Ewa Wipszycka Storia della Chie a nella tarda antichità
Brtlno Mondadori
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Ewa Wipszycka Storia della Chie a nella tarda antichità
Brtlno Mondadori
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Ewa Wipszycka Storia della Chiesa nella tarda antichità Traduzione di Vera Verdiani Scelta e commento delle immagini di Eli bieta Jastrz�bowska
La. traduzione di questo libro è stat:� finanziata dal © POLAND Po.li$h Literary Fund, istituito dal Ministero delta Culmra e delle Arti della Repubblica polacca.
Titolo originale: Kofcidl
w
i ego amyku iwiecie pcin
Tutti i diritti riservati © 2000, Paravi a :Bruno Monda dori Editori Traduzione dal polacco di Vera Verdiani
È vietata la riproduzione, anche par.dale o a uso interno didattico, con qualsiasi mezzo, non auto.rizzaw. L'editore potrà concedere a pagamento l'nutorizzazione a riprodurre una porzione non superiore a un decimo del presente volume. Le richieste di riproduzione vrumo inoltrate a: Associazione Italiana per i Dirini di Riproduzione delle Opere dell'ingegno { AIDRO), via delle Erbe 2, 20121 Milano Progetto grafico: Massa & Marci, Milano In copertina: Perugino, Consegna delle cbiavi (Cappella Sisrina)
Copyrigflled m atenal
Indice
Prefazione
Xl l
I. I pastori del popolo di Dio
2
1.1 L'Oriente greco e l'Occidente latino: la fine dell'unità
3
1.2 Chiesa e Chiese
4
1.3 Il ruolo dci vescovi nella Chiesa
6
1.4 La gestione del patrimonio ecclesiastico
8
1.5 Le elezioni dei vescovi
mediterranea
11
1.6 Due casi di elezione diametralmente opposti: Damaso
13
1.7 La sorte dei vescovi rifiutati dalle loro pecorelle
15
1.8 La provenienza sociale dci vescovi
e Ambrogio
16
1.9 Matrimonio mistico del vescovo con la sua Chiesa l. lO Cresce il ruolo dci presbiteri
17
1.11 Le carriere dei diaconi
18
1 12
19
1 13 Le caratteristiche del clero antico
Il basso clero
22
l 14 Il cursus bonorum del clero
24
115 La questione dell'astinenza sessuale del clero
26
1.17 La nascita della rete metropolitana
1.16 Relazioni tra le Chiese 27
118 Ruolo della corrispondenza tra i vescovi
29
1.19 Sinodi
34
1.20 Difficoltà nel definire la simonia
37
1.21 Simonia o munificenza
40
c
concili
2. Le grandi capitali del mondo ecclesiastico 2.1 Le strutture sovrametropolitane
41
2.2 La storia dei vescovi di Roma: un tema scottante
43
2.3 ll primato onorario del vescovo di Roma
44
2.4
La posizione del vescovo di Roma ai tempi di Costantino il Grande l cambiamenti sotto il pontificato di Giulio
46
2.5
50
2.6 Damaso e la svolta nella storia della Chiesa romana:
comincia la storia del papato
53
2.7 La supremazia Ji Alessandria sull'Egitto
55
2.8 Antiochia: la partner più Jebolc tra le grandi capitali
56
2.9 La difficile strada del vescovo di Gerusalemme alla dignità
c
sulla Libia
patriarcale 58
2.10 l modesti inizi del patriarcato di Costantinopoli
59
2.11 Le decisioni del concilio del 381 in materia di strutture
60
2.12 Costantinopoli diventa la nuova Roma
ecclesiastiche
62
3. Le conversioni 3.1 Cause della lentezza del processo di cristianizzazione
dell'impero 63
3.2 Quanti erano i cristiani a metà dci
64
3.3 Come si diventava cristiani
ii t
secolo
67
3.4 La via alla Chiesa dell'intellettuale
68
3.5 Difficoltà dei matrimoni misti
70
3.6 La religione pagana dopo la svolta costantiniana:
73
3.7 Il ruolo della violenza nella cristianizzazione Jcll'impero
74
3.8 Non bisogna vergognarsi dell'intolleranza
da una tolleranza ostile alla repressione
75 77 79
3.9 La conversione Jcgli iberi caucasici 3.10 Gli inizi Jella cristianizzazione in Etiopia 3.1 l
La conversione dci goti
3.12 Percbé la Chiesa non organizzava missioni 81 84
3.13 Barriere culturali e barriere religiose
4. Le persecuzioni 4.1 Il cristianesimo: religione di superstizione e di empietà
86
4.2 La scandalosa novità della fede cristiana
87
4.3 Condannare a morte, ma non ricercare
89
4.4 I governatori delle province di fronte ai cristiani
90
4.5 Le grandi persecuzioni del m secolo
91
4.6 Quanti furono i martiri
93
4.ì Chi erano le vittime delle persecuzioni
95
4.8 La tattica dci persecutori
97
4.9 Le persecuzioni di Diocleziano dette Grande Persecuzione
101
4.10 Persecuzioni in Africa
102
4.11 I bei tempi della Piccola Pace Ecclesiastica
104
4.12 Quanti cristiani cedettero al tempo delle persecuzioni
106
4.13 La gente comune durante le persecuzioni:
come salvare la vita senza commettere apostasia IlO
5. Una qualsiasi comunità, un qualsiasi
vescovo del 111 secolo 5.1 li cristiano in strada e alle terme 112
5.2 Chi scegliere come vescovo
114
5.3 L'ordine durante la messa
115
5.-1 L'amministrazione ùel patrimonio ecclesiastico
117
5.5 Le persecuzioni dal punto di vista ùi una normale comunità
118
5.6 Quel che doveva leggere il cristiano
119
5.7 Come mai una comunità qualunque
c
il suo pastore
meritano tanta attenzione 121
6.
Gli imperatori
c
la Chiesa
6.1 La strana moda di studiare le relazioni tra gli imperatori
e la Chiesa 123
6.2 l fondamenti religiosi del potere imperiale
125
6.3 L'atteggiamento dei cristiani verso Costantino il Grande
126
6.-1 Una pioggia di privilegi per la Chiesa
nel mondo pagano
128
6.5 Costantino al concilio di Nicea
130
6.6 Le liti tra i vescovi e gli interventi imperiali
131
6.7 La contesa tra cattolici c donatisti
136
6.8 Dubbi sul valore dci dossier
138
6.9 Il ruolo di Costantino nella fase iniLiale della controversia ariana
145 .
6.10 Mcliziani contro cattolici: la mancata unità
1-16
6.11 Costantino
149
6.12 La natura episcopale del potere di Costantino
150
6.13 Costanzo, la "bestia nera" della storiografia ecclesiastica
153
6.1-1 La nuova politica di Tcodosio il Grande: fede cristiana
156
6.15
160
6.16 «Che cosa c'entra l'imperatore con la Chiesa?»
162
6.17 Che cosa si aspettavano i vescovi dagli imperatori cristiani
della Chiesa in Egitto c
Atanasio
e ortodossia si possono imporre ormai con la forza
165
Il caso della sinagoga bruciata
7. Le
c
dd la citta punita
controversie dominali in Oriente (1): l'arianesimo
7.1 Lo stupore di Costantino di fronte ai conflitti teologici 166
7.2 Come mai il cristianesimo attribuiva tanta importanza
168
7.3 Pensiero filosofico applicato alla 13ibbia
169
7.-1 La preistoria della controversia ariana
alla teologia
171
7.5
172
7.6 HomoouJzos: come si può usare un termine non biblico
l fondamenti biblici dell'arianesimo
174
7.7 Guerra di citaLioni bibliche
175
7.8 «Inganno armeggiante col vuoto suono delle parole»
177
7.9 Quanto era forte il campo ariano?
178
7.10 Perché l'arianesimo non si diffuse in Occidente
180
7.11 Il cristiano comune di fronte alle dispute
181
7.12 Lo stile delle polemiche dottrinali
183
7.13 Se non Satana, almeno il cattivo carattere
18-1
7.14
L: vero che gli ariani negavano la divinità di Cristo?
185
7.15 Gli scomodi rigoristi
186
7.16 Le violenze perpetrate in nome della fede
188
7.17 Gli ondeggiamenù dell'opinione pubblica
190
8. Le controversie dottrinali in Oriente (2): la prima fase dei conOitti cristol ogici 8.1
L'oggetto dei conflitti cristologici
191
8.2 La tradizione antiochena e quella alessandrina
192
8.3
194
8.4 Cirillo: la sua religiosità e le sue violenze
197
8.5 Le ragioni profonde delle dispute cristologiche
198
8.6
Theotokos o anth1·opotokos?
n concilio di Efeso: gli avvenimenti prima dell'arrivo di rutti i partecipanti
200
8.7 Le. vicende di Nestorio dopo la sconfitta
202
8.8 Le Ione a Efeso non si estinguono
203
8.9 Le condizioni del compromesso
204
8.10 Nasce il monofisismo
206
8.11
207
8.12 Il "brigantaggio" eli Efeso nel449
n "faraone" Dioscoro
210
8.13 Come si manipolavano le assemblee episcopali
213
8.14 Dioscoro ricorre alla forza
216
9. Le controversie dottrinali in Oriente (3 ): il concilio
di Calcedonia 9.1 L'appello di Teodoreco a Leone Magno 218
9.2 L'imperatore si dichiara contento del "brigantaggio"
219
9J l teologi del V secolo hanno paura di pensare
220
9.4
.D capovolgimento della situazione: convocarjooe di un nuovo concilio
221
9.5 l legati pontifici durante i dibattiti
222
9.6 Burrascosi dibattiti durante il concilio
223
9.7
224
9.8 ll processo a Dioscoro e ai suoi collaboratori
229
9.9 l monaci devono obbedire ai vescovi
U Credo del concilio di Calcedooia
230
9.10 Costantinopoli dichiarata seconda città del mondo cristiano
232
9.11
234
9.12 Narura e porrata cle!J'opposizione al concilio in Oriente
2.36 238
9.13 Impossibile compromesso 9.14 La virroria di Pin-o di papa Ormisda
2.39
9.15 L'apo.logi.a della politica orientale dei papi: lo sviluppo
D conflitto tra Leone Magno e il concilio circa la posizione del patriarca di Costantinopoli
della dottrina del primato papale dopo Damaso 24.3
10. Il matrimonio e il sesso nella teoria e nella pratica ecclesiastica 10.1 Cesario di Arles
Copyrighted
m
aterial
244
10.2
Il minimo religioso del
10.3
Giaci con tua moglie al solo scopo di fare figli
\'l
secolo
Persistcn za degli dèi pagani nel cuore degli uomi ni
247
10.4
248
10.5
Brindisi di ubriachi in onore di santi e angeli
249
10.6
Il tributo delle decime
25 0
10.7
La morale coniugale secondo Basilio di Cesarea
252
10.8
Adulterio o fornicazione)
253
10.9
Trent'anni di penitenza per i peccati di sodomia c
di omosessualità
255
10.10 Matrimonio giust o, matrimonio unico
256
10.11
Da una parte i precetti ecclesiastici, dall'altra la realtà
257
10.12
259
10.13
La leg islazione sul divorzio [ divorzi nella realtà
261
10.14
J «bestiali costumi dell'ambiente pagano»
263
10.15
La morale coniugale dci pagani: come studiarla?
264
10.16
Cambiamenti dalla pa rte pagana
10.17
Due autori quasi cristiani : Plutarco
266 10.18 Amicizia 268
10.19
c
c
Musonio Rufo
salute
Da dove proviene l'avversione dei moralisti cristiani verso il sesso?
La Chiesa
le donne
271
11.
272
11.1
273
11.2
San Paolo ostile alle donne?
274
11.3
La posizione delle donne nelle comunità ebraiche e pagane
275
11 .4
Il grave problem a delle donne che profetizzano
277
11.5
Il ruo l o delle donne nei movimenti eterodossi
11.6
Tempo di vedove
c
Le lettere del corpus paolino sul ruolo delle donne nella Chiesa
279
11.7
VedO\'C canoniche e vedove giovani
282
11.8
Quando comincia il tempo delle vergini )
283
11.9
Le diaconesse
286
11.10
Il ruolo delle donne nel movimento monastico
287
11.11
Le grandi dame nella vit a della Chiesa
288
11.12
Sensibilità delle donn e al messaggio evangelico
291 292 295 297 299
12.
l miracoli
12.1
l razionalisti non sanno spiegare niente)
12.2
Cristianesimo senza miracoli?
12.3
La nostr a difficoltà a capire la fede nei miracoli
12.4
li significato religioso dei miracoli per cristiani e pagani
12.5
La tipol ogia miracol istic a
12.6 Miracoli di Asclepio 12.7
Miracoli punitivi
301
12.8 Miracoli come segno della volontà divina
304
12.9
Miracoli in occasione della morte di grandi peccatori c di santi
305
12.10 Miracoli per fermare Satana
306
12.11 l miracoli e il mcravigioso
13. Il culto dei santi
308
13.1 Tentativo di definizione 311
13.2 A quando risale il culto dci santi?
312
13.3 Ossa piu pre ziose di rare gemme
314
13.4 La differenza tra l'adorazione di Dio c il
317
13.5 Il culto dci santi: una manifestazione della
319
13.6 Il culto dei santi e la mentalità contemporanea
La testimonianza del Martirio di Policarpo cu lto
religiosit à popolare? 320
13.7 Gli inizi dello studio del culto dci santi
321
13.8 l hollandisti 13.9 Il conf1itto tra i bollandisti e i carmelitani
323 325
13.10 Interviene l'Jnquisizione sp agnola
329 Percorso bibliografico 343 Tavole cronologiche 389 Indice delle persone, dci personaggi biblici e
mitologici
dei martiri
Prefazione
Questo non vuole essere un libro sul cristianesimo antico nel suo insie me. Esso riguarda essenzialmente la storia dell'istituzione che siamo so liti chiamare "la Chiesa", nei secoli lll-\'1. Tratterò della gerarchia e della carriera ecclesiastiche, dei sinodi e dei concili che stabilivano i princìpi da seguire nell'attività pastorale, delle controversie dottrinali, dei capi ecclesiastici, del loro modo di pensare, della loro tattica, dei loro rap porti con le autorità laiche, del loro atteggiamento verso le leggi e le usanze in materie importanti per la Chiesa, come per esempio il matri monio. Dalla storia del cristianesimo antico ho cercato di ritagliare la storia della Chiesa in modo tale che essa si presentasse nitidamente, ma, al contempo, con tutte le sue complicazioni. Chiesa o Chiese? Più esatto sarebbe il plurale, anche quando abbia mo a che fare con l'antichità. Nella bimillenaria storia del "popolo di Dio", molto breve è stato il tempo in cui esisteva una sola Chiesa di Cristo. Tuttavia siamo abituati a dire e a scrivere "storia della Chiesa", al singolare. A quest'uso mi sono attenuta nel titolo del mio libro, c l'ho fatto perché non mi piacciono le stranezze lessicali. Il lettore constaterà che nel corso del libro non dimentico mai che esistevano (ed esistono) più Chiese, e non una sola Chiesa. La storia della Chiesa (delle Chiese) è oggetto di dispute numerose e a volte arroventate. Non si può studiarla con lo stesso freddo distacco con cui si studia, per esempio, la struttura politica delle città greche nel l'età ellenistica o l'andamento delle campagne galliche di Giulio Cesare. Le controversie sul passato del cristianesimo hanno più di una causa. Certamente una causa importante consiste nel fatto che le fonti di cui disponiamo per lo studio di questa o quella questione non sono abba stanza numerose o abbastanza degne di fede. Là dove la ricostruzione storica del passato si fonda non su attendibili informazioni provenienti dal passato stesso, ma su congetture di studiosi, è impossibile eliminare i dubbi e creare un ampio consenso. Se, per esempio, vogliamo rico struire il processo della cristianizzazione di un dato territorio in una data epoca, e ci mancano le informazioni indispensabili per calcolare il numero delle Chiese esistenti in quel territorio e in quell'epoca, nessuna operazione scientifica permetterà di raggiungere risultati soddisfacenti. Se sulla fase più antica della storia della Chiesa di Roma e di quella di Alessandria le nostre fonti ci forniscono ben poco, nessuna ipotesi che XI
Storia della Chiesa nella tarda antichità
uno storico proponga, per intelligente e dotta che essa sia, si salverà dalla critica impietosa dei suoi colleghi. Tuttavia altrettanto importante, come fonte di controversie sulla storia del cristianesimo, è il nostro atteggiamento verso la Chiesa quale essa è qui e ora, verso la sua forma odierna, verso La dottrina che essa professa oggi e le iniziative che oggi intraprende. Le opinioni sul passato e quelle sul presente della Chiesa sono infatti così strettamente legate tra di loro, che perfino a uno studioso che sappia osservare la disciplina intellettuale e abbia imparato a tenere sotto controllo le proprie simpatie e antipatie, riesce difficile evitare di proiettare le passioni, le inquietudini e i proble mi del suo tempo sui tempi passati, per Lontani che siano. All'interno della storia della Chiesa, il periodo antico costituisce un campo particolarmente delicato. Né le opere di storia della Chiesa me dievale, né quelle relative alla storia della Chiesa de.U'età moderna susci tano nei lettori quello stato di tesa vigilanza o addirittura di sospetto che di solito accompagna la lettura delle pubblicazioni riguardanti la Chiesa antica. Opinioni negative o perfino esplicite malignità a proposi to di papi dd xv o del XVI secolo passeranno inosservate, ma qualsiasi giudizio su uno dei grandi costruttori del papato, come Damaso o Leone Magno, sarà notato e commentato. Questo stato di cose ooo è affatto strano. 11 cristi�mesimo in tutte le sue varianti ba sempre attribuito e continua ad atrribuire un'autorità speciale alle opinioni degli autori cristiani antichi. Non per nulla questi scrittori furono chiamati Padri della Chiesa. Le loro opinioni venivano citate nel corso delle numerose controversie religiose, anche in quelle sorte molti secoli dopo la loro morte. Ancora oggi i rappresentanti delle Chiese cercano negli scritti dei Padri giustificazioni per decisioni odier ne; l'accordo del pensiero cristiano atmale con La dottrina formulata nella tarda antichità è considerato un argomento importante in favore delle prese di posizione di oggi. Nell'antichità (in parte prima di Costantino, in parte dopo Costantino, fin verso la fine del VI secolo) tutti i più importanti riti cristiani acquistarono una forma che sarebbe poi rimasta immutata fino a oggi, nacquero il culto dei santi e quello deUa Vergine, compa.rvero i monasteri, si sviluppò l'usanza dei pellegri naggi ecc. Quando si legge la lettera di Gregorio di Nazianzo che critica coloro che attribuiscono troppa importanza al pellegrinaggio a Gerusalemme (per esempio 2, 9: <
m
aterial
Prefazione sia quelle dovute all'insufficienza delle fonti, sia quelle che hanno radici in una concezione del mondo. Ho cercato infatti di scrivere il libro in modo tale da combinare un'esposizione di ciò che sappiamo su quelli che mi sembrano essere i fenomeni più importanti della storia antica della Chiesa, con informazioni e riflessioni destinate a svelare i retrosce na delle dispute che si sono svolte o si svolgono tra gli studiosi. L'ho fat to perché sono convinta che, a meno che si tratti di scrivere un manuale del tipo più elementare, lo storico debba sempre far vedere al lettore, per così dire, la propria "bottega artigianale", per renderlo consapevole del carattere mutevole del sapere storico, per fargli capire che, come la fisica, la chimica o la biologia, così anche la scienza del passato umano si modifica continuamente, si arricchisce e si complica. Non vedo per ché il lettore, che accetta senza protestare le informazioni sulle nuove teorie riguardanti la struttura delle stelle o dell'atomo, non dovrebbe capire che anche la scienza storica si evolve. C'è però anche un'altra ragione, più importante, dietro la mia deci sione di presentare almeno una parte delle polemiche. Mi è sembrato che un libro così costruito potesse creare, per il lettore come per l'auto re, un'occasione per fare un serio esame di coscienza storico e per dedi carsi a esercizi mentali destinati a sviluppare in noi q_uel meraviglioso dono della civiltà moderna che è la cultura storica. E questa cultura che, imponendoci l'obbligo di trattare il passato con rispetto e di sfor zarci di capire i motivi e il senso delle azioni dei nostri antenati, senza sentire il bisogno di identificarci con loro, ci dà la possibilità di prende re coscienza del nostro legame con i cristiani dei primi secoli e, al tem po stesso, delle profonde differenze che ci separano da essi. Tale atteggiamento ci è oggi estremamente necessario, perché senza di esso è impossibile comprendere un messaggio religioso nato molti se coli fa, in mezzo a uomini di mentalità diversa dalla nostra. La barriera creata dal tempo può efficacemente respingere il lettore di oggi da testi a prima vista strani, può renderlo insensibile al loro contenuto religioso, o addirittura far apparire ridicoli i loro discorsi. La comprensione e l'accettazione del messaggio religioso cristiano ri chiedono sempre una selezione dei suoi contenuti, una separazione di ciò che è verità non intaccata dal trascorrere dei secoli, da ciò che biso gna considerare caduco, legato alle età passate e tramontato insieme con esse. Dirigere tale processo non è evidentemente compito dello storico. n lettore non troverà nel mio libro un discorso spassionato, accademico, contegnoso. Troverà un discorso segnato da una passione che non cerca Ji nascondersi. Ho scelto questo modo di scrivere sulla storia della Chiesa, perché penso che mettendo in luce i retroscena delle ricerche storiche, aiuterò il lettore a capire la storia dellà Chiesa e con ciò a lotta
re contro due atteggiamenti opposti e in egual misura pericolosi per l'in sieme della nostra cultura: la pura apologetica e il puro anticlericalismo. In questo libro, com'è naturale, vista la ricchezza e l'importanza della materia, mi occupo di moltissime questioni, seguo numerose vie di riXIII
Storia della Chie.1a nella tarda antichità cerca, attacco o difendo varie opinioni, giungo a varie conclusioni. Tra le conclusioni, una mi sta talmente a cuore che desidero enunciarla su bito qui, sulla soglia del libro, per raccomandarla alla memoria del let tore. Lo studio serio della storia della Chiesa antica mostra chiaramente che essa non fu una marcia lineare e trionfale, una vicenda in cui i cri stiani buoni fossero nettamente separati dai cristiani cattivi, degni di es sere condannati in blocco o ignorati. Essa fu una serie di lotte confuse, estremamente dolorose per i partecipanti, a volte addirittura sanguino se. Noi siamo eredi di tutte le parti che lottarono tra di loro nelle con troversie religiose della tarda antichità. Grandezza e meschinità, ambi zioni e devozione erano mescolate in modo tale che, a distanza di secoli, non siamo in grado di sceverarle. I grandi uomini di Chiesa che diedero inizio a immensi cambiamenti e indicarono la via a intere generazioni, erano capaci di compiere sia il bene sia il male. Si conducevano gli uo mini a Dio con la persuasione, ma anche con la violenza; ci si persegui· tava a vicenda con inaudito accanimento in nome della religione evan gelica che tanta importanza dà all'amore del prossimo. Questa serie di lotte è di solito considerata una manifestazione della debolezza del cri stianesimo, un aspetto di esso che sarebbe buono da attaccare o di cui ci si dovrebbe vergognare. La storiografia apologetica si è adoperata per far sembrare lisce le vie della Chiesa. lo invece vedo in quei dram· matici conflitti la grandezza del cristianesimo, la sua ricchezza, un feno meno che suscita rispetto e che l'uomo di oggi può osservare con ammi razione e simpatia. Ciò che fu creato dalle generazioni della tarda antichità, segnate dal l'inquietudine religiosa, fa parte delle fondamenta della nostra civiltà. Potremmo naturalmente interessarci soltanto dei risultati duraturi dello sforzo di quelle generazioni, fare astrazione dalle esitazioni, ignorare le idee e le istituzioni perdute per strada. Per parte mia preferisco osserva re, con la volontà di capirli, i meandri del processo di creazione del re raggio cristiano, scorgendo in essi sia le speranze, le nostalgie e le mise rie degli individui, sia l'altezza metafisica che diede senso all'esistenza delle generazioni successive.
XIV
l. I pastori del popolo di Dio
In questo capitolo mi propongo di esaminare la Chiesa dal punto di vista istitu zionale, prendendo come punto di partenza il suo stato alla fine del 11 secolo e come punto d'arrivo la fine del tv. Per prima cosa parlerò del clero: della sua struttura gerarchica del sistema delle nomine, dei com piti sacer dotali connessi ai vari gradi, della carriera ecclesiastica, della provenienza sociale, della mentalità specifica e delle procedure con cui venivano prese le decisioni più importanti. Descriverò l'ossatura dell'or ganizzazione chiesastica e svelerò i segreti della geografia ecclesiastica e delle tattiche seguite nella lotta per la conquista dell'egemonia nel mon do cristiano. Questi dati serviranno per dimostrare al lettore quanto, malgrado la sostanziale identità, la Chiesa della tarda antichità differisse da quella che egli conosce per esperienza person ale Tralascerò la Chiesa dei tempi in cui la sua direzione era quasi esclusi vamente in mano ai carismatici, ossia a persone che consideravano se stesse, ed erano considerate, dotate di doni speciali ricevuti dallo Spirito Santo, né mi occuperò del processo di sostituzione dei carisma tici da parte di capi eletti per meriti comuni, quali la devozione, la capa cità di organizzare attività filantropiche, di guidare il clero e via dicen do. Si trattò di un processo doloroso e in certi ambienti anche lungo, dur ante il quale i gruppi dei carismatici furono estromessi dalla Chiesa (la Grande Chiesa, come gli storici contemporanei per lo più la defini scono). Erano sospettati di essere indemoniati satanici e venivano trat tati con grande diffidenza, una diffidenza destinata a crescere con il tempo A questo proposito citerò un solo frammento della Storia eccle Iiastica d i Eusebio di Cesarea che bene illustra l'atmosfera nella quale dovevano operare i carismatici. Il passo riguarda Montano, artefice di un'importante, nonché duratura, eresia: ,
.
.
Montano [. . ] nella brama smisurata della sua anima per il primato, permise .
all'avversario di entrare in lui, e divenne un ossesso,
c
andò improvvisamente
in delirio e cominciò a parlare dicendo cose strane, facendo profezie opposte a quelle tramandate abitualmente dalla tradizione Chiesa fin dall'inizio.1
1 Eusebio di Cesarea, Storia
eccleJiaJtica, v,
16.
c
dalla successione della
Storia della Chiesa nella tarda antichità Mi limiterò dunque a esaminare la problematica strettamente ecclesia stica, nella quale inserirò le notizie e i chiarimenti su realtà esterne alla Chiesa che di volta in volta si renderanno necessari. Desidero tuttavia precisare fin d'ora una questione, particolarmente importante per la comprensione dei temi trattati nei capitoli successivi.
1.1 L'Oriente greco e l'Occidente latino: la fine dell'unità mediterranea Nel IV secolo, e quindi nel periodo esaminato più diffusamente in que sto libro, si compì il processo di divisione del mondo mediterraneo in due parti, quella di lingua greca e quella di lingua latina, che, con il pas sare del tempo, si allontanarono sempre di più sotto ogni punto di vista. Le differenze tra la parte occidentale e quella orientale del.l'in1pero era no sempre esistite, anche nel periodo di massima stabilità e unità politi ca; tuttavia, negli anni del.la crisi e.<>se si acuirono con forza e velocità tali che alla fine del IV secolo la separazione era già una realtà di fatto, benché l'impero fosse sempre retto da un unico sovrano. Con la morte di Teodosio il Grande (395) la divisione politica divenne definitiva; solo più tardi, verso la metà del VI secolo, Giustiniano sarebbe riuscito a ri conquistare parte dell'Occidente, ma la brevità del suo successo e il prezzo spaventoso che esso venne a costare furono la prova lampante che l'unità mediterranea era morta per sempre. Particolarmente importanti erano le differenze in campo lingui<;tico. Già nel IV secolo il numero di coloro che conoscevano bene il greco e il latino cominciò a scemare in modo preoccupante. Ogni volta che si do vevano tradurre gli scritti scambiati tra le Chiese diventava sempre più difficile reperire traduttori competenti. Se i candidati grecofoni alla car riera burocratica studiavano il latino per conoscere i testi e la termino logia del diritto romano, l'élite greca non aveva mai provato a leggere i testi latini; né le cose andavano meglio nelle Chiese orientali per quanto riguardava la conoscenza della teologia occidentale. Erano piuttosto le élite latine a studiare la lingua e la letteratura greca, quest'ultima consi derata un modello di creazione letteraria. Le differenze di costume e di mentalità, sempre esistite, si rafforzaro no per effetto del cambiamento di vita. In Occidente la crisi delle città fu più profonda e precoce che in Oriente, il che spiega anche la relativa soprawivenza del patrimonio culturale antico nella parte orientale del l'impero (circostanza fondamentale per la storia della dottrina ecclesia stica) e la sua scomparsa in quella occidentale: esso infatti non poteva esistere fuori dell'ambito cittadino. I rapporti tra Oriente e Occidente erano cantterz i zati da una crescen te indifferenza reciproca; il ricordo del passato comune perdurava e si faceva talvolta sentire come argomento di propaganda, ma con il passare del tempo la sua ponata scemava, mentre crescevano irrìmediabilmente il disprezzo e l'irritazione per la diversità dell'altra parte. 2 Copyrigflled m atenal
I pastori deL popolo di Dio
Questo "scollamento" va tenuto presente al fine di comprendere i rap porti tra il cristianesimo orientale e quello occidentale. Nel campo della fede il senso di comunione era più forte che in altri settori, ma la man canza di comprensione e di interesse reciproci in tutto il resto non facili tava la collaborazione tra le Chiese. L'Oriente non si rendeva conto (né desiderava farlo) di quanto fossero importanti i processi che attiravano attorno a Roma le Chiese occidentali. Il primato di Roma nella sfera dot trinale era accettato da tutti, specie se non si cercava di precisarne trop po la sostanza, e il bisogno di mantenere l'unità restava fortemente senti to, senza che ciò comportasse l'accettazione del nuovo modello di Chiesa elaborato a Roma. L'assenza di una vera comprensione, nonché la man canza della più elementare simpatia per ciò di cui viveva e a cui si appas sionava l'Oriente, caratterizzava d'altra parte i rappresentanti delle Chiese occidentali. Neanche quando intervenivano con successo (dal loro punto di vista) nei conflitti teologici dell'Oriente essi dimostravano sufficiente comprensione della misura e della natura delle emozioni su scitate da quelle liti sui dogmi, tanto scandalose per i latini. Non sempre i vescovi d'Occidente erano in grado di valutare correttamente la distribu zione delle forze nelle Chiese d'Oriente, di capire le ragioni delle lacera zioni e di rendersi conto di quanto fossero gravi. Le loro iniziative, di tanto in tanto coronate da successi, originavano ulteriori conflitti: l'inetti tudine e l'ostinazione producevano spesso frutti amari. Parlando della divisione ecclesiastica tra Oriente e Occidente do vremmo evitare di !asciarci influenzare dalla reazione emotiva che oggi il concetto di "Oriente", che ci predispone subito in modo negativo, susci ta in noi. In quasi tutte le opere sulla storia della Chiesa si percepisce una diffusa avversione per l'Oriente. Le ragioni sono molteplici: in pri mo luogo gli storici cattolici che si occupano delle Chiese orientali della tarda antichità non riescono a frenare l'irritazione originata dal loro ri fiuto di sottomettersi alla guida del papa; come se non bastasse, agli oc chi di questi autori le Chiese orientali tra il IV e il VI secolo sono le diret te antenate delle Chiese ortodosse, che gli apologeti del cattolicesimo non hanno motivo né di amare né di rispettare (basta vedere con quanto più rispetto e obiettività i medesimi autori parlano dci protestanti d'ogni specie). Per fortuna negli ultimi decenni, da quando cioè la Chiesa ha adottato il principio dell'ecumenismo, molte cose sono cambiate: non resta che augurarsi che il processo si estenda il più possibile.
1.2 Chiesa e Chiese
Il lettore si sarà certamente accorto di come talvolta io usi la parola "Chiesa" al plurale proprio laddove egli si aspetterebbe di trovarla al singolare; si tratta di una scelta voluta. Fino al IV secolo la Chiesa, come struttura organizzativa unica, non esisteva ancora. Le comunità cristiane delle varie città, e talvolta anche dei grandi villaggi, formavano Chiese 3
Storia della Chiesa nella tarda antichità
autonome. La limitazione della libertà, l'inserimento in un'organizzazio ne gerarchicamente strutturata, la subordinazione dei vescovi all'autorità di altri superiori e l'elaborazione di un insieme di princìpi destinati a guidare il clero (chiamati tradizionalmente, anche se nel caso dell' anti chità prematuramente, "diritto canonico") si realizzarono per gradi nel corso del IV secolo, nell'ambito di un processo destinato a compiersi solo nei secoli successivi. Ovviamente, dal punto di vista religioso, fin dall'inizio la Chiesa fu sempre avvertita come qualcosa di unico, come un solo popolo di Cristo animato dalla stessa fede e dalle stesse speran ze. Ma nella sfera della liturgia esistevano già notevoli differenze: i testi delle preghiere, persino delle più importanti per il rito cristiano, differi vano molto gli uni dagli altri e il calendario ecclesiastico era tutt'altro che uniforme. Le Chiese si mantenevano in continuo contatto tra loro: i vescovi inviavano messi con lettere e informazioni orali su quanto acca deva e si consigliavano a vicenda ogni volta che si presentavano difficoltà organizzative e dubbi dottrinali. Se però un vescovo non gradiva inviare lettere né consigliarsi con altri pastori né attenersi alle decisioni comuni, f e tuttavia le sue pecorelle si dichiaravano soddisfatte, niente c nessuno poteva costringerlo a collaborare.
1.3 Il ruolo dei vescovi nella Chiesa
Il ruolo del vescovo nella sfera delle attività della Chiesa antica era mol to più importante di quanto non lo sia oggi. I cambiamenti nell'organiz zazione ecclesiastica verificatisi nel TV secolo, anche se sottomisero il ve scovo al potere gerarchico, non diminuirono affatto la portata dei suoi compiti né l'importanza di questi dal punto di vista dei membri della comunità amministrata. Il vescovo continuò sempre a rimanere il cardi ne di tutte le attività della Chiesa. Egli non solo organizzava l'attività pastorale, ma in larga misura vi partecipava. Nell'antichità, anche in quella più tarda, il vescovo battez zava personalmente i membri della comunità. ln situazioni eccezionali il battesimo poteva venir impartito anche dagli altri membri del clero e perfino dai comuni fedeli, tuttavia si trattava di un rito incompleto che andava perfezionato mediante l'imposizione delle mani, atto attraverso il quale il vescovo trasmetteva i doni dello Spirito Santo. Uno dei compiti fondamentali del vescovo era quello di insegnare le verità di fede. ln moltissime Chiese del IV secolo era impensabile, e spes so formalmente proibito, che i presbiteri pronunciassero prediche. Era il vescovo a preparare le persone desiderose di battezzarsi, a insegnare loro le verità di fede, a impartire la benedizione ai catecumeni nonché a esorcizzarli, per rafforzarli nella lotta contro Satana, dal cui potere il bat tesimo doveva affrancarli. Era il vescovo a espellere i peccatori dalla co munità e solo lui poteva riaccoglierli. Il vescovo di un'altra città che avesse ammesso all'offerta eucaristica una persona privata di tale diritto 4
I pastori del popolo di Dio
(
si esponeva alia condanna e, a partire dal TV secolo, anche a provvedi menti disciplinari. Il vescovo, inoltre, consacrava i nuovi membri del clero locale. L'uso ecclesiastico gli imponeva di consultare in proposito coloro che già ne facevano parte, e tra questi erano tenuti a pronunciarsi soprattutto i presbiteri gerarchicamente più in alto. Se però non seguiva tale prassi, e prendeva una decisione arbitraria, nessuno in realtà poteva costrin gerlo a ritrattarla ed essa restava in vigore. Un membro del clero che avesse abbandonato la città dove era stato consacrato, trasferendosi al trove senza l'autorizzazione del vescovo, senza una sua lettera che ne attestasse i retti costumi e la capacità di svolgere le mansioni ecclesia stiche, non poteva (almeno in teoria) essere accolto nel clero della nuo va località. L'assoluta sottomissione del clero al potere del vescovo era fonte di pericoli. Sia in buona che in mala fede il vescovo poteva danneggiare gravemente un proprio sottoposto. E infatti non tutti accettavano di buon grado il verdetto episcopale: spesso ingaggiavano battaglia, spor gendo denuncia presso altri vescovi oppure, benché l'uso ecclesiastico lo proibisse, presso tribunali laici (soprattutto quando entravano in gio co questioni di denaro). In linea di massima un vescovo esterno alla co munità non poteva intervenire in simili situazioni; i casi di lampante in giustizia erano tuttavia così frequenti, che era impossibile ignorarli. Talvolta la stessa rivalità tra le Chiese induceva un vescovo a tutelare chi aveva subito un torto, al solo scopo di fare dispetto a un collega. La massa di persone che sporgevano denuncia era un tale intralcio al buon funzionamento della Chiesa, che già al concilio di Nicea, quindi nel 325, fu presa una decisione che con poche varianti sarebbe stata confer mata dai successivi raduni episcopali: Quanto agli scomunicati, sia ecclesiastici che laici, la sentenza dci vescovi di ciascuna provincia abbia forza di legge secondo la norma per cui chi è stato scomunicato da alcuni non sia accolto da altri.
È necessario tuttavia assicurar
si che questi non siano stati allontanati dalla comunità per grettezza d'animo o per spirito di contraddizione o per altro sentimento d'odio del vescovo. Perché questo esame possa svolgersi più adeguatamente� è sembrato bene che in ogni provincia due volte l'anno si celebri un sinodo, di modo che le questioni siano discusse da tutti i vescovi della stessa provincia riuniti insie me,
c
così sia chiaro a tutti che quelli che hanno mancato in modo evidente
contro il proprio vescovo sono stati opportunamente scomunicati. Tale sco-
V munica
resterà fino a che l'assemblea dei vescovi
o
il vescovo stesso non ri
tenga di formulare una sentenza più mite. I sinodi siano celebrati uno prima della Quaresima perché, superato ogni dissenso, possa essere offerto a Dio un dono purissimo, l'altro in autunno2
2 Conàlzòrum Oecumenicorum Decreta, a c. di G. Alberigo, 1991, canone 5 del concilio di Nicca.
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EDB,
Bologna
Storia delta Chiesa nella tarda antichità A parte la possibilità di rivolgersi alle adunanze episcopali di una data provincia, i] danneggiato poteva, concordemente con le usanze stabilite
in precedenza ma formalmente confem1ate nel IV secolo, recarsi dal ve scovo di una città posta piì:1 in alto nella scala gerarchica: il metropolita. Dei metropoliti parlerò diffusamente più avanti. Le probabilità che le denunce contro il proprio vescovo fossero bene accolte erano scarse. Occorrevano prove evidenti di tm procedimento clamorosamente contrario alla legge, oppure aspri conilitti tra i vescovi (in ral caso i nemici del vescovo sfruttavano qualsiasi accusa, anche la meno documentata), perché la richiesta dd danneggiato ottenesse qual che risultato. Ciò era dovuto alla mentalità dei gruppi gerarchizzati, che dava automaticamente ra!,>ione ai rappresentanti dei gradini più alti, considerando le proteste provenienti dal basso come attentati alle basi dell'intero edificio. Nel JV secolo ai vescovi venne attribuita una nuova funzione: il con trollo su monaci e suore. Si trattava di un compito tutt'altro che facile. I monaci crearono con estrema rapidità un gruppo di pressione sui ve scovi, attivo soprattutto nei periodi di conflitti dottrinali, per indurii a una lotta più attiva contro pagani, ebrei ed eretici e che trattava con so spetto i pastori contrari alle violenze.
1.4 La gestione del patrimonio ecclesiastko Già nel III secolo La Chiesa possedeva un cospicuo patrimonio che com prendeva edifici, terre, denaro, provviste di gnmo e di altri prodotti agricoli, vesti, vasellame ecc., tutti beni provenienti dalle offerte dei fe deli. Con il passare del tempo, i beni ecclesiastici crebbero rapidamente grazie anche agli imperatori, che provvedevano generosamente ai biso gni della Chiesa; crebbe anche il numero dei membri facoltosi delle co munità, per i quali la munificenza nei confronti della Chiesa era una buona occasione per ostentare La propria ricchezza e affermare il pro prio stato sociale. Se in passato le famiglie più abbienti aiutavano i loro concittadini nell'ambito delle istituzioni civiche, la crisi della polis, della civitas, fece sl che quel rivolo oblatorio si dirigesse verso la Chiesa. Ai vescovi spettava il compito di amministrare il patrimonio delle ri spettive Chiese secondo il proprio discernimento. Esaminando le dj. scussioni sui princìpi ai quali dovevano attenersi (discussioni ricorrenti nei sinodi e nei concili e aventi il risultato di approvare prescrizioni det te "canoni" nella terminologia ecclesiastica), risulta evidente che si cer cava di evitare due estremi ugualmente pericolosi. Non si potevano im porre al vescovo regole troppo precise, e soprattutto non lo si poteva sottoporre a un controllo particolarmente rigoroso. L'attività illantropi ca, così importante per le comunità cristiane, richiedeva che il vescovo potesse disporre liberamente del denaro, senza dover rendere conto a nessuno delle proprie elargizioni. Durante le persecuzioni il vescovo ri6 Copyrighted
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l pastori del popolo di Dio
correva spesso al dena ro per corrompere funzionari, carcerieri e simili, e anche nell'impero cristiano non mancavano situazioni in cui il denaro serviva ad affrettare il disbrigo di questa o quella faccenda. La discre zione era quindi di rigore. D'altro canto, l'affidarsi interamente al ve scovo poteva risultare pericoloso, qualora si fosse trattato di una perso na disonesta oppure incapace, nel qual caso la Chiesa poteva rischiare perdite ingenti. Nel corso dci sinodi i vescovi tentarono quindi di defi nire gli ambiti in cui era lecito spendere il denaro ecclesiastico, e so prattutto cercarono di limitare la possibilità di disporre liberamente de gli immobili appartenenti alla Chiesa. Si ripeteva che non erano ammis sibili casi di vescovi che al momento della morte disponevano di un pa trimonio personale superiore a quello di quando erano entrati in carica c che, in linea di massima, quel sovrappiù doveva andare alla Chiesa. Ma come dimostrare l'o rigine dell'arricchimento? Il vescovo poteva aver ampliato il proprio patrimonio con mezzi leciti c senza ricorrere al denaro ecclesiastico; era dunque molto difficile stabilire se avesse o meno agito in mala fede. Verso la metà del v secolo, al concilio di Calcedonia i partecipanti im posero a tutti i vescovi di nominare un funzionario ecclesiastico (chiamat to oikonomos, "economo"), con il compito di collaborare all'amministra zione e dunque di condividere la responsabilità delle finanze ecclesiasti che. Naturalmente i vescovi si servivano di aiutanti in questo campo an che prima di allora ; tuttavia si trattava di persone prive di uno specifico status, e i partecipanti al concilio di Calcedonia pensarono che formaliz zarne la posizione avrebbe mutato il carattere del loro operato. Si confi dava nel fatto che una persona insignita di un titolo così prestigioso si sa rebbe sentita parte integrante della macchina ecclesiastica (e non solo della "casa" del vescovo), trasformandosi in una specie di controllore delle iniziative episcopali. L'economo tuttavia continuava a essere stret tamente subordinato al vescovo e ad agire esclusivamente su suo incari co, per cui c'è da dubitare che la sua nomina diminuisse effettivamente il rischio di disonestà c leggerezza. Nella Chiesa gli scandali finanziari non mancavano certo, e la maggior parte delle questioni disciplinari concer neva proprio gli abusi patrimoniali. Nelle comunità i vescovi avevano sempre rivestito un ruolo di arbitri nei dissidi tra fedeli; nel IV secolo questa forma di amm inistrazione del la giustizia, chiamata episcopali.\· audientia ( non mancherà occasione di parlarne più diffusamente), venne formalizzata cd estesa grazie ai privi legi imperiali concessi in suo favore. Si trattava di un importante stru mento di potere, ragion per cui i privilegi imperiali che lo concernevano furono salutati con soddisfazione dalla Chiesa, ma nel l a vita quotidiana rappresentava una maledizione per un pastore scrupoloso, poiché as sorbiva un'enorme quantità del suo tempo e lo costringeva a prendere decisioni in ambiti di cui a volte possedeva una scarsa conoscenza.
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Storta della Chiesa nella tarda antichità 1.5 Le elezioni dei vescovi
Per le Chiese l'elezione del vescovo era un evento fondamentale, che scatenava comprensibili passioni. I partecipanti alla complicata proce dura destinata a nominare il nuovo pastore della comunità ricordavano le raccomandazioni neotestamentarie: Se qualcuno aspira all'episcopato, desidera un ufficio eccellente. Bisogna, però, che il vescovo sia irreprensibile, marito di una sola donna, sobrio, pru dente, decoroso, ospitale, capace di insegnare, non Jcdito al vino, non violen to, ma indulgente, pacifico
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disinteressato; che sappia dirigere bene la sua
casa, tenere i suoi figli sottomessi con perfetta dignità; perché se uno non sa dirigere bene la propria famiglia, come potrà avere cura della Chiesa di Dio? Non sia un convertito da poco tempo, per timore che, gonfiatosi d'orgoglio, abbia a incorrere nella stessa condanna del diavolo. Inoltre, deve godere buo na fama da parte Jci non ancora cristiani, affinché non cada in discredito e nei lacci del diavolo. (l Tm 3, 1-17)l
Le prescrizioni della Prima Lettera a Timoteo erano formulate in modo talmente generico, da risultare di scarso aiuto nel corso delle contese elettorali. Se ne deduceva semplicemente che chi avesse avuto due mo gli non poteva essere fatto vescovo e che il comportamento scorretto dci suoi figli costituiva un argomento negativo. Nel JV secolo alla procedura elettorale partecipavano tre gruppi di stinti: il clero della Chiesa in questione, i vescovi delle città vicine (me glio ancora quelli di tutta la provincia) con a capo il metropolita (al quale spettava la decisione definitiva), e i laici. Nel m secolo i vescovi ri vestivano sicuramente un ruolo minore (per non parlare del metropoli ta: le strutture metropolitane stavano appena nascendo), mentre conta va molto di più la voce del popolo. Quando l'impero cominciò a essere governato da imperatori cristiani, la nomina dci principali vescovi avve niva spesso con il loro consenso, il che non implicava necessariamente un intervento attivo cd esplicito; il più delle volte si concordavano i candidati con l'imperatore o con i suoi rappresentanti. Chi poteva aspettarsi una buona accoglienza a corte godeva di maggiori probabilità anche agli occhi dei fedeli e dei semplici membri del clero, in quanto si sperava che avrebbe avuto maggiori probabilità di "sbrigare" pratiche
l L'autore usa il termine epùkope traJotto qui con "episcopato"; più avanti parlerà di episkopor. C'è comunque da dubitare fortemente che ai tempi in cui questo testo veniva scritto esistesse già la carica di vescovo nella forma a noi nota dalla storia più tarda della Chiesa. La cosa non ha comunque importanza per le nostre considerazioni. In primo luogo, questo passo formula dei princìpi riguardanti le guide delle comunità cristiane in senso lato, indipendentemente dal titolo portato; in secondo luogo, nella tarda antichità nessuno si chiedeva che senso avessero nel testo i termini episkopè cd (!p/skopos: le indicazioni in esso contenute venivano riferite al vescovo.
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I pastori del popolo di Dio
utili alla città. Tuttavia conosciamo innumerevoli casi in cui venivano elette persone sgradite alle autorità. Molto spesso si teneva conto dell'opinione del vescovo defunto, pro muovendo uno dci suoi più stretti collaboratori. Accadeva infatti che prima di morire i vescovi esprimessero apertamente la propria volontà o che addirittura, benché fosse vietato, consacrassero il successore men tre erano ancora in vita. Ma nel111 e nel IV secolo non esistevano proce dure rigorose a cui attenersi in tutte le occasioni: la pratica, infatti, rive lava spesso grandi incertezze; tutto dipendeva dalle condizioni locali, dalle tradizioni c dagli eventuali candidati. Il desiderio generale era quello dell'unanimità, nella quale si ravvisava un segno della volontà e dell'ispirazione dello Spirito Santo. La procedura più naturale era quella di eleggere vescovo un membro del clero locale, esperto dei problemi del posto e la cui attività fosse già stata sperimentata. Le fonti, tuttavia, ci segnalano che questa norma non sempre veniva rispettata. Non solo si nominavano persone che pre cedentemente non avevano rivestito alcuna funzione nella Chiesa, ma si eleggevano alla dignità episcopale neofiti o addirittura catecumeni. Ricorderò i casi di Ambrogio 3 ( 40 ca.-397), di Nettario, vescovo Ji Costantinopoli (381-397), di Sinesio di Cirene ( nato tra il370 e il379; vescovo Jal410; morto dopo il413). Non si sa quale fosse la percentua le di tali elezioni, irregolari dal punto di vista della procedura ecclesia stica. Purtroppo ciò che sappiamo su casi concreti di elezioni vescovili riguarda sempre casi speciali, per cui non possiamo disporre di un orientamento statistico in proposito. Ritengo però che le elezioni irre golari fossero rare, in quanto il clero preferiva osservare la regola di una carriera graduale e non vedeva di buon occhio l'intrusione di estranei nei fatti propri. Talvolta alla dignità vescovile venivano elevate personalità provenien ti da altre città. Non disponendo di un candidato adatto, clero c popolo potevano cercare il futuro vescovo nelle località vicine; spesso, però, troviamo sul seggio episcopale persone provenienti da paesi lontani, per esempio in Italia gente venuta dall'Egitto e dalla Siria. Se la decisione effettiva veniva presa fuori della diocesi, in quanto spettante ai metro politi, ai patriarchi o al sovrano, allora le probabilità che venisse eletto uno straniero, ma in compenso provvisto di altre qualità, crescevano. Ben presto, con l'espansione del movimento monastico, ex monaci apparvero tra i vescovi; l'enorme prestigio conferito dall'ascesi facilitava loro la conquista e l'esercizio della carica vescovile. I monaci, però, rea givano in vario modo alla proposta di tale incarico; molti, desiderosi di servire la Chiesa e di migliorare il mondo corrotto, consideravano l'of ferta di abbracciare la funzione episcopale come la voce di Dio che li chiamava alla lotta contro Satana, e le ambizioni, appena appena frena te dall'ascesi, facilitavano loro l'adattamento alle nuove condizioni. Ma per altri il ritorno al "mondo" al quale avevano rinunciato, l'immersio ne nella lotta tra la gente c l'obbligo ai compromessi anche nella sfera 9
Storia delta Chiesa nella tarda anticbità morale rappresentavano una prova troppo dura, alla quale cercavano di sottrarsi fuggendo o protestando. La resistenza aumentava il loro presti gio ed era considerata di buon auspicio per l'operato futuro ("rifiuta l'ordmazione, quindi la merita"). La gente oon vedeva di buon occhio l'ambizione esplicitamente dichiarata, anche se nella Prima lettera a Timoteo essa non veniva affatto condannata, come si evince dalle paro le: «Se qualcuno aspira all'episcopato, desidera un ufficio eccellente». Le grida di protesta e il rimpianto della pace perduta divennero con il tempo una specie di stereoripo: nel Medioevo il candidato a diventare patriarca di Alessandria, di solito scelto già allora in uno dei grandi e celebri monasteri, veniva condotto alla cerimonia in catene! La presenza alla cerimonia dei vescovi delle altre città era indispensa bile, in quanto erano loro cbe, imponendo le mani sulla testa delJ'eletto, compivano la sacramentale trasmissione dei doni dello Spirito Santo. Si trattava di un atto costitutivo, senza il quale l'ordinazione era inlpossi bile; vi furono tuttavia alcuni casi dì elezioni episcopali irregolari in pic coli gruppi eretici, ma la Grande Chiesa intervenne in maniera decisa allo scopo di porre fine a una simile eventualità. Già nel m secolo, infat ti, venne formulata la norma per cui l'ordinazione andava fatta non da un vescovo solo, ma da almeno tre. Tale esigenza non aveva un carattere sacramentale, ma era frutto di esperienze negative; l.a presenza di tre ve scovi offriva una più solida garanzia contro il pericolo di decisioni arbi trarie o prese alla leggera. Nel lV secolo il ruolo dei vescovi nel corso delle elezioni aumentò considerevolmente. Si cercava in ogni modo di convocare tutti i pastori di una data provincia e, se ciò non era possibi le, si aspettava che inviassero il loro assenso scritto al risultato delle ele zioni; solo allora si procedeva alla consacrazione dell'eletto, per cui la cerimonia poteva avere luogo anche a distanza di molto tempo. Malgrado tutti i cambiamenti nei costumi ecclesiastici, il ruolo dei lai ci fu sempre enorme. A pesare di più era ovviamente la voce dei notabi li locali: facoltosi possidenti, funzionari, capi di corporazioni artigiane ecc. Essi partecipavano personalmente alle trattative e quando si diffuse l'usanza di redigere protocolli scritti della procedura, li firmavano insie me ai vescovi e ai membri del clero. Ma non solo; anche i comuni abi tanti della città potevano intervenire provocando tumulti, rifiurandosi di panecipare alla pubblica acclamazione, o manifestando rumorosa mente le proprie preferenze. In questo modo essi riuscivano a impedire la presa di possesso della cat·ica o addirimua a costringere il vescovo alle dimissioni a investitura avvenuta. Di fronte alla folla urlante il ve scovo non aveva scampo, non potendo ricorrere a nessun mezzo di coercizione. Se chiedeva aiuto agli alti dignitari laici e costoro inviavano soldati a reprimere la protesta, prima o poi la faccenda finiva male, in quanto l'opinione pubblica considerava quel modo di agire una prova di debolezza e di mancanza di autorità. In questi casi, il più delle volte la folla veniva manipolata e agiva su istigazione degli ahri candidati e dei loro sostenitori. Non dimentichia10 Copyrighted
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l pastori del popolo di Dio
mo che solo di rado l'immagine del popolo di Dio che, con i vescovi e il clero locale, approvava unanimemente festante la persona del nuovo pastore rispondeva a realtà. L a Chiesa aveva ereditato dall'antico siste ma della polis la tipica tendenza alla rivalità tra individui desiderosi di esercitare il potere. Nelle città dov'era venuto a mancare il vescovo, si creavano coalizioni di famiglie e di ambienti già orientati verso la perso na adatta a governare la Chiesa. Far scendere il popolo in strada era un'iniziativa rischiosa ma efficace, se si riusciva a preparare debitamen te l'atmosfera. La manipolazione aveva comunque dei limiti, poiché non si poteva spingere la folla a manifestare a favore di un candidato impopolare o sconosciuto, e consisteva principalmente nell'alzare la temperatura emotiva della città e nell'organizzare manifestazioni popo lari collettive. 1.6
Due casi di elezione diametralmente opposti: Damaso e Ambrogio
Uno dei conflitti più significativi (oltre che cruenti) connessi alla lotta per il seggio episcopale si verificò dopo la morte del vescovo di Roma Liberio (352-366). Nel 355 nel corso del sti'o episcopatò"(é]i cui parlero riè'rtapitolo seguente), T;t'erio fu esiliato da Roma per ordine dell'im peratore Costanzo Il e àl'Sùo-posto Véiìilè consacrato il n� vescovo, Felice. Liberìo t0:'ifò7�t� d9po tre anni e le autorità trasferliono lì:icii=�Roma il suo concorrente. Quandò nel 1.6.5 Felice morì, la questio ne dello scisma sembrava definitivamente risolta, sebbene entrambi i contendenti avessero i propri sostenitori. Liberio, con mezzi più che lo devoli, fece di tutto per attirare dalla sua parte i seguaci dell'avversario. Tuttavia il conflitto prese nuovo vigore, con toni spesso drammatici. I fatti che ne derivarono sono stati narrati da.,SQ.c..r.n .ate_S,ç.,olagic9._ ella sua Storia ecclesiastica, nonché da altre fonti coeve. D�oniamo anckdi Ln;· fèsfo Straordinario (non fosse che per il fattocti essersi conserv%t{;f ' un pamphlet contro Damaso, scritto un 120 dopo il 36. 8..e rinvenuto in unaraccoTta di lettere tra paple imperator!deiia metà del VT secolo. L'autore del pamphlet voleva mobilitare l'opinione delle Chiese d'Italia contro Damaso. Secondo tale testo, il 24 settembre 366, subito dopo la morte di Liberio, i presbiteri a lui vicini, tre diaconi e il «popol� - 1 iw nella basilica lulia dove non1inarono Orsmo nuovo vescovo di Rofia: f J '""Gii a�ldelclero, sostenitori deTdéli:iiìto Felice, scelsero invece Dm�-.11vescov? di Tibur (oggi I.Lv2,lil, J2aol9......çcmsacr..ò i.Ql.ll)ediat� mente DrsinOlnei caso di due rivali la rapidità era indispensabile e, co ;-�nque ;nci;ssero le cose, colui che era stato consacrato per primo ave va maggiori speranze di ricoprire la carica). Informato della cerimonia, Damaso, «che aveva sempre aspirato all'episcopato, servendosi di soldi aizzò gli aurighi del circo e la folla ottusa» e attaccò la basilica Iulia. Secondo l'autore del pamphlet i combattimenti durarono tre giorni e fu11
Storta della Chiesa nella tarda antichità rono estremamente cruenti. Una settimana dopo la morte di Libcrio, Damaso occupò il Latcrano (scrive l'autore: «Dopo sette giorni, insieme alla gente del circo c a tutti gli spergiuri comprati a suon di quattrini, conquistò la basilica laterana») c vi venne consacrato vescovo. Sempre con il denaro si garantì l'appoggio del prefetto della città Vivenzio c ot tenne la sentenza civile di esilio contro Ursino c i suoi due diaconi. A r questa notizia il "popolo santo", ossia i fautori prima di Liberio e poi dell'esiliato Ursino organizzò l opposizi one c occupò la basilica di Liberio. Il 26 ottobre Damaso la fece attaccare da «gente del circo, auri ghi, becchini da lui convocati, nonché dall'intero clero armato di accette, spade e bastoni». Gli assalitori cercarono di appiccare il fuoco e di getta re all'interno le tegole del tetto. Gli avversari di Damaso, chiusi nella ba silica, cantavano il passo del Vangelo secondo Matteo (l O, 28), «Non te mete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima» c il Salmo (78, 2-3): «Hanno dato i cadaveri dci tuoi servi in pasto agli uc celli dell'aria, le membra dci tuoi fedeli a11c fiere. Hanno versato il loro ,
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sangue come acqua intorno a Gerusalemme, né v'è chi dia loro sepoltu ra». Nella basilica, definitivamente conquistata dagli uomini di Damaso, perirono centosessanta persone tra uomini e donne. Anche se con minor dovizia di particolari, lo stesso episodio è narrato a una ventina d'anni di distanza da un ottimo e scrupoloso storico, Ammiano Marcellino. Ammiano menziona l'assalto dei seguaci di Damaso alla basilica, detta Sicinum: secondo lui vi perirono centotrcn tasette persone. Girolamo7" 5'6Stemtore di Damaso, nella sua cronaca quasi coeva alla vtcendà,descrivendo il massacro (impossibile da tace re), cerca di presentare i fatti in modo che l'ordinazione di Damaso ap paia precedente a quella di Ursino, così che la responsabilità dci disor dini ricada su quest'ultimo. Non intendo condurre qui un'analisi pa rticolareggiata dei dati forniti da queste fonti. Le cito non perché mi interessa la storia di Damaso, ma per mostrare le possibili trame sottese alle elezioni episcopali: quello di Damaso, infatti, è uno dei casi più interessanti e meg lio conosciuti. Ciononostante devo al lettore un sia pur succinto commento ai fatti narrati. Invece di fidarci ciecamente dell'autore del pamphlet, sarà bene man tenere qualche riserva: l'odio induce spesso a travisare i fatti. Non che abbia lavorato di fantasia: il pubblico per il quale scriveva sapeva com'e rano andate le cose, quindi egli era obbligato ad attenersi sostanzialmen te alla verità; se voleva raggiungere l'effetto desiderato (mantenere tra i vescovi d'Italia l'ostilità nei confronti di Damaso) non poteva pcrmettersi di mentire spudoratamente. Damaso era comunque un uomo eminente, come dimostra la storia del suo pontificato: dopo un'elezione così burra scosa, la guida della Chiesa richiedeva non poca abilità, maturità c pa zienza. Alla contesa per la carica di vescovo di Roma, Damaso si presen tava come un ecclesiastico conosciuto c autorevole, che godeva di una vasta influenza sul clero e sull'élite laica della città. l suoi avversari, un 12
l pa.1tori del popolo di Dio
gruppo di rigoristi incapaci di riconciliarsi con gli avversari di un tempo, traevano la loro forza dai conflitti del passato e dal ricordo dci torti subi ti. È molto probabile che fosse stato Ursino a venir consacrato per pri mo. Damaso, sicuro della propria elezione, non aveva bisogno di affretta re la cerimonia e rispettò le usanze romane circa il giorno della settimana in cui essa avrebbe dovuto svolgersi, anche perché sapeva di avere dalla propria parte il vescovo di Ostia, tenuto per tradizione a presenziare al l'ordinazione. Ursino invece, privo di un così solido appoggio, voleva po ter almeno appellarsi al fatto di essere stato consacrato per primo. Durante i tumulti ci furono certamente dci morti e la cifra riportata da Ammiano è del tutto verosimile. Di chi fosse la colpa e chi avesse ordinato la strage, è invece un'altra questione. Il fatto che vincessero i sostenitori di Damaso non implica che questi fosse direttamente responsabile del sangue versato (ma indi rettamente sì: chiunque ricorresse alla violenza sapeva che avrebbero potuto esserci delle vittime). Un caso completamente diverso è quello dell'elezione a vescovo di Milano di Ambro io. DQ1?2 la � del vescoy_o ariano Aussenzio, nel 374, la ise m fazioni in lotta tra loro aumentan�olo Jìtùmulti. In questa situazione Ambrogio, che ricopriva l'alta carica di �console delle J?.I.Ovins_c. della Liguria e dell'Emilia, per evitare lo scontro aperto si recò sul Tuogodell'assembramento e cercò di placare gli animi. A un tratto qualcuno gridò di eleggere vescovo proprio Ambrogio. Il grido fu ripreso dalla folla, convinta che in quel fulmineo cambiamento di idea e nell'unanimità entusiasta si manifestasse la vo lontà di Dio (l'unanimità era sempre considerata una prova dell'inter vento divino, mentre feliti erano provocate da Satana). Il biografo di Ambrogio, Paolino, segretario del vescovo, sostiene che l'autore del gri do fosse un bambino. Il bambino quale messaggero divino rientra addi rittura nel repertorio degli stcreotipi pagani (era per bocca di bambini incontrati per caso in piazza o per strada, che gli dèi a volte rendevano nota la loro volontà a coloro che lo chiedevano), c gli stereotipi, per loro natura, sono sempre sospetti. ·
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1.7 L a sorte dei vescovi rifiutati dalle loro pecorclle
Capitava talvolta che qualcuno venisse eletto vescovo, ma che, non per sua colpa (o almeno non per sua colpa evidente), non fosse in grado di esercitare la carica. L'aver ottenuto la consacrazione indica che inizial mente il candidato era stato accettato da tutti e che solo in seguito, per motivi che possiamo intuire ma che la mancanza di informazioni nei sin goli casi ci impedisce di stabilire con precisione, la situazione si era dete riorata. Forse erano emerse nuove circostanze, forse un'ondata di criti che persuadeva la maggioranza che il nuovo vescovo non sarebbe stato all'altezza del compito, forse, infine, l'elezione era stata il frutto di pres13
Storia della Chiesa nella tarda antichittì
sioni da parte dei vescovi e, dopo la loro partenza, tornava a riesplodere l'ostilità frenata sul momento. Di questi casi di vescovi respinti ci si oc cupò già in occasione del sinodo convocato nel314 ad Ancira. Cerù ve scovi che non volevano darsi per vinù tentavano, suscitando tensioni, di imporre la propria persona ad altre Chiese, sebbene queste avessero già i loro pastori. Nei loro confronti fu emessa la sentenza di espulsione dalla Chiesa; se però si rassegnavano e mantenevano senza provocare disordi ni la dignità di presbiteri rivestita prima dell'elezione, avevano diritto agli onori previsti per i vescovi.4 Durante il sinodo di Antiochia (341) il problema fu nuovamente esaminato, ribadendo la decisione di Ancira: il vescovo senza episcopato manteneva il suo rango e gli onori a esso con nessi, a patto che non ostacolasse il vescovo locale. Non sappiamo con precisione in che cosa consistessero gli onori connessi alla carica episco pale; senz'altro nel diritto di precedenza durante i riti e le cerimonie e nel diritto al titolo ma, a parte questo, in che altro? È molto probabile che a un vescovo limitato di fatto al rango di presbitero venisse dato più denaro, più grano ecc., che non agli altri presbiteri. Le contese ecclesiastiche, dovute prevalentemente alle azioni dei ve scovi e non solo alle circostanze in cui avveniva la loro elezione, erano u na vera e propria piaga. Nel 451 al concilio di Calcedonia venne ap provato un canone che ci aiuta a capire la portata di quelle contese: Il delitto di congiura e cospirazione è proibitO anche dalla legge civile, tanto
più dcv'essere proibito nella Chiesa di Dio. Se quindi sarà provato che qual cuno fra i chierici o i monaci ha preso parre a congiure o si è legato con giu ramento a qualche associazione contro i confratelli chierici, sia senz'altro di chiarato decadu10 dal suo grado.'
Nel leggere questo testo uno storico dell'antichità pagana reagisce con un misto di divertimento e di commozione: il canone parla di gruppi sorti per svolgere una lotta politica comune, gruppi che i greci chiama vano eterle (associazioni) e i latini coniurationes (gruppi legati da giura mento), e che noi conosciamo perfettamente sia dalla storia di Atene del v e IV secolo a.C. sia da quella della Roma repubblicana. ll giuramento cambiava il carattere di questi gruppi, poiché li formalizzava: dalla tem poranea intesa di alcune persone più o meno influenti, che concordava no tra loro una tattica operativa, nasceva una vera e propria organizza zione. Nel caso in cui nella città si creassero conflitti o il vescovo non avesse sufficiente autorità, tali organizzazioni potevano destabilizzare completamente l'assetto delle forze in campo e talvolta provocare som mosse cruente. Non meraviglia quindi che i membri del concilio volesse ro in qualche modo arginare queste forme di rivalità tra il clero.
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c·on.ct.,. Jorum Oe,-umenicomm .
Calcedonia.
Decreta, c1t., canone 18 del concilio di
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l pastori del popolo di Dio
Gli atti dei sinodi e dei concili abbondano di relazioni o perlomeno di infomazionìSl.ìéonflitti"di questo genere in seno alla Chiesa; i sinodi erano infatti il foro in cui si deliberava su tale tipo di contese. Le opere contemporanee di storia della Chiesa vi dedicano poco spazio e per la storiografia apologetica cattolica i conflitti interni non rappresentano un motivo d'orgoglio né di elogio per l'attività ecclesiastica del passato; quanto agli atei militanti, essi concentrano i loro attacchi su questioni più spettacolari. Le guerre interne di questo o quell'episcopato non do vrebbero scandalizzare lo storico immune da tendenze apologetiche né indurre a dubitare delle verità religiose; esse sono invece affascinanti, in quanto ci dimostrano come la Chiesa abbia ereditato il comando di una parte fondamentale della vita pubblica, caratteristica della po!is.
1.8 La provenienza sociale dci vescovi
Per quanto riguarda l'origine sociale dei vescovi, già nel m secolo essi provenivano soprattutto dall'élite cittadina; i rappresentanti degli altri strati sociali accedevano solo di rado a tale grado della carriera ecclesia stica (casi del genere si verificavano solitamente nelle piccole comunità rurali) e nel IV secolo gli esponenti dei ceti inferiori avevano ancor meno probabilità di accedervi. La preferenza per i rappresentanti del l'élite era variamente motivata: innanzitutto si trattava di persone colte, che a scuola avevano imparato a scrivere e a parlare (dote fondamentale per chi doveva predicare almeno una volta alla settimana). In secondo luogo possedevano un patrimonio personale, e dal vescovo ci si aspetta va che attingesse dalle proprie ricchezze per aiutare la cassa ecclesiasti ca (si trattava di un'eredità del passato che prescriveva all'élite di com piere atti di munificenza a favore della città). Infine, il dominio degli esponenti dci ceti sociali superiori veniva generalmente accettato in virtù della mentalità propria di una società gerarchizzata, nella quale ogni gruppo aveva il suo posto, i suoi compiti sociali, la sua dignità. Era molto raro che qualcuno aspirasse a salire più in alto c si ribellasse alla gerarchia vigente. Il fatto che la direzione della Chiesa appartenesse a esponenti dell'élite comportava il pericolo che i loro beni materiali venissero utilizzati per acquistare cariche ecclesiastiche; un rischio grave in quanto, privilegian do i ricchi piuttosto che i devoti, si abbassavano il livello morale del cle ro, il suo prestigio e l'efficacia del suo operato. I capi della Chiesa com battevano la "simonia" (così veniva chiamato l'acquisto delle cariche ec clesiastiche) iiifnocfo assai energico: se poi esso risultasse anche efficace, questo lo giudicherà il lettore stesso alla fine del presente capitolo, quan do mi occuperò più in particolare di questo fenomeno. Lo sviluppo del movimento monastico, tuttavia, creò opportunità di carriera anche per chi non apparteva all'élite. La profonda religiosità, la capacità di parlare ai singoli e alle folle (arte che si poteva apprendere 15
Storia della Chiesa nella tarda antichità nei monasteri), la passione e il desiderio di risanare il mondo potevano innalzare un monaco al trono vescovile. Le fonti in nostro possesso, però, non ci permettono di stabilire in che misura ciò si verificasse.
1.9 Matrimonio mistico del vescovo con la sua Chiesa Il vescovo nominato in una data città vi doveva restare sino alla fine dci suoi giorni. Nel IV secolo il legame tra il vescovo e la sua Chiesa veniva concepito come un matrimonio mistico; l'abbandono della Chiesa e so prattutto l'accettazione della carica di vescovo in un'altra località, la co siddetta "traslazione", erano considerati un peccato di adulterio. 1àle l'interpretazione datane da Atanasio (ca. 296-3 73 ) , vescovo di Ales sandria, che per sconfiggere ir suo avversario Eusebio, vescovo di Costantinopoli e, in precedenza, di Beirut e di NtcomeJta, citò la famo sa frase dell'apostolo Paolo dalla Prima lettera ai Corinti: «Sei tu legato a una moglie? Non cercare separazione» (7, 2 7). Interpretando metafo ricamente questo passo, Atanasio fornì un supporto biblico alla con danna della traslazione, già proibita dal concilio di Nicea (canone 15). La sua interpretazione fu poi ribadita da altre riunioni episcopali non ché da molti scrittori ecclesiastici. Non tutti però dovevano essere dello stesso parere, visti i casi a noi noti, e del tutto comuni, di traslazioni; evidentemente dovevano essere stati approvati dalla comunità dei fede li, altrimenti il vescovo non avrebbe potuto operare nella nuova località. L'ostilità nei riguardi della traslazione è comprensibile: accettandola si temeva di dare via libera a persone dall'ambizione smisurata, pronte a mettere le mani sui posti migliori e sulle Chiese più ricche. Tuttavia le minacce di destituzione si rivelarono poco efficaci, poiché una certa mo bilità dei vescovi era necessaria alla Chiesa. Era difficile, per esempio, ri fiutare a un vescovo respinto dalla sua prima Chiesa, oppure entrato in grave conflitto con essa, il diritto di trasferirsi in una nuova diocesi. In Libia lo stesso Atanasio, che pure combatteva così duramente le trasla zioni, riuscì a trasferire un vescovo da una piccola località a una più grande per far fronte alla necessità di disporre di un pastore esperto.
1.10 Cresce il ruolo dei pre�biteri
I vescovi erano appoggiati da un clero numeroso che formava un gruppo fortemente gerarchizzato e diviso in due parti nettamente distinte: l'alto clero, composto di presbiteri e diaconi (dal greco presbyteros, "anziano" c diakonos, "aiutanté" Feitbasso clero (la cui compostzione e i cui titoli va rf�ano a seconda delle località). Con il passare del tempo i presbiteri occuparono nella Chiesa un po sto sempre più importante, in quanto incaricati di svolgere almeno una parte delle funzioni episcopali (innanzitutto quella eli celebrare la mes16
I pastori del popolo di Dio
sa), anche se ciò sarebbe avvenuto piuttosto tardi, praticamente solo nel
Jll secolo (e in certe zone anche dopo). Prima di allora essi costituivano
una sorta di élite di consiglieri (gli "anziani", appunto), una specie di se nato (il paragone tra i presbiteri c il senato si trova in testi del ll l secolo). n nuovo ruolo dci presbiteri era fruttO dell'aumento vertiginoso delle comunità cristiane, fatto che impediva al vescovo di adempiere a tutti i compiti pastorali. Lentamente prese forma un nuovo tipo di organizza zione ecclesiastica, nella quale trovarono posto Chiese quasi autonome che raggruppavano i fedeli desiderosi di partecipare alla messa e alle preghiere comuni e organizzavano attività filantropiche sul proprio terri torio. Le Chiese indipendenti6 nascevano soprattutto nelle campagne, consentendo la partecipazione alculto ai fedeli che vivevano così lontano dalla città da non potersi recare alla messa neanche la domenica. Tali Chiese erano ovviamente sottoposte al vescovo, il quale, però, per il loro efficace funzionamento quotidiano, doveva delegare i propri poteri a un altro membro del suo clero. In certi territori troviamo vescovi di rango inferiore detti chorepiskopoi L.vescovi della chiua", ossia delle contrade attorno alla città) o periodeutai (letteralmente "quelli che van no in giro"). Il più delle volte, perO,ieehiesc indipendenti venivano af fidate ai presbiteri, ai quali veniva assegnato l'aiuto di uno o più diaco ni, più raramente quello di membri del basso clero. Le Chiese indipen denti nascevano anche nei quartieri periferici delle grandi città e la loro evoluzione comportò un allargamento della sfera d'azione dei presbiteri che non solo celebravano sistematicamente la messa ma, se ne avevano la cultura e la capacità sufficienti, predicavano (in seguito avrebbero battezzato autonomamente i fedeli, ma a quel punto si sarebbe manife stata la necessità della cresima come rito di perfezionamento). Nell'antichità non si giunse ancora alla nascita di una rete parrocchia le quale oggi la conosciamo, tuttavia la Chiesa si avvicinò chiaramente a tale modello. I presbiteri ai quali non veniva affidata la guida di una Chiesa esegui vano per conto del vescovo gli incarichi che via via si rendevano neces sari, come il celebrare la messa in determinate Chiese o accompagnare il vescovo nelle sue attività pastorali.
1.11 Le carriere dei diaconi Sebbene situati gerarchicamente più in basso dei presbiteri nella scala ecclesiastica, i diaconi erano di grande aiuto al vescovo. Pur non aven do obblighi liturgici importanti né alcuna autonomia (aiutavano duran te la presentazione dei doni offerti dai fedeli prima della messa, assiste-
6 Nei testi greci esse venivano definite per lo più con il nome di katholikai ekkli!Jtai, Chiese universali", in senso non dottrinale ma pastorale: infatti era no accessibili a tutti e vi si esercitava il culto in modo sistematico. "
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Storia della Chiesa nella tarda antichità vano alla celebrazione del rito, mantenevano l'ordine in chiesa, talvolta veniva loro affidata la lettura di passi delle Sacre Scritture), a loro spet tava la responsabilità di amministrare le finanze ecclesiastiche e di orga nizzare la beneficenza. Collaborando ogni giorno con il vescovo, ne di ventavano i confidenti e lo sostituivano in molte circostanze: avevano quindi maggiori possibilità di influire sulle sue decisioni che non i pre sbiteri, a loro superiori. Nel rv e v secolo spesso i diaconi ottenevano la consacrazione episcopale senza passare prima per il gradino del presbi teriato, con grande scandalo di molti membri della Chiesa. Così avven ne per esempio per Atanasio, diacono presso Alessandro: la sua elezio ne incontrò. opposizioni di vario genere, non ultima quella di essere prematura. E facile immaginare quale tensione creassero le carriere dei diaconi in u n mondo rigidamente regolato da prindpi gerarchici, c quanto profondamente le loro ambizioni e i loro successi destabilizzas sero l'assetto dei rapporti ecclesiastici, tanto più che essi non solo occu pavano un gradino più basso rispetto ai presbiteri, ma di solito erano anche più giovani. Naturalmente non tutti i diaconi occupavan.o una posizione privile giata; la maggior parte espletava .realmente funzioni ausiliarie o era rele gata presso Chiese no11 episcopali, con ben scarse probabilità di fare carriera. Tutto dipendeva dal fatto che si trovassero più o meno vicini alla persona del vescovo. Nel lV secolo presbiteri e diaconi che operavano a stretto contatto con il vescovo, ed erano quindi gerarchicamente superiori agli altri membri del medesimo gruppo ecclesiastico, venivano chiamati "prete presbiteri" (prin1i presbiteri) o "arcipresbiteri" e "protodiaconi" (primi diaconi) o "arcidiaconi". Teniamo presente questa tendenza a differen ziare per mezzo di titoli certi membri del clero dello stesso rango, ten denza destinata con il tempo a rafforzarsi.
1.12 n basso clero L'organizzazione interna del basso clero era molto più fhùda e dipende va da condizioni e tradizioni locali Vi incontriamo ovunque lettori e suddiaconi: gli altri membri del basso clero portavano titoli diversi e svolgevano altre funzioni. Il letterato era il gradino più basso del clero, che talvolta si assegnava a persone molto giovani, pensando alla loro futura carriera ecclesiastica. Compito del lettore era leggere le Sacre Scritture durante le funzioni e cantare i Salmi. Con il passare del tempo, tuttavia, le letture bibliche vennero assegnate a presbiteri e diaconi (per rispetto al testo sacro), mentre la recitazione cantata dei sahni venne spesso affidata a speciali esecutori dotati della voce e della prepara7ione richieste. Già alla fine del rv secolo l'importanza dei lettori era chiaramente diutinuita e l'eser cizio del letterato non era più considerato tma tappa indispensabile. 18 Copyrighted
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l pastori del popolo di Dio T suddiaconi aiutavano i diaconi: in pratica compivano la funzione svolta dai sacrestani. Mantenevano l'ordine all'ingresso delle fun zioni, ·anoìa""5li e sà:" eseguivano piccoli incarichi. Non svolgevano compiti di tipo liturgico, sebbene talvolta ne avessero la pretesa. I co
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siddetti "canoni del sinodo di Laodicca" (prima metà del v secolo) vie tarono loro di impartire la comunione ai fedeli c di toccare i recipienti 1 sacri (ovviamente solo durante le funzioni, al di fuori delle quali erano liberi di farlo). Le fonti parlano anche di membri del clero detti "accoliti", senza però prccisarne le mansioni; dal nome possiamo suppot'l'è'Ct1Ciungesse ro da servitori. Non sappfìnno quasi niente degli esorcisti, posti su uno dei gradini più bassi della gerarchia ecclesiastica. Letont1 tarde (I\' e v secolo) li mem:io nano molto di rado e nei testi provenienti dall'Egitto, che descrivono l'at tività quotidiana della Chiesa, non se ne trova traccia. Possiamo supporre che gli esorcisti fossero un relitto di tempi molto lontani, quando i mem bri del clero che svolgevano tale funzione erano considerati portatori dei doni dello Spirito Santo; tali doni permettevano agli esorcisti di scacciare gli spiriti maligni da ossessi e anche dai catecumeni che occorreva strap pare alle grinfie di Satana. Ma nel IV c v secolo gli esorcisti svolgevano di solito ruoli poco importanti; le funzioni fondamentali del rito di esorciz zazione erano eseguite soprattutto dal vescovo e in seguito anche dai pre sbiteri. Talvolta nel basso clero vengono annoverati anche i salmisti. Soltanto nelle Chiese direttamente sottoposte al vescovo il clero era composto da rappresentanti di tutti i gradi, mentre nelle Chiese minori non c'era bisogno (né c'erano possibilità materiali) di mantenere il basso clero. In verità talvolta vi incontriamo dei lettori, a testimonianza che il presbitero c il diacono non sapevano leggere (cosa rara, ma possibile) oppure non erano in grado di leggere fluidamente ad alta voce. Il sud diacono, qualora appaia, è chiaramente degradato a ruolo di sacrestano.
1.13 Le caratteristiche del clero antico Il clero era generalmente composto da persone che abbracciavano il servizio della Chiesa in età matura. Vi era chiamata gente con famiglia, con figli grandi e che nel gruppo sociale svolgeva una normale attività produttiva. Esistevano anche casi (molto rari) di consacrazioni di adole scenti, soprattutto alle cariche più basse, nei quali si attendeva a lungo prima di promuoverli alla carica successiva. Nell'antichità in genere, e nel cristianesimo in particolare, le cariche onorifiche venivano assegnate a persone mature, meglio ancora se anziane: dal punto di vista ecclesia stico la gioventù era considerata un difetto, non un pregio. Si introdu cevano nel clero persone affidabili, circondate di rispetto, che dimo strassero di saper guidare gli altri. Per quanto riguardava vescovi e pre sbiteri, la canizie era un attributo quasi obbligatorio. 19
Storia della Chtesa nella tarda anltchittÌ Non esisteva alcun sistema formalizzato per preparare all'espletamen to delle funzioni ecclesisatiche o per verificare se un dato candidato possedesse i requisiti necessari. Compito del vescovo a capo della Chiesa era di vegliare sulla scelta delle persone adeguate e di sottoporle a prove. Se desiderava procedere a un esame preliminare per stabilire il loro grado di conoscenza delle Sacre Scritture era libero di farlo, anche se ciò non era obbligatorio. l membri del clero, a tutti i livelli, probabil mente si differenziavano tra loro quanto a cultura ecclesiastica. La man canza di un sistema di istruzione a uso dei futuri membri del clero era una delle cause dell'evidente tendenza all'ereditarietà delle cariche ec clesiastiche in determinate famiglie: per imparare le preghiere, i gesti li turgici nonché un minimo di nozioni teologiche, non c'era apprendista :o migliore della famiglia. Escluso il vescovo, gli altri conservavano il loro posto nella comunità � vivevano a casa propria con le famiglie, si occupavano della coltivaziond della terra, dell'artigianato, del commercio, esercitavano uffici ecc.; di solito l'espletamento delle loro funzioni ecclesiastiche non li assorbiva totalmente (naturalmente c'erano delle eccezioni). Viaggiavano per i loro affari (preferibilmente non troppo spesso né troppo a lungo, me glio ancora se con l'approvazione del vescovo), si occupavano dei figli e della famiglia, contraevano debiti e ricevevano legati testamentari, liti gavano con i vicini per la capitagna e per i debiti non pagati. La vita quotidiana richiedeva dunque una grande quantità di tempo e di ener gia e, in confronto con le epoche più tarde, il clero si differenziava so stanzialmente poco dal resto della comunità cristiana. Naturalmente non esisteva ancora un abbigliamento speciale per gli ecclesiastici, e an- 1 che se con il tempo si stabilirono vesti cerimoniali da portare durante le funzioni, esse non venivano mai indossate fuori della chiesa. Fare parte del clero era l'aspirazione di molti membri della comunità cristiana; i privilegi fiscali (e d'altro genere) concessi al clero da Costantino il Grande rafforzarono certamente tale tendenza, anche se non furono essi a suscitarla. L'appartenenza al clero era un segno disti ma sociale, un riconoscimento della propria devozione, un simbolo di carriera. Sebbene nessun testo sacro lo promettesse, si credeva che in virtù della loro dignità gli ecclesiastici avessero più speranze di felicità ultraterrene che non i semplici fedeli della comunità. Queste considera zioni provocavano una vera e propria corsa al clero: i candidati a entrare nelle sue fila erano molti, spesso troppi; la tendenza a ingrossarlo era fortissima, e molti vescovi cedevano a essa. Purtroppo non siamo in grado di stabilire con precisione la percen tuale del clero rispetto all'insieme dei cristiani: da questo punto di vista le nostre informazioni sono estremamente esigue e frammentarie. Citerò comunque alcuni esempi per fornire almeno un orientamento. A Roma, al tempo dell'episcopato di Cornelio (251-253) del clero romano facevano parte 44 presbiteri, 7 diaconi, 7 suddiaconi, 42 accoliti, 52 tra esorcisti, lettori o portieri (i portieri, in quegli anni inclusi nel clero, in 20
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epoche successive fecero semplicemente parte della servitù ecclesiasti ca). Per quanto riguarda gli anni a cavallo tra il \' e il \'I secolo, una fon te ci informa che a Roma c'erano 90 lettori, 45 accoliti, 22 esorcisti. Il re dci vandali Unerico (477-484), ariano fervente, scacciò dall'Africa cin quemila ecclesiastici e non si trattava della prima ondata di esuli religio si. Più o meno nello stesso periodo, il clero di Cartagine annoverava più di cinquecento persone. Alla fine del VI secolo, ad Alessandria, una sola Chiesa, detta Anghclion, contava 140 membri nel proprio clero (è vero che si trattava della più importante Chiesa in mano ai monofisiti; il cle ro della cattedra alessandrina rimasta nelle mani degli ortodossi doveva contarne sicuramente altrettanti). Il risultato di questi calcoli è eviden te: nelle Chiese della tarda antichità il clero era più numeroso che non, per esempio, nel nostro secolo; c'erano invece meno Chiese e anche la densità della popolazione era molto inferiore. La composizione sociale del clero rivelava una grande eterogeneità. Oltre ai rappresentanti dell'élite c'erano anche molte persone di bassa estrazione (artigiani e, nelle campagne, contadini). Numerosissimi era no i funzionari dci più svariati uffici statali, che formavano un ambiente movimentato e ambizioso, superiore agli altri per educazione e pratica del mondo. Le differenze di censo provocavano considerevoli tensioni tra i membri del clero e ne rendevano difficile l'integrazione; i più pove ri soffrivano per le proprie vesti modeste, indossate anche nei giorni di festa, quando i più ricchi ostentavano abiti sfarzosi, per l'impossibilità di offrire doni munifici alla Chiesa c per l'inferiorità della loro prepara zione ai compiti espletati. Era quindi naturale che i membri del clero più abbienti superassero i più poveri nella carriera, passando ai gradi superiori e occupando posizioni più in vista. Concordemente ai precetti dell'Antico Testamento, una parte delle of ferte dei fedeli era riservata agli stessi ecclesiastici, che la ricevevano sot to forma di denaro o, più spesso, di quote di grano, di vino, di olio c di altri prodotti. Una parte delle offerte veniva utilizzata nei pasti comuni, consumati dai membri del clero dopo l'offerta eucaristica in ambiential l'interno del complesso ecclesiastico. Di solito quello che gli ecclesiastici ricevevano dalla comunità non bastava ad assicurare la loro esistenza, se disagiata, né a mantenere le loro famiglie. Tuttavia, per quanto modesta, la partecipazione alle entrate della Chiesa era molto apprezzata. Per gli ecclesiastici privi di un consistente patrimonio personale essa contava, nonostante tutto, nel bilancio familiare; per gli altri era un segno di di stinzione dalla massa dci fedeli, il simbolo di uno status particolare. Conviene tener presente questo secondo c prestigioso aspetto dei pro venti che i membri del clero ricavavano dalla Chiesa: ci permette di capi re come mai persone benestanti, spesso in grado di offrire esse stesse doni alla Chiesa e che comunque non avevano bisogno di sostegno ma teriale, ci tenessero tanto a percepire le quote o i prodotti loro spettanti.
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Storia della Chiesa nella tarda antichità 1.14 D cursus honorum del clero n carattere gerarchico dell'organi,zzazione interna del clero non si riflette solo sulJa sua divisione in gradi, ma aocl1e sul fatto che ogni gradino ave va il suo particolare assetto gerarchico. Base dell'ordinamento ecclesiasti co era la lista dei membri del clero, che indicava il posto di questi aH'in terno del gruppo. Ogni grado gerarchico aveva una propria lista, compi lata secondo la data di ingresso dei suoi componenti. L'ecclesiastico appe na consacrato si trovava in fondo all'elenco e saliva verso l'alto a secon da delle promozioni e dei decessi dei suoi compagni; se commetteva qualche infrazione rischiava la degradazione all'ultimo posto. Le liste dei membri del clero regolavano la questione della precedenza: era se condo la lista che i membri del clero ricevevano la comunione e parteci pavano alle processioni e alle feste. Sempre secondo tale ordine prende vano la parola, probabilmente ancl1e sedevano a tavola e ricevevano le quote di denaro o di prodotti in natura loro spettanti. Il posto occupato in graduatoria dai vari ecclesiastici era noto a tutti i membri della comu nità, il che rendeva estremamente dolorosa la degradazione: l'ecclesia stico che ne veniva colpito subiva un'umiliazione durante tutte le feste e le cerimonie, In una lettera a Imerio, vescovo della città spagnola di Tarragona, papa Siricio (.384-399) enuncia i priocìpi che dovevano regolare la car riera ecclesiastica: Chiunque si sia consacrato alla Chiesa fin dall'infanzia, sia battezzato prima della pubertà e assegnato al ministero di lettore. Chi si sia dedicato alla Chiesa tra h1 pubertà e il trentesimo (o, secondo un'altra lezione, ventesimo] anno d'età, se ba condotto vita proba accontentandosi di una sola moglie, vergine al momento del matrimonio e ottenuta con la benedizione del sacer dote, sia accolito e suddiacono; indi acceda al diaconato, purché se ne sia di
mostrato degno con la sua continenza. Se avrà lodevolmente serviro per oltre cinque anni, riceva opporrun,llnente il presbiterio. Indi, dopo dieci anni, po· trà accedere alla carredra episcopale, purché per tale tempo abbia mostrato integrità di vita e di fede.
Chi invece in età più avanzata, spinto da una conversione dovuta al.l.l volontà di nùgl,ioramento, desideri murare lo stato laico con quello del servizio divi no, non potrà ottenere il frutto dei suoi desideri se non nel modo seguente: subitO dopo il barresimo sia annoverato tra i lettori o gli esorcisti, ma a condi zione che abbia <Wuto o abbia una sola moglie, sposata vergine. Dopo essere
stato così iniziato, trascorsi due anni diventi accolito e suddiacooo e tale resti per cinque anni. Se per questo tempo sarà stato giudic,uo degno, divenga dia cono. lodi, con il tempo, presbitero o vescovo, se per i propri meriti venga eletto dal clero e dal popolo. Chiunqtle, facente parte del clero, si sposi una seconda volta, o sposi una ve dova, sia subito privato di ogni dign ità ecclesiastica e ammesso alla comunio
ne solo con i laici. (... ]
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I pastori del popolo di Dio Desideriamo e vogliamo che anche i monaci siano accolti nel clero, a condi zione che si raccomandino per austerità di vita e santità di fede nel modo se guente: chi ha meno di trent'anni sia promosso
un
po' per volta, a partire dai
gradi più bassi e così, consacrato dall'età matura, giunga al diaconato o al
presbiterio. ì\'on accedano per salto all'episcopato, ma mantengano le dista n ze
di tempo da noi prescritte tra una carica e l'altra.7
Leggendo questa lettera, a uno storico della Roma antica non potrà sfuggire la somiglianza tra le fasi della carriera in essa esposte e il cursus honorum, le tappe della carriera politica definite per la prima volta dalla legge di Villio nel 180 a.C. Essa affermava che al primo ufficio non si poteva aspirare prima di aver compiuto i venticinque anni e che alle ca riche successive si doveva accedere, secondo una successione stabilita, con intervalli di almeno due anni. Siricio non aveva sentito parlare della !ex Vi!Lia, ma conosceva bene le regole del cursus honorum su cui si ba sava l'attività pubblica dell'élite. l precetti formulati da Siricio rappresentano però un programma ideale e si può fondatamente dubitare che esso trovasse una fedele ap plicazione nella realtà. Nel suo testo il papa aveva reso perfettamente la mentalità del clero gerarchizzato, quanto mai desideroso di imporre l'obbligo di salire un po' per volta i gradini della scala ecclesiastica. Per i capi della Chiesa l'osservanza dell'avanzamento graduale era partico larmente auspicabile: in tal modo si formava un clero disciplinato, pra tico di ogni situazione, rispettoso dei valori costituiti, iniziato ai misteri degli usi c dci rituali ecclesiastici. Ma la realtà rifiutava in vari modi quelle regole troppo rigide. Se i membri delle famiglie abbienti faceva no spesso una carriera fulminea, "saltando" direttamente al seggio epi scopale, allo stesso modo i monaci devoti, trascinati fuori dai conventi, non sostavano a lungo sui gradini più bassi della gerarchia. Anche l'in telligenza e lo zelo o l'incuria e la mancanza di cultura contribuivano ad affrettare o a ritardare le carriere. È strano che Siricio non preferisse i monaci, benché li sottomettesse alle stesse regole di chi viveva nel "mondo". Possibile che il papa, contrariamente al giudizio generale, non li considerasse dci buoni candidati a far parte del clero? Osserviamo inoltre che Siricio continua a considerare una norma il battesimo degli adulti; merita sottolinearlo, visto che gli storici tradizio nali della Chiesa ritengono che il battesimo dei bambini sia stato rapi damente accettato, soppiantando quello degli adulti. Ciò che sorprende nel modello prescritto da Siricio non è solo la sua estrema rigidezza, ma anche il posto che vi occupano i gradi inferiori (accoliti ed esorcisti), di cui nelle fonti prive di carattere normativo re sta ben poca traccia. Sicuramente queste funzioni esistevano ovunque, ma non contavano nulla nella carriera ecclesiastica, che iniziava dallet torato (specie se il candidato era giovane) o dal suddiaconato. C'è da ; Patrologia Latina, vol. Xlll, coli. l 142-1145. 23
Storia della Chiesa nella tarda anticl.wà
sospettare che il papa, creando un modello ideale, si allontanasse dalla realtà per esprimere la propria personale inclinazione alla gerarchia.
l.l5 La questione dell'astinenza sessuale del clero
Come si vede, i membri del clero erano di solito persone sposate che però, in caso di morte della moglie, non potevano contrarre un nuovo vincolo matrimoniale; si esigeva inoltre che la donna sposata in presen za del presbitero (il sacramento del matrimonio ancora non esisteva, e la maggior parte dei matrimoni avveniva senza la benedizione ecclesia stica) fosse vergine. Tutte le raccolte di norme e tutti i moralisti avreb bero ripetuto i medesimi princìpi con un'insistenza che in realtà dimo stra che essi non venivano osservati abbastanza rigorosamente e non erano così evidenti da non aver bisogno di essere continuamente ribadi ti. In uno dei prossimi capitoli mi occuperò dell'atteggiamento del cri stianesimo nei confronti dell'istituzione del matrimonio, cercando di spiegare da dove provenisse la condanna del secondo matrimonio e perché tale condanna incontrasse tante resistenze. All'aspirante diacono si chiedeva di dimostrare la propria continenza, in altre parole che smettesse di convivere con la moglie, mentre i mem- 1 bri dei gradi più bassi del clero non vi erano obbligati. Si trattava di un atteggiamento caratteristico dell'Occidente latino, perlomeno nella sfe ra degli ideali. In Oriente la cosa non era considerata ovunque in questi termini: in certe Chiese i bambini generati da presbiteri e diaconi nel periodo del loro esercizio ecclesiastico non squalificavano i padri (più tardi, sotto Giustiniano, la legge li considerò dei bastardi). Il porre un limite elevato all'età dell'alto clero facilitava ovviamente l'osservanza della regola di castità.
l. I 6 Relazioni tra le Chiese
Analizzando la storia della Chiesa nel m secolo c in quelli successivi, sia mo colpiti dalle grandi differenze esistenti tra le varie comunità e tra le situazioni dei singoli vescovi. Lo stesso titolo spettava a persone che agi vano in condizioni diametralmente opposte. In un testo risalente alla fine del Ili secolo (se non più tardo), veniva seriamente esaminato il caso di una Chiesa che annoverava meno di dodici fedeli, mentre città come Alessandria, Roma c Cartagine vantavano, in quello stesso periodo, co munità di alcune decine di migliaia (se non di più) di cristiani. Sia nel settore delle finanze ecclesiastiche sia in quello culturale esistevano diffe renze incredibili; il vescovo di Antiochia o di Milano, per esempio, dove va possedere qualifiche "culturali" diverse da quelle del vescovo di un centro rurale, per potere svolgere le proprie funzioni. Le Chiese dei centri minori gravitavano in modo naturale attorno alle 24
l pastori del popolo di Dio
Chiese delle grandi città, nelle quali cercavano un appoggio dottrinale, materiale o semplicemente psicologico. Per far fronte alle difficoltà, al meno una parte dei vescovi guardava ai colleghi più importanti, accet tandone i consigli e seguendone le indicazioni. Il mondo ecclesiastico del III secolo, e probabilmente anche quello del secolo precedente, era com;)osto da zone dominate da Chiese maggiori, talvolta tra loro colle gate: i vescovi delle città di media grandezza avevano la propria cliente la ecclesiastica, ma essi stessi, a loro volta, si sottomettevano all'influen za di vescovi più potenti di loro. Nel 111 secolo la maggior parte di que sti legami rivestiva un carattere informale e si manifestava solo in certe zone (dove il cristianesimo era più solidamente radicato); se un vescovo era in grado di ignorarli, poteva permetterselo impunemente. I rapporti intercorrenti tra le Chiese rispecchiavano quelli tra le città. La Chiesa si fuse in modo sorprendente con le antiche strutture cittadi ne, ne assorbì i princìpi che le governavano, ne ereditò le passioni, le piccole guerre, gli alleati e i nemici. Tra le città dell'impero esisteva una rivalità più o meno palese che, sotto il governo degli imperatori e dei loro efficienti funzionari, non si trasformava in conflitti sanguinosi (come accadeva prima che Roma im ponesse il suo dominio), ma coinvolgeva personalmente i cittadini. L'enorme attività edilizia, che superava di gran lunga le reali necessità, costituiva un terreno di grande competizione: se una città costruiva un anfiteatro, le altre subito la imitavano, per cui si edificavano anfiteatri sempre più belli e grandiosi. Una questione fondamentale era l'ordine gerarchico delle città di ogni provincia, classificate per numero di abi tanti, censo, splendore delle tradizioni. Ai giochi provinciali le delega zioni delle città partecipavano secondo l'ordine stabilito dalla lista, e la conquista di una posizione migliore appassionava non solo l'élite ma anche la popolazione. Le ambizioni dei vescovi e del clero delle città maggiori nei confronti di vicini ecclesiastici più deboli costituivano un elemento di differenza tra il cristianesimo antico c il cristianesimo delle epoche più tarde; an che se i campanilismi ecclesiastici coincisero talvolta con i patriottismi locali, essi non rivestirono mai un ruolo fondamentale come nel IV e v secolo. Il sorgere di Chiese forti c centralizzate ridimensionò efficace mente le ambizioni, riduccndolc a fenomeni di terzo piano. Il processo di formazione di una Chiesa con la C maiuscola (in luogo di varie Chiese indipendenti, con una C sempre maiuscola, ma minore) consisté nel creare un piano organizzativo per formare una rete di dipen denze chiaramente riconosciute, formalizzate c obbligatorie per tutti. In linea di massima tali strutture ecclesiastiche corrispondevano alle strutture dell'amministrazione statale, uniformarsi alle quali era conside rato giusto e naturale. Nel 111 secolo nessuno metteva ancora in discus sione la fondatezza di questo atteggiamento né la sua maggiore o minore ammissibilità. Anche nel!V secolo la maggior parte dci cristiani riteneva ovvia la correlazione tra i livelli di potere laici e quelli ecclesiastici; l'at25
Storia della Chiesa nella tarda atJtichità
tacco nei suoi confronti, in nome dell'indipendenza della Chiesa dallo stato e dd rispetto per le peculiari tradizioni ecclesiastiche, veniva con dotto dai capi di quelle Chiese che temevano di perdere influenza; non credo che le loro proteste preoccupassero seriamente molti fedeli.
1.17 La nascita della rete metropolitana In ogni provincia dell'impero la supremazia sulle Chiese spettava alla Chiesa del capoluogo. Quasi sempre si trattava della città più grande, ricca e popolosa, dove esistevano buone probabilità che la Chiesa anno verasse un maggior numero di fedeli, soprattutto di fedeli benestanti. Le differenze tra i capoluoghi di provincia e le altre città subirono una certa attenuazione per effetto delle riforme di Diocleziano, che au mentò considerevolmente il numero delle province, con il risultato che molte città minori avanzarono di grado. Si trattò di una riforma assai importante per le future strutture ecclesiastiche, poiché in seguito la Chiesa si sarebbe composta di un gran numero di tmità di medie di mensioni e le metropoli sarebbero state collocate in città di grandezze molto diverse tra loro. Quando i vescovi della parte greco-orientale dell'impero si riunirono nel concilio di Nicea (.325), tra i vari canoni essi approvarono anche il seguente: Si abbia la massima cura che un vescovo sia consacrato da tutti i vescovi del l'eparchia ["provincia", nella llngua greca]. Ma se ciò fosse difficile o per mo tivi d'urgenza o per la distanza, almeno tre [vescovi], radunandosi nello stes s o luogo e con il consenso scritto de.gli assenti, celebrino la consacrazione. La conferma di quanto è stato compiuto spetta in ciascuna provincia
al vescovo
metropolita 8 .
Da questo testo si deduce che già agli inizi dd rv secolo venne general mente riconosciuto l'obbligo di subordinazione dei vescovi di una pro vincia al vescovo del suo capoluogo, che nelle fonti greche porta il tito lo di métropolités (quello di archiepi!.·kopos entrerà nell'uso comune. solo nel Vl secolo). In Occidente si usava in genere la medesima parola, mentre in Africa tale dignitario veniva chiamato senex (''vecchio"), pri mas (''primate"), episcopus primae sedis ("vescovo della prima sede", dove "prima" va inteso in senso gerarchico). Le differenze terminologi che corrispondevano a differenze più sostanziali: in Africa, infatti, la su premazia sulle Chiese della provincia spettava al vescovo più anziano (o più meritevole?). Nella propria città il metropolita era un vescovo co mune, eletto come tutti gli altri, dai quali differiva solo per il prestigio e per il diritto di intervenire al di fuori della propria sede. 8
Conctliorum Oecumenicorum Decreta, cit., canone 4 del concilio di Nicea. 26 Copyrighted
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l pastori del popolo di Dio
Tra le competenze del metropolita rientrava, come abbiamo visto, il confermare le elezioni episcopali (notiamo che non era affatto tenuto a consacrare personalmente i nuovi vescovi), convocare i sinodi provin ciali e presiederli. Con il passare del tempo crebbe la sua funzione di istanza d'appello contro le decisioni dei vescovi comuni; inoltre i me tropoliti tendevano a controllare le finanze delle Chiese a loro sottopo ste. Il grado di dipendenza dci vescovi dai mctropoliti variava senz'altro a seconda delle loro personalità e del rafforzarsi dei conflitti dottrinali nella Chiesa. Le grandi divisioni che si creavano nel corso di tali conflit ti permettevano ai sottoposti del metropolita di cercare appoggio fuori della propria metropoli, senza venire puniti per tali iniziative, affatto contrarie al buon ordine ecclesiastico. Ancora nel 1\' secolo la storia della Chiesa abbonda di vescovi prove nienti da cittadine non metropolitane: a quell'epoca la cultura persona le, la devozione, la scaltrezza, l'arte di destreggiarsi nel mondo ecclesia stico permettevano ancora di accedere a un ruolo importante. In segui to, casi del genere non si sarebbero verificati quasi più. Quando sorse la struttura metropolitana? Sicuramente molto prima del concilio di Nicea, visto che i suoi partecipanti la consideravano del tutto normale. Purtroppo il processo che portò alla sua formazione non ha lasciato traccia nelle fonti; quel che possiamo dire è che, almeno in certe zone, esso ebbe inizio nel 111 secolo. Inoltre, dovevano sicuramen te esistere enormi differenze territoriali: sembrerebbe che l'Oriente, e in Occidente l'Africa, abbia creato una rete di metropoli più rapidamente che altri paesi. Le metropoli erano molto diverse tra loro; ne facevano parte città pic cole, medie c grandi, quindi esistevano metropoli ricche e metropoli po vere, con tradizioni splendide o del tutto oscure. Ciò acquisiva una parti colare importanza in occasione di concili e di sinodi interprovinciali, quando i vescovi delle principali metropoli usavano i colleghi più deboli per crearsi un "partito" personale.
1.18 Ruolo della corrispondenza tra i vescovi
Un ruolo importantissimo nella storia della Chiesa dei primi secoli era esercitato dalla corrispondenza tra i vescovi; conviene dedicarvi una certa attenzione, in quanto si tratta di un fenomeno molto particolare e destina to a scomparire dalla pratica ecclesiastica, per cui non sempre se ne com prende il carattere. Le comunità, ossia i loro vescovi, si mantenevano in continuo contatto epistolare. Qualcuna di queste lettere vescovili si è con servata: per il periodo precostantiniano ne parla molto, spesso citandole, Eusebio nella sua Storia ecclesiastica, in particolare riferendo fedelmente il contenuto delle lettere del vescovo di Alessandria Dionigi (247-264). Su ' questo esempio possiamo farci un'idea della natura della corrispondenza episcopale (tenendo però conto che Dionigi era un vescovo eminente). 27
Storia della (}Jresa nella tarda antichità I vescovi si tenevano reciprocamente informati sugli avvenimenti più importanti verificatisi nelle loro comunità e soprattutto sulle repressio ni che le colpivano (il che ci permette di avere testimonianze eccellenti e degne di fede sulle persecuzioni). Scrivevano ai loro colleghi ogni vol ta che avevano qualche dubbio su questioni disciplinari c liturgiche, so prattutto quando tali questioni provocavano dissidi nella comunità; le risposte ricevute rappresentavano un valido argomento nei conflitti in terni. Lo stesso avveniva in campo dottrinale; i vescovi esponevano i loro problemi: dubbi, domande alle quali non sapevano rispondere, notizie di eresie insorgenti, come pure considerazioni personali alle quali desideravano trovare conferma presso le altre comunità. Non sap piamo esattamente quando si sia instaurata l'usanza per cui il nuovo ve scovo inviava una lettera di professione di fede ai suoi colleghi, i quali, se ne riconoscevano la correttezza, gli rispondevano in modo opportu no. Se invece il contenuto della dichiarazione dottrinale li lasciava per plessi, chiedevano ulteriori chiarimenti, dopodiché potevano anche de cidere di interrompere i contatti con i l neoeletto. E facile immaginare quale minaccia rappresentasse tutto ciò: se la notizia del rifiuto si fosse diffusa, era assai improbabile che il vescovo in questione potesse resta re m canea. Non sappiamo nemmeno quale fosse l'estensione geografica di questa corrispondenza: di sicuro non poteva abbracciare l'intero mondo cri stiano. Probabilmente i vescovi comuni si accontentavano di corrispon dere con le Chiese della propria regione o con comunità lontane, ma in qualche modo a loro note (per esempio la Chiesa di Lugdunum, ossia Lione, diffondeva informazioni su persecuzioni della Chiesa in Galazia, nell'Asia Minore: evidentemente tra i membri della comunità lionese dovevano trovarsi dei galati). Quanto più importante era la Chiesa, e quindi la città, tanto più lontano si spingevano le lettere. Conoscendo le amiche usanze in materia di rango e di gerarchia, c'è da supporre l'esi stenza di una complessa etichetta su chi dovesse scrivere a chi. Sicuramente i vescovi delle Chiese maggiori come quelle di Roma, Car tagine, Alessandria d'Egitto, Antiochia, Efeso, Tessalonica e in seguito anche Costantinopoli si tenevano in continuo contatto epistolare. Non sempre le lettere si limitavano a cortesie e a richieste di consigli: i corri spondenti potevano anche criticarsi aspramente (come risulta dalle let tere dei due Dionigi, quello alessandrino e quello romano). L'invio di una lettera con una richiesta di consiglio non implicava ne cessariamente un riconoscimento di subordinazione nei confronti del destinatario. Si tratta di un fatto degno di nota: spesso la corrispondenza diretta a Roma nei primi secoli del cristianesimo viene considerata una prova del riconoscimento della sua supremazia, in una forma che invece fu elaborata solo nella seconda metà del lV secolo; c il pericolo d( questa anacronistica deduzione è tanto maggiore, in quanto le cortesie dello stile epistolare, proprie di quei tempi, spesso traggono in inganno gli studiosi non abbastanza critici, o poco pratici dell'antichità. 28
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L'iniziativa di scrivere una lettera poteva essere presa non solo da un vescovo desideroso di chiedere consiglio, ma anche dal pastore che, informato di eventi scandalosi in un'altra comunità, avesse voluto espri mere la propria condanna. Lo scambio di lettere serviva dunque ai ve scovi per formarsi opinioni, per stabilire la tattica da seguire nelle que stioni correnti o per ottenere un appoggio quando i dissidi interni si acuivano. Le lettere venivano recapitate dai messi, di regola membri del clero (per lo più diaconi), cd è molto probabile che costoro, opportuna mente istruiti dai mittenti, servissero a trasmettere anche altre informa zioni; in questo caso la lettera poteva rappresentare una sorta di auto rizzazione a condurre il dialogo. In seguito, l'istituzione dei sinodi, sviluppatasi con il tempo, rese in parte inutile il ricorso a questa corrispondenza intensiva, anche se non la eliminò affatto.9
1.19 Sinodi e concili Nel corso di questo capitolo ho più volte citato decisioni prese da assem blee di vescovi chiamate "sinodi" c "concili". Avrò occasione di parlarne ancora nei prossimi capitoli, quando descriverò ampiamente lo svolgi mento dei concili di Efeso del 431 e del449, e quello di Calcedonia del 451. Fin da ora, tuttavia, devo al lettore alcune informazioni. Anzitutto due parole sulla questione della terminologia. Nell'antichità v i congressi di vescovi venivano chiamati synodos in greco c conczlium in latino. Tali termini si riferivano sia ai congressi affollati che a quelli mi nori, avendo tutt'al più cura di aggiungervi l'aggettivo "grande" o "ecu menico". Stabilire quali tra le più importanti adunanze episcopali fosse ro concili Oe cui decisioni si estendono indistintamente a tutti) e quali invece soltanto sinodi, costituisce effettivamente oggetto di pesanti di spme dominali tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse c monofisite. La distinzione tra concili c sinodi crea inoltre non poche difficoltà allo storico. Come catalogare una riunione convocata come congresso "ecu menico" (e quindi concilio), ma in seguito condannata, e relegata perciò alla categoria dei sinodi? Come definire complessivamente l'attività di si nodi c concili senza ripetere pedantemente entrambi i termini? Nella Chiesa della tarda antichità, e soprattutto in quella dd IV secolo, sinodi e concili avevano un posto d'eccezione. Soprattutto stabilivano quello che potremmo chiamare il "livello teologico minimo", obbligato rio per tutti i cristiani. Tuttavia, per quanto importanti, le dispute dottri nali non esaurivano il contenuto delle adunanze episcopali poiché vi ve-
• In moltissimi casi si continuarono a seguire i vecchi modelli; in certe situa zioni, per esempio. un dirigente ecclesiastico anziché rischiare di condurre una disputa pubblica, poteva ricorrere alla corrispondenza per concordare le posi zioni con altri vescovi.
29
Storia della Chiesa nella tarda antichità nivano prese decisioni riguardanti anche altri settori della vita ecclesia stica. Con il passare del tempo e con l'aumento del numero delle comu nità e dei fedeli, la Cbiesa avverti sempre di più l'esigenza di formalizza re e di unificare una tradizione quanto mai fluida. Se le differenze nel comportamento degli ecclesiastici, nel calendario delle festività, nella li turgia, nel trattamento dei peccatori, nel modo di preparare le persone desiderose di battezzarsi, nelle norme relative alla scelta dei membri del clero non costituivano un particolare problema per le prime generazioni della cristianità, in seguito, soprattutto quando la Chiesa abbracciò quasi tutti gli abitanti del bacino mediterraneo, esse divennero insostenibili. D patrimonio crescente (nonché il rapido aumento delle spese ecclesiasti che) esigeva l'introduzione di chiari principi amministrativi, un po' per garantirsi dalle perdite ma soprattutto per impedire ai vescovi disonesti di arricchirsi a spese della Chiesa. Questa tematica ricorreva spesso nelle riunioni episcopali e la contiJma ripetizione delle medesime norme testi monia chiaramente quanto scottante fosse il problema. I risultati, non solo dottrinali ma anche organizzativi, delle adunanze episcopali venivano accuratamente trascritti; alle decisioni, dette "cano ni", si cercava di dare un posto durevole nella vita della comunità. Di questi canoni solo una parte si è mantenuta nei secoli, fornendo allo sto rico una fonte preziosa per conoscere lo stato della Chiesa in una parti colare epoca. Le adunanze episcopali si occupavano anche di questioni disciplinari, come le dispute tra i vescovi (molto frequenti) e le accuse rivolte loro di aver commesso azioni contrarie alla legge e alle norme cristiane. In tali consessi si intraprendevano anche tentativi di conciliare i contendenti, si stabilivano tattiche comuni nelle questioni locali, si comunicavano infor mazioni sui principali avvenimenti delle varie località. L'istituzione dei sinodi si sviluppò già nella Chiesa precostantiniana e addirittura prima della cosiddetta Piccola Pace (il periodo tra le perse cuzioni di Valeriano e quelle di Diocleziano), ulteriore prova di quanto sia stato importante il m secolo nella storia della Chiesa. Dalla Stora i ec clesiastica di Eusebio veniamo a sapere di sioodi riunitisi alla fine del U secolo in seguito alle dispute sulla data della Pasqua. Intorno all'anno 200, a Cartagine, si dibatté la questione della validità del battesimo im partito da eretici; negli anni trenta Origene partecipò al sinodo dei ve scovi d'Arabia. Nel 251 trecentosessanta vescovi (più numerosi presbi teri e diaconi) si pronunciarono sullo scisma nella Chiesa romana causa to da Novaziano; sul medesimo problema si cdebrarono altri sinodi oeUe province. Nd 256 Cipriano riunì ottantasette vescovi a Cartagine per discutere la situazione delle Chiese lacerate dalle dispute sulla tatti ca adottata nei confronti dei cosiddetti "caduti" durante le persecuzio ni. Ad Antiochia due sinodi (264 e 268) si pronunciarono uno dopo l'altro riguardo a Paolo di Samosata. Gli studiosi delJa Chiesa richiamano l'attenzione sul fatto che l'istitu zione dei sinodi derivava da usanze antiche. Non c'è dubbio che, per 30 Copyrighted
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quanto concerneva il sistema di voto, le competenze e il modo di proce dere del presidente, i vescovi ricalcassero le procedure di istituzioni quali i consigli municipali (che a loro volta imitavano il senato romano). C'è tuttavta da chiederst'se la dipendenza dei sinodi dai costumi romani non si spingesse anche oltre, riguardando addirittura l'idea stessa di ra dunare i vescovi per prendere decisioni importanti, e ciò in un'epoca in cui le singole comunità ecclesiastiche erano praticamente indipendenti sul piano organizzativo. Jean Gaudemet, uno storico delle istituzioni ec clesiastiche alla cui opera attingo a piene mani in queste considerazioni, risponde negativamente a tale domanda, sottolineando l'evidenza e la naturalezza dell'idea in sé, per cui, secondo lui, è poco probabile che i cristiani traessero consapevolmente ispirazione da coloro che li persegui tavano. L'argomentazione di Gaudemet rasenta l'ingenuità: innanzitutto, la storia insegna che molto spesso le collettività perseguitate si modellano sulle istituzioni, sulle usanze e sulla cultura dei loro persecutori; in secon do luogo, bisognerebbe chiarire che cosa significhi "trarre consapevol mente ispirazione". l cristiani si formarono all'interno del mondo romano, dove l'élite che governava le città prendeva le decisioni deliberando per mezzo di corpi collettivi: i consigli municipali governavano realmente le città dell'impero. L e basi per intendersi, per giungere a compromessi e di vidersi i compiti in quel tipo di foro, l'estrema formalizzazione dei di battimenti e il loro carattere pubblico erano elementi tanto più autore voli per l'élite cristiana, in quanto non si vedeva alcun motivo di re spingerli: di per sé essi non rivestivano un carattere pagano. Riunirsi per prendere una decisione comune dopo una serie di discussioni con dotte secondo regole prestabilire, che prevedevano inoltre un verbale della riunione da presentare ai fedeli, non aveva niente di naturale né di evidente. Basta osservare la storia della Chiesa in altre zone e in al tre epoche, per accorgersi che i sinodi non si svolgevano né ovunque né sempre. Del resto, nell'ambito stesso del mondo antico è facile riscontrare differenze fondamentali tra le Chiese. In Egitto l'istituzione dei sinodi quasi si estinse dopo la fine del V secolo (ma neanche prima d'allora era mai stata veramente solida), in virtù della posizione particolarmen te forte del capo della Chiesa egiziana, il vescovo di Alessandria, che prendeva da solo le decisioni e ne informava i suoi vescovi senza inter pellarli. Certo anche lui si consultava in qualche modo con vescovi scelti, di cui rispettava il parere; però non lo faceva nell'ambito di isti tuzioni formali, come riunioni comuni in date stabilite e con la parteci pazione, se non di tutti i vescovi, perlomeno di quelli più noti, i quali, per effetto delle discussioni, potessero comunicarsi a vicenda le pro prie opinioni; i pareri dei vescovi con cui si consultava non lo condi zionavano minimamente. L'Egitto era il paese del mondo mediterraneo meno vincolato al modello greco di vita cittadina, il che permetteva al vescovo di Alessandria di applicare metodi altrove inammissibili. 31
Storta della ChieJa nella tarda anlichittÌ Nel IV secolo si generalizza l'uso di celebrare sinodi provinciali, di soliro una volta all'anno o una volta ogni due anni. In queste riunioni si parlava raramente di questioni dottrinali (e comunque i sinodi provin ciali non potevano avere molta voce in materia), ma ci si occupava di questioni organizzative, di problemi correnti e di attriti locali. Questi si nodi di grado inferiore rappresentavano uno strumento importante in mano al metropolita, desideroso di controllare c subordinare efficace mente i capi ecclesiastici delle città minori, che non sempre si sottomet tevano con entusiasmo, circostanza provata dai canoni che imponevano a tutti i vescovi di partecipare ai sinodi, pena la deposizione dalla carica (c'è da dubitare che tale precetto venisse osservato, poiché la deposizio ne rappresentava pur sempre una sanzione molto drastica; se poi il ve scovo godeva di un certo appoggio da parte del suo clero e della sua gente, un intervento del genere era inattuabile). Era anche proibito ab bandonare la riunione prima della fine. Non era solo la previsione di in terventi spiacevoli nei loro confronti a tener lontani i vescovi dai dibat titi: i viaggi erano molto onerosi, spesso troppo, per città piccole e po vere. Inoltre i vescovi erano di solito persone anziane c malate, che si spostavano malvolentieri, preferendo inviare un loro presbitero o me glio ancora un diacono; il quale naturalmente, nella rigida gerarchia dell'insigne consesso, aveva ben poca voce in capitolo. Si celebravano anche sinodi che riunivano i vescovi di una data regio ne: quelli dell'Africa a Cartagine, quelli della Gallia in questa o quella località (non essendovi una città chiaramente emergente sulle altre dal punto di vista ecclesiastico); lo stesso in Spagna; quelli della diocesi10 d'Oriente ad Antiochia, e così via. A questi incontri partecipavano solo alcuni vescovi. Sappiamo che in Africa si vob·a stabilire il principio di delegarne tre per provincia (ma alla Tripolitania fu concesso di mandar ne uno solo, «i vescovi essendo poveri»); i sinodi interprovinciali non potevano riunirsi troppo spesso, data la complessità dell'impresa. Si ce lebravano soprattutto in Italia, soprattutto nelle zone di influenza di Roma, di Milano e di Aquileia; in confronto ai colleghi di queste grandi città, i metropoliti locali erano troppo deboli per manifestare iniziative personali. Degno di nota è il fatto che in Gallia i sinodi regionali si svolgessero an che nei momenti di maggior confusione del v secolo; essi si tennero in successione: nel 439 (Reii, oggi Riez), nel4-tl (Arausio, oggi Orange), nel 442 (Vasio, oggi Vaison), nel 453 (Andecavis, oggi Angers), nel 461 (Turonc, oggi Tours), ncl465 (Vinetus, oggi Vannes). Evidentemente i ve scovi desideravano mantenere tra loro i legami, spezzati invece nella sfera politica c amministrativa, ricavando una certa rassicurazione dal potcrsi rivolgere alle nuove autorità a nome di tutti.
10 Nella tarda antichità la parola "Jiocesi" designa\·a una unità amministrativa composta Wl più province. Non era mal usata per Jesignare ciò che oggi noi chiamiamo "Jiocesi".
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I pastori del popolo di Dio
I canoni di questi sinodi indicano che essi dovevano (e riuscivano a) re
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golare questioni di tipo organizzativo secondo prospettive più vaste che non a livello provinciale. Le riunioni si occupavano anche di questioni dottrinali, soprattutto di dissidi di portata inferiore rispetto alle grandi controversie ariana c cristologica. In entrambe le parti dell'impero le ere sie spuntavano come funghi: spettava ai sinodi regionali combatterle sul piano teologico e prendere gli opportuni provvedimenti pratici. Una categoria a parte erano i sinodi riuniti su convocazione del ve scovo di Roma. Vi partecipavano gli ecclesiastici romani (sicuramente scelti solo tra i membri più eminenti del clero), i vescovi dell'Italia Suburbicaria nonché i vescovi di altre città, che per ragioni diverse in quel momento risiedevano a Roma. Tali sinodi romani, che si potevano convocare alla svelta c che, in virtù della loro composizione e della posizione di chi li convocava, non manifestavano segni di indipendenza, rappresentavano per il papa un comodo foro: permettevano di dare ri sonanza alle sue decisioni c opinioni e costituivano l'occasione per eser citare una pressione sui vescovi d'Italia e fuori dell' J tali a. Per i vescovi delle città lontane dal Tevere, e che quindi potevano essere tentati dal l'insubordinazione, era più difficile ignorare le decisioni di un sinodo che le ammonizioni, espresse con minore solennità, del papa. Alla fine del IV secolo nasce un'istituzione in certo senso parallela: la synodos endemousa del patriarca di Costantinopoli, già nel v secolo con stderata parte delle tradizionali istituzioni ecclesiastiche della capitale. A
questo sinodo partecipavano innanzitutto i vescovi che soggiornavano in città per sbrigare i propri affari, come un'udienza presso l'imperatore o presso alti funzionari laici, oppure una visita alla curia patriarcale. Ovviamente a Costantinopoli questa categoria di vescovi di passaggio era molto più numerosa che a Roma. Il sinodo detto endemousa non po teva avere un volto proprio, né mostrare tendenze indipendenti: faceva da sfondo agli interventi del patriarca. Non si deve però sottovalutarne la voce (così come non si devono sottovalutare i sinodi romani): il pa triarca non poteva presentarvi decisioni del tutto impopolari, che si di scostassero drasticamente dalle usanze ecclesiastiche. Anche nelle comu nità regolate nel modo più autoritario, l'esposizione pubblica delle pro prie ragioni impone ai governanti certi limiti. Ovviamente l'attenzione degli studiosi è attratta soprattutto dai gran di raduni convocati su iniziativa dell'imperatore, ai quali partecipavano i vescovi di vari paesi. Alcuni di essi erano considerati riunioni generali (ecumeniche) per l'importanza delle decisioni che vi venivano prese, e non per il numero dei partecipanti o per la rapprescntatività del gruppo in rapporto alla totalità della Chiesa: è a essi che si riferisce il termine "concilio". Gli altri, benché convocati secondo i medesimi princìpi, re starono nella categoria dei sinodi (talvolta queste riunioni "inferiori" avevano una grande importanza ed elaboravano un patrimonio teologi co e disciplinare fondamentale). Nel IV secolo si celebrò un gran nume ro di assemblee episcopali d'alto rango. Tra il concilio di Nicea (325) e 33
Storia della Chiesa nella tardt1 antichità
il primo concilio di Costantinopoli (381) gli imperatori convocarono i seguenti sinodi: a Tiro 035); ad Antiochia, il cosiddetto "sinodo in en caemis" per la consacrazione di una chiesa di questa città (341); a Serdica (342 o 343); a Sirmio (351); ad Ardate, oggi Arles (353); a Milano (355); di nuovo a Sirmio (357); ad Ari.minium, oggi Rimini (359); a Seleucia (359); a Costantinopoli (360); ad Antiochia (361); a Lampsaco (363). Nel medesimo tempo si svolsero sinodi dello stesso rango, ma convocati senza la partecipazione dell'imperatore e spesso contro la sua volontà. L'imponente lista dei sinodi dd IV secolo ci per mette di valutare il posto occupato dalle assemblee episcopali nella sto ria della Chiesa di quest'epoca. Nel v secolo tre assemblee aspirarono al ruolo di concili: la prima di Efeso (431), la seconda di Efeso (449) e quella di Calcedonia (451). La Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse non riconoscono la seconda adu nanza di Efeso come concilio (vedremo più avanti il perché); le Chiese derivate dalla tradizione monofisita eliminarono dalla Lista dei concili l'assemblea di Calcedonia (conservando invece Efeso n).
1.20 Difficoltà nel defini re la simonia Alla fine di queste considerazioni riguardanti il clero, la sua mentalità e i suoi specifici modi di agire, vorrei riprendere un argomento preceden temente so.lo accennato, e cioè che cosa fosse (o non fosse) la simonia nella Chiesa della tarda antichità. Ho rimandato la questione alla fine del capitolo poiché non volevo comprometterne l'equilibrio con osser vazioni troppo particolareggiate; tuttavia mi preme parlarne, giacché il tema della simonia permette di renderei veramente conto di ciò che la gente pensava della Chiesa, dimostrando quanto ci si debba guardare dalla tendenza a fonnulare giudizi univoci. In un dizionario polacco dei termini stranieri, la simonia viene così defmita: Simonia: dal latino medievale sirnonia (da Si mon Mago che, secondo gli Atti degli Apostoli volle comprare dagli apostoli il potere di conferire i sacramen
ti); pratica consistente nel vendere e comprare le cariche ecclesiastiche e i beni materiali a esse legaci, diffusa nella Chiesa cattolica durante iJ Medioevo; luc ro di cose sacre .
Nel passo degli Atti degli Apostoli (8, 9·23) citato dal diziona.rio, si nar ra di un certo Simone che esercitava arti magiche in Samaria. Benché battezzato, egli non divenne un buon cristiano in quanto, desiderando i doni dello Spirito Santo posseduti dagli apostoli, si immaginò di poterli comprare «con il denaro», cosa che ovviamente provocò la sua condan na. «Va' in perdizione tu e il tuo denaro» gli rispose Pietro «perché hai creduto che .il dono di Dio si potesse acquistare con i.l denaro!>>. I mo34 Copyrighted
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I pastori del popolo di Dio
ralisti antichi, che si scagliavano contro l'acquisto di dignità ecclesiasti che, citavano altri due passi del Nuovo Testamento: «Essi sono i Dodici che Gesù inviò dopo aver dato loro queste istruzioni: "Andate [e] pre dicate: 'Il regno dei cieli è vicino'. Guarite i malati, risuscitate i morti, mondate i lebbrosi, scacciate i demoni; gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non prendete né oro né argento, né moneta nelle vostre cinture» (Mt 10, 5-9); «Poi Gesù entrò nel Tempio e ne scacciò tutti quelli che �compravano nel Tempio, rovesciò i tavoli dci cambiamonete e i seggi dei venditori di colombe, dicendo loro: "Sta scritto: 'La casa mia sarà chiamata casa di preghiera; ma voi ne fate una spelonca di ladri"'» Mt 21, 12-13). Non sembra che la s1moma os. un fenomeno diffuso nei primi seco li della Chiesa, sebbene anche allora si verificassero casi in cui ci si ser viva di denaro per ottenere cariche ecclesiastiche. I moralisti cristiani, consapevoli del pericolo rappresentato nelle comunità dal connubio tra ricchezza e ambizione, ne parlavano nelle proprie opere. Quando però la Chiesa, da istituzione perseguitata o (molto più spesso) appena tolle rata, divenne un'istituzione potente, padrona di decidere il corso degli eventi in vari settori e comunità, il numero dei grandi di questo mondo disposti a dirigere le questioni ecclesiastiche aumentò di colpo, e con esso aumentò anche il pericolo di simonia. Fu al concilio di Calcedonia �he per la prima volta venne stabi lita una perf� perChi s1 fosse macchiato di simonia. In quell'occasione venne approvato il seguente canone (il secondo, nell'ordine): Se un vescovo fa una sacra ordinazione per denaro, se vende la grazia che non può essere venduta, se consacra per lucro un vescovo o un corepiscopo o un presbitcro o un diacono o qualsiasi altro del clero, o promuove qualcuno al l'ufficio di amministratore o di pubblico difensore o di guardiano o a qualsiasi altro compito nella curia per turpe interesse, egli s spon:__� se il fatto è pro vato� a�e il S!ffigrado. Quanto a quello che a ricevuto l'ordinazione in
ra
tal modo, non riporterà alcun vantaggio da un'ordinazione o promozione mer
canteggiata, ma sarà deposto dalla dignità o dall'ufficio che ha ottenuto con denaro. Se poi qualcuno ha fatto da mediatore in questo commercio illecito e vergognoso, se si tratta di un chierico, decada dal proprio grado, se si tratta di un laico o di un monaco, sia afflitto da scomunica.11
Circa settant'anni prima, già l'autore delle Costituzioni apoitoliche, una raccolta di norme del diritto canonico, aveva imposto di punire nello stesso modo chi si era macchiato di simonia. Anche gli imperatori cer cavano di impedire la pratica scandalosa, ripetendo nei loro decreti i princìpi formulati dalla Chiesa. Il primo di una lunga serie di atti legali contro la simonia fu emanato dall'imperatore Leone, nel469.
11 Conciliurum Oecumenicorum Decreta, cit., canone 2 Calcedonia.
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del concilio di
Storia della Chiesa nella tarda antichità
Leggendo questi testi si è indotti a credere che niente, in materia di simonia, lasciasse adito a dubbi: né il peccato, condannato nelle Sacre Scritture e facilmente classificabile, né la pratica punitiva, formulata in modo semplice e inequivocabile. Invece la simonia era un fenomeno tutt'altro che chiaro, che dette parecchio filo da torcere alla Chiesa: non solo perché, come molti altri peccati, non si lasciava sradicare, ma an che perché lo stabilire che cosa fosse o non fosse "simonia" poteva in contrare serie difficoltà. Alcuni esempi ci aiuteranno a capire da che cosa sorgessero le complicazioni. Basilio di Cesarea (330-379), in una delle sue lettere (53), accusa i suoi aiutanti corcpiscopi di prendere soldi per le ordinazioni, «mascherando tale procedura sotto il nome "devozione"». Più avanti aggiunge che tali aiutanti credono erroneamente di non peccare accettando i soldi solo dopo la consacrazione, anziché prima, mentre l'essenziale non è questo, quanto il fatto stesso di prendere il denaro. Teniamo dunque presente che la simonia poteva venir mascherata sotto il nome "devozione". Ciò non sorprende affatto, visto che la munificenza verso la Chiesa da parte delle persone abbienti era sempre stata considerata una virtù, virtù che in buona fede si cercava di stimolare, c non di frenare. L'offerta da parte del futuro vescovo a favore della Chiesa, e destinata alla sua attività filan tropica, doveva essere considerata colpevole? Quanti giorni o mesi dove vano trascorrere tra l'offerta del dono e la consacrazione, per fugare ogni sospetto di simonia? Un famoso epistolografo della tarda antichità, lsidoro di Pelusio (360 ca.-440 ca.), ricorda che il vescovo della sua otta attingevaaotfet1é'stmontad1e per la costruzione di una splendida chiesa. Isidoro lo condanna severamente, ma siamo sicuri che tutti i membri della comunità facessero altrettanto? Molti potevano ritenere assolutamente legittimo il dono offerto per la costruzione della chiesa, e non veder ragione di rifiutare un simile gesto da parte di chi possedeva un patrimonio. Basilio affermava senza mezzi termini che il pagamento dopo l'ordi nazione era da condannarsi esattamente come quello avvenuto prima della medesima. Su questo punto, però, oltre alla gente comune, anche un moralista come papa..l.!.e .r gorio M51gno (540 ca.-6Q.11. era di parere contrario. Il papa infatti, pur combattendo la sÌmonia con particolare fervore, ammetteva la possibilità di gratificare i partecipanti alla cerimo nia con i doni consueti. Secondo lui, il denaro offerto alla Chiesa dopo 1 la consacrazione era pia elargizione e non l'indizio di una turpe corru zione. Basilio avrebbe certo obiettato che la promessa di un regalo face va già di per sé pendere la bilancia in favore di un certo candidato, c che se anche non fosse corso denaro, il male insito nel conferire una di gnità ecclesiastica in cambio di vantaggi materiali era già stato fatto. Nel quinto canone del concilio di Nicea 11 (787) leggiamo: Quelli dunque che si gloriano di aver avuto un posto nella gerarchia della
Chiesa per mezzo del denaro [.. ] .
c
hanno espressioni offensive contro chi
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I pa.rlort del popolo di Dio per la propria vita vir tuosa è stato scelto dallo Spirito Santo cd elevato al sa cerdozio senza che abbia sborsato denaro, noi stabiliamo che la prima volta siano posti all'ultimo gradino del loro rango; se poi insistessero, siano assog gettati alle pene ecclesiastiche. Se fosse provato che ljualcuno si è comportato così per essere ordinato, si applichi il Canone apostolico che dice: "Se un ve scovo, un presbitero o un diacono ha ottenuto la propria dignità con il dena ro, sia deposto, lui
e
chi lo ha ordinato.12
11 quadro che emerge da questo testo è oltremodo interessante. Visto che si verificavano casi di membri del clero che raccontavano di avere sborsato somme di denaro per la propria carica, è chiaro che né loro, né il loro ambiente, lo consideravano simonia. Non c'è motivo di dubitare della loro buona fede, né di negare la loro devozione: l'ostentazione stessa di cui davano prova è la migliore garanzia della loro sincerità. La maggior parte di tali ecclesiastici aveva senza dubbio sborsato denaro e doveva trattarsi di casi frequenti, dato che la questione veniva discussa in un concilio. Ignoriamo invece su quali basi, per la medesima colpa, si punissero gli uni con la semplice degradazione, e gli altri con la deposi zione dalla carica. Le lettere del patriarca monofisita di Antiochia, Severo (morto nel 'i'e nella sua cma si vcrTHèàVàno CaSièllatt"i1bi'iii one 534 l, ci informanod di'Cariche ecclesiastiche a persone ricche che, spinte dalla devozione, desideravano far parte del clero senza l'intenzione di esercitare le fun zioni liturgiche connesse alla carica stessa, e che per tale onore erano disposte a sborsare denaro; e le necessità economiche della Chiesa an tiochena erano immense (lo erano anche le entrate, ma il suo bilancio restava sempre in passivo). Il virtuoso rigorismo del patriarca veniva a costargli ben caro. Anche qui, come prima, bisogna evitare di accusare di disonestà quanti aspiravano alla carica ecclesiastica nella convinzione che essa li avrebbe aiutati al momento di presentarsi al cospetto di Dio. Dalle lettere di Severo veniamo inoltre a sapere che questi ricchi tene vano molto a ricevere le consuete quote di beni assegnate ai membri del clero. Ciò conferma la mia convinzione che tali quote rivestissero so prattutto un valore simbolico, in quanto testimoniavano l'appartenenza al clero: è per questa ragione che individui in possesso di cospicui patri moni e che per vivere non avevano certo bisogno di piccole somme, di una brocca d'olio o di vino, non intendevano rinunciarvi.
1.21 Simonia o munificenza
Nel 546l'imperatore Giustiniano emanò un decreto, quanto mai interes sante per le nostre considerazioni, che regolamentava i pagamenti, detti in greco enthroni.rtika (da thronos: "trono", "seggio", nel senso vescovi-
12
lvi, canone 5 del concilio di Nicea Il. 37
Storia della Chiesa nella tarda anticbità le), di quanti panedpavano alla cerimonia di consacrazione del vescovo: i pastori venuti da fuori, i membri del clero locale e perfino l'insieme dei funzionari della curia locale (comprendente anche dei laici), incaricati di redigere i documenti che accompagnavano l'atto di consacrazione. Benché tali pagamenti rappresentassero w1 pesante aggravio per la cassa eccle.<;iastica, il nuovo vescovo non poteva né esimersene, né ridurli trop po all'osso senza rischiare di entrare in conflitto con il proprio clero e di venir tacciato di avarizia. Un certo campanilismo imponeva inoltre che la cifra distribuita fosse proporzionale alla grandezza della città. L'imperatore non provava nemmeno ad attaccare l'usanza in sé, ma cer cava solo di !imitarla, introducendo una tariffa che faceva dipendere la munificenza del vescovo dalle entrate della sua Chiesa. Conformemente a rale decreto, i superiori delle Chiese maggiori come Roma, Costantinopoli, Antiochia, Alessandria e Gerusalemme potevano distribuire tra vescovi e membri del clero fino a venti libbre d'oro. Ai metropoliti comuni, la cui Chiesa godesse di un'entrata annua non infe riore alle trenta libbre d'oro, si concedeva di assegnare cento solidi ai membri del clero, trecento ai funzionari (l libbra d'oro 72 solidi). Se le entrate della Chiesa erano tra le dieci e le trenta libbre, i pagamenti dovevano ammontare a cento solidi per gli ecclesiastici e a duecento per i funzionari. Con entrate annue dalle cinque alle dieci libbre d'oro, gli ecdesiastici potevano ricevere cinquanta solidi e i funzionari duecento. Seguivano le Chiese con entrate comprese tra le tre e le cinque libbre d'oro, nel qual caso il nuovo pastore poteva assegnare dieci solidi agli ecclesiastici e ventiquattro ai funzionari. I vescovi con entrate inferiori a tre libbre d'oro erano esentati dal pagare. 11 confine tra gli enthronistika e i pagamenti di tipo simoniaco doveva essere molto labile, per le ragioni sopra ricordate: la promessa di una data cifra poteva di per sé rappresentare un argomento decisivo in favo re di un certo candidato. Va inoltre aggiunto cbe Giustiniano regola meotava i pagamenti provenienti dalle casse ecclesiastiche, ma che il neovescovo poteva naturalmente pagare molto di più dì tasca propria. l casi esaminati indicano dunque che la simonia non era sempre esat tamente definibile. Tutto dipendeva dalla situazione: se il candidato non suscitava opposizioni ed era una persona devota e degna di fiducia, i soldi da lui offerti (non importa in quale momento) venivano conside rati tm'encorniabile manifestazione di zelo. Anzi, su quel dono si faceva assegnamento. Abbiamo a che fare con una comunità che affondava le proprie radici nell'antichità e che continuava a ragionare secondo il me tro dell'antichità. Nelle città antiche, dall'élite ci si aspettava munificen za nei confronti dei concittadini: la si considerava il miglior uso possibi le del proprio patrimonio, il mezzo più giusto per rendersi popolari, una garanzia di succe:.-sso elettorale. Nella vita politica l'accusa di avari zia era un'onta: la si giudicava una prova di meschinità, di mancanza di patriottismo. Nelle città dell'impero romano era invalso il principio se condo il quale i fun7ionari neoeletti erano tenuti a versare nelle casse ci=
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pastorr del popolo di Dio
vichc una certa quota, detta summa honoraria (letteralmente: "somma a titolo d'onore"), che era b'ì:iòhrusanza aunWnare a piacere. Alla fine dell'antichità i vescovi occupavano, almeno in parte, il posto preceden temente spettante ai notabili cittadini: niente di strano, dunque, che si applicasse loro la stessa misura. Un buon candidato a futuro pastore della comunità cristiana "doveva" dare una parte (meglio se cospicua) del suo patrimonio alla Chiesa. Ma se per caso il candidato al seggio episcopale suscitava una qualche opposizione, o se aveva avversari influenti, era molto probabile veder saltar fuori un'accusa di simonia che altrimenti in analoghe circostanze non sarebbe mai apparsa. L'accusa di simonia era un'arma perfetta per distruggere gli avversari, e questo per svariate ragioni. Primo: il peccato era ripugnante e la sua condanna biblicamente ben motivata, per cui di fendersi dalle accuse non era facile. Secondo: l'ambiguità insita nella si mania permetteva all'accusatore di deformare a piacere la realtà; persi no un oratore digiuno di arte dialettica era in grado, senza scostarsi troppo dai fatti, di presentare all'uditorio un quadro riprovevole (in nessuna epoca la polemica ha comportato obiettività, ma la polemica antica si serviva di metodi estremamente brutali, perfino se confrontati a quelli dci tempi nostri). Terzo: le pene per il reato di simonia erano severe; se l'accusatore riusciva a convincere i giudici ecclesiastici, l'ac cusato perdeva cariche, rispetto e posizione. Le elezioni episcopali su scitavano sempre molta emozione. L a città si divideva in fazioni che so stenevano i loro candidati con qualunque mezzo, uno dei quali consi steva appunto nel tacciare i concorrenti di simonia. Per la prima volta in queste considerazioni ho potuto mostrare al let tore un elemento importante delle polemiche ecclesiastiche (e non solo di quelle ecclesiastiche): le accuse di tipo strumentale. Le vere ragioni per criticare una data persona, un dato gruppo o una data corrente in realtà erano spesso altre da quelle apertamente formulate; combattendo a parole, si sferrava l'attacco nella direzione più comoda. Queste dimo stl·azioni strumentali rendono difficile comprendere il senso delle pole miche: lo storico privo di sufficiente spirito critico c non avvezzo a fiu tare gli stereotipi, di solito ne cade vittima. Se da un lato non si deve prestare redc alle prove di comodo, dall'altro non bisogna neanche tra scurare gli argomenti addotti, poiché se essi non fossero stati capaci di persuadere la gente che li leggeva (o li ascoltava), non se ne sarebbe fat to uso. è una questione sulla quale mTÒ modo di ritornare.
