Ugo Mattei
BEMCOMUM Unmanifesto
@wwle'e
O 2Of 1, Gius. Iaterza & Figli
Introd,uzione
Prima edizione 2011
www.laterza.it Questo libro è stampato su c.rrta amica delle foreste, certificata dal Forest Stewardship Council
Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari
Finito di stampare nel luglio 2011
SEDIT - Bari (Italy) pet conto della Gius. Iaterza & Figli Spa ISBN 978-88-420-97 t7 -4
Quando lo Stato prwatizzauna ferrovia, una linea aerea o la sanità, o cerca di prwatizzare il servizio idrico integrato (cioè l'acqua potabile) o l'universirà, esso espropria la comunità (ogni suo singolo membro pro quota) dei suoi beni comuni (proprietà comune), in modo esattamente analogo e speculare rispetto a ciò che succede quando si espropria una proprietà privata per costruire una strada o un'altra opera pubblica. Nel primo caso, infatti, si tratta di rasferimento immediato o graduale di un bene o di un servizio dal settore pubblico a quello privato (privatizzaaone/hberalizzazione), mentre nel secondo caso il medesimo trasferimento (di una proprietà o di un'attività d'impresa) è dal privato al pubblico. In un processo dt pivattzzazione il governo non uende quanto é suo, ma quanto appartiene pro quota a ciascun componente della comunità, così come quando espropria un campo per costruire un'autostrad a esso acq uis ta (coattivamente) una proprietà che non è sua. Ciò significa che ogni processo dr pivatizzazione deciso ddl'autorità politica attraverso il governo p ro terupore espropria ciascun cittadino (e non solo i cittadini, come vedremo) della sua quota parte del bene comune espropriato, proprio .ome avtiene nel caso dell'espropriazionedi un bene privato. Tuttavia, mentre la tradizione costituzionale liberale tutela il proprietario privato nei confronti dell'autorità pubblica (Stato) attraverso
I'istituto dell'indennizzo pet espropriazione (e pure della c.d. riseraa di legge), nessuna tutela giuridica (men che meno costituzionale) esiste nei confronti dello Stato che ffasferisce al privato beni della collettività (beni comuni) che non siano detenuti in proprietà pivata. Di ciò manca completamente la consapevolezza non solo a livello politico, visto che la pivatizzazione è considerata un'opzione assolutamente libera e percorribile dal governo in carica per i1 sol fatto di esserlo, ma anche a livello degli operatori e teorici del diritto (non solo italiani), pioprio per la mancanza dielaborazione teorica della nozione di bene comune. Questa asimmetria, come vedremo, è spiegabile sul piano storico (rionfo del costituzionalismo liberale in Occidente), ma ciò non toglie che oggi essa costituisca un anacronismo giuridico e politico che deve essere assolutamente superato, soprattutto in virtù del mutato rapporto dtforzafuagli Stati e i grandi soggetti economici privati transnazionalt. Infatti, le conseguenze di questa asimmetria costituzionale si sono dimostrate devastanti. Consentire al governo in carica di vendere liberamente beni di tutti (beni comuni) per far fronte alle proprie necessità contingenti di politica economica è, sul piano costituzionale, tanto irresponsabile quanto lo sarebbe sul piano familiare consentire al maggiordomo di vendere l'argenteria migliore per sopperire alla sua necessità di andarc in vacanza. Purtroppo, l'assuefazione alla logica del potere della maggiomnza, tipica della modernità, ci ha fatto perdere consapevolezza del fatto che il governo dovrebbe essere il servitore del popolo sovrano, e non viceversa. Certo, il maggiordomo (governo) deve
poter disporre dei beni del suo padrone (beni comuni della collettività) per poterlo servire bene, ma deve esserne amministratore fiduciario (sulla base di un mandato o al massimo di una proprietà fiduciaria) e certo non proprietario, libero di abusarne alienandoli e ptivatizzandoli indiscriminatamente. I beni comuni, infatti, una volta alienati o distrutti non esistono più, e non sono riproducibili
o facilmente recuperabili né per la generazione presente che dovesse rendersi conto di aver scelto (amaggtroranza) un maggiordomo scellerato, né per quella futura, cui non si può neppure rimproverare la scelta del maggiordomo. Ecco perché la qriestione dei beni comuni non può non avere valenza costituzionale: è nelle Costituzioni, infatti, che i sistemi politici collocano le scelte di lungo periodo sottratte al rischio di arbitrio del governo in carica. Volendo :utiltzzarc un linguaggio che mi renda comprensibile alla cultura costituzionale dominante, interpreterò in questo scritto i beni comuni come una tipologia di diritti fondamentali «di ultima generazione>>, finalmente scollegati dal paradigma dominicale (individualistico) ed autoritario (Stato assisten ziale). Infatti, è proprio la tenaflia fta la dimensione individualistica e quella autoÌitaria ad aver completamente inibito - all'indomani della caduta del muro di Berlino - qualsiasi potenziale di emancipazione legato alla nozione di diritti sociali. I diritti sociali come concepiti oggi richiedono una prestazione economica discrezionale da parte del uelfare state, che è sovrano sul suo budget, e sono sempre in balia delle sue crisi fiscali. I beni comuni, invece, non riconoscono alcun altro sovrano rispetto a chi direttamente vi accede e sottiaggono chi ne è titolare al ricatto politico della discrezionalità fiscale.
All'attuale condizione
di
diffusa inconsapevolezza
politica e di conseguente accettazione generalizzata della visione dominante del mondo (la rivoluzione rcaganiana è stata possibile e si è poi diffusa in tutto il mondo esartamente perché si è accettatalalogica del maggiordomo dissipatore e del popolo sovrano espropriato), è urgente opporre l'elaborazione teorica e la contestuale tutela militante dei «beni comunil> (o, meno pregnantemente, proprietà comune) come un genere dotato di autonomia giuridica e strutturale nettamente altemativa rispetto tanto alla
proprietà privata quanto a quella pubblica (intesa come demanio e,/o parimonio dello Stato e delle altre forme di orgarizzazione politica formale). Ciò è tanto più urgente
nella misura in cui il maggiordomo è oggi vittima del vizio capitale del gioco ed è conseguentemente piombato nelle mani degli usurai, che paiono assai più forti di lui e che ne controllano ogni comportamento. Nella stragrande maggporanzadelle realtà statuali, infatti, il govemo - controllato capillarmente da interessi finanziari globali - dissipa al di fuori da ogni controllo i beni comuni, utilizzando come spiegazione naturale (e dunque politicamente in gran parte accettata) la necessità autoriproducentesi di ripagare i
suoi debiti di gioco. Questa logica perversa, che naturaluza uno stato di cose che è frutto di continue e consa-
pevoli scelte politiche camuffate da necessità, deve essere smascherata perché i popoli sovrani possano riprendere il controllo (ancorché forse tardivo) dei mezzi che consentono loro di vivere un'esistenza libera e dignitosa. La consapevolezza dei beni comuni come strumenti politici e costituzionali di soddisfazione diretta dei bisogni e dei diritti fondamentali della collettività non emerge a tavolino. Essa costituisce piuttosto un collante politico, ancora tecnicamente amorfo, che si radica nel senso profondo dell'ingiustizia che dà vita al diritto. La consapevolezza deibeni comuni e della loro continua espropriazione emerge nell'ambito delle battaglie dutissime, sovente sanguinose, spesso perse ma sempre emancipatorie, che si svolgono in tutto il mondo per la loro difesa. Non di rado, nell'ambito della grande confusione di piani e di ruoli che
catattettzza l'attuale fase dell'anffopocene,
i veri nemici
dei beni comuni sono proprio quegli Stati che dovrebbero esseme fedeli guar&ani e maggiordomi. I-espropriazione
dei beni comuni a {avorc dell'interesse privato multinazionale è così, sovente, l'opera formale di governi sempre meno indipendenti (e quindi nella sostanza più deboli) rispetto a soggetti economici transnazionali, che ne determinano le politiche di pivatizzazione di beni e servizi, di consumo del territorio e di sfruttamento dei più deboli. Il principale obiettivo critico di questo saggio è dunque la falsa contrapposizione fra Stato e mercato che do-
mina 1o scenario politico dell'Occidente, polaizzando lo scontro politico su un falso problema. Infatti, la tradizione occidentale moderna si è sviluppata nell'ambito della
dialettica Stato/proprietà privata in un momento storico in cui soltanto quest'uldma parcva necessitare di protezioni e garunzie nei confronti di governi autoritaie onnipotenti. Di qui la genesi delle garanzie costiruzionali della pubblica utilità, della riserva di legge e dell'indennizzo. Coerentemente con questa impostazione, la tradizione costituzionale liberale garantisce e protegge soltanto il passaggio dal privato al pubblico e non quello dal pubblico al privato (prwatizzazione). Trasferirè beni p,rbblci in mano privata fa parte, da sempre, delle ordinàrie potestà di ogni governo in carica. Oggi tuttavia, nel mutato rapporto diforza fra Stati e settore privato (corporations multinazionali), anche e soprattutro la proprietà pubblica è bisognosa di tutele e garunzie di lungo periodo. Queste sono difficili da immaginare alf interno della tradizionale moderna riduzione del pubblico allo Stato. Ecco perché nei nuovi rapporti diforza fra governi (tutti) e capitale la tutela liberale classica del privato nei confronti dello Stato, ancorché forse ancora necessaria, non appare certamente più sufficiente. Llemersione della consapevolezza politica dell'espropiazione (o saccheggio) dei beni comuni nell'ambito delle battaglie in corso (per l'acqua, per l'università pubblica, per il cibo, conrro le grandi opere che distruggono i territori) si svolge sovente senza un sufficiente <
> con un'elaborazione tecnicogiuridica di nuovi strumenri che siano capacidi produrre nuova consapevolezzae dtindicare una direzione. Questo Manfesto, scritto nella consap evolezzache il diritto possa restare vivo soltanto se accompagnato dalla lotta concreta contro l'ingiustizia, vuole offrire un piccolo contributo a questa necessaria opera <>, e costituisce un atto di lota nei confronti di una < binaria (Sta-
to,/mercato) artificiosamene naturaliz zata dalTa retorica dominante.
La nostra tesi è che la categoria dei beni comuni è chiamata a svolgere proprio questa funzione costituzionale nuova - indispensabile in tempi di globalnzazione economica - di tutela del pubblico nei confronti tanto dello Stato quanto del potere privato. Questa mi pare la sfida che ci attende e che intendo lanciare alla cultura giuridica e politica. Lo studio ela mihtanza per i beni comuni mi collocano in radicale opposizione rispetto a quanti fra i miei colleghi partecipano (per ingenuità o interesse) alla costruzione di un sistema di pensiero (anche accademico) la cui logica di breve periodo insiste a presentare immagini capovolte della realtà. Occorre piuttosto creare consapevolezza pubblica della drammatica necessità di ricostruire le nostre istituzioni in modo coerente con la necessità di conservare e promuovere i beni comuni, mostrando in-
nanzitutto la profonda rivoluzione culturale che ciò richiede. Chi precipitasse bendato da altezza molto elevata prima di schiantarsi al suolo potrebbe pensare di volare. Ma i dati sul cambiamento climatico prodotto dall'uomo che ci provengono da Cancun ci dicono che non stiamo volando. E non sono sufficienti né Ia fede incrollabile nella tecnologia, nell'innovazione e nel progresso, né I'emarginazione politica e culturale violenta di quanti dicono che non stiamo volando a cambiare la realtà delle cose. Da quando, nel 2009,I'economista statunitense Elinor Ostrom ha ricevuto i1 premio Nobel per l'economia per i suoi studi sui <> (beni comuni) e in particolare per un suo libro del t990, Goaerning the Commons,la materia dei <>, o più in generale del <> del panorama internazionale. Tuttavia, il premio Nobel per l'economia certifica innanzitutto l'ortodossia scientifica raggiunta da un certo filone di pensiero e pone conseguentemente a rischio la sua utlizzabittà. non ambigua in chiave critica. In effetti, il lavoro della Ostrom si colloca al centro di un'evoluzione del pensiero economico, il c.d. neoistituzionalismo, che ha
cercato di affrontare la teoria economica in una prospet-
tiva un po' meno astratta rispetto ai modelli accademici dominanti. Il neoistituzionaiismo si prefigge di owiare al calo di prestigio interdisciplinare che gli eccessi della rappresentazione matematica formale hanno causato all'economia, < delle scienze sociali. Il successo accademico è arriso al neoistituzionalismo a partire dai tardi anni
Ottanta (in pieno trionfo politico del principale prodotto della vecchia ortodossia formale alla Chicago) e il Nobel è stato infatti conferito a diversi fondatori (tutti rigorosamente statunitensi) della Intemational Society for New Institutional Economics, fra cui Ronald Coase, Douglass North e Oliver \fi/illiamson. Non tutti coloro che da tempo si occupano di «beni comunb> o di < adottata in italiano per il volume di Ostrom) hanno festeggiato il Nobel conferito a questa area di studi. In effetti, al massimo riconoscimento accademico segue inevitabilmente l'atffazione del suo oggetto nel cuore della ricerca <<scientific»>, ciò che, nell'ambito delle c.d. scienze sociali (l'economia è la sola fra queste a ricevere il premio!), comporta un appiattimento sui presupposti fondamentali del pqsitivismo scientifico. Oggi, tuttavia, la distinzione ontoiogica e insuperabile fra mondo dell'essere (ambito dei fatti) e mondo del dover essere (ambito dei valori), su cui si basala scienza,economica, è screditata sul piano epistemologico e non è per nulla adatta allo studio dei beni comuni. Essa, infatti, emarginala dimensione poIitica di ogni problema, provocandone la riduzione a una dimensione tecnologica (o tecnocratica) e accademica inevitabilmente riduttiva. A ben vedere Ostrom non Àa che contestato la rozza applicazione del modello delf'homo
-
oeconornicus massimizzatore individualista delle utilità di breve periodo, slegato da ogni relazione sociale capace
di produrre un limite - al problema dei beni comuni. Tale critica, rivolta principalmente al noto saggio di Garrett Hardin, La tragedia dei comuni, ha ottenuto un successo
accademico tanto straordinario quanto quello del suo bersaglio. Essa tuttavia non ha geneiato nella comunità scientifica ilpieno riconoscimento, anche politico, delle rivoluzionarie conseguenze della collocazione dei beni comuni
in posizione centrale fra le categorie del giuridico e del politico. In effetti, lanotaparabola di Garrétt Hardin (vedi infra), criticata da Ostrom, aveva portat o L mainstream accademico a considerare il comunè come luogo del non diritto per eccellenza. In quest'ottica, molti ecoiomisti (e scienziati sociali che seguono il loro esempio) finivano per fondare le proprie_teorie sull'immagine-di una persona che, invitata ad un buffet in cui è libÉramente aciessibile molto cibo, si awenta su di esso cercando di massimizzare l'ammontare di calorie che riesce a irnmagazzinarc a spese di tutti gli altri. IJingordo homo oeconornicus jn un tale contesto comune consumerebbe perciò la massima quantità possibile di cibo nel minor tempo possibile, comportandosi così in modo efficiente. Osìrom ha mostrato
come tale modello comportamentale, fondato sui postu-
lati dell'economia tradizionale, sia antropologicamente
inadatto a descrivere qualunque relazione delliumano in carne ed ossa col mondo reale. Tuttavialacritica neoistituzionalista, cercando di curare l'economia dall,interno del suo stesso_p-arudigma, non ha tratto alcuna conseguenza politica dd.fatto che tale modello di soggetto avido"e buli-
mico descrive invece assai accuratameniè i comportamenti delle due più importanti istituzioni che popolano il nosrro mondo. Tanto la modema società per aLioni (corporation) quanto il moderno Stato sovrano, infatti, tendono a comportarsi rispetto ai beni comuni esattamente come l,avido invitato al buffet: essi mirano sistematicamente alla massima acquisizione quantitativa di risorse a spese di altri.
Questi soggetti, motivati rispettivament. dull'interess.
degli azionisti (e dei manager) e da quello nazionale (e dei
leader politici),_pongono in essere io-portumenti miopi ed egoistici, dalle conseguenze catastroflche per tutti, cÉe vanno denunciati e combattuti, nell'intererrè d.[",i.rm
conservazione di un pianetavivo. Per farlo occorre innanzitutto sfidare la spessa coltre ideologica che li sostiene. Se in generale la <<depoliticizzazione>> delle scienze so-
riali è il peccato mortale dell'accademia (soprattutto di quella americana, oggi egemone), in particolarè nell'ambito dei beni comuni essa sterilizza il potenziale trasformativo profondo di questa nozione. Il tema dei beni comuni, infatti, riguarda la questione fondamentale del dominio e del rapporto fra persone e natura. Pertanto, esso non può essere affrontato e men che meno compreso senza tenere ben al centro del palcoscenico la dimensione istituzionale del potere e della sua legittimità. Di consegtrenza,il principde bersaglio critico di questo Ma ntfesto per i beniiomuai è costituito dall'assetto istituzionale fondamentale del potere globale oggi dominante: la tenaglia fra la proprietà pivata, che legittima i comporramenti più brutalidella moderna corporation, e la sovranità statuale, che instancabiLnente collabora con la prima per creare sempre nuove occasioni di mercificazione e prwatizzazione dei beni comuni. Presenterò qui il tema dei beni comuni in una prospettiva nettamente fenomenologica e «indisciplinata>, rifiutando innanzitutto la separazione «discipliÀare>> fra giuridico, economico e politico. Considero inoltre non separabili, nella mia prospettiva contestuale, ranro la dimeniione <soggettiv»> da quella < quanto la dimensionè dcll'<<essere>> da quella dell'<>. Ritengo perciò fondamentale, nello studio dei beni comuni,la piàna integraàone fra ambito teorico e prassi politico-sociale, perché la piena tutela dei beni comuni richiede innanzitltto la piena coscienzapohtica della loro centralità. Il solo modo di interpretare la battaglia per i beni comuni è nell'ambito di una visione del mondo ecologica e non economica, che faccia tesoro di quanto insegnano le nuove scienze della vita e della terra. I beni comuni non sono - come del resto I'intero reale - un insieme di oggetti definiti (<, nel senso di Bergson) che si possono studiare in labirato-
rio e guardare dall'esterno secondo la logica cartesiana
e
l'osservazione empirica. Essi rivendicano invece un sapere che associa, connette, e scopre nessi fra l'insieme degli esseri viventi e le condizioni - fisiche, chimiche e culturali - del vivere in comune. Proprio l'opposto di quanto fanno
gli economisti, compresi
i
cognitivisti, nei loro tentativi
sperimentali in laboratorio. Il rischio che voglio scongiurare con questo Manifesto è infatti che il discorso sul comune, una volta collocato nel mainstreana accademico e scientifico, finisca per diventare un buzzutord del post-crisi, analogamente à molti altri (da <<sostenibilitb> a <>), perdendo il suo rivoluzionario potenziale teorico e di prassi per assumere connotati politicamente ambigui. Che questo rischio sia presente e che, anzi, in molti casi possa quasi considerarsi una realtà, risulta palese se soltanto ci si awicina all'abbondantissima letteratura teorica in lingua inglese sui beni comuni, in gran parte prodotta dal movimento lanciato dallo studioso statunitense Lawrence Lessig e noto come <>. Questo ideario si basa su esperienze di grande successo globale, come il c.d. <> (Linux), l'enciclopedia \X/ikipedia, o lo scambio <>, per sferrare un giusto (e fin qui largamente impotente) attacco ai sistemi dominanti della proprietà intellettuale senza tuttavia superarne i medesimi presupposti giuridici individualisti e contrattualisti. Il rischio è che dietro l'immagine della comunità virtuaie qeativa (<>) si nasconda una forma estrema di liberismo <<nozickiano>>, solipsistico, etnocentrico, ottimista e a fi atti perfino narcisistico, rappresentato per esempio dal direttore della rivista <<§(/ired>>, nonché autore di un bestseller internazionaie significativamente intitolato F re e. In questo senso, l'immagine di Intemet come un nuovo <
valori politici la cui compatibilità con l'ideale comunitario non può esser data per scontata. Pensare ai beni comuni significa innanzitutto uttfizzarc una chiave autenticamente globale, che pone al centro il problema dell'accesso e dell'uguaglianza rcale delle possibilità su questo pianeta. Il che inevitabilmente pone domande non agevoli a chi mostra fede incrollabile in un modello di sviluppo virtuale e tecnologico che si fonda senza soluzione di continuità sulla predazione di risorse naturali (in particolare le c.d. terre pesanti) a favore di un versante soltanto del «digital divide». Questo Manifesto, qurndi, non assume la coerenza teorica e pratica fra il mondo vhuale e quello naturale in materia di comune, ma nello stesso tempo non sposa mabipartizione netta che separi i due ambiti. Una delle più importanti acquisizioni del lavoro sul comune è proprio l'abbattimento di una quantità di barriere reali o virtuali che separano i diversi ambiti, cercando di offrirne una fenomenologia che faccia tesoro degli apporti che derivano dalle più diverse tradizioni di ricerca. Coerentemente, la fenomenologia del comune che andiamo cercando presenta una componente conoscitiva e una militante profondamente legate I'una con l'altra.La prima mira ad un percorso iniziale di posa in opera di una nozione di beni comuni che sia istituzionalmente possibile e capace di ridurre ad unità una quantità di ambiti diversi, senza tuttavia degenerare in una specie di parola d'ordine alla moda, asttatta, ambigua, eccessivamente generica. La seconda muove dalla consapevolezza che la fase dell'accumulazione oigrnaia di cui parlava Marx nel Capitale sia tutt'altro che esaurita, ma anzi costituisca un corutinuum storico che ancora spiega le politiche dominanti sia al centro sia in periferia. In effetti, come ebbe a dire Carlo Maia Cipolla in un brillante saggio di qualche anno fa (Uomirui, tecnicbe, econonryie),le generazioni successive alla c.d. rivoluzione scientifica sono paragonabili ad un fanciullo che abbia scoperto il modo di aprire un forziere in cui sono conservate fortune immense che le pass ate genetazioni non
sape]/ang.+ possedere né erano in grado dt utitzzare. A parrire dalla prima modernità, diritto] tecni.,
.d
..orr*iu
si sono così alleate per costruire I'immaginario dell,antro_ pocene, promuovendo a <<scienza>> il godere (dissipandole)
delle ricchezze conrenure nel forzieÉ
t.r*."q ir.,-fià, ;;;;;l
gas, acqua.dolce profonda), risorse naturali .h" siamo produrre e che non sono naturalmente riproducìbili
non in milioni di anni. euesto-imm agSnaiof."a, scienza dello sfruttamento rapido ed àffi.ient. aa che da trecento anni chiamiaÀo..o.romi". se
q""n, tàr.À
I-immaginario moderno assume come naturale, quan_
to il. sorgere e il tramontare del sole, lo sfruttamento dei beni comuni tramite un processo di consumo che ne costituisce un'inevitabile prwatizzazione a favore ài .ni (individuo, comunità, Stato, cultur u, orguiirrurione) -._ glio - owero in modo più efficient. _,igoa..r. .;;; profitto. Cgme già sappiamo, ruttavia, i bLi comuni non possono ridursi a meri oggetri (risorse naturali); ;rri, irr_
fatti, assumono valore in qùanto
intimr-.o,.
..iid;;irlù
vita. Ne segue che lo sfrutiamenro non risparmia gii"r.oi viventi, f.erché è la forza della loro coopàrazionà sociale che dà valore al comune e produce ,irrh[i^per.hi se ne appropria.-Ecco quindi che il processo di uciumulazione necessita della mercificazione, i cui presupposti sono la moneta, la proprietà pivatasulla terra e il lrrrt.o,dr.luto, invenzioni umane che, hanno il fine di astrarre a scopo di cgllercio valori qualitativi di per sé unici..ror.iprodr_ crbrli (terra, tempo della vita e scambio qualitativo sono in nratur.a unici e irriproducibfi). In quadro teorico, -questà che risulta assai nitido.:e sj p9n9 al cenmo la prospettiva del comune e non quella deil,individuo,lt..rrmulrrio.r. originaria su cui si fonda il capitalismo non può ridursi alla recinzione dei beni comuni in Inghiltema, contro cui già si scagliava Tommasblloro scrivEnd" lr.r, UnpA rt-, nizio del XVI secolo. Né essa è soltanto l,assoggertamen_ to.violento di luoghi e persone (il saccheggioii"l .orro della conquista dell'Africa o delle Americ-É, cui I'Occi_
dente deve la sua_primarlu (oggrmessa in discussione per la prima volta nella moderniià). Ltaccumulazio"" i"di"i_ dtrahzzata dei beni comuni è prima di tutto un processo idmlogico di costruzion e, natutakzzazione,conservazione e-allargamento di un immaginario ndividualizzato capace di sempre nuòvi spazi, «luoghi .o-urri» di -conquistare
ori si è progressivamente cancellata la coscienza. La stessa locuzione <> lo fa coincidere con una bana_ F4, .-o:i denigrandolo e rendendolo ideologicamenre de_ bole di fronte all'< che inconsapevolmente ci consegna immagini rovesciate della _realtà, facen do compiere all,ùmanità pàssi forse irreversibili verso il baruffo. Un esempio: proprio nei giomi in cui a Cancun erano in corso vertiè e controverti_ ce sul clima, e in cui un primo studio indicava per iI2010 rm significativo aumento di produzione di CO, rispetto e12009, un arricolo sull'<.usciìa dalla crisb> p"bbi.rà,J maggiore quotidiano italiano, «la Repubbliiarr, afirma di
un autorerole inviato, veniva intitolato (purtroppo non ironicament e): Seconde case, auto e tanto lisso. I ìònsumatori cinesi saluano il mondo («la Repubblica>>,7 dicembre 20L0, p.35). Mi pare quanto mai necessaria una radicale riconversione del modo comune di pensare, capace di trasformare la retorica denigratoria dei in un mune>> (invertendo l' accezione
<<senso
co-
individualistica, ma senza
spegnere l'ardore del rivoluzionario americano Tom Paine nel suo Comrnon sense del1776) diverso da quello oggi stravolto dalla privatizzazione dell'immaginario. Questo
mutamento generale di sensibilità capace di porre al centro il comune mi pare condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per un'autentica inversione di rotta assolutamente indispensabile per allontanare l'umanità dal baratro. È p.rtanto doveroso operare anche sul piano tecnico-giuridico, svelando, denunciando e correggendo al più presto, l'aporia di fon do con se gnataci dalTa tr adizione costituzionale Iiberale nell'ambito di un insostenibile squfibrio nel sistema delle tutele che favorisce la proprietà pivata rispetto a quella pubblica. Ecco emergere qui tutta l'importanza teorica e pratica dell'elaborazione tecnico-giuridica di una nozione di beni comuni (o se preferiamo diproprietà comurue) come istituto diverso, alternativo rispetto al dominio sia privato sia pubblico, ma assolutamente necessario per il riequfibrio dei rapporti fra questi due.
II primo capitolo discute l'attuale conresto giuridico-politico e mostra come gli assetti della globalizzazione economica ed istituzionale, interpretati in chiave neomedievale, rendano maturi i tempi per la riemersione del comune. Il secondo capitolo afl{ronta le radici storiche delle istituzioni moderne e mostra come il comune sia venuto collocandosi fra l'incudine e il martello di proprietà pivata e Stato sovrano. Il terzo capitolo offre una tassonomia e una fenomenologia del comune come presupposto per la sua comprensione e interpretazione politico-culturale.
