> (263 a 12-18). Èv
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Aristotele stesso si rende conto dell'insufficienza della confutazione che aveva dato in Fisica 233 a 21 (in 29A25 DK). Quella dimostrazione era sufficiente, ma solo dialetticamente, perché la domanda era come percorrere uno spazio infinito in un tempo finito. av yap nç a>, non aveva confutato l'aporia posta dal logos zenoniano.
Giovedì 18 marzo 1965 Si noti che l'espressione <> non sembra zenoniana; noi non possiamo qui risalire fino alla formulazione originale della <<domanda>>, all'impostazione originale della dicotomia. Aristotele cerca, dopo aver riconosciuto l'invalidità ef· fettiva della sua precedente confutazione, una nuova confutazione assai più impegnata: egli si serve ora di due concetti metafisici fondamentali: ÈV'tEÀÉxno., «atto», e òuva!ltç;, << potenza>>. èàv yap nç •il v cruvexfi òto.tpfit riç M o i]).l.icr11, ot'tOç •o:n f:vì <J'lllltlWt ffiç; oucrì XPfi'tat' 1tOlEÌ yàp O.Ù'tÒ àpxi)v KO.Ì 'tEÀEU'tTJV. ou-rro oÈ. 1t0tEi 'tE àpt'ÒilWV Ko.Ì ò Eiç; -rà i] lll<J'll Oto.tp&v. «Se si divide un continuo in due metà, ci si serve di un punto unico come di due: 65 si fa infatti lo stesso punto e
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inizio e fine; tale duplicazione la fa tanto quello che numera che quello che divide in metà>> ( 263 a 23-25 ). Quest'ultima frase si riferisce alle due formulazioni dell'argomento che precedono immediatamente questo passo: la prima poneva l'accento sul successivo aggiungere delle metà all'infìnito, faceva leva cioè sul concetto di spazio infinitamente divisibile, la seconda sul numerare punti infiniti (le metà che il mobile, fatto il percorso, avrebbe dovuto superare), cioè fa leva sul concetto di tempo. Otrtco OÈ Ola.tpOÙV'tOç OÙK EO"'tat cruvexi]ç out}' ·JÌ YPCXIJ.!JlÌ OUtl' il Kiv11mç· lÌ yàp cruvexi]ç KtVT\crtç cruvexoùç f.crnv, f.v oÈ -còn cruvexei evecrn f.lÈV &rrttpa il!JtO"T\, à"A"A' oÙK Èneì..qdm à"A"Aà OUVÙ.f.J.fl.
«Con questa divisione però non sarà più un continuo, né una linea, né un movimento: un movimento continuo appartiene al continuo, e nel continuo ci sono infinite metà, ma non in atto, bensì solo in potenza» (263 a 25-28). Se ci fossero anche in atto non sarebbe più un continuo; e l'a<;sumere uno stesso punto come fine della prima metà e inizio della seconda, cioè fare due quello che è un punto solo, interrompe il continuo: non si può cioè rendere atto l'infinita divisibilità in metà che pure in un continuo è in potenza. 1;6 fficr-ce ÀEK'tÉov rrpò ç -còv Èpconì:Jna d Èvò€xe-cm &rretpa ÒtEI;EÀtltÌV iì Èv xp6wm iì Èv f.llJKH, O'tl EO"'tlV ffiç, EO"'tlV o' ffiç ou. ÈV'tEÀEXEl<Xl f.lÈV yàp OV'tCX OÙK f.vMxnm, OUVUf.ltl oÈ ÈVOfXE'tat. O yàp O"UVEXcOç KlVOUf.lEVOç KCX'tÙ O"Uf.lf3Ef3T\KÒç &rrnpa ÒtEÀTJÀ.UtlEV, ém"Aroç ()' ou· awf3Éf3T\Kf yàp 'tf]t YPCXf.lf.liil U7tttpa JÌf.ltO"W fivm, JÌ o' oùcr{a ÈO"'tÌ V étÉpa KCXÌ 'tÒ d vaL « Perciò a chi domandasse se è possibile percorrere l'infinito nello spazio e nel tempo, bisogna rispondere che in un senso è possibile, in un altro no. Se gli infiniti sono in atto non è possibile; se sono in potenza è possibile. Colui che si muove in modo continuo attraversa cose infinite per accidente, ma in modo assoluto no. Al
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segmento infatti accade di essere infinitamente metà: ma la sostanza è una cosa e l'essere empirico un'altra» (263 b 3-9). Se realmente si divide, infatti, non si ha più un moto continuo.
Giovedì 25 marzo 1965m «In potenza è possibile», in quanto non c'è la divisione infinita. Aristotele, ammettendo che «in atto, l'infinito non si può realmente esaurire, ammette la validità razionale dell'argomentazione di Zenone, che nega solo <>. «Se gli infìniti sono in potenza è possibile percorrere l'infinito>>: il che Km:à O'UJ.l~E~llK6ç, «per accidente>>, avviene. Razionalmente non si capisce come il mobile possa raggiungere il suo termine, ma << per accidente", in virtù del fatto che l 'infinito è «in potenza,, contenuto in un continuo limitato, lo raggiunge."" Leggiamo ora il secondo argomento, quello di Achille (29A26 DK; Arist. Phys. 239 b 14-20): ociHcpoç o' 6 KUÀ.OUJ.lcVOç 'AXtÀ.À.cuç. EO''tt o' o{Ywç on -rò ~paou-ra-rov ouOÉ1to-r~:: Ka-raÀ.ll
«Il secondo è l'argomento detto di Achille. Esso dice che il più lento non sarà mai raggiunto nella corsa dal più veloce. Infatti è necessario che chi insegue giunga prima al punto da cui è partito chi fugge, cosicché il più lento si troverà sempre necessariamente un po' più avanti del più veloce. Questo argomento è identico a quello della dicotomia, ma ne differisce per il fatto che non viene divisa a metà la lunghezza che viene via via presa». Dal punto di vista teoretico non porta nulla di nuovo. Lo nota lo stesso Aristotele (continuando a leggere oltre 110
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la parte citata da Diels e da Unterstciner),{;9 che dice che la differenza tra la dicotomia e l'Achille sta solo nel non esser diviso lo spazio in metà, ma in altro modo. Il che non cambia la ragione dimostrativa dell'argomentazione, e perciò - dice Aristotele - "la soluzione dovrà per forza esser la stessa>> di quella per l'argomento della dicotomia; la << soluzione >> cui si riferisce qui Aristotele è quella dialettica, non quella del libro VIII che segue. Si può notare poi che " in ambedue i casi infatti la conseguenza è che non si aniva al termine , ci confenna ancora una volt.:'1 che Aristotele intendeva la dicotomia come un movimento reale. Aristotele continua (Phys. 239 b 26-29): -rò ù' à~wuv on -rò n:poÉxov où KamÀcq.t~àvE-rat, lfEuùoç · o-rE yàp n:poÉxct, où KataÀa!J~àvEtat · àU' owoç Ka-raÀa!J~ÙvE tat, dm::p ùrocrEt ÙtEI;tÉvat nìv n:En:Epacr!J.ÉVTJV. "Il pensare che quello che precede [nel caso particolare, la tartaruga] non è raggiunto, è falso: infatti, fintanto che sta avanti non è raggiunta, ma è raggiunta se si sarà concesso che il percorso da compiere è limitato>>. ùu:~tÉvm t~ v n:En:Epacr!J.ÉVTJV è un'espressione oscura: sottintende evidentemente qualcosa del tipo ypa!J.IJ.llV. Ma in che senso «limitato>>? L'unico modo di dare senso è intendere: <>. Se la distanza tra Achille e la tartaruga è limitata rigt~ardo agli estremi, allora Achille raggiunge la tartaruga. E un appello all'esperienza c null'altro, l'esperienza dei sensi mostra che il più veloce raggiunge il più lento: lo notiamo perché in questo contesto un tale appello è un elemento nuovo rispetto alla" soluzione>> cui Aristotele si era riferito poche parole prima. Anche nel molto più approfondito ripensamento in Fisica VIII, 263 a 4, in definitiva si concludeva con un appello all'esperienza: alla fine si riconosce che razionalmente non può esserci movimento, ma rispetto all'essere empirico «accade>> che qualcosa si compia. In questo passo è presentato in maniera, per così dire, popolare quello che nel libro VIII viene sviluppato come distinzione tra atto e potenza: la « possibilit.:-1 >> (ùùva!J.t<;), che <> (Katà cru!J.~E~T]Koç) si realizza.
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Leggiamo più attentamente il finale del passo nel libro VIII della Fisica (ArisL Phys. 263 b 3-9): ro>. Il finale è molto enigmatico perché entrano in gioco termini il cui significato è continuamente discusso da Aristotele medesimo, come oùcria (che in genere vale « sostanza>>) e 1:Ò d vm (il cui uso è ancora più vario, ma che qui sembra significare l'<< essere empirico >> contrapposto alla <<sostanza» ). 70 wcr'!E AEK'!éov ... iì èv xpovoot, << ... a chi domandasse se è possibile percorrere l'infinito ... nel tempo>>: notare che non è èv rtE1tEpacr!lÉVoot xpovoot, ''in un tempo limitato>>. Il problema è come nel tempo si possa esaurire un infinito. Aristotele dice che in un certo senso non è possibile: gli infiniti << in atto,, non è possibile attraversarli (con il che - abbiamo già detto -si riconosce la validità dell'argomento di Zenone), mentre «in potenza» è possibile. E, per spiegare quell'<< in potenz.:1. ,,, Aristotele continua:<< colui che si muove in modo continuo attraversa cose infinite per accidente, ma in modo assoluto no>>; osserva cioè che il movimento è stato compiuto, anche se la ragione non lo spiega. <>. Cioè, di fatto il segmento è limitato ed è somma di infinite metà, mentre la "sostanza " lo proibirebbe.71
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Relazione tra «potenza» e ''accidente», che indica l'appartenenza di un predicato a un soggetto: nel caso «il bianco appartiene all'uomo ''• bianco è una relazione «per accidente ,, con uomo. In un primo tempo Aristotele indica con «accidente, la semplice appartenenza del predicato al soggetto; contemporaneamente, circa all'epoca dei Topici, distingue tra 8uva1:6v, ''possibile>>, e àvayKalov, « necessario». Quindi il «possibile,, viene riferito all'appartenenza del bianco all'uomo, mentre cruJ.L~e~TJKoç, «accidente,,, indica la relazione accidentale, quello che non è necessario sussista, ma è solo possibile. «Per accidente >> in seguito viene sostituito 72 nelle opere di Aristotele da ÈVÒEXOJ.LEVOV, '' contingente", con lo stesso significato. Da questa origine di stretta relazione tra « possibile,, e « accidente , si sviluppa poi la distinzione di «atto,, e «potenza>>. Subito dopo l'enunciazione dell'argomento di Achille e il suo commento, Aristotele riferisce il terzo argomento contro il movimento: quello della freccia (29A27 DK; Phys. 239 b 30):
on
'tpt wç 8' ò vuv pTJth::iç, i) Ò1mòç
''Terzo è quello di cui si è fatto ora cenno, che la freccia in movimento sta ferma. Esso si fonda sulla premessa che il tempo è composto di attimi. Infatti se non si ammette questo non si può fare il sillogismo ''· Aristotele a questo punto dà appena un accenno all'argomentazione perché proprio all'inizio del passo, in 239 b 5-9, prima della dicotomia, aveva dato un'esposizione, cui qui si riferisce. (Diels in 29A27 e Untersteiner non riportano il passo completo: saltano la critica di Aristotele). Questo secondo passo ha dato molto da fare ai filologi, perché nella forma tramandata lo si è trovato insoddisfacente. Zl)vrov 8È napaÀoyiçnm · EÌ yàp atei.,
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'JfEUÙoç. OÙ yàp cruyKEt 'tat o xpovoç fK 't WV VUV 't WV àùunpé1:oov, ro<J1tEp oùù' &.no J.lÉYEl'toç oùùfv. «Zenone commette un paralogismo (''sbaglio involontario", mentre il sofisma è volontario); se infatti- dice- ogni cosa è in quiete [o in moto] quando occupa uno spazio uguale a sé (o, più aderentcmcnte al testo "quando sia spazialmente nella stessa condizione") e se il mobile è sempre nel momento attuale, la freccia che si muove è ferma. Ciò è falso: infatti il tempo non è composto dagli attimi presenti indivisibili, come pure nessun'altra grandezza>>. Come si constata l'espressione aristotelica è molto sintetica; Ka'tà 'tÒ tcrov e èv 'tWt vuv li abbiamo tradotti l'uno riferendolo allo spazio c l'altro al tempo: ma qui sembra quasi che spazio e tempo siano interscambiabili («essere nella stessa condizione>>; «si muove nel momento attuale>>), e ciò è già duro a intendere. Ad ogni modo "è in quiete o in moto nel momento attuale>> non va. Perciò Zeller espunse ~ KtVEt'tat, «o in moto>>, seguito da Ross, 73 che per il resto del passo mantiene i manoscritti. Un'altra soluzione è quella di Diels/4 che integra, dopo ft KtVEt'tat, oùùÈv ùÈ Ktvd mt: questo è il testo tradotto da Pasquinelli/5 che mantiene il carattere dialettico, ma è un po' ingombrante. Io preferisco la soluzione di illler, ma l'una e l'altra sono accettabili. Se si espunge ft KtVEi'tat, lo si considera una glossa: nei testi aristotelici ci sono altri esempi di notazioni marginali che indicano il caso opposto a quello discusso nel testo, e in seguito erroneamente introdotte nel testo. Se si preferisce il testo di Diels le parole integrate si considerano cadute per omotalanto.
