, siano caratterizzati da una sostanziale sessuofobia. Si basa anche sulla fiducia - che qui diventa una concreta scommessa - che un lavo ro di ricerca storica possa essere svolto insieme da due studiose che pure si collocano su posizioni ideologiche per alcuni aspetti opposte. Margherita Pelaja è laica. Storica e militante femminista negli anni Settanta, ha progressivamente saldato interessi scientifici e passione politica nel progetto e nell'esperienza della storia delle donne. Insieme con altre studiose ha fondato nel l981 «Memo ria», una rivista importante nel panorama dei gender studies in Ita lia, e più tardi la Società italiana delle storiche. Ha orientato le sue ricerche soprattutto sull'interazione di donne e famiglie con la giustizia e gli apparati giudiziari tra Sette e Novecento, privile giando i conflitti che avevano al loro centro questioni sessuali. Nello studio dello Stato pontificio ha così potuto analizzare le po litiche delle diverse istituzioni ecclesiastiche nelle loro articola-
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zioni storiche, scegliendo - pur con una certa inquietudine - di non prendere in considerazione le critiche di chi ritiene parziale o addirittura fuorviante un'analisi che non comprenda in sé la di mensione spirituale e la questione della fede. Lucetta Scaraffia condivide la lunga pratica di storia delle don ne e di femminismo, ma da circa vent'anni è tornata a sentirsi ap passionatamente cattolica, e quindi ad affiancare alla sua attività di ricerca sulla storia delle donne e della vita religiosa un impegno culturale che si può definire militante. Oggi, oltre a insegnare Sto ria contemporanea all'Università di Roma «La Sapienza», è mem bro del Comitato nazionale di bioetica. il suo impegno culturale e quello religioso si fondono quindi in molti suoi libri e articoli, ma sempre con l' awertenza di non piegare la realtà studiata a obiettivi ideologici, con la certezza che solo una onesta conoscen za della storia può permettere di capire il presente, anche per in tervenirvi polemicamente. Esaurite le presentazioni, possiamo cominciare a esprimerci al plurale, usando un «noi» che indica la convinzione che fosse non solo possibile, ma anche fecondo e stimolante, scrivere insieme un libro che non c'era: la ricostruzione di lungo periodo del discorso e della politica della Chiesa sulla sessualità. Una ulteriore ragione è la complementarietà delle nostre direzioni di ricerca: più socia le quella di Margherita Pelaja, più culturale e teorica quella di Lu cetta Scaraffia. Le ricerche finora disponibili sul tema che affrontiamo sono infatti indagini dettagliate su contesti specifici e cronologicamen te delimitati; oppure sintesi su singoli aspetti della sessualità Oa contraccezione, la masturbazione); o ancora testi che con una cer ta frettolosità divulgativa sembrano partire tutti da assunti ideo logici preconfezionati, da ribadire soltanto nel corso dell'esposi zione. E, più in generale, sembrano confermare un'antica dicoto mia, prendendo in esame le norme da una parte, e i comporta menti - preferibilmente «devianti» - dall'altra, trascurando tra l'altro quello che per Michel Foucault era l'aspetto centrale di uno studio sulla sessualità: il discorso prodotto sul tema, che com prende anche gli aspetti simbolici, l'arte, l'immaginario. Ci sembrava importante, come abbiamo detto, porre in que stione soprattutto il pregiudizio più diffuso e radicato: quello che attribuisce alla Chiesa cattolica un'antica e lineare sessuofobia,
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che si dipana nel corso dei secoli in un atteggiamento repressivo costante e generalizzato. Il luogo comune è solido: per il cattoli cesimo il piacere è colpa, il sesso è peccato. Da praticare con par simonia e disagio esclusivamente nel matrimonio, e principal mente per procreare. Non tutto del luogo comune va sfatato; al cuni enunciati si ripetono nel corso del tempo nella predicazione cattolica, fino a rendere possibile una sintesi così brutale. Ma sen sibilità più libere, analisi circostanziate dei testi e delle politiche possono di volta in volta articolare, smentire, porre in relazione con territori e finalità diverse, fino a sgretolare forse il potenziale interpretativo di un assunto così generico. Sul piano teologico va richiamato subito per esempio il modo completamente nuovo con cui il cristianesimo affronta il proble ma del rapporto sessuale: il rapporto sessuale fra una donna e un uomo deriva dall'Incarnazione, è metafora del rapporto fra l'ani ma e Dio, fra la Chiesa e Cristo, anticipo del piacere d'amore che si vivrà in paradiso. E poiché l'Incarnazione promuove il corpo al lo stesso livello dello Spirito, all'atto sessuale viene dato un signi ficato spirituale inedito, che lo carica di un'importanza e di una luce che lo assolvono, per sempre, dal sospetto e dal disprezzo con cui lo guardavano, per esempio, gli stoici. Ne deriva una conse guenza fondamentale: se il rapporto sessuale è pervaso di signifi cati spirituali, esso deve essere privato dell'aspetto Iudica che lo aveva contrassegnato nel mondo pagano, e soprattutto deve venir regolamentato con attenzione e severità. La storia della genesi e delle contraddizioni che di volta in volta si addensano su tale re golamentazione è anch'essa ricostruita in questo libro. Non sem pre infatti l'unità indissolubile fra anima e corpo che caratterizza la visione cristiana viene rispettata; la tentazione di giocare lo spi rito contro la carne segna periodi e figure della storia della Chie sa, pur non determinandone in modo continuativo l'impronta cul turale e morale. Ci siamo mosse quindi cercando di affiancare l'indagine sulle Scritture, sui trattati, sulle opere di formazione del clero e dei fe deli alla verifica di quanto di quei testi trovasse applicazione nel governo delle anime, e in che modo. Una prospettiva questa che ha contribuito a definire l'architettura di tutto il nostro libro, che si compone di capitoli insieme tematici e cronologici. Non ab biamo considerato però la cronologia come una gabbia rigida, ma
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abbiamo preferito ampliare di volta in volta la trattazione dei sin goli temi con ampi flashback oppure con anticipazioni sul futuro, scegliendo di privilegiare l'interpretazione anche a scapito del ri spetto di una periodizzazione predefinita. Si trattava insomma di individuare ciò che in ogni epoca storica ha contraddistinto l 'at teggiamento del cristianesimo prima e della Chiesa cattolica poi verso i molteplici aspetti della sessualità umana e - come in ogni ricerca storica - di dar conto di tali tratti distintivi nelle trasfor mazioni, nelle permanenze, nelle flessibilità. Alle fondamenta della morale sessuale cristiana- dalle Scrit ture alla patristica- è dedicato il capitolo d'inizio, che copre tut to il primo millennio; il capitolo successivo, sui simboli e l'imma ginario, si sofferma sulla disinvoltura con cui - sulla scorta del Cantico dei cantici - la cultura cristiana ha usato per secoli ardite metafore sessuali per trattare del rapporto dell'anima con Dio, raggiungendo vette stilistiche importanti con i mistici. Allo stesso modo, fino al Cinquecento, l'arte rappresenta con simboli sessua li dogmi teologici, come quello della vera umanità di Cristo, ri tratto a questo fine con l'organo sessuale in erezione. La cesura è operata dalla Riforma, che denuncia la corruzione e il lassismo della Chiesa di Roma anche nel campo della morale sessuale. Si aprirà da qui una lunga stagione densa di contraddi zioni, nella quale il cattolicesimo amplierà e perfezionerà il pro prio apparato normativa accentuando il rigore degli enunciati e mettendo in atto nello stesso tempo strategie articolate di con trollo e tolleranza. È il lento processo del disciplinamento, che prende le mosse dagli ultimi secoli del Medioevo per protrarsi almeno fino al Set tecento. Centrato su due strumenti decisivi, il diritto e la confes sione auricolare, il disciplinamento si propone di definire gli am biti e le forme entro cui può esprimersi la sessualità, e di affinare i dispositivi più adatti a saldare la presa sulle coscienze dei fedeli. Ma è anche la stagione della politica. Una politica della ses sualità che deve esibire la capacità della Chiesa di governare i com portamenti dei fedeli: si articolano allora gerarchie e responsabi lità, affidando ai parroci e ai confessori il compito di temperare l'universale intransigenza delle norme con le necessità quotidiane e particolari della carne e del desiderio. Flessibilità e pragmatismo diventano così le chiavi di volta di un sistema di controllo che
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mentre ripete condanne assolute - della masturbazione, della so domia, della prostituzione - alterna repressione e clemenza, aven do ben cura di instillare e rafforzare nelle coscienze quel senso del peccato e della colpa che garantisce la perpetua soggezione delle anime. È un sistema raffinato, capace di funzionare per secoli e di re sistere alle sollecitazioni più diverse fino a quando un altro pro cesso - che gli storici hanno chiamato modernizzazione - ne in crinerà le basi, facendo emergere nuove agenzie che contesteran no alla Chiesa il monopolio sulla morale sessuale. Il conflitto nasce alla fine del Settecento e si inasprisce nel se colo successivo, quando il discorso sulla sessualità viene attribui to all'esclusiva competenza di medici, biologi, antropologi e poi psicoanalisti. I nuovi scienziati negheranno alla Chiesa il diritto di imporre norme universali e ai teologi la capacità di definire il sen so e il valore dell'atto sessuale, ai loro occhi ormai depotenziato di ogni significato spirituale. Mentre molti Stati e molte leggi si proporranno di erodere la sovranità esclusiva del diritto canoni co sui comportamenti sessuali. La contesa non occupa soltanto il terreno della teoria, ma è an zi l'eco di sommovimenti profondi, che toccano gli assetti sociali, economici e culturali di tutti i paesi occidentali: dalla rivoluzione demografica ai mutamenti culturali indotti dall'Illuminismo, dal l' affermarsi dell'individuo come soggetto di diritti al fatto che il sesso viene progressivamente sottratto alla dimensione religiosa per essere studiato come fenomeno scientifico. Non è un caso che il termine «sessualità» venga coniato solo nell'Ottocento: vi fece ro ricorso in un primo tempo zoologi e botanici, in seguito venne usato per classificare il comportamento sessuale degli esseri uma ni secondo gli stessi metodi usati per studiare animali e piante, fi no ad arrivare, negli anni Sessanta del Novecento, alle ricerche di un entomologo, il dottor Alfred Kinsey, che i mass media faranno diventare un vero e proprio guru della sessualità. il controllo delle nascite ha costituito quindi l'oggetto di una lunga contesa che ha diviso società e Chiesa a partire dall'Otto cento. Il suo rifiuto da parte della Chiesa è stato sancito da ben due encicliche: Casti connubii del 1 930 e Humanae vitae del 1968, che ribadiscono la ferma opposizione della Chiesa alla separazio ne fra sessualità e riproduzione. Abbiamo scelto come termine
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cronologico I'Humanae vitae - alla stesura della quale ha contri buito il cardinale Wojtyla - perché questa enciclica contiene già tutti i temi che sono oggi al centro della discussione che divide la concezione della Chiesa da quella della società laica: la legge di na tura, il valore del matrimonio, l'indivisione dei due aspetti del l' atto sessuale, l'unione fra gli sposi e la procreazione, e la richie sta alla scienza di percorrere strade di ricerca rispettose della mo rale cattolica. Temi che sembrano aprire un solco profondo so prattutto tra la visione cattolica e le esigenze e le inquietudini di coloro che per lungo tempo sono state le custodi più fervide dei valori religiosi e le alleate più sicure della Chiesa come istituzio ne: le donne. Di fronte alla diffusione crescente di comportamenti sessuali estranei alla legittimità coniugale, il cattolicesimo sembra pro gressivamente irrigidire le proprie posizioni, opponendo una con danna dura e solitaria: come se alla secolare tolleranza avesse so stituito un rigore coerente e selettivo. L'esito dei processi descritti ci appare ancora lontano. Perché l'ambito del dibattito continua ad ampliarsi, includendo soggetti - gli omosessuali, per esempio - che reclamano diritti inediti alla genitorialità ma anche alla dimensione religiosa delle proprie scel te affettive; o includendo i punti di vista di altre religioni, ormai contigue e imprescindibili nel mondo globalizzato in cui siamo immersi. Ma anche perché la sessualità di uomini e donne tende a disarticolarsi, distribuendo brani di sé al brusio mediatico o al l' asetticità del laboratorio, e depositando la densità del vissuto in angoli sempre più remoti dell'interiorità dei singoli. La Chiesa, a partire dall'Humanae vitae, ma ancora più deci samente con Giovanni Paolo Il, tenta di riaffermare quell'unità fra corpo e spirito che aveva costituito la specificità della rivolu zione cristiana, e di riproporre, in una società in cui la sessualità - separata dalla procreazione - appare legata a una dimensione prevalentemente individualistica, il significato spirituale di questa fondamentale esperienza umana. Quelli che si confrontano non sono, tuttavia, due sistemi fondati l'uno su regole e limitazioni, l'altro su libertà e piacere; ma due concezioni diverse della ses sualità, del rapporto dell'essere umano con il corpo, e più in ge nerale della ricerca di una nuova etica del rapporto della persona con il mondo.
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Questo è un libro di sintesi. Si basa dunque - soprattutto per quanto riguarda le parti di taglio storico-sociale - su indagini già svolte piuttosto che su ricerche d'archivio originali. Al lettore - al più curioso come al più avvertito - non sfuggiranno le numerose lacune che segnano la ricostruzione da noi proposta; non possia mo tuttavia ascrivere tante mancanze ai vuoti del patrimonio sto riografico disponibile. Ci assumiamo la responsabilità di scelte e omissioni, perché abbiamo preferito svolgere il filo dei problemi piuttosto che garantire la completezza del quadro d'insieme. Al lettore n oh sfuggirà neanche l'assenza di una conclusione univoca, che ricomponga materiali e questioni trattati nel corso dell'esposizione. Anche in questo caso si tratta di una decisione consapevole, anzi ricercata: perché ci è sembrato riduttivo cerca re da due punti di vista così diversi come i nostri una sintonia ca pace di proporre interpretazioni e prospettive unitarie; perché proprio in un tempo in cui le distanze tra laici e cattolici sembra no ampliarsi e irrigidirsi in visioni contrapposte ci è sembrato op portuno esaltare quello che è il nostro denominatore comune, e cioè la ricerca di dialogo e confronto; perché infine preferiamo ve dere questo libro come uno strumento in grado forse di dare profondità e spessore storico a polemiche troppo spesso appiatti te su un presente apparentemente immobile ed eterno. Al lettore, di nuovo, l'opportunità e la responsabilità di sce gliere un versante o di elaborare nuovi interrogativi, anche sulla base, speriamo, del cammino percorso in questa lettura. M.P. L.S.
Mentre l'Introduzione e le Conclusioni sono comuni così come il progetto complessivo del libro, Margherita Pelaja ha scritto i capitoli III, IV, i paragrafi 2 e 3 del capitolo V, il paragrafo 4 del capitolo VI; Lucetta Scaraffia ha scritto i capitoli I, II, i paragrafi l, 4 e 5 del capi tolo V, i paragrafi l, 2 e 3 del capitolo VI. Data la vastità e la varietà degli argomenti trattati in questo studio abbiamo preferito non includere una bibliografia generale. Molti rife rimenti bibliografici sono indicati in nota, cosa che rende più agevole individuare le fonti di ciascun argomento.
DUE IN UNA CARNE CHIESA E SESSUALITÀ NELLA STORIA
I IL CORPO, LE PULSIONI
l. Una rivoluzione culturale «Ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio ma rito. Il marito compia il suo dovere verso la moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito», scrive l'apostolo Paolo nella Pri ma lettera ai Corinzi (7, 2 -3 ) , e poco più avanti: «Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito [ .. .] e il marito non ripudi la moglie» (7, 10- 1 1 ) . E in un'altra let tera paolina si legge: «E voi, mariti, amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa [ . . ] . Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno infatti ha preso in odio la propria carne; al con trario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, perché sia mo membra del suo corpo» (Lettera agli Efesini, 5, 25 e 28-30). In queste frasi paoline si manifesta tutta la potenza dell'innovazione cristiana sul piano dei rapporti sessuali: permettendo questi rap porti solo all'interno del matrimonio, la nuova fede prevedeva una reciprocità di doveri e di diritti fra marito e moglie assolutamen te inedita nel mondo antico. Insieme con la proposta di scegliere la castità, seguendo il modello di Gesù e dello stesso apostolo Pao lo, questo fatto costituisce l'aspetto più innovativo del cristianesi mo nascente: un diverso modo di concepire il sesso, piuttosto che una repressione, come è luogo comune pensare. È infatti opinione diffusa che il profondo cambiamento nel modo di concepire e di vivere la sessualità provocato dalla cre scente affermazione del cristianesimo nel mondo antico consi.
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Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia
stesse in un'ondata di restrizioni morali e di proibizioni, che piombano su una società tendenzialmente libera e portata a valo rizzare il piacere. La situazione in realtà è più complessa, perché anche nel mondo pagano di quel periodo si stavano affermando forti correnti ascetiche: certo è che le culture antiche considera vano la sessualità come un aspetto dell'essere umano dato dalla natura, e quindi non oggetto di controllo, ed erano interessate so lo a disciplinare il comportamento femminile in modo da con trollare la paternità. Per il resto, per gli uomini tutto era libero e possibile, e solo alcune correnti filosofiche greche - in primis gli stoici - pensavano all'istinto sessuale come a un ostacolo irrazio nale al controllo di sé da parte della ragione, e quindi lo vedeva no come un pericolo da combattere1 • Come ha scritto lo storico Peter Brown, l'ascesa del cristiane simo nel mondo romano, più che come il passaggio da una società meno repressiva a una più repressiva, dovrebbe essere visto «co me il prodotto di un sottile cambiamento nella concezione del corpo. Nei secoli successivi, infatti, gli uomini e le donne non si sarebbero trovati semplicemente attorno a un muro di proibizio ni diverse e più rigorose, ma sarebbero pervenuti a una visione del proprio corpo assai differente»2• Come aveva detto Paolo, il cor po non è solo natura, ma, con l'Incarnazione, è diventato il tem pio di Cristo, e quindi parte integrante della persona umana, e non si scinde dalla sua natura spirituale. Il cristianesimo infatti, pur condividendo in parte la visione stoica, fa molto di più: toglie la sessualità dalla sfera naturale e la inserisce in quella culturale, dandole un posto preciso nella storia della salvezza. Se la carne è a immagine di Dio, anch'essa può di venire strumento di salvezza. Questo concetto è stato sviluppato da tutti i Padri della Chiesa, e in particolare da Agostino, che ha fissato e precisato le grandi linee della concezione cristiana occi dentale della sessualità. Era evidente, infatti, che attraverso l'In carnazione di Cristo Dio era sceso sulla terra per far sì che anche il corpo fosse capace di trasformarsi. Proprio per questo, all'in1 Cfr. A. Rousselle, Sesso e sodetà alle origini dell'età cristiana, Laterza, Ro ma-Bari 1985. 2 P. Brown, Il corpo e la sodetà. Uomini, donne e astinenza sessuale nel pri mo cristianesimo ( 1988), Einaudi, Torino 1992, p. 24.
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terno della tradizione cristiana, il comportamento sessuale non sarà mai considerato solo come un settore da regolare attraverso una precettistica morale, ma costituirà fin dall'inizio un nodo teo logico fondamentale, la cui definizione risulta centrale in tutti i momenti di svolta della storia della Chiesa, a cominciare dalla riforma gregoriana per arrivare al Vaticano II, passando per la Riforma e il Concilio di Trento. E proprio per questo è divenuto uno dei motivi dominanti di quasi tutte le eresie. La differenza cristiana sul posto da dare alla sessualità e al cor po si affermò prendendo le distanze non solo dal paganesimo, ma anche dalla cultura ebraica. Questo nuovo modo di concepire la sessualità non solo assu me un'importanza crescente nel definire l'identità cristiana, ma avrà l'effetto di cambiare radicalmente i rapporti tra i sessi. Si trat ta di una rivoluzione simbolica e culturale dalla quale la cultura occidentale riceverà le caratteristiche che la contraddistinguono ancora oggi, se pure con modalità contraddittorie. I cristiani, in fatti, cercano con passione tutte le vie che li possono trasformare già in questa vita, rendendoli più liberi dai gravami della condi zione umana e aperti a ricevere lo Spirito: la sessualità viene indi viduata come il nodo fondamentale, come il punto in cui corpo e spirito si intrecciano e sul quale, quindi, si può agire per avanza re nel cammino spirituale. TI matrimonio e la castità acquistano entrambi lo statuto di via spirituale, e proprio per questo è tanto importante delinearne le nuove leggi e rivelarne i significati simbolici. Un primo importante passaggio è costituito dallo spostamen to dell'attenzione dall'atto all'intenzione individuale che lo sot tende, aprendo così la via a quella che, nel corso del tempo, di venterà l'analisi dell'uomo interiore e delle sue motivazioni. Il pri mo passo in questa direzione è lo strappo con la tradizione ebrai ca della purità, uno strappo che costituisce uno degli aspetti più «scandalosi» dei Vangeli, e coinvolge allo stesso tempo il cibo e la sessualità. Gesù stabilisce infatti chiaramente- con le parole e con l'esempio - la fine delle categorie tradizionali di contaminazione materiale, per sostituirle con la impurità metaforica dell'intenzio, ne. A tal punto che, nel suo rovesciamento delle gerarchie uma ne, promette il regno dei cieli alle prostitute, che del resto fre quenta e con cui parla in vari episodi evangelici.
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Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia
Al tempo stesso, la sua breve vita è contraddistinta dalla più ri gorosa castità: Cristo, il modello a cui si rifaranno tutti i cristiani, ha scelto di non avere rapporti sessuali, ha scelto di non aderire al modello del pater /amilias a cui si erano omologati i grandi pa triarchi e i profeti. Il dovere di perpetuare la specie, la famiglia, l'etnia, che nella società antica incombeva su ogni essere umano, viene così fortemente messo in crisi, minato da questo esempio, tanto che, per influsso del cristianesimo, nascerà la prima società che accetta, anzi valorizza, la scelta di castità, non solo per gli uo mini, ma anche per le donne. Forse è proprio per questa rivolu zione che ancora oggi, al cristianesimo, e in particolare al cattoli cesimo, è rimasta appiccicata un'idea di oppressione sessuale. Non è stata certo secondaria, nel momento in cui si diffonde l'a spirazione al casto modello di vita di Gesù, la forte tensione apo calittica che si respirava nella società giudaica. Se la fine del mon do sarebbe arrivata a breve scadenza, anche la tensione verso i le gami umani e familiari e le proiezioni sul futuro umano come la procreazione tendevano a perdere rilievo. Il codice di comportamento sessuale cristiano non solo non si è formato immediatamente, ma ha conosciuto tensioni contra stanti e opposte, e ha dato origine a numerose eresie. L'unico pun to sul quale tutti i primi scritti cristiani sembrano concordare è proprio il distacco dalle Sacre Scritture dell'ebraismo, che pro ponevano un'etica sessuale basata sull'impurità: era considerato impuro avere rapporti sessuali durante le mestruazioni (per coe renza con l'idea di impurità del sangue), praticare l'adulterio e l'o mosessualità, frequentare prostitute. In queste occasioni si cade va in uno stato di impurità uguale a quello che contaminava chi mangiava animali proibiti o non eseguiva i lavacri prescritti, per uscire dal quale bisognava sottoporsi a un rito di purificazione. Il cristianesimo, cancellando l'impurità materiale, trasferisce sul piano etico le prescrizioni ebraiche, e le giustifica non con l'im purità, ma con la rottura dell'armonia comunitaria. Le intenzioni del cuore - la cupidigia, la volontà di possesso - sono considera te i motori peccaminosi di queste pratiche, e per questo vengono condannate, e si insiste sugli effetti di discordia che atti come l'a dulterio possono provocare nel gruppo. Naturalmente, su tutto svetta l'esempio di Cristo, che però
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non è possibile seguire per tutti: il matrimonio viene allora pro posto da Paolo come una scelta meno alta, ma ugualmente santa. n passaggio dalle norme precedenti a quelle nuove non avvie ne però senza scosse e contraddizioni: ci sono comunità che pen sano - liberate dall'impurità - di poter praticare una totale libertà sessuale, come i discepoli di Valentino e di Marcione, noti per la vita sessuale molto libera degli uomini, che si accompagnava a una stretta fedeltà alla fede cristiana, o come alcuni gruppi gnostici che estendevano questa libertà anche alle donne e integravano nel cristianesimo anche l'omosessualità e la pedofilia. Queste sette non reagivano ad alcuna oppressione sessuale, ma anzi aderivano a una cultura molto diffusa integrandola in un sistema religioso in cui si cercava l'unione con Dio. Gli gnostici condannavano al nul la la materia, compreso il corpo: proprio per questo ciò che si fa ceva con il corpo non aveva importanza. Molto più numerose erano invece le comunità che cadevano nella tendenza opposta, interpretando il modello casto di Cristo come obbligatorio. Questa scelta restrittiva, che - in una pro spettiva apocalittica - impone a tutti la castità, darà origine a una eresia, l' encratismo, che influenzerà dall'esterno la cultura cristia na diffondendo una demonizzazione dell'atto sessuale. Ma se fra il III e il IV secolo assistiamo a una vittoria della ca stità come ideale, che concretamente ha preso forma nelle comu nità monastiche maschili e femminili, dobbiamo tenere presente che non si tratta solo di influenza cristiana: la limitazione sponta nea dei rapporti sessuali si era estesa nella società anche prima del la diffusione della nuova religione, come dimostra la stagnazione demografica nelle classi superiori dell'impero. Era una pratica consigliata dai medici, che ritenevano dannosa per l'uomo l'emis sione del seme: nel II secolo Sorano scrive che «ogni emissione di seme [maschile] nuoce alla salute» e addirittura che «il rapporto sessuale è in se stesso nocivo»3• La continenza - detta enkràteia, cioè «dominio di sé» e dunque, in questo caso, ritenzione di sper ma - è raccomandata anche dai filosofi, che vedono in essa una vittoria della parte più nobile dell'uomo, la ragione, sull'istinto. La proposta cristiana, quindi, trova un terreno fertile nella società 3
Gynaecia, I, VII, 30-32.
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Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia
dell'epoca sia pagana che giudaica - dove la setta degli esseni, ad esempio, praticava l'ascetismo assoluto - e le eresie che predica no il totale annullamento del corpo hanno radici in questo passa to, più che in una esasperazione della valorizzazione cristiana del la castità. Nelle Sacre Scritture ebraiche e cristiane non c'è differenza per ciò che riguarda i peccati sessuali: l'elenco che ci fornisce Pao lo nella Prìma lettera aì Corìnzì ( 6, 9) prevede la condanna dei pòr noì (fornicatori), moìchòì (adulteri), malakòì (effeminati) , arse nokòìtaì (sodomiti). Le novità introdotte dal cristianesimo riguar dano invece due punti importanti: il matrimonio e il celibato. Il primo ad affrontare problemi di etica sessuale è appunto Paolo, pressato dalle domande dei cristiani di Corinto, comunità da lui fondata e seguita per un periodo abbastanza lungo (si pensa un anno e mezzo) . Evidentemente Paolo non aveva mai affrontato con loro il tema dell'etica sessuale e nella comunità si era verifica ta una frattura fra modi diversi di affrontarla, che andavano dal li bertinismo al rifiuto totale del matrimonio e dei rapporti sessua li. I libertini applicavano anche alla sfera sessuale la convinzione di Paolo, che aveva affermato che il Vangelo è superiore alla leg ge, interpretandola come la fine di ogni restrizione morale. Altri, sottolineando la scelta celibataria di Paolo, nonché il suo uso ne gativo del termine «carne», concludevano che il cristianesimo in coraggiava una totale astinenza dal sesso. Altri ancora, vedendo che Paolo era in buoni rapporti con le famiglie tradizionali, opta vano per questa ipotesi più tranquillizzante. Le più forti tensioni erano provocate dal gruppo degli asceti, che fondavano la loro scelta anche sulla convinzione - ampiamente condivisa - che ogni problema di continuazione del gruppo umano doveva essere ac cantonato davanti all'imminenza della fine del mondo4• Paolo, pur condividendo questa certezza della prossimità del la fine, risponde dando precise norme di etica sessuale, vicine sen za dubbio alle parole di Gesù, ma con una inclinazione meno ri voluzionaria, più attente a non sovvertire la società esistente. A questo fine, nella Prìma lettera aì Corìnzì condanna senza mezzi termini il caso di un uomo che si era unito alla moglie del padre, 4 Si veda in proposito F. Watson, Agape, Eros, Gender. Towards a Pauline Sexual Ethic, Cambridge University Press, Cambridge 2000.
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senza considerare un'attenuante il fatto che quest'ultimo era mor to: come nella cultura ebraica e in quella greco-romana, questo doveva considerarsi un incesto perché si trattava di un'offesa con tro la sovranità patriarcale. Veniva ritenuto infatti un peccato contro la gerarchia familiare, e non contro la purità, perché con questo gesto il figlio si metteva alla pari del padre, mancando co sì di rispetto verso la famiglia che gli aveva dato la sua identità. Paolo insiste quindi che questo vada considerato un'offesa grave contro l'etica della famiglia patriarcale, da difendere anche in prossimità della fine dei tempi, nonostante che alcuni membri del la comunità avessero difeso il figlio, sentendosene addirittura or gogliosi. La colpa non si doveva ascrivere comunque a una tra sgressione della purità, ma della proprietà, cioè al prendere ciò che appartiene a un altro. Allo stesso modo viene giustificata la condanna paolina dei maschi cristiani che frequentavano le pro stitute: mentre l'Antico Testamento condannava questa pratica come spreco delle risorse familiari, egli la condanna come furto da parte del cristiano, che dà a un'altra il corpo che aveva offerto a Cristo. Il corpo del cristiano - e Paolo dà a questo termine il sen so di unità e integrità dell'essere umano - appartiene infatti già a Cristo, a Dio, e non può appartenere, neppure per poco, a una donna pagata. Egli infatti insiste su questo tema: «Fuggite la for nicazione! Qualsiasi peccato l'uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all'impudicizia pecca contro il proprio corpo. O non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stes si? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!» (I Corinzi, 6, 1 8-20). Anche se dichiara fermamente che l'astinenza sessuale è la condizione migliore, perché permette all'uomo di affrancarsi dal le preoccupazioni quotidiane e di dedicarsi totalmente a Dio, Paolo non è contrario al matrimonio, anzi, lo considera una voca zione diversa, ma altrettanto degna di stima, e sempre nella Prima lettera ai Corinzi (7, 7) scrive: «Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno ha il proprio dono [chàrzsma] da Dio, chi in un mo do, chi in un altro». Il rapporto sessuale nel matrimonio non en tra in conflitto con l'appartenenza a Cristo del corpo del creden te a condizione che ne vengano rispettate le indicazioni: cioè che si realizzi un attento equilibrio fra la proprietà sessuale della mo-
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glie da parte del marito e l'equivalente proprietà del marito da parte della moglie. Paolo dimostra qui di accettare completamen te la rivoluzione che Gesù aveva operato nel matrimonio, negan do la possibilità di ripudio da parte del marito, l'unico, nella leg ge ebraica, a «possedere» il corpo della moglie. Negando il ripu dio a entrambi, Gesù stabilisce infatti che anche il marito è pro prietà della moglie, inaugurando così una eguaglianza fra i coniu gi assolutamente inedita in tutte le società antiche. Nella Prima lettera ai Corinzi (7, 9) Paolo detta la famosa fra se che sembra condannare la sessualità nella cultura cristiana - «se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere» - ma è significativo che l'apostolo riconosca la soddisfa zione del desiderio sessuale come una ragione legittima e suffi ciente per il matrimonio. Data la prossimità della fine dei tempi, per Paolo la ragione principale del matrimonio non poteva più es sere la continuazione della famiglia, e la nuova giustificazione che proponeva teneva invece conto del desiderio sessuale. n presente è da lui percepito come breve e provvisorio: non vale la pena, quindi, per i cristiani sposati, cambiare condizione né cercare di cambiare radicalmente l'istituto familiare in modo conforme alle innovative proposte di Cristo. Ciò che conta per lui è come si de ve vivere senza peccare negli ultimi giorni. In sostanza, Paolo segue l'insegnamento di Gesù sul piano del la proprietà sessuale, proponendone l'uguale diritto per uomini e donne, e in questo modo incrina la base dell'autorità del pater /a milias dell'antica tradizione israelita, confermata dal diritto ro mano. Egli parla delle donne considerandole alla pari degli uomi ni nelle questioni di proprietà sessuale, anche se - ribadisce - al di sopra di tutto chi possiede il credente è Cristo, e la vita sessua le deve tenerne conto. Dal momento invece che Paolo si dichiara contrario alla parità in altri ambiti, come per esempio la predica zione, possiamo dedurre che la parità fra i sessi per lui era am messa solo per i diritti sessuali, appunto: senza arrivare, del resto, alla conclusione che sotto questa nuova ottica la famiglia fosse da riformarsi, forse per la sua convinzione dell'imminenza del regno di Dio. Anche se Paolo considera il matrimonio uno stato inferiore al celibato, perché per certi aspetti distrae dalla fedeltà a Cristo, non condivide certo l'idea dei sostenitori a oltranza dell'ascetismo che
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il sesso costituisca un male intrinseco, e questa posizione è stata condivisa in sostanza negli Atti degli apostoli. Con il tempo, però, anche fra i cristiani si è affermata nuovamente la tendenza con servatrice rispetto alla famiglia tradizionale e quindi si è affievoli ta la tensione all'eguaglianza fra donne e uomini proclamata dal Vangelo. Tutto il pensiero cristiano sulla sessualità dipende da Agosti no, che era senza dubbio segnato, nella sua esperienza personale, da una forte passione sessuale, la cui pratica gli era ben nota nel periodo precedente la conversione. E non è senza significato che l'incontro fra Agostino e il cristianesimo sia passato attraverso un'esperienza di ascesi narrata nell'ottavo libro ( 12, 28-30) delle Confessioni. Ponticiano racconta ad Agostino e Alipio come due amici avessero abbracciato la via ascetica e contemplativa dopo la lettura della Vita del monaco egiziano Antonio. Poco più avanti è lo stesso Agostino che, ricordandosi dell'esempio di Antonio con vertitosi ascoltando per caso un passo del Vangelo, decide di ab bandonare la sua vita disordinata: una adesione al cristianesimo, quindi, venata di tensione ascetica e, conseguentemente, escato logica. Per Agostino, sia il corpo in generale, sia la sfera dei sensi, non soggiacciono ad alcuna condanna in se stessi, ma solo se legati al la concupiscentùz5• Si tratta di un nuovo concetto che avrà gran dissima fortuna nella letteratura cristiana successiva, pur assu mendo spesso un significato più rigido. La concupiscenza, per Agostino, non è né la sensibilità, né il corpo, né il sesso, quindi non appartiene all'essere umano in quanto tale, ma è provocata dall'intervento dell'intelligenza e della coscienza dell'uomo. È quel vizio per cui la carne desidera contro lo spirito e diventa ma trice di peccato. Si tratta di un male che viene all'uomo per colpa dell'antico peccato di Adamo. Agostino inserisce così i rapporti sessuali nella teologia della salvezza, collegandoli al peccato origi nale e quindi al problema del libero arbitrio e con questo trasfor ma completamente lo statuto della sessualità: non più solo feno meno naturale, da disciplinare, ma segno della condizione umana � Cfr. E. Samek Lodovici, Sessualità, matnmonio e concupiscenza in sant'A gostino, in Etica sessuale e matrimonio nel cristianesimo delle origini, a cura di R.
Cantalamessa, Vita e Pensiero, Milano 1976, pp. 2 12-272.
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e suo banco di prova spirituale. Per lui, infatti, il termine caro non designa semplicemente il corpo, ma la vita di tutto l'uomo sotto la legge del corpo, così come spiritus non è semplicemente l'ani ma, lo spirito dell'uomo, ma designa la vita di tutto l'uomo se condo la legge dello spirito. Alla base del suo pensiero sta la con futazione della teoria di Pelagio, che negava l'esistenza del pecca to originale e proponeva di abbandonare la pratica del battesimo dei bambini, ritornando a quello degli adulti. Ma contro il batte simo, per motivi opposti, erano anche altri eretici, i manichei, se condo i quali i corpi non erano creati da Dio, ma dallo spirito del male. Già Ireneo aveva condannato queste posizioni, sostenendo che il battesimo garantiva anche al corpo un destino spirituale e una vita incorruttibile. Per Agostino, il peccato originale c'è, e ne vediamo le conse guenze nella nostra vita, non solo perché ne dobbiamo sopporta re le pene - come la morte, il lavoro e il parto doloroso -, ma per ché ne siamo moralmente condizionati, come prova lo stato di di sordine e di rivolta morale in cui viviamo. Egli nega risolutamen te che il peccato di Adamo ed Eva sia consistito in una trasgres sione sessuale - come invece sosteneva la setta eretica dei messa liani -, ma pensa sia stato essenzialmente un peccato di orgoglio, da cui è derivato il doloroso dissidio fra la carne e lo spirito che angustia l'essere umano. È proprio a causa di questa corruzione del corpo che la concupiscenza carnale fa sentire i suoi stimoli. Prima del peccato, infatti, l'uomo non provava concupiscenza, era padrone del suo istinto sessuale e i genitali venivano mossi senza difficoltà per comando della volontà: «È infatti pena giustissima del peccato che perda ciò che non volle usare bene chi avrebbe potuto usarlo senza alcuna difficoltà, solo se lo avesse voluto»6• Da quel momento il corpo disobbedisce alla volontà con un mo vimento di rivolta, fino ad allora sconosciuto, come fosse una pe na reciproca della precedente disobbedienza verso Dio7• Sono almeno tre, secondo Agostino, le caratteristiche che in dicano la concupiscenza come legata al peccato originale: l'indo-
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Agostino, De libero arbitrio, III, 18.52. Cfr. P.F. Beatrice, Tradux peccati. Alle fonti della dottrina agostiniana del peccato originale, Vita e Pensiero, Milano 1978. 7
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mabilità, intrinseca alla libido; la vergogna che vi si collega (che è quella provata da Adamo ed Eva); l'innaturalità della sua presen za, che dimostra come dopo il peccato originale la natura umana sia viziata anche se rimane opera di Dio. Il pensatore africano chiama la concupiscenza peccatum, perché è apparsa con il pec cato e opera il peccato, ma in sé non è peccato, come dimostra il fatto che se ne può fare buon uso nel matrimonio. Per Agostino l'atto sessuale compiuto nel matrimonio, anche se provoca dilet to nei coniugi, non è peccato in sé, anzi esiste una serie di testi ago stiniani in cui è espresso un invito positivo all'esercizio della vita sessuale. Non è quindi da regolare il piacere in sé, quanto la ri cerca esclusiva del piacere, cioè la concupiscenza. L'uso smodato della comunione sessuale rivela la propria schiavitù alla libido, che si contrappone alla delectatio - la quale rientra invece nella sfera naturale - in quanto si caratterizza non solo come una rivolta con tro la ragione, ma soprattutto come peccato spirituale, cioè come mancata adesione di tutto l'uomo alla legge dello Spirito Santo. È lo spirito di Dio che deve comandare al corpo e allo spirito uma no. Per farsi capire meglio, Agostino fa un confronto con l'uso del cibo: è la stessa differenza fra chi vive per mangiare e chi mangia per vivere. Prima della caduta, infatti, secondo Agostino, il matri monio avveniva attraverso l'atto sessuale, praticato con diletto, ma senza concupiscenza, come prova il fatto che gli organi ses suali erano controllati dalla ragione, in completa obbedienza del l' anima razionale e del corpo a Dio. Il rapporto sessuale non è solo conseguenza del peccato, ma anche il suo modo di trasmissione: per Agostino il peccato origi nale si trasmette per generazione e non per imitazione. Proprio per questo hanno suscitato tante preoccupazioni teologiche le vi cende matrimoniali di due coppie protagoniste della storia sacra: Anna e Gioacchino e Maria e Giuseppe, sui quali si tornerà più avanti. TI battesimo dei bambini è dunque necessario, in contrap posizione alle idee pelagiane, ma è anche necessario ribadire il li bero arbitrio, come Agostino non mancherà di fare con il con sueto vigore contro i manichei. Tommaso d'Aquino, nel XIII secolo, riprenderà, per ampliar la, la concezione agostiniana: il peccato originale non è uno stato, ma una disposizione malvagia, una sorta di malattia che provoca una grande privazione di beni soprannaturali. Più ottimista di
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Agostino, però, Tommaso enumera le facoltà positive che sono ri maste all'essere umano: la ragione e la volontà, attraverso le qua li può trionfa�e sui sensi. La ragione sola - scrive -, e non la sen sualità, ha il potere di condannarci alla fine eterna o di salvarci. La dottrina tomista è profondamente umana, perché sostiene che il fedele, aiutato nel combattimento spirituale dalla preghiera e dal la grazia, può raggiungere la perfezione armoniosa, umana e divi na al tempo stesso. La posizione pessimista agostiniana viene ri presa in campo protestante e giansenista, e quella di san Tomma so, più ottimista, dai gesuiti e da san Francesco di Sales, affer mandosi definitivamente nel cattolicesimo del XIX secolo. In ogni modo, il collegamento fra peccato originale e sessua lità - ribadito dal Concilio di Trento, al di là delle sottigliezze del pensiero agostiniano e della chiarezza positiva di Tommaso8 - ha contribuito in misura non indifferente a caricare di negatività la vita sessuale agli occhi della cultura cristiana meno avvertita e a condizionare le norme relative ai comportamenti, come dimo strerà, in negativo, la liberalizzazione del comportamento sessua le che si accompagnerà alla secolarizzazione9. Ma, al tempo stes so, il collegamento fra sessualità e peccato originale ne fa un'alta questione teologica, cruciale sul piano della salvezza, dando alla sfera sessuale una importanza che la cultura antica non le aveva mai riconosciuto.
2 . Il matrimonio cristiano Anche se in apparenza poteva sembrare che la famiglia cristia na riprendesse le virtù di una buona famiglia della tradizione ro mana, anch'essa monogamica, la natura del legame era cambiata completamente di significato, e non solo perché alla donna veni va concesso un posto egualitario nella relazione e veniva solleci tato il libero consenso degli sposi, ma soprattutto perché ne era8 Cfr. A. Vanneste, Le décret du Concile de Trente sur le péché originel, in «Nouvelle Revue Théologique», 87, 1965, pp. 688-726. 9 Si veda in proposito, sia pure fortemente critico nei confronti della tradi zione cristiana, G. Israel, Volupté et crainte du Ciel. Peut-on se libérer du péché ong,ni el?, Payot, Paris 2002.
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no stati completamente trasformati il senso e lo scopo, attraverso un profondo lavoro di revisione simbolica. Gesù ne stabilisce la sacralità: ricorda l'affermazione della Scrittura - «i due saranno una sola carne» (Genesi, 2, 24), che attesta una vocazione origi naria dei sessi a unirsi a partire dalla creazione - e ne riporta l'in terpretazione autentica e definitiva: «L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto» (Marco, 10, 9; cfr. Matteo, 19, 6) che dà al matrimonio il peso di una scelta di vita, di una vocazione e di un destino. Il matrimonio, infatti, si pone fin dai primi tempi della tradi zione cristiana al centro di dispute non solo morali, ma anche teo logiche10, diversamente dalla cultura antica, in cui offriva terreno di riflessione per i moralisti, ma soprattutto per i medici che ne dovevano regolare le abitudini ai fini di una buona procreazione e di una buona salute, dimostrandosi in sostanza un legame pre valentemente naturale, finalizzato alla procreazione. Nel cristianesimo, invece, è l'accordo di coppia che costituisce l'essenziale del matrimonio e non la fecondità come tale: in esso, infatti, non è più motivo di separazione la sterilità, che nelle so cietà antiche era vissuta sempre come malattia femminile. n lega me fra i due sposi era concepito come un legame d'amore; certo, non nel senso di amore romantico come noi intendiamo dopo il XIX secolo, ma nel senso di carità reciproca, di solidarietà profon da, resa più forte dalla comune appartenenza spirituale. Tertullia no, un Padre della Chiesa che pure si è espresso chiaramente a fa vore della superiorità dell'ascetismo sulla vita coniugale, così par la degli sposi cristiani: «Che coppia quella di due cristiani uniti da una sola speranza, un solo desiderio, una sola norma di vita, dallo stesso servizio ! Ambedue fratelli, ambedue compagni di servizio; nessuna divisione né nello spirito né nella carne»1 1. E non poteva essere diversamente, se pensiamo come l'amore sia al centro di tutto l 'insegnamento di Gesù: il matrimonio costituisce quindi una sorta di prima esperienza dell'amore che lega ogni esse re umano a Dio. In tale esperienza, di cui fa parte la passione ses suale, il soggetto acquisisce infatti, senza bisogno di una mediazio1° Cfr. Donna e matrimonio alle origini della Chiesa, a cura di E. dal Covo lo, Las, Roma 1996. 11 Tertulliano, Ad uxorem, Il, 8, 7.
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ne discorsiva o logica, un sapere essenziale, quello del sacrificio e del dono di sé. È solo staccandosi da sé, infatti, rinunciando a sé, ri mettendo il proprio destino nelle mani di un altro, abbandonando si all'altro, che il soggetto può dare un senso alla sua esistenza. Già le Scritture ebraiche davano un ruolo simbolico importante al rap porto tra uomo e donna: è come «maschio e femmina» (Genesi, l, 27) che Dio ha creato l'uomo a sua immagine; la storia del popolo di Israele è attraversata dall 'amore che unisce le coppie - Adamo ed Eva, Abramo e Sara, Isacco e Rebecca, Giacobbe e Rachele, Sanso ne e Dalila, Booz e Ruth, Davide e Betsabea- e nella letteratura pro fetica (per esempio, in Osea) il rapporto sponsale diviene metafora del rapporto tra Dio e il suo popolo, mentre il Cantico dei cantici ce lebra l'unione carnale. Ma nel Nuovo Testamento l'unione fra l'uo mo e la donna acquista uno spessore simbolico ancora maggiore, di venta figura della partecipazione dei credenti a Cristo secondo il corpo e lo spirito e, soprattutto, figura della relazione di Cristo con la Chiesa, sua sposa. Il fiorire dell'interpretazione simbolica trasforma così il rap porto di coppia da un evento sociale e naturale in un legame sa cro, per definire il quale viene utilizzato il termine greco mystè rion, che in latino verrà tradotto come sacramentum. Le tradizio ni cristiane orientali e il cattolicesimo hanno mantenuto l'antica indicazione che vedeva del matrimonio non soltanto il contesto etico, familiare e sociale, ma il mistero del dono di una grazia in timamente trasformante, che in alcune occasioni, per mantenere la pratica delle virtù, può divenire un soccorso offerto da Dio. Anche per la definizione del matrimonio cristiano siamo debi tori ad Agostino, meno severo di Tertulliano e di Girolamo, che esaltano decisamente la continenza e il celibato. Per Agostino, in vece, anche il matrimonio è un bene, perché l'unione fra uomo e donna è naturale conseguenza della creazione di due sessi diver si. I beni del matrimonio non sono solo la sessualità e la conse guente procreazione (bonum prolis) , ma anche la fedeltà recipro ca (il bonum /idei) e l'indissolubilità (il bonum sacramenti) . E in questa valorizzazione del matrimonio Agostino si contrappone a Gregorio di Nissa, che aveva interpretato la sessualità solo come una consolazione offerta da Dio all'uomo dopo la caduta, e supe ra Clemente di Alessandria, che aveva difeso il matrimonio ve-
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dendovi una collaborazione all'opera del Creatore attraverso la procreaziOne. Se il fine della procreazione non rompeva con la tradizione precedente, e si rifaceva alla teoria degli stoici, il bonum /idei co stituisce invece una vera novità, perché impone non solo il reci proco adempimento del dovere coniugale, ma la convivenza per tutta la vita in una unione paritaria e fedele. Nella società roma na, al contrario, la legge puniva duramente le adultere, mentre l'infedeltà dei mariti non era soggetta a sanzioni penali, né a una seria disapprovazione morale. Era anzi pienamente accettato che l'uomo intrattenesse rapporti sessuali con gli schiavi di ambo i ses si presenti nella casa. Rifacendosi alle radici bibliche, Agostino scrive - sulla traccia di Paolo (cfr. I Corinzi, 6, 12-20) - che l'ec cellenza di una unione fedele è così grande che i coniugati diven tano membra stesse di Cristo, per cui mancare alla fedeltà signifi ca prostituire le membra stesse di Cristo. n bonum sacramenti, poi, trasforma il matrimonio da un con tratto puramente umano in una realtà superiore che trascende la volontà dei contraenti, rendendo indissolubile il rapporto. L'in dissolubilità del matrimonio nasce quindi dalla partecipazione terrestre a un mistero divino di amore indissolubile, quello fra Cristo e la Chiesa, rappresentato secondo Agostino dalla trasfor mazione dell'acqua in vino alle nozze di Cana. Non si tratta, quin di, di una indissolubilità naturale, ma di una indissolubilità teolo gica, per cui la generazione della prole non può essere considera ta da sola l'essenza del matrimonio. Viene quindi condannata la pratica diffusa per cui il marito si poteva unire a un'altra donna in vista della procreazione. Ed è proprio la visione non naturalistica, ma teologica, che Agostino ha del matrimonio a impedirgli la con siderazione puramente biologica di esso. Anche la procreazione, comunque, ha un senso teologico in quanto ha lo scopo di mette re al mondo i membri dell'umanità definitiva, la Città celeste. Se, nell'Antico Testamento, i patriarchi dovevano procreare per pre parare l'arrivo del Messia, così, dopo la venuta di Cristo, per al cuni cristiani non sembrava più necessario mettere al mondo dei figli. Cristo però è venuto, ma non ancora definitivamente, dice Agostino, bisogna generare figli per la sua seconda venuta. L'esperienza delle persecuzioni potenzia e intensifica la soli darietà e il sostegno reciproco fra gli sposi cristiani, che insieme
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vanno in esilio o affrontano il martirio. Uno dei pochi casi di ma trimonio esemplare tramandato dalla tradizione tardo-antica è quello di Paolina con Therasia: Paolina, nato in una ricchissima e influente famiglia senatoriale della Gallia romana, compie il cur sus honorum nella società del suo tempo e sposa la spagnola The rasia, cristiana appassionata che lo induce alla conversione: «Pel legrino, varcati i Pirenei, giunsi al vicino paese degli Iberi: lì hai permesso che io prendessi una sposa secondo la legge umana; lì tu guadagnasti in una sola volta due vite; ti eri servito del giogo della carne per mettere insieme la salvezza di due anime, e con i meriti dell'una hai compensato le esitazioni dell'altra», scrive nel carme XXI di Ad conìugem (398-403 ). li matrimonio diventava spesso una via di conversione per gli uomini: è ampiamente noto l'importante ruolo che le donne hanno svolto nel cristianesimo dei primi secoli per indurre gli uomini alla conversione. Paolina e Therasia, dopo la morte del loro unico figlio, deci dono insieme di donare i beni e di trasferirsi presso il sepolcro del martire Felice, a Nola, dove fondano una comunità cristiana di coppie - alcune con figli - dedite a Dio. Lì, nella vita comune, si rafforza il loro legame paritario, come dimostra la conclusione dell'Ad conìugem di Paolina: «Siamo l'un l'altro esempi di una vi ta pia; sii custode del tuo custode; sosteniamoci vicendevolmen te; rialza colui che cade, rinfrancati con l'aiuto di colui che si è rial zato, affinché non soltanto abbiamo in comune la stessa carne, ma anche la stessa mente e uno stesso spirito nutra due anime». Nel la loro vicenda, così come ci è stata tramandata da Paolina stesso, la trasformazione dell'unione dei corpi - essere una stessa carne in un legame spirituale diventa vera e vissuta. Considerando la procreazione un bene, Agostino conferma anche il valore sociale del matrimonio, cioè il legame storico fra matrimonio e politica presente nella tradizione romana che, con le parole di Cicerone, considerava il matrimonio «il nucleo primo della città e quasi il semenzaio dello Stato». L'idea di matrimonio di Agostino era quindi in stretta assonanza con la tradizione ro mana: la carità che univa i coniugi avrebbe dovuto creare legami di pace e di unità sociale, avrebbe costruito la pace nella comunità politica. Ma come poteva realizzarsi questa visione così mitizzata e spi ritualizzata del matrimonio in una società in cui il consenso era
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spesso solo una formalità, e molto spesso anche il celibato era de ciso dalla famiglia? Per la cultura cristiana, infatti, la rivendica zione del libero consenso al matrimonio va di pari passo con la li bertà di monacazione, ma in entrambi i casi i poteri delle famiglie erano più forti della libertà individuale di scelta. li problema della libertà di scelta viene sentito nel corso del tempo come centrale per la validità del sacramento: nel XII seco lo i canonisti affermarono il diritto della donna a scegliere il ma rito, mentre si parla sempre più esplicitamente di affetto coniu gale che viene favorito e rinsaldato dal piacere sessuale12• Natu ralmente, un piacere che deve essere ragionevole; nel caso in cui il piacere carnale superi la misura del ragionevole - scrive nella se conda metà del XII secolo Ecberto di Schonau nei Sermones con tra Catharos (PL, 197 , 30) -, «può esservi qualcosa di peccamino so [aliquid peccati] : ma questa traccia di peccato, da una parte, è leggera e, dall'altra, è giustificata dal bene che risulta al matrimo nio». Lo prova il fatto che nella Summa per confessori di Tomma so di Chobham (composta fra il 12 10 e il l2 1 6) veniva consiglia to agli sposi di fare reciproco apostolato spirituale approfittando proprio del momento dell'unione carnale, in cui si supponeva che il coniuge fosse meglio disposto nei confronti dell'altro13• E que sto atteggiamento indulgente verso il piacere sessuale nel matri monio, che dura a lungo, non fa differenza fra piacere maschile e piacere femminile, anche se coloro che scrivono, naturalmente, sono sempre ecclesiastici che conoscono solo la vita ascetica. Proprio per questo, l'esempio più noto di passione amorosa fuori dalle regole nel Medioevo è un caso drammatico e contro verso, che si risolve con la scelta dell'ascetismo: la vicenda di Eloi sa e Abelardo - sposatisi segretamente, dopo essere stati amanti protagonisti di una violenta passione, dal cui frutto era nato un fi glio. Lo zio e tutore di Eloisa li aveva scoperti, e per vendetta ave va fatto castrare Abelardo: i due amanti decisero quindi di dedi care la loro vita a Dio ritirandosi in monastero. Abelardo ricor derà gli incontri amorosi con il senso di colpa di chi deve espiare i peccati commessi, mentre Eloisa, che non rinnegherà mai quel 12
Cfr. J. Leclercq,
I monaci e il matrimonio. Un'indagine sul XII secolo
(1983 ), Società editrice internazionale, Torino 1984, p. 19. 1 3 lvi, p. 56.
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periodo d'amore, lo rimpiangerà sempre, cercando di tramutare la dedizione appassionata all'amante in abbandono a Dio. Nessu no dei due, a differenza della società del tempo, giudica negativa mente la realtà sessuale: Abelardo - convinto com'è che Dio tie ne conto non delle cose che si fanno, ma dell'animo con cui si fan no - conferisce alla persona una centralità nuova grazie al princi pio di intenzionalità, ma iscrive ogni vicenda della vita in un pro getto provvidenziale. Tanto che Pietro il Venerabile - abate di Cluny, dove si era rifugiato Abelardo - può inviare a Eloisa la no tizia della morte dell'amato facendo un chiaro riferimento alla lo ro passione, ormai sublimata e purificata: «Sorella venerabile e ca rissima nel Signore, colui al quale tu fosti prima unita nella carne, poi legata con un nodo tanto più saldo quanto più perfetto era il legame della carità divina, colui con il quale e sotto il quale tu hai servito il Signore, Cristo lo tiene ora nel suo seno al tuo posto e come un'altra te stessa te lo custodisce affinché alla venuta del Si gnore [. ] per grazia sua ti sia restituito» (lettera XV). Mentre in una delle storie più antiche di coppie cristiane, quel la cioè tra Paolina di Nola e Therasia, è la donna a ispirare la svol ta religiosa, nella vicenda di Eloisa e Abelardo è questi che impo ne alla donna il monastero. Paolina muore nel 43 1 , Abelardo nel 1 142: in questi settecento anni sembra sia cambiato molto il mo dello di matrimonio. Per realizzare la sublimazione del legame della carne - simboleggiato dalla trasformazione dell'acqua in vi no alle nozze di Cana - Abelardo ed Eloisa dovranno scegliere la vita monastica e la castità, mentre Paolina e Therasia avevano po tuto vivere insieme, in un rapporto di reciprocità che la pur sa piente Eloisa non riesce più a raggiungere. ..
3 . Un desiderio che vince gli altri desideri Senza dubbio l'esperienza più forte e più specifica legata al l' affermarsi del cristianesimo è quella di permettere e, anzi, di sug gerire come positiva la scelta della castità per un vasto numero di persone, donne e uomini, facendo della verginità un ideale e in sieme una prassi di vita. Attraverso la pratica della castità si svi luppa la mistica cristiana, che orienta la concupiscenza umana
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verso un'altra finalità: quella dell'amore per Cristo come deside rio che vince gli altri desideri. Le opere degli autori cristiani che, come già il medico pagano Galeno e Tertulliano, sostengono questa scelta di vita come l'uni ca che permette non solo di aspirare alla salvezza, ma anche alla santità, trovano un riscontro concreto nella nascita del monache simo, scelta di vita ascetica che per la prima volta coinvolge anche le donne. Molti storici vedono nella fortuna dell'ascetismo nel IV secolo un tentativo di recuperare l'eroismo del martirio dopo la fine delle persecuzioni contro i cristiani. È infatti al termine delle grandi persecuzioni in Oriente, dopo l'editto di Costantino, che Eusebio di Cesarea indicò le due vie proposte ai cristiani: «Dun que il Signore ha dato alla Chiesa due modi di vivere. Uno è so prannaturale, al di là dell'esistenza umana ordinaria, poiché non ammette il matrimonio, la maternità, la proprietà e il possesso dei beni [ . . ] . Come esseri celestiali, costoro guardano alla vita uma na dall'alto e servono Dio onnipotente in rappresentanza di tutta l'umanità [. . . ] . La via più umile e umana spinge gli uomini a unir si in casto connubio, a generare figli, a governare, a comandare i soldati che si battono per la giustizia, e consente loro di dedicarsi tanto alla religione quanto all'agricoltura, al commercio e ad altri interessi più secolari»14• In alcuni apocrifi si trovano le più violente requisitorie contro il rapporto sessuale. In particolare gli Atti di Giuda Tommaso scritti in Siria intorno al 220 descrivono con estrema vivezza la scena della rinuncia al sesso di due sposi nella prima notte di noz ze: «Quindi il Signore [ .. .] sotto l'aspetto di Giuda Tommaso [ ...] si sedette sul letto, ordinò loro di sedersi sulle sedie [ . .. ] . I giovani si astennero dal soddisfare l'immondo desiderio e attesero il mat tino castamente». Allo stesso modo gli Atti di Pietro ci rivelano un cristianesimo d'urto, in forte contrapposizione con la società esi stente: «E ancora molte altre donne s'innamorarono della dottri na sulla purezza [ .. .] e anche gli uomini smisero di giacere con le mogli [ .. . ] . Perciò Roma cadde nello sgomento» (capitolo 34). In realtà, come si è detto, il cristianesimo ha fatto propria e po tenziata una tendenza già in atto nel mondo ellenistico: la scelta .
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14 Eusebio eli Cesarea, Demonstratio evangelica, I, 8.
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per la castità era già diffusa in Palestina, dove il deserto della Giu dea ospitava grandi gruppi di maschi ribelli. Gli osservatori ro mani erano colpiti dalle colonie di celibi, in particolare dagli es seni. Plinio il Vecchio - contemporaneo di Gesù - li definisce «popolazione solitaria e con una caratteristica unica fra i popoli del mondo. Vivono infatti senza donne ed hanno rinunciato a ogni desiderio sessuale [. .. ] . Così - incredibile a dirsi è riuscita a so pravvivere per migliaia di anni una popolazione in cui non nasce nessuno»15• Secondo Filone di Alessandria e Flavio Giuseppe, due autori ebrei ellenizzati, gli esseni avevano realizzato un'uto pia totalmente maschile, con l'intento di rifondare Israele raffor zando la separazione con il mondo pagano. Allo stesso tempo, nel mondo pagano, gli stoici predicano, se non l'ascesi totale, almeno l'astinenza periodica, e gli stessi medici vedono il rapporto ses suale, per gli uomini, come un pericoloso dispendio di energie sottratte a compiti più alti. Questa diffusa convinzione spiega probabilmente il grande successo che conobbe la Vita di Antonio, dettata intorno al 356 da Atanasio, vescovo di Alessandria, prima vita di un anacoreta, a cui seguirono la Vita di Paolo di Tebe composta da Girolamo verso il 379, la Vita di san Martino scritta da Sulpicio Severo, nonché gli Apophthegmata Patrum, raccolte di detti e di episodi riferiti a san ti eremiti, che hanno conosciuto nell'antichità ben sette traduzio ni. Questi testi, scritti da intellettuali che si recavano nel deserto in visita a monaci eremiti per capire come fosse possibile pratica re l'astinenza totale e definitiva, furono e sono restati la fonte prin cipale del monachesimo orientale e occidentale. Questo tessuto vivente di esperienze ha portato al consolidamento e allo svilup po di quel particolare sistema di vita religiosa che è il monachesi mo: si trattava di esperienze del tutto inedite per gli eremiti. Essi, infatti, si trasferivano nel deserto senza alcun bagaglio di precetti su come affrontare la solitudine, il digiuno, l'astinenza sessuale: hanno semplicemente provato. Antonio, l'iniziatore, era un contadino egiziano che, sentite le parole del Vangelo che invitavano a seguire Gesù, decise di ab bandonare famiglia e beni e di cercare un incontro faccia a faccia -
15
Plinio, Naturalis historia, XV, 75, 53.
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con Dio nel completo isolamento. Scoprì così che i desideri del l'uomo erano dentro di lui, e non si spegnevano quando i contat ti con l'esterno venivano sospesi. Antonio li descrive come assalti diabolici, e scopre che il più irriducibile è proprio il desiderio ses suale: «Chi dimora nel deserto e vive nel raccoglimento non deve affrontare tre combattimenti: quello con l'udito, quello con la chiacchiera e quello con la vista. Il solo combattimento che resta è quello con la fornicazione»16• Per portare alla ragione il suo cor po prova a sfinirlo privandolo di sonno, di cibo, di ogni comodità. n desiderio rimane però una tortura lancinante, per lui e per gli altri eremiti, non attutita neppure dall'età e dal tempo trascorso in solitudine. Gli episodi narrati in proposito sono innumerevoli: un vecchio eremita malato, «sicuro che il suo corpo fosse morto», scese a far si curare in un villaggio, dove dimorò presso una famiglia e mise incinta la giovane che lo accudiva. Storie come questa dovevano essere così frequenti che, se una donna rimaneva incinta fuori del matrimonio, spesso dava la colpa agli eremiti. La tentazione ses suale si manifestava anche come sogno ricorrente, che talvolta di ventava allucinazione - i Padri la descrivono come assalti del de monio -, tanto che alcuni arrivavano a evirarsi, altri si torturava no con un ferro rovente; Pacone si chiuse nella tana di una iena, sperando di morire piuttosto che cedere o, in altra circostanza, si avvinghiò un serpentello ai genitali; Evagrio passò notti intere im merso in un pozzo gelato17• Naturalmente, uno dei provvedimen ti più frequenti era la rinuncia totale e definitiva ad avere contat ti con le donne, in quanto risvegliavano desideri alla sola vista: «Un monaco incontrò per la via delle monache; vedendole, si al lontanò dalla carreggiata, ma la loro superiora gli dice: 'Se tu fos si un monaco perfetto non ci avresti guardate e non ti saresti ac corto che eravamo donne'>>, narrano gli Apophthegmata Patrum. Per evitare queste tentazioni gli anacoreti cercarono di ridurre al minimo i contatti con l'esterno: abbandonarono così i lavori arti gianali che li portavano periodicamente a scambiare i loro pro16 17
Apophthegmata Patrum (Antonius, 11).
Una vivace sintesi di queste storie è in H. C. Zander, Quando la religione non era ancora noiosa. Eremitz; asce!� stiliti: le incredibili avventure e le diver tenti imprese dei padri del deserto, Garzanti, Milano 2003 (2001 ).
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dotti con il pane nei villaggi, e si ritirarono sempre più lontano dall'abitato, cercando di vivere solo di erbe e radici. Rimaneva co munque il pericolo di incontrare qualcuno nei posti di riforni mento di acqua. La questione dei rapporti umani che risvegliavano gli stimoli sessuali era la più grave da risolvere: ce ne informano gli stessi ere miti che non nascondono come l'incontro con una donna o con un ragazzo, dopo anni di castità, diventasse spesso occasione di caduta al richiamo del sesso. Sono oggetto di tentazione i bambi ni, talvolta affidati ai Padri che sceglievano il deserto. Numerosi testi, infatti, mettono in guardia dall'abitare con un fanciullo, co me in un'affermazione di Macario: «Quando vedrete dei ragazzi alla Scete, prendete le vostre meloti [pelli animali usate come ve stiario] e ritiratevi». Sogni e pensieri erano causa naturalmente di erezioni ed eia culazioni involontarie, mentre per gli anacoreti il fine da raggiun gere era la soppressione di qualsiasi espressione sessuale, anche non voluta. I segni di una involontaria attività sessuale - opera an che questa del demonio - non sono considerati peccato, ma osta colo al progetto di ascesa spirituale del monaco. Giovanni Cas siano dedica a questo tema un'intera conferenza (collatio), la ven tiduesima, ritenendoli «segno di una concupiscenza che si na sconde nelle profondità del nostro essere» ( 1 2 , 7) e gli anacoreti considerano compiuto il loro cammino verso la perfezione, cioè verso l'unità completa di corpo e di spirito, solo quando queste emissioni finiscono; così, a proposito dell'abba Sereno riferisce che «fra tutte le virtù che la grazia del Signore faceva risplendere nelle sue opere, nei suoi costumi e persino nella sua faccia, egli aveva ricevuto il dono particolare di una castità sì alta da non sen tire più, neanche durante il sonno, i moti naturali della carne» (7, 1), e altrettanto si tramandava di Evagrio, che morì a 54 anni, da tre anni libero dalla concupiscenza. Una caduta sessuale non costituiva, però, una ragione per ab bandonare l'impresa: i monaci più giovani ricorrevano in questi casi ai consigli di un anziano e, in generale, intensificavano la mor tificazione del corpo con privazioni alimentari: «Quando si vuole conquistare una città le si tagliano l'acqua e i viveri. Similmente per le passioni della carne. Se un uomo vive nel digiuno e nella fa me, i nemici della sua anima sono indeboliti», dice Giovanni il
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Breve18• E ilarione, ancora giovane, così ammonisce il suo corpo in cui si risvegliano gli stimoli del desiderio: «Caro il mio asinello, t'insegnerò io a non tirare calci; non ti nutrirò d'orzo, ma di pa glia; ti sfinirò a forza di fame e sete, ti caricherò di pesi enormi, ti metterò alla prova con la calura e con il gelo»19• Non tutti gli anacoreti mangiavano allo stesso modo, ma nella ricerca di una dieta lo scopo fondamentale era quello di trovare alimenti che facilitassero la resistenza alle tentazioni sessuali. Non era tanto un problema di quantità e qualità - per coloro che, co me Antonio, provenivano dalle classi popolari, l'abitudine a man giare poco, anche per mantenere le numerose famiglie, era così ra dicata che talvolta la dieta dell'eremita era considerata un lusso ma di dosare digiuni e alimenti in modo da spegnere l'istinto ses suale. In genere digiuno significava mangiare una sola volta al giorno, al tramonto, e i digiuni totali erano praticati in occasioni eccezionali, per combattere una tentazione particolarmente vio lenta. Secondo alcuni, per combattere il desiderio sessuale biso gnava non mangiare nulla di cotto; per altri, lo sperma proveniva da una sovrabbondanza di umori, e si consigliava quindi una die ta alimentare disseccante: «più secco è il corpo, più fiorente è l'a nima»20. Secondo Evagrio, i luoghi umidi erano frequentati dai demoni. Anche il sonno inumidisce: proprio per questo, gli ana coreti passavano le notti in piedi, o seduti, pregando. Giovanni Cassiano sostiene che, privandosi del sonno, bevendo poco e ac contentandosi di due pani al giorno, il novizio poteva in sei mesi conseguire una castità quasi perfetta, ma questo non valeva per i più poveri, abituati già a questo regime di vita. Ben presto l'esperienza dell'eremita solitario venne affiancata, o sostituita, da una forma organizzata che coinvolgeva più perso ne. Già intorno all'eremitaggio di Antonio - che morì a 1 13 anni - si erano insediati molti discepoli e, nel IV secolo, migliaia di uo mini in tutto l'Egitto raggiunsero i primi anacoreti cercando di imitarli: nel deserto di Nitria vivevano, soli o in piccoli gruppi, cir ca cinquemila monaci; nella Tebaide, si trovavano milleduecento 18
4, 19.
19
Girolamo, Vita di Ilarione. P!Gv, 10, 17.
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monaci e nelle vicine spelonche vivevano molti anacoreti. Nei pressi del villaggio di Ermupoli, intorno all'abbas Apollo, si era no raccolti cinquecento discepoli. Ma il primo a pensare un'orga nizzazione monastica collettiva fu Pacomio, che fondò a Tabenni si un monastero composto da trenta o quaranta case che ospitava tra i milleduecento e i milleseicento monaci. Una rigida regola or ganizzava il loro lavoro, i ritmi della preghiera e le eventuali usci te dal monastero, e comprendeva anche delle norme preventive per impedire che nascessero fra i monaci amicizie carnali: i mo naci dovevano coprirsi le ginocchia quando erano seduti in as semblea, non dovevano rimboccare troppo la tunica quando fa cevano il bucato, non dovevano guardare gli altri durante il lavo ro o al momento dei pasti, le relazioni tra loro dovevano sempre essere mediate da un responsabile. A maggior ragione non si po tevano isolare a due a due quando riposavano sulla stessa stuoia, non dovevano salire sullo stesso asino, né parlare nell'oscurità e, soprattutto, dovevano sempre mantenere l'uno con l'altro la di stanza di un cubito. Questa scelta di astinenza perpetua deve essere letta come ri sultato di un contesto sociale in cui si era convinti di essere alle so glie del ritorno di Cristo, e per questo sembrava necessario vani ficare la continuità del mondo. Diversamente dai filosofi pagani sostenitori dell'astinenza, e dagli ebrei, che volevano una società capace di imbrigliare e disciplinare il flusso continuo della ses sualità umana, i cristiani sceglievano la castità per dimostrare che era possibile invertire le cose, arrestare il flusso vitale, e mettere a nudo così la fragilità di un ordine sociale solo apparentemente im mutabile. In una società in cui ognuno aveva l'obbligo di non mu tare funzione, mestiere, dimora, e quindi di contribuire alla ri produzione del gruppo umano a cui apparteneva, scegliere la ca stità e la povertà significava rompere con tutto, fare una rivolu zione. Era una scelta rivoluzionaria soprattutto per le donne: dal momento che la mortalità infantile era altissima, per garantire la continuità nel tempo di un gruppo sociale era indispensabile che le donne, fin dalla pubertà, fossero destinate alla procreazione, necessità resa ancora più ineluttabile anche a causa della frequen te mortalità per parto. Le uniche donne che, nella società roma na, potevano conservare la propria verginità, cioè le vestali, cu stodi del fuoco sacro, dopo i trent'anni si sposavano. Una scelta
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totale di castità per le donne, che per tradizione non potevano di sporre di se stesse, era inconcepibile. Naturalmente, non era faci le per loro realizzare questa scelta: in un mondo in cui venivano maritate giovanissime dal padre, ben poche furono quelle in gra do di opporre un rifiuto. Le più libere erano quelle che rimanevano orfane prima di ar rivare in età da marito, o le vedove che riuscivano a resistere a tut te le pressioni per un secondo matrimonio: caso emblematico quello di Olimpiade che, maritata a diciott'anni e vedova a di ciannove, dovette resistere alle pressioni dell'imperatore Teodo sio, che la voleva far sposare a un suo parente. Ma talvolta le don ne erano votate alla verginità - fin dalla nascita - dai loro paren ti cristiani, come il caso della figlia di Melania Iuniore, o di Pao la, donna dell'aristocrazia senatoriale romana che porta sulla strada della verginità la figlia Eustachio. Sono queste donne che scelgono la castità, se vedove, o che tentano di coinvolgere i ma riti in questa scelta ascetica e spingono i figli al celibato: l'asceti smo diviene la scelta di intere famiglie, come nel caso di una don na romana trasferitasi a Betlemme, che esortava il marito rimasto a Roma ad abbandonare tutto e a seguire la via dell'ascetismo, co me le aveva promesso. Un caso emblematico è quello di Melania Seniore, vedova, che lascia la famiglia per i luoghi santi, e con quista con il suo esempio la nipote Melania Iuniore, costretta al matrimonio giovanissima. La giovane Melania, dopo la nascita di due figli che muoiono subito, riesce a convincere il marito e, in sieme alla nonna, trascina sulla via della castità anche il padre e la madre. La coppia che si astiene dai rapporti sessuali diventa un esem pio da imitare, specialmente per le donne, anche se non tutte le spose riuscivano a convincere i loro mariti, e quindi i vescovi si vi dero costretti a ricordar loro gli impegni coniugali, consideran dole - come sottolinea Giovanni Crisostomo nella diciannovesi ma omelia - «responsabili dei disordini dei loro mariti». E alle donne maritate loro malgrado, i cui mariti respingevano la voca zione ascetica, Basilio di Ancira consiglia di comportarsi come quelle che «Succubi di violenza, non partecipando l'anima al pia cere, sembravano schernirsi del proprio corpo come fosse morto e la loro anima, che rifiutava di concedersi alla voluttà di colui che la oltraggiava, si presentava senza macchia al cospetto dello Spo-
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so con una fedeltà e una verginità più radiose»21• li desiderio fem minile, nei trattati spirituali e nelle Vite, è perfettamente ricono sciuto, proprio come nei testi dei medici greci, anche se si tende a pensare che si manifesti soprattutto nelle donne che hanno cono sciuto il sesso piuttosto che nelle vergini. Si capisce quindi come proprio le donne fossero le più pro pense alla conversione al cristianesimo, anche perché consentiva loro di scegliere la castità che le salvava da mariti non voluti, dal la morte per parto e - cancellando la differenza biologica - le ren deva uguali agli uomini. Realtà che del resto era ben chiara a mol ti Padri della Chiesa i quali, in antitesi alla scelta verginale, pre sentano con vivezza alle donne il dolore del parto, il malumore e la prepotenza del marito, la morte dei figli. Giovanni Crisostomo scrive apertamente alla donna sposata: «Sopporta [ . ] tutta que sta schiavitù: sarai libera solo quando egli morirà»22, mentre Ba silio di Ancira aveva affermato che con la dote la donna compra va in realtà un padrone. Si spiega così il maggiore successo devo zionale di Blandina, martire vergine appesa a un palo con le brac cia distese, rispetto a un'altra martire sbranata dalle belve ma spo sa e madre, Perpetua, che aveva gioiosamente allattato il bambi no in prigione poco prima di morire. La fantasia pagana era mol to colpita dall'esistenza di questo numero crescente di vergini, tanto che, verso la fine del III secolo, le persecuzioni delle donne cristiane cominciarono ad assumere sempre più spesso la forma di violenza sessuale, spesso come condanna a prostituirsi nei lupa nan. Anche la castità maschile, proposta e valorizzata dalle Vite de gli eremiti, diventa oggetto di supplizio. Racconta Girolamo che, durante la persecuzione di Decio e Valeriano, un martire, dopo aver resistito a crudeli supplizi .
.
fu portato in un giardino amenissimo. lvi, in mezzo a candidi gigli e rose rosse, mentre accanto serpeggiava con dolce mormorìo d'acqua un ruscelletto, e il vento sfiorava con un fruscio sommesso le fronde degli alberi, fu posto riverso su un letto di piume, e lasciato lì, dolce21 Basilio di Ancira, De virginitate, 52 (testo attribuito anche a Gregorio di Nissa). 22 Giovanni Crisostomo, De virginitate, 40, l .
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mente avvinto da ghirlande intrecciate, perché non potesse in alcun modo balzar via. Quando tutti si furono allontanati, sopravvenne una bellissima meretrice, che prese ad avvinghiarglisi al collo in un ab braccio voluttuoso e - cosa infame anche solo a raccontarla - a bran cicargli il sesso con la mano; dopo averne eccitato il corpo alla libidi ne, la svergognata vincitrice intendeva giacere sopra di lui. n soldato di Cristo non sapeva che fare, a quale partito appigliarsi: non l'aveva no vinto i tormenti, e ora lo sopraffaceva la voluttà! Infine, per un'i spirazione celeste, si mozzò coi denti la lingua, e la sputò in faccia alla donna che lo baciava: così l'intensità del dolore, sostituendosi alla sen sualità, riuscì a sopraffarla.
Questo episodio, che a prima vista sembra una esasperata di fesa della castità da parte dei cristiani, non è altro che una raffi nata ripresa letteraria di un tema già presente nella cultura classi ca, ma applicato a un filosofo che si mangia la lingua per non ri velare un segreto durante le torture. Il morso della lingua viene at tribuito anche a due donne: Leena, una prostituta che aveva par tecipato alla congiura dei tirannicidi e che non vuole rivelare il no me dei complici, e Timica, la moglie incinta di un filosofo pitago rico, sempre per evitare di tradire un segreto. I due esempi fem minili stanno a testimoniare come i pagani sapessero resistere al dolore ma non al piacere - si tratta di una prostituta e di una don na incinta - e quindi non fossero capaci di autentica virtù. Nel te sto di Girolamo, in cui l'amenità del luogo costituisce un tòpos di incitamento al piacere, l'aneddoto viene rivestito da un alone di sensualità - in parte ricavata da un racconto di Petronio nel Saty ricon - e si colora dei toni della rivincita del maschio, stranamen te casto, sulla donna impudica, cioè ribadisce la superiorità della razionalità maschile sulla passionalità femminile23 • Una superio rità messa in forse nell'unico punto debole maschile, quell'invo lontario motus genitalium, che imbarazzava anche teologicamen te Agostino. Questa variazione cristiana del tema della lingua morsicata apre spiragli sulla concezione della sessualità cristiana, intesa co me l'esaltazione della maschilità. Non solo, quindi, l'uomo cri2 3 Cfr. C. Nardi, La lingua in /accia al persecutore. Fra antichi sapienti e mar tiri cristiani, in Paideia cristiana. Studi in onore di Mario Naldini, Gruppo edito
riale internazionale, Roma 1994, pp. 397-427.
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stiano è superiore al pagano, ma anche alla donna, più debole di fronte al piacere. E in questa esaltazione della castità maschile si nasconde forse una nota polemica sull'importanza crescente del le vergini nella vita della Chiesa.
4. Una scelta individuale La scelta di una vita casta si configura quindi, nella società an tica, come una prima possibilità di scelta individuale all'interno di una società che considerava stabilito e immutabile il destino ma trimoniale, in particolare per le donne. Ben diverso, come già si è accennato, era il caso delle vestali, scelte dalle famiglie, e che si sposavano dopo i trent'anni. L'opportunità per le donne di com piere una scelta di verginità costituiva infatti un apporto nuovo, in grado di offrire autentici spazi di emancipazione femminile. Ha piena consapevolezza di questa novità, che permette di superare i pregiudizi del mondo classico sulla debolezza e inferiorità fem minile, Girolamo, che collega alla figura di Maria la possibilità di scegliere la castità anche per le donne: «Ma dopo che una vergi ne ha concepito nel suo ventre ed ha partorito per noi un bambi no [ ... ] la maledizione è stata annullata. La morte attraverso Eva, la vita attraverso Maria. Perciò il dono della verginità si è diffuso anche più largamente tra le donne, perché ha avuto inizio da una donna»24• Una eguaglianza con gli uomini ben esemplificata dalla attri buzione loro di «animo virile», come scrive Gregorio Nazianze no: «Hanno mente elevata esse [le vergini] che con animo virile hanno rigettato dal cuore l'ingannevole Eva [ . . . ] . Hanno dimenti cato la debolezza, una volta attaccate alle solide frange di Cristo. Sono venute meno di fronte al senno la delicatezza della carne, l'e leganza delle vesti, la bellezza della prima stagione, rapida ad ap passire, sia quella naturale, sia quella esteriore artificialmente ma nipolata con tratti da impudiche, sicché la forza dell'animo rende le femmine uguali agli uomini, nel corpo come nella sapienza»25• 24 Girolamo, Epistulae, 22, 21. 2� Gregorio Nazianzeno, Carmina, II, 2,
l, vv . 233-246.
I.
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Una virilità intesa come disposizione interiore, metafora usata nel linguaggio del tempo per alludere al progresso morale e spiritua le comune a uomini e donne, che implica un superamento della divisione dei sessi. Nella concezione patristica, dunque, la vergi nità è una scelta interiore e libera nella quale l'illibatezza fisica non è l'elemento determinante, ma ciò che conta è la disponibilità to tale a donare se stessi a Dio, come scrive Giovanni Crisostomo: «Non basta non essere sposata per essere vergine, ma occorre an che la castità dell'anima, e per castità io intendo non solo la lon tananza da desideri cattivi e vergognosi, da ornamenti e cure su perflue, ma anche la purificazione da preoccupazioni materiali. Se non c'è questo, a che serve la purezza fisica?»26• È evidente che questa insistenza sulla scelta interiore presuppone una libertà as solutamente inedita per le donne, in una società che non lasciava loro molto spazio all'autodeterminazione. Non bisogna trascurare il fatto, inoltre, che le donne che sce glievano la castità cristiana spesso provenivano da ricche famiglie romane, contribuendo così in grande misura alla sussistenza del la Chiesa, ma ne condizionavano anche la vita intellettuale - dal momento che finanziavano gli studiosi cristiani - come non era mai successo. Melania, giunta nel 374 ad Alessandria, andò a de porre ai piedi del famoso Apa Pambo un grande forziere che con teneva centocinquanta chili di oggetti d'argento, una ricchezza che salvò dal collasso totale le comunità monastiche situate nei pressi della città; in seguito, trasferitasi a Gerusalemme, assunse la direzione di un convento che ospitava cinquanta vergini alle pendici del Monte degli Ulivi, e da lì esercitava una grande in fluenza sulla Chiesa della città, rafforzata anche dalle regolari e in genti somme di denaro che le spediva il figlio. Ambrogio - fratel lo della vergine Macrina - ne era ben consapevole, e si adoperò per convincere imperatori, prefetti e governatori di provincia a non porre ostacoli alla scelta di vita casta da parte di vedove e ver gini abbienti, e cioè a tollerare che i beni di grandi famiglie, tra mite quelle donne, finanziassero le opere cristiane. Egli fu il pri mo a scrivere un testo, dedicato appunto alla sorella Macrina, fi nalizzato a dare una definizione dottrinale della verginità: nel De 26
Giovanni Crisostomo, De virginitate, 77.
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virginibus <
Rubbettino, Soveria Mannelli 1998, p. 1 12. 2 8 Brown, Il corpo e la società, cit., p. 54. 29 Tertulliano, De anima, 9, 4.
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mente in sintonia con lo Spirito. Al tempo stesso, però, metteva in guardia coloro che, un po' semplicisticamente, pensavano che la castità e il battesimo rendessero nullo il pericolo di cadere in ten tazione. Anzi, secondo lui, dal momento che la natura umana era immodificabile, e quindi perennemente soggetta agli impulsi del sesso, bisognava impedire alle giovani che si erano votate alla ver ginità di comparire senza velo nelle assemblee dei cristiani. Anche se lo Spirito poteva conferire al corpo il dono della sopportazio ne davanti al martirio, non poteva abolire dalla mente dell'essere umano la debolezza della tentazione sessuale. Uno dei Padri più radicalmente sostenitori della castità è Ori gene, alessandrino figlio di un martire, che in quanto platonizzan te sosteneva la fluidità dell'identità corporea e la possibilità, quin di, di espurgarne completamente ogni istinto sessuale e di liberar ne lo spirito in esso racchiuso. La trasformazione che il corpo po teva ottenere seguendo una rigida via di ascesi era tale che sareb be scomparsa ogni nozione legata all'identità sessuale e sociale. La purezza fisica costituiva infatti, per lui, una sorta di fragile oasi di libertà umana dai condizionamenti biologici e sociali. Origene stesso - che, secondo una notizia peraltro incontrollabile e proba bilmente leggendaria, si sarebbe fatto evirare da un medico per prevenire ogni insinuazione a proposito dei suoi rapporti con le donne sue discepole - si presentava con un aspetto strano, privo di barba, prova concreta dell'indeterminatezza del corpo. Il risultato di tante fatiche e rinunce sembrava degno di ogni sforzo: «Quello che noi saremo un giorno - scrive Cipriano alle vergini - voi già cominciate a esserlo. Voi fin da questo secolo go dete la gloria della risurrezione, passate attraverso il mondo sen za contagiarvene. Finché perseverate caste e vergini, siete uguali agli angeli di Dio»30. Analogo il discorso di Atanasio ben consa pevole che l'istituzione delle vergini costituisce una specificità cri stiana: «li Figlio di Dio, nostro Signore e Salvatore, Gesù Cristo, divenuto uomo per noi, ha abolito la morte e liberato il genere umano dalla schiavitù della corruzione. Oltre a tutte queste gra zie, ci ha donato di possedere sulla terra un'immagine della san tità stessa degli angeli, la verginità. Coloro che fanno professione
3°
Cipriano, De habitu virginum, 22.
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di questa virtù, la Chiesa cattolica è solita chiamarle spose di Cri sto. Gli stessi pagani che le vedono le ammirano come tempio del Verbo; poiché da nessuna parte, in verità, si trova questa venera bile e celeste istituzione se non presso noi cristiani»31 • Intorno a ogni chiesa si andava così formando u n gruppo sempre più numeroso - di vergini che il vescovo doveva mante nere, con l'aiuto della popolazione, e che costituiva quasi un te soro della collettività. Si riteneva che la vergine, dal momento del la consacrazione in poi, vivesse in compagnia di Cristo e degli an geli, in un silenzioso colloquio di preghiera. È un'immagine idil lica della vita verginale, ben lontana dai reali tormenti raccontati nella vita di Euprassia tra la fine del IV secolo e gli inizi del V: ten tazioni sessuali, invidia e sofferenze fisiche, ma anche la possibi lità di accesso alla cultura, soprattutto alla lettura dei libri sacri. E anche il clero, attratto dalla cultura pagana e dalle lotte di potere, guardava alle vergini come a un'oasi di purezza. La possibilità, anche per le donne, di raggiungere un alto li vello spirituale come quello degli uomini più elevati, costituiva una novità assoluta, e per molti versi inquietante. ll Padre della Chiesa che offre l'esempio più evidente di questa contraddizione è senza dubbio Girolamo, grande sostenitore della verginità, so prattutto femminile, tanto da circondarsi di donne che avevano scelto la castità e da intrattenere con loro importanti amicizie spi rituali. Dal suo atteggiamento si può dedurre che era pronto a considerare uguali gli asceti dei due sessi, e a giustificare una loro stretta collaborazione. In un primo tempo, Girolamo condivise infatti l'opinione di Origene relativa alla possibilità di superare l'effimero carattere sessuato dei corpi. Ma in seguito, senza dub bio influenzato dalla condanna di Origene da parte della Chiesa d'Occidente, quasi rinnegando il suo antico ruolo di mentore presso Marcella, Paola ed Eustachio, dichiarò inapplicabile per il proprio tempo l'immagine di Paolo secondo cui l'uomo e la don na, trasformandosi, diventavano una cosa sola in Gesù. «Nell'in vettiva contro Pelagio - del 4 15, quando era già vecchio, scrive Peter Brown - Girolamo ce la mise tutta per distruggere ogni spe ranza di perfezione cristiana sulla terra: a quella perfezione, infat31
Atanasio, Apologia ad Constantium, 33.
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ti, si opponevano i richiami del sesso, ormai diventati così perico losi da sconsigliare ben più che l'amicizia femminile>�2• La castità, in ogni modo, creava le condizioni per una amicizia fra donne e uomini che non aveva riscontro nel mondo antico e che diventa un tratto specifico e qualificante dell'esperienza cri stiana. Si tramutano in amicizia legami fraterni, quali quelli fra Ambrogio e la sorella Marcellin� , o coniugali, come tra Melania e Piniano, ma soprattutto ne na�cono di nuovi fra persone colte, che condividono la ricerca sulle Scritture e la volontà di avanzare nel cammino spirituale. Oltre ai già citati legami fra Girolamo e Paola, compagna dello studioso nell'esilio, nell'edizione dei testi, nelle traduzioni della Scrittura, in un impegno severo profonda mente condiviso, è particolarmente significativo il legame fra Gio vanni Crisostomo e Olimpiade, con lui e per lui perseguitata. Olimpiade gli è compagna nella prova, gli è vicina nel mantenere i contatti, come il suo cuore e il suo braccio, occupandosi anche del suo vestiario e del suo frugale cibo, in un rapporto - come di mostrano le lettere - di intimità e di condivisione totale. Una sin tenia profonda per cui, come scrive Giovanni, vedersi e parlarsi è essenziale: «Immagino che tu soffra anche per la separazione dal la nostra povera persona, e che per questo tu pianga continua mente, dicendo a tutti: non possiamo più ascoltare quella voce, godere del suo consueto insegnamento»33 • L a valorizzazione della scelta ascetica portò naturalmente al l'affermazione tacita di una gerarchia interna alla comunità cri stiana, basata sull'astinenza. n fatto che si affermasse una élite di asceti costituiva una novità assoluta: mai prima di allora era stata richiesta a un uomo pubblico questa virtù, del resto considerata tipicamente femminile. Le solenni cerimonie pubbliche di consa crazione che mettevano le vergini su un piedistallo servivano quindi a rafforzare la gerarchia clericale. Opponendosi a Giovi niano e ai suoi discepoli, che rifiutavano di aderire a questa idea, Ambrogio affermava con chiarezza: «Ogni giorno, attraverso le Scritture e nella predicazione dei vescovi, la Chiesa elogia l'one sta vita coniugale, ma la gloria suprema va senz' altro all'integrità 32 Brown, Il corpo e la società, cit p. 349. 33 Giovanni Crisostomo, Epistulae, 8, 1 1 . .,
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verginale»34. Egli applicava, attraverso l'uso di immagini retori che, le qualità della vergine all'intera Chiesa cattolica, intesa co me un corpo intatto che aveva la miracolosa capacità di crescere e di alimentarsi.
5 . Celibi per forza Se l'astinenza sessuale costituì una delle prime possibilità di scelta individuale, facendo della castità monastica un cardin� del la vita religiosa cristiana, ben presto si pose il problema della vita sessuale di coloro che svolgevano le funzioni che erano state degli apostoli, e che non sceglievano, in gran numero, il celibato. Pro prio a questo proposito, infatti, la Chiesa cominciò ben presto a esercitare una pressione, cercando di spingere al celibato anche coloro che non ne avevano sentito la vocazione ascetica, ma svol gevano funzioni di chierico nella comunità. Non si trattava tanto di un problema morale: all'inizio del III secolo l'affermazione di un clero cristiano - comprendente da al meno un centinaio di anni chi esercitava le funzioni di vescovo, presbitero e diacono - come gruppo separato avviene contempo raneamente all'avvento di una proprietà ecclesiastica, presente ben prima che Costantino concedesse ufficialmente alla Chiesa il diritto di conservare un patrimonio proprio35• li clero, infatti, non solo comincia a essere mantenuto dalla comunità, ma a svolgere un ruolo centrale nell'amministrazione di queste proprietà; sa ranno soprattutto i vescovi a distribuire le cariche, ma anche a of frire doni e a nutrire i poveri. La prosperità del clero, fondata sui beni ecclesiastici, diventa rapidamente il segno per eccellenza del la benedizione di Dio e gli ecclesiastici riassumono e rappresen tano simbolicamente la Chiesa, perché realizzano l'ideale della co m unità di beni sperimentata dai primi cristiani. È proprio questo ideale a suggerire un modello di vita comuJ4 Ambrogio, De virginibus. 35 Su tutta la questione si veda
A. Faivre, Ordonner la fraternité. Pouvoir d'innover et retour à l'ordre dans l'Église ancienne, Les Éditions du Cerf, Paris 1992; cfr. anche G.M. Vian, Dai cimiten· al potere temporale: note sulle origini della proprietà ecclesiastica, in «Vetera Christianorum», 42, 2005, pp. 307-3 16.
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ne che suppone la continenza o il celibato. È evidente infatti co me l'assenza di una famiglia, o almeno di figli, garantisca una mi gliore gestione dei beni ecclesiastici e impedisca la trasmissione degli uffici ecclesiastici all'interno della famiglia. Ma il problema del celibato dei clerici veniva a scontrarsi con quella che era una delle principali innovazioni della cultura cri stiana: il valore dato alla libera scelta, soprattutto nel campo del la vita ascetica. Affiancare alla castità scelta dei monaci una castità obbligata dei chierici, se pure necessaria-pér molti e validi motivi, significò un percorso accidentato nella storia della Chiesa, e aprì un'insanabile contraddizione sul valore dell'intenzione. La questione del celibato ecclesiastico è stata infatti discussa fin dai primi tempi del cristianesimo, a cominciare dalle ipotesi avanzate sulla vita familiare degli apostoli, Paolo compreso. Mol ti autori, infatti, hanno cercato di accreditare l'opinione che gli apostoli fossero tutti modelli di celibato, anche se si sa per certo che Pietro era sposato, mentre più tardi la leggenda gli attribuisce una figlia, Petronilla. Un figlio maschio avrebbe infatti sollevato una sorta di questione dinastica nella successione dei vescovi di Roma, eredi appunto dell'apostolo Pietro. La posizione degli apo stoli su questo problema non è chiara: di certo si sa solo che nel l'epistolario paolino è sottolineata l'esigenza, per i vescovi, di una rigida monogamia: i vescovi rimasti vedovi non avrebbero infatti dovuto risposarsi, e questa è considerata da alcuni storici la prima tappa verso il celibato. Ma anche la questione della monogamia era controversa: si affermano infatti fra i cristiani opinioni diver se sulla validità dei matrimoni contratti prima del battesimo. Per alcuni, la fedeltà richiesta ai vescovi riguardava solo la donna pre sa in moglie dopo l'iniziazione cristiana, ma la questione verrà chiarita dai papi Innocenza I e Leone il Grande, che si dichiara rono a favore della validità anche delle unioni precedenti. Nono stante questo, e lo ricorda Girolamo, la società cristiana era piena di vescovi, senza parlare dei preti e dei diaconi, che avevano pre so una seconda moglie: in realtà bigami che per questo avrebbe ro dovuto essere esclusi dagli ordini36• 36 Cfr. T. Sardella, Eros rt/iutato ed eros proibito, in Pricoco (a cura di), L'E ros difficile, cit., pp. 197-238 (in particolare, pp. 226-228).