Il quarto capitolo discute possibilità e limiti di un ritorno del comune interrogandosi sulle trasformazioni della 'cultura e della comunicazione. Il quinto capitolo discute possibilità e limiti di un ritorno del comune interrogandosi sulle rasformazioni della politica e delle istituzioni. Il sesto capitolo affronta criticamente l'emergente tendenza a considerare Internet come il luogo di ogni possibile liberuzione e cerca di contrastame l'egemonia culturale come paradigma del comune. Nelle conclusioni, infine, vengono riepilogati i temi discussi e descritti i tratti minimi della rivoluzione necessaria. -
Ho contratto molti debiti durante la stesura di questo libro. Voglio qui menzionare quelli con amici, colleghi e compagni che con me si sono impegnati nella redazione e nella difesa dei quesiti referendari sull'acqua pubblica: Abero Lucarelli, Luca Nivarra, Stefano Rodotà, Gaetano Azzariie Gianni Femara; quelli con i compagni del collettivo del <<manifesto>>, che con me quotidianamente lottano per mantenedo come bene comune di tutta la sinisffa; e quelli con colleghi e amici, in particolare Saki Bailey e Peppe Mastruzzo, con i quali si cerca di portare avantiuna piccola buona prutica di università bene comune, l'International University College di Torino. AireJi,24 giugno 2011
Capitolo primo
TRASFORMAZIONI GLOBALI IN CORSO. IL NUOVO MEDIOEVO
IJatteggiamento dei cultori di ogni disciplina sociale (di-
dtto, economia, sociologia, antropologia, scienza delTa politica ecc.) di fronte alle complesse, contraddittorie, profonde e rapide trasformazioni globali è assai mutevole nel tempo e nello spazio. Non è opportuno perciò generalizzarc. Mi interessa nondimeno tratteggiare brevemente il contesto che ha prodotto l'ideologia che ancor domina la «tarda globaluzazione>>, quest'ultimo decennio circa (e primo decennio del nuovo millennio), in cui la tematica dei beni comuni sta prepotentemente riemergendo in tutta la sua rivoluzionariapottata. In questo capitolo cercherò di dar breve conto tanto del prodursi della narrativa dominante a livello globale quanto di quella recessiva, soffermandomi sul rapporto attuale Éa le due, così come illuminato dalla questione dei beni muni. I piani del discorso non sono omogenei. Infatti h prima, narrativa egemonica, costituisce un'evoluzione iblogica in gran parte coincidente con il dominio culturrle e politico degli Stati Uniti, attraverso l'utilizzazione, .'rne apparato ideologico, della scienza economica ivi irsegrrata e studiata. La contronaffativa si fonda su espetfuze di lotta per i diritti delle comunità oppresse dallo rniluppo capitalistico globale in vari contesti del pianeta hoprattutto, ma non solo, nel c.d. Sud globale), sicché il erc impatto accademico, relativamente recente, è ancora
largamente marginale. Il rapporto fra questi due modi di vedere il mondo è profondam..rt. .orrflittuale sul piano politico.e la questione dei beni comuni sembra svolgere il non facile ruolo di cuscinemo (o oggetto del conteridere) fra i due campi.
kttura, proposta da economisti che proprio in quegli anni, da Chicago, sferravano un attacco decisivo d, paradigma keynesiano (da tempo tacciato di statalismo da Friedrich von Hayek, Ludwig von Mises e Milton Friedman), consacrava la proprietà privata a strumento principe per evi-
.Nei primi anni Novanta del secolo scorso si possono collocare i primi studi accademici volti a riscattaie i beni comuni dalla <> in cui li aveva rele_ gati il famosissimo saggio di Gamett Hardin, La tragedia dei comuni, pubblicato sulla rivista <<Science>> nel igeS. In quel saggio il noto biologo e demografo americano, ve_ ro guru di un diffuso movimento neo-malthusiano volto a diffondere I'uso della contraccezione nei paesi poveri, aveva presentato una sorta di versione aggiornata, poco tecnica e di agevole lettura, delle ragich.!"f.rr.. téggi ai Ricardo, secondo le quali l'umanitisarebbe stata neces_ sariamente condannata alla miseria. Infatti, in mancanza
tare la tragedia che necessariamente sarebbe conseguita al mantenimento delle risorse in comune. Si ribadì così che i beni comuni (altri esempi tragici fondati sulla stessa logica erano i pascoli sovrasfruttati dall'eccessivo numero di pecore) erano luoghi di ruon diritto (e vedremo come questa ktura fosse tutt'altro che nuova da Hobbes in avanti), che potevano essere efficientemente govemati soltanto tramite la pdvatizzazione, che (dando loro un prezzo) ne limiava l'accesso e il consumo eccessivo. Questo argo-
di una disciplina esterna capace di porre iirrriti ,l .orrr_ poftamento naturale degli esseri viventi, questi crescono
numericamente fino a che il cibo ne .orr.rtu la riprodu_ zione. Così facendo gli umani si condannano necéssaria_ mente alla miseria conseguente al processo di riduzione da consumo eccessivo delle risorse a disposizione. Sebbene il saggio di Hardin rifiutasse la possibilità stessa di ..rirol_ vero> problemi di tale portata, lompendo espressamenre con I'atteggiamento tecnocratico eà ingegneristico della tradizione anglo-americana, esso ricevetÉ ina lettura assi_ milativa (e politica) nell'emergente ortodossia accademica d'oftre oceano, ottenendo lr, ,.rccesro straordinario per un'idea che in realtà non conteneva. Infatti, la trugidiu dei comuni, esemplificata atrraverso il caso a aiu"rr?.o_ munità di pescatori ciascuna delle quali intensifica ecces_ sivamente la pesca perché sopporta soltanto una fuazione del costo complessivo deil'impàverimento del putrimonio
ittico, mentre fa proprio l'intero beneficio di br.,o. p"_ riodo del pesce che riesce a cattutate, venne tosto leita come una teoria normativa della proprietà privata. euesta
m€nto, pur screditato accademicamente da hnga pezza (e il merito della sua confutazione ortodossa va a Ostrom, cte in verità reinventa quanto Engels aveva scritto oltre cento anni prima), echeggia ancor oggi nelle affermazioni «ld propugnatori sedicenti ecologisti della pivatizzazione dei servizi idrici, secondo i quali imporre un caro prczzo dl'acqua costituirebbe la soluzione contro gli sprechi. Il zuccesso delTaTragedia dei comuni non può spiegarsi completamente se si dimentica il clima culturale delh Guera Fredda e i relativi intensi investimenti in quei dipartimenti di Economia che si stavano dimostrando dù zelanti nello screditare ogni lettura marxista o anche qltanto keynesiana dei processi economici. Non bisogna
mrdare che comnzons e corTtftzufiisrn condtvidono il pre§sso! In ogni caso quelli furono gli investimenti accademici c-he negli Stati Uniti portarono, proprio intomo agli rni Settanta, al proliferare di cattedre affidate ad ecorxrnisti vicini alla Scuola di Chicago perfino nelle facoltà fi Giurispru denza e nei dipartimenti di Scienze politiche, progressiva sower"rrr un'impressionante e conseguente fue del rapporto teorico (e in seguito anche pratico) fra irdnrzioni pubbliche e mercato. In effetti, per la prima mha nella storia dell'Occidente, si abbandonava esplici-
tamente la.stella polare della <> come criterio di organizzazione sociale teoizzaido, sulla scia dell,econo-
dl chicago
(e premio
Ti:li drrrtto dovesse <<mimare
Nobelj R"nald
ò;;, ;il;
il mercato>>, accreditandori .orn. ordinamenro giuridico desiderabile romì"rr,. neila misura in cui p-romuovesse l,efficienza economica. euesta
vìsione, poi diventata egemonica a li"exo int..r,uio.rJ. dopo la caduta del muro"di Berlino, ilG, d.ldi;tir;; ogni controllo pubblico sul mercaro. u -rggior"."glor", con Keynes, la regolamen r^ii"iZ d"f ;, T_ryI,:Ti* U*; state. ll mercato venne così promosso, sulla scia di Hau.k (che riportò la lancetta indietro di ,;;;li, ;;lir,ì i"lr.i ad.Adam Smith), a perfetto mod.llo di'*tòr.golr*";_ tazione, fondato
sugli. istituti giuridici iàndam.rtali d.l_ Ia proprierà privata,.della responsabil]tà per colpa e dei
contratti,.interpretati corrr. nòrme efficienti (il
ffi;;
le.ofco.dg quesra visione è il giudice f.d.rrl.'dit[f.rìà Ricàard Posner). Nel rinnova"to quud.q dominante a li_ vello accademico ma g9h9 m9diaii..,-"L" pi,i e il dirìtià a dettare.le rggole ed i limiti d.ll,rni"ita ..onomica valu_ (in di giustizia)l,u--irrititi;. l,Tdgr: chiave S.tla compatib^ilità del diritto con le'esigenrà l^f,l,t^t.e1g dell attlvtrà economica (efficienza) a determinarn. l,à'...t_ tabilità. Nella locuzione dimoda .À. ;;;h; nel discorso pubblico d.gli ..o,oriirii_opi"ì""irti "ggi, ".fr.ggi;di casa nostra, il diritto deve essàre <<market fri.irdlpr, amico del
È;il;;;;
mercato.
Up n199"9rg del tutto analogo si svolse nei diparti_
menti politici,.dapprima ffasforàando lu ,isione tàrica e poi, rramite il solito premio Nobel, producendo m i__ patto diffuso sul modo di pensare . ,"ttu .orrrrp evolezza
generale.
/ames Buchanan, co-autore sul finire à.gli
Sessanra di un ]ibro dal
titolo.iu"lrtorqll imU7:it
,""ì ià*
t1?)o:r!r:pose un paradigma.di ricerca, noto come <>, secondo cui gli uomini politici sarebblro
dei «massim izzatoi- razionali delL p"rri[ifira di .r.... iio lettil>. I loro comportamenti, qr"Ui a.l.iiituzioni che Ii
(governi, parlamenti) e quelli dei cittadini cheli
-rrgeno mao (o più spesso si astengono
dall'andare
a
votare per
di un vero interesse) sarebbero tutti spiegabili -,ta.',,a d{o stesso processo ruzionale. Questo modello comporrnwrtale consente di applicare alla dinamica politica di na democrazialibenle le <deggi economiche>> della sodtdr-ions del consumatore (in realtà un semplice model-
h
domand
a-
offerta) . I-limp atto psicologico del successo
firuna tale teoria della massimizzazione anche al di fuori ffi'accademia fu immenso. Infatti, mentre fino a pochi mi orsono dire di un politico <> 6asmetteva un segnale di denigrazione, oggi que-
{e
quate un politico ruzionale e realista non può che sot-
rtare. E in effetti, se da un lato Obama viene largamente uoho per aver razionalmente rispettato una percentuale molto deludente delle sue promesse di cambiamento - «Che ci potevamo aspettare? che si mettesse dawero omm le banche, le assicurazioni ed il Pentagono? Deve csse.e rieletto!>> -, dall'altro lato politici che si dimostrino Edeli a un'ideologia vengono spesso descritti come fanatici e irrazionali e malvolentieri ammessi nei <<salotti buoni>>.
Corollario di questa trasformazione culturale, squisito prodotto delle teorie accademiche dominanti nelle grandi università e nei think+anks statunitensi (finanziati generosrmente da corporations e fondazioni conservatrici), si rinvieoe neila promozione di diversi comportamenti privati, uadizionalmente visti come patologici e oggi invece non solo divenuti fisiologici, ma perfino incoraggiati. In effetti, se un sistema giuridico e istituzionale <<market friendlp> (che mima il mercato) è desiderabile, desiderabili (e da ralutarsi solo in chiave diefficienza) sono altresì i comportamenti che ne determinano il raggiungimento. Vengono mì avanzate un gran numero di teorie evoluzioniste del diritto, secondo le quali le regole giuridiche efficienti sono quelle per il raggiungimento delle quali più si <>. Linvestimento nella lite giudiziaria passa tramite il reclu-
tamento dei migliori awocati, al fine di sottoporre le re_ gole che limitano l'attività di mercato (come per esempio le regole del diritto del lavoro poco flessibili) u .""tdJà sfide giudiziarie, fino u che esà non verranno <
mente>> abbandonate
da un cambio di giurispruà;nà
evolutivo. Naruralmente, gli interessi più fa"colto;iG;il; corporations) investono di più in awoìati pir: bravi e chi ha meno soldi (lavorarori, consumatori, àggetti debolii resiste per meno tempo e in modo *.rro Nrtr_ ralmente in questa logica non è l,efficienza"frLu... tpr"Àoro a, glest-a visio-n9 competitiva ed evolutiva) a dàversi far ca_ rico dei problemi di uguaglian za o digiustizia distributiva che derivano dalle asimmàtrie di poteie (il potere, si ricor_ derà, è per I'ortodossia un tema politico, ,io., scientifico) fra quanti possono investire di più . q"rrrii di
-.rro,rài
processo <>. .
Similmente, per quanto riguarda
gli
<
nel.gloce.s19 legislativ-o, le colporatiois oggi tni"iiÀ" negli Stati Uniti oltre l'80% dej costi medl?d.;;6;_ gne elettorali per i plncipati incarichi l"gi.lutiui-4";; governatorati e presidenze). Inoltre, p., .ir.r. sicure di una produzione legislativa <<marker iriendlp> i*._
stono in modo assolutamente < (ossia"rrà tanto su candidati democrarici quanro su repubblicr"i), p"..ÀÉ i" effetti I'ideologia politiia è inefficiÉn,. ,. lo*purara con il pragmatismo realisra dglle lobby. A tutto cià seguono <> la corsa al centro àeflo ,p.ttro potlti* una visione completamente tecnocratica àel diritto, pro_" prio perché l' efficienza (ideologia anti_ideologica da iine della storia) non è amica né dellipoliti.r re d.f,r-gi;;;. Quesro mutamento profondo dei punri di,ifJriÀ."i, d"l {:1..-q giuridico e politico (abbandono a.Uriirrriiìà e dell'ideologia politicà a favore dell,efficienz r),;r;;;; to a livello accademico, ha ffovato in diverse importanti agenzie internazionali - oltre che nella politica esrera sta_ tunitense dell'ultima fase della Guerra Fiedda _ i potentis_ simi apparati capaci di globalizzarlo e renderlo egemonico
lirello intetnazionale con l'appellativo di <. Troppo vasta e dettagliata per discuterne qui è la lettnrtrra che dimostra come Fondo Monetario Internaziode (FMI), Banca Mondiale e Organizzazione Mondiale dd Commercio (§7TO), insieme a moltissime altre orga&aÀol internazionali meno note (nel panorama del &itto globale a fronte di circa 200 Stati ci sono, a semda di come le si censiscano, dalle 400 alle 4000 orga*rooàoni intemazionali sovrastatuali), siano divenuti i rui «legislatori globalil> del dopo Guerra Fredda. Certo èche I'aggregato di questi potenti fattori trasformativi ha trEtato, nel trentennio trascorso fra la c.d. rivoluzione qan-thatcheriana e oggi, I'intera strutturazione giuridio-politica della modemità (ossia degli oltre trecento anni Fcc€denti), fondata su uno Stato sovrano, onnipotente, GrEdore del diritto vigente all'interno dei suoi confini. Come è noto, la costruzione teorica di questo modello di frso, emerso dalla pace di §Testfalia (1648), pose fine in Fanrya alla Guerra dei Trent'anni e fondò sul trattato inn'nrezionale (contratto) ogni rapporto fra Stati sovrani. Gsdalia modellò definitivamente il rapporto fra lo Stato hropeo) e il suo territorio su quello ben più antico della poprietà fondiaria romafla, una forma di appafienenza oluta (che meglio discuteremo in seguito), del pater fa:ilias sul suo fondo rustico. Sebbene questo modello di proprietà (noto come allodio) fosse del tutto minoritario mll§rep2 ancora largamente feudale del XVII secolo, csoeveva conquistato una posizione prioritaria nella pubhl[cistica giuridica e politica, proprio in virtù della grande rmplificazione (rispetto alla complessità relazionale del pbzdam) rappresentata dal rapporto di dominio assoluto eincontrastato di un soggetto su un oggetto. E in effetti dl'onnipotenza del legislatore nel suo territorio, su una qmizzazione largamente gerarchica della sovranità e m tm unico sistema di fonti del diritto (valide solamente lfintemo dei confini di ogni singolo Stato) si è sviluppato e
l'immaginario giuridico moderno. Queste idee, anche note come assolutismo giuridico, ancora oggi dominano l'insegnamento del diritto in tutto l'Occidente, continuando a descrivere le cessioni di sovranità statuale come un fatto eccezionale e non come la rcgola nell'attuale situazione globale della c.d. comunità internazionale. Occorre, tuttavia, immediatamente far presente che qualche tipo di coerenza fra teoia assolutiitica e realtà del diritto fu raggiunta, ancorché soltanto in parte, solo per_ una ftazione molto breve del periodo chè ci separa
lnfatti,lo sviluppo giuridicà in fu caratteizzato, come del resto òo,unq.r. altrove, Eur-opa dalla pace di \X/estfalia.
da fenomeni di profondo pluralismo e policentrismo, e
il
d. ordine giuridico medievale, descritio magistralmente d-a Paolo Grossi, restò molto significativo in Europa ben all'interno del XIX secolo, anche a voler tacere della stragrande maggioranza dei luoghi del mondo in cui esso non è mai cessato. Il Medioevo infatti era caratterizzato da:crrgran numero di fonti del diritto in vigore su uno stesso territorio, fra loro scarsamente coordinate ed in rapporto certo non gerarchico. Esse in parte erano locali, a màtrice nettamente consuetudinaia o di produzione dei piccoli signo_ri feudali (nella concezione medievale, fra le pèrogative del proprietario fondiario vi era quella di amministiare la giustizia fra i suoi contadini), in parte statuali (dove entità protostatuali erano presenti, come per esempio nei comuni italiani) e in parte sovrastatuali, còme il diritto romano insegnato nelle università e applicato, un po'ovunque e indipendentemente dalla sovranità statuale, come ratio scripta nei giudizi più significativi e nelle formulazioni notarili. A ciò si aggiunga che il principio della rerrirorialità non eru aff.atto dominante, pèrché molto diritto era applicato, sullabase del c.d. principio dipersonalità, come statuto della persona. Ed ecco quindi chè il diritto canonico si applicava ai soli crisriani, il diritto musulmano ai soli fedeli, il diritto commerciale ai mercanti e il diritto delle varie gilde, corporazioni e mestieri ai rispettivi membri. c_.
10
Contro questo pluralismo, fatto di mediazione e di diritco prodotio e applicato per così dire «dal sotto in su>>, si scontrò p.r s..olila pretesa assolutistica dei nuovi sovrani satuali,^interessati a far rivivere il principio imperiale bi zantino di una sovranità politica coincidente con il monopolio dall'alto sulla produzione del diritto' La resistenza &il'ordine giuridico (che era poi anche ordine politico) medievale Àp"tto alla modernizzazione assolutistica fu estremamente tenace, ancorché variabile da luogo a luogo (anche all'interno dello stesso Stato). In realtà, la teoria e h prassi della sovranità furono fra loro coerenti soltanto nelie ipotesi rare (e confinate geograficamente) in cui un ,pp"ràto statuale moderno si dotò di una burocrazia, di ,ia polizia e di un sistema capillare di corti di giustizia. Ciò àwenne in Europa solo in casi relativamente eccezioneli e tardivi, come in Francia con il modello napoleonico, o nella Germania bismarckiana o nell'Inghilterra vittoriav.L-lassetzione della sovranità politica <
leggere_-le testimonianze dei cafoni di Fontamara Lq o di Eboli. (Le.l]issime_proprio quelle sull'acqua), lrr.lut..i d, Ignazio Silone e Carlo Levi in alcune fra lL pagine più belle della nostra lefteratura, e compararle .o, là dér.ririoni aà brigantaggio offerte aài UUri'aii.r;;;;iÈ nosrre scuote per capire la potenza ideologica dell,assolutismo politico e
giuridico.
E sufficierrte qui osservare come gli spazi politici del comune (ossia dell'or ganizzazionegi"Iidico_poi hir;;;udi_ zionale, fondata sul godimento aut;gestiro aài f."i.à-" ni da.partedi popolazioni autoctonJche con essi vivono in srmblost) sl accrescano in modo inversamente proporzio_ nale oJla forza centrali zzatice dello Stato ."aÉr"o. t., a_ tri termini,laddove le istituzioni dello stato sono forti sul territorio e riescono a rendere coerenti lateona.luprrrri dell'assolutismo (monopolio sul diritto *11, t._ gittima) i beni comuni (e le comunità di "riferimento) "i"I""'r,nella loro dimensione politica e giuridica odal sotto in su>> si rattrappiscono e tendono a sparire (a favore del binomio proprietà-privata- Stato). A scòpo esemplificativo, sarà suf_ ficiente identificare due poli estremi, t,""" statunitense contemporanea, dove non vi".iluÉ"i;.p;it è alcun luàgo
sottrarro alla tenag)ta «proprietà privat»>_<
ycg:? più-assoluta -, non ha storicamerrt" la forza, in.Africa, di org-anizzare una,prassi ad essa "rruto co.rente, . di ciò hanno beneficiato fino adàggi i beni comuni. Si è osservato da più pafti còme il modello westfalia_ no sia entrato in crisi profonda, a seguito di una drrrtu effettiva breve e circoscritta, proprio"in virtù del ..rruio r-apporto fra eccezion. e r.gola ,àrrr*, con cui abbiamo descrirro la realtà della comunità intemazi""il ir;"*; ù globahzzazione. I-l assolutismo sovrano tloizzato dalla T2
modemità sarebbe dunque una breve e circoscritta parenesi che separa due fenomeni di pluralismo e policentri m: quello medievale quello contemporar.o. O.u, p,.r.
!
mntando la brutale schematizzazione che ho dovuto-seguireperragioni di spazrgrè chiaro che nel quadro sopra .l""critto il processo di globaluzazione e di ptlcentriào ghridico noto come <
ffiessivo
alfacadutadel muro di Berlino riallontana anni
hce la teoria fuoriuscita dalla pace di rVestfalia rispetto
& realtà del diritto vivenre. In èffetti, anche laddo,oÉ l,urnhrtismo giuridico e la capillarità del controllo statuale sul :rritorio si sono maggiormente awicinati al modello del Ilgprietario assoluto (Europa occidentale, Stati Uniti) la
fuhnazlone ha fano dellè cessioni di sovranità la regola c no1-più l'eccezione. A maggior ragione se si prendé in orcidelsisne l'intero globo (interamente coperio da Stati fr-almente sovrani) e non solo l'Occidente, emerge uno rr'mrio
che mutatis mutandis non è imprudente cJnside-
re.jengmgnologicamente più simile all'ordine giuridico nodievale che alle mitologie della modemità assJutistica. Naturalmente, sarebbe ingenuo riferirsi soltanto alla rmfuà formale (pur importantissima) ceduta ad orgain-àont intemazionali come le Nazioni Unite, l,Unior -Europea, il NAFTA o financo la triade \X/TO, Banor Mondiale, FMI. Cemo, anche i paesi più forti cedo? svralità formale, ma ben sappiamo,- per l,esempio ffONU, quanto questa cessionàìia in ràalta ambiiua c mko spesso semplicemente ininfluente (si pensi à[a
;rca
in Iraq). Da dieci anni perfino la Cina, nuova super-
[rrcnzasovrana per molt_iversi legibus soluta (come §ran nrle dei-soggetti forri della c.d. còmunità internazioiale, dr quefli dotati di un arsenale nucleare efficiente), è en:le nell'Organizzazione Mondiale del Commelcio, ma 13
ciò non significa che questa cessione di sovranità formale sia particolarmente rilevante o definitiva. Il vero mutamento paradigmatico dell'attuale situazione risulta prodotto piuttosto dalla crescita esponenziale, in numero e dimensioni, di nuovi soggetti sovrani globali, a loro volta grandi produttori diretti e indiretti di diritto. Mi riferisco, come evidente, a quelle grandi società private multinaziona[ che sono cresciute a dismisura negli ultimi decenni e che concentrano una quantità di potere gerarchico per molti versi superiore a quello degli Stati moderni (compresi quelli più potenti daauero sovrani). In effetti, mentre l'assolutismo giuridico statale progressivamente cresceva in Occidente, awicinando fra la fine del XIX secolo ela granparte del XX la teoria e la prassi della sovranità giuridica sul territorio, contro-principi capaci di imporre limiti strutturali interni a Leviatano si andavano a loro volta diffondendo. Mi riferisco alle diverse forme di separazione dei poteri e di democratizzazione del processo politico che in qualche modo hanno progressivamente limitato l'arbiuio del sovrano. In altri termini, sebbene la teoria della sovranità politica sia ricalcata sul modello del dominus romano, che può usare e abusare del suo bene in modo del tutto arbitrario, democratizzazione e separazione dei poteri ne limitano l'arbitrio. A ben vedere, la volontà del sovrano si forma, pur all'interno di gerarchie formali, in modo complesso e non di rado conflittuale.
Al
contrario, la modern a corporation mttltinazionaTe
ache all'interno delle grandi società private esistono dure od estenuanti lotte di potere fra i gruppi, sicché ogni CEO dtlova in qualche modo limitato dalla dinamica del potere- Parimenti, il CEO non è proprietario formale ma mero rutager, gestore dell'interesse della proprietà azionaria, od è obbligato al perseguimento del profitto, sicché la sua milontà non è stricto sensu idiosincratica.Infatti, nel concetto di idiosincrasia proprietaria ci sono l'uso irrazionale, h dissipazione, la distruzione, l'abuso del bene: <<è mio e Éccio quello che mi pare!>>. Nondimeno è chiaro che la rtrrÉnrra gerarchica della moderna corporation è simile a qu"trla di un Leviatano assoluto molto più di quanto non lo rL un'organizzazione politica: anche il sovrano descritto deMachiavelli, Bodin e Hobbes deve guardarsi dai nemici ed è comunque limitato nel suo arbitrio dall'intelEsse comune, o se non altro ddlapawa del regicidio. In effetti, mentre lo Stato è otganizzazione pubblica,la *poration è priuata, con tutte le conseguenze retoriche (e giuridiche) che ciò comporta. Che il privato non abbia Jcrrn dovere sociale e che netta e chiara sia la sua distinrbne rispetto al pubblico costituisce una di quelle conurpposizioni fondamentali della modernità che, sebbene
iffini
de più parti criticate, resistono come strutture profonde ,Lll'imrnaginario collettivo. Basti pensare alla sostanziale
c rassegnata accettazione da parte dell'opinione pubblicr delle politiche di delocahzzazione attuate o minacciate ùlre co rp o r a t i o n s multrnazionah.
il
concentra immense quantità di potere economico, capace di trasformarsi in potere politico e produzione di diritto (investimento nella produzione politica e giudiziaria del diritto degli Stati e delle entità superstatuali tipo Unione Europea) senza conoscere alcun contro-principio. In mancanza diqualsiasi spazio per la separazione dei poteri e per le istanze di democrazia partecipativa, la volontà gerarchicamente sovrana degli amminisratori delegati (CEO) è assoluta quanto quella del dominus romano, paradigma della proprietà e della sovranità territoriale assoluta. Certo,
èessenziale soffermarci ancota per un attimo sui rapporti fra Stato e corporations proprio nella prospettiva di <<pro&oione» dell'ordinamento giuridico. In effetti, la presenre di immen se organizzazioni politico-economiche sostanràlmente assolte da responsabilità sociale costituisce ad rm tempo punto di pafienzae di arrivo del nuovo medioemglobale. Dipafienzaperché sono proprio il gigantismo d guesti soggetti e il loro essere attori globali a renderli fiù forti degli Stati. Le grandi corporations possono in-
t4
t5
Naturalmente, nell'immaginarc
<>
fatti crearsi indirettamente un sistema giuridico <<market friendly» attraverso il cosiddetto forum shopping, ossia scegliendo il sistema giuridico più favorevole nel quale operare (normalmente dove più deboli sono la regolamentazione ambientale e la tutela del lavoro) o addirittura in cui trasferire la lite giuduiaria una volta in cui dovessero esser convenute in giudizio di fronte a un certo Stato. Queste strategie giudniaie, che coinvolgono i migliori awocati internazionali, producono una competizione al ribasso (rusb to tbe bottorn) fra i sistemi giuridici che si contendono la presenza degli investimenti delle corporations ptoducendo una generale convergenza verso l'<<efficienza>> (ossia lo scarso o nullo controllo degli attori forti del mercato). Occorre inoltre aggiungere un aspetto molto importante per comprendere il rapporto diforza fra Stati e corporationr. I sistemi giuridici hanno prodotto una sostanziùe equiparazione fra person a fisica (individuo mortale) e persona giuridica (corporation), dotando progressivamente quest'ultima degli stessi diritti della prima. Ciò è vero soprattutto per i diritti economici, su cui tutti gli altri
lnrti
da attore economico e politico razionale, massimiz-
ando la propria utfità attraverso investimenti volti alla creazione di un ambiente politico e culturale (oltre che,
me già visto, giuridico) favorevole alla ptwatizzazione dei beni comuni. Ed ecco quindi spiegati gli investimenlti in comunicazione (controllo dei media e dell'industria qrlturale dominante), che non è solo marketing di determinati prodotti, ma anche propaganda volta a produrre c sostenere certi modi di pensare. Per esempio, forti e di lnrticolare successo sono stati, nell'ultimo ventennio, gli fovestimenti nel persuadere che Ia globaluzazione sia un rbtema di «leggi naturali>> - quali la <
si modellano, in particolare proprietà privata e libertà contrattuale, in cui la corporatioru è protetta, come un qualsiasi individuo, nei confronti dello Stato. Esiste tuttavia una differcnza sostanzialmente trascurata, ossia che mentre le persone fisiche hanno una durata naturale e al momento della morte lo Stato in qualche modo può riprendere il conffollo della situazione attraverso il diritto successorio, le corporatioz.s sono immortali. Esse sono perciò soggetti sostanzialmente eterni che istituzionalizzano l'accumulo senza fine, sul quale 1o Stato esercita un controllo ridottissimo. Questi soggetti sono tuttavia artificials., senza cuore né passioni, e per essi il modello del|'horno oeconomicus, ossia del massimizzatore perfettamente razionale dell'utilità individuale, che a torto la teoria economica classica assume come modello comportamentale dell'individuo in came e ossa, effettivamente funziona. Conseguenza di questa struttura degli incentivi è che la corporation si com-
rymsabilità sociale. A doversi occupare di quest'ultima qrcr natura>> non è il settore privato ma tutt'al più quello 1Éblico. Ecco spiegato il declino dei modelli costitu*nali fondati sulla responsabilità sociale dell'impresa h Italia afi. 43 Cost.), considerati ormai utopistiche ed dcolete fughe in avantidei costituenti del secòlo scorso. medioevo è popolato da questi <<mostri>> a 'GiaIl nuovo di profitto, proprio come le compagnie di ventura cafi eserciti mercenari che scotazzavano e saccheggtavam liberamente l'Europa. Non sarà difficile per il lettore furdare simili strutture di irresistibile potere privaro, ql&i di far valere la legge del più forte nei secoli bui tl:ryerso strategie politiche violente volte a fare, disfare sxnunque controllare le deboli strutture della nascenr:*etualità. In fondo il saccheggio dei beni comuni e lo Éamento dei più deboli furono alla base delle grandi mme della nobiltà europea, così come molti anni dopo furono per le grandi famiglie dei robber barons negli ri Uniti e oggi lo sono per i nuovi ceti manageriali, che ilmente perdono occasione per dar dimosffazione propria gtettezza (sto scrivendo questo libro proprio Sbmi di Mirafiori). L* lotta di resistenza per i beni comuni nasce in queinquietante scenario di nuovo medioevo, dapprima in
I6
17
I l I
aree del mondo dove le strutture statuali non oppongono
alcuna resistenza (ma anzi offrono il braccio armato) a questo stato di fatto, essendo troppo deboli e corrotte per
opporsi. Successivamente la resistenza, culturale e politica, si diffonde anche in semiperiferia e al, centro, quando sempre più cittadini prendono coscienza di quanto sta awenendo sotto i loro occhi ipnotizzati dalla pubblicità e dalla propaganda.
t
fi
il fli
I
Anche qui, come per l'emergere di una fi ttativa accademica critica della lettura dominante di Garrett Hardin, stiamo raccontando una storia a noi vicinissima (che forse non è ancora storia), fatta dt fenomeni di resistenza dapprima marginali e lontani dalla percezione dominante e poi sempre più vicini ai luoghi della costruzione del senso comune. Una resistenza, quella per i beni comuni, che prende le mosse da comportamenti particolarmente violenti e imesponsabili dei nuovi padroni dell'ordine globale. Comportamenti che, minacciando i beni comuni in modo incompatibile con la stessa soprawivenza delle popolazioni (locali e oggi anche globali), producono reazioni di difesa disperate ma sostenute dalla coscienza di difendere lavrta reale nei confronti di quella artificiale della corporation: di difendere il senso di giustizia intergenerazionale rispetto all'interesse economico insostenibile dell'accumulo senza fine. È del tgg+ l'insurrezion e zapatistain Chiapas, che costituisce la prima lotta politica per i beni comuni che sia stata capace, nel dopo Guerra Fredda, di catturare I'immaginario mediatico globale, diventando in questo modo un episodio della contro -globaluzazione. Tutti ricordano il mitico e incappucciato sub-comandante Marcos, difensore del <. I1 suo nemico edatenaglia micidiale dello Stato e deipiani di aggiustamento strutturale, che da \X/ashington imponevan o la prwatizzazione delle terre a favore delle corporations e l'evizione dei contadini che su quelle terre yivevano da sempre. Una battaglia profondamente simbolica quella per la terra produttrice di 18
c5o, portata avanti dagli eredi dei Maya sterminati senza l&tà da Cortés cinquecento anni prima e ancora una volta *rime della cupidigia dell'uomo bianco peri beni comuni Lligeni. Lalotta dei movimenti per la terra - la <<madre tlra» - è continua, portata avafiti attraverso tutto il conSente sudamericano, senza ricevere né dare tregua, da
mpesinos
sem terra>. Essa costituisce oggi un'epopea È'.gica quanto gloriosa, che simboleggia il grande sconro ffk popolazioni autoctone per la difesa dei beni comuni dfl'avidità delle corporations e dei governi loro complici. Cf,É si tratti del disboscamento dell'Amazzonia - per il mrmercio del legname o per liberare terra per le grandi
mocultur€ -, o dell'edificazione di grandi
dighe (che col far sommergere villaggi &ilscono e colture locali dal hsile alla Cina), o di liberare spazio per installare <, come in India, il nemico dei beni muni è sempre la micidiale tenaglia dello Stato e della
ryration.