Venerdì 26 marzo 1965 Si è già accennato alla diftìcoltà di questo passo (Arist. Phys. 239 b 5-9) procurata dalla interscambiabilità di spa-
zio e tempo, cui hanno cercato di owiare sia Zeller, con l'integrazione dopo èv 1:6n vuv di Ka'tà 1:Ò ì:crov - e il senso risulta: «il mobile nel presente è sempre nello stesso spa114
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zio>> -, sia, un po' diversamente, Diels, che dopo Év 'tùn vùv integra 1t1XV ùÈ Ka'tà 1:Ò ì'crov Év 'tÙH vùv 76 (un altro omotalanto ), «il mobile è sempre nel presente, ma ogni cosa nel presente occupa lo stesso spazio>>. Io penso invece che dal testo come ci è giunto sia possibile ricavare un senso plausibile, e che perciò sia preferibile non toccare i manoscritti; come del resto Ross, che non accetta nessun cambiamento; Èv 't&t vùv può avere senso anche spaziale: ''è sempre nell'attimo presente>> e «è sempre nello spazio presente>>. Perciò non è necessario un ulteriore esplicito riferimento spaziale come propongono Zeller e Diels, fondandosi sui commentatori antichi. Del resto è nota la stringatezza delle espressioni aristoteliche. «Ciò è falso: infatti il tempo non è composto dagli attimi presenti indivisibili, come pure nessun'altra grandezza"· Lo stesso discorso è ripreso da Aristotele in 239 h 30 e seguenti che abbiamo già letto; crulll3a{vn = «conclude, giunge a una conclusione>>; Àalll3avetv = «assumere una premessa>>. La conclusione che la freccia sta ferma è desunta dall'aver assunto come premessa che il tempo è composto da attimi presenti: se non si concede questo, la deduzione non è più possibile. Tutto il passo aristotelico sull'aporia contro il movimento è costn1ito così: accusa di paralogismo a Zenone; esemplificazione del paralogismo in cui Zenone incorre con l'enunciazione dell'argomento della freccia e sua confutazione; «quattro sono i logoi di Zenone contro il movimento che ... >>; il primo, la dicotomia; il secondo, Achille; il terzo, la freccia; il quarto, lo stadio. Ognuno degli argomenti è accompagnato da una confutazione. Quelle che abbiamo ora lette sono tutte le parole che Aristotele dedica all'argomento della freccia. Leggiamo i commentatori (in Pasquinelli): l. Simplicio (in Arist. Ph_ys. 1015, 19): «la freccia che si muove è fem1a durante il suo movimento, se è necessario che tutto sia o in quiete o in moto. Ora un mobile occupa sempre uno spazio uguale a se stesso, ma ciò che occupa uno spazio uguale a se stesso non si muove e quindi è fermo>>. Risulta che Simplicio (VI secolo d.C.) avesse il 115
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nostro testo con~ KtV!':t1:at, «o in moto». Si ripresenta la questione testuale e abbiamo due possibilità: la ptima è che~ KtV!':ttat sia originale aristotelico; la seconda è che sia una glossa. In questo secondo caso, o la glossa è stata introdotta nel testo prima di Simplicio, o dopo di lui. Quest'ultimo caso spiegherebbe meglio la presenza di iì KtV!':t1:at come glossa: sarebbe stato introdotto nel testo aristotelico sulla base del commento di Simplicio. 2. Ancora Simplicio sullo stesso tema (in Arist. Phys. 1011, 19): ''L'argomento di Zenone, partendo dalla premessa che tutto ciò che occupa uno spazio uguale a se stesso o è in moto o è in quiete, che niente si muove nell'istante e che il mobile occupa sempre in ciascun istante uno spazio uguale a se stesso, sembra snodarsi in questo modo: la freccia in moto ad ogni istante occupa uno spazio uguale a se stessa, e così per tutto il tempo del suo moto. Ma ciò che in un istante occupa uno spazio uguale a se stesso non si muove, perché niente si muove nell'istante. Quindi la freccia in moto, finché è in moto, non si muove per tutto il tempo del suo moto''· "O è in moto o è in quiete,, ci conferma che Simplicio in questo punto aveva veramente il testo uguale ai manoscritti aristotelici che possediamo. «Perché niente si muove nell'istante ... » è un ampliamento di Simplicio per spiegare: e la sua spiegazione è del resto diffusa e accettata. L'argomento nel suo complesso è lineare e non presenta difficoltà neppure del tipo delle due interpretazioni della dicotomia. 3. Filopono, all'incirca un contemporaneo di Simplicio (inArist. Phys. 816, 30): "tutto ciò che occupa uno spazio uguale a se stesso - dice - è o in quiete o in moto; ma è impossibile che si muova se occupa uno spazio uguale a sé, e quindi è in quiete. La freccia in movimento perciò, occupando uno spazio uguale a se stessa in ogni istante del tempo durante il quale si muove, starà ferma; se poi è in quiete in tutti gli istanti del tempo che sono infiniti, sarà in quiete per tutto il tempo. Ma si era supposto che fosse in moto, e quindi la freccia in moto sarà ferma». Anche Filopono conosce iì 'KlV!':i-cat come Simplicio e i
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manoscritti aristotelici che abbiamo. La spiegazione dell'argomento è uguale a quella di Simplicio. 4. Temistio, del IV secolo d.C. (in Arist. Phys. 199, 4): "se tutto è in quiete- dice- quando occupa un'estensione uguale a se stesso, e il mobile occupa sempre un'estensione uguale a se stesso, è necessario che la freccia in moto stia ferma». Tcmistio non mostra di conoscere iì KtVEt'rat, <>. Ciò appoggia l'espunzione di Zeller, in quanto Tcmistio è il commentatore più antico. La glossa può essersi introdotta tra Temistio e Simplicio e Filopono, oppure, indipendentemente, Simplicio c Filopono hanno introdotto il caso opposto, iì KtVEt'rat, <>, e sulla base di questi due commentatori è stato modificato il testo aristotelico. Non ritengo di poter accettare le osservazioni che fa Pasquinelli nella sua nota. 77 Pasquinelli crede di poter distinguere due esposizioni dell'argomento della freccia, fondandosi sul riferimento al tempo. Questo perché in alcuni dei passi dei commentatori - Simplicio e Temistio non c'è un riferimento all'attimo ma solo allo spazio. Pasquinelli sostiene che il riferimento al tempo non è zenoniano bensì aristotelico, ma la sua affermazione non si poggia su nulla di positivo: non si possono portare i commentatori aristotelici contro la testimonianza di Aristotele, tanto più che, come già si è avuto modo di osservare, i commentatori in questione con ogni probabilità non possedevano più il testo di Zenone. Abbiamo avuto occasione invece, dove è stato possibile confrontare le parole originali di Zenone, di constatare la fcdclt<ì sostanziale di Aristotele. Perciò escludo la contrapposizione tra un'esposizione desunta dai commentatori e un'altra desunta da Aristotele insieme ad altri suoi commentatori: insieme ad Aristotele dobbiamo pensare che il nucleo dell'argomento fosse basato sul concetto di tempo. E sembra strano che, se il riferimento al tempo fosse una sua innovazione, Aristotele svolgesse la sua critica a questo argomento proprio sul concetto di tempo. Largomento della freccia ha la stessa impostazione ge-
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nerale dei precedenti: la dicotomia dimostrava l'impossibilità di arrivare a un certo fine, prendendo in esame singolarmente gli elementi che compongono il segmento. Anche nell'argomento della freccia si ha la considerazione del singolo- elemento, ma non viene introdotto il concetto di somma. Nella freccia ognuno degli elementi è la negazione del movimento, in quanto in ogni «attimo» il molo non risulta. Aristotele fa una confutazione che presuppone che il tempo sia un cruvqÉç, un «continuo», e introduce il concetto di somma che in realtà Zenone non ha considerato. Zenone constata soltanto che in ogni attimo non c'è il moto. Di fronte al concetto di tempo, il concetto di presente non si può dire una parte del tempo:78 il presente non ha estensione (c su questo i filosofi sono abbastanza d'accordo). Passato e futuro non hanno realtà, ha realtà solo il presente. Ecco la differenza tra l'argomento della freccia e la dicotomia: nello spazio la divisibilità è condotta fino all'ultimo, mentre il presente è un indivisibile (ma Zenone non chiarisce Èv 'Uùt vuv, <
Sabato 27 marzo 1964 Fermiamoci un momento sulle due espressioni (in 29A27 DK): àlcivrrcov 'tlÌV > (Arist. Phys. 239 b 7), e: li 118
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è ferma>> (Arist. Phys. 239 b 30). Notare l'accostamento àlci VTJ'tOV-> (29A26 DK). Nella freccia il fulcro dimostrativo è: <> (29A27 DK). La possibilità di ripetere è comune. 80 Il metodo consiste appunto nel vedere la ragione dimostrativa che si oppone all'ipotesi del moto, e formulare in modo che questa difficoltà valga sempre per qualsiasi moto, qualsiasi spazio e qualsiasi tempo. Per la freccia Aristotele ha enunciato solo la ragione dimostrativa, ma è implicita la generalizzazione a tutti i casi. Tale generalizzazione è l'elemento comune. Si era tuttavia già accennato anche a come l'argomento della freccia, in un certo senso, si presenti antiteticamente rispetto a quello della dicotomia. Aristotele per confutarlo dice: «attimi presenti indivisi bili>>. Secondo Aristotele qui Zenone .fonda l'argomento su un indivisibile, mentre le altre dimostrazioni sono fondate proprio sull'imÒt
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possibilità dell'indivisibile. L'indivisibile spaziale c quello temporale sono strettamente uniti: nell'argomento della dicotomia anche il tempo è soggetto al continuo procedimento di divisione; è considerato, per così dire, spazialmentc, mentre nell'argomento della freccia abbiamo una concezione del tempo antitetica. A questo punto non si può eludere la domanda se si tratti di immaturità o di scetticismo. Per ora rispondiamo di aver constatato che Zenone non ha l'intento dogmatico di arrivare a una concezione filosofica ben definita e organica, da presentare come propria e da difendere, riguardo a essere, unità, molteplicità, spazio, tempo; per inciso, non ha una tale concezione neppure come adesione e difesa dei dogmi di Parmenide; l'interpretazione dell'opera di Zenone come << aiuto >> a Parmenide può essere giusta - anche se ci sembra improbabile- ma non possiamo affermarla sulla base delle testimonianze. Di fronte ai basilari concetti di cui abbiamo detto, Zenone adopera di volta in volta, in funzione dialettica, l'una o l'altra concezione: potrebbe benissimo essere scetticismo nichilistico, ma anche questa interpretazione non è suffragala dai documenti; sulla loro base possiamo solo vedere Zenone come dialettico. L'aporia di Zenone contro l'indivisi~ile spaziale, come abbiamo visto, non è stata confutata. E ora possibile notare che la critica di Aristotele non è decisiva neppure contro l'aporia della freccia. Zenone non dice che il tempo è composto di parti ciascuna delle quali è un presente: qui l'essenza del tempo è il presente, 81 il tempo è visto soggettivamente, in un senso genericamente kantiano che richiama la teoria del tempo di Schopenhauer: il tempo è una forma soggettiva della conoscenza; futuro e passato esistono solo nel presente, che è immediatamente reale; sono conosciuti solo mediatamente. Il presente è indivisibile, immutabile: con una tale concezione Zenone ha veramente annientato il moto; non vi sarebbe solo più l'impossibilità di raggiungere la fine, non esisterebbe proprio più movimento. Guardiamo come i matematici indicano il moto: attraverso coordinate spazio-tempo, cioè soltanto attraverso 120
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successive posizioni fisse. In altre parole, la meccanica può spiegare il movimento solo attraverso l'immobilità. 82 Nel cinematografo l'occhio ha la sensazione del movimento, ma questa sensazione è raggiunta solo grazie alla successiva sovrapposizione di immagini ferme. Ecco che le aporie di Zenone sono inconfutabili; proprio questo vogliono dimostrare: che la sensibilità può apprendere il movimento, ma solo attraverso elementi statici, e la ragione non se lo spiega.
Giovedì 8 aprile 1965 La quarta aporia contro il movimento è quella cosiddetta dello stadio (29A28 DK; Arist. Phys. 239 b 33). 'tÉtCtp'toç 8' ò n:epi t&v Èv crta8iwt KtVOU!lÉvwv ÈS Èvaniaç i'crwv oyKwv n:ap' i'crouç, t&v 11èv àn:ò tÉÀ.ouç tou crta8iou t&v 8' àrrò !lÉcrou, 1crwt tàxet, Èv cbt cru11~aivetv oi.'etm tcrov dvm xpovov t&t 8mÀ.acriwt tòv fl!ltcruv. l:crn 8' ò rrapaÀ.oytcr!lÒç Èv t&t tÒ !lÈv rrapà KlVOU!lfVOV 'tÒ 8è rcap' lÌPf!lOUV 'tÒ lO" OV !lÉye-òoç àl;wuv 'trot lO"ffil tcXXet 'tÒV lO"OV cpf.pecr9at XPOVOV. 'tOUto 8' ÈmÌ \jlei:i8oç. oiov l:crtwcrav oi écrt&'teç i'crat ÙyKat tep' cbv 'tà AA, oi 8' Ècp' cbv tà BB ÙpXO!lfVOt àrcò toi:i !lÉO"OU t&v A, Ì:crot 'tÒV àpt'Ò!lÒV tOU'tOtç ovteç Kat tÒ !lÉye-òoç, oi 8' Èv tà rr àrrò 'tOU Ècrxénou, i'crot tÒV àpt'Ò!lÒV OV'teç 'tOU'"COtç K<Xt tÒ !lÉye-òoç, KaÌ lO"O't<XXEÌç toiç B. O"'ll!l~a{ VEt 8Ìj tÒ rrpffi'tOV B CX!la ÈTCÌ t&t ÈC>XU't(l)t dvat Kat tò rrp&--cov r, rrap' aÀ.À.TJÀ.a KlVOU!lÉvwv. crull~aivn 8è KaÌ tò r rcapà rcavta tà B 8tel;eÀ.TJÀ.U-òÉvm, tà 8è B n:apà tà iwiaTJ · &a'! e flJ..ucruv d v m tÒV xp6vov· lO"OV yàp ÈKU'tep6v Ècrn n:ap' EKaO"tOV. CX!l<X 8è cru11~«i ve t 'tà B rcapà n:avta 'tà r rcapeÀ.TJÀ.Ut'Jf.vm · a11a yàp EO"tat tÒ rrp&tov r Kai tÒ rcp&tov B Èn:Ì 'toiç Èvavtiotç Èaxawtç, i'aov xp6vov rcap' EKCXC>'tOV YtVO!lfVOV t&v B Q(JOV n:ep --crov A, roç cpTJat, 8tà tÒ à!lcpÙtepa taov xpovov n:apà 'tà A yi yvea-òat. << Il quarto argomento è quello delle due serie di masse uguali che si muovono in senso contrario nello stadio lungo altre masse uguali, le une cioè a partire dalla fine
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dello stadio, le altre dalla metà, con velocità uguale; la conseguenza è, secondo Zenone, che la metà del tempo è uguale al doppio. L'eiTore di questo ragionamento consiste nel pensare che una grandezza uguale, con ugual velocità, impieghi un tempo uguale sia a passare lungo un corpo in moto che lungo un corpo in quiete, il che è falso. Ad esempio siano AA le masse uguali che sono ferme, BB quelle che cominciano dalla metà delle masse A, uguali a queste in numero e grandezza, e CC quelle che cominciano dalla fine, uguali in numero e grandezza alle masse A e muoventisi con la stessa velocità di B. Ne consegue che muovendosi i B e i C gli uni lungo gli altri, il primo B e il primo C arrivano nello stesso tempo al termine. Ne consegue inoltre che il primo C è passato lungo tutti i B, mentre il primo B è passato invece soltanto lungo la metà degli A, cosicché il tempo da esso impiegato è la metà, perché ciascuno dei due impiega lo stesso tempo a passare lungo ogni massa. E ne consegue ancora che il primo B nello stesso tempo è passato davanti a tutti i C: infatti il primo C e il ptimo B arriveranno contemporaneamente ai termini opposti, impiegando lo stesso tempo a passare lungo ciascuno dei B che lungo ciascuno degli A, come dice, poiché ambedue impiegano lo stesso tempo a passare lungo gli A». Gli interpreti, pur incontrando vatie difficoltà, sono sostanzialmente concordi: per l'intelligenza è utile il commento di Simplicio (riportato interamente solo da Pasquinelli).83 OYKOt significa masse, pesi, unità materiali astrattamente considerate. èt.nò 'téÀouç tou cnao{ou e èt.nò J.téaou sono la prima diHìcoltà. Si raffigura uno stadio in cui si suppongono tre serie di masse uguali: la prima è ferma, le altre due si muovono secondo direzioni opposte. «Dalla fine dello stadio, e" dalla metà>> sono i due punti di partenza del movimento della seconda e terza serie, ma l'identificazione dei due punti non è limpida: ci torneremo sopra. La velocità delle due serie è uguale. La conseguenza, secondo Zenone, è che «la metà del tempo è uguale al doppio>>.