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2. Le grandi capitali del mondo ecclesiastico
2.1 Le strutture sovrametropolitane
Riprendiamo qui un argomento appena accennato nelle considerazioni precedenti: le caratteristiche delle grandi capitali dd mondo ecclesiastico. Tra queste il primo posto spettava a Roma, seguita, in Oriente, dalle principali città di due grandi regioni: Alessandria d'Egitto e Antiochia di Siria. Le altre capitali, sia in Occidente che in Oriente, rivestivano un'importanza molto minore. In Occidente, oltre a Roma, anche Cartagine occupava una posizione sovrametropolitana. Ricordiamo che il suo vescovo convocava e presie deva i sinodi dei vescovi della diocesi civile africana; spettava a lui informare le Chiese sulla data della Pasqua, e sembra che avesse anche una sorta di giurisdizione superiore a quella dei metropoliti locali. Tuttavia il vescovo di Cartagine non godette mai, in Africa, di un rango paragonabile a quello dd vescovo di Alessandria, in Egitto, o del vesco vo di Antiochia nella diocesi orientale; e ciò a causa, tra gli altri motivi, degli aspri conflitti nella Chiesa nordafricana che provocarono uno sci sma (ma di ciò parleremo più avanti). In Gallia addirittura non sorsero mai durevoli strutture sovrametropolitane: anche nel caso in cui un ve scovo particolarmente autorevole riuscisse per un certo tempo a impor re la propria supremazia sugli altri, i suoi successori perdevano la posi zione raggiunta. Nella rivalità per l'egemonia ecclesiastica i maggiori successi lurono ottenuti dai vescovi di Arles all'inizio del v secolo, ma i loro interventi fuori della propria giurisdizione erano guardati con so spetto c suscitavano le proteste di Roma, che temeva il formarsi in quel la regione di una solida struttura organizzativa, già allora concorrenziale per il papa. In Oriente, alla posizione sovrametropolitana aspirava Ge
rusalemme (ma vedremo come il realizzarsi di questa ambizione non sa
rebbe stato né rapido né facile). Alla fine del!\' secolo, malgrado le op posizioni dci vescovi di Roma c di Alessandria, un posto d'onore spettò a Costantinopoli, mentre i vescovi delle altre città ebbero minor fortu na: il primato di Efeso durò poco, quello Ji Tessalonica fu talmente contestato dall'episcopato locale da risultare di ben poca efficacia. I vescovi delle quattro Chiese che detenevano una posizione sovramc tropolitana (Alessandria, Antiochia, Gerusalemme e Costantinopoli) vengono tradizionalmente chiamati "patriarchi", c le loro Chiese "pa40
Le grandi capitali del mondo ecclesiastico
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triarcati"; è bene ricordare che tali termini non compaiono nelle fonti d'epoca utilizzate per questo libro. Il titolo di 'J;u;Uriar,D" appare nei do .. 8 .J..., ma a quel tempo esso cumenti del concilio di Co�mntinopoli deU aveva un signi'fìcatoonorifico, più chetecnico, e lo si attribuiva anche ad altri vesco�a1'ÌO"àt'soligrancthitolari delle principali me tropoli. Il titolo, utilizzato per definire un vescovo emergente non solo per rango ma anche per la sua speciale giurisdizione, compare per la pri ma volta in occasione del concilio di Calcedonia e viene attribuito a papa Leone Magno. Ma è solo nel VI secolo che il termine, inteso in sen so tecnico, entra nell'uso comune. A rigore, il titolo di "patriarca" non andrebbe quindi usato, in quanto anacronistico rispetto all'epoca di cui ci stiamo occupando; ma poiché ciò creerebbe considerevoli difficoltà lessicali, me ne servirò lo stesso, come fanno del resto tutti gli storici del la Chiesa, pregando semplicemente il lettore di ricordare che se nel TV e V secolo esiste l'istituzione, tuttavia non esiste ancora il nome preciso che la definisce.
2.2 La storia dci vescovi di Roma: un tema scottante
Il discorso sulle strutture ecclesiastiche sovrametropolitane deve ovvia
mente partire da Roma. Il ruolo del vescovo di Roma nella Chiesa antica c tardo-antica è un argomento capace di scatenare una grande emotività, che emerge perfino nei trattati più seri (di solito mi basta scorrere le pri me frasi di un qualsiasi studio sull'operato di questo o quel vescovo di Roma, per definire a colpo sicuro l'appartenenza confessionale dell'auto re). Le ragioni di tale emotività sono molteplici c non risiedono solo nel rapporto con la Chiesa contemporanea o con la persona che in un dato momento riveste la funzione di vescovo di Roma: spesso sono la conse guenza dell'esperienza delle generazioni precedenti, che ha lasciato trac ce durevoli nella coscienza nazionale. Per esempio, la relativa indipen denza della Chiesa cattolica francese nell'età moderna produce effetti che sono riscontrabili anche oggi in molti lavori di ricerca, i quali osten tano un freddo distacco nei confronti della tematica papale. Jean Daniélou, cardinale e amico di Paolo vr, c IIenri-lrénéc Marrou, ferven
te cattolico, nel primo volume della loro Nuova storia della Chiesa, dedi cato ai primi cinque secoli del cristianesimo, si occupano relativamente poco di ciò che accadeva a Roma, tralasciando praticamente la specifica problematica papale. La Chiesa polacca, invece, appartiene da tempo a quelle Chiese che sentirono fortemente il legame con il papa c che si sottomisero senza al cuna esitazione alle sue prescrizioni; la critica al papato e i tentativi di sminuirne il ruolo storico apparivano solo in ambiti ostili alla Chiesa cattolica, se non al cristianesimo in genere. Oggi la Polonia, per com prensibili motivi, è il paese più papista del mondo, il che non favorisce certo un atteggiamento critico nei confronti dell'episcopato romano, -Il
Stora i della Chiesa nella tard.a antichità nemmeno di quello antico. Anche gli attacchi contro il papato condotti dalla propaganda stalinista e poststalinista banno incrementato la sensi bilità sociale in materia, inducendo gli storici disgustaci dall'ideologia di partito, ma restii all'apologetica, a non occuparsi dell'argomento. Ma per quale motivo la storia del papato della tarda antichità costitui· sce un tema così scottante? Dove risiedono le ragioni di tanta emoti vità? Individuare i morivi di questa ipersensibilità dovrebbe aiutarci a capire il senso delle tante contese e la ragione per cui si continuia così spesso, persino nelle opere più recenti a manipolare le fonti. SuJJe cau se delle polemiche più accanite, infatti, di solito si preferisce tacere, il che rende difficile alle persone non iniziate agli arcani della storia eccle siastica farsi un'opinione obiettiva. Se il papato dei tempi che qlù ci interessano rappresenta un tema spi noso, ciò è dovuto al fatto che il ruolo del vescovo di Roma nella Chiesa universale ba subito nel corso dei secoli cambiamenti radicali: il modello che ci è noto dalla storia medievale e moderna, nonché dalle nostre espe rienze personali, si è formato solo alla fine dell'antichità. Si tratta di un'affermazione indubitabile, cbe qualunque studioso di antichità cristia na, anche il più apologetico, sarebbe disposto a sott.oscrivere.1 Quando però si cerca d i precisare in quale momento, e per effetto di quali proces si la situazione sia decisamente cambiata e. il vescovo di Roma sia stato chiamato "papa", ecco che, inevitabilmente, l'emotività si scatena. A questo punto sono necessarie alcune predsazioni di carattere ter minologico. n temine "papa" deriva dal greco papas, in latino papa, che nell'antichità veniva riferito a tutti i vescovi.2 Con il passare del tempo, però, questo titolo (sempre onorifico e non tecnico) venne riservato esclusivamente ai vescovi di grado più elevato nella scala gerarchica. Fu solo nel VI secolo che in Occidente si cominciò a usare la parola "papa", sen.za altre aggiunte, per indicare i l vescovo di Roma (prima lo si chiamava romanus papa, urbis papa). n passo successivo fu quello di privare gli altri vescovi di questo titolo/ fino a quando, nel1073, papa Gregorio VII ne proibì formalmente l'uso nei confronti di vescovi che non fossero di Roma. Nel mio libro chian1o "papi" i vescovi di Roma solo a partire da Damaso (e il lettore vedrà presto come mai io l'abbia scelto come primo "papa"). Ancbe le espressioni "Chiesa apostolica" o "Sede apostolica" (Sedes apostolica) inizialmente venivano riferite a tutte le Chiese che potevano
Ancora cento anni fa le cose erano diverse, ma ciò non ci riguar d a: se tuuo ra si alzano voci che ignorano questa veri tà ooo è il caso di preoccuparsene. 2 La mia attività di studiosa di papirologia che mi porta a pubblicare e com mentare documenti su papiri rinvenuti in Egitto, mi ha permesso di trovare in testi del VI secolo il term ine papas accanto ai nomi di vescovi di piccole città. J A prova della nuova prassi .linguistica si usa prendere l episodio del sinodo di Pavia del 998, quando l'arcivescovo di Milano fu criticato per essersi definito papa 1
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Le grandi capitali del mondo ecclesiastico
dimostrare la provenienza apostolica; fu la cancelleria di Damaso a san cire il nuovo uso, per cui tali espressioni dovevano indicare solo ed esclusivamente la Chiesa romana. L'innovazione non incontrò un favore immediato e fu universalmente accettata solo nel corso del v secolo. La maggior parte degli storici cattolici tenta di dimostrare in ogni modo come il primato del vescovo di Roma venisse generalmente accet tato. I loro avversari fanno esattamente lo stesso, ma nella direzione op posta. A ciò si aggiunge la difficoltà di valutare obiettivamente l'operato (per non dire poi il carattere) dei vari vescovi di Roma, nonché i dubbi sulle loro personali responsabilità nel dramma imminente, che già si profila, della frattura del mondo cristiano. Naturalmente non è privo di significato il tentativo di trovare nei testi dei Padri della Chiesa il rico noscimento del primato di Roma. Data la grande autorità dottrinale c morale dei Padri, la presenza di affermazioni in questo senso è conside rata un argomento decisivo in favore dell'opinione che ai loro tempi il primato romano fosse già accettato, mentre l'assenza basta a suscitare allarme. Inoltre per gli storici cattolici è essenziale poter dimostrare che la preminenza (nel senso più ampio del termine) del vescovo di Roma venne accettata subito dopo la sua chiara e formale dichiarazione; ciò proverebbe che la Chiesa riconosceva già da tempo al vescovo romano la posizione alla quale aspiravano Damaso e i suoi successori, in parti colare Leone Magno.
2.3 Il primato onorario del vescovo di Roma Per quanto indietro si risalga nelle fonti, il vescovo di Roma, a capo del la Chiesa della città che dominava tutto il mondo civilizzato, fu sempre ritenuto il primo tra i vescovi del mondo cristiano. Nei primi secoli la sua posizione derivava dalla supremazia della città nell'impero, esatta mente come il primato del vescovo di Alessandria d'Egitto o del vesco vo di Antiochia in Siria derivava dalla posizione delle città nelle rispetti ve regron1. La presenza degli apostoli Pietro e Paolo nei primi anni di formazio ne della comunità romana ebbe inoltre particolare importanza per la storia successiva di questa. Essa dava ai suoi membri la certezza che la fede trasmessa di generazione in generazione nella società cristiana di Roma fosse quella giusta, in quanto proveniva da un'autorità incontro vertibile. Fu proprio questa circostanza a permettere alla Chiesa roma na di assumere il ruolo di custode dell'ortodossia, al fine di comporre le controversie e di contrastare le lacerazioni che la nascita della nuova dottrina portava con sé. Roma però non era l'unica città in grado di vantare una provenienza apostolica; molte altre, infatti, potevano fare altrettanto: tutto sommato, quindi, per la posizione della Chiesa romana contava più il".raJ2&()"della città chèì'ìonlesueoriginiapt>stofiche.!utf�ivià'Ta supremazia delfà città 43
Storia della Chrc.ra nella tarda antichrtà stessa c la consapevolezza che la sua Chiesa fosse depositaria della giusta dottrina si unirono a formare ciò che gli storici della Chiesa sono soliti definire "il primato onorario di !�orna", "onorario" nel senso che non ne derivavano conseguenzedioromepratico, e che le Chiese piccole e gran di continuavano ad agire come ritenevano più opportuno; potevano in terpellare, anche se non erano obbligate a farlo, il vescovo di Roma su questioni di carattere dottrinale, ma spesso cercavano altre soluzioni ai loro problemi. I vescovi di Roma più attivi e ambiziosi riuscirono a in durre i vescovi di altre città, o più esattamente alcuni vescovi di altre città, a seguire il loro parere in certe questioni concrete, ma nei primi due secoli ciò avvenne di rado. Se si guarda alla storia della letteratura e della dottrina cristiane, se ne deduce che Roma non occupò un posto privilegiato nel loro processo di formazione: sebbene eminenti teologi si recassero nella capitale dell'impero, per molto tempo i vescovi romani non esercitarono, in quanto tali, un ruolo creativo in campo dottrinale. I vescovi delle altre grandi città dell'impero restavano in contatto epi stolare con i vescovi di Roma (corrispondevano anche tra loro, come abbiamo visto nel capitolo precedente), chiedevano la loro opinione su varie questioni, cercavano un accordo in merito alle loro proposte, ma se la pensavano diversamente erano liberi di agire come meglio crede vano. Cipriano, che nella metà del III secolo guidava la Chiesa di Cartagine, riguardo al problema del doppio battesimo degli eretici (una questione tutt'altro che secondaria), riuscì a trascurare la diversità tra la posizione del vescovo della capitale e la tradizione della sua Chiesa.
2.4
La posizione del vescovo di Roma ai tempi di Costantino il Grande
Alle soglie del lV secolo il primato della Chiesa romana non era affatto superiore a quello esercitato nel secolo precedente. È vero che C�fl � affidò al suo Milziade (3ll-314l.la risolu zione del 5illlflitto che c6nt�eva ue f�ioni cristiane in Afrka (donatisti e cattollCD, e che il giudizio cbb"e dffettivamente luogo (313) TiilliiVia:polcfìciacontroversia non accennava a finire, l'imperatore or dinò di convocare un sinodo speciale ad Arles (314), e nella discussione non ci si appellò più�a precedente sentenza ro1nana, né la si men zionò nella lettera sinodale inviata al vescovo di Roma Silvestro 014335), con cui i vescovi riuniti ad Arles lo informavano delle decisioni prese. La lettera non conteneva il minimo accenno alla necessità di fare apprvvan:: tali decisioni dal pastore romano; in compenso, i partecipan ti al sinodo chiesero a Silvestro di inviare le lettere di prammatica a tut te le Chiese, in segno di riconoscimento del suo primato onorario. Silvestro non ebbe inoltre alcuna parte nella convocazione del conci lio di Nicea. Gli storici cattolici hanno dovuto ammettere, con difficoltà e con un certo ritardo, che le fonti in nostro possesso non indicano af-
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Le grandi capita/t del mondo ecclesiastico fatto che Costantino il Grande l'avesse interpellato a questo proposito. Il vescovo di Roma inviò al concilio due presbiteri, Vito e \li� che"'fiontrnervennero n� uo..:a:ìe colpisc�il loro basso rango, che nel mondo ecclesiastico, così rispettoso della gerarchia, agiva sicuramente a loro sfavore; per cui sembrerebbe che il compito dei due presbiteri consiste!>!>e e!>cl us ivam en te nell'ascoltare le discussioni c nel presentarne una relazione a Silvestro. A dire il vero Gelasio di Cizico, che scrisse verso la fine del v secolo, sostiene che il vero rappresentante di Roma era stato il presidente dei dibattiti Osio di Cordova, molto sti mato dall'imperatore. Tuttavia, gli autori più vicini al concilio non san no niente riguardo a questa funzione di Osio; evidentemente Gelasio trasporta in un passato per lui ormai remoto una situazione caratteristi ca della sua epoca. L'assenza del vescovo di Roma tra tanti personaggi che, agli inizi dd IV secolo, decidevano le sorti della Chiesa su tutto il territorio dell'im pero, non significa affatto che l'importanza di quel ministero si fosse drasticamente ridotta. Occorre distinguere due livelli di funzionamento del primato romano: quello delle regioni legate a Roma (prima di tutte l'ltalia, seguita dalla Gallia, dalla Spagna c, in misura molto minore, dall'Africa), e quello dell'impero nel suo complesso (che comportava l'imposizione del proprio punto di vista ai vescovi dell'Oriente greco). Il fatto che in Oriente la voce del vescovo di Roma contasse poco non significa che nelle regioni vicine a Roma non fosse in atto un processo di rafforzamento del suo potere. Nella seconda metà del Ili secolo, nell'Italia centrale si formò una solida struttura di Chiese locali sottopo ste a Roma; nel IV secolo la potenza del vescovo di Roma impedì il sor gere di metropoli nell'Italia centrale. Ce ne fornisce la prova il canone 6 del concilio di Nicea, il cui testo greco recita: «In Egitto, nella Libia e nella Pentapolis sia mantenuta l'antica consuetudine per cui il vescovo di Alessandria abbia autorità su tutte queste province, com'è consuetu dine anche per il vescovo di Roma. Ugualmente ad Antiochia e nelle al tre province siano conservati alle Chiese i loro privilegi».4 L'interpretazione di questo testo presenta tuttavia qualche problema. Durante un sinodo svoltosi a Cartagine nel 419 se ne lesse una versione leggermente diversa, tratta dall'esemplare latino dei canoni, portato da Nicea dal vescovo della città, Ceciliano, che aveva partecipato al concilio: Antiqua per Egyptum atque Penrapolim consuctudo servctur, ut Alexandrinus episcopus horum habcat sollicitudinem, quoniam et urbis Rornac episcopo si milis rnos est, ut in suburbicaria loca sollicituJinem gcrat; nccnon et apud Anriochiam itaque et in aliis provinciis propria iura scrvetur metropolitanis ec clesiis.� -- -- --
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Conàliorum Oecumenicorum Decreta, cit., canone 6 del concilio di Nicea. �C.M. Turner, Ecdesiae Occidentalis Monumenta luris Antiquissimae, ClarenJon Press, Oxford 1899, vol. I, p. 120. 4
45
Storù1 della Chiesa nella tarda antichità n testo di Ceciliano conteneva una frase che indicava con precisione su quali regioni il vescovo di Roma esercitasse il proprio potere ecclesiasti co: suburbicaria loca erano i territori della diocesi (civile, non ecclesiasti ca), detti Italia Suburbicaria e comprendenti l'Italia centrale e meridio nale. Nel testo greco invece non veniva affatto precisata la sfera del controllo ecclesiastico esercitato dal vescovo romano. n testo del cano ne ci è stato indubbiamente tramandato nella versione latina di Ceciliano, e non in quella greca, ed è facile spiegare come mai dal testo greco sia stata eliminata l'allusione all'Italia Suburbicaria: la cosa è comprensibile dal punto di vista dei vescovi d'Oriente, per i quali quel canone contava soprattutto come base formale del potere dei pastori di Alessandria e di Antiochia; precisare in quale parte d'Italia esercitasse il vescovo di Roma il proprio potere era un particolare del tutto seconda rio, tanto più che a Nicea la sua posizione non era stata oggetto di cli scussione, ma un semplice punto di riferimento. Viceversa sarebbe estremamente difficilé spiegare perché mai Ceciliano avrebbe dovuto aggiungere quell'informazione io un testo �he non la conteneva Negli anni del pontificato di Silvestro, Roma non esercitò quindi un ruolo importante nell'ambito della Chiesa. La situazione cambiò solo con l'avvento di papa Giwio ()37 -.352). .
2.5 I cambiamenti sotto il pontificato di Giulio n sensibile aumento di prestigio del vescovo di Roma fu dovuto in parte all'eminenza del nuovo pastore, io parte, e forse soprattutto, ai cambia menti .in atto ne.lle Chiese d'Oriente sconvolte dalla grande disputa dottri nale suscitata da Ario. Entrambi i contendenti, infatti, volevano assicurar si l'appoggio del vescovo di Roma e il mondo cristiano era .in preda a una febbrile attività diplomatica, con scambi di lettere e invii di delegazioni. Le iniziative dell'imperatore Costanzo, che sosteneva l'arianesimo e imponeva le sue soluzioni sia dottrinali sia personali, condussero a Roma non solo innumerevoli delegazioni, ma anche persone che, scac ciate dai loro episcopati, nella capitale cercavano aiuto nella lotta all'e resia. Nel 399 giunse il profugo più illustre, iJ vescovo di Alessandria Atanasio, che nei mesi del suo soggiorno romano ebbe il tempo neces sario per esercitare la propria influenza su Giulio e il suo entourage, af fascinati dalla personalità carismatica del potente vescovo della Chiesa egiziana. n fatto stesso che Atanasio cercasse aiuto a Roma doveva esse re motivo di grande soddisfazione per Giulio e le persone a lui vicine. Il suo arrivo, seguito da queJJo di altri perseguitati "niceni", fece tempora neamente di Roma un centro dell'opposizione all'arianesimo. Esisteva anche un altro fattore favorevole al nuovo ruolo rivestito dal vescovo di Roma nei confronti delle contese d'Oriente. Negli anni del pontificato di Giulio l'impero fu dapprima diviso fra gli imperatori Costantin o n, Costanzo n e Costante, successivamente, tra il 340 e il 46 Copyrighted
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aterial
Le grandi capttaù del mondo eccleiiastico 350, fra Costanzo 11 e Costante. Mentre Costanzo era favorevole all'aria nesimo, i suoi due fratelli lo avversavano. Le differenze tra i sovrani permettevano a persone come Atanasio e Giulio di mettere in atto una tattica complicata che consentisse a Costantino e a Costante di sopraffa re Costanzo; il quale, a sua volta, non poteva non tener conto delle pre ferenze dottrinali e personali dci suoi fratelli. Un fenomeno analogo, per quanto scarse siano le informazioni in nostro possesso, doveva sicu ramente verificarsi anche sul versante ariano, dove i vescovi filoariani cercavano l'appoggio di Costanzo. Giulio tendeva a convocare a Roma un grande raduno di vescovi sot to la propria guida; il suo compito sarebbe stato quello di annullare i decreti approvati dai sinodi d'Oriente e di riportare Atanasio sulla cat tedra episcopale di Alessandria. In questo libro ci imbatteremo a più riprese in tentativi dei vescovi ro mani di organizzare in Italia riunioni di vescovi d'Occidente e d'Oriente (secondo la nostra terminologia: concili); essi tuttavia non arrivarono mai a buon fine in quanto erano sgraditi all'imperatore: secondo il punto di vista della tarda antichità i concili dovevano venir organizzati dall'im peratore, non dal vescovo, fosse pure di una città prestigiosa come Roma. I vescovi di Roma tendevano a collocare la riunione in Italia poi ché erano convinti di poterne influenzare in modo determinante la com posizione, inserendo numerosi vescovi italici nelle delegazioni conciliari; nella loro veste di presidenti avrebbero inoltre avuto i mezzi necessari per dominarli. Per le stesse ragioni per cui appoggiavano l'idea di un concilio in Occidente, essi si opposero ripetutamente, ma come vedremo senza successo, ai progetti di convocare concili in Oriente. All'invito di Giulio il gruppo dei vescovi orientali fautori dell'ariane simo rispose con un rifiuto la cui motivazione è quanto mai significati va: gli_apostoli avevano insegnato in Occidente, ma avevano portato la � nonc"era"dunqùe motivo cFie t vescoVi Buona Novel l a dall' Oi �lei i Tali si 'rèéa"Ssero"ln Oc�idente per questioni già risolte da sinodi orientali perfettamente validi. Inoltre tali vescovi non riconoscevano il primato del vescovo di Roma. Lo si deduce dal riassunto della loro let tera, riportato nella Storia ecclesia�·tz"ca di Sozomeno: Riunitisi ad Antiochia, essi risposero a Giulio con una lettera elegante e avvo catcscamcnte elaborata, piena di ironia e non priva di gravissima minaccia. Riconoscevano in questa lettera che la Chiesa di Roma aveva, agli occhi di tutti, una posizione onorifica, in quanto era stata fin dall'inizio scuola degli apostoli c metropoli della religione, sebbene coloro che vi avevano introdotto la fede fossero venuti dall'Oriente. Tuttavia non ritenevano di dover occupa re il secondo posto per il fatto di non avere la superiorità per la grandezza o la popolosità della loro Chiesa: sostenevano infatri di essere superiorip�r la -
virtù e per i princìpi6
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'' Sozomcno, Storia ecdeswstica, ediz. J. Bidez, JII, 8, 4-5. 47
Storia della Chiesa nella tarda antichità
Resosi conto che un sinodo generale di tutti i vescovi d'Oriente era im possibile, alla fine del 340 Giulio convocò un sinodo locale, al quale parteciparono una cinquantina di vescovi, tutti provenienti dall'Italia, e la cui sentenza corrispose alle aspettative di Atanasio: si dichiararono nulli i decreti emanati dai precedenti sinodi d'Oriente, che lo avevano fatto deporre dalla carica. E degna di nota la procedura finale: i vescovi espressero le loro opinioni con grida e acclamazioni, la sentenza del si nodo fu annunciata personalmente da Giulio e successivamente consi derata come iudicium episcopi romani; in tal modo il vescovo di Roma veniva a occupare un posto di giudice al di sopra dci sinodi. I vescovi d'Oriente protestarono in nome della dignità dei sinodi. Nella motivazione della sentenza, Giulio indicò il comportamento c la procedura da seguire in caso di conflitti importanti. Le persone inte ressate dovevano scrivere ai vescovi d'Occidente per stabilire insieme to dikaion («ciò che è giusto»). Si rendeva quindi necessaria una serie di consultazioni scritte, secondo gli usi dell'epoca passata che non cono sceva ancora il principio della regionalizzazione, e soprattutto (ecco la novità) il parere del vescovo di l�oma, al quale, secondo Giulio, spetta va il diritto della consultatio ante sentcntiam («consultazione prima del la sentenza»). La lettera sinodale menzionava anche la particolare atten zione che la Chiesa di Pietro rivolgeva ad Alessandria, che fu anch'essa «guidata dagli apostoli». Giulio si richiamava apertamente alla tradizio ne di Pietro: «Quello che scrivo lo scrivo nel comune interesse, c quel che vi trasmetto ci viene dal beato apostolo Pietro». Nelle sue parole ri suonava già il tono caratteristico della dottrina della Chiesa romana dd la seconda :netà del l\' secolo. Sul piano pratico, l'effetto di queste dichiarazioni romane fu piutto sto scarso. La mo�sa successiva infatti non spettò a Giulio, ma all'impe ratore Costante.. L'attivo gruppo di ves.ç_qvi presente a corte.s!Ysd.a_sgo-llince..re l'imQeratore della necessità di intervenire, e nell'autunno 343 si riunì ìl sinodo di Serdica, con a testa Osio di Cordova 1fa-s�a1irma fi gura afPrìnio p o�egli atti); Giulio rifiutò di partèCipare a una riu nione fuori Roma e vi inviò tre suoi rappresentanti: due presbiteri e un diacono, che non si misero particolarmente 111 luce nelle discussioni. l n realtà, il punto di vista romano poteva essere (c fu) perorato dai vescovi strettamente legati a Giulio. Nel corso dei dibattiti venne approvata una norma essenziale, che de finiva le competenze del vescovo di Roma nel caso in cui, su richiesta di un interessato, egli esaminasse la fondatezza di un verdetto emanato da un sinodo provinciale. Sollevare tale questione a Serdica significava vo ler legittimare e confermare a posteriori il precedente del tribunale ro mano del3-IO, giacché il caso esaminato era esattamente uguale a quello di Atanasio. La proposta fu enunciata da Gaudenzio, vescovo di Naisso: Il vesco\'0 Gaudenzio disse: '·A questa proposta, piena di santità, che hai p re·
sentato, si Jggiungc, se sembra bene, quanto segue: 'E qualora un vcsco\'O sia 48
Le ?,randt capita/t del mondo ecclesiastico stato deposto per un giudizio dei vescovi che dimorano nei luoghi vicini, e
(
qualora egli abbia dichiarato che egli de\'e sostenere la sua causa nella città di Roma, non si ordini un altro vescovo sulla sua cattedra dopo l'appello di co lui che sembra essere stato deposto, a meno che la causa sia stata decisa nel tribunale del \'eSCO\'O romano'" .7
La deliberazione del sinodo non ebbe effetti concreti immediati, e sa rebbe trascorso molto tempo prima che la realtà della pratica ecclesia stica realizzasse questo programma ambizioso; quel che è certo è che questo canone, proprio in virtù del suo intento programmatico, la dice lunga sulle aspirazioni di Roma già ai tempi di Giulio. l convenuti a Serdica parlavano c scrivevano del vescovo di Roma con la massima ri\·erenza. Nella lettera sinodale, per esempio, si dice che i vescovi ritengono opportuno presentare una relazione ad caput, id est ad Petri apostoli sedem («al capo, ossia alla sede dell'apostolo Pietro») e inoltre si prega Giulio di inviare i canoni sinodali alle altre C:hic·se. S di._mrl a delle decisioni dei�ino:fi, neanche _ � � PJI.r:o1a... Da questo punto dt vtsta, fa sttuaztonc era tdenuca a quella . oel sinodo di Arles. Attorno alla metà del IV secolo l'impero subì un violento mutamen to, dapprima con l'usurpazione di M_agnenzio, per effetto della quale fu ucciso�C�, i�uito,.i'iè1353, con la �clamazione a impera tore OiCostanzo, s11l ri .'Tali eventi ebbero immediate ri percussiOni negative sulla posizione del nuovo vescovo di Roma Liberia, salito al trono nel352. Malgrado le mutate condizioni, Liberia cerco dr!)roseguire la tattica cfel suo predecessore, ma, non godendo più della protezione di un imperatore filoniceno, restò esposto alle pressioni sempre più forti e brutali del vittorioso Costanzo. L'im peratore pretendeva da Liberia la firma di una confessione di fede for mulata durante un sinodo di tendenza ariana, nonché la condanna di Atanasio. Liberia mostrò dapprima grande fermezza, per cui l'imperatore, irri tato, lo condannò all'esilio a Berea in Tracial...facendolo trasferire da Al suoposto fu eletto vescovo un arcidia Roma alla chetichella cono di Liberia, felice, if quale, particolare significativo, incontrò più opposizione tra il popolo che tra il clero. Tuttavia Liberia, stanco dell'e silio c delle pressioni, accettò le condizioni dettate da Costanzo, il quale acconsentì al suo ritorno (aflosto 321ll . Felice abbandonò in fretta e fu__,... na ta èittà. T1 comportamento di Liberia apportò un grave danno al pre stigio del vescovo di Roma, che non poteva più incarnare agli occhi del mondo cristiano la linea di fedeltà intransigente alla fede e ai costumi tradizionali. Quando ad Ariminium si riunirà il grande sinodo com prendente i vescovi di Gallia, d'Africa e d ' ltalia, Liberio non vi invierà
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;illilrioso
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(I2]2f.
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-- --- --- --- ---7 P.-P. .foannou, Dùcipltne ?,énérale anlique (1\'"-IX" siècles), Tipografia Italo· Orientale. Roma 1962, vol. 11: l.c1 Canom des Jynodes parliculiers, pp. 163-164. 49
Storia della Chiesa nella tarda amichità nemmeno un rappresentante e resterà completamente escluso dalla lot ta svolta dai partecipanti in difesa dell'ortodossia nicena. Tuttavia, ancora una volta la situazione doveva cambiare per effetto degli avvenimenti politici. Dopo il breve regno di Giuliano l'Apostata (361-363) l'impero venne diviso tra Valentiniano 1 (364-375) e Valente (364-378), fautori di due diverse op7ioni teologiche. Ancora una volta in Oriente s.i formò un gruppo di fautori del Credo di Nicea, bisognosi d'appog�:,rio contro l'imperatore che li perseguitava, e in quel frangente Liberio poté recuperare almeno in parte l'autorità perduta.
2.6 Damaso e la svolta nella storia della Chiesa romana: comincia la storia del papato ll cambiamento fondamentale nella storia della Chiesa romana si veri ficò con il pontificato di Damaso. I suoi inizi, come abbiamo visto, era no stati disastrosi, e anche gli anni successivi posero Damaso di fronte a prove difficili: coinvolto in un processo e accusato dai seguaci di Ursino dovette difendere con tutte le forze la propria posizione. Tuttavia fu proprio lui a contribuire in modo decisivo a una nuova formulazione del primato papale e del suo fondamento teologico, dedotti dalle parole di Cristo a Pietro riportate dal Vangelo secondo Matteo (16, 13-19): Arrivato Gesù nel territorio di Cesarea di Filippo, domandò
ai
suoi discepoli:
"La gente, chi dice cbe sia il Figlio dell'uomo?". Essi risposero: "Alcuni dicono che sei Giovanni Battista, altri Elia e altri Geremia, o uno dei proferin. "Ma voi" domandò loro "cbi dite cb'io sia?". Rispose Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivente". E Gesù a lui: "Beato te, Simone, figlio di Giona, perché non la carne oé il sangue ti ha rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. E io dico a te, cbe tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell'inferno mai prevarranno contro di essa. A te darò Je chiavi del regno dei cieli: qualunque cosa legherai sulla terra sarà legata anche nei cieli; e qualun· que cosa scioglierai sulJa terra sarà sciolr.a anche nei cieli".
Su questo passo, oggetto dell'interesse degli esegeti a partire dalla fine del D secolo, si fondava l'asserzione dd particolare ruolo di Pietro nella diffusione della Buona NoveiJa. Pietro sarebbe stato il primo discepolo a sostenere la divinità di Cristo, e sarebbe stato lui a gettare le basi deiJa dottrina e dell'unità della Chiesa. NeJl'esegesi tradizionale il brano cita to veniva riferito a tutti i vescovi, in quanto eredi di Pietro grazie all'i· ninterrotta catena di consacra?ioni dai tempi apostolici. La novità della dottrina di Damaso consisteva nel formulare apertamente la tesi secon do cui solo il vescovo di Roma era 1'erede privilegiato di Pietro e solo a lui si riferivano le parole di Cristo appena citate. Elevando il passo di Matteo (16, 18) a fondamento del primato roma no, Damaso conferiva coerenza alla convinzione dell'eccezionalità di 50 Copyrigflted
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Le grandi capitali del mondo ecclesiastico
Roma, convinzione di origini antichissime, profondamente radicata nel la coscienza dei cristiani di quella città e che assumeva varie forme. (Possiamo seguirne le tracce anche nei reperti archeologici, che docu mentano il legame con la persona di Pietro e glorificano il suo posto tra gli apostoli e i suoi miracoli.)
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La dottrina che attribuiva ai vescovi di Roma il ruolo di eredi di Pietro ricevette una formulazione chiara e ampia nella decisione del si nodo romano convocato da Damaso nel 382 in risposta alle decisioni del concilio di Costantinopoli del 381, svoltosi senza la partecipazione dei rappresentanti di Roma.x l vescovi riuniti da Damaso approvarono il testo del Credo e il canone dell'Antico e del Nuovo Testamento, non ché il testo seguente: Dopo tutti gli scritti profctici, evangelici
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apostolici sopra riportati, sui qua
li per grazia di Dio si fonda la Chiesa cattolica, riteniamo di dover anche ri cordare che sebbene le Chiese cattoliche sparse sulla terra costituiscano un unico talamo di Cristo, tuttavia la santa Chiesa romana è stata posta sopra le altre Chiese non da delibere di sinodi, ma ha ricevuto il primato in virtù del
la voce C\'angelica del nostro Signore e Salvatore: Tu es Petrus... [segue il
passo citato del Vangelo secondo Manco, 16, 18]. A ciò si è aggiunta la par tecipazione del beatissimo apostolo Paolo, vaso di perfezione, che non in un altro tempo, come blaterano gli eretici, ma nello stesso tempo giorno insieme con Pietro lottò
c
morì di morte gloriosa
c
c
nello stesso
ottenne la corona
del martirio nella città di Roma sotto l'imperatore Nerone. E parimenti essi fPictro
c
Paolo] consacrarono la sopraddetta Chiesa romana a Cristo
Signore, innalzandola sopra tutte le altre Chiese del mondo con la loro pre sem:a e il loro \'enerando trionfo. La prima sede di Pietro apostolo è dunque la Chiesa romana, senza macchia né ruga né altro del genere. La seconda
�
sede fu consacrata ad Alessandria a nome del beato Pietro da Marco suo discepolo ed evangelista che, mandato in Egitto da Pietro apostolo, predicò il verbo della verità e subì glorioso martirio. La terza sede del beatissimo apo stolo Pietro è ad Antiochia cd è considerata degna di onore perché egli lì abitò prima di venire a Roma
e
lì per la prima volta sorse il nome del nuovo
popolo cristiano.9
Questo testo, pur non accennando alle decisioni del concilio di Costantinopoli, ingaggia con esse un'aspra polemica. A differenza di Costantinopoli, Roma non avrebbe bisogno di una delibera conciliare, ossia umana, che ne precisi il rango: il vescovo di Roma deriverebbe il suo primato direttamente da Cristo.
' l papi della tarda antichità negavano ogni validità alle delibere del concilio di Cosrantinopoli, essendo irritati specialmente dal canone 3 che conferiva al vescovo di Costantinopoli il secondo posto dopo il vescovo di Roma; di tale concilio parlerò diffusamente più avanti. 'i Conciliorum Oecumenicorum Decreta, cit. 51
�'torta della Chiesa nella tarda antichztà
Indubbiamente sia il clero sia la popolazione di Roma avvertivano fortemente la presenza fisica dell'apostolo Pietro: dopotutto le sue spo glie mortali riposavano nella città. Ricordiamo che nel rv secolo esplose il culto dei santi, sviluppatosi a partire dalla seconda metà del secolo p recedente; le reliquie, fonte di potere miracoloso, vi svolsero un ruolo importante e sempre crescente. Il c ulto di Pietro vantava a Roma un lungo passato ed era profondamente radicato nella coscienza popolare. La secolare presenza di Pietro nella basilica vaticana era uno dci prin cipali argomenti a favore della posizione privilegiata del vescovo di Roma nei confronti di tutti gli altri vescovi del mondo cristiano. Questa convinzione è stata formulata in modo particolarmente chiaro da Margherita Guarducci, professoressa di epigrafia all'Università di Roma, che con entusiasmo ha preso parte agli scavi eseguiti nella basili ca di San Pietr o, nel corso dci quali sono stati scoperti i resti di uno scheletro identificato con lo scheletro dell'apostolo Nel suo libro, con statando amaramente che G iovanni Paolo 11 non si mostrava interessato ai risultati di quei lavori, Margherita Guarduc ci scrive : ,
.
D'altra parre non riesco a comprendere come mai Giovanni Paolo Il, sollecito per rutto ciò che riguarda la Chiesa, non abbia se ntito
c
non senta la necessità
d'informarsi- quasi vorrei dire, per dovere d'ufficio- direttamente e in rutti i più minuti particolari circa un vitale problema qual è quello della reale prc senza di Pietro nella basilica Vaticana. Lgli parla alle folle con illuminata sag gezza
c
percorre, eroicamente, le vie del mondo pe r annunciare a tutti gli uo
mini la Buona ì\:ovclla. Chissà se ogni tanto egli si ferma con particolare at
tenzione sul pensiero che la forza della sue parole di Pastore della Chiesa uni versale è garantita, in ultima analisi, da quanto si trova sotto l'altare della Confessione e soprattutto dalle ossa dell'Apostolo giacenti nel secolare loculo sotterraneo? 10
Esattamente quel che pensavano i cristiani romani della tarda antichità. Se la dottrina sull'eredità di Pietro nella formulazione espressa da Damaso incontrò serie opposizioni in Oriente, nemmeno in Occidente essa fu accolta senza proteste. t\c sappiamo poco, giacché la nostra do cumentazione sulla storia della Chiesa latina è passata attra\'erso la cen sura romana (che pure qualche lacuna l'avc\'a, vista la conservazione del pamphlet contro Damaso), ed è evidente che nella cerchia del ve scovo di Roma nessuno si preoccupava di tramandare la memoria di posi zioni contrarie a quelle papali Sappiamo però che molti tra i vesco vi d'Occidente continuavano a interpretare il testo di Matteo in senso .
tradizionale, e che durante il sinodo di Aquileia dcl381 girava tra i par tecipanti un'opera che c ri ticava le pretese di Damaso al dirirto di pro nunciarsi in materia di dogmi al di fuori delle riunioni episcopali.
'" M. Guarducci, La lomha dz san Pietro. Una straordinaria vicenda, Ruscon i Milano 1989, pp. 140-141. 52
,
!.c grandi capttali del mondo cccleJiastico
L'atteggiamento degli imperatori nei confronti del primato romano richiederebbe un capitolo a parte; qui mi limito a osservare che nessu no di loro lo attaccò apertamente, il che non significa che il program ma di Damaso fosse totalmente accettato, soprattutto in Oriente; a questo proposito sussistono nette e comprensibili di(ferenze tra Oriente c Occidente. Colpisce in modo particolare il ritardo con il quale il pri mato di Roma divenne oggetto della legislazione imperiale, di solito così sollecita a conferire forza legislativa alle varie decisioni ecclesiasti che: la prima costituzione imperiale sull'argomento, infatti, risale al -14 5 , quindi al tempo del pontificato di_Leone Ma&.no e del regno di ntiniano III, imperatore debole e succube della carismatica perso nal•tad�l�
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2.7 La supremazia di Alessandria sull'Egitto e sulla Libia
In precedenza ho citato il canone 6 del concilio di Nicea, che attribuiva un'eccezionale ampiezza alla sfera di potere del ve�covo di 4iessanQda, comprendente, oltre all'Egirro, la Libia (la Libya ";J [ erior o Libya Marmarica) e la Pentapolis Su i trattava, specialmente per l'Egitto, di un assat vasto. Nella valle del Nilo lo sviluppo della Chiesa fu relativamente tardivo: i primi episcopati sorsero in(atti solo nella prima metà del ll1 secolo, mentre risale alla seconda metà lo sviluppo intensivo del cristianesimo al di fuori di Alessandria. A partire da quel momento la nuova religione sembrò invece diffondersi più velocemente c più estesamente che nelle altre regioni: alle soglie del IV secolo era già profondamente radicata nelle campagne e verso la fine del \' il paganesimo era ormai ridotto a un fenomeno secondario. All'inizio del LV secolo Alessandria godeva di una solida posizione nel l'ambito della cultura cristiana. Clemente Alessandrino, Dionigi Ales sandrino e soprattutto Origene erano autorità universalmente riconosciu te. Riferendosi al periodo a cavallo tra il III c il I\' secolo, gli storici della dottrina cristiana parlano dell'esistenza di una corrente di pensiero che, tra virgolette, possiamo definire "scuola alessandrina". Ricordiamo a que sto proposito che alla fine dell'antichità Alessandria era una delle città "universitarie" c che vi affluivano folle di giovani per studiarvi, tra le al tre, discipline quali la matematica, la filosofia e la medicina. La presenza di innumerevoli studenti e l'esistenza di un vivo centro culturale conferi vano ad Alessandria un carattere dd tutto particolare. Verso la metà del IV secolo esistevano già circa settanta episcopati nel solo [gitto c circa trenta in Libia. Si trattava di episcopati piccoli, i cui titolari, soggetti alle pressioni del più potente collega di Alessandria, non riuscivano a mantenere quell'autorità che invece continuava a ca ratterizzare le Chiese di altre regioni orientali. Nel IV secolo i vescovi della valle del Nilo venivano consacrati dal vescovo di Alessandria, nel
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Storia della Chiesa nella f(jrda anticbità senso che questi non si limitava semplicemente ad approvare la scelta compiuta a livello locale, ma partecipava personalmente alla consacra zione. Capitava di frequente che il vescovo di Alessandria consacrasse persone che non erano state nemmeno presentate al clero locale e che non avevano niente in ·comune con la futura diocesi. Con il passare del tempo il controllo del ve.'lcovo di Alessandria su quanto avveniva nelle diocesi aumentò progressivamente mentre dimi nuì la capacità dei vescovi locali di esprimere un'opinione indipenden te, con il conseguente e rapido abbassamento del loro livello dottrinale e culturale. E inte.ressante notare che, mentre in Egitto non sorsero metropoli, ce n'erano invece nella vicina Libia. La ragione è chiara: in Libia esisteva un'antica tradizione di vita cittadina risalente ai tempi della Grande Colonizzazione, assente invece in Egitto. La mentalità delle é)jte libiche era diversa da quella delle élite egiziane, e l'abitudine ad amministrare da soli i propri affari facilitava la resistenza alJe pressioni esterne anche in ambito ecclesiastico. La Chiesa alessandrina disponeva di enormi mezzi materiali, che pro venivano in parte (non sappiamo quale) dalle offerte dei fedeli, in parte dalle donazioni imperiali. Questa ricchezza conferiva al vescovo di Alessandria un'enorme influenza sugli strati poveri della società, assai numerosi, influenza che consisteva anche nella possibilità di manipolare una parte della popolazione, inducendola se necessario a fomentare di sordini: un'arma pericolosa tra le mani di un vescovo ambizioso. Inoltre egli disponeva di un gruppo di infermieri, detti parabalaneis, che anno verava tnl le dnquecento e le seicento pe.rsone e che divenne una sorta di poli7Ja privata ecclesiastica, impiegata negli scontri con gli avversari. A metà del v secolo Dioscoro, uno dei vescovi più bellicosi di Alessandria, portò con sé alla rilmione episcopale di Efeso un contin gente di parabalaneis, che svolse una poco encomiabile azione di terrori smo nei confronti dei vescovi contrari a .6.rmare le decisioni da llù impo ste (avrò modo di tornare ancora sull'argomento). Le ricchezze accumulate oeUe mani dei vescovi alessandrini potevano servire anche fuori d'Egitto: più volte essi furono accusati di corrompe re gli alti funzionari e le dame della corte imperiale. Come sempre in questo genere di accuse, è difficiJe stabilire la verità, ma non si può escludere che effettivamente i vescovi recassero doni a Costantinopoli o che li inviassero per interposta persona. Almeno un caso è stato attesta to. L'offerta di regali a persone altolocate era comunque un consueto mezzo di captatio benevolentiae, e non sempre è possibile stabilire iJ Li mite esatto tra dono e corruzione. Eusebio di Cesarea, che scrisse la sua Stora i ecclesiastica all'inizio del rv secolo, non e.ra affarto sicuro dell'autenticità della tradizione cbe at tribuiva la fondazione della Chiesa di Alessandria all'evangelista Marco. Nelle generazioni successive quest'ombra di dubbio scomparve del tut to e nessuno vi fece più ailusione; per la Chiesa alessandrina la presenza '
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Le grandt captlali del mondo ecclesiastico
dell'evangelista nei pnmt anni della propria storia costituiva una base per rivendicazioni nei confronti delle altre Chiese. I vescovi alessandrini cominciarono a estendere il loro potere al di fuori dell'Egitto fin dal 111 secolo. Come abbiamo visto, durante il con cilio di Nicea, quindi già nel 325, la supremazia di Alessandria sulla vi cina Libia era una questione scontata; non c'è da stupirsi: da secoli esi stevano forti vincoli di carattere economico e culturale tra l'Egitto e i territori posti a Occidente. Nel sistema amministrativo creato da Diocleziano essi costituivano un'unica diocesi, sottoposta a un unico funzionario chiamaro vlcarius. La posizione del vescovo di Alessandria corrispondeva esattamente alla posizione di questo funzionario. Il vero e proprio artefice della potenza dell'episcopato alessandrino fu Atanasio Q28-373 ) . Egli riuscì a schiacciare l'opposizione interna fonmta"'"&itmeli7i'anésimo (ne parlerò nei prossimi capitoli) e uscì vin citore dalla lotta contro l'eresia ariana sul proprio territorio. Atanasio si trovava quindi a capo di una Chiesa relativamente unita. Il suo presti gio, formarosi negli anni della lotta contro l'arianesimo, era immenso; per Roma e per tutto l'Occidente egli rappresentava il simbolo dell'or todossia, le sue parole erano considerate determinanti anche quando si pronunciava (cosa che teoricamente non aveva diritto di fare) su fac cende di altre Chiese orientali. Per questo motivo in Oriente l'operato e le opinioni del vescovo alessandrino suscitavano minore entusiasmo: tuttavia, tra coloro che erano avversari dell'arianesimo e seguaci del Credo niceno nessuno si azzardava a mettere in dubbio la sua autorità. Negli anni dell'esilio Ji Atanasio, tra Alessandria e Roma si formò una stretta alleanza che sarebbe durata fino alia metà del v secolo. Essa venne rafforzata dall'apparire di un nuovo avversario comune: il vescovo di Costantinopoli, il cui potere cresceva rapidamente. Dal punto di vista alessandrino il vescovo di Antiochia, seppur altrettanto malvisto, era molto meno pericoloso. Al tempo dell'episcopato di Teofilo sembrò che la vittoria nella contesa tra Alessandria e �opoli sa rebbe toccata ad Alessandria, ma per poco. Teofilo fece destituire Giovanni Crisostomo, ma non fu in grado di insediare il proprio candi dato sul trono episcopale di Costantinopoli. Alla sua morte Cirillo (412� n�_guerra a C:ostantin.Q..g? li, riportando un 'e o successo. n suo succe � sore dopo una iniziale vitto�ia 1 vescovo ales � . sandrmo nusct nuovamente a nmuovere dalla canea il vescovo dt Costantinopoli) riportò un'ignominiosa sconfitta, per opera non solo del l'imperatore, ma anche di papa (eone Magno:7\vrò occasione di tornare su questi avvenimenti nel descrivere le controversie dottrinali in Oriente.
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2.8 Antiochia: la partner più debole tra le grandi capitali Ma torniamo al canone 6 del concilio di Nicea. Accanto a Roma e ad Alessandria il canone menzionava un terzo grande episcopato: Antiochia. 55
Storia della Chiesa ncl!ti ttlrda antJcbitd Le tradizioni di Antiochia erano gloriose quanto quelle romane e nella sua storia più antica ritroviamo gli apostoli Pietro c Paolo. C:entro di for mazione della dottrina cristiana, il suo ruolo nei primi tempi della storia della Chiesa fu indubbiamente molto importante. Antiochia dominava tradizionalmente la Siria, la Fenicia, la Palestina e i\ la Mesopotamia settentrionale. Era ricca e colta; nel I\' secolo occupava f una posizione eccezionale tra i centri urbani d'Orienre, appartenendo alle città "capitali", vale a dire alle città in cui l'imperatore c i suoi uffici soggiornavano per lunghi periodi. Poiché la minaccia persiana costringe va il sovrano a sorvegliare personalmente le attività belliche sulla vicina frontiera, nel IV secolo Anriochia fu in diverse occasioni una sede impe riale più importante della stessa capitale ufficiale, Costantinopoli. Antiochia possedeva una solida tradizione di polis. Sorgeva in una re gione ricca di città fondate all'inizio dell'età ellenistica, sulle quali essa aveva sempre primeggiato, all'inizio come capitale del regno dci Seleucidi e poi come capitale della provincia della Siria, senza mai rag giungere, tuttavia, una posizione monopolistica paragonabile a quella di Alessandria d'Egitto. La mentalità degli abitanti di Antiochia e delle città della regione era diversa da quella degli abitanti dell'Egitto: in essa si av vertiva chiaramente l'eredità culturale dell'antica civiltà della polir. Nelle zone sottoposte all'influenza di Antiochia si formarono in modo naturale metropoli con una forte tendenza frondista; per il vescovo an tiocheno era quindi molto difficile delimitare esattamente il proprio am bito di potere, e ancora di più difendere le prerogative acquisite. La storia del patriarcato antiocheno è la storia del suo progressivo rim picciolirsi. La principale fonte di debolezza di Antiochia erano i dissidi interni. Nel secondo quarto dd IV secolo un ruolo decisivo ebbero i con flitti tra ariani e seguaci del Credo niceno; nel 362 nel campo niccno ini ziò lo scisma tra i fautori di Paolino e i sostèiiìfu-ri di Melezio, uno sci_,.,___ sma doloroso, protrattosi fino � che avvelenò i rapporti all'interno della Chiesa non solo antiochena. La storia di questa scissione mostra quanto gravi potessero essere gli effetti delle divisioni nelle Chiese, qua lora le parti avverse trovassero appoggio fuori della propria città (con Paolino si schierarono i vescovi di Alessandria, Atanas io e i suni sttcces sori, nonché, su sua raccomandazione, i vescovi occidentali; in favore di Melizio si schierarono invece vescovi orientali antiariani quali Basilio di Cesarea, Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa). L'aiuto esterno per metteva a piccoli gruppi, altrimenti condannati a estinguersi, di conti nuare a esistere durante molti decenni.
2.9 La difficile strada del vescovo di Gerusalemme alla dignità patriarcale Nel I\' secolo il prestigio dd vescovo di Gerusalemme crebbe lentamen te, fino a conquistare, come vedremo nei prossimi capitoli, un rango pari 56
Le grand1 capitali del mondo ecclesmstico
a quello dei vescovi di Alessandria, Antiochia e Costantinopoli nella pri ma metà del secolo successivo. Agli inizi del 1\' secolo Gerusalemme era tuttavia una piccola città, posta in basso nella gerarchia delle città della regione. Ricordiamoci che dopo la conquista di Tito nel 70 essa aveva praticamente cessato di esistèré.'Su11csue tovi� o -;;eva fondato una nuova città chiamata Aclia itoli;;;" (f Ùa dai nomcn gentile Aelius dell'imperatore e Capitolina aalrlOVC Capitolino, in onore del quale venne eretto un tempio per ordine del so\Tano). Agli ebrei era sta to vietato di stabilirvisi; è vero però che questo divieto, più tardi, non era osservato rigorosamente. La comunità cristiana di Gerusalemme, mal grado la prestigiosa tradizione, non svolse un ruolo particolarmente im portante nella storia della Chiesa, restando nell'ombra della più impor tante Chiesa di Cesarea, capitale della provincia di Palestina. A Cesarea oper;va-e··S'éri've\ià""("Mgene, che lasciò una splendida collezione di libri. Vescovi della città flirònopersonalità eminenti come Panfilo ed Eusebio, storico c teologo. Tra il clero di Gerusalemme c quelkT'di1':esa� porti dovevano essere piuttosto tesi, come dimostra il fatto che durante il concilio di Nicca a essi venne dedicato uno dci canoni, il canone 7, in base al quale si stabiliva che il vescovo di Aclia Capitolina-Gerusalemme doveva essere «onorato», conferendogli «quanto deriva dalla sua onore vole posizione», ma senza intaccare le prerogative del mctropolita, ossia del vescovo di Cesarea. Faccio osservare che in quel momento il vescovo di Cesarea era Eusebio, personaggio influente sia a corte sia tra i vescovi d'Oriente, particolarmente attento a che la propria metropoli non venis se danneggiata. Non è del tutto chiaro in che cosa consistesse !"'onore vole" posizione del vescovo di Gerusalemme. La decisione di Nicea tut tavia non eliminò gli attriti tra le due Chiese né tantomeno frenò le am bizioni di Gerusalemme; poco dopo il concilio, infatti, il vescovo di Aclia Capitolina-Gerusalemme assunse il ruolo di organizzatore di un si nodo dedicato alla questione di Atanasio; c veniamo inoltre a sapere che egli invadeva la sfera d'azione del metropolita, consacrando i vescovi. Un ruolo importante nel processo di espansione di Gerusalemme fu svolto da Cirillo, detto GJ;.roso.l.imirano""vescovo della cittaJal549arca al386. Ciril1o si schierò dall rte dei fautori della confessionè"d'ì'tede nicenà'; il che, se al momento g ivalsel'esiliO, in seguito, a causa della �ttor:a dell'ortodossia, si rivelò salutare per la citt�t, tanto più che Cesarea di Palestina, sua concorrente, era stata in mano agli ariani fin dall'inizio della controversia. Le ambizioni dei vescovi di Gerusalemme non derivavano però sol tanto da un glorioso passato. Nel mondo ormai cristiano la città aveva cominciato ad acquistare un'importanza sempre maggiore. Oggetto del le attenzioni di Costantino, su ordine del quale si costruivano chiese, meta di pellegrinaggio di sua madre Elena, Gerusalemme suscitava un interesse universale; il flusso dci visitatori, tra i quali si trovavano perso ne di ogni condizione, compresi i membri dell'élite imperiale, cresceva; il suo vescovo riceveva da loro generosi regali che ne rafforzavano la
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Storia della Chiesti nella tarda antichità posizione. Nella nuova situazione diventava sempre più forte il. desi.de rio di porre fine alla dipendenza (anche nominale) da Cesarea. Nella guerra più o meno aperta vinceva ora una parte, ora l'altra. La realizzazione graduale delle ambizioni del clero di Gerusalemme fu merito di Giovenale, uomo profondamente antipatico, cbe comprò la prestigiosa posizione della città con una serie di tradimenti nei confron ti dei suoi alleati ecclesiastici. 11
2.10 I modesti inizi del patriarcatO di Costantinopoli Quando nel 330 Costantino il Grande dette un nuovo inizio alla storia della città sul Bosforo, conferendole con l'occasione anche il proprio nome, la Chiesa di Bisanzio era una Chiesa secondaria, come se ne con tavano a centinaia nell'impero. La città contava poco: distrutta dopo un lungo assedio da Settimio Severo (196), era rìdotta al rango di misero centro urbano. Sede della metropoli non era Bisanzio, bensì la vicina Eraclea Tracia, e il fatto di non trovare il vescovo Alessandro tra i con venuti al concilio di Nicea fa capire quanto siano stati infimi gli inizi della grandiosa storia del patriarcato costantinopolitano . .Alessandro occupò a lungo la cattedra episcopale e la sua morte, avve nuta un anno dopo quella di Costantino (nel338), aprì un lungo e aspro conflitto tra Paolo e Macedonia, i due aspiranti alla successione. Ll soddisfatto di entrambi, il nuovo imperatore Costanzo II affidò la deci sione a un piccolo sinodo eli vescovi, che chiamarono sul trono della ca pitale Eusebio eli Nicomedia, sostenùore di Ario e personalità di grande rilievo. Si trattava di una traslazione, una procedura, come abbiamo vi sto nel primo capitolo, contraria ai canoni Eusebio, infatti, era stato pre cedentemente vescovo di Beirut. Con il nuovo pastore la Chiesa di Costantinopoli entrò nella storia tempestosa della controversia ariana. Dissidi interni, legati solo in parte al conflitto tra gli ariani e i loro avver sari, soprattutto dopo la morte di Eusebio (341), ne frenarono lo svilup po; a lungo sconvolta dalla lotta, che a volte degenerava in tumulti di strada, ua Paolo e Macedonia (un tempo allontanati da Costanzo TJ), la Chiesa di Costantinopoli avTebbe tardato non poco a ritrovare l'equili brio infranto dai vari gruppi. E utile ricordare elle in quegli anni Costantinopoli non era la sede stabile dell'imperatore: Costanzo risiedeva più spesso ad Antiocllia, e così pu r e Valente. Fu solo a partire dal regno di Arcadi o (395) che gH imperatori risiedettero stabilmente nella capitale La presenza o l'assen za del sovrano rivestiva un'enorme importanza per il vescovo, e non è '
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tJ Di Giovenale parlerò più avanti, in occas.ione della storia del sinodo di Efeso del 449 e del concilio di Calcedonia del451. ln tutta la storia della Chiesa dell'antichità, Giovenale è l'unico uomo di Chiesa che io sospetti di avere avuto un atteggiamento freddo e cinico nei confronti della religione.
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Le grandi capitali del mondo ecclesiastico
un caso che la Chiesa costantinopolitana sia entrata per davvero nel suo periodo d'oro proprio alla fine del IV secolo. Nel 379, convocato dai fautori del Credo niceno privi di un pastore ortodosso, giunse a Costantinopoli Gregorio di Nazianzo, grande ora tore e teologo, che assunse il difficife complfo ctìf'i'ècsstrdlfe la comunità cattolica in una città dominata dagli ariani. Gregorio non riportò un grande successo, al contrario: dovette lottare con Massimo, appoggiato da Alessandria e consacrato vescovo della capita cedura con traria a tutti i canoni, ma che, grazie appunto all'appoggio alessandrino, era ben visto in Occidente (alla questione prese personalmente parte Ambrogio, vescovo di Milano). Il cambiamento decisivo avvenne in seguito all'intervento dell'impera tore. Entrato a Costantinopoli il 24 novembre 380, Teodosio il Grande impose immediatamente al vescovo della città, Demofilo, di firmare una dichiarazione di fede ortodossa; questi rifiutò, andando in esilio. Il 27
re20ri'P'ro
novembre Gregorio di Nazianzo prese possesso di Haghia Sophia e dei Santi Apostoli, le due più importanti chiese della città: inviso sia al po polo che al clero, dovette ricorrere ai soldati. L'ordinazione ufficiale del nuovo vescovo avvenne solo nel maggio del 381, ma gli intrighi orditi dal vescovo di Alessandria T imoteo, che non aveva rinunciato ad appog giare Massimo, spinsero in breve tempo Gregorio a dimettersi. Al suo posto, dalla lista dei candidati presentata dal concilio riunitosi nella città, Teodosio scelse Nettario, uomo anziano, senatore ed ex pretore che con ammirevole rtò la città alla calma e dopo alcune dif ficoltà, con l'aiuto dell'imperatore, allacciò rapporti corretti con le altre Chiese.
abilirrripo
2.11 La decisione del concilio dcl381 in materia di strutture ecclesiastiche Al concilio di Costantinopoli del381 convocato da Teodosio il Grande presero parte soltanto vescovi orientali (su questo concilio, fondamen tale per la storia della dottrina cristiana, tornerò ancora varie volte). Essi cercarono di riorganizzare la Chiesa d'Oriente allo scopo di creare strutture sovrametropolitane dai confini netti e di porre fine alle scan dalose guerre in atto tra le diverse Chiese. Come base fu assunta la divi sione amministrativa d'Oriente nelle cinque diocesi civili: Egitto, Oriente, Ponto, Asia, Tracia. .......__
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l vescovi di una diocesi non intervengano nelle Chiese situate fuori dai suoi confini, né le gettino nel disordine; ma secondo i canoni, il vescovo di Alessandria amministri solo ciò che riguarda l'Egitto, i vescovi dell'Oriente solo l'Oriente, salvi i privilegi delle Chiese di Antiochia contenuti nei canoni di Nicea; i vescovi delle diocesi dell'Asia amministrino solo l'Asia; que lli del Ponto solo il Ponto, e quelli della Tracia, la Tracia. A meno che non vengano 59
Stona della Chiesa nella Iarda antJchttà chiamati, i vescovi non escano dalla propria diocesi per ordinazioni e altri atti del loro ministero. Secondo questo canone è chiaro che le questioni di
una
prm·incia do\Tà regolarle il sinodo della stessa pro\'incia, secondo le decisioni di Nicea. Le Chiese di Dio fondate tra i popoli barbari siano go\'Crnatc se condo le consuetudini introdotte dai nostri padri.
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I padri conciliari avevano tentato di porre un argine al fenomeno delle ingerenze da parte delle diverse Chiese (essi pensavano soprattutto al l'operato dci vescovi alessandrini, ma non solo), fenomeno che in passa to aveva generato confusioni e favorito l'insorgere di pericolosi scismi locali. Il testo del canone or ora citato, però, non era affatto chiaro. A parte quelli di Alessandria c di Antiochia, non venivano menzionati i vescovi dotati di un primato a livello sovrametropolitano; inoltre, il ca none parlava di "vescovi" al plurale, intendendo probabilmente i sinodi che riunivano i vescovi della diocesi, ma nella penultima frase si accen na a sinodi provinciali. Possiamo cercare di risolvere le difficoltà create da questo testo ricor rendo al decreto del sinodo convocato nel 382 dal vescovo di Costantinopoli, K'ettario. Secondo tale decreto le accuse contro i vesco vi (a condizione che non provenissero da scomunicati o da eretici) do-t vcvano essere esaminate da un sinodo provinciale; se esso si fosse di chiarato incompetente, la questione andava sottoposta a un sinodo «più importante», quindi a livello della diocesi civile, cui sarebbe spettata la decisione definitiva. l lJ.eq�� oltre vietava di «.!Il��tare l'imperato re» o diJi!esentare denunce ai tribunaleèiVilc. o riuscirono quindi a creare li cOiiCillO'del'38lci1sinodo del 382 nn stabili strutture sovrametropolitane dell'organizzazione ecclesiastica, c il citato canone 2, pur aprendo la strada all'espansione delle grandi "ca pitali" ecclesiastiche, non conferì loro alcuna nuova prerogativa, trac ciando invece dei limiti alle loro ambizioni.
2.12
Costantinopoli diventa la nuova 1\oma
Assolutamente nuova era invece la decisione contenuta nel canone 3: «Il vescovo di Costantinopoli avrà il primato d'onore dopo il vescovo di Roma, perché tale città è la nuova Roma».11 Il canone definiva esclusi vamente la questione del rango, non della giurisdizione (in nessuno dei testi canonici dell'epoca ·�1 pi'?ci� il conrinc�rtroFime del vescovo di Costantinopoli, ma in pratica già allora egli svolgeva un ruolo di istanza d'appello, soprattutto nei confronti della vicina Tracia, territorio di fatto "riservato" alla nuova capitale ecclesiastica). 'Conciliorum Oecumemcorum Decreta. cit., canone 6 del concilio di Costan tinopoli. 11 l vi, canone 3 del concilio di Costantinopoli. 60
Le grandi capita/t del mondo ecclesiastico
Alle decisioni del concilio costantinopolitano i grandi capi delle Chiese occidentali, che non vi ave\'ano preso parte, reagirono chiedendo la con \'Ocazione di un nuovo concilio in Occidente, al quale partecipassero i vescovi delle due parti dell'impero. A questa proposta l'imperatore Teodosio rispose gelidamente, invitando i vescovi d'Occidente a non in tervenire negli affari delle Chiese d'Oriente, mentre i vescovi orientali declinarono l'invito al concilio adducendo a pretesto le eccessive diffi coltà del lungo viaggio. L'indifferenza di Teodosio il Grande nei riguardi del punto di vista di Eoma (nonché della dottrina sull'eredità di Pietro enunciata da Damaso, che tuttavia non contestò mai pubblicamente) si comprende alla luce della doppia vittoria riportata dal sovrano (il periodo della controversia ariana si era chiuso grazie al suo intervento c la sua politica verso i goti era stata coronata dal successo), vittoria che ora gli permet teva di occupare una posizione di forza. Roma invece aveva perso gran parte della sua prestigiosa clientela orientale, in passato bisognosa del suo appoggio contro gli ariani e gli imperatori che li sostenevano (seb bene alla capitale d'Occidente continuassero a rivolgersi vescovi in cer ca di aiuto nelle situazioni conflittuali, una volta esaurite tutte le possi bilità d'appello in Oriente). È tuttavia degno di nota che nel 381 né Alessandria e né Roma sentissero il bisogno di combattere il vescovo di Costantinopoli allo scopo di !imitarne la sfera d'azione: a loro premeva soprattutto che sul trono di Costantinopoli si inscdiassc l'uomo giusto. Per lungo tempo la Chiesa di Costantinopoli non rivestì un ruolo im portante al di fuori dei propri confini. Essa fu il teatro della rivalità dc gli altri vescovi piuttosto che un protagonista nella lotta per l'egemonia nel mondo cristiano. Forse qualche grande uomo di Chiesa intuì le enormi opportunità che la capitale, una volta superate le crisi interne, avrebbe potuto offrire al pastore della comunità; tuttavia, ammesso che avesse avuto tali intuizioni, le tenne per sé. Nello studiare le vicende della Chiesa di Costantinopoli del IV secolo si deve essere consapevoli del rischio di interpretare gli eventi di quel periodo alla luce di avvenimenti successivi, una tentazione, questa, a cui fin troppi studiosi hanno finito per cedere. Gli uomini di quelle genera zioni non avevano il dono della chiaroveggenza; non potevano sapere che un giorno gli imperatori avrebbero smesso di spostarsi da una città all'altra per risiedere stabilmente nella capitale c che ciò avrebbe confe rito una posizione di primo piano ai pastori di Costantinopoli. Non po tevano quindi rendersi conto che il futuro della storia della Chiesa si sa rebbe svolto (per un certo tempo) all'insegna della lotta tra Roma e Costantinopoli.
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3. Le conversioni
Seguendo il processo di cristianizzazione del mondo mediterraneo sia mo colpiti dalla sua lentezza, sorprendente soprattutto nei primi cento cinquant'anni di vita della nuova religione. Solo verso la fine del rv se· colo i cristiani rappresenteranno una decisa maggioranza tra gli abitanti dell'impero. L'lslam, fenomeno paragonabile al cristianesimo, si diffon derà in modo molto più rapido.
3.1 Cause della lentezza del processo di cristianizzazione dell'impero La lentezza con cui procedette l'evangelizzazione dell'impero non deve stupirei. L'accettazione della nuova fede costituiva una vera e propria rivoluzione, comportava il distacco dal vecchio modo di pensare, di sentire e di agire, richiedeva una disponibilità originata dall'inquietudi ne religiosa, dalla lacerazione, dalla scontentezza, da aspirazioni non realizzate nonché dalla paura dell'aldilà. Nel l eu secolo gli abitanti del le città dell'impero, soddisfatti del proprio mondo, del posto che vi oc cupavano e degli dèi che si prendevano cura di loro, erano candidati al cristianesimo alquanto improbabili Naturalmente anche in quel mondo pervaso di superbia non mancavano persone, o addirittura interi grup pi, più sensibili, alla ricerca di una pienezza religiosa che il culto tradi zionale non offriva. Tuttavia gli ambiemi pronti ad accogliere la parola del Vangelo erano poco numerosi; collocati ai margini della comunità, erano oggeno di commiserazione se non addirittura di sospetto pronto a trasformarsi in odio (nel prossimo capilOlo, quando tratterò la proble matica delle persecuzioni, avrò occasione di descrivere con maggior precisione la reazione dei pagani al cristianesimo). Fu solo con la crisi del m secolo, quando nemici esterni attaccarono con successo le frontiere dell'impero distruggendo il mito dell'invinci bilità romana, quando la pace interna fu mrbata da pretendenti al trono in lotta per il potere, quando, infine, si approfondì la crisi delle città, terreno naturale della civiltà antica, che il numero di persone toccate dal peso delle disgrazie collettive e individuali crebbe notevolmente. Le generazioni testimoni del crollo della solida costruzione che aveva assi curato benessere e pace dello spirito ai loro predecessori, iniziarono a cercare febbrilmente nuovi dèi, capaci di arrecare speranza e conforto. 62 Copyrighted
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Le conversioni I cambiamenti religiosi subentrarono quindi in ragione della sofferenza toccata in sorte alle comunità del mondo romano. Coloro tra gli storici della Chiesa moderni che negano la lentezza della cristianizzazione, descrivendone l'avanzata come una rapida marcia trion fale, peccano di ingenuità; la fatica con cui gli uomini si staccarono dagli antichi dèi non dimostra affatto la debolezza del cristianesimo, la quale, al contrario, derivava da ciò che secoli dopo si sarebbe rivelata la sua for za, ossia un monoteismo senza compromessi, che esigeva una profonda trasformazione del vecchio modo di pensare e di vivere. La rete delle comunità cristiane si infittì in tempo relativamente rapido; le comunità erano piccole, circondate di diffidenza, e le assurde accuse di cui erano fatte oggetto (avvelenamenti, omicidi rituali, raffinata dissolu tezza) dimostrano non solo il senso di estraneità che suscitavano, ma an che la grande ignoranza degli accusatori. Alla fine del m secolo, gli am bienti fervidamente pagani avrebbero odiato con molta più forza i cristia ni, ma non li avrebbero più accusati di reati comuni: tutti (o quasi tutti) sapevano ormai chi fossero e come vivessero i seguaci della nuova fede.
3.2 Quanti erano i cristiani a metà del m secolo Quanti cristiani vivevano nell'impero romano all'inizio, alla metà e alla fine del TTT secolo? Quante erano a quel tempo le Chiese? Purtroppo non siamo in grado di rispondere a queste semplici e fondamentali do mande, poiché le fonti non ci forniscono alcun supporto. Potremmo elencare le città in cui l'esistenza delle comunità cristiane è ben docu mentata, ma si tratterebbe di una lista incompleta, giacché le nostre co noscenze sono dolorosamente carenti. La mancanza di informazioni su una data città non significa affatto che non vi fossero cristiani. Parlando in termini specialistici, direi che la prova ricavata dal silenzio delle fonti (argumentum ex silentio) in questo caso non può essere applicata. Non solo è impossibile determinare il numero dei cristiani nelle comunità, anche in quelle meglio conosciute, ma non possiamo indicare nemmeno un ordine di grandezza approssimativo. Il lettore dovrebbe convincersi che le cifre che talvolta compaiono nei libri e negli articoli (dettate dal l'irresistibile tentazione di tradurre semplici impressioni nel linguaggio dei numeri) sono completamente prive di fondamento. Pur rinunciando a lavorare con i numeri, possiamo tuttavia cercilfcc cli stabilire l'entità approssimativa della diffusione del cristianesimo ricor rendo ad argomenti indiretti. È meglio sapere poco che niente. L'analisi delle azioni della Chiesa e di quelle contro la Chiesa sembre rebbe indicare un aumento sensibile del numero dci cristiani attorno alla metà del m secolo. Ciò si manifesta in vari modi: le strutture orga nizzativc della Chiesa si complicano, le regole del suo funzionamento, prima fluide c affidate alla tradizione orale, si formalizzano, i mezzi economici a disposizione dei vescovi crescono visibilmente. Ma l'au63
Storia della China nella tarda antichità
mento delle comunità cristiane è testimoniato soprattutto dal nuovo modo di combatterle. Le persecuzioni dei cristiani nelle diverse località dell'impero ebbero un carattere sporadico fino alla metà del Ili secolo. Professare la fede in Cristo poteva comportare ovunque una condanna a morte; tuttavia non esisteva una vera e propria politica degli imperatori nei riguardi della Chiesa. Non erano stati presi provvedimenti legali che definissero il comportamento dei funzionari nei confronti delle comunità, né si attac cavano i cristiani contemporaneamente in tutto l'impero. Solo nel 250, per la prima volta, la Chiesa divenne oggetto di una repressione v@�a e guidata dall'alto. L'editto di J4!cio. che ordinava a tutti gli abitanti dell'impero di offrire �ificio agli dèi, colpiva naturalmente le co munità cristiane, perché tutti i membri di queste che non avessero par tecipato alle cerimonie si esponevano a gravi pene. L'imperatore agiva per ragioni religiose: di fronte alla dura crisi provocata dalle incursioni dei barbari riteneva opportuno invocare la benevolenza delle divinità, e questo era lo scopo principale dell'editto. Tuttavia, sia l'imperatore sia il suo entourage sapevano bene che i casi di disobbedienza si sarebbero avuti soprattutto tra i seguaci di Cristo. È dunque chiaro che a metà del ITT secolo le comunità cristiane dove vano essere numerose, ben visibili e influenti. Costituivano un nemico importante, che andava attaccato sistematicamente e distrutto. Il tempo dei pogrom sporadici era ormai chiaramente finito.
3.3 Come si diventava cristiani
Purtroppo sappiamo poco del modo in cui avvenivano le conversioni. Possiamo dire qualcosa riguardo alla preparazione al battesimo, ma in genere le fonti tacciono in merito alle circostanze che avevano portato i catecumeni a scoprire la nuova fede. Probabilmente, prima della svolta di Costantino l'elemento decisivo era l'attività individuale dei membri della comunità: erano loro a predicare il Vangelo nella cerchia dci cono scenti e a testimoniare con l'esempio il valore della nuova religione; non risulta infatti che le Chiese prendessero l'iniziativa di tenere pubbliche discussioni o conferenze (o perlomeno che lo facessero sistematicamen te), e in ogni caso l'atmosfera generale non favoriva simili iniziative. Non sappiamo nemmeno in quale misura le riunioni delle prime co munità cristiane fossero aperte a tutti, poiché la tendenza a rinchiudersi in gruppi coesi era molto forte. Il cristianesimo antico, infatti, univa in modo sorprendente due qualità apparentemente opposte: l'universalità (e quindi la missione di convertire tutta l'umanità) c il settarismo.' I ca-
1 Mi rendo conto del giudizio qualitativo che questo termine comporta, ma non riesco a trovarne un altro: mi riferisco alla tendenza a dar vita a gruppi net tamente separati dal mondo, composti di persone moralmente e teologicamente
64
Le conversioni
J tecumeni, per esempio, non potevano partecipare all'intera messa e ve
nivano allontanati dalla riunione prima dell'inizio dell'offerta eucaristi ca, considerata un mistero, un segreto accessibile solo a coloro che ave vano ricevuto il battesimo, mentre le prediche rivolte dal vescovo ai fe deli erano accessibili a tutti. Nel Il! secolo, dopo che la letteratura cristiana si era ormai sviluppata, certuni scoprivano la nuova fede attraverso le letture, ma si trattava di casi isolati. Le persone colte si sentivano respinte dallo stile letterario della Bibbia, così distante dai modelli stilistici appresi nelle scuole. Le apologie del cristianesimo, che cominciarono a diffondersi verso la metà del n secolo, non erano letture adatte ai pagani, sebbene proprio a loro fossero ostensibilmente destinate: la religione pagana era trattata con orrore e i seguaci delle antiche divinità insultati senza complimenti. Sicuramente tali "difese" del cristianesimo servivano ad appagare i bi sogni degli stessi cristiani, rafforzando in loro la certezza di essere nel giusto; inoltre, agli occhi dci membri più colti delle comunità, esse no bilitavano la nuova religione, esponendo le sue verità in uno stile lette rario conforme alle regole classiche. Le opere non apologetiche tocca vano invece argomenti in grado di suscitare l'interesse delle persone già convertite al cristianesimo. Un ruolo fondamentale nella diffusione del cristianesimo ebbero in vece le persecuzioni. Di fronte ai processi pubblici c ai martirii nelle arene degli anfiteatri e dei circhi, furono probabilmente in molti a chie dersi che cosa spingesse i cristiani a conservare con tanto ardore la pro pria religione. Certo la maggioranza vedeva in questo una riprova del fanatismo dei seguaci di Cristo; i più sensibili però provarono interesse c simpatia per i martiri c cercarono di saperne di più sul cristianesimo entrando in contatto con le comunità. Fin dalle origini il cristianesimo annoverò tra i suoi seguaci persone delle più diverse condizioni sociali. La cosa non deve mcravigliarci, poi ché la crisi religiosa si manifestava a tutti i livelli della scala sociale. Naturalmente esistevano ambienti più o meno disponibili alla conversio ne: le donne, per esempio, erano più di altri disposte ad accogliere il Vangelo (di ciò parlerò più estesamente nel capitolo 11), mentre forti re sistenze si riscontravano da un lato tra l'élite che amministrava l'impero a livello centrale (senatori e cavalieri), dall'altro tra i contadini, maggior mente legati all'ordine morale e religioso tradizionale. Ben presto, però, il cristianesimo avrebbe fatto breccia anche in questi gruppi refrattari.2
pure, gruppi ai quali si accede mediante un'iniziazione, al fine di distinguere co loro che ne fanno parte da coloro che ne restano esclusi. 1 A questo proposito vorrei sottolineare in modo categorico che la divisione della storia del cristianesimo in un'epoca caratterizzata dalla conversione delle persone semplici e un'altra segnata dall'adesione dci ceti più colti e abbienti, è un'idea ormai superata dal punto di vista scientifico. Se talvolta riappare in qualche opera ciò non depone a favore degli autori. 65
Storia della Chiesa nella tarda antichità Si sono conservate pochissime descrizioni di conversioni individuali. Tra quella dì Paolo e quella di Agostino, per citare le più famose, inter corrono oltre tre secoli, durante i quali il mondo mediterraneo si è cri stianizzato. In tutto questo lungo periodo estremamente rari sono i casi in cui siamo in grado di stabilire che cosa abbia indotto una persona educata in ambiente pagano o ebraico ad abbandonare la religione tradi zionale per entrare in una comunità cristiana, quali fatti abbiano dato il via a questo processo, quali parole, e di chi, quali azioni, e di chi, abbia no spinto persone tanto diverse ad accogliere il messaggio del Vangelo. Risulta quindi difficile cogliere il meccanismo psicologico della conver sione, menue sembra essere più facile avanzare congetture di tipo socio logico. Oltretutto non dobbiamo dimenticare che nella cultura antica l'interesse per l'individuo, per le trasformazioni della sua vita interiore, per l'oscillazione di pensieri e sentimenti, per i mutamenti degli stati d'a nimo o per la lotta ua il freddo razionalismo e l'emotività non si spinge va molto lontano, o perlomeno non tanto quanto nella cultu.ra europea del XIX e XX secolo. Nella letteratura antica, o comunque antecedente a sant'Agostino, cercherenuno invano l'annotazione di stati di coscienza e di flussi di pensiero: l'analisi minuziosa degli eventi passati, che permette di ricostruire la tortuosità del percorso compiuto, noo esiste; sia la men talità pagana sia quella cristia.na erano prive di quei presupposti che in ducono a riflettere sulla metamorfosi interiore dell'individuo. Non deve quindi sorprenderei la scarsità delle testimonianze sul cammino seguito dagli individui per giungere a Dio e alla Chiesa. Lo storico che desideri ricostruire il processo di cristianizzazione del mondo antico si imbatte in un'ulteriore difficoltà. l pagani di ieri, dive nuti cristiani, si allontanavano cos1 nettamente dal proprio passato, cbe finivano per non capirlo più. Tutto quello che apparteneva alla vita pre cedente sembrava loro riprovevole o comunque poco importante. Ri partivano da zero, quanto mai riluttanti sia a ripensare agli atteggiamenti e alle abitudini del passato, sia a parlarne. Se scrivevano della loro con versione era per testimoniare pubblicamente la nuova fede e la nuova moralità, non cerro per indagare su c:he c:osa avesse provocato quella grande trasformazione. La consapevolezza dell'aiuto di Dio era più che sufficiente, e neanche per un attimo dubitavano che fosse stato proprio il suo intervento a indurii ad abbandonare la vita di prima. I cristiani che li avevano sostenuti nella conversione erano stati solo un mezzo della gra zia divina: occorreva quindi ringraziare Dio per l'aiuto, senza soffermarsi sull'opera dei suoi strumenti umani. Uo esempio signitìcativo di questa profonda incomprensione per il proprio passato ci viene offerto dalle apologie scritte da intellettuali cri stiani neoconvertiti: leggendole si direbbe che gli autori abbiano perso ogni nozione della religione pagana (che pur dovevano avere). Le apo logie non sono una buona fonte per la storia delle religioni antiche; lo storico che conosce la documentazione di parte pagana non crede ai propri occhi, nel constatare quanto sia diverso il quadro del paganesi66
rinhtf>ri;,l
Le conversioni
mo tratteggiato dagli autori convertiti al cristianesimo e animati dal de siderio di allontanarsi dal proprio passato e di condannarlo.
3.4 La via alla Chiesa dell'intellettuale Esistevano però delle eccezioni. La più famosa è quella di Giustino (100 ca.-165 ca.), nato da una ricca famiglia pagana di Flavia Ncapolis (oggi Nablus), in Palestina. Nel Dialogo con Trt/one Giustino narra le circostanze in cui avvenne la sua conversione. Ad avvicinare Giustino al cristianesimo era stata la filosofia. Nella sua ricerca della verità su Dio, il giovane si era dapprima interessato agli stoici (che costituivano la principale scuola filosofica del tempo), ma la loro dottrina gli parve sterile: per quanto studiasse, la sua conoscenza di Dio non progrediva e il maestro di Giustino diceva che si trattava di una «cognizione inutile». Il giovane allora cercò una guida spirituale in un altro filosofo, un aristotelico, il quale dopo alcuni giorni volle stabili re il compenso per i propri insegnamenti. Giustino ne rimase deluso, così come lo deluse il contatto con i neopitagorici. Quando il maestro di quella scuola seppe che Giustino voleva diventarne un adepto, chie se: «Vediamo, hai coltivato la musica, l'astronomia, la geometria? O pensi forse di poter discernere alcunché di quanto concorre alla felicità senza prima esserti istruito in queste discipline, che distolgono l'animo dalle cose materiali e lo preparano a trarre frutto da quelle spirituali, sì da giungere a contemplare il bello c il bene?». Senza lo studio di quelle discipline il neopitagorico non volle accettare Giustino, il quale riteneva ragionevoli le richieste, ma, nel suo desiderio di avvicinarsi a Dio, era troppo impaziente per dedicare anni e anni alle varie fasi dell'insegna mento. La persona da cui Giustino imparò di più fu un filosofo della scuola platonica: «Mi affascinava la conoscenza delle realtà incorporee e la contemplazione delle idee eccitava la mia mente. Ben presto ritenni di essere diventato un saggio c coltivavo la sciocca speranza di giungere alla visione immediata di Dio». Un giorno il giovane decise di cercare la solitudine in un luogo appar tato per «stare solo con se stesso senza essere disturbato». Strada facen do incontrò sulla riva del mare un vecchio «dall'aria mite e veneranda», che indicò a Giustino un altro modo di avvicinarsi a Dio: il Vangelo. Quanto a me, un fuoco divampò all'istante nel mio animo e [ ] trovai che que ...
sta era l'unica filosofia certa sono un filosofo
c
c
proficua. In questo modo e per varie ragioni io
vorrei che tutti assumessero la mia stessa risoluzione e più
non si allontanassero dalle parole del Salvatore. Esse infatti incutono un certo timore e sono sufficienti a confondere coloro che deviano dalla retta strada, mentre una quiete dolcissima pervade coloro che le mettono in pratica. l
1
San Giustino, Dta/og.o con Tri/one, Edizioni Paolinc, Milano 1988, pp. 88-92. 67
Storta della Chiesa nefta tarda antichità
li racconto di Giustino non va preso troppo alla lettera: esso riprende infatti stereotipi letterari e filosofici ricalcati su modelli prestabiliti. Più che i fatti reali, ciò che conta è il modello proposto, la strada ideale che l'intellettuale dovrebbe seguire per convertirsi al cristianesimo. Poco importa, quindi, la verità della narrazione; per noi è sufficiente che Giustino abbia presentato questa versione ai suoi lettori, che evidente mente la ritenevano plausibile. (Naturalmente la via della ricerca filoso fica era accessibile solo agli i.!)t,fllett�.g_!i. non certo all'uomo qualunque N e non possiamo pretendere che simili scritti testimoniassero le esperien-(1 ze della gente comune.) Nel racconto di Giustino vorrei però sottoli neare la presenza dell'inquietudine e della scontentezza, premesse indi spensabili di ogni com;'èrsroile:a�lla con�er;ibne Ji tutti, non solo degli intellettuali.
3 .5 Difficoltà dei matrimoni misti
Per lungo tempo furono i singoli individui, e non i gruppi sociali o pro fessionali, ad abbracciare il cristianesimo. Spesso nella medesima fami glia convivevano pagani e cristiani e ciò era fonte di tensioni, conflitti, accuse reciproche e denunce alle autorità. Delle difficoltà originate dalla differenza di fede narra in modo sor prendentemente realistico Tertulliano (155 ca.-220 ca.), scrittore latino originario dell'Africa settentrionale: Ogni donna cristiana perciò dovrà essere necessariamente fedele nel servizio di Dio. E come mai potrebbe questa servire a due padroni, al Signore e al marito, per di più pagano? Se ella si preoccupa di aderire alle esigenze del marito pagano, cercherà di mettere in evidenza i pregi stimati dai pagani,
c
cioè la bellezza, l'acconciatura, le raffinatezze secolari e le lusinghe piuttosto oscene. Perfino i segreti dell'intimità coniugale diverranno peccaminosi. [ ... ]
Giudichi ella stessa come riuscirà a adempiere i suoi impegni nei confronti del marito [.. ]. Infatti ella avrà sempre al suo fianco un servitore del demo-. .
nio, vale a dire un procuratore solerte di questo suo padrone, incaricato di frapporre ostacoli alle buone premure
c
agli impegni dei cristiani. Le conse
guenze saranno queste: se occorre dedicarsi alla stazione,4 il marito, proprio quel giorno, dovrà recarsi ai bagni; se bisognerà osservare il digiuno, il mari to, quel giorno stesso, darà un banchetto; se c'è necessità di uscire di casa, mai sopravvengono tanti lavori di casa che esigano la vigilanza sugli schiavi. Chi mai permetterebbe alla moglie di passare di rione in rione allo scopo di
visitare i fratelli, entrare nelle case più povere e perfino nei tuguri più misera
bili) E chi mai lascerebbe di buon grado che la moglie gli si staccasse di fian co, quand'anche lo esigesse il suo compito per recarsi alle riunioni notturne) E chi infine sopporterebbe serenamente che durante le solennità della Pasqua
4 Cioè partecipare a una riunione dei cristiani in cui si prega stando in piedi. 68
Le conversioni ella passasse la notte fuori di casa? E chi mai consentirà, senza averne sospet to, che la moglie frequenti la mensa del Signore, che è motivo di tante calun nie ignominiose? Chi potrà tollerare che la moglie si insinui furtivamente dentro le carceri allo scopo di baciare la catena di un martire? Potrà egli ammettere che la moglie si avvicini a qualcuno dei fratelli per scambiare il bacio della pace, rechi l'acqua per lavare i piedi dei santi, s'inte ressi premurosamente del cibo c della bevanda per loro, desideri farlo e non pensi ad altro se non a questo? Poi, nel caso che sopravvenga un fratello da un lungo viaggio, quale ospitalità potrà ricevere in una casa a lui del tutto estranea? [. . ]
.
Così infatti il Signore afferma: "Non gettate le vostre perle innanzi ai porci, af finché non le calpestino c poi si rivoltino per abbattere anche voi". Vostre per le sono pure le testimonianze della vostra vita quotidiana. E allora, per quanto tu ti preoccupi per occultarla, tanto più la renderai motivo di sospetto, e per ciò tanto più ne farai oggetto di curiosità, da parre dci pagani, per conoscerla meglio. Potresti tu nasconderlo alla sua attenzione, quando fai il segno della croce sul tuo corpo, quando, con soffio, procuri di cacciare via qualcosa d'im puro, come anche quando ti alzi di notte per pregare? Non sembrerà forse che tu operi qualche segno di arte magica? Non saprà forse tuo marito che cosa tu prendi in segreto prima di assumere ogni altro cibo) E se saprà che si tratta di pane, non penserà forse che è proprio quello, di cui si parla? [ ]
...
Così la serva di Dio finirà per dimorare in compagnia degli dèi estranei, ed è in tale ambiente che ella sarà frastornata dalla celebrazione di tutte le solen nità in onore dci sovrani, al cominciare dell'anno, all'inizio dci mesi, in mezzo alle esalazioni degli incensi. Uscirà così, dalla porta di casa, tutta adorna di al loro
c
di lampade, come da un sito novello destinato alle riunioni a scopo di
pubbliche libidini. Ella si siederà a tavola col marito, spesso in occasione di banchetti di amici, sovente, nelle stesse tavernc. E talvolta dovrà adattarsi a occuparsi di persone malvagie, Ici che un tempo era abituata a servire i santi.
[ .. ] E della bevanda di chi presumerà d'essere partecipe? Che cosa canterà il
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marito per lei, e che cosa canterà lei per il marito? Ella dovrà senza dubbio sentire gli echi di tutto quello che si produce nei tea tri, nelle tavernc
c
nell'inferno. Quale invocazione
a
Cristo? Quale alimento
alla fede, derivato dalla lettura della Scrittura? Dove la benedizione di Dio? Tutto \·i sarà estraneo, tutto ostile, tutto degno di condanna, tutto provocato dal maligno allo scopo di invalidare la salvezza.5
(
Dalla sua esposizione Tertulliano trae la conclusione seguente: «Stando così le co se , risulta che i cristi ni se contraggono il matrimonio con perseme pagane, si rendono ovviamente colpevoli di fornicazione e perciò debbono essere esclusi da ogni comunione con iT\·aféni». ùnverdetto, questo, che derivava dal rigorismo morale dell'autore: n.on...pru.:e infatti.. c molci cristiani condi�SCJ:.Qs>..lli!:ioni così radicali. I matrimoni mi sti urono comuni fino a cent'anni dopo Tertullìàno, e anche oltre
a ,
� 5
.
Tertulliano, Alla con.wrte, Il, -1, 3; n, 6, 1-2. 69
Storia della Chiesa nella tarda anticbità '
E facile trovare testimonianze analoghe a quella di Tertulliano, sebbene non altrettanto pittoresche e ricche di particolari; esse riguardano in variabilmente le donne e le loro sofferenze. Quest'attenzione c.oncen· trata sulle donne è perfettamente comprensibile alla luce di ciò che sap· piamo della loro posizione nella società; sottoposte al potere degli uo mini (padri, mariti, fratelli, tutori), non potevano scegliere liberamente la propria vita e, nel caso di differenze religiose, il marito trattava la mo glie da 1.ma posizione di forza, imponendole, se non la propria confes sione, perlomeno le condizioni del compromesso domestico che gli tor· navano più comode.
3.6 La religione pagana dopo la svolta costantiniana: da una tolleranza ostile alla repressione La conversione di Costantino al cristianesimo e il conseguente cambia mento della politica dello staro nei confronti della Chiesa crearono le nuove condizioni per la cristianizzazione dell'impero, che cominciò a procedere assai \lelocemente. A molte persone, soprattutto a quanti formavano l'apparato del potere o ne dipendevano direttamente, la conversione sembrava una scelta conveniente: facilitava la carriera sta tale, procurava le opportune protezioni, offriva una copertura nelle si· ruazioni pericolose. Non dobbiamo tuttavia vedere in questi vantaggi materiali il principale né tantomeno l'unico motivo che affrettò il pro· cesso di diffusione del cristianesimo. L a crisi complessiva, che aveva spinto le generazioni precedenti ad abbracciare una nuova fede, non scomparve con l'inizio del IV secolo; con il passare del tempo si fece . anz1 ptu acuta. I figli di Costantino, Costante e Costanzo, dichiararono guerra aperta aUa vecchia religione. Tta iJ341 e il356 essi emanarono ben cinque leg gi che proibivano il culto pagano e imponevano la chiusura dei templi. Cesset strperstitio, sacri/iciorum aboleatur insania («Cessi la superstizio· ne [dove superstitio sta senza dubbio per ''religione pagana"] e venga abolita la follia dei sacrifici») dichiara una legge di Costante.6 In un a]. tro atto Costanzo afferma che quanti oseranno offrire sacrifici agli dèi subiranno la pena della spada (Cod. Th , XVI, 10, 4). La politica di repressione per mezzo di atti legali continuò con Teodosio il Grande. Nel 38ll'imperatore proibì l'offerta di sacrifici sia di giorno che di notte, nonché la visita ai templi; le pene previste erano tuttavia più miti di quelle dettate dai figli di Costantino: invece della morte era prevista la deportazione (Cod. Th., XVI, 10, 7). L'anno seguen te venne promulgata una legge che proibiva l'offerta di sacrifici (Cod. Th., XVI, 10, 8). Con una legge del392 Teodosio, a nome proprio e dei figli, condannava a morte il paganesimo: .
'
6 Codex Theodosianus, X'Vl, 10, 2. 70
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m
aterial
Le conver.rioni
Gli imperatori Teodosio,Arcadia e Onorio a Rufina, prefetto del pretorio. A nessuno di qualsivoglia condizione [. ..l in alcun luogo, in alcuna città è consentito offrire sacrifici [. .] a statue senza vita, come pure venerare all'interno delle c ase Lari, Geni l J o Penati, accendere lumi in loro onore, bruciare incenso o appendere ghirlande. Chiunque osi offrire un sacrificio cruento o trarre vaticinio dalle interiora sarà considerato colpevole di ksa n�����; ��i )20trannq_�c�!!;: l o e �� ...,_ l';�us��o verrà e�m.!.�r2 il .� èJ..:;. er.��t,t.ç>k a!l.che se e l non avrà cercato di �yit,. sapere nicnfé'èOntro la salvezza o sulla salvezza deg i im eraton. .. . Uìipoivener
...
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Gli imperatori cristiani avrebbero continuato a emanare leggi contro il paganesimo anche nei decenni successivi. Lo fecero i figli di Teodosio, Arcadio e Onorio, nonché Marziano (nel 451), Leone 1 (nel472) e infi(. ne Giustiniano (ignoriamo la data precisa). Nel v secolo diventeranno oggetto Ji legislazione gli stessi te.Illlili:.. ai sovrani cristiani non bastava chiuderli, tant'è vero che nel 435 Teodosio ne 2Ldi,nerà la distruzione ._ -- " (Cod. Th., XVI, 10, 20). Questa serie di atti legali può sembrare a prima vista incomprensibile. Sul finire dell'antichità il potere degli imperatori era immenso; per qua le motivo, quindi, il primo divieto, formulato in maniera così radicale, non era ritenuto sufficiente? Per quale ragione emanare sempre nuove disposizioni invece di richiamarsi a quelle già in vigore? Le costituzioni imperiali vanno trattate con molta cautela da parte de gli storici, che dovrebbero considerarle più una testimonianza delle in tenzioni del sovrano che una prova del reale stato delle cose. Il potere degli imperatori era pur sempre sottoposto a limiti concreti, dovuti al l'opposizione delle diverse forze sociali, per cui laddove i pagani forma vano un ambiente compatto, tutte le prescrizioni legali cadevano nel vuoto. Non c'è alcun dubbio che le leggi di Costante e di Costanzo, det tate dal loro fervore religioso, fossero premature e non potessero trovare un'applicazione pratica. In quel periodo, infatti, i cristiani non rappre sentavano ancora la maggioranza dei cittadini dell'impero, per cui risul tava impossibile affrontare di petto i pagani senza mettere a repentaglio la pace interna; nell'esercito, per esempio, prevalevano i pagani e licen-
7
Ivi, XVI, IO, 12. 71
Storia della Chiesa nella Iarda anticbitcì
ziarli (o peggio ancora punirli con la morte) era impossibile. Inoltre. il ti more di scatenare disordini sui territori a loro sottoposti tratteneva i fun zionari zelanti dall'applicare rigorosamente la legge; non disponendo di un apparato di repressione in grado di imporre la pace con la forza, il funzionario responsabile di una destabilizzazione rischiava più di un funzionario che avesse dimostrato scarso zelo anticristiano. Le cose andarono diversamente con la legge di Teodosio il Grande, emanata quando ormai le file pagane si erano considerevolmente ridot te c la repressione di gruppi minoritari nella società non creava gravi pericoli. Inoltre, l'apparato imperiale poteva contare sull'appoggio dci membri del clero e dei sempre più numerosi monaci. Sappiamo bene come la cristianizzazione delle campagne sia avvenuta con l'attiva parte cipazione dei monaci i quali, in nome della giusta causa, ricorrevano persino alla vi mmuni dalle paure dei funzionari imperiali, ca paci nel loro ardore religioso di rischiare la morte per mano della folla pagana, essi mettevano a disposizione della lotta una forza cospicua; protetti com'erano dalle leggi contro i cultori delle antiche divinità e dal rispetto della società, i monaci sapevano perfettamente che non sarebbe stato facile trascinarli in giudizio per avere incendiato o saccheggiato i beni dei pagani. Mi è difficile a questo punto resistere alla tentazione di citare un aneddoto riportato da Czeslaw Milosz e attribuito a «un vecchio ebreo della Galizia». Esso si adatta a molti personaggi di questo libro, ma in modo particolare ai monaci:
'cleil;:"!
Se due litigano e uno ha un buon cinquantacinque per cento di ragione. be· nissimo. Non c'è motivo per prendcrsela. E se uno ha il sessanta per cento di ragione?
È una meraviglia, una grande felicità. E puoi ringraziare il buon
Dio! E che dire del settantacinque per cento? I saggi affermano che è molto sospetto. Bene, c il cento per cento? Uno che dice di aver ragione al cento per cento è un violento c un brigante, è l'ultimo dei farabuttis
"Farabutto" è un termine eccessivo, ma gli altri due, purtroppo, corri spondono alla verità. In ogni caso, va detto che nel IV secolo i pagani erano ampiamente rappresentati nell'élite imperiale e formavano una categoria che non si poteva attaccare direttamente, considerata la sua potenza economica c sociale. L'imperatore non era in grado di governare l'Italia senza il con senso almeno passivo delle grandi stirpi aristocratiche romane (nel sen so della città di Roma). Egli ripagava tale consenso con la nomina di se natori pagani ad alte cariche pubbliche e con il conferimento del massi mo onore: il consolato. Neppure il più zelante tra gli zelanti, Teodosio il Grande, si sottrasse a tali decisioni. Nel T\' secolo anche nella parte orientale dell'impero i pagani assursero alle più alte cariche dello stato, ""!C. Milosz, La mente prip,ionzcra, Adclphi, Milano l981, p. 15. 72
Le conversioni
proteggendo con il loro prestigio i correligionari alle loro dipendenze e di strato sociale inferiore. l nfine, era difficile perseguitare gli uomini di cultura che rifiutavano di abbracciare il cristianesimo: retori, filosofi, poeti, famosi giuristi, me dici ecc. Sul finire della civiltà antica la cultura aveva un prestigio straordinariamente alto (si tratta di uno dei paradossi della storia, sul quale avrò occasione di tornare) e non si potevano toccare coloro che la praticavano attivamente. Non che mancassero casi di repressione, ma ciò avveniva di rado e solo quando i perseguitati spiccavano per una particolare mancanza di tatto c di misura. Tutto ciò contribuiva a conservare l'esistenza di "nicchie" pagane; nel \'1 secolo ne esistevano ancora molte, ma i più numerosi erano i "cripto pagani" (una categoria sorta per effetto delle repressioni cristiane e del le conversioni imposte in modo coercitivo) preoccupati di nascondere alla meglio il loro modo di pensare e sentire.
3.7 Il ruolo della violenza nella cristianizzazione dell'impero
L'uso della violenza nel processo di cristianizzazione suscita forti reazio ni tra gli storici moderni. Alcuni studiosi, avversi alla Chiesa e più in ge nerale al cristianesimo, tendono a sottolineare energicamente il ruolo della costrizione, come se fosse stato l'imperatore con tutta la sua poten za a cristianizzare il mondo. Forse esagero, ma non troppo: ricordo an cora una conferenza sul tema delle persecuzioni operate dai cristiani, te nuta all'Istituto storico dell'Università di Varsavia da G. De Ste Croix, un professore inglese peraltro eminente. Lo studioso, che non amava il Dio cristiano, citava quelle storie con evidente piacere, salutando con gioia ogni normativa tesa a colpire gli eretici c i pagani. Secondo lui la religione dell'amore evangelico era riuscita a prevalere grazie allo spargi mento di sangue e alle repressioni più efferate. Di solito tali studiosi fanno anche notare quanto rapidamente persecu tori e perseguitati si siano scambiati i ruoli: persone mcmori ancora delle persecuzioni di Diocleziano c le cui famiglie avevano languito in carcere o a\'e\'ano cercato scampo nella fuga erano in grado di trasformarsi in promotori di attacchi brutali contro i pagani, malgrado il loro passato e le sofferenze subite. Riconosciamo che questa prontezza nel ricorrere alla violenza subito dopo essersene liberati è testimoniata fin troppo bene dalle fonti, ma chiediamoci tuttavia se ciò abbia veramente influito sul ritmo c sulla natura delle conversioni. Dal canto loro, gli storici contemporanei che insegnano la storia della Chiesa difendendo l'operato di questa considerano con imbarazzo le notizie sulle repressioni che appoggiavano l'opera di evangelizzazione. L a storiografia ecclesiastica più antica non aveva dubbi: la ragione stava dalla parte della Chiesa, che agiva per il bene degli uomini. Perché non avrebbe dovuto approfittare dei mezzi di pressione a sua disposizione? 73
Storia della Chiesa nella tarda antichità Le fonti tramandano beo poche tracce dd concetto che fosse meglio agire con la persuasione anziché con la forza. Nella sua legge dd 354 l'imperatore Costanzo non esitò a scrivere: «Vogliamo che i templi di ogni località e città vengano immediatamente chiusi affinché, impedito ne l'accesso, gli sciagurati non abbiano più la possibilità di peccare)); egli si rendeva perfettamente conto che gli "sciagurati" desideravano continuare a peccare, ma il compito di tm buon sovrano era anche quel lo di costringere i sudditi al1a virtù. Tuttavia, gli europei del .lG< secolo sono stati abituati a considerare la tolleranza come un bene assoluto e a condannare l'impiego de1Ja forza per diffondere tm'ideologia. Gli storici della Chiesa con tendenze apo logetiche sono costretti, loro malgrado, a riconoscere che, nei secoli passati, i capi dell'istituzione ecclesiastica erano di diverso avviso; per tanto preferiscono non parlare affatto di tali questioni oppme cercano di farlo in maniera sbrigativa, evitando ogni commento. La loro timoro sa suscettibilità è accresciuta dalla consapevolezza che il ruolo della co strizione nella cristianizzazione viene sottolineato dai loro avversari ideologici.
3.8 Non bisogna vergognarsi dell'intolleranza La tolleranza non andrebbe però considerata una categoria fuori del tempo, un bene asso.luto, un principio valido in tutte le società. Sono esistite epoche tolleranti ed epoche intolleranti, che non si vergognava no della violenza se finalizzata alla vittoria della giusta causa. Il periodo della tarda antichità non brillava certo per tolleranza, sia da parte cri stiana che da quella pagana. Ciò non significa che non se ne parlasse o non se ne scrivesse. Anzi, la tolleranza si esigeva, e anche con insistenza, ma a farlo era sempre la parte in quel momento più debole, e i suoi ar gomenti rivestivano un carattere puramente strumentale. Ai tempi delle persecuzioni i cristiani parlavano continuamente del dovere dì essere tolleranti, mentre i pagani erano certi delle loro ragioni. Non era passa to ancora un secolo, che la situazione si capovolse: adesso erano i paga ni a invocare la tolleranza. Sul finire dell'antichità erano molti a scorgere una contraddizione rra le verità contenute nei Vangeli e le leggi imperiali che punivano con la morte la fedeltà agli dèi pagani. La loro, però, era una protesta debole, incoerente e incompatibile con la mentalità del tempo, quando la reli gione era fonte di passioni sfrenate, una sfera in cui era difficile o addi rittura impossibile raggiungere un compromesso. Personahuente non cooda1mo i cristiani per l'uso della forza né li assolvo da tale accusa: mi limito semplicemente a constatare che, da un punto di vista storico, l'accusa in sé non ha alcun senso; il nostro compito infatti è conoscere e capire il passato, non trascinarlo in tribw1ale. La storia ignora le leggi a cui questo tribunale fuori del tempo potrebbe appellarsi e non si 74 Copyrigt1led
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Le conversioni
possono applicare agli uomm1 della tarda antichità norme formulate nel XX secolo.
3. 9 La conversione degli iberi caucasici Ma torniamo all'antichità e al processo di cristianizzazione. È giunto il momento di vedere come si siano avvicinati al cristianesimo popoli che vivevano al di fuori delle frontiere dell'impero romano. Lo storico che si accinge a studiare questa problematica è colpito dal la mancanza di iniziative missionarie da parte della Chiesa, caratteristi che invece dell'epoca medievale. Le conversioni che possiamo osservare nel mondo cosiddetto "barbaro" del IV e\' secolo furono quasi esclusi vamente frutto dell'iniziativa di singoli cristiani, portati dal destino in paesi totalmente pagani, lontani dalla civiltà romana, e che in quella si tuazione difficile e del tutto nuova non solo non abiurarono la fede in Cristo, ma riuscirono a trasmettere il messaggio del Vangelo in piaghe straniere. Prendiamo due esempi di conversione, narrati da Rufino di Aquileia t (345-410/411) nella sua Storia della Chiesa, scritta all'inizio del v secolo. Gli storici ritengono che ci si possa fidare della sua relazione, ovvia mente non per quanto riguarda i dettagli, ma per i dati fondamentali che essa contiene. Jl primo esempio riguarda gli iberi caucasici, antenati degli odierni georgiani; il secondo l'Etiopia. La storia della conversione degli iberi fu personalmente narrata a Rufino al loro capo Bacurio, che si stabilì nei ;;;drori del]'jmpèro ot teììèndo a tmperatorc Uii'alta carica nell'esercito romano. Ciò au � valore c testo: abbtarno�a clièTareéo"i1i:ii1àiesttmonlanza del la tradizione locale sugli inizi della storia cristiana di quel popolo. In quello stesso tempo anche la popolazione degli iberi, che abitava una :wna estesa sotto il cielo del Ponto, ebbe modo di abbracciare l'alleanza della paro· la divina e la fede del regno futuro. A dare inizio alla prima origine di questo dono così grande fu una donna di condizione schiava. Mentre ella si trovava tra quel popolo, conduceva una vita fedele, morigerata giorni
c
c
casta, e poiché turri i
tutte le notti rivolgeva a Dio lunghe preghiere, questa stessa sua con
dotta insolita divenne
mo ivo di ammirazione per quei barbari, t
c
la gente si
domandava con molta curiosità che cosa tutro questo potesse significare. Ed ella, com 'era naturale, confessava semplicemente che in quel modo intendeva
adorare Cristo come Dio. [ .
1
..
J
Presso quel popolo era in vigore quest'usar !i-a: quando si ammalava un bambino. esso veniva portato dalla stessa madre da una casa all'altra perché, se riusciva a trovare qualcuno esperto in qualche rimedio, lo apprestasse al pic colo malato. Avvenne così che una donna, dopo aver portato qua e là, secon do il costume, il proprio figlioletto, senza però aver trovato alcun rimedio, pur essendo passata per tutte le case, si recò pure da quella schiava perché, se 75
Storia della ChìeJa nella tarda antichità avesse conosciuto qualche rimedio al male, glielo indicasse. Essa le rispose di non conoscere nessuna medicina in uso presso gli uomini, ma dichiarò tutta via che il suo Dio, Cristo, che ella adorava, potC\'a concedere a lei quella salu te che gli uomini non avevano nessuna sperama di dare. Così dicendo distese il bambino sulla propria coperta di pelo di capra e rivolse la sua fervente pre ghiera al Signore; quindi restituì alla madre il bambino risanato. La voce arrivò a molti
c
la fama di quel prodigio giunse alle orecchie della re
gina la quale, colpita da gravissimi dolori del corpo, viveva in condizioni di sperate. Ella pregò perché la schiava fosse condotta fino a lei, ma quella si ri fiutò per non sembrare-di voler fare di più di quanto il suo sesso le permette· va. Allora fu la regina stessa a farsi trasportare fino alla piccola cella della
Cfoj)O'aVerlaTatt;distender; sopra la propna coperta, come �m;;'pcr il bambino, e dopo aver invocatO il nome di Cristo, terminata la schiava. Così,
preghiera la fece rialzare sana c piena di forze. Quindi prese a inscgnarle che
Cristo era Dio, il Figlio del sommo Dio: era stato lui a concederle quella gua rigione, c soggiunsc che a Cristo la regina doveva rivolgere le preghiere, per ché era lui l'ancora della sua incolumità c della sua vita. Cristo infatti aveva il potere di distribuire il regno ai re e la vita agli uomini. La regina, ricnrrata nel suo palazzo gioiosamente, raccontò tutto al marito, bramoso di sapere la cau sa di una guarigione così improvvisa: egli, tutro lieto per la salute della sposa, avrebbe voluto far recare alla donna i doni della riconoscenza, ma la regina subito esclamò: "La schiava, o re, non apprezza nulla di questi doni, disprez za anzi l'oro e l'argento, e si pasce del digiuno quasi come di cibo ordinario; potremo darle in cambio solo questo compenso: se adoreremo Cristo come Dio, perché è stato lui, per le sue preghiere, a procurarmi la guarigione". Il re tuttavia
non
volle acconsentire
c
fu necessario un secondo miracolo per
indurlo ad ammettere che Cristo fosse Dio. Accadde infatti che, durante la caccia, venisse sorpreso da tenebre improvvise in mcao al bosco. In quel
m"arifento di incertezza e di paura, il sovrano si ricordò della schiava e del suo
Dio, c ne invocò l'aiuto. Immediatamente si fece luce. Tornato in città, chiamò a sé la schiava per saperne di più su Cristo e sull'onore dovutogli. [ ... ]
Il re allora fa radunare tutta la sua gente e racconta, dal principio, quanto è accaduto a lui e alla regina, illustra la nuova fede e diventa l'apostolo del suo popolo, anche se egli è appena iniziato nella conoscema delle cose sacre. Gli uomini accettano la fede per l'autorità del re, le donne per l'autorità della re gina e subito, per decisione di tutti, si dà mano alla costruzione della chiesa. Dio mandò un altro segno. Durante la costruzione della chiesa non c'era
modo di piazzare al suo posto una delle �nne; néanimali né macchine era
no di grado di drizzarla. La schiava, rirr;;;ta durante la notte nelle vicinanze
della chiesa in costruzione, invocò un miracolo, che l'indomani Dio inviò alla coppia regale c alla gente radunata: dritta nell'aria, la colonna pendeva a un
palmo di distanza sopra la propria base c poi. tra le grida del popolo ammira to, vi si posò senza bisogno di interventi umani. In seguito, dopo la costruzione della chiesa, la gente abbracciava la fede in Dio con sempre maggior ardore, sicché per suggerimento della schia\·a fu in viata all'imperatore Costantino fil Grande] un'ambasceria da parte di tutto il 76
Le conversioni popolo: venne data notizia dell'intera vicenda e presentata la preghiera che fossero mandati sacerdoti a compiere per loro l'opera di Dio già iniziata. Ed egli li inviò con sua grande gioia e onore , c di questo fu tanto più lieto che se avesse aggiunto all'impero romano popoli prima ignorati e regni ancora sco nosciuti9 Rufino ignorava il nome della prigioniera; la Chiesa georgiana la chiama Nino (o Nina).
3.10
Gli inizi della cristianizzazione in Etiopia
La seconda storia si svolge invece in terra africana. nte della città fenic� di Tiro, il filosofo Metrodoro, fec��a.ggio in I er coffu'"scerell �. LO accom a navano due ra azzi suoi arenti Edesio_e Frumenzio. ag.&iodi ritorno, ungo la costa a ncana l'e , quipaggio
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I due ragazzi [... ] vennero ri sparmi a ti dalla compassione degli stessi barbari c condotti davanti al.!:S Di uno di essi, vale a dire Edesig• eg!i..fç,s.s:..il proprio � a �n;l,fnzi<;;_ invece, avendolo giudicato come un giovane perspi cace e prudente, affidò l'ammUJlstta?Jwc dei :;�.��i- Da quel momento grande onore presso il re c anche con grande affetto. essi furono tenut Quando il re giunse a morte, lasciò erede del regno la moglie con un figlio ancora in tenera età, c concesse ai due giovani la libera facoltà di decidere quel che volevano fare. Ma la regina li pregò supplichcvolmentc di condivi dere con lei la preoccupazione del governo almeno fino a quando non fosse cresciuto il figlio: era persuasa di non avere in tutto il suo regno nessuno più fedele di loro; ma pregava soprattutto Frumenzio, la cui saggezza bastava per dirigere il regno. L'altro, il compagno, offriva scmplicemcnrc una grande fe deltà c uno spirito disinteressato. Mentre dunque attendevano a questi uffici, c fr umen zio teneva in pugno il governo del regno, per ispirazione di Dio che sollecitava la sua mcnrc c il suo cuore, cominciò a interessarsi con maggior gremura se tra i commerciauti dj ili= als.uQi fossçro cristiani: egli si di conceder loro lepjt,ampie libcrtà_e li esortava a istituire in chiarò w·i luoghi singole riunioni nelle quali poter raccoglierSi'"lfPr�arc.,se"éOjìjfu_ gli usi consueti a Roma. In p1� egh personalmente compi�a con maggior fer vore-tuttoqbcsto, ed esortava gli altri, invitandoli con favori e benefici; con cedeva tutto quello che era opportuno, donava il terreno per gli edifici c altre cose necessarie; in una parola, rutto egli faceva perché in quella regione pro sperasse il cristianesimo.10
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'Rufino di Aquilei a, Storta della Chrera, l, IO. 10 lvi, I, 9. 77
Storia della Chiesa nella tarda antichità
In seguito, dopo che il re diven11e maggiorenne, Edesio e Frumenzio poterono finalmente tornare nell'impero. Frumenzio, preoccupato per la sorte deiJa comunità da lui fondata, invece di partire subito per la sua città natale si recò ad AJessandria, per raccomandare i cristiani d'Etiopia all'attenzione del vescovo Atanasio. Questi, tuttavia, ritenne che la cosa mi.gliore fosse consacrare vescovo Frumenzio e chiedergli di far ritorno in Etiopia. L'operato di Frumenzio risultò quanto mai fruttuoso e sostenuto da segni e guarigioni miracolose. Forse si converrl al cristianesimo anche il re, ma i suoi successori f11rono certamente pagani; fu solo più tardi che la religione di Cristo soppiantò gli antichi culti. Rufino conclude dicendo: «Lo svolgimento di questi fatti, così come li abbiamo riportati, non li abbiamo appresi dall'opinione della gente, ma ci sono stati raccontati dallo stesso Edesio di Tiro, divenuto in se guito presbitero della stessa Chiesa, lui che prima era stato compagno di Frumenzio». C'è un'altra relazione che merita di esset:e citata, quella di Paolina, se· gretario del vescovo di Milano Ambrogio. Scrive Paolino: Pure in quel rempo Fritigil, regina dei marcomanni, avendo udiro dalla rela
zione di un cristiano capitato aUa sua presenza dalle parti d'Italia la fama di
quest'uomo [Ambrogio), credette in Cristo, del quale aveva riconosciuto in lui il servo; e mandati alla Chiesa dei donativi lo pregò, per mezzo di legati,
d'un suo scritto che la istruisse sulla regola della fede. Egli le inviò uria splen dida lettera in forma di catechismo, nella quale l'esortava pure di consigliare il marito che serbasse la pace coi romani; ricevuta .la lerrera, quella consigliò il marito ad affidarsi col suo popolo alla protezione dei romani.11
Nei casi preset1tati colpisce il legame tra la conversione e il benevolo appoggio, se non addirittura l'iniziativa, dei sovrani. D Loro intervento ebbe un significato decisivo per il fururo della Chiesa di una data regio· ne, e se le autorità ecclesiastiche salutarono con gioia la nascita di nuo ve comunità cristiane e contribuirono al processo di cristianizzazione, tuttavia non furono loro a iniziarlo. La storia di Frumenzio e di Edesio contiene anche un altro elemento significativo: ai suoi inizi la comunità di Aksum era composta soprattut to, se non esclusivamente, di gente che proveniva dal mondo romano dov'era già stata battezzata, e solo con il tempo entrarono a farvi parte persone del luogo. In modo analogo nacquero anche le comunità cri stiane tra i popoli barbari che vivevano oltre il Reno e il Danubio. Qui il ruolo decisivo spettò ai prigionieri, catturati in gran numero nel corso delle incursioni nell'impero, nonché alle loro famiglie.
11 Paolino, Vita di Ambrogio, 36. 78 Copyrigt1led
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Le conversioni 3 .11
La conversione dci goti
È
questo il caso di Ulfila, che si distinse particolarmente nell'opera di evangelizzazione d Ulfila discendeva da cristiani di Cappadocia w-trascinati oltre il Danubio al tempo della spedizione dei goti del 257\l. 258; forse era nato da un matrimonio misto, gotico-romano. Inviato in missione presso l'imperatore, ebbe occasione di entrare in contatto diretto con i rappresentanti della Chiesa, c il caso volle che fossero ariani. Ulfila fu consacrato vescovo da Nic fatto questo che in seguito avrebbe avuto conseguenze disastrose: i gotl convertiti al cri stianesimo sarebbero rimasti separati dall'impero da una barriera non solo culturale ma anche religiosa, praticamente impossibile da superare. Tornato presso la sua gente, Ulfila svolse un'intensa attività apostolica, proseguita anche dopo la morte dai suoi allievi, c tradusse la Bibbia in lingua gotica. I progressi del cristianesimo tra i goti, fintanto che essi vissero oltre le frontiere dell'impero, furono limitati, e l'opposizione alla nuova fede si mantenne tenace. Solo lo stabilirsi sui territori romani, con il cambia mento di vita che ne conseguiva, nonché il prestigio del cristianesimo in uno stato governato da un monarca cristiano, rese possibile una loro più rapida evangelizzazione.
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3.12
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Perché la Chiesa non organizzava missioni
Nel IV secolo l'imperatore e la Chiesa facevano davvero poco per affret tare il processo di cristianizzazione dei barbari, sebbene fosse perfetta mente noto che i convertiti sarebbero stati partner affidabili dell'impe ro. Solo nella seconda metà del VI secolo, o addirittura dopo, nel VII, le missioni partirono con slancio. Relativamente al periodo di cui ci stiamo occupando conosciamo solo due casi di azioni condotte con una certa energia. Uno di questi riguarda la nascita di una comunità cristiana nello Yemen. hinn:a riti era Teofilo Indo, personaggio quanto mai interessante; originario dell'isola"'è1i15ìValiii sappiamo dove situarla: nell'Oceano Indiano?), fin da giovane Teofilo si era conquistato una fama di guaritore. Giunto nell'impero come membro di una delegazione, vi si stabilì, si dette all'a scesi e fu ordinato sacerdote. Quando l'imperatore Costanzo II inyjò una delegazione presso gli himyariti, vi incluse anche Ieatllo , nel frattempo ' vescovo daTI'aflafìò use�' dTNicomedia; tale missione, in 1o cons cancata tra l'altro di contribuire a es1, an en;_a vera fede (ossia quella ; ariana), recava splendidi doni che ne accrescevano il prestigio. Nello Wm€n Teofilo convertì al cristianesimo numerosi pagani ed ebrei; anche il sovrano locale abbracciò la nuova religione e fece erigere chiese a Aden e nella capitale Tafaron. Teofilo si recò anche nella sua isola natale e vi diffuse il Vangelo. In seguito rientrò nei confini dell'impero e
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79
Storia della ChieJa nella tarda antù:htltÌ
Costanzo lo accolse con grandi onori. Non siamo in grado di dire quanto duraturi siano stati gli effetti della sua opera evangelizzatrice. Come mai si faceva così poco per diffondere la fede cristiana oltre le frontiere romane, e come mai l'iniziativa di Costanzo rimase un caso isolato? Certo era difficile aspettarsi attività missionarie da parte di pic cole comunità che vivevano in un'atmosfera se non di pericolo, perlo meno di insicurezza: tale infatti fu lo stato della Chiesa nei primi due secoli della sua esistenza. Tuttavia già nel III secolo, che insieme alle persecuzioni (in effetti violente, ma in compenso brevi) portò lunghi decenni di pace, il numero di seguaci della nuova fede crebbe veloce mente e i vescovi di molte Chiese ebbero a loro disposizione mezzi ma teriali c umani più che sufficienti per intraprendere l'opera di cristianiz zazione del contiguo mondo barbaro. Più ancora avrebbe potuto farlo la Chiesa trionfante del IV secolo, quando il cristianesimo disponeva di un grandissimo atout nell'azione evangelizzatrice: la nuova fede era pro fessata dall'imp�e e dai grandi del mondo romano, circostanza che rendeva attraente la nuova religione agli occhi dei barbari, sempre sog getti al fascino della civiltà romana. Tuttavia le attività missionarie erano frenate da un'insormontabile barriera culturale. Solo a fatica un cittadino dell'impero romano avreb be ravvisato nei barbari degli esseri umani. Gli autori latini che ne scri vevano li paragonavano alle bestie selvatiche, attribuivano loro le peg giori caratteristiche, li accusavano di furia (juror), di crudeltà c spietati tezza (/erocitas, saevitia), di durezza (duritia) e inflessibilità (rigor), e li U. consideravano solo come possibili candidati alla schiavitù. La misura del senso di estraneità, di ribrezzo, di paura e di odio degli abitanti del mondo civile nei confronti dci barbari ci è offerta da una storiella narrata in un testo agiografico proveniente dall'Egitto. Un pio monaco egiziano, vissuto nel VI secolo, era stato rapito dai beduini ac campati nel Sahara. Tormentato dal suo padrone, in un momento di diV sperazione aveva ucciso il suo aguzzino, era riuscito a fuggire c a far ri L torno in Egitto. Il monaco, che prendeva sul serio i comandamenti della Bibbia, era cosciente di avere commesso un grave peccato. Tuttavia gli alti dignitari ecclesiastici e laici, che egli sollecitava con insistenza affin ché gli comminassero un castigo esemplare, non vollero considerarlo un assassino. Uno dei suoi interlocutori gli disse addirittura: "Va' in pace, padre, e prega per me. Magari ne avessi ammazzati sette, di barbari, an ziché uno solo". Si tratta di una storia probabilmente inventata, ma quel che conta non è la sua veridicità: a noi non interessa quel monaco in particolare, ma l'atteggiamento sociale, e in questo caso la finzione lo documenta come un fatto realmente accaduto. Le barriere formate dalle civiltà sono sempre estremamente difficili da rimuovere c oggi, mentre osserviamo i processi di trasformazione in atto nel Terzo mondo, ce ne rendiamo bene conto. Agli albori della sua storia il cristianesimo, con molta forza, dichiarò insignificanti le diffe80
Le conversioni
renze tra le civiltà. Scriveva l'apostolo Paolo: «Dice infatti la Scrittura: "Chiunque crede in lui non sarà confuso". Non c'è infatti nessuna dif ferenza tra il giudeo e il greco, poiché lo stesso è Signore di tutti, ricco verso tutti coloro che l'invocano. "Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvo"» (Rm 10, ll-13). Nel TV secolo nessuno poteva più dubitare che accanto all'ebreo c al greco si dovesse citare anche il bar baro, che Dio fosse uguale per tutti e che gli uomini fossero tutti suoi figli. Eppure l'insegnamento evangelico stentava a essere applicato: era troppo forte il contrasto con le emozioni collettive e le esperienze ac cumulate nel corso dei secoli. L'opera della Chiesa era quindi il frutto di un compromesso tra la consapevolezza dell'universalità del messag gio evangelico c una mentalità che si era formata non solo in base alle Scritture.
3.13 Barriere culturali c barriere religiose Una dimostrazione delle resistenze culturali nei confronti dei barbari ci viene offerta dai primi coerenti tentativi di convertirli al cristianesimo, che furono intrapresi da Giovanni CrjsostoQJ.Q, vescovo di Costantinopoli. lntPrcsS>ltosi ai goti che vivevano sul Danubio-e in Cnmea, egliconsacro per loro un vescovo, un goto. Giovanni Cristostomo non era un uomo comune; era capace di vedere più lontano dei suoi contemporanei e critico verso certi valori considera ti owi dai più. Tuttavia le sue iniziative missionarie erano dettate non solo dal bene dci futuri neocristiani ma anche da immediate necessità di natura politico-teologica. I goti erano in maggioranza ariani e potevano diventare un prezioso alleato per gli ariani romani. È vero che l'arianesi
mo era uscito sconfitto dal conflitto con l'ortodossia e batteva in ritirata in tutte le città d'Oriente; ma i capi della Chiesa, timorosi di un suo ri torno, desideravano estirpare definitivamente quell'eresia. Occorreva quindi fare in modo che i goti non ancora incappati nelle sue reti fossero convertiti alla giusta fede.
Le idee di Giovanni Crisostomo sui barbari ci sono state tramandate da una predica pronunciata nella chiesa destinata ai goti cattolici e in cui dovevano operare sacerdoti che parlavano la loro lingua. . Il vescovo vi si presentò nel 399, in occasione delle feste pasquali. Parlò di molte cose, senza dubbio improwisando (ragione, questa, per
ritenere che il testo della predica rispecchiasse le sue opinioni personali). Giovanni ricordò che per la Chiesa non c'era alcuna differenza tra greci
e barbari, che il cristianesimo era praticato da molti popoli barbari e che i suoi insegnamenti erano stati tradotti in lingue barbare (allusione alla Bibbia gotica). Ricordò anche che Isaia, profetizzando che il lupo e l'a gnello avrebbero pascolato insieme, pensava appunto a una situazione in cui genti selvagge avrebbero vissuto accanto a genti più miti. I convenuti m quel giorno pasquale potevano constatare con i propri occhi che la 81
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Storia della Chiesa nella tarda antichità profezia di Isaia si era Tealizzata e cbe i più barbari tra i barbari stavano nello stesso tempio insieme agli agnelli della Chiesa, «sullo stesso pasco lo, nella stessa stalla, alla stessa tavola». D vescovo si richiamò anche al fatto che i patriarchi ebrei erano barbari, che Mosè era cresciuto tra i barbari e che Gesù aveva ricevuto i doni dei Magi barbari. Nessuno do veva condannare il fatto che un barbaro predicasse in chiesa (dichiara zione che testimonia che i contemporanei di Giovanni trovavano questo inaccettabile). n testo di questa predica rivela che anche un uomo quanto mai rispet toso delle parole dell'apostolo Paolo sull'uguaglianza nella fede non era del tutto in grado di liberarsi delle idee diffuse allora sui barbari. Per lui restavano sempre creature di rango inferiore. Viene da chiedersi che cosa provassero i goti convenuti alla messa pasquale, mentre il vescovo spiegava loro che, in quanto barbari, erano lupi feroci, pericolosi per le pecorelle della Chiesa, tra le quali annoverava solo i sudditi romani del· l'imperatore... Eppure quelle parole, così lontane dal considerare i bar bari come paritari confratelli, avevano richiesto a Giovanni Crisostomo una grande forza d'animo, per quanto la popolazione di Costantinopoli non dovesse esserne rimasta soddisfatta: per essa i goti rappresentavano una minaccia concreta e vicina, mentre le iniziative pastorali della Chjesa apparivano stranezze incomprensibili all'uomo comune, che viveva nella paura della catast.rofe politica. Nel399 scoppiò la rivolta dei reparti goti che stazionavano all'interno dell'Asia Minore agli ordini di Tribigildo. Gli abitanti della Frigia e del la Lidia, territori fino ad aUora pacifici, conobbero i loro saccheggi e le loro violenze. Contro i ribelli l'imperatore inviò due e.<;erciti, composti anch'essi da una maggioranza di goti che non si comportarono meglio dei primi nei confronti della popolazione civile. Le azioni militari furo no condotte con incredibile fiacchezza e il comandante goto di uno dei corpi, Gaina, si dimostrò non meno pericoloso di Tribigildo; ricattando l'imperatore, era in grado di destituire i massimi dignitari qualora li so spettasse di volergli nuocere. Parte dei goti di Gaina stazionava a Costantinopoli e la popolazione della capitale si aspettava il peggio. L'espulsione dei barbari dalla città, avvenuta nel luglio 400, costò al so vrano grandi sforzi e ai goti settemila morti. I goti seminavano il terrore non solo in Asia Minore: al comando di Alarico i loro eserciti imperversavano nella penisola balcanica, mettendo a sacco villaggi e città, e trucidando la popolazione civile. Nei terribili mesi tra il399 e il 400, Giovanni Crisostomo dette prova di grande coraggio. Da un lato rifiutò a Gaina, davanti al quale si era pie gato l'ùnperatore, di destinare una chiesa della capit�e agli ariani; dall'al tro cercò di estendere ai goti la sua cura pastorale. E vero che si trattava di goti professanti l'ortodossia, quindi poco numerosi in confronto agli ariani; tuttavia anche iniziative così limitate suscitarono scarso entusia smo. Per i cittadini terrorizzati ogni goro era un nemico pericoloso, qual cuno da odiare: occuparsi tanto di loro pareva davvero eccessivo. 82 Copyrigt1led
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Le conversioni
Fu solo con il lento dissolversi delle barriere culturali, a seguito del l'estinguersi della civiltà antica, che l'attività missionaria della Chiesa poté veramente iniziare. E nel nuovo mondo ormai medievale, per i barbari, seppur sempre estranei e ostili, sarebbe stato più facile trovare una collocazione.
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4. Le persecuzioni
4.1 Il cristianesimo: religione di superstizione e di empietà
li grande storico romano Tacito così descrive negli Annali la persecu zione intrapresa da Nerone a Roma nel 64 contro i cristiani, sotto il fal so pretesto che avessero dato fuoco alla città: [ .. ] valse a dis truggere l'infamante opinione che l'incendio fosse stato comandato [dallo stesso Nerone]. Nerone allora, per soffocar questa
Ma nulla
.
voce , mise avanti come rei dell'incendio gente odiosa per i suoi mali c ost umi, che il volgo chiamava Cristiani: e inflisse loro i più raffinati supplizi
.
Quel
nome essi derivavano da Cristo, che sotto il regno di Tibcrio fu mandato a morte dal procuratore Ponzio Pilato. L'esecrabile superstizione, domata per il
\
momento, scoppiava però nuovamente poi, non solo in G iudea, sorgente di quel malanno, ma pure in Roma, dove tutte le bruttezze e le vergogne con vergono e vi fanno scuola. Furono arrestati per pr im i quelli che confessa,·ano la loro fede; poi, su loro indicazione, una folla di altri, che vennero condan ' nati, non tanto per il delitto d'incen di o quanto come odi atori del l umano genere. r\i morituri furono anche inflitti oltraggi: come i l morire coperti di pelli ferine, o dilaniati dai cani, o infissi sul le croci, o arsi a fiammeggi are dopo il tramonto del sole, come torce notturne. l suoi stessi giardini aveva Ncrom: destinato a codesto spettacolo, mentre egli offri va giochi nel circo e in veste di auriga si mescolava con la pl ebaglia , o s aliva in gara sul carro da corsa. On d'è che pur di fronte a una feccia colpevole c degna di esemplare novità di pene, si faceva strada la pietà, come verso chi era sacrificato, più che al bene di tutti, alla ferocia di uno solo. 1 ,
Come ben si vede dal testo, Tacito sapeva perfettamente che le accuse diflagitia (ossia "bruttezze", "vergogne") nei confronti della popolazio ne erano false; il che però non significa affatto che ritenesse ingiusto perseguitare i cristiani. Anzi secondo lui, in quanto seguaci di una fede superstiziosa e spregiatori del genere umano, meritavano le pene peg giori. Il termine "superstizione" può sorprendere il lettore moderno c occorrerà soffermarsi sul suo significato, giacché la sua comprensione
1
Tacito, Annali,
X\',
44. 84
Le persecuzioni
può fornirci la risposta a una domanda fondamentale: perché i pagani perseguitavano i cristiani? Il significato di superstitio subì dei cambiamenti nel corso dei secoli: in Plauto (250 ca.-1R4 a.C.) questo termine serve a definire la predizione del futuro; più tardi, dal l secolo a.C. all'inizio del H secolo d.C., esso in- 'i dica la "religione cattiva", la deviazione dalla religione ufficiale romana, il culto degli dèi male inteso e mal praticato; infine, dagli inizi del n seco lo, esso viene usato nei confronti di religioni di altri popoli (o gruppi), , meritevoli di essere condannate e respinte. La superstitio non viene prati- 1 cata solo dai cristiani: Giovenale, Tacito, Plinio, Svetonio ritengono ne cessario difendere il mos maiorum (''la tradizione degli antenati") anche contro le superstitiones egiziana, caldea cd ebraica. Con il nome di super stitio vengono definiti cerri aspetti delle usanze e delle credenze celtiche (i sacrifici umani, il vaticinio dalle interiora umane, la fede nell'imminen za del crollo del dominio romano preannunciato dall'incendio del Cam pidoglio); i culti estranei vengono dunque chiamati superstitiones solo quando diventano pericolosi per la società romana tradizionale. La super Uitio, caricatura del culto di stato, indica allora credenze assurde e in comprensibili, religioni straniere di basso rango. Questo disprezzo, che tradisce la paura di tutto quel che non collima con il mos maiorum, è una tipica reazione difensiva. La superstitio veniva talvolta associata alla magia: entrambe erano in fatti avvolte dalla medesima aura di incomprensibilità, repellente e insie me affascinante. Con il passare del tempo la connotazione negativa della supcrstitio si intensificò. l cristiani, fatto significativo, introdussero il ter mine nel linguaggio della loro polemica, rivolgendolo contro coloro che trattavano come superstizione la religione del Vangelo: Tertulliano, e dopo di lui i Padri della Chiesa, applicheranno il termine alla religione romana e, più in generale, a tutte le religioni pagane (superstitio romana, superstitio gentilium).
Se nel medesimo tempo lo stesso termine poteva servire sia ai pagani sia ai cristiani, ciò vuoi dire che esso non aveva di per sé un preciso con tenuto teologico, non indicava una posizione religiosa chiara e facilmen te definibile. Il suo uso testimoniava che le parti (quella che applicava il termine e quella a cui veniva applicato) praticavano religioni radicalmen te diverse e proprio per questo non tolleravano i comportamenti religiosi l'una dell'altra. Non sussistono dubbi su ciò che permise di riconoscere il cristianesi mo come una superstitio e di assimilarlo a religioni c credenze affatto di verse. Innanzitutto il suo carattere emotivo c il forte (per non dire "ap passionato") legame sentimentale che univa i credenti a Dio e tra loro. Le religioni tradizionali, che si realizzavano esclusivamente nel culto, concedevano uno spazio estremamente ristretto all'emozione e solo in si tuazioni eccezionali; di solito la consideravano con sospetto, ritenendola una deviazione dal corretto atteggiamento del credente e quasi un sinto mo di malattia mentale. Sicuramente tra i fattori che indussero a bollare 85
Storia della Chiesa nella tarda antichità il cristianesimo come superstizione ci furono sia il settarismo dei suoi se guaci, che nella sfera dd culto si isolavano dal resto della società, sia i riti esclusivamente segreti, quindi molto diversi dalle religioni tradizionali, i cui "misteri" non r-appresentavano l'aspetto religioso fondamentale e si limitavano a rivestire un ruolo di completamento del culto corrente. Non era solo la diversità della loro religione ad attirare l'odio e la condanna sui cristiani, i quali provocavano le persecuzioni anche per il loro rifiuto di partecipare a un culto praticato da tutti gli abitanti del mondo civile (a eccezione degli ebrei). Le altre correnti religiose qualifi cabili come "superstizioni" non si ponevano fuori del culto, non nega vano l'esistenza degli dèi né l'obbligo di adempiere ai doveri nei loro confronti. I cristiani invece si mantenevano coerenti, escludendosi dalla vita sociale attiva dove ogni operazione era un'occasione per offrire sa crifici e preghiere. e dove non c'era atto ufficiale prima del quale non si interrogasse il volere degli dèi. Più tardi i cristiani avrebbero appreso la difficile arte· del compromesso, grazie alla quale, soprattutto le persone più abbienti, avrebbero conservato il proprio posto nella società senza rinnegare i princìpi della nuova religione. Ma nei primi tempi il fatto di avere ricevuto il battesimo li estraniava quasi completamente dalle fami· glie, dai gruppi professionali e sociali. Infine, la fede stessa di quelJc prime generazioni era pervasa di conte nuti inquietanti: l'annuncio dell'imminente fine dd mondo, le tendenze ascetiche originate da un dualismo infiltratosi fin dall'inizio nelle comu nità cristiane, la condanna aggressiva di molti aspetti dell'ordine morale universaLnenre accettato nel mondo romano. Tutto c.iò conu·ibuiva a fare del cristianesimo una minaccia per le basi stesse della struttura so ciale: i membri pagani e quelli cristiani di una stessa famiglia faticavano a convivere in armonia (lo abbiamo visto in Tertulliano). Anche l'origi ne ebraica della nuova religione e la presenza di molti ebrei convertiti (inizialmente Wl gruppo assai numeroso) contribuivano a rendere mal disposti nei confronti dei cristiani i pagani, che poco sapevano del cri stianesimo e del suo conflitto con l'ebraismo.
4.2 La scandalosa novità della fede cristiana Nella biografia di Nerone, parlando delle persecuzioni contro i cristiani Svetonio (69 ca.-140) definisce la loro religione superstitio nova ac male fica. Lo storico attira quindi la nostra attenzione su un punto fondamen tale del conflitto tra paganesimo e cristianesimo, vale a dire l'atteggia mento di condanna degli antichi nei riguardi di ogni innovazione in campo religioso. In proposito citerò un brano dell'editto di Diocleziano contro i manicbei, un testo tardo (del 297), che tuttavia rende perfetta mente il modo di pensare dell'intera antichità: «Gli dèi immortali nella loro provvidenza hanno stabilito [. ] che una religione nuova non abbia il dirirto di combattere l'antica. Infatti il cambiare ciò che fu stabilito e ..
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definito dagli antichi, e che ha una sua posizione e un suo corso, è reato gravissimo». Agli occhi dei pagani era quindi la sua "novità" a differen ziare negativamente il cristianesimo dalla religione ebraica, superstitio l anch'essa, ma più facile da accettare in quanto tramandata dal passato. A generare l'ostilità dei pagani non era il fatto che i cristiani non ac cettassero di partecipare al culto dei sovrani, quanto piuttosto il loro ri) fiuto di venerare gli dèi in genere. Insisto su questo aspetto, in quanto nelle vecchie ricerche (e anche in certi autori di oggi avversi al cristiane simo) la ragione principale delle persecuzioni viene sempre ricercata nella sfera politica, anziché in quella religiosa: poiché i cristiani rifiuta vano il gesto di lealtà verso il potere, questo reagiva con le repressioni, considerando gli ostinati settari nemici dell'impero. Si tratta di una tesi originata dal desiderio di scagionare dall'accusa di intolleranza la reli gione del mondo romano (e giustamente: la religione romana era effetti vamente tollerante, ma solo verso le sue varianti, mentre le posizioni strutturalmente diverse venivano respinte); inoltre essa deriva diretta mente dalla convinzione che azioni politicamente così importanti do vessero nascere per forza da un substrato politico, non avendo, la sola religione, la forza sufficiente per indurre la gente a commetterle. Quando, sotto Marco Aurelio (161-180), giunsero i tempi duri della prima crisi dell'impero e alle difficili guerre sulle frontiere orientale e settentrionale si aggiunse una spaventosa epidemia, nei confronti dei cristiani cominciò sempre più spesso a circolare l'accusa di ateismo. Nel linguaggio dell'epoca il termine "ateismo" significava qualcosa di diver so rispetto a oggi: indicava il rifi'tlfé)""à1partecipare al culto, e non la convinzione che al mondo n�esscrO"a1vmil'a. Quesraposizione era sempre stata considerata un reato grave, capace di mettere a repen taglio la prosperità, se non addirittura l'esistenza stessa della società: gli dèi irati potevano vendicarsi su coloro che non avevano scacciato gli atei e così facendo si erano resi complici del loro riprovevole atteggia mento. Quando le disfatte militari, l'epidemia e la miseria crescente in dussero a cercare ossessivamente i responsabili dell'offesa agli dèi, i cri stiani si trovarono inevitabilmente al centro di sospetti ostili, pronti a tramutarsi in aggressività.