I famosi scontri (paradossalmente noti come no global) Seamle nel 1999 dimostrano al mondo che i campesinon sono soli. Nella piovosa e vivace cittadina della Coast, resa celebre da Bill Gates e Kurt Cobain, le [maglie locali per i beni comuni compiono un vero salto fiqualità e divengono da lì in poi protagoniste./antagoniogni processo politico globale. Gli scontri di Seattle
-fr
rr *sfi cdi
mo
importanti per diverse ragioni, la prima delle quali faver individuato nell'ordine globale liberista, imposto cnonomicamente dal §fTO e politicamente dal G7 (poi lGt), il principale antagonista di un mondo fondato sul nÈpetto dei beni comuni. In effetti, §fTO e G7 davano crte istituzionale globale (imperiale, secondo la terminolqgia inaugurata poco dopo da Michael Hardt e Antonio Ne1Ù alla micidiale tenaglia Stato-corporation s chelebatEBIÈ per i beni comuni declinate a livello locale avevano qrninciato a sfidare. Ottenuto a Seattle il primo grande successo globale, m I'abbandono del tavolo delle trattative da parte di diè
t9
versi importanti governi del Sud del mondo (taluni dei quali diverranno alleati fondamentali dell'<>), la battagha doveva immediatamente spostarsi a Cochabamba, in Bolivia, e al centro del palcoscenico, in apertura del nuovo millennio, si collocava una delle grandi protagoniste di questo sconffo di civiltà: l'acqua.
m
La guerra per I'acqua a Cochabamba ancotauna volta vede governo e corporatioas schierati sullo stesso fronte. Il presidente boliviano Sànchez deLozada,noto come El pringo, dimostra come la realtà in politica possa di gran lunga superarclafantasia, pur fervidissima, Che molti anni prima aveva ispirato a \Woody Allen Il dittatore dello stato libero di Bananas. Corrotto, arrogante, legato a filo dopp-io con gli appantiideologici del consenso di rùZashingtòn (fra cui quelle università della Costa Est in cui le àites sudamericane mandano a studiare i figii tenendoli vicini ai loro ricchi conti in banca, per poi fàrli rienrare quando le condizioni per la successione sono propizie), El Gringo concentra in sé tutta la simbologia del potere sudamericano. Fu lui a convocare il giovanissimo docente di Harvard Jeffrey Sacks (che incredibilmente ancor oggi, meno giovane, imperversa con ricette conmo la povertà) e ad affidarylila responsabilità di una terapia Jhock per fermare la galoppante inflazione boliviana di fine seèolo scorso. Sacks impose al settore pubblico boliviano un tale salasso - concreizzatosi fra l'altro in condizioni favorevolissime per la svendita dei ricchi depositi di gas alle corporations statunitensi (quelle stesse che ftnanziano generosamente
r,
i dipartimenti di Economia d'oltre oc.ano, sfruttando benefici fiscali ed eccitando I'ammirazione della nosrra ministra e dei suoi consiglieri à la Giavazzi) - da far effettivamente scendere I'infl,azione,un po' come si fa scendere la febbre se si accoppa il paziente. Ma il costo sociaie sopportato da una delle popolazioni più povere della terra fu salatissimo. Probabilmente la multinalionale sratunitense Bechtef una delle protagoniste del grande oligopolio glo-
bale dell'oro blu, nell'acquistare ai 20
ialdi il s.ruiiio idii.o
si rese conto che i margini per sfruttare ulteriormente della sete) una popolaziogià spremutafino all'osso, dawero esigui. E vero che non si può fare a meno di bere, cosa che rende sicuro il business perle corporations rLll'x6qs4 (così come non si può fare a meno di mangia-
kqpure con il micidiale ricatto rcome quella di Cochabamba,
mo
cosa che garantisce Monsanto e le altre oligopoliste d'agrobusiness in Africa), ma è anche vero che se non *ipossono pagarcbollette dell'acqua superiori alqOy" del rcddito pro capite medio si può cercare di raccogliere la É:ggia (così come si possono sempre mangiare i rifiuti rdla discarica di Nairobi), la forma attraverso cui il bene Grrnune per eccellenza civiene donato. Ma per Bechtel fecqua non è un dono bensì una merce da cui trafre profuo, sicché dopo aver tagliato le forniture ai morosi si nise pure a far loro causa perché distruggessero le cisterre di fortuna con cui cercavano di dissetarsi. Raccogliere frqua, ad awiso del colosso multinazionale statunitense, mituiva concorrenza sleale, e le corti elapoliziaboliviaoadovevano impedirlo! Dopo tutto, Sdnchez de Lozada si cn impegnato con Banca Mondiale e FMI a garantire un rfotema giuridico <<market friendly» proprio come quello tte i professori di Harvard e Chicago spiegavano essere cssenziale per 1o sviluppo: gli investimenti di Bechtel, una mha attratti, andavano garuntiti con tutti imezzi! Fu questa la classica goccia che fece traboccare il vaso {mai metafora fu più adatta al contesto) e a Cochabamba iri,iò urra serie di scioperi e manifestazioni che durarono 1m oltre un mese, coinvolgendo tutta la popolazione asEtatl.. La rivolta finì nel sangue, ma aTla fine la pressione politica proveniente da una base decisa a difendere fino in fondo i propri beni comuni fu tale che tanto la Bechtel quanto il suo protettore <> furono cacciati dalla Bolivia. Ne seguì l'ascesa al potere del primo presidente indigeno e campesino della sfortunata storia del grande paese andino, uno dei luoghi più sfruttati e saccheggiati
rrlla storia dell'umanità (in territorio boliviano si trova 2T
il
Cerro Grande de Potosi, nelle cui miniere d'argento trovò la morte un numero imprecisato e sterminato di indigeni ridotti in schiavitù dai conquistadores) .I1 programma di tutela dei beni comuni, primi fra tutti l'acqua e la Pacbamarna (terra madre), produttrici di cibo e di vita, primeggia oggi nell'agenda del presidente Evo Morales. La nuova Costituzione boliviana, insieme a quella ecuadoregna (anch'essa figlia di una grande lotta per i beni comuni, quella condotta dalle popolazioni indigene della foresta contro la mortale estrazione peffolifera operuta da Chevron), costituisce il.più avanzato modello giuridico di elaborazione del concetto di beni comuni di cui l'umanità disporrebbe qualora, messa da parte l'arroganza occidentale, intendesse ripensare il proprio modello di sviluppo. Naturalmente questa splendida e vittoriosa pagina di storia globale recente, che giustamente entusiasma, costi-
tuisce un vero bicchier d'acqua nell'oceano di ingiustizia e sopraffazione in cui si è chiuso il secondo millennio. Gli episodi largamente simbolici di dove stia il bene e dove il male, in questa titanica guerra per il controllo dei beni comuni tuttora in corso fra Stato e corporations, da una parte, e popolazioni vittimizzate, dall'altra, sono troppo numerosi per esser ripercorsi tutti. Certo, il famigerato caso Bush as Gore che chiuse iI2000 ha dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio quanto distante sia un autentico ideale democratico e partecipativo rispetto alla pratica elettorale degli Stati Uniti d'America. Con la fine del mil-
lennio, il livello di ipocrisia della retorica dominante su legalità, democrazia, diritti umani e sviluppo ha raggiunto il limite di guardia oltre il quale la sua credibilità non avrebbe potuto resistere. In queste condizioni, la risposta nei confronti della critica politica rispetto a un modello di sviluppo fondato sulla tenaglia Stato-corporations e sullo sfruttamento intensivo dei beni comuni non poteva che I
I
I
t
diventare violenta. In questo senso la repressione subita dal movimento
altermondialista al vertice G8 22
di Genova (luglio
2001)
risoosta asli attentati alle Torri Gemelle (settembre mrj-J".tituislcono due episodi legati alla medesima lonaturali, immutabili : P 3":tt" Ér di strutturare come del potere globale fongli equilibri discutibili Foon del Nell'ordine/disordine o.aid"ntrl.. lri *U "g.monia miliennio, che fa da sfondo alTabattagliaper ileni egemonica e i suoi principali alleati *i, -" ,oooIaràipotenza stati in pace. Né avrebbero potuto essedo, o che Ia struttura fondamentale della tenaglia Statobas si sostiene essenzialmente sulf intensità senza fuenti dipivatizzazione e distruzione dei beni comu-
c
h
i ofierta dal èomplesso militare-industriale' f'ùdl;"rdi""/diiordine globale che ha caratterizzafi gli mivent'anni un soggetto politico dallavocazione impeDorta avanti disegni di espansionetracciati dal comi militare-industriale e diversi Stati, più o meno riot."o**i, rivendicano un ruolo nel governare la grande lia multinazionale per 1o sfruttamento delle ricchezze i dei popoli. In questo <>, sotto un ot oìdL. imperiale - a ben vedere su-perficiale forze che ptepot.ntemente reclamano di emergere, mdo qr.gli equilibri che gli apparutiideologici do,ti cercano di prètet tute come naturali. Queste nuove che la crisi del zOOS ha dimostrato comparativamenlrc solide, non sono soltanto Stati tradizionalmente i dal GT (i ..d. SRICS: Brasile, Russia, India, Cina, che si tenta oggi di cooptare attraverso istiAftica) I ini informali nuove, aniorché figlie della stessa logica
{.rninio violento, quali il G20.
Esse prendono nuove che rendono 1o scenario neomedievale della sempre più complesso e non comprensibirerso le consuete categorie interpretative' Ca.gorie nuove divengono così non solo utili, ma ad' indispensabili per capire - e forse anche per pro- pràcessi nuovi. Ecio perché nelmondo.attua.-
li*ze, E
ùzata dalT'lmmane violenza prodotta dalla più crisi di leadership che l'Occidente dominante 2)
abbia mai sperimentato, i beni comuni emergono come questione ineludibile sia per chi vuole difenderli sia per chi vuole sempre più aggredirli. Ed è proprio la crhaestrema di questa aggressione che fa crescere una coscienza globale capace di ridurre ad unità luoghi all'apparenza quanro mai distanti, come le lotte contadine per la terra, quelle metropolitane per l'acqua, per l'ambiente e per la mobilità sostenibile; e ancora quelle per l'università o per la sanità pubblica, quelle .ontro le grandi infrastrutture ed il nucleare, o quelle sempre più importanti e violente per il libero accesso alla Rete e all'informazione (e il caso Assange è emblematico della violenza dello scontro) e per la qualità del lavoro. Questi luoghi distanti divengono così luoghi comuni. I-lattacco e la distruzione dei beni e dei luoghi comuni provocano
la consapevolezza della loro esistenza, troppo ipesso data per scontata e mai apptezzata finché essi non vengono distrutti. Come nel Medioevo le rivolte contadine si scatenarono sempre per difendere luoghi e beni comuni contro la cupidigia del potere formale, così nel nuovo medioevo tempi sembrano maturi per rivolte ed insurrezioni.
i
Capitolo secondo
LA MODERNITÀ, LE "ENCLOSURES" E IL DISAGIO DEL COMUNE
Il mondo medievale europeo, taluni tratti del quale abbiamo visto riprodotti nell'ordine/disordine globale della nostra era, appariva carattetizzato da un sistema sociah pluralistico e a potere diffuso, in cui operavano, al di tuori di rapporti gerarchici, diversi protagonisti politici. In taluni casi essi avevano vocazione universale (impero, Chiesa); in altri vocazione territoriale ridotta (proto-stati, comuni, signorie); in altri ancora la vocazione era più nettamente determinata da interessi economici, professionali
o culturali (gilde, corporazioni, università). Ciascuna di queste istituzioni produceva norme giuridiche che potevaDo contendersi la vigenza sul medesimo territorio. I-effetrirità dell'ordine giuridico era condizionata dal fatto che i diversi individui e gruppi stanziatisul medesimo territotio potevano avere lealtà difformi in virtù sia del diverso sratus, sia della religione e sia della professione, secondo il c-d. principio di personalità (un mercante era governato dal diritto mercantile, un clerico dal diritto canonico, un idamico dal diritto musulmano ecc.). Soltanto un lento processo di concentrazione del potere porterà all'affermarsi di un principio di territorialità e di una vocazione assolutistica e monistica del diritto coincidente con i con§ni di ciascuno Stato. A livello macropolitico, la lotta per il potere si concreizzva in continui scontri militari, di proporzioni spesso 25
sconvolgenti, tanto all'interno dei confini europei quanto al di fuori di essi (Crociate). A livello di base sociale, quello della vita quotidiana delle popolazioni, per secoli i grandi conflitti politici parvero sconvolgere tutto senza in iealtà mutare nulla. Lavita quotidiana, tanto nelle campagne quanto nelle città, eru otganizzata intorno a rapporti iociali fondati ssl)o status piuttosto che sul contratto, su doveri nei confronti del gruppo familiare o professionale piuttosto che su diritti degli individui. La maggior parte àela popolazione europea viveva con poche risorse nelle .r*pàgt., dedita a un'economia di sostentamento' il cui motore era la solidarietà del gruppo. Insieme si mangiava, si dormiva, ci si scaldava, si coltivavano i campi, si andava a caccia, si raccoglievalalegna, si cantava e si ballava durante il tempo libero. Successivamente al crollo dell'Impero romano si verificò un grande declino nelle infrastrutture, sicché vtaggiare divenìe difficilissimo e assai pericoloso e la foresta si reimpadronì di molti ambiti che in epoca romana erano stati conquistati da strutture antopizzate. Gli spostamenti g.rr.ralmente ridotti e, soprattutto sulla terraferma "rrro continàntale, non era raro che l'intera esistenza si svolgesse senza alcun contatto con gruppi o persone diversi da coloro coi quali si era sempre vissuti. Certo, i commerci, soprattutto quelli marittimi, non vennero mai meno, e 1'e.pè.i.tz dei comuni e delle signorie diede-vita,-già dal XIII secolo, alle prime istituzioni finanziaie (banche, assicurazioni, commende), che tosto svilupparono una dimensione transnazionaleoperando in rapporto con mercanti e istituzioni di provenienzalontana. Per lunghi secoli, probabilmente almeno fino all'Umanesimo e al Rinascimento, il centro della civiltà e della cultura umana non fu in Europa: tanto I'ampio mondo islamico (penetrato ben dentro alliEuropa) quanto quello, assai esteso, che ruotava intomo alle dinastie imperiali cinesi erano assai più avanzai. La descritta economia di sussistenza era incompatibile con una percezione della realtà fondata sull'individu o.Era, 26
ruolo svolto nella cooperazione sociale all'interno di gruppi ristretti che determinava 1o status di ciascuno' t tZ."op"tuzione sociale si svolgeva per.lo più localmente il so rn d.ierrrrinato territorio, chà costituiva ad un tempo utiPer dell'economia' geografico il limite fondamento e i;rr.^r"da subito 1. crtegoti. che stiamo elaborando, possiamo dire che tale terriiorio era costituito dall'aggregato di beni comuni, che rendevano possibile tanto l'esistenza ;;, quanto la sua riproduzione: il bosco,che offriva Iei fiumi e i torrenti, che *;;, Èu..h", funghi e selvaggina; iftrirru.ro urqun, peìci e possibilità di trasporto; la città, che offriva piot"riot alf interno delle cinte murarie, ma " anche deiezioni umane ed animali ttihzzateper la coltivazione dei campi e luoghi comuni, quali le piazze di mercato, dove t.u*biut" i prodotti rurali e di artigianato, ma mche dove innamorarii, combinare matrimoni' otganizvarie attività. Beni comuni erano p:ure le cbiese, ^rLpiù 1o sforzo fisico ed economico di tutti e che con .aiii.ut" per la maggior parte della popolazione costituivano i soli
infatti,
i1
nliri
l'ésist.rrr, tp"tto brutale, potesse elevarsi, i"Aoer poche ore alla settimana durante il cu1to, a una
fuoghi
^ -AÉ.nti"".
compatibile con la spiritualità' In molti casi le chiese erano i soii luoghi comuni asciutti, puliti, decorati, dove non si conviveva con gli animali e per enffare nei quali occorreva curare un minimo di decoro personale' In condizioni, non distanti da quelle che troviamo an"ot" à, oeei in buona parte del nostro pianeta- specialmente o.ll1l-""ità di villaggio semplici e periferiche - e che sono soprawissute molto a lungo anche nelle nostre camprgr. trll. nostre montag.re, la dimensione relazionale iàt"t)" dell'<<essere>> insieme en largamente dominante *p."" a quella materiale dell'<>, anche perché la oràd,rriot. di beni privati, tanto durevoli quanto di con-*-o, .t, molto limitata sul piano tecnologico' Friedrich Engels ci offre una bellissima illustrazione di quanto la stesla distinzione fra <<essero> e <
viduo, sfumi in economie fondate sul comune. In un suo noto saggio sulla Marca tedesca, ossia sulla struttura agricola comunitatia che governava la produzione fra le tribù germaniche prima del contatto con i Romani, egli descrive il processo di distribuzione turnaria delle terre comuni coltivabili - al netto di quelle messe a maggese e di quelle boschive, sempre rigorosamente ad accesso diffuso - fra le diverse famigiie e aggregati famigliari. Nel delineare questo modello di produzione e sostentamento fondato sul comune, contrapposizioni modFrne quali <> o <<essere su una terra>> perdono ogni tipo di senso. In questi modelli, il contadino coltiva laterra assegnatagli insieme agli altri assegnatari e ha esclusivo diritto al primo raccolto per la stagione in cui la terra spetta al suo gruppo. Ma chiunque, sempre, dopo la trebbiatura può entrare nel campo a spigolare, proprio come chiunque può accedere al bosco per trarne sostentamento. I-l<> in comune non era distinguibile dall'<<essere>> in comune, e certamente l'<> in equilibrio con le sue parti, con le risorse a disposizione e con altre comunità ecologi che. Così i'alveare non si riduce alla somma algebrica delle api, ma comprende anche le relazioni fra le diverse componenti (operaie, guardiane, regina ecc.), quelle fra il gruppo e i suoi beni (nido) e prodotti (miele). Similmente, la campagna medievale costituiva una comunità ecologica in rapporto simbiotico con la foresta (altro ecosistema) e con la città (a sua volta un ecosistema).Dallaprima si traevano 28
rfoorse come acqua, legna, selvaggina, ma le si restituiva hroro, mantet endo il sottobosco in ordine; alla seconda si
mferiva cibo, ma se ne traevano utensili e concimi' Nel modello ecologico precedente la modernità ogni rqlporto, fondandosi sull'essere ben più che sull'avere brlLo status più che sul contratto, avrebbe detto Sumner ùIeine), vedèva prevalere nettamente una dimensione qoalitativa rispetto a una dimensione quantitativa. In efki ogni rapporto interindividuale o di collaborazione il'interno di un gruppo sfugge alla logica quantitativa
rl'fl'accurnulo di càpitale, funzionale alla riproduzione del rryfuale medesimo- Ogni rapporto fra individui è infatti
divt*o da ogni
altro perché caratterizz to da elementi re-
lsionali uniii, quali I'odio, l'amore, l'amicizia, il rispetto, Ldeferenza,l'aÀmkazione ecc.: tutti elementi chiave nel &erminare il funzionamento di una rrj.azione. Soltanto la Gtntzione asffatta del rapporto di dominio fra f indivi-
&o
e la cosa, fra un soggetto e un oggetto inanimato del esterno, sfugge alla dimensione qualitativarclazio-
mdo
nle e può ridursi
agevolmente
a
un rapporto quantirativo,
nfourabile attraverso il valore venale del bene' Perfino ii lTrporto di scambio contrattuale nellapjazza del mercaoàedievale meglio si comprende in chiave qualitativa
;irmsto
l*o
che quàntitativa perché la mediazione del de-
oot è (aniora) funzionale all'accumulo di capitale. Lontadino vende una pecora per ricavame il denaro col
quele acquisterà una zappa.In un simile scambio è il valoÉd'*o à presentarsi come nettamente prevalente. Quella 1:cora p.i qu ella zappa.Il denaro costituisce un elemento
t
mediazione in uno scambio qualitativo af{atto diverso drlla quantifi cazione seriale dello scambio denaro-mercedcnar; con cui il capitalista acquista merci (& qualunque fn) per rivenderle lucrando sulla differenzafr,alprezzo frquisto e quello di vendita. A ben vedere,lo scambio qualitativo è vivo perché soggettivo, mentre quello-quan^= -ro, nel momento in cui viene oggettivizzato nel prezm, in un certo senso è morto, perché espelle nel mondo 29
dell'irrilevante tutto quanto è invece il senso della vita. Questo aspetto qualitativo, tipico dell'economia-ecologia pre-industriale, distingue pure il lavoro del contadino riipetto a quello del salariato in una struttura industriale moderna ancorché agricola. Il contadino si relaziona rispetto aI campo come rispetto
a
una realtà viva con cui sta-
bilire un rapporto ecologico. Il campo va numito tramite la concintazione, fatto riposare per evitare che muoia, le sementi migliori vanno selezionate uttlizzando un sapere antico che si tramanda di generazione in generazione; occorre conoscere le stagioni, indovinare la meteorologia per decidere seminagione e raccolti; occorre capacità di risol-
! I
I li
h
vere problemi potenzialmente distruttivi, quali il rischio di esondazioni, o di individuare i primi segnali della presenza di qualche parassita letale per i1 raccolto. Insomma, il lavoro del contadino richiede lntelTigenza della specifica situazione e presenta ttattirelazionali che non possono cogliersi attraverso la quantificazione delle sue ore di lavoro. La società contadina, che non è mera somma algebrica di singoli contadini, è fondata su un'intelligenza generale che è parte tanto dell'essere quanto dell'avere.
singolo momento storico. La Marca descritta da Engels declina già dal IV secolo d.C. non solo perché vittima del violento contatto con il modello romano, fondato sull'assegnazione in proprietà pivata del latifondo ai generuli onquistatori, ma anche perché al suo interno i gruppi più potenti resistono alTa turnazione trasformandosi in pro-
prietari terrieri. Già molto prima il modello proprietario iHt patres romani, voluto dal secondo re di Roma Numa Pompilio, si espande per progressiva usurpazione dei beni comuni, ossia di quei vasti terreni circostanti Roma che rxxl erano stati assegnati in proprietà privata ed erano comunque abitai. Michel Semes ipotizza che l'usurpazione dd comune tramite un atto abusivo di imposizione delia propria identità organicasu un bene di tutti fondi la stessa idea della proprietà privata. Chi sputa nel piatto in cui uÉti stanno mangiando conquista la proprietà delf intera zuppa (perché nessun altro ne vorrà più) e chi seppellisce ilcadavere di suo padre fuori dal campo adibito a cimitero cornune rivendicherà la proprietà esclusiva di quel campo dla sua linea successoria. Ancora oggi, come meglio ve-
antico di trasforma zione dd, qualitativo al quantitativo (ossia dall'ecologico all'economico) che Marx, nel Capitale, ha collocato alle scaturigini della modernità, descrivendolo come accumulazione originaria. Si tratta, a ben vedere, di un processo che difficilmente si può racchiudere in un
dremo, questo stesso antichissimo modello di usurpazione . l comune dapartedel privato più forte costituisce il motore dello sviluppo del più moderno capitalismo cognitivo e transnazionale (basti pensare per due esempi chiarissimi zlla pivatizzazioneprogressiva della rete Internet e al c.d. hnd grab in Africa), sicché il modello di accumulazione originaria è in realtà continuativo. Questa osservazione nulla toglie alf importanza dell'analisi sull'accumulazione originaria tanto in prospettiva storica quanto in chiave di comprensione dei beni comuni, soprattutto perché questa vicenda, coincidente con le origini della modernità, condiziona ancora oggi il nostro modo di pensare al politico (che non è più comune), ingabbiandoci nella tenaglia fra Stato e proprietà privata. l,-laccttmulazione originaria inaugura la modemità capitalista uscendo dal Medioevo attraverso due episodi di importanza epocale (non per nulla di Grande Trasforma-
)0
)l
Naturalmente
-
e la lunga storia della privatizzazione
della terra ne è testimone - gli aspetti qualitativi dell'esistere in una società fondata sulLo status possono trasformarsi
in elementi quantitativi proprio attraverso la recinzione dei beni comuni. Llintelligenza generale, che presiede agli aspetti ecologici della produzione, è la prima vittima di
questi processi. In effetti, èla pivatizzazione a trasforÀare rna comunità fondata sull'<<essere insieme>>, nell'interesse di tutti, in un mercato fondato sull'individuo che <> e accumula nell'interesse proprio. La trasformazione dell'essere di tanti nell'avere di pochi è un processo assai
zione paderà, proprio a,questo proposito, Karl polanyi). Entrambi questi episodi coinvolgono direttamente teni comuni e,soprattutto sono fondativi della percezione moderna della realtà. La modernità,, infatti, nàsce con la distruzione del comune e con la sostituzione universale del paradigma dell'avere a quello dell'essere. Insieme al comune, come accennato, muore anche l'intelletto generale, quello 9he presiede a an'organizzazione ecologlica e sostenibile della società . La lo glca dell' avere, infatti, punta all'accumulo privaro indipendentemente dai costi' Jociali che esso comporta, e che vengono scaricati su altri. Questa strategia produttrice di «effetti estern|> non è consentita all'intelletto generale (ossia quello del tutto e non delle sue parti) che presiede alla necessità di esistere (essere) tutti insieme, ossia di tutti gli individui e di tutte le co-
munità. Far rivivere il comune significa quindi rivalutare l'inteUetto generale, ucciso dalla modemità e dalla logica dell'accumulo. Una necessità oggi drammatica perla stessa esistenza del nostro pianeta, che purtroppo è ancor iungi dall'essere capira dalle classi dirigenti,-irigioniere dell'ipnosi della modern izzazione. I due episodi chiave di.questa vicenda, troppo noti per essere ripercorsi in dettaglio in questa sede, sono rispeìtivamente le < dei beni comuni e la,.conqriista» del Nuovo Mondo. Il più poderoso processo di recinzione dei beni comuni si svolge, non a caso, in Inghilterra, ossia nel paese che asli albori della modemità aveva raggiunto il più alto tasso di centraltzzazione statuale in Europa. E in effeni furono proprio le enclosures inglesi , segnàr. un momento importantissimo di quell'allean za stoica fra istituzioni della statualità e proprietà privata che ha stritolato i beni comuni, maryjnalizzandoli per secoli prima della loro riemersione contemporanea come <<effetto collaterale>> del nuovo medioevo. E noto come Guglielmo di Normandia
(ilConquistarore), vinta labattaghi ùHastings nel 1066, abbia rcakzzato in Inghilrerra un modello dilentrakzza-
)2
zione del potere statuale attraverso una struttura ammini§rativa gerarchica, accompagnata dalle prime istituzioni giudiziarie centraluzate volte a dispensare un diritto comune regio su tutto il territorio. E altrettanto noto anche ri più piccoli, essendo stato immortalato nel Robin Hood del capolavoro di \X/alt Disney, quanto questo modello afiahzzato fosse avido di tributi fiscali. Perciò non soltanto il popolo che viveva in miseria, ma anche la ricca mbiltà terriera, fatta dt baroni che erano srati gli iniziah, mdali del Conquistatore, risentiva di questo aspetto della mrtral:zzazione del potere. La Magna Charta del1215, msiderata dagli studiosi il primo documenro costituzionale dell'Occidente, riflette questa tensione. Tutti sanno che essa garantì rappresenranza poliilca alla nobiltà e alla proprietà pivata (il Padamento), mentre quasi nessuno sa che fu accompagnata da un documento, noto come Garter of the forest, che garantiva i beni comuni di quella parte dei sudditi di sua maesrà (la stragrande maggiòranza) che non godeva dr icchezza e di proprietà pivata.La Garter garuntiva al popolo l'accesso libero alle foreste e ell'uso dei beni comuni in esse contenuti (legname, frutta, selvaggina, acqua ecc.) conffo le pretese di chiunque, sovrano incluso, di riservade a se stesso per la cacciagiòne e lo svago. Questa precoce testimonianza dell'importanza dei beni comuni, che li colloca sullo stesso piaio costifraionale della proprietà priaata in uno dei più antichi e prestigiosi documenti fondativi della tradnione giuridica occidentale, non solo è oggi dimenticata, mala-galzrnzia costituzionale dei cornnons è stata probabiimenie la diryosizione di un testo costituzionale più disattesa della storia. E sappiamo bene quale concorrenza essa incontri da questo punto di vista, considerato quanto sovente le dichiarazioni di diritto conrenute nelle Costituzioni sono disattese! Certamente dal nostro punto di vista è importante osservare subito come ai tre prctagonisti politici del! grima stagione del costituzionalismo occideÀtale prima delle <> corrispondessero tre modelli pròprie13
tari: il sovrano, che in Inghilterra era considerato (ed è considerato ancor oggi) come proprietario <<eminente>> di tutto il territorio nazionale (il potere di espropriazione per pubblica utilità nella tradizione anglo-americana si chiama proprio <<eminent domaio>); i signori, a tutti gli effetti grandi proprietari terrieri privati, anche se tecnicamente dotati di forme concessionarie feudali di derivazione sovtana; i comrnoners, ossia quel popolo che <<er»> comune <> perciò soltanto beni comuni. Dopo la violentissima epopea delLe enclosures i modelli rimasero per sempre due, ossia quello dello Stato sovrano e quello dèlla proprietà privata. Con la morte dell'intelletto generale, q-uesti due modelli ancor oggi esauriscono il campo delle possibilità e sono presentati come contrapposti dalla dominante retorica della modernità: per il liLeralismo costituzionale lo Stato rappresenta il pubblico, mentre la proprietà, parudigma del privato, è fondativa del..mercaior. L. dr" nozioni dominanti, Stato e proprietà, pivata, colonizzano interamente l'immaginario, esaurendo rispettivamente l'ambito del pubblico e quello del privato in una sorta di gioco a somma zero: più mercato e meno Stato o più Stato e meno mercato sono le sole alternative politiche che esauriscono le opzioni e i programmi rispettivamente della destra e della sinistra parlamentari. Ma, lungi dall'essere contrapposte, queste nozioni sono figlie di una medesim a logica assolutistica e riduzionista che deprime il comune a favore dell'individuo, sacrifican-
e che
do l'idèntità (e l'intelletto) del tutto a quella delle sue parti.
Proprietà privata e sovranità statuale sono cioè figlie di una logica economica che emarginando il comune cancella la logica ecologica e umilia f intelligenza generale,
ramente, divenendo ideologia dominante del capitalismo e della modernità. Le recinzioni inglesi costituiscono I'archetipo delle privatizzazioni, ossia del <<privare>> i commo-
ters deiloro beni comuni. Anche etimologicamente, proprietà «privat» significa proprietà <>, <<sottratt»>, non più disponibile per chi un tempo ne poteva godere. l-avrolenza del processo fu inaudita e per un periodo di tempo significativo le alTeanze fra i tre protagonisti (Stato, proprietà privata e comune) furono tutt'altro che stabili. Gli storici ci consegnano infatti, quantomeno in una prima fase, non poche leggi dello Stato che cercano di vietare le czclosures, considerandole illecite espropriazioni di beni comuni appartenenti al popolo. Talvolta i conzmoners riuscivano ad ottenere tutela giudiziaria dalle Corti statali e ancor oggi quasi ogni villaggio inglese ha i suoi coTnmons. Questi grandi spazi, che un tempo servivano per ogni attività comune del villaggio, non solo di natura economica (sei conanzoru..s si facevano pascolare le pecore, si tenevano i mercati e si svolgevano le celebrazioni), oggi sono per lo più zone verdi. Ciononostante, l'alTeanza fra Stato e proprietà privata ai danni dei beni comuni fu sempre prevalente nell'ordinamento giuridico inglese e fu nettamente funzionale alla costuzione degli apparuti produttivi e ideologici della modernità. Tommaso Moro, scrivendo la
*aUtopia neltSl6,lascia
pagine indimenticabili di accusa alle recinzioni operate ai danni dei contadini a scopo di pascolo intensivo delle pecore necessarie per le nascenti manifatture tessili:
producendo soltanto pensiero unico: la logica implacabile dell'accumulo del capitale. La stagione delle enclosure.i, come si è visto, non ha data di nascita certa. In Inghilterra i primi fenomeni massicci awengono nel corso del XV secolo, ma è nel XVI, XVII e XVIIiche latenaglia ai danni del comune si chiude inte-
Le vosffe pecore [...] che di solito son così dolci e si nutrono di così poco, mentre ora, a quanto si riferisce, cominciano a essere così voraci e indomabili da mangiarsi financo gli uomini, da deva$are, facendone strage, campi, case e città. In quelle parti infatti del reame dove nasce una lana più fine e perciò più preziosa, i nohili e signori e perfino alcuni abati, che pur son uomini santi, non paghi delle rendite e dei prodotti annuali che ai loro antenati e predecessori solevano provenire dailoro poderi, e non soddisfatti di vivere ka ozio e splendori senz'essere di alcun vantaggio ù
)4
)5
pubblico, quando non siano di danno, cingono ogrri terra di stecconate ad uso di pascolo, senza nulla lasciare alla coltivazione, e così diroccano case e abbattono borghi, risparmiando le chiese solo perché vi abbiano stalla i maiali; infine, come se non bastasse il terreno da essi rovinato a uso di foreste e parchi, codesti galantuomini mutano in deserto tutti i luoghi abitati e quanto c'è di coltivato sulla terra. Quando dunque si dà il caso che un solo
insaziabile divoratore, peste spietata del proprio paese, aggiungendo campi a campi, chiuda con un solo recinto varrc migliaia di iugeri, i coltivatori vengono cacciati via e, imetiti da inganni o sopraffatti dallaiolenza,son anche spogliati del proprio, owero, sotto l'aculeo di ingiuste vessazioni, son costretti a venderlo [...] E una volta che in breve, con l'andar di qua e di 1à, hanno speso tutto, che altro resta loro se non rubare, per essere di santa ragione, si capisce, impiccati, o andar in giro pitoccando? Sebbene [...] anche in questo secondo caso vengono, come vagabondi, gittati in carcere, perché vanno attorno senza lavorare. Vero è che, per quanto essi si offrano di gran cuore, non c'è nessuno che Ii prenda a servizio. Dove nulla si semina, nulla c'è da fare pei lavori dei campi, a cui erano stati abituati. Un solo pecoraio o bovaro, se pure, è sufficiente per quella terra serbata a pascolo, mentre per coltivarla, per potervi seminare, occorrevano molte manir.