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L'alta considerazione di cui godeva la verginità fece sì che, fin dai primi secoli, molti ecclesiastici praticassero spontaneamente il celibato, valorizzato soprattutto in Occidente, senza che la Chie sa promulgasse una normativa rigida in proposito. Dal momento, infatti, che lo stato matrimoniale veniva, come si è visto, dotato di carattere religioso e spirituale, era difficile escluderne gli ecclesia stici senza provocarne una svalorizzazione. Solo nella seconda metà del II secolo il celibato del clero cominciò a prendere la for ma di una pratica diffusa, considerata, se non necessaria, almeno altamente auspicabile. Nel IV secolo, Eusebio di Cesarea scrive che «la continenza conviene ai preti e a tutti coloro che sono im piegati al servizio del Signore>�7 mentre alcune Chiese, come quel la egiziana, cercano di imporre la castità almeno ai vescovi. Ma a questa pratica si oppone Girolamo, scettico sulle sue possibilità di attuazione: «che diventerebbero le Chiese d'Oriente? Che diven terebbero le Chiese di Egitto e di Roma, che non accettano che chierici vergini o continenti, o che esigono, quando hanno a che fare con chierici sposati, che rinuncino a ogni rapporto con le lo ro mogli?>�8. Altrettanto consapevole di quanto fosse lontana dal la realtà questa proposta è Epifania: La santa Chiesa rispetta la dignità del sacerdozio a tal punto che non ammette al diaconato, alla funzione di prete, di vescovo e neppu re di suddiacono, colui che vive ancora nel matrimonio e genera dei figli; e ammette solamente colui che, sposato, si astiene da sua moglie o colui che l'ha perduta, soprattutto nei paesi dove ci sono severi ca noni ecclesiastici. In verità, in certi luoghi, i preti, i diaconi e i sud diaconi continuano ad avere bambini. Io rispondo che questo non si fa secondo le regole, ma a causa della mollezza degli uomini, perché è difficile trovare dei chierici che si applichino seriamente alle loro fun zioni. Quanto alla Chiesa che è ben costituita e ordinata dallo Spirito santo, ha sempre giudicato più decente che coloro che si votano al san to ministero non siano distratti, fino a che è possibile, da niente e adempiano alle loro funzioni spirituali con una coscienza tranquilla e gioiosa3 9• 37 Eusebio di Cesarea, Demonstratio evangelica, 38 Girolamo, Adversus Vigilantium, Il. 39 Epifanio, Adversus Haereses, 48, 9.
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Come h a rilevato acutamente Giovanni Crisostomo, però, la necessità di una legge che imponesse al clero la continenza si scon trava con la libertà di scelta che, come valore morale, era stretta mente connessa alla scelta ascetica40. La discussione sul celibato ecclesiastico rimane a lungo aperta, e lunga e tenace è la resistenza, all'interno della Chiesa, al movi mento rigorista che voleva introdurre il celibato obbligatorio per i chierici, come dimostra la difficoltà di stabilire una norma vin colante, benché spesso richiesta, per tutta la Chiesa. Più spesso prevale la tolleranza, come nel 343 al Concilio di Gangres, dove con il canone 4 si stabilisce che chiunque faccia distinzione fra pre ti sposati e preti celibi che celebrano il sacrificio eucaristico è pas sibile di anatema. Il sacramento, infatti, ha validità indipendente mente dalla condizione morale del sacerdote che lo somministra. E ancora nel 400 le Costituzioni apostoliche si limitano a ordinare la monogamia ai rappresentanti del clero, anche se vedovi. Lo sto rico Socrate, a questo proposito, riferisce un aneddoto significati vo: nel Concilio di Nicea, ad alcuni vescovi che volevano stabilire l'astinenza, avrebbe risposto un venerabile e casto vescovo egizia no, Pafnuzio, sostenendo che sarebbe stato imprudente imporre un fardello di astinenza anche alle spose dei chierici. Secondo lui, quindi, bisognava accettare anche il clero ordinato dopo il matri monio, lasciando alla libertà di ciascuno di decidere se vivere in castità oppure no41• Questo racconto, poi ampiamente diffuso, trova una conferma nei testi del Concilio di Nicea. Una linea differente però era stata espressa, a partire dalla pri ma metà del IV secolo, da molti sinodi locali, come quello di El vira (l'attuale Granada), che aveva obbligato il clero di quella dio cesi alla castità, così come i Concili di Cartagine del 390 e del 40 1 , d i Toledo del 400 e di Torino del 40 1 . Papa Siricio, nel 3 86, in una lettera al vescovo di Tarragona, e successivamente in lettere ai ve scovi africani, interviene per raccomandare almeno di rispettare i periodi di continenza già stabiliti dalla legge ebraica durante le funzioni religiose più importanti, mentre Leone il Grande cerca di imporre il celibato, come testimonia una lettera scritta al ve scovo Atanasio nel 446: «Mentre a chi non appartiene all'ordine 4° Giovanni Crisostomo, De virginitate, 9, 2. 41 Socrate, Historia ecclesiastica, I, 1 1 .
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clericale è consentito sposarsi e avere figli, per realizzare alla per fezione la più completa castità, non sarà concesso nemmeno ai suddiaconi il matrimonio con rapporti sessuali, così che anche quelli che hanno moglie devono comportarsi come se non l'aves sero»42. O almeno, in ogni regione, si cerca di limitare la carriera ecclesiastica ai preti celibi, non solo per motivi di impegno nella missione, ma anche per impedire la dispersione dei beni della Chiesa. Infatti quando, nel 554, il futuro papa Pelagio I finirà per ac cettare la nomina di un vescovo padre di famiglia, lo farà a condi zione che ai figli non vada nulla di ciò di cui il prelato entrerà in possesso dopo il suo accesso all'episcopato. Alle preoccupazioni economiche, naturalmente, si accompagnavano quelle spirituali: Isidoro di Siviglia (morto nel 636) aveva proposto una etimologia allegorica di caelebs (celibe), spiegato come coelo beatus (beato nel cielo). Ma, in sostanza, almeno sino alla fine del IV secolo, anche se la continenza era osservata dalla maggior parte dei preti sposa ti, almeno dopo la loro elevazione agli ordini maggiori, la Chiesa autorizzava ugualmente coloro che non sentivano la vocazione del celibato a usufruire dei loro diritti coniugali. È solo a partire dalla fine del IV secolo che la legge del celiba to comincia a prendere forma, segnando così la separazione fra la Chiesa greca e quella latina. La prima frattura aperta su questo te ma si presenta durante il secondo sinodo Trullano - così chiama to dal thrùllos, il salone a volta nel palazzo imperiale di Bisanzio dove si tenevano le sessioni - convocato dall'imperatore Giuliano II e tenutosi nel 691 -692. Qui la Chiesa orientale si oppone al pa pa, come testimonia il canone 1 3: «Nella Chiesa romana coloro che vogliono accedere al diaconato o al presbiterato, promettono di non avere più rapporti sessuali con le loro mogli, noi invece concediamo loro, secondo i Canoni apostolici di continuare a vi vere nel matrimonio. Chi vuoi interrompere tali matrimoni sia de posto, e il chierico che con il pretesto della pietà lascia la propria moglie, sia scomunicato. Se persiste in questo, sarà deposto». Uni ca concessione nei confronti di Roma è quella relativa ai vescovi: «Se uno viene consacrato vescovo, sua moglie deve andare in un
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Leone Magno, Epistulae, 14, 4.
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convento piuttosto distante. Ma il vescovo deve provvedere a lei. Se è degna, può anche diventare diaconessa»43• La Chiesa ortodossa fa riferimento ancora oggi a questi de creti: infatti, anche se i vescovi sposati osservano abitualmente la continenza - ma per evitare il problema vengono abitualmente nominati vescovi dei monaci - è accettato che i preti di grado in feriore si sposino prima dell'ordinazione. Al momento della rot tura ufficiale fra le due cristianità, nel 1054, il cardinale Umber to di Silva Candida, che guidava la delegazione pontificia a Bi sanzio, si espresse con aspra durezza contro i preti ortodossi spo sati: «GiovanLmariti spossati dal recente piacere carnale servono all'altare. E immediatamente dopo essi con le loro mani santifi cate dall'immacolato corpo di Cristo abbracciano di nuovo le lo ro mogli. Questo non è il segno di una vera fede ma un'invenzio ne di Satana»44• Come si spiega il fatto che in Occidente, invece, si affermasse sempre più l'idea che la vita matrimoniale era incompatibile con il ministero ecclesiastico? Probabilmente, all'origine di questo at teggiamento non sta solo una preoccupazione di ordine morale e spirituale, ma la certezza che un clero celibe avrebbe garantito il mantenimento delle proprietà nelle mani della Chiesa, rafforzan do quest'ultima davanti al potere politico. Ciononostante, a par tire dall'VIII secolo la disciplina ecclesiastica subisce una crisi ge nerale e in particolare ne risente proprio la pratica del celibato. Secondo Bonizone, vescovo di Sutri, la corruzione si diffondeva ovunque: «Non sono solo i ministri di secondo ordine, sacerdoti e diaconi, ma addirittura gli stessi pontefici vivono in regime di concubinato; e questo è divenuto così comune che il disonore re lativo a tale condotta è in qualche modo cancellato»45• Roma stes sa è descritta in preda a questo disordine, come constata un papa, Vittore III, lamentando anche che i beni della Chiesa venivano de voluti ai figli dei vescovi. il problema del celibato del clero si po ne quindi a metà fra la condotta morale dei sacerdoti e i proble4 3 I canoni del secondo sinodo Trullano si leggono nella classica SS. Conci liorum nova et amplissima collectio (1757-1798) di Giovanni Domenico Mansi
(XI, 92 1 -1006) . 44 Il testo è citato in U. Ranke-Heinemann, Eunuchi per il regno dei cieli (1988), Rizzoli, Milano 1 990, p. 1 04. 41 Bonizone, Liber ad amicum, 3.
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mi della Chiesa come istituzione e come potenza economica, che si veniva definendo in quegli anni come autonoma nei confronti dell'impero. Per rafforzare questa autonomia appena conquistata era quindi indispensabile un intervento forte, che garantisse la riforma morale del clero, colpendo sia il nicolaismo, ovvero il con cubinato dei preti, sia la simonia, la vendita dei beni ecclesiastici. Ma, nonostante la severità della procedura ecclesiastica contro il clero sposato - che prevedeva il carcere, fustigature e bastonatu re pubbliche -, intorno alla fine del primo millennio cristiano un gran.numero di preti era sposato. Sarà il movimento di riforma che prenderà poi il nome di gre goriano - da papa Gregorio VII, morto nel 1085 e che diede gran de impulso alle correnti riformatrici già in atto - a rendere più se vero l'atteggiamento della Chiesa in proposito: Leone IX ( 1 0491 054) ordinò che le mogli dei preti fossero ridotte in schiavitù per servire nelle proprietà ecclesiastiche, mentre il Concilio del Late rane del 1059 così si esprime al canone 3 : «Nessuno potrà assi stere alla Messa di un prete, che notoriamente tenga presso di sé una concubina o una subintroducta mulier». Nicolò II ( 1 0581061) aggrava le già severe sanzioni contro i preti sposati o convi venti e cerca anche di prevenire il male obbligando gli ecclesiasti ci alla vita in comune. Duro fustigatore di chi si opponeva al celi bato ecclesiastico fu Pier Damiani, vescovo di Ostia e autore del De celibatu sacerdotum, il quale sosteneva che solo mani verginali potessero toccare il corpo del Signore. Da proibizioni di tipo so ciale, finalizzate non solo a garantire la buona condotta morale dei chierici, ma anche la compattezza del patrimonio ecclesiastico, si torna pertanto a motivazioni di ordine spirituale e teologico, pe raltro sempre esistite, e a problemi relativi alla purità46• Anche per la sua imposizione del celibato ecclesiastico, come per altre sue riforme, Gregorio VII considerato il simbolo più alto della riforma che da lui prese poi il nome - non proponeva certo novità, ma nuova era la radicalità della richiesta, avanzata con grande energia subito dopo la sua elezione al pontificato nel 1073, per vincere le numerose resistenze che venivano soprattut to da parte del basso clero. Sembra che solo nella diocesi di Co-
46 Cfr. Ranke-Heinemann, Eunuchi per il regno dei cieli,
cit., p. 105.
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stanza si fossero radunati in un sinodo 3 . 600 ecclesiastici per ma nifestare il loro dissenso, mentre circolavano vari opuscoli a favo re del matrimonio del clero. Le resistenze furono forti in partico lare in Lombardia, dove la Chiesa ambrosiana si oppose al celi bato in nome della sua antica autonomia da Roma, ma dove la po sizione romana fu sostenuta con forza dal movimento dei patari, laici intransigenti che - mettendo �iscussione la validità dei sa cramenti consacrati da preti sposati - perseguitavano il clero che rifiutava il celibato con minacce e rappresaglie. L'azione riforma trice fu brutale: le mogli dei preti vennero considerate concubine, e i loro figli, perso lo statuto di liberi, divennero servi della pro prietà ecclesiastica. Nel secondo Concilio Lateranense ( 1 139) si fece un altro pas so decisivo in questa direzione: si affermò infatti che i matrimoni contratti dopo l'ordinazione non erano validi e al tempo stesso chi era coniugato non poteva più essere ordinato prete. Nel Decreto di Graziano - raccolta di leggi compilata intorno al 1 140 e che ha costituito il nucleo principale del diritto canonico nella Chiesa ro mana fino al l917 - viene fissata la normativa che regola la vita privata dei chierici: «Vi sono due generi di cristiani, i chierici e i laici. A questi è permesso di avere dei beni, [ .. .] di sposarsi, di col tivare la terra, di essere giudici, avvocati»47• Si chiudeva così una delle questioni più interessanti affrontate dalla canonistica durante il primo millennio cristiano, creando una società spaccata in due, laici da un lato e chierici e religiosi, obbligati al celibato, dall'altro. La Chiesa mirava, pertanto, a istruire e formare una classe dirigente di sicuro prestigio e ascen dente religioso e a fare del comportamento sessuale continente un indicatore esterno adeguato a delimitare i confini tra laici ed ec clesiastici. Ma, al tempo stesso, «proprio la necessità di una legge che imponga al clero la continenza, si scontra con la libertà di scel ta che, come valore morale, per Crisostomo deve essere connessa alla scelta ascetica, destituita di significato se, diversamente, sog getta a costrizione»48• Si tratta di una contraddizione che si apre nella società cristiana, in cui vengono messe insieme - per delimi-
47 Graziano, Decretum, 12, quaest. l , 7 . 48 Sardella, Eros rifiutato ed eros proibito,
cit., p. 221 .
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tare i confini fra laici ed ecclesiastici - due forme ben diverse di celibato: quello scelto dei monaci, e quello imposto del clero. Si tratta di provvedimenti che si inseriscono in un'opera di complessiva riforma della vita religiosa e dell'istituzione ecclesia stica caratterizzata da due obiettivi: il rafforzamento della Chiesa di fronte al potere imperiale e la formazione di un clero come ce to separato, da considerarsi nettamente superiore al resto della popolazione cristiana. È a partire da questo periodo, infatti, che il termine Chiesa viene a significare l'insieme dei chierici, e non più tutti i cristiani, per i quali venne forgiato il nuovo termine di
Christianitas. Ma la realizzazione piena di questa norma fu lenta e molto con trastata; Guidone, legato di papa Clemente IV al sinodo di Brema del 1266, dovette ribadire che i suddiaconi e i chierici con gli ordini maggiori che si prendono una concubina col titolo di moglie e di fatto si legano a essa in matrimonio sono privati per sempre del beneficio ecclesiastico. I figli di tali unio ni illegittime non hanno alcun diritto alle masserizie dei loro padri, e ciò che costoro lasciano alla loro morte sarà diviso tra il vescovo e la città. I figli di tali preti sono per sempre infami. Ma poiché alcuni pre lati tollerano la disonestà per il danaro, noi scomunichiamo e colpia mo con l'anatema tutti coloro che a tale scopo fanno sì che questo sta tuto, di cui deve essere data lettura nei sinodi diocesani e provinciali, non venga rispettato. Coloro invece che, chierici e laici, d'ora in poi danno le loro figlie o le loro sorelle ai chierici con gli ordini maggiori per un supposto matrimonio o per concubinato, sono esclusi dall'en trata in chiesa49•
Queste parole lasciano trasparire una abituale forma di corru zione: molti preti sposati ottenevano il silenzio dei loro vescovi versando loro periodicamente del denaro. Una prassi di lunga durata: nella continuazione del Roman de la rose - opera scritta intorno al 1277 che conobbe un successo ec cezionale - Jean de Meung combatte vivacemente il celibato ec clesiastico per bocca di Natura, così come nel 152 1 i protestanti denunciano pubblicamente il vescovo di Costanza, Ugo di Lan49 K.J. von Hefele, Konsiliengeschichte, Freiburg im Breisgan
1867, VI, p. 84.
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denberg, perché riceveva per il suo ve�ado circa seimila fiorini annui di multa per i figli dei preti che nascevano. Molti preti-pa dri divennero allora protestanti per evidenti motivi economici50• Che questo costume, soprattutto in regioni lontane dal con trollo di Roma, fosse rimasto vivo, lo dimostra il fatto che Erasmo da Rotterdam era figlio secondogenito di un prete, e che Ignazio di Loyola aveva un fratello prete, Pedro Lopez, che lasciò alla sua morte quattro figli, mentre Francesco Borgia, terzo generale dei gesuiti, era vissuto nel palazzo arcivescovile di Saragozza dove suo nonno, l'arcivescovo don Alfonso d'Aragona, viveva ufficialmen te con sua nonna, Anna Urrea. Fra il 1488 e il 1489 circolavano svariate falsificazioni di bolle pontificie, per consentire il matri monio di alcuni preti. È noto come la Riforma luterana abbia trovato terreno fecon do proprio nella scontentezza dei preti tedeschi per l'obbligo del celibato: nel suo discorso sulla situazione della Germania tenuto al Concilio di Trento nel 1562 , il rappresentante del duca di Ba viera, Agostino Bauttlgartner, afferma che «tra cento preti, ne so no stati trovati appena tre o quattro che non vivono in pubblico concubinato o che già clandestinamente o del tutto apertamente non abbiano contratto matrimonio»51 • L a piaga del nicolaismo guarì più o meno velocemente, a se conda dei paesi e degli uomini, ma il miglioramento dei costumi morali del clero appariva incontestabile già nel XII secolo e il ce libato venne ribadito risolutamente dal Concilio di Trento a metà del Cinquecento, per rimanere in vigore fino a oggi: «Se qualcu no non dice che è meglio e gradito a Dio rimanere nella verginità o nel celibato piuttosto che sposarsi, sia scomunicato». La que stione fu in qualche modo riaperta dalla Rivoluzione francese: nel 1791 venne stabilito infatti che a nessun uomo si può impedire di sposarsi e quindi molti preti francesi - fra cui il vescovo Talley rand - presero moglie. Il celibato ecclesiastico è stato confermato ancora dal Concilio Vaticano II, durante il quale i padri concilia ri, pur riconoscendo esplicitamente che l'astinenza non è richie sta dalla natura stessa del sacerdozio, raccomandano il celibato ri chiamandosi a necessità religiose e pastorali. Ranke-Heinemann, Eunuchi per il regno dei cieli, cit. 5l Concilium Tridentinum, VIII, p. 620.
�o Cfr.
II EROS E SANTITA
l. Simboli sessuali «li mio diletto ha messo la mano nello spiraglio e un fremito mi ha sconvolta»: questi versi fortemente erotici appartengono al la Bibbia, e più esattamente al Cantico dei cantici (5, 4). Benché gli interpreti antichi e medievali si siano impegnati a spegneme la ca rica erotica dando una interpretazione metaforica di questo verso - per Ruperto di Deutz, ad esempio, l'adolescente è l'anima, tre mito divino, la mano è quella del crocifisso che si stacca dalla cro ce1 -, la presenza di questo e altri versi simili nella tradizione cri stiana costituisce la prova che la sfera sessuale non offre solo oc casione di prescrizioni morali o di regole ascetiche, ma costituisce il patrimonio di metafore e simboli a cui era normale attingere per parlare del sacro. Purtroppo, oggi se ne è perso il ricordo, così co me sembra scomparsa la percezione dei «sensi sovrannaturali», attraverso i quali un corpo ancora vivente può divenire molto si mile a un corpo glorioso. Quell'antica sensualità trascendente scrive Cristina Campo - è stata cancellata dalla Riforma e dall'Il luminismo: «ogni prova fu puntualmente superata dalla dottrina ma sembrò strappar via con sé un lembo della corporeità rag giante, della vivida pelle dell'antica vita cristiana»2• 1 Cfr. ].C. Schmitt, La conversione di Ermanno l'Ebreo. Autobiografia, sto ria, /inzione (2003 ), Laterza, Roma-Bari 2005 , pp. 119- 120. Per uno sguardo sul
l'interpretazione antica e medievale si veda l'Introduzione di M. Simonetti a Origene, Il Cantico dei cantici, Fondazione Lorenzo Valla, Roma-Milano 1998, pp. IX-XXXI. 2 C. Campo, Gli imperdonabili, Adelphi, Milano 1987, p. 23 7 .
II.
Eros e santità
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Noi siamo come il giovane monaco protagonista del Nome del la rosa, il celeberrimo romanzo di Umberto Eco, che capisce il sen so del Cantico dez" cantù:z" solo quando vive concretamente l'amore umano con una fanciulla: si tratta di una proiezione della menta lità odierna su un passato che, invece, interpretava il libro biblico in modo esclusivamente allegorico. A noi, infatti, la sconcertante franchezza con cui questo poemetto parla dell'amore, la concre tezza erotica delle sue immagini, fa solo venire in mente l'amore fi sico mentre, fin dalla sua inclusione nei testi sacri ebraici, a ques.to testo è stata data sempre una interpretazione metaforica. Anche se gli stu.diosi ipotizzano che si tratti, all'origine, di un esempio di poesia erotica, simile a quella dei papiri egizi dello stesso periodo, il significato metaforico ha finito con il sovrastare a tal punto quel lo letterale che per secoli nessuno l'ha più letto secondo il signifi cato originario. Senza dubbio, su questo testo e sulla sua esegesi si fonda l'uso metaforico della sessualità nella tradizione cristiana. Attribuito dalla leggenda a Salomone, ma in realtà di molto posteriore, era stato inserito fra gli altri libri della Scrittura, no nostante il suo contenuto profano e il linguaggio fortemente ero tico, perché considerato una metafora dell'amore di Dio per Israele, e l'amore non sempre fedele da parte di Israele per Dio. Questa lettura costituisce una conferma di quanto l'allegoria del l'immagine sponsale fosse divenuta patrimonio comune del pen siero religioso d'Israele. Basta, del resto, ricordare un'immagine utilizzata da Isaia (62, 5) per spiegare la rivelazione dell'amore di vino per rendersene conto: «Come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te». Nel Can#co dez" can#d, l'amore fra un uomo e una donna vie ne considerato l'unica realtà umana che può rendere in qualche modo intellegibile il mistero dell'amore di Dio per l'umanità. In esso la sessualità non viene vissuta come una forma misteriosa di unione con il sacro - come nei riti di fertilità delle religioni paga ne - ma come realtà teologica in sé. A ragione è stato infatti sot tolineato in proposito che «non vi è un amore 'spirituale', 'puro' ed uno profano; esiste solo l'amore e basta. Anzi, l'amore contie ne in sé qualcosa di divino»3• 3 R. Infante, Lo sposo e la sposa. Percorsi di analisi simbolica tra Sacra Scrit tura e cristianesimo delle origini, San Paolo, Milano 2004, p. 15.
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Molti commentatori hanno osservato come nel Cantico dei can tici vi sia piena parità della donna con l'amato, anch'essa sogget to attivo nel rapporto, a cui viene riconosciuto lo stesso diritto di esprimere il proprio desiderio e la propria voglia di amore. La ri cerca dell'amato è quasi sempre sua, anche in condizioni rischio se, ed è alla sua bocca che il poeta affida le parole più belle: «Met timi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; per ché forte come la morte è l'amore, tenace come gli inferi è la pas sione. Le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del Signo re! le grandi acque non possono spegnere l'amore né i fiumi tra volgerlo» (8, 6-7) . Solo l'amore e l'eros hanno la possibilità di vin cere le potenze distruttrici, perché solo l'amore è creatore e fonte di vita in quanto dotato di potenza divina. I cristiani, che ripresero dai giudei l'uso della Sacra Scrittura come fondamento divinamente ispirato di vita e di dottrina, ma che hanno cominciato a leggerla considerandola come un insieme di profezie e simboli della verità portata da Gesù, non sembra ab biano awertito alcuna remora ad accogliere anche il Cantico dei cantici, benché non ci siano riferimenti diretti a questo poema nel la letteratura cristiana sino alla fine del II secolo, quando compa re un commentario a cura di lppolito. Questa prima interpreta zione - per cui, ad esempio, il profumo dello sposo diventa sim bolo della generazione del Logos e della successiva Incarnazione e la nerezza della sposa è simbolo dei passati peccati della Chiesa - apre le porte a un genere che conoscerà una fortuna crescente nella letteratura cristiana, quello cioè della spiegazione allegorica del Cantico dei cantici, nella comune convinzione che la Scrittura vada accostata con timore e devozione per decifrare la chiave del linguaggio simbolico con cui è scritta. Poco tempo dopo, infatti, Origene dettò un commento al poemetto in dieci libri, basato su un accurato lavoro filologico. Fin dal prologo egli affronta, risol vendolo in senso allegorico, il problema del linguaggio erotico dell'opera, presentando il Cantico dei cantici come «espressione della vetta più alta cui può aspirare l'anima umana nella ricerca di Dio». Come ha scritto Ann Matter, studiosa della fortuna del Can tico dei cantici nella storia del cristianesimo, «è con questa inter pretazione dell'amore nuziale del Cantico dei cantici come amore tra Dio e l'anima del cristiano credente, che comincia la vera sto ria del matrimonio mistico nella tradizione cristiana. Inoltre, que-
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sta lettura legittima anche l'idea della vita di devozione come ma trimonio con Dio»4• Dopo il successo di questo commento, il Can tico dei cantici viene considerato - e per sempre - uno dei punti più alti di mistica nell'ambito della Sacra Scrittura. I commenta tori successivi si rifanno tutti all'esempio origeniano, fino a quan do Apponio, nel 4 10, introduce anche un'interpretazione in sen so mariano, che avrà una buona fortuna nel Medioevo. Del resto, che l'interpretazione metaforica del Cantico dei can tici sia ormai accreditata ovunque - a parte alcuni casi marginali rappresentati da canti goliardici, come i Carmina burana - lo di mostra la libertà con la quale Bernardo di Chiaravalle, nei suoi ser moni di commento al Cantico dei cantici, utilizza la descrizione realistica dell'incontro amoroso. Così, mentre il poema biblico si limita a dire «Mi baci con i baci della sua bocca», Bernardo spe cifica che si tratta di «congiunzione delle labbra» e «per dare un bacio, bisogna che le due labbra di ogni bocca si premano l'una su l'altra» per arrivare poi all' «abbraccio che non si può districa re»5. È ben chiaro come la sposa non sia solamente passiva, ma contribuisca a produrre questo bacio in un rapporto di egua glianza. Ogni parola è concreta, ma basta che egli aggiunga pochi termini, anch'essi biblici, di risonanza spirituale, perché si disveli un significato sublime: la libertà è quella dello Spirito Santo, il ca lore è quello dello Spirito di Cristo. Perché la metafora sia giusta e legittima, infatti, bisogna che la realtà di riferimento sia chiara e concreta, cioè l'amore carnale fra un uomo e una donna, a cui egli aggiunge un particolare che nel Cantico dei cantici non c'era: che si tratti di uno sposo e di una sposa, di un amore lecito. TI fonda mento della metafora è dunque il matrimonio, in antitesi ad altri tipi d'amore carnale, come la prostituzione, l'adulterio e l'unione libera, lodata dagli eretici renani suoi contemporanei. Naturalmente questa interpretazione di Bernardo, che legge la metafora su tre piani diversi - e presuppone uno stretto paralleli4 E.A. Matter, Il matrimonio mistico, in Donne e fede. Santità e vita religio sa, a cura di L. Scaraffia e G. Zarri, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 45; cfr. anche E.A. Matter, The Voice o/My Beloved. The Song o/Songs in Western Medieval Christianity, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1992. 5 Bernardo di Chiaravalle citato in J. Leclercq, I monaci e il matrimonio. Un'indagine sul XII secolo, Società editrice internazionale, Torino 1984, p. 1 55.
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smo fra l'unione carnale e quella spirituale - rinnova profonda mente la tradizione dei commenti del Cantico dei cantici. Nel ba cio Bernardo identifica l'insufflazione attraverso la quale Cristo Risorto dona il suo Spirito alla Chiesa. Infatti la sua idea di base è che la rivelazione avvenga con un bacio, cioè per mezzo dello Spi rito Santo. Ma il bacio esprime anche l'unione di Dio con l'uomo Gesù: «la bocca del Verbo preme la natura umana: così, Dio si uni sce all'uomo, in cui, ormai, risiede tutta la pienezza della divi nità»6. Ma la metafora coniugale si presta anche a esprimere l'u nione di Cristo con la c;hiesa, tenendo presente il fatto che la Chie sa è fatta dalla comunione delle anime. Sin da questa vita, e poi meglio nella gloria, ognuno di noi aderisce alla Chiesa nell'ab braccio dell'amplesso, formula che presuppone, più ancora del bacio, l'unione totale. Attraverso il vigore di queste metafore, Ber nardo riesce a cogliere una realtà misteriosa, che sarebbe estre mamente difficile formulare in altri termini. Anche il teologo con temporaneo Hans Urs von Balthasar scrive a proposito della Chie sa, velata nel mistero sponsale, che si tratta di «un mistero d'amo re, che noi possiamo circondare solo della nostra reverenza»7. L'attività amorosa degli sposi viene così applicata alle relazio ni tra il Verbo e l'anima, e il mistero è espresso in termini d'amo re: «non vi è una sola anima, ve ne sono molte, riunite in una so la Chiesa, abbracciate da una sola Sposa»8• Anche se la Chiesa sarà perfetta sposa di Cristo solo nella gloria futura, già da ora gli è unita come lo sono marito e moglie. n termine latino con il qua le Bernardo esprime questo incontro amoroso è proprio quello che designa l'amplesso nel senso più forte, adherere, assumendo tuttavia per lui un significato solo spirituale: «Questo amore vi cendevole, intimo e forte, che unisce i due, non in una sola carne ma, veramente, in un solo spirito»9• L'amore di Dio per l'uomo e dell'uomo per Dio è necessaria mente espresso in un linguaggio umano, nutrito di immagini e di simboli umani e di esperienze umane. Altri scrittori cistercensi rilvi, p. 158. H.U. von Balthasar, Sponsa Verbi, Morcelliana, Brescia 1972, p. 55. Bernardo di Chiaravalle citato in Leclercq, I monaci e il matrimonio, cit., p. 159. 9 lvi, p. 161. 6 7 8
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prenderanno, dopo di lui, il simbolismo del letto e delle delizie dell'amplesso, e il fatto che spesso queste metafore si trovino an che in sermoni rivolti alle monache conferma come non ci fosse alcun timore a riferirsi con franchezza all'amore coniugale. Come scrive ]ean Leclercq, «niente, in loro, tradisce l'ossessione e la re pressione»10, né si comportano come se questi temi fossero tabù. Con la formazione dei nuovi ordini monastici del XII-XIII se colo, infatti, era cambiato il tipo di religioso: cominciano a preva lere gli adulti fra coloro che scelgono la vita nel monastero. Si trat ta cioè di persone che avevano avuto un'esperienza diretta dell'a more profano, o per aver sperimentato il matrimonio, oppure per conoscenza letteraria o, magari, dall'esperienza dovuta alla pro miscuità abitativa allora molto diffusa, se non abituale. Ed è pro prio per la facilità con la quale viene compresa questa esperienza, probabilmente, che molti monaci come Bernardo si sentono spin ti a creare, parallelamente alla letteratura amorosa dei trouba dours, una letteratura amorosa sacra. Non dobbiamo poi dimen ticare la capacità, diffusa fra tutti i monaci medievali e il clero - e, seppure in minor misura, anche fra i laici -, di interpretare sim bolicamente, almeno in due sensi, la parola sacra. Quelle immagi ni che a noi - che siamo portati dal senso comune a escludere la natura spirituale dell'uomo e l'esistenza di Dio - sembrano solo il ritorno di un istinto erotico rimosso nell'inconscio erano per loro, invece, immagini ricche di senso profondo che li spingevano a cer care, a partire dai simboli biblici, significati misteriosi e nascosti. Per capire ancora meglio quale fosse il potere trasformante dell'interpretazione spirituale di scritti carichi di contenuto eroti co, bisogna ricordare anche che una operazione simile a quella sul Cantico dei cantici era stata fatta, nel Medioevo, su un testo ben più difficile da «spiritualizzare», cioè I'Ars amandi di Ovidio. Cer to, in alcune copie monastiche qualche riga era stata espurgata, ma in sostanza anche a esso si applicava una vera e propria esege si, utilizzando lo stesso procedimento che si applicava alle Sacre Scritture, sino a fare di Ovidio un cristiano e ad arrivare alla de dica che un pio frate francescano scrive alla Vergine, nella vigilia di una sua festa, su un codice del poeta pagano. IO
lvi, p. 164.
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L'immagine sponsale, del resto, è presente anche nei Vangeli, proposta da Gesù stesso che, in più di un episodio, si sostituisce a Yhwh nella metafora dello sposo e sarà ripresa da Paolo nella Seconda lettera ai Corinzi ( 1 1 , 2) , che stavano correndo il grave pe ricolo dell'infedeltà: «lo provo infatti per voi una specie di gelo sia divina, avendovi promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo». Bernardo è stato senza dubbio l'intellettuale cristiano che ha meglio saputo trasferire ogni desiderio di amore umano in desi derio di unione con Dio, partendo appunto dal Cantico dei canti ci, ma poi procedendo oltre, sempre però all'interno della stessa metafora sponsale. Per lui, l'amore fra un uomo e una donna non è che una delle espressioni dell'amore cristiano, che sempre rin via all'amore più alto, la carità. Egli si sforza, riuscendoci, di su blimare una pulsione fondamentale dell'essere umano, quella del l' amore, partendo da una conoscenza profonda della psiche uma na. Nel suo trattato Sulla necessità di amare Dio, Bernardo stabi lisce che l'amore divino integra e assume in sé tutte le manifest� zioni umane dell'amore che sono in accordo con l'ordine dei va lori fissati da Dio. Proprio per questo Dante attribuisce a Bernardo un ruolo cen trale nella Commedia, il cui tema di fondo è l'importanza dell'a more. Nel poema assistiamo infatti al passaggio dall'amore per Beatrice a quello per Dio, dalla guida di Beatrice a quella di Ber nardo. Simbolo comune fra il poeta e il monaco è la sposa del Can tico dei cantici, più volte citata da Dante nelle sue opere. Se le esperienze che Bernardo e Dante hanno vissuto sono state diver se, uguale è il processo attraverso il quale le trascendono, e per en trambi è una donna - sia essa Beatrice, oppure la sposa del Can tico dei cantici, o Maria - a esprimere simbolicamente la parte mi gliore di loro stessi, e quindi di tutto il genere umano. li Cantico dei cantici, quindi, testimonia come anche nella tra dizione giudaico-cristiana sia presente l'idea che il piacere sessua le, essendo riflesso della beatitudine divina, ci permette di coglie re qualcosa di Dio1 1 • Ne parla esplicitamente Alain Daniélou nel suo saggio sulla scultura erotica indù, cogliendo le somiglianze 1 1 Cfr. A. Griin, Mistica ed eros (1994), Berti, Piacenza 2000.
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con questa tradizione, in quanto «riflesso dello stato di perfezio ne, dello stato divino, è il godimento. Per un istante l'uomo rea lizza lo scopo suo vero. Dimentica i suoi interessi, i suoi proble mi, i suoi doveri, e partecipa al sentimento di felicità che è la sua vera natura, la sua natura immortale»12. Accanto a una tradizione - ben rappresentata da grandi Padri della Chiesa, come Ambrogio, Agostino e Girolamo - che vede la corporeità sessuata come un grave limite dell'essere umano, dal quale egli deve liberarsi quanto più gli è possibile per awicinarsi alla trascendenza divina, ne esiste quindi un'altra che vede nell'e sperienza erotica una chiave per comprendere Dio. Una posizio ne, questa, sostenuta anche da Tommaso d'Aquino, il quale scri veva che, anche se «i progenitori in paradiso non ebbero rappor ti, perché, poco dopo la formazione della donna, ne furono scac ciati a causa del peccato; oppure perché attendevano l'ordine dal l'alto che ne determinasse il tempo, perché da Dio ne avevano ri cevuto un comando generico»13, se l'avessero fatto ne avrebbero provato più piacere, perché «il piacere è tanto più grande, quan to più pura la natura e più sensibile il corpo» (ibid.) . Perché per Tommaso l'essere umano è stato fatto a somiglianza di Dio nell'a nima e nel corpo: «l'anima unita al corpo assomiglia di più a Dio di quella separata dal corpo, perché possiede più perfettamente la propria natura»14, per cui la separazione dal corpo impedirebbe la beatitudine perfetta: «la separazione dal corpo, infatti, impedi sce all'anima di tendere con tutto lo slancio verso la visione del l'essenza divina, poiché l'anima desidera godere Dio fino al pun to che il godimento ridondi sul corpo, nella misura del possibile. Perciò, finché essa ha il godimento di Dio senza il corpo, il suo ap petito, pur quietandosi nell'oggetto che possiede, vorrebbe anco ra che il suo corpo arrivasse a parteciparne»15• Da questo si può dedurre come Tommaso fosse convinto che il piacere sessuale - tanto più intenso quanto maggiore è la purez za della natura - è un dono che ci apre alla conoscenza della divi12
A. Daniélou, La sculpture érotique hindoue, Buchet-Chastel, Paris 1973. 13 Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, I, q. 98, a. 2. 1 4 Tommaso d'Aquino, Quaestiones de potentia, 5, 1 0 ad 5. 15 Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, 1-IIae, q. 4, a. 9.
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nità: noi conosciamo Dio dalle perfezioni che egli comunica alle creature16 in una visione molto concreta della natura umana; dei piaceri, egli scrive «alcuni sono corporei, altri dell'anima; il che in sostanza è la stessa cosa [ ... ] e il bene sensibile è il bene di tutto il composto umano»17• Data l'unicità del composto umano non ci deve stupire che egli concepisca l'unione con Dio come un'espe rienza insieme spirituale e fisica: «Sebbene il nostro corpo non possa godere di Dio con la conoscenza e con l'amore, tuttavia pos siamo arrivare alla perfetta fruizione di Dio con opere compiute col corpo. Ecco perché dal godimento dell'anima ridonda sul cor po una certa beatitudine [ ... ] perché il corpo è partecipe in qual che modo della beatitudine, può essere amato con amore di ca rità»18. Come era sottinteso nel Cantico dei cantici, infatti, non c'è contrapposizione fra l'amore umano e quello divino: «l'amore verso Dio e l'amore verso l'uomo sono identici nella specie [. .] hanno lo stesso abito di carità»19. Questa libera interpretazione del Cantico dei cantici cominciò a incontrare degli ostacoli al momento della Riforma protestante, così come tutti gli aspetti più concreti e mistici della tradizione cri stiana. E le critiche alla natura materiale e superstiziosa della fede romana spinsero anche nella cultura cattolica a proibire la lettura integrale dell'inno e a presentarne esegesi censurate. Particolarmente problematica divenne la lettura del Cantico dei cantici nella Spagna della Controriforma, in cui l'unica inter pretazione consentita era quella agostiniana, cioè la Chiesa come sposa di Cristo, preferita a quella della Scolastica, che proponeva il matrimonio dell'anima individuale con Dio. Un grande studio so della Bibbia, Luis de Le6n, fu incarcerato dall'Inquisizione dal 1572 al 1575 per avere messo in dubbio l'accuratezza della Vul gata e per avere tradotto in spagnolo il Cantico dei cantici, ma so prattutto perché ne aveva fatto una traduzione troppo letterale, poco attenta all'allegoria ecclesiologica che ne doveva spegnere il carattere erotico. .
16
Cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, I, q. 1 3 , a. 3 . Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, I-Ilae, q . 3 0 , a . l . 1 8 Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, I-Ilae, q. 25, a. 5 . 1 9 Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, I-Ilae, q . 2 5 , a . l . 17
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2. Prostituta casta («casta meretrix») Alla sposa pura e appassionata del Cantico dei cantici nei testi sacri si opponeva un modello negativo, quello della prostituta, già utilizzata nei testi sacri ebraici come simbolo di crisi nelle relazio ni fra Dio e il suo popolo. Ma la prostituta delle Sacre Scritture è una figura ambivalente: in alcuni episodi biblici il suo ruolo è provvidenziale, come nella vicenda centrale di Osea, profeta a cui Dio aveva dato l'ordine di andare da una prostituta e di generare con lei dei figli, sui quali ricadesse la vergogna della madre. n se gno dato al popolo ebraico è chiaro: Dio, sebbene offeso dal suo tradimento, si riabbassa di nuovo verso l'uomo, rappresentato da questa prostituta. n mistero dell'amore di Dio è tale che anche la riprovazione avviene nel segno della provvidenza, ed è una strada verso una nuova elezione. Agostino dirà che la meretrice del libro profetico di Osea deve essere interpretata dal Nuovo Testamento come la Chiesa dei giudei e dei pagani, di cui Cristo è il cardine e la pietra angolare. Matteo inserisce varie donne irregolari nella genealogia di Cri sto perché - scrive Anselmo di Laon - l'evangelista voleva «di mostrare che Cristo non doveva nascere solo dai Giudei ma an che dai pagani, non solo dai giusti ma anche dai peccatori»20• Questo elenco di prostitute è stato sottolineato e interpretato da esegeti delle Scritture, come Rabano Mauro che scrive: Omesse le mogli legittime, vengono assunte nella genealogia di Cri sto quattro donne straniere: Thamar, che siede al crocicchio sotto le spoglie di una meretrice, Rahab, la prostituta che si unisce a Salmon, il principe giudeo di Gerico, Ruth, che dopo la morte di suo marito viene da Mohab e si unisce a Booz, Bethsabea, che viene resa incinta dall'adulterio del re Davide. Ciò avvenne affinché noi ammirassimo fin nel senso letterale l'estrema bontà del Signore che per cancellare i pec cati umani non solo si è degnato di nascere dagli uomini ma addirittu ra dai peccatori e dalle meretrici. Secondo il senso spirituale però in queste donne è prefigurata la Chiesa che viene al Signore dagli errori del paganesimo.21
20 Anselmo di Laon, In Mattheum, l (PL 1 62, 1239). 2 1 Rabano Mauro, Homiliae in Evangelium, 1 63 (PL 1 1 0,
458).
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Anche Rahab viene considerata dagli esegeti come simbolo della Chiesa; per esempio, Girolamo scrive con grande incisività: «Rahab, la meretrice giustificata, prefigura noi»22 • Gregorio di Elvira23 ha messo in luce la ricchezza e la com plessità di questo tema biblico: «Infatti, in molti passi della scrit tura incontro questa meretrice, non solo come ospite dei santi, ma addirittura come sposa. Ecco Osea, il profeta del tutto irreprensi bile, cui il Signore comanda di prendere in moglie una meretrice [ . . . ] e lo stesso Signore, ch'è nostro salvatore, seduto presso un pozzo della Samaria a discorrere con una meretrice [ . ] . E infine è ancora una meretrice che lava con le sue lacrime i piedi del Sal vatore». Nei Vangeli un posto importante è occupato da Maddalena, prostituta redenta da Gesù, imitata poi nel primo cristianesimo da «sante puttane» come Pelagia, Maria Egiziaca, Taide. Questa fi gura è senza dubbio il personaggio più sensuale della letteratura evangelica: lo rivela l'arte sacra, che ha rappresentato la Madda lena come giovane e bella, spesso discinta e con i lunghi capelli sciolti nel dolore del pentimento: in sostanza, l'unico dei perso naggi dei Vangeli proposto come modello erotico, a cui gli artisti prestano la sensualità di Venere. Il solo modo per ritrarre una pro stituta, nella società rigidamente controllata della Controriforma, era di presentarla sotto le vesti della peccatrice pentita dei Van geli: così per esempio è raffigurata la Maddalena di Tiziano, che esprime al tempo stesso offerta sessuale e devozione sincera. Del resto, non solo il suo stato di peccatrice pentita - si sup pone di peccati sessuali - induce ad attribuirle questa carica ero tica, ma anche i gesti che compie sul corpo di Gesù: l'unzione dei piedi e poi dei capelli con costosi olii profumati, e l'asciugatura dei piedi con i propri capelli sciolti. Tanto che si è immaginato, da parte di eretici di tendenza gnostica e poi da scrittori che arriva no fino al modesto Dan Brown del Codice da Vinci, che il legame tra il predicatore di Nazareth e la donna fosse di carattere sessua le, e cioè che Gesù fosse sposato con lei (oppure che fosse il suo ..
22 Girolamo, Epistulae, 22, 38. 23 Si veda il trattato XII edito da P. Batiffol e A. Wilmart nei Tractatus Ort� genis de libris S. Scrzpturae, Paris 1900, pp. 128- 139.
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amante) e che avessero dei figli, e naturalmente che tutto ciò sia stato tenuto nascosto dalla Chiesa. In realtà, che Maddalena godesse di un legame particolarmen te intenso con Gesù risulta evidente dagli episodi evangelici che la vedono protagonista, come infatti ben coglie uno dei primi e più famosi agiografi che ne scrive la biografia,]acopo da Varagine: «In tutte le occasioni [Gesù] prendeva le sue difese. La discolpò pres so i farisei, che la chiamavano immonda, presso sua sorella che la trattava da pigra, presso Giuda, che la accusava di prodigalità»24• All'interno della sua vocazione universale, del suo amore per tut ti gli uomini, il maestro di Nazareth aveva quindi delle preferen ze, e questa donna che sapeva amare era una di queste. Non c'è dubbio che Maria Maddalena sia un personaggio mol to intrigante: nei Vangeli gioca infatti un ruolo dirompente, qua si trasgressivo, fino alla scena più importante, quella dell'incontro con Gesù risorto, che si mostra a lei per prima, e le chiede di diffondere l'annunzio della risurrezione. Che Gesù risorto fosse apparso per la prima volta a una don na che non era sua madre, anche se questa donna aveva avuto il coraggio di seguire ogni fase della sua passione ed era rimasta sot to la croce fino al termine dell'agonia, è un fatto che a lungo ha turbato gli uomini cristiani, come traspare già nel racconto degli stessi Vangeli canonici. Il problema si ripropone nei secoli, tanto da suscitare la leggenda che forse Gesù era apparso dapprima a sua madre, ma in forma segreta: farà propria questa ipotesi addi rittura Ignazio di Loyola, che propone questa apparizione come tema di meditazione - l'unico non fondato sulle Scritture - degli Esercizi spirituali. La Maddalena era stata una grande peccatrice e quindi, nonostante le esplicite narrazioni evangeliche, si fatica ad accettare che il primo testimone della risurrezione sia proprio lei. Metterla in concorrenza con la Vergine Maria è servito dun que a ridimensionarla. Ma non è questo l'unico modo in cui si cerca di sminuire il suo ruolo nella vita di Gesù. Basandosi sul fatto che non è chiaro se sia sempre Maria Maddalena la protagonista di alcuni importanti episodi - la contrapposizione con la sorella Marta in casa di Laz24
Jacopo da Varagine, La leggenda aurea, 92.
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zaro, loro fratello, e l'unzione con olii preziosi prima dei piedi e poi del capo di Gesù in due circostanze distinte -, molti com mentatori dei Vangeli hanno infatti identificato tre personaggi di versi, le «tre Marie». Imbarazza questi autori soprattutto il succe dersi di atti che segnano una profonda sintonia con il Messia da parte di una unica donna, descritta dagli evangelisti sia come pec catrice pentita sia come indemoniata guarita da Gesù. Una pre senza perturbante, che arriva al suo culmine proprio quando l'un zione del capo di Gesù diventa per Giuda - indignato per un uso così «inutile» del denaro - la molla decisiva che lo spinge a tra dirlo. Una donna «fatale», insomma, sia nel senso di grande pec catrice che in quello di elemento scatenante delle forze del desti no. Ma anche la protagonista di una relazione molto intensa con Gesù: una relazione particolarmente significativa, e certo non ben vista dagli immancabili moralisti. Proprio per questo molti hanno cercato di sfumare il suo ruo lo attribuendolo a tre personaggi diversi e diminuendone, di fat to, il peso. Le tradizioni cristiane orientali hanno optato in gene re per questa soluzione, mentre quelle occidentali - se pure con numerose eccezioni nel corso dei secoli, anche importanti, come per esempio quella del grande predicatore seicentesco Jacques Bénigne Bossuet - hanno preferito pensare che si tratti di una so la donna. Maria Maddalena, appunto. Che sarebbe quindi nativa di Magdala (da qui il suo nome), un borgo della Galilea, e sorella di Lazzaro e di Marta, poi trasferitisi a Betania, nei pressi di Ge rusalemme. Questa relazione privilegiata ha suscitato reazioni moralisti che, ma anche strenue difese, come quella di sant'Agostino che, anch'egli peccatore convertito, poteva capire meglio di altri il mi stero della peccatrice convertita che diventa prediletta del Signo re. Ma il privilegio suscita sempre sospetti e gelosie: due Vangeli apocrifi - quello attribuito a Tommaso, e un altro, detto di Maria, tutto dedicato alla Maddalena che ne è anche presentata come l'autrice - suppongono un sentimento di gelosia da parte degli apostoli per la relazione speciale di Gesù con la pentita, fino a ipo tizzare (in quello di Tommaso) che Pietro l'avesse cacciata come indegna dal gruppo. Abbiamo visto come il ridimensionamento del ruolo di Mad dalena sia avvenuto a favore di un'altra donna, Maria Vergine. E
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dunque non sarebbe tanto una motivazione misogina a ispirare il ridimensionamento del posto della Maddalena nella vita di Gesù, quanto piuttosto un eccesso di moralismo. Con gli slanci di amo re per Gesù, con la familiarità che dimostra con il suo corpo, Ma ria Maddalena è senza dubbio inquietante, e da sempre molti si sono domandati fino a che punto si è spinta questa relazione pri vilegiata. il matrimonio fra il Messia e una prostituta non sarebbe stato impossibile da accettare per la tradizione ebraica, come infatti di mostra la storia del profeta Osea. E il carattere erotico delle azio ni della Maddalena hanno ispirato un apocrifo del III secolo, il Vangelo gnostico di Filippo, dove si legge che «il Signore amava Maddalena più dei discepoli. La baciava spesso sulla bocca. Gli altri discepoli videro che amava Maria, e gli dissero: 'Perché l'ami più di noi?'. Il Salvatore rispose e disse: 'Come mai non vi amo quanto lei?'». In questo testo Maddalena è designata come com pagna di Gesù, ma bisogna tenere conto che il bacio sulla bocca, nelle sette gnostiche, non aveva un significato amoroso, bensì de signava la fraternità fra gli iniziati. E gli gnostici - prima nell'apocrifo a lei intitolato, poi nel più esplicito Pt'stis Sophrà - avevano fatto di Maddalena, alla pari con Giovanni, la loro iniziata originaria: Cristo avrebbe rivelato solo a lei le dottrine esoteriche destinate a essere trasmesse a pochi ini ziati, ed essa prende così il posto di Iside, la dea che tiene i miste ri della vita. Maddalena veniva quindi prescelta come iniziatrice dai protagonisti della prima grande corrente cristiana eterodossa, lo gnosticismo, che aveva fatto di Cristo un rivelatore di misteri sacri, al tempo stesso iniziato e iniziatore. E di Maddalena l'ini ziata perfetta, simbolo dell'essere umano assetato di purezza e di conoscenza dell'Assoluto. La tentazione gnostica ha costituito una costante nella storia del cristianesimo, ed è oggi più viva che mai: anche se nell'età con temporanea, scrive Roland Hureaux25, la gnosi è ancora più ra zionale e meno esoterica, perché coincide con la scienza, la cui esaltazione comporta la svalorizzazione delle morali tradizionali. Proprio come l'eretico Marcione (che peraltro va distinto dagli
2' R. Hureaux, ]ésus et Marie-Madeleine, Perrin, Paris 2006.
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gnostici), oggi tutti, tesi al nuovo, svalorizzano il passato. La tra dizione ortodossa del cristianesimo sostiene invece che il messag gio di Gesù è universale, e che la Chiesa non nasconde segreti. Maddalena, in quanto donna, provoca però dei problemi an che agli gnostici26, che sono fondamentalmente misogini - in coe renza con la mentalità prevalente nell'antichità - e non accettano una donna come iniziatrice: nel Vangelo detto di Maria, infatti, la Maddalena viene trasformata in maschio da Gesù stesso. Così questa donna libera e appassionata - che trasgredisce il suo ruolo prima come peccatrice, poi come iniziataliniziatrice - diventa il prototipo dell'androgino, tema centrale nello gnosticismo. Ritor na così evidente, a proposito della peccatrice pentita Maddalena, il conflitto radicale sulla concezione del corpo, della sessualità e della salvezza che separa la tradizione cristiana dallo gnosticismo: per gli gnostici, infatti, la materia è malvagia e da disprezzare per ché condannata alla distruzione, e quindi per loro la castità asso luta è uguale al disordine sessuale, cioè non conta nulla; per l' au tentica tradizione cristiana, invece, la carne è così importante che se ne stabilisce con cura l'uso, dando all'atto sessuale un valore al tamente positivo: la carne è importante perché è creata da Dio, e il rapporto con la carne - destinata alla risurrezione finale - è al centro della nostra salvezza. Per gli gnostici, che pensano che il corpo sia da dimenticare e da trascendere, Maddalena trasmette una aspirazione profonda ed eterna dell'essere a ritrovare la supposta unità androgina pri mitiva. Essa infatti incarna il tentativo di superare la divisione/ mutilazione dei sessi - presente ad esempio nel Simposio di Pla tone - per raggiungere l'armonia della fusione nella perfezione dell'Unità originaria. Una tensione omogenea a quella che perva de la società contemporanea, nella quale molti cercano, con la ne gazione della polarità sessuale biologicamente determinata, di ri creare per tutti, con la sola forza del desiderio, la possibilità di es sere, al tempo stesso, donna e uomo. Ma se Maddalena è semplicemente una donna, rimane aperto il problema di una possibile unione sessuale fra il maestro e la di26 Cfr. S. Fabrizio-Costa, A l'ombre de Marie-Madeleine, in La pureté. Que te d'absolu au péril de l'humain, a cura di S. Matton, Autrement, Paris 1993, pp.
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scepola prediletta. Questa unione è sostenuta da alcuni con il de bole argomento che, nella società ebraica del tempo, i rabbini do vevano essere sposati, ma l'ipotesi non è autorizzata dalle fonti, e anzi può facilmente essere contraddetta tenendo conto di un con testo nel quale agiscono Giovanni Battista, anch'egli celibe, e gli esseni, comunità dove era praticata una castità di tipo ascetico. Del resto, neppure gli accusatori di Gesù alludono mai a sue espe rienze sessuali e sembrano invece urtati proprio dal suo essere co sì diverso dai comuni mortali, e quindi pericoloso. Gesù propone, a chi si sente in grado, la via difficile della ca stità, e questo è del tutto coerente con il messaggio essenziale del Vangelo, cioè che la natura umana è infinitamente più ricca di po tenzialità, infinitamente più aperta di quanto l'uomo ordinario, fermo al suo orizzonte limitato, possa immaginare. Perché è aper ta sull'infinito. Del resto, ragiona Hureaux, il cristianesimo, per porsi come religione universale, doveva obbligatoriamente pre scindere da una dinastia, che avrebbe legato la nuova religione a un popolo e a un'area geografica circoscritti, così come era per l'e braismo e, almeno in parte, sarà per l'islam, nel cui ambito i di scendenti di Maometto sono considerati degni di un ruolo privi legiato. Nell'elaborazione teorica che subisce la figura di Maddalena da parte della tradizione medievale, Rabano Mauro e Bernardo compresi, il tema centrale non è più la prostituzione intesa come colpa sessuale, ma il pentimento: il nemico non è la lussuria, ma l'orgoglio. Al centro della sua figura sono il mistero del peccato e del perdono, la prevalenza data alla compassione sulla stretta os servanza dei principi morali. L'umiltà e la bontà non sono virtù cristiane inferiori alla castità. E questo è dimostrato, del resto, an che dalla larga accettazione che la Chiesa ha sempre praticato nei confronti delle prostitute pentite, a cui era aperta la possibilità di diventare religiose o spose. Ma c'è di più. La rappresentazione della Chiesa come prosti tuta pentita, sposa di Cristo per amore come Maddalena, si fonda sull'idea di una singolare duplicità: essa è immacolata, in quanto luogo beneficato da Dio, ma al tempo stesso peccatrice sempre im pegnata a confessare le sue colpe. È stato Ambrogio a inventare l'icastica definizione di casta meretrix, applicandola però a un al tro aspetto simbolico della Chiesa, il suo amore per i peccatori: la
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Chiesa, come una meretrice, «non ha rifiutato il suo amplesso ai molti che accorrevano, e quanti più sono quelli cui si unisce, tan to più casta essa diventa: vergine immacolata senza rughe, immu ne dal sentimento di vergogna, pubblica-universale nel suo amo re, una meretrice casta, una vedova infeconda, una vergine fecon da. Meretrice perché viene visitata da molti amanti, con tutte le at trattive dell'amore, ma senza la macchia di una colpa»27• Bernar do non chiama meretrice la Chiesa, ma dice che i cattivi pastori, che l'hanno devastata in luogo di edificarla, l'hanno prostituita. Il degarda di Bingen, in una visione, vedrà la Chiesa ricoperta di im mondezza, con un vestito lacerato e calzature infangate.
3 . La triplice verginità di Maria Ma figura della Chiesa è soprattutto Maria, la madre di Gesù, nella sua identità complessa di vergine-madre, carica di significa ti simbolici che bisogna sviscerare per comprendere lo statuto del la sessualità nella tradizione cristiana. Molti critici del cristianesimo, e soprattutto della sua idea di sessualità, considerano il dogma della verginità della madre di Ge sù una prova della sessuofobia che avrebbe caratterizzato, fin dal le origini, la tradizione della Chiesa. Secondo questi critici, infat ti, negando con tanta risolutezza la possibilità di una vita sessuale all'essere umano che ha cooperato all'Incarnazione, si giudiche rebbe implicitamente lo stato verginale molto superiore a quello sponsale, e quindi si caricherebbe la vita sessuale di un significa to fortemente negativo. La verginità di Maria, invece, sembra piuttosto legata a que stioni teologiche, relative allo statuto di Gesù come vero uomo e, al tempo stesso, vero Dio, piuttosto che a condizionamenti mora li del comportamento sessuale, che ne derivano solo marginal mente. Ma certamente, anche se il centro del dibattito sulla ver ginità di Maria, così intenso e ricco nel corso della storia del cri stianesimo, è il problema della verità dell'Incarnazione, non si può negare che l'insistenza sul suo stato di verginità abbia svolto 27 Ambrogio, In Lucam, 8, 40.
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una funzione importante e abbia avuto anche un ruolo di rilievo nella creazione di un modello asessuato di santità. La dimensione verginale di Maria è stabilita in base a una se rie di passi della Scrittura: secondo Matteo ( 1 , 20-25) un angelo appare in sogno a Giuseppe per avvertirlo che Maria ha concepi to dallo Spirito Santo: quod enim in ea natum est, de Spiritu sanc to est, recita la Vulgata. L'angelo afferma anche che la gravidanza di Maria realizza la profezia di Isaia (7 , 14) sulla venuta del Mes sia: «Ecco, la vergine concepirà e genererà un figlio al quale darà il nome di Emmanuele» e soprattutto l'annuncio secondo il Van gelo di Luca ( 1 , 26-28) , dove Maria si stupisce del messaggio di Gabriele perché non conosce uomo, e l'angelo risponde che lo Spirito Santo verrà su di lei per coprirla con la sua ombra. Però, sulla base di questi dati, secondo John P. Meier, «la ri cerca storico-critica semplicemente non ha le fonti e gli strumen ti disponibili per raggiungere una decisione definitiva sulla stori cità del concepimento verginale come è narrato da Matteo e Lu ca»28. Già verso l'anno 150, Giustino propone di interpretare la profezia di Isaia come «vergine», e quindi di attribuire a Maria il concepimento verginale per provare che Gesù non è opera uma na, ma divina. Ireneo poi vede nel concepimento verginale il se gno del creatore stesso: la verginità di Maria rimanda alla terra vergine da cui fu tratto Adamo. Mentre i gruppi gnostici sosten gono il significato esclusivamente simbolico del concepimento verginale, Tertulliano, con uno scrupolo realista, replica che Ma ria ha perduto la verginità partorendo Cristo. Origene sostiene che Maria non avrebbe potuto unirsi a un uomo dopo la nascita di Gesù, quindi la propone come archetipo della verginità fem minile, come Cristo lo è di quella maschile. Ma a spostare decisamente l'interpretazione del termine al malparthènos nel senso della verginità come stato fisico vero e proprio è senza dubbio, alla fine del II secolo, il protovangelo di Giacomo, che in un episodio fa intervenire una ostetrica, Salomè. Per verificare la verginità di Maria dopo il parto, Salomè inserisce la sua mano e non solo è costretta ad ammettere la verginità, ma 28 J .P. Meier, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico, vol. l, Le radici del problema e della persona (1991), Queriniana, Brescia 2001, p . 222.
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il suo braccio per punizione si atrofizza. Lo stesso testo difende la verginità successiva di Maria, presentando i fratelli di Gesù men zionati nei Vangeli come figli del primo matrimonio di Giuseppe. Di qui deriva, per rendere più credibile la verginità di Maria do po il matrimonio, la tradizione di Giuseppe come anziano. La tra dizione iconografica, infatti, rappresenta Giuseppe canuto e stan co, con in mano il giglio della purezza29• La verginità di Maria viene accreditata dai Padri della Chiesa perché funzionale al dogma della natura divina e umana al tempo stesso di Gesù: generato da una donna, quindi, come tutti gli es seri umani, ma da una donna eccezionale, vergine nonostante il parto. Mentre nella vita cristiana si afferma sempre più il presti gio della castità e della verginità, i Padri propongono Maria come modello alle vergini e ai monaci asceti: «che la vita di Maria sia per voi come l'immagine della verginità», predica sant'Ambrogio a Milano alla fine del IV secolo. La verginità in partu viene così con fermata dal Concilio di Efeso (43 1) e da quello di Calcedonia (45 1) , che dà a Maria il titolo di sempre vergine: viene stabilita co sì la verginità della Madonna, «prima» della concezione vergina le di Gesù, «durante» il parto e «dopo», cioè nella vita matrimo niale con Giuseppe. In realtà, come si è detto, solo l'enunciato del concepimento verginale possiede solidi riferimenti scritturistici, cioè soprattutto il racconto dell'annuncio di Gabriele a Maria (l'Annunciazione) nel Vangelo di Luca. In particolare, la questio ne della castità del matrimonio con Giuseppe è stata oggetto di aspre discussioni teologiche, fra chi, come Ambrogio, sostiene la sua perpetua verginità e chi - come Elvidio e Gioviniano - pensa che abbia partorito una numerosa serie di figli, i «fratelli» di Ge sù. Questione difficile da chiarire, dal momento che nella lingua ebraica uno stesso termine serviva a designare il fratello, e al tem po stesso un parente stretto. Anche se il dogma della verginità è stato sostanzialmente ac cettato in tutto il mondo cristiano, esso ha suscitato una infinità di ipotesi sul modo concreto in cui l'Incarnazione di Cristo sia av venuta. Una particolare attenzione è stata portata al concepimen29 Si veda in proposito M. van der Lugt, Le ver, le démon et la vierge. Les théories médiévales de la génération extraordinaire. Une étude sur les rapports en tre théologie, philosophie nature/le et médecine, Les Belles Lettres, Paris 2004.
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to verginale, senza dubbio il problema principale perché quello immediatamente collegato alla paternità divina, e la soluzione più accreditata è stata l'inseminazione attraverso l'orecchio: «e poiché il diavolo, insinuandosi attraverso l'orecchio con la persuasione, aveva ferito Eva e le aveva dato la morte, Cristo, entrando in Ma ria attraverso l'orecchio, recide tutti i vizi del cuore e, nascendo dalla Vergine, guarisce la ferita della donna. Accogliete il segno della salvezza! Alla corruzione è seguita l'integrità, al parto la ver ginità», scrive il vescovo Zeno di Verona intorno al 38030. Maria, prima discepola del figlio, è così caratterizzata anzitutto dall'a scolto della parola: «Nascerà da qui - scrive Enzo Bianchi - la tra dizione patristica che parla del cristiano come di colui che, grazie all'ascolto della parola di Dio e alla fede, è chiamato a concepire e a generare il Cristo nella propria anima. A divenire egli stesso 'madre del Signore' »3 1 . Ma, più in generale, l a verginità di Maria, senza bisogno di spiegazioni plausibili, viene assimilata al miracolo: «Quello che vedo non riesco a comprenderlo - scrive Romano il Melode, il più grande innografo bizantino del VI secolo - è al di sopra di ogni umano intendimento che il fuoco faccia avvampare l'erba senza consumarla, che l'agnella porti sopra di sé un leone, la rondine un'aquila, e la serva il proprio padrone. Nel suo seno mortale, sen za circoscriverlo, Maria porta il mio Salvatore, che così ha voluto. Perciò esclamo con gioia: 'una vergine partorisce e, dopo il parto, è ancora vergine'»32• Delle tre forme di verginità, è naturalmente quella durante il parto che ha suscitato le maggiori perplessità, a cui si è cercato di rispondere, da parte dei Padri della Chiesa, con teorie immagino se, come l'idea di una ricostituzione immediata dell'imene dopo l'espulsione del figlio, o invece, più prudentemente, con la pro posta di una lettura allegorica. In sostanza, la verginità in partu e post partum è ammessa in maniera generale dalla teologia a parti re dalla fine del IV secolo, mentre quella ante partum, menziona3° Citato in van der Lugt, Le ver, le démon et la vierge, cit., p. 4 1 3 . 3 1 E. Bianchi, Introduzione, in Maria. -Testi teologici dal I a l XX secolo, a cu ra della Comunità di Bose, Mondadori, Milano 2000, p. 6. 32 Citato in van der Lugt, Le ver, le démon et la•vierge, cit., p. 432.
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ta nel Credo, è già unanimemente riconosciuta dalla prima patri stica. Non c'è dubbio che questo dogma, centrale e precoce nella tradizione cristiana, sia all'origine di una svalorizzazione dell'atto sessuale, come si può vedere dai numerosissimi commenti espres si sul tema dai Padri della Chiesa: «Davvero il Signore Gesù a vrebbe potuto insudiciare con la semenza virile questa dimora ce leste - scrive Ambrogio - come se gli fosse stato impossibile assi curare la protezione del suo pudore verginale?»33• E Girolamo, per difendere Maria dal sospetto di non avere mantenJ.ItO la ver ginità post partum espresso da un certo Elvidio, arriva a rilancia re, affermando anche la verginità di Giuseppe: «Tu dici che Ma ria non è restata vergine. Quanto a me, io chiedo di più: che a cau sa di Maria Giuseppe sia stato vergine, al fine che da una unione verginale nasca un figlio vergine. Piuttosto che qualche impurità potesse contaminare un uomo santo, e non è scritto che egli ha avuto un'altra donna, è stato piuttosto il guardiano che lo sposo di Maria, che tutti credevano sua moglie. Per cui chi ha meritato di essere il padre del Signore è restato vergine con Maria»34• Ma ria diventa così il modello di ogni verginità, e quindi di ogni vita religiosa votata alla castità, al punto che Dominique Cerbelaud si domanda se non sia stata invece proprio la pratica cristiana di ascesi, sempre più diffusa nel nascente monachesimo, a influen zare questa fissazione dottrinale, cioè che «non sarebbe dalla ver ginità di Maria alla verginità cristiana la relazione di causa, ma nel senso contrario»35• È una riflessione che sembra confermata dal fatto che le Chiese cattolica e ortodossa, che in vario modo pre vedono la pratica del celibato clericale e monastico, sono molto più portate a difendere la verginità di Maria delle confessioni riformate, dove non esiste un clero celibe. Bisogna ricordare, però, che dal canto suo la Chiesa cattolica ha affermato solenne mente la superiorità della verginità sul matrimonio solo nel Con cilio di Trento (sessione XXIV, canone lO), come risposta diretta agli attacchi di Lutero contro il celibato ecclesiastico. 33 Ambrogio, De institutione virginum, VI, 44. 34 Girolamo, De perpetua virginitate beatae Mariae adversus Helvidium, 9. 35 D. Cerbelaud, Marie, un parcours dogmatique, Les Éditions du Cerf, Paris 2003, p. 74.
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-La verginità di Maria è considerata perfetta, perché coinvolge anche l'intenzione, la mente, ed è noto che lo stesso Tommaso d'Aquino considerava la verginità più alta proprio quella menta le, mentre quella fisica poteva essere valutata come solo acciden tale. TI senso che veniva dato alla condizione di verginità già nei primi Padri della Chiesa, infatti, era più spirituale che fisico, cioè significava il totale distacco dal mondo, da cui derivava una in corruttibilità che lo Spirito Santo portava con sé e che era condi zione dell'anima e non del corpo: «Ciò che avviene fisicamente nella incorrotta Maria, quando la pienezza della divinità rifulse in Cristo attraverso la Vergine, si compie - scrive Gregorio di Nissa - anche in ogni anima che vive verginalmente secondo il Logos»36• La condizione di verginità spirituale viene quindi considerata, dai grandi mistici, come essenziale perché in ogni cristiano si ripeta la maternità della Vergine: nella sua anima, vuota e libera, si può ge nerare il Logos. Massimo il Confessore lo scrive con grande chia rezza: «Mediante la grazia, Cristo viene misticamente generato nell'anima, prende corpo attraverso i salvati e in questo modo ren de l'anima che lo genera una vergine madre»37• Sarà Agostino a far prevalere il tema della Chiesa come madre di Cristo, e perciò madre verginale e feconda del credente, rispetto alla teoria della generazione nell'anima stessa del fedele. Ma tra la fine del XIII secolo e l'inizio del XIV qualcosa cam bia, e cominciano a risvegliarsi interessi di tipo scientifico. Si apre allora un dibattito sulla interpretazione biologica della concezio ne miracolosa di Gesù, e molti teologi cominciano a interrogarsi sulla natura della materia con cui si è costituito il suo corpo, tema che implica la realtà della sua umanità, nonché il ruolo svolto da Maria nella sua formazione fisica, arrivando perfino a discettare su una sua eventuale somiglianza fisica con la madre. Si tratta in fatti di un miracolo che deve avere anche degli aspetti naturali e quindi deve essere spiegato in base alle conoscenze scientifiche di sponibili sulla generazione umana. Così, i teologi cercano di spie gare in quale modo una nascita straordinaria possa rientrare nel le leggi naturali, cercando di risolvere con argomenti scientifici il 36 Gregorio di 37 Massimo il
889 C).
Nissa, De virginitate, 2 . Confessore, Brevis expositio orationis dominicae (PG 90,
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problema della formazione del corpo umano di Cristo. La que stione da spiegare era quella della sua generazione realizzata sen za emissione di sperma maschile e, naturalmente, anche senza pia cere femminile. E già a partire dal XII secolo i teologi - per ga rantire la realtà dell'Incarnazione - cercano di far rientrare que sta nascita straordinaria all'interno delle leggi naturali. Nella ricerca di una spiegazione la scienza si intreccia, però, con la teologia, e le due diverse teorie mediche della generazione allora prevalenti - cioè quella aristotelica e quella galenica - sono scelte anche in rapporto al ruolo mariano che suggeriscono. I do menicani seguono Tommaso d'Aquino nel considerare la conce zione di Cristo come miracolosa e naturale insieme: in assenza di sperma, che secondo la teoria aristotelica dovrebbe costituire il materiale per la formazione del feto - per il filosofo greco, infat ti, la donna sarebbe semplicemente un contenitore, e rimarrebbe passiva nella generazione -, sarebbe stato utilizzato il sangue ma terno, ma un sangue puro, non quello impuro delle mestruazioni. I francescani, invece, che volevano ampliare la partecipazione di Maria all'Incarnazione, preferirono la teoria galenica, secondo la quale, per la fecondazione, è indispensabile l'emissione di un se me femminile, provocato dal piacere carnale. Questa teoria, però, pur dando più importanza al ruolo biologico della madre, apriva il problema del piacere, e quindi della verginità totale di Maria: i francescani lo risolsero non parlando di semen - che avrebbe ri chiamato subito l'idea di piacere - ma sostenendo che lo Spirito Santo aveva fatto sì che la vergine producesse la materia per il fe to per via soprannaturale38• Per chiarire il mistero del concepimento verginale, e al tempo stesso per provarne la possibilità naturale di fronte ai dubbiosi, vennero anche proposti esempi presi in prestito dal mondo natu rale, cioè animali o vegetali di cui si credeva che la riproduzione avvenisse senza congiungimento carnale, come il verme - credu to frutto della putrefazione della carne - o l'ape, considerata ani male asessuato. Dal mondo vegetale venivano utilizzate come piante simbolo, per lo stesso motivo, la palma e l'olivo. L'idea che 38 Si veda in proposito il volume, già citato, di van der Lugt, Le ver, le dé
mon et la vierge.
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Dio avesse creato nella natura altre forme di generazione straor dinaria e verginale serviva a rendere più plausibile il miracolo. Tutti i teologi concordano nell'affermare che Maria non ha co nosciuto la concupiscenza - condizione di grazia da cui si ricava l'idea della sua esenzione dal peccato originale - ma si interroga no su altri problemi fisiologici, come l'eventuale assenza in lei di mestruazioni. Il corpo sessuato di Maria compare però nelle im magini che la rappresentano mentre allatta il figlio, immagini ne cessarie per garantire la vera umanità di Cristo, ma che, come scri ve Timothy Verdon, talvolta si soffermano «in modo un po' indi screto sulla particolare bellezza della giovane donna che allatta»39• In ognuna di queste opere, infatti, viene esposta una nudità eroti ca, se pure non si arriva alla conturbante madonna allattante di pinta intorno al 1450 da Jean Fouquet ad Anversa, che rappre senterebbe l'amante del re di Francia. La verginità di Maria, accolta nel Corano, è sempre stata re spinta dagli ebrei, che arrivarono a spiegarla con la leggenda po lemica di un concepimento illegittimo da parte di Maria, che avrebbe avuto rapporti sessuali con un soldato romano di nome Pantera, un racconto che periodicamente è stato poi ripreso dal la letteratura anticlericale. Più recentemente uno studioso, il rab bino Riccardo Di Segni40, ha sostenuto che il vero significato del termine ebraico alma poi tradotto come «vergine» (in greco, parthènos) - sia invece «non mestruata», quindi non ancora capa ce di generare. La verginità di Maria non è stata messa in dubbio invece dai protestanti, almeno fino all'ondata razionalista del XVIII secolo: Lutero ha sostenuto e predicato la verginità perpe tua di Maria durante tutta la sua vita, e Zwingli è stato altrettanto affermativo, così come anche Calvino. Un discorso critico di origine antica è quello di chi sottolinea la somiglianza di questa tradizione con i miti ellenistici incentrati sulla nascita straordinaria dell'eroe. Per costoro la verginità di Maria sarebbe solamente la traduzione fisica per gente semplice del mistero dell'Incarnazione. Già a partire dal Settecento, molti studiosi protestanti si sono scagliati con ironia e disprezzo su que-
Verdon, Mana nell'arte europea, Electa, Milano 2004, p. 64. Di Segni, «Colei che non ha mai visto il sangue». Alla ricerca delle radi ci ebraiche dell'idea della concezione verginale di Marta in Verginità, a cura di G. Fiume e L. Scaraffia, in «Quaderni storici», 3 , dicembre 1990. 39 T. 40 R.
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sto dogma, brandendo la storia delle religioni e i miti di genera zione miracolosa come arma contro la Chiesa cattolica, e sottoli neando come l'idea della concezione verginale dipenda in realtà dalla fede nell'Incarnazione, e non il contrario. L'esegeta cattoli co Grelot, che ha dedicato un saggio al tema, sostiene invece che questo dogma «esprime una riflessione teologica che si avrebbe torto a guardare come ingenua» e che invece «la narrazione vuo le presentare concretamente il senso che il passaggio di Gesù sul la terra comportava nella realizzazione e nello svelamento del di segno di Dio» 41• Edmund Leach, u n antropologo che h a studiato l e <
94, 1972, pp. 462-483, 561-585 (per le citazioni, p. 468). 42 Cfr. E. Leach, Les vierges-mères, in Id., L'unité de l'homme et autres es sais, Gallirnard, Paris 1980.
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Non vogliamo qui addentrarci ulteriormente in questa infini ta polemica, che potrebbe portarci molto lontano dal nostro te ma, ma prima di concluderla dobbiamo ricordare che, nei Padri, la concezione di verginità è sempre legata all'idea della Chiesa e della sua missione, e che Maria è riconosciuta come figura della Chiesa - al tempo stesso madre e vergine - per cui, come dice uno dei più importanti documenti del Concilio Vaticano II, «il tipo nella fede e nella carità. E la Chiesa istruita dallo Spirito la consi dera come il suo modello più evidente» (Lumen gentium, 53 ) . Con il dogma della verginità di Maria, che h a suscitato così tante riflessioni teologiche e critiche da parte di intellettuali ra zionalisti, tocchiamo il punto più alto di quella caratteristica del la tradizione cristiana - già messa in luce - di utilizzare i rapporti sessuali come metafora di verità trascendentali. La realtà natura le dei rapporti sessuali costituisce dunque una modalità privile giata per accedere a significati trascendenti, in una concezione che vede nella natura un libro che, come il Libro, può essere percepi to a diversi livelli esegetici, cioè allegorico, morale e spirituale. Maria è al centro di un universo di senso legato all'Incarnazione di Gesù, e come tale anche il suo corpo biologico viene sopraffat to dai significati. Naturalmente la verginità di Maria coinvolge il suo sposo Giu seppe e, anche se della verginità di quest'ultimo non si è fatto un dogma, il problema della mancata consumazione di questo matri monio si è posto subito. li protovangelo di Giacomo ha cercato di risolverlo attribuendo a Giuseppe una età elevata e pure una ve dovanza: un matrimonio precedente, infatti, poteva risolvere il problema dei «fratelli» di Gesù, ma escludeva la possibilità, an che per Giuseppe, di una scelta libera della verginità, così come era stato per Maria, e quindi rendeva la sua figura sempre infe riore a quella della moglie. Perché questo è stato sempre uno dei problemi principali nella definizione del ruolo di Giuseppe in una società patriarcale: quello di un uomo che è privato delle sue pre rogative sessuali, fa il padre di un figlio non suo, e soprattutto de ve servire e proteggere una moglie e un figlio infinitamente supe riori a lui. Si possono capire perciò le grosse difficoltà che il cul to di Giuseppe ha incontrato nella storia della cristianità: fino al XV secolo, erano pochissimi i cristiani battezzati con il suo nome, e nelle novelle, nei Misteri e nell'iconografia si vede spesso Giu-
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seppe raffigurato come contadino ridicolo, come marito inganna to e costretto ad allevare un figlio adulterino43• Nella cultura po polare la sua tristezza veniva spiegata appunto con questa situa zione, e il suo dubbio davanti alla gravidanza di Maria diventava il timore di tutti i padri davanti a una paternità sempre incerta. Il riso delle novelle o delle immagini caricaturali serviva a scongiu rare questo pericolo, così come lo charivari serviva a segnalare la sconcerto della comunità davanti al matrimonio fra una giovanis sima e un vecchio probabilmente impotente. In molte raffigura zioni della scelta dello sposo - scelta che, secondo gli apocrifi, av venne grazie alla fioritura miracolosa del bastone che Giuseppe portava - i pretendenti rifiutati da Maria sono rappresentati con l'espressione di dileggio tipica dei rituali burleschi, come nello Sposalizio della Vergine di Giotto. Ma, con la fine del Medioevo, il rafforzamento del culto ma riano impone una «promozione)) di Giuseppe, che viene propo sto come esempio di padre di famiglia devoto, e in quanto tale ini zia a essere indicato alla devozione dei fedeli come santo. Anche le raffigurazioni del matrimonio fra lui e Maria - che prevedono sempre la presenza di un sacerdote e lo scambio degli anelli - ri velano il tentativo di rafforzare l'istituzione matrimoniale, se pu re a prezzo di qualche ambiguità. Infatti, offrire il modello della sacra coppia implica la messa in discussione di un aspetto del ma trimonio cristiano ritenuto fondamentale per la sua validità da molti teologi e canonisti, cioè la consumazione del rapporto ses suale. Giuseppe e Maria vengono presentati come coppia model lo anche se vivono in castità, proponendo quindi come più im portante nella definizione del matrimonio il consenso della con sumazione. La coppia casta offre un modello di possibile santità anche nella vita matrimoniale, ma senza dubbio questo avviene a prezzo di una svalutazione della sessualità. 4 . Il sesso dei santi La sessualità e l'erotismo hanno larga parte nelle vite dei san ti: per lo più, naturalmente, come tentazioni da rifuggire per man43 Si veda in proposito P.
Payan, ]oseph. Une image de la paternité dans l'Oc
cident médiéval, Aubier, Paris 2006.
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tenere verginità e castità, ma anche in questo rifiuto si possono di stinguere modalità differenti. Intanto, una prima differenza è quella fra donne e uomini: per le donne, in genere, non si tratta tanto di fuggire le tentazioni, quanto di liberarsi dell'autorità fa miliare, che non accetta la scelta religiosa della figlia o della mo glie. Per gli uomini, invece, sono piuttosto le tentazioni a costi tuire un ostacolo al cammino spirituale, anche se non per tutti for ti allo stesso modo. Francesco d'Assisi, che probabilmente nella sua gioventù aveva conosciuto l'amore, appare come completa mente pacificato rispetto al pericolo di perdere la castità, come di mostrano i suoi rapporti con le donne, frequenti, disinvolti, e spesso più facili e tranquilli di quelli con i suoi frati. Filippo Ne ri, invece, prima di ottenere dalla Madonna un aiuto speciale con tro la tentazione, si sentiva così in pericolo da non confessare le donne e da impedire loro l'ingresso nella sua stanza, arrivando ad dirittura a gettare una sedia addosso a una donna, forse una pro stituta, che aveva cercato di sedurlo. Ancora nell'Ottocento troviamo altrettanto rigido nei con fronti del peccato contro il sesto comandamento - il «brutto pec cato» - Giovanni Bosco, che nelle sue prediche ai ragazzi arrivò a riproporre il precetto, caro agli asceti del primo cristianesimo, di non guardare mai le donne, anche se parenti, per rifuggire dalle tentazioni. Nei cenni biografici che egli dedica all'esemplare chie rico Luigi Comollo, morto in giovane età, scrive: Sovente era visitato da alcune sue cugine di Chieri, e questo gli era un grave cruccio, dovendo trattare con persone di diverso sesso, onde appena detto quello che la stretta convenienza, e il bisogno voleva, rac comandando loro con bella maniera di venirlo a trovare il meno pos sibile, tosto da loro si licenziava. Richiesto alcune volte se quelle sue parenti (con le quali trattava con tanto riserbo) fossero grandi, pic cole, o di straordinaria avvenenza, risponde che all'ombra parevano grandi, che più oltre nulla sapeva non avendole mai rimirate in faccia. Bell'esempio degno di essere imitato da chiunque aspira o trovasi nel lo stato ecclesiastico !44
44 P. Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, III, Las, Roma 1 98 1 , p. 73 .
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Don Bosco non si limitava a proporre questo comportamento ai sacerdoti, ma lo estendeva a tutti i giovani nella sua guida al comportamento morale, Il giovane provveduto, dove narra di un pio giovinetto che, «interrogato perché fosse così cauto negli sguardi, diede questa risposta: 'Ho risoluto di non guardare sem biante di donna per serbare gli occhi miei a mirare la prima volta (se non ne sarò indegno) il bellissimo volto della Madre di purità Maria Santissima'». Domenico Savio, narra la biografia scritta da don Bosco, aveva dato la stessa risposta a un compagno: anzi, era così cauto negli sguardi che, narra un altro compagno, spesso tor nava a casa con il mal di testa. L'epopea delle donne che cercano di sfuggire alla famiglia per vivere una vita di castità e rinuncia comincia con una serie di Vi te tardo-antiche, poi ampiamente diffuse nel Medioevo, di giova ni che per sfuggire al matrimonio imposto si vestono da uomo e si nascondono in un monastero maschile. Si tratta di dodici donne (Tecla, Marina, Eugenia, Pelagia, Eufrosina, Anastasia, Susanna, Apollinaria, Atanasia, Matrona, Anna, Teodora)45 le cui vicende si somigliano tutte: si fanno passare per eunuchi per giustificare la mancanza di barba, e sopportano eroicamente l'accusa di violen za sessuale avanzata contro di loro da donne illecitamente incin te; il loro vero sesso viene scoperto solo dopo la morte. Esse rap presentano la totale rinuncia alla propria sessualità ma anche il raggiungimento di una libertà di scelta concessa solo agli uomini, grazie all'ottenimento di quella eguaglianza spirituale che le don ne vergini possono vantare con gli asceti. La rapida diffusione di questi scritti, e il fatto che sono sempre opera di uomini, può far pensare però che si tratti anche di una forma di rappresentazione delle fantasie dei monaci, isolati in un universo solo maschile. L'inserimento delle vicende agiografiche nell'universo della narrativa popolare riprende intorno al XII secolo, periodo di na scita del romanzo cavalleresco, con un affermarsi di testi agiogra fici lunghi e avventurosi nei quali l'amore fra un uomo e una don na è sostituito con l'amore per Dio. Questi testi sono interessanti perché ci forniscono particolari sul matrimonio e sulla sessualità 4' Cfr. E. Patlagean, L'histoire de la /emme déguisée en moine. et l'évolution de la sainteté /éminine à Byzance, in <<Studi medievali», 17, 197 6, pp. 597-623.
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coniugale, e servono a diffondere l'idea - tutta cristiana - che il matrimonio, così come la vita religiosa, si fonda sulla libera scel ta. Sembra che proprio la possibilità, anche per le donne, di sce gliere la castità costituisca la condizione necessaria per fare della scelta matrimoniale un atto volontario. Lo troviamo ben rappre sentato nella vita di Ode de Bonne-Espérance, religiosa dell'ordi ne premostratense morta nel 1 159: di famiglia nobile, la giovinet ta era stata destinata dal padre al matrimonio ma considerava già Cristo suo vero e unico sposo. Dopo una lunga serie di vicissitu dini, che culminano nel rifiuto a pronunciare il suo assenso du rante la cerimonia nuziale, Ode riesce a conquistare la sua libertà. Sempre peripezie relative al rifiuto del matrimonio sono al centro della vita di Cristina di Markyate, che si sarebbe reclusa presso l'abbazia di Saint-Alban, esercitando una importante influenza su questo monastero. Si tratta di «romanzi del celibato», ricchi di av venture come i romanzi d'amor cortese46• La libera scelta matrimoniale presuppone l'amore fra i coniu gi, che comprende l'idea di una profonda comunanza spirituale, e non esclude in alcune Vite di santi - certo meno numerose di quelle centrate sulla castità - la consumazione del rapporto ses suale. Ida di Herzfeld, in una Vita della fine del X secolo, ha espe rienza di un matrimonio intensamente consumato, e vissuto nel l'intimità con Dio. Avrà cinque figli e, «per quanto legata dalla leg ge coniugale - scrive il biografo -, non antepone nulla all'amore del suo Sposo celeste» e per questo «non soffre alcun danno quan to al pudore e alla castità», perché «in occasione dell'unione car nale, aveva cura di rendere a Dio ciò che era di Dio; temperava il suo amore esteriore di modo che il suo spirito non fosse intacca to da nessuna leggerezza»47• Dopo la morte del marito, Ida si de dicherà completamente all'ascesi e alla vita contemplativa. Ana loga la Vita di santa Paolina, morta nel 1 107, scritta nel XII seco lo da un monaco di nome Sigeboto e, all'inizio dell'XI secolo, quella di santa Matilde, moglie di Enrico I di Germania: essi «go devano del loro matrimonio e dell'unione amorosa che è lecita», anche se la santa, di notte, si alzava per pregare. 46 Cfr. A. Chapelle, Sexualité et sainteté, lnstitut d'études théologiques, Bruxelles 1977. 47 Acta Sanctorum, Septernbris, II ( 1 748), pp. 260-269.
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Vengono portati come esempio, se pure estremo, anche co niugi che si amano ma che rinunciano alla loro vita sessuale per amore di Dio: in questo caso il legame, benché solo spirituale, vie ne descritto come ancora più intenso_ La storia di santa Cune gonda, moglie dell'imperatore Enrico II, si svolge come un ro manzo edificante: nonostante che il rapporto fra gli sposi fosse in tenso e intimo - la moglie svolgeva addirittura un ruolo inedito di consigliera negli affari politici -, il loro legame era solo spirituale. Ma la corte invidiosa approfittò di un viaggio dell'imperatore per calunniare la sposa, accusandola di infedeltà: il sovrano diede cre dito a queste voci e la santa, molto turbata, dovette subire dure prove prima della riconciliazione. Nel caso di sant'Alessio, inve ce, è lo sposo a convincere la sposa, fin dalla prima notte, a sce gliere la castità. La fuga delle donne dal matrimonio per motivi religiosi conti nuò a costituire un tema ricorrente nei testi agiografici anche nel l'età moderna: vi ricorre anche Teresa d'Avila48, nel racconto del le sue fondazioni, per dimostrare quanto forte fosse l'ardore e la determinazione delle sue monache. In queste storie, infatti, gio vani ragazze si mettono in conflitto con la famiglia per entrare nel monastero carmelitano di Teresa, che solidarizza con loro: Casil da de Padilla, unica erede di una ricca famiglia, era stata promes sa in sposa allo zio ma, dopo una visita al monastero carmelitano di Valladolid, si sente sicura della vocazione monastica e si oppo ne al matrimonio. Il conflitto, durissimo, con la famiglia, si pro trae per anni, nonostante le ripetute fughe di Casilda in conven to, da dove però viene sempre restituita alla madre. Il clero loca le, infatti, aveva timore a mettersi contro una famiglia tanto po tente. La ragazza riesce a ottenere quello che vuole con un'ultima e rocambolesca fuga così narrata da Teres a: E così un giorno, andando alla messa con sua madre, mentre era no in chiesa, la madre entrò in un confessionale per confessarsi; lei pregò la sua governante di andare a chiedere a un padre di dir messa per lei. Appena quella se ne fu andata, si mise le scarpe nella manica, tirò su la gonna e cominciò a correre più velocemente possibile, verso 4B Cfr. A. Weber, Teresa d'Avila e la retorica della femminilità, Le Lettere, Firenze 1993.
Il.
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il monastero, che era molto lontano. La governante, non trovandola più, le corse dietro e, quando Casilda era ormai vicina al convento, gridò a un uomo di fermarla. In seguito, l'uomo disse che non era riu scito a fare il minimo movimento, e così l'aveva lasciata andare. Casil da entrò nella prima porta del monastero, la richiuse dietro di sé e co minciò a chiamare. Quando arrivò la governante, era già entrata nel convento e subito le dettero l' abito.49
Una vicenda simile, dai toni romanzeschi, è narrata, sempre da Teresa, a proposito di Catalina, anch'essa erede delle ricchezze di famiglia, e di Beatriz de Chavez, che fu anche calunniata, tenuta prigioniera e picchiata in casa prima di realizzare il suo sogno e di entrare nel monastero di Siviglia.
5. Il matrimonio mistico Questo desiderio imperioso di diventare spose di Cristo si spiega con la speranza di «consumare», in qualche modo, questa mistica unione, alla quale apertamente allude la cerimonia di con sacrazione delle religiose, che deriva dal rito matrimoniale. La di zione sponsa Christi, per definire le donne consacrate, viene uti lizzata per la prima volta da Tertulliano, e ripresa da Ambrogio che, a proposito della consacrazione delle vergini, parla con gran de naturalezza di «nozze»50 • Le religiose vivono in maniera parti colare quella che è la situazione di ogni anima battezzata, che in un certo senso è pure sposa di Cristo. Il punto culminante della vita mistica è considerato il matri monio spirituale, come si coglie anche da molte rappresentazioni pittoriche o sculture, la più celebre delle quali senza dubbio è la santa Teresa del Bernini. La trasformazione dell'idea di matrimo nio mistico come unione fra la Chiesa e Dio mutò solo gradual mente in una forma di misticismo personale, cioè nell'incontro fra un'anima e Cristo, senza dubbio anche per influenza dei diretto49 Teresa d'Avila, Fondazioni, 1 1, p. �o Ambrogio, De virginibus, III, l .