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Dopo aver riassunto in breve l'argomento, Aristotele, come al solito, passa alla sua confutazione: e in questo caso la critica è valida. L'errore consiste nel pensare che si impieghi lo stesso tempo a pa..:;sare davanti a una massa in quiete che a passare davanti a una massa in movimento.H1 Quindi Aristotele, come del resto è sua abitudine per le questioni logiche, passa a chiarire con delle lettere i movimenti che avvengono. AA è la prima serie: le masse sono in numero determinato, meglio se pari, ma non importa che siano due. BB è la seconda serie, quella che incomincia il movimento <
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Aristotele continua: «e ne consegue ancora che il primo B nello stesso tempo è passato lungo tutti i C: infatti il primo C e il primo B arriveranno contemporaneamente ai termini opposti». ènì 'tOìç Èvav'tiotç ècrxénotç, ''ai termini opposti», che Pasquinelli intende <
D
AAAA B B BB-> <-CCCC
E
D è l'inizio dello stadio; E è il termine dello stadio; A sono ferme; il primo B è quello in corrispondenza del secondo A e il primo C quello in corrispondenza del terzo A: sono detti primi in quanto sono le prime masse nella direzione del movimento; all'inizio il primo B e il primo C non sono sovrapposti. Alla fine del movimento abbiamo: D
AAAA BBBB
cece
E
Il primo B ha oltrepassato tutti i C mentre è passato davanti solo alla metà degli A; ma per forza: gli A sono fermi mentre i C si muovono in senso contrario ai B. L'argomento è di una banalità che lascia perplessi. Considerando poi la difficoltà di rilevare la posizione iniziale del movimento («dalla metà>>, ecc.), c'è da dubitare che la spiegazione che abbiamo dato- che è poi praticamente quella universale, ed è già di Simplicio- sia giusta: forse
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l'argomento ci risulta così banale per difetto della nostra conoscenza di esso. Leggiamo Simplicio (in Arist. Phys. l O16, 9 sgg. ), che è riportato interamente solo da Pasquinelli; la conclusione del moto è che «lo stesso e uguale tempo è insieme il doppio c la metà». Aristotele aveva detto: «la metà del tempo è ug·uale al doppio", c la formulazione di Simplicio sembra più zenoniana di quella di Aristotele: ma per la forma originale in cui si presentava l'argomento siamo i n alto mare. '' ... e quattro grandezze A - o quante si voglia, a condizione però che siano pari, in modo da avere le metà formate di masse (cubi, dice Eudemo) in ugual numeroimmobili, che occupino il tratto centrale dello stadio»: Simplicio colloca le sue A nel tratto centrale, così la metà delle A coincide con la metà dello stadio. Non abbiamo certo garanzie che questa fosse la posizione originaria, ma certo il fatto che Simplicio intenda metà in rapporto alla serie, c cioè metà degli A, conforta la tesi di Pasquinelli.
Venerdì 9 aprile 1965 Cargomento dello stadio è di una debolezza sconcertaqte: prettamente sofistico, e della seconda sofistica. E possibile in primo luogo che a noi sfugga il vero argomento; è una rncra possibilità, ma non va scartata. Ne sarebbe un indizio l'incongruenza di !lÉcrov, ''metà»: se è metà degli A, contrasta con il testo di Aristotele che all'inizio dice inequivocabilmente «metà dello stadio»; se è metà dello stadio, nell'esegesi data il primo B parte dalla metà, ma anche il primo C partirebbe dalla metà dello stadio, mentre Aristotele dice «dal termine dello stadio>>. In secondo luogo, se si ammette che l'argomento fosse veramente come l'abbiamo riferito, si aprono due possibilità. La prima è che Zenone, accanto ad argomenti validi, 125
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ne portasse anche di cattivi. Il che però si accorda male con l'interpretazione generale di Zenone che abbiamo delineato, come di un pensatore di altissimo livello. La seconda è un'ipotesi un po' complicata: Aristotelenel citare questo argomento, e forse anche gli altri - passava attraverso intennediari, altraverso opere di diffusione sofistica. Diels fa il nome di Alcidamante, ma forse lo stesso Gorgia e la sua scuola si prestano meglio. Tanto più che la Fisica è un'opera nel suo complesso giovanile, e riflette discussioni reali, awenute forse quando ancora Aristotele non si era staccato dall'Accademia. Aristotele può aver fatto riferimento a quei libri senza aver posto attenzione a Zenone come r·ealtà storica: si potrebbe così spiegare la commistione di argomenti forti con altri, come questo e quello del grano di miglio, di marca sofistica. Non è nulla più che un'ipotesi. Pasquinelli w. riferisce di una discussione che, per dare dignità a questo argomento dello stadio, tenta di vedervi, embrionalmente, l'inizio della teoria della relatività di Einstein. Effettivamente, dice Pasquinelli, c'è nell'argomento la scoperta dell'importanza del punto di riferimento. A questo scopo, anzi, Pasquinelli richiama il famoso esempio dei due treni. Un altro esempio di Einstein è il seguente: a
M
b
banchina M'
treno in movimento
In M c'è uno spettatore. Contemporaneamente in a e in b scoppiano due fulmini: M li percepisce contemporaneamente. In M' c'è un altro spettatore, che però non percepisce contemporaneamente i due fulmini perché il treno si muove verso b. Ma in Zenone non c'è affatto la coscienza che la simultaneità vale solo in un determinato sistema e non in un altro. Questo argomento è soltanto sciocco, e la critica di Aristotele è definitiva. Continuiamo a leggere Simplicio: « ... i B si muovono
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dalla metà dello stadio, che è anche la metà degli A. .. >>; questa è l'interpretazione di Simplicio di èmò f.!Écrou: non chiarisce l'oscurità di Aristotele, ma del resto non si sa come chiarirla. Anche noi l'abbiamo accettato. ,, ... i C invece si muovono dalla fine dello stadio ... e non certo "dalla fine dei B", una lezione che Alessandro sembra aver trovato in certi manoscritti ... »: ciò ci testimonia che anche nell'antichità c'era confusione. Alessandro "quindi chiama ultimo B quello che prima aveva chiamato primo B »: è la stessa massa al centro dello stadio che in Alessandrodice Simplicio- cambia denominazione. Alessandro è una fonte di notevole peso: la confusione su questo argomento dello stadio non era passeggera fin dall'antichità. Continua Simplicio (riassumendo): «ne consegue che il primo C passa lungo tutti gli A, B solo lungo la metà degli A e che C è passato lungo tutti i B. Ma come ha fatto C a passare lungo tutti gli A?». Il punto non è per nulla chiaro. Data la posizione iniziale come l'aveva prospettata Simplicio, con il primo B e il primo C contigui, il primo C non passa lungo tutti gli A, ma solo lungo la metà degli A. Se ne accorge lo stesso Simplicio che la conseguenza non è conseguente e rimedia in questo modo semplicistico: " siccome i B sono uguali agli A, se C è passato lungo tuttj i B è come se fosse passato lungo tutti gli A>>. Ci sono due possibilità: o questa confusione ci testimonia che l'argomento era in realtà un altro che non riusciamo a cogliere, oppure la confusione l'ha fatta Simplicio interpretando male il passo di Aristotele: 8tà -cò ÙJ.Hpon:pa ì:crov xpovov 1tapà -cà A yiyvmt'tat, "poiché ambedue impiegano lo stesso tempo a passare lungo gli A>>: può darsi cioè che interpretasse quel 1tapà -cà A, per quel che riguarda il primo C, come "lungo tutti gli A>>, mentre per il primo B sapeva che partivano dalla metà degli A. Nel qual caso la confusione è di scarso rilievo. Certo Simplicio ripete dopo di nuovo: <
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le dell'opera di Zenone: forse doveva essere proprio questa la conseguenza del moto delle masse. Dobbiamo concludere con tutti questi interrogativi e tutte queste incomprensioni: notiamo solo come attraverso Aristotele, Eudemo, Alessandro e Simplicio la discussione sull'argomento dello stadio si sia mantenuta viva nella scuola aristotelica.
Giovedì 29 aprile 1965 Leggiamo un'altra testimonianza (29A21 DK; Seneca
Ep.
88, 44):
... si Parmenidi [se. credo], nihil est practer unum; si Zenone, ne unum quidem. << ... se devo credere a Parmenide, nulla esiste all'infuori dell'uno; se a Zenone, neppure l'uno>>. La nota di Pasquinelli 86 suggerisce che Seneca sia incorso in un equivoco. Evidentemente, in una interpretazione di Zenone in chiave di <> a Parmenide, questa testimonianza non può essere se non un equivoco. Ma noi, pur non respingendo del tutto la tesi dell'<< aiuto>> a Parmenide, anche se la limiteremmo a quel libro giovanile di cui parla Platone (se vogliamo salvare la storicità di quanto dice Platone), non ci sentiamo di risolvere in esso la speculazione di Zenone. Perciò non considero le parole di Seneca come un fraintendimento, mettendole piuttosto in relazione con altre testimonianze già discusse: quella di Eudemo (29A16 DK; Eudem. Phys. fr. 7) <<si dice che Zenone affermasse che, se qualcuno gli spiegava cos'era l'uno, avrebbe potuto parlare della molteplicità»; e la nota tesi di Alessandro. Seneca si riferisce al logos in cui, data l'ipotesi della molteplicità, l'uno non esiste. Seneca raccoglie testimonianze valide e perciò va accettato: non ha equivocato, né ci porta. a vedere in Zenone un nichilista per il quale << nulla esiste ... neppure l'uno». Esaminiamo ora l'aporia dello spazio: abbiamo due
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passi della Fisica di Aristotele e uno di Eudemo (29A24 DK), più il commento di Simplicio e Filopono. Il primo passo di Aristotele (Phys. 210 b 22) è molto semplice:
ooÈ Z1lvwv 1ln6pct, on d o-r6noç Ècni n, iiv nvt rmm, A:unv où xaA.en6v · oÙOÈv yùp KWÀun Èv &A.A.wt dvm -ròv npffitov 'r01tOV, ).lll ).IÈVWt Ùlç ÈV 'r01t(!)t ÈJ\.:EtVWt, àA.A,' c00'1tcp i] ).IÈv uyina Èv -roìç ~ep)lOtç roç El;tç, -rò oÈ ~epj..t.ÒV Èv O'(O).lan roç na~oç.
«L'aporia di Zenone, che se il luogo è qualche cosa sarà in qualche cosa, non è difficile da risolvere. Niente impedisce infatti che il primo luogo sia in un'altra cosa, ma non come si è in un luogo, bensì in quel modo in cui la salute è nelle cose calde come un loro stato, il calore nel corpo come una sua a±Iezione ''· Nella seconda parte Aristotele dà la sua confutazione. L'altro passo di Aristotele è di poco precedente a questo (Phys. 209 a 23): i] yàp Z1lvwvoç èmopia çTJ-reì n va A.6yov· d yùp nav -rò òv Èv 'r01t(!)t, of]A.ov O'tt KaÌ WÙ 't01tOU -r6noç fO'ta.t, KaÌ WÙW dç &nt:tpov np6nmv. «In effetti l'aporia di Zenone richiede un certo esame: infatti se tutto ciò che è è in un luogo, è chiaro che ci sarà un luogo del luogo, e così all'infinito».
Notare la somiglianza con la dicotomia, per cui, dato un fulcro dimostrativo, si ha l'estensione all'infinito. La confutazione di Aristotele non mi sembra convincente, dato che la discussione non vert.e sul fatto che si possa parlare dello spazio, ma che lo spazio sia una realtà, una sostanza. Gli esempi che porta Aristotele mostrano che egli si è ridotto a considerare lo spazio come accidente: che è - detto con terminologia aristotelica - quello che voleva appunto dire Zenone. Il fatto che non sia sostanza, in definitiva, ha portato anche Aristotele a dire che lo spazio non è reale. Il fr. 42 della Fisica di Eudemo (Simpl. in Arist. Phys. 563, 17): 129
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btÌ 'tUÙ'tÒ ÙÈ KaÌ TÌ Zrivwvoç èmop{a <pa{ VE'tat ayEt V. Ù./;tOi yàp
n:tiv 'tÒ ov n:ou dvm · ti ìSÈ 6 'ton:oç 'tcùv ov'twv, n:ou &v ti: n; OÙKOUV Èv &Uwt t6n:wt KÙ.KEì.voç ùi] Èv aÀÀWl KaÌ OU'tWç EÌç 'tÒ n:poaw ... n:pòç ìSÈ ZiJvwva
o
Le solite distinzioni della scuola aristotelica: Eudemo, con parole leggermente variate, riespone la confutazione che avevamo già trovato in Aristotele. A questa ne aggiunge una presumibilmente sua:
ti ì5È aÀÀwç 'tÒ n:ou, KUV 6 t6n:oç f.lT) n:ou· 'tÒ yàp 'tOU O"cOj.la'tOç n:épaç Èa'tÌ 'tOU O"cOI..l.o:toç n:ou· €axa'tov yù.p. "Se invece luogo si intende in un altro modo, allora anche il luogo si potrà dire che esiste in qualche luogo: intatti il limite del cmpo è il luogo del corpo, infatti è l'ultinla cosa». Se continuiamo ad accettare l'impostazione di Zenone, luogo va inteso come n:épaç, come ''limite» che racchiude i"! luogo. Ma è una vera sottigliezza e basta. Esaminiamo il passo di Simplicio (in Arist. Phys. 562, 36): DK e Untersteiner lo considerano come una citazione testuale di Zenone, sulla base della discussione di Calogero,'n e lo includono nei frammenti come B5.
·o ZfJvwvoç À.oyoç ù.vatpeiv ÈùoKEt 'tÒ d
vm 'tÒv ton:ov, Èpw'trov o\nwç · ·d €an v 6 'ton:oç, €v 't t vt €mm · n: ti v yap ov €v 't t v t· 'tÒ
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i5È f. v n vt KaÌ Èv 't:Ùnrot. f.cr't:at &p a KaÌ 6 't:Onoç Èv 't:Onrot. KaÌ 't:oil't:o Èn' &netpov · oÙK &pa ìicrnv 6 't:Onoç·. «L'argomento di Zenone sembrava eliminare l'esistenza dello spazio, con questa formulazione del problema: "se il luogo esiste, si troverà in qualche cosa: infatti ogni realtà è in qualche cosa; orbene, ciò che si trova in qualche cosa è anche in un luogo. Dunque il luogo sarà in un altro luogo, e così via all'infinito. Quindi il luogo non esiste">>.
Si noti la vicinanza delle parole di Alistotcle lette prima (in 29A24 DK): d 6 n)n;oç Ècr'tt n, €v nvt ìicr't:at, e di Simplicio: Ei f.crnv 6 1:6noç, Ev nvt itmat. Candamento delle parole di Simplicio - si confrontino gli altri suoi pa<;si - sembra veramente zenoniano: ma non ci sono prove positive che non ci si trovi di fronte a una parafrasi. Certo ricordiamo come al solito che, in qualche modo, Simplicio è l'unico a conservarci citazioni testmùi di Zenone. <<Se il luogo esiste>> ne discendono conseguenze impossibili, «quindi il luogo non esiste>>. Schema: ipotesi iniziale, conseguenza assurda con estensione all'infinito (ed è proprio tale estensione che la rende assurda), perciò negazione dell'ipotesi. Il passo di Filopono (in Arist. Ph_ys. 510, 2) non porta nulla di nuovo. Riprende quasi totalmente le parole di Aristotele. L'interpretazione eli questi passi non presenta diflicoltà: a noi interessano il valore teoretico dell'argomento, il valore della confutazione di Aristotele e la possibilità eli trovarci di h·onte a una citazione testuale nel passo di Simplicio. Questa aporia dello spazio va accostata agli altri argomenti forti. Certo mi sembra improbabile l'attribuzione a Zenone di argomenti insieme forti e deboli, quasi sofistici, a meno che Zenone non si servisse dei secondi coscientemente e con uno scopo pratico: data la finezza teoretica che possedeva, non possiamo pensare che Zenone non si accorgesse dell'insulsaggine dei movimenti dello stadio. Questo scopo pratico può essere compreso forse alla luce del tipico atteggiamento eristico posteriore: se accettiamo l'ipotesi che fa Zenone autore di tutti gli argomenti, anche eli quelli teoreticamentc insignificanti, 131
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dobbiamo fare di Zenone anche l'« inventore», per dire così, dell'eristica. Ma certo la statura morale del filosofo viene ad essere un po' offuscata.
