Rachel Lindsay
Una Ragazza Tranquilla Man of Ice © 1980 Prima Edizione Collezione Harmony n° 474 del 15/12/1987
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Rachel Lindsay
Una Ragazza Tranquilla Man of Ice © 1980 Prima Edizione Collezione Harmony n° 474 del 15/12/1987
1 Abigail West guardò l'assegno da mille sterline che le tremava fra le dita e si chiese che cosa avrebbe potuto fare con quell'inaspettata vincita. Il buon senso le diceva di depositarla al sicuro in banca in previsione di tempi meno fortunati, ma quel pizzico di avventurosa spensieratezza che aveva ereditato dalla nonna di cui portava il nome le suggeriva una soluzione molto più piacevole e suggestiva. Avrebbe speso quelle mille sterline fino all'ultimo scellino. E non in qualcosa di pratico e utile come un nuovo guardaroba, di cui aveva disperatamente bisogno, ma in un viaggio, in una gloriosa, stravagante vacanza nel paese che da sempre era al centro dei suoi sogni: l'India. L'India dei re moghul, delle nevi eterne dell'Himalaya e della giungla tropicale, l'India dei grandi mistici che affascinavano il suo giovane animo, l'India della pittura raffinata e della musica sublime che rievocavano la pace e la grandezza di una civiltà millenaria. Dopo aver piegato l'assegno, Abby lo mise nel taschino della borsetta e, dal profondo del cuore, elevò una preghiera di ringraziamento al computer che aveva scelto il suo nome fra quelli dei vincitori del concorso a premi indetto da una famosa rivista femminile. «Impiegare tutti questi soldi in un viaggio? Ma sei pazza?» protestò l'amica Millicent quando seppe del progetto. «Mettine almeno una metà in banca... con quel che resta puoi divertirti a sufficienza, mi pare!» «Non abbastanza per visitare l'India. Il viaggio più economico che ho trovato costa novecentocinquanta sterline. Me ne rimangono cinquanta da investire in abiti.» «Be', almeno così avrai qualcosa di cui ricordarti» borbottò Milly Thomas con una smorfia poco convinta. «Le vacanze sono belle fin che durano...» «Non questa» replicò Abby con convinzione. «Tornerò con ricordi che Rachel Lindsay
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mi basteranno per una vita!» «Ricordi]» esclamò Milly, sarcastica. «Ecco di cosa ti nutri! Se non ti svegli e cominci a vivere nel presente finirai come una vecchia zitella inacidita. Ma se proprio vuoi usare la vincita per un viaggio, perché non vai alle Bahamas o in Costa Azzurra?» «Perché sarebbe come restare a casa. Oh, Milly, non capisci quel che provo? È da quando ero bambina che desidero vedere l'India.» L'amica mise il broncio. «Faresti meglio ad andare in America... ancora non riesco a capire per quale motivo hai lasciato che tua madre e le tue sorelle si trasferissero in California senza di te.» «Perché non avevo voglia di emigrare, tutto qui. A ogni modo, la loro partenza è una delle cose migliori che mi sia mai capitata.» «Dici così solo perché...» «È la verità» insistette Abby, interrompendola. «Non puoi capire cosa significhi essere il brutto anatroccolo in una famiglia di cigni. Le gemelle hanno ereditato la bellezza di mia madre.» «Sbaglio o è la prima volta che ti sento ammetterlo?» «È un fatto di cui mi sono resa conto solo di recente. Inconsciamente, ero invidiosa della loro bellezza e stavo malissimo per quel sentimento. Forse, se fossero state egoiste e arroganti non avrei avuto tanti problemi, ma mia madre è un angelo e le gemelle pure... e così i miei sensi di colpa non facevano che aumentare. Credo che, se avessero saputo quel che provavo, sarebbero inorridite. Loro non possono fare a meno di essere semplicemente meravigliose, come io non posso fare a meno di essere insignificante.» «Tu non sei insignificante» disse Milly con il tono stanco di chi ripete una cosa per la centesima volta.' «Sei minuta e delicata, ma non hai nulla che dei vestiti nuovi e un