4.3 Condannare a morte, ma non ricercare Nei primi due secoli della sua storia il cristianesimo non fu oggetto di re pressioni sistematiche. Le persecuzioni venivano intraprese di tanto in tanto e in luoghi diversi, non duravano mai a lungo né si estendevano a zone molto vaste. I fedeli erano coscienti del pericolo che li sovrastava, ma esso si materializzava in modo capriccioso e non troppo di frequente. Sull'atteggiamento del sovrano, e più in generale dell'élite alla guida dell'impero, nei confronti dei cristiani da perseguitare, ci informano le lettere scambiate intorno al 112 tra Plinio il Giovane e l'imperatore 87
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Storia della Chicm nelLa tarda antichità Traiano. A quel tempo Plinio si trovava nella provincia della Bitinia e del Ponto come legato imperiale, e in tale veste dovette occuparsi della que stione dei cristiani che venivano denunciati. Non avendo mai avuto a che fare con loro prima di allora, non sapeva quali sentenze proferire, chi punire né come («[...] se non ci siano discriminazioni a cagione del l'età, o se la tenera età debba essere trattata diversamente dall'adulta; se si debba perdonare a chi si pente [...]»). Tuttavia agì con energia: chie deva agli accusati se fossero cristiani e se quelli rispondevano affermati vamente c mantenevano la loro posizione, li condannava a morte (eccet to i cittadini romani, che avevano il diritto di ricorrere in appello all'im peratore e che Plinio spediva a Roma). «Non dubitavo infatti, qualsiasi fosse ciò che essi confessavano, che si dovesse punire almeno tanta perti nacia e inflessibile ostinazione.» Plinio però, in quanto persona scrupo losa, si premurò di sapere qualcosa di più su quegli accusati, arrivando addirittura a interrogare sotto tortura due schiave cristiane (torturate non per crudeltà, ma per rispetto della legge: per avere forza probante, le confessioni degli schiavi dovevano essere pronunciate sotto tortura). In base alle informazioni così raccolte egli giunse alla conclusione che i cristiani non fossero colpevoli dei delitti loro imputati: «non venni a sco prire altro che una superstizione ingannevole, smisurata»2 Alla fine, de cise di rinviare i procedimenti nei confronti delle persone denunciate e di scrivere all'imperatore. Questi gli rispose come segue: Mio caro Secondo, tu hai seguito la condona che dovevi nell'esame delle cau· se di coloro che a re furono denunciati come Cristiani. Perché non si può isti tuire una regola generale, che abbia, per così dire, valore di norma fissa. l\'on devono essere perseguiti d'ufficio. Se sono stati denunciati e riconosciuti col· pevoli, devono essere condannati, però in questo modo: chi negherà di essere Cristiano,
c
ne avrà dato prova manifesta, cioè sacrificando ai nostri dèi, an
che se sia sospetto circa il passato, sia perdonato per il suo pentimento. Quanto alle denunce anonime, esse non devono aver valore in nessuna accu sa; perché detestabile esempio
c
non degno del nostro tempo.3
L'ultima frase di Traiano era evidentemente rivolta all'ambiente scnato riale, che sotto il recente governo di Domiziano aveva patito le conse guenze della fede con cui l'imperatore prestava ascolto alle accuse degli anonimi. Anche con questa lettera Trai ano coglieva l'occasione per diffondere una delle principali cd efficaci tesi della sua propaganda, ben sapendo che il destinatario non avrebbe mancato di rendere note le sue parole ai colleghi. 11 non tener conto degli anonimi doveva quindi riguardare l'amministrazione della giustizia in generale, e non solo i provvedimenti contro i cristiani.
2 Plinio il Giovane, Carteggio con - = pp. 889-891. >lvi, lettera 97, pp. 897-899.
Traiano, Rizzoli, Milano 1994, lettera 96,
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Plinio c Traiano ribadivano dunque l'opinione già riscontrata in Tacito: il cristianesimo meritava la pena di morte. Tutti e tre erano per fettamente consapevoli dell'infondatezza delle accuse infami rivolte ai seguaci di Cristo; ammetterlo, tuttavia, non eliminava quello che per l'é lite romana costituiva il principale e comprovato capo d'accusa contro la nuova religione: il fatto di essere una "turpe e smisurata superstizione".
4.4 l governatori delle province di fronte ai cristiani
L a tattica proposta da Traiano sembra a prima vista incoerente: se il cristianesimo era un reato, perché, di fronte al diffondersi della nuova religione in una provincia, il legato anziché ricercare i colpevoli doveva limitarsi a punire i denunciati (tralasciando naturalmente le denunce anonime)? L'incoerenza è solo apparente . L'imperatore, infatti, non mirava a sterminare fisicamente i cristiani; egli era convinto che, di fronte alle condanne a morte di alcuni, gli altri, spaventati, sarebbero tornati ai culti tradizionali. Ai tempi di Traiano i cristiani non erano molto numerosi e l'élite alla guida dell'impero, per quanto convinta della necessità di combatterli, non riteneva opportuno farlo con ecces sivo accanimento. Gli interventi governativi rispondevano piuttosto a una specifica profilassi: bisognava eliminare tutto quello che poteva turbare la pace interna nelle città, suscitare pogrom e acuire le già forti tensioni e inquietudini sociali. Il cristianesimo, secondo Plinio e gli al tri membri dell'élite imperiale, apparteneva appunto a questo spazio delle inquietudini sociali. Una vigile sorveglianza e saltuarie repressioni dovevano dunque servire a ridurre al minimo un fenomeno socialmen te pericoloso. Nei decenni successivi (fino al regno di Decio), i governatori delle province non furono tenuti ad applicare il consiglio dil . ,rai�o: poiché esso non aveva forma di legge, vi si potevano riferire, ma non erano ob bligati a rispettarlo. Probabilmente la maggioranza vi si atteneva; certu ni ritenevano inutile prendere provvedimenti se non si potevano dimo strare concretamente le colpe degli accusati; altri intraprendevano ini ziative più energiche anche in assenza di prove. La cosa dipendeva non solo dalla personalità dei funzionari ma anche dalla situazione sul terri torio a loro sottoposto: se la tolleranza verso i cristiani poteva provoca re disordini, per esempio quando era il popolo stesso a esigere la puni zione, pur di calmare gli animi i funzionari non esitavano a mandare a morte persone che non ritenevano colpevoli. È per questo che, analiz zando le fonti in nostro possesso, abbiamo talvolta l'impressione che i governatori si lasciassero manovrare dalle masse inferocite. Questo ac cadde soprattutto quando la situazione dell'impero peggiorò sensibil mente a partire dal dominio di Marco Aurelio.
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Stora i della Cbie.ra nella tarda antid1ità 4.5 Le grandi persecuzioni del m secolo Abbiamo già citato il mutato atteggiamento verso i cristiani prodottosi intorno alla metà del m secolo. In quell'epoca l'ostilità nei loro confronti si fece molto più intensa e pericolosa, e a provocarla fu la complessiva crisi della religione tradizionale, che contribuì alla diffusione di culti pa gani di natura molto simile al cristianesimo; Plinio e Tacito non avrebbe ro esitato a chiamarli usuperstizioni". Come il cristianesimo, anche le nuove correnti religiose facevano appello all'emotività, promettevano la salvezza dopo la morte e organizzavano i propri seguaci in gruppi settari caratterizzati da una forte lealtà interna. I loro fautori erano legati al pro prio culto non meno dei cristiani al messaggio evangelico e il loro fanati smo non era affatto diverso; diversa era solo la capacità di nuocersi a vi cenda: i pagani fanatici potevano infatti agire contro le comunità cristia ne senza rompere con il cu1to ufficiale, sfruttando tutte le possibilità of ferte loro dal sistema legale. Era da tali cerchie di pagani esaltati che uscivano i promotori delle persecu?..i.oni. In passato i cristiani avevano sempre dovuto tenere pre sente la possibilità di essere denunciati dai loro nemici personali, per ragioni che nulla avevano a che fare con la religione. Nel m secolo, in vece, le denunce per motivi puramente religiosi si moltiplicarono. Le innumerevoli disgrazie, che a partire dagli anni trenta si erano abbatw re sull'impero, avevano dato vita a forme di isterismo collettivo: la colle ra degli dèi offesi era tangibile, incombente, tremenda. Tre volte la corte imperiale decise di perseguitare i cristiani su tutto il territorio dello stato. Delle repressioni intraprese nel250 da Decio ho già avuto occasione di parlare. Preparandosi allo scontro decisivo con i barbari che preme vano aJJa frontiera danubiana, l'imperatore ordinò ai sudditi di offrire sacrifici e di prendere pane alle preghiere: secondo il culto antico, si doveva mangiare un pezzetto deJJa vittima o della focaccia sacrificate oppure gettare un granello di incenso nel fuoco dell'ara. Contrariamente a quanto suggeriscono gli autori cristiani, il sacrificio era un atto reli gioso destinato a placare l'ira degli dèi e non semplicemente un "test" destinato a distinguere i cristiani dai pagani. Tuttavia l'imperatore e il suo entourage erano perfettamente consapevoli che il sacrificio obbli gatorio avrebbe comportato una violenta repressione contro i cristiani: era qud che volevano, tanto più che in quell'atmosfera di fervore reli gioso la persecuzione sarebbe stata più facile. Furono nominate appo site commi.ssioni incaricate di organizzare e sorvegliare lo svolgimento del rito, e di rilasciare un certificato a chi avesse espletato l'obbligo. Chi si rifiutava andava incontro a pene severe: la morte o i lavori forza ti. Le persecuzioni di Decio furono violente, ma di breve durata: nel giugno25ll'imperatore morì sul campo di battaglia durante la guerra contro i goti; del resto le azioni contro i cristiani erano già state sospese un po' pruna. .
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Le persecuzioni
Nel 257 la politica anticristiana di Decio fu ripresa da Valeriano, su esplicita richiesta delle cerchie di pagani fanatici; all'inizio il nuovo im peratore si era infatti dimostrato benevolo verso i seguaci di Cristo. A metà del 257 un editto imperiale ordinò la deportazione degli ecclesia stici che non avessero abiurato e vietò a tutti i fedeli la partecipazione alle riunioni e l'ingresso nei cimiteri. Nel258la repressione si acuì: per i sacerdoti ribelli era prevista la pena di morte, per i senatori e i cavalieri la perdita delle dignità e la confisca dei beni. Tale prescrizione dimostra come la religione di Cristo si fosse diffusa anche tra le massime sfere dello stato, con grande allarme dei pagani più ferventi. Anche queste persecuzioni finirono presto: l'imperatore venne fatto prigioniero dai persiani e il suo successore, Galliena, assunse nei riguardi dei cristiani un atteggiamento più tollerante, emanando addirittura un decreto che ordinava la restituzione alla Chiesa dei beni confiscati. La terza delle persecuzioni promosse dai vertici del potere venne inaugurata dagli editti di Diocleziano. Il primo, del marzo 303, ordina va la confisca dei luoghi diculto edei libri sacri, viètava le nunioni, to glieva ai cristiani il diritto di intentare cause in tribunale (fermo restan do il diritto di azioni legali contro di loro), abrogava i loro diritti civili e, infine, privava della libertà i liberti imperiali che professavano il cri stianesimo. Il secondo, della primavera o dell'estate 303, ordinava l'ar resto degli ecdestastlct (in parte poi rilasciati, grazie a una parziale am nistia: nelle prigioni non c'era abbastanza posto per tutti gli accusati). Infine, nel304, fu emanata la disposizione più pericolosa, che ordinava t:iiì"igenerale offerta di sacrifici sul modello di quella di Decio. L'intensità delle persecuzioni intraprese da Diocleziano non si manten ne uguale per tutta la loro durata né in tutto l'impero (avrò modo di tor nare sull'argomento). La fase più acuta terminò nella maggior parte delle province nel306; l'editto di tolleranza che decretava la fine delle repres sioni fu emanato dal successore di Diocleziano, Galerio, nell'aprile del 311. In pratica, in alcuni paesi (Egitto, Palestina:-sma'e-an po' meno in � Asia Minore) le persecuzioni durarono ancora per i due anni successivi. Solo con la presa del potere da parte di Costantino il Grande e di Licinio 3 ( 13) la situazione dei cristiani cambiò radicalmente, poiché gli imperatori vittoriosi manifestarono esplicitamente la loro simpatia per la Chiesa. La sopraggiunta rottura tra Costantino e Licinio sembrò fa vorire la ripresa, per volontà di Licinio, dei provvedimenti anticristiani; tuttavia perfino la tradizione basata sulla propaganda filocostantiniana cita un solo caso di repressione grave; nella maggior parte dei casi si trattò probabilmente di semplici angherie.
4.6 Quanti furono i martiri Da tempo gli storici discutono animatamente sul numero delle vittime delle varie persecuzioni. Furono molte o poche? In che misura il cri91
Storia della Chiesa nella tarda antichità
stiano medio si sentiva personalmente minacciato dalle repressioni im periali? Coloro che contestano la visione apologetica della storia ecclesiastica hanno sempre concentrato i loro attacchi proprio su questo punto, so stenendo che le persecuzioni colpirono ambienti ristretti e che il numero dei martiri fu esiguo se raffrontato alle varie generazioni e ai milioni di abitanti dell'impero romano. Per loro l'immagine di una Chiesa peren nemente minacciata, insanguinata, costretta alla clandestinità sarebbe anacronistica e contrasterebbe con ciò che sappiamo della vita nell'im pero. Secondo questi studiosi la religione pagana era per sua natura tol lerante: se si colpivano i cristiani, ciò era dovuto a motivi di ordine ex trareligioso, e cioè al rifiuto dei seguaci di Cristo di partecipare al culto imperiale. Inoltre non era difficile dimostrare che la maggior parte delle fonti non aveva alcun valore: nate molti (e talvolta moltissimi) anni dopo i fatti narrati, erano il frutto della fantasia e creavano figure di martiri fit tizie, collocate in un mondo fuori della realtà. Espungere i santi dai regi stri divenne il gioco preferito degli atei; essi erano ben felici di sottoli neare che al tempo delle persecuzioni c'erano moltissimi apostati, e chia mavano a sostegno delle loro tesi valide fonti ecclesiastiche: la Storia ec clesiastica di Eusebio di Cesarea e la corrispondenza del vescovo di Cartagine Cipriano (nato dopo il200, morto martire nel258). I fautori della versione apologetica rispondevano difendendo ogni singolo santo e ogni singolo episodio; reagivano con impazienza a ogni discussione sul numero dei martiri e delle apostasie c ignoravano rego larmente gli argomenti degli avversari rigu;;i:aoarfunzionamenro dello stato romano. Accingendoci a una discussione sine ira et studio sull'entità delle per secuzioni, va subito detto che un'indagine scrupolosa sul numero dei martiri e degli apostati è impossibile, per la semplice ragione che non esistono fonti su cui si possano fondare dei calcoli. Personalmente du bito che, anche ai tempi delle persecuzioni, la Chiesa disponesse di dati del genere; nelle singole comunità si sapeva perfettamente quanti con fratelli stessero in prigione e quanti si fossero recati a offrire il sacrificio pagano, ma nessuno conservava informazioni simili o le raccoglieva a li vello di provincia o di gruppi di province. Le Chiese si informavano a vicenda sulle repressioni e sui martiri più eroici, che conferivano lustro, ma doveva trattarsi di una corrispondenza di scarsa portata, soprattutto nel caso di comunità minori, che non rivestivano un ruolo importante nell'oikoumene cristiana; del resto, in tali lettere non c'era posto per informazioni di tipo quantitativo. All'epoca in cui le persecuzioni cessa rono, non sempre né ovunque ci si preoccupò di tramandarne la memo ria e di conservare la corrispondenza che ne parlava. Quando, agli inizi del IV secolo, Eusebio si accinse a scrivere la Storia ecclesiastica, i mate riali ai quali poteva attingere erano estremamente incompleti e proveni vano solo da alcune Chiese. La tradizione orale non può servire alla ri costruzione dei dati numerici: essa tende per sua stessa natura a mitiz92
],e persecuzioni
zare gli avvenimenti, e la valutazione per eccesso del numero dei martiri fa parte delle operazioni mitopoictiche fondamentali. Eusebio si serve molto raramente di dati concreti, parla per lo più di centinaia c di migliaia di martiri; Cipriano parla di migliaia di apostati a Cartagine. Sono numeri che non dicono nulla. Gli studiosi della mentalità antica hanno dimostrato da tempo che in fatto di numeri gli antichi non brillavano per precisione. Parlando di "cento soldati", un autore non intendeva esattamente cento soldati: diceva "cento" per dire "molti"; "mille" per dire "moltissimi" e "diecimila" (o magari "centomila") nel caso di assembramenti eccezionalmente numerosi. Lo storico della scienza Alexandre Koyré ha definito dell'à-peu-près (del «pressappoco») la mentalità antica c medievale; è solo ai tempi di Galilei che l'Europa imbocca la strada dd pensiero improntato al biso gno di esattezza. Contare i martiri presentati dalle fonti non ha dunque alcun senso. Come ripeto, è un'operazione condotta su basi inaffidabili: i resoconti di processi c di supplizi veramente degni di fede sono pochissimi. Sul finire dell'antichità e nel Medioevo ogni località e ogni chiesa volevano avere il loro martire, per cui ne fabbricavano la vita proprio come ne fabbricavano le reliquie. È mia personale convinzione che i martiri fossero più numerosi di quanto risulti dalle liste di nomi riportate nelle fonti. Tra l'epoca delle persecuzioni c quella del culto dei martiri, quando ogni nome divenne 1 prezioso, trascorse un periodo di tempo lungo abbastanza perché i nomi (per non parlare dci fatti) venissero dimenticati. Non tutte le Chiese possono esibire una storia priva di interruzioni e non dappertut to ci si preoccupò di tramandare la memoria di tutti i perseguitati, non solo di quelli più prestigiosi.
4.7 Chi erano le vittime delle persecuzioni
La situazione migliora leggermente quando si tratta di valutare il grado di pericolo incombente sulle singole Chiese e lo spazio che le persecu zioni occuparono nella loro esistenza quotidiana. Possiamo ricorrere a ragionamenti indiretti e tenere presente quanto sappiamo sull'operato dello stato romano e sulla storia delle comunità cristiane. Purtroppo, nella ricostruzione della storia delle persecuzioni siamo costretti ad affidarci quasi esclusivamente alle fonti cristiane; qualsiasi studio sulle repressioni dovrebbe invece poter confrontare le testimo nianze delle due parti in causa, poiché, naturalmente, ognuna di esse tende a deformare a proprio vantaggio il quadro degli avvenimenti: il persecutore dipinge a tinte fosche le proprie vittime e le presenta come meritevoli di repressione per aver infranto norme morali e religiose; le vittime tendono al contrario a esagerare le proprie sofferenze e il nume ro di coloro che le hanno patite. Da questo punto di vista è interessante 93
Stora i della Chiesa nella tarda antichità osservare come nelle fonti le circostanze dell'arresto vengano di regola taciute, per cui quasi mai siamo in grado di spiegare perché le autorità si siano occupate di quel preciso gruppo di cristiani e abbiano trascura to gli altri: dal momento che le circostanze deU'arresto non contribuiva no a eroicizzare le vittime, evidentemente non interessavano agli autori che descrissero le repressioni. Sono considerazioni da tenere presenti, visto che la simpatia nei con fronti dei perseguitati tende a smorzare il nostro senso critico riguardo ai testi che li glorificano. Prima ancora di esaminare una testimonianza elaborata dai persecutori sappiamo già che non dobbiamo crederci; è raro, invece, che le testimonianze deiJe vittime suscitino scetticismo. più . Studiando la storia delle persecuzioni antiche non dobbiamo dimenti care le circostanze storiche e sociali io cui esse si svolsero. Soprattutto dobbiamo evitare di considerarle a.lla stregua deUe repressioni attuate dagli stati totalitari del XX secolo, che crearono un apparato di coercizio ne eccezionalmente efficace. L'impero romano non lo possedeva, come non possedeva un corpo di polizia professionale (a parte Roma, dove, tuttavia, i reparti che svolgevano funzioni poliziesche erano esigui, se confrontati aUa grandezza della città). I governatori delle province, so prattutto deUe tranquille province interne all'impero, disponevano di piccoli gruppi di soldati appositamente assegnati aUa sorveglianza delle vie. di comunicazione e delle città principali. Se scoppiavano disordini e se la folla si riversava per le strade, le autorità non avevano modo di di sperderla, il che spiega il loro continuo timore di destabilizzazione delle città, il loro cedere alle torme di pagani urlanti e via dicendo. L'efficacia della repressione, soprattutto di una repressione su vasta scala, dipende va dalla collaborazione delle élite locali e dall'attività dei delatori. Non dimentichiamo che il mondo antico non conosceva la figura del procura tore: le autorità dovevano basarsi sulle delazioni dei singoli e premiare i delatori anche quando il loro operato era disgustoso. Proprio per questo lo sviluppo del fanatismo pagano fu così pericoloso per i cristiani, più pericoloso perfino dell'ostilità dei vari imperatori. U procedùnemo penale non era regolato in modo dettagliato come nei moderni sistemi giuridici. Nei processi ai cristiani i giudici avevano una notevole libertà di decisione; a seconda del contesto locale potevano mandare a morte l'accusato o assolverlo, condannarlo ai lavori forzati o alla pena più blanda dell'esilio. Perfino ai tempi delle persecu7joni ordi nate dall'alto non nltti i cristiani venivano necessariamente condannati a morte. La sorte degli accusati dipendeva in gran parte dalla loro posizione sociale. Se appartenevano all'élite, di regola oon subivano la tortura du rante l'inchiesta né venivano condannati a morire nell'anfiteatro (erano invece giustiziati mediante decapitazione); in carcere poi venivano trat tati megjjo degli altri, grazie al denaro con cui potevano corrompere i carcerieri; inoltre, anche in quell'ambiente l'educazione, l'abitudine al . comando, la sicurezza di sé sortivano il loro effetto. Può darsi anche 94 Copyrigt1led
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Le persecuzioni che i carcerieri temessero le reazioni delle famiglie dei carcerati, nel caso in cui si fossero comportati brutalmente. Leggendo gli atti dci processi, siamo colpiti dal rispetto con cui i go vernatori si rivolgono agli accusati appartenenti all'élite locale, e ci sorprendono i frequenti tentativi di salvare l'imputato. In proposito vorrei citare un brano tratto da un testo che rappresenta una delle te stimonianze più attendibili nel campo delle persecuzioni: gli Atti di Filea. li processo si svolge ad Alessandria alla fine del 306 o agli inizi del 307, d av a n ti al govern ato r e Culciano. Il dignitario discute a lungo con Filea, vescovo di Tmuis, nel delta egizio, cercando di indurlo all'a postasia: Culciano disse: "Ricordati che io ho avuto riguardo per te. Infatti, avrei potu· to recarti oltraggio nella tua città, ma volendoti onorare, non lo feci". 1:ilca rispose: "Te ne ringrazio. E
tu
fammi questo sommo favore".
Culciano disse: "Che cosa desideri?" Filea rispose: "Fa' uso della tua severità: fa' ciò che ti è stato comandato". Culciano disse: "Vuoi morire così, senza ragione?"[ ... ] Culciano disse: "Ti dono come fa\'ore a tuo fratello".
Filca rispose: "E tu fammi questo sommo favore: fa' uso della tua severità e fa' ciò che ti è stato comandato". Culciano disse: "Se sapessi che tu sei indigente
c
che per questa ragione sci
pervenuto a tale pazzia, allora io non ti risparmierei. Ma dato che hai molte sostanze, tanto che puoi nutrire non solo te stesso ma quasi un'intera provin cia, ti risparmio
c
ti consiglio di offrire il sacrificio".
Al processo intervengono avvocati pagani che cercano in tutti i modi di salvare il loro cliente. A un certo punto essi chiedono a suo nome (sen za averlo interpellato) di rinviare il processo. Culciano dichiara subito: «"Ti accordo il rinvio perché tu possa riflettere"; al che Filea risponde: "Ci ho già lungamente pensato e scelgo questo [ossia la morte] "».4
4.8 La tattica dei persecutori Non sempre, tuttavia, si teneva conto dci privilegi degli imputati, e spesso i membri dell'élite venivano condannati all'ignominiosa morte ad bestias. Turto dipendeva dalle circostanze, e noi non siamo in grado di dire per quale motivo nello stesso momento gli appartenenti al medesi mo ceto sociale subissero trattamenti tanto diversi. Se confrontiamo le decisioni delle autorità in merito ai due vescovi di due grandi città del l'impero, Dionigi (Alessandria) e Cipriano (Cartagine), nel corso delle persecuz6n1 ordmafe da VaTerlano, la cosa'appareìnrutta la sua evi-
4 Alli di Filea, in Alli
e
Pauioni dei martiri, Mondadori, Milano 1987, pp.
299-30 l. 95
Storia della Chiesa nella tarda antichità denza. Stando alla disposizione imperiale, i due vescovi avrebbero do vuto essere condannati a morte in quanto membri del clero che si man tenevano fedeli alla propria religione. Invece morì solo Cipriano: Dionigi venne esiliato c sopravvisse alle persecuzioni. Come mai? Lo ignoriamo. La morte di Cipriano era stata del resto decisa a Roma e non a Cartagine (nei casi di persone appartenenti agli strati sociali più alti le decisioni venivano di solito prese dall'imperatore in persona o perlome no dai massimi dignitari dell'impero). Il governatore della provincia, che trattava Cipriano con il massimo rispetto, concesse al vescovo il prif vilegio di un'accurata messa in scena della propria morte davanti alla folla dei cristiani, lasciati del tutto indisturbati. Questo modo di morire in presenza di membri del clero e di numero si fedeli ci appare strano, così come sono per noi inconcepibili le usanze carcerarie romane, che consentivano a parenti e amici di visitare i pri gionieri senza alcuna limitazione. I visitatori portavano cibo e indumen ti, si trattenevano per pregare, per confortare i carcerati (ricordiamo che la donna del testo di Tertulliano citato nel capitolo precedente si re cava in carcere per baciare le catene dei detenuti); i membri del clero distribuivano l'eucarestia ai seguaci di Cristo. Era evidente che quelle persone appartenevano alle comunità cristiane, eppure, in tempi in cui il solo fatto di professare il cristianesimo esponeva alla morte, non veni vano perseguitate. Rari erano anche i casi di cristiani prelevati dalla fol la che assisteva ai processi: di solito fatti del genere venivano provocati da persone che esprimevano ad alta voce la loro disapprovazione e soli darizzavano con gli accusati. A volte il governatore riteneva che simili manifestazioni non potessero essere tollerate, perché ciò sarebbe stato interpretato come un segno di debolezza, altre volte, in circostanze di verse, le ignorava. L'ho già detto: chi organizzava le persecuzioni mirava a intimorire i settari, non a sterminarli fisicamente. Secondo la mentalità pagana ba stava scegliere un certo numero di vittime, torturarle per far cedere i più deboli, e infine condannare a una morte spettacolare e ignominiosa, in quanto riservata ai delinquenti comuni, gli imputati che si mantene vano ostinatamente fedeli al proprio credo. Questa tattica spiega il comportamento, altrimenti incomprensibile, delle autorità al tempo delle persecuzioni di Diocleziano, così descritte da Eusebio nella Storza ecclesiastica: Un cristiano infatti, spinto a forza dagli altri e portato fino ai sacrifici immon di ed empi, veniva poi rilasciato come se avesse sacrificato, pur non avendo sacrificato affatto; un altro, invece, che non si era neppure avvicinato né ave va toccato niente di abominevole, se ne andava sopportando in silenzio la ca lunnia di altri che dicevano che aveva sacrificato; un terzo, portato via semi morto, fu buttato da un lato come fosse già cadavere; un altro che giaceva a terra fu trascinato lungamente per i piedi, e fu posto nel numero di quanti avevano sacrificato. Uno gridava c testimoniava a gran voce il suo rifiuto del 96
Le persecuzioni sacrificio L...]. Ma questi, colpiti sulla bocca
c
fatti tacere da una squadra di
soldati a ciò comandati, venivano cacciati fuori a forza.�
Le persecuzioni non colpivano tutte le Chiese allo stesso modo. Poteva succedere che i cristiani di una provincia perissero per la loro fede, mentre quelli della provincia vicina vivessero tranquilli. Ciò accadeva persino durante le persecuzioni intraprese per ordine dell'imperatore e in forza di un suo editto. Non è facile capire un simile comportamento, né stabilire da che cosa dipendesse la differenza di atteggiamento di chi amministrava il potere nelle province o nelle città; le fonti in nostro possesso molto raramente ci consentono di vedere situazioni e persone concrete. Malgrado le indubbie difficoltà vale senz'altro la pena analizzare i fat tori che determinarono l'intensità delle repressioni, per arrivare a capire la loro portata e le reazioni umane al loro manifestarsi. Soffermiamoci quindi sulle persecuzioni di Diocleziano, le più gravi e anche le meglio conosciute.
4.9 Le persecuzioni di Diocleziano dette Grande Persecuzione Degli editti emanati da Diocleziano solo il primo (quello che ordinava di distruggere le chiese e di bruciare gli esemplari della Bibbia) fu mes so in atto ovunque, anche se non sempre con lo stesso zelo. Il fattore di scriminante era la posizione personale delle autorità. Va ricordato a questo punto che, per effetto delle riforme introdotte da Diocleziano, l'impero era entrato nel periodo detto "della tetrarchia" (letteralmente: governo dei quattro). Il potere veniva esercitato da un collegio imperiale strutturato in modo gerarchico; ai due imperatori più anziani per rango, dal titolo di Augusto (Diocleziano e Massimiano Erculio), se ne affiancavano due più giovani, i Cesari (Galerio e Costanzo Cloro). Sebbene ufficialmente la divisione consistesse principalmente in una spartizione di compiti e non di territori, in pratica le varie regioni vennero a trovarsi sottoposte a un diverso tetrarca. Il potere supremo spettava a Diocleziano. [] I" maggio 305 Diocleziano e Massimiano abdi carono, i loro Cesari divennero Augusti c nel gruppo dei tetrarchi entra rono due nuovi Cesari: Massimino Daia e Flavio Severo. In Occidente, nei territori sottoposti a Costanzo Cloro (favorevole ai cristiani), le persecuzioni si limitarono alla confisca dci luoghi di culto appartenenti alla Chiesa, senza che i membri del clero né i comuni fede li venissero perseguitati. Tuttavia anche Massimiano, ostile ai seguaci di Cristo, si limitò unicamente a mettere in atto gli ordini del primo editto. A dire il vero, nell'Africa proconsolare c in Numidia i governatori pro varono, per fanatismo religioso e zelante rigorismo, a spingersi anche
1
Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, VIli, 3. 97
Storia delta Chiesa nella tarda antichità oltre le richieste dell'editto; tuttavia non riuscirono, a quanto pare, a scatenare persecuzioni su vasta scala. Le autorità non potevano più combattere i cristiani con metodi brutali; l'imperaùvo del momento era quello di accettare l'esistenza delle comunità. Lo capì Massenzio, che dopo l'usurpazione regnò sull'Italia, la Spagna e l'Africa: nel306 permi se ai cristiani di esercitare il culto e nel 311 fece restituire loro i beni confiscati. Diversa era la situazione in Oriente, ma anche qui, nel 306, in alcune province le persecuzioni cominciarono a estinguersi. Le più lunghe e severe furono quelle condotte sui territori soggetti a Massimino Daia, divenuto imperatore nel306, che tentò di obbligare tutta la popolazio ne a offrire sacrifici, ricorrendo addirittura agfi elenchi di cittadini con servati negli uffici del fisco. Ma nemmeno lui riuscì nel suo intento. Basta leggere con attenzione l'opera di Eusebio Sui martiri palestinesi, scritta da chi conosceva perfettamente le condizioni locali e non aveva alcun motivo di indurci in errore, per capire che la minaccia di estende re la repressione a tutti coloro che vi erano soggerù per legge in realtà non fu mai attuata in nessun luogo. Molti furono martirizzati e molti mandaù a lavorare nelle cave, ma nella zona descritta da Eusebio vive vano numerosi cristiani, la maggior parte dei quali riuscì a cavarsela senza commettere apostasia. Se ne deduce che anche in questo caso i persecutori avevano agito in modo selettivo, colpendo persone che si erano messe troppo "in vista" o che avevano provocato i rappresentanti del potere pagano. Quando, nell'aprile del 311 , colpito da una malatt:ia mortale, Galerio emana un editto di tolleranza, Massimino Daia conùnua sotto vari pre testi le persecuzioni. In dicembre perisce il vescovo di Alessandria, Pietro e, nel gennaio dell'anno seguente, l'imperatore in persona pro cessa Luciano d'Anùochia, condannandolo a morte. Di fronte ai suc· cessi di Costantino il Grande (la vittoria su Massenzio al Ponte Milvio), che esige la fine delle repressioni contro i cristiani, Massimino emana istruzioni che in effetti ne provocano l a sospensione, ma che non intro ducono la tolleranza. In realtà Massimino Daia si deciderà a riconoscere apertamente il cristianesimo solo dopo la sconfitta infertagli da Licinio nell'apriJe de.l313. Le notevoli differenze nel modo di realizzare le persecuzioni dipende vano soprattutto dall'atteggiamento dei funzionari incaricati di mettere in pratica gli editti. Come dimostra l'esempio dell'Africa settentrionale, essi potevano anche spingersi oltre le istruzioni dei superiori, ma pote vano anche eseguirle in modo così indolente che i crisùani ne venivano risparmiati. Dovevano senza dubbio avvertire una inequivocabile resi stenza, più o meno intensa a seconda dei Juoghi, da parte dell'opinione pubblica; ormai i cristiani erano beo inseriù nel tessuto sociale e i lega mi di vicinato, di famiglia e di professione risultavano più forti delle im posizioni di un fanatismo pagano avallato da ordini superiori. Questa solidarietà di base rendeva più facile sfuggire alle repressioni Ciò spie98 Copyrighted
m
aterial
Le persecuzioni
ga indubbiamente come mai, più di una volta, i cristiani arrestati venis sero trasferiti in un'altra provincia per venirvi processati e giustiziati. In Martiri palestinesi Eusebio parla di egiziani martirizzati a Cesarea di Palestina: non vedo altra spegazione di simili episodi se non il desiderio di strappare gli accusati (solo alcuni, visto che molti venivano uccisi sul posto, in Egitto) al loro ambiente, per trasferirli in un altro, dove, pur essendoci dei cristiani disposti a compatirli, mancavano conoscenti pa\ gani altolocati in grado di modificare a loro vantaggio le disposizioni imperiali. L'ormai consolidato inserimento del cristianesimo nel mondo pagano spiega anche un'altra particolarità della Grande Persecuzione, vale a dire l'intenso sforzo propagandistico dimostrato dai sovrani pagani sia prima sia durante lo svolgimento della r�essione. Alle soglie del TV secolo oc correva spiegare agli abitanti pagani 3ell'rmpero la necessrtà, non pìU evi dente come nei due secoli precedenti, di perseguitare i cristiani. Nacque allora una letteratura anticristiana, rivolta ovviamente non al popolo, ma alle numerose e influenti schiere delle élite cittadine. Era questo il grup po che, secondo gli imperatori, doveva farsi promotore dell'impresa, e non perché, come sostenevano gli studiosi di una volta, fosse in massima parte pagano (affermazione non veritiera), ma perché a esso spettava il governo delle città. Senza la sua partecipazione attiva le repressioni non potevano essere praticate. Tra le opere propagandistiche del genere van no citati gli scritti del più accanito polemista anticristiano, Porfirio di_., Tiro (232 ca.-303 � filosofo neoplatonico. Un ruolo essenziale ebbe a�e uno der piÙ stretti collaboratori di Diocleziano, Sossiano Ierocle, anch'egli neoplatonico e autore del trattato Phila!ethts� verità), un'opera che glorificava Apollonio di Tiana quale autore di mira coli ben più grande di Gesù e che, come quella di Porfirio, sottoponeva ad analisi critica i testi biblici. Diocleziano organizzò anche un'intensa propaganda positiva, presen tando ai sudditi una teologia del potere sostanzialmente nuova e non ri sparmiando i tentativi di ricostruire i templi e di rivitalizzare le feste tra dizionali. Da questo punto di vista, interessanti furono anche le iniziative di Massimino Daia, fanatico nemico del cristianesimo, il quale tentò di rifor ilìai:-e profondamente la religione pagana (Giuliano l'Apostata. cin quant'anni dopo, avrebbe ripreso gran parte delle sue idee). Massimino non aveva la forza sufficiente per negare apertamente il decreto di tolle ranza emanato da Galerio: né la sua incerta situazione politica (Massenzio e Costantino, favorevoli ai cristiani, e il neutrale Licinio avrebbero costi tuito un contrasto troppo stridente, perché fosse possibile osare un passo dd genere), né l'atteggiamento dell'opinione pubblica pagana consentiva no di intraprendere nuove persecuzioni senza un motivo speciale. A for nirlo furono le delibere dei consigli municipali, che invocarono il diritto di perseguitare i cristiani locali. Una di esse si è conservata sotto forma di lSCfiZlOne:
99
Storia della Chiem nella tarda antichità Richiesta di supplica del popolo dei Lici e dei Panfili. Poiché, o divinissimi sovrani, gli dèi vostri parenti hanno dato efficacemente benefici a tutti coloro ai quali sta a cuore il loro culto in favore della vostra sempiterna salvezza, si gnori ovunque vincitori, abbiamo ritenuto opportuno rivolgerei all'immortale sovranità e chiedere che i cristiani, da tempo pazzi e tuttora ostinati a conser vare la loro malattia, finalmente l'abbandonino e non violino con nessun nuo vo e improprio culto il culto spettante agli dèi. Ciò avverrebbe se per vostro divino e sempiterno volere fosse stabilito che si negasse e impedisse la libertà delle odiose pratiche degli empi, e che tutti si dedicassero al culto degli dèi vostri parenti in favore della vostra scmpitcrna c indistruttibile sovranità, il che sarebbe manifestamente un grandissimo vantaggio per tutti gli uomini che vi appartengono6
Nella sua Storia ecclesiastica Eusebio riferisce la risposta dell'imperatore a un'analoga richiesta presentata dal consiglio cittadino di Tiro: si tratta di un documento, affascinante per il suo contenuto religioso, che costi tuisce un'importante testimonianza del punto di vista pagano. I consigli municipali sapevano perfettamente che cosa volesse l'imperatore, tutta via non abbiamo motivo di credere che queste delibere venissero estor te mediante pressioni; nelle città delle province sottoposte a Massimino gli ambienti del fanatismo pagano erano abbastanza forti perché deci sioni del genere venissero prese spontaneamente. Massimino Daia prescrisse anche la lettura nelle scuole degli Atti di Pilato, un libello apocrifo contro il cristianesimo. Vittime delle persecuzioni erano owiamente in primo luogo i vescovi. Personificazioni viventi delle comunità cristiane, conosciuti da tutta la popolazione, essi concentravano su di sé l'odio dei pagani. La sola via di salvezza per loro era la fuga in un'altra città: alle autorità questo ba stava e non sembra che i fuggiaschi venissero accanitamente ricercati. Quanto alle altre vittime, la loro cattura era provocata in molti casi da conflitti privati, da odi di vicinato, da intrighi familiari, da vendette per sonali. C'è infine da considerare che spesso le future vittime provocava no gli avversari con un comportamento incauto, con pubbliche profes sioni di fede assai irritanti per i pagani, con insulti all'indirizzo dei so vrani e dei loro dèi. ll primo martire al tempo delle persecuzioni di Diocleziano fu un anonimo cristiano, che strappò e distrusse il testo del primo editto imperiale pubblicamente esposto a Nicomedia. Arrestato, venne condannato a morte, probabilmente con l'accusa di crimen !aesae maiestatis. Simili comportamenti suscitavano nei capi delle comunità cristiane sentimenti contrapposti; da un lato essi costituivano la prova di una fede ardente c suscitavano l'ammirazione generale, dall'altro, però, erano giudicati pericolosi poiché non solo non potevano rappre sentare un modello di comportamento per un cristiano desideroso di conservare sia la fede che la vita, ma compromettevano anche il presti-
6
Corpus lnscriptùmum Latinarum, vol.
111,
100
Supplem. 2, 12132.
Le persecuzioni
gio dei membri del clero che si comportavano "ragionevolmente", cer cando di evitare inutili eroismi. Succedeva inoltre che questi esaltati crollassero nel corso del procedimento penale, fatto questo che agli oc chi dei pagani comprometteva la fede di Cristo più delle normali apo stasie non precedute da gesti provocatori. Purtroppo nella maggior parte dei casi le nostre fonti non dicono nulla sulle circostanze dell'arresto dei martiri: per chi scriveva, l'essenziale era riferire le torture e i discorsi delle due parti, che più di tutto contri buivano a eroicizzare le vittime, mentre il resoconto dei loro atti prece denti era considerato una pedanteria indegna dJ tanto argomento. Solo in rari casi possiamo ricostrutre le circostanze che precedettero l'arre sto. Uno di questi ci viene raccontato da Eusebio. rn Martiri palestinesi l'autore racconta come alle porte di Cesarea fosse stato fermato un gruppo di cristiani egiziani di ritorno dalla Cilicia, dove avevano visitato le vittime delle persecuzioni condannate ai lavori forzati nelle cave di pietra. Il racconto di Eusebio è alquanto strano. Chiedere a chi arrivava alla porta della città chi fosse e che cosa facesse non era una prassi co mune: se si fosse trattato di un'indagine sistematica, chissà quanti cri stiani sarebbero finiti nelle prigioni di Cesarea. A parte il fatto che non c'era bisogno di farlo proprio alle porte della città: sarebbe bastato con trollare le vie e le piazze... Gli egiziani non potevano essersi inimicati le autorità solo per la visita fatta in Cilicia, perché in tal caso sarebbero v) stati arrestati direttamente nelle cave. Sicuramente durante il viaggio (forse alla tappa precedente) doveva essere accaduto qualcosa che aveva suscitato l'interesse delle autorità per i viaggiatori e provocato l'ordine di arrestarli. I soldati alle porte attendevano persone precise, non cristiani qualunque. Il silenzio di Eusebio sulle circostanze che avevano in dotto le autorità ad agire poteva derivare dalla sua ignoranza, ma poteva anche essere dovuto alla convinzione che in un panegirico in onore dei martiri dettagli di quel tipo fossero superflui. Un altro caso, che dimostra ancora una volta come non tutti i conflitti tra cristiani e autorità portassero necessariamente alla morte, riguarda l'Africa e risale al periodo delle persecuzioni di Diocleziano. ._
4 .l O Persecuzioni in 1\frica
Nella memoria dei cristiani di quelle regioni l'elemento centrale delle persecuzioni si identificava con le azioni intraprese dai funzionari per re quisire la Bibbia e darla alle fiamme. Le comunità di fedeli avevano rea gito in maniere diverse; in molti casi i vescovi o gli altri membri del clero avevano rifiutato la cosiddetta traditio, ossia la consegna dei libri (alcuni episodi di martirio ebbero per protagonisti degli ecclesiastici che, essen dosi opposti alla richiesta delle autorità, furono condannati a morte); in altri una parte del clero li aveva invece consegnati, ritenendo che non va lesse la pena morire per questo (osserviamo che in Oriente il fatto non 101
Storia della Chiesa nella Iarda antichità costituiva apostasia e non scatenava le emotività che si riscontrano in Mrica); in altri ancora molti capi di Chiese avevano cercato una soluzio ne di compromesso accordandosi con le autorità oppure consegnando dei libri qualunque, preferibilmente eretici. Quando la persecuzione ces sò, questi ultimi. vennero trattati come apostati dai rigoristi, ai quali in effetti è difficile dar torto se, come dice il Vangelo, a contare non sono i fatti ma le intenzioni. Tra questi opporttmisti c'era anche Mensurio, vescovo di Canagine, che in una lettera a Secondo di Tigisi narrò lo svolgimento dei fatti. Alla notizia dell'azione intrapresa dalle autorità il vescovo nascose in casa propria il codice con le Sacre Scritture, sostituendolo con opere eretiche che le autorità confiscarono perquisendo la chiesa e poi bruciarono sen za verificarne il contenuto. Quando alcuni pagani zelanti lo vennero a sapere (da qualche familiare del vescovo, probabilmente), denunciarono l'accaduto al governatore, il quale tuttavia decise di non intervenire, rite nendo evidentemente che non valesse la pena rischiare tensioni in città. Eppure si trattava niente meno che di Anullino, un fanatico pagano che si sforzava di eseguire gli ordini dell'ultimo editto di Diocleziano. Sappiamo anche che Mensurio era stato particolarmente severo con i cristiani che per eccesso di zelo si erano autodenunciati, e che aveva proibito di considerare confessori quelli tra loro che erano sopravvissuti alla persecuzione; lo si accusava anche di aver ordinato al suo diacono Ceciliano di allontanare a colpi di bastone la folla accorsa in carcere per vedere i cristiani arrestati. Non è facile stabilire se il vescovo di Canagine avesse dato dawero un ordine simile (la teatralità della scena farebbe piuttosto pensare a una calunnia); quel che è certo è che Mensurio cercò in ogni modo di osteggiare gli esaltati, che considerava estremamente pe ricolosi per la Chiesa. D suo modo di fare rivela chiaran1ente che non ap parteneva al novero dei rigoristi morali. I cristiani che per una ragione o per l'altra non erano stati colpiti dal la repressione, vivevano tuttavia nel terrore e spesso crollavano prima ancora di essere convocati davanti ai giudici. Molti però, se i loro vicini, parenti e conoscenti non li denunciavano e i loro nervi non cedevano, attraversavano l'incubo delle persecuzioni senza altri danni all'infuori di quelli psichici.
4.11 I bei tempi della Piccola Pace Ecclesiastica Tra una crisi persecutoria e l'altra intercorrevano anni di pace. Certo, la minaccia delle repressioni era sempre presente, ma non doveva essere awertita dai cristiani come un incubo. Soprattutto la Piccola Pace Ecclesiastica, il periodo compreso tra le persecuzioni di Valeriano e quelle di Diocleziano, rappresentò per le comunità di cristiani uno di questi momenti di relativa tranquillità. Nella Storia ecclesiastica di Eusebio ne troviamo la seguente descrizione: 102 Copyrigt1led
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Le persecuzioni
Supererebbe le nostre forze narrare degnamente di quanta
c
quale gloria,
come pure di quanta e quale libertà, fosse stimata degna prima della persecu zione del nostro tempo presso tutti gli uomini, sia greci che barbari, la dottri na della devozione al Dio dell'universo annunciata al mondo per mezzo di Cristo; prove ne sarebbero le accoglienze degli imperatori nei confronti dei nostri, cui affidavano persino il governo delle province, dispensandoli dal l'angosciosa prova dei sacrifici grazie alla grande simpatia che avevano per la nostra dottrina. E che dire di quanti vivevano nei palazzi imperiali e dei so vrani stessi? Essi concedevano ai membri della casa - mogli, figli e servi - di professare liberamente la fede in loro presenza tanto con la parola quanto con la condona, permettendo persino che quasi si vantassero della loro li bertà di fede; li stimavano, anzi, in modo particolare e li consideravano più graditi dei loro compagni di servitù. [. . ] E quale accoglienza ricevessero i .
capi di ogni Chiesa da parte di tutti i procuratori
c
governatori, lo si poteva
ben vedere. Come descrivere quelle assemblee affollate e le moltitudini di quanti si riunivano in ogni città e il concorso notevole nei luoghi di preghie ra? Non bastando più gli edifici di un tempo, quindi, in ogni città si erigeva no dalle fondamenta chiese vaste e spaziose.7
La testimonianza di Eusebio richiede un certo distacco cnttco. L'im magine di una Chiesa tranquilla durante la Piccola Pace serve all'autore per dare maggior risalto alle persecuzioni che i cristiani si attirarono ad dosso da soli: Ma quando dalla troppa libertà cademmo nella fiacchezza e nell'indolenza, e ci invidiammo e ingiuriammo l'un l'altro, quasi combattendo tra di noi, al l'occasione, con armi e lancc fatte di parole, e i capi attaccarono i capi, e il popolo si sollevò contro il popolo, e l'ipocrisia maledetta e la perfidia rag giunsero il culmine della malvagità, aiiora [ ] il giudizio di Dio [ ...
...
l mise in
moto [. . ] il suo castigo.x .
Sebbene le esigenze retoriche e teologiche inducessero il vescovo di Cesarea a esagerare, non c'è motivo di respingere del tutto la sua testi· monianza, e il brano sopra citato contiene notizie che autorizzano a considerare affidabile il quadro tratteggiato dall'autore. Si noti in parti colare il passo in cui Eusebio parla del rispetto con cui i governatori delle province e gli altri alti funzionari ricevevano i vescovi, riconosciuti come i capi di gruppi influenti, dei quali bisognava tener conto nello svolgimento delle proprie funzioni ufficiali e che occorreva ingraziarsi: nella seconda metà del m secolo le Chiese non erano più organizzazioni sospette, relegate ai margini della società. È significativo che per Eusebio questo particolare rivestisse tanta importanza, sebbene per lui l'impero pagano e tutto il paganesimo fossero uno strumento di Satana.
7
Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica,
8 Ibid. 103
VIIl,
l.
Storia della Chiesa nella tarda antichità Anche le notizie circa le folle riunite davanti alle chiese e la rapida co struzione di nuovi edifici trovano riscontro in testi sorti al di fuori della Chiesa. Mettendo l'accento sull'esistenza di periodi di pace, sulla possibilità di salvare vita e patrimonio persino nei momenti peggiori, sulla diversa incidenza del pericolo sulle varie Chiese, non mi propongo affatto di sminuire il ruolo delle persecuzioni nella storia della Chiesa antica. La paura delle repressioni era tremenda e continua, il pericolo di finire da vanti al giudice reale (soprattutto per i vescovi più "in vista"); tuttavia non ovunque e non sempre quella cruenta prospettiva si trasformava in realtà. Lo ripeto ancora una volta: il significato delle persecuzioni, da qualunque punto di vista le si consideri (storico, teologico, psicologico) non è il puro e semplice risultato di dati aritmetici, non cresce e non di minuisce a seconda del numero eli coloro che vi perirono. Dobbiamo ri conciliarci con una visione della Chiesa che comprende da una parte i martiri e dall'altra l'erezione di luoghi di culto cristiano sotto gli occhi dei pagani. Ricordiamo pure il vescovo di Antiochia._Jgnazio, trascinato attraverso mezzo impero a Roma per trovarv1 fif""morte sull'arena, ma anche gli influenti cristiani della capitale, che forse avrebbero potuto salvarlo.
4.12 Quanti cristiani cedettero al tempo delle persecuzioni Come non possiamo stabilire il numero dei martiri, allo stesso modo non siamo in grado di indicare il numero dei cosiddetti "caduti" (in latino fa p.n), i cristiani che rinnegarono la fede. Le fonti di cui disponiamo é0i1--tcng�no infatti pochissime informazioni al riguardo. Negli Alli e nelle PasHòni, allo scopo di conferire maggior risalto all'eroismo dci martiri, appaiono qua c là dei rinnegati, ma, per ovvi motivi, si tratta di informa zioni poco esaurienti. Nella Storia eccfesiastz�·a Eusebio vi accenna soltan to (colpisce soprattutto il suo silenzio sui rinnegati nella parte dedicata alle persecuzioni sotto Diocleziano, Galerio e Massimino Daia, avveni menti di cui l'autore era stato testimone). Se non fosse per la corrispon denza di Cipriano, che rivela senza indugi come stessero le cose nella Chiesa cartaginese, potremmo pensare che si sia trattato di un fenomeno poco esteso. Gli storici cattolici sono piuttosto restii a parlare dei lapsi, poiché offu scano l'immagine eroica della Chiesa. Don Eugcniusz Derdziuk, analiz zando l'atteggiamento dei cristiani dell'Africa settentrionale durante l'ar resto e l'incarcerazione, scrive: In base alle esigue informazioni fornite dalle fonri si vede quindi che i se guaci di Cristo non temevano né la legge romana né l'eventualità del marti rio.
[. . ] .
l casi di arresti descritti ci dicono che in quei momenti essi
non
si
facevano prendere dal panico o dalla depressione, ma che in genere si man104
Le periecuzioni tenevano calmi, fiduciosi che tutto quanto sarebbe loro successo provenisse da Dio.9
Tale opinione contrasta clamorosamente con ciò che della Chiesa carta ginese scrive Cipriano nelle sue lettere e nel trattato Sui cristiani caduti. Analizzando gli atti del martirio, Derdziuk dimentica che questi docu menti non possono essere presi a modello del comportamento di tutti i seguaci del cristianesimo: essi infatti evidenziano gli esempi più eroici (proprio a questo scopo venivano scritti) e non la realtà. Ai tempi delle grandi persecuzioni (quelle di Decio, di Valeriano e dell'inizio del IV secolo) i "caduti" dovettero essere sicuramente nume rosi. Secondo me il comportamento dei cristiani in Africa descritto da Derdziuk danneggia gravemente la memoria dei martiri; se si afferma che non era poi difficile non farsi prendere dal panico, si nega la dimen sione eroica di coloro che non cedettero alla paura. Tutti, indistinta mente, temevano sia le sofferenze, sia la propria debolezza.10 Perfino Ignazio, vescovo di Antiochia, che nelle sue lettere ci ha lasciato una terribile testimonianza dell'appassionata brama di martirio, temendo di finire per cedere scrisse ai fratelli di Roma: «Nemmeno dovete obbedir mi se io, quando comparirò in mezzo a voi, vi venissi a supplicare. Obbedire invece a quello che vi scrivo adesso: vi scrivo mentre sono vivo, ma desidero fortemente morire».11 Che cosa poteva provare la gente comune, dotata di minor fede, di minor sicurezza di sé, invischia ta nella grigia vita quotidiana? Rimproverando i lapsi nel suo trattato Sui cristiani caduti, Cipriano scnve: E non è fondata, ahimè, né sostenibile l'obiezione, per discolparsi da così grave delitto, che bisognava lasciar la patria e perdere il patrimonio; [ . ] molti si sono ..
lasciati ingannare da un amore cieco per il loro patrimonio: c non poté essere pronto c risoluto a ritirarsi chi era stretto dai ceppi delle sue ricchezze.12
Il vescovo di Cartagine rimprovera dunque agli apostati di non aver ap profittato della possibilità di fuggire per il timore di perdere il patrimo nio. Il principale bersaglio delle sue polemiche non è dunque la viltà, ma l'avidità.
'1 E. Dcrdziuk, Postawa chrzdafan Afryki rzymskiej podczas aresztowania i uwiezienia, in "Vox Patrum", 6-7, 1984, pp. 81-100. 10 L' eroismo è un fenomeno raro, mentre la paura delle torture e della morte (spesso atroce, lenta, inflitta con crudeltà raffinata) è un tratto della natura umana, è insita nei nostri geni e rappresenta un condizionamento biologico molto difficile da superare. Alla paura Jel dolore si aggiungeva inoltre il timore per la propria famiglia, Jato che la condanna a morte si accompagnava alla con fisca dei beni. 11 Ignazio, Lettera ai Romani, VII, 2. '2 San Cipriano, Sui cristiani caduti, in Opere, UTET, Torino 1980, p. 146.
105
Stora i della Chiesa nella tarda antichità I.:atteggiamento apologetico porta gli storici della Chiesa a considera re i lopsi come un'onta all'onore della Chiesa antica. Sul fronte opposto, gli awersari, che nella febbrile ricerca di segni di debolezza da parte della religione cristiana segnalano il gran numero di "caduti", dimostra no la pochezza della loro cultura storica. Entrambe le posizioni sono sbagliate: al pari dei martiri, i lopst" sono la prova della forza della nuova fede. Una grandissima parte di coloro che nell'ora della prova avevano ceduto desiderò in seguito rientrare in seno alla Chiesa, usando a que sto scopo tutti i mezzi possibili, talvolta persino i meno leciti. E non certo per opportunismo, ma per la profonda convinzione che la fede cristiana fosse quella giusta e che la loro debolezza e il loro tradimento li avessero destinati alla dannazione eterna. Dei "caduti" conviene quindi parlare senza vergogna né omissioni. Come i martiri, anch'essi furono protagonisti di un terribile dramma: forse non meriteranno l'ammirazione, ma meritano senz'altro il rispetto e la disponibilità a comprenderne le ragioni.
4.13 La gente comune durante le persecuzioni: come salvare la vita senza commettere apostasia Stabilire chi fossero i "caduti" è spesso difficile, poiché il limite tra la camela, atteggiamento inglorioso ma accettabile, e una deprecabile vi gliaccheria è alquanto fluido. Osserviamo alcuni episodi tramandatici da fonti risalenti ai tempi delle persecuzioni di Diocleziano: essi ci con sentiranno di capire meglio le complesse circostanze in cui si muoveva no persone tutt'altro che eroiche, ma che, nei limiti delle loro possibi lità, facevano di tutto per evitare l'apostasia. n primo esempio ci viene fornito da una lettera privata, scritta in gre co e proveniente da Ossirinco, una grande città dell'Egitto centrale, oggi famosa per l'enorme numero di papiri ivi rinvenuti. Un suo abitan te di nome Kopres, recatosi ad Alessandria per sbrigare lma causa in tribunale, viene a sapere che secondo le disposizioni imperiali (si tratta dell'editto emanato da Diocleziano il23 febbraio 303) tutti indistinta mente sono tenuti a offrire un sacrificio agli dèi pagani. Kopres, che è cristiano, non vuole diventare apostata, ma nemmeno perdere il proces so; chiede quindi al proprio fratello, probabilmente pagano, di compie re l'offerta al posto suo. Con la coscienza tranquilla, Kopres si limita a informare la madre dell'intera vicenda inviando a Ossirinco una lettera (grazie alla qwùe siamo venuti a conoscenza dell'episodio). Sempre da Ossirinco proviene un altro testo che desidero qui esami nare. ll 5 febbraio 304, davanti a una commissione convocata dalle au torità locali, compare il lettore di una Chiesa situata nel villaggio di Chysis (il testo lo presenta come lettore dell'ex Chiesa di Chysis). Questi consegna una dichiarazione scritta circa i beni della sua Chiesa che, secondo le disposizioni delle autorità, erano soggetti a confisca: 106 Copyrigt1led
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Le persecuzioni La sunnominata Chiesa non possiede né oro, né argento,
né denaro, né vesti,
né animali, né schiavi, né terra, né altre proprietà provenienti vuoi da dona zioni vuoi da lasciti, all'infuori dei recipienti di bronzo che sono stati trovati e consegnati al
loghiJtes perché li portasse alla gloriosissima Alessandria, se
condo gli ordini del nostro illustrissimo prefetto Clodio Culciano. 13
La dichiarazione, secondo l'uso burocratico, si chiude con il giuramen to, non sugli dèi bensì sui geni degli imperatori regnanti, e con la firma dell'interessato: «lo, Aurelio Ammonio, giurai quanto sopra», con l'ag- ) giunta della frase: «lo, Aurelio Sereno, scrissi a nome suo, non sapendo egli scrivere». Questo testo, autentico documento dell'epoca, non era destinato alle generazioni future né conteneva materiale di propaganda, e proprio per questo è importante. Esso ci presenta una situazione banale e apparen temente non drammatica: il lettore di una Chiesa rurale ne consegna gli averi alle autorità e, alla successiva convocazione, firma tranquillamente la relativa dichiarazione davanti alla commissione incaricata del caso. Anzi pronuncia addirittura un giuramento: non proprio sugli dèi paga ni, ma solo sulla tyche dell'imperatore (termine in questo caso da tra durre non con "C!Cs'rintr' ' o "fortuna", ma con "genio"). Come spiega Origene nel suo trattato Contro Celso, un cristiano OOÌ:ÌCl oveva mai giu rare, neanche sulla tyche dell'imperatore. Non giuriamo affatto per la fortuna dell'imperatore
né per alcun altro consi
derato come divinità. Infatti o "la fortuna", come alcuni hanno detto, è solo un modo di esprimersi, come una opinione o una divergenza d'opinione; e in tal caso noi non giuriamo su ciò che non esiste, come se fosse una divinità, o un
essere esistente realmente
c
dorato di un potere determinato,
dacché non non sono
ci conviene utilizzare la potenza del giuramento per delle cose che
convenienti. Oppure, se vogliamo accettare l'opinione di quanti dicono che giurare per la fortuna dell'imperatore di Roma equivale a giurare per il suo "genio", allora la cosiddetta fortuna dell'imperatore è un demone e, in tal caso,
noi dobbiamo affrontare la morte piuttosto che giurare per un demone il quale spesso pecca insieme all'uomo cui si trova prepo
malvagio e perfido,
sto, o magari pecca più di lui.14
È vero che, come dice Tertulliano, alcuni cristiani erano convinti che si potesse sottoscrivere un giuram;r;to senza pronunciarlo a voce («uc 'de la lingua, non lo scritto»). Ciò si conformava all'antichissimo mod roma no d1 uitenJere gì t att1'iègali, per cui l'elemento determinante era l'enun ciazione verbale della formula prevista dalla tradizione. Comunque non ' r: e un simile sot occorreva un particolare rigorismo morale per respmgt terfugio: sottoscritto o pronunciato, un giuramento era sempre un giura11 The Oxyrhynchu.r Papyri, XXXJJI, n. 2673. 14 Origene, Contro Celso, Vtrr, 65. 107
Storia della Chiesa nella tarda antichità
mento. Negli anni delle persecuzioni di Diocleziano i cristiani si rendeva no perfettamente conto del contenuto religioso del giuramento, non per nulla gli imperatori avevano ricordato il suo carattere obbligatorio. Visto, con nostro stupore, che il lettore in questione non sa scrivere, viene da chiedersi come potesse espletare le sue funzioni liturgiche, che consistevano nel leggere le Sacre Scritture e le preghiere. Che sapesse leggere in arabo ma non conoscesse il greco? Forse provava qualche scrupolo a firmare il documento e quindi cercava di sminuire la sua col pa con quel piccolo sotterfugio? E infine come mai, nella questione di Chysis, a contattare le autorità è un semplice lettore, posto sul gradino più basso della gerarchia, e non un presbitero o un diacono? Forse Aurelio Ammonio nutriva meno scrupoli dei suoi colleghi a partecipare a un'operazione non proprio impeccabile dal punto di vista ecclesiasti co? Tutte domande alle quali il documento non dà risposta. Nel 306, conclusa la prima fase delle persecuzioni intraprese da Diocleziano, quando le comunità potevano illudersi che la tempesta fosse passata e ci si dovesse dedicare al riassetto delle questioni interne, il vescovo di Alessandria, Pietro, emanò un documento, chiamato Lettera canonica, che stabiliva le norme nei confronti dei fedeli che du rante le repressioni non si erano comportati come avrebbero dovuto. Alcuni punti della Lettera canonica sono estremamente interessanti. Nel canone 13 Pietro scriveva: «Non si possono incolpare di nulla quanti hanno sborsato denaro per evitare fastidi. Per non danneggiarsi l'anima costoro hanno subito un effettivo danno al patrimonio, cosa che altri, per avarizia, non hanno fatto». La Lettera canonica inoltre prescri veva un anno di penitenza per gli schiavi cristiani costretti da padroni cristiani a offrire sacrifici in vece loro e tre anni di penitenza per i pa droni. Pietro trattava con indulgenza coloro che avevano ingannato le autorità limitandosi a passare davanti all'altare (senza deporvi l'offerta), mandando dei pagani al loro posto (come Kopres del primo testo cita to) oppure facendo una dichiarazione scritta (non si sa bene di quale te nore, visto che poco prima Pietro aveva condannato quanti avevano rinnegato per iscritto la fede: evidentemente doveva esistere una netta differenza tra le due dichiarazioni). Tutte queste persone, lodate dal ve scovo per la loro astuzia («grazie alla loro grande accortezza sono riu scite a evitare di accendere personalmente il fuoco e di incensare demo ni impuri»), avrebbero fatto penitenza per soli sei mesi. Considerando l'importanza attribuita dai Vangeli a quanto avviene nel cuore, alle intenzioni e alla mente dell'uomo, le prescrizioni di Pietro possono anche scandalizzare. Ma ai tempi di Diocleziano toccare l'altare e mangiare un pezzo della vittima potevano sembrare gesti terri bili (gettare grani di incenso nel fuoco sacrificale era invece considerato un peccato meno grave). Ormai l'obbligo di una chiara e inequivocabile professione di fede in Cristo si era offuscato e il principio dell'interio rizzazione morale indebolito; su tutto dominava il terrore del contatto materiale con i demoni. Ricordiamo che l'autore della Lettera canonica 108
Le persecuzwni
era il vescovo della grande Alessandria, non un quasiasi cristiano privo di preparazione teologica: ammesso anche che per motivi pratici rite nesse opportuno accettare il punto di vista delle sue pecorelle, non era affatto costretto a ripeterne l'opinione se non la condivideva. Degna di nota, infine, appare l'indulgenza nei confronti di coloro che grazie al denaro avevano ottenuto il certificato del sacrificio compiuto. Essa non poteva non urtare i rigoristi, e del resto la politica di Pietro dette origine a uno scisma nella Chiesa egiziana (il vescovo venne accu sato personalmente di viltà, essendosi salvato con la fuga durante i pri mi anni delle persecuzioni; alla fine, tuttavta, venne ucciso anche lui). Gli apostati sopravvissuti grazie alla corruzione venivano completamen te assolti da Pietro, mentre coloro che non avevano retto alle torture dovevano scontare, oltre ai treanm dtj?èìittenza, altn quaranfàJ�torni prima di essere r�!!lmç;�I '�l!c.ilf�Stia._ -r:iiTenore analogo alledecisioni di Pietro appaiono alcuni canoni ap provati al sinodo di Ancira nel 314. Coloro che si erano seduti al ban chetto religioso senza toccare cibo dovevano fare penitenza per due anni, mentre chi aveva ceduto, offrendo due o tre volte il sacrificio, do veva aspettare sei anni prima di essere accolto nuovamente in seno alla Chiesa. A contare, dunque, non era l'atte_ggiamento interiore, ma l'ess i "macchiati" materialmeme. rcniamo l'indignazione susèìiata da questi esempi. Non riusciremo a capire il comportamento degli uomini ai tempi della Grande Per secuzione se non teniamo presente fino a che punto essi erano terroriz zati dall'onnipresenza delle forze malvagie, terrore che pervadeva in ugual misura la mentalità dei cristiani e quella dei pagani. Non per nul la nel lil e IV secolo fiorì la magia (contro la quale si scatenarono sistemi repressivi di grande durezza). l demonL.erano la causa di tutti i mali: de litti, malattie, guerre ed eresie; essi-minacciavano l'uomo a ogni passo, l'aria stessa ne era così impregnata che c'era voluto il sacrificio redento re di Cristo per crearvi dei "corridoi" attraverso i quali le anime dci giu sti potessero raggiungere le sfere celesti. Come stupirsi, dunque, se in dividui paralizzati dal terrore del Male consideravano il contatto con le vittime dei sacrifici assai più pericoloso di una parola, di un gesto che non implicava il contatto fisico con i demoni?
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5. Una qualsiasi comunità, un qualsiasi vescovo del
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secolo
Jl presente capitolo è interamente costruito con i brani di un interessan tissimo testo, poco conosciuto all'infuori di una ristretta cerchia di spe cialisti. Si tratta di un'opera di autore ignoto, la Didascalia (il titolo completo è: La dottrina cattolica dei dodici apostoli e dei santi discepoli del nostro Salvatore). Il testo completo si è conservato solo in lingua si riaca, ma l'originale doveva essere sicuramente greco. Gran parte della Didascalia ci è giunta anche in una traduzione latina contenuta nel co siddetto Codice di Verona, datato verso la fine del v secolo (tuttavia la traduzione potrebbe essere anteriore, e anche di molto: in vari punti si riscontrano notevoli differenze tra il testo latino e quello siriaco). L'opera fu sicuramente compilata in Siria nel 111 secolo, ma è difficile stabilirne la data precisa (che comunque va posta più verso l'inizio che la fine del secolo), e il suo autore era probabilmente un medico, forse un ebreo convertito (cita l'Antico Testamento molto più spesso del N uovo; sottolinea a più riprese che i Vangeli ci mostrano 1'avverarsi dc gli annunci della Legge e dei Profeti; polemizza a lungo con quanti os servano troppo alla lettera le norme della Bibbia). Si trattava sicura mente del vescovo di una città di media grandezza, dotato di una cultu ra teologica non particolarmente profonda. Il testo contiene una silloge di prescrizioni, rivolte in parte all'insieme dei fedeli, in parte ai membri del clero.
5 .l Il cristiano in strada e alle terme
In uno dei primi capitoli l'autore della Didascalia traccia il ritratto dd buon cristiano e della buona cristiana. Si occupa di cose quotidiane: l'abbigliamento, la pettinatura, il comportamento; i consigli sono im prontati al buon senso, non contengono raccomandazioni specifica mente cristiane e non è difficile riconoscervi un'eco dell'insegnamento dei moralisti pagani. Vivete in armonia, servi e figli di Dio. Il marito nella sua presunzione non trar ti la moglie dall'alto c con superiorità, ma sia con Ici cortese e generoso; cerchi di piacere a lei sola, di accontentare lei sola e di aspirare solo al suo amore e non a quello di altre donne. Non agghindarti [o uomol 110
c non
abbellirti per
Una quallùJ.ri comunità, un qua!.rw.rt vescovo defili .reco/o non suscitare desiderio in altra donna. [. .. ] Non farti crescere i capelli ma m gliali corti; non pettinarli e non ungerli, per non allettare fanciulle capaci di suscitare il tuo desiderio oppure di soggiaccrvi facilmente esse stesse. Non in dossare vesti o calzari troppo belli alla stregua degli sciocchi damerini, non mettere anelli d'oro alle dita, poiché tutto quello che aggiungi alla tua natura è solo un inganno civettuolo. I .. J Non spuntarti la barba e non cambiarti i tratti .
del viso che Dio ti ha dato creandoti, solo per piacere alla gente. [... ] La donna sia sottomessa al marito, poiché il marito è la testa della donna,
c
la
testa dell'uomo giusto è Gesù Cristo. [ . . ] Abbi dunque rispetto di tuo mari .
to, o donna, e riveriscilo; cerca di piacere solo a lui c sii sempre pronta a ser virio. Le tue mani siano occupate dalla lana e la tua mente dal fuso. [. . ] .
Non agghindarti, donna, per piacere agli altri uomini, non acconciarti i capel li come una qualsiasi civetta non indossare i vestiti o i sandali che portano le ,� allettatrici. [. . ] .
Se sci una vera cristiana, cerca di piacere solo a tuo marito e quindi, quando esci per strada, copriti il volto con un velo per nascondere la tua bellezza. E non dipingerti la faccia che Dio t'ha ctataper natura. Camminando tieni gli occhi a terra e la veste copra per intero la tua persona.'
La prescrizione di rispettare l'opera del Creatore, rispetto che dovrebbe trattenere le donne (ma anche gli uomini) dal migliorare la propria bel lezza, avrà davanti a sé un grande avvenire: i predicatori ecclesiastici del xx secolo ricorreranno agli stessi argomenti per convincere le donne a non truccarsi! ln altra parte l'autore della Didascalia insegna ai fedeli come compor tarsi alle terme: Quando ti trovi in piazza, entra solo nel bagno destinato agli uomini
c
mai in
quello riservato alle donne, giacché dopo esserti spogliato il tuo corpo nudo potrebbe far sì che tu cada in una rete o che a tua volta irrctisca una donna. Guardati da ciò
c
sarai gradito al Signore. [ .. ] .
Non entrare [o donna] nel bagno degli uomini; se nella città o nella campa gna vi è un bagno separato per le donne, una vera credente non si bagna mai insieme agli uomini. Se ti veli il volto da,·anti a un uomo estraneo, come po tresti mai starei insieme in un bagno) Se invece non esiste un bagno separato per le donne e sei costretta a bagnarti in un bagno comune insieme agli uomi ni
cosa contraria alla natura - perlomcno fallo con decenza, serietà e misu
ra. Non spesso né troppo a lungo, c soprattutto mai di pomeriggio, ma prefe ribilmente di sera.
Notiamo le parole: «[se] sci costretta a bagnarti». All'autore non passa neanche per la mente che si possa rinunciare alle terme! Una persona civile non poteva vivere senza bagnarsi quotidianamente o comunque di
-...!..Tutte le citazioni della Diclascalw sono tratte dall'antologia l misteri della Chiesa antica. Testi dei primi tre• secoli, Edizioni Paoline, Milano 1997. 111
Storia della Chiesa nella tarda antichità
frequente, e ciò riguardava non solo gli abitanti delle città, ma anche quelli delle campagne. L e terme non servivano solo all'igiene: erano una specie di circolo, dove ci si incontrava per fare quattro chiacchiere, per rilassarsi e per sbrigare gli affari correnti. Rinunciare a frequentare le terme equivaleva a rinunciare alla vita sociale: sarebbe stata una manife stazione di misantropia e questo, il comprensivo autore della Didascalia, non si sente di esigerlo. Come funzionava in pratica un bagno comune? È difficile immagina re che uomini e donne fossero liberi di bagnarsi nella stessa piscina o in vasche poste una accanto all'altra nel medesimo ambiente. Ma anche se esistevano sale separate, non mancava certo l'opportunità di vedere dei corpi nudi e i curiosi aspettavano solo l'occasione per controllare come fosse fatta la moglie del vicino! L'usanza delle donne di velarsi il volto per la strada serviva solo a stuzzicare la curiosità. Le servitrici che ac compagnavano le donne benestanti cercavano probabilmente di proteg gere in qualche modo le proprie padrone: ma lo facevano davvero con il debito zelo? Inoltre non c'è dubbio che alle terme gli uomini scorraz zassero nudi in lungo e in largo, e che la vista dei loro corpi potesse "ir retire" una donna non abbastanza pudica. È una ben strana logica quel la di un mondo dove una donna si vela il volto nell'agorà, ma poi si reca tranquillamente alle terme piene di uomini nudi 1 L'autore polemizza anche contro i precetti dell'Antico Testamento, concentrandosi soprattutto sul problema dell'impurità e del bagno pu rificatore. Secondo lui né le polluzioni notturne degli uomini, né i rap porti sessuali tra coniugi, né le mestruazioni provocano uno stato di im purità. Nulla vieta che i fedeli che si trovano in una di queste condizio ni partecipino alla messa, e quindi all'eucarestia (agli inizi del111 secolo era impensabile partecipare alla messa senza fare la comunione), senza prima lavarsi. L'informazione è tanto più degna di nota in quanto, come vedremo in seguito, gli autori cristiani del rv secolo saranno di parere diverso.
5.2 Chi scegliere come vescovo
L'autore della Didascalia dedica un'attenzione particolare al vescovo: la scelta del candidato giusto, il suo zelo, la sua abilità, la sua autorità sono condizioni indispensabili per la vita armoniosa della comunità. «Sia dunque, possibilmente, una persona istruita in tutto; se non ha istruzione, conosca almeno la parola divina.» Notiamo questo passo: anche un uomo semplice, privo di quella che noi definiremmo "cultura media", poteva diventare vescovo. In seguito casi del genere non si veri ficarono quasi più, giacché la rivalità per quella carica prestigiosa era talmente accanita, da non lasciare alcuna opportunità ai rappresentanti degli strati inferiori. 112
Una qualsiasi comunità, un qualsiasi vescovo del111 secolo Pertanto, al momento di ricevere l'imposizione della mano sia esaminato in tal senso; c così sia ordinato all'episcopato se è casto, se ha avuto una moglie casta
c
fedele, se ha educato i figli religiosamente e li ha fatti istruire, se colo
ro che stanno nella sua casa lo rispettano, lo onorano
c
gli sono tutti sotto
messi. Se infatti quelli che gli appartengono per legame carnale si ribellano contro di lui
c
non gli obbediscono, come coloro che sono fuori della sua
casa gli si sottometteranno, una volra affidati alle sue cure?
Nei testi che stabiliscono i princìpi d'azione della Chiesa come istituzio ne traspare molto spesso la convinzione che la buona conduzione della propria casa sia la miglior raccomandazione possibile per un aspirante vescovo, e comunque una condizione indispensabile per essere scelto a tale carica. E sia esaminato se è senza macchia negli affari secolari, come pure nel suo corpo. Sta scritto infatti: "Esaminate se c'è qualche macchia in colui che si presenta per essere fatto sacerdote" [Lv 21, 1 7]. Non sia poi soggetto all'ira
L. J e sia misericordioso, benevolo, pieno di carità. [] vescovo dunque non ..
faccia parzialità: non riverisca né mostri deferenza ai ricchi più del conve niente, e non disprezzi o trascuri i poveri, né si innab:i sopra di loro. Nel cibo e nella bevanda sia frugale e sobrio, affinché possa essere vigilante nell'esorta re
c
ammonire gli indisciplinati. Non sia scaltro né troppo abile, non volut
tuoso né amante dei piaceri e della buona tavola. Non sia iracondo, ma lon ganimc nell'ammonire. Sia molto sollecito nell'insegnare e assiduo nel leggere con cura le Scritture divine, nello spiegarle e interpretarlc accuratamente, comparando la Legge c i Profeti con il Vangelo.
Le virtù episcopali elencate dalla Didascalia sono importanti e a tratti commoventi, ma nel complesso abbastanza prosaiche: prive di tensione nonché di dimensione metafisica, non presuppongono una fede appas sionata. Siamo molto lontani dall'atmosfera della Chiesa carismatica in attesa dell'imminente fine del mondo e del ritorno di Cristo, una Chiesa che privilegiava le persone pervase dallo Spirito Santo. Giudica, o vescovo, con autorità, come Dio, ma accogli con carità coloro che si pentono; come Dio onnipotente [.. ] ammonisci, riprendi, castiga i pecca .
tori e rialzali con il perdono. E se colui che ha peccato fa penitenza e versa la crime, ricevilo, [ . ] non farti spaventare da gente priva d'ogni compassione, ..
che giudica disdicevole lo sporcarsi con il contatto dei peccatori.
L'ultima frase ci colpisce particolarmente, poiché rappresenta una rara testimonianza di estremo rigorismo, profondamente inviso all'autore. Sebbene la convinzione che la Chiesa non potesse assolvere peccati gra vi commessi dopo il battesimo fosse piuttosto diffusa, l'imposizione di rompere ogni contatto fisico con i peccatori, in quanto fonte di conta gio, appare una prassi eccezionale. 113
Storia della CbieJa nella tm·da antichità 5.3 L'ordine durante la messa Nelle vostre comunità, nelle sante chiese, le vostre riunioni siano il più possi
bile decorose, disponendo con sollecitudine i posti ai fratel li, con rispetto Sia riservata ai presbiteri la parte della casa che è r ivolta a Oriente. Tra essi sia posta La sede del vescovo, e con lui siedano i presbiteri. I la ici siedano nell'al tra parre della casa. C onviene infatti che i presbiteri siedano nella parte della casa rivolta a oriente, assien1e al vescovo, e i laici (siedano) dopo di loro, c quindi le donne. Cosl, quando vi alzate per l a preghiera , si alzino per primi i preside nti, dopo di essi i laici e infme le donne. [ . .] Uoo dei diacon i poi faccia sempre da assistente durame l'offerta dell'eucare stia; un altro stia fuori, alla porta, per os servare quell i che entrano. Poi, quan .
.
do inizia l'offerta, servano insieme nella chiesa.
E se si uova qualcu no seduto non al suo posto, i l diacono che è all interno lo '
ammonisca, lo faccia alzare e sedere al posto che gli convi ene. Nostro Signore ha paragonato .la Chiesa a un recinto; e poiché nei recinti vediamo gli animali privi di ragione, come le mucche, le pecore e le capre disporsi uno accanto al
l'altro, pascolare e ruminare insieme, e poiché vediamo che p erfmo g li anima li selvatic i vanno a caccia sui monti solo con i propri s imili, così anche in Chiesa si richiede che i giov
loro; ma se non c'è posto, stiano in piedi, dietro le donne. Le giovani coppie che hanno bambini, stiano ua di loro; le donne anziane e le vedove siedano tra di loro.
I diaconi vedano che quando uno entra vada al suo posto, così che nessuno si sieda in un posto che oon è il suo. Similmente il diacono osservi che nessuno parlotti, o sonnecchi, o rida o faccia gesti. In chiesa infatt.i bisogna stare vigili, con disciplina e sobrietà, e avere le orecchie attente alla parola del Signore .
Poco più avanti l'autore indica come comportarsi nei confronti degli ospiti, in quale parte della chiesa sistemarli, chi debba occuparsi di loro e chi cedere loro il posto: «Ma se chi si alza a cedere il posto è un anzia no o lm'anziana, mentre i giovani stanno seduti, tu, diacono, vedi di far alzare qualcuno o qualcuna dei più giovani. [. . ] Quanto a quello che non si era alzato, lo farai stare dietro a tutti, così che anche gli altri im parino a cedere il posto a chi è più degno di onore». Nel caso che arrivi un dignitario laico cittadino, o anche di un'altra città, il vescovo non dovrà interrompere la preghiera o la lettura per nessuna ragione; ma se arriva un povero che non sa dove sedersi, il vescovo dovrà occuparseoe personalmente («anche se dovesse lui stesso sedere per terra>)). L'intero passo dedicato all'ordine da osservare durante le funzioni è estremamente interessante nonché, per quanto posso giudicare dalle mie letture, unico. È chiaro che l'autore vi attribuisce un rilievo partico lare: secondo lui il modo ·in cui i fedeli partecipano alle riunioni è una dimostrazione della salute morale della comunità. .
114 Copyrighted
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Una qualsiasi comunità, un qualJtasi vescovo del w secolo 5.4 L'amministrazione del patrimonio ecclesiastico
L a maggior parte dell'energia del vescovo e dei diaconi suoi assistenti sembra essere assorbita dall'attività filantropica: la raccolta e la divisio ne dei mezzi necessari per praticarla costituiscono un tema dominante. Presentate la vostra offerta al sacerdote [cioè al vescovo], sia da voi stessi, sia per mezzo dei diaconi; ed egli la prenderà e la distribuirà a ciascuno come conviene. Il vescovo infatti conosce bene coloro che sono tribolati, e dà a cia scuno con criterio, in modo che non ci sia chi riceva più volte nello stesso giorno c nella stessa settimana c chi neanche una volta.
Ai membri del clero spetta una parte delle offerte. Quanto poi viene dato a ciascuna delle vedove, se ne dia il doppio ai diaconi, a onore di Cristo; ma
a
colui che presiede si dia il quadruplo, a gloria
dell'Onnipotente. Se uno vuole onorare anche i presbiteri, darà loro il dop pio, come ai diaconi; anch'essi infatti devono essere onorati come gli apostoli, essendo consiglieri del vescovo c corona della Chiesa: sono infatti il consiglio c il senato della Chiesa.
Non dobbiamo stupirei che nella divisione delle offerte il vescovo pon ga al primo posto i diaconi e non i presbiteri, gerarchicamente più im portanti: sono i diaconi a sacrificare tempo e fatica alle necessità della Chiesa, coadiuvando quotidianamente il vescovo. Non domanderai conto al vescovo, né farai osservazione su come egli condu ce
c
adempie la distribuzione, ossia quando dà, a chi e dove; oppure se dà
bene o male o in modo conveniente. Infatti. chi gli domanderà conto è il Signore Dio, il quale gli ha dato nelle mani questa distribuzione e lo ha stima to degno del sacerdozio in così alto ufficio.
bisogni materiali della comunità diretta dall'autore della Didascalia dovevano essere grandi, visto che l'assistenza alle vedove, agli orfani e ai poveri richiedeva somme esorbitanti. Tuttavia il vescovo si rende conto che non si possono accettare offerte da chiunque, senza prima verificare di chi si tratti. La sua sensibilità in merito è tanto più ammirevole, m quanto doveva spesso causargli serie difficoltà. I vescovi [... ]
un
giorno dovranno rendernc conto, e non sarà un conto facile.
Capita infatti talvolta che per sfamare orfani e vedove essi accettino offerte da ricchi che mandano in prigione il prossimo, maltrattano gli schiavi, esercitano la tirannia nella propria città, opprimono i poveri; da gente abietta o che abu sa indegnamente del proprio corpo; da delinquenti, falsari, avvocati disonesti, calunniatori. giudici di parte, pittori e scultori di idoli pagani, gioiellieri ladri, esattori delle tasse disonesti, indovini, falsari di pesi e misure, osti che annac115
Storia della Cbù:�·a nella tarJa <�nticbità yuano il vino, soldati attaccabrighe, assassini, carnefici dci tribunali, come pure da tutti i funzionari romani macchiati dalle guerre e che \'ersano sangue innocente senza preventivo giudizio [ ... ], da idolatri, da impuri, da gente che esrorcc pagamenti
c
che pratica l'usura.
Una lista sorprendente, che sembra più l'elenco di potenziali peccatori che non quello di coloro che offrivano all'autore (o ad altri vescovi a lui noti) donazioni per la Chiesa: è difficile infatti immaginare che in epoca anteriore a Costantino il Grande assassini, indovini e carnefici di tribu nali importunassero la Chiesa con offerte di denaro. Denaro infausto: l'autore è convinto che la vedova che dovesse ricevere doni da mani in degne ne ricaverebbe un danno. Meglio per lei vivere di solo pane: Come porrebbe offrire a Dio con cuore puro il suo servizio c le sue preghiere, avendo ottenuti i mezzi per sostentarsi da fonte indegna? Fosse anche la don na più devota del mondo,
a
che servirebbe una preghiera innalzata all'inten
zione di gente disonesta? Tale preghiera Dio potrebb e al massimo accreditar gliela a suo vantaggio personale.
Ma per quanto convenga rifiutare i doni di gente indegna, in alcune cir costanze, tuttavia, il vesco\·o sarà costretto ad accettarli (in questo "ob bligo" c'è qualcosa di sincero c toccante: il nostro autore conosce bene la vita e il complesso gioco dci rapporti interpersonali, con i suoi inevi tabili compromessi). Questi soldi «usateli per comprare legna da ardere per voi e per le vedove, per evitare che qualcuna di esse, oppressa dalla miseria, non ci compri del cibo»: emerge da queste parole una visione del mondo, per noi abbastanza sorprendente, in cui il male ha una na tura materiale, tangibile, contagiosa. Satana ha insozzato il denaro gua dagnato disonestamente e la sozzura si trasferisce sugli oggetti che con esso verranno comprati. Tutto ciò che è stato toccato da Satana è peri coloso per l'uomo, ma più pericoloso di tutto è quanto entra nel suo corpo attraverso il cibo e le bevande. Abbiamo già riscontrato tracce di una simile mentalità. L'apostasia veniva trattata con più indulgenza se non aveva comportato l'ingcstione di parti delle vittime: agli occhi dei cristiani del III secolo rinnegare la fede solo con la parola o con il getta re grani d'incenso nel fuoco dell'altare era un peccato molto minore che non aprire il proprio corpo all'azione del demone. L o spiritualismo, ca ratteristica così straordinaria del cristianesimo, aveva i suoi limiti, deter minati dalla mentalità di persone che pensavano a Dio (e a Satana) in modo sorprendentemente concreto. Nella Didascalia si parla molto delle vedove e degli obblighi dei ve scovi nei loro confronti, ma soprattutto si parla in modo pittoresco c particolareggiato di come èovrebbero (o non dovrebbero) comportarsi. Accantoniamo momentaneamente l'argomento; ci ritorneremo nel capi tolo dedicato alle donne nella Chiesa. 116
Una qualsiasi cotnunità, un qualsiasi vescovo dellll secolo
5.5 Le persecuzioni dal punto di vista di una normale comunità
L'autore della Didascalia si sofferma anche sul tema delle persecuzioni; tuttavia nelle sue considerazioni sull'argomento non risuona l'eco del terrore, della minaccia o dell'esaltazione. Le cose vengono viste soprat tutto da un punto di vista pratico: Quando per il nome di Dio, per la sua fede e il suo amore un cristiano viene condannato ai giochi circensi, al combattimento con le fiere o a lavori pesanti in miniera non dimenticatevi di lui ma detraete parte di quanto guadagnate ,
con fatica e sudore della fronte, e mandategli qualcosa per il cibo e per le mance alle guardie, affinché il vostro beato fratello ne ricavi un certo sollievo, un minimo di cura e sia un po' meno tormentato. Chiunque venga condanna to in nome di Dio dovreste considerarlo come un santo martire, un angelo ce leste o addirittura come Dio stesso in terra, in quanto è stato internamente tra sfigurato dallo Spirito Santo
l .. J .
Non vergognatevi di visitarli in prigione; un
giorno ne sarete ricompensati con la vita eterna, per esservi in un certo senso fatti compartecipi del loro martirio
[. . ] .
Coloro che, perseguitati per la loro
fede, conformemente all'ordine del Signore scappano di città in città, accoglie teli e date loro ospitalità, rallcgrandovi di poter almeno in questo modo parte cipare alla loro persecuzione.
Ciò che l'autore della Didascalia ci dice circa l'aiuto ai condannati ricor da un divertente racconto di�0,�0 ça -l9Ql. su Peregrino, impo store religioso o piuttosto spirito inquieto, che concl�se lasua vi ta con un suicidio pubblico e quasi rituale a Olimpia. Peregrino, imbattutosi nei cristiani in Palestina, si convertì al cristianesimo conquistando rapi damente una posizione preminente nella comunità («e quelli [... ] lo chiamavano loro signore»). Arrestato come cristiano, non rinnegò la fede e fu gettato in carcere. Ebbene, dal momento in cui fu incarcerato, i Cristiani considerando la cosa una disgrazia tentarono con ogni mezzo di tirarlo fuori. Poi, essendo questo impossibile, ogni altra cura di lui fu presa non in via subordinata ma col mas simo impegno: già all'alba si potevano vedere in attesa davanti alla prigione vecchiette vedove e ragazzetti orfani, mentre i loro dignitari dormivano den tro con lui corrompendo i carcerieri. Poi venivano introdotti cibi variamente confezionati, si recitavano i loro sermoni sacri2
Il nostro vescovo sa perfettamente che non tutti i cristiani venivano in carcerati per motivi di fede. C'erano anche casi dolorosi di gente "ten tata da Satana" e arrestata per furto o per omicidio. Da costoro i fedeli dovevano restare lontani, onde evitare situazioni incresciose. Che avrebbero fatto qualora i funzionari avessero chiesto loro se anch'essi
2
Luciano, La morte di Peregrino, in Opere, UTET, Torino 1993, vol. III, p. 547. 117
Storia della Chiesa netltJ tarda antichità erano cristiani come quei delinquenti? Rispondere di sì sarebbe stato imbarazzante e pericoloso, in quanto il cristiano avrebbe rischiato la vita non per la propria fede, ma per i suoi legami con un criminale. Una risposta negativa sarebbe equivalsa invece a un'apostasia.
5.6 Quel che doveva leggere il cristiano Non passeggiare e non girare senza meta per le strade [ .],sta' in casa e le.ggi . .
le Sacre Scritruxe, la Legge, i Libri dei Re, gli scritti dei Profeti oppure i Vangeli, che narrano l'avverarsi di quanto è stato predetto. Non prendere mai in mano libri pagani. Che t'importa di afferniazioni o di leggi altrui, di pseu
doprofezie dle, soprattutto nei giovani, non possono me scalzare la fede? Non ti basta la Parola di Dio? Cbe bisogno hai di ricorrere alle frottole paga· ne? Vuoi conoscere la storia? Hai i Libri dei Re. Vuoi la filosofia? Hai i Profeti, dove troverai più sapere e saggezza che in rutti i dotti e ftlosofi messi insieme, poiché attraverso di loro parla la voce dell'unico Dio onnisciente. Desideri cantare? Hai i Salmi. Ti interessa l'origine dell'universo? Hai il Libro della Genesi, scritto dal grande Mosè. Vuoi notizie riguardanti leggi e comanJamemi? Hai la gloriosa Legge del Signore. Quindi rifuggi a ogni co sto da scritti estranei e diabolici.
Si tratta di una delle poche, esplicite dichiarazioni di ostilità nei confro n ti della letteratura e della filosofia pagana di tutta l'antica letteratura cri stiana. Nei riguardi del patrimonio culturale pagano il cristianesimo as sunse infatti un attegt,riamento aperto, anche se critico e selettivo. Del re sto l'autore della Dtdascalio si sbagliava, pensando che per i cristiani Je opere storiografiche pagane potessero venir sostituite dai Libri dei Re e la filosofia dagli scritti dei Profeti; le persone relativamente colte, infatti, ricavavano una profonda frustrazione dall'Antico Testamento: secondo il gusto estetico vigente, esso era mal composto e mal scritto. Oggi ci è difficile credere che l'aspetto letterario dell'Antico Testamento (e anche del Nuovo) suscitasse tante riserve, in quanto i valori puramente letterari della Bibbia (a prescindere dal suo messaggio religioso) ci appaiono evi denti. Ma la nostra apertura verso il patrimonio culturale di epoche e ci viltà diverse è immensa: possiamo ammirare sia le poesie di Orazio che i Salmi, leggere con pari piacere Tacito, una cronaca medievale e un mo derno saggio storico, Bach e Bart6k deliziano l'udito dei medesimi ascol tatori. Gli antichi non ne erano capaci: formati in un determinato modo dalle letture e dall'insegnamento scolastici, riuscivano a procedere solo suHa strada da essi indicata. I lettori un po' più esigenti del nostro autore avevano bisogno di let· ture diverse, e non solo per motivi estetici. U valore intellettuale del pa· trimonio pagano era schiacciante: ancora molti secoli dopo, ai tempi del Rinascimento e in epoca moderna, le opere della letteratura, della scien za e della fùosofia antiche parlavano con forza straordinaria alle perso118 Copyrigflled m atenal
Una quah1asi comunità, un qualsiasi vescovo del
111
secolo
ne colte. Per fortuna gli intellettuali cristiani non seguirono i consigli dd nostro vescovo. Non potevano farlo: il loro rispetto per l'istruzione, le belle lettere, i ragionamenti sottili sul mondo e su Dio erano più forti dei precetti della nuova religione; potevano rinunciare a molte cose, ma non alla propria cultura, e la difesero con coscienza tanto più pulita, in quanto trovarono persone di grande fede, capaci di spiegar loro perché la dovessero conservare.
5.7 Come mai una comunità qualunque e il suo pastore meritano tanta attenzione
Qualche lettore potrà ritenere che il mio interesse per la Didascalia sia eccessivo: vale davvero la pena dedicare tanta attenzione a opinioni in genue, prive di quella tensione metafisica che tanto ci affascina nel cri stianesimo? I motivi che mi hanno indotta a presentare questo testo, certo non tra i più importanti della letteratura cristiana, sono vari. Primo: la Didascalia illustra alla perfezione le considerazioni svolte nel capitolo precedente. La prospettiva dcll'incarcerazione, della morte per fede o della deportazione in miniera o nelle cave è sempre presente agli occhi del nostro vescovo; tuttavia le repressioni per lui non si asso
ciano tanto allo spargimento di sangue e all'eroismo, quanto allo sforzo economico che la comunità deve sopportare. Dal modo in cui la Didascalia descrive la situazione, si deduce che non tutti i cristiani tra dotti davanti al governatore erano destinati a morire. Se si disponeva di mezzi sufficienti era possibile fare molto, c pur di salvare un confratello non si esitava a ricorrere a tutte le conoscenze e a tutte le pressioni pos
sibili. A quei tempi e nell'ambiente noto all'autore della Didascalia, i martiri c i confessori di fede non dovevano essere molto numerosi: essi suscitavano sicuramente orgoglio e ammirazione, e i casi di persecuzio ne venivano seguiti con estremo interesse; tuttavia l'uomo medio delle comunità cristiane non si sentiva in continuo pericolo. Secondo: la lettura della Didascalia ci aiuta a scalzare il cristianesimo antico dai�turni_sui quali l'ha posto la storiografia apologetica cattoli ca. L'opera non fornisce informazioni edificanti, ma informazioni inte ressanti: è chiaro che essa va studiata per conoscere il passato, non per ammirarlo o, peggio ancora, imitarlo (come se ciò fosse possibile). Ma questo cristianesimo meno trionfante si rivela degno di rispetto; l'auto
re della Didascalia ci appare come un uomo di grande devozione, un buon pastore che conduce a Dio la sua comunità con sincerità, coscien ziosità, senso paterno c umanità. Desidero sottolineare con forza il tipo di rcligiosità espresso dal testo; di solito posizioni religiose intellettual mente povere come questa vengono trattate con indulgenza, se non ad dirittura con imbarazzo. Al contrario, esse hanno diritto al nostro ri spetto c alla nostra simpatia. 119
Storia della Chiesa nella tarda antichità
La simpatia, appunto: quella simpatia senza la quale è difficile svolge re uno studio storico efficace, ma che, al tempo stesso, non deve supe rare certi confini, oltre i quali si corre il rischio di scivolare dal campo della ricerca a quello dell'apologetica. Non è facile imparare l'arte di amare la gente del passato, senza per questo identificarsi con le sue ra gioni; è meglio quindi esercitarsi con un autore che la pensi in modo opposto al nostro c che sia, umanamente parlando, una persona comu ne, perché quando si ha a che fare con i grandi uomini della C:hiesa, evi tare l'apologia diventa molto più difficile. Terzo: la Didascalia ci permette di toccare con mano il peso dell'eredità antica, che il cristianesimo ufficialmente combatteva, ma con la quale spesso scendeva a compromessi. Lattitudine ai compromessi è sempre stata un punto di forza della Chiesa, una prova della sua capacità di apri re verso il cielo vie diverse, e non solo quelle riservate esclusivamente a mistici c rigoristi. Visti da vicino i suoi compromessi possono apparire ir ritanti, ma in prospettiva storica suscitano ammirazione c comprensione. Quarto: ci rendiamo conto che nel III secolo la C:hicsa era soprattutto una collettività di famiglie perbene, che coltivavano le vitù loro proprie. Non c'era posto per gente esaltata, che rifiutava le convenzioni sociali, osteggiava il mondo o cercava di imporre al prossimo il suo zelo cristiano. Vi regnavano la moderazione, ereditata insieme ad altri valori della mora le stoica, e il rispetto per l'ordine stabilito: un ordine da consacrare, non da sovvertire. I cristiani erano sinceramente orgogliosi della presenza nel le loro file di esponenti dell'élite che recavano prestigio alla Chiesa. Ovviamente non tutti i cristiani potevano rientrare in questa "federa zione di famiglie perbene"; il mondo non era così bene strutturato, i desi deri umani tendevano più in alto e tensioni di varia natura insidiavano quella pietas domestica. Il sogno però rimase: un sogno di comunità com poste di buoni padri, di buone madri, di buoni figli, di persone che in chiesa osservavano un rispettoso silenzio, cedevano il posto agli anziani, leggevano i libri giusti c vestivano come vestiva la gente perbene.
120
6. Gli imperatori e la Chiesa
Gli imperatori svolsero un ruolo estremamente importante nella storia della Chiesa postcostantiniana. Erano loro a convocare i concili universali c ad assicurare che le decisioni assunte avessero seguito; se le pressioni non bastavano a ottenere dalle votazioni i risultati a loro più favorevoli, non esitavano a impiegare la forza: al secondo concilio di Efeso (detto la trocinium, "brigantaggio", da papa Leone Magno), al momento decisivo i soldati irruppero nella sala facendo tintinnare le catene destinate ai ve scovi ribelli. Al sovrano spettava il privilegio di esprimere un parere deci sivo nell'attribuzione degli episcopati più importanti, soprattutto quello di Costantinopoli; molti pastori di quella città furono esiliati per disob bedienza. I soldati imperiali entravano nelle chiese per prelevarne i ve scovi riottosi, che poi venivano esiliati in località remote c malsane dove i dignitari locali li sottoponevano a innumerevoli vessazioni per compiace re i superiori e assicurarsi la carriera. Più di un ecclesiastico troppo indi pendente venne semplicemente ucciso senza far rumore, mentre ad altri vennero intentati processi il cui esito era scontato in partenza.
6.1 La strana moda di studiare le relazioni tra gli imperatori c la Chiesa
La storia degli interventi imperiali in ambito ecclesiastico è affascinante e continua quindi a essere oggetto di immutato interesse da parte degli studiosi. Un interesse enorme, quasi eccessivo. Le opere sull'argomento sono troppe perché le si possa considerare l'effetto di un normale lavo ro di routine, dovuto all'esistenza di un'ampia documentazione e al peso della problematica stessa. I numerosi libri, i piccoli e grandi studi dedicati alle relazioni tra Chiesa e stato sorti negli ambienti più svariati, dagli istituti confessionali ai docenti universitari di impostazione antiec clesiastica, testimoniano l'esistenza di una moda, anzi di una vera e pro pria ossessione, priva di fondamento (come v,cdremo) dal punto di vista scientifico. Da dove proviene questa moda? E una domanda sulla quale merita soffermarsi. Molti studiosi della politica ecclesiastica dei vari imperatori della tar da antichità muovevano dal tacito presupposto che i fattori decisivi per le sorti della religione cristiana andassero ricercati al di fuori di essa, c 121
1 1
Storia del!.a Chiesa nella tarda anticbilà quindi oltre le controversie dottrinali che suscitavano tante emozioni, oltre l'attività pastorale, oltre la cerchia dei vescovi, dei teologi e degli asceti. Secondo tali autori la religione, per quanto importante, non po teva provocare effetti di così vasta portata: dietro le ragioni teologiche, comprensibili solo agli eletti, dovevano celarsi fattori assai più concreti: interessi personali, divisioni sociali, conflitti nazionalistici ecc. Le opzio ni del palazzo imperiale dovevano quindi contare più delle opzioni ec clesiastiche. Un simile modo di fare storia presuppone la convinzione che gli uomini del passato ci abbiano trasmesso infotmazioni false circa l'origine delle loro passioni, un po' per desiderio di ingannare, un po' per ignoranza. Noi conosceremmo meglio dei nostri antenati i motivi e le finalità delle loro azioni. Sembrerebbe che la grande polemica condotta da numerosi ed emi nenti storici contro un .modo di studiare e di interpretare il passato che trascura i mutamenti prodottisi nella mentaUtà umana durante i secoli avesse dovuto influenzare anche lo studio della storia della Chiesa. Ma gU stereotipi sono duri a morire e li ritroviamo non solo tra gli epigoni che non vogliono prendere atto del nuovo modo di fare storia, ma anche tra studiosi apparentemente in linea con le più attuali esigenze della loro disciplina. Lo studioso che considera il palazzo come il luogo in cui si decidevano le questioni della Chiesa, si concentrerà sullo studio del palazzo. Si tratta di una conclusione logica e coerente con le ambizioni dello studioso: in fin dei conti gli scienziati desiderano occuparsi di ciò che veramente conta, lasciando gli argomenti marginali a colleghi di minor rilievo. La convinzione che le sorti della Chiesa nel IV e nel v secolo dipen dessero principalmente dalle decisioni imperiali si ritrova paradossal mente nei lavori di molti storici cattolici di impostazione tradizionale. L'adozione di tale premessa permette loro, per esempio, di spiegare co modamente i successi dell'eresia ariana (per le altre eresie la faccenda è un po' più complessa). Alla domanda su come mai la lotta contro l'aria nesimo sia stata cosi lunga e complicata, questi studiosi danno una ri sposta semplice e logica: per colpa degli imperatori, che avevano il po tere di imporre ai sudditi una fede sbagliata; infatti, quando sali al pote re l'ortodosso Teodos.io il Grande, l'arianesimo crollò come un castello di carte. Una risposta che permette alla storiografia apologetica di resta re nei limiti delle spiegazioni consacrate dalla tradizione e destinate a glorificare l'ortodossia. A indurre gli studiosi della seconda metà del XX secolo a occuparsi dei rapporti tra il potere e la Chiesa contribuiscono anche le esperienze contemporanee: le ingerenze dei regimi totaHtari nella sfera della vita religiosa, il complesso gioco adottato dalle Chiese che, per quanto con trarie all'ordine instaurato da tali regimi, erano costrerte ad accettarlo e talvolta ad appoggiarlo. Questo quadro serve agli storici da modello per ricostrtùre le realtà della tarda antichità, alle quali vengono attribuiti meccanismi propri dell'età contemporanea. A tale pratica si accompa122 Copyrighted
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aterial
Gli imperatori e la Chiesa
gnano ovviamente le simpatie per una Chiesa oppressa, unita nella resi stenza contro il totalitarismo, e una profonda ostilità verso un potere che interviene non solo nella sfera dell'attività politica, ma anche in quella dello spirito. Tali analogie, più o meno consapevoli, spiegano il tono emotivo di tan ti studi del XX secolo che cordialmente denigrano gli imperatori della tarda antichità. In realtà l'avversario è un altro, e la maschera storica rie sce a malapena a nasconderlo. L a tendenza immanente della storiografia cattolica a trattare in modo apologetico coloro che nei conflitti dottrinali "avevano ragione" facilita l'accettazione di tale atteggiamento: si acquisi sce un ulteriore motivo per condannare i sovrani ed esaltare un'organiz zazione capace di far fronte alle loro violenze. Per uscire dal circolo vizioso di queste spiegazioni alquanto grossola ne su una questione effettivamente fondamentale per la storia del cri stianesimo della tarda antichità, dobbiamo restituire la parola alle fonti (che per fortuna non mancano), a patto però di controllare con il massi mo rigore l'effetto deformante delle nostre simpatie (visto che non sia mo in grado di eliminarle del tutto) e di rispettare il principio di ascol tare le ragioni di tutte le parti in gioco. Il primo passo consiste quindi nel cercare di ricostruire l'opinione che gli uomini della tarda antichità avevano della natura del potere im periale, al fine di scongiurare il principale e grave errore degli storici moderni, che deriva dal trascurare le differenze di mentalità tra noi e le generazioni che ci hanno preceduto: dato che per noi la sfera laica è nettamente divisa dalla sfera del sacro, diamo tacitamente per scontato che fosse così anche in passato.
6.2 I fondamenti religiosi del potere imperiale nel mondo pagano
L'antichità conosceva due tipi di legittimazione religiosa del potere esercitato da un solo uomo; si considerava il monarca un essere che ap- � parteneva sia al mondo degli uomini sia a quello della divinità, e quindi, in virtù di tale natura, le sue azioni possedevano una sanzione religiosa; oppure il monarca restava un uomo comune, chiamato però a svolgere't le sue funzioni dagli dèi, che lo proteggevano finché egli si sottometteva alla loro volontà. All'interno di questi due tipi esistevano diverse varian ti, tutte comunque riconducibili ai modelli di base. La giustificazione religiosa del potere degli imperatori romani si col loca di regola nel primo tipo. Ho detto "di regola", giacché il culto del la persona del sovrano si sviluppò in modo disuguale e in certi territori e in certi ambienti lo fece con notevole ritardo. Agli occhi dei sudditi gli imperatori conservarono la posizione ambivalente di esseri partecipi di due mondi, senza mai raggiungere la posizione dei massimi dèi. Il loro culto porta tracce di ciò. Mentre essi erano in vita, la gente offriva sacri fici più per loro che a loro, e raramente rivolgeva loro preghiere per ot123
Storia della Chiesa nella tarda ant1cbità tenere qualcosa Ji concreto, dato che non ci si aspettava che le potesse ro esaudire. Spesso si collegava il culto degli imperatori al culto di una famosa divinità, collocando le loro statue nei tcmpli e associando le fe ste in onore dell'imperatore alle feste tradizionali del dio prescelto. In tal modo il sovrano appariva agli occhi dei sudditi come la manifesta zione terrena del dio e i sacrifici offerti in quei santuari erano al con tempo offerti al dio e per il sovrano. Ogni imperatore aveva ovviamente i suoi personali protettori divini c i suoi culti (per vari motivi) preferiti. È chiaro che tale giustificazione religiosa del potere non poteva essere accettata dai cristiani, come non lo era dagli ebrei: per un monoteista coerente, il culto del sovrano (vivo o morto che fosse) era una lampante assurdità. Non così per il secondo tipo di lcgittimazione dei monarchi: un cristiano poteva accettare senza difficoltà il principio della sanzione divina per un sovrano destinato a eseguire in terra la volontà di Dio di venendone, nelle varianti più estreme, il sostituto. Le basi di un simile modo di concepire la relazione tra Dio e il sovra no furono gettate, paradossalmente, dal massimo nemico del cristianesi mo: Diocleziano. Questo imperatore, che trasformò profondamente quasi tutti i setrori della vita pubblica allo scopo di salvare l'ordine ro mano (uno storico lo ha definito un "conservatore rivoluzionario"), contrariamente ai suoi predecessori non esigeva per sé il culto divino. Voleva essere visto come l'eletto, il rappresentante, i l realizzatore della volontà della principale divinità del pantheon romano: Giove Ottimo Massimo. Segno del suo discendere da Giove fu il soprannome: Iovius. L'imperatore con cui regnava e che gli era gerarchicamente inferiore, Massimiano, adottò il soprannome di Herculius, come per dire ai sudditi che avrebbe collaborato con Diocleziano come Ercole collaborava con Giove per il bene dell'umanità (nel III secolo Ercole era più che un eroe mitico, lo si venerava come un dio importante e molto popolare). Il giorno della presa del potere da parte di Diocleziano fu consacrato come il suo dies natalis, in quanto in quel giorno l'imperatore era nato all'impero per volontà delle sue divinità protettrici. La propaganda im periale sottolineava in vario modo la protezione divina sui regnanti, nonché il loro servizio divino: sulle monete gli imperatori apparivano insieme a dèi che porgevano loro le mani da pari a pari. Le scritte dice vano: comes Solis ("compagno del Sole"), fuppiter conservator Augusti (''Giove protettore dell'Augusto"). Bassorilievi e sculture mostravano i sovrani tra le divinità, loro compagne celesti. I.:imperatore incarnava una lista di virtù ricavate dalle opere filosofiche stoiche: erano suoi attributi la dementia ("indulgenza", "mitezza"), la iu stitia ("giustizia"), la pietas ("devozione"), la philanthropia (''amore per gli uomini"). Prova manifesta della benevolenza divina erano le vittorie militari del sovrano. Fin dai tempi antichissimi la vittoria era consiJerara un segno di predilezione da parte degli dèi, mentre la sconfitta era la prova della loro ostilità per aver commesso azioni a loro sgradite, e non solo la con124
Gli imperatori e la Chiesa
seguenza di errori di tipo tattico o strategico. Diocleziano poteva esibire ai sudditi un potere legittimato dai propri successi militari. La pace che riuscì ad assicurare alle frontiere dell'impero fu durevole, e permise ai suoi successori di condurre guerre interne senza rischiare la catastrofe. In virtù del suo rapporto con gli dèi, in nome dei quali esercitava il potere, l'imperatore era circondato da un'aura di sacralità. Tutto ciò che lo riguardava veniva definito "sacro": gli editti, la camera da letto, la guardia, le cancellerie del palazzo. La sacralità del potere era sottoli neata da un complesso cerimoniale: i partecipanti alle udienze si getta vano faccia a terra, gli oggetti destinati all'imperatore gli venivano porti con le mani avvolte in un velo (perché il contatto umano non li mac chiasse) e durante le apparizioni in pubblico sulla sua testa veniva teso un baldacchino.
6.3 L'atteggiamento dei cristiani verso Costantino il Grande Costantino il Grande non introdusse nel modo di intendere la natura religiosa del potere modifiche sostanziali rispetto alla concezione intro dotta da Diocleziano: non ce ne fu bisogno nei primi anni di regno, quando tutta la sua attività rientrava nei quadri stabiliti dal creatore del sistema tetrarchico, né in seguito, dopo la conversione al cristianesimo. Il posto degli dèi pagani fu preso dal Dio cristiano e la concezione prowidenziale della monarchia corrispondeva al modo di pensare dei seguaci della nuova religione. L'innalzare il sovrano sopra tutti gli abi tanti dell'impero, la convinzione che egli rispondesse dell'umanità da vanti al dio che gli aveva dato il potere e il conseguente obbligo di ob bedire al monarca erano elementi di origine pagana, ma questa origine non disturbava i cristiani. Per i cristani Costantino possedeva un avallo religioso all'esercizio del potere anche più potente di quello che i suoi predecessori possedevano agli occhi dei pagani. La notizia della visione che aveva determinato la sua conversione si diffuse ovunque, convincendo i cristiani che Dio ave va personalmente modificato il corso delle cose per spezzare il dominio pagano. La vittoria in una lotta tutt'altro che facile, frutto di un'obbe diente accettazione dell'aiuto divino, fu il segno evidente della grazia di Dio, mentre le vittorie dei successivi anni di regno confermarono il per sistere della benevolenza divina. Costantino stesso usava dire della sua missione: Dal momento çhe una tale tremenda empietà incombeva sugli uomini, e lo stato correva il pericolo d'essere completamente distrutto come da un morbo pestilenziale c ne<:essitava di una vasta cura risanatricc, a quale rimedio pensò la divinità
c
in <:he modo fece cessare simili mali) [. ] Dio stesso ha ricercato ..
e giudicato adatto ai suoi fini il mio servizio: infatti, cominciando dal mare çhe bagna la lontana Britannia c dalle regioni sulle quali il disegno di una for125
Storia della Chiesa nella tarda antichità za superiore ha predisposto il tramonto del sole, io ho scacciato e disperso tutti i mali esistenti, vuoi per fare in modo che il genere umano recupcrassc il rispetto dell'augustissima legge [ ..], vuoi perché la beata fede potesse accrc .
sccrsi sotto la guida diretta di Dio.1
E altrove: Ora invoco te, o sommo Iddio, [.. ] con l'aiuto della tua guida ho iniziato e .
portato a termine imprese di grande utilità, ovunque ponendo innanzi la tua insegna;
c
c
ho condotto l'esercito vittorioso
se mai il bene dello stato lo richie
da, avanzo contro i nemici seguendo sempre i tuoi vessilli. [. ] Pertanto la ..
mia massima aspirazione consiste nel ricostituire la tua santissima casa, ol traggiosamente rovinata
c
distrutta a opera di uomini abominevoli e quant'al
tri mai empi.2
Anche senza il miracolo prima della battaglia del Ponte Milvio, a coloro che avevano vissuto le persecuzioni c che si ritrovavano ora nella Chiesa trionfante, bastava lo choc causato dal cambiamento per provare la massima gratitudine e il massimo rispetto verso l'imperatore, e per con vincersi che Dio stesso ne guidasse i passi. Era veramente molto difficile che un cristiano di quella generazione dubitasse della giustezza delle decisioni imperiali e fosse disposto a opporvisi. Occorre tenere sempre presente la profonda convinzione nella mis sione divina di Costantino, per difenderci dal sospetto che quell'entu siasmo fosse dovuto esclusivamente a manipolazioni propagandistiche, secondo una ricetta che conosciamo per nostra esperienza. Se da un lato è sbagliato credere a tutto quel che proclamava la propaganda im periale, dall'altro è altrettanto sbagliato considerarlo menzognero solo perché si tratta di testi propagandistici: per ottenere il suo effetto la propaganda doveva pur sempre toccare le corde sensibili del cuore c della mente degli uomini. Nel caso di Costantino tutto ci induce a mo derare il nostro scetticismo. Egli, infatti, non solo riconobbe il cristiane simo come una religio licita, ossia conforme all'ordine legale dell'impe ro, ma in tempo brevissimo ne fece anche la religione personalmente appoggiata dall'imperatore, anzi la religione privilegiata.
6.4 Una pioggia di privilegi per la Chiesa I membri del clero ottennero l'inaudito privilegio dell'esenzione dalle tasse, sia quelle sulle persone sia quelle sugli immobili. Tale privilegio non poté essere mantenuto dagli imperatori successivi, benché il loro zelo religioso non fosse inferiore a quello di Costantino: il tesoro dello
1 Eusebio di Cesarea, Sulla vita di Costantino, 2lvi, 11, 55. 126
1!,
28.
Gli imperatori e la Chiesa
stato non era in grado di sostenere perdite di tale portata (in parte frut to della legge era stato infatti un fulmineo aumento del numero di ec clesiastici). Più durevole invece fu la decisione di esentare tutti i mem bri del clero dai pesantissimi munera.> Costantino introdusse anche la manumissio in ecclesia: la possibilità di liberare gli schiavi in chiesa in presenza del vescovo e con la sua confer ma scritta; gli ecclesiastici potevano liberare i propri schiavi sul letto di morte con una semplice dichiarazione, senza bisogno di altre formalità. Un'altra importantissima innovazione che contribuì ad aumentare il po tere laico dei vescovi fu l'episcopahr audientia: un procedimento arbitrale condotto dai vescovi su rrcliiesra'Ctdle partt \rC istiane); la decisione presa durante il suo svolgimento aveva forza di sentenza legale e non era sog getta ad appello. I n seguito fu accettato il principio per cui, per trasferi re la causa davanti al tribunale episcopale, bastava la volontà di una delle t due parti, senza tener conto delle proteste dell'altra. Inoltre fu imposta a tutti la santificazione della domenica: in quel giorno non si poteva lavorare (fatta eccezione per i lavori urgenti nei campi) né esercitare alcuna attività burocratica (eccettuato il liberare gli schiavi in chiesa). La Chiesa ottenne da Costantino cifre enormi per la costruzione di edifici destinati al culto cristiano; sotto il suo regno e con le sue donazio ni ne furono eretti molti, soprattutto a Roma e a Gerusalemme. Della scala dei lavori intrapresi e dell'impegno personale dell'imperatore testi monia la sua lettera al vescovo di Gerusalemme, Macario, a proposito della costruzione di una basilica sul Sepolcro di Cristo:
È bene,
dunque, che la tua Sollecitudine disponga e provveda alle singole ne
cessità che l'opera richiede in modo tale che non solo la basilica, ma anche le restanti parti della fabbrica, risultino di gran lunga più splendide se parago nate ai medesimi edifici esistenti in ogni altro luogo della terra: lo scopo che infatti ci proponiamo è che codesta costruzione vinca il confronto con tutti i
3 «Siano esentati dai munera d'ogni tipo, affinché non debbano venir richia mati dal servizio divino a causa dell'empia cattiveria di certe persone»: Codex Thedosianus, XVI, 5, l, del 326. Il termine munera (plurale del latino munus) inizialmente indicava tutti i doveri del cittadino romano nei confronti dello sta to; la loro entità e il loro carattere dipendevano dal patrimonio posseduto. Nelle città greche il corrispondente dei munera erano le leitourghiai, liturgie. Nella tarda antichità, a causa delle difficoltà economiche c del crollo del vec chio sistema di potere, i munera gravavano su tutti, eccettuate le categore privi legiate (alti funzionari, soldati, retori, medici pagati dallo stato c, infine, gli ec clesiastici). T doveri, a seconda dello status patrimoniale e sociale, potevano consistere nella prestazione di mano d'opera (nei panifici statali, nella costru zione di strade e fortificazioni, nello scavo di canali ccc.) o nello svolgimento di certe funzioni pubbliche per conto dello stato (esazione di tasse, scorta ai tra sporti di generi alimentari, organizzazione dei lavori pubblici ecc.) I munera di questo secondo genere comportavano sia l'impegno personale, sia l'impiego del proprio patrimonio.
127
Storia della Chiesa nella tarda antichità più begli edifici di ogni altra città. Sappi che noi abbiamo affidato al nostro
amico Dracilliano, che ricopre la carica illustrissima di prefetto, e al governa tore della provincia il compito di curare che la fondazione delle pareti venga eseguita in modo perfetto. La mia pia rcligiosità ha infatti ordinato che costo ro debbano subito provvedere a inviare artigiani, operai e tutto quanto sarà necessario alla
costruzione, non appena ne abbiano avuto richiesta dalla tua
Sollecitudine. Per quanto riguarda le colon ne
c
i marmi, dopo che li avrai
esaminati di persona, sarà tuo pensiero scriverei quali a parer tuo siano i mi gliori
c
i più preziosi. In questo modo, quando attraverso la tua lettera cono
sceremo la quantità e la qualità dci materiali di cui v'è bisogno, sarà possibile spedirtcli da ogni parte: è giusto che il luogo più straordinario c meraviglioso
mondo venga adornato così come esso merita. Desidero inoltre dchba essere a cassettoni o se debba avere un a foggia diversa. Perché se sarà a cassettoni, la si potrà anche rivestire in oro. Spetta ora alla tua Santità far conoscere al più presto ai fun zionari sopra menzionati il numero degli operai c de gli artigiani, come pure che esista al
sapere da te se pensi che la volta della basili ca
l'entità delle spese di cui vi è bisogno; provvederai inoltre a rivolgerti diretta mente a me non solo per quanto concerne i marmi per i cassettoni,
c
le colonne, ma anche
sempre che si giudichi che questo tipo di volta sia da preferi
re per la sua maggiore bellezza. iddio ti custodisca, diletto fratcllo.4
Sulla tomba di san Pietro a Roma l'imperatore fece posare una pesante croce d'oro con la scritta: «Costantino Augusto ed Elena Augusta ador nano d'oro questa casa regale, cinta da un santuario che risplende di pari fasto».5 Costantino inoltre sosteneva l'attività filantropica della Chiesa, offrendo a tal fine denaro e cibo. Sebbene ai propri occhi c agli occhi dei sudditi l'imperatore derivasse direttamente da Dio sia il fine sia i metodi delle sue azioni, egli non im pose alla Chiesa la propria supremazia nelle questioni di fede: secondo Costantino essa spettava al consesso dei vescovi. Possediamo alcune sue dichiarazioni sull'argomento che non lasciano dubbi. L'analisi particola reggiata del suo operato nelle questioni ecclesiastiche indica che tali di chiarazioni erano sincere.
6.5 Costantino al concilio di Nicea
Quanto mai significativo appare il comportamento di Costantino al conci lio di Nicea (325): ciò che in tale occasione fece c disse rivela chiaramente il suo modo di intendere le relazioni tra la Chiesa c il potere imperiale. I vescovi ricevettero da lui l'invito a partecipare al concilio, unitamen tc all'autorizzazione di servirsi della posta imperiale, il cursu�· publicus, e alla promessa di sostenere tutti i costi.
4 l
Eusebio di Cesar ea, Sulla vita di COJtantino, lbid. 128
111,
30-32.
Gli imperatori e la Chiesa
Il concilio si tenne in un'aula del palazzo imperiale. Per i vescovi ven nero preparati scranni disposti parallelamente alle pareti più lunghe, sui quali essi presero posto secondo un ordine prestabilito. Si fece silenzio e nella sala apparvero uno dopo l'altro i membri del seguito, composto da collaboratori cristiani dell'imperatore e non dai soldati della guardia che erano soliti scortarlo in pubblico. Quando il suono delle trombe annunciò l'approssimarsi del sovrano, tutti si alzarono in piedi. L'imperatore percorse il corridoio centrale («come il celeste angelo del Signore», scriverà poi Eusebio), in veste purpurea decorata d'oro e di gemme, avvolto dallo scintillio dalle pietre preziose. Giunto alla prima fila di scranni, si fermò: gli fu posto davanti un piccolo sedile d'oro massiccio, sul quale l'imperatore rifiutò di sedersi finché i vescovi non glielo consentirono; dopo di lui presero posto tutti gli altri. Uno dei ve scovi (sicuramente Eusebio di Nicomedia) pronunciò il saluto di benve nuto per l'imperatore. La scelta del sedile non era casuale. Era piccolo, perché l'imperatore desiderava sottolineare il suo rispetto per la Chiesa rappresentata in quella circostanza dai vescovi convenuti; ma il materiale di cui era fatto ricordava che vi si sedeva sopra il padrone del mondo romano; l'umiltà verso i vescovi non annullava certo le differenze tra lui e il resto degli uomini. Altrettanto eloquenti erano l'assenza delle guardie, compensata dalle vesti imperiali da cerimonia, c la cortese attesa del gesto che lo in vitava a sedersi, al quale seguì però un solenne discorso (di prammatica in quei casi). L'imperatore rispose in latino, dopodiché le sue parole vennero tra dotte in greco, lingua che Costantino, di area latina, parlava meno bene. Il mio più ,·ivo desiderio, o amici, era quello di poter un giorno godere della vista del vostro consesso, e ora che sono stato esaudito so molto bene che è mio dovere render grazie al sovrano dell'universo, poiché in aggiunta a tutti gli altri benefici, mi ha concesso anche il privilegio di assistere a un avveni mento il cui valore supera di molto qualsiasi altro bene, il sapervi cioè qui tutti riuniti e il vedcn·i accomunati turri da un'unica e concorde volontà. Fate dunque in modo che un nemico invidioso [ossia il diavolo] non rechi danno ai beni di cui godiamo, e badare a che il demone maligno, dopo che con l'aiu to della potenza di Dio, nostro Salvatore, ci siamo definitivamente liberati della guerra mossa dai tiranni contro la religione, non utilizzi una strada di versa per coprire di calunnie e bestemmie la legge divina. Io considero la ri volta intestina alla Chiesa di Dio ancor più spiacevole di qualsivoglia guerra e battaglia r
...
].
Quando con il consenso e con l'aiuto dell'Onnipotente conseguii le vittorie contro i nemici, pensavo che non restasse altro da fare che rivolgere le pre ghiere di ringraziamento al Signore cd esultare insieme con tutti coloro che, con il concorso della nostra stessa azione [sic.'], erano stati da lui liberati. Ma non appena, contro ogni aspettativa, ricevetti noti zia della vostra controver sia, non sottovalutai quanto mi veniva riferito, 129
c
auspicandomi che anche in
J
Storia dell.a Chiesa nella tarda antichità questo frangente la mia opera potesse offrire il giusto rimedio, senza porre in dugio chiamai tutti voi a raccolta. [.. ] Riterrò p ienamente esauditi i miei voti .
soltanto quando vedrò che in tutti voi si è realizzata la più completa unani mità di idee e di intenti e in tutti predomi na una sola e concorde volontà di
pace, quella pace di cui voi, che siete consacrati a Dio, dovreste dare l'esem pio anche agli altri. Orbene, carissimi mi n istri di Dio e fedeli servitori di colui che è il comune Signore e Salvatore di noi tutti, io vi esorto a com inciare da questo momento stesso la discussione sui motivi della vostra controversia e a non tardare a risolvere secondo le leggi della pace nttti i nodi della disputa. In questo modo potrete non solo fare cosa gradita a Dio Onniporenre, ma renderete anche a me, al vostro conservo, un immenso servigio.6
Si osservi che parlando dei vescovi, Costantino li chiama "amici" (philoi) e "conservi" (syntherapontes); non si arroga W1 ruolo particola re nel corso del concilio, pur dichiarando senza mezzi termini di averlo personalmente convocato. Quando l'imperatore ebbe finito, la presidenza del dibattito fu assun ta da Osio, vescovo di Cordova, da molti anni consigliere di Costantino. L'imperatore sedeva in disparte, in modo pe.rò da partecipare ai dibatti ti. Non dobbiamo dubitare della sua sincerità quando parlava di rispet to nei confronti dei vescovi: Costantino era senz'altro convinto che at traverso il coro concorde delle voci episcopali parlasse Dio stesso, con ferendo la propria sanzione al consesso. L'imperatore non aveva alcW1 motivo di esprimere opinioni che non condivideva, né di ingraziarsi persone profondamente dipendenti da lui e a lui profondamente rico. noscenu.
6.6 Le liti tra i vescovi e gli interventi imperiali Ma le convinzioni di Costantino non bastavano a tutelare la Chiesa dai suoi interventi. La causa di questi, infatti, risiedeva non nelle ambizioni del sovrano, ma nella situazione della Chiesa stessa, nelle divisioni che si verificavano al suo interno e che rendevano necessario l'arbitrato im periale. Le divisioni nella Chiesa di quel tempo erano di varia natura. I suoi vescovi erano capaci di farsi l'W1 l'altro guerre banali, che anche in se guito non mancarono: per i confini di una diocesi, per gli introiti, per gli ecclesiastici che a dispetto dei canoni si trasferivano da una diocesi all'al tra, per l'atteggiamento assunto io occasione dell'investitura di seggi ve scovili rimasti vacanti (argomento già diffusamente trattato nel capitolo l). All'inizio del TV secolo la Chiesa non aveva molta esperienza nella so luzione di questi conflitti; i tempi precostantiniani, per comprensibili motivi, non favorivano gli animi litigiosi. Ora, nella nuova situazione, i
6
IVI, . [ll, · · 12 . IJO Copyrigflted
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ae t rial
Gli imperatori e la Chiesa
vescovi in conflitto tra loro tentavano di conquistarsi l'appoggio dell'im peratore e di spuntarla grazie al suo intervento. Esisteva già un prece dente: nel 272 Aureliano era stato pregato di risolvere un conflitto nella Chiesa antiochena tra Paolo di Samosata e i suoi awersari, i quali, conformemente alla decisione del sinodo che aveva condannato Paolo, pretendevano la restituzione della casa vescovile. Se gli antiocheni aveva no potuto sottoporre la questione a un sovrano pagano, perché non cer care giustizia presso un imperatore cristiano? Durante il concilio di Nicea ebbe luogo un episodio significativo. Costantino portò in sala le accuse di vescovi contro altri vescovi, presentate durante i dibattiti, di chiarando che non le aveva lette e che le avrebbe fatte bruciare: «Dio vi ha resi sacerdoti, dandovi il potere di giudicare anche noi, come infatti giustamente awiene. Voi invece non potete venir giudicati dagli altri ..) Non conviene rivelare gli errori dei sacerdoti al popolo, affinché non ne tragga motivo di scandalo, per poi peccare senza timore».7 Tuttavia non furono questi banali litigi a indurre l'imperatore a inter venire nelle faccende della Chiesa. Alle soglie del lV secolo il cristianesi mo era attraversato da conflitti gravi, accaniti e durevoli, che coinvolge vano centinaia di migliaia (se non milioni) di persone. Le Chiese di due regioni erano state lacerate da scismi interni, la cui genesi risaliva ai tem pi delle persecuzioni; nell'Africa settentrionale i donatisti si erano con ieruno rib_sllati ai trapposti ai fautori di CecJiano; m f:gtfto't successori del vescovo diX:lessanaria, Pietro. Piu gravi ancora eranogl'i effetti dì un confhtto d1 natura"""tttot rin'àTe : l'arianesimo, sorto ad Alessandria, aveva prodotto una grave frattura nel cristianesimo orienta le. Un imperatore cristiano non poteva non intervenire in tali contrasti, non poteva non leggere le denunce che gli venivano sottoposte.
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6.7 La contesa tra cattolici e donatisti Lo scisma in Africa era il risultato dei conflitti scoppiati dopo la fine delle persecuzioni decretate da Diocleziano, conflitti che riguardavano la valutazione del comportamento del clero ai tempi delle repressioni. Ho già avuto occasione di accennarvi a proposito di Mensurio, vescovo di Cartagine, rappresentante di quel gruppo di ecclesiastici che avevano consegnato i libri sacri dando il via a una controversia. Questi vescovi troppo accondiscendenti erano andati incontro a numerose critiche, so prattutto nelle località dove si erano verificati casi di autoaccusa da par te di comuni fedeli, e dove cristiani erano stati messi a morte o avevano subito gravi sofferenze a causa della loro fede. La durezza degli attacchi contro i pastori indegni derivava dalla convinzione, a quel tempo diffu sa in tutta l'Africa, che i sacramenti impartiti da tali traditores non aves sero alcun valore e che quindi sugli ecclesiastici da loro consacrati pe7 lvi, TTT, 13. 131
Storia della Chiem nella tarda antichità
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sasse una macchia. Bisognava allontanare al più presto dall'esercizio delle funzioni pastorali quelle persone indegne. I conflitti scoppiati in Africa erano caratteristici dei periodi successivi alle persecuzioni: anche le Chiese del TTT secolo li avevano conosciuti. Non sempre, al momento della prova, gli ecclesiastici si rivelavano al l'altezza del loro compito, non tutti erano capaci di riconoscerlo e di ri tirarsi di buon grado dalla carica esercitata. In realtà la direzione verso la quale si evolveva la Chiesa alimentava un crescente scontento nelle comunità, e i dissensi sul comportamento del clero durante le persecu zioni serviva semplicemente a incanalarlo. La ricchezza delle comunità esigeva un'amministrazione adeguata, affidata a persone non tanto de vote, quanto competenti, che talvolta sfruttavano la loro posizione per accumulare denaro a proprio vantaggio. Il clero, sempre più fortemente inserito nel tessuto sociale, era duro e superbo, e negava ai fedeli il di ritto di criticarlo. Lo stile di vita delle comunità cambiava rapidamente. Se la mancanza di umiltà si univa alla vigliaccheria e a un'arte del com promesso moralmente sospetta, i fedeli erano pronti a schierarsi dalla parte dei rigoristi, che sollecitavano severi rendiconti. Nell'Africa settentrionale le Chiese erano più sensibili che altrove all'i nadeguatezza del clero. Per la tradizione africana il valore del sacramento dipendeva dal valore della persona che lo impartiva. Ci riano, per esem pio, contrariamente a quanto si sosteneva nelle altre Chiese Occidente, riteneva che il battesimo impartito da un eretico o da uno scismatico (a quei tempi la differenza non era chiaramente avvertita) non avesse valore di sacramento e dovesse essere ripetuto. È dunque in questa prospettiva che va interpretato il donatismo: quanto più aumentavano le esigenze nei confronti dei membri del clero, tanto più dolorosamente se ne avvertiva no le manchevolezze. Paradossalmente, i donatisti furono dunque gli eredella lotta di Cipriano per l'unità e la zwne della Chiesa. Cills"a àitetca delio sCiSma fu l'attacco contro il nuovo vescovo di Ceciliano, i edenza arc1dlatonopressò1V1t:nmì1"0 , uomo Ca openso p 1fèooor rndiatli""écl;e certo doveva aver ecipato ai tentativi di eliminare dalla Chiesa locale gli influssi dei più ardenti en tusiasti (quale fosse stato il suo ruolo è difficile dirlo: le false accuse da una parte e dall'altra non mancavano). La sua elezione era avvenuta nel la seconda metà del311 o agli inizi del312, e sicuramente si era svolta in fretta, per evitare la probabile opposizione degli avversari, numerosi so prattutto fuori Cartagine.� All'atto di consacrazione presero parte tre ve scovi di città vicine, tra i quali una figura che si sarebbe mostrata in se guito controversa: Felice Abtunga, accusato da tutti di traditio, o con il loro segna dei libri 1
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sacri. Quan o settan a vescovidellai':rumìérìa';""con
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8 Il vescovo di Cartagine non era solo il capo dci vescovi della provincia dell'Africa proconsolare: la sua influenza si estendeva tradizionalmente anche oltre, su tutta l'Africa settentrionale, per cui la sua elezione non riguardava esclusivamente la Chiesa cartaginese.
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Gli imperatori e la Chiesa
rimate Secondo, giunsero a Cartagine per prendere parte all'elezione, ovcttero �tatare che essa era già avvenuta. Secondo allora rifiutò di conoscere Ceciliano. l vescovi ostili a Ccciliano convocarono nel 312 un sinodo che lo de.. !!!l [.2S>se dalla.carica, sostenendo che la consacraziOne eFf'èrn:nmt da un vescovo indegno non aveva alcun valore; inoltre si accusava il nuovo pa store di Cartagine di aver rifiutato, durante le persecuzioni, il cibo ai fe deli incarcerati. Pare che Ceciliano fosse disposto a sottoporsi una se conda volta alle cerimonie di consacrazione, ma per il sinodo la propo sta era inaccettabile. �� quindi un nuovo vescovo, Mag riQS> . Alh sua_!]orte, avve nuta poco dopo, il suo os o u eso da pnato di C asae N}grae, ve _ cl Sahara, uomo di gran scovo di una piccola loca ita num1 a ai limiti èf dc ener gia e coerente rigorista, che già da tempo si era fatto notare. Fu dal suo nome che gli scismatici vennero chiamati "donatisti". Costantino, che dopo la vittoria su Massenzio aveva assunto il gover no dell'Africa, trovò dunque divisa la sua Chiesa. Fin dall'inizio l'impe ratore si schierò dalla parte di Ceciliano, molto probabilmente su sug gerimento di Osio,9 gli fece dono di un'ingente somma di denaro e rac comandò al governatore di aiutarlo in ogni modo. L'esenzione dai mu nera doveva riguardare solo i suoi seguaci. l donatisti si appellarono all'imperatore:
�
Ti preghiamo, ottimo Cesare, tu che provieni da una famiglia giusta, tu, il cui padre, unico tra i cesari, non ha indetto persecuzioni, grazie alla qual cosa le Gallie sono immuni da tale delitto [ossia dalla traditio]. Poiché in Africa è in atto una contesa tra noi
e
gli altri vescovi, ci raccomandiamo alla Tua Pietà af
finché ci faccia assegnare dci giudici delle Gallie.10
Questo testo, firmato da quattro vescovi della pars Donati, fu consegnato al governatore dell'Africa con la preghiera di trasmetterlo all'imperatore. Costantino acconsentì, nominando t�yescovig_allici.. che dovevano i!:!tffioga:fele partÙ ROm�, m presenza dd vescovo romano � La pì-oceaura subì ulteriori com-ptti:azioni quando costui aggiunse al consesso giudicante altri quattordici vescovi italici. Nell'ottobre 313 fu quindi convocato il sinodo. Dopo tre giorni di tempestose discussioni i partecipanti assolsero Ceciliano. [ donatisti respinsero la sentenza, sostenendo che Milziade non aveva diritto di giudicarli, essendo egli stesso un uomo indegno di occupare la
• Altrove i vescovi erano coerentemente ostili ai donatisti, perché non riusci vano a comprendere il senso di un odio così accanitO per i traditores: in altre parti dell'impero la questione non suscitava tanta emozione. 10 I testi donatisti citati si trovano nell'opera di OttatO (Optatus) di Milcvi, Adversus Parmenianum donatistam, in Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum l,atinorum, Wien 1893, vol. XXV!, pp. 25-26.
133
Storia dello Chiesa nella tarda antichità sua carica, in quanto consacrato da Marcellino, macchiatosi, secondo i donatisti, di apostasia. Si appellarono nuovamente all'imperatore, il quale decise di rinnovare il processo, affidando la causa a un altro e più vasto consesso di vescovi, convocato ad Arles. I dibattiti si svolsero alla presenza dello stesso Costantino. Vi partecipavano trenratré vescovi e gli argomenti comprendevano varie questioni di disciplina ecclesiastica. IJ sinodo approvò dei canoni (placuit ergo praesente Spiritu Sancto et an gelis eiusdem: <). I donatisti furono nuovamente condannati e ancora una volta si appeUarono all'imperatore. Costantino rispose con una lettera infuriata, dalla quale apprendiamo che il sovrano aveva ordinato al go vernatore di Cartagine di arrestare i donatisti più attivi. In Italia la loro delegazione fu temporaneamente arrestata. Nel febbraio 315, per ordine deiJ'imperatore, le autorità laiche di Cartagine aprirono sul conto di Felice di Abtunga tm'inchiesta, che si concluse con la sua assoluzione. La questione però era tutt'altro che risolta: i donatisti continuavano a presentare dentmce e a inviare delegazioni. A un certo punto l'imperato re deve essere giunto alla conclusione che le loro accuse non erano forse del tutto prive di fondamento, poiché ordinò un riesarne della causa e convocò Ceciliano e Donato insieme ai loro seguiti, sperando cosi di porre fi.ne aUo scisma. Dopo ripetute udienze, svoltesi in diverse città, nel novembre 316l'imperarore dette nuovamente ragione a Ceci�ano (si trattava ormai del terzo verdetto di assoluzione) e decise di reprimere i ribelli. Nella primavera del J 17 fu ordinata la confisca delle chiese ap partenenti ai donatisti, e a Canagine la sentenza fu eseguita da soldati appoggiati dai seguaci di Ceciliano. Ci furono le prime vittime: ormai i donatisti avevano i loro martiri (tra i quali i vescovi di due piccole città africane). Alcuni tra i donatisti più eminenti furono mandati in esilio. Le repressioni durarono fino al 321, quando l'imperatore, che si pre parava aUa campagna contro Licinio presentata dalla propaganda come la guerra dei cristiani contro il ti.raru10 pagano, riconobbe che le perse cuzioni in Africa avrebbero danneggiato la sua immagine presso i sud diti (un imperatore cristiano che combatteva altri cristiani a causa della loro fede!). Ma quando Costantino fece richiamare i donatisti dall'esi lio, lo scisma dilagò. In molte località i donatisti divennero talmente potenti da riuscire a privare i membri del clero cattolico dei privilegi fiscali concessi dall'im peratore, costringendoli a espletare i munera, sebbene l'imperatore con. . tmuasse a npetere: Siamo venuti a sapere che i membri del clero della Chiesa cattolica subisco no tali vessazioni da parte della fazione degli eretici da essere oppressi da nomine o esazioni, che la costumru1za pubblica richiede, contro i privilegi accordati .loro. E perciò piace, se la rua Autorità troverà qualcuno vessato in tal modo, cbe a questo medesimo venga sostituito un altro e che, in secondo 134 Copyrighted
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aterial
Gli imperatori e la Chiesa luogo, le ingiurie di siffatto genere siano tenute lontane dagli uomini della summenzionata religione 1 1 .
E ancora: I privilegi che sono stati concessi a motivo della religione, devono giovare sol tanto a coloro che osservano la legge cattolica. Quanto agli eretici e agli sci smatici, non solo vogliamo che essi siano estranei a questi privilegi, ma anche che siano vincolati e sottomessi a diversi obblighi. 12
Quando, a Cina, i donatisti si impossessarono della basilica costruita da Costantino, l'imperatore non poté fare altro che costruirne un'altra per i cattolici. Attorno al 336 Donato riunì nel suo sinodo di Cartagine più vescovi di quanti avesse riunito Costantino a Nicea. Malgrado le con danne dell'imperatore e angherie di varia natura, lo scisma continuava e acquistava sempre nuovi seguaci. Come si vede, l'intera vicenda è particolarmente interessante. Il suo esempio dimostra quanto vano fosse l'operato dell'imperatore quando in contrava resistenza, quanto poco contassero i suoi ordini, i privilegi e il sostegno finanziario accordati a una delle parti. Le possibilità del monar ca di influire sul modo di pensare dei sudditi erano alquanto limitate (lo stato della tarda antichità non possedeva certo l'efficacia operativa dei re gimi totalitari del xx secolo). Anzitutto l'imperatore non era in grado di formare l'opinione pubblica se non attraverso le élite locali: non possede va i mezzi di comunicazione odierni, capaci di scavalcare l'élite parlando direttamente alle masse. Il sovrano poteva esercitare una pressione sulle élite laiche ed ecclesiastiche (c lo faceva); ma se, per una qualche ragione, esse si dimostravano restie, gli ordini imperiali rimanevano lettera morta. Lo storico provvisto di senso critico dovrebbe guardare con diffidenza ai documenti contenuti nel dossier dei donatisti, poiché essi presentano gli avvenimenti in modo tale da rendere impossibile trovanri un senso. Se l'innocenza di Ceciliano era tanto evidente, come mai Costantino, che fin dall'inzio non nutriva alcuna simpatia per i donatisti, acconsentì a vari giudizi successivi e convocò sempre nuove commissioni per riesami nare le accuse? Inoltre esitò a lungo prima di intraprendere una repres sione su vasta scala, e anche allora essa venne condotta in modo fiacco, inadeguato alle minacce c alle possibilità imperiali. Il dossier presenta i donatisti come piccoli intriganti accaniti e spesso personalmente disone sti, avidi di cariche ecclesiastiche e ingiustamente aggressivi nei confronti del clero cattolico. Accogliendo senza riserve un simile punto di vista, forse riusciremo a spiegare come mai un particolare ecclesiastico della pars Donati vi abbia aderito, ma non capiremo perché lo abbiano fatto masse di fedeli.
11 12
Codex Theodosianus, XVI, 2, l, del313. Codex Theodoszànus, XVI, 5, l, del326. 135
Storia della Chiesa nella tarda antichttà
La storia dello scisma, infatti, mostra che i donatisti godevano del va sto e durevole consenso di una parte del clero, un consenso non turbato da vessazioni di tipo fiscale (dato che l'esenzione dalle tasse e dai mune ra era riservata ai soli cattolici, gli ecclesiastici donat:sti pagavano lette ralmente le proprie convinzioni a carissimo prezzo), e, fatto ancora piLI importante, dell'appoggio delle masse. Proprio per questo Costantino tentò ripetutamente di giungere a un accordo: l'imperatore si rendeva conto della forza dei donatisti e sapeva che non era possibile stroncare l'eresia ricorrendo alla violenza. Gli abitanti della città africane non avrebbero appoggiato i donatisti se non fossero stati convinti che gli scismatici fossero, almeno in maggioranza, persone oneste e che le loro accuse contro i cattolici fossero fondate. Le masse si possono manipola re (e infatti i rigoristi vi riescono), ma la manipolazione ha i suoi limiti: va a buon fine solo se le masse condividono almeno in parte le opinioni dei manipolatori.