Venerdì 30 aprile l 965 A proposito delle varie ipotesi che abbiamo discusso, l'argomento del grano di miglio che ora esamineremo farebbe preferire quella che non attribuisce a Zenone gli argomenti che chiamiamo deboli. Aristotele sta discutendo del fatto che una determinata forza non è proporzionale alla grandezza del moto che causa: se cioè una data forza compie un certo movimento, non è detto che metà di questa forza compia la metà del movimento. A questo punto si inserisce la testimonianza su Zenone (29A29 DK; Arist. Phys. 250 a 19): òtà wuw 6 Zr1vrovoç Myoç oÙK UÀTJ'01lç, cbç \jfO
more una parte, per quanto piccola, di un grano di miglio. Nulla infatti impedisce che [quesL:1 parte] non muova in nessun tempo quell'aria che muove cadendo un intero medimno >>. Come al solito Aristotele ci fa conoscere polemicamente l'argomento, che è il seguente: si immagina una certa quantità di miglio che cadendo faccia rumore; la domanda sofistica è se anche a un solo grano compete la capacità di fare rumore. Un grano cadendo non produce nlmore, e perciò il rumore che empiricamente sentiamo quando cade il mucchio non dovrebbe intervenire. Aristotele non formula l'argomento, ma lo confuta subito. Noi possiamo confutarlo- in termini più moderni di Aristotele: il fulcro dell'argomento è l'awertibilità o meno di un dctenninato fenomeno: i suoni al di sopra e al di sotto di una data frequenza non sono awertibili dal nostro 132
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apparato uditivo, ma ciò non significa che le vibrazioni non sussistano; anzi, per la precisione, diciamo che se noi non sentiamo il suono del grano di miglio, ciò dipende dalla troppo piccola ampiezza della vibrazione e non dalla frequenza di essa. Dunque l'argomento non ha valore teoretico perché si fonda sulla capacità della sensibilità, soggettiva, mentre gli altri argomenti forti non fanno appello alla sensazione, ma solo ai concetti puri. L'argomento è trattato più estesamente da Simplicio (sempre in 29A29 DK; Simpl. in Arist. Phys. 1108, 18), che fa anche riferimento alla confutazione di Aristotele. ùtà -rou-ro ì-.:un Kaì -ròv Z1)vrovoç -rou 'EÀeawu Àoyov, ov flpe-ro I1pro-ray6pav -ròv cro
o
·o
«In tal modo [Aristotele] risolve anche il ragionamento di Zenone eli Elea, che faceva queste domande a Pratagora il sofista: "Dimmi, Protagora," egli diceva "fa rumore cadendo un grano eli miglio o la decimillesima parte di un grano di miglio?". Protagora rispose di no. "Ma il medimno di miglio" domandò allora Zenone "fa rumore o no cadendo?". L'altro rispose che il meclimno faceva rumore. "Come," disse Zenone "non c'è una proporzione tra il medimno e il singolo grano o la decimillesima parte eli un grano?". Protagora rispose che c'era. "E allora" ribatté Zenone "non vi saranno le stesse proporzioni reciproche tra i rumori? Come infatti vi è una proporzione tra le cose che fanno rumore, vi sarà anche tra i rumori. Ma così stando le cose, se il medimno di miglio fa rumo133
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re, lo farà anche un solo grano o la decimillesima parte di un grano". In questo modo argomentava Zenone». Questo passo di Simplicio va preso in considerazione soprattutto per la discussione se gli argo m e n ti deboli vadano o no attribuiti a Zenone. Questo passo è l'appoggio più rilevante alla tesi dell'origine di questi argomenti deboli all'epoca della seconda sofistica. Infatti è diflìcile spiegare l'esistenza di questo passo in Simplicio senza che egli lo abbia ripreso da una fonte: e deve trattarsi di una fonte antica. Simplicio qui ha ripreso la situazione da uno scritto dialogico; il passo testimonia l'esistenza di un dialogo in cui intervenivano come personaggi Zenone e Protagora. L'ipotesi di Diels 88 è che il dialogo, pervenuto mediatamente a Simplicio, sia stato redatto nel N secolo a.C. Come autore Diels propone Akidamante, retore sofista allievo di Gorgia, perché altrove è testimoniato che compose dialoghi e perché, attraverso Gorgia, era vicino all'eleatismo. Per spiegare il caso particolare dell'argomento del grano di miglio, pur con un largo margine di incertezza e in definitiva senza prova alcuna, l'ipotesi di Diels è la migliore. Si può pensare a un dialogo storicamente awenuto tra Zenone c Protagora? Ma poi tramandato per iscritto da chi? I termini cronologici e quanto sappiamo della loro vita fanno scartare l'ipotesi che siano Zenone o Protagora gli autori di un dialogo in cui si introducevano da sé come personaggi. Né d'altra parte possiamo affermar·e con sicurezza che Zenone e Protagora fossero contemporanei. Qui dunque uno degli argomenti deboli è accompagnato dal riferimento a un dialogo che secondo ogni verosimiglianza è un'opera letteraria di finzione: e ciò fa venire il sospetto che di tale genere sia la fonte di Aristotele, almeno in un certo numero di casi. Tanto più che Aristotele con Zenone si comporta in modo alquanto diverso da come fa con gli altri presocratici, che discute insieme riunendo i loro problemi soprattutto nel primo libro della Metafisica. Zenone invece è discusso solo per singoli argomenti, diffusi per tutta la sua opera, e in specie
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nella Fisica. Questo fa sorgere più chiaramente il sospetto che Aristotele facesse riferimento in più momenti non allo Zenone storico, ma allo Zenone interlocutore di dialoghi ben più recenti del filosofo stesso: tanto più che Aristotele non ha una precisa intenzione storico-documentaria, e parla ad allievi che sapevano immediatamente a chi riferirsi. Inoltre la formula 6 Z~vwvoç Myoç, «il logos di Zenone», come altre simili, con cui spesso Aristotele introduce la discussione, è compatibile con una simile origine. Sembra però difficile non dare il significato tecnico alla parola logos, come nel caso di« libro composto da quaranta logoi» (29Al5 DK; Procl. in PlaL Parm. 694, 23), anche nella frase aristotelica << quattro sono i logoi di Zenone intorno al movimento ... » (29A25 DK); sostenere cioè che sia stato Aristotele a riunire quattro generiche conversazioni del personaggio Zenone sparse in questi dialoghi, e non piuttosto che Aristotele trovasse già insieme quattro argomentazioni con cui Zenone affrontava il problema del moto e che la quarta -l'argomento debole dello stadio -facesse un unico corpo con le altre tre. Contro la tesi di Diels si può far valere il fatto che in un'epoca come quella di Aiistotcle è molto improbabile che il Liceo, con l'ampiezza di mezzi che aveva, non possedesse l'opera- o le opere- di Zenone, tanto più che la dialettica era una delle materie di insegnamento. Inoltre c'è la concordanza sostanziale, constatata in tutti i casi, tra i frammenti autentici e le citazioni di Aristotele. In conclusione si può pensare che Aristotele da un lato utilizzasse l'opera autentica di Zenone, dall'altro saltuariamente si riferisse a opere divulgative, di discussione dialettica, citandole come <
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KaÌ 'rl Sei rroUà ÀÉynv, O't€ KaÌ Èv al:mot
La disinvoltura con cui Simplicio parla del libro di Zenone, da cui <
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serci. Esiste una serie di argomenti affini congiunti tra loro che erano contenuti nell'opera di Zenone, oppure- se pensiamo che abbia scritto più di un libro- in quell'opera giovanile cui si riferiva Platone. Rispetto all'ipotesi fondamentale «se gli esseri sono molti>>, abbiamo già visto: l. il logos che si ricostmisce quasi per intero da 29Bl e B2DK 2. Il logos dei «simili» e dei ''non-simili>>. 3. Questo frammento. Anche in questo logos Io schema è indiscutibilmente zenoniano nel senso storico: è uno dei pochi risultati che possiamo dare. Analizziamo quest'ultimo logos. Primo corno: il ragionamento è apparentemente sbrigativo: dall'analisi degli stessi «molti>>, senza altri nuovi elementi, si deduce che gli oggetti che sono molti- per il fatto di essere molti- sono determinati. Perciò già nell'ipotesi è contenuta la prima conseguenza. Secondo corno: la dimostrazione è condotta « per mezzo della dicotomia>> - dice Simplicio. In realtà viene detto «in mezzo agli esseri,, che non presuppone ancora di dividere a metà ciascuno degli esseri; « per mezzo della dicotomia» non è detto del tutto bene. C'è una differenza notevole con il logos che, unico di quelli di Zenone, abbiamo potuto ricostruire da 29B l e B2 DK: in quello compariva un medio, un concetto direttivo su cui era svolto l'argomento, in questo tale medio manca. Perciò, forse, è meglio pensare che le parole rimasteci siano originali, ma non complete; condensate piuttosto- e ciò andrebbe anche d'accordo col fatto che evidentemente Simplicio non aveva più il testo completo ma solo un'antologia- in quanto non si vede il fulcro dimostrativo del logos né nel primo né nel secondo corno.
Giovedì 6 maggio l 965 Dunque Simplicio cita testualmente, ma la sua fonte quale che sia - era difettosa. « Infatti in mezzo agli esseri
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ve ne saranno sempre altri ... >> è espressione di stile zenoniano, ma non è sufficiente: è il punto più gravemente lacunoso di questo logos. Se ne accorge anche Simplicio, e spiega che il fulcro dimostrativo era la dicotomia: noi abbiamo avanzato delle riserve. Nel logos di 29B 1 e B2 DK, dall'ipotesi che l'essere ha ''grandezza, (abbiamo visto come era ricavata) si deduceva che gli esseri sono grandi fino ad essere infiniti: che è la stessa conclusione del secondo corno di questo logos di 29B3 DK, anche se i due logai sono distinti. Nel primo logos ci si basava come fulcro sul concetto di distinzione e distanza (èméxnv), qui si parla di JlE"m.!;u, «in mezzo [agli esseri]>>, che non è molto chiaro; poteva esserci qualcosa come: «a metà tra due esseri si troverà una parte dell'unità prima di raggiungere l'unità>>. Insomma, doveva esserci un nesso esplicativo della conclusione. Si può notare che però in 29Bl e B2 DK, gli« esseri>> risultano infìniti nello spazio, mentre qui l'infinità è «numerica>>, come avverte lo stesso Simplicio. Leggiamo ora il quarto frammento autentico, ancora sul moto. Oltre alla testimonianza di Diogene Laerzio, Pasquinelli riproduce (come A23) anche quelle di Epifanio e di Sesto Empirico, che non danno però la garanzia, come invece Diogene Laerzio, di offrirei il testo originale: le loro testimonianze sembrano infatti più ampie dell'originale, e poste sotto una formulazione di impronta aristotelica. Il passo (Diog. IX 72; 29B4 DK) è: ou Jl~v àUà Kaì :=:~::vo<pavT]ç Kai Zljvrov 6 'EAEa-rT]ç mì ~T])lOKpt-roç Ka-r' au-roùç <JKE1t'ttKOÌ 'tlYYXUVOUcrtV ... Z{jvrov òi:. ~V KtVT]crtV ÙvatpEÌ AÉyrov '-rò KtVOUf.lEVOV ou-r' ÈV cbt E<J'tt 7 ,, ' 't01tffil Kt Vf.l 'tat OU't EV ffit f.!T]' E<J'tt . «Inoltre Senofane, Zenone di Elea e Democrito, secondo costoro sono scettici ... Zenone nega il movimento dicendo: "ciò che si muove non si muove né nel luogo dov'è, né in quello in cui non è">>. l
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È un argomento di tipo forte. Nello spazio in cui è non si può muovere, lo occupa e basta. Nello spazio in cui non è non si può muovere, non c'è e basta. Quindi non si muove per niente. L'argomento è affine a quello della 138
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freccia, ma nella freccia si prendeva sotto esame il concetto di tempo, che qui non c'entra. In virtù di questa affinità, alcuni studiosi cui sembrava difficile l'esistenza di un altro argomento di Zenone contro il moto, quando Aristotele afferma espressamente che «quattro sono i logoi di Zenone intorno al problema del movimento ... ,, (29A25 DK), hanno sostenuto che si tratta di uno stesso argomento. Ma la freccia era fondata sul concetto di presente e questo sullo spazio: sono due argomenti distinti.
Venerdì 7 maggio 1965 Sesto Empirico riferisce l'argomento a Diodoro Crono, ma il vero autore doveva essere Zenone. La formulazione di Epifanio,H!I che lo riferisce a Zenone, risente della sillogistica, e per questo ho allermato che in lui l'argomento ha subito una rielaborazionc: Zenone non usa mai forme sillogistiche. Le parole di Diogene Lacrzio (29B4 DK) sembrano essere la parte finale del ragionamento, c possono rientrare in uno schema dialettico che - questo sì può essere zenoniano. Il passo di Simplicio sull'aporia dello spazio (B5 Untcrsteiner; A22 Pasquinelli) che abbiamo già discusso, non è una citazione di Zenone. Contro la tesi di Calogero,!lo accettata poi da DK e da Unterstciner, notiamo che la forma &pa, «di conseguenza», non è testualmente di Zenone; oÙK &pa i:crnv 6 'ton:oç, <
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Cercherò ora di trarre delle conclusioni generali per suggerire una via interpretativa di Zenone. Il problema del valore teoretico dei vali argomenti è nettamente differenziato: alcune argomentazioni sono estremamente difficili a sciogliersi - tanto che su di esse si sono impegnati i più grandi filosofi, da Aristotele a Kant, a Russell -hanno avuto grande Jisonanza e sono state feconde nella stoJia della filosofia. Altre aporie sono di una debolezza sconcertante e sono state confutate da Aristotele con estrema facilità. Tale disparità può derivare dalle fonti cui i nostri testimoni risalgono. Abbiamo già ripetutamente illustrato la tesi di Diels, secondo la quale Aristotele conosce Zenone mediatamente attraverso dialoghi sofistici del lV secolo a.C.: ad essi farebbe riferimento con l'espressione « il logos di Zenone >>, e i suoi ascoltatm:i non avevano allora difiìcoltà a riferirli giustamente. E questa l'ipotesi più accettabile per spiegare il passo di Simplicio (29A29 DK) del dialogo tra Zenone e Protagora- e notiamo che si tratta di uno degli argomenti deboli. Naturalmente questi dialoghi risalivano anch'essi al vero Zenone, ma in essi si spiegherebbe agevolmente l'introduzione di argomenti soiìstici. Ad ogni modo è compatibile con questa ipotesi il fatto che Aristotele a volte attinga anche direttamente allibro di Zenone. Altra ipotesi già accennata è che tutti gli argomenti siano di Zenone, e che Zenone non fosse cosciente della disparità del contenuto teoretico di essi: ipotesi che ci lascia assai perplessi dopo aver potuto constatare a quale finezza teoretica giunse Zenone, a meno di non pensare che in quegli argomenti avesse nascosto, sotto un'apparenza di facilità logica, un contenuto teoretico profondo e arduo, che noi non capiamo, né possiamo più capire, per difetto di testimonianze. La terza ipotesi è che egli coscientemente abbia discusso argomenti teoreticamente fortissimi e altri sofistici: in questo caso dovremmo presupporre in Zenone, alla metà del V secolo, un atteggiamento affine a quello che possiamo constatare nei sofisti dell'ultimo decennio del V se-
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colo, quando l'argomento non vale più tanto per il suo valore logico, quanto piuttosto come mezzo agonistico per prevalere a tutti i costi nella discussione. Questa tesi mi sembra debole dal punto di vista storico; mi sembra inoltre che rompa la coer·enza della figura di Zenone anche sotto un aspetto morale- e che incrini il valore teoretico della sua speculazione.