I
contadini venivano cacciati senza pietà. Le foreste chiuse. La spigolaturuvietata.La ruccolta di legna e quella di frutti punite come furto. I-espulsione dei contadini dalle tere trasformate in allevamenti (bisognosi di mano d'opera molto meno numerosa) fu una vera e propria tragedia sociale. Gli scacciati, ormai privi di occupazione e del sostentamento derivante dai beni comuni pivatizzati, avevano ben poca scelta: potevano dedicarsi al brigantaggio; potevano cercare di raggiungere centri urbani per dedicarsi all'accattonaggio; o potevano andare a incrementare l'esercito di riserva delle nascenti corporations industriali che per la prima volta stavano concenrando il 1
T.Moro,I|Utopia
o la rnigliore
1971, pp.42-43.
36
forrna di repubblica,Laterza,Bai
lavoro in proto-stabilimenti. Furono le necessità di queste ultime a dettare le politiche dello Stato e a sancirne definitivamente l'alleanzacon la proprietà privata ai danni del comune. Entro la prim apafie del XVIII secolo, la scelta di campo dello Stato fu chiara. Sulla scorta delle teorie fisiocratiche che dominavanola nascente scienza dell'agronomia, il fatto che la proprietà privata della terra favorisse la produttività agricola divenne un dogma. Una serie di leggi stabilirono le procedure da seguirsi per pivatizzarc i cornrnorus, di fatto legaltzzando quelle che semplicemente erano state per molto tempo pratiche violente fondate sulla legge del più forte. Non solo, ma la legge intervenne anche per addomesticare le masse degli scacciati, convertendoli in lavoratori salariati, attraverso lo sviluppo di istituzioni come carcefi, manicomi e case pef poveri. Bisogna infatti considerare che il passaggio da un'esistenza comunitaria di tipo qualitativo a una individualizzata di tipo quantitativo non poteva essere accettato di buon grado, né poteva essere agevole. I-lesistenza nella comunità contadina, come si è visto, si fondava su rapporti interindividuali e con la natura che erano di tipo qualitativo ed ecologico. Il contadino metteva intelligenza nella sua attività, riposava durante la brutta stagione, dedicava un numero relativamente ridotto di ore al campo potendo approwigionarsi di risorse spontanee della foresta. Il lavoro era diviso secondo le capacità, e la comunità si faceva carico delle esigenze di sostentamento anche dei più deboli fra i suoi componenti. Al contrario, in fabbrica il lavoro era sempre uguale, ripetitivo e senza inlelligenza. Non c'era rapporto con la natura e con l'aria apefia. Occorrevano fotzafisica, prcstanza.e continuità oraria di impegno. In fabbrica gli operai non erano comunità. Spesso non provenivano nemmeno dagli stessi luoghi. Gli orari di lavoro durissimi e la sorveglianza intransigente non davano tempo per comunicare e approfondire rapportidtamicizia. Nessuno si faceva carico di chi fosse debole, infortunato o incapace. Il contadino, vissuto sempre in campagna in rapporto
)7
*r{nr;ro con la terra, non voleva o non poteva adattatsi 8q@rmva condizione di salariato' Occorrevano per-
ummti
coercitivi in grado di trasformare l'orizzonte di un pastore o agricoltore in quello di un opemÉrslrrirto. Strumenti che nel tempo di poche generazio-
frril*rrn'lp
ninnmfosero a trasformarelapercezione stessa della vita' [ru b &co, attraverso il sistema giuridico, ad offrire alla itl pirvata - ora organizzata dinamicamente nella ;,"-.="r= iipt tu - gli strumenti coercitivi indispensabili pelché il programmà di modemizzazione contraddittoriarne'rte chiamàta liberale potesse avere successo. Una serie fi kg'gi draconiane - le <<poor laws>> - si fece carico di col-
Ée, aon darezzainusitaia, le masse uq-tempo c-ontadine od oo nullafacenti che confluivano nelle città. I deviand e i n-belli, che ponevano in essere comportamenti non
@i
dla nuova disciplina, spesso venivano intemati in La fantasia punitiva era molto sviluppata, tanb che ndla Costituzione arrcicanavenne introdotta una damh conuo il c.d. <
,,,..icmio-
orima di essere rinchiusi nelle nascenti istituzioni totali così Lo do.rit. da Michel Foucault. Il carburante per la rivoluzione industriale e il decollo del capitalismò occidentale non derivò, naturalmente, solo dalà recinzioni inglesi, che pur furono cruciali nel saldare l'allaozainossidabile fra Stato e impresa prwata' La conquista e il saccheggio delle Americhe portarono ingenti capitali freschi, elatratta degli schiavi africani com[t"tO it g.ande triangolo della prima globalnzazione. Le navi carilche di manufatti da vendere ai ricchi trafficanti africani salpavano da Southampton e dagli altri.porti inglesi, riparàvano per le Americhe cariche di schiavi per i. piantagioni e faìevano ritorno ln patria cariche di ori, g,i*o, zicchero, tabacco e talvolta ancora schiavi. Così i. regole costitutive dell'economia capitalistica, fondate sulla*privatizzazionea favore di pochi di quanto la natura 38
tutti (risorse naturali e libertà individuale poste su scala globale. furono di accedervi), Un poderoso apparato ideologico si mise in moto per aveva donato a
legittimìre questa organizzazione violenta (la stessa strutnla che, mitatis muiandis,ancora ci governa). Esso ebbe come protagonisti i massimi intellettuali dell'epoca, tutto Iiolimpo deititani del pensiero giuridico, politico e soprattutto économico contémporaneo. Non è questa la sede per discutere nel dettaglio un'evoluzione culturale - quella coincidente con la c.d. rivoluzione scientifica - che portò al progressivo abbandono di ogrri ffaccia di pensiero oli stièo e qualitativo (considerato da Galileo in avanti medievale e pre-scientifico) afavorc di una visione quantitativa e riduiionistica del sapere, ossessionata dalla misurazione oggettiva. La logica del positivismo scientifico cartesiano siìnpadronì delle nascenti discipline accademiche, e gli spettàcolari trionfi della tecnologia produssero un penJero unico destinato a durare, nelle c.d. scienze esatte, fino alla prima parte del XX secolo (e fino.ad oggi nelle scienze sàciali). Nella temperie culturale della rivoluzione scientifica, quando a Londra Isaac Newton godeva dello status e del prestigio di un semidio, le cosiddette scienze sociali comiÀciarono ad emanciparsi dal diritto e dalla
fi
hsofia, divenendo discipline autonome dotate di statuto scientifico quantitativo. Prima fra tutte l'economia, vera e propria sciénza dello sfruttamento delle risorse naturali e &[. forr. produttive, che vide i natali con Adam Smith e David Rièardo, Oggi la <> delle scienze sociali, e un secolo dalla dismissione del parudigma newtoniano nelle scienze c.d. esatte, non ha saputo svilupparsi olffe il paradigma riduzionista, né adattarsi-al nuovo paradigma ècologico (prodotto della visione della terra come entità viva, éaia)-che rifiuta nettamente (proprio come fanno relativismo e quantistica) tanto la distinzione fra fatto e yalore quanto quella fra soggetto e oggetto. Agronomi eà economisti liberali teorizzarono allora p-pIo come ancor oggi fanno la Banca Mondiale in Afri-
)9
-G-in Sud America - la proprietà privata sulla terra e la trasformazione di Gaia (o Pacba-
ca ed Hemando De Soto
rua*a) in <<merce>>, apprezzable in astratto in base al suo rendimento produtti.rò «oggettivamene quantificabilo>' In effetti, insieme dla creaitone del denaro e del salario (per unità astratta di lavoro), la trasformazione della terra iÀ *.r.. fu una delle grandi invenzioni che, fondando la visione del mondo della modernità, ancora ci dominano' La tena, fisicamente unica in ogni suo appezzamento in
quanto porzione della superficie terresffe che occupa uno spazio non riproducibile,è in naturabene comune ambientale per ....-ll*rr, perché necessaria a sostenere la stessa vita ln collettività lu trr" riproduzione. La sua mercifica" riducendola a oggetto astratto zione è possibile soltanto dalle soggettività che vi abitano' ontologicamente separato perciò un prodotto cultuè tema Jella La meicificazione rale nettamente ascrivibile alla visione del mondo fideisticamente tecnicistica e positivistica della prima modernità' Nella logica quantitativa che fonda questa visione,-il rapporto frll'uomo (portatore di diritti individuali) e la terra che quello di dominio privatq, teoizzato no, pot"uu "ssere dalla filosofia politica liberale proprio in contrapposizione col comune. §ignificativament., un ricco dibattito sullo <<stato di t ut t- si sviluppò agli albori della modemità' Tanto Hobbes quanto Locke, campioni rispettivamente della primazia dello Stato e della p-roprietà privata come srumlnti primordiali di uscita dallo stato di natura, offrirono q.ràdti a tinte fosche di una società fondata sulla comunione delle ricchezze.Lametafora del comune come luogo del disordine originario, della guerra di tutti contro"tutti, dell'assenza didiritto, dello stato di brutalità in coi ogni organizzazione civile era impossibile, divenne la nanitivadaminante in una genealogia continua che va da Hobbes fino alla Tragedia dei coruuni di Garrett Hardin' Certo, accanto a questa rraffativa ne fu sempre presente un'altra, capace di emergere di tanto in tanto come un fiume carsico, talvolta perfino capace di produrre una 40
forza politica dalla vocazione contro-egemonica (Thomas Miintzer, le rivolte contadine, i livellatori, la Comune di Parigi,le attuali lotte per i beni comuni dei contadinisenza t .rrJ. Q.r.tta controlnarrativa volta avalorizzateil comune vantà a sua volta una genealogia illustre' Alcuni esempi senza pretese di completezza: gliantichi Padri della Chie,", .hé insistono sul dono originario di Dio tutta l'uma^ niia (ma già con san Tomrnàso, che seguiva l'Aristotele priprgnlietà la platonig-o-, polemico con il comunismo Tommaso di l' top ia U riabilitata) ; iata sarà perfettdmente Moro, coèva alle enclosures; il «mito del buon selvaggio>>
del Rousseau de\7'Origine della disuguaglianza, che con il socialismo utopistico di Proudhon condivideva la visione della proprietà privata come furto di beni comuni' Irogni caso, che lo si voglia vedere come un aspetto negativJ (Locke) o come un aspetto positivo (Rousseau), il s"elvaggio non conosce la proprietà p rvata e la sua condizionJlottica è fondata sulla condivisione di beni co-
muni alllinterno della sua tribù. Importante è osservare, a questo proposito, come sia proprio questa caratteristica dei «selvàggior> ad averlo reso oggetto di ptivatizzazione e di mr.*iÀ".nto, La conquista, che ancora nel XVI secolo doveva produrre un impònente (ancorché inutile) dibattito accad-emico fra i giuristi spagnoli circa la sua legittimità, non sarà accompagnata da alcuno scrupolo nel secolo successivo in Nord America. IJideologia dell'individualismo proprietario, profondamente radicata nello spirito razionaliita protestante, che con Ugo Grozio conquistò completaménte la teoria del diritto naturale e fondò il moderno diritto intemazionale, non lasciava più spazio ad alcun dubbio, seppur accademico. Ogni uomo ha diritto esclusivo alla pioprietà privata di quanto produce e un diritto naturale à roit.u...ìalla comunione originaria il frutto del suo lavoro e dei suoi commerci. Per Locke e molti ùtrr, gh' indiani, non conoscendo la proprietà privata, dimostrano di essere selvaggi ed.è perciò nel loro stesso interesse che si compie la coiquista. Il territorio indiano, bene comune
4t
Ir-L
degli indigeni - che vi vivevano in mirabile equilibrio ecologico, sostenuti da un'intelligenza generule di lungo periodo -, viene così qualificato giuridicamente terrd nullius e in quanto tale liberamente occupabile secondo il diritto di natura. Lo sterminio e il saccheggio che seguirono alla mercificazione di beni comuni altrui trovarono nei padri fondatori del liberalismo (che ancor oggi domina, senza alcun segnale di pentimento, il pensiero occidentale) non solo gli apologeti ma anche gli istigatori, in nome della
produttività economica. Purmoppo, anche laddove la polemica nei confronti della proprietà privata e delle conseguenze genocide del pensiero liberale produsse rivoluzione politica, fu lo Stato a beneficiarne e non i beni comuni. In Occidente essi rimasero relegati a un'esistenz a cadetta, certo non priva di impoftanza - come dimostrano per esempio in Italia gli studi di Paolo Grossi -, ma incapace di articolarsi in un progetto politico vitale ed alternativo in grado di sotrarsi allatenaglialetale di proprietà pflvarta e Stato. In effetti, la teoria politica della modernità conferma 1o strettissimo rapporto strutturale fra proprietà ptivata e sovranità statuale ai danni dei beni comuni. Ancora una volta è l'invenzione della territori4lità come principio fondamentale dell'assolutismo giuridico moderno a produrre questo fenomeno. Già abbiam visto come in una società fondata sullo status il principio che più naturalrnente connette l'individuo al diritto sia quello drpersonalità. Uindi-
viduo parte integrante e inestricabile di un gruppo porta con sé, ovunque si trovi, il legame identitario giuridicopolitico con quel gruppo. E il gruppo a produrre le regole per l'individuo, che costui riconosce come legittime. Cerio, quando viene meno la stanzialità,, condizione tipica di una società fondata su)lo status, viene in gran pafte meno anche il controllo del gruppo sulf individuo, sicché il suo rispetto delle regole non sarà oggetto di quel controllo diffuso (a volte sentito come opprimente) che carutteirzzala società di villaggio. Parimenti, con l'allontanamento fisico 42
in contatto con altri gruppi stanziati ro ultrl territori e inevitabilmente rispetterà, per uil -4i
f individuo entrerà
corrtig"ita territoriale, determinate regole, .diverse dalle
orooii" personali. Cosi il viaggiatore musulmano rispeti"rà ul.,rt. regole degli infedeli nel cui territorio venga
a trovarsi, o il-mercanle fiorentino si adatterà ai costumi (per esempio alla valuta) del mercato estero-in cui si trovi
,i
op"rurè. il principio di territorialità del diritto diventa p.r.iO ptogt"rrirr-è.rt. più forte in proporzione all'affiei.U.ri à.fi-pott*za délo status,perché è evidente che nessuno ,uprà ,.o.g"re Ia condizionè - libera o servile, di contadino o di allevatore - di -.r.u"r. o di .hià.o,daldi proprio luogo di provenienza' un viandante lontano (anzi crea il nuovo status), i lo staius I d.ruro sostituisce e si indiviconrattualizzano si irpp"ttl progressivamente questa osserva(Sumner celebre reso ha Maine diubzzaio in imporsi ad tenderà di territorialità principio il e zione) opp"*o càn h àobilità degli individui. I" tq99? moderna ù giurisdizione (iuris-diciio,ossia il potere di dichiarare q"A."ti, it diritto che si applica adlrdato conflitto), del t rt,o .o-putibile con il principio di-personalità, acquista caratterinettamente territoriali e lo Stato moderno rivendi.h.ta presto il potere di ius dare (ossia di creare diritto Jsuo tàrritorioie non più soltanto quello dichiarativo di iis d.icere,tipico dell'ordine medievale' Con l'assolutismo eiuridico, proprio dell'imporsi della statualità sovrana, io Stato ii*"dicheta giuriidizione esclusiva e dichiarerà g".tt, ogni fedelti giuridica diversa dal principio di "a territori"alità ci appare oggi come una forierritorialitàlla ma giuridica tanto elementare quanto naturale' _.-f,iegr*.
forte fra le teorie dèlla sovranità e.quelle della oroorie"tà è agevole da scorgere' I teorici della sovranità irrr"t" assolJr, da Machiavelli a Bodin a Hobbes, non J"borurot o le proprie teorie in un vuoto di materiali' Da secoli i siuristi iomanisti e quelli di comrnort lata, nccolti rispettirramente fin dall'Xl secolo d.C. intorno alle università e ale corti regie, affinavano un ricco arsenale pratico 4)
di regole e teorie volte a tracciare i confini fra individui proprietari soVrani; Infatti la tradrzione giuridica occidentale pone le sue radici, cinque secoli prima di Cristo, nell'assegnazione di terre in proprietà privata a patres rcmani, capi clanici sovrani assoluti sui territori loro assegnati, legati fra loro da un patto costituzionale volto a prevenire conflitti armati (ne ciues ad arrna ueniaru.t) e fondato sul rispetto sacro del territorio. Questo modello politico andò progressivamente gi:uridtcizzandosi e produsse, per la prima volta nella storia, un ceto di giuristi professioni sti deputati a dirimere controversie sempre più complesse legaté ai rapporti patrimoniali fra i patres. Nel VI secolo d.C., dopo mille anni di evoluzione del diritto romano, l'imperatore Giustiniano, la cui Corte era ormai a Costantinopoli a causa delle invasioni barbariche, raccolse una selezione delle opinioni dei più celebri fra i giuristi in una compilazione, i. Corpus luris Ciuilis, destinata a divenire il libro giuridico più celebre dell'Occidente. Quest'opera, riemersa dall'oblio nell'Xl secolo, fu la base dello studio giuridico presso le nascenti università europee' Al cuore
della compilazione giustinianea e dell'intera tradizione continentale si collocò così la proprietà privata,vista come potere sovrano di un individuo sul suo territorio e sui suoi teni. In questo quadro la struttura del giudizio civile non poteva che nascere come un gioco a somma zero, in cui le utilità di ciascun bene conteso appartenevano o all'attore che agiva in giudizio o al convenuto che vi resisteva. Questa stessa struttura si riprodusse tale e quale in Inghilterra perché Guglielmo il Conquistatore, proprio come il leggendario secondo re di Roma quindici secoli prima, divise le terre fra gli armati che lo avevano aiutato nella conquista e fu poi costretto a creare una struffura per dirimere le controversie fra questi e garantire la solidità politica del suo regno. E anche qui l'amministrazione del
ria della proprietà pivata, visto che ll loro stessa esistenzaerulnimarnente connessa con l'affermazione storica di quest'ultima (ai danni dei beni comuni). Una delle pi,g-9ele-
b.i d.tit irioni di proprietà privata ci viene così da Villiam Blackstone - il più noto giurista inglese modetno, grosso
modo coevo di Adam Smith, che scrisse nel tardo XVIII secolo - e discende direttamente dalla tradizione giustinianea (srazie all'influenza della scuola del diritto naturale olanJese). Secondo Blackstone, che fu giudice e professore di
Diritto inglese al collegio All Souls di Oxford, . I-lesclusione degli dtri,la pivazionedel loro accesso, il dispotismo arbitrario e idiosincratico del titolare costituiscono dunque l'essenza del dominio. Sul piano ideologico Blackstone, figlio del razionalismo del suo tempo, chiude definitivamente i conti con quel medioevo giuridico che aveva dovuto compiere dorziintellettuali notevolissimi per far convivere la semplicità individualistica del diritto romano con la complessità di un mondo feudale in cui I'espeienza umana, tnnanzitutto comunitaia, apparteneva alla terra (e alTa natura) e
gioco a somma zero (se la proprietà non spetta all'uno spetta al7'altro) fu affidata ai giuristi, i quali da sempre erano abituati a non porre domande sulla legittimazione origina-
non viceversa. Celebrando l'esclusione egli chiude con un mondo dominato dai beni comuni e si iscrive fra i cantori della modernità. Egli non solo ttihzza quegli stessi materiali del diritto romano che stavano sulla scrivania di ogni uomo di cultura rinascimentale, ma traccia un parallelo, quello fra proprietà e sovranità, che sarà destinato a dicelebre. Così come i1 proprietario sui suoi beni, "iotrr. b Stato moderno asserisce dominio solo e dispotico - in una parola sovrano - sul suo territorio' La sovranità statuale e la proprietà privata hanno struttura identica, quella dell'escluiione e dell'arbitrio sovrano. Enmambe non sopportano limitazioni, se non quelle dettate dall'esigenza di ònvivere con altri sowani (proprietari o Stati) su territori contigui, risolte nel gioco a sofitma zero della tradizione giuri&ca. Entrambe anelano alla semplicità decisionale (e L fonduno sul decisionismo gerarchico) e aborriscono la
44
45
_l complessità olistica tipica del comune. proprietà privata e Stato moderno divengono alleati naturali contro il iomune,
come dimostrato dall'epopea delle enclosures. La loro al-
leanzaè in verità paradossale, perché entrambi rivendicano |'assolutezza sullo stesso (uniio) appezzarnento di crosta terrestre. Essa tuttavia, ancorché storicamente mutevole, si dimostra solidissima, perché a sua volta si basa su un semplice gioco a-somma iero nel quale l'una o l'altro possono
Capitolo terzo
TRA LESSERE E UAVERE. FENOMENOLOGIA DEL COMUNE r
prevalere nel singolo_episodio confliftuale, ma sempre si rafforzano a vicenda. Se non prerrale lo Stato prevale É proprietà privata e se non prevale la proprietà privata prevale
lo Stato. I.giuristi, dominanti tanio nel.rrorrdo .rpitulirtu quanto nella parentesi socialista , fotmalizzano e cementa-
no quest'alleanza conteorie sofisticate che confermano l,esclusione del comune, incompatibile con una logica a somma zero che, come abbiam visto, ha radici lontÀissime. A seguito delle recinzioni, per un fenomeno centrale allo stesso sviluppo della coicienza della modernità, i
beni comuni sono stati espulsi, cancellati come categoria politico-culturale dotata di una qualunque dignità àstituzionale. Soltanto Stato e propiietà piivata, presentati come fra loro in confliffo, ma in realtà complicì nela distruzione del terzo fattore, sono presenti nègfi orizzonti
del costituzionalismo moderno. Tutte le Costiltuzioni mo-
derne contelgono garunzie per la proprietà privata nei confronti dello Stato sovrano. Soltanto quella to[viana e g","lk ecuadoregna ripristinano i beni comuni fra i luoghi
del diritto costituzionale.
Nel precedente-capitolo ho cercato di dar conto della po_ sizione di grande sofferenza in cui i beni comuni sonoie_ nuti a trovarsi nella modernità. Ho affermato che la stessa modernità nasce con quel fenomeno di mercifi.urior. uiolenta dei beni comuni (soprattuùto della rcsra viva: Gaia) che trova nelle enclosuleringlesi e nella conquista i suoi momenti fondativi. Nella cultura politica dell,Illuminismo i beni comuni sono esclusi dal novero delle categorie po_ liti.che e giuridiche rispettabili e vengono relegati"a tuoglri dslor-e-moderno, del-selvaggio e dél medi.,ràle tanto?a chi è favorevole quanto da chi è contrario ,ff, pr"pii.ìa pivata. Del resro, la separuzione fra politica e di;ift;, ;;si
come quella fra le varie dis-cipline delie c.d. scienze sociJ, sono sostanzialmente prodotti della modernità che rrr.o_ oo sulle ceneri dello smantellamento ,.i."iifi.o
tp;ili;;,
giuridico, economico e tecnologico) dei beni comuni. Ii comune cessa di essere uno statuto epistemologico dei beni.avente pari dignità rispetto ,l prbblico ,I"p.*uto.
La Marca tedesca, la partecipanza émiliana, il" maio altoÈrT,Iro, gli usi civici o i commons inglesi sono considerati residui anacronisrici di un rempo loituno. I beni possono essere pubblici (cioè apparrenenti a organizzazioni pub_ bliche come lo Stato) oppure privati (Iio. app"rtenenti a indir.idui o persone giuridiclie private). N;; p*r;;;
tertiuru non datur. Del resto basta leggere le regole dedicate alla comunione in qualsiasi Codice civile (la forma giuridica più squisitamente rappresentativa della modernità) per percepire lo sfavore e la damnatio di questa forma giuridica, considerata quasi come una patologiaarcuca da sanare il prima possibile: <>, re-
orse. In effetti, diritto ed economia (ma anche purtroppo hfilosofia anahticae la scienza politica dominanti) fondaoo la propria <<scientificità>> nell'assumere la distribuzione iriqua delle risorse (prodotta dalle enclosures) come un dato di fatto,unaspecie di realtà naturale, come il sorgere o il tramontare del sole, cui solo gli utopisti - e non gli
cita perentorio l'art. 1111 del Codice italiano. Qresto atteggiamento della modemità si fonda molto
-
scienziati guidati dal supremo valore del realismo - posson pensare di porre rimedio. Poiché la modernità illuminista (e il costituzionalismo
seria il lascito culturale della tradrzione moderna che ci ha consegnato il costituzionalismo liberale. Compreso in questo lascito vi è sicuramente la «de-legittimazione» dei beni comuni che, qualora sottoposta a serio vaglio critico, comporterebbe la necessità di ridiscutere radicalmente gran parte delle categorie giuridico-politiche della modernità, compresa - anzi soprattutto - la questione tabù per diritto ed economia, ossia la giusta distribuzione delle ri-
il nostro modo di pensare, i suoi laculturali creano l'immaginario dominante la nostra quotidianità e hanno quindi un immenso potere politico di costruzione della realtà. La nostra realtà è costruita htomo a categorie del possibile che escludono i beni comuni proprio perché la loro privatizzazione, continua e progréssiva a scapito della natura e degli altri esseri umani (" rèopo di crescita o di sviluppo economico), è considerata un dato naturale, non solo certo e irreversibile ma mche desiderabile. Restituire dignità politica e culturah ai beni comuni significa fondare il discorso politico e giuridico su un'altra realtà, quella di un mondo e di una o.tom che non possono <> a qualcuno soltento, ma che devono essere condivisi e accessibili a tutti. Significa riconoscersi, come talvolta si dice, in un'altra oanativa, secondo la quale prima vengono gli interessi di tutti (umani e non), concepiti come un ecosistema di relazioni di reciproca dipendenza, e solo successivamente gli interessi individuali. Poiché §li individui non sono neppure materialmente concepibili come monadi isolate (in natura, l'individuo solo necessariamente soccombe e muore), i beni comuni smascherano gli assunti irrealistici dell'individualismo borghese. Il loro riconoscimento promuove la costruzione di un immaginario comune in cui la Iibertà individuale va considerata come parte del mondo dell'essere, consistente nella facoltà di accedere e godere dei beni comuni e delle relazioni sociali comunitarie (e politiche) che essi rendono possibili. La libertà nell'es-
48
49
probabilmente sulla rimozione psicologica dell'inaudita violenza che ha catatterizzato I'accumulazione originaria e che ha visto come complici ed istigatori la più parte dei pensatori che ancor oggi ammiriamo e che fondano il nostro immaginario liberale. Oggi tendiamo ad assolvere Locke o i padri fondatori americani per esser stati schiavisti e ruzzist1 e proviamo fastidio se cosftetti a riconoscere che lo sviluppo capitalistico occidentale si è fondato sul saccheggio dei beni comuni. I-?operazione di rimozione di questo fastidio passa attraverso la storici zzazione e successiva assoluzione del pensiero liberale per gli eccessi dell'individualismo proprietario. Assolvendo i padri fondatori della modernità in quanto figli del loro tempo, implicitamente asseriamo che gli eccessi dell'accumulazione origsnaia (enclosure s, conquista, sfruttamento, schiavismo) sono a loro volta parte di un passato lontano e irripetibi le. Purtroppo così facendo non solo chiudiamo gli occhi sul fatto che tali eccessi sono con noi ogni giorno (basta anahzzarc le relazioni industriali nell' econom ia glob ahzzata), ma soprattutto non sottoponiamo ad alcuna critica
fiberale) struttura
riti
sere va nettamente separata dalla brutale soddisfazione
degli appetiti acquisitivi dell'avere per accumulare. Una naffativa che si fonda sui beni comuni rifiuta perciò di collocare al centro del sistema politico tanto la proprietà privata quanto lo Skto, visto che quest'ultimo, fondato sulla stessa struttura, da sempre presiede alla privatizza-
rapporto alle uguali necessità altrui, proprio come awiene quando siamo invitati a un buffet, dove ciascuno deve prendere in considerazione le esigenze di tutti, evitando dringozzatsi smodatamente nel minor tempo possibile di tutto ciò che più stuzzicail suo appetito. I-individualismo proprietario tipico del pensiero della modernità celebra come desiderabile e promuove ad esercizio di libertà fon-
zione dei beni comuni adoperandosi per ampliare la sfera della proprietà. pivata.In un mondo di risorse finite l'accumulo può logicamente awenire soltanto sottraendo al comune, e dunque tramite un comportamento strutturalmente antiecologico, ossia conffario all'interesse della comunità naturale. Or,rriamente, privilegiare la dimensione dell'essere su quella dell'avere è anatema per la struttura fondamentale del capitalismo dominante, perché riduce il consumo e la conseguente possibilità di privatizzarc i. surplus economico prodotto dalia trasformazione di beni comuni in utilità private. In effetti un consumatore, ogni volta che soddisfa un qualsiasi desiderio sul mercaro, per esempio acquistando un nuovo computer, privatizzabeni comuni, perché quel computer sarà prodotto trasformando beni scarsi che si trovano esclusivamente in natura come un dono che nessuna tecnologia è in grado di riprodurre. Egli, per esempio, trarrà utilità privata dagli idrocarburi, talizzati per produrre la plastica; da grandi quantità d'acqua, indispensabili per il raffreddamento dei processi produttivi; dalle cosiddette teme rare (per esempio il coltan, impiegato per produrre i microchip), che si trovano in luoghi del mondo (quali il Congo) devastati per lo sfruttamento brutale di queste risorse. È proprio questa continla azione drprwatizzazione di utilità donate dalla natura (a tutti, e non soltanto a chi può <> economicamente sul mercato) che erode in modo irreversibileilgrande tesoro che Gaianasconde da miliardi di anni. Tale attività dipfivatizzazione delle utilità è necessaria per la vita e in questo senso può certamente considerarsi ecologica, visto che Gaia è un pianeta vivo e la vita umana ne fa parte. Essa tuttavia va sempre valutata in
muovono le teorie realistiche contemporanee, a ben vedere, si fonda su tre grandi frnzioni (l'invenzione del denaro, hmercificazione della terra, resa un bene fungibile nonostante il suo essere ontologicamente unica, e l'astrazione del tempo-lavoro), che sono condizioni di possibilità di comportamenti antiecologici di accumulo quantitativo. Non è per nulla un caso che molte popolazioni nella storia umana, diversa dalla circoscritta fase del capitalismo egemonico, siano state capaci di vivere per secoli in mirabile equfibrio ecologico con la natura, essendo dotate di quell'intelligenza comune che i'individualismo possessivo della modernità ha prima delegittimato in teoria e poi eroso progressivamente nella pratica. Ora, quando al centro della scena si pongono i beni comuni, è proprio la realtà r.afrJralzzata e resa egemonica dal mondo capitalistico in cui viviamo ad essere posta in questione. I-lattenzione e la piena comprensione dei beni comuni consentono di scorgere una diversa realtà, la possibilità di diversi rapporti sociali fondad sulla soddisfalione di esigenze dell'essere e non soltanto dell'avere. In una pada, porre i beni comuni al centro della scena significa dire che «un altro mondo è possibile>». Non solo, ma una teorica dei beni comuni, rifiutando la mercificazione e lo sfruttamento e rivendicando le condizioni ecologiche dell'esistere in comunità, si fonda su un'altra realtà, che pone in discussione radicalmente il pensiero dominante dicendo
50
51
damentali proprio il comportamento di accumulo brutale, indifferente alle esigenze altrui sulla base di singolari teorie economiche che si fondano sul paradigma della crescita < su cui si
infinita su un pianeta finito. La
che un altro rnorudo è necessario se vogliamo salvare il nostro pianeta. Ormai i dati che abbiamo a disposizione sono precisi e concordanti nel denunciare l'assoluta insostenibi-
stessa separabilità fra l'essere e l'avere, così come quella fra il soggetto e l'oggetto, viene posta in discussione da una teoria politica che ponga al centro i beni comuni. Dal punto
htà ambientale della logica del brevissimo periodo, figlia
di vista fenomenologico, infatti, i beni comuni non possono essere colti se non liberando la nostra mente dai più r adtcati fra gli schemi concettuali con cui siamo soliti interpretare la realtà. Per questo essi resistono a una concettuùizzazione teorica scompagnata dalla prassi. I beni comuni divengono rilevanti in quanto tali soltanto se accompagnano la consapevolezza teorica della loro legittimità con una prassi di conflitto per il riconoscimento di certe relazioni qualitative che li coinvolgono. In altri termini, i beni comuni sono resi tali non da presunte caratteristiche ontologiche, oggettive o meccaniche che li catatteizzetebbero, ma da contesti in
della modernità, che inesorabilmente condanna il mondo catastrofe - per mancanza di intelligenza comune - allalivello genetinale. Ricreare questa intelligenza comune a pradche rale richiede la piena salvaguardia di moltissime locali di governo ecologico dei beni comuni, al fine di riparurequella rete della vita che I'ideologia della modernità àontinuà a spezzarc ponendo I'interesse delle parti al di sopra di qu.llo del tutto (anzi, insistendo a vedere il tutto come un mero aggregato delle parti che 1o compongono).