6.8 Dubbi sul valore dei dossier Il dossier di cui disponiamo si compone di vari documenti: scritti impe riali, delibere sinodali, relazioni delle sedute dedicate al conflitto, rac conti delle repressioni subite da alcuni protagonisti degli avvenimenti. Vi si trovano anche testi di parte donatista, ma in numero esiguo. L'insieme è stato raccolto dai cattolici come materiale probante nella lotta contro i donatisti; si tratta quindi di una serie di fonti manipolate. Non credo di dover spiegare al lettore quanto sia facile manipolare i documenti (tagliandoli, accostandoli secondo un certo ordine, elimi nando i testi fondamentali e introducendone di secondari ecc.) e non ho intenzione di suggerire che la manipolazione dei materiali fosse ap pannaggio esclusivo dei cattolici (W!o.l.l.a�isti fac_svae.s.la stessa cosa, ma ; manipolazioni). Desidero �troppo non possediamo il frutto del le!;o SOf o-SOfffi!inearecl'lttleFonb a nostra disposizione favoriscono i cattoli ci, il che non significa affatto che si debba dar ragione a priori ai dona tisti, sebbene esistano in ambito storiografico testi che si contraddistin guono per la simpatia concessa ai donatisti in contrapposizione alla vi sione agiografica degli eventi proposta dagli studiosi cattolici. Nel corso della controversia le parti presentarono all'imperatore, ai sinodi e ai funzionari vari documenti, sul valore dei quali si svolsero ri petute battaglie. Ogni volta i donatisti presentavano sicuramente nuovi materiali allo scopo di riaprire la procedura conclusa dalle sentenze precedenti. Qual era il loro valore? Esaminiamo un caso tra i tanti. La base delle accuse rivolte contro Felice di Abtunga consisteva nella testimonianza scritta di Alfio Ceciliano, che nel303era magistrato municipale Ji Abtunga con il titolo di duovir, c quindi persona direttamente coinvolta nell'attuazione degli ordini conte nuti nell'editto di persecuzione. Alfio Ceciliano sosteneva che Felice ave136
Gli imperatori e la Chiesa va consegnato in chiesa i libri proibiti ai persecutori per paura che questi gli bruciassero la casa. Felice avrebbe detto: «Tieni la chiave e prenditi i codici che troverai nel trono vescovile e su una pietra [sic']. Bada però che i funzionari non si portino via olio c grano».11 Si trattava dunque di una prova irrefutabile di colpevolezza. Ma quando, per ordine dell'impe ratore, la faccenda fu esaminata dal procuratore della provincia, Alfio Ceciliano ritrattò le sue dichiarazioni, sostenendo che la testimonianza era stata in parte falsificata, e di questo incolpava un certo lngenzio, che l'a vrebbe ingannato. lngenzio si sarebbepresentato al duovir come uomo di Felice, e gli avrebbe ch1esto una conferma scntta dètt'efteni ,;osyò1girmn toaèì fatti. Ceciliano allora aveva scritto una lettera, che era stata falsifica ta con l'introduzione di informazioni che accusavano Felice. lngenzio, a quanto pare, era personalmente interessato a falsificare la dichiarazione di Ceciliano, poiché era in possesso dei costosi codici che appartenevano alla Chiesa e che non intendeva restituire. La lettera con cui si accusava Felice sistemava quindi le cose. Sottoposto a tortura, Jngenzio finì per confessa re la sua colpa. Oggi, però, è impossibile stabilire in quale occasione Alfio Ceciliano abbia mentito; inoltre la confessione estorta sotto tortura non riveste per noi alcun significato, poiché è noto che le torture servono a chi conduce l'inchiesta, non certo a stabilire la verità. Non possiamo nemme no illuderci circa il fatto che i materiali siano stati raccolti in un'atmosfera carica di pressioni d'ogni genere, ricatti e corruzione. Il fatto che i donatisti non fossero riusciti a presentare le prove della colpevolezza di Ceciliano (ci riferiamo stavolta al vescovo di Cartagine) e di altri cattolici non significa necessariamente che essi fossero inno centi: chi non apparteneva alla curia cartaginese poteva avere difficoltà a ottenere le opportune dichiarazioni scritte (oppure la promessa vinco lante di fare una deposizione verbale) da persone sottoposte alla minac cia delle persecuzioni. Così come non risulta convincente il valore dei materiali presentati dai cattolici contro i donatisti; per coloro che abita vano nelle località in cui le Chiese erano in mano agli scismatici, depor re contro di loro era difficile (e pericoloso). Entrambe le parti presenta vano quindi i testimoni più comodi, allontanavano quelli meno favore voli e ostinati, terrorizzavano la gente, fabbricavano documenti falsi. Tutti, donatisti e cattolici indistintamente, manipolavano i documenti, e tutti ricorrevano alla violenza. Sicuramente già allora era impossibile appurare la verità o stabilire chi, come e quando avesse detto o fatto una certa cosa. Costantino lo sapeva perfettamente, né poteva illudersi circa il valore del materiale che gli veniva presentato c sul quale doveva decidere. L'unica cosa che si può dire è che si mostrò estremamente di sponibile ad appurare la verità obiettiva dei fatti. L e controversie della Chiesa africana si prolungarono negli anni suc cessivi; gli imperatori seguirono la strada indicata da Costantino, ap11 Acta purgatiunis Felicis ept.rcopi Autumnitani, in Corpus Scriptorum Ecclesta.rticorum Latinurum, cit., vol. XXVI, pp. 197-204.
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Storia delta Chiesa nella Iarda antichità poggiando i cattolici e reprimendo sporadicamente i donatisti. Nel 347 Costanzo inviò in Africa due suoi dignitari con l'incarico di ristabilire l'unità religiosa, ma l'effetto del loro operato furono nuovi, cruenti di sordini. Fu allora che Donato avrebbe pronunciato la famosa frase: Quid est imperatori cum ecclesia? («Che cosa c'entra l'impenttore con la Chiesa?»), prima di una lunga serie �i dichiarazioni di ostilità e di diffi denza verso gli interventi imperiali. E evidente che a pronunciarla fosse un rappresentante della parte oppressa, sempre più consapevole del fat to che non avrebbe indotto l'imperatore a schierarsi in suo favore: in precedenza i donatisti non avevano esitato ad appellarsi all'imperatore.
6.9 Il ruolo di Costantino nella fase iniziale della controversia ariana Per quanto il conilitto tra donatisti e cattolici dovesse irritare Costantino a causa del suo lungo protrarsi, la linea d'azione seguita dall'.imperatore fu sempre chiarissima: egli sapeva infatti quel che doveva fare, sebbene i ristùtati non fossero brillanti (e non certo per colpa sua: nessuno allora si rendeva conto di quanto la temperie emotiva impedisse di conseguire un accordo). Le cose andarono però diversamente in occasione della gran de controversia ariana che coinvolse l'Oriente di lingua greca:· un con flitto più profondo, più grave, molto più complesso, dove gli interventi di Costantino non seguirono un percorso netto e lineare. Alla storia del la controversia ariana dedicherò il prossimo capitolo, nel quale cer cherò di tratteggiare il contenuto della controversia, le parti in causa, la logica delle polemiche e delle lotte. Per ora vorrei limitarmi ad analizza re gli interventi imperiali ne!Ja questione. U conflitto, che si andava espandendo a macchia d'olio, fu un vero e proprio trauma per l'imperatore, il quale non comprese, soprattutto al l'inizio, che era impossibile liquidarlo ricorrendo alle armi consuete del la persuasione o della repressione. Certo, in quegli anni nessuno poteva immaginare che nella storia della Chiesa si stesse aprendo un lungo pe riodo di crisi. Con sincerità e intensità straordinarie Costantino mirava all'unità del mondo cristiano, neUa quale vedeva una condizione indi spensabile per l'affermazione della potenza imperiale. Ai suoi occhi, in fatti, la forza dell'impero non era il semplice risultato del normale ope rare umano, degli sforzi di un'amministrazione efficiente e di un eserci to disciplinato: l'impero traeva la sua forza da Dio. In una deUe sue let tere Costantino scriveva: «Poiché rendo sinceramente onore a Dio, re gna ovunque la pace». Come poteva pensare che Dio concedesse la gra zia a cristiani litigiosi e tollerasse i comportamenti di eretici che lo of fendevano? Un monarca che non avesse compiuto i doveri impostigli da Dio non poteva aspettarsi né vittorie né successi. Inoltre, come tutti gli uomini della sua epoca, Costantino avvertiva la perenne minaccia delle forze malefiche per l'umanità, ed era convinto che i conflitti deUa Chiesa spianassero la via a Satana. 138 Copyrighted
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Gli imperatori e la Chiesa
�ità della Chiesa era necessaria all'im eratore per motivi di ordine -.e: ligioso-:=='non pratico-propag_an istico, come spesso suggenscofio� stonddellaCli1esa. Costantino non mtendeva servirsi della Chiesa come di un'organizzazione compatta ed efficiente al servizio del potere impe gnato a contrastare la decadenza dell'impero. Un'idea del genere era in concepibile per la mentalità di quei tempi: chi gliela attribuisce trasferi sce al passato meccanismi di potere tipici della nostra epoca. inoltre, grazie agli sforzi di Diocleziano e dei suoi collaboratori, agli inizi del IV secolo l'impero era ben !ungi dal crollare, e la crisi che in seguito soprav venne riguardò soltanto una parte del mondo mediterraneo: non affret tiamoci dunque a seppellire l'impero prima del tempo. La controversia ariana scoppiò ad Alessandria, e aveva per oggetto la relazione tra Cristo e Dio Padre. Ario e i suoi seguaci sostenevano che Cristo era nato per effetto di un atto creativo della volontà di Dio. Inizialmente dicevano anche che il figlio era nato "dal nulla" ma, di fron te alla violenta opposizione suscitata da quella radicale affermazione, ben presto l'abbandonarono. Rinunciarono anche alla formula secondo la quale c'era stato un tempo in cui Cristo non esisteva, sostenendo che l'o rigine dell'esistenza del figlio andava cercata in categorie antologiche, e non cronologiche. Secondo Ario il Figlio, sebbene eteruo e con tutti g!L attributi della divinità (non è vero che gh ariani privassero Cristo della �a), era sotto ogni aspetto gerarchicamente inferiore al Padr�. Non sa�sattamente quanao 1\no cominciò a diffondere la sua dottrina; sembra però che le prime reazioni da parte del suo principale oppositore, il vescovo alessandrino Alessandro, abbiano avuto luogo tra il 315 e il 317. Atessandro giuCII�ò ra=quesuone abbastanza grave per co�vo�;re un�do, che condannò Ario. Questi, però, si era già con quistato forti appoggì denfro c:foori-1\:te1>sandria; di conseguenza, la sentenza del sinodo non poteva che portare a uno scisma. Entrambe le parti iniziarono allora un periodo di intensa attività propagandistica: sia Alessandro che Ario inviarono a molti vescovi dell'Oriente cristiano let· tere che illustravano i princìpi della propria fede e le circostanze in cui era nata la controversia. � a...;u .J;4 te di Ario si schierarono fin dall'inizio Eusebio, v� dell'importa�k"Zfttà "Ji--�ò;;;e�ii;- (ai tempi di -DìoéleZiano era stata una capitale imperiale) nonc�-un altro Eusebio, il vescovo di Cesarea di Palestina. Su iniziativa di questi ultimi s1 svolse ro 'duè'picco1i"SSri'i'a in -Èitlniae in Palestina, che dichiararono "orto dosse" le opinioni di Ario. Costantino intervenne nel conflitto alla fine del 324, dopo la vittoria \ su Licinio. Su ordine dell'imperatore giunse ad Alessandria Osio, con una lettera per i due esponenti della controversia, nella quale Costantino li invitava a riconciliarsi, sottovalutando però l'oggetto del contendere (ne citerò ampi frammenti all'inizio del capitolo seguente). Ma l'effetto dell'invito fu praticamente nullo. Osio, che simpatizzava apertamente per Alessandro, prese in seguito parte al sinodo di Antiochia (inizio del 325), composto in larga maggioranza da opptlsit�o (teniamo
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L.:impero romano nel i__
IV
secolo
SOOkm
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Confini tra l'impero Occidentale e quello Orientale Confini delle diocesi Confini delle province
Stora i della Chiesa nella tarda antichità
presente che questi sinodi minori di solito radunavano vescovi della me desima idea, quindi non c'è da stupirsi che prendessero decisioni diarne· tralmente opposte). Nel frattempo i due schieramenti operavano per assicurarsi l'appog gio dei vescovi; venivano scritte lettere aperte, trattati polemici, e gli stessi interessati, o i loro inviati, giravano da una città all'altra. L'insuccesso dei tentativi intrapresi dovette rivelare a Costantino la vera entità della controversia e la conseguente necessità di convocare un consesso di vescovi più vasto, con rappresentanti di entrambe le pani e dotato di sufficiente autorità per approvare una professione di fede va lida per tutti. Il modello era quello del sinodo diArles, convocato anni prima per risolvere gli scismi in Africa. Inizialmente si pensò di farlo svolgere adAncira, ma quando Costantino si rese conto che la sua pre senza sarebbe stata indispensabile, convocò i vescovi in una città posta vicino alla propria residenza (che nel 325 era ancora Nicomedia). Furono invitati nmi i vescovi, ma la fatica dd viaggio e le malattie dei pastori, quasi tutti in età avanzata, fecero sì che solo una minoranza ar rivasse a Nicea. Il sinodo radunò dunque più di duecento partecipanti, provenienti da varie diocesi d'Oriente, mentre dall'Occidente non giun. se quast nessuno. Ho già descritto l'apertw·a del consesso e l'atteggian1ento di Costan tino: l'imperatore voleva un ristùtato unanime, in quanto mirava alla concordia della Chiesa e non a schiacciare la parte perdente. Entrambi gli schieramenti annoveravano vescovi che egli conosceva personaLuen te e che stimava: Osio, Eusebio di Nicomedia, Eusebio di Cesarea e al tri ancora. Costantino fece dunque quanto era in suo potere per ottene re il risultato sperato: Ascoltava pazientemente tutti i discorsi, seguendo con la massima attenzione le proposte presentate. Ora intromettendosi, ora incoraggiando ciò che dicevano le due parti, poco a poco riuscì a conciliare le opposte pos izioni Parlando se .
renamente con tutti e servendosi della linj,'11a greca, che pure conosceva, sem pre amabilissimo e lieto, convinceva gli uni con la forza delle sue ragioni, altri li persuadeva con la preghiera ; colmava di lodi quanti esprimevano giuste opi· nioni, invitando rutti alla concordia. Così facendo, riuscl finalmente a rendere tutti concordi e unanimi su tutte le questioni prima controverse. 14
Dopo le discussioni (di cui purtroppo sappiamo poco, non essendosi conservati i protocolli del concilio) i vescovi riuniti a Nicea approvaro no il testo della professione di fede, firmata da tutti tranne che da due stretti seguaci libici di Ario: Secondo di Tolemaide e Teone di Marmarica. Ario fu condannato dal concilio. Se non si può J)arlare di unanimità assoluta, si trattò pur sempre di un risultato imponente, con siderando che tra i vescovi presenti il gruppo dei sostenitori diArio era 1q
Socrate Scolastico, Storia ecclesiastica, ediz. G.Ch. Hanson,
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Gli imperatori
e
la Chiesa
inizialmente molto numeroso (anche se ben lontano dal costituire la maggioranza). L'imperatore contribuì al risultato non solo con incita menti e spiegazioni: tutti sapevano perfettamente che i ribelli sarebbero stati esiliati. Costantino comunicò trionfalmente al mondo cristiano l'esito dei di battiti conciliari; dalla sua cancelleria partirono missive dirette a tutte le Chiese. L'imperatore inoltre emanò nei confronti diArio la seguente di sposizione: Avendo Ario seguito l'esempio di uomini empi e malvagi, merita di subire la stessa pena degli altri. Allo stesso modo che Porfirio, nemico della vera pietà c
autore di opere scellerate contro la religione cristiana, ha avuto degna mer
cede, per cui lui stesso è ricoperto d'obbrobrio presso i posteri e i suoi empi scritti sono caduti nell'oblio, così ora abbiamo deciso che Ario
c
i suoi segua
ci vengano detti "porfiriani" l.. ] E se qualcuno avesse nascosto un libro .
scritto da Ario, invece di prcndcrlo e gettarlo alle fiamme, sia condannato alla pena di morte.15
Il 25 luglio 325 i vescovi presero parte a un grande banchetto, indetto in occasione dei vent'anni del regno di Costantino. In seguito Eusebio narrò che i vescovi banchettarono con l'imperatore come apostoli attor nio a Cristo in Paradiso. L'imperatore distribuì doni, esortò nuovamen te all'amore, alla collaborazione, alla concordia. Ben presto si sarebbe reso conto che i vescovi erano assai lontani da quei nobili sentimenti. Due simpatizzanti diArio, Eusebio di Nicomedia e Tcognide di Nicea, che avevano firmato il Credo rifiutanaosiCiì'Sòtl:"nsciwere-tt-eesto rima nente, si inimicarono l'imperatore stringendo contatti con certi scontenti di Alessandria. Costantino reagì condannandoli all'esilio; nella lettera in- \ viata ai cittadini di Nicomedia ricordò tra l'altro c1ie Eusebio aveva avu to buoni rapporti con Licinio. I n seno alla Chiesa, ormai, il conflitto era divam paro, e non si poteva più parlare di compromessi e di tolleranza in materia di fede. Sebbene il Credo avesse suscitato vivaci riserve teologiche, nessuno aveva osato at taccarlo (nessuno lo fece apertamente finché visse Costantino, che non l'avrebbe mai accettato). Tuttavia ci si combatteva in ogni modo possibi le. Entrambe le parti intrapresero un'azione di "pulizia" dei vescovati al l'interno della loro sfera di innuenza, liberandosi con vari pretesti dci ve scovi scomodi e sostitucndoli con altri fedeli alla dottrina. Accusare un avversario di comportamento immorale in campo sessuale, per esempio, era un modo per liquidarlo; quanto poi ci fosse di vero e di falso in simili accuse (era sempre possibile presentare una donna di facili costumi che incolpasse l'ecclesiastico di dissolutezza), è impossibile saperlo. Per effetto di queste azioni di "pulizia", i fautori diArio conquistarono importanti influssi in Siria, Palestina, Fenicia e anche inAsia Minore.
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lvi, l, 9. 143
Storia della Chiesa nella tarda antichità Ancor prima della fine del 327 Ario, Eusebio e Teognide espressero tuttavia il desiderio di rientrare in seno alla Chiesa dopo avere firmato i documenti necessari. Il permesso di lasciare i luoghi dell'esilio fu accor dato da Costantino, ma la decisione di riaccoglierli fu presa da un sino do, certo minore, svoltosi al più tardi nel 328 a Nicomedia o a Nicea. Ario mise per iscritto la sua professione di fede, che nel complesso, seb bene non comparisse il termine homoousios, basilare per il Credo niceno, risultò soddisfacente. Di conseguenza, il ritorno di Eusebio e Teognide dall'esilio fu una semplice formalità. Costantino, immemore di quanto aveva precedentemente detto e scritto di Ario («è evidentemente caduto preda delle forze sataniche»), e visibilmente soddisfatto del corso degli eventi, inviò una lettera ad Alessandro in cui chiedeva di riaccogliere Ario nella Chiesa egiziana con una passionalità pari a quella impiegata un tempo nel condannarlo. Le cose però andarono diversamente. Alessandro, che era contrario, morì, e il suo successore, Atanasio, assun se un atteggiamento ancora più intransigente. Di fr;me alla sua opposizione, Costantino cedette. L'atteggiamento di Costantino nei confronti degli ariani non significa va affatto un cambiamento nella sua politica, bensì ribadiva, ancora una volta, la volontà dell'imperatore di mantenere la Chiesa unita: perché avrebbe dovuto respingere delle persone condannate, ma che riconosce vano i propri errori ed erano disposte ad accettare il Credo niceno) Del resto erano i vescovi riuniti nei sinodi a prendere le decisioni vincolanti, e la guerra che si svolgeva in seno alla Chiesa era sicuramente estranea e sgradita a Costantino, al quale poco importava delle ragioni che impone vano l'allontanamento definitivo dell'awersario. Negli ecclesiastici l'im peratore apprezzava la capacità di trovare un accordo, la disponibilità a lasciarsi convincere, c mal tollerava la rigidezza del rigorismo; per lui era quindi più facile essere d'accordo con i due Eusebio, autori di abili com promessi, che non con Atanasio. Ma nel cristianesimo era ormai in atto un conflitto che non lasciava spazio al compromesso, e questa verità Costantino non la capiva (sarebbe invece apparsa evidente ai suoi figli, cresciuti sotto gli occhi di educatori cristiani). L'imperatore probabilmente non si rendeva conto che gli ariani non avevano alcuna intenzione di schierarsi dalla parte del Credo niceno; su questo punto la sua buona fede è fuori discussione: le sue illusioni na scevano dal fatto che egli non sapeva valutare il peso delle controversie teologiche (me ne occuperò nel capitolo seguente), non conosceva le tecniche specifiche per condurre i conflitti dottrinali c non awertiva i pericoli in essi nascosti. Per i seguaci di Ario non era difficile conferire al testo del Credo un 'interpretazione che permettesse loro di conservare la propria dottrina, soprattuto in una versione più morbida, e di rico minciare a diffonderla. Inoltre sapevano bene che con il passare del tempo l'opposizione al Credo niceno sarebbe aumentata, il che conferi va loro ottime opportunità per il futuro. Coloro che si opponevano al ritorno di Ario e dei suoi sostenitori si rendevano conto di tutto ciò as144
Gli imperatori e La Chiesa
sai meglio dell'imperatore: dal loro punto di vista occorreva agire con la massima severità, senza sopravvalutare il significato dell'unità nella Chiesa, che tante volte ormai aveva superato con successo le lacerazioni provocate dalle eresie.
6.1 O Mcliziani contro cattolici: la mancata unità della Chiesa in Egitto
Mentre in Siria, Palestina c Asia Minore l'arianesimo estendeva la sua in fluenza, in Egitto le cose andarono in modo diametralmente opposto. Dopo la morte di Alessandro nel 328, fu eletto vescovo di Alessandria (non senza dissensi) Atanasio, uomo energico c ambizioso. Rigorista e ac ceso nemico degli ariani, pronto, per la buona causa, a ricorrere alla vio lenza e indifferente sia agli usi costituiti che ai canoni ecclesiastici, Atanasio divenne l'avversario della linea di Costantino; circondandosi di persone che ne condividevano il rigore c lo zelo, c cercando in Occidente l'appoggio alle sue iniziative, il nuovo vescovo di Alessandria fece naufra gare le speranze dell'imperatore nell'unità della Chiesa. La situazione in Egitto era complicata dalla contemporanea presenza di due gruppi ostili ad Atanasio: gli ariani e i meliziani; questi ultimi fu rono all'inizio i nemici più pericolosi, e proprio ai metodi necessari per sconfiggerli si devono i primi attriti tra il vescovo e l'imperatore. Lo scisma meliziano era nato in Egitto ai tempi delle persecuzioni di Diocleziano. La responsabilità di averlo provocato ricadeva su Melizio, vescovo di Licopoli_(ndl'Alto Egitto), il quale ave�criticato té"'''ietfo, vescovo di Alessandria, per il suo com ortai1i'ènto dura e e p�7.iè5n!:tffiiu tto per essere fuggito senza 1 endere i e e 1 in U'}' mÒ�ntoCOSi difficile, e in secondo luogo per avere dimostrato un'ed-" cessiva tolleranza nei riguardi degli apostati.16 Ancora al tempo delle persecuzioni, Melizio aveva cominciato a con sacrare nuovi vescovi, creando così le basi per la nascita di una nuova Chiesa, sebbene non fossero certo queste le sue intenzioni: a muoverlo, in quei difficili anni di repressioni, era stato esclusivamente il desiderio di assicurare il servizio ecclesiastico alle comunità che ne erano prive. Il conflitto tra meliziani e ortodossi non si estinse con il martirio di Pietro nel311; quanto a Melizio, era stato precedentemente condannato ai la vori forzati nelle cave di pietra. Subentrata la pace, i fautori di Melizio in Egitto erano numerosi e in molte località si formarono gerarchie pa rallele e il melizianesimo si diffuse soprattutto tra gli asceti.
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16 Esi stono evidenti somiglianze tra lo scisma dei donatisti c quello dei meli ziani anche se è diffici l e stabilire fin dove arrivino; nei lavori più recenti, gli studiosi ricercano la "vera" origine del conflitto nelle tensioni tra la Chiesa di Alessandria e le altre Chiese egiziane: pur non essendone completamente con vinta, non ho qui lo spazio necessario per esporre i miei dubbi. ,
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Storia della Chiesa nella tarda antichità Il conllitro, almeno agli inizi, non rivesù un carattere dottrinale, bensì esclusivamente disciplinare. Le decisioni nei confronti dello scisma era no state prese dal concilio di Nicea: in in l ea di principio esse non priva vano gli ecclesiastici meliziani delle loro dignità, ma li subordinavano al clero consacrato dai continuatori della linea di Pietro; alla morte di un vescovo non meliziano il suo seggio poteva anche venir occupato a pie no titolo da un meliz.iano, ma solo con il consenso del vescovo di Alessandria e dopo la celebrazione di riti supplementari. In tal modo, con il passare del tempo, lo scisma avrebbe dovuto estinguersi. Non è questa la sede per occuparci a fondo del melizianesimo e chiari re come mai e per colpa di chi, nonostante tutto, esso continuasse a per durare. Si tratta di questioni particolarmente ingarbugliate, tanto più che la maggior patte delle notizie sui meliziani provengono dalle opere di Atanasio, loro acerrimo nemico. Sappiamo che i meliziani cercarono giustizia presso .i vescovi fuori d'Egitto nonché presso l'imperatore (tutto sommato non ben disposto nei loro confronti), accusando Atanasio di usar. loro violenza, di perseguitare i loro capi e di non lasciar .li entrare nelle chiese. Atanasio e, sulla base delle sue opere, gli storici della Chiesa Socrate, Sozomeno e Teodoreto sostengono che si trattava di calunnie e che le violenze non erano mai st.ate dimostrate. Gli storici dd XX secolo sono tuttavia propensi, più dei loro antichi predecessori, a prestare ascolto alle affermazioni dei meliziani. In Egitto è stata infatti rinvenuta una lettera scritta da un ecclesiastico meliziano, nella quale vengono det tagliatamente descritte le brutali azioni di Atanasio, che non esitava a ri correre all'aiuto dei soldati e a incarcerare i propri avversari. Si tratta di tma testimonianza estremamente interessante (senza dubbio molto pitto resca e particolareggiata), benché di pane; il fatto poi che la lettera non fosse destinata alla divulgazione, ne accresce ai nostri occhi la credibilità. Oggi tuttavia è impossibile stabilire chi si discostasse dalla verità: proba bilmente, in egual misura, entrambe le parti. Quando si giunse al giudizio episcopale, Atanasio fu in grado di di mostrare che alcune accuse dei suoi nemici erano false e infondate, il che non significa che lo fossero tutte. Nella relazione di Atanasio sui procedimenti intemarigli, colpisce soprattutto il silenzio relativo ai prin cipali capi d'accusa: il vescovo concentra la sua difesa su questioni di importanza seconda1·ia. Atanasio fu sicuramente un avversru·io pericoloso ed efficiente, che riuscì a emarginare, ma ceno non a sconfiggere definitivamente, il meli. . ztanestmo.
6.11 Costantino e Atanasio Costantino sapeva del conflitto tra i meliziani e Atanasio, nonché delle brutalità commesse dal vescovo di Alessandria (non gli arrivavano solo le accuse dei diretti interessati, ma anche i rapporti del governatore del146 Copyrighted
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Gli imperatori c la Chiesa
la città). L a sua opinione era che Atanasio costituisse un fattore destabi lizzante per l'unità della Chiesa, e tuttavia, fatto significativo, non prese alcuna decisione nei suoi confronti, lasciando ai sinodi episcopali il compito di emettere una sentenza. Egli però era disposto a impiegare tutto il suo potere per tradurla in pratica. Atanasio venne convocato davanti a un sinodo incaricato di giudicarlo nel 334, a Cesarea. Tuttavia, nella più totale impunità, il vescovo si rifiutò di lasciare7ttes5aiidria. L'anno seguente, quando i vescovi si riunirono a Tiro, egli fu costretto a comparire davanti ai suoi giudici. In quell'occa sione lo accompagnavano trenta vescovi egiziani da lui prescelti. Il sinodo di Tiro, presieduto dal metropolita di Antiochia, radunava una sessantina di-vesCovi, la maggior parte dci quali di tendenza filoariana; dell organiz zazione del sinodo si era occupato Eusebio di Cesarea, che aveva badato a scegliere gli clementi a lui più congeniali. Indipendentemente dal grado di fondatezza delle accuse rivoltcgli, Atanasio non poteva aspettarsi l'as soluzione. Sebbene non fossero in discussione le sue opinioni teologiche (le accuse riguardavano esclusivamente il suo comportamento), in realtà esse avevano una grande importanza, in quanto determinavano le simpa tie e le antipatie dei vescovi convenuti Rendendosi conto che sarebbe stato condannato (cosa che infatti av venne), senza attendere la sentenza Atanasio fuggì da Tiro, recandosi segretamente presso l'imperatore, al quale intendeva appellarsi (notia mo che Atanasio, perlomeno in quegli anni, non aveva remore ad ap pellarsi all'imperatore contro una decisione presa da un sinodo, quindi da un'istanza ecclesiastica). All'inizio di novembre riuscì a incontrare Costantino, producendo una fortissima impressione sul sovrano e convincendolo che le accuse nei propri confronti erano false. Ne è testimo nianza la lettera spedita ai partecipanti del sinoclo di Tiro e di cui cito qui due passi, soprattutto per mostrare lo stile e il tono dei messaggi imperiali ai vescovi: '
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Costantino Vittorioso Massimo Augusto ai vescovi riunitisi a Tiro. Ignoro che cosa abbiate tumultuosamente c tempestosamente approvato nel vostro sino do, sembrerebbe però che, per mancanza di disciplina e per effetto di discor die, sia stata distort a la verità. Immersi nei vostri litigi, c desiderosi di mante nerli, non avete prestato attenzione a ciò che è grato a Dio. [. ] Voglio per tanto che raggiungiate al più presto la Nostra Pietà, per rendere conto perso nalmente del vostro operaroY ..
Nella lettera Costantino descrive anche le circostanze del suo incontro con Atanasio. Resosi conto che non avrebbe ottenuto udienza secondo la normale procedura, il vescovo attese l'imperatore sulla strada che questi percorreva a cavallo verso Costantinopoli. In un primo momento
"Citato in H.-G. Opitz, llthanasiu.r Werkc, Berlin-Leipzig 1935, vol. II, pp. 164-165. 147
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Storia della Chiesa nella Iarda antichità
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Costantino non riconobbe Atanasio, e furono gli uomini della scorta a spiegargli chi fosse l'importuno. Dapprima si rifiutò di riceverlo (l'idea di aspettarlo per strada era stata infelice, l'imperatore era sicuramente asse diato da schiere di postulanti), ma Atanasio riuscì a vincerne la resistenza e a ottenere il diritto di parlare in sua presenza con i partecipanti al sino do di Tiro. Nel prosieguo della missiva Costantino ordina quindi ai ve scovi di mettersi subito in viaggio: «In tal modo dimostrerete con i fatti, in mia presenza, di aver emesso una sentenza giusta e retta; non potete infatti negare che io sia vero servitore di Dio. [... ] Affrettatevi dunque e cercate di giungere fino a noi».18 Tuttavia, all'arrivo della delegazione sinodale, la situazione si capovol se. A carico dell'imputato, infatti, emerse una nuova accusa: all'impera tore venne riferito che Atanasio avrebbe minacciato di non lasciar partire dal porto di Alessandria le navi con il grano destinato a Costantinopoli. Non sappiamo chi presentasse l'accusa a Costantino né quali prove venissero addotte. Sicuramente le dichiarazioni degli avversari di Atanasio non erano sufficienti: Costantino era già stregato dal suo fascino e, conoscendo l'odio tra le due parti, non vi avrebbe presta to fede. Probabilmente, quella fatale minaccia Atanasio l'aveva davvero pronunciata i suoi nemici erano riusciti a presentare all'imperatore un testimone credibile. Tuttavia, nemmeno stavolta Costantino emanò una condanna (pur avendone il diritto: l'oggetto dell'accusa era ormai di competenza laica), limitandosi a esiliare Atanasio a Trcviri, città che il vescovo avrebbe la sciato solo dopo la mo e (337). Il comportamentodi �tino può sembrare al lettore del tutto in coerente: al rispetto per i vescovi egli affianca la disponibilità a un duro atto di forza, pur avendo precedentemente affermato di voler rispettare e applicare le decisioni sinodali. Il tono delle lettere appare poi irritan te: non si può, infatti, non essere colpiti dai continui ripensamenti, dal succedersi di insulti e complimenti rivolti alla stessa persona. È dunque legittimo chiedersi come mai l'imperatore non si rendesse conto che quei bruschi cambiamenti d'opinione potevano comprometterlo agli occhi dei sudditi. Gli storici cattolici elogiano Costantino sia per l'opera di Nicea, sia per il coerente appoggio dato ai cattolici in Africa contro i donatisti. Negativo invece, nei loro testi, è il giudizio sugli anni successivi al con cilio, quando, secondo loro, l'imperatore deviò dalla retta via e assunse un atteggiamento dispotico nei riguardi della Chiesa. Ma un'analisi fredda della politica imperiale dimostra come il monarca abbia adottato gli stessi metodi sia prima, sia dopo il concilio di Nicea; infatti, se si loda l'imperatore per aver mandato Ario in esilio o per avere ordinato la distruzione delle sue opere, non si può biasimarlo per avere cercato di ricondurre l'eretico in seno alla Chiesa. Inoltre, dal punto di vista dei
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Gli imperatori e la Chiesa
cristiani vissuti all'inizio del JV secolo, l'epiteto "dispotico" appare infondato. Per i cristiani, l'imperatore rappresentava il vero capo del mondo cristiano, sebbene ciò non comportasse l'assenso automatico a tutto quel che egli diceva o faceva: poteva anche sbagliare, ma ciò non turbava la fede nel suo mandato celeste. Il fatto che l'imperatore si affi dasse ai sinodi, riconoscendone l'autorità nelle questioni di fede, agli occhi dei contemporanei non poteva che aumentare il suo diritto a una posizione preminente nella Chiesa. 6.12 La natura episcopale del potere di Costantino
�stantino collocava se stesso tra i vescovi della Chiesa. Nella Vita di Costantino ELsèbw ai Cesarca'narraZhe-�n giornG,"rrc;;,cndo i vescovi, l'imperatore affermò di essere anch'egli un vescovo, esprimendosi in nostra presenza all'incirca con le seguenti parole: "Voi sovrintendete a quanti fanno parte dell'organizzazione della Chiesa [ton eùo tes ekklestas]; io invece è come se fossi stato costituito da Dio vescovo di quei di fuori ltòn ektos Li:s ekklesias]
"
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Conformemente a que
sta sua affermazione, esercitava su tutti i sudditi un premuroso episcopato, esortandoli con tutta la forza del suo animo a seguire la via della fede.19
Questo passo, estremamente importante per la comprensione del pen siero di Costantino, pone seri problemi a traduttori c commentatori. La traduzione, infatti, non rende il duplice significato del termine epùko pos, che in greco significava non solo "vescovo", ma, soprattutto, "so vrintendente"; sia Costantinòè'he"�usebio, che ne rife� ar� hanno pt
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Eusebio di Cesarea, Sulla vita di Costantino, lV, 24. 149
Storia della Chiesti nella tarda antù-hità Eusebio trattava le parole di Costantino con la massima serietà, non provava alcuna resistenza ad accettarle e non vi vedeva niente di scan daloso (come invece succede oggi a certi storici della Chiesa di tenden ze apologetiche, indignati dalla sfrontatezza dd despota). :boporutto non era obbligato a citarle: se le avesse ritenute offensive nei riguardi di ak"lmi cristiani poteva tranquillamente passarle sotto silenzio. Quel che colpisce nel modo di agire di Costantino è il suo rispetto non solo nei confronti dei vescovi, ma anche verso l'istituzione dei sinodi che deliberavano sulle questioni di maggiore importanza. Dopo le prime esperienze, doveva essersi reso conto che i sinodi cedevano facilmente aUe pressioni e che il loro risultato dipendeva da chi Li convocava e ne stabiliva la composizione. Ovviamente, più grande era il consesso, mag giori erano le probabilità di vedervi rappresentati vari punti di vista (per cui un'illegalità lampante avrebbe suscitato una certa resistenza). Era più facile manipolare i sinodi minori, soprattutto quelli a cui partecipavano vescovi non appositamente invitati, ma soggiornanti occasionalmente nella città. Nel caso di sinodi che riguardavano zone più vaste, invece, la composizione poteva essere manipolata solo fino a un certo punto: l'or ganizzatore del sinodo non poteva trascurare i vescovi più anziani e ri spettati, o residenti nd le città più importanti.
6.13 Costanzo, la "bestia nera" della storiografia ecclesiastica I successori di Costantino condivisero le sue convinzioni riguardo al mandato divino e svilupparono l'idea della natura sacrale deJ proprio potere; anch'essi tendevano ostinatamente, per quanto con esiti diffe renti, all'unità dei cristian.i, scopo supremo e condizione fondamentale per il successo del loro operato extrare.ligioso. i\lcuni di loro nutrivano invece molto meno rispetto per vescovi e sÌJlodi e non esitavano a ricor rere ripetutamente alla violenza: è il caso soprattutto di Costanzo n, che regnò dal337, prima con i fratelli Costantino n (fino al340) e Costante (fino al 350), e poi da solo (fino al 361). Le opere dedicate alla storia della Chiesa tardo-antica mettono assai in evidenza gli interventi di Costanzo n nelle questioni religiose, fornendo ampi particolari sulle persecuzioni da lui intraprese e sulle pressioni esercitate sui sinodi. Anche oggi il figlìo di Costamino è generalmente tratteggiato come il despota par exce!lence, brutale e per giunta capriccioso. Non è però escluso che il suo modo di agire non differisse fondamentalmente da quello dei suoi fratelli e di almeno alcuni dei suoi successori: la maggior parte di ciò che sappiamo su Costanzo proviene direttamente o indiret tamente da scritti polemici di Atanasio, di ilario di Pictavium (oggi Poiriers) e di Lucifero eli Calares (oggi Cagliari), suoi nemici giurati. Costanzo si sentiva il padrone del mondo, totius orbis dominus; diceva spesso di sé aeternitas mea; era convinto di rappresentare la "legge incar nata", "il buon pastore" posto dalla divinità a capo del mondo intero, e 150 Copyrighted
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Gli imperatori e la Chiesa
di assicurare ai cristiani la perpetua securitas. L'accanito, fanatico nemico di Costanzo, Lucifero di Calares, sostiene che l'imperatore si autodefini va episcopus epzscoporum e cH ' eSi ' vantava di decidere che cosa fosse o no conforme al diritto ecclesiastico. Dato che gli altri testi non riportano giudizi così drastici, sarà meglio non prestar fede a Lucifero: l'odio per l'imperatore lo accecava. Ma anche rifiutando queste asserzioni estreme, è chiaro che il sovrano si sentiva il capo del mondo cristiuno e agiva conformemente a tale convinzione. Come Costantino, anche Costanzo si batté per l'unità della Chiesa: re presse quindi ripetutamente i vescovi che rifiutavano di accettare ilsuo punto di vista dottrinale (quello cioè di un moderato arianesimo), SciS!i-tuendoli con pastori a lui vicini; intervenne anche nel cors�deisuccessi vi sinodi, incaricati di elaborare formule di compromesso e di farle ap provare dai vescovi. L o fece personalmente o tramite i suoi rappresen tanti, non esitando a esercitare pressioni sui sacerdoti ribelli o titubanti. I nemici di Costanzo lo accusavano di sopraffazioni ancora più gravi, quali violenze e omicidi perpetrati a sangue freddo contro gli avversari. Per quanto oggi sia impossibile stabilire con quale frequenza l'imperato re si risolvesse a simili atti, l'assassini2_ . .d _ el �avo. di ç_ostanri� Paolo in esi� avvenne sicuramente con la sua approvazione. �costitUiva un caso particolare: non solo aveva lottato con ogni mezzo per restare sul trono episcopale, malgrado l'ostilità di Costanzo e l'opposizione Ji parte del clero, ma lo aveva fatto chiedendo il sostegno popolare e provocando dunque inevitabili tafferugli. L'imperatore vede va in lui non tanto un avversario teologico: (Paolo divenne un martire della questione nicena per colpa di un totale malinteso), quanto un fo mentatore di pericolosi disordini. Dopo la rivolta popolare in favoreill Paolo, nel corso deTiaqùal�stato ucciso il magister militum inviato per ristabilire l'ordine, Costanzo arrivò fulmineamente da Antiochia a Costantinopoli per tenere sotto controllo la situazione. A questo proposito va ricordato che le inquietudini all'interno della Chiesa si accompagnavano molto spesso a scontri, tafferugli, disordini che laceravano profondamente le città; persino ad Alessandria, città che Atanasio aveva in parte pacificato, in parte conquistato alle sue posizio ni dottrinali, gli ariani disponevano di uomini in grado di ingaggiare battaglie per le strade. Gli imperatori, che mancavano dei soldati neces sari per far fronte ai disordini, temevano particolarmente questo genere di sollevazioni, soprattutto nelle città più grandi come Alessandria, Antiochia o Costantinopoli. Nel caso dei vescovi di cui conosciamo il nome, la repressione consi steva generalmente nell'esilio; si trattava però di personalità autorevoli, che godevano di un prestigio che le proteggeva da iniziative più perico lose: lo scandalo provocato dalla notizia dell'uccisione di uno di loro per ordine imperiale si sarebbe infatti rivelato quasi sempre più danno so che non l'operato dei ribelli. Nei riguardi dei vescovi delle città mi nori, dei semplici membri del clero, degli asceti e dei laici zelanti, la re-
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Storia della Chiesa nella tarda antichità pressione esercitata da solleciti funzionari che eseguivano la linea d'a zione indicata dall'imperatore poteva essere assai più brutale. Non c'è alcun dubbio che l'imperatore fosse un uomo profondamen te devoto: formato da educatori cristiani al tempo della controversia ariana, Costanzo possedeva quella solida cultura teologica che mancava a suo padre. Stanziava somme ingenti a favore della Chiesa, garanten dole anche considerevoli privilegi. Cercava inoltre di sfruttare il proprio potere per imporre ai sudditi norme cristiane di comportamento. Combatteva gli eretici, puniva severamente gli apostati e, nei limiti con sentiti dalla situazione, combatteva anche i pagani e gli ebrei (in propo sito ricordo che emanò una legge molto dura contro i pagani, sebbene non fosse assolutamente in grado di farla applicare, dato che essi erano ancon1 molto numerosi; a parte il fatto, assai significativo, che perfino tra i suoi collaboratori si contavano persone dichiaratamente pagane). Costanzo era circondato da un gruppo di ecclesiastici dai quali si face va consigliare. In Oriente, dove l'arianesimo era più forte, costoro gode vano di solidi appoggi in molte Chiese; non erano quindi creature dd l'imperatore al servizio dei capricci di questi. Il principale nemico di Costanzo, Atanasio, in Oriente non godeva affatto di una generale popo larità (i vescovi occidentali non riuscirono mai a capirne il motivo, visto che per loro era il simbolo dell'ortodossia e della santità). Quando, dopo sette anni d'esilio, Atanasio fece ritorno in Egitto, ben quattrocento ve scovi si schierarono dalla sua parte, dichiarando di restare in comunione con lui. Ma, a parte le gerarchie dell'Egitto e della Palestina, soggetta agli influssi egiziani, si trattava soprattutto di vescovi occidentali. In Oriente si rimproveravano ad Atanasio le sue ingerenze nelle questioni interne delle Chiese poste fuori della sua giurisdizione (ci sarebbe molto da dire sul suo arbitrario atteggiamento verso i canoni ecclesiastici); inoltre, non tutti i vescovi che egli voleva destituire dalla carica meritavano, agli occhi dci fedeli, di essere destituiti. La rigidezza dottrinale di Atanasio lo por tava a rifiutare di riconoscere il �imento allora nascente in Oriente iceu.o,.::ma.JlQl.Ùl l ..!D�ldo lJcririco,.e dei qua che accettava, certo, i� le facevano parte i J:g_dri Cappadoci e il v�ovo di Antioch_i a�lizio, avversato da Atanasio. Per colmo di sventura, ad Atanasio era talvolta capitato di accogliere, per rrotivi puramente tattici, personaggi noti in Oriente come eretici. A danneggiarlo mag�iormente era stato l'appoggio olfeno a Marcello di !\f'ffinii;- otoriamente vicino a posmonisabcllianc; è vero che Atanasio sicra.subito affrettato ad abbandonare quella posizione, ma l'episodio era rimasto indelebilmente impresso nella memoria del clero orientale. Queste considerazioni ci aiutano a capire come mai l'azione di Costanzo contro Atanasio suscitasse nella parte orientale dell'impero un'emozione meno forte che in Occidente, dove le controversie che di videvano così aspramente le Chiese orientali riuscivano alquanto in comprensibili (avrò occasione di tornare sull'argomento nel prossimo capitolo). 152
Gli imperatori e la Chiesa
Dopo la breve inter:uzione del regno di Gi�liano l'Apostata, 'la.kn_te
. . (364-378), che governo la parte onentale dell1mpero, seguì la st'i'li'él'(dJ Costatlzd, comportandosi però in modo molto più brutale verso gli av versari ecclesiastici, mentre i due successivi imperatori d'Occidente, Valcntiniano l 4-375) e Graziano (375-383), cercarono di mantenere un ce to distacco dal e qucstfoni ecdes1asuche. Soprattutto Valentiniano si mostrò riluttante a immischiarsi nelle dispute dottrinali, rifiutandosi di intraprendere persecuzioni nei confronti della parte sconfitta. Suo figlio Graziano, soprattutto nei primi anni di regno, agì conformemente alla li nea paterna, mentre in seguito subì profondamente l'influenza di Ambrogio, severo avversario di ogni manifestazione di tolleranza religio sa. Nel 378, dopo la terribile disfatta subita dall'esercito romano a Adrianopoli, Graziano emanò un decreto &]i to!lçranza che esclJJdeva unicamente i manichéi, i fotmtani e gi eunomiani. Inoltre d�ino� d'éiTe chiese di rVr'ìJ'anOagli';rianl"'che aftfuiv;;;o daiterritori occupati dai goti. Il vero movente di questi gesti fu indubbiamente la fede ariana del la vedova di Valentiniano, Giustina, e di suo figlio V�ntiniano n, fratel lastro di Graziano: non SI poteva certo� loro una chiesa nella città allora capitale. Un anno dopo, tuttavia, incapace di resistere alle pressioni di Ambrogio, Graziano dovette ritrattare le sue decisioni. Graziano morì quattro anni più tardi, ed è poco probabile che, se aves se regnato più a lungo, sarebbe stato in grado di opporsi ad Ambrogio, visto che non vi riuscì nemmeno il più maturo e autonomo Teodosio.
6.14 La nuova politica di Teodosio il Grande: fede cristiana c
ortodossia si possono imporre ormai con la forza
Fin dall'inizio del suo regno Teodosio il Grande si schierò coerente mente dalla parte dei nemici dell'arianesimo. Lo dichiarò in una legge emanata nel febbraio 380, un anno dopo la presa del potere: Tutti i popoli, che sono retti dalla moderazione Jella nostra clemenza, voglia
mo che restino fedeli a quella religione che il divino apostolo Pietro dichiara
che fu tramandata un tempo da lui stesso ai romani e che è chiaro che è segui ta dal ponreficc Damaso e Ja Pier ro, vescovo di Alessa nd ria. [.. . ] Ordiniamo che il nome dei Cristiani cattolici abbracci coloro i quali seguono questa legge mentre gl i altri pazzi e insensati, che giuJicano opportuno sostenere l'infamia ,
,
del dogma ereticale
c
non dare alle com unità il nome di Chiese, devono essere
colpi t i dalla punizion e, in primo l uogo dalla vendetta Ji Dio nostro
c
poi anche dal
sdegno, che abbiamo ass un to dalla volontà celesre.20
Ciò che colpisce è il modo di definire l'ortodossia: il metro adottato da Teodosio non sono più i Credo approvati dai consessi episcopali, ma la 2°
Codex Iustinianui, 1, l. l 53
Storia della Chiesa nella tarda anticbittÌ fede di due vescovi, uno d'Occidente e uno d'Oriente. In forza di que sta legge l'eresia divenne un reato perseguibile dallo stato; sarebbero se guite altre leggi, con I' elenco delle pene per chi non le osservava; il fine era quello di annientare i gruppi eretici. lnnanzitutto si proibiva agli eretici la pratica, prima pubblica, poi anche privata, del culto; coloro che disobbedivano a quest'ordine perdevano gli edifici e le proprietà sul cui terreno si era svolta la cerimonia. Oltre agli immobili apparte nenti alle comunità eretiche, si confiscavano anche i cimiteri. Gli eretici non potevano consacrare i propri sacerdori e quelli·già consacrati veni vano privati della dignità ecdesiastica. Non potevano insegnare la loro fede né organizzare sinodi, ed erano soggetti al divieto, emanato nel .388, di tenere dispute pubbliche su argomenti dottrinali. I loro diritti civili erano drasticamente ridotti. Se appartenevano aU' élite, perdevano i privilegi del loro stato nonché il diritto di ricopri.re cariche. Veniva li mitato anche il loro diritto di trasmettere il patrimonio per testamento e di accettare legati, né potevano fare da tutori legali. Analoga la situa7..io ne degli apostati. l manichei e i gruppi a loro vicini, citati nella legge, erano soggetti' a repressioni più severe: venivano allontanati daU'impero e chi osava ritornare si esponeva alla pena capitale. Gli eretici non furono i soli avversari religiosi nei confronti dei quali l'imperatore accentuò la pressione legislativa per indurli a unirsi alla Chiesa ortodossa. Anche i pagani vennero attaccati frontalmente: ho già avuto occasione di citare (capitolo 3.6) il testo della principale legge in merito, quella di più vasta portata, che era stata preceduta da alcune al tre. Per iniziativa dell'imperatore si procedette ad applicare rigorosa mente le precedenti leggi relative alla chiusura dei luoghi di culto nelle località dove finora esse erano rimaste lettera morta. Simbolo della scon fitta del paganesimo divenne la distruzione del Serapeo di Alessandria, famoso e, a quanto pare, splendido santuario. Si inasprirono anche le prescrizioni riguardanti gli -ebrei. Que.sta ondata repressiva era il frutto dell'iniziativa personale di Teodosio, uomo sinceramente religioso e attaccato all'ortodossia. I ve scovi ortodossi accettarono il suo operato, e alcuni di loro chiesero al l'imperatore leggi ancora più severe e una maggior coerenza nel metter le in pratica. Ciò non era sempre possibile e vantaggioso. Gli eretici, come pure i pagani e i manichei (questi ultimi in dandestinità, come i cripwpagani), non erano scomparsi. Tutto dipendeva dalle circostanze: se in una località erano presenti gruppi compatti di non cattolici, questi potevano vivere piuttosto tranquillamente e addirittura praticare il cul to proibito. Prima di perseguitare quelle comunità, i funzionari zelanti dovevano assicurarsi di non correre il pericolo di destabilizzare la zona, con i l conseguente rischio di diminuire le entrate fiscali. Nel timore che un comportamento incauto attirasse su di loro l'ira dei superiori e dello stesso imperatore, molti chiudevano un occhio di fronte al mancato ri spetto della legge. La liquidazione dei gruppi pagani diveru1e possibile solo nel momen•
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Gli imperatori e la Chiesa
to in eu� il loro ?ume�o ?iminuì sensibilmente e alla lotta contro gli adoraton d1_ Idoli commCiarono a prendere parte anche i monaci. A quel punto il paganesimo divenne un fenomeno marginale, più che al tro un'oscura tentazione per intellettuali appassionati di cultura antica. Diversa invece era la situazione degli eretici; le nuove controversie dottrinali, che nei secoli successivi non sarebbero mancate, contribuiro no a moltiplicarli. Teodosio, che con tanto fervore rafforzava la posizione della Chiesa or todossa per mezzo dell'attività legislativa, non si immischiava apertamen . ·�Qggio a Flavian
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Storia della Chtéa nella Iarda anlichtlà 6.15
11 caso della sinagoga bruciata e della città punita
Il primo di questi spettacolari conHitti scoppiò nel 388. Teodosio venne informato da un rapporto del comes s[Qriente ché'7t'allinico, in M� sootamia, i monaci ' ano incitato una o a sti1illi!."i1ia dist�} �a 2 sina l inico �i rico . L'unperatore or inò quindi al vescovo di Cal illi.iì"rla -:-Ambrogio reagì con estrema durezza, dichiarando che non avrebbe cclci;ratòla santa messa in pfeS'è'iiza dell'imperatore se questi non avesse ritirato l'ordine. Teodosio cedette. In una lettera alla sorella, Ambrogio racconta che l'im"Pèrato�eavrebb; detto: «Riconosco di aver esagerato, ordinando di ricostruire la sinagoga». Il vescovo gli estorse anche la promessa di interrompere l'inchiesta, «affinché i cristiani non avessero a patire torti da parte dei funzionari» Oettera 40). Un simile comportamento dell'imperatore non poteva non preoccupare quanti si trovavano fuori della Chiesa ortodossa, e che potevano diventare oggetto di attacchi arbitrari che andavano ben al di là di quanto la legge repressi va di Teodosio stabiliva nei loro confronti. Nel 390 si verificò un secondo episodio, che conosciamo in modo im perfettO, s�òbene le fonti al riguardo non manchino: mi riferisco alla fa mosa �rage della popolazione di Tessa!.s!n iç:a c all'ancor eiù celcb:,s.w.t nizione mfntfaal sovrano da Ani6ffi{ti,o. L� represSIOni ordmate dal l'Imperatore erano state caus'iite dai seguenti motivi: il sovrano aveva emanato una legge che puniva con la morte il peccato "contro natura", owero l'omosessualità. In base a taleTègeg ,"il comandante dei reparti militari di stanza nella città, il goto Buterico, aveva fatto arrestare un auriga del circo che praticava apertamente la pederastia. La cosa finì con un tumulto e con la morte di Buterico, alla quale contribuì non solo la popolarità dell'arrestato, ma anche l'odio nei confronti dei barbari (Buterico fu l'unico a venir ucciso? Di solito questi linciaggi coinvolge vano anche la scorta, se essa non faceva in tempo a fuggire). I tumulti dovettero preoccupare gravemente Teodosio, poiché rappresentavano il segnale d'allarme del crescente conflitto tra i migliori soldati del suo esercito, sostanzialmente barbarizzato, e i sudditi romani; inoltre non poteva lasciare impunito l'omicidio di un dignitario di così alto livello: Buterico era un m'!Jister militum, quindi uno degli ufficiali imperiali di mas;t'no rango. n sovrano giunse alla conclusione che si dovesse colpi re in modo esemplare, per scoraggiare le popolazioni delle altre città dall'intraprendere iniziative analoghe. L'imperatore ordinò dunque repressioni cruente, che avvennero sicu ramente nell'aprile del 390. L a loro entità e il loro corso ci vengono presentati in vario modo dalle fonti. Il biografo di Ambrogio, Paolina, afferma che l'esercito imperversò nella Cimi c che m molti-pe-;scro la vita («la città era stata pressoché distrutta»); Sozomeno riferisce che l'imperatore ordinò di uccidere un numero «limitato» di persone. Rufino conferisce un po' di colore agli awenimenti: l'imperatore avreb be fatto massacrare gli abitanti dopo averli attirati nell'ippodromo con ·
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Gli imperatori e la Chiesa
il pretesto delle gare. Teodoreto fornisce il numero degli uccisi: settemi la. In una lettera a Teodosio, Ambrogio afferma che l'imperatore si era reso responsabile dell'assassinio di «migliaia» di persone. Gli autori presentano in modo diverso anche le circostanze in cui fu emanato l'or dine. Alcuni insistono sul fatto che l'imperatore avesse preso la decisio ne in preda a un attacco d'ira; tuttavia il ben informato Paolina sostiene che Teodosio aveva promesso ad Ambrogio di perdonare gli abitanti della città, ma che poi aveva cambiato idea per influsso di cattivi consi glieri (sostanzialmente quanto scrive Agostino, La città di Dio, v, 26, l), per cui si sarebbe trattato di una decisione presa a freddo, dopo un'at tenta disamina dei pro e dei contro. Lo stesso Ambrogio afferma che in un secondo tempo l'imperatore volle annullare l'ordine, ma che or- � mai era troppo tardi: non abbiamo motivo di dubitare della verità del- · le sue parole. Le relazioni sul massacro di Tessalonica, accettate acriticamente dalla maggior parte degli storici del XX secolo, conducono a conclusioni as surde. Tessalonica era una città importantissima, �le della diocesi di Macedonia e cara al cuore di Teodosio, che vi era stato bati�zaEO dli'fàme una grave malattia. Per quale ragione avrebbe dovuto distrug gerfa? l sopravvissuti al n'iassacro l'avrebbero detestato, c, considerato il significato strategico della città, non sarebbe stata una buona mossa. Se si prende per vera la versione di Paolino (l'imperatore aveva avuto tutto il tempo per valutare il da farsi) dovremmo concludere che Teo dosio era un pazzo, o un mostro: il suo comportamento è così contrario alle norme cristiane da farci dubitare dell'autenticità della sua fede. In realtà nessuna di queste ipotesi è da prendere in considerazione. All'imperatore non facevano difetto né l'intelligenza né la devozione, il suo comportamento in altri casi di rivolte cittadine era stato improntato a un'eccezionale disposizione al perdono e in genere non era una perso na che traesse piacere dalla crudeltà. Le repressioni, senz'altro cruente, ebbero sicuramente luogo: si può dubitare che avessero la portata e il corso suggeriti in particolare dalle fonti più tarde (Sozomeno e Teo dorcto). Quando ebbe notizia degli avvenimenti, Ambrogio lasciò la città, onde evitare una situazione imbarazzante per entrambe le parti. Scrisse una lettera all'imperatore (che si è conservata: si tratta della lettera 51), avvisandolo che non poteva offrire un sacrificio in suo nome e m sua presenza, ed esigendo una penitenza adeguata. Nel far ciò si richiamava al grande modello biblico della penitenza di Davide; parlava della mor te di «masse di innocenti» e sosteneva di aver ricevuto in sogno un se gno da D !o. La lettera è del ma5rio 390. . . . Teodosto, che aveva acccttato dt ffiit)n grado tl severo nmprovero dt Ambrogio per la questione della sinagoga di Callinico, questa volta evi dentemente non si sentiva affatto colpevole (o perlomeno non abba stanza) e non cedette subito. Tra i due cominciò una piccola guerra se greta. Nell'estate del 390 l'imperatore nominò provocatoriamente Nico157
Stora i della Cbiesa nella tarda anticbità maco Flaviano, un ben noto pagano, alla carica di prefetto pretorio. In giugno emanò anche una legge riguardo alla questione delle diaconesse, la quale proibiva l'espletamento di questa ambita funzione prima del sessantesimo anno d'età (conformemente alle norme ecclesiastiche), vie· tando inoltre, nel caso che esse avessero avuto figli propri, di redigere legati testamentari a favore della Chiesa, del clero o dei poveri. Per la Chiesa si trattava di una legge materialmente e moralmente dannosa, in quanto le vedove erano una considerevole fonte di donazioni; a parte il fatto che in questo modo l'in1peratore minava il buon nome dell'istitu· zione ecclesiastica. Alla fine si giunse a un accordo. Le trattative furono condotte da Rufino, alto dignitario imperiale; prova del loro successo fu l'emanazione in giugno della legge che decretava l'esecuzione dei condannati solo tren ta gionù dopo la sentenza nonché, sempre in giugno, l'annullamento del la legge sulle diaconesse: Teodosio però non si arrendeva ancora. Entrambi i consoli designati per l'am10 successivo erano pagani, e il 2 settembre l'imperatore firmò La legge che proibiva ai monaci di risiedere nelle città. Alla fine, tuttavia, Teodosio accettò le condizioni di Ambrogio e, dopo ]a penitenza, venne accolto in seno ai fedeli in occasione del Natale 390. Non sappiaròo quante persone siano state uccise a Tessalonica: la cifra riportata da Teodoreto (settemila) potrebbe essere fantasiosa. Sarà bene prendere con le molle anche le "migliaia" di cui riferisce Ambrogio: i tennini "cento", "mille", ''diecimila" riscontrati nei testi antichi (come ho già avuto occasione di ricordare) non vanno mai presi alla lettera. Gli uccisi erano realmente degli innocenti presi a caso? Anche questo è un dato impossibile da stabilire a distanza di secoli, e la storia degli spetta· tori truddati nel circo o dei soldati imperversanti nella città è stata sicu ramente inventata. Tuttavia è poco probabile che a Tessalonica venisse condotta un'inchiesta particolareggiata per stabilire con esattezza chi avesse partecipato ai tumulti: l'esperienza odierna insegna che ciò è pra· ticamente impossibile. Probabilmente l'imperatore ordinò di attaccare i quartieri popolari, dove vivevano gli irrequieti appassionati di gare al l'ippodromo. Forse si colpirono le locali fazioni circensi e una di esse, quella legata all'auriga arrestato, organrtzò i tafferugli per far liberare l'uomo. Naturalmente si tratta di ipotesi. Tra le vittime potevano benissi· mo trovarsi persone innocèflti, secondo lo stile d'azione tipico della tar· da antichità, che non teneva alcun conto delle vittime quando proveni vano dagli strati infimi. Se dunque Ambrogio aveva le sue buone ragioni per parlare di vitti me innocenti, non bisogna però prestare fede alla sua insinuazione One· spressa, ma sottintesa nel testo) che "tutti" gli uccisi fossero innocenti. L'intervento dei vescovo per bloccare l'inchiesta sui responsabili dell'in· cendio della sinagoga di Callinico indica chiaramente che cosa inten· desse Ambrogio per "innocenza". A Callinico i cristiani erano innocenti perché avevano bruciato il luogo di culto degli ebrei; a Tessalonica era 158 Copyrighted
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Gli imperatori e la Chiesa
stato ucciso un goto, quindi un ariano, se non addirittura un pagano: è probabile che per Ambrogio versare sangue cristiano per la morte di un uomo simile equivalesse ad assassinare degli innocenti (ricordo le mie considerazioni sull'atteggiamento dei cristiani dell'epoca nei confronti dei barbari). L'ostinazione di Teodosio, uomo, ripetiamolo ancora, estremamente devoto, indica che pur con qualche esitazione (secondo Ambrogio aveva voluto annullare l'ordine), l'imperatore si sentiva in di ritto di agire come aveva agito. La penitenza di Teodosio fece un'enorme impressione sui contempo ranei e diede origine a una leggenda di cui possiamo seguire l'evoluzio ne nelle fonti pervenuteci. Nella sua_Sf!!!ia eç,_c{esia,>t.icg, scritta cinque cento anni dopo i fatti, TeodoretQ descrive1a patetica scen3,S"\l"� cond�-lùi-cfavanti-àl p;Jrtone della chiesa episcopale di Milano. Ambrogio, in piedi sulla soglia, avrebbe sbarrato il passo all'imperatore, negandogli il diritto di entrare a pregare finché non si fosse sottomesso alla penitenza. La dettagliata e pittoresca descrizione di Teodoreto è an ch'essa un parto della fantasia. È chiaro che gli autori ecclesiastici sfrut tavano il tema della strage di Tcssalonica per descrivere il loro modello ideale di penitenza cui sottoporre un imperatore. E dobbiamo ricono scere che da un punto di vista letterario l'argomento era quanto mai in teressante. Questo episodio suscita un comprensibile interesse anche negli studi contemporanei. Serve a innalzare l'importanza e la grandezza del vesco vo di Milano, visto come il difensore degli innocenti contro un despota sanguinario; quanto agli storici di tendenze anticlericali, essi se ne servo no per illustrare la tesi per cui, alla fine del TV secolo, la Chiesa seguiva una politica finalizzata a subordinare il potere laico indebolito. Una tesi, diciamolo subito, che non trova riscontro nelle fonti. Teodosio enitente mo ello de suscitava ammirazione e non disprezzo, poiché inca virtuos) ; tmmortalato da 1Javid contrito. Non sembra che Am5rògio intendesse scalzare autonta e sovrano, e del resto egli cercò di risparmiare all'imperatore le situazioni più imbarazzanti (che furono invece inventate da autori successivi). Non c'era alcun motivo per cui la Chiesa della tarda antichità dovesse desiderare di indebolire l'importanza e la forza di uno stato che difendeva il suo stesso punto di vista teologico. Il tentativo di creare un parallelo tra il conflitto Teodosio-Ambrogio e quello tra Chiesa-Stato è anacronistico e nasce da esperienze storiche po steriori. L'anacronismo è ancor più clamoroso se si considera che, dopotutto, Teodosio era il fautore della variante cattolica del cristianesimo, e fin dall'inizio del suo regno ne aveva favorito la vittoria non solo contro gli ariani, ma anche contro il paganesimo. Perché mai Ambrogio avrebbe mirato a indebolire la posizione di un tale monarca? Per l'astratta ambi zione di innalzare la Chiesa sopra l'imperatore? Bisognerebbe dimostra re, testi alla mano, che un'idea del genere era possibile alla fine del TV secolo. Ambrogio credeva nel mandato divino di Teodosio né più né ·
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Storta della Chie.fa nella Iarda anlichttà
meno di quanto ci credeva l'imperatore, solo che, probabilmente, gli as segnava dei confini un po' più ristretti.
6.16 «Che cosa c'entra l'imperatore con la Chiesa?» Arriviamo così a una questione fondamentale, senza la quale questo ca pitolo sulle relazioni tra stato e Chiesa non risulterebbe concluso. Come reagivano alle repressioni gli uomini di Chiesa che avevano a che fare con sovrani che rappresentavano un punto di vista diverso, e secondo loro gravemente deprecabile, quando risultava evidente che i tentativi di persuasione erano inutili? Attorno alla metà del IV secolo cominciarono ad apparire i primi testi che testimoniano come gli ecclesiastici fossero essere sempre più consa pevoli della necessità di escludere il sovrano dalle questioni interne alla Chiesa. Una riflessione estremamente importante per il futuro del pen siero cristiano: teologi ed esperti delle epoche successive si richiameran no alle tesi formulate in quei tempi. Il primo caso a noi noto di contestazione del diritto imperiale di deci dere in questioni ecclesiastiche proviene dai donatisti: vi ho accennato in precedenza. Nel 347, quando Costanzo cominciò a perseguitarli, Donato pronunciò la famosa frase: «Che cosa c'entra l'imperatore con ratìit�s a?». Negli anni successivi giudizi del genere verranno espressi solo dalla parte cattolica: che cosa significa? Porse gli ariani accettavano passivamente le persecuzioni? (Succedeva infatti che si ponessero bar riere a entrambe le parti, perfino gli imperatori filoariani combattevano certi raggruppamenti di tale tendenza, favorendone altri.) Per risponde re affermativamente a questa domanda bisognerebbe disporre di un maggior numero di fonti di provenienza ariana, ma non dobbiamo di menticare che la storia dei conflitti di quest'epoca ci è stata tramandata quasi esclusivamente da materiali fornitici da una sola delle parti, quella che finì per vincere. Meglio quindi non affrettarsi troppo ad affermare che l'indipendenza di pensiero fu monopolio dci cattolici, mentre gli ariani erano servili verso il potere (questa, più o meno, la versione ac cettata dalla storiografia cattolica). Nella prima fase della contrm·ersia, i fautori del Credo niceno tenta rono di persuadere l'imperatore a modificare il suo operato; nella se conda fase, quando il tempo e gli eventi dimostrarono che non era pos sibile farsi illusioni, i più audaci e accaniti si permisero di esprimere giudizi estremamente severi. Nel356 il vecchio �o; colui che in passato aveva esercitato un ruolo così importante al fianco di Costantino il Grande, scrive a Costanzo: Smettila, ti prego,
c
ricordati che sei un uomo mortale, temi il giorno del giu
dizio, conservati puro per allora. Non immischiarti nelle questioni della Chiesa e non darci ordini in questo campo, ma trai tu stesso insegnamento da 160
Gli imperatori e la Chiesa noi. A te Dio ha posto nelle mani l'impero, a noi ha affidato le cose della
Chiesa. Come chi cerca di sottrarti il potere si oppone al volere di Dio, così
abbi timore d'incorrere anche tu in una grave accusa, prendendo su di te gli affari della Chiesa. Sta scritto: "Date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio". Né dunque è leòto a noi governare la terra, né tu, o sovrano,
hai la potestà di offrire incenso. Scrivo queste parole, pertanto, prcoccupan
..
domi della tua salvezza. L . ] Trattieniti, e non prestare ascolto a uomini malva
gi, per non renderti colpevo Ìca·causa Jegli obblighi reciproci. Di questo do
.
vrai giustificarti da solo l giorno del giudizio. [.. ] Smetti, ti scongiuro, e ascol i
tami, Costanzo. Questo conviene che io ti scriva
c
che
tu
non trascuri.21
Va notato come in questa lettera Osio sia il primo, nella letteratura cri stiana, a richiamarsi al celebre passo del Vangelo 22, 2l; 42 25);_ da questo momento esso verrà sempre citato come ondaiìiento bi lico dell'indipendenza della Chiesa dallo stato. Quattro anni dopo, Ilario Ji Poitiers scriverà la stessa cosa, anche se in tono molto più duro, a proposito di Costanzo:
\
(�
Noi scorgiamo, o lupo rapace, la tua veste di pecora. Tu riempi il santuario di Dio con l'oro dello stato, e porti a Dio i beni sottratti ai templi, o espropriati
con editti, o esatti come punizione. Accogli i sacerdoti con il bacio con cui anche Cristo fu tradito; sottometti il capo alla loro benedizione, per calpesta re la fede; li inviti alla cena da cui Giuda si allontanò per tradire; li liberi dalle
tasse, che Cristo pagò per non essere di scandalo; rimetti loro, in quanto
.
Cesare, le imposte, per invitare i cristiani a rinnegare la fede. [ .. ] Questo è il tuo travestimento, falsa pecora. [. .. l Ma non ti è lecito, anche se il
tuo
potere è tirannico, imporre il tuo giudizio
anche ai posteri. Vi sono infatti dci testi che mostrano come era ritenuto conforme alla religione ciò che ora ritieni peccaminoso. Ascolta l significa· • i
to sacro delle parole, ascolta la fede affermata da tuo padre, ascolta l'opi · nione pubblica che condanna gli eretici e comprendi di essere nemico della religione divina, ostile al ricordo dei santi ed erede degenere della religiosità paterna.22
Lucifero di Calares, coprendo Costanzo di insulti c di minacce costella te di riferimenti all'Antico Testamento, dichiarerà apertamente che sono gli imperatori a dover obbedire ai vescovi, non i vescovi agli impe ratori. In una predica pronunciata ncl386, Ambrogio dirà: La Chiesa è di Dio, e non deve assolutamente essere aggiudicata a Cesare, perché il tempio di Dio non può essere diritto di Cesare. Nessuno può negare che ciò sia stato detto con deferenza verso l'imperatore. Che cosa è più defe-
21 Citato in H. Rahner, Chiesa Jaca Book, Milano 1970, p. 76. 22
e
struttu r politica nel cristianesimo primitivo,
a
lvi, pp. 81·83.
161
' •
Storia della Chiesa nella tarda antichità rente, infatti, che chiamare l'imperatore figlio della Chiesa? Se si dice ciò,
non gli. si fa
un
torto, ma
un
favore. l: imperatore infatti è nella Chiesa, non è
sopra la Chiesa.2>
La crescente consapevole-aa di dover mantenere una certa distanza dal sovrano e dal suo operato, è testimoniata anche da episodi "minori ma tuttavia significativi. Nel359, per esempio, durante i preparativi del sino do di Rimini convocato per volere di Costanzo, si verificò il seguente fat to: l'imperatore aveva concesso ai vescovi di servirsi della posta imperiale; per molti di loro, pastori di diocesi povere, che avevano difficoltà a pagar si i costi del viaggio, ciò significava un considerevole sgravio. Pare però che la schiacciante maggioranza si rifiutasse di approfittare del privilegio. n,
6.17 Che cosa si aspettavano i vescovi dagli imperatori cristiani I giudizi critici, sopra citati, sul ruolo dell'imperatore nel mondo cristia no, nel IV secolo non determinarono la nascita di una teoria coerente che definisse i principi su cui avrebbero dovuto basarsi i rapporti tra stato e Chiesa indipendentemente dall'assetto delle forze del momento, dalla persona dell'imperarore e dal suo modo di agire. Le opinioni di Osio, di Ilario, di Lucifero e di Ambrogio furono tutt'al più proficui strumenti di lotta in una data questione e in un dato momento. Né gli scrittori da me citati, né gli altri ecclesiastici desideravano che la Chiesa si occupasse da sola delle proprie questioni. Volevano che l'imperatore agisse secondo jj loro pensiero, per riconoscere giuste e pie le sue iniziative (anche quelle del tutto personali, prese senza un suggerimento ecclesiastico). Nessuno si indignava quando si mandavano in esilio Ario o i vescovi filoariani, né quando Costantino il Grande ordinava di dare alle fiamme le opere ere tiche. Nessuno dei cattolici protestava quando Teodosio il Grande met teva in moto il meccanismo della repressione, mirante ad annientare tut to c.iò che esulava dall'ortodossia. Privare le comunità ariane delle loro chiese in città in cui la popolazione apparteneva a entrambe le confessio ni, agli occhi dei grandi capi della Chiesa cattolica appariva come un atto gradito al Signore. Sia Ambrogio sia Giovanni Crisostomo facevano di tutto per impedire che gli ariani avessero un luogo dove celebrare la messa e diffondere il verbo di Dio. La divisione dell'impero tra più regnanti creava la possibilità di ser virsi di-un sovrano contro l'altro. Di ciò approfittavano quegli stessi uo mini di Chiesa che peraltro criticavano aspramente gli interventi impe riali. Atanasio sperava nell'aiuto di Costante contro Costanzo, senza per questo ritenersi incoerente. Dall'in1peratore ci si aspettava una politica attiva, non che si tenesse in disparte. Ai sovrani che non combattevano gli eretici con sufficiente irn2' fvi, p. 96. 162 Copyrighted
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aterial
Gli imperatori c la Chiesa
pegno si rimproverava di non adempiere ai propri doveri. Nel 457 papa Leone Magno rimproverò aspramente l'imperatore Leone I per non aver rimosso da Alessandria il suo vescovo Timoteo, soprannominato "Eluro" (''Gatto", come si usa tradurlo, o più propriamente "Donnola"), un pio asceta che godeva nel suo paese di immensa autorità e di concreto soste gno. L'imperatore non aveva nessuna fretta di scacciare Timoteo, cosa che avrebbe richiesto l'impiego della forza, con il pericolo di turbare la pace ad Alessandria, conseguenze di cui il papa, per ovvi motivi, non si preoccupava affatto. La richiesta di combattere gli eretici di Alessandria si trova anche in una lettera del476 di papa Simplicio a Basilisco, che al
cuni mesi prima aveva usurparo il potereimpef1ate. Non poteva essere diversamente. Per la Chiesa della tarda antichità l'eresia era un effetto dell'opera di Satana, e gli eretici erano strumenti diabolici che agivano a danno della vera fede (questo, a onor del vero, lo pensavano anche gli eretici nei confronti dei loro avversari). Con i servi di Satana non potevano esserci compromessi e ogni mezzo era va lido per sbarrare la strada alla dottrina diabolica. Se qualcosa deve stu pirei è semmai la moderazione di certi imperatori, che frenavano l'ardo re dei loro consiglieri ecclesiastici nel perseguitare i nemici. La critica agli interventi imperiali nelle questioni della Chiesa, anche se incoerente e strumentale, fu estremamente importante. Essa provava che, malgrado la generale accettazione del fondamento sacro del potere laico, si era convinti che i sovrani dovessero osservare certe regole, che non potessero spingersi troppo oltre nelle loro azioni e soprattutto che dovessero lasciare ai sinodi le questioni dottrinali, intervenendo solo in base alle loro deliberazioni. Tale convinzione non era abbastanza forte da determinare il comportamento dei vescovi verso i sovrani della loro stessa confessione in situazioni dove potevano sfruttare l'appoggio im periale per i propri scopi: ma sarebbe troppo aspettarsi una simile virtù da politici ecclesiastici. Le azioni degli imperatori trovavano sempre appoggio almeno in una parte dci vescovi dd loro regno. Sarebbe estremamente ingenuo raffi gurare da una parte la Chiesa oppressa e dall'altra il sovrano che le im pone il proprio volere. Di solito i suoi interventi erano provocati da qualcuno dei gruppi esistenti nella Chiesa e i cui rappresentanti si reca vano nelle corti imperiali, sollecitando il sovrano a intervenire contro questa o quella fazione, contro questo o quel vescovo, a convocare un sinodo o, viceversa, a impedirne l'attuazione. Lo facevano tutti, ariani e cattolici. Nell'analizzare i rapporti tra l'imperatore e la Chiesa sul finire dell'an tichità bisogna anche ricordare che solo molto raramente si può parlare di una posizione concorde della Chiesa come un unico corpo (perlome no della Chiesa d'Oriente e d'Occidente). Non esisteva un'istituzione che formulasse con chiarezza una simile posizione, a parte i concili, e an che l'accettazione delle loro decisioni non era sempre concorde. Il più delle volte l'imperatore aveva a che fare con le richieste di certi vescovi o 163
Storia della Chiesa nella tarda antichità
1
di certi gruppi episcopali, a loro volta divisi da questioni non solo di ca rattere dottrinale. I conflitti tra Alessandria c Costantinopoli, tra Alessandria e Antiochia, tra Roma e Costantinopoli facevano sì che il so vrano, prendendo una qualsiasi decisione, si trovasse fatalmente d'accor do con gli uni e in contrasto con gli altri. In caso di gravi discordie tra le gerarchie, egli esercitava il ruolo di arbitro, circostanza di solito conte stata da quanti non restavano soddisfatti dalle decisioni imperiali. Come ho già avuto occasione di scrivere, per molto tempo i papi non poterono aspirare a esercitare tale ruolo, nemmeno quando la dottrina di Pietro venne compiutamente formulata. Nel mondo romano l'imperatore restava ancora la massima autorità nelle questioni religiose, talvolta accettato con entusiasmo e talvolta duramentc criticato, ma sempre nella convinzione che il suo mandato, ri cevuto da Dio, comprendesse anche la Chiesa.
164
7. Le controversie dottrinali in Oriente (l): l'arianesimo
Nel 324, alla not!Zla di un grave conflitto nella Chiesa alessandrina, Costantino il Grande, che dopo la vittoria su Licinio aveva appena preso il potere in Oriente, inviò in Egitto Osio di Cordova, il vescovo che lo accompagnava da anni e nel quale riponeva un'immensa fiducia, con una lettera destinata ai due protagonisti della controversia, Alessandro e Ario. Si tratta di una lettera per molti versi sorprendente. L'imperatore scnveva: Vengo a sapere che questo è stato l'inizio della presente controversia: quando tu, Alessandro, chiedevi ai presbiteri che cosa ciascuno di loro pensasse su un passo della Legge, o meglio su un dettaglio futile di un problema, tu, Ario, ri spondesti improvvidamente una cosa che avresti fatto meglio a non concepire o, una volta concepitala ad affidarla al silenzio. [.. ] Su problemi di questo ge ,
.
n ere non bisognava fin dall'inizio fare domande, né rispondere alle domande.
[ . ] La vostra lite non si è accesa intorno a ciò che è ssen ial nei precetti del .
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la Legge, né avete introdotto alcun nuovo sistema per ciò che riguarda la reli gione, bensì avete lo stesso modo di pensare che è proprio del consenso della
comunità. [ ... l Pensiamo più ragionevolmente e ri ettiamo più assennatamen
fl
te su ciò che è stato detto - se sia giusto che a causa di insignificanti e vane contese di parole tra di voi, i fratelli si oppongano ai fratelli e la preziosa con gregazione sia divisa da un 'ampia discordia per colpa di noi che contendiamo gli uni con gli altri per cose così piccole e per niente necessarie. Questo com portamento è proprio del volgo e si addice all'inscnsatczza di ragazzi piuttosto che al senno di uomini santi e saggi. Allontaniamoci di nostra spontanea vo lontà dalle tentazioni diaboliche. Il nostro grande Dio, il Salvatore di tutti, a tutti ha offerto la luce. Permettete che sotto la Sua provvidenza, io, v neratore
c
del Potente, porti a termine quest'opera, per ricondu re voi, i Suoi popoli , con il mio invito e servizio
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ammonimento, alla comunione della congregazion .1
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\
7 .l Lo stupore di Costantino di fronte ai conflitti teologici L'imperatore dunque non comprende il significato della controversia che sta appena iniziando e che in futuro si rivelerà uno dci massimi conflitti 1
Socrate Scolastico, Storia cccleriastica, 165
1,
7, 3;
1,
7, 7; l, 7, 10-11.
Stora i della Chiesa nella tarda antichità
dottrinali di tutto il cristianesimo. L'oggetto del contendere gli appare di poco conto, secondo lui si tratta di questioni «insignificanti». Costantino reagisce al conflitto teologico da persona educata nell'am bito delle religioni tradizionali, che non avevano mai nutrito particolare interesse per la dottrina. Per i pagani del mondo antico, il nucleo della religione consisteva nel culto, nonché nell'astenersi da ani sgraditi agli dèi (il che comprendeva non solo il rispetto per le norme morali, ma an che l'osservanza dei tabù alimentari, della purezza rituale e via dicen do). Chi offriva scrupolosamente i sacrifici e partecipava alle feste im poste dalla tradizione era libero di immaginarsi gli dèi come gli pareva: non esistevano testi sacri che lo limitassero in proposito. La riflessione sulla natura della divinità, sul suo rapporto con gli uomini e il cosmo, pur rivestendo un ruolo molto importante nel mondo antico, non com peteva ai sacerdoti, ma ai filosofi. Costoro disponevano di un patrimo nio vastissimo: in particolare, il pensiero filosofico del m secolo si era appuntato su argomenti che, nelle epoche successive, sarebbero spettati alla religione. Nelle parti qui omesse della lettera, Costantino trattava la controversia tra Ario e Alessandro come una disputa scolastica che si fosse estesa al foro, a essa non competente, dell'intera comunità: era l'u nico paragone cbe gli venisse
in
mente.
l grandi cambiamenti verificatisi nelle religioni pagane ai tempi del l'impero romano, soprattutto nel Ul secolo, non conferirono un partico lare significato alle dottrine. Le religioni si colorarono di emotività, oc cupandosi sempre più intensamente di ciò che aspettava l'uomo nell'ol tretomba; il volto degli dèi cambiò, senza che nei loro confronti si for masse un sistema di immagini concretamente strutturato. La riflessione sulla natura della divinità restava dominio dei tìlosofi.
7.2 Come mai il cristianesimo attribuiva tanta importanza alla teologia
Non così il cristianesimo, che fin dagli inizi (come risulta dalle Lettere di san Paolo) aveva attribuito un posto di primo piano alla dottrina. Potevano sperare di salvarsi solo coloro la cui concezione di Dio concor dava con la norma teologica. Misura dell'importanza delle differenze teo logiche era il fatto che, il pi.ù delle volte, tra le varie correnti che così ac canitamente si sconfessavano non esistevano divari in materia di culto e di morale percepibili nella vita quotidiana. Questa sensibilità del cristia nesimo per la correttezza dottrinale non derivava solo dall'esistenza di un testo sacro: altre due religioni monoteiste che ben conosciamo e che pure possiedono un loro libro sacro, ossia l'ebraismo e l'Islam, non possiedo no una teologia strutturata, mentre seguono con estremo rigore l'obbligo di osservare le leggi prescritte e di partecipare al culto. L'insistenza sulla necessità di mantenere la corrertezza dottrinale è ri masta fino a oggi una caratteristica del cristianesimo, anche se con il tempo la forza di tale pressione è andata diminuendo. Di più: l'interesse 166 Copyrighted
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Le controversze duttrmali in Orzente (l): l'arianesimo
per l'aspetto teologico della religione è diventato sempre più un attribu to della mentalità ecclesiastica, mentre i laici, anche i più devoti, hanno
condiviso sempre più raramente la passione per lo studio della natura di Dio e dci suoi rapporti con l'uomo. Questa progressiva indifferenza per la teologia oggi è arrivata molto lontano c si ripercuote anche su co loro che studiano la tarda antichità:2 agli storici, infatti, riesce difficile concepire che a quei tempi ci si combattesse solo per divergenze dottri nali. Ne deriva una certa tendenza a considerare i conflitti teologici schermi dietro ai quali si nascondono conflitti di altro genere (sociali, etnici e politici), ritenuti molto più importanti. Ma questo non ci aiuta a comprendere la storia della Chiesa nella tarda antichità. L'appassionato interesse dei cristiani per le questioni dottrinali ha va rie origini, su una delle quali in particolare vorrei soffermarmi. Non c'è dubbio che la sensibiltà per la teologia fosse in grande misura un effetto dell'eredità della filosofia antica, che aveva creato un preciso stile di ri flessione sulla divinità e sul mondo, riuscendo a diffonderlo ampiamen te c influenzando persino la mentalità di coloro che non leggevano le opere dei filosofi. La filosofia greca presiedette alla nascita del cristiane simo: il suo influsso si avverte nelle prime opere della letteratura cristia na (le Lettere di san Paolo, il Vangelo secondo Giovanni); i cambiamen ti avvenuti nelle comunità cristiane nel corso dei primi tre secoli della storia della Chiesa aprirono ulteriormente la nuova religione agli influs si filosofici. A questo punto, per far capire quanto sia profonda la responsabilità della filosofia nei conflitti dottrinali sorti in seno alla Chiesa della tarda antichità, sono costretta a interrompere i miei ragionamenti e ad aprire una parentesi nella quale cercherò di caratterizzare il modo di pensare antico: se non si tengono presenti le sue caratteristiche, le considerazioni sui conflitti teologici risulteranno difficilmente comprensibili. Fondamento della cultura spirituale dell'antichità era la fiducia nella ragione: più esattamente, nella sua facoltà di conoscere la realtà e di ela borare delle tecniche capaci di potenziare tale facoltà stessa. Non esiste vano argomenti che non potessero essere affrontati: la mente poteva oc cuparsi sia dei meccanismi del potere che della natura del mondo. L'orgoglio della ragione si spingeva anche oltre: essa si riteneva capace di studiare la natura della divinità, e questo per mezzo degli stessi stru menti intellettuali elaborati per analizzare i comportamenti umani. La caratteristica più importante della ragione antica è la sua tendenza a creare concetti generali, chiaramente definiti, necessari all'analisi astratta del mondo, nonché quella di costruire modelli secondo i quali ordinare i singoli fatti. Nelle loro indagini i pensatori antichi si servivano soprattut to della tecnica della disputa, che esaminava il valore degli argomenti da
2 Secondo me coinvolge anche una considerevole parte del clero cattolico e riveste un ruolo secondario perfino nelle Chiese nate dalla Riforma. Ignoro come stiano le cose nelle Chiese ortodosse.
167
Storia della Chiesa nella tarda antichità
addurre per dimostrare tesi diverse sul medesimo tema. Tale modo di pensare permetteva una grande apertura intellettuale c facilitava il rifiuto dei preconcetti. Si trattava di una qualità estremamente importante. D i solito le culture, soprattutto quelle d i alto profilo, tendono a conservare la propria forma e a pcrfezionarla all'interno di un quadro strettamente prestabilito. La capacità di varcare i limiti del quadro tradizionale, di cambiare spontaneamente le regole del gioco fu la caratteristica tipica del pensiero antico. L'insistenza sulla discussione come strumento di studio era strettamente collegata all'alto valore culturale attribuito alla parola. Nella storia dell'umanità troveremo ben poche civiltà che abbiano svi luppato altrettanto profondamente l'arte di ragionare in pubblico.
7.3 Pensiero filosofico applicato alla Bibbia
L'incontro tra il modo di pensare antico, caratterizzato dalla ricerca della precisione, e il messaggio racchiuso nella Bibbia, produsse frutti sorpren denti, tanto più che la fede in Cristo e nella sua missione terrena poneva compiti specifici alla riflessione teologica c creava complicazioni partico lari e incomparabilmente maggiori di quelle causate dal rigido monotei smo proprio dell'ebraismo o dcll'lslam. L a tentazione di descrivere esat tamente, di analizzare e di svelare il mistero del Figlio di Dio non abban donò mai gli antichi teologi, suscitando tensioni c inquietudini che li spinse a cercare nuove soluzioni e ad apportare modifiche alla dottrina. L e persone che dirigevano la vita delle comunità cristiane, e che quindi insegnavano le verità di fede, provenivano il più delle volte dagli ambien ti dell'élite cittadina, alla quale premeva che i propri figli ricevessero una solida preparazione culturale, fatto questo abbastanza comune in rutto il mondo amico. Il prestigio della cultura classica era immenso, troppo grande perché coloro che si convertivano al cristianesimo potessero smettere di rispettare la filosofia, la letteratura e la scienza, e rinunciasse ro al modo di ragionare e di esprimersi imparato a scuola. Pur insegnan do la dottrina della nuova fede, i teologi cristiani non erano in grado di liberarsi da ciò che avevano appreso, c soprattutto non riuscivano a mo dificare lo strato culturale più profondo, più difficile da controllare in quanto radicato nel linguaggio usato per descrivere e analizzare la realtà. Esso forniva i concetti di cui si servivano, determinava le domande che si ponevano, indicava loro come dimostrare le proprie ragioni. Scrivevano quindi di Dio come filosofi, sebbene in modo diverso dai filosofi pagani. Dovevano infatti mantenersi nell'ambito della Bibbia, poiché il loro compito consisteva nello spiegare il testo sacro, non nel so stituirlo, ed erano quindi costretti a rinnegare la libera riflessione sulla divinità che caratterizzava invece la filosofia pagana. L'analisi filosofica della Bibbia creava incredibili difficoltà. L'Antico c il Nuovo Testamento forniscono infatti una vasta congerie di testi sorti in epoche diverse, per lettori diversi c a scopi diversi. 168
Le controversie dottrmali in Oriente (l): l'arùmnimo
Gli antichi esegeti della Bibbia erano !ungi dal pensare che i libri di cui essa si componeva andassero considerati in modo storico, ossia te nendo presenti le specifiche circostanze da cui ciascuna opera era scatu rita e la mentalità caratteristica della sua epoca. Questa mia affermazio ne, naturalmente, non costituisce una critica, che qui risulterebbe del tutto fuori luogo. L'interpretazione storica della Bibbia è opera del XIX secolo, anche se continua a restare in parte un pio desiderio. Da varie pubblicazioni ricavo l'impressione che essa sia ancora ben lontana dal trionfare, e che in molti ambienti tradizionali sia diffuso il sospetto che la considerazione dei condizionamenti storici tolga alle Sacre Scritture il loro valore religioso; e ciò sebbene l'esegesi biblica moderna abbia di mostrato in ogni modo che la visione storica non fa che aumentare la nostra ammirazione per il messaggio biblico, potenziando la capacità di fruirne. Anzi certe volte essa è addirittura l'unica strada per giungere alla sua accettazione. I pensatori cristiani nella Bibbia cercavano soprattutto le profezie sul conto di Cristo, ed erano disposti a trovarle in brani che per noi non hanno alcun contenuto messianico. Sezionavano la Bibbia, isolavano pas si e frammenti che poi interpretavano senza badare al contesto. Rararamente si ponevano domande sull'obiettivo che si proponevano gli autori di una data opera o sul posto di un versetto nell'insieme del brano, comportandosi esattamente come i dotti rabbini, di cui erano gli eredi nel campo dell'esegesi biblica. l punti più difficili venivano superati per mezzo dell'interpretazione allegorica, già presente nella cultura pagana. Benché ci si rendesse conto delle contraddizioni delle Sacre Scritture, molto raramente esse venivano messe in evidenza nel commentare singo li passi: qualunque spiegazione era preferibile all'ammissione esplicita dell'incoerenza del testo sacro. L'assoluto rispetto per tutto quel che vi si trovava inibiva la capacità critica dei teologi, spingencloli acl accettare le interpretazioni più spericolate. Nella Bibbia analizzata secondo tali crite ri, praticamente qualunque teologo poteva trovare quel che cercava, ma gari a costo di forzare il testo; ma questi interventi, per noi sospetti, era no praticati da tutti in perfetta buona fede e in tutte le occasioni.
7.4 La preistoria della controversia ariana
Ma torniamo alla controversia ariana, il cui inizio tanto aveva indignato Costantino il Grande; il suo esempio mi servirà per descrivere la logica e i meccanismi peculiari delle controversie dottrinali. Sui conflitti pro vocati dalla concezione eli Ario mi sono già soffermata nel capitolo pre cedente, analizzando i rapporti tra lo stato e la Chiesa nel IV secolo. Ora voglio concentrare l'attenzione sull'oggetto del contendere. La controversia tra i fautori del presbitero alessandrino Ario e i suoi avversari, definiti eli solito "cattolici" oppure "ortodossi", riguardava il problema di determinare la relazione tra Dio Padre e il Figlio di Dio. A 169
Stora i della Chiesa nellt1 iarda antichità tale questione ci si interessava ormai da tempo: i teologi del m secolo oscillavano nelle loro risposte da un rigoroso monoteismo che imponeva di vedere in Cristo solo un "modo" (modus, da cui "modalismo") di ma nifestarsi di Dio, privo ru una forma fissa, a una netta affermazione della diversità tra Padre e Figlio, con chiara accentuazione della gerarchia tra le persone della Trinità. L'arianesimo era sorto in polemica con le idee del libico Sabellio (inizi del rn secolo), probabilmente ancora popolari in Libia (da dove proveni va anche Ario). Sabellio poneva l'accento sull'unità di Dio, il quale si manifesta in tre opere: in quanto Padre, creando il mondo e donando agli uomini la Legge; in quanto Figlio, salvando il genere umano; e in quanto Spirito Santo, santificando e trasmettendo la grazia. Sabellio rite neva che la Monade divina si espandesse nelle varie fasi delle sue funzio ni ruvine: il Padre si manifestava prima come Figlio, indi come Spirito Santo. Sabellio quindi negava la diversità del Padre dal Figlio (i suoi al lievi avrebbero coniato il termine hyiopator, "Padre-Figlio"). La parte greca dell'impero oppose una forte resistenza al sabelliani.o;mo, nel quale rawisava un'evidente e pericolosa eresia che colpiva il nucleo della fede cristiana: la persona del Redentore. Durante le dispute teologiche fiocca vano continuamente accuse (giuste e ingiuste) di sabellianjsmo. Ciò che allarmava profondamente Ario (e i suoi seguaci) e cbe, a suo parere, richiedeva una spiegazione teologica, era la figura del Dio soffe rente. Nella sua qualità di essere perfetto e quindi non soggetto a cam biamenti, Dio non poteva soffrire né morire. La contraddizione tra que sta verità teologica e il messaggio biblico poteva essere rimossa solo am mettendo che Cristo fosse un Dio gerarchicamente inferiore a Dio Padre, un Dio diverso nella sua essenza, che quindi poteva soffrire come un uomo e morire sulla croce per compiere l'opera di redenzione dell'umanità. Gli ariani erano convinti che il Verbo divino si fosse in carnato in un corpo veramente umano, occupando in questo corpo (in greco: soma) il posto dell'anima (psyché) e acquistando così la facoltà di soffrire. In tal modo la dottrina ariana, basata su fonti bibliche, era in grado dj spiegare, meglio di quanto non facessero i suoi avversari dot trinali all'inizio della controversia, la questione teologica della morte ru Cristo sulla croce. Scotto da pagare: la teoria di due divinità ruseguali, che limitano fortemente la divinità di Cristo. Premessa fondamentale dell'arianesimo era dunque l'affermazione del l'assoluta unità e trascendenza ru un Dio privo ru inizio. Scriveva Ario: «Noi riconosciamo un solo Dio, unico non generato, unico eterno, unico senza inizio, unico ve1·o, unico dotato di immortalità, unico intelligente, unico buono, unico signore, unico giudice ili tutte le cose».3 Un Dio simi le non può condividere il suo essere con un'altra ruvinità, giacché parteci pando la sua sostanza a un altro Dio ruventerebbe &visibile, soggetto a cambiamenti, il che contrasterebbe con la sua natura. >Citato in H.-G. Opitz, op. cit, vol.
11,
pp. 12·13.
170 Copyrigflled m atenal
Le controversie
dottrmali in Oriente (1): l'arianesimo
Il Figlio, che Dio aveva usato come strumento per creare il mondo e per agire in esso (dato che un contatto diretto tra l'Assoluto e il mondo mutevole sarebbe stato impossibile), è anch'esso una creatura, chiamata a esistere grazie a un atto creativo della volontà divina; una creatura pe renne e perfetta, non paragonabilc al resto della creazione. Cristo dove va quindi aver avuto un inizio (mentre Dio era senza inizio), ma questo inizio era avvenuto prima che esistesse il tempo. Ario era convinto che ammettere l'eternità di Cristo avrebbe significato la negazione del mo noteismo; lo scandalo suscitato da questa affermazione lo indusse tutta. . . . vta a nnunc1arv1.
f
Il Figlio, per il fatto di essere stato creato, è «diverso e assolutamente estraneo all'essenza c alla sostanza individuale del Padre», quindi non può vedere né conoscere Dio ed è soggetto a cambiamenti. Lo Spirito Santo inizialmente non fu oggetto di particolare attenzione da parte dci protagonisti della controversia: le discussioni sul suo posto nella Santissima Trinità furono affrontate solo dai teologi della seconda generazione. A quel tempo gli ariani sostenevano che lo Spirito Santo era stato creato dal Padre, ma mediante il Figlio; era inoltre gerarchica- \ mente inferiore al Figlio e privo di natura divina, per cui nella gerarchia Jella creazione era posto al di sopra degli angeli.
7.5 I fondamenti biblici dell'arianesimo Ario c i suoi fautori attingevano le basi delle loro affermazioni principal mente dai Vangeli, che si soffermavano molto sulle caratteristiche umane di Gesù: le sofferenze, i dubbi, l'essere soggetto ai disagi umani (fame, sete, ignoranza). Soprattutto due passi del Vangelo secondo Marco veni vano citati con frequenza: «"Maestro buono, che devo fare per ottenere la vita eterna?". Gesù gli disse: "Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo"» (Mc l O, 17-7 8); «In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto ciò avvenga. Il cielo e la terra passe ranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto poi a quel giorno e a quell'ora nessuno ne sa nulla, neppure gli Angeli in cielo, né il Figlio, ma solo il Padre» (Mc 13.10-32). In misura �inorc gli a riani trovavano materiale probante per i loro ragionamenti nel Vangelo secondo Giovanni; ma anche da questo at tingevano i passi che tornavano loro utili: «Avete sentito che v'ho det to: vado, ma torno a voi. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vada al Padre, perché il Padre è più grande di mc» (Gv 14, 28); «Padre, è giunta l'ora, glorifica tuo Figlio, affinché il Figlio tuo glorifichi te, come tu gli hai dato potere su tutti gli uomini, affinché egli doni la vita eterna a coloro che gli hai dato. La vita eterna è questa, che cono scano te , solo vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17, 1-3); «Ascendo al adre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vo stro» (Gv 20, 17).
P
171
Stona della Chiesa nella tarda antichità Per dimostrare che il Figlio non era nato (gennan) da Dio, bensì crea to, "fatto" (poiein) da Dio, gli ariani citavano un passo del L ibro dei Proverbi (8, 22-27), che qui riporto traducendolo dal testo greco � Settaiìt'à� giac�esso, e non la versione ebraica della Bibbia, era la base di tutte le dispute teologiche: Il Signore mi creò come inizio delle
su.e
vie nelle sue opere, prima del tempo mi fondò in principio,
prima di fare la terra e prima di fare gli abissi, prima che uscissero le sorgenti delle acque. Prima che i monti fossero stabiliti. prima di tutti i colli egli mi generò. Il Signore fece i territori c gli spazi abitati c le alture abitate della terra sotto il cielo. Quando preparava il cielo, io ero presente presso di lui,
c
quando delimitava
il suo trono sopra i venti.
L'uso che gli ariani facevano di questo testo serve a illustrare la tenden za, sopra ricordata, a trovare nella Bibbia il maggior numero possibile di profezie riguardanti Cristo. Nel passo citato, l'esegesi contempora nea non ravvisa alcun senso messianico: come indicano i versetti che lo precedono, a parlare è la Sapienza di Dio personificata, che rivestì un ruolo importante nel pensiero religioso di Israele ai tempi della cattività babilonese. La grande disputa alla qualeArio dette inizio si concentrò principal mente sulla questione dello status ontologico del Figlio. Una riduzione così drastica della sua posizione creava enormi problemi teologici. La ferrea logica diArio, la sua prontezza a trarre le conseguenze più estre me da premesse peraltro generalmente accettate, inquietava. Secondo la convinzione degli oppositori di Ario la divinità, la perfetta divinità di Cristo, era confermata sia dalla Bibbia che dalla tradizione. Essi pensa vano che l'arianesimo scalzasse l'idea cristiana della redenzione com piuta grazie al sacrificio di Cristo: gli uomini non potevano sperare nel la salvezza, se il loro Redentore non era Dio nel senso pieno del termi ne. Questa reazione all'arianesimo, sicuramente decisiva per la sua sconfitta, conteneva in sé un paradosso: perArio, come ho già detto, la questione fondamentale, lo scopo principale della sua teoria era proprio la spiegazione del mistero della redenzione.
7.6/ lomoousios: come si può usare un termine non biblico Gli avversari diArio sottolineavano con forza l'identità della natura di vina del Padre e del Figlio. Poiché la Bibbia non forniva il termine adat to per definirla (la Bibbia non era un trattato di filosofia, mentre la do manda che veniva posta era essenzialmente una domanda filosofica), ci si servì di una parola che apparteneva alla terminologia filosofica. 172
Le crmtrovcruc dottrinali In Ortente (1): l'arianesimo
Secondo gli awersari di Ario, il J'iglio derivava dall'ousia (''essenza": è questa di solito la traduzione accettata, sebbene talvolta s�a il termine anche con "sostanza") del Padre: egli era dunque homoousios (''della stessa essenza", "consustanziale"). Se il termine ousia godeva di solide tradizioni filosofiche, lo stesso non si poteva dire per quello di homoousios; i teologi cristiani l'avevano preso in prestito d agli gnostici, <JerreStò m'ò1to prima della controversia arlaiì'aUo avevano m Qrlgen� Metodio, DionigUJi Alessandri<J), ma non era mai entrato nell'uso correntee'iìiizr;;'in;c nte aveva urtato molti vescovi: per loro era difficile accettare l'idea che si potesse descrivere Dio ricorrendo a termini assenti dai testi rivelati. Tuttavia, dal punto di vista della successiva storia della teologia, è evidente che il grande meri to degli awersari dell'arianesimo fu proprio quello di andare al di là delle Sacre Scritture: un'idea geniale, che aprì nuove prospettive alla ri flessione cristiana sul tema di Dio e che permise di arricchirla e affinarla come non si sarebbe mai riusciti a fare attenendosi rigorosamente alla sola Bibbia. In sostanza, gli ariani erano fautori di un approccio tradi zionale alla dottrina, sebbene l'estrema coerenza filosofica delle loro opinioni li facesse apparire come pericolosi innovatori. Saranno i segua ci del Credo niceno, nelle persone dei Padri Cappadoci, a introdurre 1 nella teologia in modo originale e aperto gli clementi del pensiero filo- ' sofico greco. La prima fase delle discussioni sulle questioni aperte da Ario terminò al tempo del concilio di Nicea, con la formulazione di una professione di fede (di cui ho già avuto occasione di parlare) accettata da quasi tutti i vescovi presenti: Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili c im·isibili,
c
in un solo Signore nostro, Gesù Cristo, Figlio Ji Dio, nato da
Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, naro, non creato, consustanziale con il Padre. Per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nel ciclo e quelle sulla terra. Per noi uomini c per la nostra salute è disceso e si è incar nato; si è fatto uomo, ha patito ed è risorto il terzo giorno cd è salito nei cicli; di lì verrà a giudicare i \'ivi ca
e
e
i morti. E nello Spirito Santo. La Chiesa cattoli
apostolica condanna coloro che affermano che
' c era
un tempo nel quale
egli non esisteva, e che prima di essere stato generato non esisteva,
c
che egli
è stato fatto Jal nulla, oppure che viene Ja altra sostanza [hypostasù]o so stanza [ouszal, ovvero che è alterabile o mutabilc.4
La formula contenuta negli anatematismi finali, che condannavano quan ti negavano che il Figlio fosse della stessa sostanza (hypostasis) del Padre, si rivelò infelice per il futuro della tendenza nicena. Nell'Oriente gre cofono il termine "ipostasi" era per lo più inteso come riferito all'essere individuale, per cui a molti il Credo appari\'a inficiato dall'eresia sabellia4
Conciliorum Oecumenicorum Decrettl, cit., p. 5. 173
Storia della Cbtesa nella /ard4 antichità na. Ciò spiega la violenta ostilità nei confronti delle decisioni dottrinali di Nicea generalmente diffusa in Oriente (a parte l'Egitto). Del resto, la grande disputa teologica non era che agli inizi. Gli ariani primeggiavano sicuramente nella conoscenza della Bibbia, e negli scontri a colpi di citazioni costituivano un avversario temibile. Vediamo, sulla base di alcuni esempi, che sorte tOccasse alle testimo nianze bibliche nel corso dei dibattiti. Entrambe le parti dovevano af frontare con più o meno successo, con maggiori o minori forzature del testo, il compito di spiegare i passi che le mettevano in difficoltà.
7.7 Guerra di citazioni bibliche Il passo sopra citato daJ Vangelo secondo Giovanni («D Padre è più grande di me», 14, 28) era ovviamente favorevole agli ariani. Ales sandro, oppositore di Ario, ancor prima del concilio di Nicea ne aveva dato la seguente interpretazione: il Padre è più grande del Figlio in quanto non è stato generato, mentre il Figlio è stato generato dal Padre; tuttavia hanno entrambi il medesimo rango. Un'interpretazione ripetuta poi, con poche varianti, dai niceni. Atanasio e lla1·io concordavano sul fano che in un certo senso il Padre (in quanto padre) fosse più grande del Figlio. Gregorio di Nissa, a proposito di questo testo, dirà che il pa dre è più grande in quanto causa del Figlio, ma che la loro natura è identica. Non così Epifanio di Salamina, il quale suggeriva che Cristo avesse pronunciato quelle parole in segno di rispetto filiale verso il Padre, ma che non bisognasse interpretarle in senso ontologico. L'altro passo del medesimo Vangelo (<
m
aterial
Le controversie dottrmali in Oriente
(l): l'arianesimo
realtà metafisica definitiva (''Colui che è"), in quanto "Colui che è" non poteva essere presso "Colui che è". Il passo «io e il Padre siamo uno» (Gv l O, 30), testo caro ad Atanasio in quanto pr�; del1'umfa6ntologica-c.terPaùr€" e del Figlio, veniva da gli ariani sottoposto a un'interpretazione che lo privava del suo senso parlava G.e�� era semplicemente appare"'iìre.rsecondo loro, l'unità di cul_. un 'unità morà1e di"" m::cordo-e vo1ontà. "ba questo pa'SSOMarcéll'òdi Ancira,reologo fìlonicenOCTiChiare-tendenze sabelliane, deduceva la sua teoria sull'identità del Padre e del suo Lop,os (il Figlio sarebbe ap parso solo dopo l'incarnazione). I vescovi occidentali riuniti nel sinodo di Scrdica accettarono senza riserve tale interpretazione. In questo fatto i vescovi orientali videro una prova inconfutabile delle tendenze ereti che di tutti i seguaci coerenti del Credo niceno. Gli ariani se la cavavano male negli altri testi del Vangelo secondo Giovanni spesso sfruttati da Atanasio, come per esempio: «Gli dice Filippo: "Signore, mostraci il Padre, c ci basta". Gesù gli dice: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: 'Mostraci il Padre?' �on credi n� io sono nel Padre e il Padre è in mc?"» (Cv 14, 8-10). I nlc'Criì aloro volta avevano élìffìcolta a còi1futare l'int�rpretazione aria na dei passi del Vangelo secondo Marco: 10, 17 c 13,30-32 sopra citati.
7.8 «inganno armeggiante col vuoto suono delle parole» I teologi che entravano nella disputa dottrinale dovevano conoscere la Bibbia a menadito, ma dovevano anche possedere una preparazione re torico-filosofica che garantisse l'indispensabile agilità logica e polemica; facoltà acquisite negli anni di studio scolastico, secondo sperimentate ricette antiche. Gli uomini della Chiesa del!V secolo ne erano perfetta mente consapevoli. Mi permetto di citare una delle migliori e più chiare enunciazioni sull'utilità dell'educazione classica. Si trova nella Storia ec clesiastica di Socrate Scolastico, qui ormai tante volte ricordata: La cultura pagana non fu, né da Cristo, né dai suoi discepoli, né accolta come ispirata da Dio, né respinta come dannosa. segnano, certo, princìpi ammirevoli ascoltatori grande pietà e via retta,
c
c
[ ] Le Scritture ispirate da Dio in ...
veramente divini, e infondono negli
forniscono alle persone serie fede grata a
Dio, ma non insegnano l'arte del discorso che serYe a far fronte a coloro che
vogliono combartcre la ,·erità.5
La «scioltezza d'eloquio», ]'«allenamento al pensare», ]'«abilità dialetti ca» (sono tutte espressioni di Socrate) suscitavano una certa diffidenza; ci si rendeva conto che quelle tecniche si addicevano poco alla Bibbia e l
Socrate Scolastico, Storia ecdeiÙJJtica, l, 16, 9; 175
I,
16, 17.
Storia della Chiesa nella tarda antichità costituivano un reale pericolo per i partecipanti alle dispute. Questo gio co dialettico, condotto per il proprio piacere e per confutare l'avversa rio, Socrate lo definì un «inganno armeggiante col vuoto suono delle pa role» e lo scorgeva in Ario, in Ncstorio e in altri eresiarchi. Ma era dav vero così? Davvero i non cattolici del TV secolo erano legati alla tradizio ne delle antiche polemiche filosofiche, che presupponevano l'abilità re torica, più di quanto lo fossero coloro che professavano l'ortodossia? Purtroppo non possediamo sufficienti testi ariani per un confronto obiettivo, ma considerando ciò che sappiamo sulle due parti in lotta, non credo che si debba prestar fede a Socrate; il rimprovero di cedere alle tentazioni della dialettica è per lui un ulteriore capo d'accusa, un ul teriore elemento di critica contro gli ariani. Sicuramente entrambe le parti traevano vantaggio dalla buona preparazione scolastica: nel IV secolo in Oriente le scuole di tipo antico erano ancora attive. Solo nel se ; 'l colo successivo appariranno teologi privi di solidi studi pagani. La discussione suscitata da Ario ebbe effetti importantissimi; nel cor so di essa si giunse a sviluppare e a precisare la dottrina cristiana su Dio; le controversie successive, seppure anch'esse molto importanti, eb bero una rilevanza minore rispetto ai conflitti del IV secolo. Fu appunto nel TV secolo che si formò ]'"ortodossia": i suoi inizi, ovviamente, affon dano nella precedente dottrina della Chiesa, ma essa raggiungerà la sua matura formulazione solo nella grande opera dei Padri Cappadoci: Basilio di Cesarea, Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa. Il confronto tra i singoli elementi della dottrina quali compaiono presso i fautori del partito niceno agli inizi della controversia, e quali compaiono poi presso i Padri Cappadoci, nonché i teologi più tardi, ci permette di capire quante cose fossero cambiate. Il primo oppositore di Ario, Alessandro di Alessandria, riguardo alla subordinazione del Figlio \.ai Padre nutriva opinioni che alla fine del I\' secolo sarebbero state di chiarate eretiche senza esitazione; a Serdica Atanasio firmò (insieme agli altri) una formula su Dio in unica ipostasi, che fu poi respinta dai Padri \ Cappadoci, seguiti da tutta la successiva teologia cristiana. l cambiamenti appaiono ancor più evidenti se arretriamo nel tempo. Nei secoli precedenti si accettava generalmente l'idea secondo la quale il Cristo preesistente doveva fungere da collegamento tra un Dio immutabi le c immoto e il mondo mutevole e condannato a svanire; nel IV secolo questa concezione, che chiamiamo ':sJQttrina del Logos-'' e cfie C:O:�tit�a ,. un comodo strumento filosofico, fu completanfénte abbandonata. Quando, nella metà del m secolo, il vescovo di A!essanaria DionigiSCrìSsé che il Figlio era stato creato, la cosa suscitò la protesta, peraltro moderata, del vescovo di Roma (Dionigi anche lui). Nella fase conclusiva della con troversia ariana, per un giudizio del genere si veniva destituiti senza ap pello dalle cariche ecclesiastiche. l teologi cattolici della seconda metà del l\' secolo dichiararono "eretica" la dottrina enunciata dagli apologeti del II 11 secolo, lrcneo, Tertulliano e lppolito, secondo la quale il Figlio (o LogM), trovandosi perennemente nell'essenza del Padre, si era dilatato ed espan176
Le controversie dottrinali in Oriente (1): l'arianeiimo
so in un determinato tempo per compiere l'opera della creazione, della ri velazione e della redenzione. Queste contese accanite, che solo apparentemente possono sembrare chiacchiere senza sostanza, in realtà portarono al formarsi di nuovi fonda menti dottrinali e contribuirono a diffonderli. La vastità e l'originalità del patrimonio teologico del IV secolo sono sbalorditive; si è stupefatti dalla libertà intellettuale con cui i teologi (soprattutto i Padri Cappadoci), pur mantenendosi entro i limiti tracciati dalla Bibbia e continuando a esserle fedeli, affrontavano l'impresa di trasformare il nucleo stesso della dottri na cristiana. In breve, però, questa corrente subì un arresto.
7.9 Quanto era forte il campo ariano? Le fonti a nostra disposizione non ci consentono di stabilire la portata dell'arianesimo. I niceni d'Oriente, scrivendo ai vescovi occidentali, spes so esageravano nel valutare la forza degli ariani c il grado di pericolosità che essi rappresentavano per la fede della Chiesa. l! loro scopo era mobi litare l'Occidente in difesa dell'ortodossia, e soprattutto indurre gli impe ratori filoniceni che vi regnavano a esercitare pressioni sugli imperatori filoariani d'Oriente. ll pessimismo nel valutare la situazione aveva dun que uno scopo e un significato ben precisi. D'altro canto, nei testi filoni ceni si trova spesso anche una valutazione esattamente contraria della parte avversa: gli ariani avrebbero costituito piccoli gruppi, privi di un effettivo appoggio da parte del clero e dei fedeli laici, esistenti solo grazie alla protezione imperiale. La storiografia cattolica di impostazione apolo getica, identificandosi con il partito niceno e credendo senza riserve a tutto quel che scrivevano i suoi rappresentanti, ha sostenuto che l'ariane simo fu sostanzialmente una faccenda di un pugno di intriganti, mentre il popolo, depositario della giusta fede, rimase ovunque cattolico; era suffi ciente cambiare imperatore perché tale stato di cose si manifestasse in tutta la sua luce. Accogliere quest'asserzione significa negare il fonda mento biblico dell'arianesimo e il suo posto nella storia della teologia. Se consideriamo l'eresia ariana come una tappa indispensabile del grande e faticoso processo di formazione della dottrina cristiana, dobbiamo anche respingere la tesi secondo cui la colpa di tutto ricadeva sugli imperatori. Anche l'analisi particolareggiata degli eventi non indica che il popolo ap poggiasse esclusivamente la causa niccna. Occorre chiedersi piuttosto come mai la divisione tra imperatori filo niccni e antiniceni corrispondesse alla divisione tra Occidente e Oriente. E se la scelta fosse stata dettata dalle simpatie della maggioran za dei sudditi, e non viceversa? Gli imperatori, che desideravano arden temente l'unità della Chiesa, si sarebbero schierati dalla parte che se condo loro aveva maggiori probabilità di vincere. Non certo per freddo calcolo, ma perché nella voce della maggioranza sentivano la voce di,. Dio, mentre la minoranza ai loro occhi si componeva esclusivamente di l77
Stora i della Cbie.ra nella tarda antichità fanatici esaltati o di intriganti che andavano contro il popolo fedele alla vera dottrina. Accettando un simile pw1to di vista, si riesce anche a conferire un senso alla grande svolta verificatasi sul finire del IV secolo, sotto il regno di Teodosio, che riuscì a realizzare ciò che invano avevano tentato i suoi predecessori� partire da Costantino il Grande: l'unificazione dottrinale dell'in1pero. E vero che l'imperatore esercitava pressioni su coloro che non la pensavano allo stesso modo, ma ciò era avvenuto anche nei de cenni precedenti e senza risultati altrettanto buoni. Alla fine del IV seco lo l'arianesimo perse l'effettivo appoggio di cui aveva goduto all'interno delle Chiese, e si ridusse a pochi gruppuscoli divisi al loro interno e in· capaci di fare proseliti: i nemici dell'arianesimo avevano convinto il po polo della giustezza delle proprie ragioni. Fu per questo che l'azione di Teodosio ebbe successo. È evidente che non tutte le Chiese erano rimaste coinvolte in quella grande contesa teologica, sebbene in un secondo tempo tutte ne accet tassero gli effetti (anche le Chiese occidentali, che poco o nulla avevano capito della sostanza della contwversia).
7 .lO Perché 1'arianesimo non si diffuse in Occidente La controversia ariana abbracciò soprattutto l'Oriente di lingua greca, mentre la sua diffusione nell'Occidente latino fu molto più Limitata (l'influsso relativamente più forte si verificò nell'Illirico, ossia in una terra di frontiera tre le due parti). L'arianesimo, come ho già detto, fu adottato dai goti. Nel loro caso, tuttavia, abbiamo a che fare con una si tuazione particolare: essi divennero ariani senza dover attraversare le fasi della discussione e senza doversi convertire. L'adesione all'arianesi mo non derivò da una consapevole scelta per quella particolare variante del cristianesimo, ma fu piuttosto il frutto del caso: Ulfila, apostolo dei goti, era stato accolto a Costantinopoli e consacrato vescovo dall'ariano Eusebio di Nicomedia. Come mai l'arianesimo non riuscì a mettere radici in Occidente nean che quando Costanzo, che regnava su tutto l'impero ed era di tendenza filoariana, cercò di imporlo? Qui non possiamo più fare appello al caso: le differenze tra i comportamenti religiosi delle due parti dell'impero ri chiedono infatti considerazioni più serie. Gli storici della Cbiesa tendo no ad attribuire tale situazione alle differenze culturali tra Oriente e Occidente, differenze che erano sempre state notevoli e che nel lV secolo si fecero ancora più profonde. L'arianesimo e la disputa che ne seguiva, trovavano miglior accoglienza laddove continuavano a fumionare scuole di tipo tradizionale e perduravano la mentalità e la cultura antiche (con le caratteristiche che ho cercato brevemente di descrivere). La regola però ha delle eccezioni: ne!J'Illirico, per esempio, dov'erano presenti nu merosi vescovi ariani, le città attraversavano una profonda crisi, mentre 178 Copyrighted
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Le controversie dollrinali in Oriente (1): l'ara i nesmzo
in Italia c nella Gallia meridionale, dove meglio si erano conservate le strutture cittadine, la controversia ariana non suscitò particolare interes se. È vero che l'Occidente latino non assimilò mai fino in fondo certe ca ratteristiche proprie della mentalità delle città di lingua greca e che si manifestavano nel corso della controversia. Del resto anche l'Occidente aveva i suoi scismi c le sue eresie: in Africa il conflitto tra donatisti e cat-1 tolici lasciava indubbiamente poco spazio a ulteriori divisioni religiose. Sicuramente molto dipendeva dalle persone poste a capo delle Chiese locali. La cattolicità·deii'Egitto (anche se non assoluta, come risultereb be dai manuali) era merito di Atanasio: in quel paese infatti gli ariani avevano avuto un ottimo punto di partenza. Così pure in varie città del la Siria, della Palestina o dell'Asia Minore clero e fedeli seguivano gene ralmente la scelta del vescovo, scelta che facilmente diventava stabile: un vescovo ariano consacrava come suoi diaconi e presbiteri solo perso ne che ne condividevano l'orientamento dottrinale. Alla sua morte l'ele zione del successore dipendeva in ampia misura dall'atteggiamento del clero locale: se si dichiarava decisamente contrario al nuovo pastore, questi aveva poche speranze di mantenere la sua carica, anche qualora godesse di appoggi al di fuori del suo vescovado. Le simpatie e le antipatie dei fedeli dipendevano da molti fattori che non è difficile immaginare, ma che raramente riscontriamo in situazioni precise c in riferimento a persone concrete. Si apprezzava molto la de vozione personale, in particolare lo stile di vita ascetico, e l'ammirazio ne per la santità dell'uomo induceva al rispetto (o perlomeno alla neu tralità) nei confronti della dottrina del pastore. Nelle città dove le sim patie dei fedeli erano divise, il vescovo conquistava gli awersari con la munificenza, costruendo chiese, fondando ospedali, asili per i viandanti e per gli orfani: agli occhi del popolo nutrire i poveri poteva risultare più importante delle opinioni teologiche errate. Si appoggiavano i ve scovi influenti, in grado di portare all'attenzione dei vertici del potere le questioni cittadine, e quando la situazione "in alto loco" cambiava, i servizi resi potevano anche salvare il vescovo in questione. L'erudizione del pastore era spesso un merito, però poteva anche diventare un difet to insopportabile, come nel caso di Eusebio di Emcsa, che dovette ab bandonare la città perché irritava la gente con·]a sua vasta scienza (era anche sospettato di pratiche magiche). Per molto tempo non fu possibile allontanare da Sirmio Potino, creatore di una propria e duramente awersata eresia, a causa della sim patia tributatagli dai suoi fedeli. Dell'appoggio delle proprie città go devano gli ariani Valente di Mursa, Ursacio di Singiduno e Aussenzio di Milano, che non fu possibile destituire dalle loro cariche per quanto gli altri vescovi d'Occidente li avessero ripetutamente condannati. Quando, dopo il 381, per ordine del concilio di Costantinopoli e di Teodosio si procedette a rimuovere i vescovi ariani, in molte città d'Oriente scoppiarono tumulti.
179
Storia della ChteJa nella Iarda antichità
7.11 11 cristiano comune di fronte alle dispute Le dispute teologiche, ovviamente, erano soprattutto appannaggio degli intellettuali della Chiesa. Tuttavia l'interesse nei loro confronti si estende va ad ambiti più vasti. Ma quanto vasti, esattamente? Mancano le fonti per rispondere concretamente a questa domanda. Tutte le opere sulla Chiesa del rv secolo citano a questo riguardo praticamente un solo docu mento, e cioè un brano di Gregorio di Nissa, il quale, descrivendo nel 383 l'atmosfera che regnava a Costantinopoli prima del concilio del381, afferma che in città non c'era persona che non parlasse di questioni teolo giche: i mercanti di mantelli, i cambiavalute pubblici, i venditori di generi alimentari. «
1'
c
non avendo più la possibilità di incontrare le folle c di indottrinarlc
Gregorio di N issa, De deitale Filii et Spùitus S ancii, in Patrolop,ia Gracca, 46,
557-B. 180
Le controversie dottrinali in Onente (/): l'arìaneJimo
sulle questioni sopra citate. si decise a scrivere, componendo, come poteva, salmi
c
canzoni del tipo cantato da marinai e mugnai o come quelle che gli
asinai cantano nel loro cammino [. . ] accompagnandole con melodie adatte.i .
Gli storici dovrebbero considerare con il massimo rispetto informazioni come questa, guardandosi dal tipico giudizio dei nostri tempi secondo il quale la teologia non può interessare che una ristretta cerchia di speciali sti eruditi. Se oggi è effettivamente così, in passato le cose erano molto diverse c non solo alla fine dell'età antica: basti pensare alla passione con cui nel Medioevo e nell'età moderna si discuteva di questioni dottrinali nei gruppi eterodossi. Anche la storia della controversia cristologica, che coinvolse l'Oriente dalla metà del\' secolo in poi, dimostra come i dubbi dottrinali non togliessero il sonno solo agli ecclesiastici più colti.
7.12 Lo stile delle polemiche dottrinali
Lo studio della controversia dal punto di vista dello stile e dei metodi di lotta impiegati è affascinante: conoscerli permette di capire meglio il corso degli eventi. Possiamo subito dire che, sotto questo aspetto, le parti coinvolte nei vari conHitti teologici avevano le medesime abitudi ni: cattolici, ariani, seguaci del Credo calcedonio e monofisiti non si dif ferenziavano né per le parole, né per le azioni. Dalla letteratura pagana antica i cristiani avevano ereditato un partico lare genere letterario, la polemica. Per sua stessa natura, la polemica di solito non rispetta le regole del fair play; ma la polemica degli antichi era a tal punto permeata di malafede, che persino noi, per quanto abituati al l'aggressività degli attacchi giornalistici, ne proviamo un certo ribrezzo. Ogni espediente era buono; non si esitava a ricorrere alle calunnie; lessi co e stile servivano unicamente a diffamare l'avversario. La retorica forni va gli strumenti necessari, i maestri dell'arte oratoria insegnavano ai loro allievi non solo a elogiare, ma anche ad attaccare e a screditare. A quanto pare i cristiani non vedevano alcuna contraddizione tra le modalità della polemica da loro praticata e i precetti evangelici di mi tezza, comprensione, amore del prossimo. Contrariamente a ciò che un lettore contemporaneo potrebbe aspettarsi, i Padri della Chiesa si com portavano esattamente come gli altri scrittori: la loro devozione perso nale, il vasto sapere, spesso anche una grande sensibilità, non impediva no la vena polemica, di cui essi accettavano in pieno le regole, badando soprattutto alla sua efficacia. Le passioni scatenate dalle dispute in materia di fede inducevano a condurre le polemiche con la maggior durezza possibile. La spietatezza della lotta era accresciuta dalla convinzione che le eresie fossero opera di Satana; quindi, secondo i cristiani della tarda antichità, la tolleranza 7
J'ilostorgio, Storia ecclc.rwltica, cJiz. F Winkelmann, 181
II,
2a; 2.
Storia della Chiesa nella tllrda anticbità
verso coloro che gli avevano ceduto, trasformandosi in uno strumento diabolico, non era solo assurda, ma addirittura colpevole. Sulla natura diabolica dell'eresia scrisse più volte Eusebio di Cesarea i ecclesiastica, della quale vale la pena di citare almeno un nella sua Stora passo in cui questo pensiero viene formulato in modo particolarmente chiaro. Esso si riferisce agli gnostici del passaggio tra il I e il JJ secolo: Quando le Chiese splendevano ormai come astri fulgidissimi su tutta la terra e la fede nel Salvatore e Signore nostro Gesù Cristo fioriva in tutro il genere umano, il demonio nemico del bene, ostile alla verità ed eterno avversario della salvezza dell'uomo, volse tutte le sue macchinazioni contro la Chiesa, contro la quale già in passato aveva rivolto dall'esterno le armi delle persecu zioni. Ma poiché queste gli erano vietate, si servì di uomini malvagi e impo stori come di strumenti letali per le anime e di ministri di perdizione, e con dusse la sua lotta con metodi nuovi, escogitando ogni mezzo perché maghi e ciarlatani si nascondessew sotto lo stesso nome della nost(a dortrina, per far precipitare nel baratro della perdizione i fedeli che riuscivano a catturare, e per distogliere con le loro azioni dal cauunino verso la parola della salvezza quanti ancora ignoravano la fede.8
Evagrio di Epifania, uno storico della Chiesa che scrisse verso la fine del VI secolo, sulla scia di Eusebio incomincia così il suo racconto del conflitto tra Nestorio e Cirillo: Dopoché l'empietà di Giuliano era stata annegata dal sangue dei martiri, la follia di Ario era stata stretta alle catene forgiate da Nicea e, a loro volta, Eunomio e Macedonio, annientati nella sacra Costantinopoli, erano stati spazzati via dal Bosforo sono l'azione dello Spirito Santo, quand'ormai la santa Chiesa s'era sbarazzata della sua recente sporcizia e aveva ritrovato il suo splendore originario, vestita e adorna d'un manto dorato e acconcia per l'amato Sposo, il diavolo nemico del bene, non tollerando ciò, ci mosse un'of fensiva senza precedenti e d'una specie tale da far considerare poca cosa i l paganesimo che era stato schiacciato e la follia servitrice di Ario. Timoroso di affrontare a viso aperto la fede protetta da un così gran numero di santi Padri, poiché aveva esauriro molte delle sue energie nell'assedio di questa, or dendo l'inganno come un brigante, dopo aver preso cerre informazioni e cau tele, sedusse gli spiriti smarriti a una nuova forma di giudaismo, senza presa gire, il miserabile, la successiva disfatta. [ .. .] Nestorio, la lingua nemica di Dio, il secondo sinedrio di Caifa, il laboratorio delle bestemmie ove è stato fatto nuovamente oggetto di cospirazione e di vendita, in quanto diviso e separato nelle nature, quel Cristo che, secondo le Scritture, nemmeno sulla croce ha avuto le ossa completamente spezzate o la tunica lacerata.9
8 Eusebio
di Cesarea, Storia ecclesiastica, IV, 7. 9 Evagrio di Epifania, Storia ecclesitlstica, l, 1-2.
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Le controversie dottrinali in Oriente(/): L'arianesimo
7.13 Se non Satana, almeno il cattivo carattere Anche se chi la pensava diversamente non veniva apertamente bollato come ispirato da Satana, si cercava però di convincere i lettori (nonché gli ascoltatori: la polemica si svolgeva anche per mezzo di prediche ri volte alle folle), che gli eretici erano persone contraddistinte dalle peg giori qualità di carattere. Superbia, mendacio, litigiosità, ostinazione, tendenza all'intrigo, sfrontatezza, adulazione verso i potenti della terra: ecco gli clementi ricorrenti nel ritratto dell'eretico. Alessandro, vescovo di Alessandria, in una lettera diretta ai vescovi e tramandata da Socrate Scolastico nella sua Storia ccdesiastica, così parlava di Ario e dei suoi seguaCI: 0-:ella nostra Chiesa sono dunque recentemente comparsi uomini iniqui e ne mici di Cristo, maestri di rinnegamento, il quale giustamente si potrebbe con siderare e chiamare un preannunzio della venuta dell'Anticristo. Inizialmente avevo pensato di passare il fatto sotto silenzio, affinché il male, rinchiuso, si consumasse tra gli apostati stessi, senza uscire all'aperto e contaminare le
orecchie di uomini puri.10
Scrivendo degli eretici gli autori del tempo rinunciavano raramente ad accompagnarne il nome con gli epiteti più opportuni. Gli eretici erano quindi atei, sfrontati, provocatori, folli, seduttori di anime, violentatori, distruttori della divinità, blasfemi, rettili schifosi, ribelli, disgustosi, in sensati che inondano di vomito tutta la Chiesa (così dice il succitato Evagrio: l'uomo che vomita è un'immagine ricorrente nelle dichiarazio ni polemiche). Allo stesso modo si infangavano i loro scritti. Una pratica diffusa consisteva anche nell'accusare gli avversari di reati comuni: adulterio, violenze, furti, omicidi. Niente riusciva a togliere pre stigio a un ecclesiastico quanto l'accusa di comportarsi in modo ignobile nella vita privata. l ritratti negativi degli eretici, presenti nella letteratura cristiana della tarda antichità, hanno tuttora una grande importanza per gli studiosi di storia della Chiesa. Da tempo ormai nessuno considera Satana come un ispiratore di eresie, né gli eretici come suoi diretti strumenti, indipen dentemente da ciò che ogni singolo studioso pensi della natura del male e della natura di Satana. L'atteggiamento storico che impone di trattare le eresie come componenti naturali dell'evoluzione dottrinale, come do mande (e risposte) dettate dalle successive fasi della teologia e della filo sofia, e quindi come prodotti della mente umana degni d'attenzione e di rispetto, stenta molto a farsi strada. Si continua quindi ad attribuire la genesi delle correnti dissidenti al cattivo carattere delle persone in esse implicate. Del resto, perfino gli storici disposti a riconoscere un senso alle eresie, ogni volta che cercano di descrivere la personalità de-
11'
Socratc Scolastico, Storia ecclesiastica, 183
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6, 5-6.
Storia della Chiesa nella tarda tmlichittÌ
gli eretici prestano una fede quasi assoluta agli autori antichi: dati i mc riti di Atanasio, è difficile ammettere che egli ci induca in errore parlan do dci difetti dei suoi a\'\'ersari. Se uno storico del XX secolo ritiene di potersi e doversi schierare con una delle parti in lotta (cosa che non è affatto costretto a fare), ne adotterà inevitabilmente anche il punto di vista sulla contesa, sui principali personaggi, sulla questione della loro responsabilità personale c via dicendo. È sempre piacevole pensare che i nostri eroi siano uomini senza macchia e che coloro ai quali la storia non ha dato ragione siano dei piccoli intriganti.
7.14 È vero che gli ariani negavano la divinità di Cristo? Un'analisi accurata delle dispute teologiche della tarda antichità ci con sente di vedere come le idee dell'avversario venissero contestate non nella forma in cui venivano espresse, ma solo dopo essere state estrapo late dal contesto e distorte grazie a una coerenza spinta al limite dell'as surdo. Si ignoravano le riserve, le sfumature, le ulteriori precisazioni, così essenziali nella delicata materia della riflessione su Dio. Non si am metteva la possibilità che l'avversario cambiasse idea; se la sua opinione si prestava facilmente alla critica, si continuava ad attaccarla anche se
quello l'aveva ormai da tempo abbandonata. Con questo tipo di proce dimento potevano diventare oggetto di discussione giudizi che l'a\'\'er sario non a\'eva mai nemmeno formulato e che si guardava bene dal condividere o dall'approvare. Ario e gli ariani, per esempio, venivano accusati di negare la divinità di Cristo, sebbene nessuno di loro avesse mai sostenuto niente del genere. Per loro la divinità gerarchicamente inferiore restava sempre divinità, anzi insistevano sul fatto che il Figlio a\'essc gli stessi attributi di\·ini del Padre. Ciononostante, nelle opere polemiche dei cattolici campeggiava la figura di Cristo spogliata dagli ariani della sua natura divina (il peggio è che tale opinione la ritroviamo in numerose opere cattoliche odierne, dedicale alla storia della controversia). Più o meno cent'anni dopo, allo stesso modo venne attaccato Ncstorio, al quale furono attribuiti concetti che egli non aveva mai formulato. Le proteste di Ncstorio non vennero minimamente prese in considerazione dai suoi a\'\'ersari. Avrò modo di tornare sull'argomento nel prossimo capitolo. Una delle cause del conflitto erano le differenze terminologiche esi stenti tra i vari ambienti teologici; si trattava non solo di differenze tra Oriente e Occidente, ma anche di differenze fondamentali, sYiluppatc dalla tradizione locale, tra Chiese delle varie città nonché tra scuole leo logiche. Parole come ouiÙJ, hypostasis, phvsù, prosòpon, così importanti per le controversie della tarda antichità, non avevano affatto lo stesso si gnificato per tutti. Accadeva quindi che due parti, che adoperavano gli stessi termini, a nostro modo di vedere litigassero senza motivo. C'è da dire che la consapevolezza linguistica, ancora oggi molto rara, a quei 184
/.e contron·r.1ie dottrinali rn Oriente (l). l'arùme.1imo
tempi era praticamente inesistente. Inoltre, la logica della polemica fa ceva sì che i suoi protagonisti non avessero abbastanza buona fede o buona volontà per precisare innanzitutto il significato dei termini di cui si servivano. Lo storico del pensiero cristiano si trova spesso in diffi coltà con la terminologia e deve faticosamente (spesso senza la garanzia di farlo bene) ricostruire il senso delle parole usate nei dibattiti. La controversia ariana ebbe come teatro le assemblee episcopali , con vocate dagli imperatori nella speranza di indurre i contendenti a un compromesso o, in mancanza di meglio, di imporglielo. Nel corso di tali assemblee venivano precisate una dopo l'altra alcune professioni di fede, firmate dai rappresentanti delle varie tendenze teologiche. spesso senza una vera c propria costri zione, ma con l'ap p licazione di un prin cipio in tempi più recenti conosciuto sotto il nome di reservatio menta lis, che permetteva di a ttribuir loro significati diversi. Per esempio: la dichiarazione che Cristo esisteva prima dei secoli (pro ton ai6n6n), dal punto di vista niceno significava che egli non aveva inizio, esisteva ab aeterno; per gli ariani invece la stessa formula significava che Cristo era stato creato dal Padre prima del tempo, c quindi prima che si giungesse all'opera della creazione; dunque non era coeterno al Padre. I parteci panti a sinodi c concili sapevano perfettamente che i loro avversari at tribuivano un contenuto diverso alla stessa formula, ma ciò non impediva a entrambe le parti di firmare i documenti, nella speranza che le cose
evolvessero in un senso a loro favorevole. Proprio per questo il termine
homoousios fu così importante: era univoco e immune da interpretazio-
ni tendenziose
.
7.15 Gli scomodi rigoristi Per effetto dci lunghi conllitti, nel corso dci quali molta gente veniva fat ta oggetto di persecuzioni, si formavano di frequente gruppi di rigidi estremisti, fanaticamente fedeli alla dottrina per la quale li si allontanava dall'episcopato, li si esiliava, li si vessava in ogni modo possibile. Quando giungeva il momento del compromesso, essi risultavano d'intralcio per ché, aspettandos i un risarcimento per le sofferenze patite, mante·'evano un'oltraggiosa diffidenza nei confronti di coloro che non avevano cono sciuto le medesime traversie. Se poi trovavano un appoggio fuori dci loro episcopati, allora potevano sorgere ulteriori complicazioni. l'\ e è chiara prova lo :�isma di J1nri2,s.hia. Un esiguo gruppo di fanati ci, fautori della professione di fede nicena, capeggiato dal vescovo Paolina (çgQ;!acrato da Lucifero di Calares, altro pericoloso rigorista), si
�al gruppo molto ri� numeroso guidato da J'vlelezio, uomo di provata morale e autorità, ..sp
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Storia della Chiesa nella tarda antichità
l'ortodossia e nemmeno iJ fatto di essere stato perseguitato a causa di essa. Lo scisma non avrebbe avuto tanta importanza, se con Paolino non si fossero schierati Atanasio e, da lui sollecitati, i vescovi d'Occidente (che neanche esaminavano la questione in sé, fidandosi dell'autorità di Atanasio). Considerate le divisioni che laceravano la Chiesa, l'appoggio di cui godeva Melezio ad Anriochia costituiva una prova più che suffi ciente del suo buon operato; eppure lo scisma continuò e, quel che è peggio, impedì una possibile intesa tra i cattolici d'Oriente e il papa Damaso e Ambrogio. Lo sviluppo dei centri monastici alzò sensibilmente la temperatura del conflitto; i monaci non solo partecipavano alle grandi dispute, ma si prestavano a venir utilizzati nelle sommosse cittadine, fornendo ai ve scovi la forza necessaria a eliminare i rivati con la violenza. Il patriarca di Alessandria Teofilo provò a risolvere la contesa con i seguaci di Origene chiamando in aiuto i monaci del famoso centro della VaJle di Nitria, situato a quaJche decina di chilometri da Alessandria, i quaJi per prima cosa scatenarono un pogrom nel loro stesso ambiente, fortemen te diviso dal punto di vista dottrinale. Nel prossimo capitolo avrò nuo vamente occasione di parlare degli interventi di bande di monaci, alle quali si ricorreva per ind ur re i vescovi nei sinodi e nei concili a prende re posizioni contrarie aiJe loro convinzioni.
7.16 Le violenze perpetrate in nome della fede
Talvolta le sommosse di strada divampavano per caso, in conseguenza delle tensioni createsi nelle città. Ai tempi in cui era vescovo di Costantinopoli Giovanni Crisostomo, avvenne un episodio, descritto da Socrate Scolastico e da Sozomeno, che può servirei da esempio di quei tumulti. All'epoca gli ariani della capitale erano ormai un gruppo esi guo e perseguitato, privo di una propria chiesa all'imerno delle mura cittadine. Nelle notti precedenti le feste essi si radunavano sotto i porti ci, cantando antifone in coro; aJJ'aJba formavano tm corteo e sempre cantando si recavano aJla clùesa fuori citrà. i con pa· Ma poiché questi non cessavano di provocare i fautori dell'homoousa role offensive (infatri, cantavano spesso, rra l'altro, queste parole: "Ma dove sono quelli che dicono che i tre sono una sola potenza?"), Giovanni, per timo re che tali canti distogliessero dalla Chiesa gli animi semplici, contrappose loro uomini del suo popolo, affinché, dedicandosi anch'essi ai canti notturni, inde bolissero l'azione di quelli e rinsaldassero i loro nella propria fede1l
Affinché la manifestazione dei cattolici risultasse più imponente, Giovanni munì i suoi cantori di croci, sulle cui braccia erano collocare 11
lvi, VI, 8, 4. 186 Copyrighted
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Le controversie dottrinali in Oriente (1): l'artanesimo
candele accese: a fornire i mezzi provvide l'imperatrice Eudossia. Si giunse allo scontro: Socrate sostiene che a provocarlo furono gli ariani, irritati dal successo degli avversari. Dopo che una pietra ebbe colpito l'eunuco imperiale che dirigeva i cori cattolici, cominciò la battaglia in strada, che annoverò vittime da una parte c dall'altra. Dopo questo inci dente l'imperatore proibì agli ariani di cantare inni in pubblico. Socrate osserva assennatamente che lo scopo che Giovanni si era proposto era quanto mai lodevole, ma che «la sua realizzazione si rivelò fonte di gra vi pericoli»: in altre parole, il confronto tra i due gruppi organizzati non poteva che portare a disordini. Le pressioni esercitate sui piccoli gruppi dissidenti suscitavano talvolta nei loro componenti una tale disperazione, da indurii a veri e propri atti di follia. Agli inizi del §!d9 ,çpjscopato ,(12 8..:.42._l) , �c;;�torio cominciò a perseguitare gli eretici di Costantinopoli con ecceziona�tervore. Pare addirittura che pronunciasse questa frase significativa: «Imperatore, dammi la terra libera dagli eretici e io ti darò in cambio il cielo; stermina con me gli eretici, e io sterminerò con te i persiani! ».12 Solo cinque gior ni dopo la sua consacrazione Nestorio voleva distruggere i luoghi segreti del culto ariano, al che gli ariani reagirono appiccandovi spontaneamen te il fuoco c provocando un incendio che divorò gli edifici circostanti, con grave pericolo di un incendio molto più vasto, nonché di sommosse. Sicuramente non tutti i cristiani approvavano le violenze perpetrate in nome della fede. Tracce di simili posizioni si ritrovano in Socrate. Dopo avere descritto le brutali azioni di un vescovo cattolico di Sinnada, piccola città dell'Asia Minore, il quale estrometteva i macedo niani dalla città e dai villaggi circostanti, l'autore della Storia ecclesiasti ca aggiunge il seguente commento: «E faceva ciò sebbene la Chiesa or todossa non sia solita ricorrere alle persecuzioni, e non per lo zelo di di fendere la retta fede, bensì essendo schiavo della passione della cupidi gia, cercava di ricavare denaro dagli eretici».13 A conclusione del suo racconto sull'uccisione ad Alessandria della filosofa pagana Ipazia per opera di una folla di cattolici (delitto di cui almeno indirettame� era responsabile il locale vescovo Cirillo) lo storico scrive: «La qual cosa arrecò a Cirillo e alla Chiesa alessandrina non poco biasimo. I cristiani, infatti, sono quanto mai alieni da uccisioni, zuffe e altre cose del gene re»14 L'opera di Socrate, tuttavia, fornisce anche troppe prove a favore della tesi contraria. Le descrizioni di violenze nei testi risalenti alla tarda antichità hanno subìto le consuete manipolazioni (consuete nel senso che le riscontriamo in varie epoche e in varie situazioni: non si tratta affatto di un'esclusiva della tradizione ecclesiastica). Innanzitutto le violenze venivano attribui te alla parte avversa, descrivendole e commentandole ampiamente, men.....