Sabato 8 maggio 1965 In definitiva, gli argomenti deboli sono solo quelli dello stadio e del grano di miglio. L'ipotesi di Diels è possibile proprio in quanto il passo di Simplicio che contiene il dialogo tra Zenone e Protagora riguarda il grano di miglio. Ariche lo stadio può essere attribuito all'opera di un retore come Alcidamante: infatti anche gli altri tre argomenti contro il movimento, quelli validi, nella forma in cui li presenta Aristotele sono sicuramente lontani da quella che doveva essere la formulazione di Zenone. In altre parole, tutte e quattro le aporie dello spazio possono essere state riprese da Aristotele in opere a lui precedenti come quelle che suppone Diels, nelle quali la sostanza delle prime tre aporie era fedele alla speculazione di Zenone, mentre la quarta aporia avrebbe avuto un'origine posteriore. Ma l'estensione in questo modo dell'ipotesi di Diels non è necessaria: avevamo indizi di una tradizione difettosa dell'argomentazione dello stadio, per cui è preferibile ritenerla autenticamente zenoniana, non nella forma in cui ci è pervenuta, ma prima che subisse la corruzione. Allora resta soltanto il grano di miglio che si spiega come propone Diels. 91 Vediamo ora il problema di Zenone in «aiuto, (~orJ1'1eta) a Parmenide. L'interpretazione di Zenone come discepolo di Parmenide ha senza dubbio del vero, ma va ristretta. Esiste urr campo di forte originalità del pensiero zenoniano che non è riconducibile interamente al pensiero di Parmeni/41
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dc. L'interpretazione in chiave di <> è senz'altro la dominante, ma abbiamo potuto vedere che a volte Zenone si pone in posizione antitetica rispetto a Parmenide. Una soluzione conciliativa, e un po' di compromesso, è quella di vedere uno sviluppo della personalità di Zenone, da una fase giovanile in cui prevale l'interesse apologetico del maestro, a una matura, in cui si arriva a una critica nei confronti del maestro. Ma per una soluzione di questo tipo è necessario che la testimonianza del Pannenide platonico sia valida storicamente: il che non è pacifico. Inoltre, nei famosi quaranta logoi non dovevano esserci solo aporie contro la molteplicità, ma anche contro l'unità (cfr. 29A2l DK; Arist. Metaph. 1001 b 7), che dovrebbero far parte di quel libro giovanile cui accenna il Parmenide platonico. Sarehhe di grande interesse poter constatare che Zenone sia passato attraverso due fasi distinte: perché effettivamente ci appare in un certo modo dipendente da Parmenide, ma anche notevolmente originale pure sotto l'aspetto contenutistico-dottrinario, fino ad entrare in polemica col maestro. Non c'è però nessuna volta in cui Zenone vada contro la dottrina di Parmenide. Il logos di cui si serve Aristotele (29A2l DK), <<se l'uno in sé è in divisibile, secondo il principio di Zenone, non sarebbe nulla», contro Parmenide, che aveva concluso che tutto è uno, è lo stesso del primo corno del logos ricostruito da 29Bl e B2 DK. Sempre in 29A21 DK, Aristotele dice: ''infatti ciò che né se è sommato né se è tolto determina un accrescimento o una diq_Iinuzione, Zenone dice che non appartiene al reale ... "· E evidentemente lo stesso procedimento del primo corno del logos dei << piccoli » e dei '' grandi , . Anzi non c'è nulla che osti sensibilmente a pensare che Aristotele faccia riferimento proprio alle parole originali che ci ha conservato Simplicio. Anche nel logos dei " piccoli , e dei " grandi >> si aveva la negazione dell'uno, ma solo in quanto era un uno che poteva essere aggiunto a un Etcpov, a un "altro»: non l'« uno>> cui era giunta la conclusione del logos di Parmenide, ma l'uno parte dei molti. 142
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Da ciò deriva, da un lato, che Aristotele (in 29A21 DK) si serve arbitrariamente del logos di Zenone contro Parmenide, e che è proprio lui a lasciarsi andare alla polemica così da non distinguere i significati di «uno»; e che, dall'altro lato, non c'è posizione antitetica di Zenone rispetto a Parmenide. Zenone non ha ripreso la conclusione del logos di Pannenide dimostrandola assurda. Anche la negazione dell'uno parte dei molti può rientrare in un certo senso nell'<< aiuto,, a Pam1enide. Una difficoltà ad accettare il iatto che Aristotele si riferisse precisamente al l,ogos che noi possediamo ricostruito è all'inizio del passo (29A21 DK; Arist. MetajJh. 1001 b 7) ''inoltre, se l'uno in sé è indivisibilc ... »; infatti nellogos degli <> - e sulla base del logos degli <
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(29Bl e B2 DK), dove la dimostrazione è possibile solo sotto l'ipotesi generale <<se gli esseri sono molti». Torniamo sul problema del diverso valore teoretico degli argomenti. In definitiva sono solo due gli argomenti deboli. Il primo è quello dello stadio: è difficile pensare per questo argomento a una genesi del tipo ipotizzato da Diels. Aristotele dice decisamente: <> (29A25 DK): bisogna pensare che li abbia trovati tutti insieme o nel libro di Zenone o in una qualche opera dialogica; non che ne abbia trovati tre nel libro di Zenone e uno - lo stadio - in un'opera dialogica per poi metterlo insieme agli altri tre. Naturalmente può essere vera anche la seconda ipotesi, ma, con l'immagine che ci possiamo fare del Lamoso libro di Zenone, si capisce molto meglio che da questo libro ordinato e schematico Aristotele abbia derivato già uniti come un corpus gli argomenti contro il moto. Inoltre, con gli indizi che al momento dell'esame del testo si erano rivelati, l'ipotesi più accettabile mi sembra sia che noi non conosciamo il vero argomento. La difficoltà più grossa a questa ipotesi mi pare consista nel fatto che, se Aristotele derivava direttamente l'aporia dal librodi Zenone, allora dobbiamo attribuire tutta a lui e alla sua sinteticità nell'espressione la colpa della nostr·a incomprensione dell'argomento, che si sarebbe così configurato nelle testimonianze che abbiamo, fino a Simplicio, proprio per l'influenza della confutazione che di esso aveva dato Aristotele. Ci sfugge allora la ragione per la quale Aristotele abbia dato una simile confutazione. I manoscritti in cui Alessandro avrebbe trovato una lezione diversa da quella di Simplicio sarebbero manoscritti al di fuori del Peripato. In definitiva Aristotele ed Eudemo dovevano ancora avere l'originale, perduto dopo di essi; quello che ci rimane è la deformazione che l'argomento subì nel Peripalo in seguito alle parole non chiare di Aristotele. Per Eudemo non possiamo dire nulla, ma se Aristotele ne discusse, anche Eudemo doveva conoscerlo. 144
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Se invece già Aristotele non conosceva il vero argomento, bisognerebbe mettere un termine mediano tra Zenone e Aristotele, da cui Aristotele derivò tutte e quattro le aporie contro il movimento: ma con l'esistenza del libro di Zenone al Liceo, e data l'importanza dell'argomento, ciò mi sembra ancora più improbabile. Se l'argomento dello stadio era valido, non resta da spiegare che la genesi di quello del grano di miglio. Tralasciando la questione della fonte di Simplicio ed esaminandolo in sé, l'argomento può essere zenoniano. Elemento caratteristico zenoniano è l'estensione di un fulcro dimostrativo che l'awersario della discussione ha accettato; in questo caso: <
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ta dall'analisi del concetto, non è significativa al fine di Tifìutare la paternità zenoniana all'argomento del grano di miglio, a meno che non si ammetta che Zenone avesse già scoperto il valore logico e la problematica del concetto, che si pensa vada attribuito a SoCI·ate. Insomma, la derivazione della ragione dimostrativa dall'analisi del concetto eli ''quantità, e di <<presente>> non può essere un metodo cosciente di Zenone, sistematicamente applicato, a meno che non avesse già meditato a fondo sul valore puramente logico del concetto: uno stadio così avanzato della logica non credo possa essere accettato per Zenone. Allora, la derivazione delle ragioni dimostrative della dicotomia e della freccia non è un atteggiamento coerente, ma piuttosto il frutto di un istinto eccezionale al rigore dimostrativo: ci si avvicina così a una sorta di <
Giovedì 13 maggio 1965 94 Tornando al problema dci rapporti tra Zenone e Parmenide, suggerisco, senza approfondirla, un'altra soluzione basandomi su un passo di Parmenide: 2HBH, 38-41 DK Qui Parmenide chiama nomi, nel senso di opinioni volgari che gli uomini ritengono vere, '' ... il nascere e il
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perire, l'essere e il non essere, il mutare di luogo e il cambiare lo splendente colore». Alcune di queste categorie si riferiscono al mondo sensibile (c rientrano nella tradizionale interpretazione di Panncnide che condanna il sensibile), ma" essere c non essere>> non riflettono più la conoscenza sensibile: sono i termini fìlosofì.ci della filosofia stessa di Pannenide che egli professa per veri. Parmenide introduce questa coppia di predicati con la dichiarazione: << ... di conseguenza saranno solo dei nomi tutte le cose che i mortali hanno stabilito, pensando che fossero vere>>. Sembra chiaro: per Parmenide queste categorie sono solo nominali e non 1iflettono la verità delle cose. Se è così, non si può più accettare l'interpretazione tradizionale di Parmenidc come filosofo dell'<< essere,, contrapposto ai <<nomi>>. Che cosa significasse in realtà il suo poema allora ci sfugge: sarebbe solo una qualche espressione simbolica, mentre la sua filosofia si nasconderebbe più nel profondo. 95 Con una tale intcq)rctazione di Parmenide si concilierebbe bene la figura distruttiva di Zenone, che avrebbe prodotto un approfondimento sul piano della logica pura il cui risultato sarebbe solo negativo. Ogni Lesi si conclude in Zenone con una confutazione, e il suo fine ultimo sarebbe quello di sviluppare una teoria totalmente negativa della ragione umana, di provare che ogni conoscenza viene distrutta dall'analisi razionale: questo per aderire alla dottrina non razionale di Parmcnide (sempre nella possibilità interpretativa che ci offre 2RBR DK). Allora si potrebbe nuovamente parlare di <> di Zenone nei confronti di Pannenide, ma in un modo affatto diverso: non a sostegno d eli'« uno>> di Parmenide (che è una tesi razionalista), ma per la totale distruzione delle opinioni umane con sullo sfondo la dottrina di Parmenide, il cui contenuto va cercato al di fuori della sfera razionale. 96 Attenendoci solo alle testimonianze, tiprendiamo ora la discussione sulle conclusioni che si possono trarre dai logoi di Zenone: già si è parlato dei due argomenti deboli; consideriamo ora gli argomenti forti e cerchiamo il
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nesso che li congiunge, se non altro dal punto di vista formale. Non seguono lo stesso schema. 1. Le tre aporie contro il moto sono contenutisticamente zenoniane, ma non possiamo ricostn1irnc l'originaria formulazione dialettica. 2. La cosiddetta aporia dello spazio: il passo di Simplicio è una parafrasi, ma assai vicina ali' originale. Da un punto di vista formale: posto un concetto fondamentale, che è lo spazio, e supposta l'esistenza di un determinato oggetto, si ha l'analisi del concetto medesimo e la deduzione delle conseguenze: ''il luogo sarà in un altro luogo, e così via all'infinito» (B5 Untersteir:er); il processo non si arresta, con conseguenze assurde. E un embrionale procedimento per assurdo, il più lineare e il più semplice. Simile è l'aporia dello «spazio c del moto,, tramandata da Diogene Laerzio (29B4 DK): posto il concetto, che è il movimento, da esso si deducono le conseguenze assurde che negano il concetto. I ~a differenza tra le due aporie sta nel fatto che nell'aporia dello« spazio e del moto>> le conseguenze sono impossibili non dal punto di vista concettuàle ma da quello reale, si constata cioè che il moto non sussiste né qui né là, che il moto in realtà non avviene. La semplicità di queste dimostrazioni per assurdo consiste nel derivare le conseguenze dal concetto medesimo che si vuole negare. 3. Illogos che si ricostruisce da 29Bl e B2 DK, e presumibilmente tutti i logoi contro la molteplicità. La dimostrazione è per assurdo, ma ottenuta attraverso la contraddizione: c'è una implicita ~osciente conoscenza del principio di contraddizione. E un altro punto basilare_ che mette Zenone molto in alto nella storia della logica. E notevole anche un altro elemento formale: l'intervento del medio - per dirla in termini sillogistici aristotelici - cioè di quel concetto su cui si La leva per la dimostrazione. Non che Zenone conosca la sillogistica, ma, in virtù di un eccezionale istinto al rigore dimostrativo, in un certo senso se ne serve prima che Aristotele la formuli coerentemente. La scoperta del principio di contraddizione va attribuita a Zenone 97 e non ad Aristotele, come general148
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mente si ammette: l'attribuzione di coppie di contraddittori a uno stesso soggetto è tutta la dimostrazione di Zenone. Per avere una completa dimostrazione per assurdo manca solo un anello: la conclusione. I predicati contraddittori provano che l'ipotesi non era vera: la conclusione non la troviamo esplicitamente in Zenone. Ma, da un punto di vista di logica fom1ale, dire che i molti non esistono e dire che esiste solo l'uno è la stessa cosa.!lH
Venerdì 14 maggio 1965 Abbiamo visto la premessa operante del principio di contraddizione, vediamo ora come opera in Zenone il principio del terzo escluso.m' Da un punto di vista di logica formale il principio del terzo escluso è lo stesso del principio di contraddizione, in una espressione inversa (ma la cosa è discutibile). Ad ogni modo troviamo in Zenone il terzo escluso, al solito non formulato, ma così rigorosamente applicato che tale applicazione non può non essere cosciente. Applicazione già operata nelle dimostrazioni per assurdo più semplici (mentre il principio di contraddizione opera nelle più complesse) del tipo: se lo spazio esiste ne derivano conseguenze assurde; risultando falso che lo spazio esiste, risulta vero che lo spazio non esiste: perché lo spazio o esiste o non esiste, non si dà una terza possibilità. Nel logos di 29B1 e B2 DK, nel passaggio dal primo corno al secondo corno, abbiamo visto la cosciente applicazione della legge di trasposizione: «se A implica B, non-B implica non-A''· Ma il senso della legge di trasposizione è che un predicato più il non-predicato esaurisce tutti i predicati: non è altro cioè che il principio del terzo escluso. Nel logos di 29Bl c B2 DK il passaggio è così limpido, che equivale a una formulazione teoretica del principio: << se l'essere non ha grandezza, non è; se è, è necessario che abbia grandezza», in cui si legge perfettamente: «se A implica B, non-B implica non-A''· Così in questo logos vedia149
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mo insieme: principio del terzo escluso, principio di contraddizione, uso del medio. Zenone, prima della sillogistica aristotelica, ha già nota la sostanza del processo deduttivo. Nelle dimostrazioni per assurdo di Zenone troviamo poi un elemento originale che non c'è in Aristotele: il regresso all'infinito. In verità tale procedimento è presente in Aristotele negli Analitici secondi, 100 dove però la materia logica è ancora fluida: vi sono trattati problemi più generali che negli Analitici p-rimi (i quali cronologicamente sono posteriori) e anche in forma aporetica, senza cioè essere risolti; qui troviamo spesso il procedimento del rcgresso all'infinito, che viene riconosciuto come mezzo valido di dimostrazione. Aristotele anzi introduce i "princìpi » delle scienze proprio per porre un termine al regresso all'infinito: e questa è un'influenza di Zenone. I princìpi generali propri di ogni scienza bloccano il processo della ricerca di un medio sempre più astratto, e permettono la scienza. Aristotele all'inizio accetta il regresso all'infinito, poi abbandona tale tipo di dimostrazione, ma ciò non significa che non sia logicamente valido: anzi, almeno in una delle sue opere fondamentali sulla logica, Aristotele riconosce valore dimostrativo al metodo zenoniano. Né tale metodo è stato superato dalla scienza moderna - wJ che non lo riconosce: tutta la fisica e la matematica moderna si fondano sul calcolo infinitesimale, cioè sulla possibilità di calcolare l'infinito - perché dal punto di vista razionale Zenone e Aristotele sono rimasti insuperati.