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ri spirituali delle religiose, conoscitori del Cantico dei cantici e del le sue esegesi. Molte mistiche hanno trovato parole di grande intensità per raccontare questa esperienza, senza preoccuparsi che le chiare al lusioni alla sessualità potessero essere equivocate5 1• Umiltà da Faenza ( 1227- 13 1 O) scrive: «Datti a me integralmente, e non ti n a scondere a me, Cristo mio dolcissimo, se mi vuoi consolare. Fa' che io sia fecondata in tutte le mie viscere e che sia soggetta all'a more. lo desidero figli che producano frutto e che in tuo onore moltiplichino la mia eredità»52• E Margherita da Cortona ( 12471297), una convertita dalla vita tumultuosa, dice: «Alla parola co sì dolce, così lusinghiera, essa sentì tanta dolcezza, mista a desi derio, che a altissima voce confessò che né la Madonna, né gli an geli né i beati che godono Dio in paradiso per quanto siano sazia ti da Dio, possono restare senza fame e senza sete di lui»53. Ancora più appassionata nel suo amore anche fisico per Gesù, Angela da Foligno ( 1248-1309), «stette nel sepolcro insieme a Cri sto: dapprima baciò la sua bocca dalla quale ricevette un mirabi le e indicibilmente dolce profumo. Poco dopo accostò la sua guancia a quella di Cristo, e Cristo poggiò la sua mano sull'altra guancia di lei stringendola a sé [ ... ] . La sua gioia era suprema, in dicibile»54. La prima a raccontare una vera e propria cerimonia in cui vie ne celebrato il matrimonio mistico è Caterina da Siena55, che nel le sue lettere racconta di una visione in cui Gesù la sposa «con anello di carne sua»: «il quale dolce Gesù la sposò [l'anima] con la carne sua perocché quando egli fu circonciso, tanta carne si levò nella circoncisione quanta è una estremità d'uno anello, in segno che come sposo voleva sposare l'umana generazione» (lettera 26 1 ) . li suo esempio fu molto imitato nella vita monastica nei se coli successivi, come prova il fatto che, nelle visioni in cui veniva51 Si veda per tutti questi testi la raccolta Scrittrici mistiche italiane, a cura di G. Pozzi e C. Leonardi, Marietti, Genova 1988. 52 Umiltà da Faenza, Sermoni, VI. 53 Fra' Giunta Bevegnati, Leggenda della vita e dei miracoli della beata Mar gherita da Cortona, 6. 54 Fra' Arnaldo, Memoriale, VII. 5' Cfr. D. de Courcelles, Il dialogo di Caterina da Siena, Jaca Book, Milano
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no sposate da Cristo, le mistiche vedevano spesso la stessa Cate rina partecipare come testimone, insieme alla Vergine. La forte metafora corporea dell'anello di carne ricavato dal prepuzio vie ne però stemperata, nella Vita di Caterina scritta da Raimondo da Capua, suo segretario e confessore, che preferisce parlare di un anello d'oro ornato da quattro perle e un diamante, e di anello prezioso parlerà anche Teresa d'Avila. Per altre «spose», come Ca terina de' Ricci e Veronica Giuliani, l'anello sarà sostituito da una stigmata anularia. Teresa d'Avila, forse la più grande mistica cristiana, utilizzò la metafora del matrimonio mistico come difesa della sua libertà in tellettuale. Ella scriveva in anni - la metà del Cinquecento - in cui il controllo sull'aspetto erotico delle visioni mistiche si era fatto molto più stretto, e la santa carmelitana, che ne era ben consape vole, cerca di teneme conto nelle sue descrizioni dei rapimenti mi stici. il misticismo nuziale emerge però conie allegoria cruciale ne gli ultimi tre libri del Castello interiore, il resoconto puntuale del suo percorso mistico. La combinazione di piacere e dolore - «È un grande dolore, ma delizioso e dolce» (6, 2 ) - mentre l'anima viene trascinata senza sforzo e irresistibilmente verso il centro, pe netrata con tocchi gentili: «Mi sembra che sarebbero fin troppo sufficienti per ripagarci di ogni possibile travaglio questi tocchi del Suo amore così soavi e penetranti» (7 , 3 ) . Teresa però, prudentemente, cerca di tenersi lontana dai sim boli più significativi del Cantico del cantici, professando la sua ignoranza delle Scritture. In realtà, fra il 1566 e il 1567 , la santa aveva scritto una breve opera ispirata proprio al libro veterote stamentario, e per di più ai suoi versi di maggiore carica erotica, dicendo che non voleva interpretare la Bibbia in modo diverso da gli uomini, ma solamente narrare la sua forma di comprensione semplice da donna illetterata. Fra una protesta di modestia e una confessione di ignoranza, Teresa riesce però a rivendicare il dirit to delle donne a essere ispirate dal Cantico dei cantici, e deride co loro che lo respingono per moralismo. Quando scrive il Castello, però, la sua situazione si è fatta più difficile, e quindi i riferimenti al linguaggio della spiritualità ero tica rimangono velati. Anche se Teresa era intervenuta due volte sul testo, per temperare delle espressioni che potevano sembrare troppo esplicite, dopo la sua morte il testo fu severamente esami-
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nato e alcune parti censurate. Su di lei cadeva il sospetto di esse re vicina alla corrente giudicata eretica degli alumbrados, accusa ti dall'Inquisizione di sostenere che «baciarsi e toccarsi in modo indecente non erano peccati». Le beatas di Llerena, condannate in un auto da fé del 1579, raccontavano di aver a\ruto visioni ero tiche dell'umanità di Cristo e riferivano di un'intima unione con Dio. Anche se probabilmente, sul piano reale, non si erano verifi cati rapporti carnali, il fatto che molte beatas parlassero di sé co me di «spose di Cristo» gettava un velo di dubbio su tutte le espressioni di misticismo nuziale. Teresa ben conosceva i rischi che correva, ma evidentemente - pur sapendosi ai limiti dell'or todossia contemporanea - considerava l'idea del matrimonio spi rituale così cruciale da continuare ad affrontare tali rischi, non vo lendo abbandonare il linguaggio erotico. Come ha perfettamente colto Lorenzo Bernini nella sua scultura, prendendo spunto da un famoso brano del Libro de la vida (29, 13) in cui Teresa descrive la sua estasi: Vidi che aveva nelle mani un lungo dardo d'oro, e sulla punta del ferro pareva avesse un po' di fuoco. Mi pareva che egli me lo mettes se nel cuore varie volte, e che mi arrivasse alle viscere. Quando lo tol se, mi parve avesse tagliato [le viscere] con quello, e mi lasciò com pletamente ardente di grande amore di Dio. Il dolore fu così grande che mi faceva dare qualche gemito, e la dolcezza che mi suscitava que sto dolore fu così eccessiva che volli fermarlo, e nemmeno sarebbe sta ta corporale, ?-nche se al corpo è permesso di partecipare alquanto, ed anche tanto. E un rapporto così dolce tra l'anima e Dio che prego, nel la sua bontà, di darne un assaggio a chi pensa che mento.
Nonostante il sospetto con cui veniva guardato il matrimonio mistico dopo la Riforma, ci furono ancora mistiche che nei loro scritti ne facevano esplicito riferimento, come Caterina Vannini nel 1606 - «il meo sposalizio, quando io per misericordia di Dio ebbi ell'anello»56 - e Maria Maddalena de' Pazzi, nel 1604: «Vie ne la luce oscura e la tenebra chiara [ . . ] ; è ben dovere, o verbo, che [. .. ] trovi per la sposa un'altra unione, insolita e non cono sciuta»57. .
56 Epistole,
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1 15. Maria Maddalena de' Pazzi, Tutte le opere, IV.
II.
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Ancora nel 1744, nel Trattato mistico delle virtù esteriori (e in teriort), fa riferimento all'unione mistica servendosi di un lin guaggio erotico Chiara Isabella Fornari: «Finalmente seguite que ste ed altre purificazioni e disposizioni ed effetti ammirabili pro dotti in me dal divino amore, rimasi confortata e proporzionata assai incomparabilmente più per entrare nel talamo della divinità, e mi fu tolto un velo da una luce più che luce finissima, dalla qua le fui tutta vestita e rivestita»'8. Esempi di matrimonio mistico in ambito maschile sono meno frequenti. In questi casi, per mantenere la polarità della differen za sessuale, l'unione mistica avviene con la saggezza divina, che appare con i tratti di una bella donna che invita l'uomo a sposar la, sulle orme di un illustre predecessore biblico: il re Salomone, che si propone di prendere la saggezza di Dio come sposa ideale. Si può capire però la diffidenza della Chiesa verso questa for ma di esperienza estrema, che avveniva totalmente al di fuori da ogni controllo, anche perché le vere esperienze mistiche erano sempre accompagnate da forme di invasamento ambigue, a sfon do mistico e libero, che si possono definire come marginali e tra sgressive. La prima allusione a un matrimonio mistico viene infatti dagli gnostici, per i quali l'unione costituiva la tappa obbligata per un ritorno all'unità androgina originale. Tra il XII e il XIV secolo i Fratelli del Libero Spirito consideravano due distinte religioni: una per l'ignorante, l'altra per l'illuminato che vedeva Dio agire in ogni cosa. Per questi ultimi, l'idea di peccato veniva meno, la norma ascetica perdeva ogni significato, anche le azioni del corpo andavano a glorificare Dio. Non è detto che si tratti di dottrine ve ramente praticate, forse erano solo posizioni teoriche, a loro im putate dagli avversari e dall'ortodossia. È chiaro comunque come forme simili di spiritualità, praticate da sette eretiche, mettessero in sospetto la Chiesa, e un atteggiamento analogo si sviluppò in seguito anche nei confronti delle «epidemie mistiche» che si veri ficavano periodicamente nei monasteri femminili. Ancora nel XVIII secolo un'inchiesta, condotta nel convento delle domeni cane di Santa Caterina di Prato, mette in luce uno scandalo di ero'8
1744.
Chiara Isabella Fornari, Trattato mistico delle virtù esteriori (e interiori),
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tismo mistico. Una giovane monaca, che era stata badessa, di chiara apertamente: «Essendo il nostro spirito libero, l'intenzione è ciò che rende cattiva l'azione. Basta dunque con la mente ele varsi a Dio perché qualsiasi cosa non sia peccato» e anche «eser citando quella che erroneamente chiamiamo impurità, è la vera purità: quella che Iddio ci comanda e vuole che noi pratichiamo, e senza della quale non vi è maniera di trovare Iddio, che è ve rità»59. Il sospetto della Chiesa nei confronti di queste esperienze era quindi in gran parte giustificato: non si trattava solo di smasche rare inganni orditi dalle aspiranti mistiche per ottenere conside razione e potere, ma anche di impedire che una via difficile, pra ticabile solo da asceti di profonda spiritualità, diventasse l'aspira zione generalizzata di monache e religiosi. La via percorsa dai mistici cattolici non consisteva in una su blimazione della sessualità, ma piuttosto in una trasposizione del l'energia sessuale su un piano più alto, cioè la trasformazione del l'eros in energia spirituale, attraverso un processo che si può de finire metaforicamente alchemico, e che non è proprio solo del cristianesimo, ma fa parte di molte altre tradizioni spirituali, pri ma fra tutte quella dell'induismo tantrico. Ma con una differenza fondamentale: il cristianesimo, al cui centro è il mistero dell'In carnazione, si è mosso più nel senso di umanizzare il divino che in quello di divinizzare l'umano, benché questa seconda componen te sia anch'essa naturalmente presente nella tradizione cristiana. Nella mistica cristiana, quindi, la sensualizzazione del sacro attra verso metafore e simboli prende il posto della sacralizzazione del la sessualità conosciuta da correnti dionisiaco-tantriché0• In linea con la progressiva traduzione sul piano astratto delle metafore sessuali, praticata dalla Chiesa in tutti i campi, come ab biamo visto, soprattutto per smentire le accuse di materialismo e superstizione lanciate dai protestanti, a partire dagli anni della Riforma il linguaggio mistico perde la sua concretezza, e si prefe risce parlare di «unione trasformante» o di «unione perfetta» per il matrimonio, e di «unione estatica» per il fidanzamento spiri59 L. de Potter, Vie de Scipione de' Ricci éveque de Pistoie et de Prato, I, Bruxelles 1895, pp. 460 e 428. 60 Si veda il volume di Grun, Mistica ed eros, già citato.
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tuale. Si viene così a scartare ogni possibilità di equivoco sul pia no dell'erotismo concreto, ma certo ne fa le spese la potenza sug gestiva del simbolo. 6. Spose del diavolo Se il rapporto erotico con Dio è possibile, allora lo è anche quello con lo spirito ribelle, cioè con il signore delle tenebre, e quindi tutte coloro che rivelavano di conoscere l'unione mistica erano sospettate di praticare invece questo rovesciamento, per dolo o solo per incapacità di discernere. Per esempio, nel 1578, in un convento di Siviglia dedicato a Maddalena, una suora, Teresa della Concezione, rimasta incinta, disse che la causa era «l'ardore della sua unione con Dio»61• N a turalmente fu subito sospettata di unione con il Maligno, ma la ve rità si rivelò poi molto più banale: una «consorella» era in verità un uomo travestito. Le «spose del diavolo» - che Lutero, con un neologismo, chiamò «puttane del diavolo» - che non erano state oggetto di violenza ma che avevano accettato liberamente questa unione era no considerate streghe e condannate dall'Inquisizione. Anche se il diavolo poteva trasformarsi in donna o uomo, a seconda del rap porto sessuale che voleva realizzare - come nei sabba descritti nei Paesi Baschi, dove si diceva che il diavolo avesse con uomini e donne rapporti sodomitici tanto brutali da danneggiarli fisica mente -, le donne risultano sempre essere le vittime preferite. Dai verbali degli interrogatori delle donne sospettate di stre goneria si viene a sapere che il Maligno poteva unirsi alle streghe nel letto di casa, mentre il marito dormiva, sotto forma di incubo, oppure sotto forma di diavolo durante il sabba. n domenicano Heinrich Institor, autore del famigerato Malleus maleficarum, che voleva dimostrare la realtà di un mondo di diavoli e streghe, era molto attento ai particolari del rapporto sessuale con il diavolo: «Una femmina finalmente catturata e bruciata aveva avuto per sei 6 1 P. Dinzelbacher, Santa o strega? Donne e devianza religiosa tra Medioevo ed età moderna ( 199'5), Ecig, Genova 1 999, p. 206.
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anni un incubo a letto, persino al fianco del marito dormiente e per la precisione tre volte la settimana, la domenica, il martedì e il venerdì»62• Da molte testimonianze emerge il fatto che gli incontri con il diavolo fossero decisamente soddisfacenti, più piacevoli di quelli con gli uomini normali, nonostante che molte accusate dicessero che l'organo sessuale diabolico era freddo. Così narra una accu sata di San Miniato, Gostanza: «Lui mi pigliava, mi abbracciava et faceva mille carezze et usava subito secho, come faceva con il suo marito e poi li dava da mangiare e bere, prima, et poi si ritor nava a usare con il Diavolo Maggiore [ . . . ] . Interrogata che dica se essa costituta haveva delectatione in simile affare con il demonio, congiungendosi seco carnalmente come già faceva con il suo ma rito, 'io ero giovane et mi pareva d'bavere più presto maggiore piacere a usare con il demonio che con il mio marito perché mi fa ceva più carezze'»63 • L'abilità di seduzione del diavolo costituisce infatti un capitolo importante della confessione: «Et detto ad es sa constituta che si dichiari et che deponga particolarmente quel le careze che il demonio li faceva et dove consistano, rispose quelle carezze consistevano che mi abbracciava, mi baciava, et mi maneggiava in tutti li modi, mi saltellava intorno, mi toccava il petto, et insomma mi toccava per tutta la vita et mi pareva d'ha vere tanto spasso e sollazzo che mi pareva di essere a una gran fe sta et cicalava con esso meco et mi diceva: 'non mi dimenticare' et che io l'amassi et che io non lo lasciasse»64• Questo accenno a un discorso amoroso da parte del diavolo fa pensare a fantasie di donne trascurate dai mariti, o anche ad amori segreti camuffati da satanismo. Nei primi anni del Cinquecento un'altra strega italia na citò una formula che alludeva chiaramente a un legame di pas sione amorosa: «lo me te son data e me te do in anima e in corpo; o renuntiato e renuntio ad tucte cose de Dio, al baptismo e alla fe de e ad tucte le cose celestiali: te, voglio amare»65• Anche una suora che aveva tentato di farsi passare per mistica, 62 Citato in Dinzelbacher, Santa o strega?, cit., p. 195. 63 Processo del 1594 riportato integralmente in F. Cardini (a cura di), Go stanza, la strega di San Miniato, Laterza, Roma-Bari 1989, p. 165. 64 lvi, p. 173 . 65 Dinzelbacher, Santa o strega?, cit., p. 197 .
l. Nicolas de Verdun, Annunciazione (1181), smalto, altare deUa chiesa abbaziale di Klosterneuburg (Austria).
2. Niccolò da Foligno, Annunciazione (1466), Galleria Nazionale dell'Umbria, Perugia. 3. Tiziano Vecellio, Annunciazione (1540 circa), Scuola Grande di San Rocco, Venezia. 4. Guido Reni, Annunciazione (1631-1632), Musée du Louvre, Parigi.
5. Giotto, Sposalizio della Vergine (1304-1.306), Cappella degli Scrovegni, Padova.
6. Hans Baldung Grien, Sacra Famiglia (1511), incisione su legno, Geisberg 59.
7. Domenico Ghirlandaio, Vergine con Bambino
(1475-1480 circa),
Musée du Louvre, Parigi.
8. Andrea Mantegna, Cristo morto (1480-1490 circa), Pinacoteca di Brera, Milano.
9. Maerten van Heemskerck, Uomo dei dolori (1532), Museum voor Schone Kunsten, Gand.
A PAGINA SEGUENTE: 10. Battesimo di Cristo (particolare; 500 circa), mosaico bizantino, Battistero degli Ariani, Ravenna.
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Maddalena della Croce, sosteneva di essere stata visitata quasi ogni notte dal suo demone, e di averne tratto indicibili soddisfa zioni e così Francesca, interrogata nel 15 14, rispondeva che il de mone «la baciava e amava meglio del consorte, benché fosse piut tosto freddo»66• Probabilmente alcuni di questi citati raduni si ve rificavano realmente, e alcuni individui si vestivano davvero da diavoli per divertirsi, oppure erano solo fantasie, nelle quali ele menti sadici e sadomasochisti avevano larga parte. il diritto cano nico e la teologia morale attribuivano al diavolo la preferenza ver so quelle posizioni considerate «irregolari», come quella in cui la donna sta sopra, o la pratica della sodomia, mentre altri negava no risolutamente la realtà di queste esperienze. Alcuni inquisitori cercavano di mettere alla prova le streghe dichiarando che gli spi riti maligni erano privi di corpo e quindi di pene, ma molte di lo ro continuavano a sostenere di avere incontrato il diavolo sotto forma di giovinetto, che si comportava «come un marito con la moglie»67, se non addirittura sotto l'aspetto di un cavallo o di una volpe. Gostanza dichiara: «Tutta stanotte io ho fantasticato in me stessa, come sia possibile che faccia parere il diavolo quello che voi dite che non ha, cioè che non ha membro, braccia, bocca né gambe da potere usare, abbracciare, baciare et simil cose, et non dimeno a me quando sono stata dove lui ha fatto con esso me quanto vi ho detto sopra, et non bavere usato esso con me, et mi pareva una persona come li altri christiani»68. Tanta dimestichezza col diavolo poteva avere conseguenze pe ricolose, cioè una gravidanza, vera o, diremmo noi oggi, isterica: «A una donna vessata da un demone - scrisse Brigida di Svezia il ventre si ingrossò a tal punto che pareva prossima al parto, poi lentamente diminuì, quasi che dentro non fosse stato nulla». Ma i figli potevano nascere, tanto che le tradizioni popolari attribui vano molti figli a Satana: l'Anticristo, il mago Merlino, Attila o il tiranno di Padova, Ezzelino da Romano. Più spesso si credeva che gli elfi - dopo la cristianizzazione identificati con i demoni - scam biassero i bambini in culla, e Lutero intervenne per smentire la ca pacità procreativa dei demoni, che secondo lui si limitavano a gua66 Ibid. 67 lvi, p. 1 96. 68 Ibid.
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stare i bambini nell'utero. Ciò non impedì, tuttavia, che nel 1654, nella regione della Slesia, venissero arse oltre cento persone, tra le quali anche lattanti e bambini, perché si credeva fossero state ge nerate dal diavolo. Lo stesso Lutero fu sospettato, dai polemisti cattolici naturalmente, di essere figlio del diavolo. La capacità dei demoni di generare fu un tema a lungo dibat tuto dai teologi - era aperta la questione della consistenza corpo rea di angeli e diavoli - e molti convennero con Tommaso d'A quino che tale atto era possibile non direttamente, ma solo attra verso una sorta di inseminazione artificiale. I demoni, cioè, pre sentandosi con parvenze femminili, avrebbero raccolto lo sperma dagli uomini sedotti e poi, presentandosi in veste maschile, lo avrebbero trasmesso alle donne conquistaté9. Ci sono state anche «spose contese» fra Gesù e il diavolo, o al meno così racconta Jeanne des Anges, madre superiora del con vento delle orsoline di Loudun, nel memoriale che scrisse nel 1 644. Di nobile stirpe, in quanto discendente dai baroni di Cozes, una delle più aristocratiche famiglie della Guascogna, ma bassa in modo anormale, Jeanne fu destinata dalla famiglia alla vita mona stica, dove, pur giovanissima, venne subito nominata superiora grazie all'origine aristocratica. Nel monastero conobbe gravi ten tazioni, nonché peccaminose relazioni con i diavoli, culminate in una gravidanza isterica da cui si liberò vomitando grumi di san gue davanti al gesuita Surin, suo confessore ed esorcista. Ma la stessa Jeanne scrive di avere sentito la presenza di Gesù, il suo ve ro sposo, che la richiamava alla conversione. Mentre l'unione mi stica, se pure considerata capace di coinvolgere il corpo, veniva descritta in termini più astratti e spirituali, il sesso con il diavolo costituiva l'occasione per narrazioni boccaccesche e, forse, allusi ve di orge molto umane.
7 . I tempi dell'amore Come si è visto, il posto della sessualità nella cultura cristiana ha subìto profonde trasformazioni nel corso della storia: una del le prove che, almeno nei primi tempi del cristianesimo, la certez69 Si veda in
proposito van der Lugt, Le ver, le démon et la vierge, già citato.
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za di poter trasformare l'amore umano in amore divino fosse dif fusa e condivisa fra i fedeli è la liturgia prevista per il rito battesi male, cioè il momento dell'iniziazione70. Così la celebrazione del battesimo, a cui assistevano i fedeli, prevedeva la triplice immer sione in una vasca piena di acqua, preceduta dalla spoliazione del le vesti. n corpo purificato - nudità e abluzione significano nuo va nascita - veniva prima unto e poi rivestito di una veste bianca. n rito forse si ispirava anche alla pratica delle terme e all'unzione degli atleti prima della competizione, ma qui il significato simbo lico era così diverso e così forte da superare, agli occhi dei teolo gi, la tensione che poteva derivare dalla prosmiscuità sessuale e, soprattutto, dalla manipolazione del corpo nudo da parte dei mi nistri a ciò predisposti. La prima fonte che tradisce un imbarazzo in questo senso è la Dt"dascalia degli apostoli, scritta all'inizio del III secolo, che consiglia di rivolgersi alle diaconesse per i battesi mi femminili. Ancora più severo in proposito un testo siriaco del la fine del V secolo, che impone anche un velo come tenda per im pedire la vista delle donne nude sia ai ministri che ai fedeli. La nudità costituiva un momento ineliminabile del rito batte simale, per segnare simbolicamente il passaggio alla nuova vita, e non poteva quindi essere accantonata facilmente (come poi è sta to, passando al battesimo dei neonati). n rito nel suo complesso mirava a ristabilire la realtà originaria compromessa dal peccato originale, e soprattutto a promuovere nuove modalità sociali di controllo del proprio corpo, valorizzato simbolicamente in modo da servire come strumento di santificazione e salvezza. Proprio per questo, la scansione dei tempi di penitenza e dei tempi di festa nell'anno liturgico cominciò ben presto a prevede re, oltre ai digiuni e alle preghiere, anche una regolamentazione della sola sessualità consentita, cioè quella matrimoniale. Per tut to il Medioevo la definizione dei periodi in cui non si dovevano avere rapporti sessuali, di quelli in cui erano consentiti, e le pene da comminare ai trasgressori, costituiva un tema importante, pre sente nella predicazione e nella normativa. In sostanza, era proi bito avere rapporti coniugali in tutti i periodi dell'anno ritenuti sa7° Cfr. G. Filoramo, Il controllo dell'eros: la nudità rituale, in Pricoco (a cu ra di), L'Eros difficile, cit., pp. 67-88.
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cri: cioè tutte le domeniche e le festività, e naturalmente durante i quaranta giorni della Quaresima, e nei venti giorni prima di Na tale e di Pentecoste, e due o più giorni prima di ricevere la comu nione. Proprio per questo vigeva l'uso di comunicarsi per lo più nelle grandi solennità, perché così si era sicuri del digiuno e del l'astinenza sessuale. Anche se la lunghezza dei periodi di astinen za variava da regione a regione, si può calcolare che la somma complessiva raggiungesse circa cinque mesi, quindi quasi la metà dell'anno. A questo si aggiungeva il divieto - awalorato dal sape re medico - di avere rapporti durante le mestruazioni, i puerperi e in molti casi anche l'allattamento. La predicazione finalizzata al mantenimento di queste regole era rafforzata con il racconto di episodi in cui la nascita di un figlio cieco e storpio era collegata a un congiungimento in periodo proibito, e una serie di multe in de naro e di periodi più o meno lunghi di penitenza attendevano i trasgressori. Con il tempo queste regole divennero meno rigide perché, pur non mutando la tabella dei giorni proibiti, l' attenzio ne si spostò, più che sull'atto, sull'intenzione con la quale era sta to perpetrato: se solo per generare un figlio, non costituiva impe dimento alla comunione o profanazione di un periodo sacro. Con il catechismo tridentino, la continenza nei tempi sacri venne d proposta non più come obbligo ma piuttosto come «esortazione». La rigidità medievale sarà ripresa dai giansenisti, che non ammet tevano deroghe alle norme antiche, ma non dalla Chiesa cattolica. Nello stesso periodo storico in cui la pratica della sessualità viene bandita con severità dal calendario festivo e penitenziale, es sa viene riproposta, questa volta in positivo, al centro di uno spe cifico momento liturgico: la messa di Pasqua. È stato documenta to infatti fin dal Medioevo l'uso di festeggiare la Pasqua con una predica scherzosa densa di significati erotici, uso che risulta poi ampiamente diffuso per tutta Europa in età moderna. Questa usanza è stata ricostruita7 1 a partire da una lettera che Wolfgang Capito, un sacerdote di Basilea, scrive a un altro sacerdote - che 71 Cfr. M.C. ] acobelli, Il <
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parteciperà pochi anni dopo alla Riforma - Giovanni Ecolampa dio, criticandolo perché si rifiutava di farcire di aneddoti comico erotici la predica di Pasqua. Capito non parla solo di barzellette o scherzi ma addirittura dell'uso di spingere gli ascoltatori a «ride re sguaiatamente», scherzando «con parole oscene» o «imitando uno che si masturbi». Molte sono le fonti che - a partire dal Con cilio di Reims dell'852 per arrivare a un articolo giornalistico pub blicato a Francoforte nel 1911 - attestano questa usanza, raccon tando di sacerdoti che imitano versi di animali, fingono di parto rire un vitello o, come minimo, suscitano l'ilarità dei fedeli con storielle sconce, come quella di due amanti che, incapaci di at tendere che la loro camera fosse pronta, si uniscono sulla panca della locanda, facendola precipitare fra le galline. Alcuni di que sti motivi - celebre soprattutto quello del frate che fa passare i propri pantaloni dimenticati dall'amante come una reliquia pres so il marito di costei - sono presi a prestito, o prestati, dalla lette ratura del Trecento o Quattrocento. Dopo il secolo XVI i racconti tendono a sostituirsi completa mente alla pantomima del sacerdote, tanto che nel 1698 il prete bavarese Andreas Strobl stampa un manuale per predicatori, for nito di regolare imprimatur, in cui i sermoni sono arricchiti da sto delle comiche e che conobbe un grande successo. L'autore stesso spiega che questo «è uno dei migliori mezzi per rendere attento l'uditorio». Anche se in questo caso si tratta di storielle abbon dantemente censurate, non mancano i doppi sensi a sfondo ses suale. È solo alla fine del XVIII secolo - lo attesta una decisa pre sa di posizione di papa Lambertini - che la Chiesa si pronuncia chiaramente contro questa usanza, senza riuscire, del resto, a can cellarla in breve termine. È normale, quindi, all'interno dello spa zio sacro, il ricorso nel periodo pasquale a immagini legate al pia cere sessuale, collegate al riso e alla felicità per la risurrezione di Gesù, che coincide con la fine di un periodo di digiuno e di asti nenza. Erasmo da Rotterdam, mentre condanna questa usanza, ne fornisce al contempo la chiave interpretativa: «È la cosa più ver gognosa che ci sia, che nelle feste di Pasqua alcuni provochino al riso la gente, secondo il desiderio del popolo, con racconti pale semente inventati e il più delle volte osceni, tali che neppure in un convivio un uomo onesto potrebbe ripeterli senza vergognarsi. In nessun modo è il salmo pasquale a invitare a questo genere di al-
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legria, quando dice: Hic est dies quem /ecit Dominus, exultemus et laetemur in eo»72• Sarebbe proprio la letizia pasquale, dunque, a richiedere scoppi di risate, e quindi a giustificare il ricorso a que sto repertorio osceno. n riso, adatto alla festa religiosa più im portante dell'anno, non è infatti che metafora, espressione, del piacere sessuale. Lo troviamo più volte, in questo senso, nella Bib bia, a cominciare dalla nascita tardiva di !sacco, il cui nome signi fica proprio piacere e riso. Il giorno di Pasqua si legge il Cantico dei cantici, per cui non ci si deve stupire se, in molti paesi euro pei, il piacere sessuale diventi linguaggio per celebrare la gioia della risurrezione, la liberazione dell'uomo da parte di Dio. Usan za denunciata e disapprovata dai riformati, e rimasta in uso nella tradizione cattolica solo nelle zone più lontane dalla critica pro testante. La lunga durata e la vasta diffusione del risus paschalis stareb bero a testimoniare la sopravvivenza, all'interno della tradizione cristiana, anche se sotto una forma degradata di oscenità, della sa cralità del piacere sessuale e del suo essere considerato mezzo pri vilegiato per cogliere qualcosa dell'infinito di Dio. E Joseph Rat zinger non ha esitato a fare esplicito riferimento all'uso del risus paschalis nella liturgia di Pasqua: «Una volta faceva parte della li turgia barocca il risus paschalis. La predica di Pasqua doveva con tenere una storia atta a suscitare il riso, in modo che la chiesa ri suonava di allegre risate. Era una forma superficiale e primitiva di gioia cristiana. Ma non è forse splendido e perfettamente in sin tenia che il riso sia diventato simbolo liturgico?»73• 8. I.;arte: sacra, ma non asessuata La sessualità non è solo parola, sentimento o tentazione, frut to di unione mistica, ma anche immagine - e immagine religio sa -, anche se in genere per arte sacra s'intende arte asessuata. Non ci si è ancora resi conto della portata dei recenti restauri del72
Erasmo da Rotterdam, Ecclesiastae, Basileae 1535, p. 126. Il testo - tratto dal volume Schauen au/den Durchbohrten. Versuche zu ei ner spirituellen Christologie, pubblicato da Einsiedeln nel 1 984 - è in Jacobelli, Il «risus paschalis», cit., p. 1 1 1 . 73
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l a Sistina che hanno restituito le potenti figure nude dipinte da Michelangelo alla loro natura umana completa di sessualità, dopo le «braghe» con le quali i censori le avevano rivestite a due ripre se, nel XVI e poi ancora nel XVIII secolo. Oggi, i musei tendono a restaurare le opere d'arte sacra to gliendo perizomi posticci, aggiunti a partire dal XVII secolo, quando si è scatenata sull'arte naturalista rinascimentale un' on data di censura che l'ha resa irriconoscibile74• Non se ne sa mol to: non ci sono infatti documenti storici che permettano di risali re al momento in cui questo tipo di censura comincia a essere pra ticata, in modo da individuare, per esempio, chi abbia ordinato di eliminare il pene, conservato nella chiesa della Minerva, dalla scultura di Michelangelo che raffigura il Cristo risuscitato. Quan do le opere erano conservate solo in spazi sacri e considerate un supporto devozionale alla vita religiosa, era normale intervenire con aggiunte o interventi aggressivi in nome della purezza mora le, e ciò è avvenuto fino in tempi recenti. Ma molte opere consi derate imbarazzanti conobbero un destino diverso a causa della manipolazione censoria: rimasero nascoste non solo nei depositi delle chiese ma anche in quelli dei musei. Sulla rappresentazione della sessualità nell'arte sacra occidentale dopo il Cinquecento ha pesato fortemente, infatti, l'interdetto religioso: la sessualità, con siderata fonte di tentazione e di corruzione, doveva essere sfuggi ta o almeno contenuta il più possibile. Questa norma ha rappre sentato un problema perché sono numerosi gli episodi della sto ria sacra che presentano temi sessuali, a cominciare dalla nudità di Adamo ed Eva nel paradiso terrestre75• Prendiamo in esame, ad esempio, l'Annunciazione: in fondo è la rappresentazione più cruda e semplice dell'atto sessuale, o piut tosto delle sue conseguenze procreatrici, cioè della penetrazione di un corpo femminile da parte di un essere forse asessuato, ma che si ritiene sia maschio. In genere, la penetrazione divina viene rappresentata da trattini dorati, da fili di luce che legano Maria al Divino, e che sono ispirati alla pioggia d'oro di Giove. Ci sono 74 Cfr. L. Steinberg, The Sexuality o/ Christ in Renaissance Art and in Mo dern Oblivion, A Pantheon October Book, New York 1 983 . 75 Cfr. X. Dectot, Sexualité, in Dictionnaire critique d'iconographie occiden tale, a cura di X. Barrai i Altet, Puf, Rennes 2003 .
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opere, come l'Annunciazione di Rogier van der Weyden, nelle quali la dimensione sessuale è evidente: in fondo alla scena è rap presentato un letto. Ma, prevalentemente, solo la donna si pre senta con un deciso carattere sessuato, mentre l'aspetto maschile può essere raffigurato come pioggia, colomba o angelo. In ogni caso è necessario che si alluda - in modo impercettibile ma sensi bile - all'atto sessuale, perché in questo episodio, che ha il valore di fondamento della fede cristiana, deve essere ben rappresenta to il mistero dell'umanità e della divinità di Cristo. Problemi analoghi pone la rappresentazione del matrimonio fra Giuseppe e Maria, come si sa mai consumato, e poi, quando comincia a prevalere la certezza dell'Immacolata Concezione di Maria, già adombrata in testi apocrifi tardo-antichi come il pro tovangelo di Giacomo, di quello fra Anna e Gioacchino. L'idea di Maria concepita senza peccato si impone lentamente alla pietà, alla liturgia e alla teologia e a lungo ha cercato un'e spressione figurativa. n primo tentativo di raffigurare l'Immaco lata Concezione in chiave simbolica, mediante la rappresentazio ne dell'incontro di Anna e Gioacchino alla Porta d'Oro di Geru salemme, è di Giotto, nella Cappella degli Scrovegni, e risale al 1305 . La rilevanza data all'incontro casto fra i due genitori sta rebbe a testimoniare che Maria sarebbe stata concepita in quel modo, senza l'atto sessuale che le avrebbe trasmesso il peccato originale. n Medioevo latino, affermando che il peccato originale si trasmette con l'atto generativo, ha avuto la tendenza a spiegare la santità assoluta del Salvatore con il fatto della sua concezione verginale, e quindi miracolosa, e allo stesso modo ha cercato di tradurre la santità originale di Maria risalendo ai suoi genitori. Sant'Anna, a partire dalla fine del XV secolo, diviene una delle sante più venerate d'Europa, anche se le sue raffigurazioni sono basate su un testo apocrifo del II secolo, il protovangelo di Gia como, poiché nella Bibbia non è neppure nominata. Secondo que sti racconti il suo matrimonio era rimasto senza figli per colpa del marito, che dalla vergogna si era nascosto nel deserto. Un giorno un angelo gli predisse la nascita di una figlia: Gioacchino tornò a Gerusalemme e incontrò Anna presso la Porta d'Oro. n momen to dell'abbraccio/bacio tra i due sposi, secondo gli scrittori me dievali, avrebbe segnato il momento del concepimento di Maria ex osculo.
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Già presente nei cicli della Vergine, il tema diventa con Giot to autonomo, con alcune interessanti variazioni che ne vogliono sottolineare il senso, come l'apparizione di un angelo che scende sui due vecchi sposi per avvicinare le loro labbra. In sostanza, in questo modo si fa capire che non c'è stato rapporto sessuale, vei colo di trasmissione del peccato originale: i due sposi si incontra no e Maria è la figlia del miracolo, come Samuele e Giovanni Bat tista, nati da madri sterili. L'incontro casto fra Anna e Gioacchi no venne così visto, fin dal Trecento, come un simbolo di quello che più tardi divenne un dogma, l'Immacolata Concezione. Que sto tema sparisce però nel XVII secolo, sia a causa della sua am biguità sia per la concorrenza di altre raffigurazioni. La sessualità è presente anche in temi figurativi che non sono centrati sul rapporto fra uomo e donna, ma che possono diventa re pretesto di rappresentazioni erotiche: il più celebre è la raffi gurazione dell'episodio biblico di Susanna e dei vecchioni che la spiano mentre fa il bagno. In questo caso, è il soggetto stesso che ricorda allo spettatore il suo ruolo di voyeur, ma ci sono casi in cui il sesso compare invece sotto forma sadomasochista, come nelle passioni dei martiri. L'esempio più celebre è quello di san Seba stiano, nel cui martirio - come nelle celebri opere di Mantegna e Tanzio da Varallo - è rappresentato il piacere di far soffrire un bel corpo, piuttosto che la sofferenza offerta a testimonianza di Dio. Oppure il martirio di sant'Agata di Sebastiano del Piombo, in cui il piacere di soffrire presente sul volto della santa trova un preci so riscontro nel piacere di far male che illumina il viso del tortu ratore. Anche la vita di Maria Maddalena, peccatrice pentita, of friva delle occasioni: quella, ad esempio, di rappresentare una prostituta che adesca il cliente, con le gambe nude come richiamo erotico, e anche in seguito, quando diventa penitente, la sua figu ra nuda, coperta solo dai lunghi capelli, mantiene spesso un ca rattere erotico. Di fatto, pertanto, anche la dimensione religiÒ sa oltre alla raffigurazione dei miti classici - ha offerto occasione e pretesto per la rappresentazione di pratiche erotiche riprovate dalla morale. Ma c'è un'altra forma, simbolica, attraverso la quale l'eros e il piacere sono entrati nello spazio sacro medievale, e sono stati ac cettati almeno fino al XIV secolo: immagini sessuali che avevano la funzione di proteggere la fertilità, considerate la continuazione,
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se pure sotto sembianze cristiane, degli antichi culti fallici molto diffusi nell'antichità classica. In Italia gli esempi di temi osceni in luoghi sacri sono nume rosi: nella Madonna del Belvedere - dipinta da Ottaviano Nelli nel 1495 e conservata a Gubbio - la sacra immagine è incorniciata da due colonnine di colore bianco grigio su cui sono dipinte scene impregnate di un forte erotismo: un uomo e una donna, comple tamente nudi, sono raffigurati mentre si accoppiano in vari mo di, con una crudezza che ricorda le sculture erotiche dei templi indù. Nel duomo di Trasacco, in provincia dell'Aquila, uno dei due portali, chiamato il Portale degli uomini, datato intorno al XIV se colo, presenta al centro, fra volute floreali, un fallo gigante ap partenente a una figura umana scolpita alla sommità della volta, mentre a sinistra, all'altezza degli occhi di chi entra, è scolpita una figura femminile, accovacciata, con le gambe divaricate e la vagi na in evidenza. Un tema simile è presente intorno al portale del tempio di San Fortunato di Todi: da un lato è raffigurato un mo naco, dall'altro una monaca, uniti dal fallo del primo che si allun ga mimetizzandosi fra i tortiglioni che circondano la porta. A Città di Castello, in provincia di Perugia, accanto al rosone della chiesetta della confraternita di Sant'Antonio Abate si protendeva un enorme fallo, che ora non c'è più, a cui le donne rivolgevano preghiere per la fertilità. Ma non era un caso isolato: fino alla Ri voluzione francese un grosso fallo ornava la cattedrale di Tolosa e la maggioranza delle chiese di Bordeaux, mentre nelle chiese ir landesi era spesso raffigurata una donna accovacciata, con le gam be divaricate, che mostrava una enorme vagina spalancata. Erano rimaste quindi nella cultura cristiana tracce di culti pa gani della fertilità che richiedevano rappresentazioni figurative che oggi possiamo considerare oscene. Lo dimostra anche il fatto che tra le opere, purtroppo perdute, di un religioso tedesco, il car melitano Johan von Hildesheim (morto nel 1375), erano elencati due scritti Opus metricum de monstris in ecclesia e In quendam turpia pingentem - in cui si condannava con veemenza l'uso di di pingere negli spazi sacri mostri e soggetti osceni. Queste immagini tendono a sparire a partire dal XIV secolo, pertanto i culti della fertilità più evidentemente legati alla tradi-
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zione pagana sono sopravvissuti solo marginalmente nella tradi zione popolare, ma nello stesso periodo la sessualità ricompare proprio collegata a quello che si può considerare «il corpo sacro» per eccellenza, cioè quello di Gesù. Un quadro di Gentile da Fa briano, conservato a Berlino e datato intorno al 14 15, ci mostra una Madonna seduta che guarda in volto lo spettatore mentre apre il mantello che copre il Bambino mostrando il suo inguine nudo: non si tratta di uno scherzo, di un gioco familiare fra ma dre e figlio, ma - scrive lo storico dell'arte Leo Steinberg - di una vera e propria ostentazione dei genitali di Gesù, che ha valore di rivelazione. Con questo quadro si apre un genere nuovo, che co noscerà grande fortuna nell'arte rinascimentale e che è stato erro neamente interpretato come una forma del naturalismo pittorico proprio dell'epoca. Si tratta di una novità: nell'arte bizantina il Bambino Gesù ve niva dipinto completamente e riccamente vestito, così come gli al tri personaggi sacri, prevalentemente ritratti a mezzo busto per ché, come scrivevano i Padri della Chiesa, la testa di Gesù, e quin di la parte superiore del corpo, rappresentava la sua divinità, i pie di e la parte inferiore la sua umanità. Le severe regole iconografi che della Controriforma inciteranno gli artisti a riprendere questa antica consuetudine, ma intorno alla metà del Duecento i pittori italiani di Madonne con Bambino avevano cominciato a far appa rire le gambe del figlio, segno della sua umanità, e a poco a poco, verso il 13 10, si arrivò a rappresentare il Bambino nella sua nu dità, spostando così l'attenzione dalla natura divina e regale del piccolo Cristo alla sua natura umana. Da questo momento la nu dità del bambino è legittimata, come sappiamo dalle numerosissi me rappresentazioni della maternità in cui compare, e diventa l'emblema della condizione umana a cui il figlio di Dio si è ab bassato. È un periodo in cui domina la pietà francescana, che insiste sull'umanità di Gesù e sulla sua nudità. Non si tratta, come molti storici dell'arte hanno scritto, di una forma di naturalismo - nes sun altro essere umano è stato ritratto con la crudezza anatomica di Gesù - o di una imitazione dell'arte pagana, ma sono delle ra gioni simboliche a favorire questo tipo di iconografia. Molti pit tori, infatti, sentono necessaria l'ostentatio genitalium, cioè l'esi-
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bizione del sesso dell'Incarnato, per confermare la sua reale ap partenenza alla natura umana, definita appunto, dopo la caduta, da due condizioni: la morte e il sesso. Steinberg, che ha analizza to queste immagini interpretandone il significato, osserva che si tratta di una «autorivelazione» le cui modalità sono molto simili a quelle abitualmente associate alla seduzione femminile. n tema si presenta in tre forme: il bambino svelato dalla madre (o in alcuni casi dalla nonna, sant'Anna) , il bambino che mostra se stesso, o una sorta di cooperazione in cui il bambino si denuda da solo, ma la mano della madre segnala allo spettatore la sua sessualità. Al cune opere sono ancora più esplicite: in un quadro di van Verley den del 1545 il Bambino, raffigurato in mezzo a un gruppo di fa miliari, tiene in mano il suo pene. Per spiegare il gesto, l'opera era stata chiamata: «Cristo bambino dopo la circoncisione». In altre opere il Bambino si tocca il pene con la mano sinistra, o più spes so mostra il suo sesso in erezione. Dopo il Rinascimento queste immagini saranno ritenute im barazzanti e scioccanti per molti cristiani, e l'esibizione dei geni tali diventa un gesto impudico perché nessuno sembra più ricor dare il suo significato teologico. Sembra allora impossibile che la cultura cristiana avesse potuto avere una tale audacia da esprime re tutte le implicazioni della fede nell'Incarnazione con una rap presentazione degli organi sessuali di Gesù. Rappresentazione che, da quel momento, nell'arte sacra verrà proibita. Nelle raffigurazioni di episodi evangelici, altri sono i momen ti della vita di Gesù che implicano il problema della rappresenta zione dei genitali: la circoncisione e il battesimo. La circoncisio ne, festeggiata il l o gennaio insieme con l'attribuzione del nome, cioè otto giorni dopo la nascita, viene rappresentata perché con siderata simbolicamente l'inizio della sua opera redentrice. n san gue che Gesù perde in questa occasione rappresenta quello che verserà a profitto dell'umanità durante la Passione e, proprio per questo, i Padri della Chiesa facevano della circoncisione un atto volontario. n figlio di Dio, infatti, non aveva certo bisogno di pu rificarsi attraverso questo sacrificio: se lo faceva, era solo per se gnalare la sua intenzione di salvare l'umanità fin dalla nascita. Be da il Venerabile aggiunge a questa scelta volontaria un motivo di insegnamento: Gesù vi si sarebbe sottomesso «al fine di racco-
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mandarci, con un esempio eminente, la necessaria virtù dell' ob bedienza»76 . Alla fine del VII secolo, prima di diventare un og getto abituale della rappresentazione artistica, la circoncisione di Cristo era stata rivestita di molti significati: iniziatica, esemplare, sacrificale, escatologica. Questa concezione può spiegare il fatto che gli artisti cristiani non rappresentarono mai, nel corpo di Cri sto, gli effetti dell'intervento, visti come segno di una imperfezio ne indegna. Bernardo, in un sermone, commenta l'operazione co me prova della sua vera umanità77, mentre Tommaso d'Aquino, pur riprendendo tutte le interpretazioni precedenti, aggiunge che tale atto serviva a indebolire la concupiscenza, e quindi a rendere più facile la castità. Tema ripreso in un sermone da un prete uma nista, Gasperina Barzizza: «Egli ha voluto essere circonciso per poter spegnere le fiamme del nostro detestabile appetito»78: fa cendo dono volontario del suo sangue, Gesù ha trionfato sul de monio. Nella Legenda aurea di Jacopo da Varagine - una delle let ture più diffuse dal Medioevo nel mondo cristiano - la circonci sione serve a dare «prova della sensibilità carnale del Dio-uomo, vulnerabile e sofferente», ed «è in questo giorno che ha comin ciato a versare sangue per noi [ . . ] e fu l'inizio della nostra reden zione»79. n legame fra la prima e l'ultima ferita viene reso da al cune raffigurazioni del XV€ XVI secolo dal filo di sangue che dal costato va verso l'inguine del crocifisso. Questi testi erano diretti, in una contrapposizione che ormai aveva solo valore retorico, contro quegli eretici che, come gli gno stici e i docetisti, sostenevano la sola natura divina di Cristo e, quindi, pensavano che la sua sofferenza fosse stata solo apparen te. Anche in questo caso, nei quadri come nei sermoni, l'argo mento a favore dell'umanità di Cristo si basava sul membro ses suale del Bambino. La cultura del Rinascimento ha professato quindi una teologia dell'Incarnazione che è all'origine di modelli di rappresentazione sacra ben diversi da quelli ieratici dell'arte orientale: è stato que sto l'unico periodo - scrive Steinberg - in cui «l'arte cristiana ha .
76 Citato in Steinberg, 7 7 Cfr. ivi, p p . 54-55. 78 Citato ivi, p. 61. 7 9 Citato ivi, p . 57.
The Sexuality of Christ, cit., p. 53.
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sostenuto totalmente l'ortodossia cristiana». n grande slancio teo logico rinascimentale, infatti, ha fatto sua la realtà dell'Incarna zione, rappresentando parti basse e alte del corpo, compresa la componente sessuale. Questo punto di vista non è stato ripreso né compreso dalle generazioni seguenti, come testimonia Goethe che, nel 1786, dopo avere ammirato la Circoncisione del Guerci no, scrive: «Perdonai l'imperdonabile soggetto, ma ammirai la sua esecuzione»80• E lo stesso Louis Réau, celebre storico dell'arte cri stiana, scrive che questo soggetto è stato eliminato a causa della «sua indecenza»81• Ai loro occhi, si è persa l'eccezionalità del cor po di Cristo, il suo valore simbolico: la sua nudità diventa inde cente come quella di tutti gli altri. Ma cosa succede quando Gesù viene rappresentato nel pieno vigore della giovinezza, e quindi anche della sua sessualità? C'è un unico episodio in cui questo problema si pone - negli altri la que stione è risolta raffigurando Gesù vestito - ed è il battesimo nelle acque del Giordano. Fin dai mosaici bizantini sono presenti raf figurazioni del battesimo in cui Cristo è totalmente nudo e in po sizione frontale, ma poi si assiste a una crescita di puritanesimo, per cui, dopo il VII secolo, nonostante il simbolismo dell' episo dio, che rappresenta la nascita e la risurrezione, richiedesse la nu dità completa, il pudore proibiva la rappresentazione del sesso. Nel Medioevo gli artisti cercarono di aggirare il problema alzan do il livello dell'acqua e rendendola opaca, oppure eliminando semplicemente la rappresentazione dei genitali. Ma, dopo il Quat trocento, queste modalità vennero scartate, e il problema fu risol to con un gesto di pudore: la mano di Gesù va a difesa dei geni tali, un Christus pudicus, poi sostituito da un Cristo cinto da un perizoma intorno ai fianchi. Sia la mano che il perizoma serviva no a difendere la vista di questa parte insopportabile del corpo, ma al tempo stesso ne sottolineavano l'esistenza. Nelle opere rinascimentali Cristo torna a essere rappresentato senza imbarazzo, nel momento della morte, con un corpo sessua to. Viene raffigurato nudo sulla croce, oppure il suo corpo è dipin to con la mano che ricade sulle parti genitali: non tanto per un ge8° Citato ivi, p. 72. 81 L. Réau, Iconographie de l'art chrétien, II, 2, Puf, Paris 1 957, p. 260.
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sto di pudore, quanto per portare l'attenzione sulle pudenda, pro va dell'umanità di Gesù. Ma ci sono anche rappresentazioni del Cristo morto o appena risorto - spesso appena velato da un drap po che ne sottolinea il rigonfiamento - con il sesso in erezione. Nel l'Uomo dei dolori di Ludwig Krug, datato intorno al 1520, l'erezio ne fallica è incontestabile, evidente come le ferite e il dolore che il volto di Gesù esprime; in altri, come nell'omonimo dipinto di Maerten van Heemskerck del 1532 e nel celebre Cristo morto del Mantegna, l'erezione è suggerita a uno sguardo attento dal rigon fiamento dei panni. Non si tratta di opere sacrileghe, ma della rap presentazione simbolica della rinascita della carne, cioè della risur rezione, attraverso un'equazione simbolica tra erezione e risurre zione che ha radici nell'antichità precristiana. Steinberg ricorda che l'idea del fallo come simbolo del potere è una costante universale, e così il fallo di Cristo resuscitato esprime il potere-più grande: vin cere sulla morte. Anche questo tipo di immagini tende a scompari re, o a essere coperto, dal XVII secolo. il sesso quindi non solo è stato rappresentato nell'arte sacra, ma ha svolto, nell'arte del periodo rinascimentale, una importan te funzione simbolica, poi dimenticata e cancellata nei secoli suc cessivi, soprattutto per la pressione critica della Riforma prote stante, che giustificava le ondate di distruzione iconoclasta di ar te sacra anche con un esasperato puritanesimo e un rifiuto totale della dimensione simbolica per valorizzare solo una lettura del te sto sacro. Uno degli aneddoti derisori più ricorrenti nella lettera tura polemica protestante contro i cattolici è quello relativo al l'autenticità del prepuzio di Cristo, conservato come reliquia in San Giovanni in Laterano. La teologia del Rinascimento - scrive lo studioso gesuita O'Malley - è centrata invece sul mistero dell'Incarnazione, di cui cerca di precisare ogni aspetto82• Questo mistero tende a essere considerato la verità centrale del cristianesimo, identificata con la redenzione: non si tratta di un'idea nuova perché questo legame era già stato messo in luce dai Padri della Chiesa e da Tommaso d'Aquino, ma nel Rinascimento si tende a pensare che la redenJ .W. O'Malley, Post scriptum, in Steinberg, The Sexuality o/ Christ, cit., 200. 82
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zione inizi nel momento in cui Gesù si incarna nel grembo della madre, e proprio per questo si riprendono i simboli e le contro versie dell'epoca patristica. Intellettuali e artisti se ne servono per far sentire la verità della dignità della natura umana, e questo ha ispirato direttamente, in un gesto di audacia paradossale, la osten tatio genitalium di molte opere artistiche.
III IL CONTROLLO E LE NORME
l. Sopportare il piacere Lussuria: il grande vizio che corrompe il corpo facendolo di ventare carne, organi pulsanti capaci di asservire lo spirito, aveva occupato per lunghi secoli la riflessione teologica, trovando in es sa declinazioni proprie, individuando soggetti di elaborazione e di controllo, segmentando il popolo dei cristiani secondo i livelli e le forme di esposizione al peccato. I monaci degli eremi medievali vivevano la loro reclusione assediati da desideri e visioni che do vevano senza sosta soggiogare, bandire, cancellare, in un esercizio quotidiano di dominio su forze che, da territori occulti dellamen te, contaminavano e vanificavano la tensione alla castità. Altri re ligiosi affrontavano l'esposizione al peccato in forme meno vir tuali, e la tentazione non come vacillamento dell'anima ma come esperienza materiale di stimoli esterni e ingovernabili. Interme diari tra Dio e il mondo, i chierici non potevano ritrarsi nella clau sura spirituale e sensoriale dei monasteri, ma dovevano confron tarsi, mischiarsi con le fonti stesse del vizio. Dovevano imparare a misurarsi non con l'immagine, ma con la materia di corpi femmi nili da respingere, urgenze maschili da governare, sollecitazioni e seduzioni ovunque palpitanti nel mondo. Una tentazione esterna dunque, su cui poco potevano le armi monacali dell'ascesi e della sublimazione del corpo, ma che esigeva invece forze e poteri tut ti, per la Chiesa intera, ancora da elaborare. Gli istinti di uomini e donne che vivono nel mondo richiedo no, per essere governati, categorie e strumenti in apparenza più semplici. Nel cristianesimo degli ultimi secoli del Medioevo, fon-
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dato ancora sull'esteriorità di percezioni e di pratiche di devozio ne piuttosto che sull'interiorizzazione delle norme morali, la mag gior parte dei fedeli è «incapac[e] di ridurre le proprie azioni en tro [ ... ] categorie astratte [ ... ] , o di concepire il peccato fuori dal contesto dei rapporti umani concreti»1• Privi degli strumenti ne cessari ad accedere alla dimensione simbolica della colpa, della penitenza e del perdono, essi pongono una relazione meccanica e corporale tra peccato ed espiazione, convinti di riguadagnare la grazia soltanto attraverso penitenze dolorose, proporzionate alla gravità della colpa. In una prospettiva che dei laici privilegia i comportamenti, ri spetto a dimensioni interiori ancora impossibili da leggere e col tivare, la Chiesa e i chierici necessitano dunque di formule ele mentari, di contrasti forti fra bene e male, fra innocenza e pecca to, e non di sfumature dell'anima, di tensioni irriducibili fra desi derio e dominio. Nella rappresentazione del clero il popolo dei cristiani è fatto di corpi quasi sempre affamati, quasi sempre su dici, succubi di un'istintualità e di brame cui è impossibile con trapporre senza mediazioni la negazione della carne. N el mondo, alla lussuria va opposta non la castità ma la continenza. Non la re pressione feroce dei bisogni della carne combattuta quotidiana mente tra le mura dei monasteri, ma una disciplina del desiderio capace di subordinare il suo soddisfacimento ai tempi, ai modi e alle forme tollerate dalla religione. Dalle periferie dell'impero, soprattutto dall'Irlanda e dall'In ghilterra, tra il VI e l'XI secolo giunsero e si diffusero in tutta Eu ropa testi che si proponevano di fornire ai sacerdoti elenchi stan dardizzati di penitenze da imporre ai peccatori pentiti. Una lette ratura ricca e ripetitiva, che dà naturalmente larghissimo spazio ai peccati della carne nell'intento di governare e controllare gli im pulsi sessuali, e nella convinzione che ogni pratica comporti ine vitabilmente peccato ed espiazione. La maggior parte dei peni tenziali si sofferma compiaciuta soprattutto sul peccato della for nicazione nelle sue infinite varianti (masturbazione, sodomia, be stialità, adulterio, pratiche anticoncezionali) : penitenze di anni 1 Cfr. ]. Bossy, L'Occidente cristiano, 1 400-1 700 ( 1 985), Einaudi, Torino 1990, pp. 56 e sgg.
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due, sette, venti -, fatte naturalmente di spietate privazioni ali mentari, sono scandite a seconda dell'età per il sesso solitario; del l'età, dello status sociale e della frequenza della pratica per il ses so anale; dell'età e del genere per il sesso orale, considerato da al cuni peccato nefando2, tollerato da altri con pene miti se pratica to da giovani uomini all'interno di un percorso di iniziazione ses suale. La sessualità coniugale è sottoposta invece a calendari rigi di e complicati, che la vietano a seconda dei giorni della settima na e delle ore del giorno, dei ritmi della vita religiosa, dei cicli fi siologici femminili, fino a imporre un'astinenza dopo il parto più lunga se a nascere è una femmina, poiché dal sesso femminile de riva un'impurità maggiore3• Le penitenze si attenuarono con il passare dei secoli («Hai avuto contatti impuri con la tua sposa du rante la Quaresima? Devi fare penitenza per quaranta giorni a pa ne e acqua, oppure dare ventisei soldi in elemosina», scrive Bur cardo, arcivescovo di Worms, nell'XI secolo. «Se è accaduto quan do eri ubriaco, farai penitenza venti giorni a pane e acqua. Devi ri manere casto venti giorni prima di Natale e tutte le domeniche, e durante tutti i digiuni previsti dalla legge, e in occasione della na tività degli apostoli, e durante le feste principali, e nei luoghi pub blici. Se non ti sei mantenuto casto, farai penitenza per quaranta giorni a pane e acqua»4) , ma le prescrizioni rimasero permeate da una concezione salda: il buon cristiano non deve mai ricercare il godimento, ma soltanto sopportare il piacere. La puntigliosità e il rigore dei penitenziali si stemperarono e nello stesso tempo si accentuarono nella produzione giuridica che a partire dall'XI secolo organizzò le diverse centinaia di canoni, editti e decreti prodotti dalla Chiesa, avviando quella che viene definita l'età d'oro del diritto canonico classico'; diminuì dunque 2 «Qui semen in os miserit, VII. annos peniteat: hoc pessimum malum. Alias ab eo judicatum est ut ambos usque in finem vitae peniteant; vel XXII. annos, vel ut superius VII»: J .A. Brundage, Law, Sex, and Christian Society in Medieval Europe, The University of Chicago Press, Chicago-London 1 987, p. 167. 3 lvi, p. 157; cfr. anche ].-L. Flandrin, Un temps pour embrasser. Aux origi nes de la morale sexuelle occidentale (VJe-XJe siècle), Seuil, Paris 1983. 4 Cit. in]. Verdon, Ilpiacere ne/Medioevo, Baldini & Castoldi, Milano 1999, pp. 79-80. 5 Cfr. ]. Gaudemet, Storia del diritto canonico. Ecclesia et Civitas ( 1 994) , Edi· zioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1 998.
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la casistica, la minuziosità con cui erano stati classificati gesti, po sizioni, circostanze di ogni atto sessuale; si rafforzò invece l'enfa si con cui veniva giudicata crimine soggetto a punizione qualsiasi forma di sessualità non coniugalé. Nel frattempo nascevano e si diffondevano in tutti i paesi cristiani i tribunali ecclesiastici, vere e proprie magistrature rette da esponenti delle gerarchie del cle ro e deputate a giudicare e dirimere reati, questioni e conflitti che avessero per oggetto pratiche religiose e pratiche sessuali, in una significativa commistione. I tribunali ecclesiastici conquistarono presto l'egemonia per le proprie competenze, divenendo interlo cutore esclusivo di aspetti decisivi della vita quotidiana dei fede li, i quali portavano al loro giudizio seduzioni, adulteri, compor tamenti spregiudicati, tutto ciò che offendeva la coesione comu nitaria provocando scandalo. La pubblicità del peccato e della pe na trovava dunque uno spazio giuridico attraverso il quale veni vano mondate non solo le singole coscienze, ma anche la rappre sentazione di sé e il legame sociale di intere comunità. E veniva così a configurarsi un apparato istituzionale potente e ramificato, capace di amministrare la moralità sessuale dei cristiani. Anche la continenza infatti - dovere prioritario di chi si muo ve nel mondo accettandone gli scambi e le suggestioni - ha biso gno di regole; se la concupiscenza vive e si agita in ogni cristiano dall'infanzia alla vecchiaia, l'esercizio di una sessualità legittima e continente ha bisogno di confini certi e riconoscibili, così che sia possibile collocare senza dubbi liceità e colpa. Da parte di teolo gi, confessori e giudici, la risposta prima al problema è univoca: le pulsioni della carne possono essere legittimamente placate sol tanto all'interno del matrimonio cristiano. Ma è proprio qui che il programma si complica. Per stabilire infatti quali atti, e quando, è possibile compiere dentro il matrimonio, occorre prima sapere cosa sia il matrimonio, quando abbia inizio e in cosa consista la sua validità. Intorno al matrimonio la Chiesa combatte una delle sue batta glie più vaste e tenaci, addensando nei secoli armi e strategie che avranno conseguenze e ripercussioni su tutti i territori della vita sociale e istituzionale della cristianità. 6
Brundage, Law, Sex, and Christian Society, cit., p. 225.
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2. La commistione del sangue Tra impero romano e alto Medioevo il matrimonio si era fon dato sostanzialmente sulla prassi romana e sulla morale cristiana. Sul piano giuridico, la Chiesa aveva fatto propria la teoria con sensualistica tipica del diritto romano (il matrimonio è un patto fondato sul consenso dei due contraenti) , limitandosi appunto a elaborare canoni e precetti - sull'adulterio, il divorzio, le forme del congiungimento carnale - che orientassero i fedeli sulle carat teristiche della vita coniugale cristiana. Ma il matrimonio rimane va un fatto privato, un'alleanza tra famiglie, una scelta dei singo li, e la sua celebrazione era affidata alle scansioni della tradizione romana e alle consuetudini locali. Le usanze barbare, il diritto ger manico, che a partire dal V secolo contaminarono concezioni e prassi del matrimonio, prevedevano il divorzio, il concubinato, il ratto, e costrinsero teologi e canonisti a moltiplicare la produzio ne normativa per contrastare il disordine delle unioni e delle pa rentele. Gli ambiti su cui maggiormente si concentrò l'attenzione del la Chiesa appartengono al territorio comune del governo della pa rentela. Nel mondo antico i legami di consanguineità e di affinità erano a tal punto forti e costitutivi - nella percezione dei singoli e nella rappresentazione sociale - che il cristianesimo avvertì la ne cessità di riconoscerli, e nello stesso tempo di spezzarli. La teoria degli impedimenti matrimoniali ebbe per lunghi secoli questa funzione. Già i Padri della Chiesa e alcuni concili del IV e del V secolo avevano posto divieti alle nozze tra parenti e affini; divieti che si svilupparono nei secoli successivi, stimolati dalla lotta con tro l'incesto e il matrimonio tra consanguinei, diffusi nelle tribù germaniche e nelle famiglie nobiliari dell'impero. Ma un'elabora zione sistematica fu avviata intorno al X secolo e progressiva mente articolata in casistiche minuziose, che proibivano o rende vano nullo il matrimonio fra consanguinei fino al settimo grado di parentela, tra parenti adottivi, tra parenti spirituali (i padrini di battesimo) , e tra affini, senza limiti e a prescindere dall'esistenza di nozze formali: perché era il sesso, l'unione carnale anche illeci ta a creare un legame impossibile da sciogliere o da replicare. È la definizione stessa di affinità, diffusa e accettata dai più autorevo li canonisti, a sottolineare il potere fondativo della copula, «attra-
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verso cui uomini e donne diventano una sola carne, e l'uno attin ge il sangue dell'altro, e due cognazioni diverse si uniscono, at traverso le nozze secondo le leggi, attraverso il coito secondo i ca noni»7. La copula crea un vincolo e dunque un impedimento per petuo, che rimane anche quando muore la persona con cui è sta to contratto; un vincolo - si badi bene - originato esclusivamente dalla commistione del sangue provocata dall'atto sessuale com pleto, perché l'impedimento non nasce se la polluzione è esterna e avviene «davanti b intorno alle parti naturali», ed esperti giuri sti non riconoscono affinità quando ci sono stati soltanto «tocca menti impudichi, e qualche polluzione straordinaria»8• Il dibatti to sulle interpretazioni del rigore che caratterizza la teoria degli impedimenti matrimoniali ha appassionato per decenni gli stori ci, dividendoli tra chi sosteneva la priorità per la Chiesa di far di minuire matrimoni, prole e successioni, così da incrementare i la sciti destinati al patrimonio ecclesiastico9; e chi suggeriva pro spettive meno economicistiche, mostrando come l'estensione dei divieti poteva contribuire a rafforzare l'appartenenza, alla comu nità dei fedeli piuttosto che alla famiglia-corpo, e l'obbedienza, al l'autorità della Chiesa piuttosto che a quella dei padri. La teoria degli impedimenti aveva comunque derivazioni e implicazioni profonde e ramificate, che contribuirono in maniera determinan te all'edificazione di una compiuta dottrina e legislazione del ma trimonio. Arcivescovo di Reims nella seconda metà del IX secolo, Inc maro venne spesso consultato per i gravi affari matrimoniali che riguardavano le famiglie regnanti nell'impero carolingio. Nell'857 la figlia del conte di Tolosa aveva sposato con il consenso delle ri spettive famiglie il giovane Stefano, ma costui aveva rifiutato di consumare l'unione, affermando di aver avuto in precedenza rap porti carnali con una parente della giovane sposa. Complicata co me tutte le alleanze matrimoniali da conseguenze politiche, la 7 Pyrrhus Corradus, Praxis dispensationum apostolicarum, Neapoli, apud Franciscum Sauium typographum curiae archiepiscopalis, 1 64 1 , p. 297. 8 lvi, p. 298. Cfr. anche M. Pelaja, Nozze in deroga. Dispense matrimoniali e politica ecclesiastica, in Ead., Scandali. Sessualità e violenza nella Roma dell'Ot tocento, Biblink, Roma 2001. 9 J. Goody, Famiglia e matrimonio in Europa. Origini e sviluppi dei modelli familiari dell'Occidente ( 1983), Laterza, Roma-Bari 1991 .
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questione esigeva una soluzione ponderata, che fu richiesta ai ve scovi riuniti in sinodo a Douzy nell'860; ma costoro preferirono non pronunciarsi, rinviando il tutto per competenza territoriale ai colleghi provinciali di Aquitania, i quali a loro volta consultarono il canonista Incmaro. L'arcivescovo rispose con una lunga lettera in cui ribadiva fermamente l'indissolubilità del matrimonio, ma nello stesso tempo sosteneva che non si sarebbe potuto né dovu to costringere gli sposi a commettere l'incesto derivato dalla rela zione sessuale di Stefano con la parente della moglie; né condan narli a mantenere la loro unione la quale, non essendo stata con sumata, non costituiva matrimonio perfetto e sacramentale10• Con tale argomentazione Incmaro faceva della copula carnalis l'elemento costitutivo di ogni relazione parentale: è il rapporto sessuale, l'unione dei corpi e degli umori che stringe i partner in un vincolo più saldo di qualunque altro, capace di estendere le sue implicazioni oltre la morte di uno di essi, di rendere legittima o nefanda ogni altra unione successiva. Ed è soprattutto la copula carnalis la base indispensabile del matrimonio cristiano, quella che decide della sua validità e della sua indissolubilità. Sul piano giuridico, dunque, fu il cristianesimo medievale a introdurre il sesso nel matrimonio: il testo di Incmaro fu ripreso in molte col lezioni canoniche successive, che da esso derivarono le basi con cettuali della teoria sul matrimonio che si andava elaborando. Non solo teoria anzi, ma progressiva affermazione di un potere di normazione e di controllo che si preparava a diventare esclusivo. «È a partire dall'anno mille - scrive Daniela Lombardi - che la Chiesa cominciò ad imporre la propria competenza in materia di matrimonio. A dettare le regole e a giudicare: in una parola, ad esercitare il controllo dell'istituto matrimoniale»1 1. Dall'XI seco lo infatti la Chiesa aveva cominciato a porsi il problema di dotar si di una teoria relativamente coerente, di un corpo giuridico che si trasformò gradualmente in un vero e proprio sistema legale, di istituzioni, i tribunali ecclesiastici, deputate a giudicare e dunque a governare le questioni matrimoniali. Sul versante teorico, erano ancora accesi i dibattiti fra coloro 10 ]. Gaudemet, Il matrimonio in Occidente ( 1 987), Società editrice interna zionale, Torino 1989, pp. 95-96. 1 1 D. Lombardi, Matrimoni di antico regime, Il Mulino, Bologna 2001, p. 27 .
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che secondo la tradizione romana continuavano a privilegiare il consenso come elemento costitutivo del matrimonio, e coloro che sulla scia di lncmaro identificavano nella copula il fondamento dell'unione perfetta. Il progetto del canonista Graziano, autore di un'opera apparsa intorno al 1 1 44 con l'eloquente titolo di Con cordia discordantium canonum, intendeva conciliare posizioni ap parentemente contrapposte: il matrimonium initiatum, espresso dal consenso dei partner, doveva essere ratificato dalla copula, che avrebbe dato luogo al matrimonium ratum. Ma le opinioni dei ca nonisti rimasero divergenti ancora per secoli, fino alla sistematiz zazione operata dal Concilio di Trento12• Sul piano dei riti e delle cerimonie che formalizzavano la cele brazione delle nozze, disparità e contaminazioni dominarono tut to il Medioevo. Le tradizioni germaniche, accogliendo e rimodel lando ritualità romane, proponevano una complessa scansione del processo matrimoniale: la fase iniziale era costituita dalla pro messa (desponsatio) solenne per verba de futuro, che per prima sanciva la volontà dei partner; a questa seguiva, con intervallo va riabile, il consenso espresso per verba de praesenti e la subarrhatio, cioè lo scambio degli anelli, che costituiva il matrimonio vero e proprio, completato infine dalla traditio puellae, il trasferimento della sposa nella casa maritale, che consentiva la copula e dunque l'avvio della vita coniugale. Una scansione tuttavia che difficil mente è possibile rintracciare nella sua linearità nei matrimoni medievali, i quali solennizzavano e ritualizzavano una fase o l'al tra a seconda della simbologia che si intendeva enfatizzare. La cerimonia nuziale longobarda, ad esempio - che si era dif fusa a partire dal VII secolo -, doveva in primo luogo rendere pubblico il trasferimento del mundium, cioè della tutela giuridica della sposa dal padre al marito: «dapprima la sposa veniva porta ta dai suoi parenti in casa del marito, che pagava una somma (chia mata meta) in cambio del riconoscimento del mundium sulla mo glie. Le cerimonie giungevano a compimento il mattino successi vo alla consumazione dell'unione, quando il marito offriva pub blicamente alla moglie la morgengabe, un dono di valore cospicuo che rappresentava l'attestazione dei propri diritti sessuali»13• La 12
Cfr. in/ra, par. 3. Owen Hughes, Il matrimonio nell'Italia medievale, in Storia del matri-
1 3 D.
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tradizione longobarda dunque aveva privilegiato del matrimonio il carattere di alleanza, accordo e trasferimento di diritti tra fami glie e lignaggi. Contro questa concezione la Chiesa aveva propo sto fin dal IX secolo prospettive e scansioni proprie, che restitui vano il primato agli sposi rispetto alle parentele e che attribuivano alla benedizione del sacerdote un ruolo decisivo; nell'866 papa Niccolò I riassunse per il re dei bulgari appena convertito al cri stianesimo i riti nuziali dell'Occidente latino: dapprima lo scam bio della promessa e gli accordi matrimoniali, poi l'anello di fe deltà dallo sposo alla sposa, poi ancora il conferimento della do te, infine i voti matrimoniali in chiesa e la benedizione del sacer dote14. Nel difficile equilibrio tra sposi e famiglie, tra accordi giu ridico-economici e impegno spirituale, la Chiesa cercava di resti tuire la priorità al consenso e di conquistare spazi decisivi per la cerimonia religiosa; l'anello divenne lentamente simbolo della re ciprocità dei voti, mentre il sacerdote prendeva il posto del notaio nella lettura dei pronunciamenti rituali. Ma le consuetudini loca li e la tenace resistenza delle parentele ostacolarono ancora per se coli queste innovazioni: il fidanzamento, frutto spesso di alleanze familiari strette quando gli sposi promessi erano ancora impube ri, continuò a creare vincolo e a essere considerato un matrimo nio da ratificare soltanto con l'unione carnale; il corteo nuziale mantenne il suo forte e pubblico significato di rito di passaggio, e fu solennizzato fastosamente con danze e ghirlande; la consuma zione stessa fu ufficializzata, a volte in presenza di testimoni inca ricati di riferire sul suo compiuto svolgimento: nel 1473 rac conta ancora Diane Owen Hughes - all'amplesso coniugale tra Eleonora d'Aragona ed Ercole d'Este assistettero tre donne pa renti del duca e l'evento fu riportato nelle cronache locali15 . Il processo matrimoniale rimase dunque lungo e complicato, e la sua formalizzazione sfuggì per molti secoli a egemonie e a ceri monie codificate, prestandosi a innumerevoli contestazioni. In tanto, il Concilio ecumenico di Lione del 1274 aveva inserito il matrimonio tra i sacramenti, affidandone la competenza giurisdi-
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monio, a cura di M. De Giorgio e C. Klapisch-Zuber, Laterza, Roma-Bari 1996, p.
17. 14 lvi, p. 19. 15 lvi, p. 30.
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zionale alla Chiesa: la quale ormai non solo doveva stabilire sul piano morale la liceità dei comportamenti coniugali, ma sul piano giuridico, attraverso i tribunali ecclesiastici, doveva difenderne l'indissolubilità. E ciò poneva di nuovo, e con maggiore urgenza e drammaticità, il problema di poter identificare, con un atto ri tualizzato e pubblico, la celebrazione del matrimonio. 3 . Diritto e sacramento La tentazione degli storici è spesso quella di perdersi nei cer chi che si dilatano all'infinito a partire dal proprio, circoscritto, oggetto d'indagine. li Concilio di Trento è un evento fondamen tale nella storia del cristianesimo e dell'intera civiltà occidentale, e come tale è stato studiato e interpretato in una mole ormai con siderevole di testi. Dal punto di vista particolare della storia dei comportamenti sessuali, la sua capacità periodizzante appare con traddittoria, lenta e a volte incerta nell'imporre l'applicazione di norme, queste sì, categoriche e innovative. I Padri conciliari si riunirono la prima volta a Trento nel 1545, con compiti enormi: dovevano difendere la dottrina cattolica con tro le tesi protestanti, correggere parti significative del diritto ca nonico precedente, elaborare i fondamenti di una morale nuova e più rigorosa, ponendo termine a confusioni, corruzioni e lassismi contro cui si erano scagliati i predicatori della Riforma. Le prime sessioni, fino al 1547, furono dedicate alle questioni dogmatiche, tra le quali la dottrina dei sacramenti, al cui interno fu riafferma to il carattere sacramentale del matrimonio, negato dai protestan ti; ma proprio quando si cominciava ad affrontare la disciplina matrimoniale il Concilio fu interrotto per la peste che dilagava nella città e i Padri conciliari si rifugiarono a Bologna, dove ri presero a lavorare per qualche mese ancora. Poi, nel 1549, papa Paolo III sospese le riunioni. Il nuovo diritto fu redatto dopo un dici anni di interruzione, e approvato nella sua forma definitiva il Decretum de reformatione matrimonii - alla fine del 1563 . Tra i decreti tridentini, alcuni ribadivano e rafforzavano posi zioni già acquisite dalla Chiesa: la superiorità dello stato di vergi nità e di celibato rispetto a quello matrimoniale; l'indissolubilità
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del matrimonio, che può essere sciolto solo se non consumato, e nello stesso tempo il potere della Chiesa di ammettere la separa zione dei coniugi; il potere della Chiesa di stabilire impedimenti diversi da quelli considerati nel Levitico. Le questioni principali che il Concilio si propose di dirimere erano infatti, sostanzial mente, il carattere sacramentale del matrimonio, la sua indissolu bilità, il ruolo delle famiglie, le forme e la solennità della celebra zione, ma la dimensione giuridica in cui veniva ormai collocata la sfera sessuale fece sì che pratiche e comportamenti sessuali en trassero a vario titolo in molti canoni. Uno dei capitoli del Decre tum, per esempio, privava della speranza di ottenere le previste di spense dagli impedimenti coloro che, proprio al fine di estorcere la dispensa alle autorità ecclesiastiche deputate - ponendole per così dire di fronte al fatto compiuto -, avessero avuto rapporti ses suali: a dimostrazione della capacità ormai acquisita dall'unione carnale di essere portata come condizione, come precedente, di costituire insomma elemento di trattativa in una interlocuzione complessa tra fedeli e gerarchie della Chiesa. La riforma più significativa riguardava comunque la celebra zione del matrimonio: il primo capitolo del Decretum, quello no to come Tametsi, ordina che prima delle nozze ne sia dato per tre volte pubblico annuncio durante la messa dei giorni festivi; che lo scambio dei consensi che costituisce il matrimonio sia effettuato in facie Ecclesiae, davanti al parroco e a testimoni; che né coabita zione né consumazione debbano avvenire prima della benedizio ne del parroco. Novità decisive, che tematizzando per la prima volta la questione della cerimonia nuziale ne affermavano il carat tere pubblico e ne riservavano alla Chiesa il controllo esclusivo, in una competizione a volte aspra con altre sovranità. Papi, teologi, canonisti, nessuno infatti aveva pensato fino ad allora a regolare le nozze, a individuare nelle tappe che scandiva no il processo matrimoniale l'evento capace di dividere il prima di un nubilato tassativamente casto dal dopo di una coniugalità pos sibilmente continente. E ognuno, ogni comunità, ogni coppia, af ferrava consuetudini e simbologie per proporre una versione per sonale del rito nuziale. Unioni controverse: così storici e giuristi hanno definito i ma trimoni che, innumerevoli tra il XIV e il XVI secolo e molto oltre, finirono davanti ai tribunali ecclesiastici per reclamare un giudi-
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zio di validità, o la sanzione di un vincolo inesistente. Tutti narra vano di cerimonie disparate, di legami avviati dopo gesti diversi, ognuno tuttavia provvisto di un richiamo alla vita coniugale o agli antichi passaggi del processo matrimoniale, a testimonianza di consuetudini nuziali non informali16, ma creativamente adattate a seconda dei contesti e delle circostanze - a forme giuridiche e canoniche sedimentate. Non bastava, tuttavia. Ogni cerimonia lasciava dubbi, incer tezze, margini sufficienti alla contestazione, alla revoca. Le narra zioni storiche centrate sull'analisi delle norme ricompongono un quadro nell'insieme coerent� , che dalla Gallia della prima cristia nità alla Germania del tardo Medioevo arricchisce con riti locali un atto fondato sull'affermazione del consenso e sulla benedizio ne religiosa17; ma le ricerche ispirate alla passione quantitativa che ha alimentato per decenni la storiografia anglosassone contano che nel XIV secolo circa il 70% dei matrimoni portati nei trfbu nali ecclesiastici in una comunità inglese era stato celebrato in am bienti privati 18; e gli studi che in una prospettiva di storia sociale tematizzano la formazione del matrimonio offrono scenari diso mogenei e conflittuali, in cui ognuno - sposo o testimone, o sem plice partecipante - può collocare quasi a suo piacimento il mo mento costitutivo delle nozze. Così il fiorentino Gregorio Dati racconta le sue nozze come un continuum di avvenimenti che ad densano e integrano alcune tappe del matrimonio romano senza individuarvi la scansione che autorizza il rapporto carnale: «A dì XXXI di marzo 1393 la compromisi e giurai, e a dì 7 d'aprile, che fu lunedì di Pasqua, le diedi l'anello: fu il notaio ser Luca Fran cieschi. E a dì 22 di giugno seguente in domenica, dopo nona, ne venne a marito col nome di Dio e di buona ventura»19• Più im16 D. Quaglioni, «Sacramenti detestabili». La /orma del matrimonio prima e dopo Trento, in Matrimoni in dubbio. Unioni controverse e nozze clandestine in ltalta dal XIV al XVIII secolo, a cura di S. Seidel Menchi e D. Quaglioni, Il Mu·
lino, Bologna 2001. 17 Brundage, Law, Sex, and Christian Society, cit. 18 M.M. Sheehan, The Fòrmation and Stability o/ Marriage in Fourteenth· Century England: Evidence o/ an Ely Register, in «Medieval Studies», n. 43, 197 1 . 19 Cit. in G . Ruggiero, I confini dell'eros. Crimini sessuali e sessualità nella Venezia. del Rinascimento, Marsilio, Venezia 1988, p. 46.
III. Il controllo e le norme
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mediati potrebbero apparire i comportamenti nuziali dei giovani poveri nella Venezia del Rinascimento: i quali facevano seguire la copula a una semplice promessa, e spesso invertivano i fattori, «regolarizzando» con una promessa una relazione carnale avviata a volte da una violenza20• Più confusa la vicenda nuziale vissuta e combattuta da due gio vani padovani alla metà del Quattrocento: apparentemente - o fraudolentemente - ignari di procedure acquisite celebrano una prima volta le nozze in casa del padre della sposa, dove lo sposo, secondo il racconto di lui, le infila un anello al dito e poi consu ma il matrimonio. Ma i dubbi sono molti, dall'età della sposa, che non si sa se abbia compiuto o no i dodici anni minimi, alla validità di una cerimonia che dalla narrazione appare improvvisata e sbri gativa. Per creare quell'«effetto di reale»21 che risulta ancora in sufficiente, la ragazza prende allora a raccontare in giro l'accadu to, così che se ne diffonda la fama; e per maggiore sicurezza, il ma trimonio viene celebrato una seconda volta, festeggiato con un banchetto e poi ancora consumato. Nonostante tutto questo, la sua validità sarà impugnata proprio dalla sposa, che deciderà di ritirarsi in convento. Secondo Marietta Soranzo, invece, che nel 1460 ricorre al tri bunale ecclesiastico di Venezia per ottenere il riconoscimento del la validità del suo matrimonio con Girolamo da Mula, le nozze so no valide perché sono state celebrate «Con mutuo consenso e pa role legittime»22; ma non esistevano, prima del Concilio di Tren to, «parole legittime» che offrissero formule universalmente vali de; tanto più che l'ignoranza dei fedeli rendeva a volte impossibi le individuare la declinazione verbale adatta a distinguere i verba de praesenti da quelli de /uturcl-3• Così la Chiesa prestava atten zione e fiducia ai gesti: al tocco della mano (l'impalmamento: in una notte d'estate del 1535, in Valsugana, una giovane aveva ac20
lvi, p. 49. R. Barthes, L'effetto di reale, in Il brusio della lingua. Saggi critici 4 (1984), Einaudi, Torino 1988; cfr. C. Cristellon, La sposa in convento (Padova e Vene zia, 1455-1458), in Seidel Menchi e Quaglioni (a cura di), Matrimoni in dubbio, cit., p. 130. 22 S. Chojnacki, Valori patrizi nel tribunale patriarcale: Girolamo da Mula e Marietta Soranzo, ivi, p. 2 12. 23 Lombardi, Matrimoni di antico regime, cit., p. 200. 21
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colto nel suo letto l'innamorato a condizione che egli «ge tochas se la man de esser suo marì»24), allo scambio degli anelli (nel 1548 si erano sposati così, scambiandosi la fede sulla pubblica via, due ortolani bolognesF5), al bere insieme, magari rompendo subito dopo il calice, come voleva anche un'antica usanza ebraica, allo scambio di doni, in particolare fazzoletti che venivano poi usati dalla sposa per asciugare il sangue dopo il primo rapporto ses suale26, al bacio della sposa, così denso di significato da dar luo go al matrimonio per osculum, secondo cui era sufficiente baciare violentemente e pubblicamente una ragazza per creare un impe gno vincolante27, agli appellativi usati nell'interlocuzione fra gli innamorati, alla pubblica fama, a tutti quegli alia signa attraverso i quali poteva essere manifestato il consenso, e su cui i giuristi in vitavano a indagare con meticolosità. Sintesi storiografiche recenti illustrano con chiarezza i margi ni di manipolazione che l'ambiguità delle norme offriva ai fedeli: poteva anche succedere - scrive Lloyd Bonfield - che la coppia di scutesse se il matrimonio fosse stato realmente contratto perché uno dei partner (oppure tutti e due) aveva cambiato idea: si era pentito e non intendeva essere più sposato, o forse voleva essere libero per po ter sposare un'altra persona. Nei casi in cui veniva contestata l'esi stenza stessa del matrimonio il punto più spinoso era la questione del la prova: non essendo stata richiesta la presenza di testimoni, il fatto che il consenso fosse stato pronunciato al presente poteva essere pro vato, certe volte, solo dai due partner. Così, se a voler porre fine al ma trimonio erano tutti e due, potevano semplicemente mettersi d'accor do (e naturalmente un accordo in questo senso non era consentito per ché il matrimonio, una volta contratto, era indissolubile) e mentire, negando di aver espresso il consenso con il verbo al presente. Se i due avevano coabitato potevano negare addirittura di essersi scambiato il 24 A.M. Lazzeri e S. Seidel Menchi, «Evidentemente gravida». «Fides ocula ta», voce pubblica e matrimonio controverso in Valsugana (1539-1544), in Seidel Menchi e Quaglioni (a cura di), Matrimoni in dubbio, cit., p. 3 14. 2� L. Ferrante, Gli sposi contesi. Una vicenda bolognese di metà Cinquecen to, ibid. 26 Lombardi, Matrimoni di antico regime, cit., p. 209. 27 O. Niccoli, Baci rubati. Gesti e riti nuziali in Italia prima e dopo il Conci lio di Trento, in Il gesto nel rito e nel cen'moniale dal mondo antico ad oggi, a cu ra di S. Bertelli e M. Centanni, Ponte alle Grazie, Firenze 1995.
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consenso, presente o futuro, e subire la condanna per fornicazione pur di non perdere l'opportunità di liberarsi da una unione non più voluta.28
Davanti a indizi tanto fragili e contraddittori i giudici ecclesia stici si trovavano a volte a prendere decisioni sofferte, e a rimet terne la responsabilità «alla coscienza delle parti, poiché esse so le sanno se è stato stipulato un matrimonio valido in coscienza e davanti alla chiesa trionfante»29; anticipando così quella distin zione tra foro interno e foro esterno che diventerà consapevolez za condivisa soltanto dopo il Concilio di Trento. Nella visione dei vescovi e degli ecclesiastici riuniti a Trento la normazione delle cerimonie nuziali non costituiva probabilmente un obiettivo prioritario; essa rappresentava semmai uno strumen to, un corollario indispensabile all'attuazione di progetti più com plessivi. In primo luogo, la supremazia definitiva nelle competi zioni con altre sovranità: i regni, le famiglie. Principi e re non ave vano manifestato fino ad allora un interesse specifico per la for mazione del matrimonio, preoccupati più che altro di non inva dere un campo riservato agli interessi dei nobili; da secoli ormai il potere secolare aveva rinunciato a ogni facoltà legislativa e giuris dizionale in merito, limitandosi - laddove, come a Parigi o in al cune zone dell'Inghilterra, esistevano tribunali laici deputati a di scutere cause matrimoniali30 - ad applicare le norme canoniche e le prescrizioni della Chiesa. L'autorità dei padri appariva invece un ostacolo più difficile da superare per affermare pienamente il monopolio ecclesiastico sul matrimonio; la volontà del pater /amilias decideva ancora di noz ze e di alleanze, e il gradimento alle scelte familiari da parte dei giovani appariva come un'opzione non indispensabile. Una con traddizione pesante per la Chiesa, divaricata tra la difesa priorita ria del consenso nell'accedere al sacramento e l'altrettanto pres sante necessità di predicare l'obbedienza dei figli all'interno del28 L. Bonfield, Gli sviluppi del diritto difamiglia in Europa, in Storia della fa miglia in Europa. Dal Cinquecento alla Rivoluzione francese, a cura di M. Bar
bagli e D.l. Kertzer, Laterza, Roma-Bari 2002, p. 134. 29 Cristellon, La sposa in convento, cit., p. 146. 30 Gaudemet, Il matrimonio in Occidente, cit., pp. 105- 106.
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l'ordine familiare. I matrimoni clandestini si moltiplicavano, pro vocando tensioni e gravi casi di coscienza, così che nelle sedute conciliari il dibattito sulla questione fu particolarmente denso e impegnativo, e la decisione finale conservò un certo margine di ambiguità: i matrimoni contratti dai figli senza il consenso dei ge nitori furono dichiarati validi, anche se sempre «detestati e proi biti» dalla Chiesa3 1 ; e soprattutto - naturalmente anche allo sco po di contrastare i matrimoni clandestini - le nozze dovevano es sere pubbliche e solenni, celebrate in facie Ecclesiae dal «parroco proprio» (cioè dal parroco della parrocchia di uno degli sposi o da un altro sacerdote purché appositamente autorizzato dal ve scovo), il quale alla presenza di almeno due testimoni avrebbe in terrogato gli sposi e dopo averne ricevuto il consenso li avrebbe uniti con la formula di rito. I decreti emanati a Trento affermarono dunque il primato del la Chiesa cattolica su ogni questione matrimoniale, dalla forma zione della coppia all'indissolubilità dell'unione sancita secondo i canoni, affidando in tal modo alle gerarchie ecclesiastiche un po tere inedito e assoluto sul governo delle famiglie. Venivano così formalizzate le strutture di base della famiglia moderna: la natura del vincolo e gli obblighi che ne derivano, la distribuzione di re sponsabilità e prerogative tra genitori e figli. L'attuazione dei decreti tridentini fu lenta e contrastata, e aprì un territorio nuovo, in cui i fedeli, uomini e donne, affinarono o acquisirono una sapienza specifica, che si esercitò con i giudici dei tribunali ecclesiastici in un'attività secolare di negoziazione e di mediazione. Non soltanto per far riconoscere ancora la validità di un matrimonio clandestino o per cercare di dimostrare la nullità di un'unione ormai intollerabile; ma anche e soprattutto per por re, sotto infinite forme e varianti, la questione del matrimonio pre sunto. Il Concilio infatti non si era pronunciato a proposito del fi danzamento, di quella promessa per verba de futuro che in tante vicende - soprattutto fra i ceti popolari - costituiva l'unico atto «formale» capace di avviare e in qualche modo autorizzare il rap porto sessuale e poi la vita coniugale. E tale comportamento ri mase in molti contesti prassi condivisa, anche dopo che la Con31 lvi, p. 2 17.
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gregazione del Concilio - istituita da Pio IV subito dopo la sua chiusura per continuarne l'opera e garantire l'attuazione delle sue delibere - abolì la validità giuridica del matrimonio presunto, so stenendo che l'atto sessuale non poteva possedere la pubblicità necessaria a garantire la notorietà dell'impegno per il presente32• Carenze, ambiguità e contraddizioni delle risoluzioni tridenti ne che, se da un lato ne sfumano la capacità periodizzante, dal l'altro evidenziano una novità determinante: attraverso i canoni emanati dal Concilio - e paradossalmente anche attraverso le lo ro lacune e i margini aperti all'interpretazione - la Chiesa si era dotata di uno strumento formidabile per attuare nei secoli a veni re una vera e propria politica della sessualità. 4. La morale coniugale nel Seicento
La vita matrimoniale aveva finalmente un inizio riconoscibile. E questo inaugurava una incombenza nuova: l'amministrazione della sessualità coniugale. La continenza, predicata ai laici come forma inferiore ma accettabile rispetto alla castità, doveva trova re cataloghi e regole, formule sicure per collocare ogni atto sulla scala della rettitudine o del peccato. Si apriva un nuovo ambito, una nuova responsabilità per chi, canonista, confessore o predi catore, si concedeva di penetrare nella relazione tra i coniugi e se zionarla, scomporne gesti, motivazioni e finalità, elencarne legit timità e pericoli. Fiorirono, a partire dalla fine del Cinquecento, trattati e sum mae destinati non solo a interpretare i dettati tridentini, ma a su perarli, sviscerando una materia finalmente circoscritta fino a ca sistiche vertiginose di divieti e licenze. I teologi dell'antichità e del Medioevo, costretti ad accettare l'unione coniugale come reme dium concupiscientiae, avevano disquisito se l'atto sessuale tra mo glie e marito costituisse almeno peccato veniale: pur riuscendo a tenere a bada fantasie innominabili che durante la copula poteva no sostituire al coniuge l'immagine di un'altra persona, era im possibile - sostenevano - uscire puri dall'amplesso, da quell'on32
Cfr. in/ra, cap.
V, par. 2.
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data di piacere fisico che comunque neutralizzava, seppure per un attimo, la vigilanza della coscienza cristiana. Ed era certamente peccato mortale avvicinarsi al corpo del coniuge per cercarvi esclusivamente quel piacere. La teologia morale dei secoli XVI e XVII trovò nel matrimo nio un oggetto d'elezione. Cominciò l'agostiniano Alonso de la Vera Cruz, che nel 157 1 , subito dopo la chiusura del Concilio di Trento, avvertì l'esigenza di integrare il suo Speculum coniugio rum, pubblicato quindici anni prima, con una Appendix, secondo l'autore rivolta ai missionari nelle Indie americane, ma in realtà il primo testo che proponeva una sistematizzazione dei dettati tri dentinP3. Continuarono, con maggiore spessore teorico e scienti fico, i teologi della cosiddetta seconda Scolastica, gesuiti spagno li soprattutto, che dalla metafisica al diritto, dalla patristica alla dottrina dei sacramenti, elaborarono per il cattolicesimo della Controriforma basi teoretiche e prospettive filosofiche rinnovate: a partire dalla seconda metà del XVI secolo Francisco Swirez, Ga briel Vazquez de Belmonte e Gaspar Hurtado offrirono riferi menti dottrinali che canonisti e moralisti utilizzarono per tutto il Seicento e oltre. Ma il primato - e l'innovazione profonda - nella trattatistica seicentesca sul matrimonio spetta ancora a un gesuita spagnolo, Tomas Sanchez, autore di De sancto matrimonii sacramento di sputationum tomi tres, pubblicato per la prima volta a Madrid nel 1605 e poi riedito in diverse città d'Europa per tutto il secolo. Ri stampe che testimoniano del grande successo dell'opera - la qua le fu applaudita anche da papa Clemente VIII - e persino della sua valenza politica: dall'edizione di Venezia del 1614 il governo della Repubblica veneta fece escludere un paragrafo in cui l'auto re sosteneva il diritto del papa di legittimare gli illegittimi a pre scindere dall'intervento dell'autorità civile. L'eliminazione pro vocò l'ira del pontefice e la messa all'Indice, nel 1627, del terzo volume di quell'edizione34. Il trattato di Sanchez subì inoltre at33 Alonso de la Vera Cruz, Appendix ad Speculum coniugiorum per eundem fratrem Al/onsum a Veracruce, ordinis aeremitarum SanctiAugustini . , Mantuae .
.
Carpentanorum, excudebat Petrus Cosin, 157 1. 3 4 Sdnchez, Tomds, in Enciclopedia cattolica, vol. 10, Ente per l'Enciclopedia cattolica e per il libro cattolico, Città del Vaticano 1953.