Ricreare I'intelligenza comune presuppone necessariamente il riconoscimento dei beni comuni, il che comporta una critica agb atteggiamenti culturali che li hanno relegati
per secoli in una dimensione di marginalità. In un certo i.r.o, laddove l'Illuminismo si è legittimato convincendo l'umanità di averla svegliata dal sonno e dalla superstizione medievale, oggi, quasi in una nemesi storica, il riconoscimento dei beni comuni (su cui si fondava in gran parte lavitamedievale) può aiutarci ad aprire gli occhi rispetto alla superstizione tecnologica prodotta dal delirio di onnipot"ni^della modernità illuminista che ancora ottenebra le nostre menti di consumatori. Un bene comune, a diffetenzatanto della proprietà privata quanto di quella pubblica (appartenente allo Stato: proprietà demaniale), non può concepirsi come un mero oggetto, una porzione tangibile del mondo esterno. Non prrà.rr"." colto con la logica meccanicistica e riduzionistica trpicadell'Illuminismo, che separa nettamente il soggetto dall'oggetto. In una parola, non può essere ricondotto
mòd.ma di merce. Il bene comune, infatti, esiste soltanto in una relazione qualitativa. Noi non <> un bene comune (un ecosistema, dell'acqua), ma in un certo senso <<siamo>> (partecipi del) bene comune (siamo acqua, siamo parte di un ecosistema urbano o rurale). La alf idea
52
cui essi divengono rilevanti in quanto tali. Di qui l'estrema ampiezza e flessibilità della nozione, ed anche la difficoltà di racchiuderla nelle tradizional-j classificazioni giuridiche (beni, o servizi?) o politiche (destra o sinistra?). Per esempio, una recente manifestazione sindacale in Italia era intitolatall kaoro è un bene comune. Una tale affermazione non avrebbe avuto alcun senso in una logica tradizionale, abittata a vedere il lavoro come oggetto di un contratto (ancorché collettivo) o come un diritto della persona. Tut-
di
tavia, il contesto di una prassi di lotta volta a difendere il ritto di tutti a lavorare in condizioni <>, a fronte delle esigenze di profitto proprie di una multinazionale che asserisce di voler competere sul mercato globale, fa cogliere agevolmente il senso di una tale affermazione.
Il lavoro va tutelato come bene comune di una collettività (nel cui ambito opera un'impresa). Il bene comune lavoro richiede che le persone siano occupate in modo qualitativamente accettabile e coerente con il pieno rispetto dei diritti costituzionoh.In altri termini, vedere il lavoro come bene comune significa porre al cenffo le esigenze della
collettività in cui awiene la produzione, adoperandosi in uno sforzo collettivo di soluzione dei problemi ad esso sottesi. Il lavoro come bene comune non è né un oggetto (mer-
5)
t I !
ce, entità astatta) né un astratto diritto soggettivo, bensì un'entità collettiva (comune appunto) . .o,it.rtruie, allo stesso tempo condizione dell'essere e del produrre (avere). Il lavoro come bene comune non è fine à se stesso, ma è entità necessariamente funzionale alla quahtà dell'esistere in un determinato contesto (ecosistemà), du t.rtelarri n.i confronti sia del capitale privato (proprietà) sia del siste_ ma politico (governo), *.gSl capiìale privato sempre più
frequentemente succube. Il fine precipuo della aif"ruà"I lavoro come bene comune è quelà di cànsentire ailavora_ tori l'accesso a un'esistenza libera e dignitosa nell,ambito di u1a produzione ecologicamenre sosÉnibil., per9i9 pienamente anche i diritti di chi non lavoru(ancora o più) e in quella comunità vive. è
;h.;i;
questo esempio mostra, .beniCome comuni
la fenomenologia dei
è nettaménte funzionalisdca, nel ,.""ro .lo essi divengono rilevanti per un particolare fine sociale coe_ rente con le esigenze dell'ecologia politica. I beni comuni richiedono perciò una percezioÀe oiistica, che ne .olgu up_ pieno gli inestricabili nessi con la comunità di.if".irià"lo e con le altre comunità ad essa contigue o che ad .rru ,i sovrappongono. Essi non possono in alcun caso essere og_ gettificati. Ecco perché alCune delle classifi cazioniche .J_ mmcrano_ a emergere riguardo ai beni comuni _ quali per esempio beni comuni naturali (ambiente, ucqua, ària
i.r_
ra) e beni comuni sociali (beni culturali, memìria ,rori'.u,
sapere), o ancora beni comuni materiali (piazze, giardini o immateriali (spazio comune defweb) _"a."o"o
pubblici)
essere oggetto
di riflessione critica approfondita e vanno
urbanistico, ma Io è in q_ua-1to Juogo di accesso sociale e di scambio esistenziale. bim.ru *'r.bf"*r.pr.rre i tratti fisici da quelli sociali di una pr^*i,, A""frriil;.rar.i.# di d,eterminati gruppi di i"ài"id;-arff" p*.f,ine o dai tavolini dei bar cosiiìuirebb. aài-pri*ipi" "", "iotrrior" fondamentale dell,ac-cesso universale , ,r, b...r. comune.
IlriconoscimentodeUapi^ri"ir"*il;;;";;;;à.-_ r-ebbe invalida
un,ordinànr,
.i"al.rf.-.t
do.r.rr. i_o._
g_.{e panchine cuscnmrnatona,Ia decisione di un barista ",1".rì,, r"#r,7 dinon fr.,.a.ià
*::j::.
"i;;;;;;;.
cittadini extracomunitari poveri. ia ii^r^ *fiii;"p;;;: tiene>> a una comunità ossia di tutti à.bd., 4picam.il quanti, stanziafi o viandanti, po.rur"o ir, ìr,.u*o godere della sua funzione di Iuogo'ai ..rÀUi". É ciò nei modi e nelle forme di cui ciasci"r. è ;;;ò;.1
C"_" q"àrr"
esernpio dovrebbe mostrare, lap.r..!io* . lu rt.Ju dil fesa dei beni comuni prrrr""-"J..rràrilà-.nr. attraverso posl in opera potitica (teoricae
ài;.;;;it;;i; Ti,l::li nvoluzrone epistemologica prodoma ddl, f.no_L";*r; e dalla sua critica deil,olgettivi,a. N.fir.iio dei beni co_ ,r;1 il soggetro
è parte
aeil,ogg.tto?.
ui;.rrr,).
Vuesta tenomenologia.dei beni comuni apre la que_ stione della loro co-oai=ibilità con t,rii"a.,r*ttura della giuridicità occidentall, ancora largamente b asatasull,idea aslr atta di un ordine giyridicg oesisterebbe, "ggZniu;-.hJ come una struttura reaÌe, indipendente rispetto ,ttu ,t"rru esisrenza dei suoi fruitori . à.i ,*i i"t.ifr.ti. Si matta della nota mitolosia d.llr.l.gdia t"Àa{OrU of lau), quella secondo c,ii ,i uugh.;;i;'""r'r.I",a occidentale a varie
maneggiate con consapevolezza. graÀde cautela. Esse vei_
governara.da Ieggi e
della separazione fra soggetto€_oggetto, con i conseguen_ agguaro, della mercifi cazione.Iioltre ogni classificazione dai tratti ontologici . ,ron funzionali_
,ì ,rrotg.r.È-b. ""i ir;;."rior" è non sub "iiu do_i_ kcrl;;ff;ì, nante del diritto è quella di un i"ri;";.;;;;.
c.ofno in qualche modo la vecchia logica meccanicistica
ti rischi, sempre in
stici dei beni comuni rischia di ergàre barriere artificialt fra fenomeni contestuali.ror, ,.prribili. per esempio, una piazza non è bene comune in quanto ,prrio iiri.o
-".o
54
,o.,
du ùòmi"i .1, forme di dispotismo orientale in iu
,i;;pone
sab homine
"d;r;;;;
di regole scritte sufa base delle-quati;i;;;;;l,".iali (pub_ regolano i propriiffa;. diritto, che ,bT:: ry,l,lti) r
grurlstl chlamano
<>,
insieme di norme che
a;;
è immaginato come un
làIorti ,ppti.r".'tfni 55
o
_"no _.._
canicamente) ai casi concreti per dirimere i conflitti sociali. Queste stesse norme ..eanò inoltre spazi di protezione individuale attribuendo diritti - q.r.rtà volta ìoti come «soggettivil> - agli individui. La dicotomia fra diritto oggettivo e dirittosoggettivo, così come la stessa idea p...iri sarebbe possibile un'<> quasi meccanìca del
diritto ai fatti concreti della vita, .o.titrrir.. uno squisito prodotto.della logica_ riduzionista e meccanicisticaipica della modemità occidentale, che abbiam visto largamànte incompatibile con l'idea dei beni comuni. In effetù secondo questa concezione il diritto esisterebbe indipendentemente dai-soggetti che inevitabilmente lo interpretano e che con il lop comportamento sociale lo plasmano. Esso sarebbe qualcosa di meccanico, esistente di per sé, ontologico,<
diritto è un p,rodotto politico e culturale e noi q.ralch. cosa che gode di esistenza materiale ed oggettiva. Una legge, senza un quadro interpretativo, altro non è che un insiààe di parolestampate con dell'inchiostro sulla carta. Una legge non più in vigore o una legge straniera, che non sono leggi sul territorio italiano, nòÀ sono material_mente, og-
gettivamente, diverse da quelle italiane vigenti. Anch,esse sono statuizioni normative scritte su carta. La vigenza di qna legge (diritto oggettivo), e dunque la sua essenza come diritto, dipende dagliappanti di produzione e interprerazione, che a loro volta riflettono la percezione socialé dele comunità che devono governare. In altri termini una legge, come qualsiasi istituzione umana, non esiste senza .romini (o donne) che la interpretino. Llinterpretazione di una legge awiene tanto implicitament., ,.ì comportamenti quotidiani di una comunità che la rispetta o meno, quanto esplicitamente - direi professionalmente -, da parìe di giudici preposti a dirimere i complessi conflitti della vita reale nel corso di un processo formale. La wta sociale, in altre parole,-ton governata dall'alto in basso da[e leggi 9 (come vorrebbe il mito della legalità formale) -r, rnolà 56
più realisticamente,,è qov:pat1 da interpreti delle leggi,
ossia esseri umani prì"rti. p"bbffii; +";n diversi-ruolì, da1tro significato alle-leggi t."-it" ,i iià..rro interpre_ tativo sociale che va dal basso in at". i-*ia una notevole componente di riconoscimento e di adesione per così dire culturale, ben difficilmente una t"cg; f;;_de diviene <
ritto oggettivo>> autenticam."r. ."u[à." go,o._ur. rrn, comunità. Similmente, un diritto àgg.rti* può <<esiste_
ro> nella sua effettività concrera
(o^sedic-ente tale)
lo
rottri?oì.
f.a valerc
un suo tirorare
.omportamend
"r*"*r" r, at.i termi_ informali o formali in caso di ,";;;ir;ionà. ni,la mera iscrizione di un diritto;;;;;. di[;;;; è sufficiente afarlo esistere in alcun;;;;'f.dff.l;;i: camente rilevante in qu-anto tale (potrà rilevante in guanro simbolo), come ben,r*o i "rr... rnoirirri_i a fronte di un diritto al lavoro..t.U.ìi. A _assimo livello nella'nostra
dirilil;i
carta costitu zionale,.
Come si collocano
i beni comuni in questo rnnanziturro la tl.adtzioneforrndistilr,-àoììinun,.quadro? in Oc_ cidente,li esclude nella misura h;i;;;;zione di bene comune non trova ancora collocazione nel sistema f";;_ ! {elle fonti det diritto i" d;;;;;.i};"" eccezione
Bolivia ed
Ecuador)..Su ciò ,oÀJr.Ào,'riu vale la pena precisare subito che il già discusso f".rJrÀlrto del dirit_ to occidentale sulla t*àdiu pr"p.i.ra fìirrìa_Staro rende estremamente.difficile la rivendiìazione di situazioni e in_ teressi, come i beni comuni, con morfoì-ogi, atg_rti", rispetto al semplice.conflifto a somma ,rri
proprietario )ry,t:t.,-qro tcorur che ha
fru";;;;;
che rivendica) e un convenuro
Dosto in essere un comportamento illecito).
GIi interessi iosiddetti dtfd.
ii;;'5iìr'.r".pio t,am_ di'rti,j,ribile da tuni ;.;;il'ilu" *.alt,, rrovano aimàtta aa rrrurr.,., del processo giudiziario. "r;;;; a;d;lr;;;;" riescono a ennanciparsi dalla tutela.degli enti p"bbli.i fo.*ali (Stito d enti locali), o il loro ri."ior.i-Jrto;;;r. in via del hrtto eccezionale e di regola inade g"ut" (d^r';iioni. i d: b.iente) e quelli non legatiaun titolare
57
ni comuni, pur non essendo interamente riconducibili ai .;. i"tà.àtti diffusi, ne condividono alcuni aspetti perché' i Af{rr.n udi proprietà p ivata esovranità pubblica, sono caratterizzati dala diffuiione e non dalla concentrazione d;ù;;.. Essi quindi non sono diritti soggettivi.individ;r[;il a"d..rro..hur, anche sesono indispensabili alla rodditfrriò"e di alcuni diritti fondamentali attraverso cui tale. se si osserva la legalità in modo realistiverso, É.. ultro le mitologie giuridiche della modemirif.rggendo .o, .ioè sarà possibile osservare che orientalisti, ,,"ràoripi ia. nli lu ,te"ssu idea di-legalità può considerarsi in un certo senso
una persona
<<è>>
occorre riconoscere appieno il diritto non è un'entità oggettiva, meccanica
;"È;;;";,rt.]kfrtii
iutto .h. il ?i[!;;; [cnologia); al contrario, esto è t,'' artefatto cul-
che prende vita dalf inevitabile una comunità umana sempre offre ne interpretazione che Occidente sono esseri umain Anche tràrfortnrzione. del diritto, su alffi esseri nome in potere, ni ad esercitare considerato «legittimo>> è intanto potere questo umani, e che la comunità di le-aspirazioni con coerente quanto in
i;;" rit il. Jti"i"rggi", i.
riferimento trasmette ..dal sàtto in su>> agli apparati ufii;i;lt di produzione delle norme' Le norme giuridiche' senza essere riempite di significato dal.ioè, ,ror, "ristono f, *À""ira di riferimento' che esercita quindi su di esse di à, t"tr, ài potere diffuso' In questo senso il diritto stesso allo comune, bene .ome,,n ."À""ità è proprio "gti iJÀp" oggettivoì soggettivo- Esso prendevita (ed essenza
i;;;;."A.gica) pro;rio dal conflitto sociale, che in oc-
e médiato in gran parte da giuristi professionisti diritt-.-"ir. i" al*e esperiànze imediatori fra comunità e come visto I1 diritto, giuristi)' necessarlamente sono to non
.iJà","
bene comune, <
Dal punto di vista fenomenologico, dunque, fra beni comuni e diritto vi è un rapporto di strutturale compenetrazione, perché sono sempre regole giuridiche queile atffaverso le quali una comunità si autogoverna traducen-
do in precetti le proprie deliberazioni. Conseguenze in qualche modo paradossali discendono però da questa osservazione di per sé banale. Infatti, come abbiamo visto, la
modernità nasce stritolando i beni comuni nella tenaghadi proprietà privata e Stato sovrano. La stessa tenaglia, insieme ai beni comuni, stritola pure il diritto come espressione culturale della comunità, bene comune condiviso e fondamento delle contestazioni sociali proprie di una dialettica viva. In effetti,la modernità stravolge il diritto cercando di comprimedo in una logica assolutistica, sovrana, a potere concentrato, inesorabilmente autoritaria nell'esercizio del potere. Lalogica della legge formale, unica e gerarchica, decisa ufficialmente ed imposta dall'alto in basso dallo Stato a tutti i consociati, cerca di rimuovere con la violenza pubblrca monopolista delTa forza il diritto dei popoli:
quell'ordine dialenico e spontaneo.con cui essi sempre avevano governato i beni comuni. E una nuova, ennesima, riduzione e semplificazione violenta quella che, con la modernità, si consuma ai danni della ricchezza, delTa complessità e del pluralismo del diritto vivente visto come bene comune. I1 diritto è posto di fronte aun'alternativa ancora una volta esclusiva. Esso può essere racchiuso nello Stato e ridotto alla struttura gerarchica dello stesso (diritto pubblico), o alternativamente può essere delegato alla produzione priv ata, fondata sull'uguaglia nza {or male fr a le persone (fisiche e giuridiche), e presiedere allo scambio di mercato (diritto privato). Ancora una volta un gioco a somma zero, aflcota una volta un aut aut all'interno de1 quale la stessa ricchezza dell'esperienza comunitaria (umana ed ecologica) viene umiliata. In questa prospettiva, far rinascere i beni comuni signi-
fica riconquistare un'idea di legalità ricca, spessa, olistica, fondata su contenuti etici autentici, funzionale alla qualità 59
della vita di tutti, nell'ambito di una dialettica finalmente democratica che coinvolge ogni voce e non ne esclude alcuna. In prospettiva giuridica, far rinascere i beni comuni significa àu rr luto reipingere l'equazione fra Stato e dirittol *.o. più quella fia diritto e repressione del conflitto, " réspingere pure le barriere atificiali che sFParadall'altro
no
il diritto àalla politica
e dall'etica, trasformandolo in
una tecnologianota soltanto ai professionisti e inaccessibile alle p".iot. comuni. I1 diritto come bene comune (o ,riceversa i beni comuni corne diritto) restituisce centralità alla persona fisica, garantendole il p-ieno accesso a ogni ben. comr.re (incluso il diritto) in funzione della piena e immediata soddisfazione dei suoi diritti fondamentali, dell'adempimento dei doveri sociali di solidarietà nei confronti del gtrrppo e di partecip azionenel governo dei beni comuni. In concreto, i1 riconoscere un'entità come bene comune significa dichiararne l'incompatibfità sia con la logica tipica della delega allo Stato e ai suoi appubblicistica, -parati, sia con quella privatistica, tipica dell'individualiimo post.ssivo, trasformatosi oggi sempre più in struttura azlendalistica informata al solo criterio tecnocratico e quantitativo dell'efficienza nell' accumulo' I beni comuni àno la base della democ razia paftecipativa autentica, fondata sull'impegno e la responsabilità di ciascuno nel raggiungimentò dell'interesse di lungo periodo di tutti' Per ér.*"pio, considerare l'acqua come- bene comune - o la ,.rolà, o h rendita fondiaria, o l'informazione - significa innanzitutto creare una barriera politica alta contro ulteriori processi di privatizzazione. Allo stesso tempo, non significa affattotrasferire la gestione di questi beni comuni , it.,rttr.. dello Stato o di enti locali legittimate dalla de-
e transgener azionale, quale quella ecologica, e conffollar-
il diritto fondamentale all'accesso da parte di tutti. Queste strutture di govemo dei beni comuni devono essere calibrate sulla comunità degli utenti e dei lavoratori, vedendosi atffibuite le competenze necessarie e sufficienti per operare la gestione virtuosa ed ecologica dei beni comuni di cui sono chiamate ad occuparsi. Campet.t r. ecologiche, dunque., legate alle comunità di ,if.rimento e libere dail'arbitrio dei confini giurisdizionali
ne l'opérato esercitando
dello Stato e degli enti territoriali' In effetti i beni comuni, in virtù del lorosenso contestuale, sfuggono a determinazioni astratte. Ve ne saranno alcuni di portata strettamente locale, come un piccolo parco giochi adiacente ad alcuni condomini, o una scuola materna; altri di portata più ampia, come la rendita fondiaria, che richiede strutture di governo transcomunali, coincidenti almeno con il perimeto degli insediamenti urbani continuativi; altri ancora di poftaù nazionale, coincidente qon fa giurisdizione della i"ppr"..rtutza politica, come la libertà di informazioo";ìltti infine di portata transnazionale, come la ricerca universitaria o il governo di Internet. Naturalmente qresti non sono cheienni, che tuttavia dovrebbero rendere l'idea di che genere di trasformazione istituzionale sia richiesta dal riemergere dei beni comuni come orizzonte di contestazione politica all'attuale sistema aziendalistico e burocratico.
brirocratico. Significa, viceversa, studiare ed elaborare strutture di governo partecipato e autenticamente democratico, capici di attrarre gli amministratori più molvatl, incentivarne il perseguimento di una logica transnazionùe
E arriviamo così ad un riepilogo sulla vera rivoluzione culturale necessaria per la declinazione del comune come categoria del politicò e del giuridico' La separazione riduzionlsta fra soggetto e oggetto, tipica della tradizione cartesiana (e scieÀtistica da Galileo in avanti), ha strutturato la filosofia dell'<>, alle cui radici stanno gli appetiti acquisitivi primordiali, che spieganole otigini ed il successo itorico della proprietà privata individuale e dello Stato sovrano territoriale. Tanto la struttura del giuridico quanto quella del politico istituzionaliz zano Ia logica dell' au e-
60
6I
lega della rappresentan za poltica generica o dal principio
re, che è poi quella della concenffazione del potere. Esse hanno strutturato istituzionalmente l'idea profonda tanto dell' umano separato dal naturale quanto dell'oggettività della res extensa separata dalTa res cogitans: in altre paro.le, di una realtà oggettiva separata dal suo interprete. E noto come la fenomenologia contesti radicalmente questi presupposti, sebbene tale critica non abbia ancora trovato una declinazione istituzio nale. La cultura giuridica, quin di, non è riuscita a proporre assetti giuridici alternativi a quelli della modernità, rappresentati dal «regime di legalità>> (rule of law), ossia dall'illusione che si possa essere governati da leggi (oggettive e ontologicamente esistenti di per sé) e non da uomini che comunque le interpretano introducendo l'inevitabile componente soggettiva.
Il comune è invece nozione che può comprendersi solo in autentica chiave fenomenologica e olistica, ed è quindi incompatibile con la logica riduzionistica dell'avere (e del potere). Si può rendere quest'idea con la locuzione <. I1 comune non è solo un oggetto (un corso d'acqua, una foresta, un ghiacciaio), ma è anche una categoria- dell'essere, del rispetto, dell'inclusione e della qualità. E una categoria autenticamente relazionale, fatta di rapporti fra individui, comunità, contesti e ambiente. In altri termini, il comune è categoria ecologicoqualitativa e non economico- quanti tativ a, come proprietà e sovranità statale. Per questo il comune non è riducibile a un diritto (categoria dell'avere: io ho un diritto), ma si collega inscindibilmente con la possibilità effettiva di soddisfazione di diritti fondamentali, che è ad un tempo esperienza di soddisfazione soggettiva e di partecipazione oggettiva ad una comunità ecologica. Nella logica del comune scompaiono le barriere fra soggetto e oggetto e anche quelle franatura e cultura. Un ambiente visto come bene comune non è un'entità statica, ma è allo stesso tempo natura e cultura, fenomeno globale e locale, tradizione e futuro. In una parola, il comune è civiltà. Le istituzioni di governo democratico ed ecologico 62
dei beni comuni che occorre sperimentare devono dunoue essere strutturate in modo da evitare che esse stesse u"rguro pervase dalla primordiale logica del potere, della pr.àazione e del saccheggio- di cui.si nutre- il capitale e che s.-bra ormai essersi diffrlsa nelle istituzioni politiche delle democ ruzieltberuhi. La sfida che attende chi dawero vuole cambiare il nostro mondo è quella di elaborare e rendere robuste tali istituzioni.
Capitolo quarto
LA CONSAPEYOLEZZA DEL COMUNE. CULTURA CRITICA E PROPAGANDA
Nei capitoli precedenti sono emersi alcuni principi fondamentali nel governo dei beni comuni: fra questi, in particolare, il diritto all'accesso per la soddisfazione di diritti fondamentali e, speculare, il dovere di contribuire al loro governo con motivazioni altre rispetto all'accumulo di denaro e di potere. Il govemo dei beni comuni è informato dunque al principio del libero accesso. Si tratta di un principio inclusivo, radicalmente opposro a quello dell'eiclusione, che viceversa catattetizzatanto la sovranità statuale (esclusione dello straniero) quanto la proprietà privata. Se i beni comuni sono liberi, i bisogni che mamitè essi possono soddisfarsi non sono paganti, salvo che il diritto li renda artificialmente tali attraverso processi dr pivatizzazione degli stessi beni comuni. La sanità è un bene comune perché curare i bisognosi è un fondamentale dovere di ci viltà e solidarietà in capo a ogni medico .IJn'orgxtizzazione sanitaria soccorre a diritti fondamentali della persona come quello alla salute (art.33 Cost.). Llacqua è un bene comune perché si trova libera in natura e, come l'aria, presiede alla soddisfazione dello stesso diritro alla vita. Il diritto, prwatizzando la sanità o l'acqua, può rendere artificialmente pagarfiii bisogni di bene comune, rendendo improwisamente evidente a tutti quanto essi valgano. In
si misura in termini di sostituzione soltanto quando essi non sono più disponibfi. In un certo senso i servizi essenziali resi dai beni comuni sono simili al lavoro domestico, che si nota solo quando non viene fatto. Per esempio, i servizi che le mangrovie o
la barriera corallina offrono agli abitanti della costa non sono <> perché spesso non sono neppure noti ai loro fruitori: in questo senso i desideri che essi soddisfano non sono <<pagantil>. Quando gli italiani distrussero la barriera corallina in Somalia per consentire alle grandi navi da trasporto di attraccare a Mogadiscio per portar via il bottino coloniale, aprirono un varco per gli squali, attratti in frotte dal sangue scaricato in mare dal locale macello. La spiaggia di Mogadiscio divenne così uno dei posti più pericolosi del mondo per la balneazione. Per ricreare una
barriera c^pace di trattenere gli squali lontano dalla riva ci vorrebbero moltissimi soldi e moltissima tecnologia. Solo nel momento della sostituzione si può avere un'idea (ancorché molto riduttiva e approssimativa) del valore del bene comune. Discorso analogo vale per le mangrovie nel Sud-Est asiatico, distrutte in gran parte per allevare i gam-
beretti di cui son ghiotti i consumatori occidentali: esse wolgevano un servizio inestimabile per proteggere i villaggi costieri dalle onde di tsunami... Quanto costerebbe
servizi dati per scontati da chi ne beneficia e il loro valore
costruire artificialmente una simile barriera? Ottenere la consapevolezza delvalore dei beni comuni è un primo fondamentale passo per ricostruire un ordine sociale ecologico fondato sul loro riscatto dopo secoli di oblio. Come è noto, oggi oltre la metà della popolazione del mondo vive in città. La città è una comunità che dal punto di vista ecologico può solamente descriversi come parassitaria, nel senso che ottiene tutto il cibo che consuma dalla campagna. Di conseguenza i rapporti sociali in città sono quasi interamente contrattaelizzai e nel cittadino medio esiste pochissima consapevolezza del valore della solidarietà sociale e della cooperazione. Se ha fame può acquistare cibo in un negozio o andare al ristorante; se si
u
65
effetti,
i beni comuni, prima di essere
recintati, offrono
annoia può andare al cinema; se una cosa non gli serve più può buttarla nelTa spazzatura e aspettarsi che qualcuno la porti via; se deve recarsi al lavoro o a trovare un amico può acquistare il biglietto di un autobus o prendere un taxi. Quando ha bisogno di contante può recarsi a uno sportello bancomat, anche se ormai quasi tutto può essere acquistato con cana di medito. Qualche anno fa la città di New York fu colpita da un blackout durato per alcuni giorni. In mancanza di elettricità diverse persone rischiarono di morire di fame. Infatti; i bancomat e le carte di credito non funzionavano, era difficilissimo raggiungere altre parti della città con la metopolitana ferma, fra vicini di casa non c'era sufficiente confidenza perché I'uno prestasse denaro contante all'altro. I negozi non erano abituati a far credito a sconosciuti e comunque le prowiste scarseggiarono immediatamente (celle frigorifere bloccate ecc.). Per molti newyorkesi quella fu la prima volta in cui fu possibile rendersi conto dell'enorme valore della cooperazione sociale (un bene comune) e allo stesso tempo della dipendenza assoluta del loro modello di sviluppo dall'elettricità (a sua volta prodotta dal perolio, un bene comune). Chi vive in campagnahatutt'altra consapevole zza delvalore della cooperazione, perché un gran numero di attività (in pimis la coltivazione) si possono fare soltanto insieme e nello stesso tempo laita, molto meno contrattualuzata, è assai meno mediata dal denaro (a maggior ragione dal bancomat) e da servizi pubblici come l'energia elettrica o i trasporti. Per un cittadino, soprattutto occidentale, la consapevolezza dei beni comuni è un vero problema, perché egli è troppo abituato a dare tutto per scontato. I napoletani recentemente hanno imparato ad apptezzare il valore di un bene comune, frutto di complessa interazione sociale, quale la disposizione dei rifiuti e i londinesi quello di un servizio funzionante di rimozione della neve in città. Insomma, un qualsiasi tentativo di recupero culturale e politico dei beni comuni richiede uno specifico lavoro per costruirne la consapevolezzafinché li abbiamo ancora
a disposizione e non solo quando non ci sono più. Tale
66
67
consapevolezzapuò essere creata soltanto attraverso uno specifico investimento sul fronte della domanda, evidennando i nessi fra i bisogni individuali, i beni comuni e il contesto in cui essi producono i loro servizi. ln una parcla, occorre spiegare a cittadini sempre più individualizzati,
contrattualizzati e disabittati a pensare in modo critico, che senza lapresenza al contomo di beni comuni prodotti
dallo sforzo cooperativo di tutti (in primis la natura) le loro proprietà private non varrebbero nulla! Si tratta di uno sforzo culturale immenso che si scontra frontalmente con un imponente apparato ideologico (che non è fatto solo di pubblicità, ma anche di ortodossia culturale) volto a individualizzare, contratualizzarc e pivatizzate, al fine di far crescere desideri di beni privati inutfi o nocivi producendo profitti per il capitale. All'individuo che compra unaJeep Cherokee (che il CEO della Chrysler offre come modello di sviluppo per Torino fta gli applausi generali) non viene detto che tosto quell'auto non varrà più nulla perché i. prezzo degli idrocarburi andrà alle stelle, e comunque, crescendo la consapevolezza ecologica, in pochi anni tutti considereranno chi guida un simile mostro come un cafone. Né a chi cambia per l'ennesima volta il cellulare viene fatto presente che si sta collocando sempre più alla mercé dei signori delle telecomunicazioni, che a causa della crescita nel consumo di telefoni privati quelli pubblici sono spariti, e che il traffico di terre rare sta producendo disastri sociali e ambientali in tutto il mondo. Per non parlare di chi esce dai grandi magazzini, perfino nelle località di montagna, carico di bottiglie di plastica piene d'acqua, molto meno buona di quella che sgorga libera e abbondante dal suo rubinetto e da ogni fontana. Quale pubblicità può spiegargli che è un povero credulone e che zu quell'acqua i profitti alle sue spalle (sufficienti per pagare i vari testimonial) sono di uno a mille? Il vero problema è che i beni comuni sono entità di cui sussiste un bisogno pubblico e privato che non è pagante a
marketing pubblico è sempre a rischio di essere indicato dispregiativamente come propa ganda politica. In realtà, il
superamento dell'equazione riduzionista fra settore pubblico e Stato proposta dalla riflessione sui beni comuni offre anche qui prospettive non banali. Infatti, il noto ragionamento di Kenneth Galbraith, secondo cui la cresciia del settore privato (determinata dal marketing) rende necessaria una corrispondente crescita di quello pubbli co (che awiene in rnodo insufficiente per mancanza di marketing/propaganda), sconta la fondamentale analogia suutturale fra privato e pubblico, interpretati con i tradizionali archetipi della proprietà privata e della sovranità statuale. In effetti, lafalsa opposizione fra due entità che condividono la stessa struttura di dominio mostra come il marketing del pubblico, gerarchico e burocratico, sia propagandaproprio come quello del privato, nella misura in cui non introduca alcun aspetto relazionale (o dialogico) capace di produrre trasformazione qualitativa del signifi cante e del ricettore del messaggio. Indipendentemente dalTa natura pubblica o privata del soggetto che la pone in essere, è propaganda I'emissione di segnali solipsistici volti a stimolare una domanda di consumo (di beni o di proposte politiche elettoralmente competitive) in un soggetto passivo. In realtà, l'opposizione strutturale autentica con cui ci stiamo famiiarizzando è quella fu a la logica riduzionistica e meccanicistica della modernità (condivisa da proprietà pivata e Stato) e quella fenomenologica, rclazionale, partecipativa, olistica e critica propria del comune. Soltanto quest'ultima supera il riduzionismo cartesiano soggettooggetto e il conseguente delirio della modernità, che ha portato l'umano (soggetto asratto) a collocarsi al di fuori della natura, autoproclamandosi suo donainus. In questo diverso quadro, la consapevolezza dei beni comuni (e la conseguente trasformazione motivazionale del soggetto) non può essere prodotta dal marketing ma, d. contrario, deve passare attraverso la dialettica del sapere critico. In altre parole, per raggiungere la consapevolezza dei beni comuni occorre una trasformazione del soggetto, una ri-
68
69
causa della mancanza di consapevolezza dellaloro centralità e necessità. Proprio l'opposto della maggior parte delle merci prodotte dal capitalismo attuale, di cui non sussiste alcun bisogno reale, né pubblico né privato. Che bisogno c'è di un modello di auto esteticamente diverso, di scarpe giffate, o dell'ennesimo telefonino? Di questi beni privati (largamente insostenibili sul piano ecologico e sociale) il bisogno pubblico sussiste soltanto nella misura in cui si accetti l'idea dominante, totalmente quantitativa, di crescita e di sviluppo (produrre per produrre). Ma è proprio quest'idea suicida, prodotta dalT'alleanza fra la concentrazione del profitto privato e quella del potere politico, che una teoria dei beni comuni vuole superare prima che sia troppo tardi (se già non lo è). Il bisogno privato di beni inutili per il proprietario e dannosi per tutti gli altri viene creato (inventato) lavorando sulla domanda attraverso uno specifico massiccio investimento, anche culturale, noto come marketing. il marketing, promosso a scienza dalla cultura aziendalistica dominante (purtroppo anche universitaria), altro non è, infatti, che un insieme sofisticato di tattiche ruffaldine che producono desideri paganti volti all'accumulo o al consumo di beni privati socialmente inutfi o dannosi. I-utilità privata di tali beni è purtroppo sovente inventata proprio ai danni di beni comuni (si pensi alla pubblicità dell'acqua minerale che fa restar giovani e belli). I marketing è un'attività estremamente costosa, tipicamente ttilizzata a favore del settore privato (che ne scarica i costi sui consumatori creduloni), ma a volte anche di quello pubblico. Quando ciò awiene, talvolta perfino per fat crescere la consapevolezza politica della necessità di certi investimenti pubblici resi indispensabili dalla stessa iperrofia del settore privato (per esempio costruzione di strade e parcheggi per consentire la vendita di automobili giganti come quelle che vuole produrre Marchionne), il
voluzione nei suoi apparaimotivazionali, una visione del mondo autenticamente rivoluzionaia che può emergere soltanto dalla partecip azione democratica autentica. Mentre la logica del marketing (o della propaganda) produce motivazioni consumistiche allineate all'ideologia dominante, il dialogo critico e partecipativo di base produce la trasformazione qualitativa essenziale per la stessa percezione dei beni comuni. In definitiva, l'investimento necessario per creare domanda di beni comuni (prima di tutto la percezione della loro esistenza e vulnerabilità) si chiama culmra critica ed è a sua volta un bene comune, che deve essere offerto e non venduto per promuovere la partecipa-
zione politica autentica di una cittadinanza critica.