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NOTE
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l. Nel ms. titolo autografo di Colli.
2. Cfr. Plat. Parm. 127 a (29All DK): ''Zenone era allora vicino ai quaranta, grande nella figura e piuttosto bello: si diceva anzi che fosse stato l'amante di Parmenide >>; cfr. anche Diog. IX 25 (29Al DK) e Ateneo Xl 505 (28A5 DK). 3. Cfr. Diog. IX 25 (29Al DK): «Aristotele dice che Zenone è stato l'inventore della dialettica, come Empedocle della retorica». 4. Cfr. 1èeteto, Sofista, e soprattutto Parmenide. 5. Cfr. I. Kant, éntica della ragione pura, 345, 12 sgg.
6. Ch. l'Introduzione di Colli alla Disputa Leibniz-Newton sull'analisi, EAC Torino 1958, ora ripubblicata in PEAC 65-68; soprattutto il finale: '' ... l'indae,>ine [sul sorgere dell'analisi infinitesimale], se condotta con rigore filosofico, ci dirà se la nuova logica dell'infinito ... risulta superiore, o inferiore, alla logica antica, cioè del finito». Si veda ancora corso su Parmenide, lezione del 26 novembre 1966 e RE [82]. 7. Sulle Phvsikòn doxai di Teofrasto, cfr. PHK2 37-91 e SG II 3738 e 325 sg:g. 8. di Magnesia ... e ... di Rodi] aggiunta autografa di Colli a margine di Pasquinelli 243 (nella BC).
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9. Cfr. Plat. Phaedr. 261 d (29A13 DK): <<non sappiamo poi che il Palamecle eleatico parlava con un'arte tale da far apparire al suo pubblico la stessa cosa simile e non simile, una e molteplice, immobile e in movimento?"· 10. Sull'origine della dialettica, cfr. FE 165-66, 185-87; DN 45-47; NF 73 sgg. e RE [155(2). 201a. 205.221.288.339. 344j. l 1. Cfr. corso su Gorgia, lezione del 9 dicembre 1965. Riporto qui il passo sui 1òpici contenuto nella prima parte de Il 'Introduzione ad AO, non pubblicata nel volume dell955 in seguito all'opposizione di N. Bobbio, allora redattore all'Einaudi. Sulla questione si veda l'Appendice alla tesi di laurea di A. Banfi, Contatto e dialettica nel pensiero di G. Colli, Milano A.A. 1995-1996. «Nel concludere i 1opici, Aristotele pronuncia parole di auto-esaltazione che non ripeterà più in alcun altro scritto (cfr. Soph. el. 183 b 15-184 b 8). Egli pone l'accento sul suo sforzo e sul risultato di questo, che è la scoperta di una nuova arte, prima del tutto sconosciuta, ossia della dialettica. I Greci non amano parlare della propria persona, e quando lo fanno, bisogna tendere l'orecchio. Ciò non è stato fatto, e in genere i Topici sono considerati co,me la parte derelitta dell' Organon, elementare e "superata". E appunto la facilità di quest'opera che l'ha fatta accantonare dai moderni: perfida facilità! Il commentario dei 1òpici che supera di gran lunga og~i altro scritto sull'argomento ha quasi duemila anni eli vita. E il commentario di Alessandro di Ahodisia, pressoché sconosciuto oggi, come del resto sconosciuti sono i Topici stessi. Cosa importa oggi la discussione greca, e un'opera che presenta un'interminabile serie di schemi, in base ai quali è possibile affrontare vittoriosamente qualsiasi discussione? Nulla, certo, ma importava ad Aristotele, anzi fu l'unica cosa che gli importò in gioventù. Ed egli giunse a scoprire la logica, appunto per vincere in ogni discussione. In tutti i 1òpici, l'agonismo è trasparente (cfr. ad esempio 7op.l34a3; 148a37; 161 a24; 169b2; 171 a17; 175 a 40; 183 b 2). Qualsiasi perfidia sofistica è raffinatamente suggerita sottovoce (i commentatori sorvolano su tutto ciò, per non far torto alloro autore), e quando viene proclamata la necessità di una discussione rigorosa, c sono fornite tutte le regole indispensabili, si tratta in realtà di una nuova arma per schiacciare più dall'alto il nemico. L'intero sistema logico è già prefigurato nei 1òpici: teoria del giudizio, della modalità, del sillogismo, delle categorie, ecc. «Ma Aristotele, se ha scoperto la dialettica, non ha però in-
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ventato il gusto agonistico della discussione, che è proprio della natura greca, e in Atene diventa eccelsa espressione di una cultura. Dalla leggendaria visita di Pannenide e Zenone, in questa città si comincia a gareggiare in un nuovo modo eccitante. Chi vince è più intelligente. Per cento anni questo gioco è in auge (e cento anni di vita greca sono molti), e per cinquant'anni è in gara Socrate, che non perde quasi un giorno né un'occasione per misurarsi con qualcuno. Discutere in Atene non era facile - lo testimoniano Platone e Aristotele con le loro notizie- ed è lecito pensare che molti partecipanti a questi scontri acquistassero un 'incredibile prontezza ed elasticità nel collegare molteplici elementi astratti, dominando sinotticamente l'intreccio. I venti anni trascorsi da Aristotele all'Accademia furono riempiti da queste insaziabili discussioni, in cui l'agonismo non si distingueva più dalla speculazione pura. Il linguaggio di Aristotele, i suoi strani termini tecnici, buona parte del suo atteggiamento esoterico, trovano in tal modo un chiarimento. Un breve accenno astratto bastava a sollecitare, in questa cerchia di persone sperimentate, il ritorno a una concreta situazione dialettica, in tutta la sua ricchezza"·
12. Cfr. AO 1047, Indice terminolot,ri.co s. v. <dogos "· 13. Prima di questa lezione c'è la set,rt.tente nota di Berti sul ms.: <<Sabato 28 novembre 1964. La lezione dovrebbe esserci stata; si era sfaldato il gn1ppo omogeneo, non so che cosa ha detto. La lezione successiva si riallaccia alla precedente sulla dialettica. Informarsi. Giovedì 3 dicembre, venerdì 4 dicembre, sabato 5 dicembre 1964 non c'è stata lezione per sciopero degli studenti''· 14. Cfr. PHK2 214-15: <
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Apollodoro sei soltanto ... parlino dell' akmè, che pure dovrebbe essere il concetto centrale del cronologo. Si noti poi che in nessuno di questi sei si ricorda la data di nascita accanto all' akmè; mai quindi può verificarsi palesemente il famoso computo dei quaranta anni ... >>; cfr. anche PParm 22-27, nota 2. 18. Per una discussione sulla storicità del Parmenide platonico, cfr. PHK2 158-59 e PParm 20-31. 19. Cfr. corso su Gorgia, lezione del 26 novembre 1965. 20. Per un 'analisi del passo platonico, cfr. PParrn 31-47. Per un'interpretazione generale del Parmenide, cfr. PHK2 301-23; PParm e FE 211-12. 21. Cfr. SG III 14[A9]: «E riguardo a quest'espressione [logos] che è vera, sempre gli uomini si mostrano privi di intendimento ... »; per il significato di logos in Eraclito, si veda anche PHK2 203 nota 20. 22. Si veda sopra, lezione del 27 novembre l 964 e nota 12. 23. Cfr. Parmenide 28B8, 15-18 DK: ,, Intorno a queste cose non vi è altra decisione possibile: è o non è. E, com'era necessario, il nostro giudizio fu quindi di abbandonare una delle vie perché impensabile e innominabilc (e infatti non è la strada della verità), e che l'altra è ed è vera" (Pasquinelli 233-34 ). 24. Si veda, ad esempio, Leibniz, Opere1127 (Torino 1967). 25. Cfr. RE [21] e [22]: ,,3 luglio 60 ... Ma forse i due prindpi non ne formano che uno solo, perché l'aggiunta del secondo è b>ià presupposta nel concetto di contingente (che è nel primo), che è definito come la totalità meno il necessario»; e [179-181]. 26. Cfr. Procl. in Plat. Parm. 694, 23: ,, Delle molte argomentazioni di Zenone - che sono precisamente quaranta- Socrate ne prende in esame una, la prima, e la controbatte ... : se gli esseri sono molti, Io stesso essere è simile e non-simile, ma essendo impossibile che lo stesso essere sia simile e non-simile nello stesso tempo, gli esseri non possono essere molti». 27. Cfr. PParm 33-36; FE 184-89 e RE [344]: <<9.9.68 ... Affermazione dello spirito sistematico quando vien meno il sostrato dialettico. Così Platone nella Repubblica o nel Timeo ... Per contro nel Parmenide platonico domina lo spirito dialettico e l'espressione scritta ha soltanto un valore mnemonico ».
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28. Cfr. PParm 35: «In tutto il corso della conversazione gli eleati sono così presentati come dei dominatori, che prevedono sin dall'inizio le conclusioni, c rimangono staccati dali' oggetto della discussione, sorridendo di fronte alle più impensate e radicali pieghe dei ragionamenti, come se l'abbattimento di qualsiasi tesi non li toccasse e la loro serenità fosse già al sicuro da gran tempo ... Il monismo eleaLico, la scoperta della dialettica sono per sé ben povere cose, di cui questi filosofi possono spogliarsi senza perdere un sostegno essenziale». 29. Si veda, ad esempio, Plat. Symp. 187 a: << ... come forse intende dire anche Eraclito ... Dice, infatti, che l'uno "in sé discorde, con sé si accorda, come l'armonia dell'arco e della lira"''·
30. = SG III 14[Al]. Sull'argomento, cfr. NF 61-69; SG I 47-48 e 341-69. 31. Nota di Berti sul ms.: <>. 33. Per la traduzione del passo aristotelico, cfr. AO 670. Si veda anche la nota relativa, AO 1013-14. 34. Autografo di Colli in DK I (nella BC), a margine di 29A22: <>] segnato da Colli sul ms. con una linea a margine. Sempre a margine c'è il richiamo autografo « Eude1no ». 36. Cfr. ad esempio 28B8, 5-6 DK: << ... perché è ora tutto insieme nella sua compiutezza, uno, continuo, (Pasquinelli 233). 37. Segue una nota di Berti sul ms.: <
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like the now in tirne: now is indivisible an d is not a pmt of ti me... '' ( 156); «>; e oltre «Max Simon observes similarly (Euclid., p. 25) "The notion aj'point' belongs to the limit-notions (Grenzbegrifle) ... the point is the limi t of localisation" ( 157). Si veda anche FE 228-30 e RE [416].
38. Pasquinelli 414, nota 21; cfr. PPann 21 sgg. Si veda sotto, la lezione de li '8 maggio 1965. 39. Cfr. Wjaeger, Studien zur Entstehung5geschichte der Metaphysik des Aristoteles, Berlin 1912. 40. Cfr. Arist. de Int. 16 b 24: ''ciò che è, difatti, in sé non è nulla, ma esprime ulteriormente una certa congiunzione, che non è possibile pensare senza i termini congiunti" (AO 59). Si veda anche RE [194]: «29.9.65 ... l'essere invece esprime il contatto per se stesso, come qualcosa di concluso e di staccato da lutto il resto, ciò in cui, nell'istante del contatto, si acquieta la vita ... ». 41. Inizia il secondo quaderno del ms. AI2. 42. Cfr. Calogero 110. 43. Per una discussione di Teofrasto come storico della filosofia presocratica, si veda PHK2 37-91 c 134-35. 44. Cfr. SG II THlPHD 31, e nota relativa, 327-28. 45. poiché ... grandezza] aggiunta autografa di Colli sul ms. 46. In Aristotele ... non esistel il passo è segnato da Colli sul ms. con una linea a margine. 47. Prima di questa lezione, c'è la seguente nota di Berti sul ms.: "Giovedì 11 febbraio 1965 Festa nazionale"· All'inizio della lezione c'è un'altra nota di Berti:" In seguito a una discussione sono stati portati chiarimenti di grande rilievo per la comprensione del passo aristotelico (Arist. Metaph. 1001 b 7). Quanto segue è una libera rielaborazione ''· · 48. ll"rtone e Aristotele ... di 7.enone] il passo è segnalo da Colli sul ms. con una linea a margine.
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49. l'essere ... sostanza] aggiunta autografa sul margine del ms. 50. Cfr. Pasquinelli 424 sgg. c Untersteiner 182 sgg.
51. Cfr. Th. Gompcrz, in<< Wìen. Sitzsber." 1890, 21-22 c Hell. I, 297-98. 52. Cfr. DK I 498. 53. Cfr. Calogero 99 e nota l. 54. Si veda sotto, la lezione del 20 febbraio 1965.
55. Oppure ... grandi] aggiunta autografa sul ms. 56. Cfr. P. Albertelli, Gli FJeati. 1èstimonianze e frammenti, Bari 1938, 205.
57. Cfr. Gomperz, Hell. l, 298-99.
58. Si veda sopra, lezione del 18 febbraio 1965. 59. A questa lezione si riferisce probabilmente un appunto preparatorio autografo su un foglietto (ms. Alli) trovato dentro la copia del Pasquinelli di Colli (nella BC), che trascrivo: «Primo sillogismo medio ).lÉ'(EOoç Sillogismo in cesare seconda figura: a nessun essere appartiene la grandezza BeA->AeB a ogni aggiunzione appartiene grandezza BaC (interclipendenza eli spazio e tempo) a nessuna aggiunzione appartiene essere AeC e quindi CeA a nessun essere appartiene aggiunzione Secondo sillogismo celarent AeC CaD aggiunzione appartiene a ogni essere quindi AeD* essere appartiene a nessun essere ).lÉ'(EOoç opposto a 1tÀ:f]1'toç Metaph. 1020 a 9 "· * nel ms. AeC, che non dà senso. 60. Prima eli questa lezione c'è la seguente nota eli Berti sul ms.: «Giovedì 25, venerdì 26, sabato 27 febbraio 1965: vacanza"· All'inizio della lezione un'altra nota: <
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61. Per la ricostruzione del logos tratto da 29B1 e B2 DK riporto una nota di Berti scritta su un foglietto a parte, allegato alla fotocopia dei quaderni (ms. AV): se i molti esistono essi o non hanno grandezza o l'hanno
<
se non hanno grandezza, Zenone dimostra che sarebbero piccoli fino a non essere nulla
Passaggio al secondo corno d.ella dimostrazione per assurdo applicando il principio di trasposizione:
Secondo corno Conclusione assurda
Conclusione
se non hanno grandezza neppure esistono; perciò se esistono è necessario che abbiano grandezza se hanno grandezza, Zenone dimostra che sono grandi fino ad essere illimitati se i molti esistono essi saranno tanto piccoli quanto grandi: piccoli da non avere grandezza, grandi da essere illimitati perciò i molti non esistono>>.