12
Ivi, VII, 29. lvi, VII, 3, 2. 14 Ivi, VII, 15, 6. n
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Storia della Chiesa nella tarda antichlltÌ
tre si preferiva passare sotto silenzio analoghe azioni del proprio gruppo, riducendonc la portata o cercando di dimostrarne l'inevitabilità. Le vio lente rappresaglie erano sempre giustificate dalle brutalità commesse dall'avversario; alle accuse di aver agito con violenza in un dato luogo e in un dato momento si replicava descrivendo le repressioni commesse dagli avversari in un altro luogo e in un altro momento. Tutto ciò indica chiaramente che l'opinione pubblica (o perlomeno una parte eli essa) mal tollerava la violenza e che non tutti credevano fa cilmente all'accusa rivolta ai dissidenti di essere seguaci di Satana. Purtroppo le manipolazioni degli storici della tarda antichità vengono oggi accettate dagli studiosi della Chiesa di impostazione apologetica. che si schierano acriticamente con la parte ortodossa e accolgono la sua versione dci fatti. ll risultato è che nei loro libri le violenze appaiono come il sistema di lotta tipico degli eretici. Se tuttavia ci fossero perve nute altrettante opere di parte ariana, vi troveremmo sicuramente le stesse manipolazioni. Un esempio ci viene fornito dall'esame dci con flitti tra i sostenitori c gli avversari del Credo calcedonio. In questo caso, infatti, lo studioso contemporaneo ha a sua disposizione anche le opere degli storici della Chiesa monofisita (conservate soprattutto in siriaco), e può quindi constatare come entrambe le parti abbiano lasciato qua e là, ovviamente in punti diversi, dei vuoti, dovuti all'omissione di episodi evidentemente ritenuti scomodi.
7.17 Gli ondcggiamenti dell'opinione pubblica
La convinzione che i conflitti causati dalle differenze dottrinali coinvol gessero un \'asto numero di persone, anche estranee al clero, non deve indurci a credere che tutti, sempre e con la stessa intensità condi,·idesse ro tale passione, e che nella storia della Chiesa tutto dipendesse dall'esito di una controversia (idea spesso tacitamente suggerita dai manuali di sto ria ecclesiastica). Molti, infatti, tra i milioni di sudditi dell'impero non riuscivano a adottare un unico principio religioso; a fasi di passioni scate nate facevano seguito periodi di calma, e spesso l'opinione pubblica si mostrava incerta. Le situazioni erano numerose quanto le città, gli am bienti e gli assetti dei rapporti locali. Inoltre non sempre disponiamo del le fonti necessarie per potere lucidamente valutare lo stato di partecipa zione delle masse, e la faziosità dci nostri autori certamente non ci aiuta. Non sopravvalutiamo dunque l'unità religiosa dei grandi agglomerati di popolazione (in quelli più piccoli una pluralità di posizioni era certo impossibile). Sicuramente in essi esistevano anche piccoli gruppi, se guaci di una fede respinta dalla maggioranza. Il perdurare delle eresie c degli scismi nella tarda antichità è un fenomeno particolarmente inte ressante, che meriterebbe uno studio specifico c approfondito. Nel ca pitolo precedente ho parlato dci meliziani sconfitti da Atanasio durante il suo episcopato; alla fine del VI secolo essi sopravvivevano ancora sot188
Le contrrnoer.rie dottrmal1m Oriente (l): !'ariane.rmzo to forma di piccoli gruppi legati alla loro fede e ai loro sacerdoti. In condizioni favorevoli, tali piccole comunità potevano uscire dall'anoni mato in cui di solito vegetavano c testimoniare i propri princìpi. Talvolta ci imbattiamo in bruschi ed effimeri cambiamenti nelle scelte teologiche delle città. Per esempio, al tempo della rivolta "del Nika" a Costantinopoli 5 ( 32), il popolo della capitale, allora schierato dalla parte dci fautori del Credo calcedonio c contro i monofisiti, manifestò aperta mente il suo appoggio a questi ultimi. Si trattò dell'effetto di una mo mentanea ed estrema antipatia nei confronti di Giustiniano: poiché egli favoriva il Credo calcedonio, la gente comune scelse quel modo per ma nifestare contro il sovrano. Durante il terremoto del539 nella "calcedo nia" Costantinopoli il popolo radunato nel foro cantava preghiere mo nofisite: confuso e spaventato, c convinto che la catastrofe fosse un chia ro segno della collera divina, cercava una preghiera più efficiente, visto che quelle recitate in precedenza avevano fallito. Nella metà del \'Il seco lo ad Alessandria i "calcedoni" erano detestati, ma il patriarca filocalce donio Ciro, in visita a Costantinopoli, fu trionfalmente e solennemente salutato dagli abitanti, nella speranza che riuscisse a scongiurare un mor tale pericolo: davanti alla città stavano schierati gli arabi, già padroni del resto d'Egitto. Come si vede da questi esempi, l'atteggiamento delle masse spesso esulava dallo schema dell'odio accanito (anche se non lo negavano). In proposito possiamo citare Mosco Cfl�6!J) , autore deJJ. palo spirituale, raccolta drracconu eaned ori ameni che hanno per �ersa.Uo dei IJlQDQUprotagonisti monaci devoti. Mosco era un decisoa siti, ma durante il suo soggiorno ad Alessandria si recò in pellegrinaggio è.Talri1onaci residenti nei conventi monofisiti c certo convinti seguaci di tale eresia.. P�r Mos�o, però, c a no sop a devo�ione.Ec rso : . : pll'S!:'àr e m sec > e le \'trtu asceuchc�he facevano ptano le � eretiche. ucsto autore credeva peraltro che le ereste fossero opera d1 Satana e gli eretici uno strumento del diavolo: ma in una situazione reale e di fronte a persone reali, tale giudizio perdeva di importanza. La gente comune partecipava con ardore alle manifestazioni religiose contro gli eretici, ma quando si trattava di un vicino, noto come persona onesta e buona, non lo trattava necessariamente con odio. L'importanza dei rapporti umani, dovuti ai contatti quotidiani, spiega anche il partico lare fanatismo dottrinale dci monaci: avulsi com'erano dal mondo, trat tavano gli eretici come creature diaboliche. Lo storico deve tenere presenti l'ondeggiare delle opinioni, la fluidità e l'ambiguità delle scelte c delle reazioni umane. Le controversie dottri nali coinvolgevano le rolle, eppure, malgrado le passioni che sapevano scatenare, in certe situazioni potevano passare in secondo piano, ceden do il posto ad altre questioni c ad altre emozioni.
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8. Le controversie dottrinali in Oriente (2): la prima fase dei conflitti cristologici
Nel presente capitolo il lettore troverà un resoconto delle controversie che nacquero ancora al tempo dei conflitti tra i fautori e gli avversari del Credo niceno e che rapidarneme presero forza al tempo in cui l'arianesi mo era ormai ridotto a un fenomeno marginale. Solitamente esse vengo no definite "controversie cristologiche"; vi ho più volte accennato alla fine del capitolo precedente quando, presentando la portata e lo stile dei conflitti dottrinali, sono ricorsa anche a esempi tratti dal v e VI secolo. ParLmdo di conflitti dottrinali in questo e nel prossimo capitolo, inten do dedicare ampio spazio a ciò che avveniva nei sinodi e nei concili. Non per riprendere quanto già esposto nel capitolo l, in cui ho cercato di esporre le nozioni di base su tali istituzioni, ma per analizzare il corso di alcuni particolari assemblee episcopali e mostrare al contempo quella che potremmo definire la "cucina" conciliare. Si parlerà quindi di come era no composte le delegazioni, del ruolo dell'imperatore e dei suoi rappre sentanti, del luogo e della procedura delle sedute, del carattere delle di scussioni, di come venivano prese e confermate le decisioni conciliari ecc. E chiaro che, in prospettiva storica, questo aspetto dell'attività conciliare è meno importante delle dispute teologiche che avevano luogo prima, du rante e dopo i concili; tuttavia conoscerlo aiuta molto a comprendere lo svolgersi degli eventi e la specifica mentalità del clero del tempo. Parlerò in particolare dell'assemblea convocata a Efeso od 449, detta fatrocinìum ("brigantaggio") o Efeso n (per distinguerla da Efeso I, svoltasi nel 431). La scelta di tale sinodo (o concilio, il termine dipende dal punto di vista) deriva dal fatto che se ne conosce abbastanza bene lo svolgimento e che nelle opere di storia delJa Chiesa di solito se ne parla poco, dato cbe le sue sessioni non rappresentano un motivo d'orgoglio per gli storici cattolici. '
8.1 L'oggetto dei conilitti cristologici Nel v secolo l'arianesimo non costituiva più un argomento di serie di spute dottrinali né dava adito a gravi problemi pratici. Le controversie teologiche in Oriente si concentravano sul problema di come ciò che proviene da Dio e ciò che è proprio dell'uomo si unifichi nel Verbo in carnato in Gesù Cristo. 190 Copyrighted
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Le controveriie dottrinali in Oriente
(2): la prima /ase dei con/lzttì cristologici
Per comprendere le dispute cristologiche del tempo bisogna tornare alla seconda metà del IV secolo, quando Apollinare di Laodicea dette loro inizio. Apollinare diffondeva un insegnamento secondo il quale il Verbo divino occupa nel Cristo il posto che nell'uomo è destinato all'a· nima (secondo la divisione dicotomica: corpo-anima) o alla ragione (se condo la triplice divisione, popolare nell'antichità, in corpo, anima ra· zionale c anima vegetativa). Per Apollinare l'incarnazione produceva un miscuglio degli elementi (mixis, synkrasis: in seguito tali termini spariranno dal lessico teologico, compromessi dal fatto stesso di essere stati usati da una persona dichia rata eretica), tra i quali prevaleva l'elemento divino. Il vescovo di Laodicea parlava volentieri di «Dio incarnato», di «Dio rivestito di cor po», di «Dio generato da donna»; secondo lui gli ebrei, crocifiggendo Gesù, avevano crocifisso il Verbo divino. Il concerto di Apollinare derivava da un'analisi del problema della re denzione. Per poterei redimere dal peccato, Cristo doveva esserne perso nalmente esente; pertanto il corpo di Cristo doveva essere soggetto all'a· zione della sua anima divina. Apollinare sottolineava fortemente l'unità dell'elemento divino e umano in Cristo. Egli condensò la sua convinzio ne in una formula che venne largamente approvata: "una .s2Ja. n!,Sura <j� Logos incarnato". --ca-reazione a questo modo di intendere il Cristo (che riduceva drasti· camenrc la pienezza della sua umanità, negandogli ragione e volontà umane, e che si scostava dalla norma dogmatica comunemente accettata in quell'epoca) fu molto violenta. Teologi quali Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa intrapresero una polemica con Apollinare e i suoi fautori, mentre i sinodi di Roma (377), di Alessandria (378) e di Antiochia (379), nonché il concilio di Costantinopoli (381) lo condan· narono. Malgrado tutte queste proteste l'apollinarismo non scomparve e i suoi seguaci si limitarono semplicemente a cambiare tattica: metteva· no in circolazione le proprie opere attribuendone la paternità a teologi universalmente approvati, per esempio Atanasio.
8.2 La tradizione antiochena e quella alessandrina Proprio nel corso della polemica contro l'apollinarismo, tra i teologi le gati ad Antiochia si giunse alla formulazione di ciò che si è soliti chiama· re "la c"iTstò'lògi'an a tiochena". Un ruolo decisivo nella sua creazione fu svolto da Diodoro di Tarso (vescovo di questa città tra il 374 e il.3JJ), eminente esegeta, teorico delì'ascetismo e teologo, nonché dal�<4_ alliev� TeodQ{Q.d.i.Mo�uestia. Insistendo sulla piena umanità dellanaturadì Cristo entrambi sottolineavano in lui la presenza di due nature_, quella Jivin e quella umana. Essi si rendevano conto del pericoi<Tinsito nel di videre le nature: ciò poteva portare all'assurda tesi di due Cristo, tesi da loro decisamente respinta. Tuttavia non furono capaci di spiegare come
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Storia della Chiesa nella tarda antichitd
si realizzasse l'unità, per loro ovvia, del Verbo incarnato. Per esprimerla, Teodoro di Mopsuestia si serviva del termine svnapheia, "unione" (usato per definire la coesione di oggetti o di esseri di�rsi),-;J qualeaggiungeva gli aggettivi: ''stretta", "eterna", "indissolubile", "perfetta�:_ecc. La dottrinadi Diodoroeaiteo�òtcnziale pericolo di un'eccessiva accentuazione dell'umanità di Cristo, pericolo che sembrò realizzarsi nell'insegnamento impartito dall'allievo di Teodoro, Nestorio, monaco, presbitero c, d , vescovo di Costantinoe2,li.J':iestorio era un uomo violento cd es mente mtollerante. A Costantinopoli egli cominciò subito ad attaccare piccoli gr�ppì(Jicr�tici e scismatici che non davano noia a nessuno. L'eccezionale accanimento del suo operato (ecce zionale persino in un mondo tanto intollerante) provocò l'ostilità genera le. Nestorio peccava facilmente di estremismo cd era privo dell'elasticità indispensabile al pastore di una Chiesa importante come quella costanti nopolitana. Possedeva tutti i difetti dell'intellettuale che non riesce a ve dere nulla oltre le sue ragioni dottrinali. Traeva conseguenze radicali dalle proprie idee e le seguiva indipendentemente dagli effetti pratici ai quali rischiava di andare incontro. Ciò detto, non c'è dubbio che fosse uomo di grande fede e, per sua disgrazia, di grande fermezza. A lungo denigrato, il suo patrimonio teologico viene oggi considerato con maggiore attenzione. r motivi che hanno portato a questo diverso atteggiamento nei confronti di Nestorio vanno ricercati soprattutto ne gli studi condotti sulla sua unica opera conosciuta,]t)jbro di Erac!id:. s , rinvenuta all'inizio del XX secolo e ..llU.bblicata..ne.Ll910. Si tratta di una sorta di a olo ia, scritta a vent'anni di distanza dal concilio di Efeso; ma se consi erìamo i Jati caratteriaTi del ;;Q ,;;norc, c'è Ja sZO"mmette:" re che le idee contenute nel Libro di Eraclide non si discostassero da quelle professate all'inizio della controversia. L'opera, che si è conserva ta solo nella versione siriaca, ci consente di entrare direttamente in con tatto con le idee professate da Nestorio, dato che ricostruire le sue posi zioni partendo da quanto è stato scritto dai polemisti che Io odiavano con rara ostinazione è un'impresa dall'esito quanto mai incerto.
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8.3 Theotokos
o antbropotokos)
Quando Nestorio occupò la carica di vescovo di Costantinopoli e iniziò l'attività predicatoria nel nuovo ambiente, attirò l'attenzione su di sé af fermando che non si poteva sostenere che il Verbo divino avesse patito sulla croce. Criticava anche l'appellativo di theotokos ("genitrice di _ QiQ:.' ) attribu�ergine e accusava di id�ntisostene�o CheiT Verbo divino fosse naro, fosse stato allattato, avvolto in panni e circonciso. Dio, sosteneva, non può avere una madre; nessuna creatura può partorire Dio. L'appellativo thcotokos, secondo lui teologicamente infondato, spingeva la gente sulla cattiva strada dell'apollinarismo e perfino dell'arianesimo. Tutt'al più lo si poteva accettare come espres-
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Le controversie dollrinali
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Orin11e (2): fa pnma fase dei conflitti crùtofop,ici
sionc di devozione popolare ma, considerando la sua imperfezione teo logica, a Zfreotokos sarebbe stato meglio aggiungere anche l'appellativo anthròpotoko_ç ("genitrice dell'uomo"). Da buonantiocheno tutto d'un pezzo, NestOilo era convinto che le due nature del Cristo incarnato fos sero rimaste immutate e distinte nella loro unione. Immaginava la "divi nità nell'uomo"e1'uomo nella dtvmJta senza modifiche né fusione di una natura nell'altra. Dava molta importanza all'affermazione che l'in carnazione del Verbo divino non poteva far sì che il Verbo fosse sogget to a cambiamenti o a sofferenze. Era convinto che Cristo avesse vissuto'i\ pienamente la vita umana, il che sarebbe stato impossibile se la sua na tura divina avesse avuto il sopraV\'ento su quella umana. Le idee di Nestorio e dei suoi seguaci, espresse in modo radicale c poco diplomatico, provocarono forti proteste a Costantinopoli, non abituata alla teologia antiochena. La sua critica a theotokos, in particola re, suscitò la massima indignazione, anche perché il c o mariano, au era tentico indizio di un nuovo tipo di religiosità, all'imiiOdelvs in ra i a crescita. Le sottigliezze teologiche, corTI(;"quella di aggiungere 1 secon o appe ativo anthròpotokos a theotokos, rispccchiavano una vi sione razionalista e fredda delle questioni divine che suscitava l'antipa tia dei comuni fedeli, i quali scorgevano in essa un modo intollerabile di sminuire la grandezza della Vergine. Se Nestorio, nella sua rigida devo zione sorretta dalla superbia dell'intellettuale, non voleva capirlo, i suoi compagni della scuola antiochena invece lo capirono immediatamente, e la questione di theotokos non fu più oggetto di contese. Nel caratterizzare le idee teologiche di Nestorio i moderni manuali e le sintesi di storia ecclesiastica mettono sempre in primo piano il rifiuto di theotoko.f, considerandolo la ragione principale per cui Nestorio fu dich:arato eretico. Ma nel v e nel \'I secolo le cose stavano diversamen te: era soprattutto la cristologia a decidere in che modo si dovessero giudicare Nestorio e i suoi fautori. Insisto su questo punto: se non ne teniamo conto, non saremo in grado di capire le frequenti accuse di ne storiancsimo rivolte a teologi quali Teodoreto di Cirro o papa Leone Magno: essi non avevano mai messo in dubbio la fondatezza dell'appel lativo theotokos, tuttavia i loro avversari dottrinali erano perfettamente consapevoli che la cristologia professata dagli accusati era prossima (il che non significa identica) alla cristologia di Nestorio. A Nestorio venivano attribuite opinioni che egli non aveva mai pro nunciato. Lo �i presentava. come il continuatore della teoria, respinta già nel sccolorrecedente, de! .J.u 'Il.{TI1egati aa un"ùnrta,rtrfamente mora le. C'era anche chi, dalla sua aTermazione che la V'"crgmc avesse generato solo l'uomo, d�uceva che il vescovo di Costantìnopoh �sele� i di.l?aolodi Samosata.Gli veniva comunemente attribuita�nzionc di dividere il Dio-Uomo in due persone distinte. A niente servivano le pro teste indignate di Nestorio, ben lontano da simili posizioni. Roma reagì con molto ritardo alla dottrina di Nestorio. Papa Celestino aveva le sue buone ragioni per diffidare del patriarca di Costantinopoli,
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Storia della Chle.ra nella tarda antichità giacché Nestorio non solo era intervenuto nella questione dei pelagiani, che assorbiva l'attell7ione dei teologi d'Occidente, ma l'aveva fatto con poca diplomazia (in verità nemmeno la massima abilità sarebbe servita: i papi, infatti, non avevano più alcuna intenzione di tollerare interventi orientali in genere, e costantinopolitani in particolare). Della portata del nuovo pericolo, Celestino fu informato solo dal patriarca di Alessandria, Cirillo, il principale antagonista nella lotta contro Nestorio.
8.4 Cirillo: la sua religiosità e le sue violenze Cirillo spedì al papa un intero dossier, già tradotto in latino (sapeva bene che l'entourage papale ignorava il greco). Abbiamo appena detto quanto poco contasse nella tradizione della polemica antica la lealtà nei con fronti dell'avversario; possiamo dunque immaginare in quale modo il dossier sia stato preparato. Celestino comunque non aveva dubbi circa la ragione di Cirillo e, in base ai materiali presentati, al sinodo convocato a Roma nel 430 destitul Nestorio dalla carica con l'accusa di eresia, no minando Cirillo esecutore della decisione. Cirillo era un personaggio compHcato e difficile da valutare: ancor oggi è oggetto di giudizi diametralmente opposti. Non arretrava davanti alla violenza, agli intrighi, alla manipolazione di persone e informazioni. La facilità al perdono non figurava tra le sue virtù. Venne accusato (cer to con ragione) di attingere alle risorse economiche del patriarcato per comprare alleati nelle cerchie di corte, dove cercava appoggio tra gli eu nuchi di alto rango e tra le figure femrnini1i vicine all'imperatore. Si sen tiva l'erede della tradizione del patriarcato alessandrino, le cui pretese di esercitare un ruolo decisivo in Oriente, nonché l'ostilità nei confronti del vescovo di Costantinopoli, si erano già fatte sentire in passato. Oltret4tto era parente prossimo di Teofilo, che con tanta durezza ed ef ficacia si era opposto a Giovanni Crisostomo. Isidoro di Pelusio, noto epistolografo, asceta eli irreprensibile orto dossia, che osservava l'operato di Cirillo dalla prospettiva di una città poco lontana da Alessandria, scrisse a Cirillo una lettera quanto mai in teressante (ma siamo sicuri che l'abbia spedita? Personalmente ne dubi to, conoscendo i rapporti nella Chiesa egiziana). Merita citarla, perché rende bene il punto di vista di quanti guardavano con sospetto al po tente capo della Chiesa egiziana: La parzial ità non ha la vista acuta, l'odio poi è addirittura cieco. Quindi s e vuoi manteneni immune da entrambi i malanni, non emettere sentenze im pulsive, ma affida le accuse a un retto giudizio. Perfino Dio, che conosce le cose prima ancora che avvengano, per amore degli uomini volle scender dal l'alto e ascoltare il grido di Sodoma, insegnandoci a esaminare attentamente
le cose. Molti di quelli che si trovavano riuniti a Efeso ti scherniscono, accu sandoti di vendicarti di una tua inimicizia personaJe, anziché ortodossame.nte 194
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Le controversze dottrinali in Oriente cercare ciò che è in Cristo. di
pensare. Come
quello
(2): la prima /aJe dei con/litu cristologici
"È nipote di Tcofilo- dicono- e ne imita il modo rovesciò
una
pazzia
manifesta
su
Giovanni
[Crisostomo], divinamente ispirato c caro a Dio, così ora questi vuole glori ar si, anche se tra i due accusati passa una bella differenza." 1
Pur non nutrendo la minima simpatia per Nestorio, lsidoro era scanda lizzato dallo stile e dai metodi di lotta di Cirillo. Probabilmente a indi gnarlo doveva essere stata la �ra dichiar_?ta a Giovanni, vescov�2.._di Antiochia, di cui avrò occasione �uit'O': Sarebbe un grave err ore vedere in Cirillo esclusivamente il politico che non bada ai mezzi impiegati e indifferente aile ragioni teologiche. Le cause del suo operato sembrano molto più complesse. Er a un uomo di fede autentica e, conformemente alla tradizione della scuola alessan drina, profondamente sensibile al mistero dell'incarnazione che, secon do lui, proprio perché mistero, non si prestava a studi filosofici né a de scrizioni realistiche. Anche Cirillo, come Nestorio, aveva subìto l'in fluenza della mentalità e della cultura antica, ma vi era meno legato, mentre sentiva più intensamente i bisogni religiosi della gente del suo tempo, ne condivideva le inquietudini e le sapeva esprimere. Vorrei indurre il lettore a considerare Cirillo in modo tale da non do ver scegliere tra il grande teologo, l'uomo dalla profonda religiosità vena ta di misticismo, e il principe della Chiesa capace di abili intrighi, di pi roette e perfino di delitti in nome degli interessi del suo patriarcato. Era l'uno e l'altro. L'ambizione, anche la più sfrenata, non esclude la fede. Ri cordiamoci che nella tarda antichità, quando le questioni metafisiche coinvolgevano indistintamente pagani e cristiani di ogni tendenza, la bra ma di potere fine a se stessa e l'atteggiamento di freddo e strumentale ci nismo nei confronti della fede dovevano essere estremamente rari. Tutti, grandi e piccoli, sentivano la presenza di Dio. Ci vorranno le profonde trasformazioni dell'intera civiltà europea perché, nel XIX e nel xx secolo, compaiano politici capaci di manipolare la religione senza credere a nulla all'infuori del proprio genio. La storia della Chiesa è piena di grandi per sonalità, dotate di notevole forza di carattere nonché della capacità di guidare gli altri, che realizzarono qualcosa di più che non i bisogni della propria, peraltro innegabile, ambizione. Respingendo una verità così ele mentare, saremmo costretti ad accettare una visione del passato estrema mente ingenua, che crollerebbe al primo confronto con la realtà storica. D'altronde, per il futuro della cristianità poco importava che Cirillo fosse o non fosse un uomo ambizioso e che avesse attaccato Nestorio per ché vi vedeva uno strumento di Satana o perché lo considerava un peri coloso concorrente nell'esercizio dell'egemonia sul mondo ecclesiastico dell'Oriente romano. Essenziali sono il fatto di averlo attaccato e gli argo menti di cui si servì.
1
Isidoro di Pelusio, lettera a Cirillo, in Epiitolac,
78, col. 361. 195
I,
310, in Patrologia Gracca,
Storia della Chiesa nella tarda antichità
Cirillo accusava Nestorio di ammettere solo un legame esteriore tra il Verbo e la semplice umanità CIIt:� (iféliercnoeva llncarnaztone �ne, una questtone Cllàpparenze e di "vane parolC').C""glì?nve ce accentuava fortemente la divinità di Cristo e lu ' nttàdelle aue nature in lui; inoltre, se il Verbo divino si era rivestito di un corpo per la nostra redenzione, Maria doveva essere chiamata theotokos. Nella sua ricerca di argomenti Cirillo si volgeva a colui che ai suoi occhi godeva di mag giore autorità: Atanasio. Ma per Atanasio la problematica delle nature di Cristo non aveva il peso che avrebbe avuto per i teologi delle genera zioni più giovani e inoltre egli aveva scritto poco sull'argomento. Cirillo invece ebbe occasione di leggere gli scritti pseudoatanasiani, di tenden za apollinaristica, e ne trasse la celebre formula, «Una sola natura del Verbo di Dio incarnato», che agli occhi delle �z1om success1ve avrcb1Jé tapp1e�wtatla o quintessenza della sua teologia. Un'altra for mula famosa di Cirillo era henosi.1· kath' hypostasin («unione ipostati ca»): con ciò egli intendeva l'unità di nature c persone. Nel novembre 430 Cirillo convocò i suoi vescovi ad Alessandria e presentò loro, perché l'approvassero, il testo di una lettera a Nestorio. Se questi non avesse accettato le tesi in essa contenute, in capo a dieci giorni la Chiesa egiziana si sarebbe rifiutata di restare in comunione con lui. Il testo inviato a Nestorio conteneva la dottrina alessandrina in for ma estremamente radicale c chiaramente deviante da quella general mente accettata da tutta la Chiesa. L'essenza delle tesi teologiche di Cirillo era rappresentata da dodici anatematismi. Due di essi, il secondo c il dodicesimo, sono per noi importanti, in quanto suscitarono in seguito il maggior numero di dubbi: «Se qualcu no non confessa che il Verbo del Padre ha assunto in unità di sostanza l'umana carne, che egli è un solo Cristo con la propria carne, cioè lo stesso che è Dio e uomo insieme, sia anatema»; «Se qualcuno non con fessa che il Verbo di Dio ha sofferto nella carne, è stato crocifisso nella carne, ha assaporato la morte nella carne, ed è divenuto il primogenito dei morti [Col l, 181, inquantoché, essendo Dio, è vita e dà la vita, sia anatema».2 Le tesi di Cirillo suscitarono numerose proteste, in particolare l'affer mazione dell'unione ipostatica del Verbo e del corpo, nonché la formula: <� �rb�of.f.!j ne:!_coseo� Vi si ravvisava una deviazione dalla dottrina è izìOnaiCélelh"lcn:tesae una manifestazione dell'eresia di Apollinare. traf Le opposizioni, come si può immaginare, furono particolarmente forti nel patriarcato antiocheno. La frattura in Oriente era profonda e in quegli anni niente faceva pre sagire la futura vittoria di Cirillo. La cristologia alessandrina suscitava ac canite opposizioni e il patriarca di Alessandria dovette ricorrere a compli cate manovre per riuscire, almeno per un certo tempo, a neutralizzarle.
2
Conciliorum Oecumenicorum Decreta, cit., p. 61. 196
],e controvenie dottrinali in Oriente (2): la prima fase det con/lttti cristologici 8.5 L e ragioni profonde delle dispute cristologiche
A considerare esclusivamente le astratte formulazioni dottrinali, le emo tività scatenate dalle differenze tra scuole teologiche ci appaiono del tutto ingiustificate. Eppure dobbiamo renderei conto che le differenze teologiche poggiavano su differenti tipi di religiosità, c si trattava spesso di differenze considerevoli, che sostenevano efficacemente l'ostinazione dei teologi in lotta. La cristologia antiochena derivava dalla convinzione (o forse, meglio, dall'intuizione) che la nostra redenzione fosse possibile solo grazie al • perfetto e del tutto volontario sacrificio di Cristo, per noi modello di obbedienza, di santità e di fede. Non possiamo presentarci davanti a Dio con la speranza di redenzione se non con Cristo c in Cristo, solo al lorché Egli è con noi e in noi. Solo chi è come noi può essere il nostro
Rcdentore. L a cristologia di tipo alessandrino poggiava invece sulla convinzione che ormai ci fossimo spinti talmente lontano nel peccato e nella caduta, che per noi non esistesse più possibilità di redenzione in seno al nostro ordinamento del mondo. La redenzione che bramiamo può essere otte nuta solo per mezzo del nostro Creatore, che penetra negli anfratti più segreti della nostra essenza corrotta per purificarci dalla colpa e dall'in clinazione al peccato, per vincere il nostro estraniamento e introdurci
nella comunità della Chiesa. Proprio per questo abbiamo bisogno di un Redcntorc diverso da noi. Da qui la tesi secondo cui il Verbo non è mu- � tato incarnandosi in un corpo umano e soffrendo per noi, così come Dio non era cambiato nel corso della creazione del mondo. li Verbo resta parte immutabile della Trinità e sua Madre dev'essere riconosciuta come theotokos. L'Eterno entra nel tempo e nella storia per portare il suo eter no amore a noi, creature soggette al tempo, seppur dotate della libertà, della ragione e dell'individualità, concesseci a somiglianza di Dio. La teologia antiochcna poneva quindi l'accento sul valore dell'uomo fatto a somiglianza di Dio: un uomo corrotto certamente dal peccato, ma posto sulla buona strada proprio dall'umanità di Gesù di Nazareth. La redenzione consisteva perciò nel recupcro del valore e della dignità dell'uomo. Donde la preoccupazione di non diminuire la natura umana di Cristo, di non ridurla a stmbolo. rteologi flllL sottolmcaVafio in vece con forzala concreta_s r�presenza di Dio nel Vcibo.jni�arn.ato� Essa conferiva valore alla vita di Cristo, alla sua morte c resurrezione. Nell'interpretazione della scuola alessandrina l'umanità di Cristo diventava molto più astratta che
...aleSSànJ
in quella antiochena, e per certi suoi rappresentanti essa non era nean che più percettibile. Questa teologia attingeva la sua origine c il suo so stegno da una profonda nostalgia dell'uomo per un Redentore capace di dargli la vita eterna, un Redentore venuto all'umanità dall'altra parte dell'abisso esistente tra l'immutabile Dio Creatore e le sue mutevoli creature soggette a corruzione. 197
Storia dello Chiesa nella tarda antichità La forza della cristologia antiochena proveniva dai suoi fondamenti bi blici (la teologia alessandrina si richiamava molto meno alla Bibbia) e ri spondeva all'umana aspirazione alla libertà morale, al bisogno d'amore e all'obbedienza di Dio. n suo punto debole consisteva nella tendenza a fare del Redentore una creatura così vicina all'uomo, da suscitare dubbi circa la sua possibilità di redimerlo dal peccato. Le differenze tra le due scuole riguardavano anche il modo di intende re l'eucarestia. Cirillo insisteva sul fatto che il corpo di Cristo, ricevuto al momento della comunione, fosse il mezzo fondamentale della redenzio ne. Se l'eucarestia ci donava la vita, essa doveva essere colma della natura divina. Cirillo accusava quindi Nestorio di privare l'eucarestia della sua forza vivifìcatrice e di ridurla a un atto di cannibalismo. Richiamandosi alla Bibbia, gli antiocheni ricordavano che Cristo aveva detto: «Chi man gia della mia carne e beve del mio sangue)), e non "Chi mangia la mia Divinità e beve la mia Divinità". Ciò che riceviamo nella comunione è il corpo e il sangue di Cristo, una sostanza identica alla nostra, affinché possiamo partecipare alla sua resurrezione e alla sua immortalità. L'analisi di queste dispute ci permette di capire come il loro manife starsi non sia stato il frutto di un caso, né l'effetto della malafede di alcu ni intellettuaH orgogliosi dd proprio sapere, come fin troppo spesso la storiografia cattolica tradizionale suggerisce. Le scuole che si contrappo nevano elaborarono risposte alle domande che spontaneamente sgorga vano dalla riflessione teologica; in esse dobbiamo vedere una prova del l'elasticità del pensiero cristiano, una manifestazione deUa sua ricchezza e della sua forza creativa. Le due cristologie si completavano a vicenda in misura notevole, e i loro scontri frontali affrettarono obiettivamente il processo di sintesi di una dottrina cristiana su Dio. A quel tempo, tuttavia, la massa aveva un rapporto diverso con i con flitti teologici: era convinta di dover scegliere, sentiva fortemente i con u·asti e non si avvedeva delle coincidenze. Una posizione, d'altronde, più che comprensibile: è difficile pretendere da chi è immerso nella lotta, ed è privo di quel distacco dall'oggetto del contendere che solo il tempo può dare, la capacità di valutare freddamente le cose. Gli srorici del XX secolo che srudìano le dottrine cristiane e che condividono l'accanimento dei nostri predecessori, identificandosi in pieno con una delle due parti (di solito con quella di Cirillo: ciò che rimane della dottrina nestoriana è praticamente assente dagli studi sulla storia della Chiesa) e denigrando gli avversari, non hanno invece alcuna scusa. Dovrebbero dimostrare più intelligenza, indulgenza e benevolenza verso gli avversari.
8.6 n concilio di Efeso: gli avvenimenti prima dell'arrivo di tutti i partecipanti Ma torniamo al corso degli eventi. L'imperatore Teodosio II, concorde mente con la posizione del papa, decise di affidare la soluzione del con198
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controvC'Ysic dottrinali in 0rtC'I1tC' (2)· la prima /as(' dci conflitti cristologici
flirto a un concilio, indetto a Efeso ne� Oltre che a Nestorio e Cirillo, il ruolo fonct"amentale né'i'é!'Ibattiti conciliari e postconciliari sa rebbe dovuto toccare al patriar�ia..,...� persona in possesso di una discreta c���logica e poco propensa agli estremi smi. Ricevuta da papa Celestino la lettera con la notizia dell'espulsione di Nestorio dalla Chiesa, Giovanni scrisse a Nestorio (che del resto co nosceva fin dagli anni di Antiochia) una lettera estremamente concilian te, invitandolo a sottomettersi al papa e a recedere dal rifiuto del termi ne theotokos. Nestorio rispose a Giovanni con lo stesso tono accomo dante, accettando theotokos e lasciando al futuro concilio la decisione definitiva sulla controversa questione; pronunciò perfino una predica di analogo contenuto. Il conflitto sembrava quindi scongiurato. A quel punto però arrivarono a Nestorio gli anatcmatismi di.firi� inaccetta bili per i rapprescmantÌ déTia"teologi"Gntloé11efia":' Nestorio �!spose con altrettanto vigore, rinfacciando all'avversario i suoi errori dottrinali. Non fu il solo a porre mano alla penna: Giovanni ravvisò tracce di apollinarismo nelle tesi di Cirillo; due altri teologi legati a Giovanni, Andrea di Samosata c Teodoreto di Cirro, intrapresero una nuova pole mica. Dei due il più importante era Teodorcto, scrittore fecondo e ori ginale teologo, continuatore della tradizione antiochena. Cirillo e i suoi seguaci non gli perdonarono di aver osato contraddire apertamente la dottrina contenuta negli anatematismi: dopo l'allontanamento di Nestorio, Teodoreto diverrà il principale bersaglio dei loro attacchi. Il concilio doveva iniziare il 7 giugno. La schiera degli egiziani (cin quanta vescovi e un folto gruppo di accompagnatori) si presentò in anti cipo, poco prima di Pentecoste. Fu poi la volta del �ovo di Gerusalemme, Giovenals, seguito da una quindicina di vescov1 palesti ile'SJ, d quale si sctiì'erò dalla parte di Cirillo per motivi di pura ambizio ne (desiderava infatti innalzare di rango la propria Chiesa). Anche a Efeso Cirillo godeva di forti appoggi. Da qualche tempo i vescovi efesini miravano a creare un proprio patriarcato, che giustificavano sulla base del canone 2 del concilio costantinopolitano, da me citato nel capitolo 2. A ciò tuttavia si opponevano i vescovi di Costantinopoli: già Giovanni Crisostomo, apertamente c contro i canoni, si era intromesso nelle que stioni efesine. Il �q�di Efeso,,Memnone, guardava quindi con favo re a un conflitto che fosse in gr;do 01 diminuire l'influenza di Costantinopoli e a questo scopo si trasformò in uno zelante collaborato re di Cirillo. Il termine del 7 giugno, designato per l'inizio dei lavori, giunse e pas sò. Mancavano ancora i legati papali e i vs:._covi soggetti a Giovanpidi Antioch!a,èhe viag glaVai'iòVìatcrra.3 Ne approfittò Cirillo che, ricor--
-___,
5 Il viaggio per mare era molto più rapido; è impossibile stabilire se il ritardo di circa venti giorni di Giovanni fosse dovuto a difficoltà di percorso a noi igno te, o se fosse stato premeditato da Giovanni stesso: ma a quale scopo) Non ho mai trovato una spiegazione sensata a tale ipotesi.
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Storia della Chiesa nella tarda antichità
diamo, era stato nominato esecutore della sentenza papale c al quale l'assenza degli antioeheni faceva buon gioco, in quanto essi avrebbero potuto trasformarsi in potenziali difensori di Nestorio e pericolosi av versari sul terreno teologico. Cirillo decise dunque di attuare una specie di colpo di mano. Il 21 giu�o�vocò la seduta per il giorno successi vo. Malgrado la surgrnndt! aùrortrn", El1tr'ChiprbfesW:b- Se� Ui11lo ricevette una lettera in merito, firmata da sessantotto vescovi, ventuno dci quali metropoli ti. La cosa lo lasciò indifferente. [ dibattiti ebbero inizio secondo il suo piano. Accorse il rappresentante dell'imperatore, il comes Candidiano, protestando 'F'Suppltcando diaspettare l'arrivo di Giovannie dei suoi �i, · Il gruppo dei vescovi favorevoli a Nestorio rinnovò la sua protesta, ma venne allontanato insieme a Candidiano. Nestorio non volle partecipare ai dibattiti, dato che in quel momento la composi zione del concilio era tale da predcterminare l'esito delle votazioni; il concilio fu inutilmente convocato una seconda e una terza volta. Data la situazione, l'assema di Nestorio non deve stupire. Il non pre sentarsi nella sala del tribunale ecclesiastico era del resto una tattica praticata comunemente, un espediente semplice e spesso efficace. La pratica legale e il senso di giustizia imponevano di non condannare l'ac cusato senza averne prima ascoltato le ragioni, e il tribunale poteva ini ziare i lavori solo dopo averlo vanamente convocat..Q_pe tre vo e conse....s!:'tive. Conoscendola co"Tilposizionedei concilio,-gli accus · potevano pre�Jèrc a priori il suo esito, e se presagivano una condanna preferiva no che ciò avvenisse senza la loro partecipazione. Ciò dava loro la pos sibilità di rinnovare la procedura in condizioni più favorevoli, con il pretesto di un vizio di forma.
�
8.7 Le vicende di Nestorio dopo la sconfitta Durante la prima seduta il concilio sancì l'allontanamento di Nestorio dalla comunità cristiana. Il comes Candidiano protestò, ma non ebbe il coraggio di contrapporsi fattivamente alla sentenza. Gli sarebbe stato difficile usare la forza contro i vescovi c inoltre in città règnava una tale tensione che qualunque azione avrebbe fatalmente provocato tumulti. Cirillo così descrive l'atmosfera della giornata: Dopo esser rimasti lì chiusi per tutto il giorno, alla fine abbiamo condannato il blasfemo Nestorio, che non ha nemmeno osato presentarsi al cospetto del santo sinodo; l'abbiamo deposto
c
cacci ato dal g rado episcopale. Eravamo al
l'incirca in duecento vescovi. Tutta la popolazione della c it tà era rimasta dal
primo matt ino fino alla sera in at tesa del giudizio del santo si nodo. Quando si seppe che il blasfemo era sta to deposto, tutti a una l'oce cominciarono a loda
re il santo sinodo e a glorificare Dio per aver sconfitto un nemico della kdc. A pp ena uscimmo dalla chiesa la popolazione, con fiaccole 200
e
faci, ci scortò ai
Le controverSI(' dottrina!t m Oriente (2): la pnma /are dei conflitti crùtologici nostri alloggi: infatti era già sera. C'era grandissima gioia e illuminazione nel la città
c
perfino le donne ci precedevano portando turiboli. Così il Salvatore
ha rivelato la propria onnipotenza a quanti volevano infamarnc la gloria.�
La lettera di Cirillo ci permette di penetrare nell'atmosfera della città, preparata da settimane al grande spettacolo conciliare e convinta dalle prediche di Cirillo e Memnone che Nestorio fosse una creatura satanica (non per nulla Cirillo era giunto a Efeso con tanto anticipo). Sulla spon· taneità degli interventi popolari con fiaccole e turiboli c'è poco da illu dersi: manifestazioni del genere andavano organizzate, e a farlo ci pen savano i membri del clero locale. Nestorio si comportò passivamente. Non voleva essere oggetto di con· traversie la cui portata lo spaventava. Non si difese, c del resto a Efeso non aveva alcuna possibilità di farlo. Inizialmente gli fu concesso di tor· nare nel convento in cui aveva trascorso la giovinezza; da lì fu trasferito nell'araba Petra, dopodiché gli fu ordinato di andare in esilio in Egitto, nell'Oasi Maggiore. Cc l'avevano con lui perché, convinto della propria innocenza, continuava a scrivere lettere di protesta. Da una parte Cirillo probabilmente temeva che, restando in prossimità di Antiochia, Nestorio divenisse il centro di una forte opposizione teologica; dall'altra, il suo desiderio di vendetta reclamava di essere soddisfatto. Non pago di aver esiliato il nemico sconfitto (l'impero abbondava di luoghi dove iso lario), il patriarca di Alessandria volle tcnerlo in pugno. Nell'Oasi Maggiore Nestorio subì ogni tipo di vessazione, tuttavia, come risulta dal Libro di Eraclide, mantenne sempre i contatti con il mondo ecclesia stico, riuscendo perfino, sul finire della sua vita, a fare uscire la sua ope· ra dal luogo d'esilio. Nestorio dimostrò una grande fermezza di carattere, rifiutando sem pre Òt umiìrarsi e di ritrattare le sue idee Oa continuazione della contro· vcrsia tra Cirillo e Giovanni sembrava del resto dargli ragione). � ancora a lun o in 1essime condizioni, fino al 451. Il suo fu un autenti· co ramma. Venne con annato tn parte per opYnioni che non aveva mai enunciato, o pcrlomeno non in maniera così radicale. Divenne l'eretico per eccellenza, ricoperto di infamia c trattato come strumento di Satana. Gli attacchi ispirati e coordinati da Cirillo furono così violenti, che gli stessi partigiani dell'esule non ebbero il coraggio di difenderlo. I vescovi che a Efeso avevano condannato Nestorio, escludendolo dalla comunità dei fedeli, consideravano ormai concluso il loro compito e desideravano far ritorno nelle loro città. Ma l'imperatore, che aveva convocato il concilio e aveva quindi la facoltà di chiuderlo, informato da Candidiano di quanto era accaduto nella seduta del 22 giugno, non
� Cirillo, terza lettera agli Alessandrini, in Acta Conciliorum Oecumcnicorum, vol. 1, t. r, parte 1: (oncilium zmiversale Ephcscnum, a c. Ji E. Schwartz, vol. l, Acta Gracca, Collcctio Vaticana n. 28, Berlin-Lcipzig .1927, parte l, pp. 117· 118.
201
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Storia del/.a Chiesa nella tarda antichità si disse d'accordo. Non pare che così facendo intendesse difendere Nestorio: era semplicemente convinto che il conflitto stesse appena per cominciare, in quanto gli antiocheni non avrebbero accettato senza pro testare le idee di Cirillo. Il pericolo di una frattura all'interno della Chiesa era quanto mai reale.
8.8 Le lotte a Efeso non si estinguono Alla fine di giugno (verso il 27 o il 28) arrivarono finalmente a Efeso i vescovi del patriarcato antiocheno, capeggiati da Giovanni. L'assetto di forze si modificò all'istante: il concilio si divise in due parti, che comin ciarono a deliberare in un'incredibile atmosfera di confusione, di intri ghi, di diffamazioni nonché di tumulti nelle vie cittadine. Gli antiocheni scomunicarono Cirillo e i suoi seguaci (tra cui anche Memnone); in ri sposta, dopo qualche tempo, il gruppo fedele a Cirillo condannò gli an tiocheni (senza però arrivare a una scomunica in piena regola). La ten sione salì alle stelle. Ognuna delle due parti approvò un Credo diverso. A complicare i dibattiti contribuiva l'assenza di Teodosio, al quale le no tizie sui maneggi ddle parti in lorta giungevano in rit.ardo e che, pur non intervenendo direttanlente sul corso deUe dispute teologiche, esercitava su di esse un influsso importante. Candidiano, dignitario laico incaricato dall'imperatore dell'organizza zione dd concilio, era favorevole agli antiocbeni, ma poteva fare ben poco. Cirillo era riuscito a mobilitare la massa dei cittadini di Efeso, non ché a servirsi dei monaci i quali, affluiti in città da tutto il circondario, costituivano tmo strumento di pressione quanto mai preoccupante. Manifestando rumorosamente le proprie convinzioni, minacciando di violenze i convenuti qualora l'esito dei dibattiti non fosse stato di loro gradimento, i monaci erano divenuti la nuova forza (rispetto al m secolo) delle lotte dottrinali. La Chiesa egiziana aveva avuto in merito un'espe rienza tutt'altro che trascurabile: il predecessore di Cirillo, Teofilo, risol veva i conflitti con gli avversari sguinzagliando per le strade folle di frati pronti anche a uccidere in nome della verità. Alcuni giorni dopo gli antiocbeni, giunsero anche i legati papa]j che, secondo le istruzioni, si misero a disposizione di Cirillo; firmarono an d1e gli ani conciliari, senza però svolgere un ruolo di rilievo nei succes. . SIVI avverumenu. All'inizio di settembre il nuovo rappresentante dell'imperatore, Giovanni, recapitò una lettera del sovrano. Teodosio era d'accordo sulla destituzione di Nestorio, ma anche su quella di Cirillo e di Memnone; incitava aUa pace e ordinava la fine del concilio. Durante la lettura della missiva imperiale scoppiò un tumulto; il comes Giovanni ritenne indi spensabile arrestarne gli autori per cercare di indurii a un'intesa. Non avendo ottenuto alcun risultato, scrisse all'in1peratore. La popolazione di Costantinopoli era in preda a un estremo nervosi202 Copyrigflled m atenal
Le controversie dottrinali
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Oriente
(2): la prime/ fase dei conflitti cristologici
smo. I fautori di entrambe le fazioni cercavano di influenzare l'impera tore; pare che gli uomini di Cirillo distribuissero febbrilmente regali tra le dame della corte. Entrarono in scena i monaci ostili a Nestorio, che, in gran numero e intonando salmi, si diressero al palazzo imperiale. Tra loro si trovava Eutiche, destinato di lì a poco a rivestire un ruolo di pri mo piano nella cofifroversia. l n breve, al posto di Nestorio fu scelto (con il concorso di alcuni ve scovi del partito di Cirillo) un nuovo atriarca di Co_ g anç.inop_oli: .M�:... simiano, sostenitore di Cirillo. uestt, intanto, era riuscito a lasci� Cleso p.cima.....a.nc()lll � otte.m.uo_..iLpe.rrocso. s .unpe.ciaic1 ad Alessandria, doVè fu accolto in trionfo, nessuno era in grado di destituir lo dalla carica senza provocare un massacro, cosa che l'imperatore sape va perfettamente. Il sovrano dovette quindi accettare lo stato delle cose. Fu proprio allora che Isidoro di Pclusio scrisse a Cirillo la lettera sopra citata, così critica nei suoi confronti.
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8.9 Le condizioni del compromesso Il profondo disaccordo tra i vescovi, prodottosi durante i lavori di Efeso, venne definitivamente scongiurato grazie all'attivo concorgJ di a )a Sisto Ili c dell'imperatore Teodosio. Nel 433, dopo mesi e mesi di comp icatt�ziati, le due parr'lglunsero a uriCO'inpromcsso. Giovanni condannò Nestorio, mentre CirilloC'iimbtÒ radtcalmente la sua posizione dottrinale, accettando, con qualche piccola correzione, la professione di fede formulata a Efeso dagli antiocheni. Si eliminò dal les sico teologico il termine sospetto !J'nap_hqa (''con•iunzione , sostituen . o as n ].!J!J. dolo con il cirilliano henosis (''unione") u o-41 'a �za mescolanza"). St concord'Oì:rmrformu a secon o a qua e risto nella sua dì,�m à t era "consustanziale" (homoouszòs) -a Dio e, nella sua umanità, agli uomini. Entrambe le parti si scambiarono lettere contenenti questo Credo. 11 te sto di Cirillo, noto nella letteratura scientifica con il titolo latino Laetentur coeli, iniziava con le parole: «S'allieti il cielo e gioisca la terra» (Salmo 96, Il). La "formula dell'unione" (è così che essa viene generalmente chiama ta), sebbene creata due anni dopo il concilio, rappresentava il suo frutto più maturo. Per gran parte dci fautori di Cirillo il fatto che egli l'avesse accettata fu un grave colpo c un'immensa sorpresa (il loro atteggiamento darà origine ai conflitti della generazione successiva). La loro reazione era comunque perfettamente giustificata: si trattava di un testo che perfino Nestorio, se non fosse stato così orgoglioso, avrebbe potuto sottoscrivere. Protestarono anche gli anriochcni, ma la loro posizione avrebbe avuto un'importanza secondaria per il futuro della Chiesa d'Oriente. Non tutti i seguaci di Nestorio residenti in Oriente lo condannarono, rinnegando la sua memoria. Coloro che gli restarono fedeli si staccaro no dalla Chiesa c diedero vita a una nuova comunità. Il nestorianesimo
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Storia della China nella tarda antichità
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si diffuse soprattutto oltre la frontiera persiana. Lì sorse una Chiesa staccata, che negli anni 484-486 annunciò formalmente la eropria see::: razione. li nestorianesimoaveva Javanti a sé una lunga e magnrfié?i sto ria. LeC7lmunità nestoriane si diffusero persino in Cina. Questa fedeltà a Nestorio derivò sicuramente dalla devozione alla tradizione teologica antiochena, sebbene non si possano escludere fattori di ordine politico. l cristiani sottoposti alla dominazione persiana, da sempre sospettati di favorire l'imperatore cristiano dei romani, sfruttarono l'occasione per sottolineare la propria diversità. Che cosa indusse Cirillo a un così radicale cambiamento di posizio ne? Considerazioni pratiche (aveva ottenuto quel che voleva, umiliando due patriarcati, quello di Costantinopoli e quello di Antiochia), oppure un'evoluzione teologica accompagnata dalla consapevolezza che la frat tura, che si andava sempre più nettamente delineando in seno alla Chiesa, sarebbe stata una tragedia? Le fonti non ci consentono di dare una risposta a queste domande, per cui siamo costretti a formulare Jelle ipotesi. A mio avviso sarebbe meglio scartare la prima eventualità: essa presuppone infatti che Cirillo manipolasse cinicamente i contenuti Ji fede, cosa che mi pare poco verosimile. È più facile supporre che fosse mosso da considerazioni religiose e che la soddisfazione per l'ambizione placata, fattore innegabile, non esercitasse un ruolo determinante. 8.10 Nasce il monofisismo L'accordo raggiunto tra i patriarcati di Antiochia e di Alessandria sem brava aver posto fine per sempre al conflitto. Giovanni moriva nel 441/442, seguito alcuni anni dopo da Cirillo. Invece, alla fme lleglìanni �ranta, il contrasto riesplose, soprattutto negli ambienti che non ave vano accettato la "formula dell'unione". Anni dopo, dalla loro protesta nascerà la corrente detta "monofisismo". L'avvio alle nuove polemiche fu dato da Eutiche, un noto asceta a capo di un orande convento di Costantinopoh,che éSèreitava un pror'ondo inìfusso sui monacl dellaThpltale edera molto rispettato a corte. Suo ardente fautore era l'onnipotente eunuco Crisafio, e lo stesso imperatore Teodosio ne subiva ir1'àSciTitr"ta pèrSTifi�ilit èarismatica di Eutiche spiega anche le resistenze cui andarono incontro i tentativi di conJannarlo: chi lo frequentava non riusciva a credere che la sua fede non fosse adamantina. l moderni storici della Chiesa lo trattano invece con severità (o tutt'al più con sprezzante indulgenza), seguendo l'opi nione di papa Leone Magno, che lo definì imprudentissimus senex e stultissimus homo, un giuJizio (espresso oltretutto da un uomo che non aveva mai incontrato Eutiche e conosceva le sue idee solo dai materiali elaborati dai suoi avversari) della cui faziosità dobbiamo tener conto, se vogliamo comprendere le reazioni dei contemporanei all'accusa e alla condanna di Etniche. Studiando la storia della Chiesa, infatti, non dob204
Le controvenie dollrinali in Oriente (2): la prima fase dci conflitti cristologici
biamo mai dimenticare un aspetto fondamentale degli eventi, che a vol te ci sfugge c che non siamo in grado di ricostruire: la personalità degli uomini coinvolti nelle controversie. Una grande, fervida devozione (o la sua mancanza), una grande bontà (o al contrario, una severità eccessiva c un rigido rigorismo) potevano determinare in misura notevole il loro successo o la loro sconfitta. Non è facile stabilire quale fosse realmente la dottrina di Eutiche, dato che non possediamo i suoi scritti c dobbiamo affidarci a quanto ri portato dal protocollo dd sinodo che lo condannò (e naturalmente non si tratta di una testimonianza obiettiva). Egli viene considerato il creato re di una forma radicale di monofisismo, secondo la quale la natura p , o �na di Cristo è stata totalmente assorbita dalla sua natura JiviM e·6re e:r&ccti;r� lTU'tìche àcaeva s1?U7àm siziohe,questa7 velatamem nc!resisten�za ctru;;-'unicaruuura J�carna·riooe Negaya di aver sostenuto che il corpOdìCnsto t.Q.§� venuto dalciclo Tuttavia_l!on-l,(Q !ali!à�corpo u� (che i�Ji: leva riconoscerne la consustap� _sonosceva aléorpo acliaVer.gjn_e). E n�tu·r;rmenre possb i l i e che a Eutiche sia stata attribuita ingiusta mente una dottrina autonoma e coerente (egli tendeva certo a portare alle più estreme conseguenze le affermazioni di Cirillo, tendenza che preoccupò molti teologi), così come, secondo la logica delle polemiche di cui ho parlato nel capitolo precedente, è possibile che gli siano state attribuite opinioni che potevano anche scaturire dalle sue affermazioni, ma che in realtà egli non aveva mai enunciato. In virtù della sua notevole influenza, Emiche operò a lungo impune mente. A un certo punto, però, gli si parò davanti un avversario dispo sto ad assumersi il grave rischio di attaccare un uomo universalmente stimato. Si trattava di..J.;usebio di Dorilaio, riwista bellicoso, snidatore di eretici e accusatore di Nestori;;;=Efeso nel 4 .3l. All'intzto ae1 novem bre 448 Eusebio presentò una formale denuncia presso un sinodo di ve scovi presenti in quel momento a Costantinopoli, oppure fatti arrivare ad hoc dal circondario (di questo tipo di sinodi, detti synodos endemou sa, ho già parlato nel capitolo 1). Il consesso, al quale partecipavano quarantadue vescovi, condannò le idee di Eutichc come chiaramente eretiche. Inoltre, Teodoreto, ve�allora il massimo teologo dell'Oriente, si addossòla fatica di attaccare Euriche, mettend�ÌU�r-col;;.wnc iltr:;!!Jilto Il mendica11.� --rènotizie relative all'incipiente conflitto giunsero a papa Leone Magno con enorme ritardo; il pontefice, seriamente preoccupato, rim·
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'Il docetismo (dal greco dokein, "sembrare") era una dottrina cristologica se condo la quale Gesù Cristo, dotato di un corpo apparente o celeste, aveva sof ferto ed era morto solo in apparenza. La croce era servita solo a indurre in erro re i non credenti. Teorie del genere servivano a risolvere un problema teologico fondamentale: come fosse possibile che il Verbo immortale cd esente da soffe renza avesse potuto soffrire c morire. 205
Storia detta. Cbiesa nelLa tarcla antichità proverò il patriarca di Costantinopoli, Flaviano, per averlo tenuto all'o scuro de.ll'intera faccenda. La situazione stava precipitando ed era or mai troppo tardi per inte1venire efficacemente. Eutiche non intendeva affatto sottomettersi. Sosteneva che il sinodo lo aveva trattato ingiustamente e che si era preparato a emettere la con danna senza nemmeno ascoltare i suoi argomenti.6 Si appellò quindi al l'imperatore, il quale nominò una commissione composta di dignitari laici incaricata di prendere in esame la documentazione del sinodo. Fin dall'inizio l'imperatore era favorevole a Eutiche e riconobbe l'accani mento con cui Flaviano aveva perseguitato il pio asceta privandolo della possibilità di difendersi. Eutiche chiese aiuto anche al successore di Cirillo ad Alessandria, Dioscoro.
8.11 U ''faraone" Dioscoro Dioscoro, vescovo di Alessandria dal444 al451, merita qualche parola di presentazione. Sappiamo poco circa gli inizi della sua carriera eccle siastica. Fu arcidiacono a fianco di Cirillo (il che indica chiaramente cbe costui lo vedeva, se non come proprio successore, come persona degna di fiducia) e in seguito prese parte al concilio di Efeso. La sua elezione al seggio alessandrino avvenne senza conflitti; viceversa, le sue energi che iniziative suscitarono una forte opposizione (su questo non sussisto no dubbi, mentre è più difficile stabilire quale fosse la sua portata). Divenuto patriarca, Dioscoro attaccò l'influente cerchia dei parenti e degli stretti collaboratori di Cirillo che governavano la curia alessandri na. Costoro, al processo di Dioscoro nel concilio calcedonio, ne descris sero abbondantemente le violenze e le ingiustizie, ma è difficile stabilire quanto fossero fondate le loro accuse. JJ vescovo di Alessandria, infatti, era oggetto di elogi agiografici e di attacchi pieni di odio, motivo per cui è impossibile farsi un'idea coerente della sua attività. Nell'antichita (ma solo nell'antichità?) destimire lo staff del predecessore era una prassi consueta da parte di chi ereditava iJ governo di una Chiesa, altri menti i nuovi pastori non sarebbero stati io grado di garantirsi il con trollo sui complicatissimi meccanismi ecclesiastici. Una prassi antipati ca, ma inevitabile. Le ambizioni di Dioscoro erano immense. Non più grandi, però, di quelle di Teofilo o di Cirillo: erede della tradizione alessandrina, egli agiva conformemente alla linea tracciata dalle generazioni precedenti.
La cosa non è improbabile: d i rado i sinodi si comportavano lealmente nei confronù degli avversari e, se ciò poteva affrettare la decisione, infrangevano anche le regole di procedura; se tali manovre, non proprio conformi ai canoni, erano appoggiate dalia maggioranza, era raro che venissero contestate dal pun· to di vista formale. 6
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Le controversie dottrinali in Oriente (2): la prima /a.re dei conflitti cristologici
Le opere della letteratura copta ne mettono insistentemente in rilievo la devozione, l'autorità, l'onestà; la parte avversa ritrae invece un mostro traboccante di superbia faraonica (il termine "faraone" ricorre in una lettera di papa Leone). Una cosa possiamo dirla: sicuramente si com portò con più brutalità di Cirillo e questa fu senza dubbio la ragione fondamentale per cui alla fine venne sconfitto. Papa Leone aveva mal giudicato il nuovo vescovo di Alessandria. In una lettera, inviatagli subito dopo la consacrazione, lo aveva trattato come il proprio suffraganeo. Dopo aver rammentato a Dioscoro che Marco era stato allievo dell'apostolo Pietro, gli aveva indicato le regole da seguire nel consacrare gli ecclesiastici: bisognava farlo di domenica prima dell'alba, dopo aver osservato il digiuno. Inoltre, se le chiese di Alessandria erano troppo piccole per contenere le folle adunate duran te le feste, bisognava celebrare la messa due volte (nella Chiesa egiziana si riteneva che si potesse celebrare una sola messa al giorno davanti al medesimo altare). Leone probabilmente non intendeva umiliare il nuo vo vescovo, ma voleva solo mostrargli quale fosse il suo posto. ra da par Possiamo immaginare quale sia stata la re zione a �ues � te d1 un uomo posto sul trono cl:!. �_f� .tJk.ll�n _g_e�à arc� erede del . grande teoTOgo-CTrìno écapo della massima Chiesa d'Oriente. Non era certo il miglior inizio per una collaborazione armoniosa. Il27 marzo 449, sabato santo, ci fu un litigio fra Teodosio e il patriar ca di Costantinopoli. Tre giorni dopo, l'imperatore firmava i documenti che convocavano per il l" agosto un'assemblea a Efeso e incaricavano Dioscoro di presiederla.
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8.12 Il "brigantaggio" eli Efeso del 449
Conosciamo il contenuto della lettera in cui l'imperatore elencava i par tecipanti al futuro concilio. Era diretta a Dioscoro, e sicuramente gli altri patriarchi ne ricevettero di simili. Dioscoro doveva portare con sé dieci , metropoliti e dieci vescovi, rinomati per santità, sapere e ortodossia. Non essendoci metropoli in Egitto (mentre ce n'erano nella Libia sog getta a Dioscoro), è evidente che i segretari imperiali avavano ricalcato il formulario consueto; in questo cas�, però, il vescovo di Alessandria avrebbe scelto chi riteneva opportuno, mentre gli altri patriarchi si sa rebbero attenuti alle indicazioni imperiali. Memori del gran numero dei componenti della delegazione egiziana al concilio del 4 31, dovremmo considerare le indicazioni imperiali più che altro come il desiderio di !i mitarne la forza. Affinché l'assoluzione eli Eutiche suonasse autorevole e convincente, l'imperatore voleva convocare un concilio di rango abbastanza elevato, senza però dover ricorrere a un raduno ecumenico, ragion per cui cer cava di evitare un numero eccessivo di pastori. A Teodoreto, vescovo di Cirro, fu vietata la partecipazione al concilio: poteva farlo solo se recla-
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Stona della Chiesa nella tarda antichità mato dai suoi membri. In tal modo l'imperatore eliminava l'unica per sona che, per sapere teologico e talento oratorio, avrebbe potuto tenere testa a Dioscoro; condannare Teodoreto in sua assenza diventava molto più semplice. Quello di escludeft'ipersonaggi scomodi dalle liste degli invitati non fu uno stratagemma riservato al raduno di Efeso: si trattava di una prassi consueta per chi organizzava sinodi e concili. Teodosio escluse dunque dal sinodo il vescovo di Cirro, invitandovi invece Barsauma, un asceta che aveva avuto occasione di co sonalmente a-CostantinopOli e che, sebben�las.sc,solg il siriaco, gli aveva fatto una grande impressione:-B"arsauma aveva organizzato nel suo conv<::__nto, posto vicino all'Eufrate, U_!2 gruppo di monaci con i quali in se gutta compì aztom che oggt dclmiremmo "terroristiche". Distruggevano chiese, incendiavano conventi e scacciavano vescovi dalle loro sedi, il tutto in nome della lotta contro l'eresia nestoriana. Di monaci zelanti, che non esitavano a ricorrere alla violenza contro pagani, eretici ed ebrei, a quel tempo cc n'erano molti: gruppi di asceti armati di zappe e bastoni, che terrorizzavano intere regioni nella più totale impunità. Era raro infatti che qualcuno osasse usare la forza contro uomini tanto pii, che combattevano per una giusta causa ed erano sinceramente disposti a morire in difesa dell'ortodossia: più che frenarli, le repressioni li ecci tavano. Non dobbiamo però dimenticare, soprattutto oggi che gli sto rici tendono a considerarli alla stregua di pericolosi banditi, che la loro esaltazione religiosa era sorretta da una fede autentica e che le loro in tenzioni erano sincere. La presenza di Barsauma, comunque, non pro metteva niente di buono per gente accusata di favorire il nestorianesi mo come Elaviano e Teodoreto;� Barsauma era giunto a Efeso con la sua banda di mon'ici alè.ui, come vedremo, non avrebbe mancato di servirsi. Alla lettera dell'impaurito Flaviano, Leone Magno rispose con un pic colo ma importantissimo u·�ttato teologico, il 'I mo a Flavian in cui il � . . ponteftce esponeva la propna dottnna cnsto10I%i"Ca: J·u spedito èla Roma il 12 giugno 449. Il papa non si rendeva pienamente conto di quanto pericolosa fosse la situazione in Oriente. In una lettera datata 20 giugno spiegava ancora all'imperatore come, secondo lui, il concilio non andas se convocato: ma ormai era troppo tardi. Al 6 agosto risale una lettera dell'imperatore, che conferiva a Dioscoro la presidenza dei dibattiti in tutte le questioni e l'incarico di restaurare il Credo di Nicea e di Efeso l. Secondo l'imperatore, ai nemici dottrinali, quindi alle persone sospette di ncstorianesimo, non andava concessa la parrhesia, ossia la libertà di parola (neanche Ario l'aveva avuta al concilio , di Nicea, né Ncstorio a Efeso; in genere nelle assemblee episcopali la parrhesia spettava solo a coloro che rappresentavano il punto di vista dc gli organizzatori dell'incontro). I vescovi che a Costantinopoli avevano preso parte al sinodo endémou.w del448 furono privati del diritto di pa rola, in quanto erano presenti in veste di accusati (di aver emesso una sentenza ingiusta). Come aiutanti di Dioscoro nel corso dei dibattiti l'im-
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Le conlrovcnic dollrinali in Oriente (2): la prima fase dei con/fili i crùtologici
pcratore designò i vescovi Giovenale di Gerusalemme e -Ta --- ' lassio di -ea pad di ct Cap sru:_ S:C A Eleso �nlrise a e c�azione inviata ;!.�l_p�: Giulio, vesc�� d! . . e t! dtacono Ilano. Pur_ dovendo 111tcrvenife m Pozzuolt, dtoaffi'h 1 cut p�nti di solito O<;n capivano il latino, nessuno dei due parlava greco. Questo fatto ci dà la misura della crescente lacerazione tra le due parti dell'impero c delle sue conseguenze pratiche. Come sperare nel l'efficacia operativa dei legati papali in condizioni a loro sfavorevoli e con la palese ostilità del presidente? Non erano in grado di afferrare esattamente la discussione in corso né di influire sull'opinione dei pre senti con interventi adeguati, a parte il fatto che trovavano anche diffi coltà a stringere contatti personali al di fuori dei dibattiti. Possiamo stabilire con sufficiente esattezza la lista dei partecipanti al sinodo, dato che ne possediamo due versioni: una contenuta negli atti in greco, l'altra in quelli in siriaco. La lista greca è più ampia, conta più di centotrenta nomi, mentre quella siriaca ne ha solo centotredici. La differenza deriva forse dal fatto che esse furono redatte in momenti di versi: probabilmente alcuni vescovi, avendo capito che cosa stava per accadere, abbandonarono il sinodo subito dopo la prima seduta. Otto vescovi erano rappresentati ai dibattiti dai loro ecclesiastici; si trattava di un'usanza universalmente accettata, visto che molti pastori non erano in grado di sopportare le fatiche del viaggio per motivi d'età o di salute. A capo della lista stava Dioscoro. Seguivano Giulio di Pozzuoli, in qualità di rappresentante del papa; Domno, patriarca di Antiochia e Giovenale di Gerusalemme; Flaviano veniva per quinto, fatto questo di l per sé scandaloso, poiché, secondo la decisione dd concilio del381, al patriarca di Costantinopoli spettava il secondo posto dopo Roma; anzi, secondo le usanze ecclesiastiche a lui spettava il compito di presiedere i dibattiti. L'imperatore incaricò due alti dignitari, il..(Qo:zes-..Elpj..dig, e il uibuno Eulogio, di aiutare Dioscoro sul piano organizzativo. Dovevano ' certo aver ricevuto istruzioni verbali dal sovrano, a parte il fatto che non avevano bisogno di istruzioni per sapere quel che Teodosio pensasse di Eutichc, di Dioscoro e di I'laviano. Elpidio ed Eulogio ricoprirono un ruolo importante nello svolgimento dci dibattiti, ai quali ovviamente non partecipavano, nel senso che non prendevano la parola (tranne che per questioni di procedura) e non votavano. Troviamo commissari del genere anche in altri raduni episcopali convocati su iniziativa imperiale, e di solito si tratta sempre di alti dignitari: il loro rango testimoniava il rispetto del sovrano verso i convenuti. A loro spettava la funzione di in termediari tra i membri del sinodo e l'imperatore. Memore dell'esperienza del concilio efesino del431, Teodosio voleva assolutamente evitare sia le scenate durante le sedute, così compromet tenti per la Chiesa, sia i tumulti in città. In proposito le istruzioni rice vute dai commissari erano molto esplicite: per evitare disordini, erano autorizzati a servirsi dei soldati.
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Storia della Chiesa nella tarda antichità 8.13 Come si manipolavano le assemblee episcopali In qualità di presidente del s.inodo, Dioscoro aveva diritto a un aiutante, detto "primo segretario" (primicerius rtotariorum), carica per la quale scelse Giovanni, uno dd presbiteri alessandrini. Questi dirigeva la parte procedurale dei dibattiti e riceveva i documenti destinati al sinodo. Il primicerius disponeva di un folto gruppo di segretari, detti "notai" nella terminologia dd tempo. Essi redigevano U protocollo servendosi di un ben sviluppato sistema di segni stenografici, già d'uso comtme neiJ'am ministrazione ecclesiastica: un autore delJa seconda metà del IV secolo, l' antiocheno Libanio, lamenta che per fare carriera non occorresse più una cultura letteraria, ma fosse sufficiente padronegE:,riare i princìpi della stenografia e sapere il latino. Anche la Chiesa approfittava degli steno grafi, non solo durante le adunanze episcopali, ma anche quando si desi derava trascrivere le prediche tenute da famosi predicatori. I segretari dei sinodi e dei concili avevano un ruolo decisivo: erano loro, infatti, a decidere quale parte dei discorsi trascrivere nel protocol lo. Coloro che presentavano documenti "per il protocollo" potevano in contrare un ostacolo proprio tra i segretari: il loro capo sapeva perfetta mente qud che i] suo mandante desiderava o meno trovare nel verbale, per cui non esitava a rifiutare i testi scomodi. Nel suo desiderio di con trollare l'assemblea, Dioscoro prese una decisione radicale e senza pre cedenti: vietò ai vescovi l'impiego di segretari personali per redigere ver bali dei concili a proprio uso e consumo. Dal divieto erano esentate solo due persone a lui vicine, Giovenale e Talassio; in questo modo sarebbe stato redatto un unico verbale, conu·ollato da lui personalmente. n me tropolita di Efeso, Stefano, tentò di ribelJarsi aiJ'imposizione, ma i suoi segretari furono assaliti e le tavolette strappate loro di mano con la forza. Il concilio cot1ùnciò 1'8 agosto nella chiesa delJa Theotokos e si pro trasse per più di due settimane. La maggior parte dei sih.odi e concili si riuniva nelJe chiese; da un lato per motivi pratici, essendoci bisogno di molto spazio per i membri delJ'assemblea e i loro accompagnatori, che potevano anche essere più numerosi dej veri e propri partecipanti ai la vori; dall'altro per motivi religiosi, in quanto la sede stessa dei dibattiti santificava l'assemblea e le conferiva autorità. Il sinodo ebbe inizio con la lettura (fana dal primicerius Giovanni) del la missiva imperiale che ne decretava la convocazione, dopodiché prese ro la parola i legati papali Giulio e Ilario. Tra i due, il ruolo più impor tante spettava a Uario, che anche nei dibattiti successivi si mostrò note volmente più attivo (notiamo che dopo la morte di papa Leone Magno fu proprio 'Ua.rio a succedergli). Egli motivò l'assenza del pontefjce al concilio e annunciò che i legati erano latori di missive papali per il sino do, chiedendo il permesso di darne lettura. Dioscoro, che non voleva as solutamente far leggere il Tomo a Flaviano, prese in mano la lettera di cendo che l'accettava; su richi.esta di Giovenale si dette alJora la prece denza alla missiva imperiale, e il segretario lesse la lettera di Teodosio ri210 Copyrigt1led
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guardante l'invito di Barsauma. Si trattava chiaramente di un espediente: la lettera in questione non aveva un'importanza particolare né c'era biso gno di darne lettura. I legati tornarono sulla faccenda nel corso dei successivi dibattiti, al che Eutiche bloccò la lettura della missiva papale, accusandoli di parzia lità: avevano stretto contatti con Flaviano e mangiato insieme a lui, quin di erano dalla sua parte e non avrebbero dovuto parlare prima che i ve scovi si fossero pronunciati circa la sua ortodossia. I convenuti accetta rono il punto di vista di Eutiche. La questione del Tomo a Flaviano fu nuovamente e invano sollevata nel corso di una delle sedute successive, dopodiché la lettura di quel testo perse significato. Questa storia ci mo stra il potere di cui disponeva il presidente dei dibattiti: rimandando la lettura di un documento scomodo (o l'intervento di una persona scomo da) faceva in modo che la questione perdesse di attualità e di valore. Il concilio si dedicò soprattutto alla questione di Eutiche. Questi pronunciò un lungo discorso
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consegnò a Giovanni la sua professione
di fede scritta, che venne subito letta. Eutichc criticò la delibera del si nodo che lo condannava, affermando che la sentenza era stata concer tata a priori e che non gli era stata data la possibilità di difendersi. Quando ebbe finito, Flaviano chiese che fosse data la parola a Eusebio di Dorilaio, ex accusatore del sinodo costantinopolitano. Il comes Elpidio obiettò che, secondo la prescrizione imperiale, i vescovi che in precedenza avevano giudicato Eutiche dovevano a Efeso venir giudica ti, e che dunque non potevano esercitare un ruolo di accusatori. Ciò si gnificava che, in pratica, al sinodo la voce spettava solo ai difensori di Eutiche. Si procedette alla lettura del protocollo del sinodo costantinopolitano. Quando, ormai durante la settima sessione, i lettori giunsero alle doman de poste da Eusebio a Eutiche durante il sinodo precedente, i vescovi cominciarono a gridare: «Cacciate Eusebio, bruciatelo», «Bruciate vivo Eusebio», «Fate a pezzi l'uomo che divide il Redentorc». Dioscoro chic se: «Accettate la formula: due nature dopo l'incarnazione?». La sala ri spose: «No, no, anatema su chi afferma ciò». Dioscoro: «Ilo bisogno delle vostre mani come delle vostre voci: chi non può gridare, alzi la mano». Quando Dioscoro chiese «Quale professione di fede approvate: quella di Eutiche o quella di Eusebio?», si sentì gridare: «Non chiamate lo Eusebio [ossia "pio"], ma Asebio [ossia "ateo"]».' La scena richiede qualche commento. Le grida erano acclamazioni, ossia una forma di voto comune non solo in sinodi e concili, ma anche in senato (anzi, a quel tempo, nei senati: quello di Roma e quello di Costantinopoli) c nei consigli municipali. I segretari annotavano quante volte e quanti partecipanti ai dibattiti avessero gridato una data formula (il che conferiva ai segretari un grande potere: quanto veniva messo agli
7 Le esclamazioni sono registrate nel protocollo della seduta, e si possono leg gere in Conciliorum Oecumenicorurn Decreta, cit.
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Storia della Chiesa nella tarda antichità
atti dipendeva da loro, a parte il fatto che, anche volendo testimoniare la verità, avrebbero avuto difficoltà a stabilirla). Non dobbiamo illuder ci circa la spontaneità di quelle grida, e non solo nel corso di quel parti colare sinodo. I testi erano stabiliti in precedenza, alcune persone pre scelte li intonavano e l'assemblea faceva eco. La funzione di questi spe cialisti dell'acclamazione ci è ben nota dagli spettacoli del circo e del l'ippodromo. l club (i "colori") che raccoglievano i sostenitori di una data fazione di aurighi del circo avevano una loro claque professionale fissa. Il considerare l'acclamazione come una forma di votazione ci fa sorridere, ma non del tutto a ragione. In effetti si trattava di un modo assai imperfetto per stabilire l'opinione dei presenti, tuttavia dava buo ni risultati. È difficile costringere una folla a intonare slogan impopola ri: la claque rischiava che l'eco alle sue grida risultasse troppo debole, pericolo che si cercava di evitare. Dopo la lettura degli atti del sinodo costantinopolitano, Dioscoro in vitò i partecipanti a votare. Secondo l'usanza in vigore si votava non per alzata di mano, ma con una dichiarazione verbale (un sistema che la Chiesa aveva mutuato dal senato romano); si trattava di una procedura che rendeva difficile ai dissidenti manifestare la propria opinione, poi ché è più facile alzare la mano in mezzo alla folla, che esporre la propria opinione di fronte a una sala ostile. I partecipanti al sinodo riconobbero che Eutiche era stato condanna to ingiustamente e che la sua fede era retta. Alla votazione presero parte anche tre dei vescovi che avevano condannato Eutiche al sinodo di Costantinopoli: essi ritrattarono la loro posizione; agli altri vescovi che avevano partecipato al precedente sinodo non fu concesso il diritto di votare. A questo punto il prirnicerius Giovanni lesse la denuncia sporta con tro Flaviano dai monaci del convento di Eutiche a Costantinopoli. Vi si lam��an� violenze, l'impedimento di disporre dei beni del convento, l'allontanamento dalla comunione per nove mesi. n testo era firmato da trentacinque monaci, benché il convento ne comprendesse trecento. Come mai gli altri non avevano sottoscritto la denuncia? Non ne condi videvano per caso il contenuto? Data ragione ai monaci, il sinodo passò alle questioni successive. Dioscoro si dimostrò estremamente abile. A lui infatti non premeva sol tanto l'assoluzione di Eutiche: oggetto principale del suo attacco era Flaviano, e ottenere il consenso dei vescovi alla deposizion.c._Q.eLp,atri�ca diCoshftltinopOTinonerac èrfOfaéile. Per preparare il terreno Dloscoro feceleggeregflàtti-dellaseSl'lìseSsiom:tle l precedente concilio efesino, che aveva stabilito di privare della carica ecclesiastica coloro che avesse ro apportato una qualsivoglia modifica al Credo niceno, o che volessero formulare un nuovo Credo; se a intraprendere iniziative del genere fosse ro stati dei laici, andavano puniti con la scomunica. Tale delibera costi tuisce una significativa testimonianza di un cambiamento che si stava producendo nell'atteggiamento degli uomini di Chiesa: spaventati dalla 212
Le controversie
dotLrinali in Oriente (2): la prima fase del conflitLi cristologici
profondità delle fratture dottrinali, reagivano con il tentativo, assurdo e votato all'insuccesso, di porre un freno a tutte le discussioni teologiche. Terminata la lettura delle decisioni efesine, Dioscoro ordinò ai vescovi di dichiarare per scritto il loro assenso a punire quanti avevano intaccato il Credo niceno. Subito si alzarono voci di approvazione. Ci fu però an che chi si oppose a questo modo di dirigere il dibattito: Ilario rinnovò la sua richiesta di leggere la lettera del papa, ma invano.
8.14 Dioscoro ricorre alla forza
A questo punto ebbe inizio la parte dei dibattiti efesini che maggiormen te disonora Dioscoro per l'uso aperto della forza (e non solo delle con suete pressioni psicologiche correntemente applicate e contro le quali protestavano soltanto gli sconfitti). Ricostruiamo il corso della disgrazia ta seduta dalla relazione contenuta negli atti del concilio calcedonio, che cassò le decisioni del449. In quella circostanza fu letto il protocollo del la seduta, corredato dalle dichiarazioni dei suoi partecipanti che cercava no di accusare Dioscoro e diminuire la portata della propria colpa; va 1 subito detto che non vanno creduti alla lettera, e soprattutto non è vero' che si sottomisero a Dioscoro solo per costrizione. Dopo aver approvato la decisione di punire quanti avevano intaccato il Credo niceno, Dioscoro passò al punto per lui più importante: l'attac co contro Flaviano ed Eusebio di Dorilaio. Dichiarò che, alla luce delle decisioni ctesme, confermate dalle votaziOni dei presenti, essi dovevano venir rimossi dalle loro cariche ecclesiastiche. I vescovi, o perlomeno la loro maggioranza, non si aspettavano una simile evoluzione. Avevano scagionato Eutiche senza difficoltà, in quanto sinceramente convinti della sua devozione; inoltre la loro convinzione era stata confermata dall'infelice attacco di Teodoreto di Cirro, da tutti considerato un fau- ì tore di Nestorio (vi erano buoni motivi per crederlo, dato che l Teodoreto non voleva condannare Nestorio). Resistevano invece all'i dea di destituire il patriarca di Costantinopoli, nel quale la maggior par te dei presenti vedeva il suo capo naturale. Tre membri del sinodo sup plicarono Dioscoro di ritirare la mozione. Flaviano esclamò: «Ti supplico» (paraltoumai se), Ilario gridava: «Protesto» (contradicitur: trascritto agli atti in latino). Approfittando della confusione, Dioscoro si rivolse ai commissari imperiali, i quali fe cero aprire le porte della chiesa: vi entrarono il governatore della pro vincia dell'Asia (di eui Efeso era la capitale), il proconsole Proclo, se
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guito da soldati con spade c catene, i monaci di Barsauma nonché i pa. raba!aneis, infermieri sottoposti al patriarca di Alessandria e fatti arriva re a Efeso come sua guardia e gruppo d'assalto. Poi le porte della chiesa vennero richiuse, in modo che i vescovi non potessero uscire. l partecipanti al sinodo (o almeno una parte di essi) si agitavano con fusamente dentro la chiesa. Il metropolita di Efeso, Stefano, si nascose 213
Storia della Chiesa nella tarda aniLchità nella sacrestia, dalla quale fu lasciato uscire solo dopo aver firmato la dichiarazione richiesta da Dioscoro. Dioscoro allora invitò i vescovi a riprendere i loro posti, annunciò che avrebbero dovuto esprimere per iscritto la loro opinione, aggiunse r una minaccia all'indirizzo di chi avesse manifestato un parere diverso dal suo c ricordò che i testi delle dichiarazioni sarebbero stati trasmessi all'imperatore. 11 primo dei vescovi a prendere la parola fu Giovenale, il quale, owiamente, chiese la deposizione di Flaviano; poi Domno di Antiochia, che si schierò anche lui dalla parte di Dioscoro. Quando Eusebio di Ancira tentò di esprimere un dubbio, si scatenò un putiferio e poco mancò che venisse deposto di carica lui stesso. Il vescovo suc cessivo chiese per rlaviano niente meno che la pena di morte. Non tutti i vescovi però erano favorevoli alla deposizione di Flaviano (Eusebio di Dorilaio stava molto meno a cuore ai presenti). In condizioni normali, questo gruppo non avrebbe mai approvato la mozione: era appunto per piega rio che erano stati introdotti in chiesa monaci e soldati. A questo punto si presentò una difficoltà di tipo tecnico: i segretari non erano in grado di preparare, tanto rapidamente e in mezzo alla con fusione, i testi delle singole dichiarazioni. Consigliatosi brevemente con i collaboratori, Dioscoro decise di permettere ai vescovi di uscire di chie sa solo dopo aver firmato un ®tcrmem<::l inbianco. SI alzarono votitli protèsnr. era un attentato alle pià elementan regole procedurali. Dioscoro allora decise di raccogliere personalmente le firme, passando di banco in banco. Alcuni vescovi, però, firmarono i documenti soltanto il giorno dopo. Si tratta di una scena molto significativa, che dimostra concretamente quale pressione esercitasse Dioscoro sugli indecisi. Per quanto riguarda il gruppo d'assalto possiamo ritenere che non sia intervenuto all'interno della chiesa, limitandosi a spaventare i vescovi ribelli con la sua sola presenza. Le relazioni su ciò che in seguito accadde a Flaviano sono contrastan ti. I partecipanti del concilio di Calcedonia, nell'esaminare lo svolgi mento del sinodo di Efeso, sostennero che Dioscoro aveva personal mente colpito Flaviano in volto per poi, quando due suoi diaconi l'ave vano afferrato o per terra, prenderlo a calci. Flaviano sarebbe stato maltrattato anche dai monaci sopraggiunti, mentre Barsauma gri dava: «Uccidetelo, uccidetelo». Poi i soldati l'avrebbero trascinato fuori dalla chiesa e rinchiuso in prigione. Partit2.J..'_g:_iorno dopo per l'esilio1 sarebbe morto durante il viaggio. Si tratta di una relazione quii'1to mai sos etta, poiché proviene da persone desiderose, perPi'OPrio interesse, i anmentare il già compromesso Dioscoro. Nella sua lettera a Pulchcria, sorella di Tcodosio Il, il papa non menziona scene così dram matiche. È poco probabile che Dioscoro abbia picchiato personalmente Flaviano, poiché ne avrebbe prima o poi risposto al tribunale ecclesia stico. Dioscoro era un uomo intelligente e un buon tattico, che mai si sarebbe lasciato trasportare dall'ira. È invece più probabile che i soldati
7gctiat
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Le controvcm'e dottrinali in Oriente
(2): la prima fase dei conflitti cristologici
ahbiano trascinato Flaviano fuori dalla chies a e che lo choc subito, lo spavento c i mal tratt amenti siano stati sufficienti a causare la morte di quell'uomo non più giovane. flaviano ebbe ancora modo di scrivere una lettera al papa, pregando lo di intervenire, documento che successivamente servì a Leone come base d'azione. Esso fu recapitato a Roma dal legato papale I1u:i9, che partì per l'Italia il 20 ago st o, dodici giorni do'!50fa!ataTe seduta. ""Nel corso delle sedute successive sidestltw'étilfmCarico ifp·atria rca di Ant ioch ia,; Domno; a nulla gli valse la �sillanimità nclhrqtfésrio-: ne diF!aVIano.�mosfera di isterismo collettivo si privarono della dignità epis copale Tcodorcto e un al tra personalità ecclesiastica comu nemente accusata �esimo, Iba di Ede ss a . Analoga sorte toccò a due vescovi consacrati da Teodor�este decisioni erano popolari tra i parteci pan ti al raduno. A Giovetale fu attribuito il titolo di pat.riAA� di gerusalcm� c di seiprovmce; T "" h j!e alpatnarcatoai_.. A ntio chia . 11 smodo terminò con la solenne approvazione degli anatematismi di
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Cirillo.
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9. Le controversie dottrinali in Oriente (3 ) : il concilio di Calcedonia
L'imperatore Teodosio confermò con un editto le decisioni del concilio di Efeso, ringraziando Dioscoro per il suo zel o Tutto sembrava indicare la vittoria della corrente teologica ispirata agli anatematismi di Cirillo. .
9.1 L'appello di Teodoreto a Leone Magno Teodoreto si trovò a mal partito: dopo la morte di Flaviano e la deposi zione di Domno era diventato il bersaglio principale di tutti gli attacchi. L'ostilità nei suoi confronti, provocata dalla critica a Cirillo, si espande va a macchia d'olio. L'unico che poteva difenderlo era Leone Magno, che si trovava nella prestigiosa ma lontanissima Roma; alla fine dcl449, Teodorcto gli inviò una lettera pregandolo di intercedere: Se Paolo, araldo della verità
c
tromba dello Spirito Santo, corse verso il grande
Pietro per ricevere da lui la soluzione e portarla a coloro che ad Antiochia di sputavano sulla condotta da tenere verso la Legge. tanto più noi, umili c pie· coli, accorriamo verso il vostro trono apostolico per ricevere da voi un rimedio alle ferire di cui soffrono le Chiese. Da ogni punto di vista, infatti. vi spetta il primato. Il vostro trono(! ornato di molti vantaggi. Le altre città sono ornate
o
della grandezza o della bellezza o del numero degli abitanti. e alcune, prive di questi pregi. brillano per certi doni spirituali; alla vostra città, il datore dei beni diede abbondanza di beni. Essa è, nello stesso tempo, la più grande e la piLt splendida di tutte, capitale<.: ticca pt:r ilnuwt:tu dt:gli abitanti. Inoltre essa generò l'impero che oggi esiste c rese i sudditi partecipi del suo nome. Ma quel che soprattutto l'adorna è la fede, c di ciò un testimone fcdcdcgno è il di vino Apostolo che esclama: "La vostra fede è famosa in tutto il mondo". Se. non appena ricevuti i semi della predicazionc salvifica, essa era già carica di questi mirabili frutti, quale discorso basterebbe a celebrare la pietà che oggi vi è praticata) Essa possiede anche le tombe dei comuni padri e maestri della ve rità, Pietro
c
Paolo, le quali illuminano le anime dei fedeli. La loro beatissima
e santa pariglia spuntò in Oriente
c
diffuse i suoi raggi ovunque, ma fu solo in
Occidente che accolse volentieri il tramonto della vita,
c
da lì ora rischiara la
terra. Furono loro a rendere il vostro trono più illustre; questo è il coronamen to delle vostre ricchezze. E ancor oggi il loro Dio ha voluto illustrare il loro trono collocandovi Vostra Santità, che diffonde i raggi dell'ortodossia. Di ciò 216
Le controversie dottrinali in Oriente (3): il concilio di Calcedonia si potrebbero trovare molte altre prove, ma basta solo vedere lo zelo che di re cente Vostra Santità ha manifestato contro i nefasti manichei, mostrando l'ar dore della Vostra Pietà per ciò che riguarda le cose divine. Anche ciò che è stato scritto ora da voi basta a rivelare il vostro carattere apostolico.
Qui Tcodorcto riassume le tesi per lui più importanti dd Tomo a Flaviano di Leone, dopodiché descrive i torti subiti al concilio di Efeso, parlando anche del suo amore per la pace e dei servizi resi alla Chiesa di Ciro. Tuttavia attendo il verdetto della vostra sede apostolica, e supplico Vostra Santità di
soccorrere
chi si appella al vostro retto e giusto tribunale, e di ordi
narmi di accorrere verso di voi per dimostrarvi che il mio insegnamento se gue le tracce degli apostoli. [. .. ] Non respingete, vi prego, la mia supplica
e
non distogliete lo sguardo dall'infelice canizie che, dopo aver tanto sofferto, è stata anche oltraggiata. Anzitutto vi prego di farmi sapere se io debba o no rasscgnarmi all'ingiusta deposizione: attendo il vostro verdetto. Se mi ordinerete di accettare la sen tenza che mi ha condannato, mi ci atterrò senza più importunare nessuno, aspettando il giusto verdetto del nostro Dio c Salvatore. [... ] Ma soprattutto supplico la vostra testa santa e cara a Dio di accordarmi il soccorso delle vostre preghiere.'
Il traduttore polacco di questo testo, Jan Radozycki, lo definisce uno «straordinario inno in onore del papa». Si tratta di una delle fonti più frequentemente riportate a sostegno dell'universale riconoscimento del primato romano in Oriente, nel senso a esso conferito dai papi romani da Damaso in poi. Questa interpretazione tuttavia è meno evidente di quanto sembri. La lettera di Teodoreto costituisce una richiesta d'aiuto avanzata da un uomo isolato e gravemente minacciato, anzi decisamente odiato, ben consapevole dell'ostilità che lo circonda. Non solo Teodoreto non ha nessuno a cui chiedere aiuto, ma non ha neanche al cuna intenzione di sottomettersi, sull'esempio di Nestorio. Scrivendo al papa, egli cerca di rendersi ben accetto, procedimento quanto mai ovvio e naturale in tutti i tempi e tutti gli ambienti. Questo tipo di testi (peti zioni, lettere ecc.) non possono considerarsi testimonianze affidabili del le convinzioni e del sentire dello scrivente, che per l'occasione mette da parte i propri sentimenti personali, privilegiando soprattutto ciò che può commuovere il destinatario e indurlo a intervenire in proprio favore. Leggendo la lettera si è colpiti anche dal fatto che Teodoreto non tocca nessun tema della propaganda romana, non spiega perché il papa debba guidare l'intera Chiesa e nella sua missiva cercheremmo invano un sia pur fuggevole accenno alla dottrina del primato papale. Se anche il contenuto della lettera non soddisfece il papa, il fatto stes-
1 Théodoret dc Cyr, Corrnpondance, a c. di Y. Azéma, Paris 1965, vol. III, pp. 56-58, 64, 66.
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Storia della Chiesa nella tarda antichità
so che fosse stata scritta dovette avere ai suoi occhi un certo valore, of frendogli lo spunto per intervenire in Oriente. Sta di fatto che Leone compì con grande scrupolo la funzione protettrice alla quale si appella va Teodoreto, convocando nello stesso 449 a Roma un sinodo, il quale condannò i fatti di Efeso e scomunicò sia Dioscoro che Eutiche. Come tutta risposta, Dioscoro scomunicò Leone. Stando così le cose, Leone chiese all'imperatore di convocare, stavol ta in Italia, un nuovo concilio ecumenico che giudicasse Dioscoro se condo la richiesta dell'ormai defunto Flaviano. Leone aveva dalla sua parte l :J.rulpentissima sorella di Teodosio, P�ria:Ì)mp@OJ:e.. d'Occidente Valenumano m, nonché l;maaré fGalti""PTacidia) e la mo· glieaiquest'�ltt�Ò.-----· -
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.....
9.2 L'imperatore si dichiara contento del "brigantaggio"
Alla lettera del papa che denunciava i fatti di Efeso e indicava Dioscoro come colpevole delle ingiustizie commesse, l'imperatore rispose che l'assemblea episcopale si era svolta secondo le attese, deponendo giu stamente Flaviano e gli altri sovversivi e ristabilendo la pace in Oriente senza danni per la fede. La sua risposta appare sorprendente: possibile che l'imperatore non si rendesse conto di quanto era accaduto a Efeso? A mio awiso il motivo del suo atteggiamento non va cercato nell'igno ranza dei fatti da parte del sovrano né tantomeno nel suo cinismo, ma semplicemente nella ua esrféri7�li iosità. Come molti in Oriente, Teodosio riconosceva l'autorità assoluta i irillo e credeva nella santità di Eutiche. Non aveva motivo di dubitare del fatto che Eutiche si atte· nesse scrupolosamente alla dottrina di Cirillo (quella degli anatemati· smi). Per il sovrano quindi erano evidenti sia l'innocenza di Eutiche sia la colpa di Teodoreto, che aveva osato criticare Cirillo. Presumendo, come presumeva, che Dioscoro avesse agito per la giusta causa, la sua trama e l'indiscutibile violenza esercitata sui membri ribelli del concilio non lo scandalizzavano come oggi scandalizzano noi. Le violenze di Cirillo al concilio efesino non disturbano gli storici cattolici tradizionali, così come non li disturbano le sofferenze di Nestorio in esilio. Purtroppo la natura umana è tale che le sopraffazioni commesse dalla parte di cui condividiamo i princìpi, e che quindi "è nel giusto", non suscita quasi mai la nostra indignazione: escluse le uccisioni e i ferimen ti, qualunque mezzo è lecito. Troviamo una divertente illustrazione di questa owia verità nel commento di don Andrzej Bober al testo di Teodoreto o, più esattamente, alla lettera del concilio di Costantinopoli del 381, contenuta nella Storia ecclesiastica, che descrive le crudeltà ariane. Don Bober osserva: Scrive padre Hans Ki.ing [di cui in seguito il papa avrebbe condannato le idee dottrinali] nel suo art i col o inrirolaro Chiesa e libertà: «Appena la Chiesa uscì 218
Le controversie dottrinali in Oriente (3): Il concilio di Calcedonia dal periodo in cui veniva perseguitata, cominciò a tollerare le persecuzioni
contro chi professava fedi diverse: gli ariani». La Storia ecclesiastica di Teodoreto è un'ottima fonte per verificare questa grave accusa. Essa contiene un considerevole numero di documenti autentici sulle terribili crudeltà com messe dagli ariani contro i cattolici. Il documento sotto citato, e riportato solo da Teodoreto, è la dichiarazione ufficiale del concilio metropolitano del
381 sulla situazione della Chiesa ai tempi degli influssi ariani.
Che dire? Non c'è dubbio che gli ariani abbiano perseguitato i cattolici: ciò però non significa che i cattolici non perseguitassero gli ariani. Sicuramente ognuna delle due parti aggrediva l'altra ogni volta che ne aveva la possibilità. Eppure, secondo il Vangelo, nessuna delle due era giustificata dal fatto che gli avversari commettessero il male.
9.3 I teologi del
V secolo hanno paura di pensare
Prima di riprendere il racconto degli eventi che portarono al concilio successivo (quello di Calcedonia), vorrei aggiungere una seconda di gressione. Per quanto riguarda il dibattito dottrinale, il V secolo differi sce in modo molto evidente dal TV; si discuteva meno sulle fonti bibli che, preferendo invece mettere insieme le citazioni tratte dai Padri della Chiesa ed evitando un'esposizione personale delle verità di fede: prova evidente dell'instaurarsi del culto dell'autorità, dello scemare della fidu cia nelle capacità della mente umana così tipica dell'antichità e, pur con le limitazioni dovute al rispetto per la tradizione, ancora chiaramente avvertibile nei Padri Cappadoci. Un atteggiamento dietro il quale si ce lano il timore di pericolose innovazioni in materia di fede e la convin zione che la dottrina cristiana abbia raggiunto un tale grado di sviluppo da non poter più andar oltre. Questo atteggiamento diverrà caratteristi co della mentalità bizantina; ne troviamo una chiara espressione nella deliberazione del sinodo detto "in Trullo" (692), meritevole d'essere ci tata per dimostrare a che cosa portasse tale evoluzione mentale: I pastori delle chiese [. .. ] d ev ono insegnare al clero e al popolo [... ] traendo i sacri e veri giudizi dalle Divine Scritture, senza mai oltrepassare i limiti già s ta biliti né discostarsi dalla tradizione dei santi padri. Nel caso di controversie ri guardanti le Scritture, dovran no spiegarle secondo i co mmentari dei lumi nar i e
dei Padri della Chiesa; è preferibile che essi [i vescovi] si distinguano per la
loro conoscenza dei Padri, piuttosto che per trattati di propria produzione.2
Questa posizione, del tutto assente nel IV secolo, produsse conseguenze disastrose soprattutto quando il patrimonio culturale dei Padri, accettato
2 J.D. Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, Florcntiae 1765, t. XI, col. 952.
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Storia della Chiesa nella tarda antichllà
senza esame critico, era, come nel caso di Cirillo, incoerente. Accadeva anche che nella battaglia a colpi di citazioni vincessero entrambe le par ti, con il risultato che Cirillo fu il santo patrono sia dell'ortodossia sia del monofisismo, dottrine che peraltro si combattevano con eccezionale tenacia.
9.4 !l capovolgimento della situazione: convocazione di un nuovo concilio
La fermezza di Teodosio Il nel parteggiare per Dioscoro sembrava dun que sbarrare la str;Ida a qualsiasi cambiamento nella Chiesa. Tuttavia il successo di Eutiche fu breve: il 28 luglio 450 l'imperatore morì improv visamente per una caduta da cavaTIo. In&canza di un crede maschio, il trono passò a su;;orelfifriU!d1ena, dichiarata "augusta" fin dalla pri ma infanzia. Pulcheria ritenne di non poter governare da sola e scelse l rcTaì'lo, un bravo militare non più giovane; anche come marito K'a Marcia� un avversario religioso di Eutichc e di Dioscoro e aveva inoltre motivi politici per cercare l'appoggio del papa: la sua incorona zione avrebbe dovuto infatti essere sancita non solo da Pulcheria, ma anche da Valentiniano Ili, che governava insieme a Teodosio. Se si fosse giunti all'usurpazione, l'irregolarità della procedura nell'elezione del so vrano avrebbe potuto venir impugnata dai nemici di Marciano. Data la debolezza di Marciano, l'appoggio del papa aveva un peso rilevante, al contrario del caso di Teodosio, la cui posizione era talmente forte da permettergli di ignorare le esplicite proteste di Leone. Da un momento all'altro Eutiche si trovò senza protettori alla corte imperiale. L'imperatore allestiva il nuovo concilio. l! corpo di Flaviano venne portato in città. I vescovi esiliati dalle decisioni di Efeso doveva no tornare alle loro città. In quella nuova situazione Leone era contrario al concilio: trovava preferibile una procedura diversa, che impegnasse i vescovi colpevoli (non solo i protagonisti di Efeso Il, ma anche i semplici partecipanti) a consegnare dichiarazioni debitamente compilare, da sottoporre ai legati pontifici e ai rappresentanti del patriarca di Costantinopoli. In pratica ciò avrebbe posto la decisione in mano al pontefice, ampliando consi derevolmente la sfera della sua influenza in Oriente. li concilio invece, specie se numeroso, era un organo in buona misura indipendente e dif ficile da manovrare, tenuto conto anche del fatto che ai dibattiti avreb bero preso la parola persone che il papa avrebbe voluto escludere dalla vita attiva della Chiesa. Malgrado tutta la sua stima per L eone, l'imperatore non intendeva obbedirgli. Si convocò il nuovo concilio. Il.J:2ill?a vi inviò come rappre sentanti Pascasino, vescovo di Lilibeo, e il presb!tcro 8'onifacio, con i quali ! le� a.tL. l!..ilf? l <;pstàììriì"iop@i, e cioè iLvcsc6vo-Lucèhziç c il presbnero Bas1 10, avrebbero dovuto collaborare.
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Le conlrovenie dottrinali in Oriente
(3): il concilio di Ca/cedonia
Inizialmente si pensava di convocare il concilio a Nicea; poi si decise di trasferirlo a Calcedonia. I dibattiti, iniziati 1'8 ottobre 451, si svolsero nello splendido santuario di Sant'Eufemia. La Cltstrtbuztone deiTe forze in campo non sembrava favorevole a Dioscoro e ai suoi più stretti collaboratori. A parte l'ostilità dell'impera tore, nel concilio il patriarca di Alessandria non annoverava alleati fidati tra i vescovi più importanti. Anatolio, s�jFlaviano sul trono di Costantinopoli, benché legato aJJ s ntante nella .lQW. ro (era suo rarmree capnalè), temn e do per la propria posizione errid venuto untervente se guaceCI!Leone (si era reso conto che altrimenti non avrebbe mantenuto la propria carica). Giovenale, gran sostenitore di Dioscoro a� l'ave va tradito in cambi�tfa promessa di rendere Gerusalemme u�ia� cato--ati:it'ti gli effetti. In compenso ÙIOscoro poteva contare sulle simpatiecltrnolti semplici membri del concilio. Il concilio era numeroso: non possediamo la lista completa dei suoi partecipanti, ma vi si trovavano sicuramente più di cinquecento vescovi (o loro sostituti), tutti provenienti dall'area greca: èh provemenza occi dentale, a parte i legati pontifici, non c'erano che due vescovi africani, in fuga dalle persecuzioni vandale. Alle sessioni presenziava inoltre una folta delegazione di membri del senato, in veste di uditori, il cui invio n�rrl déS'iderio d1 eser�Itarè pressioni su�ovi ma a una manifestazione di rispetto da parte dell'imperatore. 9.5 I legati pontifici durante i dibattiti
Le questioni procedurali che via via si presentavano nel corso dei dibat titi venivano risolte dai commissari imperiali addetti all'aspetto buro cratico delle sedute. Quanto alla presidenza delle discussioni vere e proprie, l'imperatore, su richiesta del papa, l'affidò ai legati pontifici e in particolare al più importante di loro, Pascasino. Questi non conosce va il greco o comunque non era in grado di parlarlo, anche se probabil mente capiva quanto dicevano i vescovi. A tale proposito è importante sottolineare che affidare la presidenza dei dibattiti a un uomo incapace di intendersi liberamente con i presenti era una prova dell'indifferenza nutrita dal papa nei loro confronti, nonché della convinzione che i ve scovi dovessero accettare le decisioni loro dettate e che le loro opinioni personali fossero del tutto irrilevanti. Una premessa non di buon augu rio ai fini della comprensione reciproca. Il primo a prendere la parola fu Pascasino. Dopo aver dichiarato che lui e il suo seguito si trovavano al concilio in veste di rappresentanti di Leone, vescovo apostolico di Roma, «che sta a capo di tutte le Chiese», Pascasino chiese l'espulsione di Dioscoro dal consesso dei vescovi pre senti nel santuario. l commissari imperiali, che evidentemente non se l'a spettavano, chiesero ai legati che cosa rimproverassero a Dioscoro, al che Lucenzio rispose: «Deve rispondere delle sentenze emanate. Si è indebi221
Storia della Chiesa nella tarda antichità
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tamente arrogato il diritto, che non gli competeva, di emanare sentenze. Ha avuto la sfrontatezza di organizzare un concilio senza il permesso del la Capitale apostolica, cosa mai avvenuta prima e che non è lecito fare». Nella sala conciliare tutti sapevano che Lucenzio non diceva il vero: i concili venivano convocati dall'imperatore, al quale spettava altresì la scelta del presidente dei dibattiti. I commissari non lo dissero aperta mente, per timore di offendere i legati, ma ripeterono la richiesta di spiegare esattamente gli errori di Dioscoro, segno evidente che non ac cettavano l'argomentazione di Lucenzio. Questi gridò che non intende va tollerare offese alla delegazione pontificia e al consesso episcopale, e che chi era lì per essere giudicato dal concilio non poteva sedere tra i membri del concilio stesso. «Se sei qui in veste di giudice, non dovresti fare l'accusatore» fu la replica dei commissari. Visto che non riuscivano a raggiungere il loro intento, i legati finirono per calmarsi. Da parte loro i commissari accettarono un mezzo compro messo: Dioscoro fu allontanato dalla delegazione egiziana e dal gruppo dei votanti e fatto sedere al centro.3
9.6 Burrascosi dibattiti durante il concilio
La questione di Teodoreto provocò reazioni incandescenti. I commissari imperiali ritenevano che dovesse essere ammesso nell'aula come parteci pante al consesso: «Che il molto onorevole Teodoreto sia fatto entrare e prenda parte al concilio, giacché il santissimo vescovo Leone gli ha resti tuito la sua dignità di vescovo, e il santo e piissimo imperatore ha ordi nato che partecipasse al concilio». Quando Teodoreto entrò nella sala, dalla parte dei vescovi egiziani, palestinesi e illirici si levarono alte grida: «Pietà, la fede viene distrutta», «l canoni scacciano quest'uomo», «Fuori quest'uomo, fuori il maestro di Nestorio». Dioscoro aggiunse: «Egli ha scomunicato Cirillo, perché si scaccia Cirillo?». I vescovi d'Oriente, del Ponto, dell'Asia e della Tracia cominciarono invece a inveire contro Dioscoro, rinfacciandogli le violenze di Efeso n. Le due parti continua rono a lanciarsi invettive, finché i commissari non riuscirono a ristabilire la calma, annunciando che la presenza di Teodoreto non avrebbe impe dito di muovere accuse nei suoi confronti. Ma quando Teodoreto si fu seduto, le grida non cessarono. «È degno, è degno», «L'ortodosso nel concilio, fuori i distruttori, fuori gli assassini, fuori l'assassino Dioscoro» (i vescovi d'Oriente). «Non chiamatelo "ve scovo", non è vescovo! Fuori il nemico di Dio, fuori l'ebreo», «Fuori chi ha offeso Cristo», «Non può votare, è stato deposto da ogni concilio», «Teodoreto ha accusato Cirillo, accettando Teodoreto scacciamo Cirillo; i canoni l'hanno scacciato, Dio gli ha voltato le spalle» (i vescovi d'Egitto,
3 La descrizione di questa scena si trova in Acta Conciliorum Oecumenicorum, a c. di E. Schwartz, Berlin 1933, rr, l, 10-13.
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Le controversie dottrinali in Oriente
(3): il concilio di Ca/cedonia
di Palestina e sicuramente molti altri ancora).� Alle grida i commissari reagirono ricordando che quei volgari schiamazzi non si addicevano a dei veSCOVI. La seduta fu aperta. La prima questione esaminata dal concilio fu l'ac cusa contro Dioscoro, sostenuta senza tregua da..],usel:jo di Dorilaio. Dopo il suo intervento si dette inizio alla lunga lettura 3egli attr dr Efeso 11, interrotta da urla e discussioni. Le invettive che accompagnarono la lettura degli atti del "brigantag gio" indicano chiaramente come i vesç.ovi attaccassero Dioscoro non er le sue o inioni teolo iche ma p�èSUe violenze. Gitfurono rmffi ciati a ric iesta di firmare ocumentl m anco, a deposizione e la morte di Flaviano, il ricorso ai soldati. Alla fine del primo giorno di dibattiti i commissari suggerirono di pu nire con la deposizione quanti si erano resi colpevoli in quell'occasione: Dioscoro d'Alessandria, Giovenale di Gerusalemme, Talassio di Cesarea, Eusebio d'Ancira, Eustazio di Berito, Basilio di Seleucia. Alcuni gruppi accolsero la proposta con grida di rifiuto, al che i com missari chiesero che i vescovi si esprimessero per iscritto sulla questio ne. La seduta si chiuse su tale richiesta.
9.7 Il Credo del concilio di Calcedonia Ma, alla seduta successiva, invece di giudicare i vescovi si passò alla for mulazione del nuovo credo. La cosa suscitò grandissimi dissensi, che mi nacciavano la stabilità degli equilibri raggiunti nel concilio. I vescovi era no decisamente contrari a una nuova professione di fede e lo dichiararo no ripetutamente. Erano convinti che le decisioni di tre concili (Nicea, Costantinopoli ed Efeso I) bastassero ampiamente e che ogni innovazio ne in campo religioso fosse quanto mai riprovevole. Nessuno dimentica va il testo della risoluzione di Efeso I, che proibiva la formulazione di un nuovo credo. Ma i legati e i commissari, che avevano ricevuto ordini espliciti dal l'imperatore, insistevano. Leone voleva le firme di tutti i vescovi sotto un atto che contenesse le enunciazioni del suo Tomo a Flaviano: i vescovi potevano anche ignorare il Tomo a Flaviano, ma nella loro attività pa storale non avrebbero certo potuto ignorare il credo conciliare. La prima versione proposta ai convenuti fu subito respinta; quel che in un secondo tempo venne accettato, fu elaborato da una commissione speciale che cercò di creare un testo di compromesso, formato principal mente da frasi tratte dalle opere di Cirillo. Fu comunque mantenuta l'e spressione, fondamentale per Leone, "in due nature" (en dyo physesin) nel seguente contesto:
4 Le acclamazioni si trovano nel protocollo della seduta del concilio; cfr. Conciliorum Oecumenicorum Decreta, cit.
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{
Storia della Chiesa nella tarda antichità
Seguendo i santi padri, all'unanimità noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, [composto] di anima razio nale e di corpo consustanziale al Padre per la divinità, e consustanziale a noi per l'umanità, simile in tutto a noi, fuorché nel peccato [.. . ],da riconoscersi in due creature, senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venute meno le differenze delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo
a
for
mare una sola persona e ipostasi.5
Le altre formulazioni del Tomo a Flaviano non erano particolarmente rilevanti per il Credo: vi dominavano citazioni tratte da Cirillo, la cui dottrina era diventata il modello assoluto dell'ortodossia. Durante le discussioni sul Tomo a Flaviano ogni volta che si presentava un dubbio il presidente citava una frase di Cirillo capace di fugarlo. Nessuno sta va a indagare sulla coerenza del pensiero cirilliano: il suo nome era più che sufficiente.
9.8 li processo a Dioscoro e ai suoi collaboratori
)
La questione del processo a Dioscoro e agli altri vescovi esclusi dal concilio si ripresentò il 13 ottobre. I commissari imperiali si astennero dal partecipare, in modo da lasciare ai vescovi tutta la libertà necessa ria. Non si presentò nemmeno lo stesso Dioscoro (come già una volta Nestorio), benché convocato per ben tre volte. Dioscoro giustificò la sua assenza in vari modi: prima disse di trovarsi agli arresti e che le guardie non lo lasciavano uscire (effettivamente era stato messo agli ar resti domiciliari, ma il funzionario imperiale gli aveva permesso di recarsi all'assemblea); poi contestò il fatto che nella sala non fossero pre senti i rappresentanti laici della delegazione imperiale; infine si dette malato.6 Dopo la terza convocazione si decise di giudicarlo in contumacia, come l'uso imponeva. Furono ascoltati non solo Eusebio di Dorilaio, ma anche alcuni collaboratori di Cirillo, venuti dall'Egitto, che accusa rono Dioscoro di aperta violazione della legge. Teodoro, il diacono che Dioscoro aveva espulso dal clero, dichiarò che il suo vescovo era un eretico, che condivideva le idee di Origene, bestemmiava contro la Santissima Trinità, aveva sulla coscienza omicidi, incendi, tagli d'alberi (un'accusa tipica per l'Egitto, dove tagliare gli alberi costituiva un grave reato) e la distruzione dei beni degli avversari. Altri lo accusarono di
5
Conci/iorum Oecumenicorum Decreta, cit., p. 86.
Possediamo la trascrizione particolareggiata degli argomenti addotti dai membri delle varie delegazioni per indurlo a presentarsi, come pure quella delle sue risposte evasive. Una lettura poco edificante, ma di estremo interesse storico. 6
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Le controversie dottrinali in Oriente
(3): il concilio di Ca/cedonia
lussuria, citando una cortigiana di nome Pansofia che il popolo acco munava a Dioscoro in canzoni licenziose. Il vescovo di Alessandria avrebbe inoltre comprato a poco prezzo il grano destinato dagli impera tori ai poveri della Libia, afflitti dalla siccità, per poi rivenderlo a prezzi esorbitanti. L'operazione avrebbe fatto mancare la farina necessaria a celebrare l'eucarestia. La lettura dei lunghi atti d'accusa suscita prima orrore, poi incredulità. Accusare Dioscoro di origenismo nella metà del v secolo, quando la di sputa sulle idee di Origene era terminata da più di mezzo secolo, suona inverosimile; e altrettanto inverosimile appare l'accusa di bestemmiare la Santissima Trinità, che a quei tempi non era oggetto di controversie. Si ha l'impressione di trovarsi davanti a un elenco stereotipato di crimini: pur ammettendo che Dioscoro ne avesse commesso qualcuno, non pos siamo certo stabilire quale. I suoi avversari, che egli aveva sicuramente danneggiato e che l'odiavano di tutto cuore, si rendevano conto di avere ormai raggiunto il proprio obiettivo: era chiaro che Dioscoro sarebbe stato comunque condannato e mandato in esilio, per cui nessuno sareb be stato ritenuto responsabile di avere al momento opportuno (dal pun to di vista del papa e dell'imperatore) creato un'atmosfera capace di in durre i padri conciliari a prendere la giusta decisione. L'accusa definitiva, votata dai presenti, non riguardò le questioni dot trinali. Il presidente della seduta, Pascasino, elencò le seguenti colpe: la riabilitazione di Eutiche, condannato dal sinodo costantinopolitano; il rifiuto di leggere le lettere di Leone al concilio efesino del 449; la sco- L munica rivolta al papa; il non essersi presentato in giudizio malgrado la triplice convocazione. La formula della sentenza dichiarava che essa ve niva emanata dal vescovo di Roma Leone (di cui Pascasino era il pleni potenziario) e dal concilio, in unione con il beato apostolo Pietro, pietra angolare della Chiesa cattolica e fondamento della fede ortodossa. f Della sentenza, accolta senza la minima opposizione, fu inviata notizia all'imperatore con preghiera di confermarla. Durante i dibattiti una parte del concilio aveva proposto l'assoluzione di cinque vescovi, messi sotto accusa insieme a Dioscoro (Giovenale, Talassio, Eusebio, Eustazio e Basilio), e le richieste in questo senso si erano più volte ripetute. I commissari avevano riferito per iscritto al l'imperatore, il quale rispose che la decisione spettava unicamente al concilio. La risposta suscitò un'esplosione d'entusiasmo: quando i cin que accusati entrarono nel santuario per prendere posto tra i vescovi, si gridò a lungo: «È l'opera di Dio!», «Lunga vita all'imperatore, al senato e ai commissari!», «Si rinnova l'unità, si restaura la pace nella Chiesa!». Torneremo più avanti su questo evento, estremamente significativo per la posizione dei partecipanti al concilio. Dioscoro fu subito mandato in esilio a �ang_;a, dove sarebbe morto nel454. Restava ancora da risolvere la quest10ne Clei ni che non avevano preso parte al giudizio su Dioscoro. Poco opo l'a ontàna mento di Dioscoro, tredici di loro consegnarono il testo della professio-
��
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Storia della Chiesa nella tarda antichità ne di fede, presentato al concilio durante la quarta sessione, nel quale di chiaravano la propria ortodossia e condannavano ogni eresia, con parti colare riferimento a quelle di Ario, di Eunomio, dei manichei, di Nestorio, nonché di quanti credevano che il corpo di Cristo fosse sceso dal cielo e non fosse nato dalla Vergine Maria. il testo non faceva parola di Eutiche, il che suscitò opposizioni. Alla fine i vescovi si lasciarono estorcere la dichiarazione richiesta sul conto di Eutiche; si rifiutarono in vece di accettare il Tomo a Flaviano sostenendo che, in base al canone 6 di Nicea, essi dipendevano in tutto dal vescovo di Alessandria, per cui dovevano aspettare l'elezione di un nuovo pastore che prendesse la deci sione più opportuna. Su questo punto si dimostrarono irremovibili e, malgrado le pressioni di alcuni oratori e numerose malevolenze, si atten nero alla dichiarazione pronunciata facendo presente che, nella loro ve ste di esigua minoranza rispetto ai molti vescovi egiziani, non potevano decidere a nome degli assenti. Seguì una scena quanto mai imbarazzante. I vescovi egiziani si getta rono ai piedi del commissario imperiale gridando: Siamo perduti. Vi supplichiamo ai vostri piedi, abbiate pietà di noi. Siamo anche pronti a morire per causa vostra, ma non laggiù [in Egitto]. Si nomini qui un arcivescovo e noi firmeremo e dichiareremo il nostro accordo. Abbiate pietà dei nostri capelli bianchi, venga dato qui un arcivescovo. Il re verendo arcivescovo Anatolio sa che per l'usanza egiziana i vescovi sono sot toposti all'arcivescovo di Alessandria. Non intendiamo disobbedire al conci lio, ma in patria ci uccideranno. Abbiate pietà. Voi detenete il potere: siamo pronti a obbedirvi, non intendiamo disobbedire. Preferiamo morire a causa del signore del mondo [l'imperatore], di vostra eccellenza e del santo conci lio, che non laggiù.7
Dagli scranni vescovili si levarono esclamazioni ostili: gli ecclesiastici egiziani non godevano di simpatie tra il clero orientale. Da troppi de cenni ormai si accumulavano gli effetti dell'arroganza dei vari vescovi di Alessandria (a cominciare da Atanasio) e andavano crescendo le loro pretese di intervenire nelle questioni delle altre Chiese; perciò, ora, i membri del concilio osservavano con gioia maligna l'umiliazione degli egiziani. Alla fine i commissari imperiali e i senatori concessero ai ve scovi egiziani di rimanere a Costantinopoli fino all'elezione del nuovo vescovo di Alessandria. Pascasino acconsentì, esigendo da parte loro la promessa di non lasciare la capitale. Questo poco edificante episodio dimostra chiaramente l'effetto del mutamento di mentalità prodottosi nel clero. L'aumentata importanza dei vescovi delle grandi città (metropoliti e vescovi di città che aspirava no a un ruolo sovrametropolitano) diminuiva il rango e la dignità dei vescovi comuni, dei quali si limitava gravemente la libertà chiedendo
7
Acta Conciliorum Oecumenicorum, cit., I, 56. 226
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loro obbedienza e nient'altro che obbedienza, sempre e ovunque. Si trattava di un effetto della crescente crisi attraversata dalla civiltà anti ca: le scuole peggioravano a vista d'occhio, si leggeva sempre meno; contemporaneamente si andava consolidando in tutta la Chiesa il culto cieco dell'autorità (ho già avuto occasione di accennarvi) e sorgeva un vero e proprio terrore delle innovazioni religiose. Stando così le cose, ogni volta che si arrivava a un conflitto di autorità i vescovi non erano in grado di prendere una decisione. Invece di accusare di viltà i vescovi egiziani, dovremmo ammirarne la capacità di mantenere una linea d'a zione coerente. Dopotutto erano riusciti a resistere all'insistenza dei funzionari imperiali che si appellavano al mandato divino dell'impera tore; eppure ciò che si manifestava in sala era soltanto una parte delle pressioni cui erano sottoposti: non c'è alcun dubbio che prima di quella seduta fossero stati a lungo e duramente redarguiti. Inoltre si erano di mostrati insensibili all'opinione del concilio, benché sapessero che at traverso le decisioni conciliari parlava lo Spirito Santo, cosa che era sta ta sicuramente fatta loro presente. Tutt'al più possiamo dire che li sti meremmo maggiormente se, invece di essere mossi dalla paura di mori re, fossero stati spinti a opporsi da motivi dottrinali. Per restare in tema, vorrei soffermarmi sul giudizio riguardante il comportamento del gruppo di vescovi presenti a Efeso nel449. Tutti gli studiosi di storia della Chiesa si esprimono severamente nei loro con fronti, poiché, oltre a non essersi opposti a Dioscoro, due anni dopo si precipitarono a condannarlo. Già durante la seduta nel santuario di Sant'Eufemia, quando i vescovi avevano confessato la propria debolez za («tutti abbiamo peccato, tutti invochiamo perdono»), i fautori di Dioscoro avevano sarcasticamente ricordato loro l'esempio dei martiri: un cristiano non doveva temere di soffrire per la fede. Al che Basilio di Seleucia in Isauria, personaggio per la verità non particolarmente sim patico, aveva pronunciato parole che dovremmo considerare con atten zione, indipendentemente dalla nostra opinione sull'oratore: «Se avessi avuto a che fare con dei giudici civili, avrei affrontato il martirio. A Costantinopoli [ossia il sinodo nel quale era stato giudicato Eutiche] ho dimostrato il coraggio di parlare. Ma quando si è giudicati dal proprio padre, non si dovrebbero cercare scusanti». La prospettiva di essere perseguitato da chi incarnava il simbolo dell'ortodossia appariva un si nistro paradosso. Se vogliamo capire il comportamento di queste persone, dobbiamo renderei conto di una circostanza evidente, capace di spiegare tutti i meandri del loro operato sia al tempo del concilio di Efeso, sia del con cilio di Calcedonia nonché, come presto vedremo, del periodo a esso successivo. I vescovi infatti erano convinti che la fede di Dioscoro fosse giusta e che non esistessero motivi dottrinali per opporglisi. Ai loro oc chi Dioscoro era l'erede del pensiero di Cirillo (e infatti avevano ragio ne). Anche ammesso che si rendessero conto della contraddittorietà tra il Cirillo degli anatematismi e il Cirillo della "formula dell'unione", essi 227
Storia della Chiesa nella tarda antichità
consideravano la "formula" un documento di poca importanza e l'effet to di un compromesso. Dioscoro, successore di Cirillo, si atteneva coe rentemente alle sue affermazioni, stava a fianco di un uomo venerato per la sua profonda religiosità (Eutiche): perché mai avrebbero dovuto negargli fiducia? Perché non allontanare dalla Chiesa Teodoreto, che si rifiutava di condannare lo strumento di Satana, l'arcieretico Nestorio? Per loro le violenze perpetrate da Dioscoro alla seduta conciliare do vettero assumere le dimensioni di un dramma: il loro mondo, costruito sull'autorità, crollava dalle fondamenta. Ricordiamoci che i partecipanti al concilio avevano condannato Eutiche come eretico, ma che nessuno aveva osato rivolgere una simile accusa al vescovo di Alessandria, per cui i vescovi difendevano coerentemente i loro colleghi dall'accusa di aver partecipato al "brigantaggio". I vescovi, piuttosto, commisero una viltà molto maggiore in un altro momento, e cioè firmando su pressione dell'ordine imperiale il Tomo a Flaviano e il Credo formulato al concilio. Si trattava, per l'esattezza, di una parte dei vescovi, ossia di quella contraria alla teologia antiochena. Al concilio accaddero molte altre cose. Giovenale ottenne la confer ma delle conquiste territoriali di Efeso Il, che rafforzavano la posizione di Gerusalemme quale patriarcato provvisto di un proprio territorio adeguato. Tutti si rendevano conto che si trattava del prezzo da pagare per il sostegno fornito all'opera conciliare. Il metropolita di Cesarea pa lestinese protestò e addirittura si appellò al papa, citando il canone 7 del concilio di Nicea (vedi il secondo capitolo); Leone si pronunciò in suo favore, ma Giovenale fece finta di niente. Da allora in poi il vescovo di Cesarea conserverà il titolo, ma solo il titolo, di "metropolita", men tre i suoi vescovi verranno consacrati dal patriarca di Gerusalemme. Da Teodoreto si pretendeva un'esplicita condanna di Nestorio. Non fu facile. Teodoreto tentò vanamente di escogitare una formula più o meno compatibile con la sua coscienza, ma i vescovi erano estremamen te sospettosi. Alla fine la questione fu risolta dai commissari imperiali, i t quali dichiararono che Teodoreto si era sufficientemente distaccato da Nestorio, al che il concilio gli restituì l'episcopato per acclamazione. Il vescovo Iba di Edessa, che aveva suscitato opposizioni nella sua città, ebbe molte più difficoltà; la decisione di Efeso n, che l'aveva privato della sua carica per tale motivo, era molto più fondata che non nel caso di Teodoreto. Tali decisioni furono accolte molto sfavorevolmente in Oriente, contri buendo a confermare la generale convinzione che, in fondo, il concilio di Calcedonia fosse nestoriano. Ma quel che contava era che Teodoreto si fosse appellato al papa e che questi non avesse voluto cedere. Si approvarono alcuni canoni estremamente importanti in materia orga nizzativa e disciplinare, cui altre volte ho avuto occasione di accennare. Due soprattutto meritano di essere citati e commentati: il canone 4 e il28.
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Le controversie dottrinali in Oriente (3): il concilio di Ca/cedonia 9.9 I monaci devono obbedire ai vescovi
Il canone 4 riguarda i monaci e dice: Quelli che con spirito vero e sincero intraprendono la vita solitaria devono essere stimati convenientemente. Ma poiché alcuni, con il pretesto dello stato monastico, sconvolgono le chiese e i pubblici affari, vanno di città in città senza alcun discernimento, e presumono addirittura di costruirsi dei mona steri, è sembrato bene che nessuno, in qualsiasi luogo, possa costruire e fon dare un monastero o un oratorio contro il volere del vescovo della città. I mo naci, inoltre, di ciascuna città e regione devono essere sottopo sti al vescovo, devono aver cara la pace, e attendere solo al digiuno e alla preghiera, nei luo ghi loro assegnati; non diano fastidio né in cose di carattere ecclesiastico né
in ciò che riguarda la vita d'ogni giorno, né prendano parte a esse, lasciando i propri monasteri, a meno che talvolta non sia loro comandato dal vescovo della città per una necessità. Ness uno può accogl iere nei monasteri uno
l schjay<2.,Eerché si faccia monaco, contro la volontà del suo padrone.
E abbiamo stabilito che chiunque trasgredisce questa nostra disposizione sia
scomunicato, perché non si dia occasione di bestemmiare il nome del Signore. Bisogna infine che il vescovo della c ittà dedichi le necessarie cure ai monasteri.8
I vescovi che proposero e approvarono questo canone ricordavano l'o perato dei monaci al tempo di Efeso II; molti di loro avevano anche avuto personalmente a che fare con monaci che provocavano scompi glio nella Chiesa e nello stato. Indubbiamente lo sviluppo della vita mo nastica aveva prodotto una brutalizzazione delle lotte ecclesiastiche. In precedenza era raro che i vescovi disponessero di una forza viva da usa re per sconfiggere l'avversario: il ricorso agli strati poveri delle città per perseguitare pagani, eretici o ebrei comportava rischi troppo gravi. I monaci invece erano sempre pronti a prender parte a tutte le azioni di tipo religioso, anzi erano loro a spingervi i vescovi che, proprio per la loro responsabilità pastorale, di solito preferivano metodi più moderati. Gli autori del canone non insinuavano affatto che i monaci commettes sero reati comuni, ma solo che fossero difficili da controllare e che avrebbero dovuto obbedire ai vescovi. Nel canone si menzionano monaci che si spostano da un luogo all'al tro. Questa mobilità fu una caratteristica del monachesimo orientale nella tarda antichità. Malgrado condanne, consigli e imposizioni, i mo naci giravano da un convento all'altro, da un maestro spirituale all'altro e, a giudicare dai testi monastici dell'epoca, gli spostamenti dovevano costituire una norma e non l'eccezione. È comprensibile che essi riu scissero sgraditi ai vescovi e che, per controllare questo elemento fluido
8 Conciliorum Oecumenicorum Decreta, cit., canone 4 del concilio di Cal cedonia.
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Storia della Chiesa nella tarda antichità
e teologicamente irrequieto, per prima cosa si dovesse porre un freno alla sua mobilità, che vanificava qualsiasi forma di sorveglianza. La decisione dei membri del concilio nei confronti dei monaci viene di solito considerata come prova dell'esistenza di conflitti tra il clero se colare e gli asceti: conflitti di carattere strutturale, non individuale né derivante dal comportamento di un dato vescovo o di un dato gruppo di monaci. Devo confessare che giudizi del genere mi lasciano molto perplessa; essi nascono soprattutto da ciò che sappiamo sui dissidi tra vescovi e conventi nel Medioevo, e coloro che li enunciano dimenticano che il monachesimo della tarda antichità fu qualcosa di profondamente diverso dal monachesimo medievale. Nella tarda antichità i conventi grandi e stabili erano rari, mentre esistevano numerose comunità picco le ed estremamente mobili; inoltre tra abati e vescovi c'erano meno oc casioni di contrasto per motivi di tipo economico.
9.10 Costantinopoli dichiarata seconda città del mondo cristiano Ma è giunto il momento di occuparci del famoso canone 28. Eccone il testo: Giustamente i padri concessero privilegi alla sede dell'antica Roma, perché la città era città imperiale. Per lo stesso motivo i centocinquanta vescovi diletti da Dio concessero alla sede della santissima nuova Roma, onorata di avere l'imperatore e il senato, e che gode di privilegi uguali a quelli dell'antica città imperiale di Roma, uguali privilegi anche nel campo ecclesiastico e che fosse seconda dopo di quella. Di conseguenza, i soli metropoliti delle diocesi del Ponto, dell'Asia, della Tracia, e inoltre i vescovi delle parti di queste diocesi poste in territorio barbaro, saranno consacrati dalla sacratissima sede della santissima Chiesa di Costantinopoli.
È chiaro che ciascun metropolita delle
diocesi sopraddette potrà, con i vescovi della sua provincia, ordinare i vescovi della sua provincia, come prescrivono i sacri canoni; e che i metropoliti delle
Ì\ diocesi
che abbiamo sopra elencato, dovranno essere consacrati dall'arcive
scovo di Costantinopoli, a condizione, naturalmente, che siano stati eletti con
voti concordi, secondo l'uso, e presentati a lui.9
In sostanza questo canone ripete quello, già citato nel secondo capitolo, approvato nel381 al concilio di Costantinopoli, ma con l'aggiunta di fon damentali innovazioni. Innanzitutto si sottolinea che l'arcivescovo di Costantinopoli deve consacrare esclusivamente i metropoliti, mentre in pratica egli ordinava anche i vescovi comuni; da questo punto di vista si tratta quindi di una limitazione, e non di un'estensione del suo potere. Inoltre il canone considera Costantinopoli come città capitale, ma le su bordina solo una parte dell'impero d'Oriente: la Tracia, il Ponto e l'Asia.
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lvi, canone 28 del concilio di Calcedonia. 230
Le controver.rie dottrinali in Orie nte (3): il concilio di Calcedorra i Questo canone fu approvato durante la quindicesima sessione, alla quale non parteciparono né i legati pontifici né i commissari imperiali. I legati dovevano sapere quel che stava awenendo: il rafforzamento della posizione del vescovo della capitale orientale rispondeva sicura mente ai desideri dell'imperatore Marciano, per cui è impossibile che dietro le quinte non se ne parlasse. I legati avevano preferito non assi stere all'assemblea: sapevano che le loro proteste non sarebbero basta· te a bloccare la procedura, mentre la loro assenza avrebbe rappresenta to una buona scusa per protestare e dichiarare che il canone andava abrogato in quanto approvato in modo irregolare. Sapendo inoltre che il papa avrebbe protestato con violenza, preferivano non immischiarsi in una faccenda spinosa. Io quella situazione era più facile per loro scendere in lizza come arbitri, che non come parte in causa. Nel corso della sessione successiva i legati pontifici cercarono di an· nullare l'esito positivo della votazione, ottenuto secondo loro coglien do di sorpresa i vescovi e mediante pressioni; inoltre cercarono di su scitare nei vescovi d'Oriente un senso di invidia per il loro più potente collega. Lucenzio insinuò che i vescovi erano stati ingannati e costretti a sottoscrivere il canone, al che la sala reagl con grida di protesta. I le gati si richiamavano alle inequivocabili istruzioni papali sull'argomen to. Pascasino lesse il canone 6 del concilio di Nìcea nella seguente ver. s1one: Ecclesia romana semper habuir primarus. Teneat autem et Aegyprus, ut epi· scopus Alexandriae omnium habuit potestatem, quoniam et romano episco po haec est consuerudo, similiter autem et qui in Antiochia constirurus est; et in ceteris provinciis primarus habeant ecdesiae civitatum ampliorum.10
A questo punto devo rimandare il lettore al testo latino citato nel secondo capitolo (conservato, ripeto, nell'esemplare letto a Cartagine nel 419 e portato in quella città da Cecilìano, membro del concilio di Nicea). Io esso mancava la prima frase, né poteva trovarvisi: datO che ai tempi di Nicea il problema del primato di Roma non dava alcun adito a dispute, dichiarazioni del genere non erano necessarie. Il testo qui riprodotto è senz'ombra di dubbio il frutto dì una manipolazione romana dell'origina le: è impossibile stabilirne la data precisa, ma può anche darsi cbe venisse eseguita proprio durante il concilio di Calcedonia o poco prima di esso. In risposta all'accusa dei legati che i vescovi o non sapessero quel che sottoscrivevano, o che vi fossero stati costretti, i pastori delle città di Cizico, Sardi, Mira (nella Lida), Laodicea, Sinnada, Dorilaio, Afro disiade (nella Caria), Antiochia (di Pisidia), Amasia, Sinope, Gangra, Claudìopolì e Calcedonia fecero ampie dichiarazioni, rendendo uno spontaneo atto di sottomissione a Costantinopoli. Alcuni di loro affer marono che il vescovo di Costantinopoli consacrava i vescovi delle loro
Acta Conciliorum Oecumenicorum, cit., n, 3, 3.
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Storia della Chiesa nella tarda antichità
città da ben tre generazioni. Talasio di Cesarea di Cappadocia ed Eusebio di Ancira non vollero sottoscrivere il canone, ma nei loro di scorsi suggerirono la necessità di arrivare a un'intesa con Anatolio, sen za protestare in nome di teorici, ma in pratica mai realizzati, diritti delle loro metropoli. Sebbene in apparenza il canone 28 di Calcedonia non apportasse ele menti nuovi rispetto al canone 3 di Costantinopoli, le stesse parole ripor tate in un diverso contesto assumevano tutt'altro significato. Ponendo a fondamento della posizione del vescovo di Roma il fatto che essa fosse una città capitale, il concilio ignorava consapevolmente tutta la dottrina f del primato papale sviluppata dai tempi di Damaso, di cui Leone era l'e minente continuatore. Con ciò i vescovi riuniti in concilio volevano esprimere il loro atteggiamento ostile (o meglio ancora, sprezzante) verso l'ecclesiologia romana. Gli interventi di Leone li irritavano oltre ogni dire e venivano tollerati perché tale era il volere dell'imperatore, non perché tutti ne fossero convinti. Riconoscevano, beninteso, il primato della Chiesa romana nella forma assunta nei tempi anteriori a Damaso e rispet tavano la persona di Leone: ma ciò non impediva loro di dargli una lezio ne, approvando il canone riguardante Costantinopoli. Tutti i partecipanti al concilio sapevano senza dubbio che i legati erano contrari al canone e che avevano ricevuto precise istruzioni in materia.
9.11 Il conflitto tra Leone Magno e il concilio circa la posizione del patriarca di Costantinopoli La reazione del papa fu quella prevista. Nella lettera (105) all'imperatore Marciano del 22 maggio 452, dopo qualche frase di soddisfazione per i risultati dell'opera conciliare, Leone passò ad attaccare Anatolig, rinfac� ciandogli di essersi in un primo tempo schierato dalla pa�ioscoro e accusandolo senza mezzi termini di ambizioni sfrenate: le questioni umane erano una cosa, quelle religiose un'altra. Anatolio avrebbe dovuto essere soddisfatto di aver ottenuto «grazie all'aiuto dell'imperatore e con il consenso [di Leone Magno]» l'episcopato di una così grande città, la cui Chiesa (e lo si sottolineava con forza) non era stata fondata dagli apo stoli. I privilegi delle Chiese erano stati decretati dai canoni dei Padri e da una decisione del concilio di Nicea; il papa riteneva suo compito, affi datogli da Dio ed esercitato con l'aiuto di Cristo, rispettare le decisioni ispirate dallo Spirito Santo. Leone si aspettava che l'imperatore costrin gesse Anatolio ad attenersi ai princìpi ereditati dai padri, e minacciò di scomunica il vescovo di Costantinopoli qualora non si fosse ritirato. Nella lettera del medesimo giorno, scritta all'imperatrice Pulcheria, il papa si espresse in termini più duri e dichiarò che annullava la decisio ne conciliare. Una terza lettera (sempre in data 22 maggio 452) fu diret ta allo stesso Anatolio. Oltre a rinfacciargli un passato non adamantino e il peccato di superbia, il papa parlava di violazione dei diritti dei ve232
Le controversie dottrinali in Oriente (3): il concilio di Ca/cedonia scovi di Alessandria e di Antiochia. La deliberazione del concilio di Cakedonia aveva minor forza della deliberazione del concilio di Nicea e Leone era convinto che fosse passata solo grazie alle minacce o alle adulazioni. Essa distruggeva la pace nella Chiesa. Anatolia non poteva appellarsi alla delibera del concilio di Costantinopoli che, non essendo mai stata inviata al papa, non aveva alcun valore. Gli argomenti contenuti nelle lettere papali sono abbastanza discuti bili. L'aver concentrato l'attacco su Anatolia era chiaramente un espe diente: il passato dell'avversario faceva di lui un facile bersaglio. Il papa non poteva ignorare che dietro al canone 28 c'era anche l'imperatore; a partire dal concilio di Costantinopoli gli imperatori, desiderosi di man tenere ottimi rapporti con il papa, di solito si mostravano inflessibili per quanto riguardava la posizione del patriarca della "nuova Roma". I pro- W tocolli del concilio calcedonio indicano che il primato di Costantinopoli nelle tre diocesi della Tracia, del Ponto e dell'Asia era ormai fortemente radicato e accettato senza opposizione come un fatto naturale (certi sto rici cattolici sostengono addirittura che il concilio dovette sottoscrivere il canone 28, ma in realtà niente sembra comprovare una simile costri zione). Rispondendo al papa che l'approvazione del canone 28 non era stata il frutto della sua ambizione ma del volere del clero e dei vescovi di Costantinopoli, Anatolia non si discostava troppo dalla verità. Leone esagerava di molto sostenendo che Anatolia era stato consacrato grazie al suo consenso: la decisione in merito era stata presa congiuntamente da Teodosio n, da Dioscoro e dal clero costantinopolitano. A quei tem pi, inoltre, nemmeno il vescovo della città principale della cristianità aveva il diritto di annullare le decisioni di un çoncilio: per farlo si sarebbe dovuto convocarne uno nuovo. Nella tarda antichità l'adeguare le strutture ecclesiastiche alle struttu re statali era una pratica ovvia e rispettata. Si trattava di un principio mai enunciato in forma scritta, in quanto talmente ovvio da non averne bisogno. In quello stesso concilio calcedonio era stato approvato un al tro canone (il 12) basato su tale principio, e i legati di Leone non vi si erano opposti. Ovviamente la maggior parte degli argomenti addotti da Leone era di tipo strumentale: il nocciolo della questione stava altrove. li vescovo di Roma vedeva nel vescovo della "nuova Roma" l'unico av versario pericoloso nonché, perlomeno a quel tempo, degno di atten zione: non c'è da meravigliarsi che tentasse di indebolirlo. Roma si m anteneva per tradizione in buoni rapporti con Alessandria, soprattut to dalla memorabile visita di Atanasio a Roma; una tradizione tanto più facile da mantenere in quanto ormai era chiaro a tutti che la Chiesa di quella città stava entrando in una fase di grave crisi e che quindi, più che una concorrente, sarebbe stata una postulante del papa. Nella metà del v secolo il vescovo di Antiochia era talmente debole da dover cede re parte del suo territorio a Giovenale. Ma anche gli argomenti più strumentali vanno presi sul serio: se vi si ricorreva, era segno evidente che almeno una parte dell'opinione pub233
Storia della Chiesa nella tarda antichità blica era disposta ad accettarli. Leone contava sull'insorgere di invidie tra i vescovi delle grandi città orientali, non del tutto insensibili a quel genere di discorsi. Sicuramente in Occidente Leone veniva ascoltato con la massima attenzione; è probabile che quei testi, o perlomeno gli argomenti in essi contenuti, fossero destinati precisamente al clero d'Occidente, ormai pronto ad accettare in pieno la dottrina del primato papale. Per l'imperatore Marciano la reazione del papa era estremamente im portante. Leone aveva bisogno della firma di Marciano sotto gli atti conciliari, ben sapendo che ciò sarebbe stato d'aiuto nella lotta per con solidare l'opera del concilio che, anche senza le proteste romane, si tro vava alle soglie di gravi traversie. Sussistono fondati motivi per dubitare che Leone si rendesse conto della crescente ostilità nei confronti del Credo calcedonio. Non è escluso che sopravvalutasse la portata del pro prio successo; i legati, ignari del greco e abbastanza arroganti da trascu rare i buoni rapporti con membri dell'assemblea estranei al gruppo diri gente, non si rendevano certamente conto della tempesta in arrivo.