po' di trucco non possano rimediare. Ed è per questo che dovresti spendere i tuoi soldi, Abby, non in un folle viaggio in India!» «Folle o no, io ci vado!» «Perché non scrivi a tua madre e senti che cosa ti dice?» «Non ho bisogno di scriverle per saperlo. Direbbe esattamente quello che stai dicendo tu.» Il piccolo viso triangolare di Abby divenne insolitamente serio. «Mamma è sempre stata una grande fautrice del risparmio, probabilmente perché papà era tutto l'opposto e, alla sua morte, si è trovata piena di debiti, con la casa ipotecata e tre figlie da crescere. Rachel Lindsay
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Non poteva lasciarci sole per andare a lavorare e così ha dato in affitto tre stanze e si è consumata le dita a forza di lavare e cucinare.» «Però alla fine la fortuna si è girata dalla sua parte. Pensa alla facilità con cui le tue sorelle hanno vinto quel concorso di bellezza.» Abby annuì. «Sono state meravigliose. Con i primi soldi hanno rilevato l'ipoteca della casa, sollevando la mamma da un mucchio di problemi.» «Quando ci sono i soldi, non ci sono più problemi» commentò filosoficamente l'amica. «E, più ci penso, più mi convinco che saresti dovuta andare con loro in America. Avresti potuto trovare successo e ricchezza per conto tuo.» Abby scoppiò a ridere. «Chi è che sogna adesso? No, Milly, sto molto meglio qui, da sola. Non sai il sollievo di non essere continuamente paragonata alle favolose gemelle West e di non vedere i tuoi ragazzi che le incontrano e si dimenticano subito della tua esistenza.» «Quali ragazzi?» chiese Milly con franchezza. «Ogni volta che qualcuno ti ha invitata a uscire hai sempre rifiutato.» «Solo perché non mi piacevano.» «Come fai a dirlo se non hai nemmeno provato a conoscerli? O sei una di quelle che aspettano che arrivi il Principe Azzurro a strapparle dalla solitudine?» «Come sei riuscita a scoprirlo?» ribatté Abby, ridacchiando. «Be', in India non lo troverai di sicuro.» «Forse non lo troverò mai. È per questo che voglio spendere i soldi per divertirmi.» «Se non altro hai deciso di usarli per te e non per una delle tue solite opere di carità.» «Adesso mi fai sentire in colpa!» La protesta venne accompagnata da un'espressione scherzosa, ma Abby aveva parlato quasi sul serio. «La signora Perkins ha urgente bisogno di una sedia a rotelle nuova e...» «Non dire un'altra parola! Viviamo in un paese in cui, grazie a Dio, c'è un'ottima assistenza sociale. La signora Perkins potrà avere la sua sedia a rotelle attraverso le solite vie. No, Abby, se devi proprio sperperare la vincita, almeno goditi il tuo viaggio!» Tre giorni dopo Abby sperperò la vincita, firmando un assegno di novecentocinquanta sterline in favore di Gallway and King, l'agenzia turistica specializzata in viaggi in Oriente. «È una decisione di cui non si pentirà» le disse l'impiegato quando le Rachel Lindsay
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porse una copia del contratto. «Tre anni fa sono andato nello stesso tour, ed è un'esperienza che non ho ancora dimenticato.» Abby lasciò l'ufficio con l'impressione di fluttuare a venti centimetri da terra. Mancavano sei settimane al gran giorno della partenza, e sapeva che avrebbe contato ogni singola ora. Mentre si dirigeva verso l'aeroporto di Heathrow a bordo del bus dell'agenzia, Abby si pizzicò un paio di volte per essere certa di non sognare. Con lei viaggiavano altre otto persone di mezza età dall'aria benestante, le ultime che si sarebbe immaginata di trovare in un viaggio nell'India misteriosa. Ora che il momento tanto atteso era venuto, Abby sentì una sottile inquietudine che le si insinuava nel cuore. Mancava poco a Natale e invece di trascorrerlo come al solito con gli amici, in famiglia, si sarebbe trovata in mezzo a degli stranieri a migliaia di chilometri da casa. Al posto del tradizionale tacchino