Si veda poi RE [417]: «[12-14.3.69] Forse l'argomentazione del logos zenoniano dei frammenti 1-2 era questa: l) Se i molti sono, ciascuno dei molti è uno e identico (Diels 257, 3-4). 2) Questo uno è indivisibile (Metaph. 1001 b 7), perché se non lo fosse costituirebbe ancora molti e non sarebbe l'uno che è ciascuno dei molti (perduto). 3) Cindivisibile non ha grandezza (perduto). 4) Se non ha grandezza non sarà (Diels 255, 14) . .5) Dettaglio della dimostrazione (Diels 256, 10-16). 6) Ripete il 4). 7) Trasposizione e dimostrazione degli apeira e conclusione del logos (Diels 255, 15-256, 2) ». Si veda anche, più in generale, FE 191-94 e NF 91. 62. La traduzione di Untersteiner 121 è la seguente: << ... perciò anche il ragionamento di Zenone considera come un errore l'ipotesi che ammette la possibilità di percorrere posizioni infinite o toccare posizioni infinite una per una in un tempo finito >>.
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63. Cfr. Pasquinclli 260, che pone il passo nella stessa testimonianza (A24)e subito dopo quello tratto dallo Pseudo Aristotele, De lin. insec. 968 a 18-23. 64. Tutto il passo citato è sottolineato in Ross Phys. ad loc. (nella BC). Scritta autografa a margine vi è la formulazione della domanda implicita nel testo aristotelico: <<è possibile attraversare infinite parti del tempo?"· 65. Due scritte autografe a margine di questo passo in Ross Phys. ad loc. (nella BC): << Dedekind "• per cui si veda FE 228-30; e "non vale per Achille e per la formulazione che esclude l'inizio del movimento''· 66. Se ci fossero ... in potenza] segnato a margine con una linea autografa nel ms. 67. Prima di questa lezione, nota di Berti sul ms.: <>. 69. Cfr. Pasquinelli 261, che traduce tutto il passo (Arist. Phys. 239 b 20-26): <
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70. In Ross Phys. ad loc. (nella BC) ci sono le seguenti note autografe a margine: oùcria. -> « necessario-Év'teAlxem>>; tò f.Ìva.t -> «iméxpxrtV>>. Sull'argomento si veda anche RE [415]. 71. Aristotele dice ... lo proibirebbe] segnato da Colli con una linea a margine nel ms. 72. mentre cru~If3El311KOS, "accidente " ... viene sostituitol segnato da Colli con una linea a margine nel ms. 73. Cfr. apparato di Ross Phys. ad loc. 74. Cfr. DK I 253. 75. Cfr. Pasquinelli 261-62 e note relative. 76. Cfr. apparato di Ross Phys. ad loc. 77. Cfr. Pasquinelli 420 nota 41: «C argomento della freccia ci viene presentato in due versioni diverse. Una di esse (Temistio, 199, 4; Simplicio, 1015, 19) dice: l) ogni cosa è in quiete o in moto; 2) ciò che occupa uno spazio uguale a se stesso è in quiete; 3) ma la freccia mentre si muove occupa sempre uno spazio uguale a se stessa; 4) quindi la freccia in moto è ferma. «L'altra (Aristotele, Phys. 239 b 30 e 239 b 5; Sirnplicio, 1011, 19; Filopono, 816, 30) dice invece: l) ogni cosa è in quiete o in moto; 2) ogni cosa che occupa uno spazio uguale a se stessa è in quiete; 3) la freccia in moto è sempre nell'istante; 4) ma ciò che è nell'istante occupa uno spazio uguale a se stesso; 5) quindi la freccia in moto è ferma. ,, La differenza consiste nella presenza del fattore tempo nella seconda dimostrazione. Ora, analogamente all'argomentazione riportata in 29A23, crediamo che, come già ritenevamo nella "dicotomia", il ragionamento di Zenone prescindesse totalmente dal tempo e si basasse unicamente sulla rappresentazione dello spazio. Il tempo è stato introdotto secondo noi da Aristotele per la confutazione dell "'errore" di Zenone e quindi solo la prima argomentazione che abbiamo svolto è da considerarsi autentica... "· 78. Difronte ... del tempo] segnato da Colli con una linea amargine nel ms. 79. Per quel che ne sappiamo ... contraddittori] segnato da Colli con una linea a margine nel ms. 80. consiste nel fatto ... comune] segnato da Colli con una linea a margine nel ms.
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81. Z-enone non dice ... il presente] segnato da Colli con una linea a margine nel ms. 82. Guardiamo ... l'immobilità] segnato da Colli con una linea a margine nel ms. 83. Il testo completo di Simplicio (in Arist. Phys. 1016, 9 sgg.; Pasquinelli 263-67) è: <
AAAA D
BBBB->
E
<-CCCC «Di queste grandezze immobili definisce "prima" quella verso il punto iniziale dello s!L1.dio, cioè D, "ultima" quella verso E; poi prende altre quattro masse o cubi B, uguali in grandezza c numero a quelle immobili, che cominciano dal punto iniziale dello stadio e terminano alla metà dei quattro A e che si muovono in direzione della fine dello stadio, cioè E. Per questo chiama "primo" quello che è a metà degli A, dato che precede gli altri nel moto verso E. Per questa ragione ha supposto pari le masse, perché abbiano una metà, che è necessaria, come vedremo, e per questo pone il primo B a metà delle masse immobili. Suppone poi altre masse uguali in grandezza e numero ai B e naturalmente anche agli A, e sono i C, che si
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muovono in senso contrario ai B. I B si muovono dalla metà dello stadio, che è anche la metà degli A, verso la fine dello stadio, E; i C invece si muovono dalla fine dello stadio, E, verso il principio dello stadio, D, ed è chiaro che il primo dei quattro C è quello rivolto verso D, che è la meta del movimento dei C. Il primo Be il primo C occupano due posizioni contigue. Supposta dunque questa posizione iniziale, se restando gli A immobili, i B si muovono dalla metà degli A e dello stadio verso la fine dello stadio E, e i C dalla fine dello stadio verso il principio (e non certo "dalla fine dei B", una lezione che Alessandro sembra aver trovato in certi manoscritti e che fu costretto ad accettare, ragion per cui quello che in precedenza chiamava "primo B" lo chiama ora "l'ultimo"), ne consegue che il primo B e il primo C, muovendosi l'un contro l'altro con la stessa velocità, giungono nello stesso momento al termine del proprio moto o alla fine della serie l'uno dell'altro. Infatti occupando inizialmente il primo C una posizione contigua al primo B, muovendosi l'uno contro l'altro con uguale velocità e sorpassanclosi reciprocamente, il primo B arriverà all'ultimo C e il primo C all'ultimo B. E questo vuol significare la frase "ne consegue che muovendosi i R e i C gli uni lungo gli altri il primo B e il primo C arrivano nello stesso tempo al termine (della serie l'uno dell'altro)"; il movimento dell'uno verso l'altro fa sì che arrivino alla fine della serie l'uno dell'altro. Ne consegue anche - elice - che C, naturalmente il primo, sarà passato lungo tutti gli A, mentre B solo lungo la metà degli A. Ed è chiaro il fatto che il B che comincia dalla metà degli A sia passato lungo due A, o lungo la metà degli A, a seconda eli quante sono le masse pari, mentre C è passato lungo un numero doppio di B: il primo B infatti cominciava dalla metà degli A. E mentre B si sposta lungo i due ultimi A immobili, il primo C, muovendo incontro ai B, passa lungo i quattro B. Infatti i due movimenti delle file che si spostano l'una contro l'altra compiono un percorso doppio di quello che compie R lungo gli A immobili. E questo è chiaro. Ma come ha fatto C a passal-e lungo tutti gli A? Non si spostava infatti lungo questi, ma lungo i B, e non partiva dall'inizio degli A, ma dall'inizio dci B, che era a metà degli A. La ragione deve essere che i B sono uguali agli A. Quindi C nel tempo che si è mosso lungo i B sarebbe passato anche lungo gli A, che sono uguali ai R. E l'errore nel ragionamento consiste nell'aver supposto assolutamente che ciò che si muove lungo grandezze uguali si muova in ugualtempo, senza pensare che eli queste grandezze uguali
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alcune si muovono in senso opposto, altre sono immobili. Avendo supposto tuttavia che i C passino in ugual tempo lungo i B e lungo gli A, poiché nello stesso tempo in cui il primo B passa lungo due A, C passa lungo quattro B e quattro A, ne deduce che B, sebbene si muova con velocità pari a C, nello stesso tempo percorre la metà della distanza, il che è contro le premesse e contro l'evidenza. Infatti due corpi che si muovono con la stessa velocità percorrono lo stesso spazio nello stesso tempo, purché siano nelle stesse condizioni, cosicché si muovano ambedue lungo corpi immobili, o ambedue lungo corpi in moto, e non gli uni lungo corpi immobili come i B e gli altri lungo corpi che si muovono incontro a loro come i C. Inoltre anche il tempo in cui B passa lungo i due A è la metà del tempo che C impiega a passare i quattro B, dato che gli A sono uguali ai B e B e C hanno la stessa velocità. Ma il tempo in cui B si muove lungo due A e in cui C si muove lungo quattro B sembrava (nella premessa) uguale e lo stesso. Ne conseguirà dunque che anche la stessa grandezza sarà il doppio e la metà, se nello stesso tempo, di due corpi che si muovono con la stessa velocità, B passerà lungo due A, C invece lungo quattro B, essendo uguali i B e gli A. E lo stesso tempo sarà insieme il doppio e la metà, se il tempo in cui B passa lungo i due A è la metà di quello impiegato da C a spostarsi lungo i quattro B e insieme lo stesso. La frase "ciascuno dei due impiega lo stesso tempo a passare lungo ogni massa" chiarisce che anche B e C che si muovono con la stessa velocità impiegano un ugual tempo a passare davanti a ciascuna massa lungo la quale si muovono, e cioè ciascun Be ciascun A. Se è uguale, è chiaro che il tempo in cui ciascun C sorpassa i quattro B è doppio, ed è invece metà quello impiegato da Ba sorpassare i due A, o meglio che quello impiegato da C a sorpassare i quattro A è il doppio del tempo in cui B, che si muove con velocità pari alla sua, sorpassa i due A. Si è detto infatti che mentre C sorpassa i B contemporaneamente sorpassa anche gli A». 84. Si veda anche Simplicio (in Arist. Phys. 1019, 32; 29A28 DK): «Tutto questo ragionamento è molto elementare, come dice Eudemo, perché il paralogismo su cui si basa è evidente ... Infatti i corpi che si muovono in senso contrario con pari velocità si allontanano l'uno dall'altro di un tratto doppio nello stesso tempo in cui un mobile che si sposta lungo un corpo immobile si allontana da esso della metà, pur avendo la stessa velocità di quelli, (Pasquinelli 267).
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85. Cfr. Pasquinelli 423 nota. 51:<< ... è st.:1.to notato (tra gli altri anche da DK I 254 nota) come nel ragionamento di Zenone sia invece da vedere una forma embrionale della "relatività" di Einstein, la scoperta cioè della relatività del tempo a seconda che l'osservatore si trovi su uno dei corpi in quiete o su uno dei corpi in moto. Effettivamente c'è nell'argomentazione di Zenone la scoperta dell'importanza del punto di riferimento, in quanto la tesi paradossale è raggiunta fondendo i risultati delle osservazioni fatte considerando ora A, ora B, ora C (e la cosa diventa più chiara se si traduca la figura zenoniana dello stadio in uno dei famosi esempi dei treni: siano i corpi A dei vagoni fermi; i corpi B dei vagoni in moto lungo A: un viaggiatore al primo finestrino del primo vagone B, che non abbia alcun punto di riferimento immobile, vedrà passare un vagone A, mentre nello stesso tempo vedrà passare riflessi in uno specchio fissato al finestrino e rivolto verso l'interno del suo vagoJ~e due vagoni del treno C che si muove in senso contrario a B. E chiaro che vedrà passare i due vagoni lungo un vagone A, e dal suo punto di vista non potrà che pensare che i vagoni C si muovono con velocità doppia eli A) ... "· 86. Cfr. Pasquinelli 415 nota 27. 87. Cfr. Calogero 93-95, e DK I 498. 88. Cfr. DK I 254, e H. Dicls in "Berl. Sitzsber., 1884, 344, 357 sg. 89. Cfr. Pasquinelli A23. (Epiph. adv. Haer. III 11; Diels Dox. 590): «E Zenone argomenta in questo modo: ciò che si muove, si muove o nel luogo in cui è o in quello in cui non è. Quindi niente si muove». (Sext. Emp. Pyrrh. Hyp. III 71, che però lo attribuisce a Diodoro Crono): «Se qualcosa si muove, si muove o nel luogo in cui è o in quello in cui non è. Ma non si muoverà nel luogo in cui è, perché se è in esso vi rimane. Ma non si muoverà neppure nel luogo in cui non è: nel luogo in cui non è, infatti, una cosa non può né agire né patire. Quindi niente si muove"· 90. Cfr. Calogero 93-95, e in« Gnomon » 34, 1962, 331. 91. Cfr. RE [ 4141: « 11.3.69 Vìsione attuale su Zenone. l) Ha scritto un solo libro giovanile, puntato contro la molteplicità (ma incidentalmente criticava anche l'unità) in fimzione di Poittl~:m. 2) In seguito solo discussioni, da cui derivano dialoghi posteriori (Alcidamante o altri), tra cui i quattro argomenti
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contro il moto. Non essendoci suoi scritti Aristotele deve attingere da questi dialoghi. Però l'originale non era rivolto contro il moto o lo spazio o altro, ma insexito nell'argomento: tutto è possibile c impossibile». ·