9.12 Natura e portata dell'opposizione al concilio in Oriente Le decisioni del concilio di Calcedonia avevano suscitato infatti vaste e svariate opposizioni. Si ripeteva la situazione già riscontrata dopo il concilio di Nicea: si era accettato il Credo per effetto delle pressioni im periali ma, una volta chiusi i dibattiti, chi non era rimasto convinto alza va voci di protesta, aprendo un lungo periodo di crisi teologica. n futu ro doveva dimostrare che essa sarebbe stata più lunga e più grave della crisi ariana. Se da un lato, infatti, la condanna di Nestorio e di Eutiche era stata generalmente accettata, dall'altro si continuava ostinatamente a ritenere che il Tomo a Flaviano contrastasse con il pensiero teologico di Cirillo: l era opinione generale che la formula "in due nature", che Cirillo non l' aveva mai usato, dovesse venir respinta. Lo storico monofisita Zaccaria di Mitllene, che scrisse nella prima metà del VI secolo, così si espresse sul concilio di Calcedonia: «Con il pretesto di eliminare l'eresia di Eutiche Calcedonia rafforzò l'eresia di Nestorio per cui, scambiando un'eresia con l'altra, divise l'intero mondo cristiano e lo indusse in con fusione». La condanna di Nestorio durante il concilio di Efeso del 431, avvenuta in un'atmosfera di esaltazione religiosa ai limiti dell'isterismo, aveva prodotto effetti quanto mai durevoli e l'opinione pubblica dell'Oriente era suscettibile a tutto ciò che poteva ricordare le idee di quell'eresiarca: e la vicinanza dottrinale tra i teologi antiocheni e i teolo gi occidentali era evidente. Nella stessa Costantinopoli il rapporto verso li Credo calcedonio non era unanime: solo con li tempo l'ortodossia comincerà a respingere la dottrina opposta. 234
Le controversie dottrinali in Oriente (3): il concilio di Ca/cedonia In Palestina si dovette insediare Giovenale a Gerusalemme con la for za. Tuttavia in questa parte della Chiesa la resistenza si attenuò rapida mente. l l clero della città santa, che a Calcedonia aveva ottenuto lo sta tus di "patriarcato", non era interessato a respingere in blocco la decisio ne del concilio. I numerosi pellegrini che arrivavano daJJ'Occidente con tribuivano in modo sensibile a modificare l'atmosfera a Gerusalemme. L'Egitto invece si evolveva in un'altra direzione. Al posto del destituito Dioscoro venne consacrato Proterio. Questi si trovò subito in una situa zione molto difficile. In realtà egli poteva contare sulJ'appoggio di alcuni vescovi che ben ricordavano gli atti illegali di Dioscoro; tuttavia il clima generale di esaltata e incondizionata fedeltà al precedente patriarca era talmente forte che c'è da dubitare che i vescovi in questione avessero il coraggio di assumere apertamente posizione. La schiacciante maggioran za dei fedeli, soprattutto dei monaci, era convinta che Proterio fosse un comune usurpatore. Quando morirono prima Dioscoro e poi l'imperato re Marciano, gli avversari di Calcedonia consacrarono vescovo di Alessandria Timoteo, soprannominato Eluro, che godeva della stima di tutti. L'odio per Proterio era tale che sfociò in una catastrofe: la folla lo linciò. Chi avesse aizzato la folla e su chi ricada la responsabilità dell'o micidio sono cose che non sapremo mai. Il papa (e non solo lui) accusò Timoteo, mentre i sostenitori di Timoteo affermarono cbe erano stati i soldati o qualcuno della folla. La presenza di due vescovi nella stessa città era già di per sé un valido motivo di disordini. Ad Alessandria si aprì un lungo periodo di crisi in cui nessuna delle parti era in grado di dominare la situazione. I fautori del concilio di Calcedonia, malgrado l'appoggio delle autorità, non riuscivano a porta re sulle proprie posizioni un numero di ecclesiastici e di laici sufficien te; gli avversari invece non erano in grado di neutralizzare i gruppi dei calcedoni (non si deve credere che non ve ne fossero) e di guidare la Chiesa in contrasto con le autorità. Si creò una situazione in cui più di una volta erano presenti due vescovi, consacrati da due gruppi de.! clero tra loro nemici. Uno stato di cose che gli imperatori dovettero tollerare (malgrado le pressioni dei papi, indignati da quella passività): non pote vano decidere a cuor leggero la destabilizzazione interna di un paese i cui sentimenti e le cui scelte erano fin troppo evidenti. Neanche sul terreno del patri.arcato antiocheno le decisioni calcedo nie furono accolte senza opposizioni, per quanto potesse sembrare che a vincere al concilio fosse stato proprio il punto di vista antiocheno. Ma gli anni trascorsi dal concilio di Efeso avevano dato i loro frutti: omlai anche qui l'ortodossia di Grillo rappresentava una certezza e Nestorio veniva considerato con sincera avversione. In Siria si era formata una geografia teologica alquanto complicata: il paese era diviso in un mosai co di zone dottrinali, che raramente raggiungevano entità ragguardevo li. La situazione era di cattivo augurio per le Chiese di quelle regioni, indicando una tendenza al rinfocolarsi di piccole e grandi guerre reli giose, in quanto gli avversari avrebbero trovato fin troppe occasioni di 235 Copyrigflled m atenal
Storia della Chiesa nella tarda antichità scontro. Questa divisione in zone di oppositori e di fautori del Credo calcedonio fu alquanto duratura. I nemici di Calcedonia attivi in Siria e nelle zone limitrofe si distingue vano per la loro grande attività. La temperatura della vita religiosa era alta: abbiamo l'impressione che i monofisiti (ricordo che all'epoca il ter mine "monofisiti" non era usato da nessuno) fossero i più attivi e origina�li, mentre i fautori dell'ortodossia si mantenevano su posizioni difensive. Fu dalle cerchie avverse a Calcedonia che uscirono interessanti innova zioni liturgiche. Pietro, detto Fullone, patriarca monofisita di Antiochia, aggiunse al trisagio («Santo Dio, Santo Forte, Samo e Immortale») la for mula tratta dagli anatematismi di Cirillo: «Che sei stato crocifisso per noi>>. Per i fautori dell'ortodossia l'aggiunta avrebbe potuto essere accet tata a condizione di completarla con le parole "nel corpo", senza le quali essa era una scandalosa eresia. Lo stesso Pietro introdusse un'usanza poi consolidatasi, imponendo durante la messa la lettura del Credo niceno costantinopolitano; tralasciare il Credo calcedonio era una chiara manife stazione di avversione nei suoi confronti. Nel patriarcato antiocheno, accanto a persone che parlavano greco, prendevano parte al movimento monofisita anche persone di lingua si riaca, tra cui un teologo e organizzatore quanto mai attivo, Filosseno (o, nella versione siriaca, Ksenajos), vescovo della città di Mabbug negli anni 485-518/519, che in siriaco scrisse numerose opere di alto livello. Il suo influsso sulla spiritualità del cristianesimo siriaco fu notevole. Sebbene la tesi secondo la quale le divisioni religiose coincidevano con le divisioni nazionali non sia sostenibile (il monofisismo godeva di un solido appoggio nelle città greche), non c'è dubbio che nelle cerchie Anon greche della Siria e della Mesopotamia settentrionale il monofisi smo attecchisse più facilmente dell'ortodossia. Non per niente proprio qui i sostenitori del concilio calcedonio venivano chiamati "melchiti", ossia "gente dell'imperatore". Se terremo a mente la portata dell'opposizione al Credo calcedonio comprenderemo più facilmente la tortuosa politica degli imperatori, de siderosi di ottenere l'accettazione delle decisioni prese a Calcedonia e, soprattutto, di mantenere i legami con Roma, ma contrari a compiere quanto i successivi papi pretendevano da loro e restii a intervenire !ad dove il monofisismo era più forte. Non era privo di importanza il fatto che gli avversari di Calcedonia fossero estremamente influenti ai confini dello stato, dove si manifestava la rivalità tra Roma e la Persia. Nessun imperatore poteva rischiare di scatenare repressioni su quei territori.
9.13 Impossibile compromesso I sovrani cercavano quindi un compromesso che oggi sappiamo impos sibile. Le parti in lotta si ostinavano infatti a condannare in modo ine quivocabile il loro avversario; le formule ambigue non soddisfacevano 236
Le controversie dottrinali in Oriente (3): it concilio di Ca/cedonia
nessuno e nelle questioni di fede raramente si arrivava a un compro messo. I monofisiti non si accontentavano che il concilio e le sue deci sioni venissero passati sotto silenzio: volevano un'esplicita condanna del suo operato. I fautori del Credo calcedonio respingevano ogni possibi lità di conciliazione. Significative da questo punto di vista sono le sorti dell' chiamato );1engtikon.,_, promulgato dall'imperatore Zenone, un documento nato per diretto influsso del patriarca di Costantiùo oh, I.:Henotikon condannava Nestorio ed Eutiche, glorificava Cirillo e i suoi dodici anatematismi, esortava all'unione sulla base del Credo niceno, senza far quasi parola del concilio di Calcedonia. Zenone e il suo successore Anastasio assunsero l'Henotikon come base d'azione e cercarono di indurre i vescovi a firmarne il testo, tollerandone anche le interpretazioni più divergenti. Papa Felice tuttavia condannò subito l'editto, rompendo i rapporti con Costantinopoli ed esortando i fautori dell'ortodossia a opporsi. Lo scisma durò dal484 al519. Le pressioni degli imperatori, soggetti a loro volta alle pressioni papa li, di tanto in tanto riportavano qualche successo. Capitava che i vescovi delle città a maggioranza monofisita firmassero una dichiarazione di lealtà verso Calcedonia, ma senza l'intenzione di rispettarla. Non pote vano farlo: il loro stesso clero e i fedeli laici li avrebbero considerati tra ditori della santa fede. Possiamo constatare questo fenomeno nel 457, quando l'imperatore Leone inviò ai vescovi riuniti nei sinodi provinciali una circolare con un questionario al quale dovevano rispondere per iscritto. La prima do manda riguardava la validità delle decisioni calcedonie, la seconda la canonicità della scelta di Timoteo Eluro. Una schiacciante maggioranza, conformemente al desiderio dell'imperatore, rispose "sì" alla prima do manda e "no" alla seconda. I partecipanti all'inchiesta erano circa mille seicento. Le risposte, tradotte in latino, furono riunite nel cosiddetto Codex encycficus, prova palmare per il papa della diffusione e della for za dei suoi sostenitori. Si trattava tuttavia di un'illusione, cosa di cui Leone non voleva rendersi conto, così come non voleva rendersi conto dell'effettivo appoggio di cui godevano gli avversari del suo Tomo a Flaviano: secondo lui si trattava di un manipolo di ostinati oppositori che l'imperatore avrebbe dovuto al più presto mettere a tacere, cosa che non faceva con sufficiente energia. La reazione dei papi ai problemi religiosi dell'Oriente si faceva sem pre più ostile; presto si rinunciò a ogni tentativo di compromesso. Papa Gelasio denunciò con eccezionale durezza le condizioni di un eventuale -accoràtnra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli. Esigeva che il vescovo di Costantinopoli tornasse alla situazione dell'inizio delrv seco lo, quando era subordinato al metropolita residente a Eraclea di Tracia. Si trattava di un'idea fuori della realtà. Inoltre Gelasio aveva irrigidito la propria posizione dottrinale e non intendeva prendere in considera zione la specifica mentalità del cristianesimo orientale. Nella sua opera fondamentale Sulle due nature, tra sessanta richiami ai più svariati Padri
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Storia della Chiesa nella tarda antichità della Chiesa non se ne trova neanche uno a Cirillo, così caro non solo al clero, ma a tutti i cristiani d'Oriente. Una posizione del genere doveva suscitare le più aspre reazioni tra chi credeva ciecamente nell'autorità di Cirillo. Gelasio aveva buoni motivi per non menzionare Cirillo, renden dosi probabilmente conto che proprio dal pensiero di questo Padre della Chiesa era nato il monofisismo. Anche se appariva impossibile con r dannare Cirillo, visto da tutti come il difensore della Vergine Maria contro l'arcieretico Nestorio, agli occhi di un uomo come Gelasio il pe ricolo derivante dall'ambiguità della sua dottrina appariva evidente. Malgrado il crescere di conflitti, risentimenti e rancori, il bisogno di riconciliarsi con Roma era fortemente sentito in Oriente: il prestigio del papa e l'accettazione del primato papale nella versione precedente il pontificato di Damaso non erano mai stati messi in discussione. La stanchezza per i conflitti e l'insofferenza per gli estremismi dell'una e dell'altra parte sembrarono lentamente prendere il soprawento. Le Chiese orientali desideravano il ravvicinamento a Roma non solo per ché tale era il desiderio dell'imperatore: sia i capi del clero sia i semplici fedeli vedevano la lacerazione del mondo cristiano come una tragedia, come qualcosa che contrastava profondamente con il principio dell'u nione divina (già altre volte ho avuto modo di specificare il significato dell'unanimità come manifestazione dello S};lirito Santoì. Come gìa era avvenuto dopo il " brigantaggio ", anche stavolta il pro cesso di ravvicinamento fu accelerato da un cambio di sovrano. Dopo gli imperatori favorevoli ai mooofisiti (o perlomeno favorevoli a un com promesso con i monofisiti) fu la volta di Giustino, sinceramente schiera to dalla parte del Credo calcedonio e pronto"àcraccettare le condizioni del pap: Ormisdaper riunire le Chiese d'Oriente e d'Occidente. Il prez zo da pagare consisteva nella scomunica (postuma) dei due imperatori Zenone e Anastasio e di quattro patriarchi di Costantinopoli: Acacio e i suoi tre successori. Si intrapresero repressioni a largo raggio contro i ve scovi di tendenze monofisite; nel giro di qualche anno furono deposti ol tre cinquantacinque pastori: sarebbero stati anche di più, se non si fosse deciso di lasciare in pace i più anziani e malati. Si intervenne brutalmen te nell'ambiente monastico, dove il monofisismo contava numerosi e fer venti fautori, chiudendo i monasteri e cacciando i monaci.
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9.14 La vittoria di Pirro di papa Ormisda Per il papa fu un momento di trionfo, ma la sua doveva rivelarsi una vittoria di Pirro. In Oriente l'umiliazione di vescovi e imperatori non poteva essere veduta di buon occhio neanche da quanti stavano dalla parte calcedonia. Era chiaro che i papi non si rendevano conto dell'im mensa popolarità dei patriarchi tra il popolo di Costantinopoli, che in loro vedeva i propri padri e i propri protettori. I due secoli trascorsi avevano creato un autentico patriottismo costantinopolitano; le varie 238
Le controversie dottrinali in Oriente (3): il concilio di Ca/cedonia disgrazie, che certo non erano mancate, avevano creato tra i fedeli e i loro pastori un legame più forte che non i momenti di trionfo. In quegli anni era assolutamente impensabile togliere a quei pastori il proprio po sto nella Chiesa. I papi erano irritati dall'incoerenza che traspariva dalle azioni degli imperatori. Lo stesso Giustino non aveva osato toccare l 'Egitto, dove avevano cominciato ad affluire fuggiaschi da tutto l'Oriente (e dove, perché le repressioni risultassero di una qualche efficacia, sarebbe stato necessario un intero esercito), e aveva lasciato in pace le città sulla fron tiera persiana. Per giunta si era mostrato sordo anche a un altro punto delle richieste papali: non solo non aveva abbassato il rango del patriarca, ma gli aveva addirittura permesso di fregiarsi del titolo di "patriarca . ecumemco . "
9.15 L'apologia della politica orientale dei papi: lo sviluppo della dottrina del primato papale dopo Damaso Gli argomenti sopra esposti suonano come una durissima accusa nei confronti dei papi, da Leone Magno a Ormisda, per avere approfondito il solco tra Oriente e Occidente, in direzione di un disastroso scisma, scisma all'epoca non ancora presente, ma già chiaramente awertibile. Così appare la situazione, vista dalla prospettiva orientale. Tuttavia mai come in una questione così fondamentale è obbligatorio applicare il principio che dice: audiatur et altera pars. Gli eventi qui descritti non si possono spiegare solo mediante le categorie di un gioco di forze tese a estendere la propria sfera di potere. Per comprendere i papi bisogna ri conoscere che le loro ambizioni (evidenti) e i loro risentimenti (anch'es si chiaramente visibili) derivavano in linea retta dalla consapevolezza della loro missione religiosa. La dottrina del primato papale, formulata da Damaso in base all'inter pretazione del passo del Vangelo secondo Matteo (16, 18), si era ulte riormente arricchita e rafforzata sotto i suoi successori. Risalgono ai tem pi di Siricio le prime di una lunga serie di decretali, ossia di lettere indi rizzate con uno scopo preciso a una persona preCisa, ma dotate di vali dità universale e in quanto tali destinate a essere diffuse nella Chiesa (i vescovi romani seguivano i modelli giuridici imperiali). Innocenza I 2 retese che i vescovi sottoponessero al suo giudizlò"le questiò !iQ. ni più importanti (causae maiores). Non sembra che in Occidente la giu risdizione papale vemsse accettata senza riserve, tuttavia il fatto stesso di poter formulare un programma del genere appare estremamente signifi cativo. Innocenza sosteneva anche che, nella sua qualità di successore di Pietro, spettasse a lui risolvere le varie questioni di fede; si trattava di un'affermazione polemica nei confronti della convinzione, generalmente diffusa in Oriente, che tale ruolo spettasse esclusivamente ai concili. In una lettera del 412 Innocenza si paragonava a Mosè, cui il Signore aveva
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Storia della Chiesa nella tarda antichità
affidato tutte le questioni, e in una lettera ai vescovi della Macedonia (414) chiamava Roma «capo delle Chiese» (caput ecclesiarum). Il ruolo principale nello sviluppo della dottrina del primato papale spettò a Leone Magno. Egli partiva dall'affermazione del particolare privilegio di san Pietro sotto forma di una continua partecipazione alla natura sacerdotale di Cristo: indeficiens consortium. Pietro aveva otte nuto l'arca della fede, il diritto di legare e di sciogliere, che solo in se guito era passato agli altri apostoli. Il vescovo di Roma, erede dell'apo stolo Pietro, era suo successore e vicario. La Chiesa, corpo mistico di Cristo, formava una comunità gerarchizzata, tendente all'unità, espressa dall'accordo dei vescovi. I vescovi erano tra loro pari in dignità (digni\ tas), ma con diverso rango (orda). Uno e uno solo di loro primeggiava su tutti: il vescovo di Roma. Mentre gli altri vescovi avrebbero reso con to a Cristo della conduzione delle loro Chiese, il papa avrebbe risposto per tutta la Chiesa nel suo insieme. Siamo dunque in presenza di una concezione monarchica della strut tura della Chiesa, dove ogni gradino del potere deriva in ultima analisi da una delega dell'autorità massima, il successore di Pietro, princeps apostolorum. Siamo già alla concezione medievale del papato. Nelle omelie in occasione dell'anniversario della sua elezione al soglio pontificio Leone diceva: Resta dunque l'ordine stabilito dalla Verità, e san Pietro, conservando tutta la saldezza conferitagli dalla pietra, non ha mai abbandonato quella direzione della Chiesa, che assunse. Egli difatti in confronto agli altri apostoli occupa una posizione tutta particolare: viene chiamato Pietro, è ufficialmente procla mato fondamento, è stabilito come custode del regno dei cieli, è arbitro su premo delle cose da legare e da sciogliere, cui segue la ratifica in cielo delle sentenze da lui emesse, sicché da questi stessi misteriosi appellativi che lo de signano siamo in grado di capire quale vincolo lo unisca a Cristo. Ed egli ora esplica in forma ancor più completa ed efficace le mansioni che gli sono state 1 affidate. 1 Tale potere è specificamente affidato a Pietro [qui Leone si richiama a Mt
19] appunto perché a tutti quanti i capi della Chiesa
16,
è preposta la figura di
Pietro. Tale diritto speciale di Pietro è sempre in vigore dovunque si emetta un giudizio secondo le norme della sua giustizia.12 Indubbiamente i pastori, singolarmente presi, devono usare una sollecitudine tutta particolare nel guidare il loro gregge e sapere che risponderanno perso nalmente delle pecorelle loro affidate, ma noi questa preoccupazione l'abbia mo in comune con tutti: la funzione che ciascuno di loro esercita non è che una parte della nostra fatica. Quando perciò da tutto il mondo ci si rivolge
11 Leone Magno, Omelie, Lettere di San Leone Magno, III, 3. 12 lvi, IV, 3. 240
Le controversie dottrinali in Oriente (3): il concilio di Ca/cedonia alla sede dell'apostolo san Pietro e si sollecita anche dalla nostra opera di go verno quell'amore per la Chiesa universale, a lui tanto raccomandato dal Signore, noi avvertiamo che si fa tanto più grave l'onere che incombe sulle nostre spalle.13
Leggendo questi brani appare chiaro che il consenso dei papi alla versio ne del primato di Roma anteriore a Damaso era ormai escluso. Se la di fesajell'ortodossia era st�ta affidata loro direttamente da Dio.·Ì papi non potevano ammettere compromessi nelle questioni religiose. L'inflessibilità su questo punto stava alla base stessa della loro posizione religiosa. Sia l'aperta disobbedienza alle indicazioni papali che la loro ta cita elusione avrebbe costituito agli occhi di Dio un grave peccato, e non semplicemente un atteggiamento eticamente scorretto, che avrebbe po tuto venir tollerato. Papa Simplicio (468-483) rivolto all'imperatore Basilisco: «Per questo sempre più [. . ] io supplico la Vostra Pietà con la voce del beato Apostolo Pietro».14 Papa Gelasio (492-496) rivolto all'imperatore Anastasio: «A questo punto la Vostra Pietà si rende conto con chiarezza che nessuno può mai con un qualsiasi pretesto umano elevarsi al di sopra del privilegio e del riconoscimento di colui che la voce di Cristo ha posto a capo di tutti, che la veneranda Chiesa sempre ha riconosciuto e ritiene, con devozio ne, il primate».15 Papa Simmaco rivolto al medesimo imperatore: «Gli imperatori cat tolici hanno sempre salutato per primi i presuli apostolici che s'insedia vano e hanno cercato come buoni figli di mostrare i dovuti sentimenti di affezione a quella confessione, a quella sede preminente, perché a essa, come sai, la parola stessa di nostro Signore Salvatore affida la cura di tutta la Chiesa».16 L'atteggiamento ambiguo dell'Oriente illuse i papi, che da esso rice vevano i più vari attestati di riconoscimento del proprio primato: le ma nifestazioni di rispetto per Leone al concilio di Calcedonia, o testi del tipo della lettera di Teodoreto prima citata. Essi vi vedevano la prova lampante del fatto che i cristiani d'Oriente si sottomettevano al loro po tere ecclesiastico, e che quei pochi che si rifiutavano di farlo erano solo dei presuntuosi da castigare. Non si rendevano conto che una supplica per provocare un intervento non era un indizio affidabile da cui dedur re le tendenze collettive: in quei testi essi vedevano quel che volevano vedere, e non quello che veramente c'era. L'inflessibilità papale era indubbiamente rafforzata da alcuni ambienti, abbastanza facili da identificare. A peggiorare i rapporti tra !"'antica" e .
Il lvi, v, 2. 14 Citato in H. Rahner, op.cit., p. 133. 11 lvi, p. 137. 16 lvi , p. 143.
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Storia della Chiesa nella tarda antichità la "nuova" Roma contribuivano infatti gli estremisti filocalcedoni, che portavano ai papi sempre nuove lagnanze, spingendoli a prowermenri contro il loro vescovo, con il quale avevano conti da regolare. A quel tempo risiedeva già stabilmente a Costantinopoli un rappresentante del papa, dal titolo ru "apocrisiario", al cui appoggio invariabilmente ricorre vano tutti i dignitari ecclesiastici e laici in conflitto con il patriarca (una situazione riscontrabile in tempi a noi più vicini: nell'Europa moderna un ruolo analogo veniva svolto dagli ambasciatori pontifici presso le va rie corti). Pretendere che i rappresentanti del papa, coinvolti com'erano nei conflitti interni della capitale d'Oriente, riuscissero a essere obiettivi e porsi come imparziali moderatori, era un'ingenuità bella e buona. Grazie all'opera degli estremisti filocalcedoni e ai rapporti degli amba sciatori, a Roma si diffuse l'errata convinzione che i monofisiti fossero deboli e che gli in1peratori e i patriarchi ru Costantinopoli compissero con negligenza i loro obblighi religiosi. Un esame spassionato della situa zione avrebbe dovuto correggere quel quadro ma, per persone convinte della propria infallibilità (infusa nientemeno che dallo Spirito Santo), era estremamente difficile ammettere di aver sbagliato i calcoli: avrebbero dovuto dubitare della missione religiosa da loro esercitata. Gli awenimenti di quel tempo aodrebbero visti come la scena di un dran1ma dove entrambe le parti avevano ragione ed entrambe recitava no il proprio ruolo nei limiti assegnati loro dalla storia. Purtroppo, tut· to portava a una catastrofe u
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Costantino e Sol, dio del Sole, particolarmente venerato dall'imperatore all'inizio del regno; medaglia d'oro coniata a Tiànum (Pavia) nel373; sullo 5/ondo: la testa del dio Sole, incoronata di raggt> in primo piano: il busto dell'imperatore con coraz za, corona d'alloro, lancia e scudo decorato con la quadriglia del dio Sole e figure del dio Oceano e della dea Terra; sul rovescio (qui non riprodotto), le parole «felix adventus augustorum nostrum» spiegano il motivo per cui venne coniata la meda glia, ossia l'arrivo di Costantino e Licinio a Milano dopo la vittoria su Massenzio, quando emanarono insieme l'editto di tolleranza verso i cristiani. (Parigi, Cabinet des Médailles)
Costantino su una medaglia d'ar gento coniata a Ticinum nel 313; busto dell'irnperatore a cavallo, con le redini nella mano destra, corazza, scudo con lupa capitolina e lo scettro nella sinistra; in testa porta l'elmo piumato da parata, coronato da un disco con il mono gramma greco del nome di Cristo. (Monaco, Staarliche Munzen sammlung)
Cattedrale romana del Salvatore, oggi San Giovanni in Laterano, la più antica (3 13324) fondazione di Costantino; basilica a cinque navate con abside a occidente e pic coli vani m entrambi i lati (al. /00x55 m); JUl lato nordocadentale, battistero al/a
gonale; entrambi gli edifici riccamente dotati di arredi liturgici d'oro e d'argento; i muri della costruzione originaria sussistono sotto l'odierno rifacimento dell'interno e della facciata. La tavola riproduce l'interno della basilica nell'affresco di F Cagliardi nella chiesa di San Martino ai Monti, metà del X l'Il secolo.
Chiesa e memoria di San Pietro in Vaticano (324-337), distrutta nel XVI-XVII secolo; basilica a cinque navate, destinata al mito e alle assemblee deifedelz; con transetto (monumento commemorativo nel luogo tradizionale della tomba di san Pietro) e con abside dal lato occidentale, nonché costruzione cimiteriale con funzioni analo ghe; essa doveva all'imperatore anche il ricco arredamento degli interni (marmi co lorati, arredi liturgici d'oro e d'argento, croce d'oro offerta da Elena) e grandi dona zioni lerriere a Oriente dell'impero. La tavola riproduce l'interno della basilica nel l'a/fresco di F Cagliardi nella chiesa di San Martino ai Montt; metà del XVII secolo.
Chiesa e memoria sulla grotta della natività a Betlemme, ca. 333; complesso (poi parzialmente ricostruito da Giustiniano) formato da un edt/icio ottagonale centrale e dall'attigua basilica a cinque navate, sul lato orientale, preceduta da atrio. (Disegno secondo R. Kraurheimer)
Chiesa cimiteriale dei Santi Marcellino e Pietro sulla via Labicana (oggi Casilina) a Roma, ca. 320; basilica non conservata a tre navate, detta "esedra/e", con curva se micircolare a occidente della navata centrale collegante le navate laterali e mOnti mentale mausoleo imperiale attiguo al vestibolo, inizialmente destinato a Costantino e sfruttato come tomba di ma madre Elena (m. ne/329); la basilica (65, 29 x 29,30 m) serviva al culto (eucarestia, commemorazioni solenni dei giorni dei martiri di località vicine), alle sepolture (tombe nella basilica, nella catacomba e nei mausolet) e a cerimonie funebri e sepolcrali (processioni e banchettt); riccamente do lata dall'imperatore di arredi liturgici e di terreni. (Ricosrruzione secondo J.
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Ti-eviri, complesso di quattro basiliche degli anni trenta del Il secolo (ricostru:aòne secondo le ultime ricerche). Una di queste basiliche (quella nordonentale) fu co struita sul posto della precedente residenza imperiale; pitì tarclt; sotto Grazia11o, il suo presbiterio fu molto rimaneggiato (è comervato nella cattedrale attuale). La funzione originaria di queste quatlro costruzioni a tre namle, orientate da CII a ovest e collegate tra di loro da un'aula trasversale, non è stata ancora chiarita, seb bene nella basilìca sudorielllale siano stati trovati graffiti con il monogramma del nome di Cristo. (Disegno semplificato, basato sulle ricerche di W. Wcber)
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Iscrizione tomba/e eseguita su ordine del vescovo Damaso (366-384) in onore del martire Eutichio nella cripta di San Sebastiano, sotto la basilica degli Apostoli (oggi San Sebastiano) sulla via Appia, incisa nella pietra da Philocalus con grafica pro pria; il meglio conservato di qualche decina di epigrammi esametrici e la più antica testimonianza del culto dei martiri romani nelle catacombe.
Decorazione monumentale della tomba dei Santi Marcellino e Pietro nelle cata combe a e.ni intitolate in via Labicana (oggi Caszlina), fatta eseguire dal vescovo Damaso. Oltre che ad maiorem Dei gloriam, essa doveva servire a presentare de gnamente gli oggetti di culto conservati a Roma, che stava diventando il principale centro di pellegrinaggio dell'Occidente. (Ricostruzione di}. Guyon)
Chiesa della San/a Croce di Gerusalemme presso il Palatium Sessorianum a Roma, a sud del Laterano, prima del 324; l'aula del palazzo (ca. 40 x22 m) tra.1jormata in chiesa mediante divisione dell'interno in tre navate e aggiunta di un'abside sul lato orientale; edificio conservato.
Rovine della chiesa cimiteriale di Sant'Agnese con mausoleo, conservato, di Costantlna, figlia di Costantino (oggi santa Costanza) in via Nomentana a Roma, ca, metà del IV secolo: basilica esedra/e (98,30 x 40,30 m) con funzioni analoghe a quelle della chiesa dei Santi Marcellino e Pietro sulla via Labicana.
Basilica di Santa Sabina sull'Aventino, costruita sotto il pontificato di Celestino (422-432); una deLle basiliche romane a Ire navate meglio conservate, con supersti te iscrizione dedicatoria in mosaico, rivestimento originario in marmo delle pareti interne e porte di legno scolpito.
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Sarcofago di Iunius Bassus, cristiano, prefetto della città di Roma (m. nel359); de corazione con scene della Passione: trionfo di Cristo Signore del Cielo e della Terra (nicchia centrale superiore); Cristo che entra regalmente a Gerusalemme (nicchia centrale inferiore); Cristo davanti a Pilato (nicchie in alto a destra); l'arresto di Pietro (reconda nicchia in alto); Paolo condotto alla decapitazione (ultima nicchia in alto); Giobbe, Adamo ed Eva (nicchie in basso a sinistra) e Daniele tra i leoni (nicchia inferiore penultima a destra). Iconografia escatologica n/erita alla morte come vittoria di Cristo Dio, alla salvezza dal male pf'r suo tramite, alla redenzione grazie al suo sacrificio e al battesimo che annulla il peccato originale. (Vaticano, te soro della basilica di San Pietro)
Sarcofago detto "dei Ire buoni pastori" a Roma, fine dciii' recolo; forma e conteltu to raffigurano un ideale di vita sia pagano sia cristiano, in seno a una natura piena di pace e felicità, sempre fertile e ricca, dove la >Jita simboleggia l'immortalità. (Vaticano, Museo Pio-Cristiano)
Ercole accompagna A/ceste e Cerbero fuori dall'Ade: pittura di catacombe anonime scoperte all'incrocio tra le vie Latina e Dino Compagm; seconda metà del Il' secolo; il tema non indica un sepolcro pagano, ma un generico collegamento tra la fede m� stiana nell'aldilà e un mito conosciuto da tutti i cristiani colti.
Chiesa di San Lorenzo, a Milano, fine del IV secolo; la costruzione sacra antico-cri stirma a pianta centrale mes;lio conservata, di tzjJO tetraconchos (con quattro ab.ri dz), con empore tutt'attorno allo spazio ottagonale coperto al centro da una cupola; con torrette angolari e mausolei ottagonali attigui e s;rande atrio a portico davanti all'ingreno occidentale
Mosaico in una delle absidi di Sant'Aquilino (originariamente un mausoleo), fine del li' secolo, presso la chiesa di San Lorenzo: rappresenta Cristo che insegna, sedu to in mezzo al collegio apostolico su trono rialzato; il nimbo con il monogramma del nome di Cristo e lo sfondo d'oro esaltano la regalità del potere del Salvatore.
Mosaico di San Villore in Ciel d'Oro, \' secolo; oratorio alliguo alla basilica di Sant'Ambrogio a Milano: al centro della volta dorata, busto del martire Vittore e, sulle parett; i vescovi di Milano Materno e Ambrogio circondati dai martiri Felice, Nabore, Gervasio e Protasio.
Dittico d'avorio con i nomi delle casate senatoriali dei Simmachi e dei Nicomachi di Roma, anni 388-40 1; la /orma e il contenuto delle scene, in cui una sacerdotessa brucia offerte agli dèi pagam; ricalcano consapevolmente modelli cianici greco-ro mam; collegandosi alla tradizione antica coltivata dai senatori romani alla fine del Il' secolo. (Londra, Victoria and Albert Museum; Parigi, Museé de Cluny)
Reliquiario d'argento della chiesa di San Naznro, fine del IV secolo, con la scena, piuttosto rara, del giudizio di Salomone; le scene sugli altri lati del reliquiario rap· presentano: l'omaggio dei re Magz; Daniele tra i leoni, i tre giovanetti nel/orno ar· dente, il miracolo di Cana in Galilea e Cristo tra gli apostoli. Le tematiche sono uguali a quelle romane, ma la forma e lo stile delle rappresentazioni ricordano la plastica di Costantiuopoli. (Milano, tesoro della cattedrale di Santa Tecla)
Sarcofago di una coppia di ricchi cristiani nella basilica di Sant'Ambrogio, fine de! Il' secolo, rappresentante Cristo seduto in mezzo al collegio apostolico sullo sfondo delle cosiddette "porte della città" (la Gerusalemme celeste): una monumentale, ieratica scena di trionfo di Cristo, derivata dalla decorazione pittorica e mosaicisti ca delle chiese.
Base dell'obelisco di Teodosio nell'ippodromo di Costantinopoù; fine del tV secolo, raffigurante l'imperatore e i suoi coregnanti Arcadia e Valentiniano Il in un palco del cri co, circondati da alti dignitari della corte e dell'esercito; così l'imperatore sole va apparire al popolo in tutta la maestà del suo potere.
Cattedrale di Milano probabilmente Basilica Nova, fine del IV secolo; basilica a cin que navate (78 x 47 m), con transetto pure diviso in cinque navate e abside a oriente fiancheggiata da piccoli loca!t;- battistero ottagonale con otto nicchie e altrettante co lonne e con /onte battesimale a otto latt; al quale si ri/erùce l'epigramma consacra torio a otto distici di Ambrogio: per i cristiani il numero 8 era simbolo di redenzio ne, di resurrezione e di immortalità.
Chiesa dei Santi Apostoli (oggi San Nazaro), fine del/l' secolo, con pianta a croce greca e piccole absidi alla base dei bracci laterali della croce; probabile imitazione della chiesa metropolitana analogamente intitolata.
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Mausoleo di Galerio a Tessalonica (oggi Salonicco) delJOO, trasformato in chiesa e decorato con mosaici a fondo d'oro, con architetlure fantastiche che fanno da corni ce alle ùnmagini ricorrenti di altari e croci, con sotto figme di martiri e santi in posi· :r.ione orante, in primo piano; V·\f/ secolo.
Teatro romano-bizantino ad Alessandria (collina di Kom el-D1kka), Il'-VI secolo; ori ginariamente usato come luogo di rappresentazioni /eatrah poi sicuramente come sede di incontro di qualche popolare fazione circense. (Scavi e ricostruzione di ar chitetti polacchi, fotografia di A. Bodytko)
Re�ii di un quartiere del ceto medio di Alessandria, tV-VI secolo; la pro/onda identi ficazione degli abitanti con la fede cristiana è testimoniata dalla decorazione pittori ca rinvenuta nella stanza di una delle case e ra/figuarante la Madonna col Bambino in trono. (Fotografia di A. Bodytko)
Adelfia e Valeria, ricca coppia cristiana di Siracusa della prima metà del /\' secolo; sul sarcofago, eseguito in un laboratorio romano, il ritratto centrale della coppia è circondato da scene dell'Antico e del Nuovo Testamento, quali paradigmi di salvez za. (Siracusa, Museo Nazionale)
Romana de/unta, cristiana e sposata, ritratta in posa di preghiera nelle catacombe dei Giordani sulla via Sa/aria a Roma, seconda metà de/li' secolo.
tavoletta attaccata a a; dipint o su una na egiziana defunt cittadi ricca una Ritratto di (Parir,i, Louvrel Fayum, Il secolo. una mummia di
Cristuma de/zmta dell'Egitto, giovane madre che allatta il bambino; rilievo tomba/e policromo di Fayum, /\'secolo. (Berlino, Museum fur Spatantike und Byzanti.nische Kunst)
Console romano del 480, il cri sta i no Basilio; dittico d'avorio; iL dignitario indossa la veste tradi zionale dei consoli romani, con gli antichi attributi dello sua cari ca arricchiti semplicemente da una piccolo croce posta in cima allo scettro. (Firenze, Museo Na zionale)
Coppia cristiana dell'Africa setten trionale: il cosiddetto "Banchiere" (se duto dietro il tavolo) con la figlia (in preghiera) sulla lastra tomba/e in mosaico della cappella dei Martiri a Tabarka (Tunisia), v secolo. (Tunisi, Museo Bardo) ,
Vita agiata del Dominus Iulius di Cartagine e di sua moglie, in un mosaico del Il' secolo raffigurante la padrona di casa durante la toilette (in alto) e il padrone che va a caccia (al centro) e che riceve tributi nella tenuta di campagna (in basso). La vita quotidiana dei ricchi cittadini dell'impero pagani e cristiani (sia cattolicz; sia donati sii o arianz) era molto simile,· le fonti archeologiche non à danno modo di dùtin guerli. (Tunisi, Museo Bardo)
Pianta e proiezione assonometrica di Gerusalemme in un mosaico di Madaba, VI se colo, in cui si vedono strade con portici e chiese, tra cui si distingue la rotonda sopra il Santo Sepolcro (in bano al centro).
Teodorico, ariano, re degli ostrogoti di Ravenna (494-526); medaglia d'oro di Senigallia; uno dei pochi ritrai/i rimasti del fondatore delle due chiese ariane di Ravenna conservate fino a oggt; seppure rimaneggiate. (Roma, Museo Nazionale)
10. Il matrimonio e il sesso nella teoria e nella pratica ecclesiastica
I brani citati in apertura di questo capitolo !'rovengono dalle prediche di Cesario di Arles (470-542), una fonte basilare per conoscere la men talità dei cristiani della tarda antichità. Vediamo in esse le preoccupa zioni quotidiane di un pastore alle prese con i comuni peccati delle sue comunissime pecorelle. Le "tirate" di Cesario ci mostrano sia i cambia menti intervenuti nella morale cristiana, sia i suoi fondamenti immuta bili e indipendenti dallo scorrere del tempo. Infatti, leggendo le sue prediche (cosa che raccomando caldamente di fare), finiamo inevitabil mente per domandarci: quale di questi discorsi potrebbe venir tran quillamente pronunciato alla messa domenicale di una delle nostre città?
10.1 Cesario di Arles
Due parole sull'autore: Cesario di Arles era un uomo di grande, asceti ca religiosità. Cominciò la carriera ecclesiastica all'età eli diciotto anni, poi entrò nel celebre monastero di Lérins. Fu però costretto ad abban donarlo, perché le mortificazioni corporali gli avevano rovinato la salu te; recatosi nella città di Arles (allora Arelate), nella Gallia meridionale per esservi curato, finì per rimanervi. Entrato a far parte del clero loca le, divenne priore di uno dei monasteri. Anni dopo venne eletto vesco vo di Arles (ragion per cui viene chiamato Cesario di Arles, sebbene sia nato altrove). La sua vita episcopale fu estremamente burrascosa, poi ché dovette dirigere la diocesi negli anni delle guerre tra i barbari stabi litisi in Gallia. Chi vinceva aveva inevitabilmente delle critiche da muo vere alle sue precedenti decisioni politiche, e gliele faceva scontare con soggiorni in carcere. Come ogni vescovo, Cesario pronunciava una predica almeno ogni do menica, talvolta più spesso. Era un bravo predicatore, umanamente or goglioso della sua arte: inoltre sapeva quanto utili potessero riuscire i buoni esempi di predicazione ai suoi colleghi meno dotati. Incaricò quindi degli stenografi di trascrivere i suoi discorsi, inviandone poi i testi alle diocesi limitrofe. Grazie a ciò oggi gli storici dispongono di un vero e proprio tesoro: 238 prediche sui più diversi argomenti. Cesario non aveva il tempo (né probabilmente la voglia) di rivedere e correggere i 243
Storia della Chiesa netta tarda antichità suoi testi, per cui le prediche risultano costellate di colloquialismi, im pacci stilistici e perfino errori grammaticali. Se ciò pone problemi ai tra duttori, avvezzi a testi accuratamente limati dai propri autori, per lo sto rico questa ruvidezza di stile rappresenta un merito in più, poiché per mette di ascoltare la voce di un predicatore che parla a gente semplice: analfabeti, poveri della città e villici dei dintorni di Arles. I suoi ascolta tori sapevano poco delle verità di fede. Come vivessero e come peccasse ro, lo vedremo ben presto.
10.2 fl minimo religioso de] Vl secolo Agli odierni uomini di Chiesa le pretese di Cesario in fatto di cultura re ligiosa non parranno certo eccessive: Quanto a voi, o fratelli, vi prego e vi esorto a leggere spesso le Sacre Scritture, se siete istruiti, ad ascoltare attentamente quando leggono gli altri, se siete analfabeti. La luce dell'anima e il
suo nutrimento eterno non sono altro che la parola di Dio, senza la quale l'animo non può né vedere né vivere. [ . ] Ma . .
uno dice: "lo sono un contadino e sono continuamente occupato nei lavod della terra; non posso ascoltare la lettura
dei testi sacri e neppure leggerli".
Quanti contadini e quante contadine conoscono a memoria e cantano diaboli· che canzoni che trattano d'amore e di sconcezze! Queste cose che insegna il
diavolo possono tenerle a mente e impararle, e non possono tenere a meme ciò che moSU'a loro iJ Cristo? Quanto sarebbe pii:1 facile e preferibile per qual siasi contadino
o contadina, quanto sarebbe più utile studiare il simbolo, im
parare, tenere a mente e recjtare spesso l'orazione domenicale, a.lcune antifo ne, i salmi. [...] Dm1que nessuno dica "non posso tenere a m ente nulla di quel che si
legge in chiesa". Senza dubbio, se vuoi, potrai.1
10.3 Giaci con tua moglie al solo scopo di fare figli NeUe prediche di Cesario un posto particolare spetta alla morale cristia na in materia di vita sessuale:
le volte che venite in chiesa per una festività o desiderate ricevere i sa cramenti di Cristo, mantenetevi prima casti per più giorni, per accostarvi al l'altare del Sig nore con coscienza sicura. Mantenetevi casti anche tutta la
Tutte
Quaresima fino alla fine del tempo pasquale, affmché la santa Pasqua vi trovi casti e puri. Chi è un buon cristiano non solo si mantiene casto per più giorni prima di fare la comunione, ma si unisce alla sposa
solo per fare figli, perché
si prende moglie non per soddisfare le proprie voglie ma al fine esclusivo di procreare.
1
[.] .
.
San Cesario di Arles, Sermoni scelti 6, 3. ,
244 Copyrighted
m
aterial
ll matrimonio e il sesso nella teoria e nella pratica ecclesiastica Vorrei rivolgervi una domanda, fratelli carissimi: chi usa della sua sposa in modo sfrenato, senza l'intenzione di far figli, se dovesse seminare il proprio campo
m
un anno un numero di volte pari ai rapporti che, vinto dalla lussu
ria, ha avuto con lei, quale raccolto potrebbe mai avere? Vediamo un po' che tipo di frutti avranno coloro che non vogliono essere continenti, se arano e seminano di continuo il loro pezzo di terra, che già hanno seminato, dal mo mento che, come ben sapete, nessun terreno potrà rendere il suo normale raccolto se sarà stato seminato più volte in un solo anno! Perché dunque agi re con il proprio corpo come nessuno vorrebbe con il proprio campo? Mi si obietta: "Sono un uomo giovane, non posso assolutamente contenermi". Forse non puoi contenerti perché mangi più del necessario, e bevi più vino di quanto convenga. Fors'anche tieni la mente occupata con pensieri vergognosi e dici spesso e volentieri tu stesso parole lascive oppure non provi timore e ver gogna a sentirle dire da altri. Comincia, con l'aiuto di Dio, a tenere a freno la gola, a occupare sempre la mente con pensieri casti e la lingua con parole one ste: e vedrai che, con l'aiuto di Dio, sarai capace di mantenere la castità. Non ti rincresca di digiunare spesso, se non te lo vieta la malattia, di alzarti presto per andare in Chiesa, affinché tu possa preservare la tua anima dalle macchie dei pensieri di libidine. E se vedi che, pur mettendo in pratica scrupolosamente questi consigli, sci ancora tormentato dagli stimoli della carne e qualche volta, per caso, cedi alla tentazione di avere rapporti con tua moglie senza intenzione di fare i'igli, aggiungi, secondo le tue possibilità, una quotidiana elemosina, perché è scritto: "Come l'acqua spegne il fuoco, così l'elemosina il peccato".2
Il precetto di castità viene suffragato dalla minaccia: Dio punirà i pecca tori incalliti. Prima di tutto ogni domenica o altra festività nessuno abbia rapporti con sua moglie. Tutte le volte che le donne hanno le mestruazioni bisogna ugualmen te astenersi dai rapporti, secondo ciò che dice il profeta: "Non ti accostare a una donna mestruata". Infatti chi avrà avuto rapporti con sua moglie quando è nel mestruo, o non si sarà astenuto di domenica o in qualunque altra festi vità, i figli che avrà concepito in quei giorni nasceranno lebbrosi, epilettici o qualche volta indemoniati. I lebbrosi infatti nascono di solito non da uomini saggi che sanno mantenersi casti nelle festività e nei giorni prescritti, ma so prattutto dagli ignoranti che non sanno contenersi. In verità, fratelli, se gli animali privi di ragione si accoppiano solo in periodi stabiliti e regolati, quan to più gli uomini, che sono fatti a immagine di Dio, dovrebbero comportarsi in modo simile. Ma quel che è peggio, vi sono alcuni così sfrenati e avvinazza ti che talvolta non si astengono neppure quando le mogli sono incinte.}
Dai tempi di Cesario di Arles la morale sessuale cristiana è certo molto cambiata. Come tutti gli ecclesiastici della tarda antichità, anche
2 I vi, 44, 4. livi, 44, 7. 245
Storia della Chiesa nella tarda antichità
Cesario era convinto che il piacere provato dall'uomo nei rapporti con il proprio partner fosse un dono diabolico da respingere. Il sesso era considerato estremamente pericoloso e doveva essere limitato alla pro creazione dei figli. L'impurità (nel linguaggio ecclesiastico essa indica va di solito i rapporti sessuali sregolati) veniva considerata il peccato più grave: la lotta contro di essa dominava l'attività pastorale della Chiesa, era oggetto di numerosi trattati morali e di precetti all'indiriz zo dei lettori devoti. Il motivo di tanta attenzione da parte dei moralisti ecclesiastici è un problema tutt'altro che chiaro: vi torneremo alla fine del capitolo. Ancora una considerazione a proposito delle argomentazioni di Cesario di Arles. Nessun moralista contemporaneo proporrebbe l'ele mosina come mezzo per neutralizzare il peccato, un peccato commesso sistematicamente e senza alcuna intenzione di rinunciarvi. Nella dottri na della Chiesa del XX secolo l'elemosina ha in genere un significato molto minore che nei tempi antichi e medievali. Il vescovo giudicava lucidamente la moralità del suo gregge, sapeva bene quanto il male dilagasse: Ma c'è di peggio: numerosi sono coloro che hanno concubine prima di spo sarsi. Dato il loro gran numero, il vescovo non può scomunicarli tutti, e tra pianti e sospiri, li tollera e attende, nella speranza che magari un giorno il Signore, nella sua bontà e misericordia, conceda loro la grazia di una peniten za fruttuosa con la quale possano ottenere il perdono. E poiché il male è a tal punto entrato nel costume che non lo si considera più un peccato, ecco che davanti a Dio e ai suoi angeli io dichiaro che chiunque viva con una concubi na, sia prima che dopo il matrimonio, commette adulterio.4
La Chiesa antica combatteva accanitamente i casi di aborto, come pure tutte le pratiche dirette a liberare la donna dalla fertilità: Nessuna donna prenda qualche pozione per abortire, perché stia sicura che sarà trascinata davanti al tribunale del Cristo con tante imputazioni, quanti saranno quelli che avrà uccisi, sia già nati, sia soltanto concepiti. [. .. ] Nessuna donna deve prendere pozioni che non la facciano più concepire, né deve bloccare in sé quella natura che Dio ha voluta feconda [. . . ] perché ella sarà ri tenuta colpevole di tanti omicidi quanti sono i figli che avrebbe potuto con cepire e partorire.5
Notiamo anche un'altra differenza tra la morale cristiana dei tempi di Cesario di Arles e la morale cristiana del XX secolo. La donna che abor tisce commette un peccato mortale, del quale risponderà davanti al tri bunale celeste. Oggi, per quanto la Chiesa avversi ogni mezzo anticon-
4 lvi, 42, 5. 'lvi, l, 12. 246
Il matrimonio e il sesso nella teoria e nella pratica ecclesiastica cezionale, nessun confessore addossa alla coscienza della donna la re sponsabilità dei figli non concepiti. La Chiesa di quel tempo combatteva tenacemente (anche se con mi nore efficacia, ma questa non era più colpa sua: essa non era in grado di abbattere consuetudini stabilite nei secoli, frutto dell'ordine sociale) la convinzione che l'osservanza della castità prima del matrimonio e l'a stensione da rapporti sessuali extraconiugali fosse un dovere solo delle donne, e non anche degli uomini: Vorrei tuttavia sapere se coloro che non sono sposati e che non temono né ar rossiscono di commettere adulterio prima del matrimonio, si augurino che la loro sposa venga violata da altri adulteri. Perché [ognuno] desidera una sposa vergine, mentre lui stesso ha perso la sua verginità? Certuni pensano forse che alle donne non sia consentito fornicare prima delle nozze, e agli uomini sì. Peggio ancora: poiché molti uomini le commettono senza timore di Dio, queste colpe gravissime e riprovevoli sono degenerate in costume e considerate così lievi e comuni da non essere più considerate pec cati gravi. In realtà nella fede cattolica ciò che non è permesso alle donne non lo è neanche agli uomini. 6
10.4 Persistenza degli dèi pagani nel cuore degli uomini
Malgrado i secoli di dominazione cristiana, la Gallia del VI secolo non si era ancora del tutto liberata della religione pagana, per quanto la Chiesa ne combattesse aspramente ogni manifestazione: Credo che da queste contrade sia sparita ormai, grazie ai vostri rimproveri e per ispirazione divina, quella funesta abitudine che è un resto delle sacrileghe pratiche dei pagani; ma tuttavia [...] se vedete ancora certuni rendere un culto a sorgenti o ad alberi e inoltre, come ho già detto, consultare maghi, indovini, incantatori [. .. ] rimproverateli aspramente e dite loro che chiunque commette questo peccato perde il sacramento del battesimo. [...] Perciò rimproverateli con parole molto severe; e se non vogliono emendarsi, non rivolgete loro la pa rola e non fateli sedere alla vostra tavola; se poi vi appartengono, batteteli an che con le verghe, e se ancora non si correggessero, tagliate loro i capelli.7
Attaccando ciò che restava delle pratiche pagane, Cesario di Arles ci informa su alcune di quelle credenze: E in ciò vediamo la tentazione del nemico, quando uomini stolti ritengono
che si debbano onorare giorni e calende, sole e luna. Infatti il colmo è che
6Jvi, 43, 3. 7 lvi, 13, 5. 247
Storia della Chiesa nella tarda antichità ciò di cui parliamo è talmente vero, che non solo in altri luoghi, ma perfino in questa città vi sono delle sciagurate che in onore di Giove non vogliono tessere né filare il giovedì. In queste persone il battesimo è violato e i sacra menti di Cristo insultati. E che dire di uomini stolti che credono di dover soccorrere la luna in travaglio, il cui globo ardente è in certe epoche oscurato da una causa celeste naturale, o tinto dal vicino ardore del sole al tramonto; essi credono all'effetto di incantesimi contro il cielo, pensando di poterlo scongiurare con il suono di una tromba o con il ridicolo tintinnio di campa nelle, e di propiziarsi la luna con grida sacrileghe, secondo una vera supersti zione pagana. E quando essa mostra all'uomo ragionevole il suo assoggetta mento all'ordine voluto da Dio, l'uomo le manifesta una stupida sottomissio ne, insultando Dio. Vi supplichiamo che ogni uomo saggio e fedele fugga e detesti tali errori.8
La notizia della santificazione del giovedì da parte dei criptopagam e quanto mai interessante. Nella settimana astrologica il giovedì era il giorno di Giove (dies lavis o lavis dies da cui l'italiano "giovedì" e il francese jeudi). L'idea di astenersi dal lavoro proprio in quel giorno na sceva su imitazione dell'usanza cristiana; la tradizione pagana non co nosceva il precetto di onorare gli dèi con un giorno di riposo settimana le. Colpisce anche la raccomandazione di tagliare i capelli ai pagani: se condo antichissime e perduranti credenze, la forza dell'uomo risiedeva appunto nei capelli (si pensi all'episodio biblico di Sansone e Dalila). Nelle prediche di Cesario un posto di riguardo è tenuto dalla lotta contro il vizio del bere.
10.5 Brindisi di ubriachi in onore di santi e angeli Gli uomini, o carissimi, si ubriacano con tanta facilità perché pensano che l'ubriachezza non sia peccato, o tutt'al più sia un piccolo peccato. Ma di que sta ignoranza i vescovi soprattutto renderanno conto nel giorno del giudizio, se non hanno voluto spiegare con frequenti prediche ai fedeli loro affidati la natura e la gravità dei mali causati dall'ubriachezza. Chi crede che l'ubria chezza sia un piccolo peccato, se non si correggerà e non farà penitenza per questa sua ubriachezza, un castigo eterno lo tormenterà senza rimedio.9
A tale giudizio teologico Cesario aggiunge sane considerazioni pratiche: Poiché gli uomini, a causa dell'ubriachezza, non solo saranno tormentati nel l'altra vita, ma anche in questa, ugualmente a causa dell'ubriachezza, sono af fetti spesso da numerose malattie; coloro che non pensano alla salvezza della loro anima temano almeno la sofferenza del corpo: abbiano paura del velo
SIvi, 32, 3. 9 lvi, 47, 4. 248
Il matrimonio e tl sesso nella teoria e nella pratica ecclesiastica sugli occhi e dell'indebolimento della vista, dei giri di resta e del tremito delle membra, coloro che non si spaventano dei supplizi dell'inferno. Vorrei ora sapere, fratelli carissimi, se un proprietario qualunque, padrone dì parecchi schiavi, può permettere che anche uno solo di loro diventi un ubria· eon
e. [...] Tu devi sérvire il tuo Signore precisamente come pret endi che il
tuo schiavo serva te. Dimmi, t i prego: ti par giusto che tu abbia uno schiavo sobrio e Dio ne abbia
lillO
ubriacone? E parimenti: tu ti giudichi degno di es·
sere servito da uno schiavo sobrio, e ritieni Dio indegno di avere in te uno schiavo sobrio? 10
n comportamento dei beoni di secoli fa ricorda da vicino i nostri stessi . costumt: Che tipo di comportamento è quello di questi disgra z iati ubriaconi, i quali, quando ingollauo troppo vino, deridono e criticano coloro che sono ragione· voli e vogliono bere soltanto quanto basta? Dicono loro: "Arrossite e vergo· gnatevi, perché non siete capaci di bere quanto noi". Dicono che quelli non
sono uomini. !via vedete la miseria dì questi beoni: dicono di essere uomini loro, che stanno distesi nella fogna delJ'ubriachezza, e affermano che non sono uomini quelli che statmo ben dritti, morigerati e sobri. Che tipo di comportamemo è quello di coloro che, finito già il desinare e ap·
pagata la sete, quando non possono e non devono più bere, allora, come fos sero nuovi venuti, arrivati giusto in quel momento, si mettono a bere alla sa· Iute dì questo e di quello, non solamente di uomini vivi, ma anche di angeli e dì antichi santi? Essi credono di render loro il più grande onore, quand o in loro nome si se ppelliscono in una smodata sbornia: e non sanno che nessun altro, com'è noto, arreca un oltraggio così grave ai sand angeli e ai santi uo· mini, che coloro i quali con il bere in loro onore si rendono co lpevo li di ucci· dere le loro anime con J'ubriachezza.11
Anche se oggi nessuno brinda più in onore di santi e di angeli, i b rindisi hanno lo stesso identico scopo che avevano secoli addietro.
10.6 Il tributo delle decime
Tra i peccati di altra natura, Cesario di Arles rimproverava alle sue pe· corelle una certa refrattarietà a pagare le decime. A quell'epoca la Chiesa cercava in tutti i modi di introdurre tale obbligo: malgrado i precetti biblici, nei secoli precedenti il pagamento delle decime non era universalmente accettato e lo compivano solo j fedeli particolarmente zelanti. La Gallia del VI secolo era molto restia ad accettare quelle nuo· ve pretese della Chiesa.
IO Jbid. . Il Ivt, 47 -) . ,
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aterial
Storia della Chiesa nella tarda antichità Altrove sta scritto: "Del Signore è la terra e ciò che la ricolma" [. . ] e noi sia .
mo dunque i servitori e i fattori del Signore e non so con quale diritto non lo riconosciamo come suo proprietario. Dice egli infatti: "Il bue riconosce il suo signore e l'asino la greppia del suo padrone, ma Israele non mi conosce e il mio popolo non mi comprende". Uomini stolti, che comanda di male il Signore per meritare di non essere inteso? Infatti egli parla così: "Non tarde rai a offrirmi le primizie dei tuoi raccolti e del tuo torchio". Se è peccato tar dare a dare, quanto è più grave il non aver dato affatto! E dice ancora: "Fa' omaggio al Signore dei tuoi giusti lavori, preleva per lui i frutti della tua giu stizia, affinché i tuoi granai si colmino di frumento e i tuoi torchi trabocchino di vino". Non offri gratuitamente ciò che presto ricupererai con tanto di inte ressi. Chiedi forse a chi giovi ciò che Dio accetta con l'intenzione di restitui re? Chiedi forse anche a chi giovi ciò che viene dato ai poveri? Se credi, è a te che giova; se non credi, hai perso tutto. Poiché le decime, fratelli carissimi, sono i tributi alle anime bisognose. Paga dunque le decime ai poveri, offri doni ai sacerdoti.12
Spiegando ai suoi uditori che le decime erano destinate ai poveri Cesario di Arles diceva, sì, la verità, ma non tutta: i beni raccolti dalla Chiesa ser vivano infatti a più scopi diversi. Ma il modo migliore per indurre i reni tenti a pagare restava sempre quello di far loro presente il sacro obbligo di aiutare i poveri. Non sempre la costruzione di una nuova chiesa basta va a convincere persone che non possedevano quasi niente.
10.7 La morale coniugale secondo Basilio di Cesarea Cesario di Arles non fu il solo a dedicarsi intensamente ai problemi concernenti la sfera sessuale; a leggere altri testi della tarda antichità che ci permettono di ricostruire l'attività pastorale della Chiesa, si ha l'impressione che i vescovi concentrassero la loro attenzione soprattutto su questo settore. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, la Chiesa definì con lentezza e in modo non sempre coerente i princìpi che i sacerdoti dovevano seguire in questa inquietante materia. Inoltre la pressione della pratica, agli antipodi dei severi princìpi (avrò ancora occasione di tornare sull'argomento), induceva i vescovi meno agguerri ti a prendere decisioni che i loro colleghi di impostazione più rigida non sarebbero stati in grado di approvare. Dei dubbi che potevano assalire un vescovo comune ci informano le lettere inviate dal vescovo di Cesarea di Cappadocia, il grande moralista e teologo Basilio (327 ca.-379), ad Anfilochio, vescovo di Iconio. Questi scritti, detti Lettere canoniche in quanto appartengono al corpus dei te sti considerati normativi, sono stati redatti tra il374 e il 375; essi meri tano la nostra attenzione non solo perché ci consentono di conoscere
12
lvi, 33, 1-2. 250
Il matrimonio e il sesso nella teoria e nella pratica ecclesiastica
una variante severa e molto approfondita della dottrina cristiana orien tale nei riguardi del matrimonio, ma anche perché influenzarono la pra tica pastorale delle successive generazioni. Alle domande postegli da Anfilochio (di cui purtroppo non ci riman gono le lettere) Basilio risponde senza un evidente tentativo di sistema tizzazione e talvolta le sue soluzioni differiscono da una lettera all'altra. Le varie questioni trattate nelle Lettere canoniche sono state numerate ed è così che vengono tradizionalmente citate. Osserviamone qualcuna da vicino. Nelle Lettere troviamo anzitutto tracce di dubbi riguardo all'interpre tazione delle parole di Cristo nel Vangelo secondo Matteo (19, 3-9) sul la possibilità di ripudiare la moglie adultera: Allora gli si presentarono dei Farisei per temarlo e gli domandarono:
"È per
messo a un uomo ripudiare la propria moglie per un motivo qualsiasi?". Egli rispose loro: "Non avete letto come il Creatore da principio li fece maschio e femmina? E disse: 'Per questo l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà con la moglie, e i due saranno una sola carne'. Quindi non sono più due, ma una sola carne. Perciò non divida l'uomo ciò che Dio ha unito". "Ma perché, allora" replicarono "Mosè ha ordinato di dare il libello del ripudio e di ri mandarla?" . Rispose loro: "Per la durezza del vostro cuore Mosè vi permise di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Però io vi dico: chi rimanda la propria donna, eccetto in caso di concubinato, e ne sposa un'altra, commette adulterio".
Naturalmente la donna di cui è stato provato l'adulterio non può con trarre un secondo matrimonio (così sentenzia il Vangelo), anzi secondo la tradizione dev'essere scacciata dal marito (che altrimetti condivide rebbe con lei il peccato d'adulterio); ma il marito innocente può con trarre un secondo legame? La donna può abbandonare il marito che ha commesso adulterio? Un marito colpevole abbandonato dalla moglie può prenderne un'altra? Alla prima domanda Basilio (canone 9) risponde: «li marito abban donato merita comprensione e la donna che convive con lui non attira condanna su di sé»Y Invece la posizione della donna in una situazione analoga è completamente diversa: Basilio le impone di restare accanto al marito infedele (a condizione però che egli rinunci al suo comporta mento). La moglie che decide di abbandonare il marito colpevole d'a dulterio (o di fornicazione se la sua partner non è sposata: vedi il cano ne 21 sotto riportato) non ha diritto a un secondo matrimonio, anzi verrà considerata adultera. Adulterio sarà pure il nuovo vincolo matri moniale contratto dal marito colpevole, e tale peccato graverà non solo sull'uomo, ma anche sulla sua nuova moglie. l! Cito i canoni di Basilio secondo la traduzione che si trova in Basilio di Cesarea, Epistolario, Edizioni Paoline, Milano 1966.
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Storia della Chiesa nella tarda antichità
10.8 Adulterio o fornicazione? Se un uomo sposato, a un certo momento non si accontenta più del matrimo nio e cade nella fornicazione, giudichiamo che sia un fornicatore. Lo faccia mo sottostare per più tempo alla pena. Tuttavia non abbiamo una regola pre cisa per sottoporlo all'accusa di adulterio, se il peccato è commesso con una donna libera dal legame matrimoniale.
[ ] Ma a chi ha commesso fornicazio ...
ne non è proibito vivere con la propria moglie. Perciò la donna accoglierà il marito che ritorna dall'aver commesso fornicazione; il marito invece scaccerà dalla propria casa la donna che si è macchiata.
Basilio commenta il canone con queste parole: «La ragione di queste norme non è facile a spiegarsi, ma la consuetudine vuole così» (canone 21). Basilio quindi si rendeva conto che la norma tradizionale era cla morosamente ingiusta con le donne, punendole molto più severamente degli uomini per la medesima colpa. Le disquisizioni sulla natura del reato per definire se si trattasse di adulterio o di fornicazione non sono giochi di parole: i canoni successivi dimostrano che era preferibile esse re riconosciuti colpevoli di fornicazione che di adulterio. Il canone 22 recita: Coloro che possiedono una donna per averla rapita, se l'hanno rapita quando era già stata promessa a un altro, non si possono accogliere prima che sia tol ta a quello e ridata a colui al quale era stata promessa, per vedere se voglia prenderla o !asciarla. Se invece uno rapisce una donna libera, bisogna ripren dergliela, renderla ai familiari
[. . ] Se questi vogliono dargliela, si faccia il ma .
trimonio. Ma se rifiutano, non debbono essere costretti. Se uno possiede una donna in seguito a stupro, sia doloso che violento, si deve riconoscere punibile con la pena comminata ai fornicatori; e la pena sta bilita per i fornicatori è di quattro anni. Nel primo anno debbono essere te nuti lontani dalle preghiere pubbliche e piangere presso la porta della chiesa; nel secondo si possono ammettere, ma solo in qualità di uditori; nel terzo si possono ammettere alla confessione; nel quarto alla assemblea del popolo, ma senza il diritto alla oblazione. Soltanto dopo questo periodo possono ac costarsi alla comunione.
In uno dei canoni successivi Basilio prevede una pena molto più severa per i fornicatori: «Il fornicatore per sette anni sarà escluso dai sacra menti» (can. 59). Nei confronti degli adulteri, poi, è addirittura spieta to: «Colui che ha commesso adulterio, per quindici anni sarà escluso dai sacramenti: per due anni piangerà; per cinque sarà ammesso ad ascoltare; per quattro sarà tra i sottomessi; e starà per gli ultimi due anni senza comunione». (can. 58). Per avere una misura della severità della Chiesa in materia basta paragonare le sue sanzioni con la pena ap plicata ai reati di furto; se il colpevole confessava, la punizione durava un anno, se negava, due anni .
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Il matrimonio e il sesso nella teoria e nella pratica ecclesiastica Non era solo la Chiesa a punire duramente gli adulteri. Per loro la leg ge prevedeva norme assai più severe: se l'adulterio veniva a conoscenza del giudice, fin dai tempi di Costantino il Grande gli adulteri rischiavano la morte, e dal 339, ossia dalla legge emanata dai figli di Costantino (Cod. Th., XI, 36, 4), potevano anche incorrere nell'arcaica poena cullei, che consisteva prima nella flagellazione, poi nel venir cuciti in un sacco insieme a un serpente, un gallo, una scimmia e infine nell'essere gettati in un fiume o nel mare. Nel556 Giustiniano decreta di chiudere l'adul tera in convento; se entro due anni il marito l'avrà perdonata, ne potrà uscire, altrimenti vi rimarrà vita natura! durante (ricordiamo che in que st'epoca la privazione della libertà come pena fine a se stessa non esiste ancora, e gli accusati vengono tenuti in prigione solo fino al processo). Per render onore a Giustiniano bisogna riconoscere una certa analogia tra la decisione sua e le decisioni di Ottaviano Augusto, che relegava in un'isola la fornicatrice. Inoltre Giustiniano ammette la possibilità che il marito perdoni la peccatrice, mentre Ottaviano non la prendeva nean che in considerazione. La legge di Giustiniano non obbliga il marito ad avviare un procedimento contro la moglie colpevole d'adulterio. Ma torniamo ai canoni di Basilio. Il canone 75: A colui che si è macchiato peccando con la propria sorella per parte di padre
o di madre, non sia concesso di stare nella casa di preghiera, fino a che non desista dalla sua condotta iniqua ed empia. Quando sia giunto a rendersi con to della nefandezza di questo peccato, pianga per tre anni stando presso la porta della casa di preghiera, e chiedendo, al popolo che entra per pregare, che ciascuno elevi intense preghiere per lui, avendone compassione. Dopo di ciò, per un altro triennio sia ammesso unicamente come uditore, e, una volta udito l'ammaestramento delle Sacre Scritture, sia fatto uscire e non sia ritenu to degno di partecipare alla preghiera. Poi, se proprio lo richiederà in lacrime e si inginocchierà dinanzi al Signore in contrizione di cuore e in vera umiltà, gli sia concesso lo stato di sottomissione per altri tre anni. Nel decimo anno sia ammesso alla preghiera dei fedeli, senza tuttavia godere del diritto di abla zione. Dopo aver preso parte per due anni alla preghiera con i fedeli, solo al lora, finalmente, sia ritenuto degno del bene della comunione.
Lo stesso valeva anche per coloro che violavano le proprie nuore (cano ne 76).
10.9 Trent'anni di penitenza per i peccati di sodomia e di omosessualità
«l corruttori di maschi e di animali, e gli omicidi, e gli avvelenatori, e gli adulteri e gli idolatri sono giudicati degni della medesima condanna. [. ] Non bisogna neppure che nutriamo dei dubbi se accogliere coloro che hanno fatto penitenza per trent'anni, per le turpitudini da loro ..
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Storia della Chiesa nella tarda antichità commesse nella loro ignoranza. Infatti la loro ignoranza li rende degni di perdono» (can. 7). 14 «Colui che tiene in moglie la donna violata da lui stesso, subirà la pena prevista per la violenza, ma potrà tenerla in moglie» (can. 25). «La fornicazione non è matrimonio, e non è neppure l'inizio del ma trimonio. Pertanto, se è possibile separare coloro che sono uniti illegal mente, sarà la soluzione migliore. Se invece vogliono questa unione a ogni modo, accettino la pena dovuta alla fornicazione. Ma non si sepa rino, affinché non accada qualcosa di peggio!» (can. 26). «Commette adulterio la donna che convive con un altro uomo, quan do il proprio marito se ne è andato o si è reso irreperibile, prima di es sere certa della sua morte» (can. 31). «Le mogli dei soldati che si sono risposate quando i loro mariti non sono ritornati sono soggette alla stessa giurisdizione a cui sono soggette anche coloro che, a causa dell'allontanamento del marito, non ne hanno atteso il ritorno. Sennonché nel primo caso la situazione richiede mag gior comprensione, poiché più fondato è il sospetto di morte» (can. 36). «Colei che convive con un adultero è anch'essa un'adultera» (can. 39). «Colei che, senza scrupolo, ha sposato un uomo abbandonato tempo raneamente dalla propria moglie, e poi è stata allontanata da lui, perché la prima moglie è ritornata a lui, ha commesso sì fornicazione, ma senza saperlo. Perciò non le sarà precluso il matrimonio; ma sarebbe meglio se rimanesse da sposare» (can. 46) «l matrimoni celebrati senza l'assenso di coloro che hanno la facoltà di impedirli sono fornicazione. Perciò né finché vive il padre né finché vive il padrone, coloro che si uniscono sono esenti da colpa. Se i re sponsabili danno l'assenso, l'unione acquista il carattere di stabilità pro prio del matrimonio» (can. 42). «Pertanto, secondo la legge, non si deve contrarre un terzo matrimo nio. Per questo noi giudichiamo simili cose come feccia della Chiesa. Tuttavia non le sottoponiamo alle punizioni pubbliche, in quanto sono sempre preferibili all'incontrollata fornicazione» (can. 50). «La vedova schiava forse non pecca gravemente se accede a seconde nozze sotto la forma del rapimento. Perciò non la si deve accusare per questa colpa. Infatti non si giudicano le forme, ma la volontà. È chiaro tuttavia che resta ferma per lei la pena comminata per la bigamia [ossia la pena di un anno]» (can. 53). Il testo merita un commento. Osserviamo che Basilio tratta questa categoria di donne con molta più indulgenza delle altre. Non condanna nemmeno il finto rapimento, che altrove suscita invece in lui severe reazioni: si tratta di atteggiamento che rivela l'intelligenza del pastore di una comunità, il quale conosce bene la vita e malgrado la sua ten-
14 Si deduce da questa norma che chi non poteva addurre a sua difesa l'igno ranza, doveva essere escluso dalla Chiesa per sempre (anche se non è chiaro come sia possibile praticare l'omosessualità o la sodomia "nell'ignoranza"). 254
Il matrimonio e il sesso nella teora i e nella pratica ecclesiastica denza al rigorismo non dimentica la realtà dei rapporti sociali. La schiava, infatti, che è priva di mezzi propri, ba più difficoltà a vivere sola, senza l'appoggio di un uomo, che non una donna benestante. Ma in questa tolleranza di Basilio soprawive un resto della convinzione, diffusa in tutta l'antichità, che coloro che occupavano i gradini più bas si della scala sociale tendessero per natura all'amoralità, e che quindi non si potesse pretendere da loro ciò che si pretendeva dai membri del l'élite, i quali andavano trattati molto più severamente. Troviamo un interessante completamento dei testi di Basilio nei cano ni di Timoteo, patriarca di Alessandria dal379 al385. Domanda: «In quali giorni della settimana i coniugi devono astenersi dall'avere rapporti, e in quali giorni hanno diritto ad averne?» Risposta: Dice l'apostolo: "Non rifiutatevi reciprocamente, se non per un ceno tempo e di comune accordo, pe.r darvi alla preghiera, e poi comare nuovamente in s.ieme, affinché Satana non vi temi approfittando della vostra incapacità di dominarvi". È comunque indispensabile astenersi il sabato e la domenica, poiché in tali giorni si offre a Dio il sacrificio spirituale (can. 1.3)l5
10.10 Matrimonio giusto, matrimonio unico La posizione di Basilio era molto rigida: in fondo non ammetteva che il rapporto tra una sola donna e un solo uomo, conformemente alle paro le di Cristo: «[ ...] e i due saranno una sola carne. Quindi non sono più due, ma una sola carne». Tutte le deviazioni da questo principio suscita no la sua critica, tutte meritano penitenza, anche se non nella stessa mi sura. La donna violata o ingannata d a un bigamo farà meglio a non con trarre un vincolo (stavolta legale) con altri, la vedova farà bene a con servare il suo stato vedovile e via dicendo. Facciamo tm confronto con alcuni testi di Tertulliano: Io non ripudio l'unione dell'uomo e della donna, benedetta da Dio come il viv aio del genere umano, destinato a popolare la terra e a fomtare il mondo: pertanto essa è permessa. nei limiti però di una unione w1ica. 16 Se interpretiamo a fondo il pensiero dell'Apostolo, si dovrà dire che il secon do matrimonio non è altro che una specie di adulterio. Quando infarti egli O' apostolo Paolo] dice che marito e moglie hanno la preoccupazione di tro vare in che modo piacersi l un l'altro, vuole dire che sono preoccupati non ri guardo alla moralità (infatti una giusta preoccupazione non si critica), ma ri guardo alle cure del corpo e agli ornamenti e a ogni ricercatezza dell'eleganza '
P.-P. Joannou, Discipline générale antlque (Vf.f)( siècles), cit., vol. O: Les ca nons des Pères Grecs, pp. 248-249. L6 Tertulliano, Alla consorte,!, 2, l. l5
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Storia della Chiesa nella tarda antichità atta a suscitare il desiderio,
e
l'eleganza e gli ornamenti sono un mezzo per
suscitare concupiscenze carnali, il che è anche la causa dell'adulterio: non ti sembra allora che il secondo matrimonio sia affine all'adulterio, poiché in esso si ritrovano le medesime caratteristiche dell'adulterio?17
Si tratta di opinioni radicali, che i vescovi responsabili delle comunità e ben consapevoli di quanto fosse difficile mettere in pratica norme mol to meno severe, non potevano sottoscrivere. In sostanza Basilio era del la stessa opinione di Tertulliano: il secondo matrimonio contrastava con l'obbligo della purezza, attuabile solo nel rapporto tra un solo uomo e una sola donna. Se da un lato il radicalismo di Basilio e quello di Cesario di Arles ve nivano rafforzati dalle loro personali inclinazioni ascetiche, dall'altro erano frenati da un senso di responsabilità per la salvezza delle pecorel le loro affidate: i vescovi sapevano perfettamente che, a imporre obbli ghi troppo gravosi alle persone semplici, si rischiava l'effetto contrario, quello cioè di spingerle alla dissolutezza invece che alla pietà. Non tutti i moralisti condividevano completamente le idee di Basilio. Nella fondamentale e difficile questione riguardo all'interpretazione del succitato versetto del Vangelo secondo Matteo, le opinioni erano divise. In Oriente, in caso di adulterio della moglie prevaleva l'idea di ammette re non solo il divorzio, ma anche il diritto del marito a un secondo matri monio; in Occidente, queste unioni erano molto malviste. Girolamo le condannerà senza esclusioni, Agostino oscillerà tra le due posizioni: ini zialmente ammetterà la possibilità di un secondo matrimonio, poi la re spingerà decisamente. In Occidente invece le nuove nozze di vedovi e vedove suscitavano minori opposizioni: Agostino sosteneva addirittura che non vi fosse motivo di condannare chi contraeva tre o più matrimo ni, visto che Dio non aveva posto limiti in materia (ma in realtà il vesco vo di Ippona sconsigliava persino le seconde nozze).
10.11 Da una parte i precetti ecclesiastici, dall'altra la realtà
La realizzazione dei princìpi formulati dai Padri della Chiesa in materia di matrimonio incontrava enormi difficoltà. La legge romana, come pure gli altri sistemi giuridici dell'antichità a noi noti, contemplava in fatti sia il divorzio sia i successivi matrimoni, anche se non incoraggiava a contrarli, per la semplice ragione che rappresentavano un pericolo per gli interessi materiali dei figli del primo matrimonio; i pericoli risiedeva no soprattutto nelle seconde e successive nozze delle donne, che erano, nel matrimonio, la parte debole e quindi non in grado di difendere effi cacemente i propri figli di primo Ietto. Per i fedeli di quei tempi i precetti della Chiesa riguardo alle nuove 17 Tertulliano, Esortazione alla castità, 9, l. 256
Il matrimonio e il sesso nella teoria e nella pratica ecclesiastica
nozze erano molto più pesanti di quanto potrebbe sembrare oggi. Ricordiamo che la durata media della vita era bassa e che le donne mori vano spesso di parto o per infezioni puerperali; inoltre molte malattie, oggi non pericolose, portavano facilmente alla tomba. I matrimoni si contraevano in giovane età e alla sposa si chiedeva subito un erede. Giovani madri appena adolescenti morivano spesso durante il primo par to, per il quale non erano fisicamente mature. Per un giovane di circa vent'anni la cui moglie fosse morta durante la prima gravidanza senza mettere al mondo un figlio in grado di vivere, il divieto di risposarsi suo nava assurdo. La gente voleva avere figli, e anche molti, nella speranza che almeno due o tre riuscissero a sopravvivere alle malattie infantili. La rinuncia a generare figli era quindi un sacrificio gravissimo, a parte l'ov via considerazione che per un uomo in giovane età non era facile astener si dalla vita sessuale, e che un cristiano che osservasse scrupolosamente i precetti della fede non poteva ricorrere a rapporti con le serve, per non parlare delle prostitute. In una società dove non c'era posto per le donne sole, anche le giovani vedove incontravano numerose difficoltà per cui, oltre che da motivi personali, esse venivano indotte a un nuovo matrimo nio da ragioni di ordine puramente pratico.
101 . 2 La legislazione sul divorzio Possiamo farci un'idea della consistenza dell'opposizione alle restrizioni imposte dalla Chiesa seguendo la legislazione tardo-antica in materia di divorzio. Le prime vere limitazioni in materia furono introdotte da una legge di Costantino il Grande nel331 (Cod. Th., III, 16, l) che proibiva alle don ne di inviare ai mariti lettere di divorzio per motivi "leggeri", quali il vi zio del bere, del gioco d'azzardo e delle donne (intendendo la frequen tazione di prostitute o lo spendere soldi in mantenute). Le donne pote vano chiedere il divorzio solo nel caso che il marito si fosse reso colpe vole di omicidi, pratiche magiche e profanazione di tombe; quelle che intentavano una pratica di divorzio per motivi diversi erano punite con la perdita dei loro averi («la donna deve lasciare in casa del marito tutto quel che possiede, comprese le forcine per i capelli») e deportate in un'isola. Neanche il marito doveva sciogliere il matrimonio per futili motivi: il divorzio era ammesso solo se la moglie era infedele (argomen to viceversa non valido per la donna), faceva la ruffiana o praticava la magia. Il marito che in giudizio non avesse potuto dimostrare le proprie ragioni doveva rendere la dote alla moglie e perdeva il diritto di con trarre un nuovo matrimonio (nel caso che lo avesse fatto, la prima mo glie poteva portargli via la casa e la dote della nuova moglie). Le disposizioni di Costantino restarono in vigore tre decenni e furo no abrogate da Giuliano l'Apostata, che sicuramente (non possediamo il testo di legge) ristabilì lo stato di cose precedente. Fu solo nel 421 257
Storia della Chiesa nella tarda antichità che apparve una nuova legge, emanata dall'imperatore Onorio (Cod. Th., m, 16, 2). La donna che intentava causa di divorzio senza gravi motivi perdeva la dote e i doni ricevuti dal marito al momento del ma trimonio, subiva la deportazione e non poteva più risposarsi. Se riusci va a provare l'accusa di cattivo carattere del marito, veniva punita allo stesso modo, tranne che per la deportazione. Se riusciva a dimostrare gravi reati commessi dal marito, trascorsi cinque anni poteva risposarsi; l'aver posto un lasso di tempo così lungo prima del nuovo matrimonio indicava il desiderio di accertarsi che la donna avesse agito per repul sione nei riguardi del marito e non per desiderio di un altro uomo. L'uomo desideroso di divorziare senza fondati motivi era punito come la donna che avesse provato il «cattivo carattere» del marito e, trascor so un anno, sua moglie poteva contrarre un secondo matrimonio. Se in vece era la moglie ad avere un brutto carattere, il marito recuperava i doni fatti e dopo due anni poteva risposarsi; nel caso che la moglie avesse commesso reati, si teneva la dote e poteva risposarsi subito. Se il tentativo di sciogliere il vincolo non era fondato, il marito (o, come ab biamo visto, la moglie) che aveva intentato causa perdeva ciò che l'altra parte aveva messo in comune e non poteva risposarsi. Anche in questo caso però la situazione della donna era peggiore: veniva deportata (il marito no) e non poteva ottenere il perdono. Notiamo che, nei rari casi in cui la parte femminile riusciva a dimostra re le proprie ragioni, il legislatore le imponeva almeno un anno di inter vallo prima del nuovo matrimonio, e ciò non più per motivi educativi, ma pratici: bisognava accertarsi che la donna non fosse incinta, dato che il figlio nato dopo il divorzio conservava il diritto al patrimonio paterno. Nel 439 Teodosio TI emanò una nuova legge (Novellae Theodosiae 12) che imponeva alle parti che presentavano istanza di divorzio di inviare il repudium, una lettera formale con l'elenco delle accuse; l'imperatore af fermava che in materia di divorzio ci si doveva attenere «alle antiche leg gi e all'opinione dei più famosi giuristi». La legge uscì un anno dopo la pubblicazione del Codex Theodosianus, che conteneva la contrastante di sposizione di Onorio. Trascorsi dieci anni, Teodosio tornò a legiferare sul divorzio (Codex Iustinianus, v, 17, 8); la donna poteva chiedere il di vorzio anche nel caso in cui il marito la tradisse o le usasse violenza; se le accuse venivano dimostrate, recuperava la sua dote e poteva risposarsi dopo un anno (nella stessa situazione il marito poteva risposarsi imme· diatamente). Se le parti non riuscivano a dimostrare le loro ragioni, l'uo mo perdeva la dote e la donna doveva aspettare cinque anni prima di contrarre un nuovo matrimonio; la motivazione spiegava che era giusto che una donna, dimostratasi indegna del matrimonio, fosse privata del diritto di contrarne un altro per quel lasso di tempo. La successiva legge in materia, emanata da Anastasio nel 497 (Codex Iustinianus, V, 19, 7), riguardava i divorzi consensuali, cioè quelli in cui non si faceva appello alle colpe del coniuge. In quel caso la donna aveva il diritto di risposarsi dopo un anno, l'uomo owiamente subito. ·
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Il matrimonio e il sesso nella teoria e nella pratica ecclesiastica
Solo nel548 Giustiniano emanò una legge che poneva sullo stesso pia no i due coniugi («è giusto applicare la stessa pena per lo stesso delitto»); inoltre da questo momento il coniuge colpevole avrebbe dovuto essere rinchiuso in convento fino alla morte, come sarebbe stato confermato da una legge del 556 , che vietava i divorzi consensuali. L'innovazione di Giustiniano tuttavia non venne mai applicata: il suo successore, Giustino 11, abrogò fin dal566 il divieto dei divorzi senza dichiarazione di colpa. n paragone tra il testo delle leggi emanate dai sovrani cristiani e i pre cetti contenuti nei canoni di Basilio e nelle prediche di Cesario di Arles risulta sorprendente. Gli imperatori intervengono controvoglia e modi ficano con estrema lentezza l'ordine legale costituito. La visione cristia na del matrimonio influisce poco sulle loro leggi, esprimendosi unica mente in una generica tendenza a limitare i motivi validi per il divorzio. In altri settori gli imperatori sostenevano giuridicamente i precetti della morale cristiana con molta più evidenza, basti pensare alle leggi contro gli eretici o al divieto (assoluto) di matrimoni tra ebrei e cristiani. È possibile che la Chiesa non chiedesse ai sovrani l'emanazione di leggi opportune? Ci è noto un solo caso di richiesta del genere, formu lata al sinodo locale di Cartagine nel 407: i vescovi iv i riuniti chiesero che si vietasse di contrarre un secondo matrimonio finché il coniuge precedente fosse stato vivo. Gli imperatori ignorarono la richiesta.
10.13 I divorzi nella realtà Se i regolamenti imperiali in materia di divorzi erano lontani dai precet ti morali enunciati da Basilio e da Cesario di Arles, la realtà lo era anco ra di più. Ce ne possiamo rendere conto leggendo i documenti su papiri trovati in Egitto. Nella metà del VI secolo ad Aphrodito, piccola località della Tebaide, un notaio redige un atto di divorzio in presenza di tre testimoni, che ap pongono la loro firma in calce, come prescriveva la legge. n testo è scritto in un greco barbarizzato, di non facile traduzione: Aurelio Isacco, figlio di Giovanni e di Kyra, medico del villaggio di Aphrodito del distretto di Anataiopoli, ad Aurelia Tetrompia, figlia di Giovanni e finora mia consorte, del medesimo villaggio. Avendo io, Isacco, contratto matrimo nio con te nella speranza di vivere e per generare figli credendo che sarei vis suto in pace fino alla fine dei miei giorni, ora che un demone malvagio ha pre so in odio il nostro matrimonio, ci siamo separati l'uno dall'altra di modo che ognuno dei due possa prendere nuovamente moglie o marito, oppure ritirarsi in convento, oppure vivere in solitudine, senza che nessuno lo impedisca.18
18
Papyrus grecs d'époque byzantine, ediz.J. Maspero, Le Caire 1913, vol. n, n.
121. 259
Storia della ("biesa rtella tard(J antichità I coniugi si dividono consensualmente, senza rancori. La colpa è del «demone malvagio», è stato lui a far sì che marito e moglie non abbia no potuto "vivere in pace fino alla fine dei loro giorni", e non c'è nien te che l'uomo possa fare contro l'intervento diabolico. Una volta accet tato il presupposto dell'ingerenza di Satana, discutere di chi sia la re sponsabilità, di chi la colpa del divorzio, non ha il minimo senso. È si gnificativo che i divorziandi non si sentano in colpa verso la Chiesa: l'entrare in con�ento è considerato un'eventualità alla stregua di un nuovo matrimonio. Nella metà del VI secolo, dopo più di due secoli di dominazione della religione cristiana, il divorzio non è sentito come un peccato in clamoroso contrasto con la consacrazione a una pia vita d'ascesi. E vero che abbiamo a che fare con un formulario notarile d'uso corrente, ma è proprio perché si tratta di un formulario, e non di un atto redatto a uso esclusivo di un cliente, che il suo contenuto ci appa re cosi importante, rispecchiando una norma sociale e non una singola . . sttuaztone. Non si tratta di Wl testo eccezionale. Possediamo altri documenti te stimonianti che il divorzio aweniva sempre secondo i princìpi tradizio nali e non escludeva le persone dalla comunità dei fedeli. Il secondo testo che desidero citare non proviene dalJ'Egitto, ma dal la Palestina meridionale, da una località detta Nessana, posta ai limiti del deserto, e risale al 689 (da una generazione ormai vi dominano gli arabi); esso costituisce la registrazione di una procedura di tipo molto particolare. Il divorzio avviene in presenza dei notabili: il presbitero, l'arcidiacono e il diacono della chiesa locale, nonché quattro laici. La causa esaminata riguarda il presbitero Giovanni e sua moglie Nonna. TI gruppo che redige l'atto afferma che, udite le lagnanze delle parti, ha inutilmente temaro di riconciliare i coniugi. Infine Giovanni dice alla moglie: «Ti lascio scegliere. Se vuoi un giudice, non importa se del no stro villaggio o di fuori, lo prenderò insieme a te come giudice». Al che Nonna e sua madre dichiarano di non volere niente da Giovanni, di non volere andare insieme con lui davanti a un giudice, e di non aver preso niente dalla dote, «né da alcun altro bene, mobile o semovente» (autokinéton: il termine designava sia gli animali, sia gli schiavi). «Voglio solo che tu mi lasci libera». Giovanni risponde: «Sei libera. Non vogliamo niente niente l'uno dall'altra». Nonna aggiunge a nome suo: <
1�
Excavations at Nessana. Non-titerary papyri,
1958, pp. 165-167.
a c.
di J. Kraemer, Princewn
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Il matrimonio e il sesso nella teoria e nella pratica ecclesiastica
strabiliante. Non solo c'è un presbitero che divorzia (e niente indica che debba cessare di essere presbitero), ma alla procedura partecipano i membri del clero della Chiesa locale (uno dei giuristi che hanno com mentato questo testo ha definito l'atto un divortium in eccLesia, parafrasi di manumissio in ecdesia, espressione che indicava la liberazione di uno schiavo in chiesa, in presenza del sacerdote). Eppure numerosi testi normativi ripetono che un presbitero non può scrivere la lettera di di vorzio e nemmeno presenziare al matrimonio di un divorziato; alle per sone sposate due volte (o sposate con donne non vergini al momento del matrimonio) era vietata qualunque funzione ecclesiastica (anche la più umile), nella convinzione che i membri del clero dovessero espleta re i precetti della Chiesa in modo impeccabile. I documenti su papiri ci dimostrano come ciò che Basilio di Cesarea, Cesario di Arles e gli altri moralisti ecclesiastici scrivevano del matrimo nio non rifletteva la pratica pastorale, ma rappresentava un programma particolarmente ambizioso, che solo persone di eccezionale carisma po tevano avere il coraggio e la forza di enunciare. Probabilmente i vescovi e i presbiteri comuni non erano in grado di seguire le loro indicazioni: dovevano cercare una via di mezzo tra le prescrizioni dei canoni e la po sizione della gente comune, che solo con estrema fatica prendeva atto che le proprie azioni (certo compiute quasi sempre in buona fede) era no gravissimi peccati. Per vescovi e presbiteri non doveva essere facile allontanare dalla Chiesa quanti dopo il divorzio contraevano un nuovo matrimonio; dopotutto il divorzio veniva pronunciato in base a leggi stabilite da imperatori cristiani. Lo storico è costretto a rimpiangere che si sappia tanto poco sui sen timenti e sui pensieri di una così ampia parte del clero, su quali argo menti usasse nei suoi rapporti con i fedeli, su come giustificasse le ecce zioni alle regole ufficiali, molto più severe delle sue prescrizioni. Come reagivano i fedeli quando ascoltavano le prediche di Basilio o degli altri moralisti ecclesiastici, prediche alle quali non erano certo in grado di adeguarsi? Si sentivano fieri di avere un vescovo così pio e continuava no a comportarsi come gli pareva? O, per fare penitenza, aspettavano un pastore meno severo?
10.14 «l bestiali costumi dell'ambiente pagano»
Wlodzimierz Krzyzaniak, traduttore polacco delle lettere di Basilio, così commenta il succitato canone 7 (relativo al trattamento da riservare a omosessuali, sodomiti, assassini, avvelenatori, adulteri e idolatri): «Le penitenze protratte per trent'anni riempiono di stupore i cristiani con temporanei. Ma anche per il modo di sentire di allora i peccati citati ve nivano spesso trattati molto più severamente: i bestiali costumi dell'am biente pagano inducevano la Chiesa ad applicare penitenze così lunghe per estirpare definitivamente il male». 261
Storia della Chiesa nella tarda antichità
li brano merita un commento. Traspare tra le righe un certo imbaraz zo: come spiegare il fatto che la Chiesa contemporanea si sia così drasti camente allontanata dalle norme dettate da un teologo e moralista emi nente, uno dei massimi Padri della Chiesa? Tuttavia, in linea generale, vi domina l'orgoglio per la severa purezza degli antichi cristiani; si è colpiti dal duro giudizio sulla morale pagana. Su questo particolare punto il traduttore di Basilio non si trova isolato, e nelle mie letture mi imbatto spesso in analoghe affermazioni: due commentatori francesi di un'opera eli Giovanni Crisostomo, Alla giovane vedova, definiscono la morale pagana una «dissolutezza legalizzata». I durissimi giudizi sui costumi pagani proferiti da odierni storici della Chiesa trovano un valido sostegno nelle opere degli autori cristiani del la tarda antichità. Mi permetto di citare un testo che espone in maniera particolarmente chiara le opinioni cristiane in materia; si tratta di un frammento dell'omelia di Giovanni Crisostomo, che commenta la lette ra dell'apostolo Paolo a Tito: Niente, prima della venuta di Cristo, era più deleterio della ferinità umana. Tutti erano ostili e nemici tra di loro. I padri uccidevano i figli, le madri con cupivano pazzamente i figli. Non c'era niente di stabile, non esisteva legge né naturale né scritta, tutto era sottosopra: un susseguirsi continuo di adulteri, di uccisioni, di delitti ancora peggiori delle uccisioni, di furti (certi scrittori dicono che il furto era considerato una virtù; e a ragione, visto che venerava no anche un tal dio) e di continui oracoli che ordinavano di uccidere questo e quello.20
Non occorre una particolare competenza in antichità pagana per acco gliere queste affermazioni con grande cautela. Giovanni Crisostomo ha sicuramente torto per quanto riguarda il diritto: molto tempo pri ma della nascita di Cristo sia greci che romani avevano redatto leggi e sviluppato la giurisprudenza; inoltre ci è difficile immaginare una so �ietà dove i genitori non facevano che insidiare la vita dei propri figli. E chiaro che ci troviamo di fronte a un testo retorico, che usa l'espe diente della più smaccata esagerazione. Ma anche a eliminare l'esage razione, è indubbio che Giovanni Crisostomo negava ai pagani l'istin to morale. Per valutare la moralità pagana e, in base a essa, l'entità del trauma psicologico provocato dalla conversione al cristianesimo, dobbiamo concedere la parola anche agli accusati e confrontare le testimonianze provenienti da entrambe le parti della barriera religiosa. E dunque: i pagani dei tempi dell'impero erano particolarmente dis soluti (bestiali, degenerati)?
20 Giovanni Crisostomo, In epistolam ad Titum, v, 4, in Patrologia Graeca, 62, col. 692.
262
Il matrimonio e il sesso nella teora i e nella pratica ecclesiastica 10.15 La morale coniugale dei pagani: come studiarla?
Facciamo subito una considerazione metodologica. In mancanza di ma teriale probatorio degno di fede, è molto difficile formulare giudizi sul reale stato della morale nel campo della vita sessuale e del matrimonio. Conosciamo singoli casi, ma sono troppo pochi per avere un valore esemplare e per costruire statistiche sulla loro base (in realtà mi doman do se anche ai nostri tempi esistano le basi per un'operazione del gene re). La maggior parte delle informazioni proviene dalle opere di morali sti, il cui scopo non è mai quello di descrivere in modo particolareggia to la realtà, bensì di enunciare le proprie verità e i propri princìpi, asso ciandovi esempi positivi e negativi da erigere a valore universale. Inoltre, come misurare lo stato della moralità e paragonare la morale dei vari ambienti, per poter dire se essa migliora o peggiora, e per giun ta in una sfera privata come quella sessuale? Le difficoltà di cui stiamo parlando riguardano sia le posizioni cristiane che quelle pagane. Se della realtà vera e propria sappiamo dunque ben poco, la nostra conoscenza circa i princìpi vigenti in un dato ambiente, in un dato pe riodo e in una data zona si presenta più chiara. Non solo i cristiani, ma anche i pagani parlano spesso dei princìpi. La moralistica pagana go dette per secoli di immensa popolarità, il che rese possibile la soprawi venza di questi testi fino a noi. Naturalmente bisogna stare molto atten ti a trarre deduzioni relative alla realtà dai princìpi enunciati; le consi derazioni sul divorzio esposte in questo capitolo dovrebbero indurci a non fidarci ciecamente delle parole dei moralisti. Seconda osservazione metodologica. Ciò che sappiamo (indipendente mente dal fatto che si tratti di princìpi astratti o della loro realizzazione) riguarda quasi esclusivamente l'élite: sulla moralità delle classi più basse non sappiamo quasi niente e le informazioni riportate dai nostri testi val gono poco. Ciò deriva dalla convinzione, diffusa tra l'élite, che i poveri fossero per loro natura smodati e scostumati: nessuno si aspettava di tro vare tra loro esempi di vera vinù, di fedeltà coniugale o di purezza. Non occorre aggiungere che un simile modo di considerare le classi inferiori faceva parte dell'ideologia delle classi privilegiate, dando loro un senso di superiorità anche morale e giustificando, se necessario, l'uso di metodi brutali. n cristianesimo introdusse cambiamenti essenziali in questo modo di pensare, facendo della povertà una circostanza capace di facili tare, e non ostacolare, la conquista della santità; tuttavia non era in grado di estirpare del tutto i vecchi atteggiamenti. In effetti i fedeli si sentivano divisi tra la condanna cristiana per la ricchezza ostentata e l'antica con vinzione che la miseria generasse delitti. Se teniamo presente che molto di rado le classi inferiori ci parlano direttamente e che gli autori delle no stre fonti sono rappresentanti dell'élite, ci convinceremo di poter tran quillamente ignorare i racconti sulla dissolutezza delle prime. Ricordiamo anche (e questa è la terza osservazione) che la poesia amorosa non può costituire una base per valutare la morale sociale nel 263
Storia della Chiesa nella tarda antichità campo del sesso e del matrimonio. Si tratta di un tipo di letteratura molto particolare, nel quale non è lecito rawisare una fotografia della realtà. Né Ovidio, con la sua Arte d'amare, né gli autori dei raffinati epi grammi erotici raccolti nell'Antologùl Palatina possono dirci quale fosse realmente la vita sessuale delle persone del loro ambiente. La letteratu ra era un gioco, costituiva un mondo a parte con regole proprie, spesso assai lontane dalle regole vigenti nel mondo reale. Nella realtà fittizia creata dal poeta, importanti personaggi romani erano preda di passioni amorose per bellissime cortigiane e confessavano pubblicamente le loro pene d'amore. Tutto quel che sappiamo sull'élite ci trattiene dal presta re fede al quadro dipinto da Catullo o da Ovidio.
101 . 6 Cambiamenti dalla parte pagana Nell'antichità il matrimonio fu sempre trattato con la massima serietà. n suo compito era quello di assicurare una discendenza legale; l'appaga mento dei bisogni sessuali e la presenza di un appoggio emotivo in realtà non venivano presi in considerazione (l'uomo li cercava altrove: nella concubina o in amanti d'ambo i sessi). La sterilità della donna era un dramma, spesso motivo di divorzio, a meno che considerazioni di tipo materiale non trattenessero il marito dal compiere tale passo: l'obbligo di restituire la parte di patrimonio portata dalla moglie, o il rischio di un conflitto con la sua influente famiglia che, pur comprendendo le ragioni del marito, poteva considerare la decisione di questi come un torto e procurargli molti problemi. Nei primi secoli dell'impero, tuttavia, nel campo dei rapporti coniugali si aprì un'epoca nuova, contrassegnata da mutamenti profondissimi destinati a trasformare il carattere dell'istituto matrimoniale. La generazione della prole resta ovviamente al primo po sto, come il principale dovere della donna nei confronti delle sue due patrie, quella piccola e quella grande: la propria città e tutto l'impero. Al contempo però si cominciò ad attribuire al vincolo una natura più profonda: i coniugi dovevano essere anzitutto amici, compagni di vita, persone sentimentalmente legate tra loro, capaci di aiutarsi nei momenti difficili. n fulcro si sposta dalla sfera esterna, dalle regole della vita socia le, a quella interna della personalità; lo scopo superiore del matrimonio diventa l'intima comprensione di due esseri (ovviamente stiamo sempre parlando di ideali, non della loro realizzazione).
10.17 Due autori quasi cristiani: Plutarco e Musonio Rufo Un testimone di queste trasformazioni è Plutarco di Cheronea (nato pri ma del 50, morto dopo il120), autore di numerosi trattati morali, il quale dedicò una certa attenzione anche al matrimonio e all'eros. Citerò qui al cuni frammenti dei suoi testi, che ci permetteranno di cogliere la partico264
11 matrimonio e il.resso nella teoria e nella pratica ecclesiastica lare atmosfera della nuova morale coniugale. Al lettore contemporaneo le osservazioni di Plutarco potranno in un primo momento apparire una congerie di banalità: cerchiamo però di non dimenticare che proprio in quest'epoca e in questo ambiente tali banalità furono enunciate. Peraltro come i medici dicono che i colpi ricevuti nella pane sin istra del cor po si risentono dolorosamente nella parte destra e viceversa, così a maggior
ragione è bene che la moglie provi gli stessi sentimenti de.l marito e il marito quelli della moglie, affinché, come i nodi si rinforzano l'wl l'altro peT il loro mutuo intrecciarsi, così, offrendosi l'un l'altro reciproca teneTezza, da en trambi gli sposi venga assicurata l'unione della coppia. La natura stessa infatti fa di noi una mescolanza corporea, affinché prendendo una parte daU'uno e una parte dall'altro e fondendole insieme, si renda comune ciò che viene ge
nerato: così dei due ne.�suno potrà riconoscere né distinguere ciò che è pro prio da ciò che è dell'altro.21 Tu sei per lei "padre e nobile madre e fratello" [Omero,
Iliade, VI, 429-430:
di alogo tra Ettore e Andromaca]; non è turtavia meno degno d'onore per un uomo sentirsi dire dalla moglie: "Marito mio, t u sei per me guida, filosofo e maestro delle cose più belle e divine".22
Al contrario nel matrimonio, l'unione perfetta dei corpi è la sorgente della te nerezza. È come una reciproca iniziazione ai più gra ndi misteri. D piacere de i ,
sensi dura poco, ma genera e fa crescere di giorno in giorno, tra gli sposi, il rispetto, la grazia, la dolcezza e la fiducia. [Solone] domandava agli sposi
[ .. ] .
,
E con profonda saggezza che
di unirsi almeno tre volte aJ mese. Non era al
piacere che egli pensava: desiderava che queste unioni canceUassero le contra rietà della vita quotidiana e dessero al matrimonio un soffio nuovo. È così che gli stati, da un periodo aU'altro, devono rinnovare i loro trattati d'alleanza. [. .. ] D'altra parte il rispetto reciproco, così essenziale nel matrimonio, dipende
meno dalla volont à degli sposi d1e dalle leggi e dalle convenienze "che insieme sono il tin1one della nave" [citazione da una t ragedia sconosciuta di Sofocle].
Solo l'amore può mutare i cuori volubili
in
cuori ferventi, togliere loro la fie
rezza, l'arroganza, l'agitazione, per trasfondervi la discrezione, la del.icatezza e le :tttenl'..ioni rccip(oche.2l
Un filosofo stoico contemporaneo di Plutarco, Musonio Rufo, maestro del celebre Epitteto, dedicò, nel suo insegnamento, molto spazio al ma trimonio, del quale pensava pressappoco le stesse cose. Esso doveva consistere nell'associazione esemplare di due persone, accomunate nella buona e nella cattiva sorte, in salute e in malattia. Proprio tale comunio ne doveva costituirne lo scopo specifico: il dare la vita a un nuovo esse-
21
Plutarco,
22lvi, 48.
Filosofia del matrimonio, 20.
2.l Plutarco, Erotica.
Dialogo d'amore, 21. 265 Copyrighted
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Storia della Chiesa nella tarda antichità
re (scopo evidente) non poteva bastare, poiché anche gli animali erano capaci di generare figli; la coppia umana doveva contraddistinguersi per un amore pervaso di dedizione. Secondo Musonio Rufo ogni figlio che nasceva doveva essere educato in nome degli interessi della famiglia e dello stato: più cittadini nascevano, e più la famiglia e lo stato diventa vano forti. L'uomo con molti figli era più potente di quello che ne aveva pochi, come pure chi aveva più amici; niente era più bello di una fami glia numerosa che offriva sacrifici di ringraziamento agli dèi. Chi affer mava di essere troppo povero per allevare molti figli, avrebbe dovuto guardare gli uccelli, che nutrivano la loro prole senza curarsi di accu mulare provviste per l'ora del bisogno. Nel nuovo modo di concepire il rapporto tra i coniugi l'interiorizza zione si estendeva anche ai comportamenti sessuali veri e propri. La brutalità dell'atto in sé, precedentemente (per quel che possiamo saper ne) assai forte, sembra diminuire. l nuovi moralisti dichiaravano con in sistenza che, affinché i figli nascessero sani e normali, la donna avrebbe dovuto essere un partner consenziente, anzi volenteroso, concentrato nell'atto erotico e consapevolmente partecipe alla creazione di una nuo va vita. Le lapidi commemoranti i defunti confermano il quadro che emerge dalle parole di Plutarco. I coniugi vi appaiono insieme, la mano nella mano, lui con un rotolo (il rotolo testimoniava le letture, e quindi la cultura del padrone di casa), lei con il capo modestamente velato. Le mogli vi vengono elogiate per essere state castae, piae, domisedae ("sem pre in casa"), lam/icae ("tessitrici di lana") e, infine, univirae (''mogli di un solo marito").
10.18 Amicizia e salute
L'accento posto sull'amicizia tra i coniugi non significa affatto che Plutarco (e i suoi simili) avessero abbandonato la nozione tradizionale relativa al posto della donna in casa e in famiglia: i cambiamenti di mentalità non abolivano né diminuivano il dominio maschile, che dove va solo essere realizzato diversamente: «
Plutarco, Filosofia del matrimonio, 33. 266
Il matrimonio e il sesso nella teoria e nella pratica ecclesiastica vitù, maschi e femmine (di solito suoi schiavi). Si trattava di una sfera sottratta al controllo pubblico. Così, se il marito desiderava mantenere rapporti più o meno stabili con persone di bassa estrazione (ma solo di bassa estrazione!) fuori di casa propria, il fatto non influiva minima mente sull'andamento del suo matrimonio. Il padrone di casa non do veva invece portare concubine sotto il tetto coniugale, per evitare scon tri che avrebbero avvelenato la vita di entrambi i coniugi. La fedeltà, la lealtà, l'amicizia e la castità erano obbligatorie nei rap porti con persone della propria sfera: la seduzione di una ragazza (o di un ragazzo) dello stesso ambiente era considerata un fatto gravissimo e veniva punita (molto severamente) dalla legge, ma la medesima azione commessa nei confronti di membri appartenenti a strati sociali inferiori era moralmente indifferente. La nuova morale si estese tuttavia anche a questo piano dei rapporti interpersonali, esigendo che l'uomo vi si muovesse con assennatezza e misura, senza soggiacere eccessivamente ai desideri. Un giovane avreb be dovuto cominciare la vita sessuale il più tardi possibile. Giunto alla fine della vita, Marco Aurelio, ricordando la propria gioventù, scriveva: «È certo un beneficio degli dèi [. ] l'aver potuto salvare puro il fiore dei miei anni e non aver dato prova di virilità prima del tempo, ma anzi l'aver durato di più».25 Si tratta di una prescrizione derivante da norme per così dire igieniche: un inizio troppo precoce della vita sessuale po teva turbare l'equilibrio tra corpo e anima, provocare l'effeminatezza (ipotesi terrificante per un esponente dell'élite), diminuire la forza e l'a gilità delle membra. Nella nuova morale le prescrizioni mediche sembravano rivestire un ruolo importante, definendo ciò che andava fatto in obbedienza alle leggi di natura e ciò che invece contrastava tali leggi, causando danni al corpo e alla mente. Si trattava di una morale basata sulla razionalità: per ciò che riguardava sesso e famiglia conveniva comportarsi nel modo che risultava più conveniente sia dal punto di vista sociale che da quello medico. Si trattava di una morale simile a quella cristiana, e al tempo stesso di versa. Un cristiano poteva leggere i trattati morali di Plutarco trovando vi utili consigli, e Clemente Alessandrino, che nel suo Pedagogo copiò molti brani dai testi di Musonio Rufo, poté farlo in perfetta buona fede, dato che in fatto di princìpi familiari e sessuali entrambi la pensavano esattamente allo stesso modo. Tuttavia il cristianesimo, nella sua coe renza, respingeva la morale separata, che trattava in modo diverso gli obblighi delle donne e quelli degli uomini, o i rapporti tra persone ap partenenti o meno allo stesso ambiente. La realizzazione delle norme di quella morale uguale per tutti era un compito estremamente difficile, in quanto presupponeva non solo il distacco dalla tradizione, ma contrad diceva anche un ordine sociale costituito e gerarchizzato. Non tutti i ve scovi e i sacerdoti avevano abbastanza autorità per colpire la sfera di un ..
2�
Marco Aurelio,
Ricordi, l, 17. 267
Storia della Chiesa nella tarda antichità
peccato radicato, fino a quel momento considerato con indulgenza: in questo caso il cristiano comune era disposto a prendere sul serio i pre cetti religiosi ancora meno di quando gli si chiedeva di rinunciare al di vorzio. Perfino una personalità come Cesario di Arles aveva spesso l'im pressione di parlare ai sordi. Questa scarsa efficacia, per quanto riguardava il sesso, del principio di uguaglianza tra uomini e donne e tra i vari strati sociali non deve tut tavia farci trascurare il significato della rivoluzione morale derivante dal messaggio evangelico. La differenza essenziale tra la morale cristiana e quella dei vari Plutarco, Musonio Rufo, Marco Aurelio sta altrove, e cioè nella diversa motivazione di una vita conforme alla morale. La religione di Cristo dava al credente una forza che gli permetteva di realizzare ciò che la ra gione e il desiderio di vivere secondo natura non erano in grado di ot· tenere. L'amore di Dio e la convinzione che il suo sacrificio aprisse le porte della salvezza, a condizione di attenersi umilmente ai suoi precet ti, risultavano molto più efficaci. Inoltre, le comunità riuscivano a eser citare una pressione sociale e a imporre con più forza ai propri fedeli determinati comportamenti, quando le considerazioni di natura religio sa non bastavano. La vergogna causata da una condanna pubblica, gli effetti pratici di un'esclusione dalla Chiesa e l'umiliazione di una peni tenza davanti agli occhi di tutti erano un deterrente tutt'altro che tra scurabile. La vicinanza tra le posizioni pagane e quelle cristiane nel campo della morale non deve stupirei e ancor meno venir interpretata come la prova dell'inferiorità del cristianesimo rispetto alla saggezza pagana (tutto quel che conta nel campo della morale sarebbe stato inventato dai pa gani: un'opinione diffusa in passato, che ancor oggi torna a far capoli no). I desideri dei cuori umani di quei tempi andavano tutti verso la stessa direzione e verso i medesimi scopi. Il messaggio del Vangelo rea lizzava quelle nostalgie e quelle intuizioni meglio delle altre correnti fi losofiche e religiose, e fu questa la ragione della sua vittoria. Ma torniamo alla domanda già proposta all'inizio di questo capitolo: come mai il cristianesimo antico si opponeva con tanto accanimento al l'appagamento dei bisogni sessuali, perfino nell'ambito dell'istituzione matrimoniale, accettata e benedetta dalla Chiesa? Spero di essere riusci ta a convincere il lettore che la cosa non si spiega solo con una reazione ai costumi depravati del mondo pagano.
10.19 Da dove proviene l'avversione dei moralisti cristiani verso il sesso? Da dove proviene l'aggressione antierotica, presente nella letteratura cristiana antica e che contrasta non solo con l'atteggiamento pagano dell'epoca, ma anche con le posizioni cristiane del XX secolo? 268
Il matrimonio e il sesso nella teoria e nella pratica ecclesiastica
Per rispondere alla domanda bisogna cominciare con il dire che non si può esaminare l'atteggiamento verso la sfera del sesso indipendente mente dall'atteggiamento nei confronti del corpo e dei suoi bisogni. È vero che la sfera sessuale veniva considerata con particolare attenzione, che era quasi un simbolo della carnalità di cui rappresentava il princi pale aspetto: ma solo un aspetto. A determinare un atteggiamento posi tivo o negativo nei confronti dell'eros era il rapporto con il corpo, anzi con la materia in genere. Al tempo della crisi della cultura antica (la cri si spirituale, cominciata fin dali secolo, era venuta prima di quella eco nomica e politica) si sviluppò una corrente caratterizzata da una cre scente e addirittura ossessiva ostilità verso la materia, quindi verso il corpo e le sue necessità. Questa corrente, già presente in tempi anterio ri e di cui troviamo tracce addirittura nella Grecia arcaica, aveva sem pre avuto un carattere marginale, ispirando fenomeni estremamente in teressanti nella sfera religiosa e filosofica, ma senza mai riuscire a fare molti proseliti. Via via che le basi del modo di pensare antico crollava no, essa divenne sempre più importante. Nella grande corrente della condanna della corporalità all'insegna del dualismo tra corpo e anima, trovavano posto tendenze molto diverse tra loro, che indicavano diversi modelli di vita ai propri seguaci. Comune a tutte era la convinzione dell'abisso tra spirito e materia, del loro eterno conflitto, del fatto che nella materia fossero imprigionate particelle, o scintille, di spirito che tendevano faticosamente a liberarsi. L'odio per il corpo portava a posizioni ascetiche, giacché l'avvicinamento alla sfera dello spirito poteva avvenire solo a patto di imporre al corpo durissime limitazioni. Diverso invece era il modo in cui le varie tendenze spiega vano come mai lo spirito fosse stato sepolto nella materia e quale via scegliere per invertire quell'infausto processo. Troviamo il dualismo in diverse varianti dello gnosticismo; nel neo platonismo, che acquisì una posizione dominante negli ambienti intel lettuali dell'impero romano; nelle sette neopitagoriche e neo-orfiche e, in forma estrema, nel manicheismo, che tradusse il suo odio per la ma teria nel divieto di lavorare (perché il lavoro crea nuovi oggetti, molti plicando le prigioni dello spirito) e di procreare. Il dualismo comparve anche nel cristianesimo, sedotto, sia pure in parte e con molte resisten ze, da questa grande tentazione. La Chiesa continuò sempre a sottoli neare la natura positiva della procreazione, combattendo le frange estremiste del movimento ascetico che negavano il battesimo e la parte cipazione al culto a chi manteneva il vincolo matrimoniale. Una religio ne fondata sulla Bibbia non poteva coerentemente condannare l'atto della creazione: ciò che era stato fatto da Dio non poteva essere sostan zialmente cattivo. Con il passare dei secoli la tentazione dualista sbiadì e i concetti scatu riti per suo influsso vennero emarginati, anche se non totalmente elimi nati. Alle religioni, compresa quella cristiana, riesce molto difficile aboli re definitivamente dei concetti un tempo vitali; essi infatti costituiscono 269
Storia della Chiesa nella tarda antichità un tipo di esperienza umana che per sua stessa natura non soggiace a una verifica razionale: il più delle volte i cambiamenti subentrano per ef fetto dell'estinguersi (o svilupparsi) di certi filoni particolari della dottri na. È così che si spiegano tutte le contraddizioni del pensiero cristiano, tanto più gravi in quanto sorrette dall'autorità dei Padri della Chiesa, impaniati in tentazioni dualistiche (che, fatto importante, essi combatte vano, seppure solo entro cerri limiti). Per quanto questo bagaglio storico sia pesante e difficile da rimuovere, non c'è dubbio che per il cristianesi mo moderno, al contrario che per il cristianesimo di secoli fa, la gioia che un uomo e una donna trovano nel legame erotico è un dono di Dio, e non di Satana.
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11. La Chiesa e le donne
Voi tutti
[... ]
infatti, quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di
Cristo. Non c'è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, perché tutti siete una sola persona in Cristo Gesù.
(Gal, 3, 26-28)
Tu, donna, partorisci tra dolori angosciosi, la tua attenzione è per il tuo uomo ed egli è
il
tuo padrone: e non sai di essere Eva? In questo mondo è
ancora operante la sentenza divina contro codesto tuo sesso: è necessario che duri anche la condizione di accusata. Sei tu la porta del diavolo, sei tu che hai spezzato il sigillo dell'Albero, sei tu la prima che ha trasgredito la legge divina, sei stata tu a circuire colui che il diavolo non era riuscito a rag girare; tu, in maniera tanto facile hai annientato l'uomo, immagine di Dio; per quello che hai meritato, cioè la morte, anche il figlio di Dio ha dovuto morire.1
Da un lato, dunque, l'assoluta uguaglianza in Cristo; dall'altro, la con dizione di colpevole del peggior delitto dell'umanità: tra questi due estremi trovano posto le numerose, spesso contraddittorie e incoerenti visioni degli antichi cristiani della donna, visioni che oggi, sorprenden temente, suscitano molte più reazioni emotive di quanto comportereb be la loro natura storica. Il cristianesimo antico viene spesso accusato di ostilità verso la donna, soprattutto da parte delle femministe, ma non solo da loro. È evidente che il passato in sé non susciterebbe tante controversie, se non fosse che i giudizi formulati secoli fa sono soprav vissuti e rimangono un fondamento dottrinale di tutte le varianti cri stiane; le controversie riguardano quindi il giorno d'oggi, e non l'anti chità. Questo "giorno d'oggi" non sarà oggetto delle mie considerazioni: non ho intenzione di stabilire se la Chiesa cattolica o le altre Chiese sia no ostili o favorevoli alle donne (ammesso che ci si possa esprimere in un modo così semplificato): lt: conoscenze c he possiedo in quanto stu diosa dell'antichità non mi autorizzano a tanto. Non mi occuperò nem meno dell'uso che oggi si fa dei resti, risalenti agli inizi della storia della Chiesa, su tale argomento.
1
Tertulliano, I.:eleganza
delle donne, l, 1-2. 271
Storia de lla Chiesa nella tarda antichità 11.1 Le lettere del corpus paolino sul ruolo delle donne nella Chiesa
Nelle lettere dell'apostolo Paolo contenute nel Nuovo Testamento al cuni brani si occupano in modo particolare delle donne, del loro ruolo nella famiglia e nelle comunità dei seguaci di Cristo. Sarà bene ricor darle: Voi, donne, siate soggette ai vostri mariti, com'è conveniente, nel Signore. Voi, mariti, amate le vostre mogli, e non trattatele con asprezza. Voi, figli, obbedire in tutto ai vostri genitori, perché questa è cosa gradita al Signore.
(Col 3, 18-20)
Le donne siano soggette ai loro mariti come al Signore, perché il marito è capo della donna, come Cristo è capo della Chiesa, del cui corpo egli è il sal vatore. Come la Chiesa è soggetta a Cristo, così le donne stiano soggette in tutto ai loro mariti. E voi, mariti, amate le vostre mogli come Cristo amò la Chiesa e sacrificò se stesso per lei, per santficarla.
[. .. ]
Così i mariti devono amare le loro mogli,
come i loro propri corpi; chi ama la propria moglie, ama se stesso.
(E/5, 22-28)
Perché Dio non è un Dio di disordine, ma di pace. Come in tutte le Chiese dei santi, le donne nelle riunioni tacciano, perché non è stata affidata a loro la missione di parlare, ma stiano sottomesse, come dice anche la legge. Se vo gliono essere istruite in qualche cosa, interroghino i loro mariti a casa.
(1
Cor
14, 33-35) Così, quindi, voglio che gli uomini preghino in ogni luogo, innalzando mani pure senza collera e discussioni. Voglio altresì che le donne siano vestite con decoro, adorne con modestia e verecondia, non di trecce d'oro, di perle e di vesti lussuose, ma di opere buone, come si conviene a donne che fanno pro fessione di pietà. La donna ascolti l'istruzione in silenzio, con piena sommissione. Non permet to alla donna di insegnare né di dettar legge all'uomo, ma se ne stia in pace. Prima, infatti, fu formato Adamo e solo dopo Eva;
c
non fu Adamo a essere
sedotto, ma fu la donna che, sedotta, si rese colpevole di trasgressione. Tuttavia ella si salverà mediante la maternità, purché perseveri nella fede, nel la carità e nella santità con discrezione.
(1
Tm 2,
8-15)
Le donne d'età abbiano un samo decoro nel loro comportamento, non siano maldicenti, non dedite al vino; siano invece maestre nel bene, sicché sappiano insegnare alle giovani ad amare i loro mariti e i propri figli; a essere prudenti, caste, affezionate alla casa, buone, soggette ai loro mariti.
(Tt 2, 3-5)
Molti biblisti del XX secolo ritengono che non tutte le lettere che la tra dizione attribuisce a Paolo siano realmente di sua mano. Una parte nac que nella cerchia dei suoi discepoli (certune, forse, addirittura nella cer272
La Chiesa e le donne
chia dei discepoli dei suoi discepoli, quindi già alle soglie delu secolo). Gli autori, celandosi dietro la figura dell'apostolo, gli prestavano i pro pri testi nella speranza di innalzarli di grado, di aumentare la loro auto rità. Molto probabilmente essi sfruttarono lettere e biglietti autentici di Paolo, introducendovi le proprie considerazioni. La divisione tra lettere "paoline" e "non paoline" riveste una grande importanza per i nostri ragionamenti: nella seconda metà del I secolo molte cose cambiarono nelle comunità cristiane e tra i vari cambiamenti alcuni riguardarono il posto spettante alle donne nella Chiesa. I dubbi sulla paternità paolina riguardano soprattutto le cosiddette "lettere pastorali": le due a Timoteo e quella a Tito. Più controversa ap pare invece l'attribuzione della Lettera agli E/esini e della Lettera ai Colossesi, circa le quali le opinioni degli specialisti sono nettamente di vise. Una questione a parte è rappresentata dalla paternità del brano della Prima lettera ai Corinti sopra citato; vedremo più avanti da dove provengano i dubbi in materia. Tutte queste considerazioni sulla paternità delle lettere che formano il corpus paolino acquistano importanza solo secondo una prospettiva storica. Per i cristiani antichi che si richiamavano ai precetti contenuti in quei testi il problema non esisteva e tutte le lettere venivano conside rate opera dell'apostolo.
11.2 San Paolo ostile alle donne?
Oggigiorno i testi da me citati vengono sentiti come ostili alle donne sia dai fautori (o dalle fautrici) dell'uguaglianza femminile, sia dai suoi av versari (che li citano con soddisfazione). li contrasto con ciò a cui siamo stati abituati dalla tradizione europea del XX secolo è impressionante. In quasi duemila anni la situazione delle donne, in un mondo profon damente trasformato, ha subito dei cambiamenti di vastissima portata. In genere tendiamo a non rendercene conto, conservando un'impres sione ereditata dal passato: la quotidiana diffidenza verso la capacità delle donne, la loro inferiorità nel campo della carriera professionale e nella sfera materiale in genere, nonché una serie di piccole e grandi ma levolenze. E tuttavia questi fenomeni non sono in grado di eliminare un fatto fondamentale: la norma del mondo "civile" è diventata quella di arrivare a trattare le donne alla pari degli uomini. Proprio per questa ra gione tutte le affermazioni sulle donne, sorte nel passato (non solo cri stiano) ci appaiono intrise di ostilità per il sesso femminile. La nuova situazione delle donne è l'effetto di molti importanti cam biamenti nelle questioni fondamentali della nostra esistenza, e non me rito esclusivo del movimento femminista, organizzato da rappresentanti dell'élite sociale. Molto più importanti di tante dimostrazioni risultaro no le nuove condizioni del vivere quotidiano (il non dover più portare l'acqua, accendere il fuoco, fare il pane, lavare i panni nel fiume, cucire 273
Storia della Chiesa nella tarda antichità
a mano i vestiti ecc.), nonché i bisogni dell'industria, che non potrebbe più fare a meno della manodopera femminile. La nuova medicina, ab bassando considerevolmente la mortalità infantile, ha eliminato la ne cessità sociale di molteplici gravidanze che, insieme alla cura dei bambi ni, assorbivano la vita delle donne dei secoli passati. La mentalità della donna è stata profondamente trasformata dalle sempre migliorate tecni che di prevenzione delle nascite. Le scuole uguali per i due sessi e la possibilità di accedere a carriere d'ogni genere hanno affrancato le don ne dalla loro condizione di "semibambine", impreparate a muoversi au tonomamente nel mondo, indifferenti a quanto accadeva nel mondo stesso e chiuse nella cerchia ristretta delle faccende domestiche. Tali cambiamenti fanno sì che le nostre personali esperienze non faci litino la comprensione del mondo delle donne del passato e della loro mentalità. La posizione di Paolo e quella degli uomini di Chiesa delle successive generazioni vanno infatti confrontate non con ciò che oggi ci pare buona norma, ma con la norma di quei tempi.
11.3 La posizione delle donne nelle comunità ebraiche e pagane
Le comunità ebraiche agli inizi del cristianesimo erano incentrate su un modello familiare arcaico, dove la donna aveva poco da dire. Le pareti domestiche costituivano le frontiere della sua attività: solo le grandi dame dell'élite e le donne del popolo sfuggivano a quella chiusura. Uscendo per strada la donna si velava il viso, raramente aveva occasione di parlare con uomini estranei. Gli interessi della donna-moglie erano mal tutelati: l'uomo poteva facilmente sciogliere il matrimonio, inviando alla moglie una lettera di divorzio, anche per motivi quali un cattivo ca rattere, mentre la donna otteneva il divorzio soltanto in casi eccezionali. La sua testimonianza in tribunale era priva di valore, esattamente come quella di un bambino. I precetti del culto costringevano spesso la donna a una vera e pro pria segregazione, che poteva anche protrarsi a lungo: mestruazioni, perdite di sangue al di fuori delle mestruazioni, parti, contatti con par torienti (anche per chi esercitava il mestiere di levatrice) ne facevano un essere ritualmente impuro, che poteva contagiare il prossimo (la puer pera restava macchiata per quaranta giorni dopo la nascita di un figlio, ottanta dopo la nascita di una figlia). La partecipazione attiva della don na alla vita religiosa era estremamente limitata. Da lei non solo non ci si aspettava il pellegrinaggio periodico a Gerusalemme, ma non le veniva neanche richiesto di recitare quotidianamente la professione di fede: «Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, l'unico Signore. Ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le tue forze». Non era obbligata a partecipare alle preghiere che si recitavano nella sinagoga, e se vi si trovava (in un luogo a parte, separato), non contava agli effetti del raggiungimento del numero di persone indispen274
La Chiesa e le donne
sabile per poter recitare la preghiera pubblica. Non partecipava allo studio della Torah (non che ciò le fosse proibito; conosciamo casi di ebree che leggevano il libro sacro, ma si trattava di eccezioni confer manti la regola). Nel culto espletato nell'ambito della vita quotidiana spettava a lei ac cendere le lampade e cuocere il pane per lo shabbat; era lei che lavava i morti e innalzava lamenti, ma le preghiere restavano una prerogativa maschile. Vista sullo sfondo dei costumi e della mentalità ebraici, l'affermazio ne di Paolo sull'uguaglianza di tutti in Cristo contenuta nella Lettera ai Galati suonava decisamente rivoluzionaria. Nel mondo pagano al tempo dell'impero la situazione delle donne era relativamente migliore, la protezione legale più efficace, e maggiore an che la libertà di muoversi e di partecipare alla vita collettiva. Il culto la sciava loro più spazio: non solo esistevano culti specificamente femmi nili, dove le funzioni sacerdotali e la partecipazione ai riti erano riserva te solo alle donne, ma esse svolgevano un ruolo attivo in molti altri cul ti. La società pagana dell'impero romano era tuttavia ben lontana dal considerare le donne esseri dotati di capacità pari a quelle degli uomini, e ciò riguardava le donne di ogni ceto sociale. Le donne alle quali arrivava il messaggio biblico non avevano quindi motivo di prendere le parole sulla sottomissione al marito come un tor to nei loro confronti. Per loro era molto più importante la frase della Lettera ai Galati citata all'inizio del capitolo.
11.4 Il grave problema delle donne che profetizzano Se si leggono con attenzione i testi del corpus paolina pervenuti fino a noi, si arriva alla conclusione che il messaggio sull'uguaglianza nella fede fu accolto con entusiasmo dalle donne. Il Nuovo Testamento ci fornisce prove del fatto che nella prima generazione di cristiani le don ne riuscivano a svolgere un ruolo più importante di quello assegnato loro dai capi della Chiesa di epoche successive. Negli Atti degli Apostoli Pietro, parlando agli ebrei dopo la discesa dello Spirito Santo, dice: «Quanto accade è ciò che fu predetto dal profeta Gioele: "Negli ultimi giorni, dice il Signore, io spanderò del mio spirito sopra ogni carne, e profeteranno i vostri figli e le vostre figlie"» (At 2, 16-17). Durante il soggiorno a Cesarea Paolo si ferma in casa di Filippo, uno dei sette, che aveva quattro figlie profetesse (At 21, 9). Anche nella comunità corinzia profetavano le donne. Nella Prima let tera ai Corinti (11, 4-8) Paolo scriveva: Ogni uomo che prega o profetizza a capo coperto, disonora il suo capo;
al
contrario, ogni donna che prega o profetizza a capo scoperto, disonora la sua testa, perché è come se fosse rasa.
[. . ] .
275
L'uomo, invece, non deve coprirsi la
Storia della Chiesa nella tarda antichità testa, perché è immagine e gloria di Dio; mentre la donna è gloria dell'uomo. Infatti l'uomo non ebbe origine dalla donna, ma fu la donna a esser tratta dall'uomo.
Questo testo, che dichiara la subordinazione delle donne agli uomini ma considera normale il fatto che le donne profetizzino, contrasta cla morosamente con la succitata frase della medesima lettera, dove si proi bisce severamente alle donne di parlare durante le riunioni. Delle contraddizioni contenute nel Nuovo Testamento si rendeva conto il grande esegeta biblico Origene, che doveva anche spiegare come conciliare gli esempi di donne profetesse presenti nell'Antico Testamento con il divieto di insegnare, imposto da Paolo alle donne. Origene risolveva la contraddizione con l'idea che quei casi riguardas sero situazioni fuori dalle riunioni: le donne predicavano effettivamente la parola di Dio, ma in privato. I più recenti studi sul Nuovo Testamento, indicanti che il corpus pao lino si formò in fasi successive, aprono agli storici del cristianesimo la possibilità di risolvere le contraddizioni tra due passi della Prima Lettera ai Corinti, attribuendole a due diverse fasi della sua redazione. La frase contenuta nel passo 14, 33-35, che esprime opinioni concordi con quel le espresse nella Prima Lettera a Timoteo (il cui autore non è Paolo), sa rebbe un'interpolazione più tarda. Comunque è più facile eliminare dalla Prima lettera ai Corinti quel piccolo brano (14, 33-35) che non il lungo pezzo (11, 2-16) sull'obbligo delle donne di coprirsi la testa (e sul corrispondente divieto per gli uomini di fare altrettanto): i concetti di questo secondo passo concordano con affermazioni contenute in altre lettere, sicuramente di mano dell'apostolo. Niente sembra indicare che le profetesse della prima generazione cri stiana contestassero la supposta inferiorità del proprio sesso; tuttavia l'ammissione di tale inferiorità non impediva loro affatto di annunciare pubblicamente ciò che lo Spirito Santo dettava per bocca loro. Il ruolo attivo di donne che insegnavano agli uomini, uscendo dal l'ombra in cui le aveva relegate la mentalità antica, risultò inaccettabile alle generazioni successive, quando la guida della Chiesa venne affidata sempre più spesso a persone prive di carisma, scelte tra i fedeli in ragio ne della loro religiosità, della loro vita onesta e regolata, e della capacità di amministrare gli affari della comunità. I profeti delle comunità in contravano una crescente diffidenza, e sebbene non fossero affatto scomparsi dalla Chiesa, avevano sempre meno credibilità. Le profetes se, poi, suscitavano ancor più diffidenza degli uomini: il fatto stesso che si trattasse di donne disponeva criticamente verso ciò che dicevano e fa cevano, per cui era più facile combattere loro che non i carismatici pro feti di sesso maschile. La crescente diffidenza nei confronti dei carismatici trova espressione nelle "lettere pastorali", il cui autore reagisce con particolare irritazione alla pretesa delle donne di esercitare un ruolo attivo nelle comunità. 276
La Chiesa e le donne 11.5 Il ruolo delle donne nei movimenti eterodossi
Sembra che, mentre nella Grande Chiesa le aspirazioni femminili a pren dere la parola nelle riunioni fossero, se non eliminate, ridotte il più possi bile, esse sopravvivessero in ambienti situati ai margini o addirittura fuori di essa, nonché in correnti religiose parzialmente ispirate al cristianesimo. Tra gli gnostici le donne potevano essere riconosciute degne di ricevere la rivelazione segreta: la letteratura gnostica attribuiva per esempio tale ruolo a Maria Maddalena. Simon Mago era accompagnato da una donna di nome Elena. Marcione aveva mandato a Roma una donna per prepara re altre donne ad accogliere la propria dottrina; secondo Marcione le donne potevano battezzare e svolgere funzioni sacerdotali. A Roma l'in segnamento di Carpocrate era diffuso da una certa Marcellina. Apelle, di scepolo di Marcione e fondatore di una setta gnostica, aveva subito l'in flusso della profetessa vergine Filomena. Le donne erano il pilastro della setta montanista, nata in Frigia nella metà del n secolo. Accanto a Montano, Priscilla, Massimilla e Quintilla profetizzavano l'imminente fine dei tempi e l'approssimarsi del regno ce leste, esortando alla continenza. Su diciannove delle profezie montaniste pervenuteci, sette sono opera delle tre donne. Secondo Priscilla, Cristo le era apparso in forma di donna magnificamente vestita, l'aveva colmata della Saggezza e aveva annunciato che la Gerusalemme celeste sarebbe scesa dal cielo nel villaggio frigio di Pepuza. Dopo la morte di Montano la guida del movimento passò a Massimilla. Eusebio cita le sue parole: «Vengo tenuta alla larga dalle pecore come un lupo. Non sono un lupo. Sono la Parola, lo Spirito, il Potere». Epifania di Salamina a Cipro, auto re di un'opera contro tutte le eresie e costretto, per scopi polemici, a de scriverle, sosteneva che, sulla base delle parole di Paolo nella Lettera ai Galati, certe donne montaniste erano consacrate sacerdoti e vescovi. Tertulliano ci informa dell'esistenza a Cartagine di donne le cui aspira zioni esulano dal campo d'azione consentito al loro sesso. Nel trattato Sutla prescrizione contro gli eretici, descrivendo il comportamento degli eretici (eretici in genere e non membri di una setta precisa), scrive: «Le stesse donne eretiche come sono sfacciate! Osano insegnare, disputare, compiere esorcismi, promettere guarigioni, forse anche battezzare».2 Convertitosi al montanismo, Tertulliano si richiamava alle profezie di Priscilla, ma ciò non gli impediva di attaccare le donne per la loro pretesa di battezzare, insegnare, fare l'offerta ed esorcizzare.
11.6 Tempo di vedove
Nei secoli seguenti la situazione si ripeterà: le donne acquisteranno im portanza nelle correnti religiose di impronta profetica escluse dalla 2
Terrulliano, Sulla prescrizione contro gli eretici, 277
XLI,
2, 6.
Storia della Chiesa nella tarda atJtichità Grande Chiesa, oppure sorte al di. fuori di essa. Ma anche nelle comu nità interne alla Chiesa possiamo osservare (sia pure più di rado che presso gli eretici) fenomeni indicanti che non tutte le donne accettava no le limitazioni loro imposte; ciò r4,ruardava soprattutto un ambiente estremamente interessante, quello delle vedove. Oggigiorno le vedove non formano un gruppo a sé stante nella vita sociale né costituiscono un particolare problema nella vita ddla Chiesa, perciò non siamo abituati a considerarle una categoria a parte. Ma nei secoli passati (la cosa non riguarda solo l'antichità) il problema delle ve dove esisteva, e per vari motivi era un problema assai grave. Le vedove formavano lma categoria di donne bisognose di protezione. Le più povere tra loro, soprattutto quelle senza paremì prossimi (o di cui la famiglia non aveva intenzione, o non era in grado, di occuparsi), pote vano trovarsi completamente prive di sostentamento. Particolarmente drammatica era poi la situazione delle donne con figli piccoli, oppure vecchie e malate. Ma anche quelle che possedevano qualche mezzo pote vano trovarsi nei guai: per difendere gli interessi patrirnoniali (e d'altro genere) propri e dei figli, o per conn·apporsi alle pressioni della famiglia che voleva costringerle a un matrimonio sgradito, occorreva l'appoggio di una persona fidata e provvista di prestigio sociale. Anche se la vedova ap parteneva al gruppo privilegiato delle donne che avevano avuto tre figli e aveva quindi diritto di andare in tribunale senza un tutore, in wla società governata dagli uomini e che trattava male le donne, essa solo a fatica riu sciva a ottenere ciò che le spettava di diritto. Inoltre le giovani donne che sì ostinavano a restare vedove si esponevano all'accusa di non rispettare i prìndpi morali: si sospettava infatti che avrebbero cercato soddisfazioni sessuali in rapporti con liberti, schiavi e gente di basso rango sociale. Fù1 dal loro sorgere, quindi, le comunità cristiane considerarono un loro dovere la protezione delle vedove, al pari di quella degli orfani e dei malati. Le vedove necessitavano d'aiuto: alcune di loro, però, potevano an che svolgere attività all'interno della comunità mettendo al suo servizio il proprio tempo, la propria cultura, il denaro, le relazioni. Le ambizioni delle vedove (ovviamente di alcune di loro) erano comprensibili: se pos sedevano forze e mezzi sufficienti erano pronte a offrirli al prossimo, pur di paterne disporre personalmente e manifestare pubblicamente la propria attività di beneficenza. Il patronato economi.co sulle comunità (in questo caso da parte di persone bisognose esse stesse della protezio ne dell'istituto da loro protetto: paradossale ma vero) si collocava nelle migliori tradizioni dell'élite, che si sentiva responsabile della sorte dei concittadini. Il Vangelo trovava quindi un'accoglienza particolarmente calorosa da parte delle vedove, sia gueUe in condizioni disagiate, sia quelle che po tevano aiutare il prossimo. Le disgrazie personali ne potenziavano la sensibilità e il fervore religiosi. Il servizio di Dio e della comunità diven tava il principale scopo e iJ senso della loro vita. 278 Copyrighted
m
aterial
La Chiesa e le donne
Alle vedove è dedicato un lungo paragrafo della Prima lettera a Timoteo (5, 3-16) che offre una preziosissima testimonianza delle partico lari difficoltà e della particolare mentalità di quel gruppo di persone: Onora le vedove, queUe che sono veramente tali. Se una vedova ha figli o ni poti, insegni loro prima di tutto a esercitare la pietà verso la propria famiglia e a ricompensare i loro genitori: questa è cosa gradita a Dio. Colei che è veramente vedova, ed è rimasta sola, ripone la sua speranza in Dio e persevera notte e giorno nelle suppliche e nelle orazioni. Ma quella che vive in mezzo ai piaceri è morta, benché sia ancora in vita. Raccomanda loro queste cose, affinché siano irreprensibili. [ .. . ] Una donna per essere iscritta nell'elenco delle vedove deve avere almeno sessant'anni ed essere stata moglie di un solo marito. Bisogna che sia raccomandabile per le sue opere buone, abbia allevato bene i figli, esercitato l'ospitalità, lavato i piedi ai santi, soccor so i bisognosi e praticato il bene sotto tutte le forme. Rifiuta invece le vedove giovani, perché quando i loro desideri le distaccano da Cristo, vogliono rima ritarsi, incorrendo così nella dannazione, perché vengono a violare l'impegno che avevano preso. Inoltre, non avendo nulla da fare, si abituano a girar per le case, e non solo sono oziose, ma anche chiacchierone, indiscrete, parlando di ciò che non devono. Voglio dunque che le vedove giovani si risposino, ab biano dei figli, sappiano dirigere bene la loro casa e non diano alcun motivo di maldicenza all'avversario. Perché alcune hanno già deviato per seguire Satana. Se qualche fedele, uomo o donna, ha delle vedove nella sua parentela, le assista, perché non siano a carico della Chiesa, sicché essa possa aiutare quelle che sono veramente vedove.