In questo quadro occorre dunque spendere qualche ulteriore parola sui luoghi di produzione della cultura critica, in particolare su due ambiti fondamentali del contendere politico, l'università e la stampa. La contesa oppone due forze contrapposte: da un lato abbiamo le forze del capitale, che strutturalmente spingono verso la recinzione di questi come di ogni altro bene comune; dall'altro troviamo quanti, ormai consapevoli della natura decisiva e finale di questa battagha per le idee, sono disposti a battersi per il pieno riconoscimento della natura di bene comune di questi fondamentali luoghi della civiltà. Sebbene le cose dal punto di vista tecnico siano in parte diverse, non c'è dubbio che libera università e libera stampa possano svolgere il menzionato ruolo di promotori di una cultura critica e che proprio per questo possano essere considerate pericolosi nemici della retorica dominante della crescita tramite consumo. Per converso, questi stessi luoghi, quando asserviti al potere e ualizzati nella produzione della naffativa dominante (cioè quella che racconta le cose dal punto di vista dei vincitori dei processi sociali) possono certamente considerarsi, con Louis Althusse! come <
fondamentali per il mantenimento del controllo sociale. Proprio quesà vocazione a fungere da apparuti' Stato>>,
70
ideologici dello Stato ha prodotto lo sviluppo delle prime università statali, soprattutto in area francese, a pafike dagl, dell'Umanesimo. I-università di Parigi e quella di ^r-i per esempio, nacquero come università di Stato, Torino, rompendo con il modello più antico della libera università medievale. Nelle università di Stato insegnano docenti che sno funzionari dello Stato e che ad esso sono perciò legati da una particolare fedeltà. Questo punto è molto importante nel distinguere I'università bene comune dall'università di Stato, nel senso che quest'ultima, come del resto
m'università pivata,può essere vista come un bene comune ma può anche non essedo. Un'università di Stato può, infatti, essere strumento di propaganda nel momento in cui il sapere che vi viene professato non è critico, così come wa corporate uniuersity, cteata daun'azienda per formare ipropri quadri o per farsi pubblicità a livello globale, altro non è che uno strumento di marketing. Naturalmente può essere vero anche il contrario, a conferma del fatto - più rche fin qui osservato che f idea di <> si Inne a un livello diverso rispetto alla dicotomia privato/ grbblico così come declinata nella modernità. Che poi anche i giornali e i media possano svolgere funzione propagandistica o di marketing piuttosto che critica, e che ciò sia del tutto indipendente dalla natura pubblica o privata della loro <<proprietò>, è fin troppo owio. Comé esempi, se si vuole evitare quello troppo banale della riPravda> (verità) sovietica, basterà citare le televisioni del
-
c.d. servizio pubblico italiano e owiamente le loro, non àcilmente distinguibili, concorrenti private. Restando aile nniversità, si può osservare come le strategie uulizzate dal capitale per recintame gli aspetti di bene comune possono essere le più varie, ma non di rado, come ai tempi delle enclosures inglesi, il capitale si serve dello Stato per raggiungere il suo intento. Ciò sta avvenendo in Italia molto rapidamente in questi ultimi anni di <>,
che danno attuazione particolarmente zelante a un di priv atizzazione/ aziendakzzazione dell'univer-
processo
71
sità che ha radici a livello europeo. Negli Stati Uniti le
cose stanno un po' diversamente perché diversi erano i punti di partenza, soprafiutto dal punto di vista dell'idea di <,unanozione che in Europa si è perduta con l'imporsi del modello statale centrahzzito (e che invece era un aspetto cruciale del modello universitario medievale), menrre negli Stati Uniti è più radicata. Tuttavia, visto che come osservato nel primo capitolo - sono gli Stati Uniti a fare tendenza a livello globalà, non sarà inutile osservare come la distruzione dell'università in quanto luogo di sapere critico afavore di una concezione aziendalistico-produttivistica, che privilegia la scienza ap pkcatae la tecnologia penaluzando le disòipline umanistiche, sia partita proprio di Jì. Che la tradizione universiraria occidentale fosse quella di bene comune risulta in modo chiaro dalla stessa stuttura dei primi atenei, che si svilupparono, a partire dall'K secolo, come libere comunità non gerarchiche di studenti e professori. Queste comunità perseguivano la conoscenza scientifica rivendicand o con fierczza un'autonomia anche giuridica del tutto possibile in un mondo che già sappiamo esser stato caratteizzato da notevole pluralismo. Ov-
-
d profitto. Nei
secoli I'istituzione universitaria si è così affetmata un po' ovunque come un vero e proprio bene comune attraverso il quale l'umanità elabora, conserva e trasmette da una generazione al7'altta, in una logica di lungo periodo, un sapere testato con gli strumenti della critica. Non è un mistero che, soprattutto laddove l'università privata si è particolamente sviluppata, non di rado il prestigio accademico abbia finzionato come sistema di riproduzione e conservazione di una certa strat{icazione sociale, ma furono le contestazioni studentesche degli anni Sessanta, in America come in Europa, a farc i conti con questa distorsione. Gli studenti furono in grado di assumere un ruolo di protagonisti nella grande azione collettiva di ffasmissione del sapere, modificando l'università ed essendone modificati, in quella logica rclazionale che òbiamo vist o caratterizzare i beni comuni. E in effetti, per un ventennio abbondante dopo il '68, possiamo osservare come il < sia stato governato in modo tutto sommato coerente con la sua natura, con un ooinvolgimento significativo di tutte le sue componenti. Negli ultimi anni, tumavia, indubbiamente aiausa dellìngresso del capitalismo multinazionale nella sua fase cd. cognitiva, e in coerenza con lo strutturarsi di quel-
viamente, non tutte le università condividevano la stessa struttura (in alcuni fra i casi più antichi il rettore era uno studente) e non di rado esse potevano essere fondate dalla Chiesa o da altre strurture politiche gerarchiche. Altrettanto ovviamente, anche il tasso di libertà accademica variò nel tempg e nello spazio. Negli Stati Uniti fra le prime università, di poco successive allo sbarco dei Padrl Pellegrini, diverse e assai gloriose furono quelle fondate da privati, come tutte le più note della c.d. Iuy League,il club dei più antichi e prestigiosi atenei della CostaEst. Salvo eccezioni e patologie, la libertà didattica e scientifica fu ovunque gelosamente salvaguardata dal corpo accademico nei confronti di ogni ingercnza esterna e tanto le università privlte quanto quelle pubbliche funzionarono per secoli al di fuori della logica aziendale e managerial. rròlt,
Hici venivano progressivamente ridotti, costringenjo le miversità pubbliche a competere con quelle private sul Erleno del marketing e dell'autopromozione, alla grida dei principali atenei venivano chiamati, e compensatì con rilioni di dollari, presidenti e rettori proveniènti sempre.
72
7)
h
particolare forma di pensiero rcazionaio nota come
neoliberismo, un vero e proprio assalto al bene comune miversità è iniziato in tutto l'Occidente. Ovunque i finan,iomenti pubblici per la ricerca e la didattica di base sono
rtati messi in discussione, indicando come esempi virtuosi h migliori università private americane, ma aèendo naEralmente della percentuale altissima del loro budget firm,nziala Qsf, complesso militare-industriale a parrire dagli enni della Guerra Fredda. Mentre i fnanziamenti pul-
più spesso dal mondo dell'impresa. Costoro imponevano una logica strettamente manageriale, che nel capitalismo cognitivo (spettacolare) non può che fondarsi stilo star system. Nelle università americane oggi i dipendenti più pagati sono invariabilmente gli allenatori di football o di pallacanestro, mentre le sedi più prestigiose si contendono i professori più noti (ossia quelli che hanno accesso ai media dominanti) con stipendi molto vicini al mezzo milione di dollari l'anno. Lalogica dei costi opportunità fa sì che mediamente i professori di Diritto, di Economia o di Ingegneria (che avrebbero l'opportunità di svolgere altri lavori ben retribuiti) ricevano compensi che sono il doppio o il triplo di quelli degli antropologi, degli storici o degli entomologi, e che un professore guadagni oltre dieci volte di più di un impiegato amministrativo. Nella logica manageriale trionfante, in cui ciascun ateneo compete con tutti gli altri, gli studenti devono necessariamente puntare alle scuole di élite, perché dalla sede in cui si laureano dipende la possibilità di trovare lavoro. I requisiti di entrata nelle università migliori sono sempre più legati ai punteggi ottenuti in speciali test (amministruti, apagamento, da corporations private), che olviamente finiscono per favorire chi proviene da un background privilegiato e può permettersi tutors e corsi preparatori privati. Le scelte degli studenti ammessi in più di unà sede sono poi interamente determinate dai rankings, ossia da classifiche private (la più nota è compilata da una rivista patinata, <
percentuale minima del budget) è sempre il settore privato apror,vedere alla domanda di indebitamento per studiare,
offrendo prestiti d'onore grazie ai quali i giovani laureati escono indebitati per centinaia di migliaia di dollari, per ipagare i quali non possono che accettare impieghi nel più remunerativo settore privato for profit. Le distorsioni di questo modello sono evidenti. I professori sono tradormati in cacciatori di fondi, per ottenere i quali sono disposti a dire e pubblicare tutto ciò che le corporations mecenati chiedono loro. Il precariato dtlaga, soprattutto fra i più giovani dei dipartimenti meno professionalizzanti, e perfino la sicurezza del posto di lavoro dei professori (tenure) è oggi messa in discussione, visto che - dicono gli economisti onniscienti - quelli < che pubblicano non ne hanno bisogno e quindi essa serve solo ai fannulloni (che potrebbero pure essere quei pochi che prima di scrivere pensano).
Questo modello privato spettacolare, pubblicizzato in tutm il mondo, seduce chi non è dotato di senso critico. In effetti, i rampolli delle élites globali affollano le università statunitensi, convinti di aver superato selezioni durissime ma in realtà in molti casi inesistenti, visto che pagano full fees (ossia non ricevono alcun aiuto finanziario) in programmi di master in sostanza loro riservati. Di ritorno a casa hanno tutto l'interesse a magnificarcla nuova alrna mater. Inoltre, poiché il sistema educativo europeo tradizionalmente formava buoni studenti, taluni fra questi riescono a completare brillantemente dottorati di ricerca e non è raro che qualcuno diventi pure professore, visitatore o di ruolo, in qualche dipartimento d'oltre oceano. Sono costoro le grancasse nostrane del sistema americano. Invitati a scrivere sui principali giornali e spesso consulenti di ministri, questi colleghi si sono specializzatinel raccontare l'America, anche accademica, come vorrebbe apparire ma non come è. È facile cantare le virtù di un sistema per certi versi meno corrotto del nostro (forse solo diversamente cor75
rotto), ma farlo oggi in Italia, seppure talvolta in buona fede, mette a serio rischio quegli asperti di università bene comune che ancora esistono e che bisogna assolutamente salvaguardare nei confronti di un ceto politico di im-
barazzante provincialismo che con
i beni comuni
riprodume la retorica dei vincitori.
Il
Capitolo quinto
E
IL PARTITO, IL MOVIMENTO IL GOVERNO DEMOCR,{TICO DEL COMUNE. IJAVVENTURA DELTACQUA
vuole solo fare aff.ai.Il sapere critico, infatti,non si produce in ambienti competitivi, ma prospera in comuniìà solidali, tendenzialmente egualitarie, portate a vedere i problemi nella prospettiva dei perdenti dei processi sociali e non a sapere cririco non
può avere padrone, non deve prestarsi a nascondere la verità per proteggere gli interessi dei fnmziatori. II sapere critico si basa sull'accesso tendenzialmente libero di tutti e non può essere accessibile soltanto a chi abbia passato test confezionati da società multinazionali o a chi possa pagare. Il 52ps1. critico include e non esclude, non può eìsère collocato in vendita sul mercato. Come ogni bene comune, il sapere critico - che non è necessariamente né di Stato né privato, sia esso università, giornale, radio o televisione -, capace di formare e non solo di informare, appartiene a tutti e da tutti (ossia dalla fiscalità generale) deve essere sostenuto. Come ogni bene comune, esso rifugge tanto la logica aziendalistica quanro quella burocraticà del potere gerarchico concentrato e sposa invece quella della partecipazione democratica e del potere diffuso. Esso deve essere govemato con criteri critici, da chi in quelle comunità vive, e non da manager o imprenditori. Come ogni bene comune, iI sapere critico va difeso da tutti contro recinzioni che servono soltanto I'interesse di pochi.
Soltanto
la
partecipazione politica stimolata dalla cultura
il riconoscimento sociale dei beni comuni, promuovendo preferenze da <> e non da *conr,r-rtoril>. Occorre perciò ora soffermarsi sulle forme di mle partecipazione. In coerenza conla nafiia dei beni comuni, che rifuggono la contrapposizione ligidafuater.ira e prassi, il presente capitolo riflette su una concreta espet'rr:rrza drbattaglia: quella per l'acqua bene comune in Italia. Nel nostro paese si è svolta una battaglia referendaria che ha costituito l'epifania locale di una guerra globale di lunga durata per l'utilizzo democratico ed ecologico dell'acqua. La gteraper l'acqua bene comune ha ottenuto le più significative vittorie in Bolivia dieci anni fa e da ultimo a P alJig;r. con la sua ripubblicizz azione democratica conquistata dal sindaco Bertrand Delanoè e dall'assessore Anne Le Strat proprio ai danni (e a casa) di due fra i critica può consentire
principali attori globali del saccheggio idraulico, Suez
e
Vivendi. Naturalmente tale guerra globale, raccontata magistralmente da Vandana Shiva mentre labattaglia di Coàabamba era ancora in corso, continua a segnare molte sconfitte. Esse si registano ognivolta che i problemi idrici vengono affrontati nell'ambito di una logica economicisti., àt..rro..atica (inevitabilmente autoritaria), ritenendo possibile < attraverso la tecnica. Invero questo tipo di <<soluzionil>, simboleggiate da mega-progetti infra77
strutturali, quali grandi dighe e deviazioni fluviali (ma anche dal risiko finanziario per la concentrazione delle multiutilities «pubbliche»), porta al saccheggio delia natura, prodotto dalia tenaglia fra proprietà privata e sovranità statale che stritola i beni comuni.
In realtà da anni gli ecologisti predicano che il ciclo idrico può essere compreso e governato soltanto come un ecosistema complesso che <
ciò in primo luogo una battagha culturale conuo il delirio di onnipotenza antropocentrico, un morbo contratto principalmente in Occidente agli albori della modernità e che tuttavia ha contagiato quasi completamente il panorama politico e culturale dominante a livello globale. Il coro ormai unanime da almeno quindici anni degli studiosi di ecologia (anche mainstream) lancia un grido d'allarme disperato: senza una radicale inversione di rotta globale le condizioni di vita su questo pianeta non riusciranno a rigenerarsi, sicché l'attuale politica dell'acqua è suicida, risolvendosi in una produzione artificiale di scarsità a fine di profitto o di potere che.rischia di condume alla morte per disidratazione del pianeta. I-incompatibilità fra il modello di sviluppo dominanre nella sua strutturazione giuridico-politica e1à soprawivenza del)avita sul pianetamette in discussione la stessa compatibilità fra la statualità moderna e la tutela del comune e rende imperiosa e urgentissimal'istanza di democrazia partecipativa di cui i rnoaimenti costituiscono l'epifania più vitale. Soltanto un'autentica declinazione della democrazia paftecipativa, capace di generare percezione diffusa del reale ed urgentissimo rischio di soprarvivenza del pianeta, potrebbe produre un autentico cambiamento. Nelle parole di Vandana Shiva: <
crisi ecologica che ha cause commerciali ma non soluzioni di -.r.rtà. Le soluzioni di mercato distruggono la terra e anmentano le diseguaglianze.La soluzione di una crisi à.oiogi.u è ecological e 1à soluzione dell'ingiustizia è la decesiazione della crisi dell'acqua impone una ^orrl^ri^.La rinascita della democtazia ecologic»>l' Quasi dieci anni dooo Ia pubblicazione diLe guerre dell'acqua,la crisi ecologica hìediamo ben oltre l'acqua elacrisi della democrani.oonein discussione non solo Ie istituzioni di mercato, maànche quelle della rappresent^nz politica d:Legata'
- Il qrrudio nell'ambito àel quale-hrsenso riflettere sul t pporto frapanitie movimenii di fronte alla-salvaguardia
di r., b.t. .à*.rr" primario quale l'acqua, fonte di ogni vita sul oianeta. C quindi necessariamente rivoluzionario' Oggi it iapitalismo globùizzato e mercificante è incompitiUit" .oi lu ,optriruir.trza e con la democrazia, sicché ristabilire la democtazia inaertendo la rotta è un'autentica ouestione di vita o di morte. Siamo cioè di fronte a esin"nz..rrorali di trasformazione e a un vero e proprio stato Zi necessità, i quali reclamano una rivoluzione culturale eco-compatibilé che difficilmentepuò prescindere da una rivoluzioie politica. Se le armi della critica siano sufficien,i r" i t..ii d.[u catastrofe ecologica siano compatibili .ot" pi"t i diriformismo radicale deve diventare oggetto. di discussione consapevole, ancorché inquietante, nell'ambi-
to dei partiti e deimovimenti contro-egemonici che pon-
gono al centro i beni comuni. " Se questa sfida è chiaru, dobbiamo tuttavia affrontare due ouàstioni legate ai mezzie agli strumenti ttlnzabi\' per tale inversioie di rotta: partiti o movimenti nella bati"sli, p., i beni comuni? Quale declinazione del giuridico è iecÉssatia? Nell'affrontare queste domande, al centro non può che collocarsi la dimènsione del potere, grande ,r...rì. delle scienze sociali. Abbiamo visto come proprie1 Vandana Shiva, Le guerre
del|acqaa,Feltrlnellt', Milano 2001,
p.)2. 79
tà privata e Stato, nelle varie loro declinazioni, siano le due grandi istituzioni giuridico-politiche che dominano la modernità capitalista. La loro posizione antitetica è del tutto falsa tanto sul piano storico quanto su quello del presente, perché esse sono legate ftaloro da un rapporto fortissimo di simbiosi mutualistica e i confini sono presentati ad arte come netti, ma in realtà sono assai grigi, proprio come quelli fra privato e pubblico (possiamò dimànticare la Scuola di Francoforte?) e fra poliiica e società civile. Tuttavia, la falsità srorica di un certo discorso politico è del tutto irrilevante nel riflettere sulla sua egemonia, sic-
re istituzionali modellate anche storicamente sull'apparato
(Stato) che consiste nell'elemento della concentraziorue del Le strutture privatistiche (proprietà pirv ata,società per azioni ecc.) concentrano il potere di decisione ed esclusione in capo aun soggerto (il titolare) o nell'ambito di una gerarchia (il CEO). Similmente, Ie srrurture pubblicistiche {bw o c r azia) c o n c e n t r a n o i I p o t e r e ai v ettici diuna ger archia sovrana catatterizzata dall'esclusione di ogni altro soggetto decisionale nell'ambito di una data sfera di giurisdizione (modello della sovranità territoriale e sue anièolazioni politico-amministrative). In Italia, Regioni, Province, Comuni sono, da questo punto di vista, dei <<mini» stati-apparato. In sostanza, i partiti tendono a muoversi suun continuum che passa dal liberismo allo statalismo (o viceversa), declinando tuttavia sempre l'identico parudtgma de77a concentrazione del potere su un o su una organizzazione.I partiti -oggetto svolgono la loro funzione essenziale nell'ambito di stmttu-
dello Stato sovrano. Come ormai ben sappiamo, il governo deibeni comuni nhuta radicalmente questa logica riduttivistica e si articola intomo a diffusione del potere e inclusione partecipatiaa. Ben difficilmente quindi la forma partito, a sua volta prodotta dalla modernità politica (Stato territoriale sovrano) e dalla centralità dominicale, può prestarsi al governo dei beni comuni. Il comune costituisce un abro genere,rudicalmente antagonista rispetto alla decltnazione esaustiva del rapporto pubblico/privato o Stato/mercato. Il comune, infatti, rl,fittala concentrazione del potere a favore della sua dffisione.Il comune ha come modello un ecosistema, ossia una comunità di individui o di gruppi sociali legati fra loro da una struttura a rete; esso rifiuta più in generale l'idea gerarchica (e anche quella competitiua, prodotto della stessa logica), a favore di un modello collaboratiuo e partecipatiao che non conferisce mai potere ad urua parte rispetto ad altri elementi del medesimo tatto,ponendo al centro l'interesse di quest'ultimo, il comune appunto, visto come qualcosa di non riducibile a)L'aggregato delle parti che lo compongono. In questo senso il comune ifiutala logica del potere toat court a favore di quella ben diversa della partecipazione, proprio per la sua strutturale incompatibilità con la gerarchia. In questo quadro, evidentemente, il dualismo lrclitico-culturale <<Stato-mercaro>> viene smascherato come riduzionista e per sua natura autoritario, sicché ogni discorso sui beni comuni diviene incompatibile non solo con la struttura dei partiti politici, ma anche con quella di ogni altro tipo di istituzione, prwata o pubblica, che si muova nella logica della concenttazione del potere. Non solo, a)lora, diventa plausibile che ogni effettiva tutela di un bene comune debba essere politicamente sostenuta da rnooimenri (destrutturati e a potere diffuso) e assai meno capaci di fado siano i partiti (organizzai e a Intere tendenzialmente concentrato). V'è ben di più. I movimento per i beni comuni non può che essere un mo-
80
81
ché la pervasività di Stato e mercato come rappresentanti rispettivamente del pubblico e del privato non lascia posto ad alcun terzo genere: in effetti, il discorso dominantè colloca tutti i partiti politici su un continuun cheva dal liberismo allo statalismo, secondo una rappresentazione della loro politica economica indipendente da quella di destra e sinistra (esistono ranto statalisti quanto ]iberisti che si defi niscono di desra come di sinistra). Questa rigidità e questo
riduzionismo di analisi e prassi sono in realta il prodotto di una struttura comune a proprietà (mercato) e iovranità p o t ere.
vimento per un'autentica decLnazione democratica dell'idea stessa di cittadinanza, fatta di partecipazione attiva e non di mera scelta passiva fra partiti politici offerti sul mercato della politica, a)le scadenze elettorali, nel puro
italiano (Della proprietà) nelle parti relative alla proprietà
Università Roma 3, Cento Studi CGIL, International University College of Turin, rivista <> e molti altri). Alcune di queste ricerche, dedicate in particolare alla proprietà pubblica e condotte presso I'Accademia Nazionale dei Lincei tin dal 2004, ambivano a recuperare un nuovo governo democratico dell'economia, da interpretarsi soprattutto in chiave ecologica e di lungo periodo, proprio per porre rimedio alla continua pivatizzazione dei beni comuni, che in Italia si sta svolgendo fin dai primi anni Novanta al di fuori di ogni principio. Tali ricerche hanno prodotto una prima posa in opera tecnico-giuridica della nozione di bene comune, offrendo al sistema giuridico italiano una straordinaria opportunità di collocarsi alle frontiere del dibattito lnterr,azionale. Nessun partito politico, a differcnza del movimento per l'acquLa bene comune, è stato all'altezzapolitica di questa sfida. La Commissione Rodotà, istituita nel giugno 2007 con decreto del minismo della Giustizia, fu il frutto politicoistituzionale di quell'itinerario di studio linceo su proprietà e patrimonio pubblico. Essa, incaricata di proporre una legge delega di riforma del terzo libro del Codice civile
pubblica, si è immediatamente movata di fronte al dilemma dei beni comuni. Infatti, anche in quella sede di riforma giuridica ci si è tosto resi conto che l'essenza dei beni comuni non poteva essere c olta dil.parudigma della proprietà pubblica (demanio) né da quello della proprietà privata (dominio), carattetizzanti il nostro diritto dei beni, poiché entrambi questi poli sono incardinati sull'esclusione e sulla concentrazione del potere di disporre nelle mani di un soggetto sovrano, sia esso pubblico o privato, da esercitarsi su un oggetto (bene: cosa che può formare oggetto di diritti, art. 810 Codice civile). Viceversa, le utilità di tutti i beni comuni tanto di natura fisica (acqua, aia, ghiaccia| lido del mare...) quanto di natura culturale (pinacoteche, Gonoscenza, piazze,monumenti...) non sono prodotte dall'esclusione bensì dall'inclusione. Secondo l'impostazione della Commissione Rodotà, quelli comuni intanto sono beni (cose che possono formare oggetto ù &.'ittl) in qaanto siano accessibili a tuui, declinando quindi la logica dell'inclusione, totalmente antagonista a quella classica dell'esclusione, che conferisce valore alla proprietà sotto forma di rendita. I beni comuni, in altri termini, valgono per il loro valore d'uso e non per quello di scambio. In effetti, come già discusso, le loro utilità non sono idonee a soddisfare desideri paganti se non in quanto siano prima artificialmente ricondotte a una struttura di esclusione (recinzione delle foreste, pivatizzazione dei lidi del mare, imposizione di strutture della proprietà intellettuale) che introduce o almeno amplifica la rivalità nel consumo. I1 bene comune non è a consumo rivale; al contrario, presenta una struttura di consumo relazionale che ne accresce il valore attraverso ì.rn uso qualitatiuamente responsabile (e pertanto ecologico). Se dunque il bene comune sfugge alla logica quantitaiva a favore di quella qualitativa, non è un caso che la Commissione Rodotà ne abbia definito l'essenza giuridica senza curarsi della necessità di incentivare la crescita o lo
82
8)
interesse dell'offerta stessa (<<supply side politics>> ).