92. Cfr. sopra, lezione del 30 gennaio 1965. 93. Cfr. Calogero 3-5 e 110. 94. Inizia il dattiloscritto Ali. 95. Per l'interpretazione di Parmenide qui accennata, si veda PHK2 184-85, in cui c'è una prima intuizione:<< Parmenide ridà vita alla sua gelida forma. Duplice è la vita in questo equilibrio di due mondi. Intimamente slancio a traboccare ... bramosia amorosa di essenze ... inviolabilità di un 'intangibile trascendenza ... dove le categorie umane scompaiono ... limite supremo dell'essere ... il dato primordiale ... e d'altro canto espressivamente potenza dominatrice ... forma che lotta incessantemente con armi rappresentative ... Ed ecco che non è allora neppur più rappresentazione, non essendovi nessuno a contemplarla. Tutto ripiomba ncll'insondabile abisso noumenico; con un sorriso maligno, ben sicuro di non essere inteso, Parmcnide sussurra che anche l'dvm è un "nome", come tutte le cose "che i mortali hanno stabilito, persuasi che fossero vere"». Si veda anche RE [235], per la concezione categoriale dell'essere, e l376] clell8 agosto 1969: « ... più vicini alla verità sono Parmenicle, in cui l'essere, con la sua forma sferica (la palla- mpaipa- eli Dioniso -l'uovo degli Orfici), è la forma che esprime qualcosa fuori dell'espressione e della rappresentazione - cioè un'espressione immediata , non realtà assoluta perché questa non ha ovo!la, ma non ancora espressione derivata, fìwri dalle condizioni del divenire e del logos ... Cosicché non solo Parmenide non è mai stato capito (nel senso che l'essere è solo la legge del fenomeno, con un 'allusione al noumeno) ... "· 96. Su questa particolare interpretazione dell'" aiuto, a Parmenide da parte di Zenone, già adombrata in PParm 33-35, e che divenne in seguito una tesi centrale di Colli, si veda il corso su Parmenicle, lezione del 22 aprile 1967, RE [156] e [200]: <<7.1 0.65 ... Pannenide ha rotto il caleidoscopio del pensiero umano e ne ha estratto le pietruzze e i vetri colorati. Li ha chiamati "ciò che è" e con questo nome ha voluto arrestare ieraticamente tutti i moti. L'astratto è fermo, ma carico eli energia
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compressa, è un vincolo che tiene unite tutte le cose, è il dominio del grande legislatore della natura ... Ma per raggiungere l'astrazione si devono collegare i pensieri in un tessuto che non ha fine, e che alla fine irretisce colui stesso che l'ha filato ... Zenone segue questi fili, senza stanchezza, li annoda e li taglia, sa di avere in mano lo stmmento del dominio, ma si accorge del suo trascolorare, del suo farsi duro e tagliente, ostile e terribile, infme distruttore e devastatore, che nello sviluppare in estensione quel sorriso fermo dell'intuizione pannenidea diventa un ghigno di sopraffazione che annienta le illusioni della plastica armonia dell'uomo ... Una volta scatenata la ragione tutto era possibile, qualsiasi tesi è sostenibile, questa è la ragione del divieto e Zenone trasgredendolo, in realtà tende a imporlo a farlo rispettare. Zenone, per difendere il maestro, le distmgge tutte proprio perché il maestro non ha nessuna costruzione razionale>>; ma soprattutto FE 190-92: << Parmenide ha percorso le strade della negazione, ma vuole escluderne gli uomini, con parola misurata e imperiosa. Eppure il giovane discepolo, Zenone di Elea, disobbedisce, rompe il divieto. Quello che appare come trasgressione dev'essere tuttavia interpretato come accordo in profondità; che il suo slancio tendesse soprattutto nella direzione e in sostegno del maestro, si può dire con certezza, anche se in un senso più sottile di quanto non ci faccia apparire Platone, che per primo parlò di un suo "aiuto" a Parmenide. Difatti qual è il comportamento di Zenone? ... Poiché ciò che la dialettica annienta non è solo la fiducia nella ragione di essere costruttiva e di poter incidere in modo creativo nella compagine dell'espressione, ma altresì, retrospettivamente, la realtà stessa delle espressioni primarie, cioè dell'esperienza sensibile, che viene svuotata di ogni valore indipendente e mostrata come pura apparenza. Comunque, distrutta completamente la rappresentazione, rimane, "inviolabile", l'immediato: questo è l'aiuto di Zenone"· Il fatto che in FE venga messa in evidenza la disobbedienza di Zenone nei rispetti della via del non essere (e non piuttosto l'assonanza di Zenone con Pannenide nel considerare l'<< essere, un nome) vuoi dire in fondo la stessa cosa: la via del non essere, come quella dell'essere, è categoriale, e come tale- e non in senso metafisica- viene sviluppata da Zenone. Si veda anche NF 90-91: '' ... Il "soccorso" di Zenone non riguardava quindi la difesa del monismo, che del resto non era una tesi centrale di Parmenide ... Anziché abbandonare il cammino distruttivo del non essere, cioè dell'argomentazione
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dialettica, Zenone lo segue sino alle sue estreme conseguenze ... In questo modo la dialettica cessò di essere una tecnica agonistica per diventare una teoria generale del logos ... Zenone dunque ha disobbedito al maestro, ha trasgredito il suo divieto di percorrere la strada del "non è": eppure la sua elaborazione teoretica, considerata secondo una prospettiva più profonda, è ugualmente un "soccorso" per la visione di Parmenide ''· 97. Cfr. il corso su Parmenide, lezione del 22 aprile 1967. 98. A questa lezione si riferisce probabilmente un appunto autografo sul verso del foglietto ritrovato all'interno della copia del Pasquinelli della BC, di cui alla nota 59: «Nelle due aporie A22-23 abbiamo una dimostrazione per assurdo allo stato puro. I.:assurdità sta nelle stesse conseguenze. Negli altri argomenti autentici l'assurdo è ottenuto attraverso il principio di contraddizione (più rigoroso); ne risulta dimostrata la tesi contraddittoria. In conclusione qualsiasi tesi è insostenibile. I.:argomentazione completa non è testimoniata, ma si deduce facilmente dalla confutazione sia di d rcoì..ì..&. [se i molti sono] sia di ~::i Ev [se è l'uno]». 99. Cfr. il corso su Parmenide, lezione del 22 aprile 1967. 100. Si veda ad esempio An. post. I 13, 78 a 15; AO 309. 101. Cfr. RE [82]: «6.7.57 ... La scienza moderna ... prende lo slancio da alcuni concetti equivoci ed approssimativi (fondamenti del calcolo infinitesimale). Di fronte ad alcune "aporie" fondamentali (divisibililà: Zenone) decide col tipico atteggiamento dell'uomo pratico, che taglia corto, badando a concludere qualcosa. Mancanza di rigore nei fondamenti», Si veda anche il corso su Parmenide, lezione del 26 novembre 1966 e FE 223-25.
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INDICI
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I numeri in corsivo si riferiscono alle note.
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SIGLE E ABBREVIAZIONI
AO
Aristotele, Organon, introduzione, traduzione e note di G. Colli, Torino 1955 (Bari 1970).
BC
Biblioteca di G. Colli.
Berl. Sitzsber.
« Sitzungsberichte der Dcutschen Ak.ademie der Wissenschaften zu Berlin ''·
Calogero
G. Calogero, Studi sull'Eleatismo, Roma 1932.
DK
Die Fragmente der Vorsokratiker, von H.
Diels, hrsg. von W. Krantz, 3 voll., Berlin 1934-1937. DN
G. Colli, Dopo Nietzsr:he, Milano 1974.
EAC
Enciclopedia di autori classici, diretta da G. Colli, Torino 1958-1965.
FE
G. Colli, Filosofia dell'espressione, Milano 1969.
NF
G. Colli, h1 nascita della filosofia, Milano 1975.
Pasquinelli
I Presor:ratici I, introduzione, traduzione
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e note di A. Pasquinelli, Torino 1958 (1976). PEAC
G. Colli, Per una enciclopedia di autori classici, Milano 1983.
PHK2
G. Colli, La natura ama nascondersi- Physis kryptesthai philei, Milano 1988 ( 1• ediz. Milano 1948).
PParm
G. Colli, n « Pannenide" platonico. Lezioni di storia della filosofia antica 194 9-5 O, Pisa s.d. ma 1950.
RE
G. Colli, La ragione errabonda. Quaderni postumi, a cura di E. Colli, Milano 1983.
Ross. Phys.
Aristotelis Physica, ree. W.D. Ross, Oxonii 1956 (1936).
SG
G. Colli, La sapienza greca, 3 voli., Milano 1977-1980.
Untersteiner
Zenone. Testimonianze e frammenti, introduzione, traduzione e note di M. Untersteiner, Firenze 1963.
Wìen. Sitzsber.
« Sitzungsberichte der Kais. Koen. Akademie der Wissenschaft in Wìen "·
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INDICE DEI NOMI E DELLE FONTI
Achille, 102, 161 Albertelli, P., 93, 159 Alcidamante, 126, 134, 141, 166 Alessameno (di Stira o di Teo ), 59 Alessandro di Afrodisia, 61-62, 65, 67-68, 72-77, 127-28, 136, 144, 154, 164 - in Arist. Metaph., 44, 13, 73 Anassagora, 54, 94 Antifonte, 36 Antistene di Rodi, 25, 31-32 Apollodoro, 24-25, 33-34, 37-38, 156 Aristogitone, 25 Aristotele, 22-23, 25-28, 39, 41, 43-45, 17, 52, 57-66, 68-83, 8586, 90, 92, 94-96, 98-100, 102104, 106-108, 110-15, 117-20, 123-35, 139-46, 148, 150, 15355, 157, 161-62, 167 - an. Post., 78 a 15, 169 - de lnt., 16 b 24, 158 - Metaph., 1001 a 29, 70, 73, 75, 78; 1001 b 6-7, 157; 1001 b 7, 77, 78, 81, 86, 142-43, 158, 160; 1020 a 8, 94; 1020 a 9, 159 - Phys., 187 a l, 60, 65, 66, 106;
209 a 23, 129; 210 b 22, 129; 233 a 21, 100, 102, 107-108; 239 b 5, 162; 239 b 5-9, 113-14; 239 b 7, 118; 239 b 9, 99; 239 b 14-20, 110; 239 b 20-26, 161; 239 b 26-29, 111; 239 b 30, 113, 115, 119, 162; 239 b 33, 121; 250 a 19, 132; 263 a 4, 111; 263 a 4-11, 106; 263 a 1218, 107; 263 a 18-22, 108; 263 a 23-25, 109; 263 a 25-28, 109; 263 b 3-9, 110, 112 - Rhet., 1372 b 3, 39 - Soph. el., 170 b 19, 57; 183 b 15-184 b 8, 154 - Top., 134 a 3, 154; 148 a 37, 154; 160 b 7, 100; 161 a 24, 154; 169 b 2, 154; 171 a 17, 154; 175 a40, 154; 183 b 2, 154 [ Aristotelej - De lin. insec., 968 a 18-23, 105, 161 Ateneo - XI, 505, 153 Banfi, A., 154 Becker, 0., 89 Bobbio, N., 154
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Callia, 35 Calliade, 35 Calogero, G., 72, 90, 130, 139 Clemente Alessandrino, 30-32 - Strom., IV, 57, 30 Crizia, 59
Gomperz, Th., 89, 94, 159 Gorgia, 23, 28, 36, 51-55, 68, 126, 134 Heath, T.L., 157 Hegel, G.W.F., 26
Demetrio di Magnesia, 25, 31 Demon;to, 34, 64, 69, 76, 79-80, 105, 138 Diels, H., 87, 89, 93, l 06, 111, 113-15, 126, 130, 134-35, 13941, 146, 160 Dirnilo, 30 Diodoro Crono, 139, 166 Diodoro Siculo, 29, 31 - x. 18, 2, 29 Diogene Laerzio, 23-26, 28-29, 31, 33-34, 37-38, 55, 59, 127, 138-39, 148 - III, 48, 59; IX, 23, 38; IX, 25, 153; IX, 25-27, 24; IX, 72, 138 Diomedonte, 25, 31 Dioniso, 167 Einstein, A., 126, 166 Empedocle, 25, 32, 54, 153, 155 Epifanio, 138-39 - adv. Ham:, III, 11, 166 Eraclide, 25 Eraclito, 34, 41, 51-52, 156, 157 - Bl DK = SG 14[A9], 41, 156; B93DK=SG14[A1],52, 157 Errnippo, 25, 31 Euclide, 64-65, 69, 81, 157 Eudemo di Rodi, 62, 67-69, 72, 76, 125, 128-30, 143-44, 157, 163, 165 - Phys., fr. 7, 62, 68, 128; fr. 42, 129 Eudosso di Cnido, 65 Eusebio, 34, 38 - Chron., 81, 1-3, 34 Filopono, 116-17, 129, 131 - in Arist. Phys., 510, 2, 131; 816, 30, 162 Filostrato, 31
Isocr·ate, 54, 56-57
- Hel., 3, 55, 56 Isoloco, 35 .Jacoby, F., 33, 155 Jaeger, W., 71, 158 K.-'lnl, 1., 22-23, 26, 96, 120, 140, 153
I.eibniz, G.W., 23, 43, 156 Leucippo, 79-80 Melisso, 23-24 Nearco, 25, 29-31 Newton, I., 23 Palamede, 24, 26 Parmcnidc, 21-24, 26, 30, 32, 34, 36-40, 43-11, 49-53, 55, 61-63, {)7-68, 70-78,81,101,128,14143, 146-47, 153, 155, 167-69 - Al DK, 38; BI DK, 51; B8 DK, 51, 147; B8, 5-6 DK, 157; B8, 15-18 DK, 156; B8, 16 DK, 43; B8, 38-41 DK, 146 Pasquinelli, A., 40, 51, 68, 72, 8889, 93, 103, 106-107, 114-15, 117, 120, 122-26, 128, 138, 143, 161 Pe,·icle, 35-è~6, 54 Pitagora, 34 Pitodoro, 35-37, 51 Platone, 21-24, 26-27, 34-35, 3739, 42, 44-48, 50-56, 59-60, 6263, 67-71' 76, 84, 86, 88, l 05, 118, 128, 137, 112, 155-56, .168 - Parm., 127 a, 153; 127 a-b, 34, 36; 127 d, 46; 127 d-128 e, 40; 128 a, 45; 128 a-e, 48, 50
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- Phaedr., 261 d, 55, 154 - Symp., 187 a, 157 [Platone] - Alcib. I, 119 a, 35, 54 Plotino, 23 Plutarco, 30-32, 36 - adv. Colot., 32, 1126 d, 30 - Pericl., 4, 5, 36, 54 Proclo, 45-47 - in Plat. Parm., 694, 23, 135, 156 Protagora, 36, 133-34, 140-41 Pyres, 24
Ross, WD., 114-15, 123 Russell, B., 140 Satiro, 25, 31 Schopenhauer, A., 120 Sencca, 128 - f<.'jJ., 88, 44, 128 Senocrate di Calcedone, 61, 6365,69 Senofane, 34, 138 Sesto Empirico, 138-39 - Pyrrh. Hyp., III, 71, 166 Simplicio, 39, 62-65, 67-69, 73, 75-77, 83, 85, 87, 89, 93-94, 9798, 100, 115-17, 122, 124-31, 133-42, 141-46 - in Arist. Phys., 97, 13, 66; 99, 718,66; 115,11,73; 115, 12,75; 138, 3, fil; 139, 5, 83; 140, 27, 83, 135; 140,34,83,85;562,36, 130; 563, 17, 129; 816, 30, ] 16; 1011, 19, 116, 162; 1013, 4, 100; 1015, 19, 115, 162; 1016, 9 sgg., 125, 163; l 019, 32, 165; 1108, 18, 133 Socrate, 23, 28, 34-35, 37-38, ·10, 45, 49-52, 56. 146, 148, 155, 156, 157
Suda, 30-32, 34 « Zenon >>, 30, 34
-
Teeteto, 65 Teleutagora, 24-25, 34 Temistio, 117 - in Arist. Phys., 199, 4, 117, 162 Teofrasto, 24, 73-77, 153, 158 - Phys. opin., fr. 7, 75 Timone, 24-25 Tolomeo l, 64 Untersteiner, M., 40, 51, 62, 65, 83,88, 103,106,111,113,124, 130, 139, 160 Zcllcr, E., 114-15, 117 Zenone - DK, Al, 24, 33, 153; A2, 30, 34; A3, 34; A4, 35-36, 54, 148; A5, 39, 153; A6, 29; A7, 30; A8, 30; A9, 31; Ali, 34, 36, 40, 153; A12, 40; A13, 55, 154; Al4, 57, 59-60, 62, 65-66, 68, 70, 72, 77; Al5, 45-46, 135; A16, 62, 128, 143; A21, 66, 77, 85-86, 128, 142-43; A22, 60-63, 65-66, 69, 72, l 04-1 06, 15 7, 169; A23, 162, 169; A24, 129, 131; A25, 99, 102, 108, 119, 135, 139, 144; A26, 102, 110, 119; A27, 113, 118-19; A28, 121 o 165; A29, 132-33, 140; B1, 83, 8587, 89, 91, 93-94, 98, 137-38, 112, 144, 148-49, 159-60; B2, 83, 86-87, 89, 93-94, 96-97, 13738, 142, 144, 148-49, 160; B3, 83,87, 135, 138;B4, 134,139 Pasquinelli, A22, 139; A23, 138; A24, 161 Untersteincr, Al2, 46, 48, .éiO; A13a,56;B5, 130,139,148
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