11.7 Vedove canoniche e vedove giovani
L'autore della Prima lettera a Timoteo non nutre un'eccessiva simpatia per le vedove: nelle sue parole si avverte la stessa irritazione che traspare nel passo sulle donne che prendono la parola nelle riunioni. Ripete giu dizi tradizionali provvisti di una genealogia (pagana!) incredibilmente lunga: le vedove sono indiscrete, intriganti, instabili nelle decisioni. Dalla Prima lettera a Timoteo emerge chiaramente che ai tempi in cui questo testo ebbe origine esisteva già l'istituzione delle vedove per eccel lenza, ossia quelle iscritte in un ordine (in greco cherai kanonzkai, "vedo ve canoniche"). Si trattava di donne che avevano giurato di mantenere lo stato vedovile e di dedicare la vita alla preghiera e al servizio della Chiesa. L'autore della Prima lettera a Timoteo vorrebbe limitare conside revolmente l'accesso a questo gruppo elitario. Lo si deduce dal precetto di iscrivere nell'ordine solo donne almeno sessantenni: a quell'epoca le vedove che sopravvivevano fino a quell'età erano ben poche. In una raccolta di regole della vita ecclesiastica nota con il titolo Tradizione apo.rtolica e scritta probabilmente nella prima metà del m se colo troviamo interessanti informazioni sulle vedove: 279
Storia della Chiesa nella tarda antichità Quando si istituisce una vedova, non riceve l'ordinazione, ma solo il titolo.
[ ] La vedova venga istituita con la sola parola e poi venga aggregata alle al ...
tre. Non si imporranno le mani perché non fa l'offerta e non presta alcun ser vizio liturgico. L'ordinazione è riservata per il servizio liturgico, mentre la ve dova è istituita perché preghi, che poi è dovere di tutti.l
Questa spiegazione di un fatto evidente appare strana e tradisce l'ambi zione nutrita dalle vedove di espletare funzioni liturgiche loro negate. I vescovi dovevano anche far fronte a pressioni per allargare il prestigioso gruppo con l'inserimento di vedove giovani. Naturalmente tutto quel che rientrava nei compiti delle "vedove canoniche" poteva spettare anche alle vedove comuni: la preghiera, le opere di carità, il servizio presso i membri del clero. La differenza consisteva nel riconoscimento pubblico dei servi gi di quelle donne sole, nel rispetto dal quale erano circondate, nella par ticolare posizione di cui godevano in confronto alle vedove laiche. Non credo che la Chiesa rifiutasse l'aiuto materiale alle vedove non iscritte nell'ordine: ciò avrebbe creato un contrasto troppo clamoroso con le regole di carità delle comunità cristiane, che consideravano l'aiu to ai bisognosi un dovere sacro e fondamentale. Essa cercava piuttosto di limitare in vari modi l'accesso al gruppo elitario, che agli occhi dei più doveva sembrare una specie di ordinamento ecclesiastico. Il timore che il giuramento di restare vedove non venisse mantenuto era fondato per quanto riguardava le vedove giovani, categoria alquanto numerosa. Molti erano i matrimoni contratti tra ragazze adolescenti e uomini maturi, che morivano prima delle loro mogli (sempre che queste non morissero di parto, ma in tal caso il padrone di casa se ne prendeva un'altra e la differenza d'età si faceva ancora più alta). La protezione di queste giovani vedove doveva risultare particolarmente gravosa alla Chiesa, e l'impaziente affermazione dell'autore della Prima lettera a Timoteo, «Voglio dunque che le vedove giovani si risposino, abbiano fi gli», enunciata per giunta da un uomo profondamente convinto dell'as soluta unicità delle nozze, lascia intuire le brutte esperienze già verifica tesi a questo proposito. I mordaci giudizi sulle vedove contenuti nella Prima lettera a Timoteo furono ripresi, più di un secolo dopo, dall'autore della Didascalia, il te sto di cui abbiamo già parlato in uno dei capitoli precedenti. L'autore dedica molto spazio all'argomento delle vedove, uno spazio quasi spro porzionato: si vede che esse gli procuravano noie. La Didascalia abbassa l'età della vedova (quella "canonica") a cin quant'anni, passati i quali il nome della donna può essere inserito nel l'ordine. Ovviamente le vedove più giovani meritavano cura e aiuto, so prattutto per facilitare loro il mantenimento dello stato vedovile (per quanto l'autore si affretti ad aggiungere che un secondo matrimonio può essere accettato, mentre non esita a definire "meretrice" la donna che ne 3
Pseudo Ippolito, Tradizione apostolica, 10. 280
La Chiesa e le donne contragga un terzo). n vescovo doveva provvedere alle necessità materia li delle vedove povere, che in cambio avrebbero pregato per i loro bene fattori. Le vedove dovevano essere miti, pacate, silenziose, non litigiose e senza ira. Dovevano stare in casa e pregare notte e giorno. Su comando del vescovo o del diacono si sarebbero recate dalle ammalate per pregare con loro: la visita doveva essere preceduta dal digiuno e dall'imposizione delle mani sulla vedova, che a sua volta avrebbe imposto le proprie sul l'ammalata. La Didascalia ci offre un ritratto estremamente pittoresco della cattiva vedova: irrequieta, sempre in visita nelle case altrui, pettegola, avida di guadagno, praticante l'usura, pronta ad abbandonare a metà la funzione, incapace di concentrare sulla preghiera la mente continuamente distratta da pensieri terreni. Un intero passo è dedicato a considerazioni sull'invi dia che avvelena l'atmosfera della cerchia vedovile: le donne povere, mantenute dalla Chiesa, osservano attentamente ciò che le altre ricevo no, con il risultato di cattiverie reciproche e di rancori a non finire nei confronti del vescovo. L'autore della Didascalia attacca le vedove non solo per i loro difetti di carattere, visti al solito secondo le categorie proprie della moralistica antica, che trattava le donne con durezza. Le vedove pretendevano di rivestire un ruolo importante nella vita religiosa della comunità, un ruo lo che la tradizione ecclesiastica non contemplava. Veniamo a sapere che esse spiegavano le verità di fede, invece di indirizzare ai superiori coloro che volevano essere catechizzati. Gli unici temi loro consentiti erano «la distruzione degli idoli e l'unicità di Dio». n vescovo giustifica va la propria opinione dicendo che l'insegnamento impartito dalle ve dove risultava inefficace e suscitava la derisione dei pagani; ricordava che le donne non avevano il diritto di insegnare (non citava le lettere di Paolo, ma le aveva sicuramente presenti) e che dovevano solo pregare Dio. Gesù Cristo, nella cui cerchia si trovavano anche delle discepole, affidò il compito di diffondere le verità della fede non a loro, ma agli apostoli di sesso maschile. Nell'ambiente in cui viveva l'autore della Didascalia le vedove si attri buivano il diritto di impartire il sacramento del battesimo (ovviamente solo in casi eccezionali, come il pericolo di morte). Tuttavia le donne non dovevano mai battezzare: ciò era pericoloso sia per colei che bat tezzava sia per chi veniva battezzato (non ci viene spiegato in che cosa consistesse il pericolo. Saperlo sarebbe interessante: l'autore riteneva forse che un simile battesimo avesse meno valore?). Se le donne avesse ro potuto battezzare, Nostro Signore sarebbe stato battezzato da Maria, sua madre, invece fu battezzato da Giovanni... L'ambito delle azioni riprovevoli per le vedove era piuttosto ristretto. Esse non pretendevano di insegnare alle assemblee (il testo non ne fa pa rola), limitandosi a predicare le verità di fede tra le mura di casa. Ma an che questo veniva loro proibito, a causa della loro bassa posizione nella società e delle scarse conoscenze religiose. 281
È difficile evitare l'impressio-
Storia della Chiesa nella tarda antichità
ne che il vescovo si vergognasse un po' nei confronti dei pagani per il fatto che nella sua comunità le donne rivestivano tanta importanza. L'aiuto delle vedove era comunque estremamente utile: oltre al visita re le ammalate, espletavano sicuramente altri servizi. Un ruolo non in differente nel bilancio era rappresentato dai mezzi che le vedove ab bienti mettevano a disposizione della Chiesa. Esse però dovevano ri nunciare a prendere iniziative personali e rimettersi esclusivamente alle disposizioni del vescovo, dei diaconi e dei presbiteri. Ciò che proveniva da idee personali si sarebbe rivoltato contro di loro e Dio non avrebbe riconosciuto i loro meriti (è una minaccia grave da parte dell'autore, che sembra avere una visione un po' ragionieristica del rapporto di Dio con gli uomini. Le vedove iscritte all'ordine delle "canoniche" ricevevano parte dei donativi offerti dai fedeli: «Quanto poi viene dato a ciascuna delle anzia ne se ne dia il doppio ai diaconi, a onore di Cristo; ma a colui che presie de si dia il quadruplo, a gloria dell'Onnipotente. Se uno vuole onorare anche i presbiteri, darà loro il doppio, come ai diaconi».4 Si tratta di un'informazione estremamente importante (purtroppo unica per quell'e poca). L'autore inoltre non distingue più tra vedove povere e vedove ab bienti; la quota (di prodotti? di denaro?) spetta a ogni vedova iscritta nei registri. Sicuramente le donne ricche, che davano alla Chiesa molto più di quanto ne ricevessero, tenevano molto alla quota dovuta, in quanto essa rappresentava un segno tangibile della loro distinzione e della loro appartenenza al novero del clero (sia pure al livello più infimo; d'altron de non potevano sperare altro). Nel primo capitolo ho già avuto occasio ne di parlare della natura di queste assegnazioni per i membri del clero. Viene spontaneo un paragone con le assegnazioni di grano o di pane nel le città dell'impero romano. Documenti papirologici mostrano che alle assegnazioni di grano avevano diritto non solo i cittadini romani poveri residenti a Roma, ma anche i cittadini di almeno alcune città dell'impe ro. Tuttavia, contrariamente che nelle capitali dell'impero, nelle città provinciali la cittadinanza era appannaggio solo della ristretta cerchia dell'élite: a ricevere le assegnazioni di grano o di pane erano i loro mem bri, che spesso offrivano alle proprie città donazioni di valore incompa rabilmente superiore. Quindi figurare sulle liste delle assegnazioni con tava soprattutto per motivi di prestigio, e non di bisogno materiale.
11.8 Quando comincia il tempo delle vergini?
Leggendo la Didascalia si è colpiti dal fatto che, tra le cure del vescovo così accuratamente descritte, le vergini non vengano neanche nominate, mentre le vedove occupano un così largo spazio della sua attività pasto-
4 Didascalia, in Misteri della Chiesa antica. Testi dei primi tre secoli, cit., p. 618.
282
La Chiesa e le donne rale. Evidentemente l'opera è stata composta in un tempo e in un luogo in cui le vergini non formavano ancora un gruppo numeroso e ricono sciuto, dai contorni nettamente delineati e dalla funzione precisa nella vita della Chiesa, per cui l'autore non si interessa a loro. L'esaltazione della verginità come valore in sé e come stato ottimale per le cristiane si svilupperà del tutto solo nel corso del III secolo. Tertulliano pone anco ra le vedove al di sopra delle vergini: In effetti, quanto grande sia l'onore riservato presso Dio alla vedovanza, fu ri velato con poche parole dal profeta: "Rendete giustizia alla vedova e all'orfa no, e poi venite e discuteremo" dice
il Signore. [... ] Osserva dunque come sia
posto alla parità con Dio colui che fa del bene a una vedova, e di quale ri guardo sia meritevole la vedova, il cui benefattore potrà tener parola perfino con Dio stesso. Io non credo che un onore così grande sia riservato neppure alle vergini. Benché nelle vergini l'integrità sia completa e tutta la loro santità sia in grado di ripromettersi da vicino la visione del volto di Dio, la vedova tuttavia sopporta qualcosa di più oneroso: è facile infatti non desiderare quel lo che si ignora ed essere indifferente per quello che non hai mai desiderato.
È perciò più gloriosa la continenza che ha la pratica dei suoi diritti e bene co nosce quello che essa ha già sperimentato.5
Le osservazioni di Tertulliano sono sorprendentemente acute, a parte il merito di farci vedere chiaramente quanto fossero importanti le vedove nella Chiesa dei suoi tempi. Le vedove, tutte le vedove, restarono nella Chiesa dei secoli successivi oggetto di una cura particolare; si sente parlare dell'aiuto prestato loro; si parla molto di protezione nei loro confronti e sia la Chiesa che l'im peratore trattano con grande severità chiunque rapisca una rappresen tante di questo gruppo. Nel 364 l'imperatore Gioviano prevedeva la pena di morte non solo per il rapitore ma anche per chi, con il pretesto del matrimonio, avesse convinto la vedova a lasciarsi rapire. La Chiesa inoltre non aveva nessuna indulgenza per le vedove che contraevano un secondo matrimonio dopo aver giurato solennemente di mantenere il proprio stato. Non sembra tuttavia che, in tempi successivi, le vedove conservassero l'ambizione di esercitare un ruolo attivo nella vita della comunità; lo sviluppo dei conventi aprì per le donne pie e non soddisfatte del ruolo loro assegnato nuovi campi d'azione.
11.9 Le diaconesse
Accanto alle vedove, un ruolo di rilievo nelle Chiese del III secolo era svolto dalle diaconesse, che facevano parte del clero senza però espletare
�
Tcrtulliano,Alla
consorte, l, 8, 1-2. 283
Storia della Chiesa nella tarda antichità funzioni sacramentali, a differenza del diacono, dal quale prendevano il nome. Tra i loro compiti rientrava quello di organizzare le opere di ca rità in favore delle donne povere e soprattuto eli quelle malate. Non sem pre il vescovo poteva destinare un uomo a questi incarichi, le donne tro vavano più facilmente accoglienza. La principale funzione della diaco nessa, nella quale essa risultava insostituibile, consisteva nel prestare aiu to durante il battesimo degli adulti che, dopo essere scesi nudi nel fonte battesimale, venivano unti dal vescovo assistito dal diacono; la presenza di un diacono maschio al battesimo delle donne sarebbe stata evidente mente alquanto imbarazzante. La diaconessa insegnava poi le verità basi lari della fede alle neobattezzate (non ci è chiaro il motivo per cui tale in segnamento fosse compito suo e non del vescovo). Inoltre alle diacones se potevano venir affidati la sorveglianza sulla parte della chiesa riservata alla donne, la responsabilità dell'ordine durante le cerimonie, l'assegna mento dei posti alle donne secondo l'ordine convenuto e la reprimenda delle disobbedienti. Per quanto riguardava l'età delle diaconesse, di solito la Chiesa si re golava secondo i princìpi formulati dalla Prima lettera a Ii'moteo nei con fronti delle vedove. Tra i canoni del concilio di Calcedonia troviamo il divieto di consacrare le diaconesse prima del quarantesimo anno; tale abbassamento d'età poteva dipendere sia dalle pressioni di donne pie e influenti all'interno della comunità, sia dalle necessità organizzative della Chiesa: nell'antichità, considerato il livello della scienza medica dell'epo ca, una donna di sessant'anni non godeva più, in genere, di una buona condizione fisica. Nella gerarchia ecclesiastica le diaconesse si trovavano un gradino sot to il diacono (o addirittura il suddiacono). Durante la messa ricevevano l'eucarestia prima delle vergini e delle vedove, ma dopo tutti gli ecclesia stici maschi e gli asceti. Le diaconesse venivano scelte tra donne sposate una sola volta e si vietava loro severamente di passare a seconde nozze. Non è chiara la re lazione tra il gruppo delle diaconesse e quello delle vedove: sicuramente le due categorie in parte si sovrapponevano, essendo le vedove le candi date naturali a quella prestigiosa funzione. Sappiamo comunque che esistevano anche diaconesse sposate: c'è da dubitare che fosse loro con cesso di continuare la vita sessuale (può darsi del resto che il problema non si ponesse, visto che le donne giovani avevano poche probabilità di venir consacrate). A dire il vero si conosce il celebre caso di una giova nissima diaconessa, amica di Giovanni Crisostomo, di nome Olimpia, estremamente ricca ed estremamente pia: sarà meglio non basarsi su di lei per stabilire a che età si consacrassero le diaconesse e (soprattutto) in che cosa consistessero le loro funzioni. Le critiche nei confronti delle diaconesse indicano che, al pari delle ve dove, molte di loro non accettavano i limiti d'azione imposti dalla Chiesa. Non troviamo le diaconesse in tutti i paesi del mondo cristiano. In Egitto, per esempio, questa istituzione era sconosciuta. I vescovi trova284
La Chiesa e le donne vano certamente il modo di provvedere per quanto riguardava il batte simo delle donne adulte, ricorrendo a diaconi o presbiteri in età avanza ta e di provata moralità, oppure chiamando in aiuto le vedove. In realtà non occorreva che la persona addetta a quella funzione fosse consacra ta: nellll e fino al IV secolo la liturgia manteneva ancora una certa flui dità e le Chiese si regolavano secondo le proprie tradizioni e secondo i bisogni del momento; è solo più tardi che saranno introdotte regole ri gide. Personalmente ritengo che l'istituzione delle diaconesse rispon desse a una necessità psicologica piuttosto che strettamente liturgica: le donne che servivano la Chiesa volevano un chiaro e formale riconosci mento del loro ruolo nella comunità, in modo da vedersi assegnato non tanto un campo d'azione, quanto un titolo di cui fregiarsi. La scomparsa del battesimo degli adulti indebolì ulteriormente la po sizione, sempre più precaria, delle diaconesse; le pretese delle donne venivano mal tollerate e il loro unico campo d'azione nella Chiesa di vennero le comunità ascetiche, in particolare i conventi, dove la clausu ra era rigidamente osservata e separava le monache dal resto del mon do. Nel VI secolo i sinodi della Gallia misero definitivamente fine all'i stituto delle diaconesse, mentre in Oriente esso si protrasse per qualche tempo ancora. Le diaconesse rivestirono un ruolo importante nella Chiesa nestoria na: leggevano la Bibbia alle assembleee e distribuivano la comunione alle donne. Lo stesso accadde in alcune Chiese monofisite, dove esse potevano insegnare alle ammalate, portar loro l'eucarestia e perfino, in mancanza del diacono o del presbitero, mescolare l'acqua e il vino du rante l'offertorio. Non so spiegare la ragione di tanta differenza rispetto alla Chiesa ortodossa; forse la cosa rientrava nelle tradizioni arcaiche di alcune comunità siriache (l'Egitto, ripeto, non conosceva le diaconesse); non mi pare comunque che le differenze teologiche tra monofisiti e or todossi influissero in alcun modo sulla posizione delle donne. Quando ebbe origine l'istituzione delle diaconesse? I pareri degli spe cialisti sono divisi. Nelle Lettere di san Paolo appare una Febe diaco nessa della comunità di Kenchrai (un sobborgo di Corinto); Plinio il Giovane menziona due ancillis, quae ministrae dicebantur («due schiave che venivano dette aiutanti»).6 Certo, inizialmente, alcune donne dedite al servizio della Chiesa chiamavano se stesse, ed erano chiamate dagli altri, "ministre", "inservienti" della comunità; tuttavia non è possibile stabilire in che cosa consistessero le loro funzioni né fino a che punto la loro posizione venisse formalizzata. L'indagine viene ulteriormente osta colata dalla non specificità dei termini: la parola greca diakonos indica il servizio in genere, e la parola "diaconessa" entra nell'uso solo nel IV se colo. Prima di allora i testi chiamano le diaconesse chera, (in greco "ve dova"), vidua, virgo canonica (in latino "vedova", "vergine canonica") e anche diakona (in greco). 6
Plinio il Giovane, Carteggio con Traiano, cit., lettera 96, p. 895. 285
Storia della Chiesa nella tarda antichità
Il rafforzarsi della corrente ascetica nel cristianesimo ebbe importanti e molteplici conseguenze. Da un lato crebbe la diffidenza nei confronti delle donne: la letteratu ra ascetica è piena di attacchi contro di loro, strumento di Satana per eccellenza, contro la loro debolezza e il rischio comportato dalla loro presenza. Alcuni dei Padri del deserto rifiutavano il contatto con le donne in quanto tali, senza distinzioni tra quelle pie e le peccatrici. Alle donne si ripeteva che portavano addosso il peso del delitto contro la parte maschile del genere umano, e che lo dovevano espiare; si inculca va loro il senso di colpa per il loro sesso in genere, indipendentemente dal comportamento individuale, accusandole continuamente di essere deboli: nella letteratura ascetica le donne venivano definite «fragili vasi», in quanto inclini al peccato e prive di fermezza nel combatterlo.
11.10 Il ruolo delle donne nel movimento monastico D'altra parte, però, il movimento ascetico offriva alle donne l'opportu nità di raggiungere la perfezione: la loro verginità e le loro preghiere avevano lo stesso valore della continenza maschile. L'entusiasmo con cui le donne accolsero le dottrine ascetiche indica senza possibilità di dubbio che esse vi videro la propria strada maestra, una strada che per metteva loro di liberarsi dal giogo del loro sesso e di diventare uguali agli uomini al cospetto di Dio. Il richiamo ascetico fu accolto con particolare fervore dalle donne ap partenenti all'élite. Uno dei motivi della loro accentuata sensibilità a questo appello va cercato nella miseria della vita sessuale. Fin dalla più tenera età alle ragazze di buona famiglia veniva spiegato che il piacere fisico caratterizzava i rapporti erotici di uomini e donne dalla condotta leggera, e che il loro compito nel matrin1onio non consisteva nel dar piacere al marito, ma nel dargli dei figli. Gli educatori insistevano in modo particolare sulla necessità di dominare le passioni, di tenere afre no le emozioni: la capacità di dominarsi era precisamente ciò che diffe renziava i membri dell'élite dalla spregevole moltitudine. Molto proba bilmente le prime esperienze sessuali erano per lo più negative, susci tando una repulsione che veniva trasmessa dalle madri alle figlie. La corrente ascetica permetteva a queste donne di liberarsi, guadagnando in prestigio, di una sfera della vita che poteva suscitare un rifiuto (ma anche un'attrazione: tale è la caratteristica delle inibizioni sessuali). La rinuncia a sposarsi conferiva loro uno status privilegiato nella Chiesa e consentiva loro di accedere agli ambienti intellettuali dediti a studi teo logico-filosofici; interessi del genere erano considerati adatti alle vergini consacrate a Dio. L'ascesi, pur non abolendo il peso della femminilità, lo rendeva perlomeno accettabile.
286
La Chiesa e le donne 11.11 Le grandi dame nella vita della Chiesa
Le limitazioni imposte alle donne non impedirono a certune tra loro di espletare un ruolo attivo nella vita delle Chiese, anche se in modo infor male. Nella storia della Chiesa non mancano figure di donna che influi rono in modo decisivo sulle sue sorti; per quanto riguarda la tarda anti chità, la lista sarebbe assai lunga. Vi si troverebbero quasi esclusivamen te donne dell'élite: colte, studiose della Bibbia e di testi teologici, spesso prowiste di cospicui mezzi materiali, messi a disposizione della Chiesa. Il movimento ascetico, che permetteva a uomini di bassa estrazione di uscire dall'ombra, non dava la stessa possibilità alle donne. Come impedire a dame esperte di teologia di discutere su questioni religiose (e dove sta il confine tra discussione e insegnamento?), come impedire loro di convertire mariti e zii? Come escluderle dal gruppo che decideva sull'operato ecclesiastico, se i loro mezzi e i loro influssi garantivano il successo dell'operato stesso? Giovanni Crisostomo constatava con amarezza tale impotenza nel trattato Del sacerdozio, scritto ai tempi antiocheni (nel 386), prima an cora di verificare personalmente, come vescovo di Costantinopoli, quanto fosse forte il potere informale delle donne. Egli descrive come il più terribile degli scogli che minacciano il presbitero «lo scoglio della vanità, più pericoloso di quello descritto dai narratori di miti». Sullo scoglio stanno in agguato fiere selvagge: ira, tristezza, invidia, disaccor do, calunnie, accuse, menzogna, ipocrisia, insidie, disprezzo verso i po veri, servilismo verso i ricchi e i potenti e molti altri pericoli. Tutte queste fiere e altre ancora nutre quello scoglio, nelle quali chi incappa una volta, è per forza ridotto a tale schiavitù, da compiere, per compiacere le donne, azioni che non è bello neanche nominare. La legge divina le ha esclu se da questo ministero, ma esse si sforzano di introdurvisi; e poiché nulla pos sono da se stesse, fanno ogni cosa per mezzo di altri;
e
si arrogano tanta po
tenza, da approvare o eliminare i sacerdoti come a loro piace. E ciò che è so pra sta sotto; si può qui vedere appunto ciò che dice
il proverbio: coloro che
sono sottoposti all'autorità comandano a chi la possiede; e fossero uomini al meno, ma sono proprio quelle a cui non è nemmeno dato l'incarico di inse gnare: che dico "insegnare"? Il beato Paolo non permise loro neppure di par lare nella comunità. E io ho udito uno raccontare che tale libertà esse si sono prese, da movere rimproveri ai capi delle Chiese e infierire contro di quelli più aspramente che non facciano i padroni coi propri servi.7
Giovanni Crisostomo non attaccava le donne in sé. La cerchia delle sue corrispondenti annoverava dame a lui sinceramente devote; la sua ami cizia con Olimpia, rispecchiata nelle lettere, ci colpisce per la sua verità e profondità. Con una punta di malignità potremmo dire che a distur7
Giovanni Crisostomo,
Del sacerdozio, III, 6, 214-216. 287
Storia delta Chiesa nella tarda antichittÌ bario erano le donne che la pensavano diversamente e desideravano cose diverse da lui; malignità che andrebbe però temperata dalla consa pevolezza della scarsità delle fonti sulla vita di allora: non è possibile, dopo tanti secoli, formulare giudizi categorici sul carattere e sulle inten zioni di chicchessia. L'ideale della donna che fervidamente studia le Sacre Scritture, por restando umilmente sottomessa all'autorità maschile, è tratteggiato da san Girolamo nell'elogio di Marcella contenuto nella lettera 137: Non oso dire quali tesori di virtù, quale tale nto, quale santità, quale purezza ho trovato in lei; rischierei di non essere creduto, e ti procurerei un dolore rroppo gtande al ricordo dell'immenso bene perduto. Questo solo ti dirò: tutto quel sapere che ho potuto accumulare in me con uno studio assiduo e che ho trasformato quasi in una seconda natura mediante un llmgo esercizio, essa l'aveva im pa ra to se n'era abbeverata e se n'era impadronita a tal punto ,
che, dopo la mia partenza, se qualche disputa sorgeva a proposito d'un tesro
della scrittura, si ricorreva al suo giudizio .
Da persona molto prudeme conosceva quello che i filosofi chiamano to pre
pon vale a dire "la correttezza"; così quando veniva interrogatJI rispo ndeva in modo che anche una sua opinione personale non la pr esent ava come propria, ma come mia o di qualcun altro; in tal modo si professava discepola neU'atto ,
stesso che inse,gnava. Conosceva infatti le parole dell'Apostolo: "Alle donne non penneno d'in segna (e
",
ma
lo faceva anche per non dar l'impressione di
recare ingiuria al sesso virile e ai sacerdoti che ralvolta l interrogavano su pro '
blemi oscuri e ambigui.8
La caratteristica dei modeUi ideali è che raramente li si trova realizzati . m terra ...
11.12 Sensibilità deUe donne al messaggio evangelico Le donne accolsero il messaggio del Vangelo con straordinaria prontezza. La loro presenza agli albori della nuova religione è pe1fettamente docu mentata. La lista delle donne menzionate dagli evangelisti e nelle Lettere di san Paolo è lw1ga, e l'apostolo, di cui così spesso si citano le parole, se condo noi durissime, nei confronti delle donne, talvolta parla di loro con grande tenerezza. Le donne dovevano sicuramente rappresentare la netta maggioranza dei fedeli nelle comunità dei primi secoli. Era una cosa di cui i pagani si rendevano conto. Mi permetto di citare una divertente testimo nianza proveniente da Celso, un filosofo greco vissuto nel n secolo, che scrisse un ponderoso trattato polemico contro la dottrina cristiana. D te sto originale si è perduto, ma possiamo ricostruirlo a grandi linee attraver so le citazioni contenute nel trattato di Origene contro Celso:
8
San Girolamo, Le lettere, 137. 288 Copyrighted
m
aterial
La Chiesa e le donne Ecco, noi possiamo vedere ancora nelle abitazioni private lavoratori di lana e ciabattini e lavandai e insomma gli uomini più illetterati e grossolani, i quali non oserebbero aprir bocca davanti ai maestri più anziani e avveduti. Ebbene, una volta che essi hanno tratto in disparte e si sono impadroniti dei ragazzi, e insieme a essi di alcune donnicciole ignoranti, allora lanciano delle sentenze stupefacenti, come, per esempio, che non si deve star dietro al padre e ai maestri, ma bisogna obbedire solo a loro; dicono che costoro non fanno che cianciare e sono stupidi, che ignorano completamente il vero bene e non sanno metterlo in pratica, tutti presi da vuote frivolezze, mentre al contrario essi soli sanno come bisogna vivere, e se i fanciulli saranno a loro obbedienti, diverranno felici e renderanno lieta la casa. E mentre essi stanno parlando, se si accorgono che arriva uno dei maestri di scuola, o una persona intelligente, o il padre stesso dei fanciulli, ecco che i più cauti di costoro se la squagliano, mentre i più temerari invitano i fanciulli a ribellarsi; e bisbigliano nell'orec chio che in presenza del padre e dei maestri essi non vogliono né possono spiegare ai fanciulli nulla di buono, perché non vogliono aver nulla a che fare con la stupidità e la rozzezza di quella gente, completamente corrotta e im mersa fino al collo nel male, e pronta a punire i fanciulli. Se ne hanno voglia,
che piantino pure il padre e i loro maestri di scuola, e si rechino con le don nicciole e con i piccoli compagni di giochi nella capanna del cardatore o del ciabattino o nella lavanderia, per poter guadagnare la perfezione: e dicendo queste cose persuadon la gente!9
Celso, ovviamente, ponendo l'accento sulla prontezza delle donne e dei bambini ad accogliere l'insegnamento di poveri artigiani (la scelta dei mestieri non è casuale: Celso enumera specialisti che lavorano nel la sporcizia e nel cattivo odore), mira a compromettere il cristianesi mo, buono appunto per i fanciulli e non per gente "adulta e seria". Lo scopo polemico non gli impedisce comunque di descrivere acutamente la realtà, tant'è vero che Origene, che controbatte le sue idee frase per frase, su questo punto non tenta neanche di smentirlo. In sé e per sé il ritratto di questi uomini di bassa estrazione, che si insinuano nelle case dei ricchi e predicano il Vangelo tra le donne, è eccellente; come pure la descrizione della loro condotta, oscillante tra timorosi seppur rivo luzionari mormorii a quattr'occhi, e una temerarietà che tradisce l'insi curezza. Per le donne era più facile seguire la strada indicata dal cristianesi mo. Il prezzo che ciò costava loro (innanzitutto l'allontanamento dalla vita collettiva nonché, in certi periodi, una limitazione giuridica), era infinitamente minore di quello pagato dagli uomini. Danneggiate dalle regole della vita collettiva, trattate come esseri peggiori per definizio ne, sopportavano meglio il trauma comportato dalla conversione. Inoltre avvertivano più fortemente degli uomini il bisogno di una nuo va religione, il bisogno di credere in un Dio da amare come una perso-
9
Origene, Contro Celso, III, 55. 289
Storia della Chiesa nella tarda antichità
n a vicina, certe che quell'amore sarebbe stato ricambiato. Avvicinarsi al nuovo Dio riusciva più facile alle persone scontente di sé e della po sizione da loro occupata nella società, che non riuscivano a trovare la propria naturale affermazione nella cerchia della famiglia, della città, dell'impero.
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12. I miracoli
Un giorno, mentre lavoravo a questo libro, mi capitò di consultare un vo lume dell'Enciclopedia Manuale della Chiesa, pubblicata nel 1906 a Cracovia da Gebethner e Wolff. Vi cercavo notizie su uno dei massimi profeti dell'Antico Testamento, Elia, vissuto nel X secolo a.C., il quale de dicò la vita soprattutto a combattere il paganesimo, dilagante in Israele grazie all'appoggio della reale coppia composta da Achab e Izebel. Nel descrivere l'opera di Elia, la Bibbia dedica largo spazio ai suoi miracoli. Durante una terribile siccità, inviata da Dio per punire l'apostasia, il pro feta fu nutrito dai corvi; quando duellava con i sacerdoti di Baal sul mon te Carmelo, Dio, da lui invocato, incendiò miracolosamente il rogo ba gnato; l'intercessione di Elia aveva fatto cadere una pioggia torrenziale dopo anni e anni di siccità. Il profeta aveva anche moltiplicato olio e fari na in casa di una vedova che si prendeva cura di lui, ne aveva risuscitato il figlio morto, aveva distrutto con il fuoco gli eserciti inviati contro di lui, aveva diviso le acque del Giordano per guadarlo senza bagnarsi e, infine, era asceso al cielo in un turbine, su un carro di fuoco.
12.1 I razionalisti non sanno spiegare niente? Nella voce su Elia della suddetta enciclopedia, dopo un dettagliato rias sunto delle notizie bibliche, si legge il seguente commento: Elia resta nella storia come un fervido esempio di ardore nel lodare Iddio, di inflessibile ortodossia, di virtù immacolata e di cura nel compiere la propria missione. A varie riprese i razionalisti hanno tentato di spiegare con cause naturali gli eventi miracolosi della vita del profeta, procedendo con l'arbitra rietà a loro consueta, ma senza mai riuscire a dimostrare o a confutare alcun ché. Elia, al contrario, va considerato come un anello nella catena delle di sposizioni divine per guidare le sorti del popolo eletto. Come Mosè aveva convinto il popolo dell'autenticità della sua legge per mezzo dei miracoli, così Elia usò i miracoli per portare la gente alla retta fede. [. .. ] Quanto al l'assunzione in cielo del profeta, la tradizione la riconosce avvenuta insieme al corpo; quanto al luogo del suo soggiorno ultraterreno, i Padri gli danno varie collocazioni. Poiché Elia non morì, la sua opera non finì con il distacco dalla terra. 291
Storia della Chiesa nella tarda antichità L'autore della voce su Elia era padre Z. Chelmicki, redattore dell'intera enciclopedia. Il commento di Chelmicki mi interessò, mi sosprese e in parte anche mi divertì (l'autore era riuscito a esporre in modo tutt'altro che banale la sua irritazione verso i razionalisti), per cui mi è rimasto più impresso delle centinaia di pagine, d'altra provenienza, da me con sultate sull'argomento. Non capita spesso, infatti, di imbattersi in una testimonianza altrettanto chiara, e non poi troppo remota, del modo ar caico di considerare i fenomeni miracolosi al quale la Chiesa lunga mente si è attenuta, ignorando i cambiamenti di mentalità delle sue pe corelle. Le idee di don Chelmicki sono più vicine al modo di pensare dei cristiani della tarda antichità, che non alle posizioni cristiane della seconda metà del xx secolo. Da molto tempo, infatti, la storia dei mira coli di Elia, e soprattutto il suo distacco dalla vita terrena, vengono considerati come parte dell'aspetto leggendario dell'Antico Testa mento. Ho potuto convincermene controllando le voci dedicate a Elia nelle varie enciclopedie cattoliche e nelle introduzioni alla lettura dell'Antico Testamento pubblicate nell'ultimo quarto di secolo: in nes suna di esse si tentava di difendere la realtà della scena dell'assunzione in cielo sul carro di fuoco.
12.2 Cristianesimo senza miracoli? La fede nei miracoli ha smesso di occupare il posto tenuto per secoli nella coscienza religiosa. Uno dei tratti caratteristici della mentalità reli giosa dei cristiani del XX secolo è il restringersi dello spazio che in essa occupano i miracoli. Certo, esistono ancora ambienti in cui la fede negli interventi miracolosi è molto viva e vicina, nelle sue forme, a quella dei cristiani dei secoli precedenti. Tuttavia, il cristiano della fine del XX se colo di solito guarda ai miracoli con scetticismo, e molto di rado si aspetta un miracolo nella propria vita o in quella dei suoi conoscenti. Le descrizioni di miracoli contenute nelle opere letterarie di epoche passate vengono automaticamente relegate tra le leggende e considerate con indulgenza o, nel migliore dei casi, con il rispetto dovuto a una tra dizione ereditata dalle generazioni passate e che ormai non riesce più a commuovere né a emozionare. Il mutato atteggiamento nei confronti dei miracoli è una conseguen za delle profonde trasformazioni awenute nella cultura europea, che, iniziate nel Settecento, si manifestarono appieno verso la metà del xx secolo. L'atteggiamento nei confronti dei miracoli è strettamente collegato al l'atteggiamento verso Dio e verso le relazioni tra Dio e il mondo. Proprio su questo punto, essenziale per i problemi qui trattati, nel corso degli ultimi secoli si sono prodotti considerevoli cambiamenti. Nella mente degli uomini Dio si è allontanato dal mondo da lui creato; la di stanza tra l'Eterno e le sue creature mortali si è fatta molto più grande di 292
I miracoli
quanto fossero disposti ad ammettere i nostri predecessori. Sentiamo con più forza la natura trascendente di Dio. Da questo Creatore, che ci guarda dalle profondità di un cosmo infinito nel tempo e nello spazio, è difficile aspettarsi un continuo intervento nel corso della banalità quoti diana, l'invio di opportune ispirazioni, il premio o la punizione per le buone o le cattive azioni. Quanto più i fedeli sentivano vicino Dio, quan to più forte avvertivano la sua presenza nel mondo materiale, tanto più facile riusciva loro credere che per le sue mortali e imperfette creature egli fosse disposto a infrangere le leggi di natura da lui stesso istituite. Nell'antichità la presenza di Dio nel mondo veniva sentita con ecce zionale, per non dire quasi tangibile, naturalezza. Si credeva anche a in terventi da parte del suo avversario, Satana. La lotta tra loro si svolgeva sotto gli occhi degli uomini e attraverso gli uomini. La drastica diminuzione della fede nei miracoli è anche l'effetto di un'altra caratteristica della cultura europea moderna: la tendenza a spiegare i fenomeni all'interno dell'ordine materiale del mondo senza ricorrere a fattori soprannaturali. L'uomo contemporaneo sa perfetta mente di non poter trovare una risposta a tutte le domande dell'uma nità: di solito, tuttavia, egli spera che si tratti di uno stato temporaneo e che la scienza, nel suo avanzare, finisca per coprire gli spazi vuoti. È vero che a questa tendenza si accompagna l'eliminazione dal campo di studio e di ricerca delle questioni che non trovano soluzione nel mondo materiale; è vero anche che la tentazione di negare l'incapacità dell'uo mo di conoscere il mondo, nonché la disponibilità ad accettare ideolo gie clamorosamente irrazionali, è tutt'altro che morta. Ricercare le cause dei fenomeni nell'ordine materiale del mondo non presuppone affatto l'ateismo da parte di chi (consapevolmente e incon sapevolmente) adotta tale atteggiamento: si tratta di un'affermazione che vorrei sottolineare. Per la maggior parte di quanti vivono nell'ambi to della civiltà europea, Dio rimane la forza che ha dato origine al mon do e ne ha definito le leggi; l'agnosticismo coerente e il coerente atei smo sono professati da un gruppo ristretto. La tendenza che ho qui provato a definire si riscontra in diverse va rianti della fede cristiana e in diversi ambienti. Essa compare sia in per sone la cui vita è poco influenzata da questioni metafisiche, sia in perso ne profondamente religiose. Anche la presenza di Satana ha smesso di essere avvertita con la forza e la concretezza di un tempo. Come si sono cominciati a spiegare i feno meni della natura quasi esclusivamente attraverso categorie proprie della natura stessa, così il comportamento umano è apparso comprensibile an che senza ricorrere all'intervento di un essere soprannaturale che spinge al male. Lo sviluppo della conoscenza dei meccanismi della vita sociale e soprattutto quello della psicologia e della psichiatria permettono di spie gare efficacemente persino fenomeni spaventosi come il nazismo e lo sta linismo. A questo proposito ben pochi scrittori ritengono opportuno ti rare in ballo Satana, come si sarebbe fatto secoli addietro. 293
Storia della Chiesa nella Iarda antichità n processo di cambiamento di cui parliamo si svolse tra grandi oppo sizioni e solo gradualmente si estese a tutti gli ambienti. n desiderio del miracolo, del resto, non è sparito dalla coscienza umana: in situazioni estreme, soprattutto quando l'uomo si trova di fronte alla morte e a una grande sofferenza, l'invocazione del miracolo può verificarsi anche in persone e in ambienti apparentemente lontani della religione. Il nuovo modo di intendere Dio si diffuse più facilmente negli strati colti che in quelli inferiori, manifestandosi in persone avvezze, per motivi professio nali, a usare il pensiero critico, piuttosto che tra coloro che non erano costretti a servirsi quotidianamente di questo dono divino; esso incon trò minori resistenze nei paesi protestanti, dove la religione era meno contrassegnata dalla ritualità e dove il culto dei santi (strettamente con nesso alla fede nei miracoli) era stato da tempo abolito, piuttosto che nei paesi cattoHci, dove il vecchio modo di pensare veniva appoggiato dalla Chiesa. Questi grandi cambiamenti non sono ancora finiti: ognu no di noi potrebbe agevolmente trovare singoli individui e ambienti che concepiscono Dio e i suoi interventi miracolosi in modo tradizionale. Sta di fatto però che essi si riducono a vista d'occhio. Su queste trasformazioni, di cui ho cercato di tratteggiare le linee principali, le discussioni, le più o meno dotte controversie e le aperte polemiche hanno esercitato un ruolo modesto, pur occupando un vasto spazio nella storia della cultura europea degli ultimi tre o quattro secoli. Lo studio degli argomenti addotti e la lettura delle opere, sia di quelle filosofiche sia di quelle strettamente religiose, sono per lo storico un'oc cupazione affascinante: tuttavia tali argomenti e tali opere raggilmsero un gruppo molto ristretto e non ebbero una grande forza di persuasio ne. Come spesso accade per i grandi mutamenti di mentalità, il loro processo di diffusione ebbe un carattere che potremmo definire "capil lare". TI nuovo modo di concepire il mondo, i pareri sul miglior modo per conoscerlo e capirlo apparvero nella cultura europea dapprima spo radicamente, in determinati settori e ambienti; poi sempre più a cascata e, circostanza degna di nota, quasi sempre spontaneamente. Scaturirono dalle basi stesse della nuova civiltà, come effetto delle varie trasforma zioni culturali. L'insegnamento scolastico obbligatorio per tutti e i mez zi di comunicazione di massa li favorirono, la nuova realtà economica e il mutato tipo di emotività ne facilitarono l'accettazione. Proprio per questo oggi è così difficile mantenere una religiosità tradizionale, pro prio per qpesto il diffondersi della civiltà moderna ne ha provocato la crisi: crisi che, come ben sappiamo, non si è manifestata né come crisi della fede in Dio, né come crisi della reHgione nei suoi aspetti collettivi. Molte persone desiderano ancora pregare Dio tutte insieme, sentono più fortemente la presenza di Dio quando lo invocano collettivamente e hanno bisogno delle strutture ecclesiastiche, che le proteggono dalla so litudine.
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I miracoli
12.3 La nostra difficoltà a capire la fede nei miracoli
Allo storico che si propone di comprendere i tempi quando Dio era più vicino al mondo e Satana onnipresente, queste trasformazioni rendono il compito molto più arduo. Per noi è difficile capire la fede nei miracoli dei nostri predecessori, prenderla sul serio e considerarla con simpatia. Vorrei insistere soprattutto sulla serietà, poiché so per esperienza didat tica quanti sforzi accorrano per convincere gli ascoltatori dell'attenzione e della ponderazione necessarie nel leggere e nel parlare di miracoli. Studenti capaci di ascoltare senza batter ciglio considerazioni su temi strampalati dal punto di vista della mentalità del XX secolo, sorridono (o addirittura scoppiano a ridere) appena si passa ad analizzare le testimo nianze sui miracoli. Non è quindi un caso che i moderni studi sul meraviglioso e sui mira coli abbiano pochi anni di vita alle spalle. I primi a intraprenderli sono stati gli storici del Medioevo; quelli dell'antichità l'hanno fatto con grande ritardo e con scarsi risultati.
12.4 Il significato religioso dei miracoli per cristiani e pagani
Per gli antichi cristiani, invece, i miracoli avevano un'importanza fonda mentale. Quando, ai tempi delle persecuzioni di Diocleziano, il prefetto di Alessandria d'Egitto interrogava Filea, vescovo di Tmuis, e gli chiese quali prove avessero i cristiani che Cristo fosse Dio, ottenne immediata mente questa risposta: «Fece vedere i ciechi, udire i sordi, guarì i leb brosi, risuscitò i morti, donò la facoltà di parlare ai muti e risanò molte infermità. Una donna, che soffriva di emorragia, toccò il lembo del suo vestito e fu guarita. Operò molti altri segni e prodigi».1 In tutti i reso conti di conversioni, individuali e collettive, troviamo menzionati eventi miracolosi. Gli autori di queste descrizioni ritenevano impossibile che degli increduli avessero accolto la nuova fede senza un intervento mira coloso da parte di Dio. Per la coscienza cristiana i miracoli erano sempre opera di Dio; spes so però tra chi invocava il miracolo e Dio si collocava un intermediario, un sant'uomo al quale si chiedeva di intercedere presso l'Altissimo, at tribuendo poi a questo mediatore il merito della grazia ricevuta.Z Sebbene l'onnipresenza di Dio fosse una verità evidente a tutti i cri stiani, esistevano luoghi dove la sua potenza si manifestava con più for za che altrove e dove era più facile indurla a manifestarsi. Nel pensiero religioso, e non solo in quello cristiano, lo spazio non era mai tutto
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Atti di Filea, in Jltti e passioni dei martiri, cit., pp. 294-296.
Dei santi mi occuperò più da vicino nel prossimo capitolo; per il momento preferisco accantonare questo aspetto dei miracoli, per cercare di rendere un po' più chiare tali complicate questioni. 295
Storia della Chiesa nella tarda antichità uguale: esistevano punti migliori e peggiori, più o meno contrassegnati dalla presenza di Dio. La fede nei miracoli non era affatto una caratteristica esclusiva della religione cristiana: la ritroviamo in tutte le religioni antiche a noi note. Ci si aspettavano interventi miracolosi da tutte le divinità, e ogni comu nità religiosa custodiva la memoria di miracoli avvenuti in un passato più o meno remoto. La letteratura antica ci fornisce fin troppe prove del perdurare di tale atteggiamento. Queso è un dato di fatto che tengo particolarmente a sottolineare, in quanto esso contrasta con due stereotipi generalmente accettati. Da un lato si è soliti ritenere che il pensiero antico fosse caratterizzato da un razionalismo che escludeva la fede nei miracoli; in realtà, la versione an tica del razionalismo ammetteva gli interventi divini, così come ammet teva, anzi presupponeva, l'esistenza degli dèi. Dall'altro lato, rendersi conto di certe profonde somiglianze tra gli atteggiamenti religiosi dei cristiani e dei pagani crea sempre delle difficoltà, dovute al fatto di esse re abituati a considerare il cristianesimo antico nettamente separato dal paganesimo, come se l'uno fosse l'opposto speculare dell'altro. Mi è più volte capitato nel corso di quest'opera di contestare tale visione che, alla luce dell'odierna conoscenza dell'antichità (sia pagana sia cristiana), appare guanto mai falsa e dannosa. Il cristianesimo nacque da radici an tiche, alle quali da un lato attinse a piene mani, ma che, dall'altro, aper tamente e addirittura clamorosamente ripudiò. Non potremo mai capir lo se non accetteremo la coesistenza di queste due tendenze nella men talità delle stesse persone. I pagani non solo credevano negli interventi miracolosi dei loro dèi: credevano anche nella realtà dei miracoli cristiani; e i cristiani, a loro volta, credevano nella realtà dei miracoli pagani. Entrambe le parti li spiegavano attribuendoli alle pratiche magiche compiute dai loro oppo sitori, entrambe erano convinte che le divinità della parte avversa esi stessero veramente e fossero demoni malvagi. In un testo che descrive il martirio delle sante Perpetua e Felicita, risalente all'inizio del III secolo, troviamo un'interessante testimonianza di tale modo di pensare. All'approssimarsi del giorno dell'esecuzione delle due donne, il tribuna militare preposto al carcere intensificò il rigore nei confronti dei cristia ni condannati a morte «prestando orecchio alle insinuazioni di gente superstiziosa e temendo che i prigionieri venissero fatti fuggire dal car cere con l'aiuto di formule e pratiche magiche».3 Cristiani e pagani discutevano tra loro, vantando ciascuno la superio rità, l'originalità e l'importanza dei miracoli della propria religione. Alla fine del m secolo Sossiano Ierocle, alto funzionario dell'impero e intimo di Diocleziano, contrappose a Cristo Apollonia di Tiana, mago e sa piente vissuto all'incirca tra il 40 e il120, protagonista di una Vita scrit ta da Filostrato tra il II e il III secolo. Secondo !erode, gli illuminati bio-
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Passione di Perpetua e Felicita, in Atti e panioni dei martiri, cit., p. 136. 296
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grafi di Apollonia erano superiori a Pietro e Paolo, rozzi ciarlatani, nonché agli altri discepoli di Cristo. Il contemporaneo Eusebio di Cesarea, storico ed erudito cristiano, giudicò il trattato di Ierocle così pericoloso che gli contrappose l'apposita opera polemica, Contro la "Vita di Apollonia" di Tyana di Filostrato, in occasione del paragone da lui condotto tra Apollonia e Cristo. Eusebio non metteva in dubbio la realtà dei miracoli operati da Apollonia, ma li considerava l'opera di un mago e di un prestigiatore.
12.5 La tipologia miracolistica
Leggendo le descrizioni di miracoli contenute nei testi antichi ci rendia mo subito conto che questi fenomeni presentano considerevoli diffe renze, di tipo addirittura qualitativo, che ci consentono di tratteggiarne una vera e propria tipologia. Il gruppo di miracoli più numeroso è rappresentato dalla guarigione o dalla resurrezione di morti, presentate secondo i modelli del Nuovo Testamento; esso prevale soprattutto in uno speciale genere letterario detto miracula, ossia in raccolte di descrizioni dei miracoli avvenuti in un dato santuario, presso la tomba di un santo o, più raramente, in luo ghi santificati da importanti avvenimenti della Bibbia o della storia della Chiesa. Per presentare questo tipo di miracoli e introdurre il lettore all'atmo sfera di un santuario sede di guarigioni, ho scelto i miracula in onore dei santi Giovanni e Ciro, appartenenti alla categoria dei santi medici, detti anargyroi ("quelli che non prendono soldi", si sottintende: per cu rare i malati, a differenza dei medici a pagamento). Costoro venivano venerati nella piccola località di Menuthis, a qualche decina di chilome tri da Alessandria d'Egitto. I miracoli avvenuti nel loro santuario furo no descritti agli inizi del Vll secolo da Sofronio, futuro patriarca di Gerusalemme, miracolosamente guarito lui stesso da una grave malattia agli occhi. Il santuario di Giovanni e Ciro comprendeva un vasto complesso di edifici. Al centro si trovava la chiesa con le spoglie terrene dei martiri; nel grande cortile, un raccoglitore per l'acqua dove talvolta si bagnava no i malati; accanto erano stati fabbricati ampi bagni, anch'essi a scopo terapeutico. Alcune case, più o meno grandi, erano destinate al nume roso personale che serviva i visitatori e fungevano da ospizio per i me desimi. I malati passavano la notte nella navata della chiesa dormendo su pagliericci disposti per terra, in attesa che i santi apparissero loro nel sonno, comunicando le prescrizioni dalla cui esecuzione dipendeva la guarigione. Questo genere di rito ci è noto dall'antichità pagana; in lati no si chiamava incubatio. Certe volte i visitatori ottenevano la grazia la prima notte del loro soggiorno a Menuthis, altre volte dovevano aspet tare mesi, se non addirittura anni. Le persone riconoscenti per la guari297
Storia della Chiesa nella tarda anticbità gione appendevano nella chiesa ex voto a forma dell'organo una volta malato; gli scrivani del santuario annotavano la storia delle malattie e il ritorno alla salute, e il personale addetto li raccontava alle folle che af fluivano invocando la guarigione. Vari erano i rimedi prescritti ai mala ti: spesso veniva ordinato loro di bagnarsi, di ungersi con l'olio delle lampade votive, oppure di berlo; ad analoghi scopi servivano anche i mozziconi delle candele. Vale la pena di descrivere almeno qualcuno dei miracoli elencati da Sofronio. A un uomo sofferente di grave stitichezza i santi ordinarono di mangiare un fico secco; al suo risveglio, il malato lo ritrovò sul pro prio giaciglio, e quel semplice rimedio produsse l'effetto auspicato. Una bambina soffriva pene atroci poiché, succhiando una canna, ave va ingoiato tre lucertole che le dilaniavano le viscere (presso gli anti chi era credenza comune che lucertole e serpi, ingoiate accidental mente, provocassero gravi malattie manifestantisi con emorragie). Senza neanche tentare di parlare all'ammalata, che urlava dal dolore, i santi comunicarono le istruzioni per la cura a un monaco presente nella chiesa. La bambina avrebbe dovuto recarsi di mattina a una vici na osteria, e lì bere tre coppe di vino puro, non annacquato. Ciò le provocò violenti conati di vomito, insieme al quale vennero fuori an che le lucertole. A una donna che accusava forti dolori di pancia i san ti prescrissero di mangiare soltanto lenticchie bollite, facendone an che degli impiastri caldi; essendosi i dolori solo attenuati, rria non es sendo scomparsi del tutto, intervennero una seconda volta, conse gnandole una focaccia con sopra scritto il testo di un salmo che l'am malata doveva recitare mangiando. Nel caso di un malato di idropisia, i santi lo fecero portar fuori dal santuario e sotterrare nella sabbia di un campo vicino: in questo modo la malattia restò sepolta, e il malato che ne era affetto guarì. Tra i miracula di Sofronio ce ne sono anche di più complicati e, per i nostri gusti, di più "meravigliosi". Eccone un esempio. Una donna si era messa in viaggio per il santuario con i suoi due bambini di nove e dodici anni. Strada facendo, uno di loro aveva mangiato un uovo di serpente, con dentro un serpentello in procinto di nascere. Giunto a Menuthis, il ragazzo cominciò a soffrire di forti dolori: la serpe era uscita dall'uovo e cercava vanamente una via d'uscita dal corpo in cui era rinchiusa. La madre del ragazzo pregò i santi di intervenire. Essi ordinarono di portar fuori dalla chiesa il malato e di piazzarlo al cen tro del portico, separato dalla gente che vi si trovava, in modo che il miracolo fosse visto da tutti. Dopo mezz'ora d'attesa, ecco arrivare la madre del serpentello, alla ricerca del piccolo. La serpe adulta chiamò il figlio sibilando finché, guidandolo dall'esterno, non riuscì a farlo venir fuori dalla bocca. Dopodiché lo prese tra le fauci e si infilò nella tana.
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I miracoli 12.6 Miracoli di Asclepio I racconti di Sofronio ricordano testi di molti secoli addietro, risalenti al IV a.C. e proveniemi dal santuario dedi.cato ad Asclepio a Epidauro nel Pdoponneso. Asclepio fu un dio guaritore molto popolare: i greci accor revano da tutte le parti al suo santuario, in cerca di consolazione e di ri medi aUe proprie malattie. Anch'essi si comportavano come i cristiani di Menuthis: trascorrevano la notte nel luogo sacro, in arresa dell'apparizio ne del dio. Le guarigioni miracolose venivano incise su tavole di bronzo appese nel santuario: una parte di esse ci è giunta, pennettendoci di rico struire gli interventi miracolosi di Asclepio. A un ragazzo affetto da calcoli renali, Asclepio pose la seguente do manda: "Che mi dai, se ti guarisco?". D ragazzo offrì quel che di più pre zioso possedeva: dieci dadi da gioco. La cosa divertl il dio, che lo risanò. Un altro visitatore, affetto da sanguisughe nella pancia (ingerite con una bevanda preparatagli dalla matrigna cattiva), ebbe un sogno nel quale il dio, apertogli il torace con Wl coltello, ne estraeva le sanguisughe e subi to lo rkuciva. La mattina seguente il malato uscì dal santuario guarito, le sanguisughe tra le mani. Un altro, colpito al polmone da una freccia du rante una battaglia, soffriva da più di un anno e mezzo per la ferita che continuava a secernere pus. Apparsogli in sogno, il dio gli estrasse la freccia dal polmone: il malato uscì dal santuario tenendola trionfalmente in mano. Uno storpio era stato portato al santuario in barella. In sogno il dio gli aveva spezzato la gruccia, ordinandogli di inerpicarsi su di una scala a pioli e deridendo la sua vigliaccheria quando, per paura, il disgra· ziato si era rifiutato di obbedirgli. Al risveglio l'uomo aveva trovato il co raggio necessario, ed era ripartito guarito da Epidauro. Le somiglianze tra le due raccolte di miracoli non significano affatto che Sofronio avesse letto i testi scritti in onore di Asclepio (a quel tem· po il suo santuario non esisteva più da secoli). Esse provengono dall'i· dentica fede delle due religioni nell'intervento divino nelle vicende umane, nonché da disgrazie e speranze comuni alle persone di tutti i tempi. Quel che colpisce, invece, è che i cristiani non trovassero diffi coltà ad applicare il rito pagano dell'incubatio, vedendovi probabilmen te solo una tecnica, che la provenienza pagana non contaminava. Ai loro occhi contava esclusivamente la natura della forza che agiva per mezzo dei sogni.
12.7 Miracoli punitivi Le raccolte di miracoli non presentano solo casi positivi, in cui il fortu· nato supplice vede esaudite le sue preghiere, ma anche casi negativi, conclusi con la punizione dei presuntuosi e degli increduli. Gli autori delle opere inneggianti al santuario, usate come letture ad alta voce ai visitatori oppure come repertorio per i sacerdoti nelle loro prediche alle 299 Copyrigflled m atenal
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folle, volevano dimostrare la forza del potere miracoloso e spaventare le persone che ne dubitavano, specie se esse esprimevano esplicitamente i propri dubbi. Nella sua raccolta di miracoli Sofronio collocò a parte casi di questo genere; tra essi si trovano storie non solo minacciose, ma anche diver tenti. Increduli per eccellenza erano i medici, che deridevano i rimedi prescritti dai santi. Un medico alessandrino, che andava dicendo in giro che i santi curavano i malati secondo princìpi formulati da famosi medi ci dell'antichità, un giorno si ammalò gravemente. Non avendo tratto giovamento dalle ricette di Ippocrate e di Galeno, cercò aiuto presso i santi. Questi gli ordinarono di mettersi sulle spalle un basto d'asino e a mezzogiorno, momento di maggior afflusso di gente, di fare il giro del santuario gridando: "Sono un pazzo, sono uno scemo". Il malato non credette ai santi, i quali ripeterono l'ordine, aggiungendovi l'obbligo di appendersi una campanella al collo. In un'altra versione, oltre al basto e alla campanella, il medico doveva mettersi al collo anche delle redini, mentre uno dei suoi servi scortava l'incredulo, trainandolo come una bestia riottosa. Dopo che il malato ebbe sofferto quanto bastava per pu rificare il suo cuore dalla superbia, i santi misericordiosamente lo guari rono. Un'altra storia della medesima raccolta finisce molto peggio. Un pagano paralitico che aveva taciuto il fatto di non essere cristiano, nella sua sfrontatezza era arrivato ad accostarsi insieme agli altri all'eucare stia. Punito con le convulsioni, aveva perso la facoltà di parlare ed era morto nel viaggio di ritorno ad Alessandria. Anche questi miracoli punitivi hanno un'origine antica. Troviamo casi del genere nella descrizione dei miracoli di Epidauro. Un cieco, che supplicava Asclepio di guarirlo, promise al dio una statuetta d'oro. Dopo che il dio gli ebbe mostrato il suo favore, l'ingrato pellegrino tentò di imbrogliarlo, facendo fare una statuetta non d'oro massiccio come promesso, ma in legno rivestito di latta dorata. Naturalmente per se di nuovo la vista. Quando Asclepio lo perdonò, tornando a guarirlo, egli realizzò finalmente il voto promesso. Il mercanteggiare sul compenso per la guarigione è un tema ricorren te in molti testi cristiani. In un'interessante opera di Adomnanno (vn secolo) che descrive un pellegrinaggio in Terra Santa, è annotata una storia appartenente agli stereotipi, ma proprio per questo quanto mai curiosa. Un soldato in procinto di partire per la guerra promette nel santuario di San Giorgio a Diospolis (Lydda, non lontano dall'odierna Jaffa) di offrire, se tornerà sano e salvo, il suo cavallo al santo. Rientrato felicemente dalla guerra, il soldato, affezionato al suo destriero, non sa decidersi a separarsene, per cui pronuncia davanti all'immagine del san to la seguente preghiera: "Santo confessore, rendo grazie all'Eterno che, per merito delle tue preghiere, mi ha fatto tornare sano e salvo. Ti offro quindi queste venti monete d'oro come equivalente del mio caval lo, che una volta ti ho promesso, e per aver vegliato su di me fino a oggi". La quota era alta e copriva ampiamente il debito contratto. San 300
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Giorgio non voleva l'oro, ma il cavallo e, per quanto ci provasse, il sol dato non riuscì a far muovere un passo alla sua bestia. Quattro volte in vocò il santo, aggiungendo ogni volta dieci solidi, ma invano. Alla fine san Giorgio ottenne il cavallo e i sessanta solidi. Le guarigioni rappresentavano un genere di miracoli non solo molto comune, ma anche universale: non esistono grandi differenze tra i mira coli avvenuti in centri di pellegrinaggio della tarda antichità o in basiliche con reliquie di santi da un lato, e i miracoli riferiti dai testi medievali e moderni dall'altro.
12.8 Miracoli come segno della volontà divina
Un altro genere di miracoli è invece molto più fortemente legato alla specifica mentalità antica, secondo la quale gli dèi manifestavano la pro pria volontà ispirando determinate persone e rendendo noto attraversso loro il proprio messaggio. Di solito però gli dèi amavano servirsi di se gni che formavano un linguaggio particolare. All'uomo spettava il com pito di "decodificare" il sistema, impresa assai rischiosa, dato che non si poteva essere mai certi che l'interprete riuscisse a indovinare corretta mente le intenzioni divine. Nel culto pagano romano questi segni porta vano il nome di prodigia, omina o portenta (termini praticamente sinoni mi). Segno della volontà divina potevano essere tutti i fenomeni naturali apparsi in modo inaspettato e in condizioni insolite (le tenebre calate in pieno giorno, l'improvviso alzarsi di un vento impetuoso, il fulmine a ciel sereno), come pure eventi contrari all'ordine naturale (nascita di vi telli a due teste, piogge di sangue, colonne di fuoco volteggianti). Il più delle volte tali segni annunciavano disgrazie, testimoniando che la pace tra uomini e dèi, la pax deorum, condizione indispensabile per la felice esistenza dei mortali, era rotta e che il castigo era prossimo. Le comu nità alle quali gli dèi inviavano prodigi di solito reagivano cercando feb brilmente il motivo della collera divina, nonché precipitandosi a com piere sacrifici espiatori e cerimonie dettate dalla tradizione, o indicate dagli esperti in materia di culto. La continuazione, all'interno della religione e della cultura cristiana, del modo pagano di concepire la relazione tra uomini e dèi è sorpren dente. Gli dèi pagani infatti erano molto più lontani dalle persone ri spetto al Dio cristiano, e molto raramente si mettevano in contatto con i mortali rivelando loro direttamente il proprio messaggio. Base essen ziale della religione cristiana era proprio la fede nel legame stretto, inti mo e colmo di reciproco amore tra il Creatore e le sue creature: anzi la cura di Dio si estendeva non solo alle comunità, ma anche ai singoli in dividui, per cui non c'era motivo che Dio dovesse comunicare la sua volontà ricorrendo a un complicato (e per forza di cose ambivalente) linguaggio dei segni. Tuttavia la dipendenza del cristianesimo dalla mentalità pagana era talmente forte da rendere possibile, nei primi se301
Storia della Chiesa nella tarda antichità coli di vita della nuova religione, un prestito dalle credenze pagane in una sfera fondamentale come quella della comunicazione tra Dio e gli uommt. I cristiani quindi, esattamente come i pagani, credevano che Dio mar chiasse per mezzo di segni fin dai primi anni di vita, o addirittura prima della nascita, gli individui fuori del comune, preannunciando i loro fu turi meriti (o crimini). Rufino di Aquileia, che scrisse la sua Storia della Chiesa agli inizi del v secolo, riferisce un esempio calzante a proposito di tali eventi miracolosi. Il personaggio è il famoso e a noi ben noto Atanasio, vescovo di Alessandria tra il 328 e il 373. Un giorno Alessandro, suo predecessore, passeggiando in riva al mare vide giocare sulla spiaggia alcuni bambini, uno dei quali recitava con la massima se rietà la parte di un vescovo. L'imitazione era talmente perfetta da com prendere anche i gesti liturgici che, dato il loro carattere segreto, di soli to i comuni cristiani non conoscevano. Interrogati accuratamente i bambini, Alessandro scoprì che durante il gioco alcuni di loro erano stati battezzati con tutte le regole imposte dalla tradizione. Alessandro ne dedusse che i riti dei bambini andavano considerati validi e che il piccolo Atanasio, che faceva la parte del vescovo, andasse preparato al suo futuro ministero. Secondo lui infatti Dio aveva predestinato il ra gazzo al ruolo di vescovo e quello era stato il modo per annunciare la propria volontà. È facile trovare analogie pagane con questa storia: nel la biografia di Settimio Severo (che regnò dal193 al211) si narra come da bambino egli giocasse continuamente a fare processi, con i suoi coe tanei nella parte di littori, imitando l'attività dell'imperatore il cui tem po era in gran parte assorbito dalle incombenze di giudice. Sant'Ambrogio, secondo le memorie trascritte dal suo intimo collabo ratore e biografo Paolino, fu segnato dal Signore fin dalla più tenera in fanzia. Mentre il bambino dormiva nel cortile del palazzo, improwisa mente uno sciame di api gli si posò sulla bocca. Osservando il fenomeno miracoloso, il padre avrebbe detto: "Questo bambino, se vivrà, sarà qualcosa di grande". Le api annuncianti i futuri talenti letterari erano uno dei temi più comuni nell'antichità: lo ritroviamo nelle vite di molti uomini illustri, quali Esiodo o Pindaro, tanto per citare esempi risalenti a tempi molto lontani. Si credeva comunemente che Dio potesse intervenire nell'elezione dei vescovi, soprattutto quando la comunità in cui ciò aweniva versava in una situazione particolarmente drammatica e tra i fedeli partecipanti alla cerimonia si trovavano persone sante e adatte alla funzione di ve scovo ma, a causa della vita finora condotta, non incluse tra i possibili candidati. Ho già avuto occasione di citare il caso forse più celebre, os sia la scelta di Ambrogio quale vescovo di Milano; un altro viene citato da Eusebio nella sua Storia ecclesiastica (VI,29, 1-2). Dopo la morte del vescovo di Roma Antero (235-236), i fedeli, riuniti per scegliere il suc cessore, consideravano le varie candidature di personaggi eccellenti. Dio, però, voleva indicare il suo prescelto: un certo Fabiano, venuto 302
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dalla campagna e ignoto a tutti. Una colomba bianca scesa dal cielo si posò sulla sua testa, al che il popolo unanime lo riconobbe come prede stinato alla carica di vescovo. Un miracolo con valore di segno divino (o di omen, come si direbbe in latino secondo l'antica terminologia pagana) appare in una delle più celebri leggende della tarda antichità: quella del ritrovamento del legno della Santa Croce da parte di sant'Elena, madre di Costantino. Le pri me versioni della leggenda nacquero verso la fine del IV secolo. La reli quia del legno della Croce era già da molto tempo oggetto di venerazio ne; il vescovo di Gerusalemme, Cirillo (348-396), ricorda in una lettera all'imperatore Costanzo, nonché nelle prediche, che il legno della Croce era stato ritrovato ai tempi di Costantino il Grande, ma non no mina Elena. Rufino d'Aquileia è il primo di una lunga serie di autori che sviluppano la narrazione sulla pia imperatrice, recatasi in Terra Santa per recuperare la Croce. Non si trattava di un compito facile: sul luogo del supplizio del Redentore i pagani avevano innalzato un tempio in onore di Venere, e solo dopo aver ripulito il terreno, e a una certa profondità, furono ritrovate tre croci uguali tra loro, nonché la tavoletta fatta affiggere da Pilato sulla Croce di Gesù. Occorreva un segno mira coloso per distinguere la croce alla quale era stato appeso il Salvatore da quelle dei !adroni. A tale scopo, l'allora vescovo di Gerusalemme aveva fatto eseguire una prova: le croci dissotterrate erano state portate a una donna d'alto lignaggio, in procinto di morire. Il contatto con la terza croce l'aveva salvata dalla morte imminente. Il miracolo valeva quindi come prova, la persona miracolata non aveva particolare impor tanza in sé (per quanto il fatto di appartenere all'alta società fosse una circostanza favorevole: la testimonianza di una persona del popolo non avrebbe avuto lo stesso peso). Sul luogo del ritrovamento delle croci, secondo la leggenda, Elena fece erigere una splendida chiesa. Per sua volontà la croce fu divisa: una par te rimase sul posto a Gerusalemme, una parte portata a Costantinopoli, all'imperatore. Costantino ricevette anche i chiodi con i quali il Redentore era stato confitto alla croce: pare che ne facesse fare dei freni per i cavalli con i quali andava in battaglia, nonché un elmo da guerra. Una volta all'anno, il venerdì santo, a Gerusalemme si estraeva dal for ziere la reliquia della Croce, deponendola su un tavolo. I fedeli e i cate cumeni vi si avvicinavano uno dopo l'altro, toccandola prima con la fronte, poi con gli occhi e infine baciando il legno e la tavoletta. I diaco ni presenti sorvegliavano attentamente i partecipanti alla cerimonia: era accaduto infatti che qualcuno, baciando la Croce, ne staccasse un pez zetto con i denri per procurarsi una reliquia preziosa. Si tratta di una delle più eloquenti testimonianze del valore addirittura magico attribui to alle reliquie già nelrv secolo. Dio poteva, in modo miracoloso, indicare ai fedeli un importante av venimento prodottosi lontano dal luogo dove si verificava il prodigio. Nella lettera di Cirillo a Costanzo, sopra menzionata, troviamo un 303
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esempio calzante di questo tipo di miracolo. Quando, nella lontana Italia, era in atto la sanguinosa guerra contro l'usurpatore pagano Magnenzio (conclusasi con la vittoria del legittimo sovrano), a Gerusalemme sul Golgota apparve in cielo un'enorme croce, visibile a tutti gli abitanti cristiani e pagani della città. Essa rimase sospesa in cie lo per molte ore, brillando ai raggi del sole, a riprova evidente della po tenza di Dio.
12.9 Miracoli in occasione della morte di grandi peccatori e di santi
Anche la morte di persone famose poteva essere occasione dell'appari zione di un segno divino. Dio non solo premiava i fedeli, ma puniva an che le colpe dei grandi peccatori giunti all'ora estrema; di solito lo face va in modo spettacolare, perché la fine dei rei dissuadesse i loro even tuali imitatori. Soprattutto i persecutori di cristiani e gli eresiarchi mori vano tra atroci sofferenze o in modo particolarmente orripilante. Fu questo il caso della morte diArio, narrata diffusamente dagli stori ci della Chiesa Rufino diAquileia, Socrate e Sozomeno. Acconsentendo ad accettare il Credo approvare a Nicea, Ario desiderava venir riaccolto in seno alla Chiesa dalla quale il concilio l'aveva escluso. Tale era anche il desiderio dell'imperatore Costantino e del vescovo di Nicomedia Eusebio, sostenitore diArio. Narra Rufino che, andando verso la chie sa, Ario fu colto dal bisogno di entrare in una latrina pubblica, e che in quel luogo indegno espulse fuori visceri e intestini, morendo all'istante. Ecco come egli descrive la scena: Giunto che fu vicino al cosiddetto "foro di Costantino", dove sorge una sta tua di porfido, fu invaso dal terrore per le colpe commesse, terrore che gli causò un violento sommovimento intestinale. Informatosi se da quelle parti ci fosse una latrina e appurato che una ve n'era dietro al foro di Costantino, vi si recò. Qui Ario vien preso da un malore
c
insieme agli escrementi espelle
l'intestino retto, seguito da gran copia di sangue e dalla fuoriuscita dell'inte stino tenue, della milza
e
del fegato; e subito muore. Ancor oggi a
Costantinopoli quella latrina, situata, come ho detto, dietro al foro di Costantino e ai macelli sotto i portici, viene mostrata ai visitatori, e chi vi pas sa davanti la indica a dito, a eterna memoria della cosiffatta morte di Ario.�
Paragoniamo ora questa descrizione all'immagine della morte di un giusto, che si distacca dal mondo in pace e letizia. La Provvidenza ave va annunciato in anticipo a sant'Antonio il giorno della dipartita, per cui questi aveva avuto il tempo di congedarsi dai monaci, di pronun ciare gli ultimi insegnamenti e di distribuire i suoi pochi averi: il man tello e le pelli di pecora al vescovo di Alessandria, Atanasio, e a 4
Rufino di Aquileia, Storia della Chiesa, 304
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Serapione, vescovo di Tmuis; il cilicio ai fraticelli che lo servivano. A questi disse: «"E adesso statevi bene, figli miei; Antonio se ne va e non l'avrete più con voi". Dette queste parole quelli lo baciarono, Antonio sollevò i piedi, quindi, come se vedesse venire a sé degli amici, tutto lieto per la loro venuta, disteso con volto sereno, spirò, andando a rag giungere i santi Padri».5
12.10 Miracoli per fermare Satana Dio interviene ripetutamente nel corso degli eventi per impedire la vit toria di Satana. Narra Rufino di Aquileia come Dio impedisse agli ebrei la ricostruzione del tempio di Gerusalemme, approvata da Giuliano l'Apostata che con questo gesto intendeva sfidare i cristiani e dimostra re la falsità della profezia di Cristo («In verità vi dico: non resterà qui pietra su pietra che non sia diroccata», Mt, 24, 2). Riguardo al senso teologico della distruzione della città santa, Origene scrisse: Pertanto, uno dei fatti che provano che Gesù era un essere divino e sacrosan to, è proprio la constatazione che per causa sua i giudei hanno dovuto subire tali e tante sciagure per un tempo sì lungo. E noi oseremo dire che per loro non ci sarà ripresa, poiché essi hanno perpetrato la più empia delle nefandez ze, cospirando contro il Salvatore del genere umano in quella città dove essi offrivano a Dio i rituali sacrifizi, simboli dei grandi misteri. Per questo era ne cessario che quella città, dove Gesù sofferse queste pene, fosse completamen te annientata.6
Dai tempi di Origene (185 ca.-254 ca.) Gerusalemme aveva recuperato gran parte della sua struttura urbana; tuttavia l'assenza del tempio ave va un profondo significato simbolico. I preparativi della sua ricostru zione non incontrarono ostacoli, in quanto l'imperatore aveva imposto alle autorità di partecipare fattivamente all'impresa. Come scrive Rufino, l'ultima notte prima dell'inizio dei lavori un violento terremoto buttò all'aria i materiali da costruzione accatastati e distrusse gli edifici vicini, uccidendo numerosi ebrei che aspettavano il momento solenne dell'inizio dei lavori. Ma quando, al sorgere del giorno, gli ebrei afflui rono sul terreno del futuro tempio, senza capire che il cataclisma era stato un segno dell'opposizione divina, una palla di fuoco piombò sugli astanti uccidendoli e travolgendo ogni cosa al suo passaggio. Per fugare gli eventuali ultimi dubbi sulla natura di quei fenomeni, Dio mandò un altro segno: sulle vesti dei presenti apparve una croce che non fu possi bile eliminare.
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Atanasio, Vzta di Antonio, 93. Origenc, Contro Celso , IV, 22. 305
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12 .l l I miracoli e il meraviglioso Nell'apocrifo Vangelo dello pseudo-Matteo, che risale a non prima del VI secolo, un ampio spazio viene dedicato all'infanzia di Gesù. Gesù gioca come tutti i bambini ma, già dotato di poteri miracolosi, se ne serve per punire i compagni di gioco che non rispettano la sua volontà. A quattro anni Gesù scava nella sabbia sulla riva del Giordano sette stagni collegati tra loro, ai quali affluisce l'acqua del fiume. Quando un ragazzo, per di spetto, ostruisce i canali dell'acqua, Gesù lo fa morire dicendo: «Guai a te, figJjo della morte, figlio di Satana! Le opere che io bo eseguito tu osi distruggerle?». Al rimprovero di Maria (Giuseppe infatti non osava sgri darlo), <<Signore mio, che cosa ha fatto costui per dover morire?>>, Gesù risponde: «Ha meritato la morte, perché ha distrutto le opere che io ave vo eseguito>>. Poi però, davanti alle suppliche della madre, che temeva la collera dei vicini, Gesù colpisce con il piede destro le natiche del morto e gli dice «Levati, figlio dell'iniquità: non sei degno di entrare nel riposo del padre mio, perché hai distrutto le opere che io avevo eseguito», al che il morto si alza e se ne va. Anche altri coetanei del piccolo Gesù ven gono fatti morire appena lo contrastano in qualche modo: «Che tu non possa ritornare vivo dalia via per cu i stai andando! E immediatamente quello stramazzò a terra e morÌ>>. «0 pessimo seme d'iniquità, figlio del la morte, officina di Satana! lnvero sarà senza efficacia iJ frutto del tuo seme e le tue radici senza umore e i tuoi rami aridi e non porteranno frutto. E tosto, davanti agli occhi di tutti, il ragazzo si disseccò e morì».l NelJe vite dei martiri un grande spazio veniva dedicato aUa descrizio ne delle loro sofferenze; con il passare del tempo i pii autori prestarono loro sempre maggior attenzione e le torture dei martiri si fecero sempre più numerose e ricercate. Nelle vite di san Giorgio scritte in Egitto tro viamo descrizioni orripiJanti. Un crudele sovrano ordina di chiudere il santo in una ruota di legno, internamente rivestita di lame acuminate e fatta girare dall'acqua del fiume. Dio protegge il martire dalle sofferen ze, ma il corpo di Giorgio è ridotto in brandelli sanguinolenti. AlJora dal cielo, su un carro trainato dai cherubini, scende Cristo, che ordina all'arcangelo Michele di raccogliere i brandelli sparpagliati e restituisce loro la vita dicendo: "La mano che ha modellato nella creta Adamo, il primo uomo, ricostituirà anche te". Cristo infonde al santo il soffio vita le, lo bacia e torna in cielo scortato dagli angeli. Un pio eremita egizio, errando nel deserto, trova nella sabbia il teschio di un pagano morto secoli addietro. Comincia a parlargli, come si con viene a un sant'uomo abimato a conversare con le mummie degli antichi sepolcri che fungono da celle ai monaci. Venuto a sapere delle spavento se sofferenze patite dall'anima di quell'uomo, immersa nel fiume di fuo co nell'inferno, si in1pietosisce e decide di chiedere a Dio di perdonarlo.
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Vangelo dello p.rudo-Matteo, in Vangeli apocrt/i, 26, 1-3; 28, 1, Einaudi,
Torino 1990.
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Alle preghiere del monaco Dio risponde di non poter liberare dal potere di Satana l'anima dannata. Ma l'eremita non si arrende: rimane esposto al calore spaventoso del deserto e, sotto i raggi infuocati del sole, prega eseguendo le "metanoie" (esercizi ascetici consistenti nel chinarsi profondamente fino a battere la testa in terra, recitando salmi o altri testi sacri). Dio ripete che non può far nulla per l'anima dannata. Ma il mona co continua imperterrito, minacciando di restare nel deserto fino alla morte. Alla fine il Signore si lascia convincere, ma non potendo traspor tare l'anima in paradiso e non volendo !asciarla all'inferno, l'annienta. Questi esempi (che potrei moltiplicare, essendo frequenti nei testi tardo-antichi) più che raccontare miracoli introducono nel mondo del meraviglioso, liberamente governato da una fantasia umana non ecces sivamente condizionata dai precetti religiosi. I Vangeli canonici dicono chiaramente che l'infanzia e la giovinezza di Gesù trascorsero come l'in fanzia e la giovinezza della gente comune, anche se pia. Un Dio che amava gli uomini al punto di morire per salvarli non avrebbe potuto uc cidere per un semplice capriccio infantile. Resuscitare un martire, mor to senza provare dolore, annulla il senso teologico del martirio: è un in tervento magico, non religioso. Da un punto di vista teologico non ci si spiega come mai Dio (onnipotente) non sia in grado di trasportare in paradiso l'anima di un peccatore; l'immortalità dell'anima rientra nei fondamenti dell'ordine cosmico stabilito da Dio: perché mai Egli do vrebbe infrangere tale legge solo per compiacere un asceta, così super bo nella sua ostinazione? In effetti il confine tra miracolo e meraviglioso non era chiaramente tracciato. Tuttavia nella tarda antichità di solito si distinguevano perfet tamente le cose che si dovevano credere, e che si potevano chiedere a Dio, da quelle che invece esulavano dal controllo ecclesiastico, restando nell'ambito della pura evasione fantastica. Un'evasione, beninteso, rigo rosamente pia.
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13. Il culto dei santi
Nella tarda antichità il ruolo di dispensieri dei miracoli divini, soprat tutto di quelli riguardanti le guarigioni, spettava ai santi. Nella storia del cristianesimo il loro culto fu un fenomeno estremamente importante e per molti secoli rappresentò uno dei principali elementi della devozio ne. Esso assunse la sua forma compiuta nella seconda metà del IV seco lo, sviluppandosi con sorprendente rapidità e penetrando in tutti gli strati delle comunità cristiane. Suo oggetto furono inizialmente i martiri seguiti, nel IV secolo, da venerabili asceti; un po' più tardi si comincia rono ad annoverare tra i santi anche i pastori del popolo di Dio, soprat tutto vescovi. Nel processo di formazione dell'immagine del santo un ruolo prepon derante venne svolto dalia letteratura: si deve a essa l'introduzione nella categoria dei santi di persone effettivamente distintesi per virtù eroiche ma che, vivendo al tempo degli imperatori cristiani, non avevano dovuto testimoniare con il sangue la loro fedeltà al Signore. Iniziatore di tal ge nere di opere fu Atanasio, da noi tante volte citato, con la Vita di Antonio (composta tra il 356 e il 362). Egli creò un nuovo modello di santo e un nuovo concetto di "martirio", successivamente detto "marti rio bianco". I fedeli, comunque, non avevano bisogno di dotte argomen tazioni per essere persuasi delia santità dei monaci e dei loro poteri: da quando gli asceti avevano popolato gli eremi, dedicandosi a esercizi che all'uomo comune apparivano terrificanti, ne erano assolutamente certi.
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Tentativo di definizione
ComincerQ. dunq]Je dalla definizione di "santità" (non delia santità in genere, ma delia santità çome veniva intesa alia fine dell'antichità); per facilitarmi il compito, ho scelto alcuni frammenti di testi agiografici, che contengono i dati indispensabili a questo proposito. In quel medesimo torno di tempo si rivelarono al vescovo [si tratta di Ambrogio, vescovo di Milano] i santi martiri Protasio e Gervasio. Essi erano seppelliti nella basilica in cui sono oggi i corpi dei martiri Nabore e Felice; ma mentre i santi martiri Nabore e Felice erano oggetto di grande venerazio ne, dei martiri Protasio e Gervasio non si conoscevano né i nomi né i sepol308
Il culto dei santi cri, al punto che passavano sui loro sepolcri tutti coloro che volevano giunge re ai cancelli che proteggevano dalle profanazioni i sepolcri dei santi martiri Nabore e Felice. Ma quando i corpi dei santi martiri furono levati e posti su lettighe, si riferisce che molti malati furono ivi guariti, e pure un cieco, di nome Severo, che ancor oggi presta religiosamente il suo servizio nella basili ca detta Ambrosiana, in cui furono trasferiti i corpi dei martiri, appena toccò la veste, subito ricuperò la vista. Anche gli ossessi dagli spiriti immondi veni vano guariti e ritornavano a casa pieni di riconoscenza. 1 L'uomo di Dio rimase curvo in preghiera con un prete, un diacono e due por tieri, versando lacrime abbondanti e supplicando la potenza divina di manife stare con la sua azione la propria abituale maestà. Quando il prete ebbe ter minato di pregare, il beato si rivolse in tal modo al cadavere: "In nome di Nostro Signore Gesù Cristo, santo prete Silvino, parla ai tuoi fratelli!". Quando il defunto aprì gli occhi, l'uomo di Dio ebbe qualche difficoltà a per suadere i presenti a restare in silenzio, tanta era la loro gioia. E di nuovo, ri volgendosi al defunto: "Vuoi tu" gli chiese "che chiediamo al Signore che si degni di renderti ai suoi servitori in questa vita terrena?". Ma lui rispose: "In nome di Dio, ti supplico, non obbligarmi a restare ancora quaggiù e non pri varmi del riposo eterno dove credevo già di trovarmi". E con questa preghie ra cadde nel sonno eterno.2 Un uomo enfiato dalla lebbra, di nome Teio, attratto dalle virtù di san Severino venne da molto lontano per chiedergli di risanarlo con le sue pre ghiere. Secondo l'uso consacrato, gli fu imposto di piangere in continuazione implorando Dio, dispensatore d'ogni grazia. Che accadde dunque? Grazie alle preghiere del sant'uomo e con l'assistenza di Dio il lebbroso fu mondato.' Un uomo in Egitto aveva un figlio paralitico. Lo portò quindi alla cella di Macario, lo lasciò davanti alla porta e se ne andò più lontano. Il bambino piangeva. Il vecchio si affacciò, lo vide e chiese: "Chi ti ha portato qui?". Il bambino rispose: "Mio padre mi ha buttato qui e se n'è andato". E il vecchio: "Alzati e raggiungilo!". E subito il ragazzo guarì, si levò e corse dal padre: e così tornarono a casa4
In tutti questitesti il sant�are come un uomo dorato da Dio di una particella del suo potere; come èliceyaoo gli autori greci, egli è "colui che porta lo Spirito Santo" e, in quanto tale, è capace di operare mira coli e di proteggere la gente dalle forze del male. Tale caRacità venne -
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Paolino, Vita di Ambrogio, �4. Eugippe, Vie de S. Séverin, Editions du Cerf, Paris 1991, XVI, 4-6. J lvi, XXXIV, 1-2. 4 Abba Macario Egiziano, 15, in Vita e detti dei Padri del deserto, Città Nuova Editrice, Roma 1997. 1
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Storia della Chiesa nella tarda antichità conservata nelle sue spoglie mortali, negli oggetti da .lui toccati mentre era in vita e perfino nei luoghi dei suoi soggiorni. Il santo rendeva ope rante la sua facoltà soprattutto per mezzo della preghiera, talvolta an che di un gesto; tuttavia poteva accadere che essa agisse automatica mente, senza l'intenzione di compiere un miracolo, per effetto di parole pronunciate casualmente. Il santo è un essere vicino a Dio, suo "amico" e "compagno": erano queste le espressioni usate a quei tempi. Egli può sfruttare la sua partico lare condizione per chiedere una grazia a favore di persone che lo inter pellano perché interceda presso Dio, vera fonte delle sue opere miracolo se. I teologi porranno fortemente l'accento su questo aspetto delle azioni dei santi, combattendo la diffusa tendenza a considerare i loro poteri come quasi autonomi e derivanti. esclusivamente dal loro portatore. Leggendo le opere agiografiche viene da chiedersi fino a che punto gli in segnamenti dei teologi in materia fossero efficaci: per molti cristiani la li bertà d'azione dei poteri taumaturgici arrivava più lontano di quanto la Chiesa, m i personata dai suoi grandi pensatori, fosse disposta ad accettare. E sorprendente quanto di rado i testi tardo-antichi sviluppino il tema dei santi come modello dei comportamenti cristiani. Veniamo a sapere pochissimo sulla vita dei martiri prima dd loro arresto: l'attenzione dei pii autori si concentra sulla descrizione della dimensione eroica della vita dei santi, e quindi viene dato ampio spazio alla professione di fede davanti al magistrato, alle torture, alle scene di morte. Anche le narra zioni di ascesi monastica preferiscono presentare il distacco dalla condi zione wnana, piuttosto che esempi di virtù capaci di far da modello a monaci meno ardentemente religiosi. L'insistenza sull'eroismo dei santi derivava dal bisogno di distinguerli dal resto della comunità cristiana e dal desiderio di dimostrare che, uscendo vittoriosi dalle prove, avevano superato la propria natura umana. Ai santi viene infatti conferito uno status diverso dal resto dell'wna nità, uno status che si manifesta nel loro speciale legame con Dio, in una forza speciale capace di sowertire l'ordine naturale delle cose, e nei doni offerti loro da Dio in cambio deJle sofferenze, della morte, dell'a scesi, della testimonianza di fedeltà a Cristo e della vittoria su Satana. I santi combattono contro Satana: è hù il loro vero nemico, non i cru deli, ottusi funzionari e la fanatica folla pagana. I monaci devono scon figgere il diavolo, e non semplicemente la propria debolezza dovuta al l'ascesi, e la ribeUione del corpo, al quale negano l'appagamento dei bi sogni naturali.. La vittoria dei santi è la vittoria di Dio sul nemico, è il momento del trionfo celeste. La convinzione che la tomba del santo conservasse la sua forza indu ceva i comuni fedeli a coUocare i propri sepolcri il più vicino possibile alla fonte miracolosa, ad sanctos ("presso i santi"). Tale usanza si mani festa già nel m secolo, intensificandosi nel IV, e non viene minimamente disturbata dal sorgere dei martyria, imponenti edifici che facevano da cornice al fulmineo svilupparsi del culto dei martiri. I cristiani del tem'
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Il culto del santi po facevano a gara per occupare il posto più vicino al luogo dove giace vano le spoglie mortali di un santo; i meno fortunati dovevano accon tentarsi di terreni in prossimità dell'edificio, mentre i più ricchi e in fluenti erano in grado di seppellire i propri cari all'interno del marty rion. f'lell' AI J.o �dioe�, a nartire dall'viii secolo, compare l'usanz.a di sotterrare le refiquie insieme al defunto. Lti'Saiiià"Cl1Collocarèle tombe ad sa:Zcto!; presuppone la fede nell'effi cacia dell'aiuto prestato al defunto dai santi che compaiono con lui da vanti al Giudice celeste, e che in quel momento decisivo chiederanno al Signore la grazia per l'anima peccatrice. Solo con molta fatica si poteva trovare un fondamento teologico a tale credenza: per convincersene ba sta leggere il trattato di sant'Agostino De cura pro mortuis gerenda, che limita drasticamente gli eventuali vantaggi derivanti al defunto dalla vi cinanza della fonte dotata di poteri miracolosi. Tuttavia i cristiani della tarda antichità (come pure quelli dei secoli successivi) ignoravano le ammonizioni dei teologi, incuranti della contraddizione tra le loro idee e le tesi sostenute dalla Chiesa. ·
13\.1 A quando risale il culto dei santi? () La testimonianza del Martirio di Policarpo A quanto indietro risale, nel passato del cristianesimo, il culto dei santi? Si tratta di una domanda non solo importante dal punto di vista scienti fico, ma anche spinosa, dato che il culto dei santi è stato duramente criti cato come dannoso, come un'escrescenza del cristianesimo, una conces sione alla pressione dell'eredità pagana, la prova di un ripudio del puro monoteismo da parte dei primi seguaci della fede di Cristo. Queste ac cuse al culto dei santi non vennero formulate soltanto al tempo della Riforma, quando le Chiese nate da essa lo eliminarono drasticamente dalla propria fede, ma anche alla fine del XIX secolo, quando bersaglio della critica fu il cattolicesimo nella sua forma tradizionale. Quindi, per gli storici cattolici della Chiesa, collocare il culto dei santi agli albori del cristianesimo è di estrema importanza, in quanto conferisce prestigio a esso e svalorizza gli argomenti degli avversari dottrinali e degli ancor più numerosi schernitori. TI..Qiù antico testo riconosciuto come prima testimonianza del culto dei ..s.antiè.{ma l�ttera della comunitrdi una cÌtt��Tne , alla comunità di Filomenio in Frigia,..che_ciescriv.e la..morte di.PoliGarp.o, facente funzione di vescovo a Smirne già nel primo decennio del II seco lo. Di Policarpo la tradizione narrava che fosse stato discepolo dell'apo stolo Giovanni; aveva vissuto molto a lungo, divenendo il tramite vivente tra la generazione degli apostoli e i cristiani delle generazioni successive, circostanza estremamente importante per i fautori del culto dei santi, in quanto permetteva loro di dimostrare che le persone convertite e educate alla fede cristiana dai discepoli degli apostoli non vedevano in esso niente
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di deviante né di contrastante con l'essenza stessa della fede. Le date del martirio di Policarpo non si possono stabilire con certezza: le proposte degli studiosi oscillano tra il 155 e il 177 (agli effetti delle nostre conside razioni questo problema, fondamentale per la ricostruzione della storia delle persecuzioni, non ha grande importanza). Oltre a essere citata da Eusebio di Cesarea nella propria opera (Storia ecclesiastica, IV, 15), la lettera con la descrizione del martirio di Policarpo si è conservata come opera autonoma intitolata Il martirio di Policarpo, proveniente da una tradizione indipendente. Tra i due testi esistono al cune differenze che, ai nostri fini, possiamo permetterei di ignorare. Si tratta di un testo talmente importante che non possiamo fare a meno di citare per intero il passo che ci riguarda: Ma il Rivale geloso e maligno, l'Avversario della stirpe dei giusti, come vide la grandezza di quella testimonianza e la perenne irreprensibilità della sua vita, e vide che era stato cinto con la corona dell'immortalità e aveva ottenuto il premio inoppugnabile, fece i n modo che le sue spoglie non potessero venire da noi raccolte, per quanto fossimo in molti a bramare di far ciò e di aver co munione con la sua santa carne. Egli dunque ispirò a Nicete, padre di Erode e fratello di Alce, di andare a sollecitare dal proconsole un provvedimento che ci negasse il suo corpo. "Per evitare" disse "che, accantonando il Crocefisso, prendano a adorare costui". E a suggerirgli questo e a incalzarlo erano stati i giudei; i quali avevano preso a sorvegliarci, poiché volevamo pre levarlo dalla pira; senza comprendere che mai potremmo abbandonare Cristo, colui che ha patito al fine di riscattare rutti coloro per i quali ci sarà salvezza ovunque nel mondo, lui, senza macchia, per noi peccatori; e che mai potremmo venerare qualcun altro. Lui, infarti, noi adoriamo quale figlio di Dio, mentre ai martiri siamo giustamente devoti in quanto discepoli e imita tori del Signore e per la loro suprema fedeltà verso il proprio re e maestro; e sia dato a noi pure di farcene compagni e condiscepoli! Vista dunque l'animosità manifestata dai giudei, il centurione fece portare il corpo in vista di tutti e, secondo il costume loro, lo fece cremare. E così al termine noialtri, raccolte quelle sue ossa più preziose di rare gemme e più pure dell'oro fino, le riponemmo là dov'era di rito. E in questo luogo radu nandoci in esultanza e letizia ogni qual volta ci sarà possibile, ci consentirà il Signore di festeggiare la ricorrenza del suo martirio, a memoria di quanti hanno affrontato già la stessa lotta e a esercizio e preparazione di quanti la af fronteranno in futuro.5
13.3 Ossa più preziose di rare gemme Il comportamento delle autorità romane, che rifiutavano di consegnare il corpo, era motivato da considerazioni politiche. La tomba di una perso5 Il martirio di Policarpo, in Atti e passioni dei martiri, cit., pp. 25-27. 312
Il culto dei santi
na martirizzata per le sue convinzioni religiose poteva diventare un luo go di raduno per i suoi seguaci, al fine di far rivivere il ricordo delle sue azioni e rafforzare la volontà di restare fedeli alle sue idee. Manifestazioni di questo genere, irritanti per gli avversari di un dato gruppo religioso, davano adito a conflitti spesso degeneranti in tafferu gli, temuti moltissimo dalle autorità. Lo studio delle repressioni politiche nell'età contemporanea dimostra quanto importanti siano per la conti nuazione del movimento di protesta i luoghi contrassegnati dal sangue degli eroi, che conferisce loro un valore di simbolo. Le autorità preferi vano quindi impedire la creazione di un luogo siffatto, santificato dal sa crificio di una vita. In tal modo ragionava anche Diocleziano, quando ordinava di rimuovere dalle tombe i corpi dei martiri e di gettarne in mare i brandelli. Decisione così commentata da Eusebio: i pagani teme vano che «se le tombe fossero sopravvissute, i martiri, considerati dèi, divenissero un oggetto di culto».6 Naturalmente sia alle autorità deluse colo sia a Diocleziano era indifferente che i cristiani vedessero, oppure no, i martiri come dèi; quel che importava loro era di impedire il sorgere di un legame tra un dato luogo e un culto. Alla fine però, malgrado tutti i divieti, i cristiani di Smirne ottennero, secondo il testo che ci è pervenuto, i resti mortali di Policarpo, sia pure a cremazione avvenuta. Non si può fare a meno di notare con una certa perplessità l'incoerenza del funzionario responsabile; dal suo punto di vista bruciare il corpo non equivaleva a rifiutarne la consegna; per lui il rito della cremazione era altrettanto normale che la sepoltura. Nel caso dei condannati di cui si aggravava la pena con il rifiuto di consegnare le spoglie alla famiglia, dopo l'esecuzione e la cremazione le ceneri veniva no gettate in acqua oppure disperse al vento. Non si capisce quindi come mai le cose andassero diversamente nel caso di Policarpo, visto che le autorità intendevano impedire l'esistenza di una tomba. Può dar si che, pagando, i cristiani siano riusciti a mutare le loro decisioni; ma è anche possibile che il testo originario del Martirio di Po!icarpo sia stato alterato in quel punto per effetto di interventi successivi (di ciò parlerò in seguito). Il comportamento dei cristiani che cercavano di ottenere la restituzio ne del corpo del martire non contrastava con le usanze antiche vigenti. Anche per i pagani il seppellimento delle spoglie, con o senza cremazio ne, era un sacro dovere dei parenti; anche i pagani avrebbero potuto definire i resti mortali di illustri personaggi più preziosi delle gemme e dell'oro fino. Gettare le ceneri in acqua, disperderle al vento oppure abbandonare le spoglie in pasto alle bestie feroci era la forma di castigo più grave, in quanto rendeva impossibile compiere i riti senza i quali l'esistenza dell'anima nell'aldilà diventava molto più dura. Anche l'usanza di raccogliersi intorno alla tomba era comunemente praticata nell'antichità. I parenti, gli amici e i conoscenti lo facevano nei 6 Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, VIII, 6, 7. 313
Storia della Chiesa nella tarda antichità
giorni santificati dalla tradizione, soprattutto nell'anniversario della na scita del defunto. La riunione sulla tomba assumeva la forma di un ban chetto: si preparava un coperto per il morto e si credeva che egli fosse presente e partecipasse al pasto; talvolta si versavano liquidi sacrificali sulle ceneri all'interno del sarcofago o dell'urna attraverso appositi tu bicini. I più ricchi costruivano accanto alle tombe di famiglia un posto speciale per i banchetti, spesso coperto da una tettoia e provvisto di let ti sui quali, secondo l'uso antico, i commensali si sdraiavano. I banchet ti non dovevano essere improntati al lutto e alla tristezza, anzi si crede va che il morto potesse partecipare alla gioia dei presenti, rallegrarsi della loro buona salute, della loro ricchezza e dei loro successi. I cristiani non avevano motivo di ripudiare quegli usi pagani. Per il m secolo possediamo ormai testimonianze archeologiche dell'esistenza di complessi funebri appartenuti a cristiani, attrezzati esattamente come i complessi pagani. Dall'espressione, contenuta nel Martirio di Policarpo, «per quanto fossimo in molti a bramare di far ciò e di avere comunione con la sua santa carne», si deduce che i cristiani di Smirnc della metà del11 secolo consideravano le spoglie mortali del martire una materia fuori del co mune, con la quale i vivi potevano entrare fisicamente in contatto, rica vandone dei vantaggi (anche se il testo non ci dice quali). Questo ci av vicina al modo di considerare i santi riscontrabile, con grande dovizia di particolari, nei testi risalenti alla seconda metà delrv secolo. Non si trattava di un modo di pensare radicalmente diverso dalle idee dei pagani circa le spoglie umane rinchiuse nei sepolcri. Scrivendo «avere comunione con la sua santa carne», l'autore resta nell'ambito delle immaginazioni pagane sul potere insito nel corpo del morto. Gli antichi nutrivano spesso la convinzione (in effetti confusa e non descri vibile a parole) che i morti, mantenendo un contatto con il mondo so prattutto nel luogo della loro sepoltura, potessero esercitare sui vivi un effetto sia buono che cattivo. La tomba, del resto, non era mai un punto qualunque dello spazio, come i resti mortali non erano semplici bran delli di materia. La convinzione del potere insito nei morti, o perlome no in alcuni di loro, si accentua significativamente ai tempi dell'impero; lo si vede dai cambiamenti delle procedure magiche: è allora che si diffonde l'uso, nelle formule delle operazioni magiche, di rivolgersi ai demoni dei morti. Il morto era quindi considerato come un essere capa ce di agire sui vivi, purché si fosse capaci di indurlo a ciò.
13.4 La differenza tra l'adorazione di Dio
e
il culto dei martiri
Nella letteratura cristiana Il martirio di Policarpo rimane un fenomeno isolato per i successivi due secoli. Per trovare testi simili sia nel tono che nel contenuto, bisognerà aspettare il IV secolo (più la seconda che la prima metà). È un fatto che spinge a qualche riflessione; ancor più si314
Il culto dei santi
gnificativa appare la spiegazione dell'autore della lettera a proposito della differenza tra l'adorazione dovuta a Dio e il culto dei martiri: an che queste considerazioni non troveranno niente di analogo per un al tro secolo e mezzo. Il martirio di Policarpo è chiaramente polemico e fu scritto per confutare i rimproveri di quanti vedevano nel culto dei mar tiri un allontanamento dalla fede in un unico Dio. Ma chi mai poteva formulare rimproveri del genere? Non certo i pa gani, che la questione non concerneva; ma se chi li e.<>primeva proveniva dall'ambito cristiano, come si spiega la sparizione di questo problema dalle opere cristiane per quasi duecento anni? Possiamo certo chiederci se a muovere i rimproveri non fossero gli ebrei, ipersensibili al distacco da un rigoroso monoteismo e sempre pronti a sfruttare ogni appiglio per attaccare i cristiani. Ma è possibiJe un'eventualità del genere in un'epoca in cui i comportamenti cristiani riguardo alla sepoltura dei de fumi non esulava dalle usanze pagane? Possibile che i cristiani giudicas sero così gravi le critiche ebraiche (e così pericolose nella loro giustez za), da rispondervi in una lettera che descrive le persecuzioni? Si tratta di un'eventualità non impossibile, ma altamente improbabile. Le incoerenze del testo (si rifiutano ai cristiani le spoglie di Policarpo, ma si consegnano loro le sue ceneri) e la mancanza di testi analoghi nel la pur ricchissima letteratura cristiana dei successivi due secoli mi indu cono a cercare un'altra soluzione ai problemi posti dal Martirio di Policarpo. Sospetto fortemente che il testo (perlomeno nel punto che in teressa alla nostra analisi) si discosti dalla lettera originale inviata dalla comunità di Smirne alle Chiese vicine. Non c'è motivo di dubitare che una tale lettera sia stata effettivamente scritta: ne conosciamo altre, di carattere analogo (della corrispondenza tra le Chiese e del suo significa to ho parlato già nel primo capitolo); tuttavia ciò non vuoi dire che il documento ci sia pervenuto esattamente nella sua prima versione, che risale a tempi vicini all'avvenimento. Non c'è da meravigliarsi. Le opere di questo genere, circolanti in molte copie, lene in occasione di incontri annuali presso le tombe dei martiri, erano soggette a molte modifiche: venivano abbellite, sviluppate; venivano aggiunte considerazioni su temi, prima secondari, diventati importanti con il passare del tempo. Erano le normali vicissitudini delle opere che, pur essendo letterarie, non appartenevano alla letteratura classica e quindi scolastica, o ai testi sacri, trattati con il massimo rispetto come parole dello Spirito Santo. Le opere al di fuori di queste due categorie subivano cambiamenti con tinui, vivevano, si adattavano ai nuovi bisogni e ai nuovi gusti. Siamo, ovviamente, nel campo de!Je supposizioni e delle intuizioni impossibili da dimostrare, dato che l'argomento basilare della mancan za di testi di analogo contenuto non è abbastanza forte (come sempre, del resto, quando ci si richiama aU'argurnentum ex silentio, ossia al fatto che le fonri tacciano in materia). Anche ammettendo che non esistano motivi per dubitare dell'autenticità del passo del Martirio di Policarpo, dovremmo ugualmente essere molto cauti nel dedurne che nella metà 315 Copyrighted
m aterial
Storia della Chiesa nella tarda antichità del n secolo il culto dei martiri esistesse già nella forma da esso assunta in seguito. Dal testo infatti non risulta che secondo i cristiani di Smirne i resti di Policarpo potessero fare miracoli e che egli stesso potesse in tercedere presso il Signore a nome di coloro che glielo chiedevano. Il massimo che possiamo dire è che il cristianesimo si trova già sulla stra da in fondo alla quale questi atteggiamenti diventeranno comuni. La testimonianza clt>l Martirio di Policarpo non ha dunque, nella discus sione sull'inizio del culto dei santi, il peso che si è soliti attribuirgli; quel che invece è fuori discussione, è l'apparire di un'innovazione cristiana: la comunità di Smirne venererà Policarpo non nell'anniversario della nasci ta, ma in quello del martirio, giorno della sua nascita alla vita eterna. Per trovare nuovi testi riguardanti il culto dei martiri bisogna atten dere circa un secolo. Cipriano, vescovo di Cartagine negli anni delle persecuzioni decretate da Decio e Valeriano, scriveva nelle sue lettere: «Infine prendete nota anche del giorno della loro morte, in modo che possiamo solennemente ricordarli nel fare memoria dei martiri. [ ...] E noi qui offriamo in loro memoria ablazioni e sacrifici».7 «Sempre, ogni qualvolta nella ricorrenza anniversaria ricordiamo i giorni della passio ne dei martiri, offriamo per essi il sacrificio, voi ben lo ricordate.»8 In quanto scrive Cipriano non si trovano ancora gli elementi specifici del successivo culto dei santi, ossia l'idea dell'intercessione presso Dio e il potere miracoloso contenuto nei loro resti. Vi si sente invece il biso gno di ricordare i gloriosi testimoni della fede di Cristo e di rinnovare tale memoria attraverso la messa e le preghiere in loro onore nell'anni versario del martirio. Il mutamento nel modo di concepire i santi e il loro ruolo tra i vivi dovette verificarsi un po' più tardi, verso la fine della seconda metà del lll secolo. Anche se nessun testo dell'epoca ci conferma tale fenomeno, si tratta di una conclusione ricavata dall'esame del processo di crescita del culto dei santi agli inizi del IV secolo. Particolarmente significativo fu, alle soglie di questo secolo, il rapido sviluppo dell'architettura cri stiana, una delle cui caratteristiche fu la comparsa dei martyria. Sorgevano con tale rapidità e con tale estensione da farci supporre che i fedeli, radunantisi a frotte sulle tombe dei martirizzati per la fede, o in loro vicinanza, intervenissero non solo per testimoniare la costanza del loro ricordo, ma anche per cercarvi un aiuto ai propri problemi mate riali e terreni. Gli eremiti che in Egitto abbandonavano "il mondo" e si recavano nel deserto per combattere Satana con i mezzi forniti loro dal l'ascesi (tra la fine del m secolo e i primi anni del TV) furono immediata mente riconosciuti come "santi", portatori di poteri miracolosi e capaci di intercedere presso Dio. La velocità con cui si compie tale processo dimostra che le comunità cristiane erano già preparate a questo specifi co modo di concepire la santità.
7 Cipriano, Le lettere, Xli, 2. 8lvi,93,3. 316
Il culto dei santi
Negli anni della Piccola Pace, quando si cominciò a definire in modo nuovo la posizione dei martiri della Chiesa, probabilmente dovettero al zarsi voci di protesta da parte di chi in quel fenomeno vedeva un influs so pagano: fu allora, a mio parere, che uno dei redattori del Martirio di Policarpo vi inserì la difesa delle proprie ragioni, nonché il passo riguar dante i sacri resti e la notizia dei fedeli che si riunivano in loro vicinan za. A Smirne esisteva la tomba, probabilmente un cenotafio: bisognava dimostrare che la sua esistenza era testimoniata nel venerabile testo del Martirio di Policarpo e collegare il luogo di culto all'opera letteraria che lo giustificava.
13.5 Il culto dei santi: una manifestazione della religiosità popolare?
Tradizionalmente si considera il culto dei santi come un fenomeno ge nerato dalla religiosità popolare tendente alla concretezza, poco pro pensa allo spiritualismo, portata alla superstizione. Secondo i sostenito ri di questa tesi, per la gente semplice Dio era troppo grande, troppo distante perché la loro preghiera giungesse fino a lui; i santi patroni del l'aldilà apparivano più vicini, più accessibili, più sicuri. Un monoteismo coerente avrebbe richiesto una preparazione filosofica; chi non l'aveva si rifugiava sotto la protezione di creature divine più comprensibili. Un fenomeno che la Chiesa, nelle persone dei suoi grandi capi e teologi, ac cettava, consapevole della sua forza di attrazione nei confronti delle masse, pur tentando con scarsi risultati di sottoporlo agli indispensabili rigori teologici e di inquadrarlo in riti compatibili con la dottrina reli giosa. Molti studiosi che descrivono le iniziative intraprese da grandi pensatori cristiani, quali Ambrogio, Agostino, Cirillo, allo scopo di tra sferire solennemente le reliquie dal luogo di sepoltura alla chiesa (pro cedura detta "traslazione" nella terminologia ecclesiastica) dubitano quindi della loro sincerità. Agli storici del XIX e del XX secolo riesce in fatti difficile credere che un uomo della cultura filosofica e della sotti gliezza teologica di sant'Agostino, tanto per fare un esempio, non av vertisse la primitività del culto dei santi e non si rendesse conto che esso aveva a che fare più con il passato pagano che con il cristianesimo. Tali spiegazioni stereotipate sono divenute negli ultimi quindici anni oggetto di una critica sempre crescente. Essa si appunta innanzitutto sul concetto stesso di "religiosità popolare", concetto vago e che mal si adatta alla tarda antichità. Un ruolo capitale in questa svolta è stato esercitato dagli studi sulla religiosità pagana ai tempi dell'impero, che evidenziano le radici pagane del culto dei santi. Malgrado i giudizi correnti, il culto di uomini santi non fu un fenomeno completamente estraneo all'immaginario antico re lativo alle relazioni tra la sfera umana e quella divina. Ai tempi dell'impero romano, nelle nuove condizioni create dalla cri si della religione tradizionale, incontriamo dei santi pagani ai quali pos317
Storia della Chiesa nella tarda antichità
siamo, almeno parzialmente, applicare la definizione di "santità" for mulata all'inizio di questo capitolo. Dovevano essere persone scelte da gli dèi e da loro dotati del potere di compiere miracoli, conoscere i pen sieri nascosti e annunciare avvenimenti futuri. Il caso da noi meglio co nosciuto di un santo pagano di questo tipo è il filosofo neopitagorico Apollonio di Tiana, citato nel capitolo precedente. I santi pagani restarono un elemento marginale nella vita sociale del mondo romano, svolgendo un ruolo importante solamente negli am bienti filosofici. Non esercitavano una funzione di intermediari tra uo mini e dèi, e benché portatori di un potere sovrumano, questo potere non durava dopo la loro morte (cosa del resto comprensibile, se si con siderano i loro legami con la tradizione filosofica derivata da Platone i n cui i l corpo era considerato l a prigione dell'anima, e i l cadavere suscita va una ripugnanza religiosa), né permaneva nei luoghi e negli oggetti con i quali avevano avuto a che fare in vita. Anche il loro innalzamento al di sopra degli uomini comuni e l'avvicinamento alla divinità seguiva modalità diverse rispetto ai santi cristiani, passando attraverso l'acquisi zione della saggezza, gli studi filosofici e la meditazione. Gli elementi filosofici presenti nel culto dei santi pagani vanno sotto lineati con insistenza poiché testimoniano come il fenomeno della san tità non fosse estraneo alla cultura antica in genere. Niente indica neppure che l'élite cristiana fosse restia al culto dei santi. Ai tempi in cui esso acquistò la sua forma compiuta e in cui possiamo studiarlo grazie a numerose testimonianze (vale a dire nella seconda metà del IV secolo), le persone ricche e colte vi partecipavano con un fervore non minore di quello mostrato dai cristiani di basso ceto. Davanti alle cel le di monaci famosi vediamo i grandi di questo mondo in veste di supplì ci e di visitatori. L'imperatore Teodosio il Grande, prima dello scontro con l'usurpatore Eugenio sostenuto dai pagani italici, spedì un suo corti giano a Giovanni di Licopoli per interrogarlo sull'esito della futura cam pagna. Quando, con una trionfale processione notturna, si compì la tra slazione delle reliquie di san Foca a Costantinopoli, la cassetta contenente i suoi resti venne personalmente portata dalla moglie dell'imperatore Arcadio, che se la stringeva al petto baciandola devotamente Oa cosa ci viene raccontata da Giovanni Crisostomo, allora vescovo di Costantino poli, presente alla scena). Negli atteggiamenti di Ambrogio e di Agostino, nonché degli altri Padri della Chiesa, niente ci autorizza a crederli insinceri, per cui sarà meglio respingere la tentazione di spiegare il loro impegno nello svilup pare il culto dei santi con il desiderio di creare forme di religiosità a uso del popolino. Anche ammettendo che il culto dei santi fosse in contra sto con la loro cultura teologico-filosofica (il che non è poi così eviden te), niente ci autorizza a credere che tale contraddizione fosse loro d'in tralcio. La fede e la morale cristiane sono piene di simili contraddizioni, la religione non deve seguire per forza il principio della coerenza inte riore (questo vale per ogni religione, non solo per il cristianesimo con la 318
IL culto dei santi sua inaudita ricchezza di filoni, eredità di una lunga e burrascosa sto ria). Non è psicologicamente verosimile che qualcuno trattasse in modo freddo e strumentale le forme del culto verso la fine dell'età antica, quando la religione era così importante e gli uomini comuni credevano con tanto fervore alla sua verità. Ritengo quindi preferibile vedere il culto dei santi, nella sua forma compiuta, come un fenomeno proprio di una nuova civiltà, di una nuo va mentalità, rinunciando al tentativo di stabilire quale gruppo sociale l'abbia offerto al cristianesimo. Esso si sviluppò lentamente, incontran do pochi ostacoli, inglobando ispirazioni di varia natura e guadagnando in durevolezza. Dovranno passare ben dieci secoli prima che appaia una vera e propria critica nei suoi confronti, e anche allora la sua efficacia sarà limitata, visto che gli attacchi protestanti non causarono nelle cer chie cattoliche sostanziali cambiamenti nel rapporto verso i santi.
13.6 n culto dei santi e la mentalità contemporanea I cambiamenti (su scala sociale e non individuale) non si verificarono a causa degli attacchi che mettevano in crisi la fondatezza del culto dei santi, ma furono il risultato delle profonde trasformazioni subentrate nella mentalità europea del XIX e XX secolo, di cui ho parlato nel capi tolo precedente. Con il passare del tempo, nella civiltà moderna lo spa zio per i miracoli collegati a un punto fisico dello spazio e alle spoglie terrene dei grandi cristiani del passato, si fece sempre più esiguo, sem pre più difficile da preservare. Il che, contrariamente alle previsioni dei critici del culto dei santi, non produsse la sua eliminazione dalla vita religiosa della Chiesa: esso soggiacque semplicemente a sostanziali tra sformazioni. Nella Chiesa cattolica degli ultimi cinquant'anni il culto dei santi ha subìto un'evoluzione significativa. Oggigiorno i santi del calendario tra dizionale e i santi portati all'onore degli altari da Giovanni Paolo TI sono per i fedeli modelli insignì di religiosità, prova della forza di una religione capace di ispirare eroismi sovrumani e oggetto di vanto per la società che li ha espressi. Raramente si pensa a loro come a una fonte di potere miracoloso. In altre parole: non ci aspettiamo più che compiano miracoli, e quanto ai miracoli attribuiti ai santi del passato, il cattolico colto (almeno in Europa) ne parla con indulgenza, se non addirittura con fastidio, vedendovi una riprova della tipica superstizione dei nostri antenati, che oggi non può che apparire imbarazzante. n culto inteso in questa nuova forma non entra in conflitto con la mentalità moderna, ma neanche avvince nessuno. Occorrono situazioni eccezionali perché esso possa suscitare forti emozioni (come accadde nella Polonia dello stato di emergenza per il culto clandestino di don Jerzy Popieluszko; bastò però che il regime cambiasse, perché le emozioni svanissero e il culto perdesse intensità). 319
Storia della Chiesa nella tarda antichità
Il nuovo atteggiamento nei riguardi dei santi si formò nella Chiesa lentamente, a partire da ambienti in cui si coltivava una religiosità profonda e sublimata, meno bisognosa di mediazioni nei rapporti con Dio. Esso si fece strada con molta fatica nei gruppi sociali, e addirittura tra i popoli fortemente legati alla ritualità tradizionale. Quando, in nome dei bisogni della nuova religiosità, l'ultimo concilio apportò delle correzioni alle liste dei santi, eleminandone innanzitutto le figure pura mente leggendarie, per quanto popolari, esso incontrò nella Chiesa meno difficoltà di quante ci si sarebbe potuti aspettare. Evidentemente ci furono anche dei fedeli che se ne sentirono dolorosamente feriti, ma si trattava di gruppi sempre meno numerosi. Furono più numerose le proteste causate dall'abolizione del latino dalla liturgia, che non quelle per l'eliminazione dei santi dai registri. Il mutato atteggiamento religioso della generazione attuale fa sì che non ci rendiamo sufficientemente conto delle difficoltà incontrate dagli studiosi dei secoli passati nel vasto campo delle indagini sul culto dei santi. Oggi, anche negli ambienti più tradizionalisti, sono poche le per sone capaci di indignarsi per iniziative che tendono a limitare lo spazio assegnato a tale culto.
13.7 Gli inizi dello studio del culto dei santi
In passato, invece, l'approccio critico alla storia dei santi risultava estre mamente difficile nonché, per le persone che se ne facevano carico, ad dirittura pericoloso. La realizzazione di uno dei princìpi basilari della scienza, sapere aude (''abbi il coraggio di sapere"), poteva costar caro. Merita quindi dedicare un po' di spazio a un episodio che illustra bene tale verità. Gli studi sul culto dei santi non nacquero da un atteggiamento critico nei confronti di questo fenomeno (i protestanti lo respingevano in bloc co, per cui non avevano bisogno di dimostrarne la falsità, ai loro occhi assolutamente evidente). Gli studi critici furono intrapresi da persone che nutrivano per il culto dei santi un profondo rispetto, nato dall'amo re e dall'ammirazione per gli eroici cristiani del passato; esse non vole vano affatto eliminare i santi dagli altari, ma desideravano semplice mente rendere oggetto di culto soltanto quelli che lo meritavano. Raggiungere questo obbiettivo significava passare attraverso la cono scenza approfondita delle loro vite, dell'inizio del loro culto e dei mira coli a loro attribuiti (che dei miracoli potessero realmente avvenire era cosa di cui gli studiosi in questione neanche si sognavano di dubitare). La battaglia per eliminare i santi fittizi dovette partire dalla verifica del valore dei testi da cui si attingevano informazioni sui santi. Occorreva stabilire quando fossero stati composti, chi ne fossero gli autori e da dove provenissero le loro conoscenze sugli eroi descritti. Fondamentali erano anche il modo e lo stato in cui le opere antiche, tramandate di ge320
Il culto dei santi
nerazione in generazione, erano giunte fino a noi; ci si rendeva conto, in fatti, che i copisti che si erano succeduti nel tempo potevano aver ag giunto molto di propria iniziativa, abbellendo la figura del santo secon do i propri gusti, attribuendogli discorsi che non avrebbe mai potuto pronunciare, moltiplicando i miracoli, soprattutto i più fantastici. Nel Medioevo, e anche alle soglie dell'età moderna, le opere agiografiche go devano di grandissimo successo e i loro autori davano sfogo alla fantasia senza curarsi della verità storica. Il pubblico che le leggeva o le ascoltava (le opere in onore dei santi venivano spesso lette in chiesa durante le fe ste) era avido di conoscere le straordinarie torture e lo straordinario co raggio dei martiri, e la descrizione dei miracoli veniva accolta con brividi di devota eccitazione. L'aggiunta di nuovi episodi, di nuovi miracoli e di nuove torture non scandalizzava nessuno; i copisti lo facevano in perfet ta buona fede, a maggior gloria dei santi. Via via che gli studi sulle opere agiografiche procedevano crescevano in precisione. Gli studiosi erano in grado di ricostruire con sempre maggiore esattezza le vicende dei testi, definirne il valore storico, segna larvi la presenza di certi elementi stereotipati, i quali, proprio perché stereotipati, si rivelavano particolarmente sospetti. La crescente cono scenza dell'antichità e dell'Alto Medioevo facilitava il rifiuto di molte relazioni, dove l'accumularsi di errori lampanti indicava chiaramente come esse fossero opera di persone che ignoravano completamente l'e poca descritta. Con sempre maggior perspicacia gli studiosi ricostruiva no il processo di formazione delle varie leggende. Tali iniziative non lasciavano certo indifferente la Chiesa. I santi la cui esistenza veniva dimostrata fittizia avevano le proprie chiese, i propri al tari, le proprie feste. Che cosa dire ai semplici fedeli circa i risultati del le dotte ricerche, per evitare lo scandalo e non indebolire l'autorità del la Chiesa? Gli studiosi della storia del culto dei santi rappresentavano una mentalità diversa da quella delle altre pecorelle della Chiesa cattoli ca; affascinati dal pensiero critico, si erano troppo allontanati dai con fratelli. Ci sarebbero volute molte generazioni perché il cattolico medio riuscisse ad accettare senza dolore e senza scandalo le dotte novità.
13.8 I bollandisti Un ruolo importante negli studi sull'agiografia fu svolto da un gruppo di studiosi gesuiti chiamati "bollandisti", che conferirono a essi la for ma odierna, creando un modello di edizione critica dei testi e sostenen do le prime battaglie contro i difensori delle posizioni tradizionali. I bollandisti sono attivi tutt'oggi, dispongono di una splendida bibliote ca, anche se un po' polverosa e strutturata secondo sistemi molto tradi zionali (ma, a onor del vero, dotata di computer). Ogni anno compare un nuovo volume degli "Analecta Bollandiana", eccellente rivista che pubblica studi riguardanti il culto dei santi. Il loro livello è sempre ele321
Storia della Chiesa nel/.a tarda antichità vato: gli "Analecta BoUandiana" non hanno mai praticato l'apologetica, tenendosi sempre alla larga da interventi miranti a rafforzare la devozio ne (il che non significa che gli autori degli articoli siano privi di Lm rap porto emotivo con l'argomento dei loro studi). Fondatore dei bollandisti fu Héribert Rosweyde, nato nel 1569 a Utrecbt e dall60.3 attivo nel collegio gesuita di Anversa. Egli presentò alle autorità del suo ordine un progetto per allestire e pubblicare la col lezione di tutti i documenti riguardanti il culto dei santi. Rosweyde era un fervente veoeratore dei santi e soffriva nel vedere io mano ai fedeli testi dei quali non ci si poteva fidare, pieni di distorsioni e di aggiunte di epoche posteriori. Lo indignava l'atteggiamento degli eruditi, spesso uomini di Chiesa, che si dedicavano a studi sulla letteratura pagana del l'antichità, passando indifferenti accanto alle opere agiografiche («lavo rano notti intere per pubblicare e commentare le descrizioni delle scan dalose imprese di dèi ed eroi, lasciando nell'oblio le purissime glorie della Chiesa»). In effetti si trattava dei tempi eroici della filologia classi ca: Rosweyde voleva che i metodi elaborati dagli editori delle opere an tiche venissero applicati alle vite dei santi. L'opera da lui progettata doveva comprendere quindici volumi. Nel
primo avrebbero dovuto trovarsi i testi sulla vita e la morte di Cristo, nel secondo quelli sulla Madonna, nel terzo quelli sui santi più impor tanti. L e vite dei rimanenti santi, secondo l'ordine fornito dal calenda rio liturgico (elencati per date di morte), avrebbero occupato dodici vo lumi, uno per ogni mese. E chiaro che Rosweyde non si rendeva conto della vastità del compito assunto. Pare che il cardinale Bellarmino, venuto a conoscenza del pro getto, avesse esclamato: «Quest'uomo pensa di vivere duecento anni!». Per fortuna le autorità dell'ordine dei gesuiù erano meno scettiche e concessero il loro placet a Rosweyde. Questi, che non pensava affatto di ridurre la sua attività di professore, poteva lavorare allo studio sull'agio grafia solo nei momenti liberi. Quando, nel 1629, morì, lasciò numerosi materiali ma niente di pronto. Bellarnùno sembrava aver avuto ragione. Rosweyde, tuttavia, trovò un degno successore nella persona di Jean Bolland (dal quale in seguito prese nome la nascente istituzione). Fu lui, insieme al suo stretto collaboratore Gode&oid Henskens (o Henscheruus, nella forma latina più spesso usata), a preparare i primi volumi della hm ga serie intitolata: "Acta sanctorum, quotquot toro orbe coluntur vel a catbolicis scriptoribus celebrantur, quae ex antiquis monumentis Latinis, Graecis aliarumque gentium collegit, digessit, notis illustravit Joanoes Bollandus, Societatis Jesu theologus" ("Atti dei santi venerati nel mondo intero o celebrati dagli scrittori cattolici, da antiche opere latine, greche e d'altri popoli raccolse, sistemò e corredò di note Joannes BoUandus, teo logo della Compagnia di Gesù") I primi due volumi degli "Acta" apparvero nel 1643, l'ultimo nel 1940. La serie completa si compone di cinquanta volwni pubblicati ad Anversa, uno a Tongerloo e sedici a Bruxelles. '
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Il culto dei santi
Bollandus e Henschenius trovarono un geniale continuatore nella persona di Daniel Papebroek (nella forma latinizzata Papebrochius, da cui Papebroch). Fu lui appunto l'eroe della prima grande battaglia in gaggiata dagli studiosi di agiografia in difesa della loro disciplina.
13.9 Il conflitto tra i bollandisti e i carmelitani All'inizio l'opera dei bollandisti suscitò reazioni contrastanti: da un lato la si ammirava, dall'altro la si criticava accanitamente. Per fortuna le au torità dell'ordine, consapevoli del suo peso e della buona fede degli au tori, della cui religiosità non avevano motivo di dubitare, si schierarono decisamente dalla parte di questi. Tale appoggio si rivelò particolarmen te prezioso quando si giunse alla guerra aperta con i carmelitani. La tradizione carmelitana poneva agli inizi della storia dell'ordine il profeta Elia, menzionato nel capitolo precedente, che aveva combattuto contro il culto di Baal e di Astarte e, perseguitato dal re Achab e dalla sua sposa Izebel, aveva dovuto nascondersi nel deserto. L'opera di Elia era stata continuata dal suo discepolo Eliseo, anche lui costretto dalla collera regale a cercar rifugio nel deserto. La figura di Elia affascinava i cristiani. Gli asceti che fuggivano il mondo andando a vivere nel deserto, vedevano in lui il proprio modello biblico. In verità il soggiorno di Elia nel deserto non aveva per scopo l'ascesi, il cui concetto nel IX secolo a.C. ancora non esisteva, ma questo per i monaci non aveva importanza. I carmelitani sostenevano che i discepoli di Elia e di Eliseo erano ri masti sul Carmelo fino ai tempi di Cristo, tramandandosi di generazione in generazione il messaggio dei profeti, e si erano convertiti alla nuova fede, conservando le tradizionali pratiche ascetiche. Questi monaci or mai cristiani avrebbero superato senza danni l'invasione araba del VII se colo e l'islamizzazione della Palestina (i musulmani nutrivano un profondo rispetto per Elia, come pure per gli altri personaggi dell'An tico Testamento). Sarebbero stati i crociati a trovare sul Carmelo gli ere miti discendenti direttamente dal profeta e a rinforzarne le schiere rare fatte dal tempo, dando così origine all'ordine dei carmelitani. Sant'Alberto, patriarca di Gerusalemme (qui siamo ormai nella storia), gli conferì una regola severa che, con pochi cambiamenti, rimase in vi gore nei secoli successivi quando, in seguito al peggiorare della situazio ne in Palestina, i monaci si trasferirono in Europa. Qui l'ordine trovò una situazione propizia, divenendo una delle massime congregazioni dell'Europa moderna. Il conflitto tra bollandisti e carmelitani scoppiò in seguito alla pubbli cazione degli "Acta" di aprile, che contenevano materiali riguardanti sant'Alberto. In essi Papebroch scriveva chiaramente che la pia tradi zione che collegava i carmelitani a Elia era priva di fondamento. Lo stu dioso si rendeva conto a che cosa si stesse esponendo: pare addirittura 323
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che redigesse ben otto volte i passi in questione, sottoponendoli anche ai suoi superiori dell'ordine. I carmelitani reagirono con durezza. Fu l'inizio di una guerra di pamphlet. Nel 1693 il padre provinciale dei carmelitani, Sébastién de Saint-Pau!, pubblicò un testo particolarmente violento, intitolato Exhibitio errorum, quos Daniel Papebrochius Societatz'!; Jesu suis in notis ad "Acta Sanctorum" commisi! (Esposizione degli errori commessi nelle sue note agli Acta Sanctorum da Daniel Papebrochius della Compagnia di Gesù). In questo libretto Papebroch veniva presentato come una persona che non rispettava niente e nessuno, che operava a vantaggio di infedeli e di eretici, che minacciava le tradizioni più sante, si appellava alla testimonianza di autori pagani, ebrei e arabi contro opere confer mate dai papi. L'autore del pamphlet ricordava inoltre che Papebroch aveva osato correggere la cronologia dei pontificati di alcuni papi, che considerava l'atto di donazione di Costantino alla Chiesa di Roma come una comu ne menzogna e che rifiutava la tradizione secondo la quale quest'impe ratore era stato battezzato dal papa Silvestro. Secondo Papebroch i rac conti sull'assunzione in cielo della Madonna erano leggendari, e la veri dicità di alcune vite di santi popolari (come santa Barbara, santa Pelagia, san Alessandro) decisamente nulla. Il delitto di Papebroch consisteva anche nel non credere nell'attività apostolica di Marta e di Maria Maddalena nei territori della Gallia, e nel rifiutare la tradizione secondo la quale san Dionigi Areopagita sa rebbe stato vescovo di Parigi e, dopo aver subito il martirio, se ne sa rebbe andato reggendo in mano la testa mozzatagli dal carnefice. Secondo i bollandisti anche i draghi delle varie vite di san Giorgio e di san Teodoro andavano considerati dei miti. Papebroch inoltre non con siderava autentica la relazione su san Frontone che, vissuto secondo la tradizione intorno al 150, sarebbe stato priore di un monastero di set tanta monaci (in realtà i primi monasteri sorsero nel secondo quarto del lV secolo in Egitto). Nell'elenco dei crimini di Papebroch il carmelitano inserì anche lo scetticismo circa l'esistenza di quadri della Madonna di pinti da san Luca evangelista nonché i dubbi sulle origine antiche del culto di san Giuseppe. Particolare motivo di scandalo per Sébastién de Saint-Pau! era il fatto che Papebroch negasse l'autenticità degli scritti che attestavano l'esi stenza di indulgenze prima del X secolo. Per lo studioso di storia della Chiesa tutti questi rimproveri (e altri ancora che qui non menziono per mancanza di spazio) suonano addirit tura comici: nessuno dubita più che Papebroch avesse ragione. A quel tempo però gli attacchi dei carmelitani vennero presi molto sul serio. Papebroch si difese: la sua risposta coprì novecento pagine di stampa. Con lui mossero all'attacco anche i suoi amici.
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Il culto dei santi
13.10 Interviene l'Inquisizione spagnola Dalle parole, il priore dei carmelitani passò ai fatti. Gli "Acta" furono trasmessi all'Inquisizione spagnola che, nel1695 a Toledo, emanò un decreto di condanna dei libri di Henschenius (ormai passato a miglior vita da quattordici anni) e Papebroch. Si trattava degli "Acta" di marzo, aprile e maggio, nonché dei Propi!ei (sorta di ampia introduzione) di maggio. Dei libri in questione veniva proibita sia la vendita che la lettu ra, pena un'ammenda e la scomunica; la decisione fu immediatamente estesa al Belgio. Tali opere contengono opinioni errate, eretiche o prossime all'eresia, perico lose per la fede, scandalose, offensive per le orecchie devote, scismatiche, ri belli, sfrontate, arroganti, intrise di superbia, gravemente lesive nei confronti di molti papi, della Capitale apostolica, della Sacra congregazione dei riti, del breviario, del martirologio romano; contengono altresì opinioni infirmanti la perfezione di numerosi santi e autori, nonché giudizi irrispettosi sui Santi Padri e importanti teologi ecclesiastici. Esse offendono inoltre vari ordini, so prattutto l'ordine carmelitano e molti suoi scrittori appartenenti a diverse na zioni, tra cui in particolare quella spagnola.
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Infine, queste opere contengono ripetuti elogi degli eretici o di autori di altre dottrine meritevoli d'odio, proibite e condannate dai papi e dalla Chiesa, e che vengono sfruttate per attaccare la tradizione dei santi e della Chiesa.9
I carmelitani miravano a ottenere l'approvazione di Roma alla decisione dell'Inquisizione spagnola ma, per fortuna di Papebroch, non vi riusci rono. I bollandisti contavano molti sostenitori nell'entourage papale, e l'élite intellettuale dell'Europa cattolica era dalla loro parte. Ricordiamo inoltre che Papebroch aveva pubblicato gli "Acta" di aprile dopo aver ricevuto il nulla osta dei suoi superiori, i quali sapevano quel che ri schiavano e non avevano ceduto alla pressione dei carmelitani. Dovevano essere profondamente convinti delle ragioni dei dotti agio grafi, per consentire loro di pubblicare 1' opera; inoltre avevano qualche conto in sospeso con i carmelitani. Quanto al papa, pur non conside rando colpevole Papebroch, non poteva mettersi in urto con la Spagna per una questione, dal suo punto di vista, di così poco conto. Non con fermò quindi la decisione toledana ma, per dare soddisfazione al grande inquisitore, ravvisò degli errori nel catalogo dci papi contenuto negli "Acta" di maggio e, nel1700, li mise all'indice (da dove furono tolti ben duecento anni dopo, ai tempi di Leone XIII). La condanna, a dire il vero, non fu presa sul serio da nessuno e gli "Acta" in questione rimase ro tranquillamente sugli scaffali delle biblioteche cattoliche. Papebroch ne soffrì, dolendosi soprattutto dell'accusa d'eresia. Era
9 Citato in l I. Delehaye, A Travers trois siècles. I.:ceuvre des bollandistes, 16151915, Société des Bollandistes, Bruxelles 1920, p. 95. 325
Storia della Chiesa nella tarda antichità un fedele figlio della Chiesa, profondamente convinto delle ragioni di questa e convinto di non essersi mai scostato dalla dottrina ortodossa. Voleva owiamente essere riabilitato, non solo per motivi pratici (il man tenimento della decisione toledana avrebbe causato la fine dell'impresa ideata da Rosweyde), ma anche perché non accettava di vivere con il marchio di "eretico". Il papa impose il silenzio a entrambe le parti. Papebroch quindi non poté difendersi. I suoi amici, invece, cominciarono a darsi da fare dietro le quinte per indurre gli spagnoli a cambiare idea. Alla fine dell715, cin que mesi dopo la morte di Papebroch,l'Inquisizione ritirò la condanna. I carmelitani non rimasero convinti dalle dimostrazioni di Papebroch e continuarono ostinatamente a combatterle, con grande divertimento degli studiosi di tutto il mondo. L'ultimo libro in difesa della verità delle loro tradizioni uscì nel1930. Anche quando risultò impossibile difende re il profeta Elia come fondatore dell'ordine, cercarono comunque di mantenere almeno un resto di tradizione. Ne è testimonianza un curioso articolo sulla storia dei carmelitani apparso sull'Enciclopedia Cattolica, pubblicazione che possiamo considerare un'autorevole espressione degli ambienti ecclesiastici romani degli anni cinquanta del XX secolo. Da un lato l'autore non si è deciso ad affermare chiaramente che Papebroch aveva ragione, dall'altro non ha osato dire che gli awersari avevano ra gione (cosa che, nel XX secolo, avrebbe sprofondato uno storico nel ridi colo). Per salvare capra e cavoli, egli dichiara assolutamente indubbia la "paternità morale del profeta". Non so che cosa significhi "paternità morale" nel caso di un mai esi stito legame tra Elia i carmelitani. È escluso che i carmelitani si riallac ciassero al pensiero di Elia, dato che il profeta si rifugiò nel deserto per ché costretto e senza aver niente a che fare con l'ascesi. Tutte cose che l'autore dell'articolo sapeva fin troppo bene. Perché non trattare la tra dizione carmelitana come una bella leggenda, degna di rispetto ed espressione della mentalità dei tempi medievali, quando il bisogno di un appoggio biblico era sempre fortemente sentito? Un'ammissione del genere avrebbe forse infirmato il senso dell'ascesi carmelitana? L'ostinata difesa a tutti i costi (ridicolo compreso) della tradizione (caratteristica comune a molte opere di storici della Chiesa cattolici) è ormai da qualche generazione una pratica anacronistica. Rifiutando la storicità della tradizione su Elia, il cristiano odierno non "butta via il bambino insieme all'acqua sporca", non accusa di imbroglio i fondatori dell'ordine, non ne attacca la buona fede né deve dubitare che tale leg genda abbia esercitato una funzione positiva nella storia dell'ordine, contribuendo a formarne la specifica spiritualità. La cultura storica, prodotto degli ultimi due secoli della civiltà europea, permette la pre senza contemporanea di criticismo e di simpatia (per non parlare del ri spetto) nei confronti di idee dei nostri predecessori che da noi non sono più condivise. Nessuno ci obbliga a scegliere tra una totale accet tazione e un totale rifiuto. Possiamo rispettare sia i carmelitani sia 326
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Papebroch, possiamo capire come per i fratelli fosse difficile separarsi dalla leggenda e al tempo stesso ammirare il coraggio e la perspicacia del bollandista. Certo, Papebroch e la sua lotta ci sono più vicini, per lui il sapere aude era (come lo è oggi per gli studiosi degni di questo nome) un principio basilare, mentre forse troviamo più difficile mante nere il rispetto per i suoi avversari: ma con un po' di buona volontà pOSSiamo flUSCI rct.