ripieno, un piatto di riso al curry spaventosamente speziato! Quel pensiero le strappò un sorriso e due fossette si formarono sul suo viso. L'eccitazione prese il sopravvento sull'inquietudine, dando luce ai suoi grandi occhi castani. Gli occhi erano il tratto di sé che Abby più amava: lunghi, espressivi, leggermente a mandorla, le davano un'aria esotica che contrastava con il resto del suo fisico, tipicamente britannico. Un metro e sessanta di pelle e ossa, così l'aveva descritta una volta sua madre e aveva ragione. Forse adesso, col passare degli anni, la maturità aveva aggiunto qualche chilo nei punti strategici, ammorbidendole la figura, ma a confronto con le sorelle, Abby sapeva di essere sempre una specie di mostriciattolo. Abbassò lo sguardo sulle mani delicate e accarezzò macchinalmente la copertina rilegata di un volume dei Veda, il libro sacro degli Indù, che il suo principale, il signor Rogerson, le aveva donato in previsione del viaggio. Impossibilitata a frequentare l'università a causa delle condizioni economiche della famiglia... sua madre stava ancora faticando dieci ore al giorno per badare alle gemelle quattordicenni... Abby, sia pure con notevole rimpianto, aveva abbandonato l'idea di proseguire gli studi e si era data da fare per trovarsi un lavoro. Il signor Rogerson le era stato presentato da una sua lontana cugina, la signorina Williams, una simpatica Rachel Lindsay
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vecchietta che abitava di fronte ad Abby. «È un buon posto, Abby» le aveva detto la signorina Williams. «Mio cugino è proprietario di una libreria d'antiquariato a cui tiene più che a un figlio. Finora si è sempre rifiutato di prendersi un aiuto, ma ultimamente il giro di affari è cresciuto e il negozio è piombato in un caos spaventoso. Ha bisogno di un assistente.» «E cosa le fa pensare che mi assumerebbe?» aveva chiesto lei, quasi incredula di fronte a quell'inaspettato colpo di fortuna. «Sei gentile, educata e ami i libri.» I complimenti della signorina Williams erano tanto rari quanto gratificanti. «Inoltre sei intelligente e puoi imparare in fretta. Va' a trovarlo, Abby. Se non concludete, avrai perso solo un'ora del tuo tempo.» Una settimana più tardi Abby era entrata nella libreria, e nel giro di sei mesi aveva raggiunto un grado di dimestichezza tale dà permetterle di rispondere personalmente alle lettere che provenivano da ogni parte del mondo. Il signor Rogerson si era detto molto soddisfatto e le aveva quasi raddoppiato lo stipendio iniziale, accordandole una fiducia che, col passare del tempo, era diventata praticamente incondizionata. «Ah, se solo le gemelle fossero intelligenti come te!» aveva sospirato sua madre, messa al corrente degli ultimi, positivi sviluppi del suo lavoro. «Sono così belle che non hanno bisogno di essere anche intelligenti» aveva ribattuto lei, senza sapere che di lì a pochi mesi, con la vittoria nel concorso di bellezza, le sue parole avrebbero acquistato un senso profetico. Le gemelle si erano iscritte al concorso quasi per gioco, ignare di essere alla vigilia del primo passo di una carriera che, in brevissimo tempo, le avrebbe portate alla ricchezza e al successo. L'improvviso afflusso di denaro nelle casse della famiglia aveva consentito alla signora West di tirare un po' il fiato e dato modo ad Abby di risparmiare una parte dello stipendio per prendere in affitto il piccolo appartamento dove si era trasferita dopo la partenza dei suoi per la California. Tuttavia, la sua naturale propensione a scovare persone anziane bisognose di aiuto aveva sempre tenuto basso il livello del conto in banca, fatto che Milly deplorava profondamente. «Dopo che sarai tornata dall'India mi metterò a lavorare seriamente su di te» aveva dichiarato pochi giorni prima della partenza di Abby, in uno dei suoi non rari tentativi di farla ragionare. «Non puoi continuare a star china su vecchi libri ammuffiti! Finirai per ridurti come il signor Rogerson! Rachel Lindsay