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tacchi violenti perché considerato scandaloso, troppo esplicito nei particolari scabrosi della materia; ma rimase un riferimento obbligatorio per tutta la teologia morale successiva. La sua novità risiedeva nelle premesse teoriche e nelle conclu sioni che ne venivano fatte discendere: come molti gesuiti dell'e poca, l'autore si rifaceva alla fisiologia e alle teorie ippocratiche della riproduzione, in opposizione alla sistemazione dottrinale aristotelica35, e ciò implicava l'esaltazione dell'orgasmo, maschile e femminile, ai fini della generazione. Mentre infatti per Aristote le la riproduzione è causata esclusivamente dall'emissione del se me maschile, indipendentemente dal godimento che l'uomo può provare, e nessun piacere o fluido femminile è necessario al con cepimento, Ippocrate e poi Galeno ritenevano che l'orgasmo di entrambi fosse indispensabile, nell'uomo per emettere il seme, nella donna per meglio aprire l'utero e ricevere il fluido vitale36• Le conseguenze di tale approccio nell'elaborazione della morale cristiana furono dirompenti. Non si trattava più, come avevano sostenuto tutti i teologi medievali, di sopportare il piacere, si trat tava invece di ricercarlo per garantire la procreazione; non si trat tava più di disprezzare il corpo e di mortificarlo, ma di accettarne gli impulsi e la sensualità; e tutto ciò poneva Sanchez al di fuori di quella scala omogenea di tolleranza che aveva fino ad allora ag gregato tutti i moralisti. La concezione del matrimonio offerta dal gesuita spagnolo è enunciata subito, nel Proemium della sua opera, dove elenca no mi, sinonimi e definizioni: matrimonium, perché la donna si spo sa per essere resa madre; nuptiae o connubium, dalla consuetudi ne di velare la vergine al momento della celebrazione delle nozze; coniugium, dalla congiunzione di due persone in una sola carne37• Al centro della riflessione dunque spiccano la procreazione e l'at35 V. Marchetti, L'invenzione della bisessualità. Discussioni tra teologz; me dici e giuristi del XVII secolo sull'ambiguità dei corpi e delle anime, Bruno Mon dadori, Milano 2001, p. 4. 36 T. Laqueur, L'identità sessuale dai Greci a Freud (1990), Laterza, Roma Bari 1992, pp. 56-68. 37 Cito dall'edizione Tomas Sanchez, De sancto matrimonii sacramento di sputationum tomi tres, Lugduni, Sumptibus Philippj Borde, Laurentij Amaud & Claudij R.igaud, 1654, vol. I, Liber primis, De sponsalibus, p. l.
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to sessuale, quella copula che esige un'analisi attenta e originale. L'ordine discorsivo è quello appunto delle disputationes, discus sioni approfondite di dubbi e questioni dottrinali, giuridiche e morali, dibattute riportando in dettaglio le posizioni espresse da filosofi, canonisti e Padri della Chiesa e infine risolte in una posi zione univoca e dirimente. I primi libri, dedicati alla sistematizza zione dei canoni tridentini, dalla teoria del consenso ai matrimo ni clandestini, dalle donazioni tra coniugi agli impedimenti ma trimoniali e alle dispense, si dilungano spesso sulle implicazioni della consumazione e dell'impotenza, esaltando comunque il si gnificato e il valore dell'amplesso, che occupa a sua volta tutto il libro nono. De redditione debiti coniugalis è il titolo. E la prima disputatio va dritta al cuore del problema, discutendo la qualità dell'atto e proponendone una attribuzione che aggrega in una sintesi sottile religione, morale e diritto, e misura così la distanza tra l'autore e il pensiero medievale. Anche se non mancano - sostiene Sanchez - Dottori cattolici che insegnano che l'atto coniugale non può es sere immune da colpa, seppure veniale, a causa dello sfrenato pia cere sensuale che vi si prova, esso è invece meritorio: gode di san tità sacramentale perché significa la congiunzione di Cristo con la Chiesa, è anzi dotato della grazia del sacramento, perché è capa ce di trasformare gli sponsali in matrimonio, ed è inoltre un atto di giustizia, perché soddisfa l'impegno contratto attraverso il pat to matrimoniale-38• Da qui un insieme di discussioni su casi e cir costanze, quali voti o impedimenti, che potrebbero rendere ille cito l'amplesso; ma l'atto in sé è sempre lecito, ripete Sanchez, e per non essere costretto a proibirlo ricorre alla distinzione tra il coniuge che lo richiede e colui che lo rende, distribuendo così op portunamente innocenza e responsabilità. n marito cui per un vo to di castità contratto dopo il matrimonio è interdetto richiedere la copula «può ciononostante penetrare la moglie, e offrirsi all'u so coniugale, e anche chiedere a lei il debito, non per sé né per ob bedire al proprio desiderio, ma per compiacere la moglie, e non renderle il matrimonio un peso insopportabile»39• 38 lvi, Liber nonus, p. 171. 39 lvi, p. 191.
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Motivazioni e finalità dell'amplesso costituiscono infatti un nucleo consistente e decisivo di argomentazioni. Si comincia con il fare spazio, aprire spiragli lampeggianti a una concezione del l'atto coniugale non orientata esclusivamente alla procreazione: è lecito unirsi nella copula soltanto per significare l'unione del Ver bo con la carne o con la Chiesa? O solo per evitare la fornicazio ne? O per ristabilire la salute del corpo? Le risposte sono caute ma chiare: colui «che usa il matrimonio né espressamente ricer cando, e neanche escludendo la prole, ma che di essa immemore copula con il coniuge in quanto coniuge pecca in misura minima»; ed «è lecito l'accesso, ove non sia stato possibile contenersi con un mezzo più facile»40• Per concludere, con argomentazioni tan to sofisticate quanto tortuose, che il peccato è mortale esclusiva mente se il coniuge si congiunge con l'altro trascinato dalla pas sione, al punto che sarebbe disposto a unirsi ad esso anche se non fosse il proprio consorte; del resto, «il piacere non è male in sé, vi sto che la natura stessa sagacemente lo ha annesso all'atto al fine della procreazione [. ] : così come ha posto piacere nel cibo, per la conservazione dell'individuo»41• Sesso e cibo tornano in un ab binamento opposto a quello medievale: se fino a pochi secoli pri ma gli alimenti, pervadendo gli intestini di umori sapidi e grassi, eccitavano per contiguità gli organi sessuali provocando bramo sie fisiologicamente irrefrenabili e vergognose42, ora, insieme al godimento sessuale, sono doni benevoli della natura. Il piacere è anzi così importante che l'autore si diffonde in discussioni e rac comandazioni perché sia perseguito e raggiunto, da parte sia del l'uomo che della donna: infatti, anche se non indispensabile alla generazione, il seme femminile la facilita di molto, così che la sua effusione deve essere stimolata e ottenuta. Ma è peccato mortale - puntualizza una delle disputationes - non pervenire simultanea mente al piacere? La risposta trasforma l'argomentazione in un te sto di educazione sessuale: «è un giusto proposito adoperarsi af finché il seme di entrambi sia effuso simultaneamente: per cui il ..
40 lvi, pp. 193-196. 41 lvi, pp. 1 97-198. 42 Cfr. C. Casagrande e S. Vecchio, I sette vizi capitali. Storia dei peccati nel Medioevo, Einaudi, Torino 2000.
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coniuge più lento nell'emettere il seme deve preoccuparsi di ecci tarsi con toccamenti venerei prima dell'amplesso, in modo da po tere nell'amplesso stesso emettere il seme contemporaneamente all'altro»43. n piacere femminile è un dono della natura, e anche se non è obbligatorio per l'uomo aspettarlo, «non pecca affatto il marito che, sapendo di effondere il seme prima della femmina, ne eccita i genitali [. .]. È obbligatorio per il marito continuare la co pula, anche se ha già emesso il seme, finché non lo faccia la don na. Perché ciò serve alla completa consumazione della copula da parte della moglie»44. La liceità della copula coniugale ha dunque il potere di auto rizzare anche quelli che il lessico contemporaneo chiamerebbe preliminari e fantasie: toccamenti, sollecitazioni dei genitali, im magini e parole licenziose sono ammessi al fine di prepararsi al l' amplesso, e costituiscono colpa veniale se compiuti per puro pia cere; è colpa veniale persino l'autoerotismo, se agito pensando al coniuge assente e nella speranza che arrivi presto per congiungersi con lui45. Purché il tutto non comporti il pericolo della polluzio ne. La proibizione infatti regna categorica soltanto per l'effusione del seme maschile al di fuori della vagina, che contraddice irrevo cabilmente il fine ultimo della copula, e per la penetrazione anale che, sostiene Sanchez, appartiene all'ordine della lussuria, e non può in alcun modo essere recuperata nella classe dei preliminari. Anche se alcuni dei pareri riportati nella disputatio sostengono che una copula cominciata in modo sodomitico, ma con l'inten zione di concluderla nella vagina, costituisca peccato solo venia le, il gesuita concorda con chi afferma che «culpam esse lethalem sodomiae inchoatae» (è peccato mortale di sodomia iniziata), per ché la sodo mia non può essere riferita all'atto coniugale essendo intrinsecamente pervertita, contro natura, peggiore della fornica zione; la moglie è moglie non per un simile congiungimento, ma solo per la copula intra vas legitimum, e il matrimonio rende cia scun coniuge padrone non dell'intero corpo dell'altro, ma soltan.
p.
43 Tomas Sanchez, De sane/o matrimonii sacramento, cit., Liber nonus, 2 17. 4 4 lvi, p. 2 18. 4� lvi, p. 303 .
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to dei suoi genitali46• Finalmente dunque proibizioni e tabù, a ras sicurare le aspettative di un senso comune che immagina l' elabo razione cattolica - a maggior ragione dopo la Controriforma ispirata a repressioni e divieti. L'interpretazione di un testo così sorprendente esige riflessio ni forse più ampie. Ripreso e citato a profusione per tutto il Sei cento, criticato per scabrosità e lassismo, De sancto matrimonii sa cramento è parte di un progetto sofisticato, che non trova certo i suoi confini nell'elaborazione di norme morali sulla sessualità co niugale. Parte da origini lontane, dall'embriologia ippocratico-ga lenica già ripresa dall'archiatra pontificio Realdo Colombo - che nel 1559 aveva riaffermato la necessità dell'orgasmo femminile per garantire la procreazione47 - e silentemente accettata dalle ge rarchie ecclesiastiche; ma di quella teoria non si limita a trarre conseguenze lineari sul piano della teologia morale. L'opera di Sanchez rientra invece in un disegno - sviluppato principalmen te proprio dai gesuiti - che mentre esalta con rigore e inflessibi lità la castità del clero legittima il piacere nel matrimonio dei lai ci, sezionandolo nello stesso tempo in una casistica dettagliata, in un insieme complicato di condizioni, clausole, eventualità. Affio ra così un progetto che intende approfondire la distinzione tra clerici e laici, e che della vita mondana moltiplica e sfuma i confi ni tra il lecito e l'illecito; esimendo i fedeli dall'obbedienza auto matica a regole universali e consegnando definitivamente le co scienze all'autorità dei confessori. I contrasti violenti tra purezza e corruzione che avevano ca ratterizzato la trattatistica medievale si sono ammorbiditi, evapo rati in una normativa del particolare e del possibile che costituirà uno degli strumenti più potenti della politica cattolica della ses sualità. La teologia morale si è saldata con il processo di discipli namento sancito e accelerato dalla riforma tridentina: l'interioriz zazione delle norme e della colpa, i dilemmi del foro interno del la coscienza, l'intima inquietudine tra innocenza e peccato sono ormai il fardello di ogni cattolico, solo transitoriamente alleggeri to dal lavacro della confessione. 46 lvi, p. 2 17 . 47 Realdi Columbi Cremonensis... De re anatomica libri 1 5 , Venetiis, ex ty pographia Nicolai Beuilacquae, 1559.
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5 . Il sesso in confessionale Disciplina dell'anima, disciplina del corpo48• Alcuni tra i più autorevoli storici del cristianesimo e della civiltà occidentale han no così definito la direzione di un ampio movimento di forze che a partire dagli ultimi secoli del Medioevo presero a convergere verso un nucleo capace di attirare e organizzare quelli che sareb bero divenuti i tratti distintivi della coscienza individuale moder na: l'interiorizzazione di norme e precetti morali, di colpa e re sponsabilità, l'acquisizione di una consapevolezza intima, perso nale, del bene e del lecito, del moralmente oltre che del social mente accettabile, su cui plasmare scelte e comportamenti. Fu un processo lungo, che nel suo affinarsi permeò pressoché tutta l'età moderna, e che in una delle lunghe tappe del suo percorso - tra il XVI e il XVII secolo - stabilì tra l'altro discriminanti decisive tra le società cattoliche e le società toccate dalla Riforma protestante. Fu caratterizzato soprattutto da strumenti nuovi, adeguati alla va stità e alla molteplicità dei mutamenti che comportava: una nuo va concezione, o meglio una nuova relazione con il corpo e la cor poreità, e una nuova, dirompente, pratica religiosa, la confessio ne auricolare. Disciplinamento è il termine scelto dagli addetti ai lavori per nominare questo processo, un termine che forse evoca indebitamente una volontà coerente e univoca, oscurando il ca rattere meticcio, plurale, della nascita dell'uomo occidentale mo derno. A questa concorsero infatti culture sviluppate in contesti diversi: l'Umanesimo e il Rinascimento, nel loro più rigoglioso fio rire delle arti e del pensiero filosofico, l'elaborazione di nuovi mo delli di comportamento e di percezione di sé nelle società di cor te (la civiltà delle buone maniere descritta da Norbert Elias49) , so prattutto le dottrine, la concezione della norma morale, gli stru menti di controllo che in quei secoli si svilupparono all'interno del cristianesimo. Alcuni studiosi, anzi, hanno ritenuto di individua re proprio nelle «radici spirituali della cristianità medievale» le 48 Disciplina dell'anima, disciplina del corpo e disciplina della società tra me dioevo ed età moderna, a cura di P. Prodi con la collaborazione di C. Penuti, Il Mulino, Bologna 1994. 49 N. Elias, La civiltà delle buone maniere ( 1 969), Il Mulino, Bologna 1982.
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origini del «processo di disciplinamento» che coinvolse «in diverso modo e per diverse strade tutta la società europea»50; tutta via, più che discutere sul motore primo di un movimento così am pio e complesso, è forse importante riconoscerne le tracce, inse guirne le implicazioni. Fu intorno al XII secolo che segni di novità apparvero proprio tra le mura dei monasteri, riguardanti la rappresentazione del cor po, dei suoi rapporti con lo spirito cristiano: nelle regole di bene dettini, francescani, domenicani e di altri ordini la lotta feroce combattuta per tutto il Medioevo contro la carne e le sue immon de pulsioni parve stemperarsi nella ricerca di un equilibrio conci liativo e cooperante. Secondo la devotio moderna l'anima e il cor po vivono in profonda simbiosi, e dunque «a ogni movimento e positura del corpo deve corrispondere un'affezione dello spirito. Perciò, mettendo a freno le manifestazioni fisiche esteriori degli impulsi e dei pensieri peccaminosi anche l'anima poteva impara re a resistere e, col tempo, vincere quegli impulsi e quei pensie ri»51. Non più dunque disprezzo e mortificazioni, ma tensione a un'unità armonica di corpo e anima, di comportamenti e di atti tudini interiori: la disciplina, come venivano chiamati i criteri po sti alla base delle nuove regole, spezzava il circuito infinito di ca dute e penitenze, ponendo fine all'assedio cui dalla tarda antichità il corpo sottoponeva lo spirito cristiano. Finché la disciplina divenne modestia, un insieme di compor tamenti ispirati al decoro e alla compostezza e capaci di infonde re una sorta di autocontrollo, che dagli atteggiamenti esteriori si sarebbe trasferito agli istinti, ai desideri, all'anima; un modello pe dagogico universale che uscì dai conventi per diffondersi nelle città, portato da catechisti e chierici non solo ai ricchi e potenti, ma anche agli umili, ai giovani, alle donne, agli spiriti meno in gra do di padroneggiare le virtù razionali più impegnativ�2• La pe dagogia della modestia fu sviluppata, articolata, diffusa con zelo nel Cinquecento, in risposta alla Riforma protestante: era parte es50 P. Prodi, Presentazione, in Idem (a cura di), Disciplina dell'anima, disci plina del corpo, cit., p. 9. 51 D. Knox, Disciplina: le origini monastiche e clericali del buon comporta mento nell'Europa cattolica del Cinquecento e del primo Seicento, ivi, p. 69. '2 lvi, p. 74.
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senziale di quel disegno di rinnovamento profondo che prese for ma con il Concilio di Trento e che mirava a fare di ogni fedele un cristiano obbediente e disciplinato. Pur addomesticato dalla modestia, il corpo rimaneva tuttavia preda facile di pulsioni corruttrici, e la sua disciplina non poteva da sola domare gli istinti più profondi e insopprimibili; strumen ti più sottili erano necessari per purificare l'anima da una convi venza comunque contaminante, per trasferire il rispetto di norme morali e comportamentali dal controllo esteriore delle comunità all'intimo dominio degli impulsi, per acquisire una consapevolez za personale del lecito e dell'illecito. A tutto questo seppero prov vedere un senso antico, connaturato alla fede cristiana, quello del peccato, e una pratica nuova e sofisticata, la confessione. Protet ta dal segreto, la confessione si svela all'indagine storica soltanto attraverso le fonti normative: testi - rivolti ai fedeli per meglio pre pararsi al sacramento e rivolti soprattutto al clero che lo ammini stra - che mostrano una sostanziale continuità per tutta l'età mo derna. «Il cristianesimo - ha scritto Jean Delumeau in un'opera dive nuta un classico [ ] fece del peccato una rivolta della volontà umana alla volontà di un Dio personale, e tale rivolta non si ma nifestava solo con atti esterni, ma anche con pensieri e sentimen ti. Il cristianesimo creò i termini peccator e peccatrix, che non esi stevano nel latino classico e che man mano che passava il tempo assunsero nella nuova civiltà un'importanza straordinaria»53• Si avviò così l'elaborazione lunga e meticolosa della classificazione dei peccati, che gli specialisti di teologia morale distinsero in car nali e spirituali, di pensiero, parola e opere, contro Dio, contro se stessi, contro il prossimo, fino alla grande partizione stabilita da Agostino tra crimina levia, quotidiana, venalia, che sfiorano la leg ge di Dio senza offenderla veramente, e crimina letalia, morti/era, che a tale legge si contrappongono totalmente. Ma una dottrina del peccato esigeva una dottrina della penitenza e del riscatto, la cui messa a punto si prolungò ancora per secoli54: nel cristianesi-
'
...
53 J. Delumeau, !t peccato e la paura. L'idea di colpa in Occidente dal XIII al XVIII secolo ( 1 983), li Mulino, Bologna 1987, p. 348. 54 Cfr. V. Lavenia, L'infamia e il perdono. Tributi, pene e confessione nella teologia morale della prima età moderna, Il Mulino, Bologna 2004.
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mo delle origini i peccati venivano confessati al vescovo e poi espiati in forma pubblica, con abiti speciali e in genere all'inizio della Quaresima, con un'enfasi che induceva spesso a rimandare il più possibile la penitenza, fino all'awicinarsi della morte; poi, intorno al V secolo, prese a diffondersi nei monasteri la figura del direttore spirituale, cui confidare inquietudini e trasgressioni con una pratica che di fatto apriva la strada alla confessione privata, alla dimensione segreta della confessione e dell'espiazione. Tutta via, fino al XII secolo la confessione e l'attuazione della peniten za prescritta rimasero solo uno dei modi possibili per ottenere la remissione dei peccati, accanto alle elemosine, al digiuno, alla pre ghiera. Un elemento era divenuto tuttavia essenziale per monda re l'anima e purificarla da ogni peccato: il.pentimento, enfatizza to proprio a partire dal XII secolo come espressione di consape volezza e umiliazione interiore, come sofferenza profonda della coscienza. Proprio questi sentimenti anzi divennero via via la componente distintiva della confessione, fino a eliminare la peni tenza e a far seguire alla contrizione, immediatamente, il perdo no. Dalla drammatizzazione pubblica dell'espiazione ai territori più intimi della coscienza, un grande mutamento era awiato. Nel 1215 infine il canone 2 1 Omnis utriusque sexus del quarto Concilio Lateranense prescrisse che ogni fedele doveva confes sarsi almeno una volta l'anno al proprio parroco. Occorreva dire, enunciare analiticamente tutti i peccati commessi'', e dunque prepararsi all'evento ripercorrendo nel raccoglimento interiore atti, pensieri, intenzioni, per misurarli con le leggi di Dio e i pre cetti della Chiesa: era la pratica dell'esame di coscienza, che avreb be lentamente contribuito a fondare in ogni cristiano il senso di sé e della propria biografia. Parte attiva e determinante dell'interlo cuzione nel confessionale era tuttavia anche il sacerdote, cui spet tava il compito delicatissimo di interrogare, spiegare, catechizza re, profittando di un dialogo personale di cui il confessore stesso determinava ritmi e durata. Non tutti i sacerdoti in cura d'anime erano preparati alla nuova incombenza; fiorì così a partire dal XIII secolo una vasta letteratura sul peccato, presto organizzata '' Cfr. R. Rusconi, L'ordine dei peccati. La confessione tra medioevo ed età moderna, Il Mulino, Bologna 2002.
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in indici tematici, lemmi, glossari: veri e propri manuali destinati a formare i confessori e profondamente diversi dai penitenziali medievali, i quali si limitavano ad affiancare a ogni peccato la pe nitenza corrispondente secondo tariffari prestabiliti. Alla secca contabilità dell'espiazione doveva sostituirsi ora la valutazione ponderata di contesti e intenzioni, così da garantire il giudizio esatto dei peccati ed evitare ricadute: dal diritto la casistica si diffondeva alla teologia morale, e infatti Summa de casibus poeni tentiae era il titolo di una delle prime e più famose opere della ca tegoria, scritta nella prima metà del Duecento dal domenicano ca talano Raimond de Peiiafort ed editata in innumerevoli versioni fino al Quattrocento. Nel frattempo le Summae con/essorum, re datte da francescani e domenicani soprattutto, erano divenute un genere, diffuso in Spagna, Italia, Germania e Francia, destinato a mettere a punto una teoria della confessione nello stesso momen to in cui se ne porgevano le istruzioni d'uso56• Fino alle soglie dell'età moderna però la teoria e la riflessione pedagogica rivolte ai confessori sembrano distanziarsi dall' espe rienza concreta dei fedeli; nella pratica del sacramento la dimen sione sociale, pubblica e riconciliativa continuò a prevalere sullo scavo interiore e sull'intimo travaglio della colpa e del pentimen to57, favorita forse dalle condizioni materiali in cui si svolgeva la confessione: il colloquio - con un prete che si conosceva bene e si frequentava quotidianamente, in spazi per nulla riservati o sepa rati dal resto dei fedeli che frequentavano la chiesa - diventava spesso un'occasione di confronto sui comportamenti comunitari più che di indagine sulle ombre della coscienza. Un mutamento sostanziale avvenne nel Cinquecento, con l'en fasi sulla confessione posta dal Concilio di Trento e soprattutto con l'introduzione del confessionale. Le indicazioni dei Padri con ciliari ribadirono e irrigidirono le prescrizioni tardo-medievali sul la confessione annuale resa al proprio parroco58, affermandone il 56 M. Turrini, Il giudice della coscienza e la coscienza del giudice, in Frodi (a cura di), Disciplina dell'anima, disciplina del corpo, cit. 57 Bossy, L'Occidente cristiano, cit.; cfr. anche ]. Bossy, Storia sociale della confessione nell'età della Rz/orma, in Id., Dalla comunità all'individuo. Per la sto ria sociale dei sacramenti nell'Europa moderna, Einaudi, Torino 1998. 58 A. Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Einaudi, Torino 1996.
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carattere di atto giudiziario: «li confessore era un giudice: il Con cilio di Trento aveva ribadito questa definizione e aveva anche in sistito sull'obbligo per i penitenti di descrivere con precisione le loro colpe»59• n confessore dunque doveva interrogare, e interro gando spiegare, inculcare le norme etico-religiose della dottrina cristiana, risvegliare la coscienza del peccato60 : la confessione di venne strumento di formazione dei fedeli e di informazione del clero, soddisfacendo quella <
62 Avvertimenti di S. Carlo per li confessori Stampati d'ordine della felice me moria di Papa Innocenza XII e publicati Dalla ch.me. dell'Emo, e Rmo Sig. Card. Carpegna Suo Vicario [... ], Quarta edizione [...], in Roma, MDCCXXII, Nella
Stamperia della Reu. Camera Apost., p. 8. 6} Bossy, L'Occidente cristiano, cit., p. 72.
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Se il pentimento, la sofferenza bruciante per i peccati com messi, era l'obiettivo esplicito della confessione, il senso di colpa era ritenuto lo strumento più valido per raggiungerlo; una condi zione dell'anima che in ogni cattolico doveva essere costante e ge neralizzata, così da meglio prepararlo ad anelare e a ricevere il perdono e la grazia. E nulla era efficace a instillare il sentimento della colpa quanto la sessualità, il linguaggio della carne di cui ognuno conosce gli alfabeti. Già alla fine del Quattrocento in un penitenziale anonimo era scritto che la fornicazione è un peccato «più detestabile dell'omicidio e del furto, i quali non sono atti so stanzialmente cattivi»64• Nella sterminata manualistica post-tri dentina poi, una tardiva Istruzione pratica per i confessori novelli, Operetta utilissima ancora per i catechisti di gente rozza riassume con sagace buon senso il metodo e il ritmo dell'operazione: Quello, che importa, è [. . .] soprattutto che la Confessione si faccia con spirito contrito ed umiliato: perciò io comincio le mie interroga zioni dal peccato che più fa vergognare, e più suole umiliar l'uomo. Già m'intendete. E qui dopo essermi informato di che anni cominciò a capirne la malizia, vado scorrendo per tutte le specie diverse (si va da però adagio e cautamente coi giovani) quei fatti da se; quei fatti con altri del medesimo o di sesso diverso, di stato libero o nò; con parenti e in che grando [sic] ; o con bestie di qualunque specie. Ricavato al l'ingrosso, se non si può esattamente, il numero de' peccati di opere, passo a quei di pensieri, desiderj, compiacenze, occhiate maliziose, di scorsi, motteggi, equivoci, canzoni, vanti con grave scandalo di chi li udì &c. E qui, sospeso per un poco l'esame faccio considerare il nu mero innumerabile di tutti i peccati insieme di questa sola specie [. .. ] e perciò quante volte siasi meritato l'inferno per questo capo solo, e la gran misericordia di Dio, che glielo ha risparmiato per tanto tempo, e lo ha aspettato a penitenza [. .. ] . Così umiliato da principio e penetra to dalla moltitudine de' suoi peccati, ed ammirato della bontà di Dio verso di lui, si trova benissimo disposto a proseguire tutto il resto del la Confessione...65•
64 Delumeau, Il peccato e la paura, cit., p. 390. 65 Istruzione pratica per i confessori novelli, [ .] Operetta utilissima ancora per ..
i catechisti di gente roz.z.a Scritta dal Sacerdote Filippo Maria Salvatori e dedicata a/zelantissimo Patriarca S. Ignazio di Loyola fondatore della Compagnia di Gesù,
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Non solo preliminare al pentimento, la confessione dei pecca ti della carne occupa per tutta l'età moderna un posto di rilievo nella letteratura per i sacerdoti e in quella per i penitenti; e se al cuni storici hanno contato le ricorrenze dei comportamenti ses suali nelle pastorali del Seicento e del Settecento attribuendo lo ro il primato66, le gerarchie di rilevanza dei peccati in epoca post tridentina appaiono mobili, e ancora in gran parte da ricostrui re67. Si trattava in primo luogo di individuare e di classificare i de lieta carnis: a questo si dedicarono molti dei teologi che a partire dalla seconda metà del Cinquecento fissarono contenuti e regole del sacramento della penitenza. Non moechaberis, non fornicherai. Le infinite declinazioni del desiderio sessuale sono elencate da Carlo Borromeo con una mi nuzia che privilegia le circostanze e i partner - e tra questi owia mente i parenti, che aggiungono l'incesto alla fornicazione - più che i modi e le tecniche del peccato, facendo seguire a ogni caso la penitenza relativa, secondo un ordine contabile che si richiama ancora ai penitenziali medievali. «Se qualcuno si sarà lavato nei bagni con una donna, faccia penitenza per tre giorni»; ma anche «La donna che fornica da sola, o con un'altra donna, farà peni tenza per due anni. L'uomo che si corrompe, se lo fa per la prima volta farà penitenza per dieci giorni; se lo ripete per venti giorni, se lo fa per la terza volta per trenta giorni»68 (ma l'uomo che si ve ste da donna e la donna che si traveste da uomo dovranno vivere per tre anni da penitenti69). Atti contro natura e abusi sono ov viamente considerati con rigore, con accenti tuttavia che introdu cono categorie nuove: le differenze - sociali e di stato civile, oltre che di genere - tra i peccatori, e la capacità transitiva della colpa, che dal corruttore si diffonde sulla vittima, contaminandola della stessa infamia. «li piccolo fanciullo oppresso da un individuo più Terza edizione romana Accresciuta dall'Autore medesimo [ . ] , in Roma, MDCCCIII, Nella Stamperia Salomoni, pp. 320-321. 66 Delumeau, Il peccato e la paura, cit., p. 770. 67 Bossy, L'Occidente cristiano, cit. ..
68 Ex Actis Ecclesiae Mediolanensis Parte Quarta Ubi5. Carolus instruit Con fessarios quomodo Sacramentum Poenitentiae ritè administrare deheant Canones Poenitentiales, in Avvertimenti di S. Carlo per li confessori, cit., pp. 96-102. 69 lvi, p. 108.
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grande d'età, digiunerà per una settimana: se avrà consentito, per venti giorni», mentre chi avrà copulato con un animale farà peni tenza per dieci anni o più, a seconda della sua condizione, e «chi avrà copulato contro natura; se è un servo, sarà castigato con la frusta; e farà penitenza per due anni; se è libero, e coniugato, per dieci anni; se è celibe, per sette anni»70 e così via, secondo distin zioni che sembrano anticipare il principio di responsabilità. I diversi generi di penitenti sono il fulcro di preoccupazioni pastorali e di raffinate tecnologie71• Il cardinal Borromeo cono sceva bene l'ignoranza della maggior parte del clero soprattutto nei confronti della confessione, di cui i preti trascuravano obbli ghi e regole al punto da suscitare l'allarme dei Padri conciliari riu niti a Trento; e nelle sue Avvertenze ai confessori (pubblicate per la prima volta nel 1574) mise a punto un insieme di strumenti mi rati ad amministrare il sacramento nella forma più completa e per fetta, riconoscendo cioè le caratteristiche dell'interlocutore e in base a quelle modulando interrogazioni, prediche e castighi. In primo luogo, per meglio penetrare l'anima occorre saper «legge re» il corpo72, e dunque riconoscere dall'abbigliamento i segni in teriori della preparazione al pentimento e quelli esteriori della condizione sociale e lavorativa; ogni mestiere infatti comporta specifiche occasioni di peccato, e tra essi le arti militari sono quel le che più espongono alla fornicazione, comportando spesso la frequentazione di meretrici. La distinzione dei mestieri secondo l'esposizione al peccato raggiungerà vertici inauditi circa due se coli dopo, quando Alfonso de' Liguori dedicherà un capitolo del la sua Istruzione, e pratica per li confessori alle domande da farsi «secondo i diversi stati», elencando minuziosamente i rischi di ogni occupazione: «se viene un Sartore, se gli dimandi [ . ] se for se gli è occasione prossima di peccare il prender la misura alle Donne»73; «Se viene un Barbiere, o Parrucchiere, se gli dimandi [. ] se fa la testa alle Donne, secondo l'uso maledetto oggidì in.
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70 lvi, p. 100. 7 1 P. Prodi, Una storia della giustizia.
Dalpluralismo dei/ori al moderno dua lismo tra coscienza e diritto, Il Mulino, Bologna 2000, pp. 335-336. 72 Boer, La conquista dell'anima, cit., p. 62. 73 Istruzione, e pratica per li confessori Opera dell'Illustriss., e Reverendiss. Monsig. D. Alfonso De' Liguori [. . .], Tomo Terzo [ ...], Edizione Nona [ . ] , in Bassano, MDCC LXXX , a spese Remondini di Venezia, p. 1 19. ..
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tradotto dal Demonio? Io tengo che (comunemente parlando) ciò sia a' Giovani occasione prossima di peccare mortalmente con compiacenze sensuali, o almeno con cattivi desideri [ . ] . Con tut to ciò procuri il Confessore di rimuoverlo quanto può da un tal mestiere, che in se certamente è pericoloso»74• È lo stato civile l'oggetto dell'indagine più sofisticata. I peri coli del matrimonio, degli atti commessi nello svolgimento della copula coniugale, sono una costante di lungo periodo nel pensie ro di teologi, canonisti e predicatori: erano in molti a vedere l'in ferno popolato soprattutto da uomini e donne sposati, al punto che, al confessore che le chiedeva perché nelle sue visioni i co niugati fossero puniti più severamente degli altri peccatori, santa Caterina rispose «perché non lo sanno bene e non ne provano pentimento come per altri peccati, e, quindi, vi soccombono più spesso»75 . La colpa tuttavia - e dunque la delicatezza della con dizione matrimoniale - risiede tanto negli eccessi quanto nel ri fiuto: qualche decennio più tardi san Francesco di Sales esorta madame Bn1lart, moglie del presidente del Parlamento di Borgo gna, ad accettare di buon grado i propri doveri coniugali, perché «una persona coniugata può compiere miracoli, ma, se non adem pie gli obblighi che ha verso il coniuge [ .] è peggiore di un in/e dele>>76 e, aggiunge in un impeto di insopprimibile sensualità, «non si conviene alle rose essere bianche, ma ai gigli. Le rose so no più belle e profumate quando sono carminie»77• Anche i vedovi, e soprattutto le vedove, sono posti sotto spe ciale osservazione: «La vedova, che si diletta degli atti del matri monio passati, non pecca mortalmente: percioche ella si diletta dell'opere, ch'allora le erano lecite. Ma nondimeno, se per quella dilettatione, ella entrasse in pericolo di pollutione avvertendone essa, peccherebbe mortalmente; esponendosi à simil pericolo. Ma, se perciò sorgono i moti della sensualità, imaginandosi d'es ser presente col marito ne gli atti carnali, se ne diletta, allhora pec ca»78. Occasione assai prossima di peccato è anche la condizione ..
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74
lvi, p. 120. Citato in Delumeau, Il peccato e la paura, cit., p. 398. 76 Francesco di Sales, Lettere a donne sposate, a cura di F. Mariotti, Edizio ni San Paolo, Cinisello Balsamo 1997, p. 29. 77 lvi, p. 45. 75
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Prima parte del memoriale della vita christiana: composta dal R. P. Fra Lui-
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degli sposi promessi, che Alfonso de' Liguori fa oggetto di esor tazioni e minacce quando, nella prima metà del Settecento, la co pula dopo la promessa si collocava su un crinale incerto fra tolle ranza e peccato79: «E qui avvertono i Confessori a non permette re agli Sposi l'andare in casa della Sposa, né alle Spose, o a' loro Genitori, l'ammettere gli Sposi in casa, perché di rado succede che tali Sposi non pecchino, almeno con parole o pensieri in tale occasione, mentre tutti gli aspetti e colloquj tra gli Sposj sono in centivi al peccato: ed è mortalmente impossibile trattare insieme, e non sentir gli stimoli a quegli atti turpi, che debbono poi succe dere in tempo del Matrimonio»80• Apprensione, fonte costante di timori e inquietudini è poi l'in terrogazione delle donne81 • Mfiancate nei testi ai fanciulli in ti pologie che ne esaltano innocenza e inconsapevolezza - ma cam peggianti in più profonde rappresentazioni come eterna origine di peccato -, le donne sono oggetto di direttive specifiche. «Sia par ticolarmente cauto - raccomanda Carlo Borromeo al confessore e avvertito nel modo, che deve interrogare donne, e putti, acciò non gl'insegni quel che non sanno ...»82• E se la cautela necessaria con i fanciulli può essere facilmente articolata in un susseguirsi di domande per così dire preconfezionate («se han dette male paro le? Se han fatte burle con altri figliuoli, o figliuole? e se quelle bur le le han fatte di nascosto? e con toccarsi l'un l'altro? [. ] Con chi dormano, e se nel letto hanno burlato con le mani?»83), la rela zione con le donne penitenti comporta pericoli particolari, esige tecniche più complesse. Perché è la confessione stessa allora che diventa occasione di peccato. La differenza tra i sessi era «la principale categoria atta a spie gare l'imposizione della pubblicità della confessione e la conse..
gi di Granata [. . .], Trattato secondo, Della penitenza e confessione, in Tutte l'o pere del R. Padre fra Luigi di Granata dell'Ordine di San Domenico [. .], In Vi netia appresso Gabriel Gioito di Ferrario, MDLXXII, p. 101. 7 9 M. Pelaja, Matrimonio e sessualità a Roma nell'Ottocento, Laterza, Roma Bari 1994. 80 Istruzione, e pratica per li confessori, cit., pp. 87-88. 81 Cfr. A. Malena e D. Solfaroli Camillocci, La direzione spirituale delle don ne in età moderna: percorsi della ricerca contemporanea, in «Annali dell'Istituto storico itala-germanico in Trento», XXIV, 1998. 82 Avvertimenti di S. Carlo per li confessori, cit., p. 22. 83 Istruzione, e pratica per li confessori, cit., p. 12 1 . .
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guente realizzazione strutturale del confessionale»84• Già nel Concilio di Trento, nella sessione del 1547, si era discusso di gra vi casi in cui i confessori avevano sedotto le confitenti durante la pratica sacramentale, e si era raccomandato di disquisirne in mo do riservato, «per non rivelare la nostra vergogna»85; e poco do po, nel 157 5, Niccolò Ormaneto, ex assistente di Carlo Borromeo, dalla corte spagnola aveva inviato un rapporto allarmato alla Cu ria romana: «da diverse parti molte persone di buon zelo lacrima no meco la gran abominatione di molti huomini impii che vio lano il sacramento della penitentia, tentando nell'atto della con fessione et fuori d'essa di satiar il suo sfrenato et bestiai appetito con figliuole spirituali»86• Insomma, da purificazione dell'anima la confessione poteva diventare corruzione e lussuria: perché, co me per una intrinseca capacità transitiva la colpa poteva diffon dersi dal corruttore sulla vittima, così desiderio ed eccitazione po tevano trasferirsi dalla penitente al confessore, corrompendolo e macchiando d'abominio l'intero sacramento. Dunque, per evita re lo spettro della sollicitatio ad turpia che poteva colpire tanto il prete quanto la donna che si accostava al sacramento, il confesso re doveva essere prudente «sia con la penitente [ . . ] sia con se stes so [ .. ] nel porre domande su argomenti che possono far cadere gli incauti in tentazione», ammoniva il gesuita Juan Alfonso Po lanco in un suo testo rivolto ai confessori87; e alcuni decenni pri ma il cardinal Caetano aveva porto esempi espliciti: «Se [ .. ] una donna confessa di essere stata conosciuta al di fuori del vaso na turale, ciò è sufficiente, e non si deve chiederle in quale parte del corpo»88. Concludeva Carlo Borromeo: «E ne i peccati carnali, in sieme con la prudenza, [il confessore] deve usare molta cautela in non cercar altro, quando averà inteso la specie del peccato, e le circostanze grandemente aggravanti»89, mettendo a punto una di rettiva che spiega l'inattesa laconicità dei manuali sui temi minu ziosamente sviscerati dai moralisti coevi. .
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Boer, La conquista dell'anima, cit., p. 99. Citato ivi, p. l 00. 86 Citato ivi, p. 101. 87 Citato ivi, p . 103, nota 45. 88 Citato ivi, p. 103. 84
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89 Avvertimenti di S.
Carlo per li confessori, cit., p . 2 1 .
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Non solo attraverso le parole, tuttavia, la tentazione poteva propagarsi dall'uno all'altro soggetto del sacramento: e se il con tatto fisico - compresa la rituale imposizione delle mani al mo mento dell'assoluzione - era stato abolito dalla rigida struttura del confessionale, lo sguardo e la vista potevano ancora attraversare le strette maglie della grata e turbare i sensi del confessore. Già al cune Summae medievali avevano raccomandato che le penitenti si inginocchiassero non di fronte al prete, ma di fianco, per impedi re ai loro sguardi di incrociarsi; nella pratica post-tridentina poi il confessionale fu perfezionato da uno spesso panno posto a copri re la grata, così che in nessun modo il confessore potesse vedere la penitente, perché «il volto della donna è come un vento che brucia la pelle»90• Sarà di nuovo Alfonso de' Liguori, citando Tommaso d'Aquino, a descrivere quella penitenziale come una scena di seduzione: «il Demonio al principio non manda saette apertamente avvelenate, ma solo quelle che alquanto feriscano, e accrescano l'affetto; ma in breve tali persone giungono a segno, che non più trattano insieme cogli Angeli, conforme han comin ciato, ma come vestiti di carne; vicendevolmente si guardano, e si feriscono le menti con parole blande, che sembrano ancor proce dere dalla prima divozione. Quindi l'uno comincia ad appetire la presenza dell'altro; Sicque [ ... ] spiritualis devotio convertitur in carnalem»91• Diversità dei penitenti, pratiche della confessione: i fuochi del la letteratura penitenziale dal Cinquecento in poi sembrano con vergere su un'esteriorità che lambisce soltanto la pur predicata contrizione, quell'intervento sulla coscienza di donne e uomini che la teologia pone al centro del sacramento e del programma pa storale post-tridentino. Affiorano così ambizioni e ambiguità del la disciplina cattolica. Le ambizioni in primo luogo: di governare le fantasie, oltre che le coscienze e i comportamenti, di tutti i fedeli. Della ri/ormatio ne della imaginatione è il titolo di uno dei capi del Libro secondo della Guida de' peccatori di Luigi di Granata: da Firenze, citato in Boer, La conquista dell'anima, cit., p. 1 06. 91 Istruzione, e pratica per li confessori, cit., p. 138. 90 Antonino
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l'imaginatione [. ] è una di quelle potentie della nostra anima, che re staron più disperse per lo peccato, & meno soggette alla ragione. Don de nasce ch'ella molte fiate si parte da casa, come schiavo fuggitivo sen za licenza; & non sì presto lo cerchiamo che egli è gito per lo mondo, & parimente una potentia molto appetitosa, & bramosa di pensare tanto quanto gli occorre avanti à guisa di cani golosi, i quali di conti nuo vanno cercando, & trovando, & in ogni loco vogliono porre la bocca, & quantunque alle volte sieno battuti fieramente, nondimeno sempre tornano al mal costume. È parimente una potentia molto libe ra, & sciolta, come una bestia salvatica, che va di luogo in luogo, sen za volere sopportare il capestro né Signore che la governi.92 ..
Eppure è necessario imbrigliare una così copiosa e ribelle fon te di peccato; e la dilettatione morosa, il peccato di mollizie, oc cupa pagine decisive nei testi rivolti a confessori e penitenti. «La dilettatione morosa è quando la persona volontariamente si dilet ta cogitando di qualche atto disonesto [ ] . La qual cogitatione è peccato mortale»93. Si trattava di forgiare l'immaginario sessuale dei cattolici porgendo a ognuno le categorie di classificazione di pensieri e desideri, bisognava codificare quella sensualità «mino re» cui si rischiava di indulgere ritenendosi al riparo dall'atto pec caminoso; e dunque occorreva mettere sullo stesso piano l'agito e il fantasticato: «e se [ .] s'immagina una vergine è stupro, se co niugata è adulterio, se monaca è sacrilegio, se parente o affine o consanguinea è incesto, e così altre, anzi il più delle volte pecca in un solo atto, quante volte il pensiero e l'affetto si trasporta in di versi oggetti»94. Arginare fantasie e desideri poi era tanto più im portante in quanto costituiva un riparo sicuro da uno dei perico li più gravi per l'anima e per il corpo dei fedeli: quello della pol luzione95. Le ambiguità della disciplina cattolica si mostrano con mag giore evidenza nelle contraddizioni tra pubblicità e segreto, tra ...
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92 Guida de' peccatori nella quale s'insegna tutto quello che debbe /are il Christiano dal principio della sua conversione, fin al /ine della sua per/ettione, in Tutte l'opere del R. Padre /ra Luigi di Granata, cit., pp. 80-81. 93 Prima parte del memoriale della vita christiana, cit., p. 100. 94 F. Toledo, Instruttione de' sacerdoti e penitenti, citato in P. Lucà Trom betta, La confessione della lussuria. Definizione e controllo del piacere nel catto licesimo, Costa & Nolan, Genova 1 991, p. 77. 9 ' Cfr. in/ra, cap. IV.
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scandalo e riparazione. La concessione dell'assoluzione esigeva che venissero denunciati i complici dei peccati, anche dei peccati sessuali, e che la promessa di non ricadervi fosse affidabile; i con fessori che intendevano seguire rigorosamente la regola però pro vocavano spesso tensioni e conflitti. Nel 164 1 una lettera anoni ma denuncia alla Curia arcivescovile di Milano il prevosto Gal biati, colpevole di abuso e violazione del segreto confessionale: «Confessando questo Proposto un huomo [. .. ] e trovandolo in fornicazione, vuole [. . ] che il confitente gli dica il nome della Donna, il che recusando il confitente più volte, et instando con gran romore [ ..] si faceano sentire in tutta la ghiesa dove le per sone si moveano a grandissimo riso; all'ultimo il Proposto minac ciando costui che non l'assolverà, se non gliene dice, et coman dandogliene sotto pene gli trasse di bocca non solamente il nome di lei, ma del padre et il luogo dove ella stava»96• Le conseguenze di tanto zelo inquisitoriale toccano naturalmente anche le relazio ni familiari, perché per evitare il ripetersi delle fornicazioni il pre te informa tutti: e «di simili revelationi fatte in confessione a i ma riti delle mogliere, a i fratelli delle sorelle, ai padri e alle madri del le figliuole e dei nomi di coloro che con esse peccano [. . . ] sono stati per uscire grandissimi scandali, e vi sono pur hora grandissi me inimicitie»97• ll solerte rigore di Galbiati appare tuttavia un ca so relativamente isolato, degno appunto di polemiche e denunce, perché i peccati sessuali esigono invece un'estrema discrezione. Tra i «casi riservati» - quei crimini cioè la cui assoluzione era pre rogativa non del confessore ma di più alte gerarchie ecclesiastiche, cui il caso doveva essere inviato - figuravano il concubinato, la prostituzione, il tentato aborto, l'incesto; ma proprio in tali occa sioni esplodeva la contraddizione tra due necessità opposte, quel la di sottolineare la gravità della colpa e garantire dalla ricaduta, e quella di proteggere l'onore delle famiglie e la quiete delle co munità. Era la seconda esigenza spesso a prevalere; perché invia re il caso in curia poteva equivalere a rivelare il segreto. Nel 1579 il prevosto di un piccolo centro lombardo, essendo venuto a co.
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96 Citato in E. Brambilla, Alle origini del Sant'U/fizio. Penitenza, confessio ne e giustizia spirituale dal medioevo al XVI secolo, ll Mwino, Bologna 2000,
p.
504. 97 lvi, p. 506.
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noscenza che un uomo prima di sposarsi aveva avuto rapporti ses suali con la sorella della moglie (un incesto tra affini), chiede se debba costringere i coniugi alla separazione, precisando che il fat to è «segretissimo e conosciuto soltanto in confessione» e aggiun gendo che la pubblicizzazione del peccato causerebbe «grande in famia alla famiglia» della donna. La risposta della diocesi è cate gorica: «in modo alcuno il confessore non deve separare detto ma trimonio essendo il peccato occulto», ma il marito non potrà esi gere il debito coniugale finché non avrà ottenuto la dispensa98• La risposta è anche prevedibile, perché il timore dello scandalo - la priorità di esibire un gregge disciplinato - era ormai un tratto di stintivo della politica ecclesiastica post-tridentina, e prevaleva sul la gravità del crimine: ciò appare ancora più evidente in un caso di incesto che fu considera to di tale gravità da giustificare l'intervento personale dell'arcivescovo e il consulto del papa, probabilmente Pio V. Come riferiva Borromeo, una donna aveva avuto una figlia il cui padre era il figlio della donna stessa, il quale, a sua volta, aveva sposato la ragazza che era - nel me desimo tempo - sua figlia e sua sorellastra. Poiché evidentemente so lo la madre era al corrente di questi fatti, il pontefice raccomandò che sia lei, sia il suo confessore, mantenessero il segreto su tutta la que stione: il caso doveva essere trattato nella più stretta riservatezza del confessionale. Nella sua risposta, il papa non accennò in alcun modo all'eventualità che il doppio matrimonio incestuoso potesse essere sciolto, o che dovesse essere richiesta una dispensa matrimoniale. Pos siamo tranquillamente supporre che la penitenza della madre dovesse rimanere segreta. 99
L'infinita disponibilità della Chiesa a valutare ogni caso nella particolarità del suo contesto e delle sue conseguenze, ad acco gliere la supplica del singolo prescindendo dall'universalità di re gole e dettati, a considerare gli esiti del proprio intervento sotto il profilo dell'opportunità sociale e politica oltre che su quello indi viduale della coscienza, comincia a dispiegarsi con sfumature e ar ticolazioni che troveranno varianti inesauribili nel corso dell'età moderna. 98 Citato in Boer, La conquista dell'anima, cit., p. 99 Boer, La conquista dell'anima, cit., p. 230.
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6. Versioni di una morale flessibile In origine le tariffe erano stabilite. Nel 15 16, sotto il pontifi cato di Leone X, fu pubblicata la Taxa Camerae Apostolicae, un elenco del denaro dovuto alla Camera apostolica per ogni pecca to di cui si volesse ottenere il perdono. Le colpe contemplate era no gravi e diverse - dall'omicidio al furto allo spergiuro -, così co me varie e originali erano le possibilità di acquisto di dispense: il guercio che avesse voluto essere ordinato sacerdote avrebbe do vuto pagare 58 libbre e 2 soldi se privo dell'occhio destro, ma sol tanto lO libbre e 7 soldi per la mancanza dell'occhio sinistro, men tre era possibile cautelarsi comprando in anticipo l'assoluzione di ogni omicidio incidentale eventualmente commesso in futuro pa gando 1 68 libbre e 15 soldi. I crimini sessuali occupano un posto di rilievo nel tariffario, declinati con analitica spregiudicatezza: «L'ecclesiastico che in corresse in peccato carnale, sia con suore, sia con cugine, nipoti o figliocce, sia, infine, con un'altra qualsiasi donna, sarà assolto, me diante il pagamento di 67 libbre, 12 soldi. Se l'ecclesiastico, oltre al peccato di fornicazione chiedesse d'essere assolto dal peccato contro natura o di bestialità, dovrà pagare 2 1 9 libbre, 15 soldi. Ma se avesse commesso peccato contro natura con bambini o bestie e non con una donna, pagherà solamente 13 1 libbre, 15 soldi». Una graduatoria questa ammissibile dalla sensibilità contempora nea soltanto ricordando l'orrore della Chiesa per la polluzione: la corruzione di bambini - consumata con un rapporto comunque infecondo - è meno grave della dispersione volontaria del seme in una copula potenzialmente riproduttiva. L'elenco prosegue con un'indicazione onnicomprensiva: «Per ogni peccato di lussuria commesso da un laico, l'assoluzione costerà 27 libbre, l soldo; per gli incesti si aggiungerà a coscienza 4 libbre»100• Intorno alla Taxa Camerae si sono accese polemiche violente: tra chi lo ritiene un documento autentico e completo, pubblicato al fine di aumentare l'informazione e accelerare così le procedure 100 Citato in P. Rodriguez, Verità e menzogne della Chiesa cattolica (1997), Editori Riuniti, Roma 1998, p. 263 ; l'autore, animato evidentemente da un for te intento polemico, non indica la fonte da cui ha tradotto il documento, il qua le ha avuto peraltro numerose edizioni nel corso dei secoli, molte delle quali ap-
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di assoluzione; chi invece, preoccupato di difendere la Chiesa cat tolica dall'accusa di simonia, lo colloca senz'altro tra i numerosi falsi prodotti all'epoca, magari proprio per offrire un appoggio al le accuse dei protestanti; e chi infine ne ridimensiona la portata, riferendo il tariffario non alle assoluzioni ma alle spese da soste nere per farsi redigere la supplica e inoltrarla alla Penitenzieria. Senza entrare in dispute filologiche, quel che importa rilevare è forse non l'autenticità ma la plausibilità del testo: il fatto che il per corso verso il perdono si snodasse attraverso istituzioni e proce� dure che contemplavano - per la scrittura, per la spedizione, o ad dirittura per la cancellazione dei peccati, in tappe diverse e anco ra in parte da ricostruire - transazioni economiche e pagamenti. E che dunque oltre alle differenze di sesso, età, stato civile e me stiere, valutate per i penitenti, ne esistessero altre, altrettanto de cisive: il censo, e soprattutto l'inserimento in reti di relazioni che consentissero l'informazione, l'appoggio, l'interlocuzione positi va con le istituzioni ecclesiastiche. La Sacra Penitenzieria apostolica era il primo tribunale della Santa Sede e il principale organo per il foro interno della peni tenza, delegato a occuparsi dei casi riservati al papa; suppliche per ottenere assoluzioni, dispense e grazie potevano essere inviate an che in forma anonima, indicando il confessore cui inviare segre tamente la risposta. I poteri della Penitenzieria - che in origine si estendevano al campo giudiziario - furono ridimensionati dal Concilio di Trento, che attribuì molte delle sue facoltà ad altre isti tuzioni riservandole l'autorità di concedere assoluzioni e dispen se per censure e impedimenti occulti, da attenersi con il sigillo della confessione e rigorosamente gratis101• il tribunale della Dataria apostolica trattava anch'esso di di spense e assoluzioni, oltre che di benefici, pensioni, concessioni di abiti e insegne prelatizie e altre questioni di varia natura. I suoi funzionari erano chiamati «oracoli della voce e mente del Papa, quindi a loro si deve prestar piena fede, non solo perché provano, ma eziandio perché prevalgono a qualsiasi altra prova anche di teparse in paesi protestanti per alimentare le accuse di simonia rivolte alla Chiesa cattolica. 1 0 1 G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, vol. XIX, Vene zia 1843 , pp. 75-80.
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stimoni» 1 02, e il tribunale stesso era chiamato Curia graziosa, per ché la sua opera aveva come esito la concessione di grazie. Ogni supplica doveva essere redatta secondo stili e procedure partico lari, e per ogni grazia si doveva pagare una tassa che, tolte le spe se per gli impiegati interni, era poi devoluta ad altre congregazio ni cardinalizie e a scopi di beneficenza. Il risultato era che chi poteva permetterselo si rivolgeva alla Dataria, offrendo un'elargizione capace di muovere l'interesse del tribunale; gli altri si rivolgevano alla Penitenzieria, cercando di ot tenere la grazia in segreto e comunque senza spesa. Una parte con sistente delle suppliche riguardava le dispense matrimoniali, e va lutava spesso, in alchimie delicate di opportunità e diritto, i com portamenti sessuali. «La dispensa - sostiene nella prima metà del Seicento il cano nista Pyrrhus Corradus, autore del trattato più autorevole sull'ar gomento, punto di riferimento per tutte le riflessioni successive è un rilassamento del diritto», una mitigazione del suo rigore «che rende lecito l'illecito e possibile l'impossibile»103• Le leggi, infat ti, solo apparentemente universali, possono a volte confliggere con la pubblica utilità, e richiedono allora considerazioni specia li, deroghe da accordare vagliando ogni caso secondo parametri variegati, elencati dalla Curia romana in un ordine preciso: in pri mo luogo i meriti della persona, poi la necessità, il luogo («per cui si concede qualcosa che non sarebbe concesso altrove»), il tempo, l'utilità della Chiesa, l'età, lo scandalo, il bene maggiore, il bene fu turo, l'evento (il /atto compiuto, per cui «si dispensa più facil mente per le cose già fatte che per quelle ancora da fare») , la di screzione, la pietà, la misericordia, la religione104; tenendo bene a mente tuttavia, come scrive alcuni decenni dopo il cardinal De Luca, che «il tutto dipenda dalle circostanze particolari de' casi, e dall'usanze de' paesi, o da stili de' tribunali» 1 05 • Le dispense matrimoniali sono concepite per derogare dalla ri gida codificazione degli impedimenti, posti al matrimonio cristia102
lvi, p. 109. Pyrrhus Corradus, Praxis dispensationum apostolicarum, cit., p. 2. 104 lvi, p. 3 . 105 G. Battista D e Luca, Il Cardinale della S.R. Chiesa pratico, Roma, Stam peria della Rev.ma Camera Apostolica, 1680, p. 23 . 103
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no a partire dall'alto Medioevo traendo ascendenze dal diritto ro mano. L'esasperato proibizionismo dei primi secoli, che estende va divieti fino ai gradi più remoti della parentela106, fu progressi vamente addolcito fino al Concilio di Trento, che come in altri campi della normativa matrimoniale sembrò introdurre gli asset ti definitivi: tra gli impedimenti impedienti - quelli capaci non di invalidare, ma di rendere illecito il matrimonio - fu conservato il veto (una speciale proibizione del superiore ecclesiastico), il tem po (le scansioni del calendario religioso), gli sponsali (la promes sa di matrimonio fornita solennemente a qualcun altro) e il voto di castità perpetua. Gli impedimenti dirimenti, che rendono nul lo anche un matrimonio già contratto, sono più numerosi, affian cati in un insieme di sacro e profano, di rigori dottrinali e preoc cupazioni terrene. Non è valido il matrimonio celebrato con una persona ritenuta per errore nobile o ricca, o di cui si ignorava la condizione servile, o estorto con la forza; pongono impedimento la disparità di culto, l'appartenenza a un ordine religioso, l'esi stenza di un matrimonio precedente e non sciolto, l'adulterio con promessa di sposarsi alla morte del coniuge, e soprattutto la pa rentela: consanguineità, affinità, cognazione spirituale sono i vin coli di cui canonisti, preti e fedeli contrattano di continuo forza o inefficacia. La negoziazione deve seguire procedure stabilite, che salgono nella gerarchia ecclesiastica dal parroco al vescovo locale fino ai tribunali romani, scegliendo motivazioni concrete: nel 158 1 Mar gherita Rusca, «essendo delle nobili di Bellinzona et di parentado nel quale vi sono stati Dottori di legge et di medicina et anche un arciprete honorato», deve sposare un cugino di terzo grado per non declassare il proprio casato107; e nel 1589 Antonio Paino di Peglio pur di accrescere il patrimonio familiare scarta tutti i pre tendenti della figlia Pedrina e chiede la dispensa perché la ragaz za possa sposare un cugino in secondo grado giustificandosi con il fatto che la ragazza non trovava in paese un partito di «pari con ditione»1 08; nel 162 1 poi Baldassarre Solaro e Antonio Aprile, che 106 Cfr. J. Goody, Famiglia e matrimonio in Europa, cit. 1 07 R. Merzario, Ilpaese stretto. Strategie matrimoniali nella diocesi di Como,
secoli XVI-XVII, Einaudi, Torino 198 1 , p. 65.
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vivono in un piccolo insediamento sul lago di Lugano, «fecero un baratto tra di loro, cioè Baldissarro diede ad Antonio Jacomina, sua sorella [. .. ] et per scontro esso Antonio diede a detto Baldas sarro Cattarina sua [sorella]», realizzando con la benedizione del la Chiesa la forma più elementare di scambio matrimoniale, il <
lvi, p. 64. lvi, p. 68. 110 Pyrrhus Corradus, Praxis dispensationum apostolicarum, cit., p. 297.
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«Maria moglie di mio fratello è con me nel primo genere di affi nità: se ora, morto mio fratello, sposa Francesco, Francesco me desimo sarà con me e con tutti i consanguinei di mio fratello nel secondo genere di affinità», e «se tale Maria muore, e Francesco sposa Costanza, allora anche Costanza sarà con me e con tutti i consanguinei di mio fratello, nel terzo genere di affinità» l l l . Non tutti i legami così costruiti creano impedimento, ma tutti i rapporti sessuali, sia coniugali che fornicaci, creano legami: la sessualità gode comunque di una circolazione classificata, di cui si valutano volta per volta poteri e implicazioni. Una sessualità agi ta, consumata spesso proprio allo scopo di ottenere la dispensa; perché il/atto compiuto e la necessità prioritaria di evitare lo scan dalo costituiscono potenti incentivi alla deroga ecdesiastica112• Così, se i meno abbienti usano la copula carnale - costruendo e confermando lo stereotipo che rappresenta il popolo sempre ab bandonato a un'istintualità priva di mediazioni - per negoziare l'appoggio delle istituzioni della Chiesa, i più ricchi possono non soltanto rivolgersi al tribunale della Dataria e pagare la tassa cor rispondente a ogni dispensa, ma soprattutto veder riconoscere i propri interessi come diritto, come causa legittima di eccezione. «È prassi notoria [ . . ] avverte Pyrrhus - che in tutte le pratiche per ogni grado va sempre specificata la qualità delle persone de gli oratori, se siano nobili o cittadini di prestigio, o di famiglia one sta»113; tra le cause di dispensa predominano allora la difesa e l' ac crescimento dei beni familiari, l'opportunità di «conservare status e patrimonio in una stessa parentela, senza mandarli attraverso la dote in un'altra famiglia»114• Ma attenzione: per muovere la di sponibilità ecclesiastica alla dispensa i soldi in gioco devono esse re proprio tanti: «L'ottava causa si ha quando l'oratrice sostiene una grave lite per la successione a beni di grande valore, e rischi di perderli per la mancanza di un uomo che prosegua la lite, e l'o ratore voglia sposarla, e assumere e proseguire a proprie spese la lite. È ammessa perché il Papa ha il compito di vigilare che le liti .
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III lvi, p. 298. 1 1 2 M. Pelaja, No:ue in deroga, cit. 1 1 3 Pyrrhus Corradus, Praxis dispensationum apostolicarum, cit., p. 305. 114 lvi, p. 3 16.
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abbiano come esito la pubblica utilità, riguarda soltanto questi motivi e beni consistenti, non viene concessa dispensa per beni modici»115• Trattati, summae, manuali si prodigano così a immaginare con minuzia puntigliosa eventualità e circostanze da classificare in dettaglio, per farle ricadere nel dominio della norma o, più spes so, per prevedere deroghe ed eccezioni . n processo di giuridiciz zazione del cattolicesimo avviato dal Concilio di Trento116 rag giunse il suo acme nel corso del Seicento, quando teologi e cano nisti fissarono regole e procedure soprattutto nel campo della mo rale e del governo delle coscienze. Nello stesso tempo, proprio dall'enfasi giuridica prese nuova forma la casistica, la teoria cioè che nelle sue applicazioni estreme avrebbe reso evanescente la co dificazione appena eretta. Furono i gesuiti ad avviare una elaborazione sistematica della nuova teologia morale: la cura da essi rivolta «all'esercizio del la confessione aveva [. . ] posto all'ordine del giorno il problema del discernimento dei peccati negli infiniti spazi della coscienza individuale tra norme generali e casi specifici, che consentivano distinzioni tanto capziose da eludere la sostanza stessa dei princi pi morali»117• La casistica come ricerca sulla colpa o sull'esenzio ne dalla responsabilità poté poi travalicare i confini della confes sione per toccare gli ambiti non sacramentali delle materie ogget to di giurisdizione ecclesiastica, le censure, le dispense, l'assolu zione dei peccati riservati. Raggiunse allora vertici inimmaginabi li e si diffuse oltre l'ordine di Gesù: nel 1629 il teatino Antonino Diana pubblicò le sue Resolutiones mora/es, composte da circa ventimila casi di coscienza. Un'opera tanto ponderosa da merita re - qualche decennio dopo la pubblicazione - una distillazione secondo l'ordine «alfabetico e dottrinale», così da entrare come .
1 1 1 lvi, pp. 3 10-3 1 1. Per le norme che regolavano la potestà giuridica delle donne cfr. E. Holthofer, La «cura sexus» dall'antichità al XIX secolo, in Sogget to e identità, a cura di A. Arru, Biblink, Roma 2008. 1 1 6 Cfr. Prodi, Una storia della giustizia, cit., e M. Turrini, La coscienza e le leggi. Morale e diritto nei testi per la confessione della prima età moderna, li Mu lino, Bologna 199 1 . 1 1 7 S . Pavone, l gesuiti dalle origini alla soppressione, 1540-1 773, Laterza, Ro ma-Bari 2004, p. 86.
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Summa Diana nelle biblioteche di prelati e laici dei secoli succes sivi. La sintesi realizzata risulta sorprendente nell'utilizzo spre giudicato dei concetti di volontà e responsabilità: «desiderare la morte naturale di un parente, non per il suo male, ma per qualche vantaggio temporale che deriverà dalla sua morte, non è peccato mortale; perché la morte è desiderata non per il male del prossi mo, ma per il bene di colui che la desidera»1 18; dunque, «è lecito ad una madre desiderare la morte dei figli se per deformità, o idio zia non possano sposarsi conformemente al loro status»1 19• La stessa sottigliezza nell'individuare, nel suggerire l'intenzione, si applica al sesso e alla sua fisiologia: «la moglie può lecitamente chiedere e rendere il debito al marito, che senza il suo consenso suole alla fine della copula estrarre il membro, ed effondere fuori il seme, poiché essa coopera ad un atto che di per sé può diventa re un bene»120• Ma è nel capitolo dedicato alla lussuria che i rica mi diventano più delicati, perché su questo tema, come afferma l'autore, bisogna scendere nei particolari: i baci tra due persone libere, se non c'è pericolo di polluzione, o con senso ad atti ulteriori, non sono peccati mortali, purché non siano uni ti a un forte ardore libidinoso [ . . . ] . Il piacere, che si avverte nei baci e negli abbracci, è meramente sensuale, consiste nella relazione con l'og getto toccato, e non è altro che il piacere di una cosa morbida, tiepida, lieve, tenera, diverso dall'altro piacere turpe che è quello unito all'ec citazione della carne, in cui interviene lo spirito della generazione. Il tatto e i baci con il piacere del primo genere non sono libidinosi, e mor tali, e quelli con il piacere del secondo genere sono mortali, dunque baci e abbracci non sono di per sé libidinosi [ . . ] e si suppone che in essi manchi ogni intenzione e pensiero di voluttà venerea. Dunque, toccare cose molli, soavi e tiepide per il piacere che ne risulta natural.
1 1 8 Summa Diana. In qua opera omnia duodecism Partibus comprehenda An tonius Cotonius Siculus tertij Ordinis Sancti Francisci, necnon Andreas Guadagno 5. T. D. Septem à primo, ceateris ab hoc expletis, IN unicum volumen, alphabetico simul & doctrinali ordine digestum & bipartitum, eodem Antonino Diana Panor mitano clerico regulari [. .] Notabili legentium commodo ac utilitate, arctarunt & eleganter remiserunt [. . .], Venetiis, Apud Benedictum Milochum, MDCLXXVI, .
p. 272. 1 19
120
Ibid. lvi, p. 258.
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mente non è mortale, e quindi neanche toccare le carni di altri, una vol ta escluso ogni altro fine e pericolo. 12 1
Le eventualità contemplate si fanno poi più crude ed esplicite: se «strofinare i genitali degli animali per la curiosità di vedere il seme è peccato mortale», e «non è lecito ad una donna agitarsi do po il coito con un uomo che non appena ha eiaculato ha estratto il membro dalla vagina, così da espellere il seme» né «strofinare i propri genitali con toccamenti impudichi per espellere il seme ef fuso», tuttavia «agitare il membro virile nell'orifizio posteriore è peccato mortale (anche se non c'è pericolo di polluzione), ma se lo si fa con l'animo di consumare nel vaso naturale non è morta le, poiché tale atto non comporta l'intenzione dell'agente» 122 • Sarebbe un errore di prospettiva collocare il senso complessi vo di opere come questa nella tradizione dei manuali per confes sori concepiti per calibrare le penitenze rispetto ai comporta menti. Perché il concentrare l'analisi sull'intenzione, sulle moti vazioni interiori e sulla classificazione dei desideri piuttosto che sull'atto, rende i testi della casistica strumenti di costruzione di una nuova morale: un sistema normativo della coscienza in cui il singolo - il particolare - è al centro di valutazioni e negoziazioni che declinano di volta in volta l'applicabilità della legge universa le del bene e del male. 12 1 Ivì, p. 610. 122 Ivì, p. 61 1 .
IV IL DISCIPLINAMENTO IMPOSSIBILE
l. La dissipazione del seme
Come la schiuma del mare. «ll seme del maschio è infatti la schiuma del sangue, al modo dell'acqua che, rompendosi contro gli scogli, produce una schiuma bianca>>, così tra il VI e il VII se colo il vescovo di Siviglia Isidoro, grande erudito dagli interessi enciclopedici, riprendeva un'immagine classica della fisiologia tardo-antica consegnando alle scienze naturali e alla teologia del Medioevo una concezione della riproduzione tutta basata sulla teoria degli umori 1 • Non si trattava però di un semplice fluido cor poreo: già alcuni secoli prima il cristiano Tertulliano aveva spie gato che «in un unico impeto, mentre tutto l'uomo è scosso, il suo seme spumeggia, traendo umore dalla sostanza corporale, calore da quella animale [ ] . In quel momento [ ] nell'ultima dirom pente vampa di piacere, [ . ] non abbiamo forse la sensazione che una parte dell'anima esca fuori di noi?»2• Affine, nelle descrizio ni più crude, al sudore, al fiato, all'urina, a tutte le secrezioni che garantiscono un'appropriata evacuazione degli umori corporei, lo sperma possiede qualità specifiche e superiori: lo spirito vitale, ca pace, nella concezione classica, di preservare forza e virilità; la po tenza generativa, che fa dell'uomo lo strumento del divino nel do nare la vita, al punto che tanto gli gnostici quanto la tradizione ...
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1 T. Laqueur, L'identità sessuale rki Greci a Freud (1990), Laterza, Roma Bari 1992, p. 73. 2 Tertulliano, De anima, 27, 25-27; 29-2.
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manichea vedevano nell'eiaculazione «la tappa finale della libera zione della luce/spirito dalla vile materia»3. Liquido immondo e prezioso, dunque, il seme maschile ha ge nerato nella tradizione cristiana un'ambivalenza forte, a sua volta origine di inquietudini, di prescrizioni contraddittorie. Perché ap pare dotato, tra l'altro, di due poteri fondamentali nella rappre sentazione dell'ordine generativo: quello di assicurare la legitti mità, l'ordine paterno, ma anche quello di fluire dal corpo a pre scindere dalla volontà, e di associarsi così al disordine del deside rio. Dunque, un umore anch'esso da disciplinare, ricercando un equilibrio impossibile tra la sua custodia - casta ma creatrice di ingorghi pericolosi per la salute - e un'emissione regolata: tre eia culazioni all'anno - suggeriva un monaco citato da Cassiano - pri ve di fantasie erotiche sarebbero state appunto la media per un buon monaco4• Gran parte del dibattito tardo-antico e medieva le sulla polluzione si iscrive così nella grande questione teologica sul libero arbitrio e sui suoi confini: delimitati dal sonno - che ot tundendo la coscienza renderebbe incolpevole ogni emissione oppure aperti a una vigilanza indefettibile, capace di dominare anche il sogno. Lo stesso dibattito rivela inoltre ansie e fantasmi incoerenti: quelli su una mascolinità - governata dalla ragione, su periore a una natura femminile sempre dominata dalle emozioni e da passioni corruttrici - irrimediabilmente sopraffatta da carna lità incoercibili, resistenti a ogni controllo, memoria perpetua del la Caduta dalla grazia originaria; e quelli di un'esperienza sessua le passiva, opposta dunque al significato stesso della virilità. Immunditia, impurità che nel sonno o nella veglia sorprende lo spirito macchiando il corpo; Cassiano dedica una conferenza intera alle polluzioni notturne, questione decisiva perché non so lo mette in dubbio la possibilità di avvicinarsi-agli uffici divini, ma rivela soprattutto un'insufficiente capacità di dominare gli istinti più profondi. Voce isolata nel suo rigore e nelle sue ossessioni, egli parla ad asceti dei deserti bramosi di assoluto, proponendo una battaglia non tra il corpo e l'anima ma dell'anima con se stessa, e ponendo come obiettivo il dominio sulle immagini, sulle figure oniriche, sul corso spontaneo dei pensieri, sui sogni: le emissioni 3 Laqueur, L'identità sessuale dai Greci a Freud, cit., p. 339, n. 50. 4 Brown, Il corpo e la società, cit., p. 382.
IV Il disciplinamento impossibile
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notturne sono «il segno di un male che covava interiormente, al quale l'ora della notte non ha dato origine, ma che, nascosto nel più profondo dell'anima, riaffiora sotto il riposo del sonno, che ri vela la febbre nascosta delle passioni contratte alimentandoci ininterrottamente di passioni malsane»; dobbiamo dunque «sfor zarci di reprimere i moti dell'anima e le passioni della carne af finché la carne soddisfi le esigenze della natura senza suscitare vo luttà, sbarazzandosi della sovrabbondanza dei suoi umori senza alcun prurito malsano e senza innestare una lotta per la castità»5 • Finché l'assenza totale di polluzioni sarà il segno finale della san tità: «Quia tu possedisti renes meos», scrive Cassiano citando i Salmi e indicando nella consegna a Dio dei reni - considerati il centro dell'energia sessuale - la vittoria definitiva sulla concupi scenza. È posto così, nei primi secoli della cristianità, un tema domi nante che diverrà l'asse portante del governo della sessualità da parte della Chiesa: la relazione tra «il polo involontario, quello sia dei movimenti fisici, sia delle percezioni che si ispirano ai ricordi e alle immagini che si presentano e che, propagandosi nella men te, investono, richiamano e attirano la volontà; e, d'altra parte, il polo della volontà che accetta o respinge, si volge altrove oppure si lascia catturare, indugia, acconsente»6• L'essenziale non è il cor po ma la volontà e la memoria7, e «questi elementi vanno consi derati con la massima attenzione», sosterrà Gregorio Magno, per ché «bisogna ricordare che l'uomo [ . ] è schiavo e libero allo stes so tempo»8• I monaci combatteranno per sempre la loro battaglia contro le fantasie e le polluzioni, ma non fu questo il perno della predica zione medievale rivolta ai laici nel mondo. Altri spettri agitavano una Chiesa preoccupata di porre argini al pulsare dei corpi: oc correva prima di tutto governare gli aspetti sociali del desiderio, ..
� Giovanni Cassiano, De Institutis Coenobiorum, VI, 1 1 e 22, citato in M. Foucault, La lotta della castità, in P. Ariès et al., I comportamenti sessuali. Dal l'antica Roma a oggi (1982), Einaudi, Torino 1 983 , p. 32. 6 Foucault, La lotta della castità, cit., p. 29. 7 Brown, Il corpo e la società, cit., p. 397 . 8 Gregorio Magno, Epistolae, P L XI , LXIV, col. 1200a, citato i n Brown, Il corpo e la società, cit., p. 397 .
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frenare adulteri e incesti che generavano conflitti nelle famiglie e nelle comunità, contenere ratti e stupri che rendevano incerta e violenta la paternità. Presunto e segreto, il piacere che deriva dal l' abbandono solitario alle immagini carnali poteva essere più fa cilmente ignorato, taciuto, oscurato da altre priorità; anche per ché gli uomini avvezzi alle pratiche con le donne erano ritenuti in denni dalla polluzione. Nei primi penitenziali, che i monaci del l' alto Medioevo scrivevano per chi come loro viveva recluso nei conventi, le emissioni notturne venivano poste in relazione con la somministrazione o l'assunzione dell'eucaristia: chi riceverà l'eu caristia dopo un'emissione notturna, scriveva Burcardo di Worms nel X secolo (Decretum, 5.42-43 ; 5.5 1 ), dovrà fare penitenza per sette giorni9. Con il passare dei decenni e dei secoli, tuttavia, la ri flessione divenne più sofisticata, e associò con frequenza sempre maggiore la polluzione con il peccato di lussuria; soprattutto, co minciò a porla su un continuum semantico e dottrinale con la ma sturbazione. ll primo fu Villelmo de Montibus, vissuto tra il XII e il XIII secolo, che nei suoi trattati da un lato circostanziò e pro pose tariffe predefinite per ogni emissione: se il seme fosse fluito baciando una donna il prete avrebbe dovuto espiare con quindici «discipline», ma se il seme fosse fluito sulla carne nuda della don na o sui suoi vestiti, le «discipline» sarebbero divenute trenta, e ad esse si sarebbero dovuti aggiungere altri atti di espiazione; la stes sa penitenza avrebbe dovuto essere imposta a colui che fosse arri vato all'eiaculazione «con la propria mano o con qualche altro su dicio movimento»1 0 • Dall'altro lato, Villelmo de Montibus ritenne che il pericolo della polluzione non riguardasse esclusivamente re ligiosi e celibi, ma toccasse tutti gli uomini, e che tutti gli uomini dunque dovessero essere interrogati al .riguardo in confessione. Si rivolgeva ai monaci invece il vescovo di Lincoln, Roberto Grossatesta, quando alla metà del XIII secolo scrisse un'opera de stinata a orientarli nel loro personale esame di coscienza. Un te sto sorprendente, scritto in prima persona a partire dalla propria esperienza di eccitazione sessuale, raffinato nel guidare all'intro spezione lungo un percorso scandito dai cinque sensi: se la vista 9 Citato in J. Murray, Men's Bodies, Men's Minds: Semina! Emissions and Sexual Anxiety in the Middle Ages, in «Annual Review of Sex Research», 1 997. 10
Citato ivi.
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di una bella donna o di due animali che copulano può suscitare desiderio, e magari polluzione, \n uomini più ardenti di lui, Gros satesta confessa di aver peccato più volte con il tatto, toccando il proprio corpo o quello di altri: «ho accarezzato spesso membra proibite, membra vergognose, sia su di me che su altri [ ... ] . Spes so ho riportato la mia mano al mio grembo, carezzando la carne e infiacchendola, e rendendola incline alla stimolazione e all'eccita zione da toccamenti di quel genere»1 1 • Vista, tatto e udito si sono poi combinati in seduzioni collettive: il vescovo ammette di aver provocato altri uomini, sia con carezze, sia esibendo la propria erezione, sia eccitandoli in altri modi indicibili. L'esondazione è ormai palese: il tema della polluzione ha superato le mura dei con venti ed è esplicitamente associato con la masturbazione e con le pratiche omosessuali. L'ultimo, decisivo passo sarà compiuto nei primi anni del Quattrocento dal teologo francese Jean de Gerson, il quale affer merà che le emissioni di seme sono un problema comune a en trambi i sessi 12• Riservato prima ai monaci poi a tutti i celibi, poi a tutti i maschi, infine a maschi e femmine, da problema fondamen talmente idraulico a veicolo di dissolutezza e perversione: la gran de colpa del piacere solitario occupa ormai la scena della morale cristiana, e richiede tecnologie specifiche per essere individuata ed estirpata. A partire dalla confessione, la quale stava nel frattempo awiandosi a mutare di senso - dall'esteriorità delle penitenze al l'intimo della contrizione - e a raffinare le sue tecnologie. Nei manuali per i confessori elaborati dopo il Concilio di Tren to e dopo le riforme di Carlo Borromeo la polluzione non occupa certo lo stesso numero di pagine dedicate alla sessualità coniuga le o alle infinite possibilità dell'incesto, ma è collocata spesso in crocevia significativi, in snodi delicati di quel processo di disci plinamento di cui la confessione è componente decisiva. Come corruzione del confessore stesso, turbato dalla nuova intimità sta bilita in confessionale con i penitenti e con i loro peccati; come abbandono alle fantasie, classificato ormai sotto quella pericolosa fattispecie chiamata dilettatione morosa. Luigi di Granata appare a questo proposito flessibile, aperto alla contestualizzazione del 11 12
Citato ivi. Jean de Gerson, De cognitione castitatis seu De pollutione diurna.
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desiderio: la regola, egli sostiene, è «che se l'opera cogitata non è peccato mortale la cogitatione non è (formalmente parlando) pec cato mortale»; dunque, nell'uomo ammogliato e nella donna ma ritata la dilettatione del pensare di essere l'uno con l'altro non è morosa, è incolpevole, «eccetto però quando con avvertenza si esponessero à rischio della pollutione»13• È l'effusione del seme a porre il confine tra desiderio legittimo e masturbazione colpevo le. Ma non basta. Si possono concepire distinzioni più ardite, tec niche di assoluzione più sofisticate. Qualche decennio più tardi, la Summa Diana appare categori ca: «ogni pensiero venereo è una polluzione iniziata» (omnis cogi tatio venerea est inchoata pollutio14). Tuttavia, mentre la mastur bazione vera e propria, il peccato di mollities, non è ritenuta de gna di una trattazione specifica perché attinente senza ambiguità al vizio della lussuria, alla polluzione è dedicato invece un intero capitolo, per discutere casi e circostanze della sua colpevolezza. Definita «solemnis emissio sine copula», secondo la Summa Dia na la polluzione può essere distinta in involontaria e volontaria; quest'ultima, si afferma subito, è «peccato mortale contro natura, è intrinsecamente cattiva e non può esserelegittimata con alcun giusto fine»15• Ma, pubblicato in un'epoca in cui la giuridicizza zione della morale trova nella casistica lo strumento per declina re all'infinito l'applicabilità del principio, il trattato si affretta a re lativizzare l'univocità della sentenza; citando proprio Tomas San chez, secondo il quale potrebbe esistere una forma di polluzione per così dire terapeutica, procurata mediante medicamenti o ad dirittura con sfregamenti, destinata all'emissione di seme corrot to e velenoso; e non sarebbe grave se insieme al seme malato ef13 Prima parte del memoriale della vita christiana: composta dal R. P. Fra Lui gi di Granata [. . .], Trattato secondo, Della penitenza e confessione, in Tutte l'o pere del R. Padre fra Luigi di Granata dell'Ordine di San Domenico [. . .], In Vi
netia appresso Gabriel Gioito di Ferrario, MDLXXII, p. 101.
1 4 Summa Diana. In qua opera omnia duodecism Partibus comprehenda An tonius Cotonius Siculus tertzj" Ordinis Sancti Francisci, necnon Andreas Guadagno S. T. D. Septem à primo, ceateris ab hoc expletis, IN unicum volumen, alphabetico simul & doctrinali ordine digestum & bipartitum, eodem Antonino Diana Panor mitano clerico regulari [. .] Notabili legentium commodo ac utilitate, arctarunt & eleganter remiserunt [. . .], Venetiis, Apud Benedictum Milochum, MDCLXXVI, .
p. 262. 1 5 lvi, p. 724.
N.
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fluisse anche una piccola parte di seme «vero», perché ciò acca drebbe per accidente, all'interno di un'operazione lecita. La pol luzione involontaria è assai più frequente, e la sua esemplificazio ne non si riferisce più agli impossibili desideri dei religiosi, ma ri guarda ormai le circostanze della vita quotidiana di uomini e don ne che vivono nel mondo: può derivare infatti dall'assunzione di cibi caldi, dalla pratica dell'equitazione (ma non sarà necessario per questo andare sempre a piedi, rassicurava Sanchez), da toc camenti di parti intime di un infermo da parte di un chirurgo, dai contatti tra corpi che si hanno nelle pubbliche danze, dal pro nunciare parole d'amore tra sposi promessi. Un popolo sempre sull'orlo dell'orgasmo può così essere diviso tra innocenti - colo ro nei quali l'effusione del seme sopraggiunge in modo imprevi sto e incontrollabile - e variamente colpevoli - coloro i quali pur avvertendo chiaramente l'eccitazione non fanno nulla per rimuo verne le cause. n peccato viene così scomposto secondo geometrie variabili, per mostrare facce diverse a seconda della prospettiva di osserva zione. Se l'inclinazione al piacere solitario è riconosciuta come parte integrante della sessualità umana, la morale cristiana elabo ra strategie e tecniche atte ad amministrarla, a ricondurla di volta in volta a crimine contro natura oppure a incauta dissipazione di energie riproduttive, a fallimento episodico e veniale nel control lo dei propri istinti. Perché il confine tra masturbazione e pollu zione è mobile, e lambisce i territori dell'interiorizzazione delle norme più che gli spazi della lussuria; gli uomini e le donne che effondono il proprio seme appaiono così cristiani su cui il pro cesso di disciplinamento ha avuto scarsa efficacia, più che depra vati dediti a un vizio innominabile. La depravazione giungerà nel Settecento, e avrà altre origini16. Intorno al 17 12 fu pubblicato a Londra un opuscolo anonimo, scritto probabilmente dal chirurgo empirico John Marten, autore di altre opere sulla sessualità, dal lungo titolo Onania; ovvero l'o dioso peccato dell'autopolluzione, e tutte le sue spaventose conse guenze per entrambi i sess� con consigli spirituali e materiali per co loro che si sono già rovinati con questa pratica abominevole. E op16
Cfr. T.W. Laqueur, Sesso solitario. Storia culturale della masturbazione (2003 ), a cura di V. Lingiardi e M. Luci, Il Saggiatore, Milano 2007.
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portuni avvertimenti ai giovani della nazione di ambo i sessi. . . Fu l'inizio di un profluvio di pubblicazioni e di angosce: alle varie rie dizioni del libretto di Marten seguirono altri opuscoli, carteggi17, infine l'opera di uno dei più influenti medici francesi, Samuel-Au guste Tissot, il quale intorno al 17 60 diffuse in lingua francese il suo I.:onanisme18• Era stata inventata una parola, e intorno ad es sa erano state costruite visioni fosche e minacciose: la masturba zione non era più soltanto un vizio, una debolezza morale, un mo mentaneo cedimento dell'autocontrollo, ma era divenuta una ma lattia, origine a sua volta di altri morbi orrendi e incurabili. So prattutto, l'interlocutore per un'inclinazione così perniciosa do veva essere il medico e non più il confessore, la cura doveva ri guardare più il corpo che l'anima. Un vento nuovo si era alzato, imponendo alla Chiesa competizioni e alleanze tutte da speri mentare. 2. Gli angeli di Sodoma Si chiamavano «Ufficiali di notte», ma il loro compito non era quello di pattugliare anfratti e vicoli bui alla ricerca di peccatori e di perversi accoppiamenti; dovevano semmai raccogliere denun ce, stimolare delazioni, porsi come interlocutori di sospetti e vo ci, rappresentare il proposito del governo cittadino di reprimere il vizio più eversivo dell'ordine morale e sociale. E la «notte» del la loro denominazione rimandava alle tenebre di turpitudini se grete, di commerci vergognosi. Nei primi decenni del Quattrocento, a Firenze, la sodomia fu al centro di un'ondata di preoccupazione pubblica senza prece denti, che spazzando via l'indifferenza e la relativa tolleranza che aveva contraddistinto i secoli passati dette origine a provvedi menti legislativi, giurisdizioni apposite, commissioni dedicate, 17 Per una storia delle varie edizioni cfr. Laqueur, Sesso solitario, cit. , pp. 18-22. 18 S.-A. Tissot, L'onanisme ou dissertation physique sur !es maladies produi tes par la masturbation traduit du latin de Mr. Tissot [ .], À Lausanne: de l'irn prirnerie d'Antoine Chapuis, 1760. L'opera è la versione ampliata dell'edizione originale latina del 1759. ..
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epurazioni interne alla classe politica, infine alla magistratura de gli Ufficiali: sei cittadini eletti annualmente, assistiti da un notaio e da qualche coadiutore, che avviavano procedimenti a partire da denunce segrete e da confessioni, e che amministravano una giu stizia sommaria 'con l'intento di sradicare l'«abhominabile sogdo mie vitium»19• Tra il 1432 e il 1502, l'anno della soppressione, la magistratura giudicò circa quindicimila uomini e ragazzi, e ne con dannò più di duemila; la popolazione fiorentina si attestava in quel periodo intorno ai quarantamila abitanti20• Calzolai, rigattie ri, tessitori, in realtà appartenenti un po' a tutti i mestieri, soprat tutto nati in città, prevalentemente giovani sotto i trent'anni, i de nunciati e i perseguiti mostravano quanto comuni fossero tali pra tiche e quanto sfuggente fosse la loro definizione, così legate co me erano a comportamenti condivisi di iniziazione sessuale21 • A Venezia si chiamavano i «Signori di notte» i magistrati che dalla metà del Trecento giudicavano i reati di sodomia, prima di passare le loro competenze, nel XV secolo, al Consiglio dei Die ci. Leggi reiterate munirono queste istituzioni di guardie che per lustravano la città e il porto; fu avviato addirittura, intorno alla metà del Quattrocento, una sorta di censimento cittadino, attua to da un gruppo di nobili (due per parrocchia) incaricati di ricer care nella loro zona qualunque segno del vizio, dai luoghi sospet ti ai contatti insoliti tra giovani e vecchi22; e nel 1467 una legge im pose a chirurghi e barbieri di denunciare chiunque si fosse rivol to a loro per lesioni sospette: «Eliminare il vizio della sodomia da questa nostra città vale ogni sforzo perché ci sono molte donne che favoriscono tale vizio e sono rotte nelle parti posteriori e an che molti ragazzi sono rotti in tal modo e tutti questi vengono me dicati e tuttavia nessuno di essi viene denunciato e i loro atti re stano impuniti; quindi poiché è saggio onorare Dio, allo stesso 19 M.]. Rocke, Il controllo dell'omosessualità a Firenze nel XV secolo: gli <
lvi, p. 702 M.J. Rocke, Ilfanciullo e il sodomita: pederastia, cultura maschile e vita ci .
vile nella Firenze del Quattrocento, in Infanzie. Funzioni di un gruppo limina/e dal mondo classico all'età moderna, a cura di O. Niccoli, Ponte alle Grazie, Fi renze 1993. 22 G. Ruggiero, I confini dell'eros. Crimini sessuali e sessualità nella Venezia del Rinascimento, Marsilio, Venezia 1988, p. 224.
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modo in cui denunciano i colpi d'arma ai Signori di Notte, così essi debbono denunciare chi è rotto in quelle parti siano essi ra gazzi o donne»23. Segni tutti, questi, di un'ansia repressiva che a Venezia aveva origini economiche oltre che religiose: bisognava salvare la flotta, perché sulle navi la sodomia «è commessa in al tissimo grado con non poca infamia per noi e pericolo manifesto per ogni nave tanto che sorprende che la giustizia divina non le abbia affondate»24. Il terrore del castigo di Sodoma ispirava il ri gore della pena: la morte sul rogo - con il fuoco, come quello che aveva incendiato la città biblica - aspettava i condannati, even tualmente protetti da tecnologie (un dispositivo che li avrebbe strangolati non appena si fossero alzate le fiamme) destinate a ren dere meno feroce l'esecuzione25. Lo scarso numero dei processi - poco meno di trecento, dal 1326 al 150()26 - rinvenuti dagli storici negli archivi delle magi strature veneziane non permette indagini sociali sofisticate; diffu sa in tutti gli strati della popolazione ed estesa come a Firenze tra i nobili, la sodomia fu oggetto a Venezia di una persecuzione in transigente, che almeno in una prima fase appare anche straordi nariamente espressiva. Proprio la durezza della condanna infatti esigeva che il crimine fosse inequivocabilmente accertato, con rapporti dettagliati, circostanze descritte minutamente; esigeva soprattutto definizioni e classificazioni. Nel 1365 un artigiano di nome Simon fu accusato di sodomia per aver avuto rapporti ses suali con una capra; a sua difesa affermò di avere problemi fisici che gli impedivano sia di avere rapporti con donne sia di mastur barsi; fu sottoposto allora a visite mediche e anche a prove con prostitute, esami tutti che comprovarono le difficoltà fisiologiche esposte. Dichiarato comunque sodomita, Simon ebbe risparmia to il rogo ma fu fustigato, marchiato e amputato della mano de stra27. Nel 1474 fu processato un nobile, accusato di sOdomia per ché aveva agitato «il membro virile malissimamente alla presenza
Citato ivi, p. 1 95 Citato ivi, p. 185. 25 lvi, p. 186. 26 lvi, p. 2 12. 27 lvi, pp. 190- 191. 23 24
.
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di Marino, un orefice))28; i magistrati si concentrarono a verifica re se tra i due ci fosse stato contatto fisico, e la sua esclusione per mise all'imputato di uscire indenne dall'accusa. Un barcaiolo e il suo servitore invece furono condannati al rogo perché più volte, nella barca, avevano dormito insieme e uno «si era corrotto)) agi tando il suo membro fra le cosce dell'altro29• Un pescatore invece fu prima decapitato e poi bruciato a causa della «frequente sodo mia con la propria moglie)), che lo aveva denunciato30• Mentre a Firenze, nel 1495, un uomo di 3 4 anni fu denunciato agli Ufficia li di notte perché «si tiene e ha tenuto [un ragazzo sedicenne] a suo uso di donna, cioè per sodomitarlo, e asselo sodomitato già è un anno e più))31 ; e tra il 1492 e il 1496, ancora a Firenze, tre fra telli furono denunciati più volte prima per essersi prostituiti e poi per aver avuto a loro volta relazioni con fanciullP2• C'è una vasta zona semantica e comportamentale che circon da le pratiche sodomitiche e che da esse si irraggia, fino a com prendere le varie forme dei rapporti omosessuali, la bestialità, ma anche il sesso tra i coniugi. Denunce, persecuzioni e condanne mostrano un disagio sociale e giuridico che trovava forse una del le sue origini proprio nel tratto più qualificante dei meccanismi avviati: il loro avere come referente magistrature che si ponevano nello stesso tempo sia come tutrici dell'ordine sociale e dell'iden tità di genere sia come braccio secolare di una giustizia divina che poneva un interdetto assoluto, ma impossibile da rispettare. In capaci di sradicare il vizio, ben presto rassegnati a contenerlo sol tanto, a Firenze gli Ufficiali di notte furono soppressi nel 1502, mentre già nel 1497 Domenico Cecchi aveva richiesto l'abolizio ne della magistratura per proteggere la reputazione della città: «Per onore della città, levate via gl'ufficiali di notte, che non si possa dire: 'Firenze è un uficio sopra a' soddomiti', che chi l'ode crede che non si faccia altro et viensi a dare chattivo esempio))». Le preoccupazioni politiche prevalsero sullo zelo religioso, il pec2s Citato ivi, p. 2 9 lvi, p. 192.
191.
lvi, p. 198. Citato in Rocke, Ilfanciullo e il sodomita, cit., p. 2 19. n lvi, p. 224. " Citato in Rocke, Il controllo dell'omosessualità a Firenze nel XV secolo, cit., p. 7 17. 30 H
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cato rimase crimine ma perse gli angeli riservati alla sua elimina zione; la Chiesa riprese a essere l'istituzione prima responsabile della condanna e della purificazione dei corpi e delle coscienze. Quali che fossero le simbologie che vi erano racchiuse e le let ture che nei secoli ne furono proposte, la vicenda biblica di So doma e Gomorra appare come punto di riferimento dell'atteggia mento cristiano verso il «peccato contro natura». Ma il canone emanato nel Concilio di Ancira nel 3 14 ancora contabilizzava la pena nella prospettiva della salvezza: «Quelli che hanno commes si peccati contro natura, se prima della età di venti anni, staranno quindici anni prostrati, e cinque anni senza afferire. Se son cadu ti negli stessi peccati dopo l'età di venti anni, ed essendo marita ti, staranno venticinque anni prostrati, e senza afferire. Se hanno peccato dopo l'età di venticinque anni, essendo maritati, non avranno la Comunione che in fine della vita»34• Una proporzione possibile finché, sempre nel IV secolo, Giovanni Crisostomo espresse tutto il suo disgusto in un commento all'epistola di Pao lo ai romani: «Le passioni sono tutte disonorevoli, perché l'anima viene più danneggiata e degradata dai peccati di quanto il corpo lo venga dalle malattie; ma la peggiore fra tutte le passioni è la bra mosia fra maschi [. .. ] . Perciò io ti dico che costoro sono anche peg giori degli omicidi, e che sarebbe meglio morire che vivere diso norati in questo modo. L'omicida separa solo l'anima dal corpo, mentre costoro distruggono l'anima all'interno del corpo»35• E Agostino nelle Confessioni (III, 8) sottolineò l'impossibilità di qualunque compromesso: «I peccati contro natura sempre e do vunque devono essere detestati e puniti, come per esempio quelli dei sodomiti. Ed anche se tutto il genere umano li commettesse, tutto il genere umano sarebbe reo di codesto crimine per la legge di Dio che non ha creato gli uomini perché si unissero in tal mo do». Così che la condanna si fece diritto, e nel Concilio di Toledo del 695 fu escluso ogni riscatto: «Quelli che peccano contro natu ra, son condannati ad essere separati dai Cristiani per tutta la vita, }4 li,
Dizionario portatile de' Concilj, in Venezia, Appresso Tommaso Bettinel
1775, p. 385, canone 16. n
Homtlia IV in Epistula Pauli ad Romanos, in Patrologia Graeca, vol. 47,
coli. 360-362.