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Percorso bibliografico
In queste pagine conclusive il lettore troverà una sorta di "esame di co scienza" scientifico. Desidero confessare i miei debiti nei confronti di altri autori, indicare le opere cui sono largamente debitrice, i libri che mi hanno colpita sia in senso positivo che (più raramente) negativo. Con l'occasione cercherò anche di caratterizzare i vari ambienti di stu dio e i vari studiosi alle cui ricerche si deve la moderna ricostruzione del quadro del cristianesimo antico e tenterò di spiegare sia perché nel XIX e nel XX secolo certe questioni siano divenute oggetto di dispute ac cese, sia le posizioni delle parti in lotta per questioni lontane, la cui ca pacità di coinvolgimento rimane però immutata. Spero quindi che queste pagine non interessino esclusivamente quan ti già conoscono lavori da me citati. Penso con timore alla quantità di superlativi ai quali dovrò ricorrere: ma come esprimere altrimenti il ri spetto e l'ammirazione? Comincerò dai manuali. In cima alla lista devo collocare il primo dei cinque volumi della Nuova storia della Chiesa. Dalle origini a San Gregorio Magno, a cura di Jean Daniélou e Henri-Irenée Marrou (Marietti, Torino 1970). Gli autori erano studiosi originali e di grande levatura: Daniélou, elevato da Paolo VI alla carica cardinalizia benché non fosse vescovo (caso rarissimo e prova evidente di quanto il papa lo stimasse); Marrou, invece, professore alla Sorbona, eccellente conosci tore sia dell'antichità cristiana che di quella pagana. Il manuale non si conforma ai modelli fissati dalla tradizione e pone l'accento più sulla storia del Popolo di Dio che su quella dell'istituzione. La cultura storica dei due autori è eccellente; fatto curioso, certe tendenze all'apologetica si riscontrano più facilmente nella parte scritta da Marrou che nel testo del cardinale Daniélou. Il libro mi capitò tra le mani subito dopo la pubblicazione, quando cominciavo a interessarmi alla storia della Chiesa (la mia tesi di dottorato sull'industria tessile in Egitto era in cor so di stampa e, per il momento, ero sostanzialmente una studiosa dell'e conomia antica, sebbene avessi già deciso di abbandonare tale specializ zazione); per cui ne riportai una forte impressione. Lo conosco quasi a memoria e vi ritorno sempre con gioia immutata. Per la prima volta in un manuale mi imbattevo in un atteggiamento per me del tutto nuovo: presentando le varie tendenze dottrinali vive 329
Storia della Chiesa nella tarda antichità
nelle comunità cristiane, Daniélou le trattava con enorme rispetto, aste nendosi dagli apprezzamenti che di solito venivano formulati dal punto di vista di un'ortodossia invalsa in tempi molto più tardi. Mi trovavo davanti alia "teologia storica" in tutto il suo splendore, che prescindeva dagli schemi teologici del XTX e XX secolo e si sforzava di interpretare storicamente le fonti per scoprire i tratti caratteristici della cristianità dei primi secoli, e non di ricavarne tasselli per comporre un mosaico il cui disegno ci sarebbe noto in anticipo. Fui anche impressionata da un fatto minore, ma significativo: nei confronti di Giacomo e delia sua po sizione nella comunità gerosolimitana Daniélou usava il termine «calif fato». Ciò mi fece capire come egli non temesse le parole che esulavano dalla terminologia ecclesiastica tradizionale e vidi in questo un'indica zione preziosa. Un'esperienza altrettanto fondamentale fu la lettura di un vecchissi mo manuale di Louis Duchesne (1843-1922), Storia della Chiesa antica (Desclée, Roma 1911 ). Trovai particolarmente importanti il secondo e terzo volume, nella terza edizione del1908 e1910 c un lavoro pubblica to successivamente, L'Église au W siècle (Antiquc Libraire Fontemong, Paris 1925). Il manuale di Duchesne, nato ai tempi dei burrascosi dibat titi sul modernismo, finì all'indice nel1912. Benché l'autore fosse un sa cerdote e persona di provata religiosità, le autorità ecclesiastiche furono allarmate dal suo atteggiamento critico verso le leggende e le tradizioni. D'allora molte cose sono cambiate nella nostra visione della storia della Chiesa, anzi nel modo stesso di svolgere il mestiere di storico: tuttavia l'intelligenza, la scrupolosità, il sapere sbalorditivo e il coraggio intellet tuale dell'autore riescono a far dimenticare questa grande distanza. Il suo manuale è quindi più vicino alia storiografia moderna che non certe opere sorte alcuni anni fa negli ambienti delia storiografia cattolica. Durante tutta la redazione di questo libro sulla mia scrivania è sempre stato presente un altro voluminoso, ma più recente, manuale: W.H.C. Frend, The Rise o/ Christianzty (Darton, Longman and Todd, London 1989 ). Ne è autore uno dei più noti storici inglesi (e anglicani) delia Chiesa: più avanti citerò altre tra le numerose opere di Frend. Il manua le, estremamente utile, in confronto con gli altri due mi è parso tuttavia alquanto piatto e superficiale. A questo punto mi corre l'obbligo di citare un'altra opera impostata con schemi affini a quelli manualistici: L'Église dans l'empire romain, JV'" V siècles (Siney, Paris 1958) di Jean Gaudemet. L'autore, un giurista spe cializzato principalmente in storia delle istituzioni e noto studioso catto lico, ha insegnato non solo alla facoltà di legge della Sorbona, ma anche all'Istituto di diritto canonico dell'Università di Strasburgo. L'opera, ec cezionalmente misurata e pacata (viste le passioni suscitate dagli argo menti trattati, in primo luogo dalla storia del papato), è tanto più degna di rispetto in quanto scritta prima del concilio Vaticano 11. Nel 1989 è apparsa la seconda edizione, con un'ampia postilla che illustra i lavori pubblicati nei trent'anni che separano le due edizioni. Le argomentazio330
Percorso bibliografico ni della postilla sono visibilmente più audaci e più critiche nei confronti della storiografia confessionale, che d'altro canto Gaudemet aveva sem pre trattato con distacco, se non addirittura attaccato. La stessa soddisfazione provata nel leggere e nel consultare a più riprese l'opera di Duchesne, l'ho ritrovata compulsando i grossi tomi del l'Histoire des conàles (Letouzey et Ané, Paris) dell'insigne studioso tede sco Karl Joseph Hefele, tradotta e ampliata dal benedettino francese Henri Leclercq. I due primi volumi, ampiamente sfruttati durante la composizione di questo libro, apparvero in versione francese negli anni 1907-1908. Contano più di duemila pagine. Hefele (1809-1893) era uno storico della teologia e del diritto canonico molto esperto in materia; la sua opera, che abbraccia non solo la" storia dei sinodi e dei concili del l'antichità, è il lavoro di tutta una vita: i volumi uscirono tra il1855 e il 1890 (i primi sette: gli ultimi due sono di un altro autore). Nel tradurli Leclercq vi aggiunse una miriade di notizie d'ogni genere, spesso scaturi te dalla scoperta di nuovi testi e nuove ricerche. Aggiunse materiale so prattuto nel campo della storia del papato, poiché il testo di Hefele non lo soddisfaceva. In virtù del suo sapere, fu invitato a far parte del gruppo di ecclesiastici incaricati di preparare il concilio Vaticano I, nel corso del quale fu uno dei fondamentali oppositori della tesi dell'infallibilità papa le, riconosciuta come dogma dal concilio. Se da un lato le correzioni di Leclercq privarono l'opera della sua struttura lineare, dall'altro indubbiamente l'arricchirono. I;Histoire des conci/es contiene un'infinità di testi importanti (o di loro traduzioni), e di brevi articoli su singoli argomenti, ottenendo, ed è il meno che se ne possa dire, una ricchezza sbalorditiva. Leclercq scriveva con passione e non è difficile intuire che il suo testo è apologetico dal principio alla fine. La cosa non mi ha mai disturbata (tutt'al più può avermi diverti ta), mentre di solito la storiografia di tipo apologetico della seconda metà del XX secolo mi ha sempre irritata (fatto ribadito nelle pagine di questo libro). All'inizio del XX secolo la posizione apologetica era la norma (anche il discorso di Duchesne è apologetico), mentre oggi i rap presentanti di tale atteggiamento non hanno alcuna giustificazione: non solo come studiosi, ma nemmeno come storici rappresentanti la Chiesa cattolica (dai suoi storici la Chiesa si aspetta un'analisi del passato, non la difesa delle sue posizioni nel passato, come ai tempi del concilio di Trento e nei secoli successivi; questo almeno in teoria: in pratica le cose sono diverse). Inoltre la massa di sapere tramandata da Leclercq ai pro pri lettori obbliga all'ammirazione (in verità dovrebbe anche indurre a una verifica critica delle sue tesi: non si possono scrivere migliaia di pa gine su tanti e tali argomenti senza commettere qualche errore). La nuova serie Histoire des conciles cecuméniques (trad. it. Storia dei concili ecumenici, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1963) sotto la direzione di G. Dumeige (I. Ortiz de Urbina, Nicée et Constantinople, 1963; F.X. Murphy, P. Sherwood, Constantinople Il et 331
Storia della Chiesa nella tarda antichità
Cons"tantinople m, 1947; T. Camelot, Ephèse et Chalcédoine, 1963), è grigia, priva dei meriti dell'opera di Hefele-Leclercq, e per di più apo logetica secondo la vecchia e obsoleta maniera. Scrivendo il capitolo sulle grandi capitali del mondo ecclesiastico mi sono riletta con cura i due grossi volumi (1792 pagine in tutto) di Charles Pietri, Roma christiana. Recherches sur L'Église de Rome, son or ganisation, sa politique, son idéologie de Miltiade à Sixte m, 311-440 (École francaise de Rome, Rome 1976). L'autore, morto nel1991, è un buon rappresentante degli storici accademici cattolici francesi della Chiesa (mi scuso per l'accumulo di aggettivi, ma servono a definire). Fu allievo di Marrou nonché suo successore universitario, trascorse molti anni a Roma dirigendo École française de Rome, così importante per la vita scientifica sia francese che italiana. Lavorò al libro per molti anni con scrupolosità esemplare, servendosi di fonti letterarie e di altri gene ri, quali iscrizioni e reperti archeologici. Affrontò la storia dei papi con molta attenzione, ma anche con un certo distacco, trovandosi ben lon tano dalle tendenze apologetiche e dal rispetto cieco per la tradizione. Rispetto all'opera di Pietri per Costantinopoli, il libro di Gilbert Dagron, Costantinopoli: nascita d'una capitale, 330-451 (Einaudi, Torino 1991), è meno voluminoso ma altrettanto intelligente e autorevole per l'atteggiamento critico verso le fonti: da entrambi i testi ho appreso il me stiere di storico della Chiesa con gioia e spavento (i modelli sono troppo elevati per poterli uguagliare: ma con i modelli succede sempre così). Per quanto riguarda le mie letture sul tema delle conversioni, sarei ben lieta di tacerle, poiché, dopo l'enciclopedica opera di A. Harnack, Mission und Ausbreitung des Christentums in den ersten drei Jahrhunder ten G.C. Hinrichs'sche Buchhandlung, Leipzig 19244; trad. it. Missione e propagazione del cristianesimo nei primi tre secoli, Bocca, Torino 1906), per ovvi motivi oggi non esistono libri che trattino tale argomento in modo sistematico e scientificamente soddisfacente. Considerando quan to dichiaro nel capitolo, ossia la mancanza di fonti affidabili, bisogna fare buon viso a cattivo gioco. Desidero comunque citare un bellissimo libro, modello di intelligenza nel trattare la letteratura antica, che mi ha insegnato come studiare il tema delle conversioni. Mi riferisco a A.D. Nock, La conversione: società e religione nel mondo antico (Bari, Laterza 19852). Si tratta di uno studio sul fenomeno della conversione, un tenta tivo di ricostruire l'esperienza di quanti adottarono una religione diversa da quella in cui erano stati allevati. Il processo di cristianizzazione del l'impero sembra invece interessare l'autore in misura minore. Il passare del tempo non nuoce all'opera di Nock, che fu uno dei più intelligenti storici delle religioni antiche e di scienza delle religioni (connubio tutt'altro che frequente: la maggior parte degli storici della religione non ha niente di nuovo da dire nel campo della scienza delle religioni né, cosa ben peggiore, si rende conto che dovrebbe interessarsene). Se esi332
Percorso bibliografico stesse una lista di opere da far obbligatoriamente leggere a tutti gli stu diosi del cristianesimo antico, non esiterei ad assegnare a questo libro un posto d'onore. Sottolineo il fatto che Nock non aveva difficoltà a com· parare tra loro le sue analisi dei testi pagani e cristiani. Leggendolo ai tempi ìn cui ero ancora studentessa, compresi w1a volta per tutte che era questa la strada giusta e che non era possibile separare drasticamente il cristianesimo dal paganesimo. Oggi si tratta di W1 concetto generalmente accettato, ma nel193.3 era sorprendeotemente nuovo e altrettanto sor· prendentemente messo in atto. Nock naturalmente aveva avuto dei pre cursori in studiosi tedeschi che, come Richard Reitzenstein, avevano adottato lo stesso metodo verso la letteratura religiosa c ti.stiana e pagana sorte ai tempi dell'impero romano, suscitando grida di protesta da parte dei cattolici. Nock tuttavia era lontano dalla posizione di Reitzenstein, il quale riteneva che la filosofia e la religiosità pagane avessero inOui. t o in modo decisivo sul cristianesimo (sono owiamente costretta a semplifica re); la sua conoscenza delle religioni gli imponeva di cercare dei paralle lismi derivanti dalle somiglianze tra i fenomeni religiosi in sé, e non sem pre e soltanto da un influsso della religione A sulla religione B. Le persecuzioni dei cristiani nell'impero romano vantano un'immensa letteratura scientifica e parascientifica (tanto per usare un termine cor· tese). Ho avuto una volta la sfortuna di scrivere W10 studio comparato sullo stato delle ricerche in materia nell'arco di circa mezzo.secolo. Ho sofferto moltissimo, giacché la maggior parte dei lavori non meritava di essere letta (neanche quelli inclusi in prestigiose collane accademiche), e il considerevole sforzo che mi è costato ricercarli e studiarli si è rivela to infruttuoso. La schiacciante maggioranza delle opere sulle persecu zioni ripeteva concetti scontati, ai quali si aggiW1geva un'alta percentua le di errori banali. Mi ero già rassegnata a credere che non ci fosse più niente da fare e che il tema fosse stato definitivamente esaurito, ma mi sbagliavo; mi bastò prendere in mano l'opera di Giuliana Lanata, G/z" atti dei martiri come documenti processuali (Giuffré, Milano1973), per fugare il pessimismo. Si tratta di un'antologia dei testi più importanti, corredati da ottime note e da un'ampia e intelligente introduzione. A suscitare la mia ammirazione fu soprattutto la concomitanza di Uìl'au tentica cultura filologica con la conoscenza delle istituzioni dello stato romano. Gli effetti sono prodigiosi. Leggendo il libro di Lanata e para gonandolo ad altri studi sulle persecuzioni, ero impressionata dalla sor dità filologica della maggior parte degli studiosi dell'argomento, i quali non si erano dati la pena di verificare il valore, dal pW1to di vista filolo gico, dei testi da loro sfruttati. Dev'esserci qualcosa che non va nelle W1iversità moderne, se persone che hanno a che fare con opere della letteratura antica non provano alcun interesse per l'aspetto editoriale delle pubblicazioni di cui si servono. È proprio nel caso degli atti dei martiri che un continuo controllo filologico è più che mai indispensabi333 Copyrighted
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aterial
Storia della Chiesa nella tarda antichità le (e nel corso di questo libro mi sono soffermata spesso a spiegarne il perché). Due articoli sono da consigliare a chiunque si interessi alle persecu zioni: G.E.M. De Ste Croix, Aspects o/ the ({Great Persecution", in "Harvard Theological Review", 47 (1954), pp. 74-113 (cito volentieri questo articolo per rendere giustizia a un autore che nel saggio sulle conversioni ho ricordato senza grande simpatia: era capace di scrivere testi eccellenti); J.J. Walsh, On Christian Atheism, in "Vigiliae Christianae", 45 (1991), pp. 255-277: un articolo illuminante, che ana lizza i testi con esemplare precisione e dal quale si deduce che l'intelli genza e la professionalità storica possono portare a scoperte anche su terreni già ampiamente perlustrati. I miei impegni accademici mi avevano fortunatamente preparata allo choc prodotto dalla lettura dei lavori sui rapporti tra stato e Chiesa nel IV e v secolo. Insegnando storia antica mi ero infatti dovuta occupare del culto dei sovrani ellenistici e degli imperatori romani (per molto tempo l'università mi ha pagata per l'insegnamento di storia greca e ro mana, e non per quello di storia della Chiesa nella tarda antichità, da me praticato per puro interesse scientifico). In quell'occasione imparai a combattere l'opinione secondo la quale il culto dei sovrani sarebbe stato nient'altro che una sfrontata e repellente manipolazione nei con fronti dei sudditi: nel migliore dei casi, un atto di lealtà politica, gene ralmente privo di contenuto religioso. Gli studi dell'ultima generazione di storici delle religioni antiche hanno dimostrato come tali opinioni concordino poco con quanto ci dicono le fonti: il fenomeno del culto dei sovrani si capisce solo a patto di cercarne il senso non solo politico, ma anche religioso. Per cui, quando mi capitò di leggere alcuni studi sugli imperatori romani del lV secolo che non stavano dalla parte dottri nale giusta, sapevo già cosa fare: cercare di convincere i miei ascoltatori e lettori che la religione è una molla fondamentale delle azioni umane, e che l'imperatore e l'élite imperiale erano persone sinceramente creden ti, e non solo biechi manipolatori dei poveri sudditi. Gli stllclenti, giacché solo di loro posso parlare, avendo avuto modo di verificare su di loro l'effetto delle mie "tirate", restavano sordi alle mie dimostrazioni, compresi quelli che lavoravano a mio stretto contat to. L'eredità positivista (in cui includo anche il marxismo, che in Polonia ha avuto malgrado tutto un considerevole effetto) grava su di noi con forza incredibile. Qualunque movente delle azioni umane è buono, tranne quello religioso. Finii per diventare famosa per la mia di fesa della religione come molla delle azioni umane, lasciando sbalorditi i miei ascoltatori, consapevoli di non potermi in alcun modo catalogare nella tradizione storiografica cattolica. Le letture sul culto dei sovrani mi hanno convinta che, se vogliamo comprendere le relazioni tra gli imperatori e le Chiese della tarda anti chità, dobbiamo partire dall'opinione dei sovrani e dei loro sudditi cir334
Percorso bibliografico ca la sanzione divina che stabiliva i limiti entro i quali l'imperatore do veva agire: che egli avesse dei doveri impostigli da Dio era infatti fuori di dubbio. Un'accurata indagine degli avvenimenti (dell'histoire événementielle ecclesiastica) mi ha invece portata a ritenere che, nei periodi di contro versie teologiche, gli imperatori agivano sempre sotto l'influenza di ec clesiastici di questo o quel gruppo dottrinale. La lettura dell'opera di Manlio Simonetti e R.P.C. Ilanson (di cui subito parlerò) mi ha raffor zato la convinzione di essere nel giusto. Nel mio percorso bibliotecario mi sono imbattuta in un "horror" di cui non posso tacere: Hugo Rahner, Chiesa e struttura politica nel cristia nesimo primitivo (Jaca Book, Milano 1970). Si tratta di un'antologia di testi corredati da ampie introduzioni. Pubblicata per la prima volta nel 1961, fu tradotta in molte lingue e considerata un'opera estremamente autorevole, citata al posto d'onore nei vari elenchi bibliografici. Scopo del libro era chiaramente quello di dimostrare come, nei confronti dello stato, la Chiesa abbia sempre avuto ragione, come il potere fosse malva gio e non espletasse i suoi obblighi cristiani. Le dichiarazioni dei Padri della Chiesa e dei papi si attagliano perfettamente ai problemi del xx se colo dovuti alle autorità che si immischiano nelle faccende ecclesiastiche. Rahner non ha ritenuto necessario imparare qualcosa sul regime roma no, sull'élite del potere e sulla sua mentalità, per cui ogni volta che parla dell'aspetto non ecclesiastico accumula errori su errori. Tutto quel che trova nei testi degli autori cristiani è per lui oro colato: mai lo sfiora il pensiero che, citando in un'antologia testi polemici, sarebbe stato suo dovere appurare le usanze dei polemisti antichi (mi affretto a dichiarare che, per quanto riguarda le controversie dottrinali, erano poco lodevoli sia da una parte che dall'altra). Purtroppo i testi dell'antologia sono stati scelti da Rahner in base a princìpi elaborati dagli antichi polemisti. Leggendo quest'opera mi sono resa conto della ragione della mia vio lenta avversione per le antologie, malgrado la loro indubbia utilità. La se lezione arbitraria e il taglio dei testi deformano il quadro della realtà che il lettore deve ricavarne: difetti, questi, che costituiscono la norma e non un'eccezione dovuta alla malafede del redattore. Estrarre dei brani dal contesto al quale appartengono in primo luogo ne distorce invariabilmen te il senso; in secondo luogo, l'estrapolare gli avvenimenti dal contesto storico paralizza l'eventuale spirito critico del lettore. Ma le antologie han no un altro difetto: suggeriscono (anche se i loro autori non lo dicono) che i fatti descritti nei frammenti di testo costituiscono la regola dell'epo ca, mentre la Chiesa della tarda antichità fu infinitamente varia sotto ogni punto di vista: nel lV, ma anche nel v e nel VI secolo, il processo di unifica zione delle istituzioni, della liturgia e della dottrina era già in atto, ma tutt'altro che concluso. Naturalmente io stessa ricorro talvolta alle antolo gie: la letteratura cristiana è talmente vasta che anch'io, come tutti, ho bi sogno d'aiuto per trovarvi i testi che mi interessano ogni qualvolta affron to una problematica che esula dalla mia specializzazione. Cerco comun335
Storia della Chiesa nella tarda antichità que di trattare le antologie come un indice per sapere quale autore, quale opera e quale paragrafo andare a ricercare in un'edizione di tutto rispetto. Le antologie, inoltre, vanno scelte con cura: ne conosco alcune compilate in modo scrupoloso e intelligente. Un modello in materia sono due volu mi sorti nell'ambiente degli storici anglicani: A New Eusebius. Documents Illustrating the History o/ the Church to AD 337, a cura di J. Stevenson, ri visto da W.H.C. Frend (SPCK, Holy Trinity Church, London 1987); Creeds, Councils and Controversies. Documents Illustrating the History o/ the Church AD 337-461, stesso curatore (SPCK, Holy Trinity Church, London 1989). Un'altra antologia di testi patristici (e non di testi utili alla storia della Chiesa), l'opera comune di M. Simonetti e E. Prinzivalli, Letteratura cristiana antica. Antologia di testi (Piemme, Casale Monferrato 1996, 3 voll.), fornisce un valido aiuto e una guida alla letteratura. L'irritazione provata nel leggere l'antologia di Rahner derivava dal fatto che, agli inevitabili difetti propri di ogni antologia, questo autore aggiungeva i suoi personali errori sia nel modo di scegliere i testi che di commentarli. Nella lista dei libri che mi hanno più colpita, l'opera di Manlio Simonetti, La crisi ariana nel quarto secolo (Institutum Patristicum Augustinianum, Roma 1975) occupa un posto di primo piano. L'autore è un patrologo dall'immensa e sempre crescente produzione, di vasta cul tura storica, teologica e filologica, dotato di un'insolita autonomia di pensiero. Ho letto il libro di Simonetti un anno o due dopo la sua pub blicazione, con la consapevolezza di trovarmi davanti a una grande ope ra, che apriva un'epoca nuova nelle ricerche di storia della teologia. Simonetti indicava le basi bibliche dell'arianesimo, da lui visto non più come un'aberrazione della mente umana, ma come una tappa inevitabile del pensiero cristiano e, tenuto conto della cultura filosofica e teologica del tempo, un fenomeno degno di rispetto e di simpatetica attenzione. Tutte cose che ho cercato di trasmettere al lettore. Ho tenuto bene a mente la lezione impartitami da Simonetti, cercando di seguire le sue tracce (non solo in questo libro) nell'ambito delle mie limitate possibilità (sono una storica delle istituzioni e delle mentalità, non della teologia). A suscitare la mia ammmirazione non sono state solo le analisi teologiche e storiche, ma anche l'esemplare perspicacia con cui egli si è chiesto i mo tivi della sconfitta dell'arianesimo e del fatto che la Chiesa abbia proce duto in un'altra direzione. Si tratta di una domanda fondamentale, poiché le scelte compiute da gli individui nel corso delle controversie dottrinali non furono mai ca suali: dietro di esse stavano i bisogni di natura religiosa di tutta la co munità cristiana. Naturalmente alla vittoria di questa o quella corrente contribuivano anche le circostanze concrete nelle quali si sviluppavano le controversie: la personalità degli individui che vi prendevano parte, l'ambiente in cui era nata la corrente ecc. Viste in prospettiva, però, tut te queste cause sbiadiscono di fronte alla molla fondamentale dell'evo luzione religiosa: il bisogno del cuore e della mente umana. 336
Percorso bibliografico Sono stata anche un'appassionata lettrice della monumentale opera di R.P.C. Hanson, The Search /or Christian Doctrine o/ God (T. and T. Clark, Edinburgh 1988). Questo autore mi ha conquistata alla sua tesi sulla tradizionalità dell'esegesi biblica ariana e sulla geniale innovatività dei niceni; anche lui, ma in modo diverso da Simonetti, risponde alla domanda sul perché l'arianesimo sia stato sconfitto. Approfitto dell'occasione offertami dal nome di Hanson per dire due parole sull'ambiente da lui rappresentato. Da tempo ho notato come molti eccellenti lavori vedano la luce nella cerchia sia degli studiosi angli cani, sia degli studiosi inglesi ispirati dalle ricerche condotte dai rappre sentanti della "Church of England". Ho più volte avuto modo di convin cermi che "The Journal of Theological Studies" è una delle migliori rivi ste di storia del cristianesimo; The Ox/ord Dictionary o/ the Christian Church, a cura di F.L. Cross (Oxford University Press, Oxford, prima edizione 1975, seconda 1983, terza 1997), malgrado le esigue dimensio ni, è fatto in modo eccellente e rappresenta il maturo risultato degli sfor zi dell'ambiente anglicano. Come si spiega che proprio i rappresentanti della Chiesa anglicana spicchino per questa loro eccellente professionalità e cultura storica? Come mai gli studiosi che ne fanno parte si inseriscono nella corrente delle ricerche storiche e letterarie moderne, mentre i dotti rappresen tanti delle istituzioni accademiche di altre Chiese nella maggior parte dei casi non sembrano neanche sfiorati dai traguardi raggiunti dall'u manistica contemporanea? Come mai le funzioni ecclesiastiche, svolte da molti autori di opere scientifiche eccellenti e moderne sotto ogni ri guardo, non li inducono ad adottare posizioni apologetiche? Tutte do mande alle quali neanche provo a rispondere, visto il poco che so della Chiesa anglicana e delle facoltà teologiche delle università inglesi. Da questo stesso ambiente proviene un altro grande storico della Chiesa e della teologia: Henry Chadwick. Ho letto con ammirazione (e con invidia professionale) i suoi vari studi, ma in questa confessione bi bliografica vorrei parlare soprattutto di un suo breve testo collocato nel l'introduzione agli Actes du canale de Chaicédoine. Sessions III-IV. La défi� nition de la /oi (P. Cramer, Genève 1983; traduzione di A.-]. Festugière). Per la prima volta mi sono trovata di fronte al tentativo di formulare le differenze religiose tra i fautori e gli avversari del concilio di Calcedonia (le mie considerazioni nel capitolo 8 seguono quelle di Chadwick). Di so lito gli studiosi hanno sempre trattato l'argomento con un'irritazione do vuta alla convinzione che, da un punto di vista teologico, quei conflitti non avessero senso. Chadwick ha affrontato la prova con l'acuta intelli genza e la sensibilità religiosa a lui proprie. Leggendo i suoi lavori ho sem pre sentito di trovarmi di fronte a una persona che coltiva con Dio un suo rapporto personale, profondo e meditativo, che lo salvaguarda dall'assu mere un atteggiamento intollerante verso il suo prossimo di secoli fa. Leggendo il saggio di Chadwick mi sono resa conto di guanto forte mente la nuova tendenza invalsa nelle scienze storiche, che pone l'ac337
Stora i della Chiesa nella tarda antichità cento sullo studio della mentaHtà delle generazioni passate, abbia in fluenzato molti esponenti delle ricerche sul cristianesimo. Per dare un'i dea della svolta verificatasi, citerò un passo del manuale di Duchesne (menzionato all'inizio della bibliografia): Dal poco che ho potuto dime, si vede fino a che punto le questioni fossero delicate e difficili. Dato che la curiosità umana si accaniva sul mistero del Cristo, dato che l'indiscrezione dei teologi poneva sul tavolo di dissezione il dolce Salvatore, propostosi al nostro amore e alla
stra imitazione assai più
no
che alle nostre indagini filosofiche, bisognava almeno che esse venissero con dotte pacificamente, da uomini di provata competenza
c
prudenza, lontano
dalla folla e dalle dispute. Uno scatenamento di passioni religiose, conflitti di meuopo li, rivalità tra potentati ecclesiastici, concili chiassosi, leggi imper iali, destituzioni, esili, sommosse, scismi: ecco le condizioni in cui i teologi greci studiarono il dogma dell'incarnazione. E se si guarda a che cosa approdarono le loro controve rsie vediamo, in fondo alla prospettiva, la Chiesa orientale ir reparabilmente divisa, l'impero cristiano smembrato, i luogotenenti di Maometto che calpestano la Siria e l'Egitto. Tale fu il prezzo di quegli esercizi metafisici.
Siamo di fronte a una schietta quanto brillante confessione di incom prensione della controversia, alla sua condanna emotiva, al rifiuto di ri conoscerle un qualsiasi senso religioso. La curiosità umana è senz'altro un movente d'azione poderoso, tuttavia considerarla l'unico motivo della controversia significa non aver capito niente. La spiegazione di Chadwick, che è riuscito a superare l'awersione suscitata in molti di noi dai conflitti di quei tempi, è molto più profonda e chiarisce assai meglio le cose. Ritengo che la differenza tra il modo di pensare di Duchesne e quello di Chadwick sia una differenza tra gen era7joni d i storici, e non la differenza tra personalità di studiosi o tra diverse posizioni religiose.
'
E con un certo timore che mi accingo all'esame di coscienza delle mie letture per quanto riguarda il matrimonio, il sesso e le donne. Da qual che tempo tale problematica gode di una grande popolarità, cessando per fortuna di costituire, da un lato, il dominio esclusivo degli scrittori apologetici cattolici e, dall'altro, l'oggetto di pubblicazioni anticattoli che grossolane e di cattivo gusto. Il numero di libri e di articoli sul ma trimonio, il sesso e le donne è sterminato: purtroppo nella maggior par te dei casi il loro livello è spaventosamente basso. Le autrici e, più di rado, gli autori, poco amanti deJJe Chiese in genere e di quella cattolica in particolare, dimostrano senza fatica, testi antichi alla mano, come il cristianesimo abbia danneggiato le donne, causando la loro secolare schiavitù. Glì autori ecclesiastici (soprattutto queJli cattolici) difendono il cristianesimo antico cercando di dimostrare che esso manifestò sem pre rispetto e premura per le donne, elogiando l'amore carnale all'imer338 Copyrigflted
m
ae t rial
Percorso bzbliogra/ico no dell'istituzione matrimoniale, per cui, secondo loro, le accuse sono ingiuste. (Oggigiorno nessuno, o quasi nessuno oserebbe condannare pubblicamente Ia sfera sessuale in genere, la carnalita in genere, o met tere in dubbio Ia parita tra uomo e donna.) Lo scontro di posizioni risulta improduttivo: le emozioni in gioco sono talmente forti che i rappresentanti delle parti non riescono nean che a leggere con calma cio che scrivono gli avversari. Devo confessare che, studiando per motivi professionali pubblicazioni di preferenza an tifemministe, mi sono spesso chiesta come mai le argomentazioni eccle siastiche suonino cosl astratte e sbiadite. Naturalmente, leggendo le di chiarazioni di famosi fautori antichi dell'ascetismo, compreso quello femminile (Atanasio, Girolamo, Ambrogio, Basilio di Cesarea ecc.), che lodano il matrimonio come stato altrettanto degno di rispetto, li sospet tiamo subito di ragionare come i famosi maiali della Fattoria degli ani mali di Orwell, per i quali gli animali erano tutti uguali, rna i maiali «piu uguali» degli altri, dove la formula "piu uguale" ci riesce partico larmente odiosa. Sospetto inoltre che la nostra indifferenza per le di chiarazioni dei Padri della Chiesa su temi femminili derivi dal fatto che esse venivano formulate in una sociera di tipo gerarchico, dove ogni gruppo aveva il suo posto, Ia sua dignita, Ia sua perfezione, i suoi com piti. Alia fine del XX secolo la gerarchizzazione ci risulta non solo anti patica, rna addirittura incomprensibile. 0 le donne sono uguali agli uo mini e degne dello stesso rispetto oppure, se non lo sono, qualunque di chiarazione sulla !oro dignita appare ipocrita, se non addirittura bugiar da. Di fronte a una societa strutturata in modo gerarchico reagiamo, al meno sui piano teorico, con aggressivita. Oggi l'uguaglianza di tutti gli esseri umani e iscritta neUe basi stesse del nostro pensiero. ll discorso ecclesiastico, che si serve di argomenti sorti in altri tempi e in altre so cieta, sfiora quindi le nostre orecchie senza penetrarvi, anche quando la Chiesa in questione e "la nostra" Chiesa e non abbiamo motivo di diffi dare delle sue dichiarazioni. Per uno storico dell'antichita cristiana un simile atteggiamento e una vera calamita, poiche il rifiuto di comprendere la mentalita gerarchica del passato ne ostacola, e talvolta rende impossibile, Ia sua comprensio ne. Parlo per esperienza: a tutte le mie dimostrazioni sui fatto che Ia ca tegoria dell'antifemminismo non ha alcun senso nei confronti dell'anti chita, i miei srudenti reagiscono con tacita derisione (di solito ci siamo simpatici) o fingono di ignorarmi. Chiusa Ia parentesi delle lamentazioni, e ora di passare alle mie lecture. Mentre, lavorando al mio libro, scartabellavo montagne di atti di congres si e di simposi sui tema "II cristianesimo e le donne" e "ll cristianesimo, il matrimonio e la sfera erotica", ho avuto l'immensa fortuna di imbattermi in due eccellenti lavori che hanno indirizzato le mie lecture successive. n primo e un breve articolo di Monique Alexandre, Immagini di donne ai primi tempi della cristianita, nella raccolta intitolata Storza delle donne in 339
Storia della Chiesa nella tarda antichita Occidente. I.;antichitd, a cura diG. Duby eM. Perrot (Laterza, Bari 1990, pp. 465-517). L'autrice e una docente universitaria, persona di grande sa pere e sensibilita: ogni lavoro che esce dalla sua penna, compreso quello sulle donne, e un piccolo gioiello. fl Secondo testo, invece, e vastissimo: Joelle Beaucamp, Le Statut de fa femme d Byzance, N-VII siecle (De Boccard, Paris 1990-1992, 2 voll.). L'opera rappresenta un rarissimo caso di connubio tra il reference book, ossia un lavoro a scopo informative, e lo studio mirante a dimostrare determinate tesi, scritto a tratti con vena po lemica. Non conviene prendere troppo alia lettera il "Bisanzio" del titolo, giacche l'autrice allarga notevolmente il campo delle sue ricerche: nel pri mo volume muove Ia sua analisi della condizione giuridica delle donne dagli inizi dell'impero romano. Base degli studi di Beau camp sono state le fonti giuridiche (ovviamente e da ll che si comincia), i documenti su papi ri (dai quali si vede Ia realta "reale" e non il suo rifacimento letterario), e infine le fonti letterarie, che mostrano Ia "realta narrativa", creata dalla fantasia. Con esemplare (e quasi ossessiva) correttezza l'autrice compara tra !oro i frutti delle sue ricerche su tre generi di fonti, verificando inces santemente le une con 1'aiuto delle altre. n risultato finale e affascinante. Sulla rivoluzione negli atteggiamenti verso il sesso, il matrimonio e le donne come partner, ho letto con grande piacere e ammirazione i lavori di Paul Veyne: La poesia, l'amore, l'Occidente: l'elegia erotica romana (il Mulino, Bologna 1985) e La vita privata nell'impero romano (Laterza, Bari 1992; Veyne e curatore e parzialmente autore di quest'ottimo libro, dove c'e molto da leggere). Colloco in fondo alia lista !'opera famosa di un autore famoso che nes suna bibliografia, per quanto personale e fantasiosa possa essere, puo astenersi dal citare: Peter Brown, Il corpo e Ia societd: uominz; donne e astinenza sessuale nel prima cristianesimo (Einaudi, Torino 1992). Il li bro contiene molte tesi affascinanti, rna nel complesso mi sembra piut tosto confuso; il pensiero dell'autore segue spesso percorsi tortuosi. Poco dopo la sua pubblicazione me ne sono occupata per un anno in un corso di lezioni, proprio per essere costretta a leggerlo e a meditarlo con cura; piu andavo avanti, e piu il mio parere sull'opera si faceva se vero. In molti punti, purtroppo, ho trovato inesattezze o errori (errori da segnare "in blu", soprattutto nei capitoli sull'Egitto, ossia nel campo della mia personale specializzazione). Soprattutto provavo continua mente la sensazione che la realta ricostruita da Brown fosse una realta estremamente interessante, rna che Ia si potesse solo ammirare e mai ve rificare. Con il talento letterario posseduto da Brown una simile realta si crea eseguendo una selezione di fonti e di brani tratti dalle medesime, badando sempre a non rivelare al lettore i prindpi di tali scelte. Mi rendo conto della mia iconoclastia: le opere di Brown vengono re censite e citate in ginocchio. Per quanto mi riguarda, dopo lo splendi do Agostino d'Ippona (Einaudi, Torino 1971), ho sempre avuto l'im pressione che a guidare Brown non siano le fonti, rna certe idee affasci340
Percorso bibliografico nanti che nei suoi saggi e nei suoi articoli riescono sempre a prevalere sulle fonti stesse. Tali idee, aggiunte ad alcune brillanti osservazioni sui temi piu disparati, vivono come di vita propria, accostate le une alle al tre senza troppa cura del loro legame con cio che precede e cio che se gue. Capisco perfettamente come mai tanti storici (anche eccellenti) abbiano accolto con entusiasmo le opere di Brown. Potendo permet tersi, grazie alla loro vasta cultura, di trascurare l'aspetto "manualisti co" dell'opera, nei libri di Brown essi vedevano soprattutto le singole osservazioni, sfavillanti di intelligenza e quanto mai stimolanti. Le mie prime letture sul culto dei santi sono state dominate dai libri di Hippolyte Delehaye (1859-1941), grande bollandista, autore di analisi cos! magistrali dei testi agiografici che andrebbero imparate a memoria. Paul Peeters e Rene Draguet, suoi successori nella Societe des Bollandistes, non schiacciano il lettore sotto il peso della loro autorita e perfezione, rna lo invitano alia discussione grazie alle !oro sempre dotte, rna spesso folli idee. Ho conosciuto personalmente il successore di Peeters, padre Paul Devos, quando ho avuto bisogno di aiuto per le mie personali ricerche sull'Egitto. Avevo sempre ammirato i suoi studi; guardandolo nella polverosa biblioteca dei bollandisti a Bruxelles capii di dove proveniva quella sua quasi tangibile armonia scientifica, cosl lontana da ogni estremismo: davanti a me c'era un uomo intelligente, perspicace e privo della vena polemica che agitava Peeters e Draguet. Leggendo lo studio di Delehaye (A Travers trois siecles. L'ceuvre des bollandistes, 1615-1975, Societe des Bollandistes, Bruxelles 1920) e quello di Peeters (L'Oiuvre des bollandistes, Societe des Bollandistes, Bruxelles 1924; 1961) mi sono resa conto di quanto sia affascinante Ia storia dell'agiografia in se (nel senso di disciplina che studia il culto dei santi e Ia letteratura a esso collegata): raramente, pero, il tema viene trattato Secondo j princlpi della storiografia moderna. Significativo e il caso del libro di R. Aigrain, J.}Hagiographie, ses sources, ses methodes, son histoire (1935). Si tratta di un'opera considerata ormai un classico, raccomandata come manuale universitario. L'autore pero non ritiene opportuno spiegare il ruolo svolto nella storia di questa disciplina dalle polemiche dei tempi della Riforma; parlando di Delehaye, per esempio, non cita le critiche sollevate contro il culto dei santi alia fine del XX se colo, ne i guai capitati ai bollandisti ai tempi del conflitto con i moder nisti. Tutto quel che riguarda il passato, specie quello a noi piu vicino, viene abbellito: si tratta purtroppo di una caratteristica della storiogra fia cattolica, poco propensa a rivelare ai profani i conflitti interni alia Chiesa, desiderosa com'e di imporre la visione di un'evoluzione lineare, scorrevole, senza contrasti. Nella seconda meta del XX secolo negli ambienti universitari si intra presero intense ricerche sul culto dei santi, secondo una prospettiva di versa da quella adottata dai bollandisti. Si smise di interessarsi al fatto se un certo santo fosse veramente esistito, se la sua biografia contenesse 341
Storta della Chiesa nella tarda antichitd informazioni veritiere o fittizie, se i miracoli che gli venivano ascritti fos sero realmente awenuti: il principale oggetto di interesse divenne la mentalita delle persone che credevano nei santi. Questo approccio si fece faticosamente strada sulle colonne degli "Analecta Bollandiana", ma non c'e dubbio che l'immenso lavoro di erudizione svolto dalle persone legate a questa rivista ha permesso agli storici di accostarsi all'agiografia in modo nuovo, modo che ho appreso grazie a numerose letture, soprat tutto di autori della mia stessa generazione: Gilbert Dagron (Vie et mira cles de sainte Thede, Societe des Bollandistes, Bruxelles 1978), Franr;oise Thelamon (Pai"ens et chretiens au TV siecle. I.:apport de l"'Histoire ecclesia stique" de Ru/in d'Aquilee, Societe des Bollandistes, Bruxelles 1981), J?ernand Flusin (Miracle et histoire dans l'ceuvre de Cyrille de Scythopolis, Etudes Augustiniennes, Paris 1983 ), Leilia Cracco-Ruggini (qui non sono in grado di scegliere un titolo piuttosto che un altro dall'enorme numero dei suoi articoli) e molti altri. E insieme con i miei allievi che ho frequen tato questa scuola, trovando in cio una soddisfazione tutta particolare.
342
Tavole cronologiche
Storr'a della Chiesa nella tarda antichitii Lo stato romano verso il cristianesimo
Avvenimenti politici
OTIAVIANO AUGUSTO 27 a.C.19 Vlll14 d.C.
TIBERIO 19 VIII 14-16
lll
37
6-37 Ponzio Pilato procuraro
re della Giudea 30 (?) Gesu Cristo crocifisso su sentenza di Ponzio Pilato come agitatore politico. «Al di sopra del capo posero scritta Ia causa della sua condanna: "Questo e Gesu, il re dei Giudei"» (Mt 27, 37) GAIO CAL!GOLA 18 Ill 37-24
l
41 39 Conflitto con gli ebrei in
Giudea 40 L'imperatore mira alia dei
ficazione, identificandosi con Giove CLAUDIO 25 I 41-13 X 54 42-45 Sconfitta dei mauri 43 Inizio invasione Britannia 46 Annessione della Tracia 49 «Scaccia da Roma gli ebrei perche face NERONE 13 X 54-9 VI 68
vane continui tumulti, sobillati da un certo ChrestOS» (Svetonio, Claudio, 25)
64 Incendio di Roma
64 Incendio di Roma e persecuzioni di
66-73 Insurrezione degli ebrei
Nerone contro i cristiani di Roma «non tanto per il delitto d'incendio, quanto come odiatori dell'umano genere» (Taciro,
in Giudea GALBA 6 VI 68-15
l
69
Annali, XV, 44) 344
Tavole cronologiche Storia della Chiesa
Letteratura e filosofia
anni 40-19 a.C. Attivita poetica di Virgilio anni 40-8 a.C. Attivita poetica di Orazio ca. 27 a.C.-17 d.C. Livio, Dalla /on
dazione di Roma ca. 20 a.C.-17 d.C. Attivita poetica di Ovidio ca. 10-50 d.C. Attivita di Filone d 'Alessandria
ca. 38 Conversione di Paolo
40-65 Attivita letteraria di Seneca
ca. 49
II cosiddetto
"concilio
di
Gerusalemme": i pagani convertiti non devono sottoporsi alia circonci-
50-56/57 Le Lettere di san Paolo
sione ne osservare tutte le leggi ebraiche 60-62 Paolo aRoma 62 Marte di Giacomo «fratello del Signore» per sentenza del sommo sacerdote Anna II a Gerusalemme 63 (?)Pietro aRoma
345
Storia della Chiesa nella tarda antichitd Avvenimenti politici
Lo stato romano verso il cristianesimo
15 I 69-20 VI 69 69-20 XII 69 VESPASIANO 1 VII 69-23 VI 79 70 Tito conquista Gerusa
OTTONE
V!TELLIO 2 I
lemme e distrugge il Tempio
23 VI 79-13 IX 81 80 Fine della costruzione del
TITO
Colosseo DOMIZIANO
14 lX 81-18 IX 96
81-96 Persecuzioni dirette, per motivi poli tici, contro i "discendenti di David" e i rappresentanti dell'aristocrazia romana (95 Flavius Clemens, Acilius Glabrio, Flavia Domitilla), accusati di ateismo e di adotta re usanze ebraiche; persecuzioni in Asia Minore
� ,,,� : : NERVA 18 TRAIANO
IX 96-25 I 98 25 I 98-8 VIII 117
101-102 Prima guerra contro i daci
105-106 Seconda guerra con tro i daci; Ia Dacia provincia romana
106 L'Arabia diventa provin cia romana
107 ())Simeone, vescovo di Gerusalemme, condannato a morte dal governatore come "discendente di David" e agitatore politico
107/110 (?) Martirio di Ignazio, vescovo di Antiochia
111 Lettera (X, 96) di Plinio il Giovane a Traiano sull'atteggiamento da adottare nei confronti dei cristiani: condannare a mor te, su denuncia non anonima, per il nomen
Christianum e il rifiuto di offrire sacrifici 111-113 Persecuzioni in Bitinia e nel Ponto intraprese da Plinio
114-117 Guerra contro i parti 116-117 Insurrezione degli ebrei a Cirene, Egitto, Meso potamia e Cipro
346
Tavole cronologiche
Storia della Chiesa
Letteratura e filosofia
ca. 70-107I110 lgnazio vescovo di Antiochia
70-80 Redazione dei Vangeli sinottici 75 Giuseppe Flavio, La guerra giu daica ca. 80-ca. 125 Attivita lctteraria di Plutarco
ca. 88 (?)-97 (?) Clemente vescovo di Roma ca. 90 Redazione degli Atti degli Apostoli ca. 93 Giuseppe Flavio, Antichitd giudaiche 95 Lettera di Clemente, vescovo di Roma, ai Corinti ca. 95 Redazione dell'Apocalisse; re dazione del quarto Vangelo II secolo Sviluppo delle sette gnostiche; tra gli altri: turnila, Cerinto, crate, Valentino
Menandro, Basilide,
104-109 Tacito, le Storie
Sa-
Carpo-
ca. 107 Lettere di lgnazio, vescovo di Antiochia ca. 108 Lettera di Policarpo, vescovo di Smirne, ai Filippi 109-116 Tacito, gli Annali
347
Storia della Chiesa nella tarda antichitd Avvenimenti politici
Lo stato romano verso il cristianesimo
ADRIANO 11 VIII 117-10 VII 138
Lettera di Adriano al procuratore d'Asia Minucio Fundano, che conferma la regola della condanna per il nomen
124
132-135 Rivolta di Bar Kocheba in Giudea 135 Colonia di Aelia Capi tolina sulle rovine di Gerusa lemme
Christianum
ANTONINO PIO 10 VII 138-7 lJI 161
R,
.lil '"
Martirio di Policarpo, Smirne
156
MARCO AURELIO 7 Ill 161-17 III 180 LUCIO VERO 7 III 161-I 169
vescovo di
ca. 160 Martirio di Tolomeo e Lucio a Roma 161-180 Martirii ad Atene, a Creta, in Asia Minore; cristiani della Grecia inviati nelle mmtere
(con Marco Aurelio) 161-166 Guerra contro i parti 165 (163-167) Martirio di Giustino e altri a 167 Epidemia di peste aRoma
Roma
167-180 Guerre contro i mar
comanni 175 Usurpazione di
Avidio
Cassio
348
Tavole cronologiche
Storia della Chiesa
Letteratura e filosofia
ca. 120 Erma, II Pastore ca. 121 Svetonio, Vita dei Cesari
ca. 125 Quadratus, Apologia
ca. 140-144 Marcione di Sinope (m.
ca. 140 Frontone inizia i suoi discor
ca. 160) a Roma
si contro i cristiani ca. 140 Giustino, Dialogo con Tri/one
ca. 144
Marcione rompe con Ia
Chiesa; il marcionismo ca. 145 Aristide, Apologia ca. 150 Lettera a Diogneto
152-153 II cinico Crescente attacca i
155 (?)- Aniceto vescovo di Roma 156 Montano di Frigia comincia a
cristiani; conflitto con Giustino ca. 155 Giustino, Apologia prima
diffondere le sue idee; il montani smo: prossimo awento del Regno di Dio e della Nuova Gerusalemme ca. 160 Giustino, Apologia seconda
(nella localita frigia di Pepuza); seve ro ascetismo; le profetesse Priscilla e Massimilla;
sinodo
riguardante
ca. 165 Taziano, Logos pros Hellenas
i
montanisti in Asia Minore
(Discorso ai greci)
165/166 Luciano, La morte di Pe regrina
170 Apuleio, Le Metamor/osi o l'Asino d'oro
171-180 Marco Aurelio, Ricordi ca. 175 Ermia, Irrisione dei /iloso/i pagani ca. 176 Melitone di Sardi, Apologia ca. 176 Apollinare di lerapoli, Apo
logia 349
Storia della Chiesa nella tarda antichitli Lo stato romano verso il cristianesimo
Awenimenti politici
177 Martiri a Lugdunum e Vienna
COM MODO
17
180-31
III
XII
180 Martiri di Scillio 180-192 Martirii in Asia Minore e aRoma;
192
cristiani romani mandati nelle miniere in Sardegna
191 Roma ottiene il nome di Colonia Commodiana 192 L'imperatore prende il nome di Hercules Romanus e si identifica con Ercole 193 "Anno dei cinque impe ratori":
PERTINACE, DIDIO GIU
LIANO, SETI!MIO SEVERO, CLO DIO ALBINO SETI!MIO SEVERO
9
IV
193-4 II
211 197-199 Guerra contro i parti; Ia Mesopotamia settentrionale diventa provincia romana
202-206 Persecuzioni in Africa settentriona le, aRoma, Antiochia, Cirene e Alessandria 202 Martirio di Leonida (padre di Origene) e di altri cristiani di Alessandria 203 Martirio di Perpetua, Felicita e altri a Cartagine
350
Tavole cronologiche
Scoria della Chiesa
Letteratura e filosofia
177-180 Atenagora, Ambasceria per i cristiani
178 Celso, Alethes logos (Discorso veritiero), primo grande trattato centro i cristiani ca. 180 Milziade, Apologia ca. 180 Teofilo di Antiochia, Ad Autolico
ca. 180-ca. 200 Panteno dirige Ia scuola catechetica di Alessandria ca. 180-ca. 200 Attivita letteraria di Clemente Alessandrino ca. 185 Ireneo, Contro le eresie 189-232 Demetrio vescovo di Ales sandria 189-199 Vittore vescovo di Roma
ca. 190-ca. 220 Attivita letteraria di Tertulliano
11-111 sec. Inizio della controversia sul la relazione tra Dio Padre e Cristo; varianti del monarchianesimo (Asia Minore, Roma); tra gli altri Teodoto di Bisanzio, Sabellio, Noeto, Prassea
195 Clemente Alessandrino, Pro trepttkos pros Hellenas (Esortazione ai greci) 199-217 Zefferino vescovo di Roma sec. Prime apologie Iarine: Tertulliano, Apologetico (ca. 197) e Minucio Felice, Ottavio (inizio Ill sec. ca. 200-ca. 235 Dione Cassie, Stort'a romana n-m
ca. 203-ca. 254 Attivita letteraria di Origene ca. 203-ca. 254 Origene dirige la scuola catechetica di Alessandria 351
Storia della Chiesa nella tarda antichita Lo stato romano verso il cristianesimo
Avvenimenti politici
208-211 Lotte in Britannia CARACALLA4 II 211-8 GETA 4
IV 217
II 211-27 II 212 (con
Caracalla) 212
La Constitutio Antoni
niana conferisce Ia cittadinan za romana a tutti i provinciali liberi 215-218 Guerra contro i parti MACRINO 11 IV 217-8 VI 218 ELIOGABALO
16
V
218-11 Ill
222
ALESSANDRO
11
SEVERO
III
222-1 111235 224/226 Caduta della dinastia parta degli Arsacidi; prende il potere Artaserse 1, della dina stia persiana dei Sasanidi 230-232 Guerra contro Arta serse 234-235 Gli alamanni attacca no gli Agri Decumates MASSIMO TRACE 1
lll 235-5
VII
238
235-236 Persecuzioni del clero romano 236 Morte di Ponziano, vescovo di Roma,
235-238 Guerre contro i bar
e di Ippolito, mandati nelle miniere in Sar
bari sui Reno e sui Danubio
degna
(goti, alamanni) Inizio m 238-25 m 238 Usur pazione di Gordiano
I
e Gor
diano II in Africa PUPlENO,
BALBINO,
GORDTANO
III (come imperatore: prima del
22
v238-
prima del29 VIII 238) 352
Tavole cronologiche
Storia della Chiesa
Letteratura e filosofia
210-236 Attivita letteraria di Ip polito a Roma
213 Tertulliano, Contra Prassea (contro il monarchianesimo) ca. 215 Filostrato, Ta eis Tyanea (Vita di Apollonio di Tiana)
Apollonian
217-222 Callisto vescovo di Roma; conflitto con Ippolito, che rimpro vera a Callisto l'cccessiva indulgen za verso i peccatori e di favorire le eres1e ca. 220 Callisto condanna Ia dottrina di Sabellio; il sabellianismo: un uni co Dio si manifesta come Creatore (Padre), Redentore (Figlio) e Santi ficatore (Spirito Santo) ca. 220 Cartaginc: nuovo battesimo degli eretici 222-230 Urbano vescovo di Roma
220-230 Sesto Giulio Africano, Chronographiai (Cronache)
c.a. 230 A Iconio (Licaonia) e a Sinnada (Frigia) nuovo battesimo degli eretici 230-235 Ponziano vescovo di Roma 232-247 Eracla vescovo di Ales sandria
ca. 230Ippolito, Philosophoumena. . (Contro tutte le eresie)
235-236 Antcro vcscovo di Roma
235 Origene, Eis martyrion protrep tikos (Esortazione a! martirio)
236-250 Fabiano vescovo di Roma
.
Prima meta del
353
III
secolo Didascalia
Storta della Chiesa nella tarda antichita Lo stato romano verso il cristianesimo
Awenimenti politici
GORDIANO
(da solo):
prima
del29 VIII 238-244
241-244 Guerra contro Sapo re r, re dei persiani FILIPPO ARABO 1/14
Ill 244-
prima dell'lliX 249 244-248 Guerre contro i bar bari
sui Danubio (goti, ala
manni, carpi, vandali) 21JV247 Millenario diRoma 248 Ribellione di Pacaziano, Iotapiano, Uranio
'" ,,,
Ill I
248 Malgrado Ia politica tollerante dell'im peratore, pogrom di crisriani ad Alessandria
VI 249 Ribellione di Decio sui
Danubio Prima dell'll!X249 Sconfitta e morte di Filippo Arabo a Verona DEClO VI249- ca. 1 Vl1251
249-250 Editto di Decio che impone ai citta
249-251 Invasione dei goti nei
dini dell'impero di offrirc sacrifici agli dei
(supplicationes) in presenza di apposite com
Bale ani
missioni: martirio, tra gli altri, di Fabiano, ca. 1 Vll 251 Sconfitta e morte
vescovo di Roma, c di Babila, vescovo di
di Dccio
Antiochia
nella battaglia
di
Abritto contro i goti TREBONIANO GALLO ca. 1 VII
251
251-253 Politica ostile verso i cristiani, quali responsabili dell'cpidcmia
252 Epidemia aRoma 252/25.3 Sapore I conquista !'Armenia; inizio delle invasio ni, durate circa dieci anni 24 VII 253 Rivolta di Emiliano in Mesia EMfLIANO 24 VII-22 X253 VIII 25.3 Disfatta a Interamna e
caduta di Treboniano Gallo
VALERIANO LX253-260
25.3 Morte di Cornelio, vescovo diRoma, in esilio a Centum Cellae 253 Esilio di Lucio, vcscovo diRoma
354
Tavole cronologiche
Letteratura e filosofia
Storia della Chiesa
ca. 240-248 Interventi di Origene Inizi dell'attivita di Mani in
nelle controversie dogmatiche nel
240
corso dei vari sinodi in Oriente
Persia 240-245 Scritti di Origene contro
il
monarchianesimo ca. 242 Morte di Arnmonio Sacca, precursore del neoplatonismo, mae stro di Plotino ca. 244-269/270 Attivita di Plotino a Roma 246-248 Origene, Contra Celso 247-264 Dionigi vescovo di Ales
sandria
249-258 Cipriano vescovo di Car
tagine ca. 250 A Coma, in Egitto, nasce
ca. 250 Erodiano, Storza dell'impero
Antonio
romano
251-253 Cornelio vescovo di Roma
251 Cipriano, De catholicae ecclesiae
251 Scisma di Novato e Felicissimo
unitate (Dell'unita della Chiesa cat
centro Cipriano, vescovo di Carta
tolica)
gine: secondo !oro basta un libellus pacis dai con/essores perche i lapsi possano tornare alia Chiesa 251 Cartagine: condanna di Novato
e di Fclicissimo; obbligo di penitenza 251
Scisma
di
Novaziano
contro
Cornelio, vescovo di Roma, e centro
il ritorno dei lapsi alia Chiesa; i nova
253-269/270 Plotino redige 54 trat
zJant 252 Roma: condanna dei novaziani
dal suo discepolo Porfirio
tati, poi pubblicati come Enneadi
253-254 Lucio vescovo di Roma
355
Storia della Chiesa nella tarda antichitd Avvenimenti politici
Lo stato romano verso il cristianesimo
GALLIENO IX 253-inizio IX 258
(con Valeriano) 22 X 253 Morte di Emiliano presso Spoleto 254-258 Gallieno combatte i barbari che invadono Ia Gallia 254-258 I goti devastano i Bal cani e !'Asia Minore 256 Sapore conquista Nisibi, Dura Europo, Carre e Antio chia 256 Valeriano muove contro Sapore 257 Primo editto di Valeriano, che condan
260 Valeriano fatto prigionie ro da Sapore presso Edessa 260 Dissoluzione dell'impero: indipendenza di Britannia, Gallia e Spagna (Imperium Galliarum: 260-274) e rivolra dei cap1 di Valeriano m Oriente 260-267 Odenato, re di Pal mira, per incarico di Gallieno governa !'Oriente, lottando contro gli usurpatori e contro Sa pore 261-268 Riforme di Gallieno
na all'esilio il clero cristiano e proibisce, pena Ia morte, l'esercizio del culto e l'in gresso nei cimiteri 258 Secondo editto di Valeriano, che con danna a morte il clero e i cristiani apparte nenti ai senatori e ai cavalieri Oe donne al l'esilio); martirio, tra gli altri, di Sisto, ve scovo di Roma, del diacono Lorenzo, di Fruttuoso, vescovo di Terragona 260 Editto di tolleranza di Gallieno e inizio della cosiddetta Piccola Pace Ecclesiastica
267 Invasione barbarica della Grecia 268 Sconfitta dei goti sui Nesto 268 Ribellione di Aureolo CLAUDIO II IX 268-IV 270 356
Tavole cronologiche Letteratura e filosofia
Storia della Chiesa
254-257 Stefano vescovo di Roma 255 e 256 Sinodi a Cartagine per Ia
questionc del battesimo degli eretici convertiti: neccssidt di un nuovo battesimo; Stefano contrario aile de cisioni di entrambi i sinodi; conflitto con Cipriano 257-258 Sisto vescovo di Roma
259-268 Dionigi, vescovo di Roma
ca. 260 conflitto tra Dionigi, vescovo di Roma, e Dionigi, vescovo di Alessandria, circa il rapporto del Pa dre verso il Figlio
262 Arrivo a Roma di Porfirio 264 e 268: Antiochia: condanna di
Paolo di Samosata, vescovo di An tiochia, per monarchianesimo e im moralita
357
Storia della Chiesa nella tarda antichitd Avvenimenti politici
Lo stato romano verso il cristianesimo
268 Calata degli alarnanni in ltalia e !oro sconfitta nei pres si del lago Benaco 269 Zenobia e Vaballato rifiu tano obbedienza a Claudio in Oriente 269 Disfatta dei goti a Naisso QUINTILIANO IV 270-meta 270 AURELIANO V 270-x/XI 275
270/271 Respinta l'invasione di alamanni e iutungi in Italia 271 Rivolta di Felicissimo a Roma 271 Inizio costruzione di nuo ve mura aRoma 271 (274) Evacuazione della Dacia 272 Liquidazione del regno di
272 Intervento di Aureliano nella questio
Zenobia in Oriente
ne di Paolo di Sarnosata
273 Distruzione di Palmira e pacificazione dell'Egitto 274 Liquidazione dell'Impe rium Galliarum; restaurazio ne dell'unita dell'irnpero TACITO fine 275-V/Vl 276
275 Rinuncia al progctto di una grande
FLORIANO V/Vi-Vll/VIII 282
persecuzione cristiana dopo Ia morte di
277-282 Ritorno delle frontie
Aureliano
re su Reno e Danubio CARO dopo il 28 VIII 282-esta
te 283 282 I figli, Carino e Nume riano, coadiutori del regno 282/283 Spedizione centro Ia Persia; successi e morte di Caro CARINO inizio 283-inizio 285 NUMERIANO estate 283-autun
no 284 284 lnsurrezione dei bagaudi in Gallia
284 Morte di Numeriano in Asia Minore 358
Tavole cronologiche Letteratura e filosofia
Storia della Chiesa
269-274 Felice, vescovo di Roma
269/270 Morte di Plotino
ca. 270 Antonio si ritira nel deserto
ca. 270 Dessippo, Chronike historia (Cronaca) 271-272 Porfirio, Kata christian6n (Contro i cristiani)
274 Porfirio apre a Rorna una scuola
neoplatonica 275-283 Eutichiano vescovo di Roma 277 Morte di Mani in Persia 280-300 Diffusione del manicheisrno
in Siria e nell' Africa settentrionale 282-300
Teone
vescovo
di
Ales
sandria
283-296 Gaio, vescovo di Roma
359
Storia della Chiesa nella tarda antichitd Avvenimenti politici
Lo stato romano verso il cristianesimo
20
XI 284 Ribellione di Dio cleziano a Nicomedia Inverno 285 Disfatta e morte di Carino nella battaglia di Margus DJOCLEZIANO 20 XI 284-1 V
21
VII
305 285 Massimiano impe
ratore soffoca Ia rivolta dei ba gaudi 286-293 Diarchia: Diocleziano aug. (lovius), Massimiano aug. (Herculius) 286-293 usurpazione di Ca rausio in Gallia settentrionale e in Britannia 287 Trattato con Baharam II, re di Persia; restaurazione del l'ordine romano in Oriente
293-303 Tetrarchia:
Diocle ziano aug. (Iovius), Massimia no aug. (Herculius), Costanzo Cloro ces. (Herculius), Gale rio ces. (Iovius)
293-296 Usurpazione di Al lecto in Britannia
296-298/299 Guerra contro
295 Martirio della recluta Massimiliano a T heveste
Narscte, re di Persia
297-298 Rivolta in Egitto
297 Martirio del mimo Gelasino a Eliopoli 298 Martirio del centurione Marcello a Tingi
299-302 Allontanamento dei cristiani dal l'esercito e dalla corte
31
111 302 (297?) Editto con tro i manichei XI 303 Vicennali aRoma
23
II 303 Distruzione della Chiesa di Nicomedia 24 m 303 Primo editto di Diocleziano centro i cristiani: ordina Ia distruzione delle chiese e il rogo dei libri; vieta le riunioni dei fedeli e toglie ai cristiani privilegi e diritti giuridici
360
Tavole cronologiche
Letteratura e filosofia
Storia della Chiesa
295/296 Arnobio, Adversus nationes 296-308 Marcellino, vescovo di Roma
(Contro i pagani)
ca. 300 Gregorio Illuminatore con verte a! cristianesimo Tiridate II, re di Armenia 300-311 Pietro vescovo di Ales sandria
ca. 300 Metodio d'Olimpo, Simposio delle dieci vergini
(464-339), al lievo di Porfirio, fonda a Roma Ia scuola neoplatonica siriana III-IV secolo Giamblico
302 Sossiano di Ierocle, prima edizio ne del Philalethes Logos (Parole det tate dall'amore per Ia verita) 302/303 Eusebio di Cesarea, trattato contro Ierocle
361
Storza della Chiesa nella tarda antichitii
Avvenimenti politici
Lo stato romano verso il cristianesimo
Estate 303 Secondo editto di Diocleziano, che ordina l'arresto di tutto il clero cristiano Autunno 303 Terzo editto di Diocleziano, che consente di liberare i prigionieri disposti a sacrificare agli dei II1 304 Quarto editto di Diocleziano, che im
1 V 305 Abdicazione di Dio-
pone a tutti i sudditi dell'impero di sacrifica re agli dei 303-305 Numerosi martirii, soprattutto in Oriente e in Africa
cleziano e Massimiano e creazionc della seconda tetrarchia: Costanzo Cloro aug., Galerio aug., Flavio Severo ces., Mas simino Daia ces. 305-324 Guerre civili 25 VII 306 Morte di Costanzo;
306 Tolleranza in Occidente
Costantino proclamato "augu sto", rna riconosciuto solo co me imperatore da Galerio 28 X 306 Ribellione di Mas senzio a Roma
306 Quinto editto contro i cristiani in
Oriente (Massimino Daia, Galerio), che conferma l'obbligo di offrire sacrifici
2 II 307 Ritorno a! potere di Massimiano 307 Morte di Flavio Severo in Italia 307 Fallita invasione in Italia di Galerio 307/308 Dopo il fallito tenta tive di rovesciare Massenzio, Massimiano si rifugia presso Costantino XI 308 lncontro imperiale a
Carnunto e nuova tetrarchia: Galerio aug., Licinio aug., Co stantino ces., Massimino Daia ces. 308-311 Usurpazione di Do mizio Alessandro in Africa
308 Sesto editto contro i cristiani in Oriente
(Massimino Daia, Galerio) 308-311 Ultima ondata di grandi persecu
zioni
310 Morte di Massimiano 5 v 311 Morte di Galerio
30 IV 311 Editto di tolleranza di Galerio 362
Tavole cronologiche Letteratura e filosofia
Storia della Chiesa
ca. 303 Morte di Porfirio 303 Sossiano lerocle, seconda edizio
ne del Philalethes Logos
ca. 305 Sinodo a Elvira: questioni di sciplinari e organizzative della Chiesa 305 Cirta: severa presa di posizione nei confronti dei vescovi incerti du rante le persecuzioni
306/308 lnizio dello scisma melizia no m Egitto; Melizio, vescovo di Licopoli: Ia Chiesa dei martiri con rro Ia Chiesa cattolica
306/310 I cosiddetti "Atti di Pilato"
e grande azione propagandistica di Massimino Daia contro i cristiani in Oriente 306-311 Lattanzio, Divinae institutio nes (Isriruzioni divine)
308-309 Marcello vescovo di Roma 309-311 Eusebio vescovo di Roma
311-314 Milziade vescovo di Roma
363
Storia della Chiesa nella tarda antichita
Avvenimenti politici
Lo stato romano verso il cristianesimo
311-313 Massimino Daia continua le perse cuzioni in Oriente
25 XI 311 Martirio di Pietro, vescovo di Alessandria
312
Guerra
di
Costantino
contra Massenzio
28 X 312 Battaglia al Ponte Milvio e morte di Massenzio Inizio 313 Incontro tra Co
lnizio 313 Costantino e Licinio confermano
stantino e Licinio a Milano
a Milano la politica di tolleranza verso i cri
313 Guerra tra Licinio e Mas
stiani
simino Daia, disfatta e morte
313 Privilegi concessi da Costantino alla
di Massimino; Costantino-Oc
Chiesa (sgravi fiscali, leggi ereditarie, validita
cidente, Licinio-Oriente
giuridica dei giudizi episcopali)
15 VI 313 Editto eli tolleranza eli Licinio e Costantino in Oriente dopo la elisfatta di Massimino Daia Estate 313 Poco prima eli morire, Mas simino emana un editto eli tolleranza
316-317 Prima guerra di Co stantino contro Licinio
321-324 Persecuzioni di Licinio in Oriente 324 Seconda guerra tra Co-
324 Tolleranza peri cristiani
stantino e Licinio 18 rx 324 Disfatta e abdicazio ne di Licinio; Costantino uni co sovrano COSTANTINO IL GRANDE (25 VII
306) 18 rx 324-22 v 337 8 XI 324 Fondazione di Co stantinopoli
325 Costantino convoca il concilio eli Nicea
364
Tavole cronologiche
Storia della Chiesa
Letteratura e filosofia
311-312 Achilla vescovo di Ales sandria
312 lnizio dello scisma donatista in Africa: Ceciliano, vescovo di Car tagine, contro il candidato dei dona tisti, Maiorino (m. 313) 312-335 Alessandro vescovo di Bisanzio-Costantinopoli 312-238 Alessandro vescovo di Alessandria 313 Presentazione della questione donatista a Costantino 313-355 Donato vescovo di Car tagine (eletto dai rigoristi contro Ce ciliano 313 Roma: condanna dei donatisti 314 Aries: condanna dei donatisti 314-335 Silvestro vescovo di Roma
ca. 319 Primi interventi di Ario ad Alessandria; inizio dell'eresia ariana 320 Alessandria: condanna degli anam
313-314 Lattanzio, Sulfa morte dei persecutori
318-320 Scritti dogmatico-apologetici di Atanasio: Logos peri tes enanthrb peseos tou logou (Dell'Incarnazione del Verbo), Logos kata Hellenbn (Contro gli elleni)
324 Antiochia: condanna degli ariani
325 Concilio di Nicea: condanna di Ario: Cristo e homoousios (consu stanziale) al Padre
ca. 325 Eusebio di Cesarea, edizione definitiva dei Chronikoi Kanones e della Storia ecclesiastica
365
Storia della Chiesa nella tarda antichitd
Avvenimenti politici
Lo stato romano verso il cristianesimo
11 v 330 Dedica di Costan tinopoli
332 Disfatta dei goti 333 Inizio del conflitto con Sapore II, re dei persiani
COSTANTINO II 9 IX 337-III/fV
340 (Occidente)
22 v 337 Battesimo di Costantino sulletto di morte
COSTANZO II 9 IX 337-3 XI 361
(Oriente) COSTANTE 9 IX 337-18 I 350
(Africa, Italia, Balcani)
340 Guerra di Costantino
II
con Costante; disfatta e morte di Costantino II; Costante so vrano di tutto I'Occidente
341-357 Legislazione di Costanzo II e di Costante contro i pagani 341 (o 346) e 342 Divieto di offrire sacrifici
366
Tavole cronologiche
Letteratura e filosofia
Storia della Chiesa
328-373 Atanasio vescovo di Ales sandria
331 Esecuzione del neoplatonico So Prima meta del rv secolo sviluppo del movimento monastico: comunita di anacorcti (da Antonio, m. 356) e di gruppi cenobitici (da Pacomio, m.
patro, allievo di Giamblico, per vole re di Costantino
346)
335 Tiro: esilio di Atanasio (a Treviri) 336-338 Paolo vescovo di Costan tinopoli:
335-338 Discorsi di Atanasio centro gli ariani 335-337 Lettere di Atanasio
336 Morte di Ario 337-352 Giulio vescovo di Roma 337 Costantino II Iibera Atanasio dall'esilio
ca. 338 Eusebio di Cesarea, Vita di
338-341 Eusebio di Nicomedia ve-
Costantino
scovo di Costantinopoli
338 Antiochia: condanna di Ata nasio ed elezione del nuevo vescovo di Alessandria 339-345 Gregorio vescovo di Ales sandria 339-346 Secondo esilio di Atanasio (aRoma) ca. 340 Gangra: condanna di Eusta zio, vescovo di Sebaste, per Ia pro pagazione di un ascetismo radicale
ca. 340-370 Attivita letteraria di Efrem Siro (tra gli altri scritti: lnno alta Santissima Trinita)
341 Antiochia: condanna di Atanasio e nuova professione di fede senza il termine homoousios 341-342 Paolo vescovo di Costan tinopoli (per Ia seconda volta) 342-346 Macedonia vescovo di Costantinopoli 342/343 Serdica: i vescovi d'Oriente condannano Atanasio; i vescovi d'Oc cidentc favorevoli a homoousios
367
Storia della Chiesa nella tarda antichitd
Avvenimenti politici
Inizio 350 Sapore assedia Nisibi 18 I 350 Ribellione di Ma gnenzio in Gallia e morte di Costante 18 1 350-10 VIII 353 Usur pazione di Magnenzio (Bri tannia, Gallia, Spagna, Italia, Africa) 350-353 Lotta di Costanzo II per l'unici dell'impero 28 IX 351 Disfatta di Magnen zio a Mursa 351 Gallo proclamato "cesare" da Costanzo II 352 L'ltalia in mano a Co stanzo li 353 Disfatta e morte di Ma gnenzio in Gallia 354-356 Lotte contro alamanni e franchi in Gallia 355 Rivolta di Silvano in Gallia 6 XI 355 Giuliano proclamato "cesare" da Costanzo n 355-358 Lotte di Giuliano contro i barbari in Gallia
Lo stato romano verso il cristianesimo
350-353 Il pagano Magnenzio adotta una
politica di tolleranza verso i cristiani
353 Costanzo 11 accusa Atanasio di collabo
rare con Magncnzio 353-357 Leggi di Costanzo II contro i culti
pagani (magia e vaticini)
357 Visita di Costanzo II a Roma; rimozio 5 X 359 Sapore II conquista
ne dal senato dell'Altare della Vittoria
Amida 11 360 A Parigi (Lutetia Pari siorum) Giuliano e proclamato "augusto"; guerra contro Co stanzo II 368
Tavole cronologiche
Storia della Chiesa
Letteratura e filosofia
346 Ritorno di Atanasio dall'esilio (su
346-350 Firmico Materno, De errore
pressioni di Costante) 346-350 Paolo vescovo di Costan tinopoli (per Ia terza volta) 347 Persecuzioni dei donatisti
pro/anarum religionum (Sull'errore
350-360
Macedonia vcscovo di Costantinopoli (per Ia seconda volta)
delle religioni profane), scritto dopo Ia conversione al cristianesimo 347/350 Cirillo Gerosolimitano, Katecheseis (Catechesi)
350 Atanasio, Apologetikos kata Arza non (Apologia contro gli ariani)
351 Sirmio: condanna di Fotino, ve scovo di Sirmio, per monarchiane simo
352-366 Liberio vescovo di Roma
355-393 Libanio, Discorsi 355 Milano: esilio di Atanasio e di Liberio
355 Felice vescovo di Roma (per vo lonta di Costanzo n) 356-362 Terzo esilio di Atanasio (de serto egiziano) 356 Giorgio, vescovo di Alessandria (ariano) 356 Morte di Antonio
356-361 Ilario di Poitiers, De Tri nitate (Della Santissima Trinita)
ca. 357 Atanasio, Bios kai politeza tau... Antoniou (Vita e opere del pa dre nostro Antonio); inizi dell'agio grafia 357 Aranasio, Apologhza peri tes phyges autu (Apologia per Ia propria fuga) e Apologhia pros ton basilea Ko stantion (Apologia a Costanzo)
369
Storia della Chiesa nella tarda antichita Awenimenti politici
3 XI 361 Morte di Costanzo II
Lo stato romano verso il cristianesimo
361-363 Restaurazione e riorganizzazione dei culti pagani (senza repressioni cruente
GIULIANO L'APOSTATA 3 XI 361-
nei confronti dei cristiani)
26 VI 363 17 VI 362 Editto di Giuliano che ostacola l'attivita degli insegnanti che professano il cristianesimo
363 Spedizione in Persia di Giuliano
GIOVIANO 27 VI 363-16 II 364
363-364 Gioviano: cnsuano (niceno), rna
363 Trattato con Sapore II;
tollerante verso i pagani; si limita a revoca
perdita della Mesopotamia set
re le leggi anticristiane di Giuliano
tentrionale e degli influssi in Armenia
VALENTINIANO I (Occidente) VALENTE (Oriente) 28
364-375 Valentiniano I: cristiano (niceno) rna tollerante verso i pagani e gli eretici
26 H364-17 XI 375 TIT
364-
d'Occidente
378
364-378 Valente: cristiano (ariano); conflit
365 Rafforzamento della fron
to con i niceni d'Oriente
tiera sui Reno 365 Ripresa della guerra con tra Ia Persia 365-366 Usurpazione di Pro copio in Oriente 366-369 Lotte di Valente con tra i goti 368-370 Dux Teodosio (padre del futuro imperatore Teo dosio I) respinge i barbari in Britannia
370
Tavole cronologiche
Storia della Chiesa
Letteratura e filosofia
360-369 Eudossio vescovo di Co-
360 Aurelio Vittore, Caesares (Gii
stantinopoli
imperatori)
360-390 Attivita letteraria di Apol linare di Laodicea
362 Ritorno di Atanasio ad Ales sandria
Seconda meta del IV secolo Attivita letteraria dei Padri Cappadoci: Ba silio di Cesarea, Gregorio di Na zianzo e Gregorio di Nissa
362 Alessandria: sinodo dei "con fessori', successo dei niceni (homoou sios), condanna dei "distruttori dello spirito" (lo Spirito Santo e con siderato parte della consustanziale Santissima Trinita)
362-363 Quarto esilio di Atanasio (deserto egiziano)
362-388 (412) Scisma antiocheno Ou ciferiano)
363 Giuliano I'Apostata, K.ata Gali
363 Larnpsaco: condanna dell'ariane
laion (Contro i galilei)
simo, rna professione di fede antio chena del 341 senza il termine ho moousios
364-378 Persecuzioni dei niceni da parte di Valente
365-366 Quinto esilio di Atanasio (deserto egiziano)
366 Contlitto per Ia carica di vescovo di Roma tra Damaso e Ursino 366-384 Damaso vescovo di Roma: m1z1 della cosiddetta "domina di Pietro", che sostiene il primato del vescovo di Roma nel mondo cristiano
ca. 369-ca. 405 Simmaco, Discom; Relationes, Epistualae
371
Storia della Chiesa nella tarda antichita Avvenimenti politici
Lo stato romano verso il cristianesimo
370-375 lnsurrezione di Fir roo in Africa, soffocata dal
dux Teodosio
374-375 Valentiniano I lotta contro quadi e sarmati sul Danubio ca. 375 Gli unni distruggono
il regno degli ostrogoti sul Mar Nero; inizio delle migra zioni dei popoli 17 XI 375 Morte di Valen tiniano 1 GRAZIANO (Occidente) 17 XI
375-383 Per influsso di Ambrogio, vescovo
375-25 III 383
di Milano, Graziano emana una serie di
VALENT!NIANO II (Occidente
editti contro pagani ed eretici
con Graziano) 22 XI 375-15 v 392 375-379 Scontri con i barbari su Reno e Danubio 376 Sollevazione dei visigoti stanziati in Tracia da Valente 9 VIII 378 Disfatta e morte di
378 Graziano respinge il titolo di Pontifex
Valente, ucciso dai visigoti a
Maximus
Adrianopoli 19 I 379 Graziano proclama Teodosio I "augusto" ceden dogli i Balcani e !'Oriente
372
Tavole cronologiche
Storia della Chiesa
Letteratura e filosofia
369 Eutropio, Breviarium ab urbe condita (Storia romana)
369/370 Festo, Breviarium rerum ge
370-380 Demofli o vescovo di Co
starum populi romani (Storia del po polo romano) 370-390 Attivita poetica di Ausonio
stantinopoli
370-397 Martino vescovo di Tours Padri Cappadoci: Basilio il Grande, vescovo di Cesarea di Cappadocia (370-379); Gregorio di Nissa (371394); Gregorio di Nazianzo (372-390)
373-381
Pietro
vescovo
di Ales
sandria
374-397
Ambrogio
vescovo
di
Milano
374-397 Attivita letteraria di Am brogio ca. 375-400 Attivita Pallada di Alessandria
376-377 Persecuzioni dei donatisti da parte di Graziano
377-379 Sinodi di Roma, Antiochia e Alessandria: inizio delle controver sie cristologiche e condanna dell'a pollinarismo; Apollinare di Lao dicea: mescolanza in Cristo dell'ele mento divino e umano, che produce un'«unica natura incarnata del Logos divino»
373
poetica
di
Storia della Chiesa nella tarda antichita Avvenimenti politici
Lo stato romano verso il cristianesimo
TEOOOSIO I IL GRANDE (Orien
te) 19 I 379-17 I 395 379-382 Lotte di Teodosio I
contra i visigoti nei Balcani
28 II 380 Editto di Teodosio I Sulla fede cat
tolica 380 Battesimo di Teodosio I (niceno) 381 Teodosio I convoca il concilio di Co
stantinopoli 381-395 Legislazione di Teodosio I contra i
pagani Graziano rimuove I'Altare della Vittoria dal senate 382 Intervento di Graziano contra il colle gia sacerdotale di Roma
381 382 Teodosio I stanzia i visi
goti in Tracia come /oederati 382/383 Usurpazione di Ma
gno Massimo in Britannia e in Gallia 383-388 Usurpazione di Ma gno Massimo in Occidente
383-386 Valentiniano II: tolleranza verso
pagani ed eretici
385-386 Conflitto tra Ambrogio e l'impera
trice Giustina (ariana), madre di Valen tiniano II
387 Valentiniano II fugge in
Oriente 388 Intervento di Teodosio I
in Occidente; disfatta e morte di Magno Massimo e restaura zione di Valentiniano II
390 Conflitto tra Ambrogio e Teodosio I
per il massacre di Tessalonica 24 II 391 Editto di Teodosio I che vieta di
392 Conflitto tra Valentiniano II con Arbogaste e morte del ]'imperatore EUGENIO (Occidente) 22 VIII 392-6IX 394
offrire sacrifici, entrare nei templi e venera re gli idoli 8 XI 392 Proibizione di tutti i culti pagani e inizio della distruzione dei templi 392-394 Eugenio e Arbogaste: tentative di restaurazione dei culti pagani 393 Liquidazione dei giochi olimpici
374
Tavo!e cronologiche Storia della Chiesa
Letteratura e filosofia
380-381 Gregorio di Nazianzo ve
ca. 380-419 (420) Attivira letteraria di Girolamo
scovo di Costantinopoli
380 e 384 Sinodi a Caesaraugusta (Saragozza) e Burdigala (Bordeaux); condanna del priscillanismo; Pri scilliano, vescovo di Avila: dualismo e rigido ascetismo 381-385 Timoteo vescovo di Ales sandria 381 Concilio di Costantinopoli: la confessione nicena e Ia confessione dell'impero; condanna dell'arianesi mo e delle alrre eresie; il vescovo di Cosrantinopoli viene subito dopo il vescovo di Roma 381-397 Nettario vescovo di Co stantinopoli
384-399 Siricio vescovo di Roma 385 Priscilliano giustiziato a Treviri
ca. 385-407 Attivita Giovanni Crisostomo
per volere di Magno Massimo 385-412 Teofilo vescovo di Ales sandria 386 Conversione di Agostino
ca. 385-395 Ammiano Marcellino, Rerum gestarum libri qui supersunt (I libri di storia che si sono conser
ca. 390 Side (Pamfilia): condanna del messalianesimo (severo ascetismo, condanna del lavoro; valore fonda mentale della preghiera ai fini della salvezza)
letteraria
di
vati)
388 Morte del sofista Temistio (ca. 317-388) ca. 390-431 Attivira poetica di Paoli no da Nola
375
Storza della Chiesa nella tarda antichitd Lo stato romano verso il cristianesimo
Avvenimenti politici
394 Intervento di Teodosio
1
in Occidente; guerra con Ar bogaste ed Eugenio 6 IX 394 Disfatta e morte di Eugenio sul Frigido, suicidio di Arbogaste 17 I 395 Morte di Teodosio I a Milano ONORIO (Occidente) 17 I 39515 VIII 423 ARCADIO (Oriente) 17 I 395- 1 v408 395-408 Potere eli Stilicone in Occidente 395-397 Alarica, re dei visigoti, devasta i Balcani 397-398 Rivolta eli Gildone in Africa
401-402 Invasione di Alarico in
Italia 405-406 Invasione di Rada gaiso in Italia 31 Xll 406 Vandali, suebi e ala ni devastano la Gallia 407-411 Usurpazione di Co stantino III (Britannia, Gallia, Spagna) TEOOOSIO II (Oriente) 1 v 40828 VII 450 408 Caduta eli Stilicone 408-409 Gli unni invadono Ia Tracia 408-409 Alarica assedia Roma 409 Attalo imperatore a Roma per volere eli Alarico 409 Vandali, suebi e alani en trano in Spagna
Conflitto tra Giovanni Criso stomo, vescovo di Costantinopoli, e l'impe ratrice Eudossia, moglie di Arcadio
401-404
376
Tavole cronologiche
Storia della Chiesa
Letteratura e filosofia
395-410 Attivita letteraria di Rufino di Aquileia
395-404 Attivita poetica di Claudiano 395/408 Epitome de Caesarzbus 396-397 Agostino, Le Con/essioni
397-401 Agostino, vescovo di lppona; conflitti origenisti in Egitto e con danna di Origene (m. 254) come ere tico
399-412 Agostino combatte i dona tisti
399-401 Anastasio vescovo di Roma 402-417 lnnocenzo vescovo di Roma 405 Arsacio vescovo di Costanti nopoli
405 Editto contro i donatisti 406-452 Attico vescovo di Costanti nopoli
377
399-407 Attivira poetica di Prudenzio ca. 400 Macrobio, Saturnala i ca. 400 Sulpicio Severo, Chronika
Storia della Chiesa nella tarda antichita Lo stato romano verso il cristianesimo
Avvenimenti politici
24 VIII 410 Alarico conquista Roma
412 Divieto per i pagani di accedere aile cariche militari e civili
412 Visigoti in Gallia 413 Ribellione di Eracliano 415-421 Lotte di Costanzo in
Gallia 416 Visigoti in Spagna
420-422 Conflitto con Ia Persia
COSTANZO III (Occidente con Onorio) IV 421-21 IX 421 422 lnvasione degli unni in Tracia 422/423 Conflitto di Onorio con Ia sorella Galla Placidia e fuga di lei in Oriente con il fi glio Valentiniano (Ill) 15 VIII 423 Morte di Onorio
GIOVANNI
(Occidente)
XII
423-v 425 (non riconosciuto
da Teodosio II) 424 Giovanni 1nv1a Ezio a
chiedere aiuto agli unni 425 lntervento dell'esercito d'Oriente (Ardabur, Aspar) in Occidente, in favore del figlio di Galla Placidia, Valentiniano
VALENTINIANO III (Occidente) 23 X 425-16 III 455
378
Tavole cronologiche
Letteratura e filosofia
Storia della Chiesa
411 Conferenza di Cartagine: con danna dei donatisti 411 Cartagine: condanna del pela gianesimo; Pelagio: lo sforzo indivi duale conta piu della grazia divina 412-444 Cirillo vescovo di Alessandria 413-427 Agostino, La citta di Dio 415 Diospoli: riconoscimcnto della dottrina di Pelagio 416 Sinodi a Cartagine e Milevis: condanna del pelagianesimo 417-418 Zosimo vesovo di Roma 418-419 Conflitto tra Bonifacio ed Eulalio per Ia carica di vescovo di Roma 418-422 Bonifacio vescovo di Roma ca. 419-ca. 434 Giovanni Cassiano diffonde le idee monastiche in Oc cidente 420-451 Attivita cenobitica di Senute di Atripe in Egitto 422-432 Celestino vescovo di Roma
415 Morte della filosofa Ipazia ca. 417 Orosio, Historiae adversus pa ganos (Storia contro i pagani) 417-434 Attivita letteraria di Giovan ni Cassiano
ca. 420 Palladio, Lausiakon, raccolta agiografica di vite di "padri del de serto" ca. 420 Morte di Eunapio di Sardi (n. ca. 345), autore del Bioi sophist{m (Vite dei sofisti) e del Hypomnemata historzka (Appunti storici) ca. 423 Teodoreto di Ciro, Helle nik6n therapeutike (Cura delle ma lattie greche) . . .
Prima meta del v secolo Olimpio doro di Tebe, Historia
425/433 Filostorgio, Ekklesiastike hi storia (Storia ecclesiastical
379
Storia della Chiesa nella tarda antichitd Lo stato romano verso il cristianesimo
Awenimenti politici 425-433 R.ivalita tra Felice, Bonifacio ed Ezio per il potere in Occidente
429-442 Invasione dell'Africa da parte dei vandali 429-438 Compilazione
del
Codex Theodosianus 430 Teodosio I! paga un tribu to agli unni 431-432 Fallita spedizione del l'esercito d'Oriente in Africa
431 Teodosio II convoca il concilio di Efeso (I)
433-454 Regno di Ezio in Oc cidente
434 Teodosio II paga un tribu to agli unni
19 X 439 I vandali conquistano Cartagine
441 Attila, re degli unni, deva sta i Balcani ca. 441-450 Influenza dell'eu nuco Crisafio in Oriente
443 Teodosio II paga un tribu to agli unni
447 Invasione di Attila ne1 Balcani e pace in cambio del pagamento di un tributo MARCIANO (Oriente) 25 Vlll 450-261457 450 Caduta di Crisafio; potere di Aspar in Oriente (471)
449 Teodosio II convoca il concilio di Efeso (II) e appoggia il monofisismo 450 Morte di Teodosio II; Marciano e l'im peratrice Pulcheria contro il monofisismo
380
Tavole cronologiche
Storia della Chiesa
Letteratura e filosofia
426-427 Sinnisio vescovo di Costan tinopoli
428-431 Nestorio vescovo di Costan tinopoli
429-431 Prima fase della controversia cristologica: Cirillo contro Nestorio 430 sinodo di Roma: condanna di Nestorio
431 Efeso (!): condanna di Nestorio 431-434 Massimiano vescovo di Co stantinopoli
432-440 Sisto Ill vescovo di Roma 433 Formula detta "dell'unione": Cristo "consustanziale al Padre per la divinitii e consustanziale all'uomo per l'umanitii" 434-446 Prodo vescovo di Costan tinopoli
435 Muore Rabbula, vescovo di Edessa, propagatore della vita mona stica in Siria
437-449 Teodoreto di Cirro, Philo theos historia (Storia religiosa) 439-443 Socrate Scolastico, Storia ec clesiastica
444-451 Dioscoro vescovo di Ales
444-450 Teodoreto di Cirro, Ekkle
sandria
siastike historia (Storia ecclesiastical
446-449 Flaviano vescovo di Costan tinopoli
446-451 Seconda fase della contro versia cristologica; Eutiche e il mono fisismo: un'unica natura divina in Cristo (lo appoggiano Teodosio II, Dioscoro e Crisafio)
381
Meta del v secolo Attivita di Prodo (410-485), creatore della scuola neo platonica ateniese Meta del v secolo Nonno di Pa nopoli, Dyonisiaka e Metabole
Storz'a della Chiesa nella tarda antichita Lo stato romano verso il cristianesimo
Avvenimenti politici
450 Marciano rifiuta di pagare il tributo agli unni 451 Invasione di Attila in Gal lia e sua disfatta ai Campi Ca talaunici 452 Invasione di Attila in Italia; Marciano invia eserciti comro gli unni sul Danubio, obbligando Attila a ritirarsi dall'Italia .
451 Marciano convoca il concilio di Cal cedonia 451 Leggi contra i pagani 452 Editto di Marciano che praibisce le di spute cristologiche
453 Morte di Attila 454 Morte di Ezio PETRONIO MASSIMO (Occiden
te) 17 ll!-31 v455 2-16 VI 455 Genserico, re dei vandali, saccheggia Roma AVITO (Occidente) 9 VII 45517 X456 456-472 Regno di Ricimerain Occidente LEONE I (Oriente) 7 II 457-18 I
474
457-474 Leone nofisismo
MAGGIORANO (Occidente) ces.
1 IV 457, aug. 28 XII 457-2 vrn 461 (eletto da Ricimera con il consenso di Leone 1 dopo l'ab dicazione forzata di Avito) 460 Fallita spedizione Africa contro i vandali
m
382
I,
calcedonio, contrail mo
Tavole cronologiche
Letteratura e filosofia
Storia della Chiesa
448 Costantinopoli: Flaviano con danna Eutiche e il monofisismo 449 Efeso (n): successo del monofisi mo, di Eutiche e Dioscoro; Flaviano (e sua morte); Leone Magno defini sce il sinodo un "brigantaggio" (la trocn i ium) 449-458 Anatolio vescovo di Costan tinopoli 449 Roma: Leone Magno condanna Efeso (n) 451 Calcedonia: condanna del mono fisismo ed esilio di Dioscoro a Gangra (m. 454) 451-453 Sommosse anticalcedonie in Palestina, Siria ed Egitto soffocate dagli eserciti imperiali; opposizione anticalcedonia m Egitto; Timoteo Eluro e Pietro Mongo 451-457 Proterio vescovo di Ales sandria
ca. 453 Teodoreto di Cirro, Hairetikes kakomytha i s epitome (Compendia dell'errata dottrina ere tica)
ca. 456-ca. 458 Attivita poetica di 457 Sommossa monofisita ad Alessandria; uccisione di Proterio 457-460 Timoteo Eluro vescovo eli Alessandria; condanna di Calcedonia 458-471 Gennadio vescovo eli Costantinopoli 459 Morte di Simeone Stilita 460-475 Timoteo Eluro in esilio per ordine dell'imperatore Leone 460-472 Timoteo il Saggio vescovo di Alessandria (calcedonio) 383
Sidonia Apollinare
Storia della Chiesa nella tarda antichitd Lo stato romano verso il cristianesimo
Avvenimenti politici
2 vm 461 Ricimero costringe Maggiorano ad abdicare (ucci so il 7 vrn 461) LIBIO SEVERO (Occidente) 19 XI 465 (eletto e forse ucciso su
ordine di Ricimero)
466 Zenone lsaurico, marito di Ariadne, figlia di Leone I; conflitto con Aspar ANTEMIO (Occidente) ces. 25 m 467, aug. 17 rv 467-11 VII
472 (eletto da Leone I con il consenso di Ricimero)
468 Fallita spedizione degli eserciti d'Oriente e d'Occi deme in Africa contro i van dali
471 Morte di Aspar 472 Conflitto tra Anternio e Ricimero; Ricimero e Gundo bad, principe burgundo, con quistano Roma; morte di An temio OUBRIO (Occidente) IV-2 XI 472 18 vrn 472 Morte di Ricimero; potere eli Gundobad in Occi
dente GLICERIO (Occidente) 3 III 473-19 (o 24) VI 474 (eletto
da Gundobad)
474
Glicerio deposto Giulio Nepote, inviato Leone!
da da
LEONE II (Oriente) 18 !-fine XI
474 ZENONE (Oriente, con Leone
474-491 Zenone: monofisita moderato
II) 9 11 474-9 I 475 384
Tavole cronologiche Storia della Chiesa
Letteratura e filosofia
461-468 llario vescovo di Roma
Seconda meta del
v
secolo Prisco
Panite (410/420-dopo il472) Historia
byzantiake kai ta kat' Attilan (Storia bizantina e storia di Attila)
468-483 Simplicio vescovo di Roma
471-489 Acacio vescovo di Costantinopoli (calcedonio)
385
Storia della Chiesa nella tarda antichitd Avvenimenti politici
CIULlO NEPOTE
Lo stato romano verso il cristianesimo
(Occidente)
19 (o 24) VI 474-28 vm 475 9 I 475 Ribellione di Basilisco centro Zenone BASILISCO (Oriente) 9 I 475fine VIII 476 475 Ribellione del comandan te in capo d'Occidente, Ore ste, e fuga di Giulio Nepote in Dalmazia (m. 9 V 480)
475-476 Basilisco; reazione monofisita
(Occi dente) 31 X 475-23 VIII 476 475-476 Regno di Oreste (pa dre di Romolo Augustolo) in Occidente 23 vm 476 Rivolta di Ode acre in Occidente, caduta di Oreste e abdicazione di Ro molo Augustolo Fine VIII 476 Caduta di Basilisco e ritorno al potere in Oriente di Zenone ROMOLO AUGUSTOLO
ZENONE
(Oriente)
fine VIII
476-9rv 491
386
Tavole cronologiche
Letteratura e filosofia
Storia della Chiesa
475 Ritorno di Timoteo Eluro ad
Alessandria e reazione monofisita in Egitto 475-477 Timoteo Eluro vescovo di Alessandria (per la seconda volta) 475 Efeso (III): condanna di Calce-
donia
Fine del v secolo Fulgenzio, Mythologiae ed Expositio virgilianae continentiae (Esposizione dei contenuti di Virgilio) 498-503 Zosimo, Nea historia (Nueva
storia)
387
Indice delle persone, dei personaggi biblici e mitologici
Achab, re d'Israele 874/3-853 a.C.,
Ammiano Marcellino (lat. Ammianus
marito di Izebel, 291, 323 Acolio,
m.
Marcellinus), ca. 330-ca. 395, stori
nel 382/383, vescovo di
Tessalonica, 155
co romano di Antiochia, 12-13 Anastasio Oat. Flavius Anastasius), ca.
Adamo, bibl., 272,306
430-518, imperatore d'Oriente 491-
Adriano Oat. Publius Aelius Hadria
518, 237-238,241, 258
nus), 76-138, imperatore 117-138,
Anatolio, vescovo di Costantinopoli 449-458, 221, 226, 232-233
57 Acacio (gr. Akakios), vescovo di Co
Andrea (gr. Andreas), m. prima del
stantinopoli 471-489, 237-238
449, vescovo di Samosata, teologo
Aigrain R., 241
legato a Giovanni d'Antiochia, 199
Alarico {lat. Alaricus), ca. 370-410, re
Andromaca (gr. Andromache), mit.,
dei visigoti 392-410, 82
moglie di Ettore, principe troiano,
Alberto, san (Alberto Avogardo), ca. 1149-1214,
patriarca
di
265
Gerusa
Anfilochio, ca. 340-ca. 396, vescovo di
Alee, sorella di Nicete di Smirne (dal
Antero, vescovo di Roma 235-236,
lemme 1204-1214,323
Iconio, 250-251
Martirio di Policarpo), 312
302
Alessandro (gr. Aleksandros), vescovo di Alessandria
312-328, 18,
Antonio (gr. Antonios) Abate, detto Magno, ca. 250-356, anacoreta, pre
139,
cursore del movimento monastico
1#1�1�1�1�1�1�3W Alessandro (gr. Aleksandros), vesco vo di Bisanzio-Costantinopoli 312-
in Egitto, 304-305, 308 Anullino {lat. Gaius Annius Anul
335,58
linus),
Alessandro, san, 324 Alexandre M., 339 Alfio
Ceciliano
Apelle, {lat.
console
295,
proconsole
d'Africa 303-304, 102 Alfius
Cae;
cilianus), duovir di Abtunga nel
II
sec., discepolo di Marcione,
fondatore della setta gnostica, 277 Apollinare (gr. Apollinarios, lat. Apol
303, accusatore del vescovo Felice,
linaris)
136-137
Laodicea ca. 360-390, teologo e poe
310-390, vescovo
di
ta, creatore dell'eresia apollinarista,
Ambrogio Oat. Ambrosius Aurelius), ca. 337-397, vescovo di Milano 374397, scrittore e teologo, Padre della
ca.
191,196 Apollonio (gr. Apollonios, lat. Apol
Chiesa, 9, 11, 13, 59, 78, 156-159,
lonius) di Tiana, ca. 40-ca. 120, au
161-162, 180, 186, 302, 308, 317-
tore di miracoli e filosofo, 99, 296-
318,341
297, 318 389
Storia della Chiesa nella tarda antichitd Bach, Johann Sebastian, compositore,
Arcadio Oat. Flavius Arcadius), ca.
118
377-408, imperatore d'Oriente 395-
Bacurio (gr. Bacurio, lat. Bacurius),
408, figlio di Teodosio il Grande, 58,
seconda meta del IV sec., coman
71, 318
dantc al servizio di Teodosio il
Ario (gr. Areios), 256-336, presbitero
Grande, 73
di Alessandria, fondarore dell'eresia
Barbara, santa, 324 Barsauma, m. nel 458, monaco, segua
ariana, 46, 58, 139, 142-144, 148, 162,
165-166, 169-174, 176,
180,
ce di Eutiche, 208, 211, 213-214
182-184, 208, 226, 304
Bartok, Bela, compositore, 118
Asclepio, dio greco dell'arte medica,
Basilio {lat. Basilius), legato di papa
299-300
Leone I a Calcedonia (451), 220
Astarte, massima dea della Siria e del
Basilio (gr. Basileios, lat. Basilius) det
la Fenicia, 323 Atanasio (gr. Athanasios), ca. 296-373,
to il Grande, ca. 327-379, vescovo
vescovo di Alessandria 328-373, esi
di Cesarea di Cappadocia 370-379,
liato cinque volte come difensore
scrittore e teologo, uno dei cosid
del Credo niceno: 335-337, 339-346,
detti
356-362, 362-363, 365-366, 16, 18,
185, 250-256, 259, 261-262, 341
179-180,
ca.
184, 186, 188,
459,
vescovo
di
Seleucia
in
lsauria ca. 440-ca. 459, 223, 225, 227
191-192, 226, 233, 302, 304, 308,
Basilisco (gr. Basiliskos), ca. 430-476,
341
imperatore d'Oriente 475-476, 163,
Agostino Oat. Aurelius Augustinus),
241
354-430, vescovo di Ippona 396430,
176,
Basilio (gr. Basileios, lat. Basilius), m.
46-49, 55-57, 78, 144-148, 150-152, 174-176,
Padri Cappadoci, 56,
scrittore
e
teologo
Beaucamp]., 340
Iatino,
Bellarmino (Bellarmin) Roberto, xvr
Padre della Chiesa, 66, 157, 256,
XVIL sec., cardinale, 322
311, 317-318
Aussenzio
(lat. Auxentius),
Bolland Jean (Johannes Bollandus),
m. nel
XVII sec., gesuita, 322
374, vescovo ariano di Milano 355-
Bonifacio (lat. Bonifacius), legato di
374, 13, 179
papa Leone I al concilio di Calce
Aureliano Oat. Lucius Domitius Aure lianus),
ca.
214-275,
donia nel 451, 220
imperatore
Brown P., 340-341
270-275, 131
Buterico (gr. Buterikos, lat. Butericus),
Aurelia Tetrompia, meta del VI sec., moglie di Aurelio Isacco di Aphro
goto,
dito in Egitto, 259
tum) di Teodosio il Grande, assassi
comandante
(magister
mili
nato nel 390 a Tessalonica, 156
Aurelio Ammonio, nel 304 letrore della chiesa di Chysis in Egitto, 107-108
Caifa, arciprete ebreo 18-36, 182
Aurelio Isacco, meta del VI sec., medi co del villaggio di Aphrodito in
Camelot T., 332
Egitto, 259
Candidiano (gr. Kandidianos), comes (comes domesticorum) di Teodosio
Aurelio Sereno, nel 304 scrivano a
II e suo rappresentante al concilio
Chysis in Egitto, 107
di Efeso (L) nel 431, 200-202 Baal, dio semita del sole, della tempe
Carpocratc (gr. Karpokrates), gnostico di Alessandria, 277
sta e del bel tempo, 291, 323 390
ll
sec.,
Indice delle persone, dei personaggi biblici e mitologici Catullo (lat. Gaius Valerius Catullus),
64, 70, 76, 91, 98-99, 116, 125-131,
ca. 84-ca. 54 a.C., poeta romano, 264
133-139, 142-151, 160, 162, 165,
Ceciliano (lat. Caecilianus), vescovo
166, 169, 178, 253, 257, 303-304,
di Cartagine dal 311/312, 45-46,
318, 323
Costantino
131-135, 231
Celestino {lat. Caelestinus), vescovo di Roma 422-432, 193-194, 199
337-340,
Celso (gr. Kelsos), II sec., filosofo pla tonico, autore di un trattato contro di
Aries
Arelatensis),
{lat. Flavius Claudius
figlio
di Costantino il
Grande, 46 Costanzo I Oat. Gaius Flavius Valerius
i cristiani, 288-289 Cesario
11
Constantinus), 316-340, imperatore
Constantius), ca. 250-306, impera Oat.
Caesarius
tore 293-306 (membro della 1 e
470-542, vescovo di
Aries (Arelate) 502-542, 243-250,
II
tetrarchia), 46, 97 Costanzo
Oat.
II
Flavius
Iulius
Constantius), 317-361, imperatore
256, 259, 261, 268
Chadwick H., 337-338
337-361, figlio
Cipriano (lat. Gaius Thascius Caeci
Grande, 11, 46-47, 49, 58, 70-71,
di Costantino
lianus Cyprianus), ca. 200-258, vc
74, 79-80, 138, 150-153,
scovo di Cartagine 249-258, scrittore
178, 303
il
160-162,
e teologo, Padre della Chiesa, 30, 44,
Cracco-Ruggini L., 342
92-93, 95-96, 104-105, 152, 316
Crisafio (gr. Chrysafios), meta del v
Cirillo (gr. Kyrillos, lat. Cyrillus), det
sec., eunuco, collaboratore (primi
to Alessandrino, m. 444, vescovo di
cerius sacri cubicult) di Teodosio
Alessandria 412-444, scrittore e teo
fautore di Eutiche, 204
logo, 55, 182, 187, 194-196, 198207,
215-216, 218, 220,
Culciano
n,
{lat. Clodius Culcianus),
prefetto d'Egitto 303 e 305-313, 95,
222-224,
107
227-228, 234-238
Cirillo (gr. Kyrillos, lat. Cyrillus), detto Gerosolimitano, ca. 313-386, vesco
Dagron G., 332
vo di Gerusalemme ca. 349, scrittore
Damaso (lat. Damasus), 305-384, ve scovo di Roma 366-384, XII, 11-13,
e predicatore, 57, 303, 317 Ciro (gr. Kyros), m . 642, vescovo di
42-43, 50-53, 61, 153,
Alessandria 631-642, 189
186,
217,
232, 238-239, 241
Ciro, santo, patrono del santuario di
Danielou J., 41, 329-330 David,
Menuthis presso Alessandria, 297
re
d'lsraele
1012/1011-
972/971 a.C., 159
Clemente Alessandrino (gr. Klemens Clemens
Decio {lat. Gaius Messius Quintus
Alexandrinus, in realta Titus Flavius
Decius Traianus), ca. 200-251, im
Aleksandrinos,
lat.
Clemens), ca. 140-ca. 215, filosofo
peratore 249-251, 64, 89-91, 105,
greco cristiano, capo della scuola ca
316
Delehaye H., 341
techetica di Alessandria, 53, 267 Cornelio {lat. Cornelius), vescovo di Costantino
I
Oat.
Derdziuk E., 104-105 Devos P., 341
Roma 251-253, 20 Flavius
Valerius
Diodoro (gr. Diodoros), ca. 330-393,
Constantinus) il Grande, 272/273-
vescovo di Tarso 378-393, teologo,
337, imperatore 306-337, figlio di
prese parte aile controversie cristo
Costanzo I, XII, 20, 44-45, 47, 57-58,
logiche, 191-192
391
Storia della Chiesa nella tarda antichita Diocleziano (lat. Gaius Aurelius Va lerius
Diocletianus),
ca.
storianus dell'imperatore Teodosio
244-ca.
II e suo rappresentante al sinodo di
313, imperatore 284-305, creatore
Efeso (11) nel 449, 209,211
della Tetrarchia, 26, 30, 55, 73, 86,
Epifanio (gr. Epifaneios), ca. 315-403,
91, 96-97, 99-102, 104, 106, 108,
vescovo di Salamina a Cipro 365-
124-125, 131,
139,
145,
295-296,
403, 174, 277
313
Epitteto (gr. Epiktetos, lat. Epictetus),
Dionigi (gr. Dionysius), vescovo di
ca. 50-ca. 138, filosofo stoico, 265
Alessandria 247-264, 27-28, 53, 95-
Ercole (gr. Herakles), mit., 124
96, 173, 176
Ermia Sozomeno, vedi Sozomeno
Dionigi (lat. Dionysius), vescovo di
Erode (gr. Herodes), prima meta del
Roma 259-268, 28, 176
11
Dionigi Areopagita, santo, 324
sec., figlio di Nicete di Smirne
(dal Martirio di Policarpo), 312
Dioscoro, m. 454, vescovo di Ales
Esiodo (gr. Hesiodos), ca. 700 a.C.,
sandria 444-451, condannato all'esi
poeta greco, 302
lio dal concilio di Calcedonia, 54-55,
Errore, mit., principe troiano, 265
206-214, 216, 218, 220-225, 227-228,
Eudossia (lat. Licinia Eudoxia), 422-
232-233, 235
462, figlia di Teodosio II, moglie
Domiziano (lat. Titus Flavius Domi
dell'imperatore Valeminiano Ill e
tianus), 51-96, imperatore 81-96,
poi di Petronio Massimo, 107
88
Eugenio (lat. Flavius Eugenius), m.
Domno, vescovo di Amiochia 441-
394, imperatore d'Occidente 392-
449, privato delle sue dignita dal si
394,
nodo di Efeso (u), 209, 214-216
Teodosio il Grande, 318
Donato, m. ca. 350/355, vescovo di
usurpatore
sconfitto
da
Eulogio (gr. Eulogios), tribuno (tribu
Casae Nigrae in Numidia, vescovo
nus et
di Cartagine 313-355, capo dei do
Teodosio ll e suo rappresentante a!
natisti, 133-135, 138, 160
notarius praetorianus)
di
sinodo di Efeso (II) nel 449, 209
Draguet R., 341
Eunomio (gr. Eunomios), ca. 335-394,
Duchesne L., 330-331, 339
vescovo di Cizico, fondatore della
Dumeige G., 331
setta degli anomei, 182, 226 Eusebio (gr. Eusebios), vescovo di
Edesio, meta del rv sec., apostolo
Ancira 440-dopo 45 1 , 214, 223, 232
d'Etiopia, 77-78
Eusebio (gr. Eusebios), 260-339/340,
Elena (gr. Helene),
sec., compagna
vescovo di Cesarea di Palestina,
di Simon Mago, considerata l'incar
313-339/340, difensore di Ario, au
I
nazione dell'Ennoia (prima idea),
tore della Storia ecclesiastica, 1, 27,
277
30, 54, 57, 92-93, 96, 98-104, 129,
Elena Oat. Flavia Iulia Helena), m. 327,
madre
di
Costantino
139, 142-144, 146, 148, 150, 174,
il
Grande, 57, 128, 303
182,277, 297, 302, 312-313
Eusebio (gr. Eusebios), vescovo di
Elia, IX sec. a.C., profeta bib!., 50,
Dorilaio dal 448, 205, 211, 213-214,
291-292, 323, 326
223-225
Eliseo, seconda meta del IX sec. a.C.,
Eusebio (gr. Eusebios), ca. 295-359,
profeta bibl., discepolo di Elia, 323
vescovo di Emesa 440-prima del
Elpidio (gr. Helpidios), comes consi392
448, 179
Indice delle persone, dei personaggi biblici e mitologici Eusebio (gr. Eusebios), vescovo di
433, storico della Chiesa di Borisso
Nicomedia ca. 318-338, precedente mente vescovo di Berito, poi vesco
in Cappadocia, 180
Filostrato
vo di Costantinopoli 338-341, difen
(gr.
Filostratos,
lat.
Philostratus), ca. 178-ca. 248, sofi
sore di Ario, 16, 58, 79, 129, 139,
sta della cerchia dell'imperatrice
142-144, 178, 304
Giulia Domna, autore della Vita di
Eustazio (gr. Eustathios), meta del v sec., vescovo di Berito, 223, 225
Apollonio di Tiana, 296 Flaviano (gr. Flabianos, lat. Flavia
Eutiche, ca. 378-ca. 454, monaco di
nus), vescovo di Antiochia 381-404
Costantinopoli, uno dei creatori del
dopo Melizio, contrario a Paolino;
monofisismo, condannato a Calce donia nel 451, 203-207, 209, 211-
scisma antiocheno, 155 Flaviano (gr. Flabianos, lat. Flavianus) vescovo di Costantinopoli 446-449,
213, 218, 220, 225-228, 234, 237
Eva, bibl., 271-272 Evagrio
(gr. Euagrios),
deposto dal sinodo di Efeso (II), detto
Sco
206,
lastico, ca. 535-ca. 594, autore di
208-209,
211-212,
214-216,
218, 220-221, 223
Flavio Severo (lat. Flavius Valerius
una Storza eccleszastica, 182-183
Severus), ca. 250-307, imperatore 305-307 (membro della II tetrachia),
Fabiano (lat. Fabianus), vescovo di Roma 236-250, 302
97
Felice (lat. Felix), III-IV sec., vescovo di
Flusin B., 342
Abtunga, accusato di traditio, 132,
Foca (gr. Fokas, lat. Phocas), san, 318
134, 136-137
Fotino (gr. Foteinos, lat. Photinus), ca. 310-376, vescovo di Sirmio 343-
Felice Oat. Felix), m. nel 365, vescovo di Roma 355-358 (365) durante l'esi
351, condannato per monarchiane
lio del vescovo Liberio, 11, 49
simo, 179
Felice (lat. Felix), vescovo di Roma
Frend W.H.C., 330 Fritigil, seconda meta del IV sec., prin
483-492, 237
cipessa marcomanna convertita a!
Felice (lat. Felix), martire venerate a
cristianesimo, 78
Milano, 308-309 Felicita (lat. Felicita), martire cartagi
Frontone, san, 324 Frumenzio, meta del IV sec., apostolo
nese nel 303, 296 Festugiere A.-J., 337
d'Etiopia, vescovo di Aksum in
Filea, vescovo di Tmuis, martire nel
Etiopia, 77-78
306/307, 95, 295 Filippo (gr. Filippos, lat. Philippus),
Gaina, m. nel 400, comandante (magi ster utriusque militiae) romano di
apostolo, 175
origine gota, capo della rivolta in
Filippo (gr. Filippos, lat. Philippus),
Oriente, 82
uno dei "sette" aiutanti (diaconi) de
Galeno (gr. Galenos, lat. Claudius
gli apostoli, 275
Galenus), 129-199, uno dei pili fa
Filosseno (gr. Ksenajos), vescovo di
mosi medici dell'antichita, 300
Mabbug 485-518/519,236 sec., profetessa della cer
Galerio (lat. Gaius Galerius Valerius
chia di Apelle, discepolo di Mar
Maximianus), ca. 250-311, impera
Filomena,
11
tore 293-311 (membro della
cione, 277 Filostorgio (gr. Filostorgios), ca. 368393
tetrachia), 91, 97-99, 104
I
e
II
Storia della Chiesa nella tarda antichita Licinius
Giovanni (gr. Ioannes), presbitero di
Egnatius Gallienus), 218-268, impe
Alessandria, segretario (primicerius
Gallieno
{lat.
Publius
ratore 253-268, figlio di Valeriano,
notariorum) al sinodo di Efeso (II)
91
nel 449, 210, 212
Galilei, Galilee, 1564-1642, fisico e
Giovanni (gr. Ioannes), seconda meta del VII sec., presbitero di Nessana,
astronomo, 93 Galla Placidia Oat. Galla Placidia), ca. 390-450,
figlia
di
Teodosio
il
260
Giovanni
Crisostomo
(gr.
loannes
Grande, madre eli Valentiniano 111,
Chrysostomos), ca. 350-407, vesco
218
vo di Costaminopoli 397-404, ora tore e scrittore, 55, 81-82,162, 186,
Gaudemet]., 330-331 Gaudenzio
(gr.
Gaudenzio,
Gaudentius), vescovo
di
lat.
Naisso
194-195,199,262,284,287,318
Giovanni
Gelasio {lat. Gelasius), vescovo di
Giovanni
Mosco
Moschos), ca.
Roma 492-496, 237-238, 241 Gelasio (gr. Gelasios) di Cizico, v sec., storico della Chiesa, 45
(gr.
Ioannes
(gr.
Ioannes
550-619,
agiografo
greco, 189 Giovanni Paolo II, papa, 52,319
Geremia, ca. 650-dopo 586, prof. bib!.,
Giovanni, san, patrono del santuario di Menuthis presso Alessandria, 297
50
Gesu
Battista
Baptistes), bib!., 50,281
fino al342/343, 48
Cristo
Christos
=
(gr.
Iesou
Christos;
Giovanni (gr. loannes) di Licopoli, m. 394, monaco della Tebaide,318
Unto, Messia), 35, 50,
82, 99, 111, 171, 173-175, 182, 190-
Gioviano (lat. Flavius Iovianus), 331364, imperatore 363-364, 283
191, 197, 205n., 224, 271, 281, 303,
Giove (lat. Iuppiter), massima divinita
305-307,309, 322-323
Girolamo {lat. Sophronius Eusebius Hieronymus), ca. 340-420, scrittore
romana, 57, 124, 248 Giovenale
Iatino, redattore della Vulgata, Pa
Iunius
Giovenale (gr. Iuvcnalis), m. 458, ve
nerate a Milano, 308
scovo
Giona, padre dell' apostolo Pietro, 50
di
Gerusalemme
422-458,
58n., 199, 209-210, 214-215, 221,
Giorgio, san, 301,306,324
223,225,228,233, 235
Giovanni (gr. loannes, lat. Johannes), apostolo, autore del quarto Van
Giuda, apostolo, 161 Giuliano
gelo, 167,171,174-175,311
I' Apostata
Claudius
Giovanni (gr. Ioannes), prima meta
Oat.
Iulianus),
imperatore
del V sec., vescovo di Antiochia e
Decimus
no, 85
dre della Chiesa, 12,34,256,288 Gervasio (lat. Gervasius), martire ve-
428-441/442, 199
(lat.
Iuvenalis), ca. 60-130, poeta roma
361-363,
Flavius
331/332-363, nipote
di
Costantino il Grande, 50, 99, 153,
n.-202,204
182,257, 305
Giovanni (gr. Ioannes), comes (comes
Giulio Oat. Iulius), vescovo di Poz
sacrarum largitionum) di Teodosio II
zuoli, legato di papa Leone I a! si
nodo di Efeso (II) nel 449, 209-210
e suo rappresentante al concilio di
Efeso (I) nel431, 202
Giulio {lat. Julius), vescovo di Roma
Giovanni (gr. Ioannes), meta del VI
sec., padre di Aurelia Tetrompia di
337-352,46-49 Giuseppe di Nazareth, marito di Ma
Aphrodite in Egitto, 259
ria, madre di Gesu, 306,324 394
Jndice delle persone, dei personaggi biblici e mitologici Giustina Oat. Justina Flavia), m. 338, madre di Valenriniano II, ariana, 153 Giustiniano
1
il Grande Oat. Flavius
Petrus Sabbatius Iustinianus), ca. 482-565, imperatore d'Oriente 527565, nipote di Giustino I, 2, 24, 37-
ca. 100-ca. 165, scrittore cristiano Palestina,
228
lgnazio
(gr.
lgnatios),
vescovo
di
Antiochia ca. 70-107/110, martiriz zato aRoma, 104-105 Ilario (lat. Hilarius), m. 468, legato di papa Leone I al sinodo di Efeso (II)
38, 71, 189,253, 259
Giustino (gr. Ioustinos, lat. Iustinus), della
Iba, vescovo di Edessa, 435-457,215,
martirizzato
a
nel 449, vescovo di Roma 461-468, 209-210, 213,215
Ilario
(lat.
Hilarius)
di
Poitiers
(Pictavium), ca. 315-367, vescovo di
Roma, 67-68 Oat. Iustinus), 450-527, im
Poitiers ca. 350-367, scrittore Iati
peratore d'Oriente 518-527, 238-
no, difensore del Credo di Nicea
Giustino
I
contro gli ariani, 150, 161-162, 174
239
Giustino
II
(lat. lustinus), ca. 520-578,
Imerio
Oat.
Himerius,
imperatore d'Oriente 565-578, ni
Comerius), IV
pote di Giustiniano il Grande, 259
Tarragona, 22
Graziano 359-383,
Oat.
Flavius
imperatore
Gratianus), d'Occidente
375-383, figlio di Valentiniano
1,
Eumerius,
sec., vescovo
di
Ingenzio Oat. lngenrius) inizi IV sec., coinvolto nella questione di Felice, vescovo di Abtunga, 137 Innocenzo I {lat. Innocentius), vesco
153
Gregorio I Oat. Gregorius) Magno, ca. 540-604, vescovo di Roma 590-604,
vo diRoma 402-417,239 lpazia (gr. Hypathia), m. 415, filosofa di Alessandria famosa per la sua
36
Gregorio VII Oat. Gregorius), papa
bellezza e intelligenza, assassinata dai cristiani, 187
1073-1085, 42 Gregorio (gr. Gregorios) di Nazianzo,
Ippocrate (gr. Hippokrates) di Cos,
ca. 329-390, vescovo di Sasima 372-
ca. 460-ca. 367 a.C., massimo medi
390, vescovo di Costantinopoli 379-
co dell'anrichita, 300
381, scrittore e teologo, uno dei co siddetti Padri Cappadoci,
XII,
56-
Gregorio (gr. Gregorios) di Nissa, 33di
Nissa
scrittore greco, cristiano, 176 Ireneo (gr. Eirenaios, lat. Irenaeus),
57, 155, 174, 176, 185, 191
394, vescovo
Ippolito (gr. Hippolytos), ca. 170-23 5,
371-394,
scrittore e teologo, uno dei cosid detti Padri Cappadoci, fratello di Basilio di Cesarea, 56, 174, 176,
ca. 140-ca. 202, vescovo di Lione (Lugdunum), 176 Isaia, VIII sec. a.C., profeta bibl., 8182
Izebel, IX sec. a.C., moglie di Achab, re d'Israele, 291, 323
180, 191
Guarducci M., 52
lsidoro (gr. lsidoros) di Pelusio, ca. 360-ca. 440, epistolografo greco,
Hanson R.P.C., 335, 337
36,194-195, 203
Harnack A., 332 Hefele K.J., 331-332
Koyre A., 93
Henskens, Godefroid Oat. Hensche
Kopres, III/IV sec., cnsuano di Os
nius),
m.
1681, gesuita, 322
sirinco in Egitto, 106, 108 Kung H., 218
Storia della Chiesa nella tarda antichitii
Kyra, madre di Aurelio lsacco, di
Macario, vescovo di Gerusalemme,
Aphrodite in Egitto, 259
ca. 313-334, 127 Macario (gr. Makarios) Egiziano, det
Lanata G., 333
to il Grande, ca. 300-ca. 390, mona
Leclercq H., 331-332
co egizio, 309
Leone
l
Oat. Leo), 401-474, impera
Macedonia, m. ca. 374, vescovo di
tore d'Oriente 457-474, 35, 71,
Costantinopoli 342-346 e 350-360,
163
avversario del vescovo Paolo, 58, 182
Leone
l
Oat. Leo) Magno, vescovo di
Roma 440-461,
XII,
Marcella, 325/335-410, cristiana di aristocratica famiglia romana, 288
41, 43, 53, 55,
121, 163, 193, 204-205, 207-208, 210, 215-218, 220-223, 225,
Marcellina, II sec., gnostica della cer chia
228,
di
Carpocrate,
operante
a
Roma, 277
232-234, 237, 239, 241-242
Marcellino (lat. Marcellinus), vescovo
Leone XIII, papa 1878-1903, 325
di Roma 296-304, accusato di apo
Libanio, 314-393, retore pagano greco
stasia, 12, 134
di Antiochia, 210 Liberio Oat. Liberius), vescovo di Ro
Marcello (gr. Markellos), m. ca. 374,
ma 352-366, esiliato in Tracia negli
vescovo di Ancira ca. 314-335/336,
anni 355-358, 11-12, 49-50
teologo di tendenze sabelliane, 152,
Licinio
(lat.
Valerius
Licinianus
Licinius), ca. 265-325, imperatore
175
Marciano (lat. Marcianus), 392-457,
308-324, cognate e rivale di Co
imperatore d'Oriente 450-457, 231-
stantino il Grande, 91, 98-99, 132,
232, 234-235
Marcione (gr. Markion), ca. 85-ca.
139, 143, 165
Luca (gr. Lukas, lat. Lucas), autore
160, eresiarca di Sinope nel Ponto,
del terzo Vangelo, 324
277
Lucenzio Oat. Lucentius), vescovo, le gato di papa Leone
I
Marco (gr. Markos, lat. Marcus), auto
al concilio di
re del secondo Vangelo, 51, 54, 171,
Calcedonia nel451, 220-222, 231
175, 207
Luciano (gr. Lukianos), 250-312, pre
Marco Aurelio Oat. Marcus Aelius
sbitero di Antiochia, teologo e mar
Aurelius Verus), 121-180, imperato
tire, 98
re
Luciano (gr. Lukianos, lat. Lucianus) ca. 120-190, scrittore e retore greco di Samosata, 117
161-180, 87, 89, 267-268
Maria, madre di Gesu, 196, 226, 238, 281, 306
Maria Maddalena, bib!., 277, 324
Lucifero Oat. Lucifer), m. 371, vesco vo di Cagliari (Calares) in Sardegna
Marrou H., 41, 329, 332 Massenzio
(lat.
Marcus
Aurelius
prima del 353-371, esiliato in Pale
Valerius Maxentius), ca. 283-312,
stina negli anni 355-362, 150-151,
imperatore
161-162, 185
Costantino
306-312, il
Grande,
rivale
di
sconfitto
presso il Ponte Milvio, 98-99, 133 Magnenzio
Oat.
Flavius
Magnus
Massimiano (gr. Maksimianos), vesco
Magnentius), ca. 300-353, impera tore 350-353, capo della ribellione
vo di Costantinopoli 431-434, 203 Massimiano
Oat.
Marcus
Aurelius
contro Costante, sconfitto da Co
Valerius Maximianus), ca. 250-310,
stanzo ll, 49, 304
imperatore 285-305, 306-308, 310 396
lndice delle persone, dei personaggi biblici e mitologici
(membro della l tetrarchia), suocero
Nabore, martire venerato a Milano,
di Costantino il Grande, 97, 124 Massimilla (lat. Maximilla),
11
308-309
sec.,
Nerone (lat. Nero Claudius Caesar
profetessa della cerchia di Mon
Drusus Germanicus), 37-68, impe
tano, 277
ratore 54-68, 51, 84, 86
Massimino Daia Oat. Gaius Valerius
Nestorio (gr. Nestorios), 383-ca. 451,
Galerius Maximinus, detto Daia),
vescovo di Costantinopoli 428-431,
ca. 270-313,
imperatore 305-313
condannato come eresiarca dal con
(membro della II tetrarchia), 97-
cilio di Efeso (!) nel 431, 176, 182,
100, 104
184, 187, 192-196, 198-205, 208,
Massimo, vescovo di Costantinopoli
213, 217-218, 222, 224, 226, 228,
380-381, protetto da Pietro, vesco
234-235, 237-238
vo di Alessandria, contro Gregorio
Nettario, vescovo di Costantinopoli 381-397,9, 59-60
di Nazianzo e Demofilo, 59 Matteo
(gr.
Matthaios,
lat.
Mat
Nicete, prima meta del If sec., padre
thaeus), apostolo, autore del primo
di Erode di Smirne, fratello di Alee
Vangelo, 12, 50-52, 239, 251, 256 Melezio,
ca.
310-381,
vescovo
(dal Martirto di Policarpo), 312 di
Nicomaco Flaviano Oat. Virius Nicho
Sebaste 358 e di Beroa 359-360 (?),
machus Flavianus), ca. 334-394, con
vescovo di Antiochia 360-381; nel
sole 394, rappresentante dell'aristo crazia pagana romana, 157
362 Lucifero di Calares consacro contro di lui Paolino, dando inizio
Nino (Nina), secondo Ia tradizione schiava cristiana grazie alia quale gli
allo scisma antiocheno, 56, 185-186 Melizio,
m.
ca.
325,
vescovo
iberi caucasici, nel 328 ca., accetta
di
rono il battesimo, 77
Licopoli, iniziatore dello scisma me
Nock A.D., 332-333
liziano in Egitto, 56, 145, 152, 155 Memnone, vescovo di Efeso ca. 428-
Nonna, seconda meta del Vll sec., mo glie
440, 199, 201-202 Mensurio (lat. Mensurius),
m.
scovo di Olympos in Licia, filosofo,
del
presbitero
Giovanni
di
Nessana, 260
311, ve
Novaziano (lat. Novatianus), meta del Ill sec., capo dei rigoristi romani e
102, 131-132
creatore dello scisma novaziano, 30
Metrodoro, prima meta del tv sec., fi losofo di Tiro, 77
Olimpia (gr. Olympias), rv/v sec., dia
Michele, bib!., arcangclo, 306
conessa arnica di Giovanni Criso
Milziade Oat. Melchiades), vescovo di
stomo, 284, 287
Roma 311- 31 4, 44, 133
Omero (gr. Homeros), poeta greco,
Milosz, Czeslaw, poeta e saggista, 72 Mose, bib!., 82, 118, 239, 251, 291 Montano,
ll
sec.,
eresiarca
265
della
Onorio Oat. Flavius Honorius), 384423, imperatore d'Occidente 395-
Frigia, 7, 277 Mosco, vedi Giovanni Mosco
423, figlio di Teodosio il Grande,
Murphy F.X., 331
71, 258
Musonio Rufo (lat. Gaius Musonius
Orazio (lat. Quintus Horatius Flac cus), 65-8 a.C., poeta Iatino, 118
Rufus), ca. 20/30-ca. 81, filosofo stoico, 264-268
Origene (gr. Origenes), ca. 185-ca. 254, filosofo e teologo cristiano di 397
. Storia della Chiesa nella tarda antichitd Alessandria, 30, 53, 57, 107, 173,
concilio di Calcedonia nel 451, 220-
186, 224-225, 276, 288-289, 305
221, 225-226, 231
Peeters P., 341
Ormisda, m. 523, vescovo di Roma
Pelagia, santa, 324
514-523, 238-239
Peregrina Oat. Peregrinus Proteus),
Ortiz de Urbina 1., 331
m. 165, filosofo cinico, temporanea
Osio {lat. Hosius, Ossius), ca. 257-
mente cristiano, 117
357, vescovo di Cordova, 45, 48,
Perpetua, 181-203, martire di Carta
130, 133, 139,142, 160-162, 165
gine,296
Ottaviano Augusto {lat. Gaius lulius
Pietro
Caesar Octavianus), 63 a.C.-14 d.C.,
(Simone,
gr.
Petros,
lat.
Petrus),apostolo, 34, 43, 48-52, 56,
imperatore 27 a.C.-14 d.C.,253
61,
Ovidio Oat. Publius Ovidius Naso),
128, 153, 164, 207, 216, 225,
239, 240-241, 275, 297
43 a.C.-17 d.C.,poeta romano, 264
Pietro (gr. Petros), m. 311, vescovo di Alessandria 300-311, martire, 98,
Panfilo, m. 309/310, vescovo di Cesa
108-109
rea palestinese, maestro di Eusebio
Pietro (gr. Petros), m. 381, vescovo di
di Cesarea 72,57
Alessandria 373-381, esiliato negli
Pansofia, meta del v sec., cortigiana
anni 373-378 a causa della sua fede
alessandrina, 225
nel Credo di Nicea, 131, 145-146
Paolino (gr. Paulinos)), m. 388, vesco
Pietro (gr. Petros) Follone, vescovo di
vo di Antiochia 362-388, consacrato
Antiochia 470 e 485-489, 236
contro Melezio da Lucifero di Cala
Pietri Ch., 332
res: da qui lo scisma amiocheno, 56,
Pilato, vedi Ponzio Pilato
155, 185-186
Pindaro (gr. Pindaros),ca. 518-ca. 438
Paolino {lat. Paulinus), m. ca. 422, se
d.C.,poeta greco, 302
gretario e biografo di Ambrogio, ve
Platone (gr. Plato), 427-347 a.C., filo
scovo di Milano, 13, 78, 156-157,302
sofo greco, 318
Paolo (gr. Paulos, lat. Paulus), aposto
Plauto Oat. Titus Maccius Plautus),
lo, 16, 43, 51, 56, 66, 81-82, 166-
ca. 250-184 a.C., commediografo
167, 216, 255, 262, 272-277, 281,
romano,85
285, 287-288, 297
Paolo Oat. Paulus), vescovo di Tivoli,
Plinio il Giovane (lat. Gaius Plinius Caecilius Secundus "Minor"), ca.
nel 366 consacro vescovo di Roma
62-ca. 113, scrittore romano, 85,
Ursino contro Damaso, 11
88-90, 285
Paolo VI, papa 1963-1978,41,331
Plutarco (gr. Plutarchos) di Cheronea,
Paolo (gr. Paulos) di Samosata, vesco
prima 50-ca. 125, filosofo e bio
vo di Antiochia 260-272, condannato dai sinodi di Antiochia (264, 265,
grafo greco, 264-268 Policarpo (gr. Polykarpos), vescovo di
268) per monarchianesimo, 30 , 58,
Smirne ca. 96-156 (?), martire, 31 1-
131,193
313, 315-316
Papebroek, Daniel Oat. Papebrochius,
Ponzio Pilato (lat. Pontius Pilatus),
da cui Papebroch), m. 1715, gesuita,
procuratore della Giudea 26-37, 84,
323
303
Pascasino Oat. Paschasinus), vescovo di Lilibeo, legato di papa Leone l al
Popieluszko,Jerzy, sacerdote, 319 Porfirio (gr. Porfyrios,lat. Porphyrius),
398
lndice delle persone, dei personaggi biblici e mitologici
ca. 232-ca. 303, scrittore e filosofo
Severino (lat. Severinus), m. 482, ere
greco, discepolo di Platone,99, 143
mira orientale, missionario a Norico,
Proclo (gr. Prok.los, lat. Proclus), pro
309
console dell'Asia nel 449,213
Severo (gr. Seueros), m. 538, vescovo
Protasio (lat. Protasius), martire vene
monofisita di Antiochia 512-518,37
rato a Milano,308
Severo Oat. Severus), il cieco della
Proterio, vescovo di Alessandria 451-
Vita di Ambrogio, 309
457,235
Sherwood P., 331
Priscilla Oat. Priscilla), l! sec., profe
Sisto Ill Oat. Sixtus), vescovo di Roma
tessa della cerchia di Montano,
432-440, 203 Silvestro Oat. Silvester), vescovo di
277
Pulcheria, 399-453, figlia di Arcadio,
Roma 314-335,44-46, 324
moglie di Marciano, 214, 218, 220,
Silvino Oat. Silvinus), il morto nella
232
Vita di Severino, 309
Simmaco, vescovo di Roma 498-514, Quintilla Oat. Quintilla), ll sec., profe
241
tessa della cerchia di Montano, 277
Simplicio Oat. Simplicius), vescovo di Roma 468-483, 163, 239
Rahner H., 335-336
Sinesio (gr. Synesios) di Cirene, ca.
Reitzenstein R., 333
370-ca. 415, filosofo neoplatonico e
Rosweyde, Heribert, 1569-1629, ge
poeta greco, 9
suita,322, 326
Siricio (lat. Syricius), vescovo di Roma
Rufino (lat. Flavius Rufinus), m. 395, magister
o/ficiorum
392, prefetto
388, console
pretorio
d'Oriente
392-395, 158 Rufino
(lat.
Tyrranius
384-399, 22-23, 239 Simon Mago (gr. Simeon Magos, lat. Simon Magus), bib!., 34, 277 Simonetti M., 335-337
Rufinus) di
Socrate
Aquileia, 345-410/411, scrittore Iati
Scolastico
(gr.
Sokrates
Scholastikos), ca. 380-ca. 450, stori
no cristiano, autore di una Storia del
co greco, autore di una Storia eccle
la Chiesa, 75, 77-78, 156, 302-305
siastica, 11, 146, 175-176, 183, 186187, 304
Sabellio (gr. Sabellios) detto il Libico, 11-111
Sofocle, 496-406 a.C., tragediografo
sec., eresiarca libico, 170
greco,265
Secondo (gr. Sekundos), prima meta
Sofronio, vescovo di Gerusalemme
del IV sec., vescovo di Tolemaide in Libia, fautore di Ario, esiliato, 142
634-638, 297-300 Solone, ca. 640/630-559 a.C., legisla
Secondo, inizi del IV sec., vescovo di Tigisi, awersario di Ceciliano ve
tore e poeta ateniese, 265 Sossiano !erode, Ill/tv sec., neoplato
scovo di Cartagine, 102, 133
nico, autore di un trattato contro i
Seleucidi, dinastia ellenistica, 56
cristiani, 99, 296
Serapione, m. ca. 362, vescovo di
Sozomeno (gr. Hermias Sozomenos),
Tmuis 339-359, esiliato per aver fa
m. 450, storico greco, autore eli una
vorito Atanasio,305
Storta ecclesiastica, 47,
Settimio Severo Oat. Lucius Septimius
146,
156-
157, 186, 304
Severus Pertinax), 145-211, impera
Ste Croix G.E.M. de, 73, 334
tore 193-211,58, 302
Stefano 399
(gr.
Stefanos),
vescovo
di
Storia della Chiesa nella tarda antichitd Efeso ca. 446-451, deposto dalla ca
Teognide (gr. Theognis), m. ca. 342,
rica dal concilio di Calcedonia, 210,
vescovo di Nicea, fautore di Ario,
213
negli anni 325-328 esiliato in Gallia,
Svetonio
(lat.
Gaius
Suetonius
Tranquillus), ca. 69-dopo 122 (140?),
143-144 Teone (gr. Theonas), prima meta del IV sec., vescovo di Marmarica in
storico romano, 85-86
Libia, fautore di Ario, esiliato, 142 Tacito (lat. Publius Cornelius Tacitus),
Tertulliano
(lat.
Quintus
Septimus
ca. 55-ca. 120, storico romano, 84-
Florens Tertullianus), ca. 155-ca. 220,
85, 89-90, 118
scrittore Iatino cristiano, 68-70, 85-
Talasio (gr. Thalassios), vescovo di
86, 96, 107, 176, 255-256, 277, 283
Cesarea di Cappadocia 439-dopo
Thelamon F., 344
451, precedentemente alto funzio
Tiberio (lat. Tiberius Claudius Nero,
nario imperiale (ca. 430 comes re
dopo l'adozione da parte di Ottavia
rum privatarum, prima del 439.pre
no Augusto Tiberius Iulius Caesar), 42 a.C.-37 d.C., imperatore 14-37,
fetto pretoria dell'illirico), 232 Teio,
il
malato della
Vita
84
di San
Timoteo
Severino, 309
(gr.
Tirnotheos,
lat.
Timotheus), destinatario di due let
Teodoreto (gr. Theodoretos), 386 o
tere dell'apostolo Paolo, 273
393-ca. 446, vescovo di Cirro 423449 e 451-ca. 466, scrittore e teologo
Tirnoreo (gr. Timotheos), vescovo di
di Antiochia, difensore di Nestorio,
Alessandria 379-385, 59, 155, 235, 255
146, 157-159, 193, 199, 205, 207-
Tirnoteo
208, 213, 215-219, 222, 228, 241 ziano,
accusatore di Dioscoro
460
Mopsuestia
392-428,
"Eluro"
e
475-477, capo della fazione
anticalcedonia in Egitto, 163, 237
Teodoro (gr. Theodoros), ca. 350-428, di
Timotheos)
nola"), vescovo di Alessandria 457-
a
Calcedonia nel 451, 224 vescovo
(gr.
("Gatto" o pili proriamente "Don
Teodoro (gr. Theodoros), diacono egi
Tiro (gr. Titos, lat. Titus), destinatario della
scrittore greco cristiano, 191-192 Teodoro, san, 324
lettera dell'apostolo Paolo,
262, 273
Teodosio I (lat. Flavius Theodosius) il
Tiro (lat. Titus Flavius Vespasianus), 39-81, irnperatore 79-81, 57
Grande, 347-395, imperatore 379395, 2, 59, 61, 70-72, 122, 153-159,
Traiano (lat. Marcus Ulpius Traianus), 53-117, imperatore 98-117, 88-89
162, 178-179, 318 Teodosio II (lat. Flavius Theodosius),
Tribigildo (lat. Tribigildus), capo della
401-450, imperatore d'Oriente 408-
rivolta dei goti nel 399 in Asia
450, figlio di Arcadio, 198, 202-204,
Minore, 82
207-210, 214, 216, 218, 220, 233, Ulfila (gr. Ulfilas), ca. 311-383 o 381,
258 Teofilo
(gr.
Theofilos), vescovo di
vescovo dei goti ca. 341-383 (381),
Alessandria 385-412, 55, 186, 194-
ariano, 79, 178 Unerico (lat. Huneric), re dei vandali
195, 202, 206 Teofilo (gr. Theofilos) Indio, IV sec., apostolo
degli
hymiariti
dello
in Mrica 477-484, ariano, 21 Ursacio
Yemen, 79
(lat. Ursacius), vescovo di
Singiduno ca. 335-371, ariano, 179 400
lndice delle persone, dei personaggi biblici e mitologici Orsino Oat. Ursinus), nel366 eletto ve scovo di Roma contro Damaso, 11-
Venere Oat. Venus), dea romana dell'a more,JOJ Veyne P., 340
13,50
Villio {lat. Lucius villius Annalis), tri Valente (lat. Flavius Valens), ca. 328-
buno del popolo nel 180 a.C. e auto
378, imperatore d'Oriente 364-378,
re di una Iegge regolante il corso del la carriera politica, 23
50, 58, 153
Valente (lat. Valens), vescovo di Mursa
Vincenzo Oat. Vincentius), presbitero,
prima del 335-dopo il 367, ariano,
legato di papa Silvestro al concilio di
179
Nicea nel325, 45
Valentiniano
Valen
Vito Oat. Vito), presbitero, legato di
tinianus),321-375, imperatore d'Oc
papa Silvestro al concilio di Nicea
I
Oat.
Flavius
cidente364-375, 50, 153 Valentiniano
II
Oat.
nel325,45
Flavius
Valen
Vivenzio Oat. Viventius), prefetto di
tinianus), 371-392, imperatore d'Oc
Roma nel366, protettore di Damaso
cidente 375-392,
contro Ursino, 12
figlio di Valen
tiniano I, 153 Valentiniano Ill Oat. Flavius Placidus
Walsh J.J., 334
Valentinianus), 419-455, imperatore d'Occidente
425-455,
figlio
di
Zaccaria (gr. Zacharias), m. dopo il
Costanzo 11 e di Galla Placidia, 53,
536, vescovo di Mitilene, storico mo
218,220
nofisita della Chiesa, 234
Valeriano
Licinius
Zenone Oat. Flavius Zeno, piu propria
Valerianus), ca. 193-dopo il 260, im
Oat.
Publius
mente Tarasi.kodissos), ca. 430-491,
peratore 253- 260, 30, 91, 95, 102,
dell'Isauria, imperatore 474-491, 237-238
105, 316
401
d'Oriente
Wipszycka, Ewa.
Storia della Chiesa nella tarda anrichita I Ewa Wipszycka. - [Milano] : Bruno Mondadori, [2000]. 416 p., 32 b/n di tav.: ill.; 21 em.- (Sintesi). Tit. orig.: Kofcio/ w fwiecie pdinego antyku ISBN 88-424-9536-0: L. 50.000.
1. Chiesa- Storia- Sec. 3.-5. 270.1 Scheda catalogra/ica a cura di CAeB, Milano.
Ristampa 0 12 345
Stampato per conro della casa cditricc presso Grafica 2 emme (Milano)
Anno 2000 01 02 03
Questo volume affronta in modo nuovo le questioni principali della storia della cristianità dal m al v secolo. '
E un libro scritto contro la visione apologetica della storia delia Chiesa nel-
l'antichità, dal punto di vista di una grande studiosa che apprezza troppo il patrimonio di tale istituzione per credere che la sua storia abbia bisogno di abbellimenti agiografici. Vautrice presenta il formarsi della Chiesa e della sua dottrina come un pro cesso complicato, drammatico, impossibile da costringere in giudizi.
Ewa Wipszycka insegna Storia antica all'Università di Varsavia. Si è specia lizzata in storia deU'Egitto da AJessandro Magno agli arabi e in storia della Chiesa. Ha pubblicato numerosi articoli scientifici e divulgativi ed è autrice, tra l'altro, del best seller l'ademecum dello storico della Grecia e della Roma antiche (PWN, Warszawa 1979) e di L'antichità vi.sta 1:n modo polemico (\VP, Warszawa 1994).
ISBN 88-424-9536·0
LiTe 50.000 € 25,82
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