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Dovresti trovarti un impiego in una grande impresa e incontrare più gente della tua età.» «Più uomini, vuoi dire» aveva ribattuto Abby in un tono sarcastico che era stato addolcito da un'immediata rassicurazione sul suo futuro. Proprio quella mattina il signor Rogerson, con gran dispiacere, le aveva annunciato che nel giro di qualche mese sarebbe stato costretto a chiudere l'attività. Cominciava a sentirsi vecchio... a settantasei anni ne aveva tutti i diritti!... e aveva voglia di trascorrere l'ultima parte della sua vita in perfetta tranquillità a studiare i suoi adorati libri. «Ma lei non deve preoccuparsi, signorina West» aveva aggiunto con la consueta gentilezza. «La libreria verrà rilevata da Markhams, e il proprietario mi ha assicurato che sarebbe felicissimo di assumerla.» «Non vorrai accettare, spero?» Milly era scattata sulla sedia, interrompendola. «Adesso hai l'occasione di sganciarti da quell'impiccio e di fare qualcosa di veramente eccitante.» «Lo so. Forse hai ragione, ma non ho intenzione di pensarci prima del mio ritorno dall'India. Non voglio rovinarmi la vacanza in inutili ansietà.» Mentre il bus filava a velocità sostenuta sull'autostrada in direzione di Heathrow, Abby si chiese se l'inatteso ritiro del signor Rogerson non fosse un altro segno del destino che le indicava di seguire il resto della famiglia negli Stati Uniti. Era una domanda importante, che condizionava il suo stesso futuro, e, per evitare di torturarsi inutilmente, esaminò l'itinerario del viaggio, rinnovando il piacere che le dava pronunciare quei nomi dal suono affascinante: Agra, Benares, Jaipur... Era così assorta nelle sue fantasticherie, che si accorse che erano arrivati all'aeroporto solo quando il bus si fermò per far scendere i passeggeri nella zona delle partenze. Davanti al bancone del check-in c'era una gran folla, e lei si mise pazientemente in coda alla fila, osservando gli occhi luminosi dei bambini indiani che si stringevano accanto alle loro madri. Alla fine delle operazioni, dopo aver visto il suo grande borsone scivolare traballando sul nastro trasportatore, Abby si staccò dal banco, borbottando una scusa mentre andava a sbattere contro qualcosa di molto duro. Si voltò e vide che era il braccio di un uomo dall'aspetto elegante. La prima cosa che notò fu la sua altezza, almeno un metro e ottantacinque, e il colore dorato degli occhi. Sembravano due pezzi di ambra e scintillavano Rachel Lindsay
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con incredibile intensità. L'uomo aveva un'espressione rigida, quasi offesa, che si addolcì solo quando decise di schiudere le labbra in un rapido sorriso. «Mi spiace, è colpa mia» disse lei in un tono allegro che, stranamente, ottenne l'effetto di raggelarlo. Lo sconosciuto assunse nuovamente la maschera fredda di prima e, senza più degnarla di un'occhiata, si mise a parlare con la signora che aveva a fianco. Madre e figlio, pensò subito Abby, o forse nonna e nipote. La donna sembrava troppo anziana per essere sua madre. Erano sicuramente parenti, perché nei lineamenti del viso e nel portamento altero avevano una somiglianza impressionante. Ma se nella donna quei tratti angolosi esprimevano una forza di carattere, nell'uomo la stessa forza era diventata durezza e arroganza. Quando si rese conto di averli fissati anche troppo, Abby lasciò la fila e si avviò verso la zona dell'Immigrazione, ma dopo pochi passi si sentì toccare bruscamente su una spalla. Si girò di scatto, allarmata, e vide lo stesso tipo di prima. In mano aveva l'opuscolo con la carta dell'India che lei stava consultando quando era scesa dal bus. «Le è caduto questo» disse senza sorridere e, prima che Abby