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a ricevere cento frustate, ed essere rasi per infamia, e banditi in perpetuo, e non riceveranno la Comunione nemmen in morte»36• I penitenziali del primo Medioevo, tuttavia, continuarono a trattare la sodomia come una colpa orrenda ma banale, da espia re con digiuni e penitenze calcolati in base all'età e allo status del peccatore37• Solo a partire dal XII secolo cominciò a verificarsi un mutamento sostanziale, e i comportamenti sessuali devianti di vennero indicatori di inosservanza religiosa, di una potenziale ere sia. Furono alcuni santi e dottori della Chiesa a ribadire la repul sione verso le pratiche sodomitiche, in un crescendo di associa zioni terrificanti: da Pier Damiani («Questo vizio non va affatto considerato come un vizio ordinario, perché supera per gravità tutti gli altri vizi. Esso infatti uccide il corpo, rovina l'anima, con tamina la carne, estingue la luce dell'intelletto, caccia lo Spirito Santo dal tempio dell'anima»38) a Tommaso d'Aquino, che af fianca nel genere infamante della colpa «coloro che godono nel ci barsi di carne umana, o nell'accoppiamento con bestie, o in quel lo sodomitico»39• E mentre il Doctor Seraphicus, il francescano Bonaventura, nel XIII secolo si preoccupò di nominare le donne tra i peccatori puniti nella notte della nascita di Cristo («Tutti i so domiti, uomini e donne, morirono su tutta la terra»40), le con danne più veementi vennero da Siena; santa Caterina pensava an cora agli angeli mentre, enfatizzando il fetore che emana da colo ro che peccano contro natura, affermava: «E come ciechi e stol ti, offuscano el lume dell'intelletto loro, non cognoscono la puzza e la miseria nella quale eglino sonno: che non tanto che ella puta a me, che so' somma e eterna purità (ed èmmi tanto abominevole che per questo solo peccato profondaro cinque città per divino mio giudicio, non volendo più sostener la divina giustizia, tanto mi dispiacque questo abominevole peccato); ma non tanto a me, come detto t'ho, ma alle dimonia (le quali dimonia e' miseri s'han no fatto signori) lo' dispiace. Non che lo' dispiaccia el male per16 Dizionario portatile de' Conci/;', cit., p. 385, canone 3. 37 J.A. Bnmdage, Law, Sex, and Christian Society in Medieva/ Europe, The University of Chicago Press, Chicago-London 1987, pp. 166-167. 38 Liber Gomorrhianus ad Leonem IX Rom. Pont., PL, CXLV. 39 Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, II, II, q. 142, a. 4. 40 Bonaventura da Bagnoregio, Sermone XXI, In Nativitate Domini.
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ché lo' piaccia alcun bene, ma perché la natura loro fu natura an gelica, e però la natura loro schifa di vedere o di stare a vedere commettere quello enorme peccato attualmente. Hagli bene inan zi gittata la saetta avelenata del veleno della concupiscenzia, ma, giognendo all'atto del peccato, egli si va via per la cagione e per lo modo che detto t'ho»41 • E san Bernardino fece delle invettive con tro i sodomiti un oggetto frequente delle sue prediche, terroriz zando i fedeli con immagini non solo di dannazione, ma anche e soprattutto di malattia, e anticipando così fantasmi settecenteschi: Non è peccato al mondo che più tenga l'anima, che quello della so domia maledetta [. ] ; questo vizio sconvolge l'intelletto, spezza l'ani mo elevato e generoso, trascina dai grandi pensieri agli infimi, rende pusillanimi, iracondi, ostinati e induriti, servilmente blandi e incapaci di tutto; inoltre, essendo l'animo agitato da insaziabile bramosia di go dere, non segue la ragione ma il furore»42; e ancora: «Una volta io mi trovai in luogo che uno avendo preso una bella giovane per moglie, el la era stata sei anni con lui, e anco era vergine: la quale era stata con lui sempre in peccato gravissimo contra a natura. O confusione, o ver gogna grandissima! Ou ou ou ! Sai come questa poveretta era fatta? El la era consumata, defunta, palida, smorta. Ella mi si raccomandò per l'amore di Dio, dicendomi s'io potessi per niuno modo, ch'io l'aitasse, dicendomi come ella era stata al vescovo per questa cagione, e anco al podestà, e' quali dice che rispondevano a lei, che di ciò ch'ella diceva, bisognavano le pruove.43 ..
La storia narrata da Bernardino sembra una sintesi consape volmente costruita delle difficoltà, delle ambiguità e delle con traddizioni cui la Chiesa si trovava di fronte ogni volta che cerca va di perseguire il peccato di sodomia: una definizione allo stesso tempo ampia e sfuggente, che associava pratiche omosessuali e pratiche coniugali in condanne che si scontravano con diversi gra di di tolleranza sociale o di scandalo; un sostegno aperto ma inef ficiente da parte delle autorità civili, cui doveva rivolgersi se all'e sclusione dalla comunità cristiana intendeva aggiungere punizio ni esemplari che colpissero anche i corpi; l'onere della prova, che imponeva di raggiungere la certezza della consumazione piena e 41 Caterina da Siena, Dialogo della divina Provvidenza, CXXIV. 42 Bernardino da Siena, Predica XXXIX, in Prediche volgari. 43 lbid.
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consenziente del crimine, rimanendo così in balia di confessioni e ritrattazioni; la necessità di distinzioni delicate, per distribuire inegualmente colpa e responsabilità a seconda del ruolo sostenu to nel rapporto. Dalla categoricità della condanna derivava allora l'impossibilità del castigo, secondo uno stile che caratterizzava molti atteggiamenti della Chiesa verso i peccati sessuali. n diritto aveva stabilito la pena con una sorta di secca ritrosia: il canone 1 1 del terzo Concilio Lateranense del 1 179 aveva riba dito che «coloro che peccano dell'incontinenza contro natura», se clerici sarebbero stati espulsi dal clero e rinchiusi indefinitamen te in un monastero per compiere la penitenza, se laici sarebbero stati esclusi per sempre dalla comunità dei fedeli. La norma, che riprendeva il canone del Concilio di Toledo, fu poi inserita nelle Decretali di Gregorio IX e rimase sostanzialmente invariata fino al Concilio di Trento. La punizione canonica risultava così note volmente più mite rispetto alle diverse e spesso fantasiose forme di pena che in alcuni luoghi furono elaborate dalla giustizia civile del tardo Medioevo: gli statuti di Bologna del 1288 prevedevano il rogo, le leggi portoghesi prescrivevano che i sodomiti fossero ca strati e poi, tre giorni dopo, fossero sospesi per le gambe fino al sopraggiungere della morte; i sodomiti senesi invece sarebbero dovuti essere addirittura appesi «per il membro virile»44• Dal punto di vista teorico, inoltre, i canonisti sembravano at tribuire alle pratiche sodomitiche un peso limitato, quasi spro porzionato rispetto allo sdegno di teologi e moralisti; discutevano se il rapporto anale costituisse ragione sufficiente per ottenere la separazione coniugale, sostenevano che non creasse affinità, e dunque non fosse motivo di impedimento. Si affannavano poi a proporne una definizione sufficientemente ampia e articolata, e descrivevano la sodomia come qualunque soddisfazione coscien te dell'istinto carnale o con persona indebita o nel vaso indebito, distinguendo tra sodomia per/ecta, quella di maschio con maschio o donna con donna, e sodomia imper/ecta, quella tra un uomo e una donna in cui la scelta di un vaso improprio non permette una copula finalizzata alla procreazione45• Ma proprio l'ampiezza delBrundage, Law, Sex, and Christian Society, cit., p. 473. A. D'Avack, Omosessualità (diritto canonico), in Enciclopedia del diritto, vol. XXX, Giuffrè, Milano 1980, pp. 92-99. 44 45
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la definizione rendeva impossibile l'identificazione del crimine e l'applicazione della pena. n diritto finì così per rimanere prigio niero di se stesso, e infinite cavillationes furono poste a circoscri vere la punizione o addirittura a esimere da essa: si discuteva se la consumazione del reato implicasse la sola penetrazione o esigesse anche l'effusione del seme, argomentando che l'eiaculazione ester na escludeva la conclusione del crimine e riduceva il rapporto ad actus proximus crimini, derubricandolo come peccato e come rea to; nello stesso periodo si ritenne impossibile includere nella defi nizione del reato il rapporto omosessuale tra donne le quali, non potendo per ragioni anatomiche procedere alla penetrazione, avrebbero consumato tra loro soltanto delle mollitiae. Ponendo infine in primo piano le ragioni della politica, si procedette a deli mitare l'applicazione della pena, anche una volta accertata la con sumazione perfetta dell'atto: si sarebbe potuto esimere dalla pu nizione il sodomita occasionale e anche quello recidivo, destinan do il castigo soltanto a coloro che esercitavano la sodomia /re quentium et quasi de consuetudine; si sarebbe dovuto inoltre dare la priorità all'eliminazione dello scandalo, alla preservazione della tranquilla coscienza della comunità dei fedeli, punendo o al con trario ignorando i peccatori secondo la pubblicità del peccato46• Dalle leggi della Chiesa il peccato nefando contro natura fu co sì occasionalmente perseguito, debolmente punito; e papa Pio V dovette dunque apparire sensibile alle contraddizioni del suo di ritto e previdente nel colmare le lacune della sua applicazione quando, in piena Controriforma, emanò due Costituzioni, a di stanza di due anni l'una dall'altra, destinate a riaffermare e raffor zare una collaborazione già sperimentata. Nel 1566 la Costituzio ne Cum primum, nell'intento di estirpare peccati orrendi tra cui «l'esecrabile vizio libidinoso contro natura», ricorreva aperta mente alla cooperazione delle istituzioni laiche: «Se qualcuno compirà quel nefando crimine contro natura, per colpa del quale l'ira divina piombò su figli dell'iniquità, verrà consegnato per pu nizione al braccio secolare». E perché fosse garantito il rigore del castigo minacciava i funzionari civili preposti: «sappiano i magi strati che, se anche dopo questa nostra Costituzione saranno ne gligenti nel punire questi delitti, ne saranno colpevoli al cospetto 46
lvi, p. 94.
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del giudizio divino, e incorreranno anche nella nostra indignazio ne»47. Ma occorreva essere ancora più espliciti, puntare con mag giore chiarezza l'obiettivo. Nella Costituzione Horrendum illud scelus, del 30 agosto 1568, era scritto: Quell'orrendo crimine, per colpa del quale le città corrotte e osce ne vennero bruciate dalla divina condanna, marchia di acerbissimo do lore e scuote fortemente il nostro animo, spingendoci a reprimere ta le crimine col massimo zelo possibile. [. . ] Affinché il contagio di un così grave flagello non progredisca con maggior audacia approfittan dosi di quell'impunità che è il massimo incitamento al peccato, e per castigare più severamente i chierici colpevoli di questo nefasto crimi ne che non sono atterriti dalla morte dell'anima, abbiamo deciso che vengano atterriti dall'autorità secolare, vindice della legge civile. Per tanto [. . .] stabiliamo che qualunque sacerdote o membro del clero sia secolare che regolare, di qualunque grado e dignità, che pratichi un co sì orribile crimine, in forza della presente legge venga privato di ogni privilegio clericale, di ogni incarico, dignità e beneficio ecclesiastico, e poi, una volta degradato dal Giudice ecclesiastico, venga subito con segnato all'autorità secolare, affinché lo destini a quel supplizio, pre visto dalla legge come opportuna punizione, che colpisce i laici scivo lati in questo abisso.48 .
Ogni velo era sollevato: data l'inefficienza delle leggi ecclesia stiche sarebbero stati le leggi civili e i magistrati laici gli angeli ca stigatori dei molti sodomiti servitori di Dio. Così, se solo pochi anni prima, nel 1556, Giacomo Richi, pre te di Pistoia, poteva rivolgersi con animo sereno e riservato al tri bunale della Penitenzieria confessando di aver avuto rapporti car nali con diverse donne, di aver avuto una concubina, di aver com messo il peccato di sodomia con donne e uomini («anche forse in luogo sacro») e di aver «toccato i genitali ai fanciulli», e chieden do tuttavia di essere assolto e di poter esercitare il ministero del l'altare49, già nella prima metà del secolo successivo non furono 47 Bullarium romanum, t. IV, c. II, pp. 284-286. 48 lvi, t. IV, c. III, p. 33. 49 F. Tamburini, Santi e peccatori. Confessioni e suppliche dai Registri della Penitenzieria dell'Archivio Segreto Vaticano (1451-1586), Istituto di propagan da libraria, Milano 1995, p. 326.
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pochi i chierici inquisiti a Roma dal tribunale del Governatore, la principale magistratura cittadina con competenza sia civile che criminale. In un procedimento del 1601 l'a:rciprete e il canonico di Nettuno e un «chierico di prima tosatura», nel 161 1 il canoni co della cattedrale di Rieti e un frate dell'ordine di sant'Agostino, nel 1624 un frate romano e un terziario di Napoli5°; il vizio ne fando, impossibile anche a nominarsi, aveva trovato le parole e le procedure adatte a punirlo. Anche se, come per ogni crimine in antico regime, permase la possibilità di interloquire e rivolgersi a magistrature diverse, prima fra tutte la più alta fra quelle esclusi vamente ecclesiastiche: il tribunale del Sant'Uffizio ché - pur avendo operativamente associato la sodomia all'eresia in rappre sentazioni e credenze che evocavano i rapporti tra il diavolo e le streghe - esibì spesso rigori difformi, inaspettate indulgenze. Se infatti l'Inquisizione spagnola tra il 1566 e il 1700 mandò al rogo 3 7 sodomiti dei 234 processatPl, il tribunale romano mani festò nel tempo una singolare mitezza. Tra i pochi esempi finora portati alla luce dalla ricerca storica, alcuni appaiono particolar mente significativi: nel 1722 il Sant'Uffizio di Roma inquisisce, su denuncia dei confratelli, il priore del convento della Beata Maria Vergine, il sagrestano e un frate laico converso, accusati di aver corrotto circa undici ragazzi convincendoli «col falso Dogma, non esser peccato»; i tre religiosi vengono incarcerati e finiscono con l'ammettere le loro colpe, pur tentando di ridurre il numero dei fanciulli sodomizzati e soprattutto negando di aver pronunciato frasi eretiche; dopo pochi mesi la Congregazione romana chiude il procedimento con la condanna a soli sei anni di carcere. La stes sa clemenza applicata due decenni dopo nei confronti del carme litano Ludovico Botteglio, un brasiliano residente a Lisbona che si presenta spontaneamente al Sant'Uffizio denunciandosi per peccati di sodomia attiva e passiva commessi con numerosi gio vani; la scelta del frate mostra sensibilità politica e sapienza giuri dica: '0 M. Baldassari, Bande giovanili e vizio nefando: violenza e sessualità nella Roma barocca, Viella, Roma 2005. ' 1 R. Carrasco, Il castigo della sodomia sotto l'Inquisizione (XVI-XVII seco lo), in La violenza sessuale nella storia, a cura di A. Corbin, Laterza, Roma-Bari
1992.
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è vero che io ho commessi i sopradetti peccati, de quali provo confu
sione, e dolore, ma non credo, né ho mai creduto, esser lecito ad un cattolico, e Sacerdote Regolare commettere atti disonesti di mollizie né tampoco abusarsi impudicamente de Giovani, o sia con Sodomia per fetta, o sia imperfetta, anzi ho sempre creduto il contrario [. .] . Ho dif ferito a presentarmi al Santo Officio di Portogallo, perché ho sempre dubitato di ricevere qualche rigoroso castigo non ostante, che mi fos si presentato spontaneamente sapendo, che il delitto di Sodomia nel la Spagna è considerato massimo, quindi ho stimato bene di venire a Roma per esporre a questo Tribunale i miei delitti, perché sapevo, che è di maggior mitezza, e pietà.'2 .
li frate è infatti assolto dai suoi crimini - sia pure con l' obbli go di sottoporsi a non meglio precisate «gravi pene salutari» - tan to dall'Inquisizione romana quanto dal tribunale del Vicario di Roma�i3. Centro e periferia mostrano spesso, nella politica della Chiesa cattolica, priorità differenti, speciali difformità nell' ammi nistrazione di castigo e perdono'4• Una particolare disuguaglianza domina del resto la concezio ne e la punizione del peccato di sodomia all'interno di tutta la Chiesa: una disuguaglianza che distribuisce colpa e responsabilità a seconda del ruolo svolto nell'atto sessuale. Molti casi, la maggior parte forse di quelli perseguiti e così emersi nelle carte d'archivio, hanno come protagonisti uomini adulti e fanciulli o giovani ra gazzi; come nella Grecia antica, dal Medioevo all'età moderna la pederastia domina se non l'esperienza, certamente la rappresen tazione delle pratiche sodomitiche. Un araldo del governo vene ziano, Benedicto, fu denunciato nel 1368 per aver avuto rapporti sessuali nelle sale del Palazzo ducale con un giovane di tredici an ni, Antonio, cui insegnava il proprio mestiere". Nel 1493 , a Fi renze, un delatore informa gli Ufficiali di notte che il ceraiuolo At taviano Benintendi aveva avuto una lunga relazione con il figlio di '2 Cfr. M. Cattaneo, <
ria e Letteratura, Roma 2006, pp. 74-75. " lvi, p. 75. 54 Cfr. M. Pelaja, Nozze in deroga. Dispense matrimoniali e politica ecclesia stica, in Ead., Scandali. Sessualità e violenza nella Roma dell'Ottocento, Biblink, Roma 2001 . 55 Ruggiero, I confini dell'eros, cit., pp. 193-194.
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un tessitore, ma «ora che è grande, l'ha lasciato per il fratello più giovane»; e ancora a Firenze un fornaio abbandonò dopo tre an ni il suo ragazzo «quando detto J acopo non era più buono di ado perarlo»�6. Il rapporto sodomitico sembrava implicare dunque una gerarchia anagrafica e sociale in cui il dominante cercava e ot teneva la propria soddisfazione penetrando il corpo di un fan ciullo; il quale appariva solo come oggetto di una iniziativa ses suale, compiacente forse, ma estraneo al piacere. Al di là delle differenze di età o di condizione, questa rappre sentazione divenne il modello in cui inscrivere ogni pratica sodo mitica; la quale, nell'elaborazione religiosa come nel diritto laico, trovava i suoi codici di classificazione esclusivamente nella posi zione assunta durante l'atto. Attivo e passivo, corruttore consa pevole e mero strumento di lussuria, i ruoli sostenuti dai partner costituivano l'asse intorno a cui ripartire colpa e castigo: secondo una logica inversa a quella della riprovazione sociale. Se infatti di sprezzo ed epiteti ingiuriosi erano ovunque destinati dalle comu nità di riferimento a chi accettava di prestare il proprio corpo a pratiche che compromettevano la virilità e invertivano l'ordine naturale dei sessi, le leggi civili e quelle religiose riservavano le pu nizioni più pesanti a chi compiva la penetrazione. Nel 1474, a Ve nezia, un gruppo di sodomiti fu giudicato dalla suprema magi stratura laica della città, il Consiglio dei Dieci. I due uomini iden tificati come attivi furono decapitati, e i loro cadaveri bruciati; de gli altri quattro accusati di aver rivestito un ruolo passivo uno, un fanciullo di dieci anni, fu condannato a dieci frustate, un altro, di ciottenne, ebbe venticinque frustate e un bando di cinque anni, gli ultimi due furono banditi dalla città per tre anni57• E a Firen ze era regola lasciare del tutto impuniti i giovani che confessava no di aver subito un atto sodomitico. Perché gli uomini che ela boravano e applicavano la legge associavano probabilmente al ruolo attivo un'immagine di dominio e sopraffazione, e percepi vano quello passivo come inerme e sottomesso. Le argomentazioni della Chiesa erano naturalmente più sofi sticate. n principio ispiratore era sempre la salvaguardia della ri produzione: «Quali sono le specie di lussuria consumate contro '6
'7
Rocke, I/fanciullo e il sodomita, cit., p. 2 16. Ruggiero, I confini dell'eros, cit., pp. 202-203.
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natura?» è la questione posta nel libro sui peccati di un trattato di teologia morale redatto all'inizio del Settecento. «Tali peccati so no quelli nei quali non sono garantite le condizioni che la natura richiede all'atto venereo perché in esso possa verificarsi il conce pimento di un essere umano, e queste condizioni sono cinque, va le a dire l'unione di due persone, della stessa specie, di sesso di verso, negli organi o vasi adatti, e nel modo debito, così come so no cinque i peccati di quel genere»58: la masturbazione, i modi «inordinati» di copulare, la bestialità, la sodomia imperfetta tra uomo e donna, e la sodomia perfetta tra due persone dello stesso sesso. Ma la sodomia perfetta esige una distinzione in più: «li pe nitente deve precisare in confessione se sia stato agente o pazien te, poiché da parte dell'agente interviene la polluzione propria, che in genere non avviene da parte del paziente (per quanto a vol te intervenga in ambedue, e se ciò si verifica deve essere comuni cato). Infatti sono diversi i peccati se la polluzione è volontaria o se soltanto si coopera alla polluzione di un altro: infatti una cosa è procurarsi un piacere illecito, un'altra farlo raggiungere a un al tro»59. n peccato più esecrabile è quello dell'infertilità e la dissi pazione del seme è l'indicatore della colpa, in una percezione del rapporto per così dire astratta, indifferente ai movimenti del de siderio, alle origini dell'attrazione dei corpi: nulla si raccomanda di chiedere e nulla viene chiesto sulle motivazioni interiori del so domita attivo, la sua appare come una semplice ricerca di soddi sfazione sessuale, criminosa ma non inquietante, dannata ma non lesiva della sua identità60• È per questo che risulta difficile proporre una storia di lungo periodo dell'omosessualità. Perché, nella rappresentazione socia le e nell'elaborazione giuridica e teologica, non esisteva la figura dell'omosessuale: i fanciulli e i giovani si avviavano a una «regola re» vita matrimoniale dopo le esperienze omoerotiche o sodomi tiche della pubertà, gli adulti che continuavano a offrire il proprio corpo alla soddisfazione altrui erano disprezzati come prostitute, ma non sembravano costituire una minaccia all'ordine sociale dei 58 G. Antoine, Theologia moralis universa [ . . ] Editio postrema [ . . ] , t. I, Ve netiis, apud Antonium Graziosi, 1778, p. 133. 59 Ivi, p. 134. 60 Rocke, Ilfanciullo e il sodomita, cit. .
.
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sessi, gli adulti che dalla sodomia traevano il proprio piacere non sembravano sfidare le identità sessuali socialmente riconosciute61 , l e donne che godevano reciprocamente l'una dell'altra peccava no, ma non ponevano questioni interessanti né alla teologia né al l' ordine riproduttivo, e riuscivano forse a essere più segrete62• Di fronte a un popolo che sembra essere percepito come fondamen talmente bisessuale, assalito da desideri ciechi, un disciplinamen to sempre più appassionato di interiorità si fermava sulla soglia di una condanna totale ma contraddittoria, così che il peccatore non era indotto a interrogarsi su moventi e implicazioni del proprio peccato63• Cieli tempestosi si addenseranno su un panorama così ordina tamente sregolato quando altre prospettive, altre parole e altri di scorsi cominceranno a comporre identità nuove, a tematizzare nuove colpe e nuovi diritti. Nel secolo dei Lumi nasceranno un carattere e una fisiologia, prenderà forma un personaggio capace di suscitare inquietudini profonde e di stimolare riflessioni inau dite: si affermerà che l'inclinazione alla sodomia nasce da nature diverse, abominevoli e affascinanti allo stesso tempo, si comincerà a proporre per esse l'eliminazione della pena civile. E la Chiesa dovrà tracciare un nuovo quadro, in cui soltanto alcuni tra i suoi fedeli - non più l'intero popolo - potranno essere prede di quel demonio e vittime dei suoi angeli vendicatori. 3 . Copula mercenaria Gli accampamenti dei Crociati che nell'XI secolo sostavano presso Costantinopoli in attesa di accordi con l'imperatore erano circondati da tende popolate da prostitute, numerose e organiz zate fino a costituire veri e propri bordelli. I soldati di Cristo po6 1 Cfr. anche, per la sodomìa tra maritì e mogli, C. Casanova, La sanzione penale dei reati «senza vittima» e nelle relazioni private (Bologna, XVII secolo),
Clueb, Bologna 2007. 62 Cfr. P. Lupo, Lo specchio incrinato. Storia e immagine dell'omosessualità /emmimle, Marsilìo, Venezìa 1998. 63 Cfr. anche M. Foucault, La volontà di sapere (1976), Feltrinelli, Milano 1978, p. 38
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tevano così occupare il proprio tempo e saziare i propri appetiti, e a eliminare tali traffici nulla poté lo stesso Gesù, che secondo il racconto dei reduci appariva qua e là intimando di porre fine a tanta in temperanza. Il ricordo dell'efficienza della prostituzione bizantina rimase anzi vivo nella memoria dei Crociati almeno quanto la visione ammonitrice del figlio di Dio. Nell'accampa mento egiziano di Damietta, durante la quinta Crociata, le pro stitute scivolavano silenziosamente di tenda in tenda offrendo i loro servizi ai soldati; e alla sesta Crociata, ancora in Egitto, Lui gi IX il santo re di Francia fu costretto a scacciare un numero con siderevole di seguaci perché avevano messo su un bordello pro prio vicino alla sua tenda64• Del resto, se molti erano partiti per riconquistare la Terra Santa agli infedeli, altri erano mossi dal più commerciale intento di reclutare e organizzare prostitute per le armate. Nessuno scandalo, nessuna inflessibile condanna, nessun ca stigo esemplare attendeva i più ardenti fra i cristiani che si intrat tenevano con le meretrici levantine; così come in Occidente, gio vani onesti e onorati padri di famiglia potevano sfogare la propria virile esuberanza fidando nella comprensione del confessore, che avrebbe inflitto loro una penitenza tollerabile e discreta. Perché peccavano, certo, ma il loro era un peccato per così dire idrauli co, inscritto nell'ordine della fisiologia dei sessi, lontano, nella percezione della società e della Chiesa, dalla lussuria e dalla per versione. Molti studiosi hanno chiamato tolleranza l'atteggiamen to del cristianesimo verso la prostituzione - un atteggiamento tan to durevole e coerente da apparire quasi immune ai mutamenti della storia - riconducendolo a un'impostazione «politica» tratta da Agostino, per il quale «come la cloaca impedisce che l'intero palazzo sia lordato dagli escrementi, il meretricio limita il disor dine sessuale a una parte soltanto della società e perciò è un male minore che occorre sopportare»65• Ma la relativa indulgenza mo strata nei secoli dalla Chiesa non deriva soltanto da valutazioni di opportunità nel governo delle anime, che hanno indotto a prefe64
Brundage, Law, Sex, and Christian Society, cit., pp. 2 1 1 e 466. L. Ferrante, Il valore del corpo, ovvero la gestione economica della sessua lità femminile, in Il lavoro delle donne, a cura di A. Groppi, Laterza, Roma-Ba ri 1996, p. 2 1 0 e nota 12. 65
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rire i rapporti mercenari agli adulteri e al disordine delle famiglie: essa trae forse le sue motivazioni anche da concezioni più com plesse, che attengono alla teologia e al diritto. Cominciò il canonista Graziano, nel XII secolo, a scomporre il problema secondo angolazioni inedite: nel suo Concordantia di scordantium canonum confermò la condanna complessiva formu lata dai suoi predecessori ma sostenne che l'essenza della prosti tuzione risiedeva nella promiscuità piuttosto che nello scambio economico tra prostituta e cliente. Dunque, una donna che aveva molti amanti era una prostituta, che ricevesse del denaro per le sue prestazioni oppure no, mentre il lato veniale della transazione passava in secondo piano, diventava un corollario irrilevante66• La definizione piacque ai canonisti e ai giuristi dei secoli successivi, che si affrettarono tutti a circoscrivere e a circostanziare, eviden ziando la necessità della dimensione pubblica della promiscuità: una donna che avesse diversi uomini in segreto - affermò il cano nista e teologo Tommaso di Chobham - non era una meretrice, così come non lo era, secondo il giurista e glossatore Francesco Accorso, colei che accettava normalmente denaro in cambio dei suoi favori. Gli stessi canonisti tuttavia si trovarono presto in di saccordo nei conteggi: quanti amanti avrebbe dovuto avere una donna per essere classificata come prostituta? il domenicano Gio vanni Teutonico suggerì sessanta, poi ne ridusse il numero a qua ranta, avviando una contrazione esponenziale: neanche un secolo più tardi gli amanti concessi dal giurista Odofredo - paganti o no - erano solo due, lo stesso numero consentito dagli statuti della città di Cremona, portato a cinque in molte città spagnole, persi no a undici ad Alhambra67• La nuova definizione del meretricio poneva l'accento su que stioni di ordine politico - la pubblicità, dunque la certezza dello scandalo, la probabilità della corruzione di innocenti - ma pog giava su un elemento, la promiscuità, a sua volta origine di pro blemi delicatissimi. La promiscuità costituiva un pericolo grave non solo perché era la dimostrazione evidente dell'abbandono dei fedeli alla fornicazione, ad accoppiamenti illegittimi indotti solo 66 Cfr. Brundage, Law, Sex, and Christian Society, cit., p. 248. lvi, pp. 390 e 465.
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dalle urgenze della carne; non solo perché implicava spesso ten tativi più o meno efficaci di contraccezione, iscrivendo la copula nella categoria abominevole degli amplessi infertili; non solo per ché l'infertilità avvicinava la copula alla polluzione volontaria, peccato altrettanto pesante anche se facilmente alleviabile con op portune motivazioni68. La conseguenza spaventosa della promi scuità, nella rappresentazione dei teologi medievali, era l'incesto. I canoni medievali ponevano l'impedimento al matrimonio per consanguineità fino al settimo grado di parentela; e soprattutto conferivano alla copula - anche a quella illecita - la capacità di creare legame, di dare luogo a un'affinità impossibile da spezza re, estesa fino a considerare ogni parente di un partner parente an che dell'altro69• Un popolo attraversato da una trama fitta, segre ta ma resistente, di legami di parentela, un popolo in cui ogni ma trimonio correva il rischio dell'incesto e dell'annullamento era dunque l'incubo di ogni canonista e di ogni pastore d'anime. La presenza di prostitute all'interno delle comunità allacciava nodi impossibili da sciogliere, grovigli di peccato e di diritto. Altri accoppiamenti invece non suscitavano nelle coscienze dei cristiani del Medioevo e del Rinascimento la ripugnanza esibita dalla sensibilità dei nostri giorni. Nella millenaria interlocuzione tra la Chiesa e il suo gregge, nelle intercessioni dei parroci per fa vorire matrimoni resi impellenti dalla precarietà economica e dal la gravidanza della sposa promessa, nelle suppliche di cognati e parenti che chiedevano la dispensa per sposarsi e proseguire le gittimamente commerci carnali e di bottega, sesso e denaro si ac compagnano spesso, sostenendosi a vicenda, ognuno con il suo potere e con la sua scarna eloquenza. Anche la transazione che accompagnava una copula mercena ria dunque non era colpa, né per la prostituta né per il cliente. Lo sostennero chiaramente nel XII secolo i commentatori dell'opera di Graziano: se era riprovevole per una meretrice esercitare il suo mestiere, non lo era accettare denaro in cambio dei suoi servizi, scrissero Uguccione da Pisa vescovo di Ferrara e Rufino arcive68
Cfr. supra. Cfr. J. Gaudemet, Il matrimonio in Occtdente ( 1 987), Società editrice in ternazionale, Torino 1989, p. 159. 69
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scovo di Sorrento70, e fu Tommaso d'Aquino, un secolo più tardi, a dirimere la questione: è necessario distinguere tra il motivo del compenso - un motivo che può anche essere contrario alla legge divina - e il compenso stesso, il quale in sé non contrasta né con la giustizia né con il volere di Dio7 1 . Intorno al 1300 poi l' arcidia cono di Bologna, Guido de Baisio, elaborò una teoria ardita per scagionare anche il cliente. Il problema era se pagare una prosti tuta aggiungesse un nuovo peccato a quello di fornicazione, e la risposta fu contorta ma tranquillizzante: pagarla sarebbe stato col pevole solo se il pagamento fosse stato promesso in anticipo allo scopo di persuadere la donna a compiere un atto che altrimenti avrebbe rifiutato - come forma di seduzione insomma; in tutti gli altri casi il pagamento sarebbe stato semplicemente la giusta ri compensa per il suo lavoro72• La posizione di de Baisio non con vinse del tutto i canonisti dei secoli successivi quando, in piena Controriforma, si trattava di offrire sostegni più saldi all'assolu zione dell'esborso economico e nello stesso tempo ribadire la con danna del meretricio. n pagamento rischiava infatti di apparire come il prezzo del peccato, e in quanto tale poteva acuirne la gra vità; la soluzione fu trovata con un elegante passo laterale, e il pa gamento non fu più pagamento ma dono. n dono - afferma il diritto - è un atto libero, non obbligato da alcuna legge, effettuato da una persona che consapevolmente vuole donare a una persona che consapevolmente vuole accetta re, a prescindere dalle qualità morali dei due attori; una categoria giuridica che si prestava bene a definire la conclusione del rap porto fra prostituta e cliente purgandola da ogni ambiguità pec caminosa73. Proprio questa definizione, tuttavia, nel momento in cui affermava l'innocenza dell'elargizione, poneva il problema della sua obbligatorietà: se il dono è atto volontario e liberale, co me garantire il compenso alla prostituta, cui alcuni degli stessi ca nonisti avevano negato il diritto di reclamare contro il cliente in70 Brundage, Law, Sex, and Christian Society, cit., p. 309. 7 1 Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, II, II, q. 32, a. 7, citato in Fer rante, Il valore del corpo, cit., p. 2 1 1. 72 Guido de Baisio, Rosarium decretorum, citato in Brundage, Law, Sex, and Christian Society, cit., p. 465. 73 Diego de Covarrubias y Leiva, Regulae peccatum. De regulis iuris libri VI, 1581 , citato in Ferrante, Il valore del corpo, cit., p. 212.
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solvente?74 Ancora una volta la questione fu risolta con sotti gliezza e fantasia: «laddove l'uomo prova diletto e piacere la don na incontra invece pericolo e fatica, pertanto l'unico mezzo per riequilibrare questo scambio così ineguale è il dono che per l'uo mo acquista il carattere di 'obbligazione naturale' cui è illecito sot trarsi»75. Non è sorprendente la puntigliosità con cui dal Medioevo alla prima età moderna canonisti e giuristi si sono applicati a elabora re le categorie più raffinate per dare sostegno giuridico al paga mento degli amplessi mercenari; la necessità di attenuare l'aura di colpa che circondava il meretricio - così da rendere meno con traddittoria la sua accettazione - era coerente con una percezione della copula carnale che aveva origini lontane. Nel diritto roma no il matrimonio era un consortium, una società basata sul con senso degli sposi e su un insieme di obblighi che andavano dalla fedeltà da parte della moglie al mantenimento da parte del mari to; il cristianesimo assorbì questa concezione introducendo tra gli obblighi per così dire fondativi l'unione sessuale, quel debitum in torno a cui teologi e canonisti costruirono complicate architettu re di impegni e divieti. Come in vasi comunicanti, la visione con trattualistica sembra così fluire dal matrimonio alla copula coniu gale e da questa alla copula fornicaria, associando ogni amplesso a un patto di scambio provvisto di implicazioni economiche de terminanti. n denaro che circolava intorno al meretricio dunque non era contaminato dalla fornicazione, ma possedeva anzi una sua pu rezza, fatta di leale rispetto di obblighi a qualunque titolo assun ti. Un dubbio tuttavia cominciò nel basso Medioevo a corrodere tanta serenità: tra i beneficiari di quei guadagni era possibile in cludere anche la Chiesa? Poteva una prostituta effettuare dona zioni ed elemosine alle istituzioni ecclesiastiche senza macchiarle del proprio peccato? Uguccione, di nuovo d'accordo con Rufino, sostenne di no, affermando che non si può fare elemosina di beni provenienti da azioni illecite, e cioè di beni acquisiti «attraverso il furto, o la rapina, o l'usura, o la simonia, o il gioco, o il meretri74
Cfr. Brundage, Law, Sex, and Christian Society, cit., p. 393 , nota 353. Lucia Ferrante, in Il valore del corpo, cit., p. 2 12, riprende le parole di Leo nardo Lessio [Leys], De justitia et jure, 1622. n
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cio, o con il lavoro degli attori, o dei matematici»76; mentre Gio vanni de Faenza, riprendendo Tommaso, si dichiarò possibilista, suggerendo che «agisce turpemente chi fa la prostituta, ma [ .. ] non agisce turpemente chi riceve da essa, benché sia prostituta»77• n dibattito proseguì appassionato, dividendo chi confermava la tesi di Uguccione dai molti altri e autorevoli canonisti del XIII se colo che cominciarono a introdurre dei distinguo decisivi: è vero - sostenevano - che alcuni guadagni illeciti come quelli prove nienti dal furto o dall'usura vanno rifiutati, ma è vero anche che le prostitute, al contrario dei ladri e degli usurai, hanno un dirit to riconosciuto a ricevere il loro compenso, e dunque possono an che donarlo78• Le divergenze si estesero presto a toccare questio ni istituzionali: era lecito introdurre tassazioni sui guadagni delle meretrici? La Bibbia lo proibisce ma la maggioranza dei giuristi finì con l'accettarlo, motivando le proprie tesi con le stesse argo mentazioni teoriche che giustificavano l'accettazione delle elemo sine. Un efficiente pragmatismo inoltre orientava la Chiesa tutta nel ritenere che fosse meglio esigere le decime e usarle a fini pii piuttosto che lasciare che il denaro fosse speso in inutili e pecca minose vanità79• Nei fatti, fin dal Medioevo le prostitute donavano candele per gli altari, elargivano elemosine e finanziamenti diversi, solo occa sionalmente rifiutati da preti e vescovi. Finché, intorno al XV se colo, un mutamento decisivo investì la concezione stessa del me retricio in tutta la società: non più male inevitabile da accettare ta citamente per evitare danni peggiori all'ordine familiare, la pro stituzione divenne un servizio di pubblica utilità, capace forse ad dirittura di contrastare il vizio nefando della sodomia, che in que gli stessi decenni pareva diffondersi irrefrenabilmente in molte città80, un servizio dunque da controllare e regolamentare81 • Tut te le teorie elaborate dai giuristi confluirono allora a sostenere comportamenti sessuali e scelte governative che presero a dilatar.
76 Cfr. Brundage, Law, Sex, and Christian Sodety, cit., p. 3 09. 77 Ibid. 78 lvi, p. 393 . 79 lvi, p . 394. 80 Cfr. supra. 81 Cfr. J. Rossiaud, La prostituzione nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari 1995.
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si, diffondendosi nelle latitudini e nei ceti sociali ed estendendosi dalle autorità civili a quelle religiose. Dapprima tollerati nelle zo ne più periferiche o degradate delle città, in Spagna, in Francia, in Italia, in tutta Europa i bordelli si insediarono nei quartieri più centrali o più facilmente accessibili, raggiunsero borghi fino ad al lora serviti da prostitute vaganti o occasionali, furono riorganiz zati e sottoposti a regolare tassazione dalle autorità municipali, passarono spesso sotto la loro diretta gestione. Nella Castiglia del Quattrocento la frequentazione dei lupanari era strettamente ri servata ai cristiani, e la pena di morte attendeva il moro o l'ebreo che avessero osato congiungersi con una delle prostitute che vi la voravano; il reddito assicurato dalle imposte di concessione inol tre costituiva per molte città - anche nei primi decenni del Cin quecento, durante il regno dei Re Cattolici - uno dei cespiti più significativi per i bilanci municipali82• Verso la fine del secolo a Di gione - che contava circa 2.500 abitanti in città e circa 10.000 nel baillage prosperavano un bordello municipale e diciotto priva ti, con un ruolo tutt'altro che marginale nelle entrate comunali83• Nei primi anni del Cinquecento poi le case di prostituzione che sorgevano vicino al fiume, a Siviglia, erano considerate un inve stimento lucroso e rispettabile, al punto che oltre alla municipa lità stessa ne erano proprietari enti ecclesiastici (incluso il capito lo della cattedrale), ospedali e comunità religiose84• A Firenze nel 1403 fu istituito l'Officio dell'Onestà, con la fi nalità politica di ostacolare il diffondersi della sodomia organiz zando e regolamentando la prostituzione: i suoi funzionari con- · cedevano a meretrici e lenoni le licenze per esercitare la loro atti vità e gestivano i bordelli pubblici, tre in cui nel 1436 lavoravano circa settanta donne con l'obiettivo di affermare i piaceri dei rap-
82 Cfr. D. Menjot, Prostitution et ruffianage dans !es villes de Castille à la /in du Moyen Age, in Bulletin n. 19 de l'International Association for the History of
Crime and Criminal Justice, 1994. 83 Cfr. Rossiaud, La prostituzione nel Medioevo, cit., p. 9. 84 Cfr. R. Pike, Aristocrats and Traders: Sevillian Society in the Sixteenth Cen tury, Cornell University Press, lthaca 1972; M.E. Perry, Crime and Society in Early Modern Seville, University Press of New England, Hanover 1980; Ead.,
Deviant Insiders: Legali:r.ed Prostitutes and a Consciousness o/ Women in Early Modern Seville, in «Comparative Studies in Society and History>>, vol. 27, l , 1985.
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porti eterosessuali. Inoltre, in ossequio al diritto canonico che proibiva alle prostitute di reclamare in prima persona contro abu si e insolvenze, i magistrati dell'Onestà le rappresentavano in giu dizio, offrendo così un accesso ai tribunali più diretto di quello consentito nello stesso periodo alle donne oneste85• Anche a Bologna nella seconda metà del Quattrocento esiste vano non solo il pubblico lupanare, fatto di un gruppo di case e di osterie situate proprio al centro della città, ma anche un regi stro delle meretrici e una magistratura - l'Ufficio delle Bollette che aveva tra i suoi compiti quello di redigere il registro, indivi duare e legalizzare le prostitute clandestine, imporre e riscuotere le imposte sulla prostituzione, giudicare nelle cause in cui fossero coinvolte le meretrici86• E quando papa Giulio Il nel 15 13 annetté la città allo Stato pontificio non pensò affatto di abolire tanta or ganizzazione: si limitò a chiudere il bordello, un po' per arginare il diffondersi della sifilide e un po' per soddisfare le richieste dei padri cappuccini, la cui chiesa sorgeva accanto alla zona «a luci rosse» che turbava spesso con i suoi schiamazzi il pio svolgimen to di funzioni e devozioni. Il governo papalino conservò il registro e l'organismo giudiziario: fino a Seicento inoltrato dunque le pro stitute bolognesi poterono rivolgersi all'Ufficio delle Bollette per reclamare il pagamento delle proprie prestazioni. Chiedevano il sostegno della magistratura «pro mercede carnali» e i giudici, in difesa di quella «obbligazione naturale» che si era stabilita tra le donne e i loro clienti, condannavano questi ultimi a pagare una o due lire per una notte, alcune decine per un rapporto esclusivo durato vari anni. Così Lucrezia Malaguti reclamò nel 1604 chie dendo di essere pagata «pro concubito et re carnali», avendo pas sato la notte con un cliente che pensava di essersela cavata of frendole la cena; e quando, per garantire i diritti di Camilla Beni ni, i giudici interrogarono nel 1 625 lo sbirro Sebastiano Belpassi, gli chiesero se fosse a conoscenza del fatto che «qualsivoglia don85 Cfr. S. Cohen, The Evolution o/ Women's Asylums since 1 500: From Re fuges/or Ex-Prostitutes to Shelters/or Battered Women, Oxford University Press, Oxford 1 992, pp. 42-44; M.S. Mazzi, Prostitute e lenoni nella Firenze del Quat trocento, ll Saggiatore, Milano 1991; RC. Trexler, Famiglia e potere a Firenze nel Rinascimento, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1990. 86 L. Ferrante, Pro mercede carnali. . . Il giusto pre:r.:r.o n'vendicato in tribunale, in «Memoria. Rivista di storia delle donne», 2, 1 986.
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na, ancor che meretrice, che si induce a lasciarsi godere carnal mente da qualsivoglia sbirro merita molta maggior recognitione di quello meritaria da qualsivoglia altro non facesse detta profes sione di sbirro», sostenendo in pratica che l'infamia dello sbirro era senz' altro superiore a quella della prostituta87• Se dal meretricio provenivano imposte sicure e laute elargizio ni, era necessario che il popolo delle prostitute fosse riconoscibi le e separato dal resto della comunità. Oltre che a facilitare censi menti e tassazioni, l'identificazione si rendeva indispensabile a un insieme di scopi: in società - come quelle del tardo Medioevo e della prima età moderna - in cui l'appartenenza a corpi e a ceti doveva essere immediatamente leggibile attraverso grammatiche tutte esteriori, doveva essere impossibile scambiare per prostitu ta una donna onesta, mettendone a rischio l' onorabilità con in terlocuzioni inopportune; altrettanto semplice doveva risultare il riconoscimento a preti e religiosi, così che potessero allontanare le donne di mala vita dalle processioni o dalle funzioni più solen ni; anche gli sbirri infine dovevano appurare agevolmente iscri zioni ai registri e patenti di esercizio, aggiungendo l'efficacia del controllo poliziesco all'eliminazione di ogni contaminazione so ciale e religiosa. I segni della diversità dovevano essere posti nell'abbigliamen to e nell'acconciatura: avevano cominciato a suggerirlo alcuni ca nonisti del XIII secolo, riprendendo un'antica legge romana se condo la quale le matrone che si fossero vestite come le prostitu te avrebbero perso i loro privilegi sociali. Molti statuti municipa li si affrettarono ad accogliere l'indicazione, stabilendo ognuno a suo modo il marchio della separatezza: il colore in molte aree di lingua tedesca, così che le prostitute dovevano vestire di verde ad Augusta, di rosso a Zurigo, di giallo a Vienna e a Lipsia, mentre dovevano portare una cuffia color zafferano a Cordova in Spagna; lo stile dell'abito o addirittura la fabbrica di produzione in altre città; i gioielli, gli orecchini in particolare, in altre ancora88• An che i comportamenti erano regolamentati, in alcune zone all'inse gna di una contaminazione che accomunava ebrei e meretrici: ad 87 88
lvi, p. 49. Brundage, Law, Sex, and Christian Society, cit., p. 468.
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Avignone, secondo lo statuto del 1243 , né gli uni né le altre pote vano toccare il pane o la frutta esposti nei mercati, a meno di non comprare ciò che avevano tastato89• In altri paesi il principio ispi ratore era la distinzione sociale: nella Roma papalina bandi reite rati fino al XVII secolo e oltre proibivano alle prostitute di anda re in carrozza, sotto la pena della frusta, dell'esilio, della confisca della carrozza, dei cavalli, dei vestiti e dei gioielli indossati90• Introdotti in genere nel Duecento, tali prowedimenti rimase ro attivi nei secoli subito seguenti - quando la prostituzione fu concepita come un proficuo servizio sociale, di cui andavano ri conosciuti gli operatori, più che come una vergogna appena tol lerabile - e furono confermati in epoca di Controriforma, quan do i dettami del Concilio di Trento imposero di isolare e garanti re l'ordine delle famiglie, e quando le nuove responsabilità pasto rali e anagrafiche dei parroci resero necessario conoscere e ben di stinguere i fedeli91 • n senso dell'identificazione risiedeva infatti non nel progetto di estirpare la prostituzione ma in quello di go vernarla, in una cooperazione efficace tra poteri laici e istituzioni ecclesiastiche. Identificate, separate, segregate, le meretrici non erano tutta via depositarie di un marchio indelebile, di una colpa foriera di dannazione eterna; nella percezione sociale, nelle rappresentazio ni letterarie, nelle elaborazioni giuridiche e teologiche il peccato più esecrabile era semmai quello di chi si faceva tramite e sfrutta tore delle copule mercenarie. Nel Medioevo i canonisti bollavano di infamia mezzane e lenoni, ritenuti personalmente responsabili di ogni trasgressione commessa dalle donne da loro controllate, condannavano in misura appena inferiore i proprietari dei bor delli e chi aiutava le prostitute ad adornarsi; ma nel Rinascimento e nella prima età moderna anche quell'infamia era svanita, scalza ta dal più concreto proposito di acquisirne vantaggio economico. Nel lungo periodo della storia del cristianesimo, invece, l'imma gine della prostituta veniva associata, più che a un'innata depra-
89 lvi, p. 469. 90 Archivio di
Stato di Roma, Biblioteca, Bandi, b. 4 1 0 (si ringrazia Angela Groppi per la segnalazione). 9 1 Cfr. L. Allegra, Il pa"oco: un mediatore fra alta e bassa cultura, in Storia d'Italia. Annali, vol. IV, Intellettuali e potere, Einaudi, Torino 198 1 .
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vazione, all'abbandono nella povertà e nella solitudine, a una lot ta per la sopravvivenza priva di appoggi familiari e istituzionali. La sua colpa era la debolezza della vittima, la disperazione della sedotta. Come tale dunque era reversibile, conservava la speran za del riscatto. L'aveva mostrato Maria Maddalena, la redenzione era possibi le, e la riabilitazione delle meretrici fu un impegno costante del cristianesimo. Nell'XI secolo il culto della Maddalena fu attiva mente stimolato da papa Leone IX, mentre Ivo di Chartres rac comandava come un atto di grande carità cristiana quello di spo sare una prostituta strappandola alla sua vita di peccato92• Un se colo dopo il progetto prese ad ampliarsi, e il recupero non si li mitò più al matrimonio - meritorio ma sporadico - tra un singo lo fedele e una singola meretrice; divenne dapprima scelta pasto rale, poi programma istituzionale. Nei primi anni del Duecento, in Francia, il predicatore Folco di Neuilly seppe indurre al penti mento un gran numero di prostitute, al punto che dovette trova re un convento vicino Parigi dove riunirle e garantire loro un'esi stenza protetta e penitente. Fu l'inizio di un movimento che si estese in tutta Europa e per tutta l'età moderna, coinvolgendo soggetti laici e istituzioni ecclesiastiche in politiche complesse di carità, di scambi economici e di visibilità sociale. In Renania Ro dolfo di Worms fondò l'ordine di Santa Maria Maddalena, ap provato da papa Gregorio IX nel 1227 e subito esteso a molte città francesi e tedesche: le prostitute pentite si ricoveravano nei con venti dell'ordine e vivevano vestite di bianco una vita di preghie ra, in attesa di prendere i voti o di tornare al mondo trovando un marito93. Non si poteva certo, infatti, vincolare alla monacazione la possibilità del riscatto, !imitandola a una scelta forse inadatta a molte; il matrimonio rimaneva la soluzione più sicura, la sanato da garantita di ogni vita dissoluta. n progetto allora non parve completo se non avesse affiancato alla fondazione di conventi specifici la raccolta e l'erogazione di doti, capaci di attirare uomini alla ricerca di nozze convenienti. E la missione del recupero delle prostitute divenne una fitta ramifi cazione di elargizioni, lasciti, finanziamenti e trattative. 92 93
Ivo di Chartres, Decretum, 8. 37-38. Brundage, Law, Sex, and Christian Society, cit., p. 395.
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I conventi sembravano infatti al tempo stesso troppo prowi sori e troppo definitivi, a seconda che li si osservasse dal punto di vista del ricovero immediato dalla strada o da quello della scelta dei voti; e anche troppo promiscui, nel loro unire in convivenza prostitute pentite, vergini consacrate alla preghiera, nobildonne consegnate al velo dalle politiche familiari. Erano necessari istitu ti specializzati dove le donne di mala vita potessero consumare il loro pentimento e ricevere gli strumenti indispensabili a una one sta esistenza nel mondo: i rudimenti di un mestiere, una dote, una nuova garanzia di onorabilità. I ricoveri per le meretrici in cerca di riscatto fiorirono in tutta Europa a partire dal Cinquecento, quando la tensione contro riformista indusse la Chiesa cattolica e i potenti devoti a gareg giare con il rigore protestante nell'ostentare impegno contro ogni pubblica depravazione. Erano retti da congregazioni e confrater nite istituite ad hoc, o comunque in grado di riservare alla loro ge stione una parte cospicua della propria attività, supportate da no bili, mercanti, prelati, dame, tutti desiderosi di investire denaro e risorse relazionali in istituzioni pie, capaci di remunerare copio samente in termini di patronage e di visibilità. Divennero ben pre sto istituzioni complesse, dalle attività diversificate: fornivano asi lo, espiazione e formazione alle prostitute redente, collocavano sul mercato i manufatti prodotti dalle ricoverate, bandivano e as segnavano periodicamente doti da aggiungere al capitale ricosti tuito di onore e abilità. Altrettanto diversificate dovevano essere dunque le risorse finanziarie che alimentavano tanto impegno: rendite dei patrimoni delle congregazioni stesse, proventi delle attività svolte all'interno degli istituti, elemosine ed elargizioni periodicamente sollecitate o imposte ai congregati, lasciti testa mentari di cittadini abbienti. L'intreccio di missione pastorale, ca rità privata, interessi economici, strategie familiari, carriere ec clesiastiche, politiche di assistenza pubblica non poteva essere più fitto. Uno degli istituti più antichi fu quello di Santa Caterina della Rosa a Roma, fondato dalla Compagnia delle vergini miserabili, una confraternita di laici e di ecclesiastici istituita nel 1536 allo scopo di «prowedere e owiare a' molti scandali ch'accorrevano per le figliole di cortigiane e di poveri huomini le quali erano al-
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levate a malavita»94; tra i suoi fini caritatevoli figurava dunque an che la prevenzione, inaugurando quel filone di ricoveri per «peri colanti» che avrebbe avuto grande sviluppo nei secoli successivi95. Nel 1579 nacque a Firenze la Compagnia di Santa Maria Mad dalena sopra le Malmaritate, una confraternita di laici ed eccle siastici che fondò la Casa delle Malmaritate - un ricovero per pro stitute pentite e donne di dubbia moralità - e che seppe trovare subito un accordo vantaggioso con le altre istituzioni cittadine: il rigore controriformista e la paura della sifilide avevano infatti da to nuovo impulso alla promozione delle redenzioni, e la magi stratura dell'Onestà si impegnò a destinare parte dei suoi proven ti al finanziamento del locale monastero delle Convertite e alla Ca sa delle Malmaritate. Si instaurava così un circuito ipocrita ma vir tuoso: le tasse pagate dalle prostitute per esercitare il mestiere ser vivano anche per redimerle e ricoverarle dopo il pentimento96• Del resto, smentendo le leggi medievali, alla metà del secolo una disposizione del governo cittadino aveva stabilito che le meretri ci potessero risiedere anche a poca distanza dai conventi, purché vivessero in apparente modestà e decenza97• Alla fine del Cinquecento l'offerta di riscatto riservata a Bolo gna alle prostitute era ricca e diversificata: c'era la Casa del Soc corso di San Paolo, retta anch'essa da una congregazione di laici ed ecclesiastici e destinata ad accogliere donne cadute nel pecca to per reinserirle nella società attraverso il matrimonio, la collo cazione a servizio presso famiglie oneste o la monacazione98; c'e ra il convento dei Santi Giacomo e Filippo, detto delle Converti te, istituito nel 1568 per accogliere le prostitute pentite che desi94 Citato in A. Groppi, I conservatori della virtù. Donne recluse nella Roma dei Papi, Laterza, Roma-Bari 1 994, p. 2 1 . 9� Cfr. Groppi, I conservatori della virtù, ci t., e A . Camerano, Assistenza ri chiesta ed assistenza imposta: il Conservatorio di S. Caterina della Rosa di Roma,
«Quaderni storici», 82, 1993. 96 Cfr. Cohen, The Evolution o/ Women's Asylums since 1500, cit., p. 45. 97 lvi, p. 5 1 . 98 L . Ferrante, L'onore ritrovato. Donne nella casa del soccorso di S. Paolo a Bologna (sec. XVI-XVII), in «Quaderni storici», 53, 1983; Ead., Patronesse e pa in
troni in un'istituzione assistenziale femminile (Bologna, sec. XVII), in Ragnatele di rapportz: Patronage e reti di relazione nella storia delle donne, a cura di L. Fer rante, M. Palazzi e G. Pomata, Rosenberg & Sellier, Torino 1988.
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deravano prendere i voti; c'era l'intervento certificatore dell'Uffi cio delle Bollette. Oltre alla prerogativa di giudicare e valutare il «giusto prezzo» di ogni amplesso mercenario, l'Ufficio delle Bol lette aveva infatti un altro, decisivo, potere: quello di cancellare dai propri registri il nome di una prostituta, restituendola così a una vita rispettabile e onorata. Certo non era facile: bisognava avere un certificato di matrimonio - l'unico documento capace di reintegrare definitivamente l'onore di una donna deflorata -, op pure il parere favorevole del Sindaco delle Madri Convertite, me glio se accompagnato da una lauta elemosina alle religiose del convento. Muovere la disponibilità di quelle monache a ricono scere la nuova onestà delle ex meretrici era obiettivo non sempre realizzabile, e non solo per la diffidenza delle suore verso penti menti forse solo di facciata. Grazie a un decreto di papa Pio V in vigore dal 1569, l'anno successivo alla fondazione, il convento del le Convertite - come molti altri analoghi, in altre città - godeva della prerogativa di ereditare i beni delle prostitute. Ogni cancel lazione dal registro redatto dall'Ufficio delle Bollette comportava dunque sì la riabilitazione di una donna non più perduta, ma an che la scomparsa di una probabile entrata per l'istituto99• Intorno al recupero delle meretrici, tra laici e religiosi, tra istituzioni civi li e istituzioni ecclesiastiche, si accendevano non solo collabora zioni fruttuose ma anche conflitti di interessi, aspre rivalità. TI modello italiano si estese a molti paesi cattolici europei, e i ricoveri per prostitute pentite si moltiplicarono per tutta l'età mo derna, ripetendo all'infinito denominazioni e schemi organizzati vi: all'inizio del Seicento i gesuiti fondarono a Siviglia la Casa Pia, nel 1619 nacque a Madrid il rifugio di Santa Maria Magdalena de la Penitencia, mentre l'esempio delle casas de recogidas comincia va a espandersi perfino nelle terre della Conquista; a Marsiglia fu fondato nel 1640 l'Ospizio del Rifugio e nel 1668 il rifugio di Cler mont; verso la fine del secolo a Lione la potente confraternita del la Compagnia del Santo Sacramento istituì il rifugio delle Reclu se e quello delle Penitenti100• 99 Ferrante, Pro mercede carnali , cit. 100 Cfr. Cohen, The Evolution of Women's ...
128- 129.
Asylums since 1500, cit.,
pp.
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Negli asili per le ex prostitute era incluso fin dall'inizio un ger me prolifico, che nelle rappresentazioni sociali e nelle esperienze operative generò lentamente ma coerentemente ampliamenti di destinazione, associazioni di significato, slittamenti di collocazio ne nel panorama della beneficenza pubblica e privata dell'Euro pa cattolica. Fondati con lo scopo specifico di dare ricovero alle meretrici pentite, gli istituti offrirono il primo esempio di reclu sione femminile: presto nuove case aprirono le porte a donne di reputazione dubbia, a mogli abbandonate, a vedove, a zitelle po vere, a tutte le donne prive di un capofamiglia capace di dare ga ranzie di tutela, perché tutte le donne sole erano minacciate e mi nacciose, e perché i confini del popolo delle prostitute rimasero sempre mobili e incerti. Nuove confraternite furono create per re stituire onestà alle donne perdute ma anche per smacchiare ono rabilità offuscate, per conservare virtù in pericolo. A partire dal Seicento fino al Novecento, la reclusione delle donne divenne una forma di sostegno alle famiglie e una risorsa decisiva per poveri e marginali: dalla redenzione all'assistenza, nascevano dalla prosti tuzione gli embrioni del wel/are moderno101• 4 . I.:impotenza li disordine che nella lunga storia del cristianesimo era asso ciato al sesso non riguardava soltanto gli eccessi del desiderio o le pratiche immonde della lussuria più sfrenata. Come se missione e passione della Chiesa fossero esclusivamente la negazione e la re pressione di ogni istintualità. Disordine sessuale era anche il si lenzio dei corpi, colpevoli erano i membri virili che si rifiutavano di funzionare secondo i dettami del diritto canonico, era obbligo congiungersi spesso e fertilmente, traendone un piacere confor me alla legge ecclesiastica. E godere dell'amplesso coniugale era un diritto da garantire a tutti, anche alle minoranze dotate di cor pi abnormi e doppi, di genitali sproporzionati o chiusi alla legitti ma penetrazione. La tutela del diritto a un'ordinata sessualità ha trovato nei se101
Su tutto questo si veda Groppi, I conservatori della virtù, cit.
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coli terreni d'applicazione impervi, che la storiografia ha quasi sempre ricondotto alla complessità inesauribile della dottrina sul matrimonio; essa rimanda invece anche a questioni altrettanto de licate, come la teoria della sovranità, la cooperazione e il conflitto con il sapere scientifico, la violenza sempre connessa all'applica zione della legge. Nella seconda metà del IX secolo, negli stessi anni in cui l'ar civescovo di Reims Incmaro pose la copula carnale a fondamento del matrimonio cristiano102, l'impossibilità di consumare le noz ze, e dunque di portare a compimento il sacramento, prese a co stituire per i canonisti un terreno di esercitazione ricco e articola to, fertile di sviluppi a volte inauditi. Come conseguenza del po tere fondativo dell'amplesso, nell'alto Medioevo l'incapacità ses suale di uno dei coniugi divenne causa possibile di separazione e nuove nozze. Ma con una serie di cautele. Occorreva verificare che l'impotenza fosse innata, che precedesse cioè il matrimonio, e che non fosse invece transitoria, dovuta magari a sortilegi o male fici. Se si fosse appurata un'impotenza permanente, il coniuge «sano» avrebbe potuto risposarsi, ottenendo così la garanzia di una soddisfacente sessualità coniugale, mentre l'altro avrebbe do vuto vivere in castità permanente; se all'origine di tutto si fosse trovata invece una magia, i coniugi colpiti avrebbero dovuto di giunare, fare elemosine, pregare, sottoporsi a esorcismi, avrebbe ro infine potuto essere separati, ma mai più procedere a seconde nozze. La teoria sul matrimonio era appena abbozzata: non esi steva ancora l'idea di nullità, un concetto che richiedeva un senso giuridico capace di dissociare una situazione di fatto - un'unione esistente - da uno stato di diritto, la rispondenza cioè a requisiti stabiliti da norme universalP03. Qualche secolo dopo, verso la fi ne del l l OO, la messa a punto di un sistema teorico compiuto su gli impedimenti ebbe conseguenze evidenti anche sulla concezio ne dell'indissolubilità, e offrì nuovi argomenti di riflessione sul l'impotenza e sul diritto alla sessualità. L'impossibilità di congiungersi carnalmente fu classificata tra gli impedimenti assoluti, capaci di rendere nullo un matrimonio 102 Cfr. supra, cap. III. 103 Gaudemet, Il matrimonio in Occidente, cit., p. 146.
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già contratto indipendentemente dalla volontà dei coniugi; il pa pa dunque avrebbe potuto dissolvere le unioni non consumate poiché il legame matrimoniale era stabilito dalla Chiesa e non dal la legge divina o naturale. Il potere papale sul matrimonio au mentava enormemente, e rischiava di entrare in conflitto con la teoria che poneva le basi del legame sul consenso reciproco dei coniugi; alcuni canonisti proposero allora una soluzione che inte grava la questione dell'impotenza nella perfezione del consenso. Secondo Stefano, vescovo di Tournai, la capacità sessuale era una condizione essenziale su cui doveva basarsi il consenso, una sorta di prerequisito alla stipulazione del contratto matrimoniale104• Al tri si dichiararono semplicemente in disaccordo con le decretali che conferivano al papa il potere di sciogliere i matrimoni non consumati, e cercarono almeno di !imitarne la casistica: si affermò, per esempio, che non si sarebbero dovute annullare le nozze mi nate dall'impotenza senile, perché quest'ultima avrebbe potuto essere superata, almeno a intermittenza, attraverso medicine e diete opportune105. Di fatto, il papato fu chiamato spesso a diri mere questioni coniugali controverse, e la necessità di appurare, verificare, circoscrivere si fece sempre più stringente. Uguccione propose una classificazione di successo distinguendo tre cause di impotenza: quelle fisiche, quelle mentali, connesse alla follia, quelle sia fisiche che mentali, come l'età troppo giovane. Mentre le ultime due erano cause certe di nullità, l'impotenza esclusiva mente fisica richiedeva indagini più accurate: bisognava appura re che fosse congenita e non acquisita, bisognava soprattutto pro varne l'autenticità. Questione spinosissima, la prova dell'incapacità sessuale met teva in risalto i limiti degli strumenti utilizzati dalla Chiesa per go vernare comportamenti sessuali e moralità dei fedeli. Confessio ni, giuramenti e testimonianze - le conoscenze normalmente ac quisite attraverso la strategia della parola - non potevano consi derarsi sufficienti per giudicare su argomenti tanto intimi; soprat tutto - percorrendo all'inverso l'itinerario che, dall'esteriorità di peccati e penitenze tutte fisiche, stava conducendo la pastorale 1 04 Brundage, Law, Sex, and Christian Society, cit., p. 291. M lvi, p. 376.
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cristiana nel profondo di anime, intenzioni, desideri - era neces sario che a esprimersi fossero i corpi. I corpi di uomini e donne, e loro soltanto. L'impotenza, infatti, non riguardava soltanto membri virili ina datti alla penetrazione, ma comprendeva nel suo ambiguo disor dine vagine serrate, imeni impossibili da perforare. Genitali ribelli all'obbligo coniugale, immaturi, maledetti da sortilegi o congeni tamente estranei all'accoppiamento dovevano essere svelati, ispe zionati, messi alla prova e curati se possibile, in vista del bene su periore della legittimità matrimoniale. E per questo, con prelati e giudici ufficialmente incompetenti di organi sessuali dovevano collaborare altri saperi e altre esperienze, convocati dalla Chiesa con pragmatica spregiudicatezza. Giuristi e teologi si confrontarono dapprima sul grado di im potenza tollerabile: mentre Bernardo di Montemirato sosteneva che per ritenere valido il matrimonio l'uomo dovesse essere in gra do non solo di penetrare, ma anche di effondere il seme, Tomma so d'Aquino e Bonaventura non consideravano indispensabile l'eiaculazione, visto che la questione da dirimere era la consuma zione e non la sterilità, e altri canonisti arrivarono a sostenere che il matrimonio potesse essere consumato anche con la sola insemi nazione, «sine effractione claustri pudoris»106• Stabilirono poi tre procedimenti convenzionali per ottenere la prova, sia dell'impotentia coeundi che della /rigiditas: un'accurata ispezione dei genitali, sia dell'uomo che della donna, la testimo nianza giurata dei vicini, la certezza di una coabitazione conti nuata di almeno tre anni. La parte più complessa era ovviamente quella dell'ispezione. Se c'era da verificare l'incapacità del marito si cominciava con il controllare la verginità della moglie; se l'ime ne era intatto si doveva avviare l'esame del marito, alla ricerca di tracce di immaturità o di anomalie fisiche. Se anche questa circo stanza fosse stata da escludere occorreva spingersi oltre, all'inda gine sul funzionamento. Ma non si poteva certo esigere che fosse ro i giudici - maschi e preti - a stimolare membri apatici per pro vocarne una qualche reazione; nei tribunali ecclesiastici inglesi si ricorreva spesso all'aiuto di donne di provata esperienza (proba106
Petrus de Sarnpsone, Lectura in decreta/es, citato ivi, p. 456, nota 201.
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bilmente prostitute) che si adoperavano a baciare, carezzare, stro finare pene e testicoli dell'esaminando per provocarne l'erezione. Se la prova - naturalmente pubblica - fosse fallita, con tutta pro babilità il tribunale avrebbe riconosciuto l'impotenza del marito. Giudici per esperienza anziché per carriera ecclesiastica, le pro stitute avevano così l'ultima parola sulla validità del sacramento matrimoniale. La verifica e il trattamento dell'incapacità femminile potevano essere ancora più radicali. L'impossibilità dell'amplesso poteva di pendere da un imene troppo spesso o dal disturbo oggi chiamato vaginismo: in entrambi i casi Guglielmo di Pagula, canonista dd XIV secolo, aveva pronta la soluzione. Con uno sguardo attento alle eventuali difficoltà di erezione del marito, il quale forse <<non può copulare con una vergine, ma può farlo con una corrotta», Guglielmo suggeriva che «con una medicina o con qualche altro strumento si potessero rompere gli sbarramenti della 'pudicizia', e tale intervento non avrebbe offeso il matrimonio perché sareb be stato compiuto non a scopo di concupiscenza ma a scopo di cu ra»107. Se lo sverginamento chirurgico poteva aver ragione delle resistenze dell'imene, i rimedi per il vaginismo dovevano essere, per così dire, ancora più empirici. Le difficoltà di penetrazione po tevano derivare anche da una sproporzione tra genitali maschili e femminili; la cura consigliata dal canonista era allora la promi scuità. La vagina si sarebbe dischiusa attraverso coiti ripetuti con un partner dalle dotazioni più compatibili, e così la moglie sareb be divenuta progressivamente capace di accogliere il coniuge le gittimo. L'impotenza relativa - quella appunto che impediva la co pula esclusivamente con il coniuge ma non con altri - era stata già al centro delle preoccupazioni dei canonisti trecenteschi: e Tan credi aveva discusso il caso di una donna che, dopo un primo ma trimonio sciolto per l'impossibilità di consumarlo, aveva preso un secondo marito con cui si era congiunta felicemente. Doveva tor nare dal primo marito e riprovare con lui? Tancredi aveva ritenu to di sì, aggiungendo che se il primo tentativo fosse andato a vuo to la donna sarebbe dovuta tornare dal secondo marito e poi an107
205.
Guglielmo di Pagula, Summa summarum, 4 . 1 3 , citato ivi, p. 458, nota
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cora dal primo, per almeno tre volte. Giovanni Teutonico era sta to più intransigente, e aveva sostenuto che la donna sarebbe do vuta andare e venire da un marito all'altro all'infinito108• Le soluzioni proposte da Guglielmo di Pagula apparvero for se più sensate dell'andirivieni erotico voluto dai suoi predecesso ri, ma anche troppo creative, se nei secoli successivi i canonisti ri presero e acquisirono la scelta chirurgica ma lasciarono cadere l'intervento dilatatore del volenteroso terzo; le seduzioni delle prostitute non avevano il potere di contaminare il marito in difet to d'erezione, ma una pratica sessuale ripetuta della moglie con un altro partner, anche se propedeutica a quella legittima, doveva apparire troppo minacciosa per essere addirittura imposta per vie legali. Alla fine del XVII secolo, la Summa Diana cita autorevoli teo logi per riproporre l'incisione, sottolineandone tuttavia la perico losità e la delicatezza e soprattutto distribuendo tra i coniugi re sponsabilità e oneri: La donna che si sposa con l'impedimento di una straordinaria strettezza a causa della quale deve ritenersi inadatta all'uso del marito, se non c'è pericolo di morte o di grave e pericolosa infermità, può es sere sottoposta all'incisione, e diventare adatta. E questo lo imputerà certamente a se stessa: perché non si era esaminata prima delle nozze. [ ] Se invece ella è di per sé adatta alla cç>pula, e l'uomo è trovato in capace per la straordinaria grandezza, o debolezza, dei genitali, non è tenuta a patire l'incisione anche se potesse farlo comodamente, poiché dato che il difetto è nell'uomo all'uomo tocca trovare il rimedio e ren dersi adatto, soprattutto perché la natura virginale ha orrore dell'inci sione, e l'onestà non la tollera facilmente.109 ...
Qualcosa è cambiato, e profondamente: il principio di re sponsabilità personale ha pervaso anche l'amministrazione del 1 08 lvi, pp. 378-379_ 1 09 Summa Diana. In
qua opera omnia duodecism Partibus comprehenda An tonius Cotonius Siculus tertzj Ordinis Sancti Francisci, necnon Andreas Guadagno S. T. D. Septem à primo, ceateris ab hoc expletis, IN unicum volumen, alphabetico simul & doctrinali ordine digestum & bipartitum, eodem Antonino Diana Panor mitano clerico regulari [. . ] Notabili legentium commodo ac utilitate, arctarunt & eleganter remiserunt [...], Venetiis, Apud Benedictum Milochum, MDCLXXVI, .
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matrimonio e la sessualità, la Chiesa non è più padrona assoluta di corpi da manipolare in vista del bene supremo del congiungi mento coniugale, uomini e donne devono garantire la propria ca pacità persino mediante autoispezioni prenuziali. Nell'Europa cristiana i soggetti si costituiscono anche attraverso appropriazio ni ed espropriazioni: acquisiscono frammenti di dominio su cor pi e desideri, perdono l'innocenza di esistenze prima governate da una legge pervasiva e imperscrutabile. «li matrimonio - spiega la Summa Diana - è celebrato infatti sotto la tacita condizione che i coniugi siano adatti non genericamente all'altro sesso considera to in toto, ma a quel coniuge in particolare; per cui se un uomo, adatto a qualche altra donna, è inadatto proprio a sua moglie, che di per sé è adatta ad altri, anche se essa potesse con una piccola incisione diventare adatta anche a un uomo di proporzioni enor mi non è tenuta a sottoporvisi, né l'uomo acquisisce il dominio sul suo corpo; ma il matrimonio deve essere sciolto»110• li sacro vin colo del matrimonio è così minacciato dalla disarmonia dei geni tali, la sua indissolubilità deve arrendersi di fronte alle spropor zioni reciproche di membri e vagine. L'incapacità relativa apriva la strada a circostanze e contrattazioni che rendevano ogni caso di impotenza una storia a sé, impossibile da ricondurre a classifica zioni generali e inappellabili. A meno che non intervenisse di nuo vo una scienza medica decisa a imporre il proprio sapere a giudi ci dubbiosi e comprensivi, rassicurandoli sulle infinite possibilità di accoglienza delle donne. In pieno Seicento Paolo Zacchia, medico personale dei papi Innocenza X e Alessandro VII, consulente legale del tribunale della Sacra Rota e fondatore della moderna medicina legale, nel le sue Quaestiones medico legales si adoperò a sviscerare con se vera analiticità la materia dell'impotenza, proponendo una casi stica anche riguardo alle dimensioni dei genitali maschili. I risul tati tranquillizzarono quasi tutti - prelati d�siderosi di salvaguar dare il legame coniugale e mariti incerti delle proprie dotazioni ispirati com'erano dall'immagine di una vagina onnivora e infini tamente adattabile, e di donne disposte o obbligate ad accettare qualunque conseguenza dell'amplesso. L'eccessiva lunghezza del 1 10
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pene - sostiene Zacchia - non impedisce la copula, anche se può provocare nella donna incomodi non irrilevanti come incontinen za, diarrea continua, prolasso uterino; la grossezza non costituisce mai un impedimento tale da non poter essere superato dalle ca ratteristiche stesse dei genitali femminili, poiché non è possibile «che una donna non lasci entrare un uomo per la grandezza del suo membro, o che non possa tollerarlo»1 1 1; le donne poi non si lamentano di membri corti purché siano abbastanza larghi, e so lo l'eccessiva sottigliezza può diminuire, se non impedire del tut to, il piacere coniugale. Un'esperienza medica ottimistica e orien tata si propone ormai non più come partner cruento e incurante del pudore femminile, ma come interlocutore e consigliere di vio lenze più sottili. C'era un modo tuttavia per i coniugi illibati di alleggerire la re sponsabilità di mancati esami preventivi, di sottrarsi alla violenza indagatrice di giurie eterogenee in cui prelati, medici, mammane e prostitute ispezionavano e misuravano, tagliavano e manipola vano; c'era un modo anche per la Chiesa di riacquistare l'esclusi va di un potere troppo condiviso. Bisognava attribuire consuma zioni mancate e inattese dé/aillances a malefici lanciati da parenti invidiosi o da pretendenti respinti, o da Satana in persona, e tut to il procedimento avrebbe dovuto lasciare i terreni positivi delle ispezioni corporali per entrare nel soprannaturale di scongiuri e penitenze. Ma anche questo percorso era irto di ostacoli, perché doveva poggiarsi ancora sull'evidenza della prova. Questa volta però tutta rovesciata. Lo dichiara esplicitamente Paolo Zacchia: il riconoscimento del maleficio spetta ai maestri della religione (Doctores) . Ma è ter ribilmente difficile - soggiunge - trovare i segni che distinguono senza alcun dubbio il frigido dal maleficiato; così che l'individua zione dei maleficiati si riduce all'assenza dei segni che attestano la frigidità1 12 • E allora la scienza medica torna in soccorso del giudi1 1 1 Pauli Zacchiae Quaestionum medico-legalium opus, Lugduni, M.A. Ra vaud, 1661, Lìbri noni, Titulus III, De impedimento coeundi & generandi, Quae stio III, De impedimento Copulae ob membri magnitudinem, & alia vitia paterna turam, p. 49. 1 12 lvi, Quaestio II, De impedimento coitus ob /rigiditatem & male/icium, p. 46.
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zio ecclesiastico, suggerendo che la diagnosi del maleficio debba svolgersi a contrario: occorre verificare che i genitali siano ben conformati, che la peluria sia collocata nei luoghi debiti, che ci sia no stati in precedenza congressi carnali ben riusciti, insomma che nulla faccia sospettare un'impotenza congenita, perché il malefi cio non colpisce uomini per loro natura già impotenti. I.:ignavia genitalium deve cogliere all'improvviso, e soprattutto, perché sia certo il maleficio, non deve essere universale, perché un uomo in capace di congiungersi con qualunque donna è più probabilmen te impotente; l'uomo colpito dunque sarà incapace con una don na soltanto, e non con tutte le altre, oppure con tutte tranne che con una. n Diavolo ad esempio si adopera a moltiplicare le occa sioni di peccato, e dunque facilmente rende gli uomini impotenti solo con la propria moglie così da spingerli all'adulterio, oppure - sempre allo stesso scopo - li rende capaci di copulare soltanto con meretrici. Anche il maleficio infatti deve essere classificato: può essere opera del Diavolo in persona oppure procurato da al tri con la somministrazione di pozioni velenose113. Le credenze popolari non avevano bisogno di prove e classifi cazioni scientifiche: nella prima età moderna fatture e sortilegi agitavano i sogni degli sposi promessi, mobilitavano le fantasie delle comunità di villaggio e di vicinato, facevano da detonatore di gelosie e conflitti sopiti a lungo, stimolavano l'elaborazione di simbologie complicate. Nel Cinquecento soprattutto, ma anche nei secoli successivi, il maleficio che i francesi chiamavano le noue ment de l'aiguillette (l'annodamento del membro virile) fu al cen tro delle ansie dei fedeli e di molte disposizioni conciliari: poiché infatti il diritto canonico riconosceva - pur tra mille riserve - la possibilità di sciogliere un matrimonio non consumato per impo tenza da maleficio (Siper sortarias, diceva uno dei decreti di Gra ziano del XII secolo), purché il maleficio stesso fosse stato com piuto prima delle nozze, i timori principali si addensavano pro prio sulla cerimonia nuziale. Si fantasticava di strani bambini, di individui sospetti nascosti nelle chiese per lanciare il sortilegio su gli sposi appena benedetti e condannarli a un matrimonio casto e indissolubile. n rimedio più logico era allora quello di celebrare 113
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le nozze in clandestinità, di notte o in ore inusitate, così da impe dire l'accesso a rivali malintenzionati e a fattucchieri di passaggio; una pratica che divenne evidentemente consuetudine, se molti concili cinquecenteschi dovettero ribadire il divieto dei matrimo ni notturni. Traendo così forse in inganno qualche storico della fa miglia che ha ritenuto di attribuire alla ribellione contro l'autorità paterna e ai matrimoni combinati orari e segretezze che avevano invece lo scopo di evitare sortilegi e garantire una felice sessualità coniugale. Altri rimedi per evitare il famigerato «annodamento» apparte nevano all'ambito di scongiuri molto terreni, dal simbolismo in gegnoso e letterale: uno dei più diffusi voleva che lo sposo ori nasse per tre o quattro mattine attraverso il buco della serratura della chiesa dove era stato celebrato il matrimonio, oppure attra verso l'anello da lui donato alla sposa 114• La Chiesa cercava allora di recuperare un'egemonia sul soprannaturale minata dalla su perstizione distribuendo secondo le opportunità benedizioni e scomuniche: statuti e rituali diocesani raccomandavano ai parro ci di enfatizzare con formule specifiche la santità dell'unione co niugale e di minacciare di scomunica sia gli artefici del sortilegio sia le pratiche destinate a neutralizzarlo. li momento delle nozze, tuttavia, era l'unica occasione in cui il segreto veniva chiamato a velare timori e conflitti relativi all'im potenza. Dal Medioevo a tutta l'età moderna matrimoni dalla con sumazione contrastata furono portati di frequente davanti ai tri bunali ecclesiastici, uomini e donne consegnarono ai giudici l'in capacità del coniuge incuranti della pubblicità e della violenza delle prove; perché la pubblicità non era foriera di scandali, ma era parte di un conflitto destinato al riconoscimento pieno del di ritto a una sessualità legittima e soddisfacente. Poco studiati da una storiografia ostacolata dalla complessità o dall'inaccessibilità delle fonti, e in genere distratta verso il dettaglio dei comporta menti sessuali, i processi conosciuti esibiscono dati solo in parte prevedibili. Cominciarono i re e i principi medievali, reclamando da papi e vescovi lo scioglimento di matrimoni a loro dire non consumati, probabilmente invece superati da nuove e pressanti 1 14 Cfr. P. Darmon, Le tribuna! de l'impuissance. Virilité et défaillances conjugales dans l'ancienne France, Seui!, Paris 1979, p. 47.
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questioni dinastiche115; continuarono in età moderna soprattutto le donne le quali, con la sapienza disinibita che distingueva il lo ro accesso alla giustizia1 16, reclamavano contro mariti anziani, flaccidi, inutili. Aiutate dal confessore. Era il confessore a infor mare le giovani mogli illibate dei requisiti e delle prestazioni da esigere dai mariti, era il confessore a consigliarle di convocare in giudizio la loro incapacità1 17. Era una priorità precisa per la Chiesa che il diritto alla copula coniugale fosse assicurato: contro la volontà di coppie magari di sponibili alla castità; nonostante l'abnormità di corpi ambigui, di sposti a piaceri doppi e inquietanti. Nel 1587 Sisto V emanò una Bolla in cui proibiva espressamente il matrimonio degli eunuchi, con donne sia ignoranti sia consapevoli della loro condizione. Troppo impegnata a costruire e difendere l'istituzione matrimo niale nella sua perfezione, e troppo consapevole del potere cor ruttore del desiderio carnale, la Chiesa non poteva tollerare che con l'andar del tempo le mogli intatte degli spadones divenissero prede di fantasie e desideri lascivi; la castità inoltre doveva essere aspirazione delle anime e non imposizione dei corpi, i quali per accedere ai sacramenti dell'unione - il matrimonio ma anche l'or dinazione - dovevano essere integri e dotati di ogni capacità. Meno univoche - provviste anzi di ricami delicatissimi - le ar chitetture giuridiche costruite nei secoli intorno all'affascinante mostruosità degli ermafroditi. Per secoli la Chiesa fondò la pro pria politica su un principio in apparenza semplice: purché dota to di un qualche genere di capacità sessuale, l'ermafrodito avreb be potuto sposarsi con una persona del sesso opposto a quello in esso prevalente; se i due sessi si fossero in lui perfettamente bi lanciati avrebbe dovuto sceglierne uno d'elezione e sposare una persona del sesso opposto, dopo aver giurato di non usare mai del m
Cfr. Gaudemet, Il matrimonio in Ocddente, cit. Cfr. Casanova, Crimini nascosti, cit.; R. Ago, Introduzione a The Value o/ the Norm. Legai Disputes and the De/inition o/ Rights, a cura di R. Ago, Bi blink, Roma 2002; Ead., Ruoli familiari e statuto giurzdico, in «Quaderni stori ci», n. 88, 1995. 1 17 Cfr. Darmon, Le tribuna/ de l'impuissance, cit., pp. 12 1- 122; si veda an che P. Scaramella, Il matrimonio legato. L'«impotentia ex maleficio>> in un caso napoletano di fin e Cinquecento, Fridericiana, Napoli 1999, e Id., Medid e con fessori. Medidna del corpo, medicina dell'anima, Carocci, Roma 1999. 1 16
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sesso abbandonato. Ma che un unico corpo avesse la possibilità di sperimentare l'amplesso in forma sia attiva sia passiva era una cir costanza troppo intrigante per non stimolare la passione analitica dei giuristi e dei teologi che soprattutto nel corso del Seicento si appassionarono a confezionare nuove e raffinate vesti alla morale cattolica. Nel 1676 il giurista e uomo di Stato spagnolo Lorenzo Mateu y Sans pubblicò il Tractatus de re criminali, un repertorio legale che intendeva esporre i casi più notevoli portati alla Corte supre ma di diritto penale del suo paese. Il trattato aveva ricevuto non solo il permesso di pubblicazione da parte dell'Inquisizione spa gnola («In quest'opera non c'è nulla che sia in contrasto con la no stra morale o contrario alla fede cattolica»), ma anche un aperto elogio del gesuita incaricato dell'esame 1 18• La quarantottesima controversia discussa narra del caso di due ermafroditi i quali, «sposatisi legittimamente l'uno con l'altro, s'erano ritrovati incin ti per avere reciprocamente adoperato l'uno e l'altro organo geni tale di cui erano provvisti»; la· vicenda, priva com'è nel testo di ri ferimenti ad atti processuali o a pareri legali, appare più una figu ra giuridica che un dato di realtà, ma il suo interesse risiede ov viamente nelle argomentazioni sviluppate dall'autore. Deve dav vero essere considerato un delitto che un individuo pratichi la propria bisessualità naturale? Per rispondere, Mateu y Sans in traprende un lungo ed erudito viaggio che dal diritto canonico giunge al diritto romano soffermandosi su commentari e giuri sprudenza, e la conclusione è sorprendente: il diritto canonico non ha mai affrontato esplicitamente la questione degli ermafro diti, l'obbligo di elezione di un sesso e il giuramento di non usare dell'altro non hanno fondamenti giuridici119• Né le analogie - al trettanto sorprendenti - proposte dall'interpretazione corrente sono risolutive: perché si sostiene che sia sconveniente che nei rapporti sessuali un ermafrodito faccia uso dell'uno come dell'al tro genitale, come è sconveniente che una stessa persona sia in sieme prete e abate, o che abbia la titolarità di due chiese, eppu1 1 8 Cfr. V. Marchetti, L'invenzione della bisessualità. Discussioni tra teologz; medici e giuristi del XVII secolo sull'ambiguità dei corpi e delle anime, Bruno
Mondadori, Milano 200 1 , p. 217. 1 1 9 lvi, pp. 252-253.
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re questo succede, per motivi di interesse superiore; e si sostiene che sia sconveniente che la stessa persona eserciti sia il ruolo atti vo di maschio che quello passivo di femmina, come è sconvenien te che una persona coniugata benefici del patrimonio ecclesiasti co, e anche questo succede, perché il principio di necessità a vol te impone moralmente e legalmente di allontanarsi dalla nor ma120. Ma qual è la necessità che consente la deroga? Come sem pre per la Chiesa cattolica, è l'adattamento alle infinite spirali del desiderio umano, il bisogno di offrire loro sponde legittime e go vernabili, l'obbligo di allontanare il rischio dell'incontinenza. Ma teu y Sans sostiene che l'ermafrodito il quale, compiuti la scelta e il giuramento, si congiunge con l'altro secondo il sesso d'elezione sentirà certamente invadere il proprio genitale interdetto dal de siderio per l'organo vietato dell'altro; la disponibilità di quattro apparati genitali raddoppia la potenza sessuale, perché ognuno di essi è eccitato dall'attività degli altri e richiede la propria soddi sfazione. Non procurargliela - continua il giurista - significhe rebbe esporre il coniuge inappagato al pericolo della fornicazio ne, e ciò sarebbe in contrasto con tutte le prescrizioni della Chie sa, da Paolo a Tommaso d'Aquino a Tomas Sanchez, i quali tutti affermano che ogni coniuge è tenuto a portare aiuto all'altro quando avverte che rischia di cercare soddisfazioni non conformi al matrimonio cristiano121. L'uso promiscuo dei corpi dunque non è peccato purché i diversi si trovino e si uniscano tra di loro, pur ché tutte le copule possibili siano coniugali. 120 lvi, pp. 254-255. lvi, p. 289.
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l. «Un piacere innocente, al quale la natura, madre e sovrana, ci in vita tutti» «Non so che cosa sia quel che tu chiami religione, ma non pos so pensarne che male, dal momento che ti impedisce di gustare un piacere innocepte, al quale la natura, madre e sovrana, ci invita tutti», dice il selvaggio Orou al cappellano della nave francese che ha raggiunto le coste dell'isola di Tahiti e che gli ha appena rive lato l'obbligo alla castità che impostogli dalla sua scelta religiosa, nel pamphlet che Denis Diderot ha scritto nel 1774 con il titolo Supplemento al viaggio di Bougainville1• n sottotitolo dell'opera è rivelatore delle sue intenzioni polemiche: Sull'inconveniente che nasce dall'attaccare delle idee morali ad alcune azioni fisiche che non ne comportano. Le azioni fisiche in questione, ovviamente, so no i rapporti sessuali. n filosofo francese scrive sotto l'impressio ne del Viaggio intorno al mondo, pubblicato dal de Bougainville nel l77 1 - che aveva conosciuto uno straordinario successo nella società francese dell'epoca anche perché l'esploratore aveva por tato con sé un selvaggio in carne e ossa da esibire a corte -, un li bro che nasceva con l'esplicita intenzione di offrire «una prova empirica dell'esistenza sulla terra di una perfetta società naturale e felice»2• Se de Bougainville offre agli europei un perfetto para1 D. Diderot, Supplément au voyage de Bougainville, Dialogue par Diderot, in Opuscules philosophiques et littéraires, la plupart posthumes ou inédites, lm· primerie nationale, Paris 1796, p. 2 16. 2 L. Zecchi, Sognare Tahiti, in A. Ferraro (a cura di), Altérité et insularité. Relations croisées dans !es cultures /rancophones, Forum, Udine 2005, p. 78.
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digma della società di natura, Diderot coglie la sfida estendendo la al comportamento sessuale, tema appena toccato nell'opera ori ginaria. n dialogo fra il cappellano e il selvaggio, infatti, ruota in torno alla diversità delle regole relative al comportamento sessua le fra la cultura di matrice cristiana e quella «primitiva». In so stanza, il problema che gli interlocutori si pongono è capire come mai «è potuto capitare che un atto il cui fine è così solenne, e al quale la Natura ci invita con le più dolci attrattive, i più innocen ti piaceri, sia divenuto la fonte più feconda della nostra deprava zione e dei nostri mali?»3• Nel paese immaginario di Otaiti si seguono gli istinti della na tura, non esiste la distinzione tra «tuo» e «mio» neppure per quanto riguarda i rapporti fra i sessi: «le nostre figlie e le nostre donne sono in comune - dice un anziano - e tu, europeo, hai con diviso questo privilegio con noi», ma in cambio gli abitanti di que sto paradiso hanno conosciuto la vergogna e il peccato, insieme con le malattie veneree. Secondo Orou, le regole cristiane sul ma trimonio rendono «la condizione dell'uomo peggiore di quella dell'animale»4 perché obbliga gli esseri umani a rinunciare alla Natura. n sistema indigeno nei confronti della sessualità, invece, libera da colpe e condanne: nella loro società non ci sono più la giovane disonorata, la moglie infedele, il seduttore e lo sposo li bertino: «la passione dell'amore ridotta a semplice appetito fisico, non produce nessuno dei nostri disordini»5. Perfino l'incesto è ac cettato senza riprovazione, perché l'unica cosa che conta è la na scita di bambini, che garantiranno il benessere della società. Con questo libretto, per la prima volta nella storia europea, vie ne proposta una totale indipendenza della vita sessuale da ogni ca tegoria di ordine etico-religioso, e vediamo subito come la propo sta si appoggi su una documentazione antropologica che dovreb be testimoniare un comportamento «naturale», non ancora con taminato da regole e divieti. Non si sa quanto Diderot fosse vera mente fiducioso dell'esito positivo di un ritorno alla natura, e lo studioso Lionello Sozzi nega che questo scritto sia un «manifesto di ingenuo naturalismo»6, ma certo questa idea conobbe un di3
Diderot, Supplément au voyage de Bougainville, cit., p. 234.
4 Ibid.
� lvi, Dialogue, p. 253. L. Sozzi (a cura di), L.A. de Bougainville, Viaggio intorno al mondo con il
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screto successo anche negli anni successivi, fino a saldarsi con l'u so dell'antropologia fatto dai medici positivisti di fine Ottocento. Non era certo la prima volta che arrivavano in Europa notizie sui costumi liberi delle popolazioni indigene: ne avevano parlato molti missionari nelle loro relazioni, ma il punto di vista era quel lo di chi descrive per ordinare e moralizzare costumi che quasi sempre prevedevano la poligamia - anche per motivi demografi ci, perché la mortalità dei maschi guerrieri era molto più alta di quella delle donne - scoprendo che nelle lingue indigene non ci sono parole per definire il matrimonio. Sono i missionari, infatti, i primi a raccontare in Occidente la diversità di costumi delle popolazioni con le quali, attraverso l'ampliarsi delle aree di dominio coloniale, i paesi europei veniva no in contatto, denunciando con orrore la mancanza di moralità in queste comunità alle quali per la prima volta arrivava l'inse gnamento evangelico. E le loro narrazioni si propagavano in mol ti strati sociali: era infatti in uso, durante la seconda metà del l'Ottocento, che i religiosi di ritorno dalle terre di missione giras sero per i paesi europei a raccogliere offerte e vocazioni per l'o pera missionaria, raccontando gli orrori di inciviltà a cui bisogna va porre rimedio. Fra gli argomenti più trattati il comportamento sessuale, che a loro appariva senza regole. Di questo si parlava an che nelle relazioni dei missionari, spesso pubblicate, a cui poi han no attinto abbondantemente gli antropologi, anche perché il pro blema della sessualità - compresa quella dei missionari - era dram maticamente presente. Come scrive Gianpaolo Romanato nella sua biografia di Daniele Comboni, uno dei primi missionari che ha avuto il coraggio di addentrarsi nell'alta valle del Nilo, nelle sue lettere «qualche cenno troviamo anche, peraltro molto discreto, ai rischi morali cui è esposto il missionario, costretto " ad impor re una legge così contraria agli usi, alla natura e alle leggi locali [ .. .] la tentazione, favorita dalla solitudine, dalla mancanza di control li, è quella di lasciarsi convertire dalla 'dominante corruzione', an ziché convertirla"»7• Una libertà sessuale che sconvolge e, al temsupplemento al viaggio di Bougainville di Denis Diderot, ll Saggiatore, Milano
1983 , p. 413. 7 G. Romanato, L'Africa nera fra Cnstianesimo e Islam. L'esperienza di Da niele Comboni, Corbaccio, Milano 2003, p. 3 1 O.