Tutto ciò non costituisce un discorso astratto, perché proprio un movimento, quello per l'acqua pubblica, ha saputo darc forza politica (tradottasi in una massiccia risposta ai referendum sull'acqua bene comune) - nell'incapacità assoluta dei partiti politici di farlo - a un itinerario culturale alto, inffapreso da anni anche inltalia, ffamite una serie di importanti ricerche accademiche. Oggi assistiamo a :ufia vera esplosione di gruppi di studio sui beni comuni che coinvolgono giuristi, economisti, antropologi e filosofi delle più diverse estrazioni, raccolti presso numerose università e centri di ricerca (Fondazione Basso,
sviluppo economico (come nel caso dei beni tradizionali, privati o pubblici che siano). Al contrario, i beni comuni, in quel primo tentativo di porli in opera in un sistema di
diritto civile,
<> e devono essere gestiti con strumenti a vocazsone pubblicistica (nel
senso ampio di estranei alla logica del profitto priaato) aJ fine primario di soddisfare i diritti fondamentali della persona, costituzionalmente garantiti e informati al principio di eguaglianza e solidarietà <>. Evidentemente in questo quadro teorico la forma giuid.ica società per azioni, imposta dal decreto Ronchi del novembre 2009 e consentita dalla legge Galli dd, L994, squisitamente privatistica e volta alla pura massimizzazione del valore delle azioni secondo i dettami di una gestione efficiente, risulta strutturalmente inadeguata al. govemo dei beni comuni anche nelle ipotesi in cui dovesse essere
ad azionaiato 100% pubblico.
I
beni comuni inol-
ed è questo uno degli aspetti più innovativi del lavoro svolto dalla Commissione Rodotà - sono hnzionah alla soddisfazione di bisogni che non sono soltanto quelli della generazione presente. Scartata la logica della produzione, la riforma proposta mette al centro quella della riproduzione: il govemo dei beni comuni deve tener conto anche delle esigenze delle generazioni future, ossia deve essere ecologico. Infine, la loro tutela giurisdizionale preventiva deve essere diffusa, ossia tutti devono avere dccesso alla giurisdizione per difenderli. Questo legame con la giurisdizione concretizz
tre
-
nel govemo diffuso dei beni comuni la loro esrraneirà non solo all'idea di proprietà pivata (e dunque di mercaro), ma anche a quella di proprietà pubblica linitata dai confini geografici statuali (demanio), proprio perché l'accesso alle Corti è aperto a chiunque. Infati, una foresta tropicale che produce ossigeno indispensabile per Ia soprawivenza del pianeta, o un'opera d'arte attribuita ad un grande maestro, o una spiaggia incontaminata, sono beni comuni indipendentemente dalla loro collocazione all'intemo dei confini dello Stato sovrano nell'ambito del quale si trovano. In que84
sto senso i beni comuni sono collegati (anche se non ridotti)
all'idea Globale) di patrimonio comune dell'umanità. Fra gli apparati dello Stato sovrano, la giurisdizione è per sua natura aperta a qualsiasi persona' indipendentevalere in giudizio rur -.nt. dalla sua éittadsnanza, perdi far diritto o un interesse meritevoli tutela. In altri termini, la legittimazione ad agire non è condizion ata dallacittadinanza'di chi agisce in giudizio, ma soltanto dalTameitstolezza dell'intereise che si vuole tutelare e dalla sua riferibilità a quel dato attore giudtziaio' Sicché, nello schema della Commissione Rodotà, che coerentemente con la natura dei beni comuni <>. Dopo oltre un anno dalla sua- consegna al ministero della Giustizia, il disegno di legge delega predisposto dalla Commissione Rodotà è stato finalmente incardinato in Senato, su rniziativa della Regione Piemonte, senzafifita'v|ra che alcun partito politico se ne sia fatto realmente sostenitore. Viceversa, esso ha dato fondamento teorico e spessore
tecnico alla piattaforma politico-culturale del movimento referendario sull'acqua bene comune, ricevendone significativa forza politica. In tal modo si è creato in Italia un
innovativo .rppotto simbiotico fra cultura accademica militante (oggì raccolta nel c.d. comitato Rodotà, che ha redatto i quesiti referendari e difeso & fronte alla Corte Costituzionaie le ragioni dell'acqua bene comune) e prassi di movimento (coordinato dal Forum Italiano dei Movimenti per I'Acqua). Si sta così producendo, nella totale assenza di partiti di opposizione oedibili, una dinamica- politica ,r.ràu", basata ìulla democrazia diretta, che porebbe pre-
8'
sto estendersi ben oltre l'acqua, per coinvolgere altri movimenti e almi beni comuni quali l'università e il lavoro. Tale
forma politica nuova, estranea alla logica dell'esclusione e della gerarchia, semplicemente non potrebbe essere strutturalmente interpretata da un partito. Invece il movimento referendario ha conferito alTabattagln per l'< rispetto alla deriva dellapivatizzazione (fino ad oggi accademica o nettamente minoritaria) un'autentica fotza politica di portata potenzialmente dirompente. E del resto i quesiti referendari sull'acqua bene comune, redatti da giuristi in massima parte reduci dall'esperienza delTaCommissione Rodotà, hanno consentito al movimento di condurre unabattagha di avanguardia capace di coinvolgere, per la prima volta da molto tempo, il <<cuore politico» di quanti vi si identificano. Infatti, labattaglnper l'acqua bene comune non si esaurisce in una tradizionale <> del servizio idrico integrato, che pure nei vigenti assetti istituzionali sarebbe già un obiettivo molto ambizioso. La difesa politica dei beni comuni si impegna, al contrario, in un imponente sforzo culturaie; necessario per ammettere che < l'Occidente era stato ingannato dal miraggio della privatizzazione, credendo ciecamente nelle virtù della società per azioni e della cultura efficientistica e aziendalistica nel governo dell'interesse pubblico. Il movimento referendario per l'acqua bene comune, insieme a quello altrefianto vittorioso contro il nucleare, vuole produrre e in parte ha già prodotto una visione di lungo periodo, una narrativa e un nuovo sogno, in un momento politico da incubo in cui sarebbe facile abbandonarsi allo sgomento. Per questo appassiona e rimotiva la cittadinan za attiva. Il popolo sovrano ha capito che privatizzazione (acqua) e concentrazione del potere (nucleare) sono i due lati di una stessa medaglia. Due manifestazioni di una stessa filosofia e di uno stesso delirio di onnipotenza antropocentrico che vanno sconfitti subito con la forza delle idee e con prassi politiche nuove. La forza politica di questa simbiosi fra cultura acca86
parte demico-istituzionale e movimento discende in gran di contestuale localmente dal suo essere interpretazione pianeta' la del per la gfuua" y\rez7a ;;;;l;;"g"; modo I-.i;;;;;;"t ".."ttlta stoiico-politica è emersa in Vent'anzoog' del dall'autunno partire a i".q"i?à.rbile ;:;;" il fallimento del <<socialismo rcalizzato>> nella sua .rifuniu sovietica, è finalmente percepito massicciamente ;.É liirlfr;ento (quantome"o morale) del'
;;;;;il*"diato a-t..ia""tAi,
*",à""a" di irasformazione dei cittadini in consumatori, a ."irir*o stari vitrime negli anni della fine della storia. - l^ degli italiani--che hanno votato sì per
bA-e .om,rre sl ribella all'idea di essere costretta l'acqua^^ggioranza dei propri problemi idrici (come già di quelli "iJifrt. teiefonici, di viaggio, bancari o assicurativi) con segretene
i.iài""i.h., sitiliternet oppure operatori di call center' inriÀiir,i di capitale al tinà di mentire a consumatori pg.r
più scadenti' T 'a battaglia .oJalriurti "ù;i;;;.riper servizi bsempre a,r.t, attagll^ p er nuove relazioni sociali' ; i;;d"J;"tla qualità della"vità, il rispetto e il.piacere di insiéme in modo partecipato i problemi dram"ff;;;; À"ti.i del nostro tempo. Quèsta ribellione sicuramente si da ;;;k";;;;o oligopà[ pìiv1t! multinazionali guidaticonprofitto, sempre.più dal osieisionati ,i..h1 -rt rger ..rrt.rti, potlenti, in conflitto di interesse e per nulla toccati d;;;;fi.*i quotidiani di una cittadinanza sempre-più iitioirrur^.Questa ribellione capovolge 1o slogan di Reanà, di." fottì . chiaro: <>' ia soluzione, Ma quesia ribeliòne si rivolge soprattutto contro i partiti oolitici. che nella loro forma gerarchica sono incapaci ai-.i.t.-i#" conffollo critico e di tutelare le persone dallo *up"r.t" del capitale privlto: Così facendo essi si sono resi ,-piu-.rrt" coriespoÀabili della costruzione ideologica di
la una narratlva a penslero unico, che sdogana interamente 87
logica insostenibile di un profitto consumistico di breve periodo che rovina la qualità della vita. Una logica della >, perché la dimensione quantitativa dell' aaere (ecologicamente insostenibile) ha soppiantato quella qualitativa de77'essere cittadini attivi e animali sociali e non bruti alla ricerca (idiota senso etimologico) di mezzi per soddisfare fini materiali per lo più narcisistici indotti dal marketing. In Italia le battaglie per l'acqua e contro il nucleare, collegate all'elaboruzione teorica in corso sui beni comuni come aia nuoua, interpretano in modo partecipato e costuttivo questa ribellione. Come si è detto, l'attuale prassi di movimento (culturalmente proweduto) sostituisce il partito nella battaglia per i beni comuni e per l'inversione
,
Capitolo sesto
IL COMUNE E UIMMATERIALE: I TONNI E T-A. RETE
n
di rotta. La <<seconda Repubblica>, interprete semiperiferico della «fine della stori»>, sta agorizzando, avendo perso ogni prestigio agli occhi della cittadin anza attiva che ha votato in massa ai referendum. Del resto vent'anni fa
fu
Sempre più spesso si ripongono grandi speranze nella rete Inteinetiome luogo di emancipazione e contro-egemonia'
Intomo ad Intemet si è negli anni costruita una vera
e
propria mitologia della Rete come spazio pubblico, <
io-rt.n
informato al principio di uguagiianza, conparità e libertà di accesso, spazio di creatività e nessione, Le belle favole sono numerosissime libera. condivisione protagonisti giovani geniali e creacome vedono e tutte tivi, capaci di idee (poi tradotte in servizi) che,-in rapidg .rr....rlio.r" nella coisa continua per la soddisfazione di sempre nuovi bisogni, sono divenute l'arredo stesso del' go
perché con il referendum sull'acqua bene comune, <>, si possa dawero inaugurare il passaggio aunaterzaRepubblica, più fondata sulla partecipazione e meno sul leaderismo.
nostro mondo globale: basti pensare ai giovanissimi inventori, oggi multimiliardari, di Google o di Facebook. Ua-Éli eroi eponimi della Rete sono anche altri e cermment; questa rivoluzione del <> tocca pure aspetti meno commerciali o narcisistici' Sul piano politicol\7ikileaks è divenuta icona della trasparenza nel èo-,rr" globale. Meno di cent'anni dopo che Lenin aveva denunciio la diplomazia dei trattati segreti pubblicando unilateralmente tutti quelli in cui era entrata la Russia zarista, ecco cheJulian Assange, che non ha neppure dovuto conquistarc lPalazzo d'Inverno, ha potuto produrre, grazie d. suo server blindato, altrettanto imbaruzzo nelTe Cancellerie di tutto il mondo. E poi abbiamo i movimenti per i beni comuni locali, resistenti di tutto il mondo, dagli
88
89
il referendum GianniniSegni sulla preferenza unica, poi amplificato
da17a
via giudtzialia,a far crollare politicamen-
te la c.d. <<prima Repubblica», perché i cittadini andarono a votare respingendo gli inviti partitocratici ad <>. Tutti sappiamo quanto male sia finita quella trasformazione che ha aperto le porte a un leaderismo sterile e all'americanizzazione della nostra politica. Per questo oggi guardiamo con preoccupazione ai tentativi di diversi fra i leader dei partiti di opposizione di cavalcare la vittoria del sì ai referendum. Il popolo sovrano saprà vigilare
zapatisti ai sem terra, dai No TAV alle lotte per l'università pubblica, sparsi in ogni continente e organizzati lntorrTo ai più vari temi. Tutti questi gruppi, grazie alla rete Intemet, mettono in comune le proprie pratiche, condividono idee e strategie, insomma contribuiscono alla creazione di una cultura politica < che coniuga aspetti locali con dimensioni planetarie, in una squisita declinazione di quello spirito glocal che, ancora grazie alla Rete, sembra essersi diffuso. Sarebbe impossibile contestare il fatto che la Rete ha messo a disposizione, spesso gratuitamente e quindi in maniera largamente democratizzata,ufla quantità di informazione assolutamente impensabile fino a poco tempo fa: basti pensare a Vikipedia, che ha colmato il gap f.ra i rugazzi le cui famiglie potevano permettersi un'enciclopedia e gli altri nella preparazione dei compiti e delle ricerche a casa. E tuttavia essa non offre solo info tmazioni. In effetti, Internet è pure luogo di pensiero critico, che si articola nei moltissimi blog che da tutto il mondo offrono riflessioni e pensieri, talvolta intelligenti, dei loro instancabili autori. A questo si aggiungano programmi come YouTube, che da qualche anno consente la messa in Rete
e la condivisione di ogni sorta di immagine, con conseguenze ancora una volta non indifferenti pure sulla sfera politica. Filmati amatoriali messi on line hanno più volte smascherato la repressione poliziesca e messo in scacco la disinformazione che toppo spesso ci viene propinata dalla televisione. E poi c'è la trasmissione in c.d. streaming, che a sua volta può amplificare e rendere globale il messaggio politico delle più varie e minuscole realtà radiotelevisive, che in tal modo raggiungono luoghi un tempo inimmaginabili. Anche i principali giornali cartacei hanno oggi versioni on line più o meno complete ed autorevoli che supplementano l'offerta c ttacea, rendendo più agevolmente accessibili, e sovente gratis, notizie e commenti. Un ultimo aspetto importante dal punto di vista politico è che grazie ad Internet sono possibili operazioni che altrimenti sarebbero impensabili senza una poderosa 90
orgatizzazione, quali per esempio portare per un giorno n piazza oltre un milione di persone, come è riuscito a farà in Italia il c.d. popolo viola, o inscenare pittoreschi più flash rnobs (messinsèene simboliche a sorpresa) nelle diverse occasioni di Protesta'
Sono questi alcuni dei possibili usi di Internet che lo hanno fatio celebrare .o*è <> e luogo di condivisione, facendo declinare dalla Rete alcuni degli aspetti più significativi dell'idea dibeni comuni. Certo, una valutazione di It tern.t nella prospettiva dei beni comuni consegna messaggi non univoci e offre in ogni caso un interessante terreno teorico e pratico su cui testare alcune delle idee discusse nelle precedenti pagine. Naturalmente, occorre in primo luogo sgombrare il campo-da alcuni miti ad esso t"lutiui che mi pare abbiano prodotto eccessivi entusiasmi circala capuCità di Internet di rompere con la logica traduionale della modernità, costruita sul binomio
pòprietà privata-Stato. Bisogna innanzitutto compiere ,rrr" rfotr" di stoticizzazione di Internet, anche se la sua breve esistenza come fenomeno politicamente rileuante e l'estrema velocità delle ffasform azionianche tecnologiche che lo coinvolgono non rendono la cosa agevole, perché si tratta sostanziàlmente di storicizzare il presente. Quest'operazione consegna immagini di segno opposto rispetto alla mitologia della <>, ed è stata sicuramènte l'aspetto tecnologicamente più rilevante della nascita e dello sviluppo del c.d. capitalismo cosnitivo. Internet costituisce, lnfatti,la grande infrastruttuia globale capace di fondare quel p,articolare sistema di prodirzione diiervizi, basato sullo sfruttamento del preiuriato intellettuale e sulla trasfotmazione dei cittadini in consumatori, che caratterizza I'attuale fase di sviluppo capitalistico. La diffusione di Internet, inoltre, ha prodotto un'accele r azione talmente radicale nella trasmissione di nformazioni anche complesse da averne prodotta una 91
altrettanto impressionante nella finanziafizzazione dell'economia, creando le condizioni per il trasferimento di capitali ingentissimi in rempo reaie da una piazza fnanziaia all'aJtra (con relativa faclitazione della speculazione). Altre conseguenze problematiche si rinvengòno nella sua capacità di sostituire la mano d'opera sul fronte dell'offerta dei servizi, scaricando lavoro sul fronte della domanda, quella appunto dei consumatori. Chi acquista un biglietto ferroviario via Internet svolge personalmente un lavoro che altrimenti sarebbe stato a carico dell'offerta (bigliettaio) o che comunque sarebbe stato intermediato da una persona fisica (agente di viaggio). Similmente, chi usa Internet per acquistare un libro provoca inevitabilmente il declino della distribuzione librari a <> (non solo dei piccoli negozi) e la conseguente esrinzione della figura professionale del libraio, il quale offnva consigli pei gli acquisti non di rado supportati da solida cultura. Internèt ha potuto produrre una trasform azione significativa degli assetti capitalistici in quanto, proprio come era awenuto in precedenza con la grande distribuzione rispetto a quella piccola (per esempio le grandi librerie rispetto alle pìcco1e), ha saputo erodere gigantesche fette di mercato prima occupate dall'economia locaie. Non solo quindi, come sostenevaJean Baudrillard, il consumatore diviene sempre più qualcuno che paga per lavorare al servizio del capitale (nel caso dei lìbii, per esempio, facendo autonomamente ricerca senza l'aiutoàel
venditore e perfino scrivendo piccole recensioni ad uso dei successivi acquirenti), ma la tendenza del capitalismo
tecnologico-cognitivo alla. riduzione dei posti di latoro è sotto gli occhi di tutti. E chiaro che la globalizzazione e l'ampliamento dei mercari disrributivi resi possibili da Intemet producono una serie di effetti collaterali, solitamente sottostimati, ma che comunque presentano costi sociali non indifferenti. Non solo posti di lavoro persi, ma anche utiluzo della spedizione da grande o grandissima distanza, che inquina l'ambiente e si colloca in tendenza 92
radicalmente opposta rispetto al modello <> raccomandato dagli ambientalisti. Inolte - e questo è un altro dato da considerare prima di sdilinquirsi nelle lodi della piazza globale come bene comune - Internet rende tutti dipendenti dalla tecnologia informatica e dalle grandi compagnie telefoniche che gestiscono I'accesso alla Rete. I-laccesso dla piazza è precluso a chi non ha un collegamento via cavo o cellulare, cosa per nulla scontata in molti contesti disagiati. Anche nei paesi ricchi Internet è illusoriamente gratuito o poco costoso, perché comunque costano sia la tecnologia necessaria sia l'accesso. Sebbene da quest'ultimo punto di vista si comincino a registrare sforzi pubblici volti a consentire l'accesso gratuito in molte città (spazi pubbli ci wi-fi ecc.),la necessità diutillzzare computer continuamente <> (per non paflarc dt smartpbones, i.pads e altre simili tecnologie) produce comportamenti consumistici insostenibili sia dal punto di vista sociale che da quello ambientale. Dal primo punto di vista, la rapidissima evoluzione tecnologica obbliga a continui upgradings e la durata media di un computer è ormai inferiore a due anni. Non solo, ma molti internauti vengono trasformati in acritici consumatori di beni di lusso, proprio come quelli che comprano l'automobile SUV persuasi della necessità sociale di un certo status symbol (si pensi al Blackberry il cui utente si illude della propria impofianzaprofessionale dimostrata dal fatto di dover essere sempre connesso). Dal punto di vista ecologico, poi, si sa che la cosffuzione e lo smaltimento dei computer e della tecnologia di accesso a Intemet richiedono un consumo del tutto insostenibile di minerali rari (saccheggiati in Africa e in alri contesti fragili) e di energie, cosa che dovrebbe far riflettere bene quanti ritengono ecologica la sostituzione di libri e giornali cartacei con i cosiddetù ebooks. Un alro punto particolarmente problematico per chi proponga di considerare Internet il paradigma del bene comune globale è costituito dal fatto che per suo trami-
te si è affemata ancora di più l'egemonia del modello
9'
americano, sia dal punto di vista linguistico che da quello culturale. Questa egemonia non preoccupa soltanto come l'inglese do-mi{ problema -Irt".rr.t, linguistico, visto che, sebbene gli occhi di è sotto pluralismo linguistico oggi il problema culturale, come pÉoccr.rpu soltanto tutti. Né
p.r. g.rrr., derivante dall'individualismo e dalla compeiitirità che caratterizzano oggi il modello statunitense, che si colloc a tradizionalmente come antagonista di tutto
quanto sia comune. Il vero problema sta-nel sistema di é.d. gorrroance dilntet:;ret che, qualora valutato nella sua effetiività, liberandoci dagli entusiasmi spesso fomentati ad arte dagli apologeti del liberismo <> estremo (fnanziati dalle corp o rat io n s : <<W fued Magazine>> ecc' ), si presenta come profondamente antitetico rispetto a quanto àovrebbe caratterizzare il governo dei beni comuni. E qui necessaria, però, una breve parentesi teorica. La questione della traducibilità istituzionale dal mondo del matèriale tangibile a quello dell'immateriale (e viceversa) non è banale. Significativamente i giuristi, che devono risolvere problemi della vita reale e sono meno affascinati dalle astrazioni teoriche rispetto agli economisti, hanno da-
to vita, praticamente in tutte le tradizioni giuridiche, a un ambito disciplinare problematico autonomo, noto come diritto della proprietà intellettuale (talvolta come diritto industriale), freqo.t tato da cultori (teorici e pratici) diversi da coloro che si confrontano con i problemi della proprietà tangibile, in particolare di quella fondiaria. In effetti, al di là dei suggestivi paralleli teorici, per cui tanto la proprietà privatà delle idee quanto quella di un fondo sarebbero caiatteizzate dagli stessi aspetti di <<esclusione>> di chi non sia il)torizzato dal titolare rispettivamente ad accedervi o a fame uso, le analogie sembrano fermarsi a un livello di astrazione inadatto alla pratica del diritto. Sebbene anche in ambito fondiario, come ben sappiamo, il processo di mercificazione abbia ottenuto i suoi effetti, la terra è una risorsa strutturalmente limitata, non riproducibile e tendenzialmente unica, e quindi la proprietà fondiaria è scarsa 94
in natura. Questo aspetto fondamentale non è vero per i marchi, breietti o diritti d'autore, i tre ambiti che rientrano nella nozione di proprietà intellettuale. Di fronte a risorse che in naturu non sono scarse il diritto di proprietà -svolg-e .iàa ù fr"rione di renderle artificialmente tali (a fine di irur". ptonrto), mentre per quelle che sono già-scarse.la p-priJa ptivata, limitandonè l' accesso, p-otrebbe tutt'al 'pit'ti-it"À" il consumo, almeng stando all'insegnamento Zella tragedia dei.comuni. Non solo, ma se è vero che occorrono sempre recrnzroni per far nascere ur mercato, que]le di fronte all'informazione e alla conoscenza de"..àr.rtiÉ particolarmente pervasive. lnfatti, il pote-nziauorrà "rt".. i" ,.q"ità"tè di un'informurion", a differcnza di qrrello di un qualsiasi oggetto materiale, difficilmente potrà.sapere o,r^1. uul"t" .iA autà per lui senza prima conoscerla' Ovàu*.rrr" il potenziale venditore nòn sarà disposto a far .orrorcere l'àformazione prima di venderla' perché questg eouivarrebb e a regalarla.Di qui i problemi particolarissimi .É. ,o.gono nel'ùtilizzare la logica della propri:tà' prwata i" Lrr"?, di informazione e la particolare virulenza che i grr"a U,if.ndisti intellettuali (case discografiche ed edi?drci, blg pbarma, proprietari dei grandi loghi) utilizzano
p., diféni.te i propri recinti.
Questi problemi in realtà
'int.[étt.,ul" si riproduce così
non a caso in modo parti-
àerivano dal fatto che informazioni e conoscenza crescono quantitativamente e qualitativamente con Ia condivisione mala (É;ha hanno n tur^ di beni comuni relazionaTù, \ff/iki(basti considerare profitti genera non càndivisione oedia. che è sul laitrico)' Proprio in materia di proprietà
-
visibile nella presente fase del capitalismo coonitivo - ouel lesame indissolubile fra proprietà privata e Zi"^nuti.Ér."rriri dello Stato (e oggi anche della globahz' ,uiion"rsi iensi agli accordi TRIPS) che sempre si accompagfl alleànclosuies. Ne sono un esempio i casi clamorosi, ihE td"olt, raggiungono anche i media ufficiali, dirugazzini denunziati à*perség"iti per aver ;rilizzato programmi di peer to peer' filesbaring(ossià di condivisione) c.d.
.olr.-.rrt.
95
Queste banali osservazioni, chebalzano agli occhi sol
che si guardino le cose ponendo al centro la
loà
natura feno.menologica (terra, conoscenza) e non il loro regime giu-
ridico (proprietà privata, brevetto), sono offuscAte d*agli investimenti estremamente cospicui che i grandi latifondisti intellettuali compiono n.lla costruzio;e di apparati ideologici loro favorevoli. Poiché in una società che àndivide e mette in comune le proprie conoscenze, riconoscendo che queste sono sempre il prodotto di un determinato contesto sociale, copiare è un comportamento del tutto naturale (come quello degli scolaretti che si aiutano in una verifica), per scoraggiare questi comportamenti sono necessari apparuti repressivi che utilizzino anche l'ideologia come strumento di inibizione. Tutti questi apparati puìtano a distruggere il comune a favorc del privato. E iosì, per esempio, nelle università degli Stati ùniti i compiti vengono valutati comparativamente su una <<curv»> inìui soltanto alcuni possono ricevere un voto alto, creando un meccanismo di rnors tua uita mea che distrugge la cooperazione attraverso la competizione (che a sua volta viène promossa a valore): se faccio copiare l'amico danneggio me stesso. Similmente, le maestre cercano di convincére le bambine più secchione che <<non è giusto» aiutare i maschietti meno bravi, così incentivando in loro comportamenti da mostriciattoli egoisti (con la conseguenza^che poi, volendo escludere, restano escluse). AIlo siesso modo i molti cultori-cantori della proprietà intellettuale, raccolti presso lipartimenti riccamenre fnanziati dal7e corporations lattfondiste intellettuali, diranno che essa <<stimola l'innovazione e la creatività>> utikzzando esattamente Ia stessa retorica che i fisiocrati usavano nel celebrare le recinzioni, ossia che senza proprietà privata non c'è incentivo alla coltivazione e al lavoro. Naturalmente non è questa la sede per soffermarsi sulla discutibilità storica di quelle affermazioni di fronte all'uso comune della terra. Bisogna
la conoscenza, che non sono scarse, ma hanno viceversa natura collettiva e relazionale . P rwatizzare l'informazione ne limita di fatto la diffusione, e limit ameladiffusione non può che rendere più difficile l'ulteriore innovazione. Ma gli investimenti poderosi in ideologia, anche accademica, fanno sì che la maggior parte degli osservatori sproweduti (i tonni del titolo di questo capitolo) trovi naturali quesre affermazioni false ed interessate ! Dovrebbe invece essere palese che un governo più coerente con la fenomenologia dei beni comuni si deve fondare su istituzioni capaci di coinvolgere coloro che sono disinteressati all'accumulo di proprietà privata e di potere politico e, al contrario, sono gratificati proprio dalla cura del comune. Istituzioni, cooperative, fondazioni, associazioni, assemblee, consorzifta enti locali, comitati, insomma gruppi che pongano in essere autentiche dinamiche democratiche - più o meno informali e conflittuali - prive di fini di lucro, costituiscono gli assetti istituzionali più adatti a governare i beni comuni. In simili ambiti la creatività fiorisce nella condivisione dei problemi sociali e non si trasforma in un mero esercizio narcisistico dell'individuo. Se si osserva il govemo di Intemet fuor di retorica, si vedrà come inclusione e condivisione siano ben lungi dalle motivazioni e dalie pratiche della sua gesrione attuàle. Infatti, dopo una fase storica nizialein cui la Rete era effettivamente gestita dai suoi principali utenti e padri scientifici,
invece qui enfatizzare il risultato cornpletamente controfaxuale di queste affermazioni nel caso di risorse, come
interessati principalmente a sviluppaia e a farla crescere, a partire dalla fine degli anni Novanta le cose sono cambiate radicalmente. Oggi il governo anzi, come si dice per depoliticizzareil.termine, la gouernance- di Internet è saldamente in mano aipotenti interessi politici e privati che son stati capaci dradattate al capitalismo cognitivo la grande tenaglia che fin dalla modernità stritola i beni comuni. Sono oggi gli Stati Uniti d'America e i grandi latifondisti intellettuali, che come i robber barons fra il KX e il XX secolo ne determinano le politiche, ad avere saldamente in pugno il controllo della Rete. Un controllo che progressi-
96
97
-
vamente ne stritola gli aspetti di bene comune, come dimostra il fatto che oggi più della metà del traffrco che circola sulla Rete è costituita dalle c.d. apps (applications) private, alle quali si accede soltanto a pagamento. La guerra per
il controllo di Intemet,
una volta che questo è diventato l'infrastruttura fondamentale del capitalismo cognitivo, è durata assai poco. Il governo degli Stati Uniti ha fatto pesantemente valere, anche con l'uso della minaccia penale, la <<proprietà» della Rete, sulla base del fatto che il suo sviluppo era stato condotto presso infrastrutture di ricerca finanziate con fondi federali (del complesso militare-industriale). I tentativi di governare Internet amezzo di qualche organizzazione istituzionale globale (Internet Sociefl ) sono
stati così ben presto intuzzati. Nel territorio degli Stati Uniti si trovano infatti praticamente tutti i c.d. root seraers, cioè la quindicina di computer su cui fisicamente si fonda lDornain Narne System, il sistema di assegnazione degli inài.r.izzilntemet senza il cui continuo mantenimento la Rete sarebbe inservibile, come una megalopoli in cui le persone abitino senzarndirlrzzo o come una grande biblioteca senza sistema di catalogazione libraria. Intemet non sarebbe in alcun modo concepibile senza un potere di assegnazione degli indirizzi e il. contollo del livello base dell'indirizzazione conferisce un autentico potere di vita e di morte sulla fruibilità della Rete per i suoi utenti. Tale potere di assegnazione, strettamente gerarchico in barba alla retorica
della Rete, trova la sua <<norma fondamentalo> nel Roo, A- la radice della piramide, strettamente gerarchica ancorché invertita -, che a sua volta si trova in territorio statunitense (ed è quindi controllato dal suo governo). Il grande conflitto dei primi anni Novanta fu ma una concezione non commerciale della Rete, voluta dai suoi «padri fondatoril>, e una concezione del tutto commerciale, rappresentata da una corporation govemativa ame-
Seruer
icana controllata dai latifondisti intellettuali (Network Solutions Inc.), che naturalmente ebbe la meglio. Oggi il cenuo decisionale della Rete (dove pure operano for pro98
fit o no profit decine di altre organizzazioni che svolgono e rivendicano diverse funzioni di sviluppo) è un'altra corporation,nominalmente no profit: ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), che esercita il suo potere sulla Rete tn fotza di una convenzione con il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti. Tutti'i governi del mondo (tranne quello statunitense, suo dante causa) non hanno che un ruolo di consulenza nelle decisioni del consiglio di amministrazionedi ICANN, cosa che apparc quanto meno ironica a fronte della retorica della Rete come bene comune! Tutto ciò mi pare collochi il grande common globale, che tanti indicano come il modello per la gestione dei beni comuni, in una luce teffa.Larete virtuale, lungi dall'unire, in realtà mi sembra divida, rndividuallazi e illuda, sollecitando falsa comunità e vero narcisismo. La rete virtuale cattrfia i tonni rendendoli idioti. Oggi ci si mandano mail da un ufficio all'altro e la comunicazione scade e si impoverisce. Moltissimi, soprattutto fra i più giovani, sanno solo mandare un mail (o un SMS) perfino per lasciare la {idanzata, perché timorosi del contatto, del calore, dell'odore e del sapore della fisicità. I caffè dei campus americani sono affoll,atidi studenti, ognuno sul proprio compute! che non si guardano e non si padano, ma che sono collegati via Facebook magai con qualcuno dall'alma parte del mondo o in un caffè poco lontano. Ma la politica è e deve restare fisicità, se vuole avere una qualsiasi cbance di emancipazione. E i beni comuni si possono difendere e governare dawero soltanto con la fisicità di un movimento di massa disposto a battersi lungamente e generosamente per riprendere i propri spazi. Non sarà mai un giorno di piazza convocato via Facebook a fermare una guerra o a cacciare un tiranno.