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po stesso, mette in pericolo i missionari, è dunque al centro delle narrazioni, ed è considerata uno dei mali più gravi che i missio nari, con l'aiuto dei buoni cristiani europei, devono estirpare. «Chi è di coscienza meticolosa - si legge in un testo vergato da Comboni in un momento di grande sincerità - si spaventa, si con turba, e temendo per se stesso si lascia sopraffare dallo scoraggia mento. Chi invece non è di coscienza timorata lo diventa ancor meno, e corre il rischio di lasciarsi trascinare dalla corrente ad oc chi chiusi»8• Per evitare le cadute in questo senso - peraltro non tanto rare - Comboni invoca l'arrivo di suore missionarie che, con la loro sola presenza, avrebbero costituito un freno per i religiosi: egli infatti le considera particolarmente necessarie «nei paesi poi dove uomini e donne vanno vestiti colla sola pelle dei nostri pri mi padri Adamo ed Eva»9• Per l'eterogenesi dei fini, proprio le relazioni allarmate dei mis sionari diventano, agli occhi degli scienziati, prove convincenti dell'esistenza di uno stato <> nell'europeo moderno: «rigide convenzioni ci rendono impossibi le scoprire le leggi della natura in questione, soffocandole sul na scere»10, scrive uno dei primi sessuologi, l'inglese Havelock Ellis. Questa «naturalità» - garante di buona salute fisica e psichica sarebbe stata soffocata dall'intervento del clero che, diffondendo la morale cristiana, avrebbe inibito ogni spontaneità e favorito la repressione degli istinti naturali. Nel Settecento, il primo segnale della secolarizzazione tocca proprio la sessualità, e le relazioni di viaggiatori e missionari di ventano, invece che una denuncia di inciviltà, prova dell' esisten za di uno stato di natura felice. Nel pamphlet di Diderot ci sono già tutte le argomentazioni che utilizzeranno, a fine Ottocento, i pionieri del libero amore: l'i dea che le regole cristiane siano innaturali, e quindi impossibili da seguire, e che proprio per questo creino infelicità e storture so ciali, e soprattutto che sia pericoloso il celibato ecclesiastico, ims Ibid. 9 E. Pezzi,
L'istituto Pie Madri della Nigrizia. Storia dalle origini alla morte del Fondatore, EMI, Bologna 1 98 1 , p. 152. 10 H. Ellis, Brevi saggi sull'amore sessuale, Hoepli, Milano 1936, p. 9 1 .
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possibile da mantenere, e quindi apportatore di atti amorali e di malattie. Il processo di secolarizzazione avviato dagli illuministi, se condo cui la religione costituisce solo un'opinione fra tante e non più un termine di riferimento dell'intera comunità, bensì una scel ta particolare del singolo cittadino, ha immediate conseguenze, quindi, sulle norme di comportamento sessuale fino ad allora sta bilite dalla Chiesa. Anche la sessualità viene investita da quel pro cesso sociale e spirituale che, secondo Marcel Gauchet11, segna per due secoli tutta la dinamica del mondo contemporaneo: il pas saggio da una società eteronoma, strutturata dalla religione, a una società autonoma che, dopo essere uscita dalla religione, si è data leggi proprie con il fine dell'autogoverno. Questa società ha svi luppato un'autocomprensione, in contrapposizione con la reli gione, su tutti i temi della vita umana, quindi anche sul compor tamento sessuale. Questa trasformazione epocale si è compiuta in Europa prima e dopo la Rivoluzione francese, tra il 1750 e il 1850, quando l'or ganizzazione della vita associata si sgancia dalla credenza in un or dine soprannaturale che impone dall'esterno e dall'alto la sua leg ge. Abolita la mediazione della religione tra Dio e il mondo degli uomini, spetta soltanto alla società il compito propulsivo di qual siasi trasformazione, attraverso le analisi che le forniranno i suoi scienziati. Finisce così il monopolio che gli uomini di Chiesa avevano esercitato sulle regole e sul discorso relativi al comportamento sessuale e compare, per la prima volta, un nuovo vocabolario, di natura scientifica, per parlarne. È interessante notare, a questo proposito, che il termine «sessualità» appare in inglese nel 1800, in tedesco nel 1820, e in francese nel 1 860, e sempre usato, in un primo tempo, in ambito zoologico e botanico. Da questa nuova impostazione prendono il via varie discipli ne, che si aggiungono all'antropologia: la pedagogia, la psichia tria e la psicologia, l'igiene, la medicina, e infine, negli ultimi de cenni dell'Ottocento, la sessuologia vera e propria. Tutte disci1 1 M.
Gauchet, Credenze politiche e credenze religiose, in Idem, La democra zia contro se stessa, Città aperta, Troina 2005.
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pline che hanno in comune il proposito di regolare le condotte in dividuali a partire dalla definizione di normale e di anormale, che sostituisce la precedente antinomia fra peccato e virtù, fra con cesso e proibito. Con una importante novità: questa trasposizio ne del discorso sulla sessualità dal piano morale e religioso a quel lo scientifico ha determinato - negli ultimi decenni - una pro gressiva incorporazione di quelle che venivano definite perver sioni nella sfera della «normalità». Ai manuali dei confessori si so stituisce una letteratura scientifica prodiga di consigli e di inse gnamenti, mentre il buon funzionamento della sfera sessuale co mincia, a fine Ottocento, a essere considerato essenziale per la riuscita del matrimonio, cosa che - come abbiamo visto - la Chie sa aveva sempre considerato come scontata. Con una differenza, però: secondo gli ecclesiastici, la pratica sessuale costituiva sem pre e comunque un piacere per gli sposi, e in questo senso servi va a tenere unito il matrimonio, mentre i nuovi esperti di sessua lità cominciano a distinguere fra donne e uomini, e ad affrontare il tema della frigidità. La stessa istituzione matrimoniale, a sua volta, subisce in que sto periodo profondi cambiamenti: l'idea di realizzazione indivi duale che si afferma dopo le rivoluzioni americana e francese, per cui ogni individuo ha diritto di scegliere chi essere e cosa pensa re, si allarga immediatamente al matrimonio e naturalmente, dal momento che si parla di una novità assoluta - cioè di scegliere il proprio consorte in base a quella che viene chiamata la propria in clinazione, ma che l'immaginario romantico trasforma subito in un sogno d'amore -, anche le donne vengono coinvolte in prima persona. Accanto ille nuove possibilità di scegliere professione, credo religioso, idee politiche, luogo di abitazione, che la moder nità apriva agli esseri umani di sesso maschile, si poneva quindi, quasi subito, il problema della scelta matrimoniale che, come i ro manzi insegnano, era l'unico tipo di scelta per il momento riven dicabile da parte delle donne. Un ruolo chiave per la diffusione di questa inedita interpreta zione del rapporto matrimoniale lo svolsero i romanzi, a partire da quelli di Jean-Jacques Rousseau, iniziatore di un nuovo rap porto fra scrittore e lettore. È con lui, infatti, che il romanzo da genere di svago diventa guida per le scelte di vita, capace di pe-
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netrare nella realtà quotidiana e di dare «un senso alle cose più importanti della sua esistenza: amore, matrimonio, paternità»12• L'idea romantica del matrimonio d'amore, in realtà, all'inizio non sembrava mettere in crisi il rapporto cardine dell'istituzione familiare, né tanto meno la sua durata nel lungo periodo ma, an zi, sembrava prenderlo ancora più sul serio, rinsaldarlo, farne qualcosa di intimamente vero invece di una istituzione dettata dal le norme morali e dalle convenienze sociali. In un certo senso, sembrava avvicinarsi ai valori morali del cristianesimo che, come si è detto, assimilava l'unità fra uomo e donna a quella mistica fra esseri umani e Dio. Solo che qui Dio scompare, e rimangono so lo i due coniugi, con le loro difficoltà e le loro incapacità, e il so gno d'amore romantico si infrange nell'incontro con la realtà. Con il progetto di amore romantico, da cui discende la crea zione di una «storia comune» fra gli sposi, si separa il legame ma trimoniale dagli altri aspetti dell'organizzazione familiare, confe rendogli un primato e un'importanza inedita L\ Su questa affermazione del matrimonio d'amore nella società si riponevano quindi molte speranze, sia di felicità individuale come rivelano i molti romanzi incentrati su questo tema, sia in po sitivo, come quelli di Jane Austen, che in negativo, come i tor menti d'amore del giovane Werther di Goethe - sia di felicità col lettiva. Non sono poche, infatti, le femministe sostenitrici della li bera scelta matrimoniale, così come alcuni progressisti radicali, a sperare che se tutti si fossero sposati per amore sarebbe scompar sa la prostituzione, e naturalmente le famiglie sarebbero state tut te concordi e felici, con figli allevati in un'atmosfera serena, e quindi esseri umani migliori. Un esempio classico di questa visio ne utopistica della felicità, possibile grazie alla scelta matrimonia le libera e centrata sull'amore, è il romanzo di Nikolaj Cerny5ev skij, Che /are?, scritto nel 1860, che avrebbe avuto poi tanto suc cesso - grazie all'entusiastico favore riservatogli da Lenin, che ad dirittura diede lo stesso titolo a un suo libro - nell'Unione Sovie tica comunista. Lo scrittore russo, vissuto in esilio in Francia per 12 R. Darnton, I lettori rispondono a Rousseau: la costruzione della sensibilità romantica, in Idem, Il grande massacro dei gatti, Adelphi, Milano 1988, p. 299. n Cfr. A. Giddens, La trasformazione dell'intimità. Sessualità, amore ed ero tismo nelle società moderne, Il Mulino, Bologna 1995.
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molti anni, dipinge una nuova società basata sul matrimonio d'a more e sulla fine della proprietà privata, sostituita da una coope razione fra padroni e operai, proposta come l'obiettivo a cui tutti i rivoluzionari dovevano ispirarsi, e introduce anche il divorzio come possibilità concreta di realizzare la felicità sentimentale in dividuale. Il romanzo quindi mette in luce la contraddizione in terna al progetto di matrimonio romantico: se il matrimonio si ba sa sull'amore romantico fra gli sposi, qualora l'amore finisse, sa rebbe logico pensare al divorzio. Si arriva così a minare, in nome della libertà individuale, l'indissolubilità del matrimonio ribadita dal Concilio tridentino. Le femministe emancipazioniste si di chiaravano in gran parte favorevoli al divorzio, così come le fran ge radicali del partito democratico in Italia e negli altri paesi eu ropei, mentre i teorici di utopie politiche come Fourier, Saint-Si mon e Enfantin, già all'inizio dell'Ottocento, avevano proposto addirittura nuove società dove non esisteva più la famiglia, in cui uomini e donne si amavano in modo libero, per il tempo dettato dal loro desiderio, mentre i figli venivano allevati collettivamente. Si trattava naturalmente di utopie, ma alcune scrittrici di grande fortuna, come George Sand e Flora Tristan, incarneranno agli oc chi dei contemporanei un nuovo modello di donna che, grazie al l' affermazione intellettuale, può vivere liberamente anche la sua vita sentimentale davanti agli occhi di tutti. La Chiesa natural mente vide subito i pericoli di questa ricerca della felicità attra verso l'amore umano, e denunciò la fragilità di un'istituzione, co me quella matrimoniale, se abbandonata ai sentimenti caduchi dei due sposi. La lotta contro la lettura dei romanzi - considerati in particolare pericolosi per le giovinette - durerà più di un secolo, e costituirà il versante culturale di quella lotta contro il divorzio che la Chiesa comincerà a combattere dagli anni della Rivoluzio ne francese14• Dall'amore romantico come ingrediente fondamentale di un buon matrimonio alla passione e alla sessualità il passo è breve, anche se, almeno fino ai primi decenni del XX secolo, non è com piuto dallo stesso tipo di intellettuali: mentre l'amore romantico è difeso e cantato da scrittori, musicisti e poeti, della sessualità co14 Si veda in proposito M. De Giorgio, Le italiane d.JI/'Unità a oggi, Later za, Roma-Bari 1 992.
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minciano a interessarsi riformatori politici e scienziati, in primo luogo naturalmente medici, ma in seguito anche antropologi. 2. Una sovranità contesa Vibrazioni lievi, o scosse tanto profonde da risultare quasi im percettibili ai contemporanei - ma soprattutto agli storici che se coli dopo hanno teorizzato l'erosione del monopolio cattolico sui comportamenti sessuali -, si manifestarono a partire dal Sette cento proprio nel territorio su cui fino ad allora la Chiesa aveva esercitato un'egemonia indiscussa: il diritto, la legiferazione, la competenza giurisdizionale. L'insieme delle leggi e dei poteri che si coagulava intorno al matrimonio e agli scambi che presiedeva no alla sua formazione. Nella Francia gallicana l'urto era stato violento e precoce: rac cogliendo orientamenti già apparsi nel corso del Seicento presso la monarchia, nel 1712 il cancelliere de Pontchartrain affermò la tesi della competenza civile in campo matrimoniale in una lettera inviata al primo presidente del Parlamento di Besançon, soste nendo che il re aveva un potere diretto sul contratto, e indiretto sull'amministrazione del sacramento, il quale, avendo come mate ria proprio il contratto, in caso di sua nullità non avrebbe più avu to oggetto su cui applicarsi!�. Era la subordinazione del sacra mento al contratto, l'avvio di una teoria e di un processo che avrebbero portato i parlamenti a giudicare anche sulla validità del vincolo coniugale. Le «libertà gallicane», sostenute da molti ca nonisti francesi pronti a difendere le prerogative della corona, in dicarono un percorso che presto molti principi avrebbero segui to. In ordine sparso, secondo orientamenti e obiettivi che di volta in volta assegnavano la priorità a ideali libertari, a coerenze inter ne ai sistemi giuridici, a necessità concrete di governo dei popoli. Già dai primi anni del Seicento, la Congregazione del Conci lio - incaricata di applicare e garantire i canoni tridentini - aveva ammesso la validità dei matrimoni celebrati alla presenza di un 1 � ]. Gaudernet, Il matrimonio in Occidente (1987), Società editrice interna zionale, Torino 1989, p. 246.
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magistrato civile in Olanda e nella Frisia occidentale; nel 1719 in Ungheria fu elaborato un progetto di codificazione che regolava anche il fidanzamento, il matrimonio e gli impedimenti, anche se pochi anni dopo fu ristabilita la competenza su di essi dei tribu nali ecclesiastici; il Codex Maximilianus del 1756 in Baviera con siderava il fidanzamento un contratto civile, ma rispettava le nor me tridentine in materia di celebrazione del matrimonio; l'impe ratore Giuseppe II d'Austria emanò nel 1783 un decreto che ri servava allo Stato la giurisdizione su tutto ciò che riguardava i contratti civili, compreso il matrimonio, e l'anno successivo lo estese alla Lombardia16• C'era un meccanismo soprattutto che suscitava la preoccupa zione dei governanti e dei legislatori: l'istituto della promessa di matrimonio e le pratiche sociali che intorno a essa si addensava no. li diritto canonico classico aveva sancito il valore giuridico della promessa, che faceva nascere l'obbligo di coscienza a spo sarsi; il rispetto dell'obbligo poteva essere imposto anche per via legale o almeno - per non violare troppo platealmente il principio della libertà del consenso - poteva far sì che in caso di nozze sfu mate si costringesse lo sposo fuggitivo a pagare una dote a titolo di risarcimento: aut nubet, aut dote!, aut triremes, matrimonio, do te o galera erano le alternative poste all'uomo che intendesse rom pere la promessa e volare verso nuovi legami. La garanzia che una promessa più o meno pubblica forniva alle nozze ebbe una con seguenza importante: quella di autorizzare i rapporti sessuali tra fidanzati, i quali potevano così trasformare l'impegno per il futu ro (verba de futuro) in matrimonio de praesente, valido per il pre sente, perché l'unione carnale era considerata prova definitiva di consenso17• Passato indenne attraverso le norme del Concilio di Trento che non aveva preso una posizione esplicita sulla promessa - tale meccanismo divenne l'origine di molti matrimoni d'età moderna: 16 lvi, p. 288, e D. Lombardi, Fidanzamenti e matrimoni dal Concilio di Tren to alle riforme settecentesche, in Storia del matrimonio, a cura di M. De Giorgio
e C. Klapisch-Zuber, Laterza, Roma-Bari 1996, p. 244. 17 M. Pelaja, Il cambiamento dei comportamenti sessuali, in A. Bravo, M. Pe laja, A. Pescarolo e L. Scaraffia, Storia sociale delle donne nell'Italia contempo ranea, Laterza, Roma-Bari 200 1, pp. 192-193.
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le donne si rendevano disponibili ai rapporti sessuali dopo accor di matrimoniali formali o soltanto ventilati per poi, in caso di con flitti familiari o ripensamenti maschili, reclamare presso i tribunali ecclesiastici perché la deflorazione fosse riparata con le nozze. Le querele per stupro semplice come era chiamato qualunque am plesso extraconiugale tra persone consenzienti - affollavano le au le giudiziarie e gli uffici dei parroci, sempre mediatori, sempre te stimoni del «retto fine matrimoniale» della disponibilità di donne considerate comunque innocenti, fragili, esposte alla seduzione e alla corruzione. Qualcosa poi lentamente cominciò a incrinarsi in un congegno pur così lungamente collaudato: per attriti provenienti da ambiti diversi, orientati a finalità apparentemente disparate. Dai conflit ti di sovranità, che lo spirito del tempo rendeva via via più espli citi, tra magistrature laiche e magistrature ecclesiastiche; dal mon do del diritto, che secondo percorsi tutti interni alle costruzioni giuridiche andava elaborando una nuova concezione delle donne e delle «arti» femminili; dal malcontento di padri e lignaggi, con traddetti gli uni e inquinati gli altri da alleanze imposte dalla co pula e dalla Chiesa. Qualche voce si era già levata, anche all'interno delle gerarchie ecclesiastiche, per denunciare gli abusi generati dall'istituto della promessa: alla fine del Seicento il gesuita Paolo Segneri aveva scritto che «La libertà, che v'è nella gioventù, di vagheggiarsi in sieme, e di trattare domesticamente, sotto pretesto di futuro ma trimonio [. .. ] non può oramai tenersi in conto di altro, che di una invenzione diabolica, ordita novellamente nel gran Consiglio di Satanasso, per rovina di anime innumerabili»; e come rimedio aveva suggerito di seguire l'esempio di popoli lontani, lontani dal l'Occidente e dal cattolicesimo: -
I Turchi quando prendono moglie, non l'hanno mai comunissima mente veduta in viso; e tra' Chinesi si pratica questa ritiratezza con tan to rigore, che finché la sposa non è condotta a casa dello sposo, non si lascia vedere a niuno. Anzi per assicurarsi maggiormente di una som ma ritiratezza nelle loro femmine tutte, non solo avanti il matrimonio, ma anche dapoi, costumano quei popoli, per altro i più riputati di tut to l'Oriente, costumano, dico, alle loro bambine di latte stringere sì
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fortemente colle fasce i teneri piedi, che queste fatte adulte se ne ri sentono poi per tutta la vita, e penano a camminare. 18
Ma gli avvertimenti e gli esempi di Segneri erano rimasti ina scoltati, e i tribunali ecclesiastici avevano continuato a protegge re la disponibilità femminile e a condannare al matrimonio gli in cauti seduttori. Finché appunto, nel corso del Settecento, il disagio sociale, po litico e giuridico divenne intollerabile. Negli antichi Stati italiani i mutamenti furono dapprima cauti e contraddittori: cominciò, nel 1740, la Modena degli Estensi, limitando con un apposito editto il diritto delle donne a sporgere querela per stupro ai casi in cui prove legittime e verificabili potessero dimostrare con cer tezza l'avvenuto scambio della promessa di matrimonio19• Seguì, nel 1754, un motuproprio toscano che obbligava il seduttore ac cusato di stupro semplice - non accompagnato cioè da promessa - a devolvere una somma di denaro non alla sedotta bensì ai po veri degli ospedali del Granducato, ma confermava le pene pre cedenti (il matrimonio, la dote o la galera) all'uomo che avesse de florato una donna dopo averle promesso di sposarla20• La posta in gioco era delicata ma decisiva, perché apriva una breccia nel mo nopolio ecclesiastico attribuendo ai sovrani laici un primo, limi tato potere di normare e governare anche sulla morale e sui com portamenti sessuali dei sudditi. « ... Riconosce la Società dalla legislazione il suo stato civile, e con serva l'interna sua felicità a misura che si sostiene la decenza, e l'ono re delle Famiglie, che le compongono», declamava il prologo della Prammatica IV emanata nel 1779 nel Regno di Napoli. «Le norme co stituiscono quel primo vincolo, la cui buona direzione è come la base del pubblico vincolo sociale. Perciò i savj Legislatori rivolsero le loro più serie attenzioni a questo oggetto interessante, acciocché riuscisse-
1 8 P. Segneri, Il cristiano istruito nella sua legge, III, Firenze 1686, pp. 403 e 417, citato in Lombardi, Fidanzamenti e matrimoni, ci t., pp. 237-238. 19 Lombardi, Fidanzamenti e matrimoni, cit., p. 24 1 e nota 44. 2° Codice della Toscana legislazione, vol. Il, Siena 1778, p. 77; cfr. anche G. Alessi, L'onore riparato. Il rz/ormismo del Settecento e le «rtdicole leggi» contro lo stupro, in Onore e storia nelle società mediterranee, a cura di G. Fiume, La Lu· na, Palermo 1989.
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ro plausibili i parentadi, virtuosa l'educazione, ed onorata la discen denza.21
La Prammatica stabilì così Che niuna Donna, o altra Persona, cui interessa, di qualunque gra do e condizione ella sia, abbia azione di querelare di stupro, ancorché siano preceduti alla vera o simulata deflorazione li sponsali, o parola di matrimonio contratta coram Parocho, o capitoli matrimoniali, an che rogati per mano di pubblico Notajo, o altro qualsiasi rito, o solen nità, indicante la legittima promessa di future nozze, ed ancorché fos sero simultaneamente preceduti atti confidenziali, o trattamenti in ca sa, o qualunque altro somiglievole atto induttivo allo stupro; di ma nieraché dopo la promulgazione di questa nostra Sovrana Legge, niun Giudice, o Magistrato della Capitale, o del Regno, riceva, o dia corso, sotto qualunque pretesto, a sì fatte querele, eccetto l'unico e solo ca so, se lo stupro si commettesse con vera, reale ed effettiva violenza, esclusa qualunque interpretativa, che si traesse dal pretesto delle blan dizie, allettamenti, promesse verbali o somiglievoli cose; Essendo no stra Reale volontà, che le Donne non possano, né debbano profittare della complicità del delitto, ma che badino a conservare l'onore delle Famiglie.22
La legge è categorica, precisa nell'elencare gli atteggiamenti e le motivazioni più diffuse nelle pratiche sociali, e soprattutto nel l'indicare i soggetti deputati all'applicazione della legge; ma la sua puntigliosità non è ancora sufficiente, perché un conflitto - anco ra strisciante ma già aspro - sta lacerando i delicati meccanismi della convivenza tra il potere del re e quello della Chiesa. Soltan to un anno più tardi, nel 1780, una nuova Prammatica polemizza esplicitamente con i tribunali ecclesiastici, ponendo limiti defini ti alle loro competenze: avendo con la salutare legge per gli stupri promulgata nell'anno scorso efficacemente provveduto alla custodia della pudicizia, ed alla quiete delle famiglie, è avvenuto, che col pretesto degli sponsali o car21 Nuova collezione delle prammatiche del Regno di Napoli, 15 voli., tomo I, con Prefazione di L. Giustiniani, Napoli, nella stamperia Simoniana, 1803 - 1 808, p. 3 10. 22
lbid.
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piti, o non veri, s'impediscono bene spesso i matrimoni presso le Cu rie Ecclesiastiche, le quali confondendo il giudizio della validità [ . . ] con quello dell'esistenza, si arrogano abusivamente la cognizione be nanche della esistenza degli sponsali medesimi, in pregiudizio non me no della libertà dei cittadini, che dei sacri diritti del Trono.23 .
Re Ferdinando allora comanda che il giudizio sull'esistenza . degli sponsali sia riservato ai giudici laici, che la cerimonia degli sponsali rispetti procedure stabilite, che i giudici ecclesiastici, una volta accertata la validità degli sponsali, non possano perseguire i «renitenti» «senza prima con distinta relazione dame parte a Noi per otteneme il permesso [ . . . ] . E finalmente, che nemmeno i Pa rochi, che le Curie Ecclesiastiche, sotto la grave pena della Reale indignazione, stiano avvertite ad osservare questo Sovrano Edit to, ch'è diretto ad evitar le frodi, che si commettono, a sostenere la libertà de' Cittadini, ed a conservare la pace, e il decoro delle famiglie»24• Più timida e conservatrice fu in definitiva la Toscana di Pietro Leopoldo, che pure con le sue complesse riforme operò con de cisione a eliminare le interferenze della Chiesa nell'amministra zione della giustizia nel Granducato25• li motuproprio del 1754 aveva introdotto una disposizione ancora una volta importante e contraddittoria: aveva confermato il valore economico della ver ginità femminile ma, obbligando il seduttore a pagare una «pena di lire Trecento» agli ospedali di Firenze e di Siena, aveva impe dito che la riparazione dell'offesa andasse a beneficio della stu prata, e aveva così disinnescato un incentivo potente alla querela. Ma, nonostante la proposta di Pietro Leopoldo, che respingeva «la ridicola legge presente di doversi dotare, e sposare, la stupra ta, o andare in galera, la quale serve d'incentivo alli stupri»26, il principio giuridico del risarcimento rimase intatto: l'articolo III della Leopoldina estendeva ai familiari della sedotta la facoltà di 23 Nuova collezione delle prammatiche del Regno di Napoli, cit., tomo 7-8, pp.
2 10-2 1 1 . 24 lvi, p. 2 1 1 .
2' La Leopoldina nel diritto e nella giustizia in Toscana, a cura d i L . Berlin guer e F. Colao, Giuffrè, Milano 1 989. 26 Citato in G. Cazzetta, Praesumitur seducta. Onestà e consenso femminile nella cultura giurtdica moderna, Giuffrè, Milano 1 999, p. 341.
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ricorrere in tribunale per stupro, confermando tutte le disposi zioni vigenti e soffocando l'impeto riformatore del Granduca. n quale nell'elaborazione del nuovo codice aveva trovato tuttavia un alleato imprevisto: il vescovo Scipione de' Ricci, che guidò il si nodo di Pistoia del 1786 verso l'abolizione degli effetti giuridici degli sponsali. Le spose promesse e sedotte non avrebbero più po tuto ricorrere ai tribunali ecclesiastici per reclamare il matrimo nio riparatore. Non solo: i vescovi riuniti a Pistoia andarono oltre, riprendendo quella distinzione tra sacramento e contratto già as sunta in alcuni sistemi giuridici settecenteschi per attribuire «al potere civile il potere di legiferare sul contratto matrimoniale e, in particolare, di stabilire impedimenti, cioè di rendere nulli alcuni tipi di matrimonio»27• Ma le leggi granducali finirono per assu mere i principi del diritto canonico tradizionale perché le deci sioni del sinodo furono aspramente avversate dalla maggioranza dei vescovi toscani e poi condannate dalla Curia romana: con la bolla Auctorem /idei del 28 agosto 1794, papa Pio VI qualificò co me eversive ed eretiche le proposizioni con cui i vescovi pistoiesi intendevano sottoporre gli impedimenti matrimoniali all' appro vazione dei principF8• n dibattito, i risultati e la condanna del sinodo di Pistoia ave vano tuttavia reso evidente che anche in Italia, vicino allo Stato del Papa, il fronte ecclesiastico si andava incrinando, mostrando cre pe e contraddizioni che avrebbero inciso significativamente - se non ancora nel diritto - nella politica ecclesiastica verso il matri monio e la sessualità. Prima delle leggi, oltre i processi e le sanzioni, un clima nuovo si stava diffondendo tra i giuristi addetti all'elaborazione delle norme matrimoniali: toccava la rappresentazione delle donne e delle qualità femminili, capovolgeva concezioni secolari investen dole di una nuova conflittualità, pretendeva di separare con una frattura insanabile un passato ormai degenerato da un futuro il luminato da nuove coerenze. I delicta carnis erano al centro di un dibattito che si prefiggeva un compito inaudito: quello di separa re la morale dal diritto, il peccato dal crimine. 27
Lombardi, Fidanzamenti e matrimoni, cit., p. 243 . A.C. }emolo, Il matrimonio nel diritto canonico. Dal Concilio di Trento al Codice del 1917, ll Mulino, Bologna 1993, pp. 87-88. 28
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I giuristi d'antico regime fondavano le loro teorie su una pre sunzione universale, che raffigurava le donne come sempre one ste, fragili, esposte a seduzioni e raggiri, incapaci di riconoscere una volontà personale svincolata da interessi familiari e da logiche di gruppo. Donne bisognose di protezione da ogni istituzione con cui venissero a interagire: famiglia, Chiesa, sistema giudiziario, ap parati di controllo e di carità avevano l'obiettivo prioritario di pre servare e garantire la naturale innocenza di un sesso debole e cor ruttibile. «Le donne sono composte di una tessitura più molle, e più delicata degl'Uomini, e perciò più facilmente sono soggette ad essere vinte da un tratto spiritoso, e seducente. Colui che profitta di questa loro debolezza naturale, è certamente più reo di quello, che semplicemente richiede i loro favori, e merita perciò di esse re punito con una pena che sia capace a compensare la deteriora ta condizione di quella che è stata vittima delle sue più seducenti allettative. [ ... ] L'obbligo di sposare, o dotare la sedotta Fanciulla è la pena più giusta da imporsi al seduttore»29• Le conseguenze di una simile concezione nelle pratiche socia li erano ormai sotto gli occhi di tutti: per conquistare un matri monio con l'aiuto delle leggi ecclesiastiche, le donne avevano usa to tale immagine per piegarla ai propri interessi, rendendosi di sponibili a farsi sedurre, investendo nel fine matrimoniale una verginità molto concreta e una fragilità tutta rappresentata. Gli «abusi delle donne)) erano stati percepiti anche dalla Chiesa, per sino nello Stato del papa; un editto emanato nel 1736 dal cardinal Guadagni, vicario di Clemente XII, rende con efficacia il caratte re di emergenza dell'intervento ecclesiastico di fronte al dilagare irrefrenabile di quella che appare ormai come una vera e propria pratica di contrattazione sociale: «[. .. ] siccome l'esperienza ha fat to conoscere, che la sicurezza dell'Impunità goduta dalle Giovani Deflorate, e la speranza dell'incontro, che da loro si ha, di poter a costo dell'onore conseguir la Dote, o l'effettuazione del matrimo nio, non solo rende le medesime meno accorte nel custodir la pro pria pudicizia: ma forte talora serve d'incentivo alla loro prostitu29 L. Cantini, Illustrazione della Legge per gli stupri del 24 gennaio 1 754, in Id., Legislazione toscana raccolta e illustrata, 32 voli., vol. XXVII, Firenze, nella Stamperia Albizziniana per Pietro Fantosini e figlio, 1800-1808, p. 55.
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zione»30, il vicario ordina che anche le deflorate, «come corree del Delitto», siano obbligate a pagare una pena al fisco e persino car cerate. Una diffidenza esplicita dunque - che sospetta la vittima di simulare inganno e arrendevolezza per estorcere dote o matri monio - prende a propagarsi dall'amministrazione della giustizia al mondo del diritto, esigendo nuove sistematizzazioni. A partire dalla fine del Settecento allora giuristi e penalisti lai ci elaborano figure giuridiche che prendono in considerazione una variabile inedita: la libera volontà della donna, la sua capacità di esprimere consenso o rifiuto di fronte ai tentativi di seduzione maschili. Non più vittima a priori, la donna non ha più diritto a una tutela che prescinda dal suo «colpevole consenso» al rappor to carnale; in ogni ricorso per stupro dunque, la querelante appa re come socia criminis, a meno che non sappia dimostrare la pro pria innocenza esibendo sul proprio corpo i segni, le prove tangi bili della violenza subita. Agli «abusi delle donne» si risponde ora con la presunzione di colpevolezza, e il riconoscimento della vo lontà della donna abbandona la tutela indiscriminata per esigere dimostrazioni positive di onestà31 • L a rappresentazione delle colpevoli astuzie femminili sarà poi perfezionata e arricchita per tutto l'Ottocento, fino a ottenere i to ni e le luci di una retorica capovolta: «il maschio parrebbe che tra scini e la femmina parrebbe che resista: ed ivi novanta volte su cento abbiamo una vittima nel preteso rapitore; vittima della com binata cecità del proprio trasporto amoroso con la frigidità calco latrice della femmina»; «la donna è sedotta [. ] ma da sé medesi ma: sedotta dalla sua avidità, sedotta dai sensi, sedotta dall'ambi zione di divenire una signora»32• La Chiesa cattolica non si appropria di una rappresentazione così univoca; l'editto del vicario di Roma aveva sì indicato le «Gio vani Deflorate» come «corree del Delitto» e aveva minacciato lo ro carceri e multe ma - come spesso accadeva nell'amministra zione quotidiana delle colpe e delle anime - la minaccia era rima..
30 Archivio storico del Vicariato di Roma, Varie, citato in M. Pelaja, Matrz� monio e sessualità a Roma nell'Ottocento, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 54. 3 1 Ma su tutto questo si veda Cazzetta, Praesumitur seducta, cit. 32 P. Viazzi, Ratto, in Endclopedia giuridica italiana, XIV.1 , Società editrice libraria, Milano 1900, pp. 199 e 2 1 1 , citato in Cazzetta, Praesumitur seducta, cit.
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sta ad aleggiare sui progetti e sulle disponibilità femminili, predi sponendo piuttosto a strategie più complesse, a nuove mediazio ni. Nel corso dell'Ottocento la sessualità perse progressivamente il suo carattere di garanzia per diventare una risorsa, uno stru mento di pressione all'interno di una trattativa che aveva come fi ne la conclusione delle nozze: il rapporto sessuale che seguiva la promessa di matrimonio - che a sua volta aveva perso quasi tutti gli elementi di formalizzazione - apriva soltanto una nuova fase di una contrattazione dagli esiti ancora incerti. Se un conflitto si apriva dopo la copula - perché magari lui, dopo aver insistito nel la richiesta, si ritraeva sostenendo di non aver mai avuto intenzio ni matrimoniali e accusando lei di una eccessiva disponibilità -, le donne e le loro famiglie continuavano a rivolgersi ai parroci e ai tribunali ecclesiastici per ottenere la conclusione delle nozze. La Chiesa cattolica era ancora l'arbitro di queste contese, e conti nuava a ergersi a tutrice della vulnerabilità femminile: il/avor ma trimonii che ispirava la politica ecclesiastica diventava protezione e appoggio agli intenti delle donne, anche se, naturalmente, ave va come fine prioritario la tutela dell'ordine familiare e non quel la delle donne in particolare. Così, dopo la deflorazione, si apriva una nuova fase di nego ziazione in cui la sessualità entrava nella sfera giuridica, ma senza più alcun automatismo; in una dimensione corale anzi, in cui pa rentele, vicinati e gerarchie ecclesiastiche dovevano farsi pubbli camente garanti del «retto fine del matrimonio». Le giovani do vevano divulgare al massimo l'avvenuta conoscenza carnale, le fa miglie mostrarsi certe degli accordi matrimoniali, i parroci pro clamare l'onestà pubblica delle deflorate e intercedere per loro presso i tribunali; istruttorie e processi non avevano esiti sconta ti, dovevano semmai accogliere e sancire la /ama più accreditata, premiare la parte provvista delle reti più estese e più autorevoli. Si trattava per la Chiesa di proteggere e garantire sì donne e fa miglie, ma soprattutto di preservare la propria egemonia nel go verno della morale e della popolazione, secondo quella miscela di valori universali e di mediazioni particolari che aveva secolar mente caratterizzato la sua politica. Finché gli equilibri da preservare cominciarono a farsi troppo delicati e precari: troppo aleatorie le promesse, non più formaliz zate da documenti o ritualità, soprattutto tra i ceti meno abbien-
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ti; troppo confuse le voci, sovrapposte e smentite di continuo dal la crescente mobilità e complessità urbana; troppo contradditto ria la tutela delle deflorate, ormai platealmente dissipatrici di quello che la Chiesa stessa predicava come il nuovo bene supre mo delle donne: la verginità. Non più patrimonio da investire, l'integrità dell'imene era divenuta valore assoluto, prioritario non solo rispetto a qualunque «retto fine» matrimoniale ma anche ri spetto alla vita stessa. Sarà intorno alla figura di Maria Goretti, uc cisa per aver difeso la propria castità, che la Chiesa del Novecen to costruirà il suo nuovo modello femminileJ3. Nel frattempo, alla fine dell'Ottocento, un evento decisivo modificava la collocazione della Chiesa cattolica negli assetti isti tuzionali del mondo occidentale: la fine del potere temporale can cellava definitivamente quella particolare doppiezza che contras segnava lo Stato pontificio e la figura del papa, nello stesso tem po apice della Chiesa universale e sovrano di un territorio prowi sto di confini e di apparati di governo, capace di porsi in concor renza con gli altri Stati dell'Occidente. Era la fine di un processo secolare, che aveva visto il papa-re usare il proprio regno tempo rale per affermare l'indipendenza della Santa Sede rispetto agli imperi, ma anche per esibire - nella dialettica tra centro e perife ria della cristianità - il potere sulle coscienze e sulla morale dei cattolici. Con la fine dello Stato pontificio «il difficile cammino per la costruzione di una nuova sovranità sulle anime»34 affronta un'altra tappa: quella della collocazione della sovranità spirituale del pontefice su un piano parallelo a quello della sovranità tem porale dei principi35. La delocalizzazione della Chiesa ha implicazioni ed esiti a ca tena: l'abolizione dei tribunali ecclesiastici successiva alla fine del lo Stato pontificio proietta l'interlocuzione dei fedeli sulle istitu zioni centrali della Santa Sede e dunque sposta la frontiera tra il foro esterno - obbediente ai diritti dei diversi Stati - e il foro in terno - sempre più intimamente saldato alla norma religiosa. Cu stode della nuova frontiera, la Chiesa necessita ora di universali 33 Cfr. in/ra, cap. VI, par. 6. 34 P. Frodi, Post/azione, in Id., Il sovrano ponte/ice. Un corpo e due anime: la monarchia papale nella prima età moderna, li Mulino, Bologna 20062, p. 428. 3' lvi, p. 43 1 .
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più efficienti. Non più flessibile, disarticolato da quel meccani smo che consentiva di mitigare il rigore della norma con la me diazione «politica» delle gerarchie, il sistema etico cattolico deve riaffermare il suo primato attraverso dettati elementari, enunciati univoci, assoluti non negoziabili. Non di governo si tratta ora, ma di egemonia; e la trattativa su lecito e illecito non può che svol gersi nel segreto del confessionale, nell'intimo delle coscienze, senza muovere clientele e reti sociali. La nuova configurazione della Chiesa esige a sua volta un'atti vità legislativa coerente con equilibri e obiettivi acquisiti: la pro mulgazione del Codex iuris canonicis nel 1917 sottolinea il paral lelismo con il processo di codificazione che aveva caratterizzato gli Stati laici del secolo precedente36, divulgando un sistema di norme capace di rappresentare il nuovo universalismo cattolico. Per tornare al matrimonio, o meglio al processo della sua for mazione, l'opera del Codex- anticipata dal decreto Ne temere del la Congregazione del Concilio del 1907 - mirò a eliminare le dif ferenze tra i paesi dove erano stati applicati i canoni tridentini e i paesi in cui il matrimonio poteva essere celebrato in qualsiasi for ma; e soprattutto intese limitare, scarnificare, giuridicizzare l'isti tuto della promessa sottraendolo al terreno delle pratiche sociali e della negoziazione politica per parlo sul piano del rigore forma le, astratto, inutile. Per avere validità riconosciuta, la promessa de ve essere redatta in un atto scritto, firmato dalle due parti e dal parroco o dal vescovo (il che esclude ovviamente la grande mag gioranza dei fidanzamenti celebrati tra le classi popolari). Soprat tutto essa non genera obbligo al matrimonio: proprio per porsi sullo stesso piano delle legislazioni civili ed evitare finalmente i mali dei matrimoni coattP7, il canone 1017 del Codex stabilisce che dalla promessa ratificata negli sponsali non scaturisca più un grave obbligo al matrimonio, ma soltanto l'impegno a rispettare l'accordo, o almeno a risarcire il danno recato dalla sua rescissio ne in termini di fama, di occasioni perdute, di spese già effettua te in vista delle nozze38• lvi, p. 434. ]emolo, Il matrimonio nel diritto canonico, cit., p. 100. Js Cfr. Margherita Pelaja, La promessa, in De Giorgio e Klapisch-Zuber (a cura di), Storia del matrimonio, cit. J6 H
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La sessualità prematrimoniale perde così il suo valore origina rio di risorsa, di strumento con cui le donne, sostenute da preti e famiglie, potevano trascinare all'altare fidanzati incerti e recalci tranti; la copula che precede le nozze è ora prova d'amore, ricatto degli uomini per ottenere prestazioni sessuali in vista di matrimo ni ancora aleatori, è colpa segreta, da smentire invece che esibire pubblicamente come attestato di impegno matrimoniale. E il ve ro capitale delle donne - intangibile, inviolabile è un nuovo e concretissimo assoluto: l'integrità dell'imene, la verginità. -
3 . Peccato e malattia
Copia delli primi dodici dubbi del Giappone è il titolo di un do cumento conservato presso l'archivio romano dei gesuitP9; in es so erano esposte alcune delle più frequenti «perplessità morali» in cui nella prima metà del Seicento si imbattevano i missionari im pegnati nell'evangelizzazione dell'Estremo Oriente. li sesto dub bio riguardava anche le gravidanze illegittime e trattava il caso di giovani nubili incinte che rischiavano per questo motivo non solo di perdere l'occasione di matrimoni previsti e vantaggiosi, ma ad dirittura di essere uccise dai propri parenti per salvaguardare l'o nore familiare. Ai missionari del Giappone sembrava questa una circostanza in cui prendere in considerazione la possibilità di un aborto, da praticare ovviamente nella fase iniziale della gravidan za, prima dell'animazione del feto. Non si trattava certo di dubbi esotici; questioni del genere era no all'ordine del giorno anche nell'Occidente cristiano, tanto più urgenti quanto più le disposizioni tridentine penetravano nella politica della Chiesa, rendendo incerti gli esiti della sessualità p re matrimoniale e irreparabili i destini delle madri illegittime. «Il me dico, che ordina rimedii a una donna gravida, o che li fa cavar san gue, o li dà conseglio, acciò disperda, ancorché questo lo facci, o per l'honor di quella donna, o per evitar il scandalo o homicidii 39 Copia delli primi dodici dubbi del Giappone, in Archivum Romanum So cietatis lesu, Iap.-Sin. 1 8-1, cc. 1 62r-164v, citato in A. Prosperi, Dare l'anima. Storia di un in/anticidio, Einaudi, Torino 2005, p. 284.
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quali potessero succeder venendo in luce il parto, o scoprendosi la gravidanza [ ... ] , se sa di certo che la creatura sia animata, e di anima intellettiva, commette omicidio, et per conseguenza il pec cato mortale, et diviene irregolare», aveva scritto già nel 1589 un medico di Imola, Gian Battista Codronchi, autore di un testo, Ca si di conscienza, destinato a medici e infermieri40• La posta in gio co, all'interno di dibattiti e disquisizioni via via più accaniti, che a volte si perdevano in casistiche remote, era di portata enorme: i medici infatti avrebbero potuto cancellare, insieme alla gravidan za, la visibilità sociale della sessualità irregolare, impedire l'espia zione pubblica del peccato ricacciandolo nell'intimo delle co scienze, fuori dal corpo. C'era un tempo in cui, fino a tutto il Seicento e oltre, preti e medici erano alleati nella battaglia comune per una salvezza che sembrava porre confini fluidi tra corpo e anima: i medici sentiva no l'obbligo di curare soltanto malati in regola con i sacramenti e sperimentavano speciali siringhe in grado di far penetrare l'acqua benedetta nell'utero materno, consentendo così il battesimo di fe ti in pericolo di vita ma lasciando alla religione la prerogativa di regolare qualunque espressione della sessualità; i teologi e i cano nisti elaboravano teorie su feto e gravidanza, ma preferivano go vernare i comportamenti sessuali attraverso la categoria della col pa dell'anima piuttosto che con quella della salute del corpo. I rapporti tra discorso medico e discorso religioso rimanevano cau ti e fiduciosi: i medici avanzavano sempre più di frequente dubbi e proposte alla Congregazione del Sant'Uffizio, ma l'Inquisizione evitava di pronunciarsi con nettezza e in termini generali, prefe rendo semmai rispondere caso per caso, con prudenza e reticen za. Alla collaudata lungimiranza delle gerarchie ecclesiastiche di ventava sempre più chiaro che dietro la specificità e l'apparente tecnicismo dei quesiti si celava la possibilità di pronunciarsi sulla vita e sulla morte. La medicina intanto ampliava rapidamente le sue conoscenze e le sue ambizioni: in primo luogo intorno alla scena della gravi danza e del parto - in cui inoltre la questione del taglio cesareo 4° Casi di conscienza, pertinenti a medici principalmente, et anca a infermi, in fermierz; e sanz; descritti per Battista Codronco , citato in Prosperi, Dare l'anz� ma, cit., pp. 245-246. ...
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pose per secoli alternative tragiche e certe tra la vita del bambino e quella della madre41 - ma aggredendo anche la sfera giuridica dove, a partire dalle Quaestiones medico legales redatte dal medi co pontificio Paolo Zacchia42, il parere dei clinici prese ad acqui stare una rilevanza crescente nei processi penali e nei conflitti por tati dinanzi alle diverse magistrature. Lo spazio guadagnato ri chiese inizialmente giustificazioni teologiche: il carattere sacrile go da molti attribuito all'autopsia, che profanava un corpo fatto a immagine del suo Creatore, fu confutato per la prima volta nel 1627 da un teologo della Chiesa riformata inglese, con l'afferma zione che l'anatomia e le sue applicazioni avrebbero permesso di conoscere meglio l'opera di Dio43• Si venivano a comporre così in tutto il loro spessore semantico i due termini che si sarebbero col locati nel tempo sui due opposti poli del conflitto, latente ma già riconoscibile, tra sapere medico e religione: l'invio/abilità da un lato di organismi appartenenti a un ordine naturale di matrice tra scendente e la manipolabilità dall'altro di meccanismi passivi, sot toposti al dominio e al controllo delle conoscenze umane44• Il Settecento segnò il trionfo della sperimentazione umana: ve leni diversi venivano somministrati ad ammalati sofferenti dei più vari morbi per verificarne gli effetti terapeutici o letali, il virus del vaiolo fu inoculato a schiavi, galeotti e orfani, prima che a pazienti di più elevato status sociale, per ricercare la garanzia dell'immu nizzazione. Il corpo di uomini e donne divenne laboratorio di esperimenti arditi, il cui esito spesso mortale fu calcolato come possibile incidente di percorso, o più di frequente ascritto a pre cedenti e sconosciute malattie45• Risultava così sempre più palese 4 1 Cfr. N.M. Filippini, La nascita straordinaria. Tra madre e figlio la rivolu zione del taglio cesareo, sec. 18.-19, Franco Angeli, Milano 1995. 42 Pauli Zacchiae Quaestionum medico-legalium opus, Lugduni, M.A. Ra
vaud, 1661. 43]. Weemes, The Pourtraiture o/the Image o/God in Man: In his Three Esta tes o/ Creation, Restauration, Glorification, Printed for Iohn Bellamie, London 1627, citato in R. Muchembled, L'orgasmo e l'Occtdente. Storia del piacere dal Rinascimento a oggi, Raffaello Cortina, Milano 2006, p. 89. 44 Cfr. G. Pomata, Donne e rivoluzione scientifica: verso un nuovo bilancio, in Corpi e storia. Donne e uomini dal mondo antico all'età contemporanea, a cu ra di N.M. Filippini, T. Plebani e A. Scattigno, Viella, Roma 2002, p. 165. 4' Cfr. L. Schiebinger, La sperimentazione umana. Sesso e razza nel XVIII se
colo, ibtd.
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che la medicina stava diventando capace di controllare la vita e la morte, in un'evoluzione travolgente. Gli sviluppi scientifici modi ficavano di continuo gli aspetti morali dei problemi, rendendo sempre più arduo aggiornare legittimità e divieti per garantire la conformità con i dettami della Chiesa. Mfiancando l'assimilazione di saperi e pratiche antiche a teo rie inedite, a nuovi farmaci e a strumentazioni ardite, i medici del l'Ottocento conquistarono la fiducia del popolo degli infermi: ri ducevano fratture e incidevano ascessi, osservavano e individua vano morbi invisibili, prescrivevano rimedi capaci non solo di al leviare la sofferenza, ma anche di guarire dalla malattia. n loro po tere cresceva di pari passo con le loro conoscenze46• Così, lentamente, la scienza medica divenne garante di se stes sa. Si emancipò dal dominio della trascendenza per pretendere anzi di disegnare il proprio, autonomo, ordine naturale. Si dette come priorità quella di elaborare categorie e metodi capaci di de scrivere accuratamente il reale, di classificarlo, per definire cosa appartenesse oggettivamente alla natura - e fosse dunque da di fendere e preservare - e cosa invece se ne discostasse, ne rappre sentasse una distorsione da curare o estirpare. Erano le categorie della normalità e della patologia, che dalla medicina esondarono presto verso le nascenti «scienze dell'uomo» che insieme alla scienza medica si applicarono subito all'individuazione delle dif ferenze tra maschile e femminile, nel tentativo di stabilire - an cora una volta oggettivamente - cosa fossero per natura gli uomi ni e cosa fossero per natura le donne47• Non solo di corpi quindi si trattava e si disquisiva, ma anche di comportamenti, di collo cazione e relazioni nei sistemi sociali. Il confine tra salute e pa tologia si estese nei suoi significati e nelle sue implicazioni fino ad assorbire quella che fino ad allora era stata la bussola, il crite rio di riferimento di ogni valutazione degli atteggiamenti indivi duali: il discorso normativa cattolico sul confine tra innocenza e p-eccato. 46 G. Cosmacini, Storia della medicina e della sanità in Italia. Dalla peste ne ra ai giorni nostri, Laterza, Roma-Bari 2005. 47 Cfr. V.P. Babini, F. Minuz e A. Tagliavini, La donna nelle scienze dell'uo mo. Immagini de/femminile nella cultura scientifica italiana di/ine secolo, Fran
co Angeli, Milano 1986.
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Una natura non più creazione e dono di Dio ma meccanismo complesso in continua evoluzione, da sezionare e perfezionare in vece che fame oggetto di ammirazione e gloria: questa natura - se adeguatamente conosciuta - può fornire i nuovi parametri di giu dizio su chi è sano, chi affetto da mali curabili e dunque da sotto porre a opportuni trattamenti da parte di chi ne possiede le com petenze, chi infine è colpito da malattie prive di rimedio, ed è quindi da rinchiudere, emarginare, separare comunque dal mon do dei sani. n territorio del peccato viene così a restringersi: i comporta menti non conformi ai dettati di una morale i cui assunti domi nanti rimangono per ora quelli elaborati nei secoli dal cristianesi mo non sono più ascrivibili semplicemente alla libera volontà di scegliere il male, ma a nuove incapacità fisiologiche - più tardi psi chiche - che possono essere sottoposte a terapia oppure bollate senza riscatto. La cura si sostituisce alla redenzione, la strategia della colpa si affievolisce, e la Chiesa vede progressivamente sgre tolarsi uno strumento decisivo di dominio sulle coscienze. All 'inizio di questo processo, nella prima metà del XVIII se colo, le sue conseguenze non apparvero limpide neanche ai cat tolici più avvertiti; i quali comunque scelsero subito di rimanere aggrappati al concetto di peccato e di evitare l'uso delle categorie scientifiche come nuovi argomenti per orientare alla continenza i fedeli in balia di una prepotente sensualità. Ma la progressiva ero sione della categoria di peccato e il dilagare di quella di malattia renderà pian piano evidente un avvicendamento ben più signifi cativo: ciò che era rimasto indomato dal disciplinamento di ma trice religiosa - e più tardi non solo quello - sarà fatto proprio da un sistema medico-scientifico che si appresta a diventare una nuo va, autonoma, agenzia normativa. A cominciare dal peccato che la Chiesa aveva maledetto e in sieme dissimulato: quello di Onan. La masturbazione moderna ha scritto uno studioso che le ha dedicato un'importante ricerca48 - possiede una data d'inizio di una precisione rara nella storia del la cultura. Era il 1 7 12 quando fu pubblicato a Londra un opu scolo il cui titolo può essere tradotto così: Onania; ovvero l'odio48 T.W. Laqueur, Sesso solitario. Storia culturale della masturbazione a cura di V. Lingiardi e M . Luci, Il Saggiatore, Milano 2007.
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so peccato dell'autopolluzione, e tutte le sue spaventose conseguen ze per entrambi i sessi, con consigli spirituali e materiali per coloro che si sono già rovinati con questa pratica abominevole. E opportu ni avvertimenti ai giovani della nazione di ambo i sessi. . . L'autore, anonimo, è stato identificato da Thomas Laqueur inJohn Marten, un chirurgo empirico che si proponeva principalmente scopi commerciali: vendere tinture e polveri di sua fabbricazione che avrebbero sconfitto l'odiosa tentazione. li successo del libretto andò ben oltre quello di testi analoghi che in quegli anni circola vano offrendo descrizioni minuziose di organi e attività sessuali e soddisfacendo così tanto la sete di conoscenza quanto la ricerca di sollecitazioni erotiche, al punto da essere definiti pornografia medica49• Onania fu ristampato più volte lungo tutto il Settecen to, diffondendo un nuovo termine per nominare la masturbazio ne; termine che fu ripreso nel trattato di uno dei più importanti medici francesi, Samuel-Auguste Tissot, che scrisse una prima versione in latino nel 1758 e una seconda in francese, l}onanisme, pubblicata a Losanna nel 17 60. Gli argomenti di Tissot non sono affatto nuovi, dato che sem brano limitarsi a riformulare in termini medici proibizioni e mi nacce espresse nei secoli precedenti in chiave teologica. Ma lo slit tamento è compiuto: le conseguenze dell'onanismo riguardano ormai la macerazione del corpo e non la dannazione dell'anima, e la descrizione di tormenti infernali ha il suo scenario nella vita ter rena. A partire dalla tradizionale teoria degli umori la dissipazio ne del seme provocherà una debolezza mortale. Ancora poco per gli altri scienziati che per tutto l'Ottocento riprenderanno le teo rie di Tissot attribuendo alla masturbazione infinite malattie: pu stole orrende, febbri violente, fino alla tubercolosi spinale e all'e pilessia. Niente più dibattiti sul confine tra polluzione volontaria e in volontaria, un confine che tra Medioevo ed età moderna era sta to spostato di continuo per ampliare il margine di tolleranza ver so una propensione incoercibile-5°; niente più indagini discrete dei confessori. L' onanismo è divenuto malattia mortale da curare con ogni mezzo. E a elaborare sistemi di cura e repressione si appli49 '°
Cfr. R. Muchembled, L'orgasmo in Ocddente, cit., pp. 145 sgg. Cfr. supra, cap. IV.
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cano in molti, gareggiando - loro, gli addetti alla cura - in fanta siose perversioni, che risuonano di strane assonanze con le morti ficazioni cui si sottoponevano i monaci medievali: mani legate al la testata del letto o costrette in una specie di camicia di forza du rante la notte; apparati genitali stretti in cinture di castità; canali dell'uretra cauterizzati e mantenuti in uno stato di costante in fiammazione così da rendere dolorosissimo ogni toccamento; am putazioni della clitoride; applicazione agli uomini di congegni con allarme elettrico in caso di erezione; utilizzo di anelli provvisti di punte acuminate pronte a conficcarsi nel membro eretto51 • Non sono solo i medici ormai i responsabili di un così violen to accanimento terapeutico: altre scienze tra Settecento e Otto cento si applicano a mettere a punto un sistema morale - e all'in terno di questo una visione della sessualità - che mette al suo cen tro priorità inedite. Parte integrante di un ordine naturale cono scibile e manipolabile, il corpo umano è un meccanismo delicato, deperibile, che funziona grazie a complicati flussi di energia. Un'energia che deve essere dunque preservata, risparmiata, non dissipata in atti sessuali inconsulti e insani. Molti storici hanno sottolineato nei loro studi il carattere economico della morale ses suale messa a punto dalle borghesie nascenti tra Settecento e Ot tocento; nella cultura dell'epoca - scrive Robert Muchembled «il corpo è pericoloso. Però, non più perché allontana dalla sal vezza eterna, ma perché costituisce un capitale, una meccanica da gestire per trarne il miglior profitto [. . . ] . L'educazione dei sensi ha dunque come obiettivo il risparmio. La cultura medica alimenta il timore che 'le perdite' portino ineluttabilmente al trapasso, co me è accaduto all'uomo che ha assunto una pozione afrodisiaca contenente polvere di cantaride. 'Lo stolto ha ottantasette rap porti con la moglie quella notte, spande inoltre molto sperma nel suo letto. Cabrol, chiamato il mattino per curarlo, vede questo no vello Ercole, ancora più famoso dell'eroe che aveva meravigliato l'Antichità, avere ancora tre eiaculazioni successive strofinandosi sulla testiera del letto. La morte mette fine a questa crisi eroti ca'»52. L'economia biologica e sociale è offesa da tanto sperpero, da un'incapacità di autoregolazione che contraddice l'emergente 51
52
Cfr. Muchembled, L'orgasmo in Occidente, cit., pp. 230-232. lvi, p. 222.
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esaltazione del mercato: se grazie al mercato infatti anche gli atti di avidità e di soddisfazione dei desideri individuali potevano tra sformarsi nel bene generale in quanto motore che alimenta l'inte ra imprenditorialità, gli eccessi sessuali - e tra questi soprattutto la masturbazione - rappresentavano l'unica forma di ricerca del piacere che sfuggiva a ogni autocontrollo, per di più improdutti va e assolutamente gratuita. È meglio, scrisse il medico e pensa tore Bernard Mandeville, che i ragazzi frequentino i bordelli an ziché commettere stupri contro i loro stessi corpP3• La prostituzione acquista così una rilevanza strategica: la nuo va morale sessuale che dal Settecento si diffonde per dominare fi no agli ultimi decenni del secolo scorso conserva infatti gli assetti di quella cattolica messa a punto in età moderna, ponendo al suo centro la relazione matrimoniale. Nello stesso tempo tuttavia ope ra una dislocazione decisiva: il piacere - che il cattolicesimo pre scriveva, insegnava, cercava di garantire nella copula coniugale è collocato ora fuori del matrimonio. La rigida distinzione fra i sessi, e dentro i sessi, fra sani e depravati/malati impone che le donne oneste e sposate siano frigide. L'amplesso coniugale è an cora, e ancora più rigidamente, procreativo, mentre le donne di soneste/ninfomani sono nei bordelli, dove si costruisce il nesso in dissolubile tra piacere e malattia. Già Agostino, pur sempre condannandolo come peccato or rendo, aveva associato il meretricio a una cloaca che «impedisce che l'intero palazzo sia lordato dagli escrementi»54; ora l'immagi ne viene ripresa e perfezionata da chi ha dawero tutti i titoli per riproporla. Nel 1836 Alexandre Parent-Duchihelet, medico e i gienista, dopo essersi a lungo occupato del funzionamento delle fogne di Parigi, scrive De la prostitution dans la ville de Paris, con sidérée sous le rapport de l'hygiène publique, de la morale et de l'ad ministration55; il corpo della prostituta è davvero la fogna del se" B. Mandeville, Modesta dz/esa delle pubbliche case di piacere ( 1724), tra duzione e note di F. Bande! Dragone, Passigli, Firenze 1998. �4 Cfr. supra, cap. IV. " A.-J.·B. Parent-Duchatelet, De la prostitution dans la ville de Paris, con
szdérée sous le rapport de l'hygiène publique, de la morale et de l'administration: ouvrage appuyé de documens statistiques... par A.-].-B. Parent Duchatelet; précédé d'une notice historique sur la vie et !es ouvrages de l'auteurpar Fr. Leuret, Société beige de librairie Hauman, Cattoir et C., Bruxelles 1836.
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me maschile, e come tale va mantenuto pulito, sano e separato da gli altri corpi femminili. Organizzato quindi, e regolato da norme efficienti, e sorvegliato da apposite figure di controllo. È la sanzione pubblica del passaggio dal proibizionismo alla tolleranza. Fino al Settecento infatti il meretricio era ufficialmen · te condannato anche dalle autorità civili e perseguito con editti tanto reiterati quanto evidentemente inutili. Tra il XVI e il XVIII secolo, per esempio, vennero emanate nel Regno di Napoli ben sedici Prammatiche, le quali prevedevano per chi esercitasse o fa vorisse il meretricio la frusta, l'esilio, la galera, il taglio del naso56• E due Prammatiche, rispettivamente del 1734 e del 1737, inten devano colpire anche gli affittuari delle case ove si esercitava la prostituzione, la prima vietando semplicemente l'affitto, e la se conda introducendo pesanti disincentivi economici: il contratto d'affitto sarebbe stato nullo, le meretrici sarebbero state esonera te dall'obbligo di pagare la mercede, le case stesse avrebbero po tuto essere confiscate57• E il Bando per li vagabondi e per le putta ne cassariote, emanato in Sicilia dal viceré principe di Caramani co nel maggio 1793, ripristinava le Prammatiche sul lenocinio va rate più di due secoli prima, tra il l5 15 e il 1553 , proibendo alle donne di girare per strada di notte e di affittare case di persone oneste, minacciando la frusta e la rasatura delle ciglia e condan nando gli uomini trovati in compagnia di prostitute all'esilio, o al la frusta, o al carcere58• Ma con il passaggio all'Ottocento un cambiamento rapido in veste gli assetti normativi, gli apparati di controllo, la percezione stessa del fenomeno e dei suoi protagonisti. La meretrice-fogna descritta da Parent-Duchatelet è il vaso in cui viene depositato quell'eccesso fisiologico di liquido spermatico prodotto da corpi maschili privi di vasi legittimi in cui deporlo: celibi, militari, gio� 6 Pragmatica edicta decreta interdicta regiaeque sanctiones Regni neapolita ni. De Meretridbus, Napoli 1772, citato in L. Valenzi, Donne, medici e poliziot ti a Napoli nell'Ottocento. La prostituzione tra repressione e tolleranza, Liguori,
Napoli 2000, p. 24. '7 lvi, p. 25. ' 8 Archivio di Stato di Palermo, Ministero e Rea! Segreteria di Stato presso il Luogotenente generale delle due Sicilie - Polizia, p. 408, doc. 1060, citato in G. Fiume, Le patenti di infamia. Morale sessuale e igiene soda/e nella Sidlia del l'Ottocento, in «Memoria. Rivista di storia delle donne», n. 17, 1886, pp. 78-79.
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vani altrimenti preda della tentazione masturbatoria. L'immagine tuttavia è già arretrata rispetto ai mutamenti in corso: perché or mai assidui e regolari frequentatori delle prostitute stanno diven tando i mariti. Insoddisfatti dell'algido talamo coniugale e bra mosi di piaceri negati dalle caste spose legittime. La promiscuità è forte, e va esorcizzata. Se la frequentazione delle meretrici non appartiene più a determinate fasi della vita, ma è esperienza che attiene alla quotidianità di mariti e padri di fa miglia che possono passare dai luridi e contaminati panni del gia ciglio delle prostitute al nitore della biancheria di casa, allora il confine tra piacere e castità deve essere demarcato - concreta mente e simbolicamente - con strumenti nuovi ed efficaci. Sul piano normativa, la definizione scelta senza più ipocrisie per i nuovi sistemi di controllo dà un nome, tolleranza, all'atteg giamento che ha preso il sopravvento: comincia il Regolamento napoleonico del 1 802, che prevede registrazioni, visite mediche e maisons de tolérance; nel 1 820, a Palermo, la Direzione generale di polizia, appena istituita, crea le «patenti di tolleranza», docu menti che servono a censire le prostitute non occasionali. Tali do cumenti devono essere vistati ogni dieci giorni dall'ispettore ad detto e dal «chirurgo visitatore»: la visita medica praticata nell'o spedale è pubblica e obbligatoria, pena l'arresto, e serve a verifi care l'esistenza di malattie veneree59• Nel corso dell'Ottocento il regolamentarismo si diffonde in tutta Europa, in un susseguirsi di disposizioni che si propongono infinite garanzie: la garanzia dei diritti e dei profitti di chi gestisce i bordelli, la garanzia di una se parazione senza ambiguità tra donne oneste e donne perdute, la garanzia dell'igiene e dell'impossibilità del contagio. Sul piano operativo, si afferma e si struttura il connubio così sottilmente analizzato e ipostatizzato dagli studi di Michel Fou cault: quello tra medico e poliziotto. Un connubio che in una ge rarchia tutta implicita unisce chi - il poliziotto - ha il compito di controllare i comportamenti socialmente pericolosi e chi - il me dico - ha le competenze per collocare tali comportamenti nella devianza consapevole e colpevole o in una malattia che si distri buisce su vari gradi di innocenza e di curabilità. Anche il Regola59
lvi, p. 79.
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mento sulla prostituzione, detto Regolamento Cavour, promulgato nel 1 860 tra i primi prowedimenti legislativi dello Stato italiano, impone la visita forzata: «La visita, in quel dispensario, si fa con mirabile celerità», riferisce il medico Agostino Bertani criticando tale disposizione. «li medico, estratto lo speculum da una, appe na lo striscia su una spugna inzuppata d'olio e lo applica ad un'al tra. Dopo 50 visite all'incirca la spugna è carica di muco e di san gue, ma il medico imperturbabile continua. E con pari celerità si procede visitando la bocca introducendovi una spatola che, nel l'istantaneo passaggio da una bocca all'altra il medico striscia sul suo grembiale»60• E poiché, per esempio a Bologna - continua Mary Gibson -, attraverso quelle ispezioni fu trovato infetto solo il 17% delle donne controllate tra il 1 864 e il 1 886, per l'altro 83 % la visita medica forzata rappresentò essenzialmente un «rito di ini ziazione» per l'ingresso in un bordello. Se il controllo medico si aggiungeva alla registrazione e alla re clusione nei bordelli per caratterizzare la politica degli Stati laici nei confronti della prostituzione, tale politica si mostrava invece priva di uno dei tratti costitutivi dell'atteggiamento della Chiesa cattolica verso le meretrici: la tensione al recupero, il progetto di redimere, di salvare l'anima delle donne cadute togliendole dal peccato e garantendo loro una sussistenza fatta di pentimento e di speranza. Nell'organismo sociale congegnato dalle borghesie ot tocentesche le prostitute svolgono un ruolo «igienico» essenziale e devono dunque essere disponibili in abbondanza; non bisogna redimerle ma solo mantenerle sane e pulite, registrate e chiuse in luoghi ben separati dai territori - anch'essi ben delimitati - ac cessibili alle oneste spose e madri. Classificare e separare è ormai attività quotidiana di una scien za medica in cerca di ambiti sempre più vasti su cui dispiegare la propria capacità disciplinatrice. E all'interno di una sessualità concepita come interesse pubblico altre figure vengono costruite per definire e isolare ogni inclinazione e ogni comportamento che 60 A. Bertani, La prostituzione patentata e il regolamento sanitario: Lettera ad Agostino Depretis, Quadrio, Milano 188 1 , citato in M. Gibson, Medici e poli ziotti. Il Regolamento Cavour, in «Memoria. Rivista di storia delle donne», n. 17, 1886, pp. 92-93; si veda anche Ead., Stato e prostituzione in Italia 1860-1915, Il Saggiatore, Milano 1995.
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si discosta dal «normale» esercizio della copula coniugale e della copula mercenaria. Per tutta l'età moderna la sodomia era il «vizio nefando», la colpa abominevole di cui tutti i fedeli potevano macchiarsi senza per questo compromettere un'identità sessuale che trovava altro ve i suoi parametri costitutivi61 • Nei primi decenni del Settecento nacquero a Londra le molly houses, ritrovi specializzati per chi preferiva avere incontri sessuali con persone dello stesso sesso e prime enclaves di una sottocultura fiorente. I frequentatori delle «case per effeminati» vi si recavano spontaneamente per trovarvi soddisfazioni molteplici - vi si praticava per esempio anche la fla gellazione - e forse anche l'armonia di un'appartenenza ancora in embrioné2• È sempre difficile e controverso stabilire la data di nascita di un atteggiamento culturale, e il dibattito storiografico sulla nasci ta dell'omosessuale moderno è ancora aperto63; è possibile però ritenere che le molly houses, pur offrendo ai propri visitatori il ger me di una nuova percezione di sé e di una nuova cultura, non ge neravano allarme sociale, non sembravano minacciare un ordine dei sessi che si andava costruendo in forme sempre più rigide e violente. n labeling, la collocazione dei sodomiti in una specie autono ma - non più da condannare soltanto per i suoi atti immorali, ma da studiare e perseguire per la sua identità perversa -, avvenne più tardi, verso la fine dell'Ottocento, per la convergenza di due pro cessi: uno, maturato in ambito giuridico anche sotto l'influenza della nascente antropologia criminale, faceva slittare il giudizio e la condanna dall'atto, isolato nella sua circostanzialità, all'indivi6!
Cfr. supra, cap. IV. Cfr. R. Norton, Mother Clap's Molly House: The Gay Subculture in En gland, 1 700-1830, GMP, London 1 992, e Muchembled, L'orgasmo in Occiden te, cit., p. 177. 6 3 Tra le diverse posizioni al riguardo cfr. }. Weeks, Against Nature: Essays on History, Sexuality and Identity, Rivers Oram, London, 199 1 ; The Making o/ Modern Homosexual, a cura di K. Plummer, Rowman & Littlefield, London 1981; M. Duberman, M. Vicinus e G. jr Chauncey, Hidden /rom History. Re claiming the Gay and Lesbian Past, Meridian, New York 1980; R. Norton, The 62
Myth o/the Modern Homosexual: Queer History and the Search /or Cultural Unii, Cassell, London 1997.
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duo, portatore di uno stigma vizioso e criminale nell'insieme dei suoi comportamenti; il secondo, risultato della fusione dell' ap proccio medico, biologico e psichiatrico, componeva corpi e ca ratteri in figure sociali marchiate da anomalie molteplici, tutte in dirizzate verso un'aberrante inversione sessuale64• Un'inversione che presto avrebbe trovato nei progressi scientifici la via per esse re sanata. Nella gara ingaggiata per individuare l'origine dell'anorma lità, anatomia ed endocrinologia si contendevano fantasiosamen te il primato: secondo Paolo Mantegazza l'omosessualità deriva va «da un'anomalia anatomica che indirizzava i nervi spinali, de stinati alla voluttà, non verso gli organi genitali ma verso il retto. Anche i pederasti attivi avevano un'anomalia che li portava a de siderare di sentire il penis circumclusum (desiderio di strettezza). L'origine della sodomia era quindi da ricercare nei centri nervo si»65. Maggiore seguito e prestigio ottenne l'approccio endocrinolo gico; offrendo una sintesi felice delle teorie lombrosiane, dell'or ganicismo e della teoria della bisessualità di Otto WeiningerM, gli endocrinologi ritenevano che l'omosessualità derivasse da un'a nomalia congenita che si manifestava in alcune disfunzioni ormo nali. Le applicazioni di tale teoria furono entusiastiche e racca priccianti: il fisiologo Eugen Steinach compì a Vienna molte ri cerche sui testicoli degli omosessuali prima di procedere alla loro castrazione e all'innesto su di essi di testicoli di persone eteroses suali. I risultati dei suoi esperimenti - compiuti in collaborazione con il collega Robert Lichtenstern - furono celebrati dall'italiano Ferdinando De Napoli: Sono notevoli specialmente i risultati ottenuti da Lichtenstern su gli omosessuali. Egli li ha fatti tornare come gli altri uomini del loro sesso; li ha fatti agire, pensare, amare come questi, normalmente (e noi
64 M. Foucault, Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975), a cu ra e traduzione di V. Marchetti e A. Salomoni, Feltrinelli, Milano 2004. 6' P. Mantegazza, Gli amori degli uomini. Saggio di una etnologia dell'amo re, Milano, s.d., citato in L. Benadusi, Il nemico dell'uomo nuovo. L'omosessua lità nell'esperimento totalitario fascista, Feltrinelli, Milano 2005, p. 54. 66 O. Weininger, Sesso e carattere, Fratelli Bocca, Torino 1912.
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vedremo quanto diversamente agiscono non nella sola sfera sessuale, ma in tante manifestazioni spirituali, questi poveri invertiti ! ) . Li ha re si diversi con l'innesto della materia buona, dopo di aver asportata la materia non buona, anormale e difettosa, per cui questi infelici, per lungo tempo, apparvero come malati di mente o, peggio ancora, furo no giudicati viziosi. Non è dunque la materia che domina, che in fluenza, che guida e che piega anche lo spirito?67
Non potevano scegliersi toni più trionfali: scientismo positivi sta e materialismo dimostravano finalmente la possibilità di ma nipolare non soltanto i corpi ma anche le emozioni e i sentimen ti; e dunque di ridisegnare la geografia del vizio e dell'innocenza, del condizionamento e della libera scelta. Gli omosessuali sono ta li per tare congenite: sono dunque incolpevoli e soprattutto cura bili. La scienza medica è in grado di governare e ripristinare l'or dine dei sessi. La competizione con la visione cattolica del sodomita come peccatore responsabile del proprio vizio è esplicita e agguerrita; l'antagonismo dei medici appare così ben più aggressivo di quel lo dei giuristi, che fra Ottocento e Novecento in Italia si ritrasse ro per ben due volte dall'intervento sull'omosessualità. Con mo tivazioni solo in parte diverse, i redattori del Codice Zanardelli del 1889 e quelli del Codice Rocco del 193 1 rinunciarono a persegui re specificamente i comportamenti omosessuali. Per i giuristi li berali lo Stato non doveva invadere i territori della morale, e gli atti di libidine contro natura dovevano essere puniti solo se com portavano violenza o pubblica offesa al pudore, altrimenti dove vano essere abbandonati «come peccati alla sanzione della reli gione e della privata coscienza»68. Con il risultato che l'introdu zione del codice unitario estese a tutta l'Italia la depenalizzazione dell'omosessualità, perseguita invece nel Lombardo-Veneto e nel Regno di Sardegna. Gli argomenti dei legislatori fascisti erano soprattutto di ca rattere estetico: pur dopo un lungo dibattito, decisero che l'intro67 F. De Napoli, Sesso e amore nella vita dell'uomo e degli animali, vol. I, Fra telli Bocca, Torino 1927, pp. 192-193, citato in Benadusi, Il nemico dell'uomo nuovo, cit., p. 58. 68 lvi, p. 1 02.
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duzione dell'omosessualità come reato a sé stante avrebbe offer to agli stranieri l'immagine di una nazione popolata di pervertiti e bisognosa dunque di una esplicita tutela da parte della legge. Me glio il silenzio allora, e una delega forte alla Chiesa sulla preven zione e sul controllo di tale turpitudine. Tra Ottocento e Novecento dunque le gerarchie ecclesiastiche furono costrette a costruire e affinare nuovi strumenti per gestire con efficacia sia il controllo dei comportamenti sessuali dei fede li sia l'interlocuzione con teorie e sperimentazioni che si stavano diffondendo nell'ambito della scienza medica. Lo fecero rinno vando l'impegno nella formazione dei confessori: perché l'omo sessualità - come ogni altro atto sessuale compiuto al di fuori del matrimonio - tornasse a essere fino in fondo un peccato da por tare al tribunale della penitenza e perché i sacerdoti sapessero ma neggiare con cognizione di causa concetti e terminologie che dal la comunità scientifica rischiavano di esondare verso strati sempre più ampi della società. Nel 1905 fu pubblicata la prima edizione di un testo più volte ristampato nei decenni successivi: la Medici na pastoralis in usum con/essariorum et curiarum ecclesiasticarum di Giuseppe Antonelli, corredato di tavole anatomiche esplicati ve, che dedicava pagine specifiche al tema dei rapporti contro na tura; pochi anni più tardi, nel 1910, padre Agostino Gemelli die de alle stampe, sempre in latino come era in uso nella Chiesa cat tolica soprattutto quando si trattava di questioni delicate dal pun to di vista morale e sessuale, il suo Non moechaberis. Disquisitio nes medicae in usum con/essariorum, che nel capitolo quinto trat tava De sexualibus aberrationibus earumque cura. Nel 193 0 infine, e finalmente in italiano, iniziò le pubblicazioni a Bologna la «Ri vista medica per il clero», il cui obiettivo era quello di fornire gli strumenti per comprendere il nesso tra malattia fisica e malattia morale. Un arduo compito attendeva i cattolici che si prefiggevano di illuminare quella terra di confine: soprattutto chi - come padre Gemelli - nel corso della prima metà del secolo avrebbe ap profondito da psicologo i suoi studi sulla sessualità, cercando da un lato di difendere il libero arbitrio dal determinismo biologico di stampo positivista, e dall'altro di riaffermare la dimensione spi rituale della castità in polemica con quello che all'epoca veniva de finito come il «pansessualismo» della psicoanalisi.
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Proprio la psicoanalisi infatti andava nel frattempo elaboran do quella che sarebbe divenuta la rappresentazione dominante della condizione umana. La rivoluzione fu lenta ma irreversibile, e avvenne attraverso progressive dislocazioni, secondo un movi mento che riportava nell'anima quello che era stato appena loca lizzato nel corpo, e che ancora nell'anima, all'interno del sogget to, poneva l'origine e il senso della colpa e del castigo69• Osser vando i sussulti delle isteriche, Freud capì che le cause delle loro sofferenze andavano ricercate non in disfunzioni fisiologiche o in lesioni anatomiche, ma nei «nervi dell'anima», in conflitti fra de sideri e interdizioni che parlano al corpo attraverso il sintomo; capì che ogni desiderio trae direzione ed energia da pulsioni ero tiche risalenti alla prima infanzia; che l'interdetto posto al loro soddisfacimento ne provoca la rimozione, la quale a sua volta ge nera l' autorappresentazione del soggetto condizionandone la vo lontà e l'agire. La ricerca della verità attiene allora a un percorso interiore, che attraverso il disvelamento della rimozione recupera l'identità più profonda di ognuno. Per la psicoanalisi quindi la sofferenza continua - come nella religione e nella morale tradi zionale - a essere lontananza dalla verità, ma è lontananza da una verità interiore che non si raggiunge con il perdono e con la re denzione ma con il disvelamento e la conquista della coscienza. Un altro sapere dunque parla di verità ma esclude ogni asso luto, indica percorsi di conoscenza e di responsabilità che attra versano la decodifica e il dominio delle pulsioni; è il sapere più vi cino alla pluralità di opzioni e di progetti che la modernità di spiega all'individuo occidentale. 4. Rigenerare l'umanità? Questo cambiamento di mentalità, che ha segnato una frattu ra con la morale cristiana sia per quanto riguarda sia il matrimo nio sia il comportamento sessuale, non era solo provocato da fat tori culturali, ma anche dalla profonda trasformazione demogra69 Cfr. Il secolo della psicoanalisi, a cura di G. Jervis, Bollati Boringhieri, To rino 1999.
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fica delle società occidentali realizzatasi a partire dal 1750 e affer matasi decisamente dalla seconda metà del XIX secolo. A comin ciare da questo periodo, il miglioramento delle condizioni di vita ha consentito un allungamento della vita umana e, soprattutto, grazie all'adozione di norme igieniche e delle nuove medicine, un crollo della mortalità infantile e della mortalità per parto delle donne. Come scrive il sociologo francese Paul Yonnet, sono le donne e i bambini i grandi beneficiari di questa rivoluzione, un cambiamento che provoca anche importanti trasformazioni nel modo di concepire l'infanzia - il bambino diventa una persona e nella definizione del ruolo femminile, dal momento che non sa ranno più necessarie molte gravidanze per garantire un figlio vi vente, cosicché alle donne si apre la possibilità di impegnare in al tri campi la propria vita. La rivoluzione demografica, scrive Yon net, «è originata - fondamentalmente - dalla· coniugazione di un calo delle mortalità con una rivoluzione ideologica e culturale» che non solo avrà profondi effetti sul comportamento sessuale «ma arriverà a influenzare la formazione dell'io»70• il nuovo ordine della fecondità, per cui i bambini abbondano, fa nascere il desiderio di avere un bambino, cioè il desiderio di scegliere quando avere un figlio. Anche in questo campo, Rous seau, che abbandona all'orfanotrofio i cinque figli avuti dall'a mante - e non «desiderati» in quanto egli non si ritiene un «buon padre» - disegna la strada per tutti. L'abbandono dei figli non de siderati, che aumenta costantemente nel corso del XIX secolo, co stituisce infatti, secondo Yonnet, la prima forma di scelta: perché esista il bambino desiderato, deve esserci quello rifiutato. All'ab bandono si sostituiranno ben presto, come fenomeno di massa, la contraccezione e l'aborto, ma le motivazioni sono sempre le stes se: non più l'accettazione naturale della discendenza ma, come di ce Rousseau, la decisione di tenere un figlio o no si basa sullo sta to della coppia, e sulla capacità dei genitori di soddisfare le pro prie attese di fronte ai figli che desiderano avere. Questa rivolu zione non si limita a programmare le nascite in proporzione al ca lo della mortalità, ma va oltre, come dimostra il fatto che nei pae si occidentali l'incremento demografico è sceso al di sotto del rin70 P. Yonnet, Le recul de la mort. L'avènement de l'individu contemporain, Gallirnard, Paris 2006, p. 143 .
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novo generazionale. La «ritirata della morte», infatti, ha liberato delle aspirazioni che non sono più legate all'equilibrio della spe cie o all'equilibrio della società, né agli interessi di sopravvivenza di un gruppo sociale, ma solo ai desideri individuali, che saranno al centro di una nuova dinamica. L'aborto volontario si diffonde solo in questo periodo come pratica di massa nelle società umane, scrive Yonnet71, grazie alla scoperta dell'asepsi e degli antibiotici - prima l'aborto era troppo rischioso, ed era più sicuro invece abbandonare il bambino - e co mincia a essere legittimato dall'accettazione sociale della regola morale del bambino desiderato. La prima fase di questo cambiamento inizia nel XVIII secolo, quando si diffonde come forma di controllo delle nascite l'abitu dine a ritardare la data del matrimonio, comportamento diffuso con cui i Paesi occidentali di tradizione cristiana cominciano a dif ferenziarsi dal resto del mondo. È chiaro che questa nuova economia familiare porta a una cri si della morale tradizionale, che non scompare, ma che si rifor mula intorno ai valori dell'autenticità del legame: «non è perché le relazioni sessuali prima del matrimonio sono immorali che so no proibite, è perché minacciano l'equilibrio demografico che so no dichiarate immorali», afferma Yonnet72, e conclude sostenen do che, con l'accettazione e la diffusione del controllo delle na scite, la società occidentale inventa una nuova morale, centrata sul figlio desiderato, che non ha più bisogno della protezione del ma trimonio, della maschera del conformismo sociale. Il controllo delle nascite viene proposto pubblicamente nelle società occidentali per la prima volta da Francis Piace, un operaio inglese impegnato nella politica, che stampa nel 1822 un breve trattato sui metodi anticoncezionali. Al libro vennero affiancati dei manifesti, rivolti «ai coniugati di ambo i sessi», che illustrava no tecniche anticoncezionali semplici e di facile impiego, come la spugna vaginale e il coito interrotto. Lo sfondo teorico con cui Piace giustifica la sua propaganda è utopistico - il controllo delle nascite permetterà di debellare la povertà e di migliorare il teno re di vita delle masse -, così come utopista era l'altro pioniere del71 Cfr. Yonnet, Le recul de la mort, cit., p. 1 65. 72 lvi, p. 1 90.
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la contraccezione, il filantropo Robert Owen, e questa tensione utopica rimarrà una caratteristica di tutta la propaganda anticon cezionale, almeno fino alla metà del Novecento. Un'altra caratte ristica del movimento di controllo delle nascite è lo stretto legame con i movimenti anticlericali e di propaganda dell'ateismo, come quello del Libero pensiero, e con gli evoluzionisti che sosteneva no la necessità di una selezione eugenetica per accelerare l'evolu zione della specie umana. Ritroviamo tutti questi elementi nei due protagonisti di un processo che si tenne a Londra fra il 1 877 e il 1879 per la pubbli cazione e la diffusione di un opuscolo di informazioni anticonce zionali compilato da un medico, George Drysdale, fondatore del la Lega neomalthusiana: Charles Brandlaught, giornalista e capo della National Secular Society, associazione che si proponeva co me obiettivo la predicazione dell'ateismo, e la sua stretta collabo ratrice, Annie Besant. Entrambi furono assolti, e il processo die de grande risonanza alla loro iniziativa, che poi la Besant sfruttò pubblicando un opuscolo più aggiornato - Law o/Population - di larga diffusione, ristampato più volte e tradotto in varie lingue. In questi anni il movimento neomalthusiano si diffonde rapidamen te in tutta Europa, attraverso reti socialiste ed evoluzioniste - che spesso coincidevano - in sintonia con le teorie eugenetiche. I neomalthusiani, per affrontare questo tipo di problema, sen tivano il bisogno di una giustificazione etica, e presentavano per tanto il controllo delle nascite come una pratica eugenetica, inte sa come speranza di rigenerare l'umanità: «allo scopo dunque di migliorare il tipo fisico umano, il materialismo scientifico doveva proibire la procreazione alle persone non perfettamente sane, re stringendo la prole nei limiti consentiti dalla buona salute della madre, ed imporre il dovere di non mettere al mondo dei figli quando non è possibile fornire ad essi le condizioni di buon alle vamento», scrive Annie Besant73• La Besant parla apertamente «del dovere umano di cooperare razionalmente con la natura del l'evoluzione» per costruire una società perfetta, nella quale - eli minate le ragioni della sofferenza - il dolore sarebbe scomparso. D A. Besant, Autobiografia, prefazione di L. Scaraffia, Le Lettere, Firenze 2002, p. 194.
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La motivazione al controllo delle nascite veniva ricondotta, quin di, alla necessità «superiore» di rigenerare l'umanità. n concetto di «rigenerazione», il cui significato originario era legato al battesimo cristiano, viene considerato una possibilità umana a partire dalla Rivoluzione francese, fino a diventare un to pos del lessico giacobino. Si sposa perfettamente poi con la con cezione darwiniana della storia, secondo cui la società tende a tra sformarsi costantemente in senso positivo. Si può ben capire, quindi, come questo termine venga utilizzato ampliamente dai movimenti neomalthusiani favorevoli al controllo delle nascite: nel 1900 la Lega internazionale neomalthusiana - fondata dai pro pagandisti George Drysdale, Paul Robin e Johannes Rutgers prese il nome di Ligue pour la régéneration humaine. Ma già Ro bin, nel 1890, aveva fondato la Ligue de la régéneration humaine, che aveva come motto «bonne naissance-éducation intégrale», apertamente femminista, e che pubblicava la rivista <
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vori con un intervento sull'igiene e sulla morale sessuale, pren dendo una posizione decisamente favorevole all'eugenetica, che lei vedeva come via «scientifica» per trasformare in senso positi vo la futura umanità. Anche Ersilia Majno, femminista moderata impegnata in ope re di assistenza sociale, se pure dopo qualche incertezza, aderisce alla proposta neomalthusiana come si deduce dal suo intervento al convegno sulla «questione sessuale» tenutosi a Firenze nel 1910: «La maternità si è svolta fino ad oggi bestialmente. Il neo malthusianesimo dà coscienza alla specie. I figli dei genitori ma lati indeboliscono la società, la quale crea per essi una quantità di istituti medici. Inutilmente: bisogna prevenire il male. La que stione del neomalthusianesimo è una questione di scienza e di re sponsabilità sociale»76• La giurista Teresa Labriola, impavida so stenitrice del divorzio e della libera unione, nonché del riconosci mento di paternità per i padri fedifraghi, ha ben chiaro che le sue proposte sono rivoluzionarie, ma le giustifica con la promessa di una crescita etica della società: «La tendenza a trasformare la 'sca la dei valori' nella sfera della vita sessuale, che comincia a deli nearsi ai nostri tempi, può portare realmente ad una elevazione di cotesti valori, in quanto li emancipa in definitivo - totalmente per la prima volta - dalle idee e dalle istituzioni autoritarie, per con siderarli come valori per sé esistenti»77• Del resto, che l'idea del controllo eugenetico delle nascite fos se circondata da un consenso diffuso lo prova anche Nietzsche che, in Cast'parlò Zarathustra, scrive: «lo chiamo Imene quella che riunisce due individui i quali vogliono creare un uomo più per fetto di quelli che l'hanno creato». Per mettersi al posto di Dio decidendo come e quando pro creare, infatti, l'essere umano deve trovare motivazioni alte, di or dine quasi religioso, e in questo caso coerenti con la nuova reli gione della modernità, quella scientifica. La propaganda neomalthusiana trova terreno favorevole per effetto della rivoluzione demografica, che cambia completamen te il modo di vedere la procreazione nella società, creando una si76 Il Convegno per la questione sessuale, in «La Voce», n. 49, 17 novembre 1910, pp. 436-439. 77 T. Labriola, Libera unione e divorzio, Roma 1914, p. 33.
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tuazione opposta a quella in cui si è affermata la morale sessuale cristiana: il modello del matrimonio cristiano, infatti, si è formato in una società oppressa dal problema della continuità, in lotta contro la morte che colpiva soprattutto i neonati e le partorienti, e quindi portata a privilegiare la procreazione rispetto al piacere per quanto riguarda la pratica sessuale. In questa situazione, il modello di morale sessuale cristiana che limitava il sesso nel ma trimonio a fini di procreazione era ben accetto e coerente alle esi genze della società: in fondo, poi, la cultura cristiana addolciva la durezza di questa necessità, che ha sempre costretto le donne a ri manere strettamente ancorate al loro destino biologico, sia riser vando a esse la possibilità di vivere in castità come religiose, sia, nel matrimonio, chiedendo agli uomini di osservare le stesse re gole di fedeltà tradizionalmente richieste alle donne. L'indissolu bilità del matrimonio, poi, impediva che venissero ripudiate le donne sterili e le adultere, creando di fatto una rete di protezione nei confronti delle donne non «normali». Era evidente che la fine della necessità di procreare il numero di figli più alto possibile per garantire la sopravvivenza della fa miglia e del gruppo sociale apriva alle società occidentali la possi bilità di cambiare le regole di comportamento sessuale e di disci plina matrimoniale della morale cristiana: nasce così la proposta di separare la sessualità dalla procreazione, la riabilitazione del piacere sessuale fine a se stesso, la fine della necessità di praticare la sessualità nel matrimonio per garantire la procreazione, e quin di la separazione fra matrimonio e procreazione. La morale cri stiana, che aveva segnato un progresso nella concezione del ma trimonio introducendo il concetto di dignità umana anche nei confronti delle donne, non sembra più portatrice di un valore po sitivo che mitiga la brutalità del rapporto sessuale fra donne e uo mini, come era stato fino ad allora, ma un ostacolo alla libertà de gli esseri umani di vivere il piacere. Se in Italia l'eugenetica non ha conosciuto una realizzazione pari a quella ottenuta nei paesi dell'Europa del Nord e negli Sta ti Uniti - scrive una studiosa del tema, Claudia MantovanF8 -, è grazie alla presenza organizzata della Chiesa cattolica. 7 8 C. Mantovani, Rigenerare la società. L'eugenetica in Italia dalle origini ot tocentesche agli anni Trenta, Rubbettino, Soveria Mannelli 2004.
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La ribellione contro la morale sessuale cristiana diventa, infat ti, ribellione contro il cristianesimo stesso: «Questo assalto al cri stianesimo non deve la sua forza [ ] alla scienza del XIX secolo; la sua base è nella morale, il suo strumento la critica etica del XVIII secolo. Le Chiese cristiane non vengono attaccate in nome della conoscenza, bensì in nome della giustizia e della libertà. [ .] Non è tanto un problema di superstizione contro ragione; si trat ta invece di un conflitto tra un'etica innaturale e i modi di vita det tati da Dio»79• ...
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5. Una morale evoluzionista A fine Ottocento nasce una scienza nuova, la sessuologia, che non si limita a studiare gli organi e il comportamento sessuale de gli esseri umani con lo stesso distacco con cui si analizzano quelli degli animali, ma che si propone come nuova morale perché dà indicazioni di condotta sessuale ben diverse da quelle che le Chie se cristiane avevano predicato e predicavano. È questa la fase in cui nascono nuovi termini, come «eteroses suale», utilizzato per la prima volta nel 1868 dallo scrittore Karl Maria Kertbeny, che lo inserisce all'interno di una classificazione di comportamenti sessuali che comprende altre nuove categorie: monosessuale, cioè chi si masturba, e omosessuale; classificazione che si fonda sull'idea che gli atti erotici abbiano per finalità il pia cere e non la procreazione8°. L'eterosessualità assume così l'aspetto della normalità sessua le, in una concezione che considera il piacere il fine principale del la sessualità: il termine eterosessuale, infatti, è usato da uno dei pionieri della sessuologia, Richard von Krafft-Ebing81, per defini re la ricerca del piacere erotico con una persona dell'altro sesso consapevolmente dissociata dalla procreazione. 79 O. Chadwick, Società e pensiero laico. Le radici della secolarizzazione nel la mentalità europea dell'Ottocento, Società editrice internazionale, Torino
1989, pp. 177- 1 78. 80 N.A. Giami, Cent ans d'hétérosexualité, in «Actes de la recherche en scien ces sociales», n. 128, 1999, pp. 38-45. 8 1 R. von Krafft -Ebing, Psychopatia sexualis, 1886.
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Il problema del piacere delle donne costituisce una delle gran di questioni irrisolte di questa nuova scienza che, a differenza del la Chiesa, per la prima volta considera l'armonia sessuale - e quin di anche il piacere femminile - come base della solidità matrimo niale. n problema fondamentale, per questi esperti, diventa quin di la freddezza delle donne: i primi manuali sessuali sono diretti agli uomini, e insegnano come sconfiggerla. Questa nuova disciplina si contrappone quindi apertamente e consapevolmente alla morale cristiana, in quanto mette al centro del comportamento sessuale la ricerca del piacere invece della procreazione, ma non è questa l'unica differenza: la nuova ses suologia, infatti, abbraccia senza riserve l'eugenetica, che viene addirittura proposta come nuovo valore su cui fondare i giudizi morali. Anche se la morale borghese dominante non era certo aperta - almeno nella pratica - ad accogliere le nuove e rivoluzio narie idee sul comportamento sessuale dei primi «sessuologi», i loro libri ebbero successo, arrivando a influenzare una élite e quindi a porre le basi per la profonda trasformazione culturale del Novecento. Un personaggio chiave di questo nuovo corso è il medico in glese Havelock Ellis ( 1859-1939) che pratica poco la sua profes sione, ma si afferma invece come scrittore e divulgatore scientifi co. A lui si deve un'opera fondamentale per l'affermarsi di un nuovo modello di comportamento sessuale, Studies in the Psycho logy o/ Sex, sette volumi usciti fra il 1897 e il 1928, di cui è stata tradotta in italiano una sintesi nel 193 7 . In questi volumi sono rac colti i suoi studi sulla sessualità, ricerche che si basano su un nu mero molto ampio di letture di saggi medici, psicologici - non mancano i riferimenti a Freud, ammiratore della sua opera - so ciologici, storici e antropologici, e anche il testo delle numerose conferenze da lui tenute su questo tema. Ellis si presenta come uno scienziato colto e moderato, che non vuole rivoluzionare il modo tradizionale di vivere la sessua lità ma, forte della sua ampia cultura, sembra limitarsi a metterne in luce gli aspetti negativi e a proporne degli emendamenti, appa rentemente di poco peso, ma in realtà profondamente rivoluzio nari. Costante, soprattutto, è il suo lavoro per smantellare la mo rale religiosa vigente, anche se la Chiesa non viene mai aperta mente attaccata: un'opera che ne ha ispirate molte simili - come
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Uigiene dell'amore del nostro scienziato Paolo Mantegazza, me dico e antropologo, il primo a ricoprire una cattedra di antropo logia culturale presso una università italiana e che attacca il con trollo del comportamento sessuale da parte delle gerarchie reli giose in nome di una visione scientifica e salutista. È necessario soffermarsi sul suo pensiero, così come è stato dif fuso in Italia nel compendio dell'opera generale, perché vi si tro va l'archetipo ideologico di quello che è diventato un sentire co mune nella cultura occidentale molti decenni più tardi. Havelock Ellis ripercorre la storia della sessualità umana nella nostra civiltà per ricostruire il modo in cui si è affermato nei pae si europei il modello di sessualità vigente, e poi sottoporlo a un processo critico, usando fonti mediche, psicologiche e sociologi che e soprattutto il confronto con altri modelli di comportamen to sessuale presenti nelle società «selvagge»: lo scopo del suo la voro è quello di proporre un altro modello, più libero e sano, de dotto «scientificamente» dal suo lavoro di ricerca. Per lui è fon damentale, a questo scopo, quella che chiama «scienza della pro creazione», cioè l'eugenetica intesa come studio dell'ereditarietà: «il destino di un uomo non sta nel suo futuro, ma nel passato», scrive82 e prevede che, nell'ottica di un costante miglioramento della vita umana, «nel futuro la razza sarà modellata da una sele zione deliberata»83 • Nel prendere in esame le fasi della vita uma na, e le modalità in cui viene prescritto il comportamento sessua le, fa vasto uso di confronti con i comportamenti di quelli che chiama «popoli selvaggi», riportati da antropologi o, più spesso, come si è visto, da missionari. Ad esempio, per quanto riguarda la sessualità infantile, le nor me repressive degli europei sono confrontate con la libertà con cessa da società primitive, che considerano la sessualità infantile «come un gioco», secondo le informazioni che dà in proposito un missionario, il reverendo Weeks84• Viene anche denunciata l'as senza di rituali di iniziazione per la pubertà, che invece, scrive il medico inglese, «sono comuni fra i selvaggi», e magnificata la nu dità dei selvaggi, segno di mancanza di costrizioni sessuali. Men82 8�
Ellis, Brevi saggi sull'amore sessuale, cit., p. 139. lvi, p. 14. 84 lvi, p. 40.
V.
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tre denuncia la «ferocia» dei missionari, che vogliono rivestirli, El lis decanta i salutari effetti della nudità, delle cure di aria e di so le, e sostiene che l'abitudine alla nudità eliminerebbe il 90% de gli atti indecenti commessi dai giovani con le bambine «perché nella maggior parte dei casi essi non sono aggressioni, ma l'inno cente, benché in controllata, conseguenza di una naturale curiosità repressa»85• Anche i «selvaggi», continua, conoscono il valore del la castità, intendendola, come Nietzsche, come una necessaria for ma di «autocontrollo capace di raccogliere e mantenere le forze dell'anima, in vista di un loro maggior impegno per scopi delibe ratamente accettati»86. Ma si tratta di un ascetismo volontario e temporaneo, che egli definisce come laico, in contrapposizione al la continenza perpetua imposta dalla Chiesa ai religiosi, condi zione negativa che - secondo i medici - danneggia gravemente la salute dell'essere umano, arrivando a causare malattie agli organi sessuali, nonché nevrastenie, isteria e talvolta anche un atteggia mento schizofrenico. L'origine di questa sessuofobia della Chiesa si porrebbe, secondo Ellis - in coerenza con la tradizione prote stante -, all'epoca di Gregorio VII, autore della riforma che im pone il celibato al clero: «per quanto ho potuto scoprire, nei pri mi cento anni del cristianesimo non troviamo questa concentrata ferocia intellettuale e sentimentale nell'attacco al corpo. Esso si sviluppò solo quando, con Gregorio VII, il cristianesimo medie vale raggiunse l'acme del suo dominio sulle anime degli Europei, con l'istituzione del celibato per il clero secolare, e lo sviluppo di grandi comunità claustrali di monaci in ordini severamente rego lati e reclusi»87• Ragione per cui i cristiani «non poterono sfuggi re in questo modo all'ossessione del sesso; essa li accompagnò sempre»88• Si tratta di una interpretazione del celibato ecclesia stico coincidente con quella espressa dal mondo protestante - co me rivela l'accenno agli studi sul celibato ecclesiastico del prote stante Henry Charles Lea (History o/Sacerdotal Celibacy) - che ri ceve in questo saggio la conferma e la consacrazione della scienza medica. Alla Chiesa cattolica, quindi, la responsabilità di avere ca8' lvi, p. 90. lvi, p. 14 1 . 87 lvi, p. 105. 88 lvi, p. 129. 86
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ricato di significati negativi il termine «concupiscenza», in origi ne «incolore, come la fame e la sete, poi negativo perché contrap posto all'amore»89, finalmente riabilitato da Freud che adotta la sua traduzione latina, libtdo, per estenderla però al significato di desiderio in generale. Ultimo tema affrontato dal medico inglese è la prostituzione, frutto avvelenato della civiltà, che impone la «repressione dell'in timità sessuale al di fuori del matrimonio»90• Egli sfata la tesi che siano i problemi economici a provocare la prostituzione, ricor dando che in genere l'aumento della ricchezza di una società pro voca un incremento delle prostitute e sostiene che l'unico modo per farla diminuire, se non scomparire completamente, è la mo difica del sistema matrimoniale e la conseguente nascita di un nuovo tipo di donne, né spose né prostitute, ma dal comporta mento sessualmente libero. In sostanza, cioè, egli pensa che ci sia una «tendenza verso una lenta eliminazione della prostituzione per la fortunata concorrenza di migliori metodi di rapporti ses suali liberi da considerazioni venali»91 • Questo ragionamento verrà ripreso sovente nei decenni suc cessivi, tanto da diventare una sorta di mentalità comune nelle so cietà occidentali, in cui la critica alla Chiesa si accompagna alla fi ducia utopica nei benefici fisici e psichici conseguenza di un mo dello libero di comportamento sessuale. Abbiamo visto quanto sia importante il ricorso alle fonti antropologiche, anche di matrice missionaria, nella formulazione del nuovo modello: Ellis, oltre che uno studioso, era stato anche un grande viaggiatore, visitando paesi lontani al seguito di suo padre, capitano di lungo corso, co sì come Mantegazza, che aveva affiancato agli studi di medicina lunghi viaggi di esplorazione esotica. li modello a cui entrambi si ispiravano è senza dubbio Darwin e il suo celebre viaggio sul Bea gle, cioè uno scienziato che univa alle competenze di storia natu rale e di medicina anche esperienze antropologiche. L'importan za che Ellis dava alle ricerche antropologiche sul comportamento sessuale è ribadita dall'entusiastica Prefazione - in cui ricorda la relazione di de Bougainville - che scrisse al primo lavoro antro89 lvi, p. 90 lvi, p. 91 lvi, p .
1 1 1. 190. 234.
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pologico che aveva messo esplicitamente al centro della ricerca il comportamento sessuale: La vita sessuale dei selvaggi nella Mela nesia nord-occidentale di Bronislaw Malinowski. Confermata del resto dall'antropologo che, nell'Introduzione alla prima edizione (1929), scrive: «durante la stesura di questo libro venni molto sti molato dall'interesse che mi testimoniava il signor Havelock Ellis, di cui ho sempre ammirato e stimato il lavoro e l'esempio come pioniere di onestà intellettuale e autentica ricerca. La sua prefa zione accresce concretamente il valore di questo libro»92• E pro babilmente il medico inglese condivideva l'ipotesi di lavoro di Malinowski per cui «il sesso, nel suo significato più ampio, [ . . ] è più una forza sociologica e culturale che una mera relazione fisi ca fra due individui»93• Del resto Malinowski era pienamente consapevole della fun zione dei suoi scritti nella cultura del tempo, in particolare per quanto riguardava le discussioni sulle regole della sessualità, co me dimostra la sua Introduzione alla terza edizione dell'opera, in cui si lamenta che l'idea base del libro - cioè che «il problema del sesso, della famiglia, e della parentela presenta una unità organi ca che non può essere scissa»94 - non sia stata recepita se non da pochi intellettuali, come Havelock Ellis, che però l'hanno fatta propria nei loro scritti: si trattava di Bertrand Russel, in Matrimo nio e morale, e di Floyd Dell in Lave in the Machine Age. Un'altra delle profetesse della rivoluzione sessuale più ascol tate e tradotte è la scrittrice e conferenziera svedese Ellen Key. Femminista della prima ora, ed esperta di psicologia infantile, svi luppa un'idea spiritualista dell'emancipazione femminile che va lorizza al massimo la maternità, scindendola dall'obbligo del ma trimonio. Il suo libro più famoso è I;amore e il matrimonio - tra dotto in tutte le principali lingue europee -, pubblicato in Italia nel 1909 dai fratelli Bocca, con una Prefazione di Giulia Peyretti, che la difende pur ammettendo che «in Svezia non nasce più un bambino illegittimo senza che se ne dia la colpa alla povera Ellen .
92 B. Malinowski, La vita sessuale dei selvaggi nella Me/anesia nord-occiden· tale, Introduzione alla prima edizione, Raffaello Cortina, Milano 2005, p. 32. 93 lvi, p. 94 lvi, p.
29. 4.
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Key»95• In questo libro, che conobbe grande fortuna anche in Ita lia, la Key espone la sua idea evoluzionista di morale sessuale, che prevede la fine del matrimonio - «la vita è una evoluzione conti nua, e in conseguenza di ogni evoluzione muoiono certe verità che una volta erano ritenute vitali e se ne formano delle nuove»96 - a opera di una élite che sa cosa è giusto fare «per la progressiva evo luzione della vita nell'individuo e nella razza»97• Anche le donne dovrebbero vedere riconosciuta la «libertà di scegliere entro cer ti limiti la forma della loro vita sessuale»98• La Key vede la libertà sessuale legata alla secolarizzazione, in quanto impossibile «fin tanto che l'uomo ha creduto al peccato originale» mentre «la teo ria dell'evoluzione ha dato all'uomo il coraggio di domandarsi se il peccato non consisteva piuttosto nel trionfo dello spirito sulla materia». Una tappa positiva della liberazione dalla moralità cri stiana - scrive l'autrice - è stato Lutero, che «riconosce la forza dell'istituto naturale»99, ma anche la sua dottrina matrimoniale conduce all'immoralità, perché «non tien conto né dei diritti del la razza, né di quelli dell'individuo»100• Perché, secondo la Key, una nuova concezione morale può nascere solo «dalla fede nella perfettibilità della razza umana»: infatti «la forma della vita ses suale che favorirà meglio il progresso della razza, diventerà la leg ge della nuova morale»101 • In una visione chiaramente utopica de gli effetti di questa nuova morale, la Key scrive che sia il matri monio per obbligo sia la prostituzione scompariranno un poco per volta, «perché essi non risponderanno più ai bisogni degli uo mini dopo la vittoria dell'idea dell'unione perfetta»102• Bisogna quindi «trionfare del pregiudizio nutrito dal cristianesimo» con una nuova morale, «quella che si basa sulla bontà fondamentale della natura umana e sull'uguaglianza di tutti gli uomini», perché sicuramente l'umanità sta per innalzarsi «alla superumanità»103• 9' E. Key, L'amore e il matrimonio, Fratelli Bocca, 96 Key, L'amore e il matrimonio, cit . , p. 2. 97 Ibid. 98 lvi, p. 5 . 9 9 lvi, p . 1 0. 100
10 1 102 103
Ibid. Ibid.
lvi, p. 16. lvi, p. 34.
Torino 1909, p. VI.
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Questa nuova morale è fondata sull'idea che
lvi, p. 37. lvi, p. 9 1 . 106 lvi, p. 93 . 107 lvi, p. 98. 108 lvi, p. 94. 109 A . Forel, La questione sessuale esposta alle persone colte ( 1 907), Fratelli Bocca, Milano 1942. 1 10 lvi, p. 159. 10'
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di una religione del 'bene sociale'»11 1• Naturalmente, anche per Forel la nuova morale oltre che essere naturale deve anche essere eugenetica: bisogna «sostituire - scrive - al culto delle leggende religiose [ .. ] il culto dei nostri discendenti e della loro felicità>>112• La morale non può essere che relativa alla cultura di appartenen za, anche se dovrebbe prevalere in tutti l'amore per l'umanità, che per Forel coincide con l'eugenetica: «tutta l'attenzione dell'uma nità dovrà essere rivolta alla propria selezione, per far crescere il numero degli individui buoni e utili, e diminuire gradatamente quello degli esseri cattivi o inetti, fino alla soppressione completa di essi»113• Forel, insieme con Havelock Ellis ed Ellen Key, è presente nel la bibliografia essenziale relativa alla Questione sessuale che il pe riodico «La Voce» offre ai lettori nel 1910, in un numero dedica to proprio a questo tema. I problemi affrontati in questo numero - che costituisce un'anticipazione del convegno che la rivista or ganizza sullo stesso tema nell'ottobre 191 O e i cui interventi ver ranno poi stampati nel numero 17 della rivista - sono numerosi: si va dall'educazione sessuale della gioventù, che Margherita Grassini Sarfatti vorrebbe affidare ai genitori, all'ormai abituale denuncia dei mali provocati dal celibato del clero, considerato «pericoloso per la società» (Romolo Murri sostiene che la voca zione al celibato è di pochissimi, per gli altri solo menzogna), a cui si aggiunge una anteprima del discorso freudiano a opera del suo divulgatore italiano, Roberto Assagioli. Anche su «La Voce» la nuova morale sessuale viene presentata centrata sull'eugenetica: il portavoce di questo programma, anche qui, è Forel, che chiede l'equiparazione degli illegittimi, l'uguaglianza fra donne e uomini nelle norme sessuali, matrimonio precoce con controllo delle na scite, «come dovere etico-sociale nel senso di un miglioramento metodico, qualitativo, della nostra razza per quel che riguarda la forza fisica e la salute, ma anche le facoltà etiche, carattere, fer mezza di volontà e intelligenza»1 14. Al convegno sulla questione sessuale, che si tiene a Firenze, i cattolici non sono invitati: «que.
111 1 12 1 13
lvi, p. 3 13 . lvi, p. 3 14. lvi, p. 4 19. 114 A. Forel, in «La Voce», n. 9, 1910, p. 26 1 .
·
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ste persone, avendo già risolto ogni questione con un testo fissa to dalla divinità, è inutile che vengano al convegno», scrive Giu seppe Prezzolini, che del resto considera le norme della morale cristiana come caduche, dettate da specifiche condizioni storiche ormai superate, e si domanda «come si potrebbe cancellare quel la profonda ondata di pudore della quale il cristianesimo ci ha im bevuti»1 15. In sostanza, già nei primi anni del Novecento i punti dell'op posizione alla morale sessuale dettata dal cristianesimo sono fis sati: insistenza sul mancato rispetto della «naturalità» dell'essere umano, riscoperta attraverso le ricerche antropologiche presso i popoli primitivi, e proposta di una nuova morale più libera, che valorizza il sesso nella vita umana, ma a condizione che venga pra ticato rispettando precise regole eugenetiche, che quindi preve dono un ampio uso dei contraccettivi. Dietro a questa posizione si scorge l'influsso dell'evoluzionismo e dell'anticlericalismo, se non addirittura della propaganda ateistica portata avanti dalle So cietà del Libero pensiero. Alla morale cattolica ispirata al pecca to e a un percorso spirituale si contrappone una nuova morale «scientifica», quella eugenetica.
m
G. Prezzolini, in «La Voce», n. 29, 1 9 10, p. 347.
VI COMPETIZIONE E CONFLITTI
l . La Chiesa risponde n processo di secolarizzazione ottocentesco non solo mette in discussione la morale sessuale cristiana, ma addirittura la stessa le gittimità della Chiesa a parlare di sesso, legittimità riconosciuta solo al discorso scientifico, soprattutto se medico. In una situa zione in cui, di fatto, la morale sessuale dominante, soprattutto per le donne, non differiva certo da quella proposta dalla Chiesa, gli anticlericali attaccano frontalmente il diritto del clero di parla re di sesso: il confessore diventa ai loro occhi corruttore e pomo grafo, perché non è uno scienziato. Un esempio di questa campa gna lo offre la traduzione in francese del manuale per confessori di Jean-Baptiste Bouvier, scritto nel 1 827 (Dissertatio in sextum Decalogi praeceptum et Supplementum ad tractatum de matrimo nio), realizzata nel 1 874 da un personaggio ambiguo come Leo Taxil e pubblicata con il titolo allusivo I misteri del confessionale, tramutato nell'edizione del 1 882 nell'ancora più esplicito I por nografi sacri. La confessione e i confessori, che ottiene un grande successo come libro erotico - confermato dalle molte edizioni grazie a una traduzione molto esplicita del prudente latino del prelato, a cui si aggiunge qualche opportuna inserzione di descri zioni molto realistiche. Gli anticlericali accusano pertanto il clero di usare un linguaggio illegittimo, teso a destabilizzare l'istituzio ne del matrimonio attentando a quella recente «privatizzazione del sesso» che si stava affermando nelle classi borghesi!. I preti 1 Si veda in proposito C. Langlois, Le crime d'Onan. Le discours catholique sur la limitation des naissances (1816-1 930), Les Belles Lettres, Paris 2005.
VI.
Competizione e conflitti
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secondo loro - non possono parlare di ciò che non conoscono, e attentano al pudore delle mogli durante le confessioni, perché violano un rapporto intimo e privato che a loro non compete: «Il mondo non ha mai visto una lotta più terribile e disperata di quel la che si combatte nell'animo di questa giovine moglie e di que st'umile figliuola, le quali prostrate appié del prete debbono tra se stesse decidere: se debbono ascoltare la voce del pudore, ch'è vo ce di Dio, e nascondere a quest'uomo ciò che una donna non può dire ad un uomo; oppure se debbono degradarsi fino a dimenti care il rispetto che debbono a se medesime, fino a parlare con lui di cose che non possono non contaminare e chi le ascolta e chi le dice»2• Così è scritto in uno dei numerosi e diffusi pamphlet, tal volta opera anche di celebri scrittori come Victor Hugo e Jules Michelet, che fondano i termini di una polemica anticlericale che segna l'epoca moderna: non basta criticare la Chiesa per la sua morale sessuale, ma bisogna impedire che il clero si pronunci sul l'etica del comportamento sessuale, di cui si devono occupare, con maggior competenza, gli scienziati. Una delegittimazione in atto ancora oggi. È di questi anni e risale a questi ambienti la traduzione del ter mine debitum, che nella teologia designa l'atto sessuale stesso al l'interno del matrimonio, con «dovere», termine che fa credere che la Chiesa lo imponga come obbligo morale, mentre significa solamente «ciò che è dovuto». Nel contratto matrimoniale, infat ti, ciascuno ha diritto al corpo dell'altro, in una situazione che sta bilisce l'uguaglianza fra i coniugi, perché la reciprocità dei diritti e dei doveri è totale. Al centro della polemica sta dunque proprio il controllo del comportamento sessuale che la Chiesa tenta di mantenere attra verso i confessionali, e proprio presso le donne, le uniche rimaste a frequentarli. Ed è quindi dai confessori, i quali si misurano con le nuove tecniche di controllo delle nascite, che sorgono le prime domande da porre ai dicasteri romani. Come ha ricostruito lo storico Claude Langlois, il problema na sce in Francia, alla fine del XVIII secolo, e si diffonde nel clima se colarizzato post-rivoluzionario, intrecciando da subito la pratica 2 Padre Chiniquy, Il prete, la donna e il confessionale, seconda edizione, Et tore Arati, Roma 1 888, p. 10.
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contraccettiva con l'avanzare della decristianizzazione. La prima forma di controllo delle nascite è il coitus interruptus, praticato an che da coppie cattoliche che chiedono ai confessori ragguagli sul la sua legittimità morale. Da qui nascono una serie di quesiti pro posti alla Sacra Penitenzieria e successivamente al Sant'Uffizio da prelati in difficoltà, fra i quali il più attivo nell'affrontare la que stione e nel proporre soluzioni è proprio quel Jean-Baptiste Bou vier che abbiamo conosciuto come autore di un manuale per con fessori, il quale individua il problema e comincia a chiedere chia rimenti a Roma già nel 1 8 16. Sia Bouvier che i suoi interlocutori rubricano questa pratica assimilandola al «crimine di Onan», che configura una categoria specifica di colpevoli ben nota, perché denunciata per due volte nella Bibbia, in un contesto morale in cui la lussuria è sempre considerata un peccato grave, senza gra dazioni, e in cui la perdita del seme costituisce da sempre l'arche tipo del peccato contro natura. Bouvier cerca di trovare delle vie di assoluzione, sia per la mo glie che subisce la pratica -problema della collaborazione a un at to malvagio - ma che non è consenziente, sia per entrambi gli spo si se in buona fede, proponendo in sostanza che il confessore non intervenga con domande dirette sulla questione. Egli abbraccia una prospettiva pastorale ispirata ad Alfonso de' Liguori, ed è ben consapevole di affrontare il problema in una situazione già forte mente marcata dal dimorfismo sessuale: solo le donne si confes sano, quindi è più facile gettare la colpa sul marito. Le risposte romane sono vaghe, non scoraggiano definitiva mente Bouvier dal suo tentativo di trovare una via di assoluzione per frenare il processo di secolarizzazione in corso. Del resto la questione è aperta, a Roma il problema è percepito ancora come nuovo, e soprattutto come relativo al contesto francese. Ma nella seconda metà dell'Ottocento, quando le pratiche anticonceziona li cominciano a dilagare anche negli altri paesi cattolici europei, la Chiesa si mostra severa verso coloro che praticano il coitus inter ruptus, definiti onanisti: specialmente rigido appare nelle sue ri sposte il Sant'Uffizio, che chiude ogni possibilità di indulgenza con una sentenza del 185 P anche se la speranza di assolvere 3 Cfr. Langlois, Le crime d'Onan, cit., p. 253 .
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l'«onanismo» rimane viva nel clero francese, come dimostra il fat to che, nel 1 869, un anonimo vescovo francese presenta al Conci lio Vaticano I la proposta - che non sarà mai discussa - di decol pevolizzare il peccato di onanismo4• Nel 1 873 una soluzione nuo va sembra venire proprio dal mondo della scienza: la scoperta dei periodi non fecondi del ciclo femminile offre la possibilità di eser citare un controllo delle nascite senza dispersione del seme. La raccoglie un sacerdote belga, Lecomte, che chiede alla Sacra Pe nitenzieria di riconoscerne la legittimità, ottenendo risposta af fermativa sette anni dopo. Si manifesta qui, per la prima volta con chiarezza, quello che sarà negli anni successivi, ed è ancora oggi, l'atteggiamento della Chiesa: la morale sessuale consiste nel se guire la natura, se non si ostacola la natura tutto è bene, quindi ben vengano le nuove conoscenze della fisiologia femminile che permettono di assecondare la natura approfittando dei periodi di non fertilità. Del resto, la morale matrimoniale già accettava la continuazione dei rapporti sessuali fra coniugi anche dopo la me nopausa, quando la donna non poteva più generare, in nome dei fini unitivi del matrimonio. Langlois sottolinea come venga perduta, con questa scelta «na turale», la logica dell'intenzionalità, a beneficio di un rispetto qua si sacrale della natura. «La Chiesa - scrive - evita la questione di fondo: la scelta individuale della limitazione delle nascite, che fon da la modernità dei comportamenti collettivi»5• La scelta, cioè, non solo di separare la procreazione dalla sessualità, e quindi di separare i due fini del matrimonio - procreativo e unitivo -, ma anche di dare la prevalenza al secondo fine sul primo. Invece, il Codice di diritto canonico, promulgato nel 1 9 17 da Benedetto XV, fissavà nel canone 1013 la tradizionale dottrina cattolica, confermando che «il fine principale del matrimonio è la procreazione e l'educazione dei figli; il suo fine secondario è l' aiu to reciproco fra gli sposi e il sollievo alla concupiscenza»6• 4 Cfr. ivi. 5 lvi, p. 373. 6 M . Sevegrand, L'amour ou les deux/ins du mariage de Benoit XV à ]ean Paul II, in P. Legendre (a cura di), «Ils seront deux en une seule chair». Scéno graphie du couple humain dans le texte occidental, Émile Van Balberghe Librai re, Bruxelles 2004, p. 1 67.
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Fra il l897 e il l929 si susseguono prese di posizione sul con trollo delle nascite degli episcopati nazionali, e un dibattito aper to sulla rivista «L'Ami du clergé» nel l898. In generale prevale la posizione rigorista, che prevede l'assimilazione alla definizione di onanismo di quello che oggi ci appare a essa estraneo, cioè il con trollo delle nascite - oltre al coitus interruptus si sono aggiunti nuovi mezzi, come il preservativo, il pessario e la spugna vaginale - nella convinzione condivisa che ogni cedimento non sarebbe stato un rimedio al neomalthusianesimo dilagante, ma piuttosto un incoraggiamento. Nel l909 il cardinale belga Mercier denun cia il pericolo dello spopolamento, tema che sarà ripreso, dopo la Grande Guerra, dall'episcopato francese7• In nessuno dei docu menti episcopali sul matrimonio trova posto l'amore coniugale, considerato solo un fine soggettivo degli sposi. Le risposte delle istituzioni ecclesiastiche, così come del resto le questioni proposte dai prelati sorte durante la pratica della con fessione, rimanevano chiuse all'interno di un ragionamento teolo gico, centrato, come si è detto, sulla dispersione del seme e sul ruolo, più o meno indagatorio, del confessore, mentre non erano presi in considerazione, né quindi condannati, i fini eugenetici che si proponevano i neomalthusiani, e più in generale i problemi so ciali a essi connessi. Problemi invece affrontati apertamente da uno scienziato cattolico attento all'eugenetica, Agostino Gemelli, ben consapevole che fosse «il terreno sul quale la discussione è at tualmente fatta»8. Gemelli accetta la logica del controllo delle na scite, in alcuni casi gravi anche per motivi eugenetici, ma dissen te sui mezzi proposti dai neomalthusiani: Se il controllo delle nascite vuoi dire che gli sposi non possono ab bandonarsi ciecamente all'istinto, e se esso vuoi dire che le ragioni bio logiche e sociali, se non possono autorizzare alcuno a frustrare il fine dell'atto coniugale, debbono però essere dal cristiano esattamente va lutate finché esso, da un canto, non può trasmettere ai figli, con la vi ta dei germi, condizioni che la rendano inaccettabile e, dall'altra, non può dar la vita senza creare le condizioni che la rendano possibile - al7 Cfr. Sevegrand, L'amour ou !es deux /ins du mariage, cit., p. 170. 8 A. Gemelli, Il «controllo delle nascite» secondo la dottrina cattolica, in «La scuola cattolica», dicembre 1926, pp. 401-432, 420.
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lora il controllo delle nascite diventa il primo dei doveri della pater nità, e il controllo delle nascite non solo può essere ammesso dai cat tolici con animo tranquillo, ma costituisce un dovere che il progresso della scienza mette sempre più in maggior luce.9
Dal momento però che «la morale cattolica è fondata sul rico noscimento del fine soprannaturale dell'uomo [ ] l'impulso ses suale deve essere governato secondo norme soprannaturali»10, e mentre «i neomalthusiani, i sostenitori del controllo delle nascite, sostengono la sostituzione della ragione all'istinto [ ] noi cattoli ci subordiniamo l'istinto alla ragione, ossia conserviamo il giuoco delle forze naturali, ma le regoliamo nel loro agire, le subordinia mo ad un fine soprannaturale». Di conseguenza, Gemelli propo ne come mezzo unico di controllo la castità, che considera «il mi glior mezzo di eugenìa negativa e preventiva»1 1 • L a castità considerata come dura lotta, palestra di volontà, an che se egli sa che oggi «Occorre del coraggio per mostrare che la fecondità e la continenza sono le due forze della vita matrimonia le»12. Perché non si può negare la «dolorosa situazione dinanzi al la quale è vano chiudere gli occhi: sono pochissime le famiglie, an che cristiane, nelle quali è mantenuta la pace fra i coniugi e la sa lute della donna», perché «in tutti i matrimoni si praticano 'frodi coniugali'»13• Gemelli si rivolge quindi ai cattolici, ricordando lo ro che «le pratiche neomalthusiane sono dannose per il vostro corpo, infide nei risultati, [ . ] soprattutto applicandole voi per dete la vostra anima [ . . ] il solo rimedio è la continenza». La sua critica alle ragioni invocate dai neomalthusiani è serrata: «Non preferire qualità a quantità: una certa abbondanza è la condizio ne necessaria per avere la qualità»14 ed egli dubita anche delle ra gioni «umanitarie» che essi invocano per giustificare il loro ope rato: «Ritengo che gli sposi che si danno alle pratiche anticonce zionali non lo fanno per tutte quelle ragioni teoriche che mettono ...
...
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lvi, p. 4 14. lvi, p. 4 15. I l lvi, p. 4 17 . 1 2 lvi, p. 426. 1 3 lvi, p. 4 17. 14 lvi, p. 4 15.
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innanzi i propagandisti di tali pratiche, ma per ragioni personali, individuali»15. E le conseguenze saranno nefaste: «Si incomincerà per salva guardare la salute della donna e adducendo le condizioni finan ziarie, ma ben presto mille altre ragioni saranno ritenute valide [. .] una volta messi su questa china, non ci si ferma più»1 6 e ri corda che la sterilità volontaria nel matrimonio «conduce con sé inevitabilmente l'aborto, l'infedeltà coniugale e il divorzio», come dimostrano le statistiche: «le curve di frequenza di questi due fe nomeni sociali seguono parallelamente le curve della diminuzio ne della natalità»17. La consapevolezza che il controllo delle nascite sta diventan do una ideologia - l'eugenetica neomalthusiana di matrice evolu zionista - e che non si può affrontare solo come problema di pec cato individuale è presente nel primo documento pontificio che affronta la morale sessuale, l'enciclica Casti connubii promulgata da Pio XI il 3 1 dicembre 1 930. Nata come risposta all'accettazio ne delle pratiche contraccettive da parte della Chiesa anglicana, questa enciclica è la prima presa di posizione di un papa su argo menti che fino ad allora avevano costituito materia di risposte mo rali da parte dei dicasteri vaticani a ciò preposti. La sua novità - cioè l'inserimento del discorso teologico concernente la limita zione delle nascite nel campo dell'insegnamento diretto del pa pa - segna anche la presa d'atto dell'importanza che il problema del comportamento sessuale viene ad assumere nella società mo derna. L'enciclica intende innanzi tutto ribadire che solo la Chie sa cattolica è la fedele custode della dottrina cristiana su questi te mi, l'unica capace di difendere la legge naturale, accettando di ri manere sola davanti all'intiepidimento delle coscienze. Nel testo l'opposizione netta è fra la «legge naturale» e l'«intervento uma no»: segue quindi la tradizione e ne accentua il rigorismo, senza paura di aggravare il rischio di decristianizzazione di popolazioni cattoliche ormai abituate a ricorrere a mezzi contraccettivi. Da questo momento, sarà il papa a dare la risposta a tutti i problemi .
15
lvi, p. 427.
16 lbid.
17 lvi, p. 429.
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relativi al comportamento sessuale che la modernità impone, con la certezza che «Dio non comanda cose impossibili» 1 8• L'autorità morale intangibile del papa condanna ogni forma di controllo delle nascite, a eccezione della continenza periodica nel la fase fertile del ciclo femminile, resa più efficace dalle recenti scoperte dei medici Ogino e Knaus. La condanna è netta: «Qual siasi uso del matrimonio, in cui per l'umana malizia l'atto sia de stituito della sua naturale virtù procreatrice, va contro la legge di Dio e della natura, e coloro che osino commettere tali azioni, si rendono rei di colpa grave»19• Ma Pio XI indica anche altri nemici del matrimonio cristiano, che deve essere considerato invenzione divina e non costruzione umana: il divorzio, l'emancipazione delle donne - «Che anzi que sta falsa libertà e innaturale eguaglianza coll'uomo torna a danno della stessa donna; giacché, se la donna scende dalla sede vera mente regale, a cui, tra le domestiche pareti, fu dal vangelo innal zata, presto ricadrà nella vecchia servitù (se non in apparenza, di fatto) e ridiventerà, come nel paganesimo, un mero oggetto del l'uomo» - ma anche le influenze di una cultura a cui il papa non riconosce il diritto di essere considerata scienza: «Né mancano li bri, che si decantano come scientifici, ma che, in verità, della scien za sovente altro non hanno che una certa qual tintura, con l'in tento di potersi più agevolmente insinuare negli animi»20• Pio XI condanna quindi <
Pio XI, Casti connubii, in «Acta Apostolicae Sedis», XXII, 1930, p. 562. lvi, p. 560. 20 lvi, pp. 567-568 e 556. 2 1 lvi, p. 568. 22 lvi, p. 589. 19
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damento dell'intima dolcezza e felicità coniugale, una certa cieca compatibilità di carattere e concordia di gusti, che chiamano sim patia, col cessar della quale sostengono che si rallenta e si scioglie l'unico vincolo che unisce gli animi. Che altro mai sarà questo, se non un edificare la casa sopra la sabbia?»23• Anche se con questo Pio XI prende le distanze dall'amore romantico e dalle teorie che legano la riuscita del matrimonio alla soddisfazione sessuale, l'en ciclica segna un cambiamento in questo senso: pur ribadendo che il fine primo del matrimonio è la procreazione, egli dà una inedi ta importanza al rapporto fra i coniugi: Questa azione poi nella società domestica non comprende solo il vicendevole aiuto, ma deve estendersi altresì, anzi mirare soprattutto a questo, che i coniugi si aiutino fra di loro per una sempre migliore formazione e perfezione interiore; sicché nella loro vicendevole unio ne di vita crescano sempre più nelle virtù [. . ] . Una tale vicendevole formazione interna dei coniugi, con l'assiduo studio di perfezionarsi a vicenda, in un certo senso verissimo, come insegna il catechismo ro mano, si può dire anche primaria ragione e motivo del matrimonio, purché s'intenda per matrimonio, non già, nel senso più stretto, l'isti tuzione ordinata alla retta procreazione ed educazione della prole, ma in senso più largo, la comunione, la consuetudine e la società di tutta quanta la vita.24 .
Cioè Pio XI considera di fatto l'amore coniugale come causa e fondamento del matrimonio, anche se non rientra nell'ordine tra dizionale dei fini del matrimonio perché
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non potevano essere disgiunti dai fini primari, invitando a lottare contro «una grave inversione dell'ordine dei valori e dei fini posti dallo stesso Creatore»26 dal momento che l'atto coniugale, «nella sua struttura naturale, è un'azione personale, una cooperazione si multanea e immediata dei coniugi, la quale, per la stessa natura de gli agenti e la proprietà dell'atto, è la espressione del dono reci proco, che, secondo la parola della Scrittura, effettua l'unione 'in una carne sola'»27• In sostanza, la Chiesa è ben consapevole del pe ricolo che i fini del matrimonio vengano ridotti o solo al livello sog gettivo, o solo a quello biologico e quindi puramente scientifico. L'enciclica genera sconcerto e inquietudine fra quegli sposi cri stiani che già usavano metodi anticoncezionali, come avveniva in Francia. A dimostrarlo la corrispondenza all'abbé Viollet pubbli cata su un settimanale cattolico, a cui i lettori scrivono che allora «era meglio non sposarsi» facendo appello alle malattie che, so stengono, derivano da una eccitazione a cui non segue il piacere: «l fibromi non sono una malattia dei conventi?»28• Molti rivelano di non essersi più confessati dopo l'enciclica, mentre una giovane donna lamenta come in questo modo il matrimonio appaia molto poco seducente perché troppo serio. Un ufficiale, per obbedire al papa, non trova altra soluzione che chiedere l'allontanamento dal la famiglia, avendo già cinque figli. Ma la crisi innescata dall'enci clica si estende per lui a tutta la fede: «Per la prima volta ho tro vato nella dottrina della Chiesa qualche cosa che sarei tentato di nascondere a un ignorante che volessi riavvicinare a Dio. Per la prima volta ho invidiato i protestanti in buona fede che possono essere salvati. Per la prima volta, infine, ho dubitato della parola di Roma e mi sono domandato se non sarebbe di questa come di altre dottrine (Inquisizione, ecc.) che la Chiesa ha abbandonato in seguito»29• Nel 1937 lo studioso tedesco Doms scrive un importante com mento all'enciclica Casti connubù30 insistendo sull'importanza 26
Pio XII, Discorso alle ostetriche, 29 ottobre 1 95 1 , in «Acta Apostolicae Se dis», XXXXIII [sic] , 195 1 , p. 848. 27 lvi, p. 850. 28 M. Sevegrand, L'amour en toutes lettres. Questions à l'abbé Viollet sur la sexualité, 1 924- 1 943, Albin Michel, Paris 1996, p. 179. 29 lvi, p. 187. 3 0 H. Doms, Du sens et de la/in du mariage, Desclée de Brouwer, Paris 1937.
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della comunità di vita e dell'amore fra gli sposi, mettendo in rilie vo cioè il valore unitivo del matrimonio, che si realizza attraverso l'atto coniugale. L'eco suscitata da questo scritto è vasta e ricca, e testimonia la profondità del pensiero che lo sostiene: «Perché si trattava - scrive Sevegrand -, elaborando una nuova teoria del matrimonio, di assumere l'esperienza dell'amore coniugale realiz zata da una generazione di sposi cristiani»31 • Il matrimonio veni va così valorizzato come vocazione cristiana, insistendo sull'unità e sul mutuo perfezionamento degli sposi. Perfino «L'Osservatore Romano» pubblica, nel 193 8, una re censione prudente, ma sostanzialmente positiva, a Doms, mentre dalle sue tesi molti, all'interno della Chiesa, partono per propor re un rinnovamento sostanziale della dottrina dei fini del matri monio. Si tratta di un filone di pensiero, chiaramente influenzato dalla filosofia personalista, che viene definito come «l'ingresso dell'amore nella letteratura religiosa contemporanea»32, che avrà influenza sul Gaudium et Spes, la costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo emanata dal Vaticano II, e poi sull'Humanae vitae. Ma, nonostante questa piccola apertura, la Casti connubii ri mane una enciclica molto rigida, che non si pone il problema di rispondere alle trasformazioni sociali della modernità, come del resto prova il ricorso continuo ad Agostino e alla sua concezione pessimistica della sessualità. n termine «natura», solo o associato a legge, ritorna in ciascu na delle circa sessanta pagine dell'enciclica, e su questa legge mo rale naturale, voluta da Dio, si basano tutti i precetti morali pro posti dal magistero. La natura sembra una sorta di ipostasi intoc cabile della saggezza di Dio, una sorta di causa prima assoluta33 • Tanto immutabile che Haring arriva a scrivere che Tommaso d'A quino, in materia di «morale naturale, è più sfumato di Casti con nubii»34. È l'esistenza fisica dell'atto coniugale a essere decisiva, per cui l'atto è visto solamente come equivalente di un atto di pro31
Sevegrand, L'amour en toutes lettres, cit., p. 172. Mattheeuws, Union et procréation, cit., p. 58. 33 Si veda in proposito B. Hiiring, De <>, in Id., Crise autour de l'<
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creazione. L'immagine dell'essere umano che ne deriva è modera tamente dualista, divisa fra corpo e anima: l'amore e l'amicizia fra gli sposi sono presentati come di natura spirituale, senza legami con l'unione dei corpi. In sostanza, «l'atto coniugale, anche quan do si tratta di un atto di procreazione voluto, non è in fondo che una concessione al desiderio maligno troppo forte e non ha valo re morale che come una sorta di 'scusa'»35• Pio XI si rivela in sostanza fondamentalmente pessimista circa la possibilità dei fedeli, presi individualmente, di comprendere la legge morale naturale, soprattutto per quanto riguarda la sessua lità, e questo vale particolarmente per l'uomo moderno: proprio per questo il magistero deve interpretare la legge morale natura le, grazie all'aiuto divino, e chiedere allo Stato di adeguare a que sta la sua legislazione. In questa sfiducia, e nel rifiuto di prendere in considerazione i cambiamenti storico-sociali intervenuti, ar roccandosi in un riferimento a leggi senza tempo, si vede l'effetto che la propaganda anticlericale di evoluzionisti e darwinisti ha . esercitato nella cultura cattolica, che tende a rispondere, in que sta come in altre questioni, con il rifiuto di fare i conti con la mo dernità. Il Concilio Vaticano II cambierà molto nel modo di concepire l'emancipazione della donna e la sessualità, ma non le regole di comportamento morale. 2 . Il mito dell'orgasmo Se il periodo che va fino alla prima guerra mondiale aveva vi sto profondi cambiamenti culturali nel modo di concepire la ses sualità, e aveva tolto alla Chiesa il monopolio del discorso su que sto argomento, delegittimandola come referente per il comporta mento sessuale, nella vita quotidiana i comportamenti non erano cambiati radicalmente, tranne che per il particolare, certo non ir rilevante, del controllo delle nascite, sempre più diffuso nei paesi occidentali. La scoperta di un nuovo tipo di anticoncezionale, la pillola che '� lvi, p. 60.
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inibisce l'ovulazione, da parte del dottor Pincus - commercializ zata proprio a partire dal 1960 - apre però nuove prospettive che permettono di realizzare le nuove e più avanzate teorie di libera zione sessuale che dilagano negli anni Sessanta in tutto il mondo occidentale. Se la pillola anticoncezionale apre una nuova stagione per la pratica della sessualità, e da questo punto di vista pone problemi inediti alla Chiesa, la sua scoperta è dovuta a esponenti di un fi lone ideologico che la Chiesa conosce e combatte da molti anni, quello dell'eugenetica neomalthusiana. La ricerca di Pincus infat ti - iniziata nel 1953 - è stata voluta e finanziata da una pioniera del controllo delle nascite, l'americana Margaret Sanger, collabo ratrice apprezzata di Havelock Ellis e fondatrice di una delle più importanti organizzazioni mondiali per la cosiddetta pianificazio ne familiare36• Nei suoi libri, diffusi e tradotti con grande succes so - La donna e la nuova razza (1920) e Il cardine della civiltà ( 1922) -, il controllo delle nascite, sempre con fine eugenetico, viene considerato l'obiettivo più importante per lo sviluppo del l'umanità: «la civiltà, nel senso pieno del termine, è basata sul con trollo e sulla guida del grande istinto naturale del Sesso. La pa dronanza di questa forza è possibile solamente attraverso lo stru mento del Controllo delle Nascite»37 • Dopo la seconda guerra mondiale, quando l'eugenetica cade in disgrazia perché associata alle barbarie naziste, la Sanger fa dimenticare la sua passata mili tanza e si dedica solo al controllo delle nascite, coniugandolo con la militanza femminista. La pillola anticoncezionale, infatti, ha una nuova caratteristica fondamentale, cioè quella di permettere alle donne di comportar si come gli uomini dal punto di vista sessuale: in questo stanno le ragioni del suo successo e il motivo per cui sono passati sotto si lenzio ogni disagio o disturbo medico provocati dalla sua assun zione e le eventuali conseguenze dannose per la salute femminile. Con la pillola, le donne non solo possono essere le sole a decide-
36 Per la biografia della Sanger, cfr. A. Morresi, Appendici, in E. Roccella e L. Scaraffia, Contro rl cristianesimo. L'ONU e l'Unione Europea come nuova ideologia, Piemme, Casale Monferrato 2005. 37 lvi, p. 184.
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re se concepire un figlio, ma possono anche separare definitiva mente la sessualità dall'amore e dalla famiglia, come è sempre sta to possibile per gli uomini. Alle esigenze delle donne che premono per una totale emanci pazione - negli anni Settanta si parlerà di liberazione, che signifi ca soprattutto liberazione sessuale - si aggiunge anche il discorso degli intellettuali, che approfondisce e porta alle estreme conse guenze le teorie avanzate dai sessuologi all'inizio del Novecento. Se già Freud aveva centrato sulla sessualità il suo discorso psicoa nalitico, minando una delle basi della moralità cattolica, cioè la fi ducia nelle capacità dell'essere umano di combattere le tentazio ni sessuali, sostenendo in sostanza che «nessuno era padrone in casa propria»38, dopo la prima guerra mondiale una serie di suoi seguaci svilupperà in senso fortemente libertario la sua teoria, ot tenendo uno straordinario successo fra i giovani europei e norda mericani. Sono infatti formati da Freud studiosi come Wilhelm Reich (1897-1957) e poi, sulle sue orme, Erich Fromm e Herbert Marcuse, gli ideologi della liberazione sessuale. Reich, staccatosi da Freud, era divenuto il profeta di una spe cie di religione che intrecciava psicoanalisi e marxismo, centrata sulla convinzione che svilupparsi, vivere, esprimersi, amare com piutamente fosse impossibile per qualunque essere umano a cui fosse stata bloccata la funzione orgasmica e l'evoluzione verso la maturità sessuale, da lui definita come il «primato dei genitali». Tutte le sue opere principali, a cominciare dalla Funzione dell'or gasmo, pubblicata nel 1927, sono fondate sull 'idea che chi non sfoga nell'orgasmo l'energia sessuale è destinato a nevrosi e a deformazioni della personalità. Nella sua opera più celebre, Psi cologia di massa del fascismo ( 1933 ) , questa motivazione psicolo gica viene utilizzata per spiegare l'affermazione dei regimi autori tari. È Reich il primo a utilizzare l'espressione «rivoluzione ses suale», che conoscerà tanto successo negli anni Sessanta. La rivoluzione sessuale e quella politica erano dunque stretta mente collegate nella ideologia del tempo, come riaffermarono pochi anni dopo Erich Fromm e Herbert Marcuse, sia pure sen za riferirsi a Reich, le cui opinioni, nel giro di qualche anno, di38 G. Jetvis, Il secolo della psicoanalisi, in Id. (a cura di), coanalisi, Bollati Boringhieri, Torino 1999, p. 17.
Il secolo
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ventarono così estreme e suscitarono tale sconcerto che, negli Sta ti Uniti dove si era rifugiato, si ricorse al suo internamento psi chiatrico. Fromm, nel celebre libro Fuga dalla libertà (194 1 ) , ave va sostenuto la stessa tesi: cioè che se l'energia espansiva della vi ta era coartata nella sua espressione - la pratica sessuale - essa da va origine al carattere sado-masochista e autoritario. Ma la fortu na maggiore toccò al saggio Eros e civiltà di Marcuse, uscito nel 1955, dove il filosofo sosteneva che non ci poteva essere rivolu zione sociale senza rivoluzione sessuale, e che la liberazione ses suale costituiva la base della felicità umana. Abbiamo aperto la parte moderna di questo libro, che inizia da quel XVIII secolo in cui la cultura occidentale comincia a ri fiutare il monopolio della Chiesa sulla morale sessuale, discuten do l'influenza esercitata prima, involontariamente, dai missionari e poi, volontariamente, dagli antropologi, nel descrivere società li bere da tabù sessuali, a cominciare proprio da uno dei primi e più importanti racconti di viaggio, quello del cavaliere de Bougainvil le a Tahiti. Sempre in Polinesia, ma a Samoa, si era recata, intor no al 1920, una giovane promessa dell'antropologia culturale americana, Margaret Mead, per studiare il comportamento degli adolescenti. Il libro che raccontava i risultati di questa ricerca L'adolescenza in Samoa (1928) - confermò le descrizioni dei viag giatori sette-ottocenteschi e dei missionari: nelle isole della Poli nesia il sesso era libero, e i corpi nudi e le danze selvagge erano prova di una totale assenza di inibizioni sessuali. La Mead, che aveva studiato psicologia per un anno, si azzardò anche ad affer mare che a questa libertà sessuale corrispondeva una libertà da sensi di colpa, complessi nevrotici, impotenza e frigidità, nonché l'assenza di crisi adolescenziali. li libro ebbe un successo di pub blico straordinario, mai registrato per uno studio di ricerca an tropologica, ma non solo: venne considerato un'opera fondamen tale dai massimi antropologi viventi, l'americano Boas e l'inglese Malinowski. Era un libro che arrivava al momento giusto, perché offriva al la popolazione anglosassone una prova scientifica a favore della li berazione sessuale proprio nel momento in cui era più insoffe rente nei confronti del puritanesimo tradizionale: nei decenni suc cessivi non ci fu studio dell'adolescenza o di problemi sessuali che non lo citasse come una bibbia. Tutto procedeva come i primi ses-
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suologi avevano indicato: questa volta non solo le relazioni dei missionari e dei viaggiatori, ma anche la ricerca scientifica con fermava che per l'uomo la libertà sessuale era «naturale». E veni va confermata così anche la teoria di psicoanalisti come Reich e Fromm, secondo cui la repressione sessuale era causa di molti ma li della società occidentale. Lo straordinario successo del libro è la prova di quanto fosse sentita l'esigenza, da parte di un gruppo di intellettuali, di porre in quegli anni le basi di un'altra morale sessuale. Ma la ricerca di Margaret Mead era sbagliata. Negli anni Ot tanta alcuni studiosi, sollecitati dallo scritto critico di un antro pologo australiano, Derek Freeman39, ritornarono sul posto per rifare l'indagine, e scoprirono che l'antropologa americana era ar rivata troppo in fretta a conclusioni errate: a Samoa le regole ses suali erano strette e severe, alle ragazze si richiedeva la verginità prima del matrimonio, e le danze che avevano tanto impressiona to missionari e viaggiatori erano solo simboliche, non finivano in un'orgia. In sostanza, quella della libertà sessuale era una favola inventata dagli occidentali, per i quali la nudità coincideva con una libertà di costumi da loro desiderata e immaginata. n fatto di aver svelato e compreso che quella che è stata consi derata una inoppugnabile prova scientifica dell'esistenza della li berazione sessuale e dei suoi effetti positivi era in realtà solo frut to, nella migliore delle ipotesi, di un malinteso - ma più proba bilmente di una ricerca affrettata, in cui i testimoni avevano pre so in giro l'allora giovane antropologa -, può suggerire molte ri flessioni. Soprattutto che il clima riguardo alla liberazione sessua le è mutato, perché non siamo più ansiosi di introdurla nelle no stre società, ma anzi oggi - in quanto stabilmente diffusa - siamo pronti a guardarla con uno sguardo critico, consapevoli che il mi to della felicità a portata di mano non si è realizzato neppure que sta volta. Ci si rende conto di quella che è la realtà della Polinesia perché gli effetti della rivoluzione sessuale nei paesi occidentali sono stati deludenti. Ma se è nota la fortuna di questi autori - negli anni Sessanta anche in Italia -, chi ha dato la spinta decisiva alla rivoluzione ses}9 Cfr. S. Tcherkézoff, Le mythe occidental de La sexualité polynésienne, Puf, Paris 2001 .
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suale è stato il biologo statunitense Alfred Kinsey (1896- 1956), le cui date di nascita e di morte coincidono quasi perfettamente con quelle di Reich. Kinsey - che molto probabilmente non ha mai let to questi libri - ha dedicato la seconda parte della sua vita a rac cogliere dati, che voleva rigorosamente scientifici, sulla vita ses suale dell'«animale umano», un oggetto che egli si proponeva di osservare con la stessa freddezza e distacco con cui, come ento mologo, osservava e classificava gli insetti. n suo impegno totale verso la causa, la sua fiducia utopica che la fine della repressione del desiderio sessuale avrebbe realizzato una società pacifica e ar moniosa, ne hanno fatto un profeta-scienziato di grande impatto sociale. Come ogni vero guru, costringeva i suoi collaboratori a praticare anche nella vita, oltre che nello studio, la sua «religio ne». Kinsey, come si è accennato, non è il primo studioso a pro porre una liberalizzazione sessuale, ma è il primo a farlo senza ostentare alcuna ideologia politica, né simpatie per l'eugenetica o per il miglioramento della razza. La sua formazione di zoologo lo porta ad analizzare un solo tema - quello del comportamento ses suale - nella sua accezione più seriale e descrittiva, lontano da sconfinamenti sul terreno della psicologia o tanto meno dell'ana lisi sociale. Proprio perché l'interesse di Kinsey è esclusivamente incentrato sulla sessualità umana, analizzata con la stessa fred dezza analitica che riservava alla catalogazione degli insetti, il suo lavoro è stato al tempo stesso così dirompente dal punto di vista morale, ma anche, per un altro verso, meno imbarazzante negli anni del dopoguerra, quando da una parte ogni riferimento al l' eugenetica poteva richiamare le pratiche naziste, e dall'altra ogni dichiarazione di fede comunista suscitava i sospetti della società americana. Con Kinsey, il comportamento sessuale si scinde com pletamente dalla sfera emotiva e da quella morale, per essere con siderato solo dal punto di vista fisico: in un certo senso, questa vi sione della sessualità - che si impone nelle società occidentali - ri propone, rovesciata, l'e�esia gnostica che separava corpo e spirito dando tutta l'importanza allo spirito e disprezzando, quindi, la sessualità. Qui si dà invece al corpo e alla sessualità il massimo del l'importanza, facendo in sostanza coincidere l'identità dell'indivi duo con questi, e arrivando anche - secondo Reich e Fromm - a sostenere che la sessualità ne determina il comportamento, in to tale contrapposizione alla unione inscindibile fra corpo e spirito
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sempre sostenuta dalla tradizione cristiana. n cristianesimo, in fatti, si fonda su una concezione di «carne» intesa come esperien za complessiva dell'essere umano, non riducibile solo al significa to di corpo come materia, ma che «rinvia all'unità originaria del la creazione-incarnazione-resurrezione ed indica il tutto dell'uo mo, implicando sempre anche l'insieme dei legami, delle relazio ni che ogni essere stabilisce»40• Naturalmente, la visione nuova, libera, della sessualità, ha il merito di recuperarne la dimensione leggera, Iudica, schiacciata in un certo senso dal carico di significati «alti» che la tradizione cri stiana dà all'atto sessuale. Lo studio di Kinsey sul comportamento sessuale dell'uomo è stato tradotto abbastanza presto in Italia - nel 1 955, mentre l' edi zione inglese è del 1 948 - e pubblicato con una lunga introduzio ne di Cesare Musatti. Questi, noto in Italia come uno dei primi e più celebri psicoanalisti freudiani, riconosce l'importanza scienti fica e culturale dello studio, in quanto prova che «non esiste uno schema fisso della normalità sessuale: e la fenomenologia sessua le, entro un ambito che non vi è motivo per qualificare abnorme, è estremamente varia, e sfuma nella anormalità vera e propria, o nelle sue diverse forme, per gradi insensibili»41• n rapporto Kin sey si rivela quindi un ottimo ausilio per la psicoanalisi, legitti mando la confessione di desideri e pratiche trasgressive per la mo rale corrente. Da Kinsey, che si presenta come il prototipo dello scienziato asettico e neutro, deriva una serie di inchieste sul comportamen to sessuale, come quelle celebri di Masters e Johnson42, che han no svolto un ruolo importante nel fornire materiale alla critica del la morale tradizionale negli anni Sessanta. Ma la sua influenza non si limita all'ambito scientifico: quella che viene proposta come evi denza scientifica fornisce la base della nuova morale permissiva, che in quegli stessi anni un altro americano, Hugh Hefner - allie40 C. Bernardi, C. Bino e M. Gragnolati (a cura di), Il corpo glorioso. Il rz� scatto dell'uomo nelle teologie e nelle rappresentazioni della resurrezione, Giar
dini, Pisa 2006, p. 12. 4 1 C. Musatti, Prefazione, in A.C. Kinsey, W.B. Pommeroy e C.E. Martin, Il comportamento sessuale dell'uomo ( 1 948), Bompiani, Milano 1955, p. X. 42 W. Masters e V. Johnson, L'atto sessuale nell'uomo e nella donna: indagi ne sugli aspetti anatomici e fisiologici ( 1966), Feltrinelli, Milano 1 968.
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vo di Kinsey, e come lui educato in una famiglia rigidamente pu ritana -, diffonde nel mercato dei periodici con l'invenzione di un mensile di grande successo, «Playboy». Anche per Hefner lo sco po era quello di diffondere la libertà sessuale: «la mia rivista offre una visione onirica del mondo, lontana dalla sfera matrimoniale e sicuramente più incentrata sulla vita dei single e dei giovani», e definisce «Playboy» come «il simbolo del razionalismo e dell'u manismo». La testata, diffusa in moltissimi paesi, vende ancora bene, anche se le sue promesse di felicità legate alla liberazione sessuale - le stesse di Kinsey e Reich, seppure espresse più gros solanamente - non si sono realizzate, neppure nel ristretto campo delle relazioni sessuali. Avanza invece - scrive Georges Cottier un erotismo commercializzato che costituisce «una delle più gra vi profanazioni dell'amore conosciute nella storia» perché, sotto il pretesto di sopprimere tabù, «sessualità e amore vengono ridotti a dimensioni della più volgare piattezza»43 • n successo di questa ideologia rivoluzionaria, che presuppo neva un distacco netto fra sessualità e procreazione, era assicura to anche dal fattore demografico: dopo la seconda guerra mon diale, infatti, grazie ai progressi medici, la crescita della popola zione, registrata per la prima volta nella storia anche nei paesi del Terzo Mondo, dà origine a una serie di previsioni catastrofiste. Già nella conferenza mondiale sulla popolazione, tenuta a Roma nel 1954 sotto l'egida delle Nazioni Unite, era emersa la preoccu pazione per lo squilibrio tra la crescita demografica e le risorse del pianeta. Nei decenni seguenti le organizzazioni internazionali fan no proprio il punto di vista occidentale, secondo cui i paesi ricchi sarebbero in pericolo perché assediati da una crescente folla di poveri che si moltiplicano rischiando di consumare troppe risor se. Domina infatti l'idea - oggi abbandonata - che la produzione delle risorse costituisca un fattore rigido, immodificabile. Paolo VI, nel discorso alle Nazioni Unite del 4 ottobre 1965, aveva detto invece che è dovere dei governanti responsabili far sì che il pane abbondi sulla mensa dell'umanità, non già «favorire
43 G.M.M. Cottier, Régulation des naissances et développement démographi que, Desclée de Brouwer, Paris 1969, pp. 12- 13.
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un artificiale controllo delle nascite che sarebbe irrazionale, per far diminuire il numero dei commensali al banchetto della vita»44• Queste trasformazioni culturali contagiano anche i cattolici, che cominciano a sentire voglia di rinnovamento, e proprio in me rito a ciò che costituisce il nucleo centrale di ogni discorso sulla sessualità, il matrimonio. La discussione dei fini del matrimonio riprende, fortemente influenzata dalle trasformazioni culturali av venute nel mondo occidentale: l'affermarsi dell'amore romantico e l'idea che l'atto sessuale costituisca un elemento essenziale nel rafforzare l'amore fra i coniugi, ormai considerato come il vero fi ne del matrimonio. Pertanto quest'ultimo viene percepito sempre più come una istituzione umana, con finalità umane e sociali, cioè il raggiungimento di una realizzazione affettiva e sessuale indivi duale, e come tale esposto alla fragilità dei desideri umani. Tutto ciò preoccupa la Chiesa, che vede in pericolo l'irreversibilità del vincolo, ma soprattutto scorge in questa umanizzazione una vera e propria cancellazione di Dio dal rapporto fra gli sposi, se pure credenti: solo il fine della procreazione, che vede gli sposi intera gite con la volontà divina, può riportare Dio nel vincolo, e resti tuire alla sessualità quel profondo significato simbolico e spiri tuale che la tradizione cristiana le aveva attribuito. Inoltre, era ormai chiaro che l'accento sull'amore costituiva so lo una prima tappa: nella cultura occidentale la seconda rivolu zione sessuale separerà definitivamente la sessualità non solo dal la procreazione, ma anche dal matrimonio e dall'amore, per legit timarla come semplice ricerca di piacere individuale. In questo modo, la sessualità perde la dimensione sociale e pubblica, per di venire sempre più un'attività privata e insindacabile, nella quale ognuno rivendica il diritto di fare le scelte che preferisce. Questo passaggio da pubblico a privato è provocato dall'af fermarsi di una cultura sempre più focalizzata sulla realizzazione individuale, e quindi poco attenta alla difesa della famiglia, resa più fragile, del resto, anche dall'emancipazione femminile e dalla crescente autonomia delle giovani generazioni. Alcune indagini - come Le italiane si con/essano di Gabriella Parca (1959) - rivelano che anche in un paese ancora fondamen44
Insegnamenti di Paolo VI, III, 1965, Libreria editrice vaticana, Città del
Vaticano, 1966, pp. 5 16-523.
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talmente cattolico come l'Italia era in corso un cambiamento nel comportamento sessuale delle donne, sempre più tentate di spe rimentare la libertà sessuale anche al di fuori del matrimonio. E questa trasgressione morale si traduce poi in allontanamento dal la pratica religiosa, come nota il matrimonialista Lucio Grassi nel l'inchiesta L'adulterio femminile in Italia ( 1963 ) : Al campione esaminato è apparso che una rilevante percentuale di coppie coniugate pratica il controllo delle nascite con metodi assoluta mente riprovati dalla morale e dal diritto. Tali modalità di compimen to dell'atto sessuale coniugale finiscono con l'allontanare notevolmen te la donna dalla attiva pratica religiosa non essendo compatibili con i precetti morali. Un rilevante numero di donne coniugate viene a tro varsi - durante il matrimonio - in uno stato di perenne conflitto con le norme religiose; da tale conflitto esce così soccombente la coscienza morale. La norma religiosa, in tali casi, sembra svalutarsi; ed è apparso ben evidente che le violazioni di altri precetti morali - quali, ad esem pio, la fedeltà - incontrino una resistenza spirituale sempre minore.45
Si presenta così quella che sarà una delle questioni calde nel cattolicesimo contemporaneo: cioè se sia la severità della Chiesa nell'ambito della morale sessuale a provocare l'allontanamento dei fedeli, o piuttosto sia la liberalizzazione sessuale della moder nità a provocare la secolarizzazione. In entrambe le prospettive, comunque, emerge l'importanza della rivoluzione sessuale per l'affermazione della secolarizzazione contemporanea. Anche nel mondo dei cattolici più fedeli entra in crisi il mo dello tradizionale di religiosità femminile incentrato sulla spiri tualità sacrificale e le donne, accanto ai doveri, cercano una rea lizzazione personale, affettiva e sessuale nella vita coniugale. Mol to importante, in questa riscoperta della soggettività e della parità fra i sessi, è il movimento fondato da don Giussani a metà degli anni Cinquanta, Gioventù studentesca, aperto alla lettura dei ro manzi ma anche della psicologia, tematica che si estende ad alcu ni titoli di argomento sessuale46• 4' L. Grassi citato in R. Fossati, Un «sogno difusione perfetta». Il mondo cat tolico e la politica dei sessi, in C. Adagio, R. Cerrato e S. Urso (a cura di), l/ lun go decennio. L'Italia prima del '68, Cierre, Verona, p. 78. 46 Come A. Zarri, Impazienza di Adamo. Ontologia della sessualità, citato in Fossati, Un «sogno difusione perfetta», cit., p. 8 1 .
VI. Competizione e conflitti
27 1
Nel periodo che va dalla Casti connubii al Concilio Vaticano II nascono in questo clima - soprattutto in Belgio e in Francia - mo vimenti di spiritualità coniugale, caratterizzati dal cosiddetto «so gno di fusione perfetta»47. li prete e teologo Pierre de Locht, im pegnato nel movimento dei Foyers, scriveva: «Vivere in due, pen sare in due, pregare in due»; questo modello di coppia ideale pe netrò un po' più tardi in Italia. Ma già dagli anni Cinquanta se gnava i suoi limiti, come denuncia sulla rivista del movimento dei Foyers, «Anneau d'oD> , il promotore svizzero, Robert Bovet, in un articolo intitolato Éloge du mariage impar/ait48• In Italia un gruppo che si riallaccia a questa tendenza è la Pro Civitate Chri stiana, la Cittadella di Assisi, e la sua rivista «Rocca>> si apre a di scutere questioni come l'indissolubilità del matrimonio, le tecni che anti-fecondità e l'educazione sessuale. Si parla anche di fem minismo, e si discute il caso della «Zanzara» - il giornale studen tesco del liceo Parini di Milano dove un articolo aveva rivelato una pratica abbastanza disinvolta di rapporti prematrimoniali fra le studentesse - sostenendo «un'educazione positiva alla sessua lità»49. Attento a questi temi era anche il centro Idoc, nato du rante il Concilio, che pubblica una collana di libri fra cui compa re anche Diritti del sesso e matrimonio (pubblicato in prima edi zione nel marzo 1968), testimonianza di come anche le nuove ge nerazioni cattoliche avessero assorbito la cultura laica dominante: La Chiesa dopo il Concilio Vaticano II è impegnata in diversa mi sura nei confronti dei problemi del sesso, del matrimonio, del con trollo delle nascite. In una società che respinge l'ipocrisia ed esige l' au tenticità, la scottante tematica dell'amore va affrontata in modo per sonale ed esistenziale. Se il cattolicesimo non sceglierà la strada del dia logo più aperto il solco che divide i fedeli dalla gerarchia ecclesiastica e la Chiesa dal mondo moderno si allargherà sempre di più. La parte più viva della cattolicità vuole affrontare i problemi della vita intima dell'uomo e della donna, della famiglia, della procreazione, con co raggio e schiettezza e abbattere i tabù che hanno distorto il nostro giu dizio.50
47
Ibid.
48 Cfr. ivi, p. 82. 49 lvi, p. 84. 50 lvi, p. 85.
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Già prima della seconda guerra mondiale, in alcuni paesi eu ropei si erano alzate voci autorevoli, come quella del padre do menicano Benedetto Lavaud, professore di teologia all'Università di Friburgo, a favore di un rinnovamento radicale della teoria dei fini del matrimonio, valorizzando il secondo fine, l'unione fra i co niugi, invece della procreazione, messa al primo posto da sant'A gostino e san Tommaso. Anche un gesuita francese, padre Boige lot, conferma la necessità di precisare le relazioni fra i due fini, e il 10 aprile 1 94 1 , in un discorso al tribunale della Sacra Rota, Pio XII risponde che il fine secondario è legato al primario da un le game di subordinazione, giudizio ripetuto il 1 ° aprile 1 944 da un decreto del Sant'Uffizio e, come abbiamo visto, nel suo celebre discorso alle ostetriche nel 1 95P1• Ma in questa occasione il pa pa apporta una nuova e importante precisazione: i due fini erano da considerarsi inseparabili, cioè l'amore coniugale era. a servizio della procreazione e l'attività procreatrice non poteva essere se parata dalla relazione personale fra gli sposi. E nel sostenerlo ab bandonava il vocabolario del diritto canonico che definiva il fine secondario come «aiuto reciproco» e «rimedio alla concupiscen za» per riconoscere «tutto ciò che c'è di buono e di giusto nei va lori personali che risultano dal matrimonio e dalla sua realizza zione»52 . Giovanni XXIII, tre mesi prima di morire, nel marzo del 1 963 , suscitò speranze nuove con la nomina di una piccola commissio ne di teologi - alcuni esperti di demografia - incaricati di studia re con calma il tema del controllo delle nascite sia dal punto di vi sta demografico che da quello dell'etica coniugale. Una prova, se condo il giornalista Giancarlo Zizola, che egli «considerava pro blema ciò che era comunemente considerato, a parte un piccolo gruppo di teologi, ancora una verità di fede»53. li nuovo papa Paolo VI, desideroso di arrivare a un accordo unanime sul pro blema, nel 1 964 allarga la commissione, che viene così a com5 1 Si veda in proposito Sevegrand, L'amour ou !es deux/ins du mariage, cit., p. 178. 52 Pio XII, Discorso alle ostetriche, cit., p. 849. 53 G. Zizola, Genesi dell'enciclica «Humanae vitae», in G. Zizola, A. Zarri, G. Gozzer e P. Donizetti (a cura di}, La questione della pillola, Mursia, Milano 1969, p. 2 1 .
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prendere venticinque teologi, fra cui due vescovi, diciannove de mografi, sociologi ed economisti, dodici medici e infine - innova zione importante - tre coppie (una canadese, una americana e una francese) . Il Terzo Mondo contava tredici rappresentanti su qua rantaquattro membri europei e nordamericani e - altro aspetto nuovo e importante - i laici erano in maggioranza in rapporto al clero e ai religiosP4 • Ma il dibattito ormai si era aperto presso l'opinione pubblica, rivelando all'esterno gli aspri conflitti interni alla Chiesa stessa su questo tema. Anche per questo, nel giugno 1 964, Paolo VI an nunciò che aveva deciso di sottrarre al dibattito conciliare le que stioni relative al controllo delle nascite. Ai padri conciliari venne lasciata solo una parte del problema, quella relativa al rinnova mento della morale coniugale, tema che darà occasione ad alcuni di loro di parlare esplicitamente di amore nel 1964, durante la ter za sessione del Concilio. «Bisogna assolutamente proporre l'amo re coniugale come un vero fine del matrimonio», dice il cardinale Léger, arcivescovo di Montréal, e con lui concordano il cardina le Suenens, arcivescovo di Bruxelles, e il cardinale Alfrink, arci vescovo di Utrecht, mentre nel dibattito che segue si oppongono i cardinali di Curia, e in particolare Ottaviani e Browne, che di fendono la dottrina tradizionale. Ancora più netta la demarcazione fra i padri conciliari riguar do i mezzi di controllo delle nascite, questione su cui Suenens, considerato portavoce delle correnti più aperte, afferma con chia rezza: «Seguiamo i progressi della scienza. Vi scongiuro, padri, evitiamo un nuovo processo a Galileo. Uno basta alla Chiesa»55 • La lotta fu particolarmente aspra, e si risolse solo in seguito a un intervento di Paolo VI nel 1964, che propose di mantenere la dot trina dei due fini, primario e secondario, dottrina che non appa riva nella prima versione del testo conciliare. Si palesò quindi apertamente la forte divergenza fra la maggioranza conciliare de siderosa di affermare la grandezza dell'amore coniugale e un pa pa teso a mantenere l'insegnamento tradizionale. Ma la costitu zione conciliare Gaudium et Spes, votata nel dicembre 1965, nel 54 M. Rouche, La préparation de l'enryclique «Humanae vitae>>, in Pau! VI et la modernité dans l'Église, École française de Rome, Roma 1 984, pp. 361-384. 55 Zizola, Genesi dell'enciclica «Humanae vitae>>, cit., p . 25.
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capitolo consacrato al matrimonio non parla dei due fini, e so prattutto della loro gerarchia. n testo conciliare, rompendo deci samente con la teoria del remedium concupiscentiae del diritto ca nonico, si sforzava infatti di restituire tutto il valore alla vita ses suale degli sposi e al dialogo fra i corpi: «Gli atti che realizzano l'unione intima e casta degli sposi sono degli atti onesti e degni. Vissuti in una maniera veramente umana, essi significano e favo riscono il dono reciproco attraverso il quale gli sposi si arricchi scono vicendevolmente nella gioia e nella riconoscenza»56• Come scrive il gesuita Mattheeuws, questo testo conciliare, in un'ottica influenzata dalla filosofia personalista, testimonia «la cancellazio ne del linguaggio della finalità» e
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derna di valorizzazione della scelta individuale e della realizzazio ne dei propri desideri. L'atto sessuale acquista senso e viene rego lato - in particolare rispetto al problema incombente del control lo delle nascite - a seconda dell'opzione prevalente a questo pro posito. Nelle società occidentali secolarizzate, invece, l'atto ses suale sta acquistando una legittimità propria, finalizzata al piace re individuale, e viene quindi «liberalizzato» anche al di fuori del legame coniugale, grazie alla diffusione dei metodi anticoncezio nali moderni, che permettono di separarlo totalmente dalla pro creazione e quindi dalla necessità di prowedere all'allevamento dei figli. In fondo, in paesi come l'Italia, gli anni Sessanta, che ve dono il mondo cattolico diviso sul problema della legittimità del la separazione della sessualità dalla riproduzione all'interno del legame matrimoniale, sono anche quelli in cui comincia ad affer marsi la «liberazione sessuale» che diventerà di massa nel decen nio successivo. E, sul piano politico, la sconfitta dei cattolici ita liani nei referendum sul divorzio (1974) e sull'aborto ( 1981 ) se gnala che proprio su questo settore, quello dei legami uomo-don na e della regolamentazione della sessualità, la Chiesa sta perden do sempre più influenza e autorevolezza. Ne era perfettamente consapevole Paolo VI, che vive con drammatica angoscia questa situazione, come traspare dall'inter vista rilasciata ad Alberto Cavallari sul «Corriere della Sera» del 3 ottobre 1965: «li mondo chiede cosa Ne pensiamo [del controllo delle nascite] e Noi ci troviamo a dare una risposta. Ma quale? Ta cere non possiamo. Parlare è un bel problema. La Chiesa non ha mai dovuto affrontare, per secoli, cose simili. E si tratta di mate ria diciamo strana per gli uomini della Chiesa, anche umanamen te imbarazzante. Così, le commissioni si riuniscono, crescono le montagne delle relazioni, degli studi. Oh, si studia tanto, sa. Ma poi tocca a me decidere. E nel decidere siamo soli. Decidere non è così facile come studiare». 3 . V«Humanae vitae»: una enciclica contestata La commissione sul controllo delle nascite, esclusivamente consultiva, operò in piena libertà, e vide nel corso dei lavori - dal
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1963 al 1966 - un capovolgimento della maggioranza, che da tra dizionalista divenne innovatrice. Alla conclusione dei lavori non fu raggiunta l'unanimità, per cui in sostanza non si arrivò a forni re elementi decisivi a Paolo VI, che lamentava: «più nomino per sone nel gruppo, più la questione diventa complessa»58• Nel 1966 la commissione infatti era stata di nuovo allargata, ma questa vol ta con ecclesiastici - sette cardinali e nove vescovi (fra cui Karol Wojtyla, arcivescovo di Cracovia) -, mentre alla presidenza veni va designato il cardinale Ottaviani, sostenitore delle tesi tradizio nali. Ma, nonostante questo innesto, la commissione contava una maggioranza di innovatori - quindici - contro quattro della mi noranza. Per preparare il documento conclusivo decisiva fu la riunione a Roma, nel 1966, durata due mesi, che si svolse in sessioni diver se in cui si affrontarono le questioni dottrinali, la sessualità, si or ganizzò l'incontro fra clero, demografi e medici, si prestò ascolto alle coppie, si diede spazio al parere di sociologi e psicologi, e si concluse con una assemblea generale. Gli esperti esterni si di chiararono in genere favorevoli alla liberalizzazione del controllo; tutti i medici, tranne uno, insistettero sulla inefficacia e sulla inap plicabilità del metodo del ritmo mensile. Particolarmente convin cente risultò l'ascolto dell'esperienza delle coppie, unanimi nel di re che l'astensione periodica non era sostenibile, e che bisognava lasciare agli sposi la scelta del metodo anticoncezionale. La mino ranza tradizionalista replicò che far scegliere le coppie avrebbe portato a una sorta di idolatria della coppia, e quindi a una misti ficazione del rapporto coniugale, ma non convinse la maggioran za. In conclusione, non si arrivò a un testo unanime, ma a due re lazioni, una di maggioranza, a favore, e una di minoranza, contra ria, e questo fatto contribuì a far sentire libero il papa nella sua de cisione finale. Era la prima volta che una commissione pontificia prendeva una posizione, se pure non unanime, contro la tradizio ne, e questo, scrive Miche! Rouche, fece sì che venisse alla luce «la più formidabile crisi della Chiesa cattolica nel XX secolo»59. Quasi tutti gli studiosi che hanno lavorato sull'enciclica ten dono a schierarsi con la maggioranza innovatrice della commis58 Paolo VI citato da 5 9 lvi, p. 383 .
Rouche, La préparation, cit., p. 365.
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sione, considerando la sua posizione come ragionevole e «moder na», e a considerare invece incomprensibile, se non sbagliata, quella dei tradizionalisti, poi adottata da Paolo VI. Ma per uno storico costituisce invece un problema interessante scoprire le ra gioni del capovolgimento della maggioranza, e dell'irriducibile frattura fra le due «fazioni», evento raro nella storia della Chiesa: Rouche attribuisce la sconfitta dei tradizionalisti all'inesperienza generale dei membri su questi temi, che li rendeva molto influen zabili dalle relazioni degli esperti, quasi tutti favorevoli alla con traccezione ormonale, e all'incapacità dei tradizionalisti nel tra sformare in argomentazione convincente la loro intuizione di fe de. Colpisce comunque l'assenza, fra gli esperti, di storici della sessualità - presente a due riunioni John Noonan, autore di una celebre storia della contraccezione uscita nel 1966, che però si li mita a un taglio giuridico del problema - che avrebbero potuto ri cordare come il rapporto fra Chiesa e sessualità avesse radici ben più profonde della Casti connubil, e che il discorso cristiano sulla sessualità comprendeva anche la mistica e soprattutto la castità consacrata. Mancarono soprattutto valenti psichiatri che ap profondissero le conoscenze sulla natura del desiderio. L'unico psichiatra presente, un freudiano ortodosso, si limitò a ribadire le tesi del pericolo di squilibri psichici causati dall'inibizione del de siderio. In questa ottica, il metodo della continenza periodica appari va quindi intollerabile, passibile di compromettere l'intesa coniu gale e il clima di pace della famiglia, dal momento che si pensava che solo la liberazione del desiderio sessuale potesse dare la feli cità. In fondo, anche nella Chiesa era entrata la sacralizzazione del desiderio che stava affermandosi nelle società occidentali, se pu. re ammessa solo all'interno della coppia sposata. La sessualità, espressa nella sua forma più tradizionale, cioè nel coito, veniva considerata luogo per eccellenza del dialogo amoroso. Non si era no ancora ascoltate le denunce delle femministe contro la pene trazione, né rivendicate possibilità diverse di appagamento ses suale: la sessualità era concepita in modo tradizionale, anche se sembrava nuovo, un modo che pochi anni dopo sarebbe stato de nunciato come maschilista. Anche i tradizionalisti riconoscevano il valore positivo della sessualità coniugale, ma chiedevano di superare l'egoismo di cop-
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pia, per affinare in una dimensione spirituale il senso del matri monio. Soprattutto, ricordavano che l'ordine naturale è insieme carnale e spirituale, tant'è vero che il matrimonio costituisce una metafora del rapporto fra Cristo e la Chiesa. Non convenivano, poi, con l'idea della maggioranza progressista secondo cui il di vieto della pillola avrebbe dato origine a una fuga dei fedeli - so prattutto donne, cioè quelle che fino a quel momento meno ave vano risentito della secolarizzazione - perché non avrebbero po tuto sopportare la sensazione di sentirsi continuamente colpevoli. Ma, se il problema della commissione era quello di definire il ruolo della sessualità nella coppia in rapporto a Dio e in rappor to al mondo, problema in cui i dati scientifici e quelli rivelati era no inestricabilmente legati, ci si accorse ben presto che la posta in gioco era molto più ampia - «smisurata», per dirla con le parole di Rouche - perché toccava anche il conflitto di potere fra clero e laicato (il sensus fidelium) , nonché quello fra donne e uomini. La pillola anticoncezionale, infatti, insieme con gli altri nuovi mezzi come il diaframma e la spirale, dava alle donne il potere di deci dere quando e con chi procreare, a differenza degli anticoncezio nali più tradizionali, il coitus interruptus e il preservativo, che da vano il potere agli uomini. Ma anche perché si affrontava quello che sarebbe stato il tema di contesa principale fra Chiesa e società moderna nei decenni successivi: il rapporto fra natura e tecnologia, che implicava il ri conoscimento della legge naturale. La diffusione della pillola segnava anche la fine di quella spe cie di armistizio che, a partire dall'Ottocento, se pure con alterne vicende, aveva definito i rapporti fra la Chiesa e gli Stati- liberali: alla Chiesa il privato delle coscienze e dei legami familiari, allo Sta to la sfera pubblica. La Chiesa rischiava infatti di perdere il suo ascendente anche nella sfera privata, dove la sua legge morale non era più accettata come legittima, in un clima di crescente raffor zamento dei diritti individuali. VHumanae vitae sarà sentita da molti cattolici, infatti, come una indebita intromissione nella loro sfera intima. Nell'estate del 1966, Paolo VI si portò a Castelgandolfo le ot tocento pagine del dossier raccolto dalla commissione, ma l'atte sa si protrasse ancora: il papa incaricò la Congregazione per la dottrina della fede di esaminare il dossier, e si formò a questo pro-
VI.
Competizione e con/Zitti
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posito una nuova équipe di esperti, otto, tutti teologi. La loro ri soluzione, di taglio fortemente conservatore, fu resa pubblica da un giornale cattolico americano, «The National Catholic Repor ter», suscitando vaste proteste nell'opinione pubblica. Le voci più diverse si rincorrevano, e soprattutto si infittivano le previsioni di tipo liberale, mentre alti porporati non si trattenevano da dichia razioni favorevoli al controllo demografico, come il cardinale Heenan, convinto dal rapporto dell'economista cattolica inglese Barbara Ward, che condivideva le prospettive allarmanti per l'e splosione demografica del Terzo Mondo. Anche la Ward, poi, so steneva che era necessario, da parte della Chiesa, un recupero «dell'amore umano nella vita personale»60• Nel 1967 il cardinale Villot avvertì i vescovi che, pur non essendo abilitati a discutere della regolazione delle nascite, erano invitati dal papa a fargli per venire per iscritto il loro parere sull'argomento: pare, da notizie non ufficiali, che 1'80% dei delegati abbia risposto a favore del rinnovamento61. I pronunciamenti a favore della contraccezione si susseguirono anche nel mondo laico: la rivista dei gesuiti statu nitensi «America» diede notizia che larghi settori dei medici çat tolici erano favorevoli al rinnovamento, e così si pronunciò pure il III Congresso mondiale per l'apostolato dei laici, che in un do cumento reclamò il diritto dei genitori di scegliere liberamente i mezzi tecnici per controllare le nascite: «Questo giudizio [sul nu mero dei figli] lo devono formulare davanti a Dio gli sposi stes si»62. Il papa lavorava aiutato da due consiglieri personali, il teologo Carlo Colombo e il gesuita Gustave Martelet, conosciuto per i suoi articoli sulla regolazione delle nascite; l'ultimo vescovo ed esperto consultato da Paolo VI durante questa fase finale della re dazione fu Karol Wojtyla, arcivescovo di Cracovia, considerato uno specialista di morale coniugalé3. Anche dal punto di vista demografico, il 1968 è un anno deci sivo: esce il fortunato libro di Paul Ehrlich, The Population Bomb, 60
61 62 63
Zizola, Genesi dell'enciclica «Humanae vitae», cit., p . 5 1 .
Ibid.
Cfr. ivi, p. 53 . ]. Grootaers, Que/.ques données concernant la rédaction de l'encyclique «Humanae vitae», in Pau! VI et la modernité dans l'Église, cit., pp. 385-398.
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che darà il nome alla «bomba demografica», e nasce il prestigio so Club di Roma, che lancia allarmi sui pericoli della sovrappo polazione e fa previsioni drammatiche sul futuro. Sei anni dopo, nel 1 974, alla Conferenza sulla popolazione mondiale di Bucarest, ilfamily planning - dizione preferita al più controverso «controllo», che allude inoltre a una pratica molto in auge, la pianificazione economica - viene innalzato dall'Gnu al rango di obiettivo fondamentale. In questo clima, in cui l'attesa diventava facilmente una forma di pressione in senso innovativo, nell'anno fatale della ribellione studentesca e dell'inizio di quel percorso di liberalizzazione dei comportamenti sessuali giovanili che doveva caratterizzare la mo dernità occidentale, Paolo VI, il 29 luglio 1968, rese nota l'enci clica Humanae vitae, che confermava in sostanza, senza possibi lità di ambiguità, l'insegnamento tradizionale della Chiesa in te ma di matrimonio e di contraccezione. n papa, nelle prime pagine dell'enciclica, spiega di non avere accettato i risultati emersi dai lavori della commissione pontificia, sciolta nel 1966, e un riferimento a questo travaglio personale tor na pochi giorni dopo, il 3 1 luglio, nel discorso all'udienza gene rale: «Quante volte abbiamo trepidato davanti al dilemma di una facile condiscendenza alle opinioni correnti, ovvero di una sen tenza male sopportata dalla odierna società, o che fosse arbitra riamente troppo grave per la vita coniugale» e poi con drammati ca sincerità: «Mai abbiamo sentito come in questa congiuntura il peso del Nostro ufficio [ . ] dovevamo rispondere alla Chiesa [ . . ] all'umanità intera». . La lunga preparazione dell'enciclica, l'accidentato iter con il susseguirsi di esperti e di commissioni, la fatica per la pesante re sponsabilità più voltè confessata dal papa dimostrano come ci fos se in Paolo VI e nei suoi collaboratori più stretti la consapevolez za dell'importanza storica di questa decisione, non solo nei con fronti dei cattolici, ma di tutti i popoli del mondo. n confronto con la modernità, che il Concilio aveva cercato di rendere più aperto, veniva messo alla prova, subito dopo la chiusura del con sesso, con uno degli argomenti più difficili, la sessualità. Questo era il campo, infatti, in cui la secolarizzazione aveva agito in mo do più incisivo, facendo sì che i comportamenti sessuali nei paesi occidentali si allontanassero sempre di più dal modello morale . .
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cristiano che li aveva regolati per secoli, e naturalmente questo aveva conseguenze determinanti sulla famiglia. Ma non era solo questione di comportamenti: stava cambiando in modo radicale la concezione stessa di atto sessuale, che viene analizzato e stu diato come un fenomeno biologico - e in questo senso non diver so da quello degli animali - e proprio per questo considerato co sì necessario all'equilibrio vitale umano da render!o indispensabi le e quindi non sottoponibile a regole che sembrano provenire da sfere completamente diverse e separate come quella religiosa. Del resto, anche le scienze umane, come la psicoanalisi, riconoscono alla sessualità umana un ruolo decisivo al di là della riproduzione. Quanto la Chiesa doveva accettare di questo rinnovamento avve nuto interamente al di fuori della sua orbita culturale, e, in caso di rifiuto del cambiamento, quanto sarebbe costato in perdite di fedeli? Le discussioni avvenute nel mondo cattolico in attesa del l'enciclica avevano reso evidente come la cultura moderna seco larizzata avesse influenzato anche i cattolici, che volevano ripor tare nell'ambito della decisione e dell'affettività individuale ogni scelta relativa alla sessualità, cancellando quello che era stato uno dei tratti innovatori del cristianesimo: l'ingresso di Dio nel lega me fra uomini e donne, la valorizzazione del rapporto sessuale che derivava da quella del corpo umano, indissolubilmente legato al lo spirito dall'Incarnazione. Il passaggio centrale dell'enciclica, quello su cui si scatenò im mediatamente il dibattito, fu la condanna della contraccezione farmaceutica, così formulata: «Dio ha sapientemente disposto leg gi e ritmi naturali di fecondità che già per sé distanziano il susse guirsi delle nascite. Ma, richiamando gli uomini all'osservanza delle norme della legge naturale interpretata dalla sua costante dottrina, la Chiesa insegna che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita»64• Tale dottrina in fatti, continua l'enciclica, è fondata «sulla connessione inscindi bile che Dio ha voluto e che l'uomo non può rompere di sua ini ziativa, trai due significati dell'atto coniugale: il significato uniti ve e il significato procreativo»65. Il vocabolario è nuovo, il papa non parla più di fini ma di significati, ma permane il rifiuto di se64
Humanae vitae, n. 1 1 .
6' lvi, n . 12.
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p ararli, allo scopo di dare valore all'amore fra gli sposi più che al la funzione procreativa. In questo passaggio, si vede l'intenzione di mantenere al matrimonio cristiano quel carattere di sacralità che gli veniva dall'aprirsi all'azione di Dio nella procreazione. Paolo VI non vuole che il matrimonio si riduca alla valorizzazio ne di un sentimento umano, se pure il sentimento più alto, l'amo re: gli sposi devono riconoscersi «non arbitri delle sorgenti della vita umana, ma piuttosto ministri del disegno stabilito dal Crea tore»66. C'è una importante innovazione: l'enciclica sottolinea il valore positivo dell'atto coniugale come espressione di amore, e quindi viene considerata positivamente la sua espressione, cioè l'atto sessuale praticato anche nei periodi non fecondi; e questo diversamente dal passato, anche recente, quando i rapporti che avevano luogo in momenti sicuramente non procreativi, come la gravidanza o la menopausa, venivano considerati una mancanza di controllo di sé e di mortificazione. Nel mondo cattolico la delusione degli innovatori è cocente, e non si guarda all'apertura dell'enciclica sulla regolazione delle na scite attraverso il metodo detto «naturale» di individuazione dei periodi non fecondi - metodo ancora imperfetto sul quale il papa chiede agli scienziati di proseguire gli studi - ma solo alle sue chiu sure. Quello che viene criticato è innanzitutto il metodo adottato dal papa, che non ha tenuto conto delle conclusioni della mag gioranza della commissione, né dei pareri della maggioranza del l' episcopato: subito dopo il Concilio, che sembrava avere aperto la Chiesa a una nuova dimensione di collegialità, Paolo VI impo ne la scelta pontificia come indiscutibile, e ribadisce il suo dove re, e diritto, di autorità magistrale. Le formulazioni usate - «l'in segnamento della Chiesa», «la dottrina della Chiesa», «la Chiesa insegna» e così via - non lasciano dubbi sull'impegno diretto del magistero. Il dissenso invece «esprime la nuova coscienza di tut te le componenti ecclesiali e il loro bisogno di partecipare alla vi ta religiosa in termini non burocratici»67 e quindi quello che vie ne messo in discussione dai critici è proprio il ruolo del magiste ro ecclesiale: molti cattolici, in varie parti del mondo, si oppon66
lvi, n. 13. G. Gozzer, Regolazione, magistero, tecnologie, in Zizola, Zarri, Gozzer, Donizetti (a cura di), La questione della pillola, cit., p. 141. 67
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gono all'idea di dover accettare l'insegnamento dell'enciclica co me moralmente impegnativo, dando origine alla «più preoccu pante forma di dissenso che la Chiesa cattolica abbia conosciuto negli ultimi secoli»68• Gli oppositori si appellano al principio del la non vincolabilità della coscienza del cristiano, e si apre la que stione sull'infallibilità dell'insegnamento papale, come se ci fosse da un lato la legge e la sua eteronomia e dall'altro la coscienza in dividuale come unico criterio di giudizio morale. Cottier difende il papa, chiarendo che «una coscienza ben formata integra in ma niera riflettuta e personale i diversi apporti della legge morale, della quale il magistero è interprete autorizzato»69• li l o agosto «Le Monde» riassume così le prime reazioni al l'enciclica: «Sia che approvino, o che siano costernati, la stupefa zione domina in Vaticano dopo la pubblicazione dell'enciclica sulla contraccezione»; stupore, costernazione, delusione sono le parole che dominano le reazioni della stampa, mentre il dibattito passa presto dal problema della contraccezione a quello dell' au torità pontificia70• n piano della discussione, da teologico e morale, comincia a scivolare sempre più sul piano disciplinare. Paolo VI interviene su questo problema nella lettera che indirizza all'82° Katholikentag, il raduno dei cattolici tedeschi, che si tiene il 3 0 agosto 1968: «Si vorrebbe fosse lecito, ad ognuno nella Chiesa, di pensare o cre dere ciò che gli piace. Non si prende invece in considerazione che al servizio della verità si mette pienamente soltanto chi si subor dina al magistero della Chiesa». Ma i membri del forum, che di scutono su matrimonio e famiglia, voteranno a maggioranza una risoluzione secondo la quale essi «non possono secondo coscien za sottostare alla richiesta di obbedienza alle decisioni del papa nella questione dei mezzi di controllo delle nascite»71 • Le critiche in generale toccano due punti, entrambi fonda mentali per la Chiesa: il diritto del papa sia di decidere indipen68
lvi, p. 150. Cottier, Régulation des naissances, cit., p. 10. 7° Cfr. J.-L. Pouthier, Les réactions de l'opinion publique /rançaise à l'ency clique «Humanae vitae», in Paul VI et la modernité dans l'Église, cit., pp. 4174 1 8. 71 D. Tettamanzi, La risposta dei vescovialla «Humana e vitae», Ancora, Mi lano 1969. 69
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dentemente dal parere della commissione e degli organi collegia li della gerarchia ecclesiastica, sia di intervenire in una sfera inti ma come il rapporto fra i coniugi. Il primo punto si riallacciava di rettamente alle speranze nate nel corso dei lavori conciliari di una gestione più collegiale della Chiesa e soprattutto di una impor tanza nuova conferita alla voce dei laici, a cui si rispondeva inve ce con una decisione autonomamente presa dal papa in aperto contrasto con la maggioranza dei cattolici, clero compreso, che ri chiedeva di fatto obbedienza anche se non si condivideva la con danna dei contraccettivi. «li fatto è che alla Chiesa non compete né il sì né il no ai contraccettivi: compete insegnare al cristiano 'le fonti' del suo comportamento di fronte ai contraccettivi», scrive Giovanni Gozzer, intellettuale cattolico critico nei confronti del l'enciclica72• n secondo punto riguardava invece un problema ben più gra ve, cioè il valore da dare alla sessualità e il concetto stesso di amo re coniugale: non basta l'amore a dare significato spirituale al ma trimonio - è questa l'intuizione di Paolo VI - ma di esso fa parte, ed è costitutivo di senso, il potere di generare altri esseri umani, parte integrante del mistero supremo dell'amore divino. Così, e solo così, «l'amore coniugale si radica nel mistero di Dio»73 • L'incomprensione fu tale che l'enciclica, concepita come stru mento risolutore di una crisi - cioè l'incertezza sulla portata esat ta dell'insegnamento del magistero sulla contraccezione -, fu con siderata come la causa che l'aveva provocata. Per alcuni, infatti, l'enciclica era venuta a interrompere lo sviluppo armonioso della dottrina conciliare sull'amore coniugale e a turbarne il corso: il to no personalista adottato da Gaudium et Spes, la sua scelta di ab bandonare il linguaggio dei fini del matrimonio e introdurre co me positivo il concetto di «paternità responsabile» sembravano indicare una linea di apertura smentita dall'enciclica. L'Humanae vitae, che si propone di essere una ricapitolazione e unificazione fra la Casti connubii e i documenti conciliari, risulta essere invece un grido di allarme sulla contraccezione, considerata un pericolo per l'amore. 72 Gozzer, Regola:done, ci t , pp. 1 16- 1 8 1 . 73 G . Martelet, Essais sur la signi/ication de l'encyclique «Humanae vitae», in Paul VI et la modernité dans l'Église, cit., pp. 399-4 15, 402. .