Conclusioni
UN FUTURO IN COMUNE O NESSUN FUTURO
Come discusso nei precedenti capitoli, un elemento politico-culturale è ciò che <> le battaglie politiche di lunga durata e di dimensione globale per i beni comuni. Queste si declinano in modo estremamente diverso nei diversi contesti, ma fanno parte di una stessa decisiva guerra rivoluzionaria che ha per scopo la soprav'vivenza del pianeta. Ovunque si confrontano gli stessi due paradigmi: quello dorninante,fondato su un'idea darwinista del mondo, che fa della <>, della <dott»> e della <
che (corporations) l'essenza del reale; e quello recessiuo, fondato, viceversa, su un'idea ecologica e comunitaria del mondo, che è soccombente ormai da molto tempo in Occidente e sotto attacco nei luoghi in cui ancora resiste. Per invertire la rotta occorre portare quest'ultimo a una nuova
potere feudale manteneva al centro della vita in società la comunità corporativa pre-statuale a matrice locale. Ijabbandono di questo modello comunitario in Occidente è stato il graduale esito delle esigenze dei mercati di fondarsi su istituzioni politiche di dimensione statuale al fine di farne uso nella corsa al saccheggio coloniale e di rafforzarcle concentrazioni di capitale. In periferia il modello recessivo, ancor presente nell'organ izzazione di villaggio, cerca di resistere strenuamente all'assalto spietato fatto di aggiustamento strutturale (piani della Banca Mondiale volti a favorire la merciftcazione della terra, I'importazione di OGM, la pivatizzazione dell'acqua) e culturale (retorica dei diritti umani, dell'emancip azione femminile all'occidentale e in generale della modernizzazione, Internet ecc.). Se sul piano politico il primo modello, radicato nelf individualismo proprietario e nella sovranità dello Stato sul teritorio, domina la stessa visione antropologica dell'Occidente fondata sull'homo oeconomicus e sti, suraioal of tbe fittest, sul piano scientifico il secondo modello si è già preso vistose rivincite. Si sta imponendo sempre più una visione che vede Gaia (la terra vivente) come una comunità di comunità ecologiche, legate ka loro in una grande rete, un network di relazioni simbiotiche e mutualistiche, in cui ciascun individuo (umano o meno che sia) non può che esistere nel quadro di rapporti e relazioni diffusi, se-
fl. modello dorninante lo abbiamo visto proposto costantemente nella retorica sulla crescita, sullo sviluppo e sui modi di uscita dalla crisi che i media capitalistici continuano a produrre, nonostante la catastrofica situazione ecologica ed economica del nostro pianeta. I-linsistenza mediatica è continua e spudorata, ma progressivamente meno seducente. II modello che bisogna rinnovare per portarlo all'egemonia ha invece caratterizzato I'esperienza politico-giuridica medievale, in cui la parcellvzazione del
condo modelli di reciprocità complessa. Mentre il paradigma dominante, fondato su una ùsione ndtvtduùnzata - competitiva o gerarchica che sia -, è inadatto perfino a descrivere questi nessi, che sono prima di tutto qualitativi e non quantitativi, il nostro parudryma ci offre una percezione della realtà fatta dt comunità, i cui membri sono dipendenti I'uno dall'altro (e le comunità a loro volta le une dalle altre). Il rapporto paradigmatico del modello recessivo non è il dontinio assoluto e meccanico del soggetto sull'oggetto (proprietado-beni; Stato-territorio), ma al contrario èla relazione del nutrimento e ddla dipendenza,
100
101
egemonia globale.
Come che è relazione di vita e non di tecnica tnanttnata' rapporto dal tl f;.t X; dipende per il suo nutrimento la sua L" i, "rra.e, così .irr.,,,' individuo dipendela per comunità' con gli altri, con tootrt"riu." ".à',,'h;;;;;, za dal tapporto à., Lu*Éi"tte. Il nutrimento e la dipendennecessità ;;-;;;;i;zioni di tipo qualitativo, perchéIelemedesime' sempr€ quàntitativo pianà ,ii*rtl t.ro sul ili;;;i;;;ri;tilndiuid"i hrn"o srosso modo bisogno del-
di cibo (Àit"ruto in kilocalorie) ed per la so p rawiv enza; Le differen ;;;;-(,"tt; (tipo di dieta' ;;}d;;;ilnà evidentemente qualitative non quantitative' oriirudell' acqua ), mentre le differenze diseguagliandi :';;;[tli;JJ!i.u-"rt", sono alla base necessario insorgere' ze -- smodate contio le quali èmaggiormente olistici' fondati l" .ff.tti , atteggiamenti che su piuttosto qualitative t"il';.u|#;;;fi rclazioni riduzionial critica sulla t ot"hé -lr"trri6ii quantitative, e cartesÀo potitivisiico di matrice galleiana,newtoniana soltanto non e teorica fisica ancheft' ;ir"r:;il;" ^d;b;t.heimposti è scienza della vita' Essi, fin dalle origini i"
h;;à;;#quantità o
it^ inlitri)
hanno prodefla màcanica quantistica e del relativismo' rivoluzione epistemologica, con radi"";u"tentica "o*o ;i J;.;t nell'elettromagnetismo di Faraday e'e secondo Fritiof Capta, perfino nelle visioni qualitattve olrstlche che iliL ;.i";;;1ii.ot r.d"' Tale rivoluzione <>' diFunn elTanozione Jorà"t irt.*i.o ,"-bta articolarsi ha dlr;;;;el nLu*ru tipica della fenomenologia'.non in cui tradizionali' sociali le^scienze i"i r"li contaminato radici nello ir,oArio". empirista anglo-americana (con tecnica e della servizio al àlloca si r.i."ìit-" baconiano) à.u" a. L^',,ision. meccanicistica, responsabile di
"L" ;;;; ;ài, "i ii -ondo sull'orlo del baratro' incredibilmen-
;;;;;i"; ;;;;ì;
;".ora il panorama accademico, soprattutto.in p.rmr"gi, e sociologia (e anche nella tradizio-
ne '^- filosoficà analitiia anglo-americana)' U"..Gia invece, soli visione politica che può og.qi forfin dalle sue nire una mappa per rnvertire la roìta, si fonda
cenffo si colloca la orisini sulla tradizione recessiva, al cui va denuncomperitivo e ;,ffi';. iildilduo solitario volto a pensiero.letale' un di Ii,ffi;J,^,,; ri"'i""" e l'accimulo di.proprietà. pri i""*r-".. f" dir"g"'gli'"'a urgenza-se si evitare ;;?;;;;;bbriao"""" conSe iifatti l'individuo 'uole solo in *.f"git' ii"ale'
ir'"j,r.iì.r.
teorica e la sua spetffi;;;;;;;È;,T" sua costruzione cefiamente funzionali aco\atizzazione immaginaria sono aa capitalismo' che intende fi.;G;;;ài u."u'.pEi'àt opulente da molti ;;il;iii;,roi p'odàt-ti' N"u" società invgntàti' ne19fr9 Oyelli
anni ormai i blrogri a""";t'o "ttttt la,cui soddis fazione orimari (mangiare, vestirsi, coprirsi)'
à"gli economisti della #;ffi .;;;J;;lÉ p;;;p'iiod tempo soddisfatti' da stati di Ridà;,;;; ;;;t"* sempre bisogni inventare di F;;;; il" scopo t"ttt"" la disciptinaprivati marketing del nuovi si è sviluppata di
i'"*q"i., .t.#at-iuttt i--'gini
compoftamentl lo oiù egocentrlcr e narcisisticr' P{oduce ;"togi'i devastanti' Ijindividuo' ii e desideroso di contoio, ;;;;J;;ào ""cislstico contrattuale'il ÀLia t
i#;il;rg['ff;i
-il;.;*u"àu.
;X.|ffi p'-.rpal Una condizio.r.
;il; il:i;;
t'
^;J' "1 "pporto iìiz'ont'
""i'") .r-À^ Àiserabile,
relazionale'
fesa tuttavia desidera-
iiiii da pagare.per la soddisfazione individuali' dei diversi, sempre ;il;pidi' "Éisognil> quanto il t
Miserabile ma tanto
oggefti;
tiiiti è cafcohto sulla base di quanto ".Àrl .i,,t""o po"u o"tt'tre! Una t:di-ii"-1" ;;ilÀ;.riio se non govemata rlpro-
.""""11rr"
;;
stuti
destinata ad implodere,
* i:à'iil"#:'ii;;ruil"'iu può confondersi non solipsistici, egocentrici e consumisti
oonendobenicomunialpostodella.proprietàprivata, ag'É':'; individui con una comunità
ptiitit" ti'A
e'La <> individua-
lib".ul" (esemolificata dal mi-
ilil;pl;; a"u,,iu;ri*" dult necessità to di Robins.r, c"'lll lt"rié' if Uitogt'o in modo ,oprr*l,r.,i'"u-i;h;Ét"'o 'otditfutti costante) orfrr,l.tr".tli"' Ji'"tto ma quantitativamente
reali di
103
t02
e mlti materialistici p,er
e lo rende invece qualcosa di inventato, funzionale alle esigenze stesse della sua soddisfazione (supply side economics).Intùmodo il paradigma quantitativo ha sottomesso
quello qualitativo perché più si riescono a far crescere i bisogni indotti, più denaro si porà incassare dalla loro soddisfazione.
Purtroppo la dimensione ecologica e il pensare <<siste- i soli approcci capaci di svelare queste dinamiche di accumulazione individualistica, devastanti per la vita in comunità - sono i grandi assenti del pensiero politimico>>
co contempoianeo, il quale trova nelle scienze sociali (in particolare la microeconomia, le scienze aziendalistiche e perfino il marketing) la sua sola interlocuzione culturale. In conseguenza di queste strutture ideologiche, soltanto l'accettazione di presunte necessità economiche e culturali (quelle funzionùialle suddette esigenze della produzione) rende un messaggio politico realistico per il discorso dominante. Viceversa, la critica fenomenologica ed ecologica del discorso dominante, per quanto ben diversamente proweduta sul piano culturale, viene regolarmente bollata di ideologia. Se queste premesse sono convincenti, risulterà chiaro come la vicenda dei beni comuni e della loro riconquista vada compresa nell'ambito di uno scontro profondo - epistemologico e anche psicologico - fra due visioni del mondo (quella meccanicistico-tecnologica, fondata su individualismo, dominio e dimensione quantitativa, e quella ecologica, fondata su comunità, olismo e dimensione qualitativa). Uno scontro che va tradotto in una prassi politica rivoluzionaria capace di far trionfare a livello globale in tempi esffemamente ridotti la seconda, che è la sola concezione scientifica compatibile con il mantenimento e l'adattamento di lungo periodo della vita sul nostro pianeta. Si tratta in sostanza di predisporre un'alternativa, po-
litica e culturale, che sappia scalzare tanto la proprietà privata quanto la sovranità statuale dal ruolo di pietre angolan
delT'
organizzazione politica esaustive del novero
t04
delle possibilità. Fare chiarczza su questo punto è essenziale sul piano strategico, visto che gli attuali rapporti di forza fta-proprietà privata (corporation) e Stato rendono quest'ultimo succube della prima (cioè di rendita e profittò). Sebbene, infatti, per qualche decennio anche in Occidente, grazie agli equilibri della Guera Fredda, alcuni Stati siano riuscitì a elaborare un diritto pubblico in grado di limitare la sfrenata pulsione all'accumulo delle classi
dominanti (tassazioni progressive, u elfare s t a te, tvtela dei lavoratori e dei soggetti deboli), quegli equfibri sono ormai saltati. Il diritto non è più in grado di controllare i processi economici, ed è pertanto divenuto naturale (e quindi accettabile) che un CEO guadagni in poche ore quanto un suo operaio in un anno (è il caso di Marchionne) e che un bene comune come la rendita fondiaria, squisito prodotto della collettività, sia interamente e_ quotidianamente assorbito dalla proprietà privata, Né il primo né il secondo fenomeno sono percepiti nella loro vera natura, che è quella di sfruttamento parassitario e insostenibile di diverse tipologie di beni comuni. Nell'attuale situazione di forza, infatti, la proprietà priv ata (in accezione ampia, che comprende l'impresa ed il suo management) riceve ,r, ro.t"gro ideologico e politico non minore di quello goduto ai tempi della prima modernità, con l'aggravante della pervicacia, perché i danni prodotti dalla continua accumulazione privata dovrebbero oggi essere sotto gli occhi di tutti. Questo sostegno ideologico naturalmente si è trasformato in egemonia e prestigio agli occhi dei più, sicché ancoraoggi, nonost ante Ia drammatica crisi palesatasi nell'autunno 2008, quando proponiamo una < rispetto alla furia privatizzatdce della «fine della storia> non è raro ricevere accuse di statalismo' Si ripete ossessivamente che le privatizzazioniin Italia si sonò <<dovute fare>> acausa della cancrena partitocratica che ha attaccato ogni istituzione pubblica, corrompendola in modo definitivo. Similmente, quando a destra si propone di «ridefinire>> i confini della presenza dello Stato si dà 105
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
per scontato che ciò debba awenire a favorc della proprietà privata, cioè del profitto d'impresa e del c.d. libero mercato.
In realtà una tale ridefinizione pouebbe paradossalmente essere condivisa dai movimenti per i beni comuni, purché essa lasci spazio a una maggiore estensione dell'ambito del comune (sottratto tanto allo Stato quanto alla proprietà privata) a favore di una diversa logica, quella dell'autentic a democrazia partecipativa. Ridefinire i confini dello Stato, e allo stesso tempo quelli del profitto e della rendita, secondo un'idea di <<meno Stato, meno proprietà privata, più comune>> costituisce la sola via per far ripartire una narrativa contro-egemonica, capace di recuperare consenso. In una società ecologicamente sostenibi1e, coerente con le nostre attuali conoscenze sulla natura
del reale, Stato e proprietà pivata possono al più essere l'eccezione, non certo la regola. E la proprietà ptivata, cataltzzatore di profitto e rendita, vera cellula cancerogena della disegua gltanza, deve essere riportata immediatamente sotto rigoroso controllo pubblico e drasticamente limitata sul piano quantitativo con ogni mezzo, prima che sia troppo tardi. Proporre di considerare un'entità (acqua, università, patrimonio culturale, rendita fondiaria, lavoro, informazione...) come <> al fine del suo governo politico-ecologico ha certamente lo spirito di una rudicale < rispetto al trend apparentemente inarrestabile delle privatizzazioni, ma non significa affatto che la prospettiva sia limitata ad un ritorno di tutto i1 potere nelle mani di un settore pubblico burocratico, autoritario o colluso. Al conrario,la strada da intraprendere è quella dell'istituzionaftzzazione, a qualunque livello politicamente possibile, di un governo partecipato dei beni comuni, capace di restituirli in una prima fase alle < (art. 43 Cost.) e poi definitivamente alle moltitudini che ne hanno necessità.
Ago, Renata, Signori e contadini, in AA.W., Stotia moderna, Donzelli, Roma 2001, PP.203'227 .
Alford, \(illiam, To Steal à Book is an Elegant Offence. lntellectualProperty Lau in Cbinese Ciuilization, Stanford University Press, Palo Nto L995. Althusser, Loris,Lo Stato e i suoi apparati,EditotiRiuniti, Roma 1997. Per Marx, Mimesis, Milano-Udine 2008. Azais, Christian - Corsani, Antonella - Dieuaide,
-,
Paffick (a cura du ttauail et ruutations Entre dt), Vers un capitalisme cognitif. 2000. Paris I.]}larmattar,, s, territoire Azzatiti, Gaetano - Burgio, Alberto - Lucarelli, Alberto - Mastropaolo, Alfio,uniuersità pubblica e sapere critico: un'abra
unir-tersità è possibile, DeriveApprodi, Roma 2010. Bensaid, Daniel, Gli spossessati. Proprietà, diritto dei poueri e beni cornuni, Ombre corte, Verona 2009. Birocchi, Italo, Atk ricerca dell'ordine. Fonti e cuhuru giuridica ne\l' età ntoderna, Giappichelli, Totno 2002. Bloch, Ernst, Tbornas Mùnzu teologo della riuoluzione,Feltri'
nelli, Milano 2010. Bobbio, Norberto - Bovero, Michelangelo, Società e Stato nella rnodelh fitosofia politica moderna. Modello giusnaturalistico e b e ge lo-rnarxiano, 17 Saggiatore, Milano 1979. Boylé, James, Tbe Second Enclosure Mouement and the Consttuc-
<
i;on of the Public Domain, in blemsrr, 66,
irl
101
Norton & Company, New York-London 2009, scaricabile gratuitamente dal sito http://www.earth-policy.orglindex.phpT/ books/pb4 Buchanan, James M. - Tullock, Gordon, ll calcolo del consenso. Fondarnenti logici della democrazia costituzionale, Il Mulino, Bologna 1998 Bussani, Mauro,
ll diritto in Occidente. Geopolitica delle regole globali, Einaudi, Torino 2010. Cacciari, Paolo (a cura di), La società dei beni corauni, Ediesse, Roma 2011.
Canfora, Llu.ciano, La denzocrazia. Storia di un' ideologia,Laterua, Roma-Bari 2008. Capra, Fritjof, Tbe TurningPoint: Science, Society and the Rising Cubure, Simon & Schuster, New York 1982. -,I,a scienza della oita. Le corunessioni nascoste tra la natura e gli essei aiuenti,Nzzoh, Milano 2004. -, La scienza uniaersale,Nzzoh, Milano 2008. Carson, Rachel, Silent Sping, Houghton MiÉfiin, Boston L962. Cassese, Sabino, Obre lo Stato,Latetza, Roma-Bari 2006. Cassi, Aldo Andrea, Ultrarnar,Latetza, Roma-Bari 2007. Castells, Manuel,La nascita delle società in Rete, Università Bocconi editore, Mtlano 2002. Galassia lnternet, Feltrinelli, Milano 2006. Cipolla, Cado M., Uomini, tecnicbe, econornie, Feltinelli, Mi lano L978. Coccoli, Lorenzo, Prcprietà e beni comuni. Un percorso filosofico, tesi di laurea, Università Roma 3,2010. -,Rousseau critico delk proprietà rnod.erna: il <>, in <
-,
Alla
radice della giustificazione dell'id.ea coloniale, in <, glugno 2005, reperibile su http ://eprints.sifp.itl2 8 Cuttitta, Paolo, Segnali di confine. Il controlh dellirnrnigrazione n e I nz o n do fro n t i e r a, Mimesis, Milano -Ud ne 2007 . Deleuze, Gilles - Guattari, Féhx,Mille piani. Capitalisrno e schizofrenia, Castelvecchi, Roma 2001. Di Simplicio, Oscar,Le riuohe contadine in Europa, I grandi mo108
uirnenti cbe scuotono le campagne nellepoca ruoderna, Editori
Riuniti, Roma 1986. Dubois, William 8.8., Sulla linea del cohre. Razza e detnocrazia negli Stati tJniti e nel rnondo, a cura di Sandro Mezzadra,IT Mulino, Bologna 2010. Eagleton, Terry, Ideologia. Stoia e ctitica di un'idea peicolosa, Fazi, Roma 2007, Engels, Friedrich, IJoigine della famiglia, della proprietò pioata e dello Stato U8841, Editori Riuniti, Roma 1961. Tbe Mark, in ld., Socialism. Utopian and Scientific [1880], Mondial, New York 2006. Fanon, Frattz, I dannati della terra t19611; Einaudi, Torino
-,
2007. Nascita della pigione, Foucault, Michel, Soruegliare e Einaudi, Torino 1976. Fumagalli, Andrea, Bioeconornia e capitalisrno cognitiuo. Verso afi fiuooo paradigma di accumulazione, Carocci, Roma 2007. Galbraith, JohnK., La società opulenta lL958l, Boringhieri, To-
rno 1912.
Gallino, Luciano, Con i soldi degli ahi. Il capitalismo per procura contro t econom ia, Einaudi, Torino 2009. Giardini, Federica, Conflitti per il bene colnune, in <
itlriv-online.php
Goldsmith, Jack - §7u, Tim, I padroni di lnternet. llillusione di un mondo senza confini, fub Media, Milano 2006. Gorner, Edward C.K., Cornrnon Land and Enclosure, Macmillan & Co., London 1912. Grande, F.lisabetta, Il teno xrike. ln pigione in Ameica,Sellerio, Palermo 2007, Grossi, Paolo,Un altro modo di possedere, Giuffrè, Milano 1975. -, ll dorninio e le cose. Percezioni nedieuali e moderne dei diritti reali, Givffrè, Mtlano 1992. giuridico rnedieoale, Latetza, Roma-Bari 2000. -,Mitologie giuidicbe della rnodernità, Giuffrè, Milano 2007. Grotius, }{tgo, The Rights of War and. Peace 11625), Liberty Fund, Indianapolis 2005. Hardin, Garrett, Tbe Tragedy of tbe Cornnoas, in <<Science>>,162, 1l dicembre 1968, pp. 124)-1248, reperibile su http://www.
-,
IJ ordine
sciencemag.orglc ontentl I 62 / 3 85 9 / 109
L2
43 .fuLl.
-
(a
cura dl), Population, Ettolution, and Birtb Control' A Colkge
of Controuersial Readings, Freeman, San Francisco 1964' Haruey, David, Brette stoiia del neoliberismo,ITSaggiatore, Mi-
lano2007.
Silent Takeouer' Global Capitalistn and tbe Arrow Books, London 2001' Democracy, Death of Hobbes,'ihornur, Leaiatano U65l),Bompiani, Milano 2004' Horkheimer, Max - Adorno, Theodor, Dialettica delf illumini-
H..tr, Nor..ra,The
smo 11947), Einaudi, Torino 1966. (Jn tentatiuo di introHume, David,,Trattato sulla fiatura unuant. durie il ruetodo sperimentale di ragionamento negli argomenti rnorali lLl)9-401, Mondadori, Milano 2008' ru"-i"rti Arrgurto, Del conzune. Cronache del general intellect,
Manifestolibri, Roma 2003.
Kabou, Axelle, E se lAfrica rifiutasse lo suiluppo?,lHatmattan
Itùia,Torno
L995.
Kirchsàssner. Gebhard, Horno Oeconomicus' Tbe Economic ModelZf Aehiulour and lts Applications in Economics and Otber Sociàl Sciences, Springeq New York 2008. Klein, Naomi ,R.rc-kimlng tlte comrnons, in <
jrLrirro
borghese. La
teoia dell'indiuidualismo possessiuo 110
da
Hobbes a Locke, Istituto Editoriale Intemazionale, Milano 1973.
tutriru*"o, Giacomo,
Passaggio a Occidente' Filosofia e globaliz-
zazione,Bollati Boringhieri, Torino 2003' Martigli, tlarlo A., La tesa dei conti, Castelvecchi, Roma 2009' tUtirTf*t, l,tltrra della filosofu. Risposta alla Filosofia delk Miseia del signor Proudhon ll847l, Editori Riuniti, Roma 1976' della uit ica de ll' econornia p o litica -,- Lln, n*ritl fondamen ta li 1978' 1L857 -58),2 voll., La Nuova Itaha,Fhenze
11842), in D' Ben-, Dibauiti iulla legge contro i furti di legna pooeri e beni comuni, dei diritto Proprietà, spossetùii. Gli stiid,
Ombre corte, Verona 2009, PP. 89 -116' -, Forme di produzione precapitalisticbe [1857-58], Bompiani, Milano 2009. -, ll Capitale. Critica dellecanomia politica U8671' Newton Compton, Roma 2010. Mattei,^Ugo, La legge del più forte, Manifestolibri, Roma 2010' u^iiài, U?o - NJ.., Liva,ll saccbeggio' Re4i-ne di legalità e 20 1 0' tro rfo, àazio o i glob ali, Bruno Mondadori, Mi ano In7ertiy k Stefano, Rodotà, Edoardo Reiriglio, U^"Éi, Ùg" ;":;;.Iiee pe, uia riforma della proprietà pubblica,Il Mulino' J
Bologna 2007.
Dat gooerno dernocratico delleco- (, .,r?u dI),1 beni pubblici. Ail' rrfrrn ta' del co dice ciuile, Accademia Nazionale dei "rii Lincei, Scienze e Lettere, Roma 2010'
Màrcharrt, Carclyo,La tnorte della l,dtura,Garzanti, Milano 1988' -, Èioloey,Amherst, New York 20082' M.uudlu,' Sandro, l-a «cosiddetta>> accumulazione originaria' tn AA.W., Lessico rnarxiano, Manifestolibri, Roma 2008, pp' 23 52.
Mo.o, To--aso, Li[Jtopia o la rnigliore forma di Barj, 191
l.
repubblica
U5 t6), Laterza, Cary J., Ptoperty and Protest: Political Thegry ryd Subieaiie Risbts in Fàurtientb-century England, in <>, 5 8, fasc. 2, 199 6, pp' )» -3 4 4' Neeson, Jeanette M., Cornmoners : Comrnon Ri gh t, - En-cln sure ard. Soiut Chartge in England, 1700'1820, Cambridge University Press, Cambridge 1993. N.gri, Antonio, Fine-secolo. IJn' interpretazione del Noaecento'
N;d;.;",
Manifestolibri, Roma 2005. 111
T Goodbye Mr. Socialism, a cura di Raf V. Scelsi, Feltrinelli, Milano 2006. Negri, Antonio - Hardt, Michael, Irnpero,Nzzolt, Milano 2002. -, Mo hitudin e, Rizzok, Milano 2004. -, Comufle, Rizzoli, Milano 2010, Olivera, Oscar - Lewis, Tom, Cochabanba!VaterWar in Boliaia, South End Press, Cambridge2}}4. Onado, Marco, I nodi al pettine. La crisi finanziaia e le regole n on scritte, Laterza, Roma-Bari 2009. Orsi, Cosma (a cura di), Ai confini del'Velfare, Manifestolibri, Roma 2008. Ostrom, Elinor, Goaernare i benì collettiuz, Marsilio, Venezia
-,
2006.
Ostrom, Elinor - Hess, Charlotte (a cura di), Understanding Knowled.ge as a Cornrnons: From Tbeory to Practice, MIT Press, Cambridge 2006.
Padoa Schioppa, Tommaso - Beda, Romano, La aeduta corta,IJ Mulino, Bologna 2009. Pallante, Maurizio, La deuesata felice. La qualità della aita ruon dipende dalPIL, Editori Riuniti, Roma 2009. Pennacchi, Lawa, La rnoralità del welfare. Contro il neoliberismo populista, Donzelli, Roma 2008. Pilger, John, The Neu Rulers of tbe World,Yerco, London 2002. Polanyi, Katl, La grande trasforrnazione. Le origini econorniche e politicbe della nostra epoca,Einaud| Torino 2000. Porchnev, Boris F., Lotte contadine e urbane nel «Grand sièclo>, Jaca Book, Milano 1998.
tion, in collaboration with Sean Murphy and Jeff Thompson,
Cambridge (Mass.) 1991. Rousseau, Jean-Jacques, Origine della disuguaglianza ll755l, Felrinelli, Milano 2009. Ruffolo, Giorgio, Il capitalismo ba i secoli contati, Einaudi, Torino 2008. Rullani, Enzo, Le capitalisme cognitif: du déjà ou?, in <<Multitudes>>, 2, maggio 2000, pp. 87-94, reperibile su http://multitudes. samizdat. net/Le- capitaTisme-cognitif-du-dej a-vu Sapelli, Gil;Jrio, La cri s i eco n o rn ica rn o n di a le. D i eci co n s i d e razio n i, Bollati Boringhieri, Torino 2008. Schliesser, Eric, voce Hurne's Neutonianism and Anti-N ewtonianisna, in Stanford Encychpedia of Philomphy, 2007, reperibile su http ://plato.stanford.edu./entries/hume-nevr'ton
Schmitt, Carl, Le categoie del «politico» [1922-53),Il Mulino, Bologna 1998.
Il mal sano. Contaminiamo per possedere, Il Nuovo Melangolo, Genova 2009.
Serres, Michel,
Tenapo di"crisi,Bollati boringhieri, Torino 2010. Settis, Salvato rc, I t a lia S. p. A., Enaudt, Toino 2002. Shiller, Bradley R., The Econornics of Pooerty and Disuirnination, Prentice Hall, Upper Saddle River 2008.
-,
dellOccidente, Il Mulino, Bologna 2009. Proudhon, Pieme-Joseph, Cbe cos'è la proprietà? o ricercbe sul principio del diritto e del gooerno. Prinza rnernoria [1840], Laterza, Roma-Ban1914. Ricoveri, Giovanaa, Beni comuni us. merci, Jaca Book, Milano
Shiva, Vandana, Biopiracy. The Plund.er of Nature and Knoutledge,South End Press, Cambridge 1997. -,Le guete dellacqua, Feltrinelli, Milano 2003. -,ll bene coTnane della tena, Feltrinelli, Milano 2006. Sivini, Giordano,LaResistenza dei ointi. Percorsi nellAfrica contadina, Feltrinelli, Milano 2006. Smith, Adam, Teoria dei sentimenti morali Ll759f, Rizzoli, Milano 1995. Tigar, Michael; Lato and tbe Rise of Capitalisrn ll977l, Monthly Review Press, New York 2000. Trubeck, David - Santos, Alvaro, The Neu Lau and Econornic Deueloprnent. A Citical Appraisal, Cambridge University
2010. Rodotà, Stefano,
Valguarnera, Filippo, Accesso alla natura tra ideologia e
Prodi, Paolo, Settimo non rubare. Furto e mercato nella stoia
Press, Cambridge2006.
Il tetibile diritto,Il Mulino, Bologna
1981. -, Il sapere conae bene coruune. Accesso alla coflosceflza e logica di mercato, Notizie Editrice, Modena 2008. Rota, Giancarlo,Tbe End of Obleaiuity. Tbe Legacy of Pbenornenology, Lectures at MIT L974-L99L Second Preliminary EdiTT2
diitto,
Giappichelli, Torino 2010. Veca, Salvatore, La filosofia politica,Laterza, Roma-Bari 2010. Vercellone, Carlo (a cura di), Capitalismo cognitiao. Conoscenza e finanza nellepoca postfurdista, Manifestolibri, Roma 2006.
tt)
INDICE
Vimo, Paolo, Grammatica della ruoltitudine. Per una analisi delle forne di aita conternporanee, DeriveApprodi,Roma 2003' \X/^ldrorr, Jeremy, voie Property and Ownetship, n Stanfotd Enq,clopedia of Philosophy,'2004, reperibile sul sito http://
/
plato. stanford. edu/entries/p rcperty Capitalisrn and Slauery, The University of North Carolina Press, ChaPel LIil1994. Zràek,Slavoi,Dalh tragedia allafarsa. ldeohgia della crisi e superamento del capitalisrno, Ponte aJTeGtazie, Milano 2010'
\(ì[iams, Enc,
Introduzione
I.
Trasforrnazioni globali in corso.
Il nuovo medioevo
fI. III. fV.
La modernità, le ..enclosures, e il disagio del comune
Tra l'essere
e
25
I'avere.
Fenomenologia del comune
47
La consapevolezua delcomune. Cultura critica e propaganda
M
V. Il partito, il movimento e il governo democratico del comune.
YI.
Loawentura dell'acqua
77
tr comune e l'immateriale: i tonni e la Rete
8!)
CanchnianL Un futuro ia comune o nessuÌì
futuro
100
Riferimenti bibliografi ci
tt5
r07