VI.
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li 20 ottobre 1968, in un lungo articolo sull'«Osservatore Ro mano», il cardinale Felici difende la continuità fra l'enciclica e il Concilio: se il Vaticano II fornisce il quadro generale dell'encicli ca, Paolo VI ha preso qui una posizione più concreta sul signifi cato dell'atto coniugale e sulla sua finalità. In sostanza, scrive Mattheeuws, l'Humanae vitae vuole solamente «portare a compi mento il Concilio, e non abolirlo»74• Uno dei temi più discussi fu l' ancoramento della moralità alla legge naturale, considerato da molti una ripresa acritica di Casti connubii, in cui Dio e la natura si confondevano come fonti della legge morale, rivelando un carattere assoluto e statico. Secondo la Gaudium et Spes i criteri morali, invece, derivavano «dalla natura stessa della persona e dei suoi atti», prendendo le distanze così dall'enciclica di Pio XI che dava alla legge naturale una connota zione essenzialmente fisica. Paolo VI fa sua la concezione di legge naturale conciliare, più legata a una idea di natura umana: «usando di questo dono divi no [cioè l'atto di amore reciproco] distruggendo, anche soltanto parzialmente, il suo significato e la sua finalità, è contraddire alla natura dell'uomo come a quella della donna e del loro più intimo rapporto, e perciò è contraddire anche al piano di Dio e alla sua volontà»75• Perché «il disegno di Dio si rivela, agli sposi, attraver so queste leggi fisiologiche assolutamente inviolabili»76• L'uomo non ha potere illimitato sul suo corpo, soprattutto «non ha alcun potere sulle funzioni biologiche che servono alla trasmissione del la vita»77, perciò gli sposi, afferma l'enciclica, sono «ministri del disegno stabilito dal Creatore» e devono adeguarsi alle leggi e ai ritmi naturali, considerati come segno dell'ordine stabilito da Dio. Gli sposi sono ministri di un disegno che li supera: essi trasmet tono una vita che non creano. I critici, come Adriana Zarri, sostengono invece che «è la stes sa natura che ci suggerisce la contraccezione, mostrandoci quan to spesso agisca 'a vuoto', da un puro punto di vista demografi-
74 Mattheeuws, Union et procréation, cit., p. 13 1 . 7 5 Humanae vitae, n. 1 3 . 7 6 lvi, n . 10. 77 Haring, Crise autour de l'<
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co»78• Essi non vogliono afferrare la novità di una legge naturale ma umana, e insistono nelle osservazioni già avanzate, ma più ti midamente, nei confronti della Casti connubii: «Più che rispetta re la natura bisogna rispettare l'uomo e il cristiano; bisogna ri spettare il progetto di Dio per la salvezza della persona umana»79 in una interpretazione della prospettiva personalista «che mette l'uomo, non già la natura, al centro del discorso»80, ragione per cui non sembra avere più molto rilievo il problema delle tecniche. I difensori dell'enciclica spiegano da parte loro che la norma si esprime nella condizione naturale, ma non si riduce a questa: «La norma morale dell'azione umana non sta nell'ordine del co smo. E non sta neppure nella natura biologica [ ] . La legge mo rale naturale non può essere che antropologica: deriva dal senso dell'uomo, dal senso delle relazioni interumane. Tiene conto del la natura biologica ma la riferisce al compimento dell'uomo. Di conseguenza, non può prescrivere nulla in nome della legge natu rale che non si possa giustificare dal punto di vista dell'uomo e del suo proprio bene»81• Come ha chiarito uno degli autori dell'enci clica, Martelet, «il biologico nel sessuale è talmente legato all'u mano che il rispetto del biologico condiziona a questo punto il ri spetto dell'umano»82• Da questa «umanizzazione» della sessualità derivava un concetto di desiderio ben diverso dall'istinto anima le di Kinsey: per la cultura cattolica, infatti, il desiderio «è infini to e cerca nell'altro ciò che questo rappresenta e promette, ma senza esserlo né poterlo donare»83• Cioè, apre a qualcosa di più grande della coppia amorosa, che si presenta in primo luogo sot to la figura del figlio, per poi aprirsi verso <
78 A. Zarri, La «Humanae vitae» e la teologia del matrimonio, in Zizola, Zarri, Gozzer e Donizetti (a cura di), La questione della pillola, cit., p. 99. 79 lvi, p. 99. 80 lvi, p. 101. 8 1 H. Bouillard, Autonomie humaine et présence de Dieu, citato in Mattheeuws, Union et procréation, cit., pp. 1 19-120. 82 G. Martelet, Pour mieux comprendre l'encyclique «Humanae vitae», in «Nouvelle Revue Théologique», 90, 1968, p. 1025. 83 Mattheeuws, Union et procréation, cit., p. 137.
84
Ibid.
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tura divenuta tabù, come denunciano molti critici, ma piuttosto del senso dell'uomo come unità indivisa di carne e spirito. Pro prio per questo «l'atto carnale è un atto umano»85. Ben diversa, e cioè sostanzialmente positiva, fu l'accoglienza dell'enciclica nei paesi del Terzo Mondo, e in particolare in Ame rica Latina, dove fu vista come una coraggiosa e libera dissocia zione della Chiesa dall'ideologia antinatalista dei ricchi paesi oc cidentali, che essi sperimentavano in quegli anni concretamente con le sterilizzazioni forzate imposte dagli organismi internazio nali86. A questo proposito si può citare un film boliviano di que gli anni - Yawar Mallku, realizzato nel 1969 dal regista boliviano ]orge Sanjinés, uscito in Italia nel 1974 con il titolo Sangue di con dor - che affrontava proprio il problema della sterilizzazione di massa compiuta sulle donne indigene. Si trattava di un film di chiara pedagogia rivoluzionaria, corredato da brani rivoluzionari: insieme ai pensatori marxisti, era citata l'Humanae vitae87• Paolo VI, nel suo discorso alle Nazioni Unite del 1965, aveva messo in luce come la dottrina malthusiana fosse sostanzialmente conservatrice perché non metteva in discussione la distribuzione delle ricchezze, e quindi la sua applicazione andava a favore dei privilegiati: l' «eccedenza» di popolazione era costituita dai pove ri o, nel caso in questione, dai paesi sottosviluppati. Chi accusava Paolo VI di impedire lo sviluppo dei paesi sottosviluppati con dannando la pillola lo faceva in base a una ideologia che difende va precisi interessi sociali88: «Né si potrebbe senza grave ingiusti zia rendere la divina Provvidenza responsabile di ciò che dipen desse invece da minore saggezza di governo, da un senso insuffi dente della giustizia sociale, da egoistico accaparramento o anco ra da biasimevole indolenza nell'affrontare gli sforzi e i sacrifici necessari per assicurare l'elevazione del livello di vita di un popolvi, p. 139. Si veda in proposito L'Enciclica e il terzo mondo, in G. Ceriani e G. Con cetti, Commento all'enciclica <
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lo e di tutti i suoi figli»89• Proprio per questo, scrive Cottier, il pro blema demografico ci fa prendere coscienza «del carattere rivolu zionario dell'etica cristiana»90• Indubbiamente l'enciclica rivela una concezione pessimistica della debolezza umana, a differenza di coloro che concedevano piena fiducia alla forza morale delle coscienze individuali: Non ci vuole molta esperienza per conoscere la debolezza umana e per comprendere che gli uomini - i giovani specialmente, così vul nerabili su questo punto - hanno bisogno d'incoraggiamento ad esse re fedeli alla legge morale e non si deve loro offrire qualche facile mez zo per eluderne l'osservanza. Si può anche temere che l'uomo, abi tuandosi all'uso delle pratiche anticoncezionali, finisca per perdere il rispetto della donna e, senza più curarsi del suo equilibrio fisico e psi cologico, arrivi a considerarla come semplice strumento di godimento egoistico e non più come la sua compagna, rispettata e amata.91
Si tratta di un ragionamento che va nella direzione opposta a quella verso cui si era volta la cultura moderna, di libertà sempre più larga per i desideri e le scelte individuali, suscitando quindi reazioni molto negative. Ben diversa, almeno da quanto traspare dall'enciclica, la reazione che aveva auspicato Paolo VI: «Noi pen siamo che gli uomini del nostro tempo sono particolarmente in grado di affermare il carattere profondamente ragionevole e uma no di questo fondamentale principio»92, cioè l'unione fra amore e procreazione. Paolo VI non riuscì a farsi capire, a farsi ascoltare, dagli «uo mini del nostro tempo», perché le sue parole non riuscirono a su perare il muro di delusione e di protesta che si era alzato contro l'enciclica anche fra i cattolici. n dialogo fra gli innovatori delusi e la Chiesa, a rileggerlo oggi, sembra un dialogo fra sordi, tanto che questa rimane l'enciclica meno ricordata dalla Chiesa stessa fra quelle del Novecento, quasi un brutto incidente da dimenticare. Nonostante ciò, le tesi dell'enciclica sono state riprese dal ma gistero della Chiesa negli anni successivi. La condanna dell'inter89 Humanae vitae, n. 23. 90 Cottier, Régulation des 91 Humana e vitae, n. 17. 92 lvi, n . 12.
naissances, cit., p.
120.
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vento umano nella procreazione, stabilita qui con recisione, ma del resto già anticipata senza ambiguità da Giovanni XXIII nel l'enciclica Mater et magistra - «La vita umana è sacra: fin dalla sua origine, ella coinvolge direttamente l'azione creatrice di Dio»93 costituirà un precedente importante per la morale cattolica non solo nei confronti del controllo delle nascite, ma anche delle tec niche di fecondazione artificiale e di manipolazione degli em brioni che si affermeranno alla fine del Novecento, e la concezio ne qui espressa di legge naturale, una concezione di stampo per sonalista ma comunque legata a una idea di natura umana da ri spettarsi perché creata da Dio a sua immagine e somiglianza, sarà ripresa e sviluppata da Giovanni Paolo IL Uno dei più tempestivi e coraggiosi difensori dell'enciclica è stato infatti proprio il cardinale Wojtyla, che abbiamo già segna lato come uno dei consulenti di Paolo VI. Wojtyla, del resto, era uno dei pochi cardinali che si era occupato di morale sessuale in un libro intitolato Amore e responsabilità, uscito in polacco nel 1960 e poi tradotto in altre lingue europee94• Nel libro Wojtyla af fronta temi come «l'analisi della parola godere», «la libido e il neomalthusianismo», «l'analisi della sensualità» e «la castità e il risentimento» con una chiarezza e spregiudicatezza di linguag gio a cui la tradizione cattolica non era certo abituata. La sua de finizione della tendenza sessuale dà largo spazio alla interezza del la persona - «La tendenza sessuale è la fonte di ciò che 'si verifi ca' nell'uomo, dei diversi avvenimenti che hanno luogo nella sua vita sensoriale o affettiva senza la partecipazione della sua volontà. Questo prova che essa fa parte dell'essere umano totale e non sol tanto di una delle sue sfere o facoltà. Permeando tutto l'uomo, es sa ha il carattere di una forza, che si manifesta non soltanto attra verso ciò che 'si verifica' nel corpo dell'uomo, nei suoi sensi o sen timenti, senza la partecipazione della volontà, ma anche attraver so ciò che vi si forma con il suo concorso»9� - si contrappone a «uno spirito ipnotizzato dall'ordine biologico»96• Il futuro papa 93 Mater et magistra, n. 13. 94 Prima edizione italiana: K. Wojtyla, Amore e responsabilità, Vita e Pen siero, Milano 1968. 9� lvi p. 37. ,
96
lvi, p. 47.
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critica il concetto freudiano di libido per la sua stretta correlazio ne «all'atteggiamento utilitarista»97, che conferisce all'atto ses suale un significato prettamente egocentrico: «La sola sensualità non è dunque amore e può anche molto facilmente divenire il con trario dell'amore»98• Ma non per questo egli condanna la sessua lità né il corpo: «Conviene precisare che esiste una differenza tra l"amore carnale' e l"amore del corpo' perché il corpo, in quanto elemento della persona, può anche essere oggetto d'amore e non soltanto di concupiscenza»99• In conclusione, dopo avere denun ciato l'errore di una cultura che «rifiuta di riconoscere il grande valore della castità per l'amore»100, egli si avvia a confutare l'idea, sempre più diffusa, che «la mancanza di rapporti sessuali è noci va alla salute dell'essere umano in genere, e a quella dell'uomo in particolare. Ma non si conosce una sola malattia che possa con fermare la veridicità di questa tesi»101, mentre - continua - «le ne vrosi sessuali sono soprattutto conseguenza degli eccessi nella vi ta sessuale e si manifestano quando l'individuo non si conforma alla natura e ai suoi processi»102• Questo libro dimostra come Wojtyla, anche prima dell'enci clica, avesse visto il pericolo - da cui avrebbe messo in guardia l'Humanae vitae - di lasciare il problema dell'atto coniugale e del la parentela responsabile al di fuori della sfera etica e di togliere così all'uomo la responsabilità di azioni profondamente radicate nella sua struttura personale. Nell'articolo che scrive in difesa del l' enciclica sull'«Osservatore Romano» egli riprende l'interpreta zione personalista dell'atto coniugale, che si deve realizzare al li vello della persona e della sua dignità, e sostiene che non c'è iden tificazione fra l'amore coniugale e la sua espressione privilegiata, l'atto sessuale: «Questo amore si esprime anche nella continenza - anche periodica - perché l'amore è capace di rinunciare all'atto coniugale, ma non può rinunciare al dono autentico della perso-
97
lvi, p. 53 . lvi, p. 97. 99 lvi, p. 136. 100 lvi, p. 154. 101 lvi, p. 280. 98
102
Ibid.
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na»103• Dieci anni dopo, poco prima di diventare papa, Wojtyla scrive di nuovo sull'enciclica, cercando di spiegare «la visione in tegrale dell'uomo» di cui parla Paolo VI e di mostrare cosa fa la «dignità della persona»: l'uomo non è un essere diviso perché «l'essere e il valore devono costituire insieme il principio erme neutico dell'uomo»104• L'uomo e la donna, quindi, devono vivere l'atto coniugale nella verità: questa verità interiore dell'atto indi cata dal testo dell'enciclica. Consapevole del malessere che ha accompagnato l' apparizio ne dell'Humanae vitae, malessere ancora vivo dieci anni dopo, ap pena divenuto papa Wojtyla realizza il progetto di Paolo VI di convocare un sinodo sulla famiglia, che si tiene nel settembre del 1980. Nel corso dell'assemblea sinodale ha l'occasione di ripren dere le tesi dell'enciclica contestata, che definisce profetiche, e presentare quelle che diventeranno le proposizioni dell' esortazio ne apostolica Familiaris consortio, da lui emanata nel 1982. Qui sviluppa in chiave personalista gli argomenti dell'enciclica: l'amo re implica l'uomo tutto intero - la sessualità «non è qualcosa di puramente biologico, ma concerne la persona umana in quello che ha di più intimo»105 -, e il matrimonio ha carattere sacro per ché tocca la più profonda essenza dell'uomo, il punto in cui è le gato a Dio. li vocabolario dei fini del matrimonio viene messo da parte definitivamente, mentre la concezione di sessualità che emerge dal documento è veramente e pienamente umana, legata alla persona, che non può mai essere utilizzata come oggetto106• In questo contesto, il corpo acquista una positività completa, le gata allo spirito nell'unità: il principio personalista implica che tutte le dimensioni dell'essere umano partecipino della dignità personale, e siano quindi oggetto di rispetto, e mai considerate co me puri strumenti. Per Giovanni Paolo II la sessualità, intima mente legata alla persona, è il segno corporale della donazione to tale della persona nel suo porsi in relazione con un'altra persona. IOJ K. Wojtyla, La verità dell'enciclica «Humanae vitae» di Paolo VI, in «L'Osservatore Romano», 5 gennaio 1969. 104 K . Wojtyla, La visione antropologica dell'«Humanae vitae», in «Latera num», 44, 1978, pp. 125-145, 130. 1 05 Familiaris consortio, n. 1 1 . 106 Mattheeuws, Union et procréation, cit., p. 184.
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L'attenzione del papa a questo tema è testimoniata anche dal le catechesi che tiene a partire dal maggio 1984 sul tema «l'amo re umano nel piano di Dio», in cui cerca di mettere in relazione la verità e l'etica ripercorrendo le radici della concezione del corpo nella tradizione scritturistica. Durante il pontificato di Giovanni Paolo II è avvenuta anche la svolta nella ricerca scientifica auspicata da Paolo VI, cioè la sco perta di un metodo di regolazione delle nascite basato sul perio do infecondo mensile facile da applicare e sicuro. La notizia però nel mondo sviluppato non è uscita dall'ambiente cattolico, e an che lì non è stato sufficientemente diffuso in paesi occidentali co me l'Italia, mentre ha avuto molto più successo nel Terzo Mondo. Da noi, infatti, i metodi naturali sono sempre stati considerati non solo totalmente inefficaci, ma anche scomodi e difficili da ap plicare. Del resto, essi avevano anche un'altra caratteristica, sot taciuta, che ha contribuito alla loro scarsa diffusione: il fatto di es sere gratuiti. Nessuna casa farmaceutica aveva infatti interesse a finanziare ricerche su questa forma di controllo delle nascite, che conveniva piuttosto coprire di ridicolo e di discredito. Ma una coppia di medici australiani di Melbourne - Evelyn e John Billings, lui di antica ascendenza cattolica irlandese, lei con vertitasi al cattolicesimo con il matrimonio - ha dedicato la pro pria vita a questa ricerca, ottenendo, fin dal 1964, risultati impor tanti. n nuovo metodo naturale che ha preso il loro nome non è complicato e scarsamente efficace come quello della temperatura o dei ritmi ovulativi fino a quel momento sperimentati, ma al con trario è semplice e sicuro. Si tratta infatti di un metodo semplicis simo, senza costi, basato sulla conoscenza del proprio corpo che ogni donna deve essere preparata ad avere. Per chi ricorda il di scorso delle femministe sulla riscoperta dell'apparato sessuale femminile - negli anni Settanta Noi e il nostro corpo consigliava al le donne di prendere uno specchio e di esplorare il proprio sesso - questo metodo sembra perfetto: la donna controlla la sua po tenza procreatrice attraverso la conoscenza di sé, senza l'interme diazione di medici e medicine, in perfetta autonomia. Invece le femministe hanno sempre snobbato il metodo Billings. Intanto, però, il metodo si è diffuso nel mondo: la coppia au straliana è arrivata a fondare centri anche in Cina, dove il gover no ha subito capito l'utilità di un metodo gratuito e privo di effetti
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collaterali per la salute delle donne e in India, dove il metodo è stato insegnato da madre Teresa di Calcutta e dalle sue suore. Lo scarso entusiasmo che il metodo sembra suscitare nei ricchi e mo derni paesi occidentali si può forse spiegare con il modello di comportamento sessuale considerato auspicabile: il metodo Bil lings, infatti, presuppone una fedeltà di coppia, una sessualità vis suta insieme e con responsabilità di entrambi, molto lontana dal mito della completa libertà sessuale e della separazione fra ses sualità e procreazione radicato nelle società occidentali. 4. Donne e Chiesa, fine di un'alleanza Lungo tutto il Novecento, dunque, la riflessione teologica e l'interlocuzione della Chiesa con i fedeli si sono esercitate su no di delicati, che avevano il loro fulcro nel corpo delle donne e nel le loro capacità procreative. Intorno a questi temi antiche e nuo ve alleanze tra donne e Chiesa hanno conosciuto rinsaldamenti e lacerazioni, i cui ritmi possono essere scanditi con date precise. Luglio 1902. Nel pomeriggio afoso della campagna romana una ragazzina di dodici anni cuce nel pianerottolo esterno della casa colonica dove abita con la madre, i fratelli e un'altra famiglia di contadini. Poco più in là lavora nei campi uno dei giovani con cui divide il casolare. Né il calore pesante del sole, tuttavia, né la fatica della terra sono capaci di smorzare nel ragazzo un istinto che è cresciuto proprio negli anni di convivenza e che ora prende il sopravvento: egli guarda la fanciulla, le si avvicina, l'afferra. Al suo rifiuto e alla sua reazione la colpisce più volte con un punte ruolo e la uccide. La storia di Maria Goretti, dalla morte alla canonizzazione, si compone di narrazioni e scansioni diverse, che si incastrano per fettamente nei tempi e nei tratti distintivi del cattolicesimo del Novecento. Offre anzi il materiale più efficace e plasmabile per mettere a punto un modello forte di virtù e di santità, che la Chie sa porgerà all'imitazione delle donne - di tutte le donne - per lun ga parte del secolo. Ogni narrazione dispone diversamente i personaggi sulla sce-
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na, e li caratterizza con tratti e luci adeguati alla drammatizzazio ne scelta. A riferire per primo i fatti è «ll Messaggero», quotidia no laico e borghese di Roma, che prende a protagonista l'assassi no, Alessandro Serenelli, e ne fa il mostro, la bestia sfuggita alla civilizzazione urbana e rimasta soggetta alla violenza e all'igno ranza che dominano il mondo contadino107. È il tempo, l'inizio del nuovo secolo, della modernità esaltante e plurale, in cui le nuove scienze dell'uomo cercano e identificano con puntiglio e soddisfazione i degenerati, sempre preda di istinti aberranti e sempre lontani dal progresso inarrestabile della società. Nella ri costruzione offerta dalla cronaca, il mostro è dunque al centro della scena. Ma è il tempo anche, per la Chiesa, della competizione con una morale borghese sempre più rigida nell'affermazione di un siste ma patriarcale tutto politico, cioè privo di fondamenta etiche e re ligiose108; e della lotta contro le utopie socialiste, che riprendono le crude analisi elaborate dai nuovi scienziati - medici, psichiatri, filosofi materialisti, antropologi - per proiettarle in un futuro in cui l'abbattimento del capitalismo porrà le basi della vera ugua glianza.
È un precetto dell'uomo verso se stesso, che deve osservare rigoro samente, se vuole svilupparsi in modo normale e sano, di non lasciare inerte alcun membro del suo corpo e di non negare il proprio soddi sfacimento ad alcun stimolo naturale. Ogni membro deve compiere la funzione alla quale venne destinato dalla natura, quando non si voglia che venga guastato l'intero organismo. [. . . ] Le così dette passioni ani mali non occupano un gradino più basso delle così dette passioni mo rali, perché così le une come le altre sono l'effetto dello stesso organi smo complessivo ed esercitano una vicendevole influenza. Ciò vale tanto per l'uomo quanto per la donna. 109 107
Si veda «Il Messaggero», 7 luglio 1902, citato in M. Turi, La costruzione di un nuovo modello di comportamento femminile. Maria Coretti tra cronaca e agiografia, in «Movimento operaio e socialista», 3, 1987, cui si rimanda per tut ta l'analisi della vicenda. ws Cfr. supra, cap. V. 109 A. Bebel, La donna e il socialismo ( 1 889; 1• ed. italiana 1 891), Max Kan torowicz, Roma 1 892, pp. 100- 101.
VI.
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n libero amore propugnato dal socialismo anticipa dunque motivi che decenni più tardi saranno ripresi con ben maggior vi gore da Reich, ma nella pratica si limita spesso alla registrazione del matrimonio civile più che a una promiscuità senza leggi né re gole1 10. L'enfasi posta sui diritti sessuali delle donne lo rende tut tavia particolarmente inquietante, meritevole di una risposta sal da e adeguata. Altri diritti intanto hanno minato l'egemonia cattolica sui com portamenti femminili; codificando il matrimonio su un terreno esclusivamente laico, i sistemi giuridici moderni hanno abolito l'i stituto della promessa, rendendo di fatto i rapporti prematrimo niali privi di qualunque conseguenza legale11 1 • La Chiesa - per se coli protettrice delle giovani che accettavano rapporti carnali in vista delle nozze - deve ora cercare altre forme di tutela delle pro spettive matrimoniali delle donne: sceglie allora di scavalcare gli ostacoli giuridici, di rincorrere la rigidità morale delle nuove bor ghesie, di asserire con vigore inedito la necessità dell'illibatezza. L'assassinio di Maria Goretti diventa allora provvidenziale nel suo offrire allo stato puro gli elementi necessari alla nuova predi cazione. La stampa cattolica reagisce con qualche ritardo agli av venimenti, il tempo utile forse a metabolizzare l'accaduto e a met tere a punto la versione più consona al messaggio da veicolare: nell'ottobre 1902, quasi quattro mesi dopo i fatti, il giornale cat tolico «La Vera Roma» commenta: «Un'eroina appena dodicen ne precoce già nella bellezza delle forme ma più in quella delle cri stiane virtù: un'eroina che sa difendersi dagli assalti di un bruto frenetico e si lascia trafiggere da 14 colpi di coltello anziché lasciar macchiare la sua verginale purità, è uno di quegli esemplari che vanno segnalati alla pubblica venerazione. Inneggino pure libera lescamente gli ammiratori panegiristi di Emilio Zola a quelle altre che si suicidano insieme ai complici del loro disonore. [. .] ora è la nostra volta. È la volta dei cattolici e degli onesti»1 12. La ver sione cattolica dispone gli attori su un palcoscenico con nuove lu.
1 10
Cfr. Storia della famiglia in Europa. Il Novecento, a cura di M. Barbagli e Kertzer, Laterza, Roma-Bari 2005. 1 1 1 Cfr. supra, cap. V, par. 2 . 1 12 «La Vera Roma», 2 6 ottobre 1902, citato in Turi, La costruzione di un nuovo modello di comportamento femminile, cit. p. 227. D.l.
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ci, e la polemica antimoderna è esplicita. n mostro che affascina va i lettori borghesi del «Messaggero» ora è in ombra, mentre tut ti i riflettori sono puntati su Maria, l'eroina, il simbolo della pu rezza come assoluto. La verginità di Maria Coretti rifulge proprio in contrapposi zione al disordine che regna ormai nella società modernizzata, do ve le stesse ragazze difese un tempo nel loro uso della sessualità prematrimoniale sono ora esempio della corruzione dei costumi, derivata a sua volta - nella visione degli ambienti cattolici - dagli stili di vita urbani che travolgono i valori tradizionali del mondo contadino trascinando spesso nell'infamia della prostituzione le giovani sprovvedute arrivate in città; la verginità di Maria Coret ti non è quella delle martiri che difendevano la propria purezza consacrata in una scelta religiosa definitiva; la sua verginità è un valore cui immolarsi solo per il carattere illecito della proposta ri cevuta, in una prospettiva tutta terrena che non esclude il matri monio e una pratica legittima della sessualità. Nel 1935 prende avvio la causa di beatificazione di Maria Go retti, che vede in Alessandro Serenelli, l'assassino, il principale so stenitore e argomentatore della santità della fanciulla: «li torto è stato tutto mio perché mi feci accecare da una brutale passione. E lei fece bene a resistere per conservare la sua innocenza. Era pro prio innocente. A quei tempi le bambine non erano come adesso: erano semplici e buone, soprattutto nelle campagne»113• La scena è cambiata: tutti i personaggi mostrano tratti nuovi, occupano spazi diversi. La belva umana bollata nei primi resoconti è ora un penitente, e la fanciulla che ha difeso la verginità a costo della vi ta ha perso lo smalto di un sacrificio pienamente consapevole, è tornata bambina; e accanto a lei si staglia con un protagonismo inedito la figura della madre, cui man mano viene attribuito tutto il merito della santità della figlia. La madre cristiana, la vedova onesta ha trasmesso alla figlia i principi morali che l'avrebbero portata alla gloria degli altari: «L'eroismo della madre spiega per fettamente quello della figlia: l'uno è copia dell'altro». La verginità non basta più. Nel modello che la Chiesa ha con fezionato per le donne emerge dirompente la figura materna. m Ivi, p.
23 1.
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Nell'Europa degli anni Venti e Trenta è in atto una ridefinizio ne delle identità maschili e femminili in base agli schemi più tra dizionali, nel tentativo di cancellare i mutamenti indotti dalla pri ma guerra mondiale: le donne devono tornare a occuparsi della ca sa lasciando agli uomini i posti di lavoro occupati durante il con flitto, gli uomini devono tornare senza incertezze a esercitare il lo ro potere nella cosa pubblica e in una famiglia possibilmente sem pre più numerosa. È compito della Chiesa elaborare la dimensio ne morale della femminilità, assecondando così anche quel pro cesso di femminilizzazione della fede che avanza per tutto il No vecento e che, pur riguardando tutte le religioni, è particolar mente forte nel mondo cattolico1 14• Da più di un secolo scrittori cattolici avevano sottolineato le responsabilità materne nell'edu cazione dei figli, ribaltando radicate diffidenze verso la natura femminile1 15; ora si tratta però di attribuire alla maternità un sen so esclusivo, di farne lo scopo, la missione, il destino univoco del la vita delle donne. Alle madri è affidato il compito di educare spi ritualmente i figli e di trasmettere loro la fede e la morale cristia na quasi in contrapposizione ai padri, contaminati dalla secola rizzazione che dilaga ormai nella scena pubblica: «Degne e ferme, [ . ] voi mostrerete coraggiosamente i pericoli, voi stigmatizzere te gli atti contrari all'onore e alla morale, nonostante le parole di una società corrotta voi evocherete la voce della coscienza e in ca so di mancato effetto farete scorrere le lacrime»1 16• Vergine pronta al sacrificio, madre oblativa, la donna cattolica sa ormai che il proprio corpo è votato a una riproduttività senza scelta: «Le vere donne sono quelle che sanno di rinuncia, di pietà, di abnegazione», affermerà Lia Zanzucchi Ceccato in una confe renza alle madri di Azione Cattolica. «Ma abnegazione e rinuncia connotano, in primis, la sessualità femminile: 'sante donne del do vere' sono definite 'quelle che subiscono l'amplesso con la paura ..
1 14 A. Bravo, La nuova Italia: madrifra oppressione ed emancipazione, in Sto ria della maternità, a cura di M. D'Amelia, Laterza, Roma-Bari 1997, p. 151; si veda anche Donne e fede, a cura di L. Scaraffia e G. Zarri, Laterza, Roma-Bari 1994.
m Cfr. M. D'Amelia, La mamma, Il Mulino, Bologna 2005. l l6 Conseils sur l'éducation, in «Petit Echo», supplemento all'organo mensi
le della Ligue patriotique des Françaises, 25, 192 1 , p. 2 .
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di una nuova gravidanza'»117• Il piacere, anche quello legittimo del talamo coniugale, è diventato sottomissione, sacrificio, annul lamento di sé; per le donne il sesso è esclusivamente maternità. Quando, nel l 950, si giunge alla canonizzazione di Maria Go retti il modello - non solo il modello agiografico, ma anche il trac ciato entro cui deve prendere senso la vita di tutte le donne - è de finitivo. La guerra ha spazzato i regimi totalitari e con essi la va lorizzazione in chiave nazionalistica delle responsabilità domesti che e riproduttive delle donne; per i cattolici tuttavia la sfera fem minile rimane ancora più saldamente delimitata dalle responsabi lità familiari, estese semmai alla maternità «sociale» dell'associa zionismo e della carità. La norma cattolica ha irrigidito la definizione dei generi, la se paratezza tra sfera pubblica e privato familiare, la flessibilità seco lare dei propri criteri di applicazione. Le donne accettano in mag gioranza il modello offerto, che nella sua ambiguità costitutiva di imporre ed esaltare il sacrificio le colloca da protagoniste in un si stema morale capace di travalicare gli angusti recinti della loro esi stenza quotidiana. Sono loro, le donne, a riempire le chiese, rico noscendosi in un credo e in un'istituzione da cui si sentono anco ra protette e valorizzate; sono loro ad adeguarsi docilmente agli orientamenti dei partiti cattolici risorti nel dopoguerra, fino a es sere percepite come temibili alleate degli schieramenti più con servatori nella battaglia per il riconoscimento del diritto di voto1 18• Poi, lentamente, cercheranno di conquistare lievi margini di autonomia in una trattativa serrata e silenziosa tra precetti reli giosi e coscienza individuale. Nel corso degli anni Cinquanta mu tamenti quasi invisibili nella loro percezione di sé, insofferenze ta ciute verso un modello ancorato al destino biologico e riprodutti vo, aspettative confuse e progettualità da elaborare su percorsi esistenziali che sembrano aprirsi agli scenari dell'istruzione e del lavoro scavano un solco tra il modello cattolico e i soggetti fem-
1 1 7 F. Koch, La madre difamiglia nell'esperienza sociale cattolica, in D'Ame lia (a cura di), Storia della maternità, cit., p. 255. 1 1 8 Cfr. G. Galeotti, Storia del voto alle donne in Italia. Alle radici del diffi cile rapporto tra donne e politica, Biblink, Roma 2006; Donne alle urne. La con quista del voto, a cura di M. D'Amelia, Biblink, Roma 2006.
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minili1 19• Fino a quando l'irrompere delle culture libertarie e dei movimenti femministi non porrà con nuovi linguaggi il tema dei diritti e della dignità delle donne anche e soprattutto nell'ambito sessuale, smascherando ipocrisie sedimentate e rendendo eviden te che l'alleanza tra Chiesa e genere femminile poteva nasconde re anche un universo di taciti accordi tra singole donne e confes sori. 197 1 . Una periodizzazione artificiale, una data simbolica che non ha corrispondenza diretta con avvenimenti sociali o istituzio nali; ma che avvia scoperte, inquietudini, mutamenti profondi an che se spesso poco visibili nella vita delle donne. Come nel caso della storia della masturbazione 1 20, l'origine risiede in un feno meno editoriale: un gruppo di donne pubblica a Boston Noi e il nostro corpo121, un libro nato da una lunga esperienza di discus sione, insegnamento e scambi nelle sedi più diverse di aggrega zione femminile: scuole, asili, chiese, case private. Obiettivo del l'impresa è la conoscenza: una conoscenza attiva e partecipata, se condo lo spirito del tempo ma anche secondo il carattere peculia re dell'oggetto di indagine. Nel campo della sessualità la conoscenza del corpo, dell' ana tomia e della fisiologia del piacere ha un'importanza decisiva. Ben prima delle donne di Boston l'avevano capito i gesuiti del Seicen to122, poi, nell'Ottocento, i socialisti propugnatori del libero amo re come Bebel, e nel Novecento i medici dalle utopie rivoluziona rie come Kinsey o Masters e Johnson; ma i gesuiti si rivolgevano esclusivamente al clero impegnato nella confessione o nella rifles sione teologico-morale, i socialisti ai militanti da formare, i ses suologi al circuito scientifico e a un'opinione pubblica espressa da una classe media acculturata e prevalentemente maschile. La no vità di Noi e il nostro corpo è quella di rivolgersi alle donne, coin volgendole in un'esperienza conoscitiva condivisa, comunicabile, 1 1 9 Cfr. S. Piccone Stella, La prima generazione. Ragazzi e ragazze nel mira· colo economico italiano, Franco Angeli, Milano 1993. 1 2 ° Cfr. supra, cap. V. 121 The Boston Women's Health Book Collective, Noi e il nostro corpo. Scrzt to dalle donne per le donne (197 1 ) , Feltrinelli, Milano 1974. 122 Cfr. supra, cap. III.
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rassicurante, ricca di implicazioni pratiche immediate. Il successo è immediato ed enorme: il libro viene tradotto in venti paesi di tut ti i continenti, vende - cifra straordinaria per il mercato editoria le dell'epoca - più di cinque milioni di copie, raggiunge quindi al meno il triplo di lettrici, tocca un'intera generazione. Le giovani donne che lo leggono hanno un cammino già lun go e contraddittorio alle spalle. Le loro madri hanno vissuto il pe sante conformismo che pervadeva i rapporti sociali e le relazioni di genere nel periodo tra le due guerre; le loro sorelle maggiori, negli anni Cinquanta, hanno fatto sesso contrattando puntigliosa mente toccamenti e penetrazioni nel buio solitario di incontri ru bati, subordinando ogni soddisfacimento all'obiettivo matrimo niale123. Loro, molte delle ragazze che insieme leggono e discuto no Noi e il nostro corpo, hanno da elaborare disagi inconfessati, sottili ma brucianti delusioni. Hanno conosciuto - per esperienza diretta o molto più spesso per la suggestione offerta dai mass me dia - la stagione «libertaria» del movimento hippy, che nella se conda metà degli anni Sessanta affollava le strade di alcune me tropoli, e i prati dei molti raduni di giovani rapiti dal sogno di una comunità innocente, in cui gli scambi sessuali sembravano voler rafforzare fratellanza e solidarietà più che sperimentare nuove forme di erotismo. Una stagione breve, che ha lasciato eredità im portanti nel campo della produzione artistica e soprattutto musi cale, nella diffusione delle droghe e della cultura ad esse collega ta; che poco tuttavia ha sedimentato sui portati della propria pri mitiva promiscuità, se non, forse, per un aspetto: la percezione e l'uso della nudità. Le ragazze e i ragazzi che si spogliavano nei concerti e nei raduni mostravano i loro corpi senza sottomettersi - almeno in apparenza - ai canoni di un'estetica che allora come oggi subordinava il nudo alla seduzione sessuale: la loro nudità simboleggiava anzi un'uguaglianza estranea a canoni estetici co me a intenti seduttivi, e risultava così completamente de-erotizza ta. La ricerca del piacere sessuale non nasceva da una nuova per cezione del corpo, era demandata semmai al sussidio tutto ester no delle droghe. 1 2 3 Cfr. M. Pelaja, Il cambiamento dei comportamenti sessuali, in A. Bravo, M. Pelaja, A. Pescarolo e L. Scaraffia, Storia sociale delle donne nell'Italia con temporanea, Laterza, Roma-Bari 2001.
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L'eros torna poco dopo nelle relazioni tra ragazze e ragazzi di quella generazione: torna con il Sessantotto, che proietta i com portamenti giovanili su un terreno più consapevolmente politico e che - soprattutto dal nostro punto di vista - reintroduce vio lentemente la questione del potere. Anche in questo caso la me moria e la ricerca storica non hanno tematizzato esplicitamente la sessualità124: l'hanno spesso sfiorata, evocando incontri improvvi si, legami intrecciati, traditi, dimenticati nella fragorosa euforia della protesta collettiva. Perché l'utopia di un mondo nuovo tut to da costruire smantellando le ipocrisie che reggono la «società borghese» ha una ricaduta immediata e dirompente anche sulla morale sessuale; sembra far svanire quel senso di colpa che da se coli aveva soffocato ogni rapporto estraneo alla legittimità matri moniale. Si tratta in realtà di un processo che secondo alcuni sto rici si era avviato in molti paesi cattolici a partire dalla fine degli anni Cinquanta, nella direzione di un' «autonomia dei soggetti in quanto fedeli nel campo della sessualità»125; ma quell'«ondata di soggettivismo sessuale» aveva toccato in misura più profonda i te mi della contraccezione, lasciando ancora in ombra le scelte e le implicazioni connesse alla pratica del sesso fuori dal matrimonio. Tanto più travolgente allora la rivolta contro un «sistema» di cui è parte integrante una famiglia per sua natura autoritaria e re pressiva126, e l'affermazione di modelli libertari in cui i rapporti sessuali diventano leggeri, svincolati da impegni e progettualità. Ma i movimenti del Sessantotto - anch'essi segnati da una di mensione fortemente comunitaria127 - sono al tempo stesso attra versati da disuguaglianze e gerarchie. I collettivi, le assemblee e più tardi i gruppi sono aggregazioni divise al loro interno tra il ca124
Cfr. tra l'altro, per l'esperienza italiana, Un anno durato decenni: vite di persone comuni prima, dopo e durante il '68, a cura di F. Cerocchi, Odradek, Ro ma 2006; R. Braidotti et al., Baby boomers. Vite parallele dagli anni Cinquanta ai cinquant'anni, Giunti, Firenze 2003; L. Passerini, Autoritratto di gruppo, Giun ti, Firenze 1988; A. Bravo, A colpi di cuore. Storie del seJJantotto, Laterza, Ro ma-Bari 2008. m G. Zizola, Il modello cattolico in Italia, in P. Ariès e G. Duby (a cura di), La vita privata, Laterza, Roma-Bari 2001, p. 260. 12 6 Cfr. H. Marcuse, L'autorità e la famiglia, Einaudi, Torino 1970; R.D. Laing, La politica della famiglia, Einaudi, Torino 1974. 12 7 Cfr. F. Socrate, Una morte dimenticata e la fine del 5eJJantotto, in «Di mensioni e problemi della ricerca storica», l, 2007.
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risma di pochi leader e l'entusiasmo gregario dei seguaci; e tra le ambizioni politiche o cospirative degli uomini e l'energia operati va delle donne. «Angeli del ciclostile», come si definiranno qual che tempo dopo, le donne parlano poco durante le riunioni ma collaborano generosamente ai volantinaggi e all'organizzazione dei cortei, scandiscono slogan, partecipano alle occupazioni; vi vono una disponibilità sessuale spensierata, componente non se parabile del pacchetto emancipatorio offerto loro dalla militanza. La seduzione entra allora nei giochi dell'appartenenza e della par tecipazione alle cerchie sempre più ristrette dei leader, i quali sem brano esercitare un inconfessabile diritto di prelazione. Per le donne la conquista e l'affermazione di una libertà che pare a por tata di mano passano anche attraverso esperienze confuse, in cui il piacere si mescola spesso a un senso di sperdimento, inadegua tezza, nuova subalternità. Le differenze di genere rimangono visibili e crudeli, all'inter no dei movimenti e in quegli strati sempre più ampi della società in cui gli echi della nuova libertà sessuale sembrano sollevare i ve li di conformismi ormai anacronistici, raccogliere esigenze taciu te ma lampanti. A nessuno tuttavia pare necessario aggiornare i modelli delle relazioni di genere ed elaborare le basi di una mo rale diversa: non alla Chiesa ufficiale, impegnata a discutere e diffondere i precetti su procreazione e contraccezione promulga ti dall'enciclica di Paolo VP28; non ai numerosi gruppi della dis sidenza cattolica, interessati a rifondare le basi teologiche e istitu zionali del cattolicesimo; tanto meno ai partiti ufficiali della sini stra e ai movimenti del Sessantotto, accomunati dalla convinzio ne che il mondo nuovo nato dall'egemonia del proletariato e dal la rivolta antiautoritaria comporterà automaticamente l'ugua glianza nel rapporto tra i sessi. Toccherà alle donne. Alle prime, riunite in gruppi radicali e isolati, lontani dalle aggregazioni della sinistra, si affiancano via via le militanti deluse dall'esperienza nelle vecchie e nelle nuove organizzazioni e convinte della necessità di riflettere in autonomia sulla differenza sessuale; si aggiungono poi le donne, molte, mol tissime, che si avvicinano per la prima volta alla politica e la urla128
Cfr. supra, par. 3.
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no con allegria in piazze gremite e colorate. Le prime avviano su bito una riflessione sulla sessualità, criticando con la foga rabbio sa delle pioniere tutti gli scienziati maschi teorici delle varie rivo luzioni sessuali (Reich, Kinsey, Masters e Johnson) , ma anche i movimenti giovanili dell'ultimo decennio: «La delusione che il femminismo ha avuto anche sui movimenti hippies deriva dal fat to che il giovane che non fa la guerra, ma l'amore finisce per ri stabilire suo malgrado quel funzionamento che lo conferma di fensore del nucleo primario del patriarcato. [ .. ] L'invito all'amo re è una formula pericolosamente affascinante perché attribuisce nuovo valore, candore, alone taumaturgico al modello sessuale maschile, rafforzando così il mito della bontà arcaica della coppia e dei relativi ruoli»129. Non è risparmiata neanche la falsa eman cipazione proposta dalla sinistra: «È importante per noi afferma re il proprio sesso e non solo averlo soddisfatto. Che significato li beratorio può avere la soluzione offerta dalla donna emancipata? In presunta parità con l'uomo che pone in atto tecniche diverse per variare il piacere sessuale, essa vede sì soddisfatto il suo orga smo clitorideo, ma le manca la presa di coscienza di stare espri mendo una sessualità in proprio. Resterà perciò ugualmente sue cube dell'uomo e del modello sessuale maschile»130• La strada che le donne devono percorrere per conquistare la liberazione è an cora una volta quella della conoscenza: «La donna vaginale è re stia a indagare sul sesso perché, avendolo collegato col sentimen to, ha paura di privarlo della trascendenza di cui l'ha circondato. L'uomo, naturalmente, è dietro le quinte e si assicura che non ven ga tolto al suo oggetto il valore di una sconoscenza che lo rende pregiato e inoffensivo. L'uomo fa affidamento sul sentimento del la donna perché lei goda, e non sulla conoscenza della sua ses sualità» 1 3 1 . L'accento delle teorizzazioni più radicali è assertivo e vaga mente minaccioso; ben più accogliente appare lo stile comunica.
129 C. Lonzi, La donna clitorideo e la donna vagina/e, Scritti di rivolta fem minile, Milano 197 1 ; cito qui l'edizione del 1974, Sputiamo su Hegel. La donna clitorideo e la donna vagina/e, Scritù di rivolta femminile, Milano 1974, pp. 13 1 132. BO lvi, p. 86. BI lvi, pp. 87-88.
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tivo scelto dalle autrici di Noi e il nostro corpo, frutto di una lun ga pratica di confronto fra donne. «Dal nostro corpo noi muovia mo verso il mondo. L'ignoranza, l'insicurezza - nella peggiore del le ipotesi, la vergogna - della nostra identità fisica ci alienavano e ci impedivano di raggiungere la nostra completezza»132• La criti ca all'emancipazione rimane decisa: «La rivoluzione sessuale [ . . ] ci ha dato a intendere che dobbiamo essere in grado di far l'amo re impunemente, senza angoscia, in qualunque condizione e con chiunque, se non vogliamo essere dei mostri. Queste prospettive alienanti e disumane non sono men.o distruttive e degradanti del puritanesimo vittoriano che abbiamo ripudiato così sdegnosa mente»; ma la conoscenza è inserita in una visione intensamente relazionale - etica, ma non oblativa - della sessualità femminile: «Vogliamo distruggere i miti che ci reprimono; vogliamo aiutarci reciprocamente a crescere per diventare individui completi, ca paci di avere rapporti chiari ed affettivamente validi. Prima di po ter amare un'altra persona, dobbiamo imparare ad amare noi stes se. Se ci rendiamo esatto conto dei nostri bisogni, sè accettiamo lealmente la nostra sessualità, libereremo una enorme quantità di energia per un lavoro e una vita soddisfacenti»133• Con le sue spie gazioni serene e il suo profondo rispetto per le differenze che pas sano - senza dividerle - tra le donne, il libro segna l'avvio di una riflessione che le giovani donne degli anni Settanta condurranno insieme sulla sessualità, sul desiderio, sulla dignità femminile. Una riflessione che non si chiude nelle mura - forse elitarie, certamente urbane - dei collettivi femministi, ma che è capace an zi di diffondersi per osmosi in tutta la società, la quale sembra as sorbirne avidamente almeno gli enunciati più generali. In Italia i risultati dei referendum sul divorzio (1974) e sull'aborto ( 1981 ) segnano una svolta epocale, rendendo evidenti esigenze e consa pevolezze inaspettate. Le donne sono uscite dal conformismo mo rale che obbligava molte di loro a subire la propria fertilità; si ri conoscono come soggetti titolari di diritti e capaci di scelte auto nome, non intendono più veder esaltato un modello di femmini lità per loro ormai estraneo. .
132
The Boston Women's Health Book Collective, Noi e il nostro corpo, cit.,
p. l3.
133
lvi, p. 42.
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Come ogni conquista di libertà o di emancipazione, l'afferma zione di una nuova disponibilità sessuale svincolata dalla pro creazione richiede consapevolezza e responsabilità alle persone coinvolte; reclama strumenti di conoscenza del corpo e del suo va lore, configurazioni etiche in grado di fornire senso a incontri al trimenti gratuiti o ancora strumentali. L'andamento carsico dei movimenti femministi impedirà a questa ricerca di coagularsi, di essere trasferita non soltanto attraverso la comunicazione perso nale e soggettiva. Mentre le piazze si svuotano e i collettivi si esau riscono, molte donne di quella generazione si dedicano al lavoro intellettuale o alla testimonianza autobiografica, ma riusciranno a trasmettere alle loro figlie soltanto un metodo, un impegno, la prospettiva di un conflitto quotidiano. Nella società individualiz zata e frantumata dei decenni successivi sembra non esserci spa zio - o all'opposto sembrano aprirsi voragini difficili da colmare - per sistemi morali che in una prospettiva laica siano capaci di fondere dignità e autonomia delle donne, rispetto della cono scenza e del godimento, salvaguardia del profondo valore relazio nale di ogni incontro sessuale.
CONCLUSIONI Quasi tutte le culture hanno fatto ricorso alla religione per go vernare la sessualità e conferirle un senso simbolico. La sessualità si presenta agli esseri umani come contraddittoria: da un lato po tente origine della vita, dall'altro forza oscura che si impadronisce dell'uomo, gli fa perdere la padronanza di sé, e quindi deve esse re domata. L'impeto della passione infatti può minacciare la de bole coerenza dell'io: le religioni forniscono i mezzi più efficaci per salvaguardare la sua integrità e controllare la violenza degli istinti. Le più antiche attitudini umane nei confronti della sessua lità sono state la divinizzazione e la sacralizzazione, entrambe espressioni della percezione dell'amplesso come di una esperien za superiore, divina, per l'energia del desiderio e l'estasi del pia cere, per la partecipazione al potere fecondante. Il monoteismo, stabilendo la trascendenza del sacro, implica la desacralizzazione delle potenze vitali e sessuali. Il cristianesimo si differenzia tuttavia dagli altri monoteismi a causa dell'Incarnazio ne, e inaugura così un nuovo modo di dare senso spirituale all'at to sessuale. Dio che si è fatto carne, i corpi che resuscitano, i cor pi visti come tempio dello Spirito Santo conducono infatti a una complessità nuova del rapporto con la carne, che diventa essa stessa parte e strumento del cammino spirituale che ogni cristia no deve compiere. Per la cultura cristiana, il desiderio dell'altro fa parte della dimensione corporea, ed è quindi positivo, perché in essa si rispecchia la volontà di Dio. Il comportamento sessuale di venta allora un altro percorso dell'evoluzione spirituale, sia nella via ascetica, sia in quella matrimoniale: e in tale percorso si in trecciano naturalmente carne e spirito, sentimenti ed eros. Se queste sono le fondamenta della visione cristiana della ses sualità, è possibile però - anche leggendo questo libro - intrave-
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dere un'ambiguità, una contraddizione di fondo in quello che è stato il concreto dispiegarsi storico della politica ecclesiastica nei riguardi della sfera sessuale, o almeno un'oscillazione che ha spes so indotto a privilegiarne gli aspetti svalutativi, e dunque la re pressione, rispetto alle sue potenzialità di strumento verso il divi no. Dalle mortificazioni che i monaci medievali infliggevano al proprio corpo alle infinite declinazioni dei peccati della carne po ste al centro dei penitenziali prima, e dei manuali dei confessori dopo l'introduzione della confessione auricolare, una parte pre ponderante della predicazione e della preoccupazione cristiana si muoveva nel senso di umiliare il corpo e colpevolizzare il sesso, smentendo così l'assunto teologico di fondo. Proprio questo ha probabilmente generato il luogo comune della perenne sessuofo bia della Chiesa che abbiamo messo in questione nel nostro studio. Fino a quando il diritto canonico ha conservato l'egemonia sulla regolamentazione dei comportamenti sessuali - dalla fine del Medioevo al Settecento - giuristi e teologi morali si sono ap plicati a mettere a punto un sistema normativa che definisse uni vocamente il matrimonio cristiano e che fosse in grado di garan tire al suo interno sia il diritto al sesso sia il diritto al piacere, per entrambi i coniugi: a questo obiettivo erano orientati ad esempio i grandi trattati seicenteschi che abbiamo analizzato nel terzo ca pitolo. Ma si può dubitare, con fondamento, che le sofisticate casisti che elaborate dai canonisti del Cinquecento-Seicento rimanesse ro lontane dalle conoscenze e dalla sensibilità dei religiosi cui era demandata l'interazione quotidiana con il popolo dei fedeli. Nel l'età del disciplinamento dunque, ma anche nei secoli successivi, i pastori d'anime hanno messo in atto una politica ispirata più al la diffidenza verso le pulsioni della carne che alla nobilitazione del corpo e dei suoi istinti vitali; una politica - come quella che ab biamo cercato di tratteggiare ad esempio nel quarto capitolo, a proposito della prostituzione, della masturbazione, della sodomia persino - le cui dimensioni prevalenti sembrano quelle della tol leranza o di un perdono generico, rassegnato alla ripetizione. Due atteggiamenti ispirati comunque al nesso sessualitàlcolpaldivieto. Questa sorta di ambivalenza della Chiesa nei confronti della sessualità ha radici antiche in Agostino, che lega la trasmissione del peccato originale all'amplesso: da quel momento in poi, è sta-
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to difficile sottrarsi del tutto a una immagine negativa dell'atto sessuale, anche se questo non veniva considerato male in sé, ma solo veicolo del male. Pur all'interno di una concezione positiva dell'atto sessuale, non si può negare che la Chiesa abbia sempre guardato al sesso con uno sguardo grave, che ha comportato il ri fiuto o l'ignoranza della sua dimensione di leggerezza, di gioco o di gratuità, così come la sua idealizzazione ha portato all'accanto namento dei lati inquietanti, ambigui, disordinati del sesso. La tendenza cristiana a subordinare del tutto la sessualità alle cate gorie etiche o religiose rischia infatti di lasciare nell'ombra tutto un piano dell'esperienza sessuale, quello che oggi la società seco larizzata ripropone con forza, giungendo spesso alla sopravvalu tazione dei legami sessuali. n fatto che l'atto sessuale fosse caricato di importanti signifi cati simbolici e spirituali è dimostrato anche dall'uso frequente e disinvolto che ne ha fatto la tradizione culturale cristiana in tutti i suoi aspetti - artistico, mistico, liturgico, teologico ...:. almeno fi no alla prima metà del Cinquecento. Fino a quest'epoca, infatti, l'unità fra corpo e spirito - se pure con qualche punta di disprez zo del corpo nella cultura monastica - si era mantenuta. È con la Riforma, che privilegia la parola scritta rispetto all'immagine e al la ritualità - due importanti dimensioni che coinvolgono il corpo - e mette da parte la castità e la verginità come vie spirituali, che inizia la secolarizzazione del mondo, a cominciare da quella della sessualità. Cade infatti l'idea che il rapporto con Cristo sia corpo reo e che debba segnare il corpo dell'essere umano. Le pesanti cri tiche dei protestanti alla materialità del mondo cattolico hanno avuto però delle conseguenze soprattutto nella sfera artistica e spirituale: scompaiono le ardite metafore sessuali, la mistica - che nel cristianesimo è la trasformazione della concupiscenza umana verso la finalità dell'amore per Cristo come desiderio che vince gli altri desideri - è guardata con un certo sospetto, la carne, pur se continua a esistere e a risplendere nella sua dimensione corporea, viene in qualche modo contrapposta allo spirito, aprendo una contraddizione nella tradizione cristiana che suscita forme sem pre più rigide di controllo sessuale - talvolta vicine alla sessuofo bia - anche nel mondo cattolico. Un controllo che ha assunto però forme diverse di interlocuzione tra gli uomini e le donne. Se il cristianesimo delle origini - come si illustra nei primi due
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capitoli - ha fermamente sostenuto una sorta di parità, per esem pio offrendo a entrambi i sessi la possibilità di scegliere tra vita re ligiosa e vita coniugale; e se la teorizzazione post-tridentina sulla sessualità matrimoniale ha posto con insistenza l'accento sull'u guaglianza dei diritti tra i coniugi nel disporre del corpo dell'altro e nell'accedere alla soddisfazione sessuale, per altri aspetti e nel corso dei secoli l'atteggiamento della Chiesa ha mostrato diffe renze evidenti nel governo della sessualità maschile e di quella femminile. Ha considerato gli uomini - tutti, sia religiosi sia laici - esposti perennemente ad appetiti violenti e quasi indistinti, mu tuando forse da quella concezione «idraulica» della sessualità ma schile che affonda le sue radici nella fisiologia tardo-antica. Ha ri sposto dando la priorità al controllo, e spesso alla repressione, di un desiderio cieco e inconsapevole. La stessa riflessione sui vizi sessuali - dalla masturbazione alla sodomia - sembra trovare ne gli uomini i soggetti più vulnerabili e depravati, sottacendo spes so l'esposizione al peccato del desiderio femminile. Ben diversa, variegata e sottoposta ai mutamenti della storia, in vece, la politica della Chiesa nei riguardi della sessualità femmini le. La concezione che ha dominato fino a tutta l'età moderna col locava le donne in una sorta di penombra del desiderio: laide e sconce quando - ridotte alla fisicità passiva dei loro organi sessua li - erano poste a emblema della tentazione diabolica; esemplar mente caste e lontane dalle sollecitazioni della carne quando si trat tava di difendere la scelta monacale dalle strategie matrimoniali di padri e casati; fragili e sensuali, ma soprattutto inclini a orientare innocentemente la disponibilità sessuale a fini diversi, quando oc correva mondare con il matrimonio la colpa di precipitosi cedi menti. È stato il diritto soprattutto a elaborare e a fornire alla Chie sa le figure e gli strumenti per una politica di protezione e di tutela nei confronti dei comportamenti sessuali delle donne; e fu proprio quando la Chiesa perse gli strumenti giuridici necessari ad attuare una politica del genere - con la fine del potere temporale, l' aboli zione dei tribunali ecclesiastici, l'introduzione del matrimonio ci vile - che, nel passaggio tra Ottocento e Novecento, mutarono gli atteggiamenti del cattolicesimo verso la sessualità femminile. I rap porti prematrimoniali furono definitivamente interdetti, la vergi nità fisica divenne un imperativo senza margini di negoziazione. Così che la Chiesa degli ultimi decenni sembra affermare una nuo-
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va uguaglianza tra uomini e donne, paritariamente obbligati a ri fuggire da ogni esperienza sessuale non conforme a una morale che ha abbandonato gli antichi strumenti del pragmatismo e della tol leranza per proclamare nuovi assoluti. Ma la posizione attuale della Chiesa nei confronti della ses sualità è veramente oppressiva e «antimodema»? Quali che siano le nostre opinioni personali, nel nostro lavoro di ricerca non ci sia mo proposte di rispondere a questo quesito, che aleggia in tutti gli scritti - sia a favore sia contro - sul tema che abbiamo affrontato, come ben si sa un tema oggi particolarmente controverso e di scusso. Abbiamo voluto consapevolmente sfuggire all'atteggiamento che Odo Marquard individua come specifico dell'epoca moder na, cioè la trasformazione della storia in un tribunale al quale «l'uomo sfugge solo identificandosi con esso»1 • Abbiamo preferi to non diventare un tribunale, né due tribunali in confronto fra loro, ma invece ricostruire il processo storico che ha portato fino alla situazione attuale sia la Chiesa sia i suoi critici. Nel ricorso al la storia che giudica infatti, abbiamo colto quello che si può con siderare un luogo comune tipico della modernità: quello che fa sì che colui che accusa «assumendo il monopolio dell'accusa biasi ma, quanto al male nel mondo, gli altri uomini in quanto riluttan ti all'emancipazione, in quanto cattivi uomini creatori, e li con danna immediatamente a diventare passato»2 • La concezione rivoluzionaria dell'atto sessuale proposta dal cristianesimo delle origini e poi approfondita e articolata dalla Chiesa è stata considerata negli ultimi secoli obsoleta e dannosa: le scienze moderne - medici, antropologi, poi sessuologi - hanno elaborato una categoria astratta, quella di sessualità, da studiare come fenomeno a parte, e da disciplinare secondo criteri genera li, che si sarebbero voluti scientifici ma che spesso sono diventati ideologici. A tali criteri si sarebbe dovuto conformare il compor tamento dei singoli, magari con il sostegno e il consiglio degli «esperti». 1 O. Marquard e A. Melloni, La storia che giudica, la storia che assolve, La terza, Roma-Bari 2008, p. 80. 2 lvi, p. 8 1 .
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Per lunghissimi secoli, la visione cattolica ha inserito invece il comportamento sessuale all'interno del cammino personale di pu rificazione e di santificazione che è compito di ogni cristiano, in quel fragile equilibrio tra corpo e anima che è costitutivo di una tradizione religiosa fondata sull'Incarnazione; ma anche all'inter no di un sistema morale globale, costruito sugli enunciati genera li del peccato e della sua condanna, e sulla distinzione del lecito dall'illecito. Almeno fino alla metà del Novecento queste due impostazio ni non potevano comunicare fra di loro, perché erano per molti aspetti incommensurabili. Sarà sòlo quando la Chiesa - a partire dall'Humanae vitae, per proseguire più decisamente con la nuova proposta teorica di Wojtyla - comincia ad affrontare in termini astratti il problema del comportamento sessuale, che lo scontro si trasferirà su un ter reno comune. Solo allora cioè diventerà chiaro che non si tratta semplicemente di una dialettica fra libertà e oppressione, tra emancipazione e oscurantismo, ma del conflitto fra due diverse concezioni di sessualità: l'una, quella laica, che colloca anche l'at to sessuale nella sfera della libertà individuale, l'altra, quella cat tolica, che lo giudica e lo definisce come momento importante del percorso spirituale di ogni credente, un incontro fra anima e cor po che non si può sottrarre al rispetto delle regole religiose. L'una basata su un'analisi scientifica della sessualità e sull'autonomia del soggetto intesa come valore dominante, l'altra fondata sulla costi tuzione dell'individuo come soggetto morale in un sistema di nor me definite. Per dirlo con le parole di Foucault, «il compito di met tersi alla prova, di analizzarsi, di controllarsi in una serie di eserci zi ben definiti pone la questione della verità - della verità di ciò che si è, di ciò che si fa e di ciò che si è capaci di fare - nel cuore della costituzione del soggetto morale»3• Oggi - paradossalmente, vista l'asprezza del dibattito politico ideologico - è possibile forse un approccio meno conflittuale al problema, almeno dal punto di vista teorico. La differenza fra le due concezioni non costituisce più un momento bruciante di scontro nelle società occidentali, come è stato almeno fino alla 3 M.
Foucault, La cura di sé, Feltrinelli, Milano 2006, p. 7 1 .
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metà del Novecento: nei paesi «avanzati» sembra aver prevalso, nella mentalità comune, la proposta laica, ma questa nello stesso tempo è stata sottoposta a critiche da diversi punti di vista - quel lo femminile, ma anche quello di intellettuali laici come Marcel Gauchet4 - senza che ciò abbia comportato l'adesione alla visio ne cattolica, come sarebbe accaduto quando i due schieramenti si fronteggiavano polarizzati. Mentre sono caduti alcuni orpelli ideologici, e soprattutto l'illusione che la libertà sessuale costitui sca di per sé una condizione fondamentale per la felicità indivi duale, altre categorie hanno subito slittamenti di collocazione e di significato: la natura, ad esempio, invocata dai teorici della rivolu zione sessuale come garante di una sessualità finalmente libera da condizionamenti sociali e religiosi, è diventata richiamo severo della Chiesa a un ordine immutabile nella procreazione; la sfera privata, difesa dai modernizzatori laici come ambito intoccabile di scelta individuale, appare prosciugata di senso e di valori, e sem bra respingere soprattutto le donne in antiche solitudini, nel rap porto con il proprio corpo e con il proprio desiderio, nella scelta di maternità. È tempo, forse, che il comportamento sessuale torni a essere problema collettivo.
4 M.
Gauchet, L'en/ant du désir, in «Le débat», �4, pp. �-
INDICE DEI NOMI Abelardo, Pietro, 19-20. Abramo, 16. Adagio, Carmelo, 270n. Adamo, 1 1 - 13, 16, 63, 91, 201. Agata, 93 . Ago, Renata, 195n. Agostino, 4, 1 1 , 12 e n, 13-14, 16-18, 29, 53, 55, 58, 67, 126, 160, 1 7 1 , 225, 260, 272, 307. Alessandro VII (Fabio Chigi), papa, 191. Alessi, Giorgia, 209n. Alessio, 76. Alfonso d'Aragona, 45. Alfrink, Bemard Jan, 273. Alighieri, Dante, 52. Alipio, 1 1 . Allegra, Luciano, 180n. Alonso de la Vera Cruz, 1 18 e n. Ambrogio, 3 1 , 35, 36n, 53, 61, 62n, 64, 66 e n, 77 e n. Anastasia, 74. Angela da Foligno, 78. Anna, madre di Maria, 13, 92-93 , 96. Anna, 74. Anselmo di Laon, 55 e n. Antoine, Gabriel, 169n. Antonelli, Giuseppe, 232. Antonino da Firenze, 136n. Antonio, abate, 1 1 , 22-23, 25. Antonio, 167. Apollinaria, 74. Apollo, 26. Apponio, 49. Aprile, Antonio, 143-44. Aprile, Cattarina, 144. Ariès, Philippe, 15 ln, 301n. Aristotele, 1 19. Arnaldo (fra'), 78n.
Arru, Angiolina, 146n. Assagioli, Roberto, 248. Atanasia, 74. Atanasio di Alessandria, 22, 33, 34n. Atanasio, 39. Attila, 85. Austen,Jane, 204. Babini, Valeria Paola, 22ln. Baisio, Guido de, 174 e n. Baldassari, Marina, 166n. Balthasar, Hans Urs von, 50 e n. Bande! Dragone, Francesca, 225n. Barbagli, Marzio, 1 15n, 295n. Barrai i Altet, Xavier, 91n. Barthes, Roland, 1 13n. Barzizza, Gasperino, 97. Basilio di Ancira, 27, 28 e n. Batiffol, Pierre, 56n. Baumgartner, Agostino, 45. Beatrice, Pier Franco, 12n. Beatriz de Chavez, 77. Bebel, August, 294n, 299. Beda il Venerabile, 96. Belpassi, Sebastiano, 178. Benadusi, Lorenzo, 230n, 23 1n. Benedetto XIV (Prospero Lorenzo Lambertini), papa, 89. Benedetto XV (Giacomo Della Chiesa), papa, 253. Benedicto, 167. Benini, Camilla, 178. Benintendi, Attaviano, 167. Berlinguer, Luigi, 211n. Bernardi, Claudio, 88n, 267n. Bernardino da Siena, 162 e n. Bernardo di Chiaravalle, 49 e n, 50 e n, 51-52, 61-62, 97. Bernardo di Montemirato, 188.
3 14 Bernini, Lorenzo, 77, 80. Bertani, Agostino, 228 e n. Bertelli, Sergio, 1 14n. Besant, Annie, 236 e n. Betsabea, 16, 55. Bevegnati, Giunta (fra') , 78. Bianchi, Enzo, 65 e n. Billings, Evelyn, 292-93 . Billings, John, 292-93 . Bino, Carla, 88n, 267n. Blandina, 28. Boas, Franz, 264. Boer, Wietse de, 129n, 132n, 135n, 136n, 139n. Boigelot, 272. Bonaventura da Bagnoregio, 161 e n, 188. Bonfield, Lloyd, 1 14, 1 15n. Bonizone, 41 e n. Booz, 16, 55. Borgia, Francesco, 45. Borromeo, Carlo, 129, 131-32, 134-35, 139, 153 . Bosco, Giovanni, 73-74. Bossuet, Jacques-Bénigne, 58. Bossy, John, 102n, 128n, 129n, 13 1n. Botteglio, Ludovico, 166. Bouillard, Henri, 286n. Bouvier, Jean-Baptiste, 250, 252. Bovet, Robert, 27 1 . Braidotti, Rosi, 301n. Brambilla, Elena, 138n. Brandlaught, Charles, 236. Bravo, Anna, 207n, 297n, 300n, 301n. Brigida di Svezia, 85. Brown, Dan, 56. Brown, Peter, 4 e n, 32 e n, 34, 35n, 150n, 15 1n. Browne, Michael, 273. Bn1lart, madame de, 133. Brundage, James Arthur, 103n, 104n, 1 12n, 161n, 163n, 17 1n, 172n, 174n, 175n, 176n, 179n, 181n, 187n. Buonarroti, Michelangelo, 91. Burcardo di Worms, 103, 152. Cabro!, 224. Caetano, cardinale (Tommaso De Vio), 135. Calvino, Giovanni, 69. Camerano, Alessandra, 183n. Campo, Cristina, 46 e n.
Indice dei nomi Cantalamessa, Raniero, 1 1n. Cantini, Lorenzo, 2 13n. Capito, Wolfgang, 88-89. Caramanico, principe di, 226. Cardini, Franco, 84n. Carrasco, Rafael, 166n. Casagrande, Carla, 121n. Casanova, Cesarina, 170n, 195n. Casilda de Padilla, 76-77. Cassiano, Giovanni, 24-25, 150, 151 e n. Catalina, 77. Caterina da Siena, 78-79, 13,3, 161, 162n. Cattaneo, Massimo, 167n. Cavallari, Alberto, 275. Cazzetta, Giovanni, 2 1 ln, 2 14n. Cecchi, Domenico, 159. Centanni, Monica, 1 14n. Cerbelaud, Dominique, 66 e n. Ceriani, Grazioso, 287n. è ernycevskij, Nikolaj, 204. Cerocchi, Francesca, 301n. Cerrato, Rocco, 270n. Chadwick, Owen, 240n. Chapelle, Albert, 75n. Chauncey, George jr, 229n. Chiniquy (padre), 251n. Chojnacki, Stanley, 1 13n. Cicerone, Marco Tullio, 18. Cipriano, 33 e n. Clemente di Alessandria, 16, 32. Clemente IV (Guy Le Gross Foulquois), papa, 44. Clemente VIII (Ippolito Aldobrandi ni), papa, 1 18. Clemente XII (Lorenzo Corsini), papa, 213. Codronchi, Gian Battista, 219. Cohen, Sherrill, 178n, 183n, 184n. Colao, Floriana, 2 1 1n. Colombo, Carlo, 279. Colombo, Realdo, 123. Comboni, Daniele, 200-201. Comollo, Luigi, 73. Concetti, Gino, 287n. Corbin, Alain, 166n. Cosmacini, Giorgio, 221n. Costantino I, imperatore, 2 1 , 36. Cottier, Georges M.M., 268, 283 e n, 287n, 288 e n. Courcelles, Dominique de, 78n.
Indice dei nomi Covarrubias y Leiva, Diego de, 174n. Cristellon, Cecilia, 1 13n, 1 15n. Cristina di Markyate, 75. Cunegonda, 76. dal Covolo, Enrico, 15n. Dalila, 16. D'Amelia, Marina, 297n, 298n. Danae, 70. Daniélou, Alain, 52, 53 n. Darmon, Pierre, 194n, 195n. Darnton, Robert, 204n. Darwin, Charles, 244. D'Avack, Alessandro, 163n. Davide, re d'Israele, 16, 55 . De Bougainville, L.A., 198, 199n, 244, 264. Decio, imperatore, 28. Dectot, Xavier, 91n. De Faenza, Giovanni, 176. De Giorgio, Michela, 1 09n, 205n, 207n, 2 17n. Dell, Floyd, 245. De Luca, Giovanni Battista, 142 e n. Delumeau, Jean, 126 e n, 130n, 13 1n, 133n. De Napoli, Ferdinando, 230, 23 1n. Diana, Antonino, 146. Diderot, Denis, 1 98 e n, 199 e n, 20 l . Dinzelbacher, Peter, 83n, 84n. Di Segni, Riccardo, 69 e n. Doms, Herbert, 259 e n, 260. Donizetti, Pino, 272n, 282n, 286n. Drysdale, George, 236-37. Duberman, Martin, 229n. Duby, Georges, 301n. Ecberto di Schonau, 19. Eco, Umberto, 47. Ecolarnpadio, Giovanni, 89. Ehrlich, Pau!, 279. Eleonora d'Aragona, 109. Elias, Norbert, 124 e n. Ellis, Havelock, 201 e n, 24 1 , 242 e n, 243-45, 248, 262. Eloisa, 19-20. Elvidio, 64, 66. Enfantin, Barthélemy-Prosper, 205. Enrico I, re di Germania, 75. Enrico II, imperatore, 76. Epifania, 38 e n. Erasmo da Rotterdam, 45, 89, 90n.
3 15 Ercole d'Este, 109. Eufrosina, 74. Eugenia, 74. Euprassia, 34. Eusebio di Cesarea, 21 e n, 38 e n. Eustochio, 27, 34. Eva, 12-13, 16, 30, 65, 20 1 . Evagrio, 23-25. Ezzelino da Romano, 85. Fabrizio-Costa, Silvia, 60n. Faivre, Alexandre, 36n. Felice, 18. Felici, Pericle, 285. Ferdinando I di Borbone, re delle Due Sicilie, 2 1 1 . Ferrante, Lucia, 1 14n, 17 1n, 174n, 175n, 178n, 183n, 184n. Ferraro, Augusto, 198n. Filippini, Nadia Maria, 220n. Filippo, 59. Filone di Alessandria, 22. Filoramo, Giovanni, 87n. Fiume, Giovanna, 69n, 209n, 226n. Flandrin, Jean-Louis, 103n. Flavio Giuseppe, 22. Folco di Neuilly, 181. Forel, Auguste, 247 e n, 248 e n. Formica, Marina, 167n. Fornari, Chiara Isabella, 81 e n. Fossati, Roberta, 270n. Foucau!t, Miche!, VI, 15 1n, 170n, 227, 230n, 3 1 1 e n. Fouquet, Jean, 69. Fourier, Charles, 205. Francesca, 85. Francesco d'Assisi, 73. Francesco di Sales, 14, 133 e n. Francieschi, Luca, 1 12. Freeman, Derek, 265. Freud, Sigmund, 233 , 24 1 , 244, 263. Fromm, Erich, 263-66. Gabriele, 63-64. Galbiati, 138. Galeno, 21, 1 19. Galeotti, Giulia, 298n. Galilei, Galileo, 273. Gauchet, Marcel, 202 e n, 3 12 e n. Gaudemet, Jean, 103n, 107n, 1 15n, 173n, 186n, 195n, 206n. Gemelli, Agostino, 232, 254 e n, 255.
3 16 Gentile da Fabriano, 95. Gerson, Jean de, 153 e n. Gesù, 3, 5-6, 8, 10, 15, 22, 3 3 -34, 48, 50, 52, 56-64, 66-67 ' 70-7 1 , 78, 86, 89, 95-100, 146, 1 7 1 . Giacobbe, 16. Giacomo, 63, 7 1 , 92. Giami, Alain, 240n. Gibson, Mary, 228 e n. Giddens, Anthony, 204n. Gioacchino, 1 3 , 92-93. Giorni, Secondo, 237n. Giotto, 72, 92-93. Giovanni, 59. Giovanni Battista, 6 1 , 93 . Giovanni Crisostomo, 27, 28 e n, 3 1 e n, 35 e n, 39 e n, 160. Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla) , pa pa, x, 276, 279, 289 e n, 290, 291 e n, 292, 3 12. Giovanni Teutonico, 172, 190. Giovanni XXIII (Angelo Giuseppe Roncalli), papa, 272, 289. Gioviniano, 35, 64. Girolamo, 16, 22, 25n, 29-30, 30n, 3435, 37, 38 e n, 53 , 56 e n, 66 e n. Girolamo da Mula, 1 13 . Giuda, 57-58. Giuda Tommaso, 2 1 . Giuliani, Veronica, 79. Giuliano II, imperatore, 40. Giulio II (Giuliano della Rovere), papa, 178. Giuseppe, 13, 63-64, 66, 7 1-72 , 92. Giuseppe II d'Austria, imperatore, 207. Giussani, Luigi, 270. Giustiniani, Lorenzo, 2 10n. Giustino, 63. Goethe, Johann Wolfgang von, 98, 204. Goody, Jack, 106n, 143n. Goretti, Maria, 2 1 6, 293 , 295-96, 298. Gostanza, 84-85. Gozzer, Giovanni, 272n, 282n, 284 e n, 286n. Gragnolati, Manuele, 88n, 267n. Grassi, Lucio, 270 e n. Grassini Sarfatti, Margherita, 248. Graziano, 43 e n, 108, 172·73 , 193. Gregorio di Elvira, 56. Gregorio di Nissa, 16, 28, 67 e n. Gregorio Nazianzeno, 30 e n.
Indice dei nomi Gregorio I Magno, papa, 15 1 e n. Gregorio VII (Ildebrando Aldobran deschi di Soana), papa, 42, 243 . Gregorio IX (Ugolino di Anagni), pa· pa, 163 , 181. Grelot, Pierre, 70 e n. Grootaers , ] an, 279n. Groppi, Angela, 171n, 180n, 183n, 185n. Grossatesta, Roberto, 152-53. Griin, Anselm, 52n, 82n. Guadagni, Giovanni Antonio, càrdinale, 2 1 3 . Guercino, 98. Guglielmo di Pagula, 189 e n, 190. Guidone, 44. Hiiring, Bemhard, 260 e n, 285n. Heemskerck, Maerten van, 99. Heenan, 279. Hefele, Kar!Josef von, 44n. Hefner, Hugh, 267-68. Hildesheim, Johan von, 94. Holthofer, Ernst, 146n. Hughes, Diane Owen, 108n, 109. Hugo, Victor, 25 1 . Hureaux, Roland, 59 e n, 61. Hurtado, Gaspar, 1 1 8. Ida di Herzfeld, 75. Ignazio di Loyola, 45 , 57. Ilarione, 25. Ildegarda di Bingen, 62. Incmaro, 106-108, 186. Infante, Renzo, 47n. Innocenzo I, papa, 37. Innocenzo X (Giovanni Battista Pamphilj), papa, 191. Institor, Heinrich, 83 . Ippocrate, 1 19. Ippolito, 48. Ireneo, 12, 63. !sacco, 16, 90. Isaia, 47, 63. Isidoro di Siviglia, 40, 149. Israel, Gérard, 14n. Jacobelli, Maria Caterina, 88n, 90n. Jacopo da Varagine, 57 e n, 97. Jean de Meung, 44. Jeanne des Anges, 86. ]emolo, Arturo Carlo, 2 12n, 2 17n.
Indice dei nomi Jervis, Giovanni, 233n, 263n. Johnson, Virginia E., 267 e n, 299, 303. Kertbeny, Karl-Maria, 240. Kertzer, David L, 1 15n, 295n. Key, Ellen, 245, 246 e n, 247-48. Kinsey, Alfred C., IX, 266, 267 e n, 268, 286, 299, 3 03 . Klapisch- Zuber, Christiane, 109n, 207n, 217n. Knaus, Hermann, 257. Knox, Dilwyn, 125n. Koch, Francesca, 298n. Krafft-Ebing, Richard von, 240 e n. Krug, Ludwig, 99. Labriola, Teresa, 238 e n. Laing, Ronald D., 3 0 1n. Langlois, Claude, 250n, 25 1, 252n, 253 . Laqueur, Thomas W., 1 1 9n, 149n, 150n, 155n, 156n, 222n, 223. Lavaud, Benedetto, 272. Lavenia, Vincenzo, 126n. Lazzaro, 57-58. Lazzeri, Anna Maria, 1 14n. Lea, Henry Charles, 243. Leach, Edmund, 70 e n. Leclercq, Jean, 19n, 49n, 50n, 5 1n. Lecomte, 253. Leena, 29. Legendre, Pierre, 253n. Léger, 273. Lenin, Nikolaj, 204. Leonardi, Claudio, 78n. Leone I il Grande, papa, 37, 39, 40n. Leone IX (Brunone dei Conti di Egisheim-Dagsburg), papa, 42, 1 8 1 . Leone X (Giovanni de' Medici), papa, 140. Lessio (Leys) , Leonardo, 175n. Lichtenstern, Robert, 230. Liguori, Alfonso de', 132, 134, 136, 252. Lingiardi, Vittorio, 155n, 222n. Lizzi, Rita, 32n. Lombardi, Daniela, 107 e n, 1 13n, 1 14n, 207n, 209n, 2 12n. Lonzi, Carla, 303n. L6pez, Pedro, 45. Luca, 63-64. Lucà Trombetta, Pino, 137n.
3 17 Luci, Monica, 155n, 222n. Luigi di Granata, 136, 153. Luigi IX il santo, re di Francia, 1 7 1 . Luis d e Le6n, 54. Lupo, Paola, 170n. Lutero, Martin, 66, 69, 83 , 85-86, 246. Macario, 24. Macrina, 3 1 . Maddalena della Croce, 85. Majno, Ersilia, 238. Malaguti, Lucrezia, 178. Malena, Adelisa, 134n. Malinowski, Bronislaw, 245 e n, 264. Mandeville, Bernard de, 225 e n. Mansi, Giovanni Domenico, 4 1 n. Mantegazza, Paolo, 230 e n, 242, 244. Mantegna, Andrea, 93, 99. Mantovani, Claudia, 23 9 e n. Maometto, 6 1 . Marcella, 34. Marcellina, 35. Marchetti, Valerio, 1 19n, 1 96n, 230n. Marcione, 7, 59. Marcuse, Herbert, 263-64, 301n. Margherita da Cortona, 78. Maria, madre di Gesù, 13, 30, 52, 5758, 62-72, 74, 91 -93, 296. Maria Egiziaca, 56-57. Maria Maddalena, 56-6 1 , 93, 181. Maria Maddalena de' Pazzi, 80 e n. Marina, 74. Marino, 159. Mariotti, Flavia, 133n. Marquard, Odo, 3 10 e n. Marta, 57-58. Martelet, Gustave, 279, 284n, 286 e n. Marten, John, 155-56, 223. Martin, Clyde E., 267n. Massimo il Confessore, 67 e n. Masters, William H., 267 e n, 299, 303 . Mateu y Sans, Lorenzo, 196-97. Matilde di Ringelheim, 75. Matrona, 74. Matteo, 55, 63 . Matter, E. Ann, 48, 49n. Mattheeuws, Alain, 258n, 260n, 274 e n, 285 e n, 286n, 291n. Matton, Sylvain, 60n. Mazzi, Maria Serena, 178n. Mead, Margaret, 264-65. Meier, John P., 63 e n.
3 18 Melania Iuniore, 27, 35. Melania Seniore, 27, 3 1 . Melloni, Alberto, 3 1 0n. Menjot, Denis, 177n. Mercier, Desiré, 254. Merzario, Raul, 143n. Michelet, Jules, 25 1 . Minuz, Fernanda, 221n. Montessori, Maria, 23 7 . Moroni, Giovan Battista, 141n. Morresi, Assuntina, 262n. Muchernbled, Robert, 220n, 223n, 224 e n, 229n. Murray, Jacqueline, 152n. Murri, Rornolo, 248. Musatti, Cesare, 267 e n. Nardi, Carlo, 29n. Nelli, Ottaviano, 94. Neri, Filippo, 73. Niccoli, Ottavia, 1 14n, 157n. Niccolò I, papa, 109. Niccolò II (Gerardo di Borgogna), pa· pa, 42. Nietzsche, Friedrich, 238, 243. Noonan, John, 277. Norton, Rictor, 229n. Ode de Bonne-Espérance, 75. Odofredo, 172. Ogino, Kyusaku, 257. Olimpiade, 27, 35. O'Malley, John W., 99 e n. Onan, 222, 252. Origene, 3 3 -34, 46n, 48, 63 . Orrnaneto, Niccolò, 135. Orou, 198-99. Osea, 55-56, 59. Ottaviani, Alfredo, 273, 276. Ovidio Nasone, Publio, 5 1 . Owen, Robert, 236. Pacornio, 26. Pacone, 23 . Pafnuzio, 39. Paino, Antonio, 143 . Paino, Pedrina, 143 . Palazzi, Maura, 1 83n. Pantera, 69. Paola, 27, 34-35. Paolina, 75. Paolino di Nola, 18, 20.
Indice dei nomi Paolo, 3 -4 , 7 - 10, 17 , 32 , 34, 37 , 52, 160, 197. Paolo III (Alessandro Farnese), papa, 1 10. Paolo VI (Giovanni Battista Montini), papa, 268, 272-73, 275, 276 e n, 27780, 282-85 , 287-89, 291-92, 302. Parca, Gabriella, 269. Parent-Duchatelet, Alexandre-JeanBaptiste, 225n, 226. Passerini, Luisa, 301n. Patlagean, Evelyne, 74n. Pavone, Sabina, 146n. Payan, Paul, 72n. Pelagia, 56, 74. Pelagio, 12, 34. Pelagio I, papa, 40. Pelaja, Margherita, V-VI, XI, 1 06n, 134n, 145n, 167n, 207n, 214n, 2 17n, 300n. Penuti, Carla, 124n. Perpetua, 28. Perry, Mary Elizabeth, 177n. Perseo, 70. Pescarolo, Alessandra, 207n, 300n. Petronilla, 3 7. Petronio Arbitro, 29. Petrus de Sarnpsone, 188n. Peyretti, Giulia, 245. Pezzi, Elisa, 201n. Piccone Stella, Sirnonetta, 299n. Pier Darniani, 42, 1 6 1 . Pierre de Locht, 27 1 . Pietro, 3 2 , 3 7 , 58. Pietro il Venerabile, 20. Pietro Leopoldo, 2 1 1 . Pike, Ruth, 177n. Pincus, Gregory Goodwin, 262. Piniano, 35. Pio IV (Giovanni Angelo Medici) , pa pa, 1 1 7. Pio V (Antonio Michele Ghislieri), pa pa, 139, 164, 184. Pio VI (Giannangelo Braschi), papa, 2 12. Pio XI (Achille Ratti), papa, 256, 257 e n, 258, 261 , 285. Pio Xli (Eugenio Pacelli), papa, 258, 259n, 272 e n. Place, Francis, 235 . Platone, 60. Plebani, Tiziana, 220n.
3 19
Indice dei nomi Plinio il Vecchio, 22 e n. Plummer, Kenneth, 229n. Polanco, Juan Alfonso, 135. Pomata, Gianna, 183n, 220n. Pommeroy, Wardell B., 267n. Pontchartrain, Phélipeaux de, 206. Portinari, Beatrice, 52. Postigliola, Alberto, 167n. Potter, Louis de, 82n. Pouthier, Jean-Luc, 283n. Pozzi, Giovanni, 78n. Prezzolini, Giuseppe, 249 e n. Pricoco, Salvatore, 32n, 37n, 87n. Prodi, Paolo, 124n, 125n, 128n, 129n, 132n, 146n, 2 16n. Prosperi, Adriano, 128n, 2 18n, 2 19n. Pyrrhus Corradus, 106n, 142 e n, 144n, 145 e n. Quaglioni, Diego, 1 12n, 1 13n, 1 14n. Rabano, Mauro, 55 e n, 61. Rachele, 16. Rahab, 55-56. Raimond de Peiiafort, 128. Raimondo da Capua, 79. Ranke-Heinemann, Uta, 41n, 42n, 45n. Ratzinger, Joseph, 90. Réau, Louis, 98 e n. Rebecca, 16. Reich, Wilhelm, 263, 265-66, 268, 303. Ricci, Caterina de', 79. Ricci, Scipione de', 2 12. Richi, Giacomo, 165. Robin, Paul, 237. Roccella, Eugenia, 262n. Rocco, Alfredo, 23 1 . Rocke, Michael }esse, 157n, 159n, 168n, 169n. Rodolfo di Worms, 181. Rodriguez, Pepe, 140n. Romanato, Gianpaolo, 200 e n. Romano il Melode, 65. Ronsin, Francis, 237n. Rossiaud, Jacques, 176n, 177n. Rouche, Miche!, 273n, 276 e n, 277-78. Rousseau, Jean-Jacques, 203, 234. Rousselle, Aline, 4n. Rufino, 173, 175. Ruggiero, Guido, 1 12n, 157n, 167n, 168n.
Ruperto di Deutz, 46. Rusca, Margherita, 143 . Rusconi, Roberto, 127n. Russe!, Bertrand, 245. Rutgers, Johannes, 237. Ruth, 16, 55. Saint-Simon, Claude-Henry de, 205. Salmon, 55. Salomè, 63 . Salomone, re d'Israele, 47, 81. Salomoni, Antonella, 230n. Samek Lodovici, Emanuele, 1 1n. Samuele, 93. Sanchez, Tomas, 1 18, 119 e n, 120, 122 e n, 123, 154-55, 197. Sand, George, 205. Sanger, Margaret, 262 e n. Sanjinés, Jorge, 287. Sansone, 16. Sara, 16. Sardella, Teresa, 37n, 43n. Savio, Domenico, 74. Scaraffia, Lucetta, VI, XI, 49n, 69n, 207n, 236n, 262n, 297n, 300n. Scaramella, Pierroberto, 195n. Scattigno, Anna, 220n. Schiebinger, Londa, 220n. Schilling, Hans, 129n. Schmitt, Jean-Claude, 46n. Sebastiano, 93. Sebastiano del Piombo, 93. Segneri, Paolo, 208, 209 e n. Seidel Menchi, Silvana, 1 12n, 1 13n, 1 14n. Serenelli, Alessandro, 294, 296. Sereno, 24. Sevegrand, Mattine, 253n, 254n, 259n, 260 e n, 272n. Sheehan, Michael M., 1 12n. Sigeboto, 75. Simon, 158. Simonetti, Manlio, 46n. Siricio, papa, 39. Sisto V (Felice Peretti), papa, 195. Socrate, Francesca, 301n. Socrate Scolastico, 39 e n. Solaro, Baldassarre, 143-44. Solaro, Jacomina, 144. Solfaroli Camillocci, Daniela, 134n. Sorano, 7. Soranzo, Marietta, 1 13.
320 Sozzi, Lionello, 199 e n. Stefano, 106-107. Stefano, vescovo di Tournai, 187. Steinach, Eugen, 230. Steinberg, Leo, 91n, 95-96, 97 e n, 99 e n. Stella, Pietro, 73n. Strobl, Andreas, 89. Swirez, Francisco, 1 1 8. Suenens, 273. Sulpicio Severo, 22. Surin, 86. Susanna, 74, 93 . Tagliavini, Annamaria, 221n. Taide, 56. Talleyrand, Charles-Maurice de, 45. Tamburini, Filippo, 165n. Tancredi, 189. Tanzio da Varallo, 93. Taxi!, Leo, 250. Tcherkézoff, Serge, 265n. Tecla, 32, 74. Teodora, 74. Teodosio, imperatore, 27. Teresa d'Avila, 76, 77 e n, 79-80. Teresa della Concezione, 83. Teresa di Calcutta, 293. Tertulliano, 15 e n, 16, 21, 32 e n, 63, 77, 149 e n. Tettamanzi, Dionigi, 283n. Thamar, 55. Therasia, 18, 20. Timica, 29. Tissot, Samuel-Auguste, 156 e n, 223. Tiziano Vecellio, 56. Toledo, Francisco, 137n. Tommaso, 58. Tommaso d'Aquino, 1 3 - 14, 53 e n, 54n, 67-68, 86, 97, 99, 136, 161 e n, 174 e n, 176, 188, 197, 260, 272. Tommaso di Chobham, 19, 172. Trexler, Richard C., 178n. Tristan, Flora, 205. Turi, Monica, 294n, 295n. Turrini, Miriam, 128n, 146n. Ugo di Landenberg, 44-45 . Uguccione da Pisa, 173, 175-76, 187. Umberto di Silva Candida, 4 1 .
Indice dei nomi Umiltà da Faenza, 78 e n. U rrea, Anna, 4 5. Urso, Simona, 270n. Valentino, 7 . Valenzi, Lucia, 226n. Valeriano, imperatore, 28. Van der Lugt, Maaike, 64n, 65n, 68n, 86n. Van der Weyden, Rogier, 92. Vanneste, Alfred, 14n. Vannini, Caterina, 80. Van Verleyden, 96. Vazquez de Belmonte, Gabriel, 1 1 8. Vecchio, Silvana, 121n. Verdon, Jean, 103n. Verdon, Timothy, 69 e n. Vian, Giovanni Maria, 36n, 287n. Viazzi, Pio, 2 14n. Vicinus, Martha, 229n. Villelmo de Montibus, 152. Villot, Jean, 279. Viollet, Jean, 259. Vittore III (Dauferio Epifani), papa, 41. Ward, Barbara, 279. Watson, Francis, 8n. Weber, Alison, 76n. Weeks, Jeffrey, 229n. Weeks, reverendo, 242. Weemes, John, 220n. Weininger, Otto, 230 e n. Wilmart, Andreas, 56n.
Yonnet, Pau!, 234 e n, 23 5 e n. Zacchia, Paolo, 1 9 1 -92, 220. Zanardelli, Giuseppe, 23 1 . Zander, Hans Conrad, 23n. Zanzucchi Ceccato, Lia, 297. Zarri, Adriana, 270n, 272n, 282n, 285, 286n. Zarri, Gabriella, 49n, 297n. Zecchi, Lina, 198n. Zeno di Verona, 65. Zizola, Giancarlo, 272 e n, 273n, 279n, 282n, 286n, 301n. Zola, Emilio, 295 . Zwingli, Ulrico, 69.
INDICE DEL VOLUME
Introduzione. Due in un libro I.
v
n corpo, le pulsioni
3
l . Una rivoluzione culturale, p. 3 2. Il matrimonio cristiano, p. 14 3. Un desiderio che vince gli altri desideri, p. 20 4. Una scelta individuale, p. 30 - 5. Celibi per forza, p. 36 ·
·
·
II. Eros e santità
46
l. Simboli sessuali, p. 46 - 2. Prostituta casta («casta meretrix»), p. 55 - 3 . La triplice verginità di Maria, p. 62 - 4. ll sesso dei santi, p. 72 5. Il matrimonio mistico, p. 77 - 6. Spose del diavolo, p. 83 - 7. I tempi dell'amore, p. 86 8. L'arte: sacra, ma non asessuata, p. 90 ·
·
III. Il controllo e le norme
101
l. Sopportare il piacere, p. 101 - 2. La commistione del sangue, p. 105 - 3 . Diritto e sacramento, p. 1 10 - 4. La morale coniugale nel Seicento, p. 1 17 - 5. Il sesso in confessionale, p. 124 - 6. Versioni di una morale flessibile, p. 140
IV. Il disciplinamento impossibile
149
l . La dissipazione del seme, p. 149 - 2. Gli angeli di Sodoma, p. 156 - 3. Copula mercenaria, p. 170 - 4. L'impotenza, p. 185
v.
La fine del monopolio «Un piacere innocente, al quale la natura, madre e sovrana, ci invita tutti», p. 198 - 2. Una sovranità contesa, p. 206 - 3. Peccato e malattia, p. 2 1 8 - 4. Rigenerare l'umanità?, p. 233 - 5. Una morale evoluzionista, p. 240 l.
198
Indice del volume
322 VI. Competizione e conflitti
250
l. La Chiesa risponde, p. 250 - 2. ll mito dell'orgasmo, p. 261 3 . L'«Humanae vitae»: una enciclica contestata, p. 275 - 4. Donne e Chiesa, fine di un'alleanza, p. 293
Conclusioni
Indice dei nomi
306 . 3 13