potesse ringraziarlo, se ne andò. Che razza di maleducato!', borbottò mentalmente lei, aggrottando la fronte, ma poi dimenticò subito il piccolo incidente perché la scritta luminosa dell'imbarco iniziò a lampeggiare sul grande tabellone elettronico. Quando mise piede sulla moquette azzurra dell'aereo. .. che era così grande da sembrare quasi una nave... Abby ebbe l'impressione di essere già in India. Le hostess indiane, che incarnavano alla perfezione l'ideale di quieta bellezza del loro popolo, indossavano dei magnifici sari di seta turchese coi bordi gialli e accoglievano i passeggeri con dei sorrisi deliziosi, accompagnandoli verso i loro posti. Dieci minuti più tardi, mentre il jet iniziava a rullare sulla pista, lei si rizzò sul sedile con un'espressione così raggiante che la donna che si era seduta all'ultimo momento nel posto accanto al suo disse: «Si goda la bellezza del decollo, mia cara, perché le assicuro che l'efficienza qui lascia alquanto a desiderare». Abby si voltò e riconobbe la signora che era assieme all'uomo contro cui aveva urtato al bancone del check-in. Si chiese immediatamente dove Rachel Lindsay
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fosse finito il suo compagno e perché non viaggiassero assieme, ma non ebbe il tempo di formulare la domanda. «Lei viaggia con Gallway and King, vero? Me ne ricordo perché si è scontrata con mio nipote giù nell'atrio. Lui era venuto ad accompagnarmi.» «Al check-in c'era una tale confusione che credo di essermi scontrata praticamente con tutti» borbottò Abby con un sorriso. «Al giorno d'oggi è così in tutti gli aeroporti» disse la donna con una smorfia. «Una volta, quando si volava, si veniva trattati con rispetto, adesso invece ci spingono da una parte all'altra come del bestiame!» «Ho paura di non aver volato abbastanza per giudicare» mormorò Abby, tirandosi via dal viso una ciocca dei lunghi capelli biondi in un gesto inconsciamente aggraziato che le era abituale. «Be', io sì, e le assicuro che non esagero. Ci trattano come animali. Se ci sono dei ritardi, nessuno si degna di spiegarne il motivo; in caso di sciopero, uno rimane bloccato magari a metà percorso e, quando finalmente arriva a destinazione, è costretto ad attendere per ore il bagaglio.» «Però vedo che lei continua a volare» osservò Abby, mentre le fossette sulle guance si allargavano per dar spazio a un ampio sorriso. «Solo per la velocità, mia cara, non certo per il piacere» ribatté l'anziana signora, rilassandosi contro lo schienale della poltrona. «Vuole sedere vicino al finestrino?» chiese Abby, rendendosi conto che l'età della donna richiedeva un minimo di cortesia. «No, grazie. Non mi piace guardare fuori dall'aereo.» «È nervosa?» Abby le lanciò un'occhiata piena di simpatia. «Pietrificata» disse la sua compagna in un tono così fermo che Abby non le credette. La nonna volante... così l'aveva immediatamente battezzata in attesa di conoscerne il nome... aveva l'aspetto asciutto e sicuro di chi è abituato a viaggiare. Indossava un elegante e comodo completo di tweed, dal quale spuntava una camicetta di seta bianca. Aveva i capelli candidi e il viso ricoperto da un reticolo di rughe sottili, ma la linea decisa del naso e del mento e l'acutezza degli occhi dovevano essere le stesse della sua gioventù. Solo le mani, segnate dalle vene ingrossate e dall'artrite, tradivano il fatto che doveva avere una settantina d'anni. Il sibilo improvviso dei motori spinti al massimo distolse Abby dalle sue riflessioni. L'asfalto della pista iniziò a scorrere sempre più velocemente sotto di loro, poi di colpo sparì, e l'imponente aereo si sollevò rapido da Rachel Lindsay
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terra, puntando dritto verso le nuvole. Abby si sistemò sul sedile ed emise un lungo sospiro di gioia. Il viaggio era cominciato.
2 Anche se un viaggiatore stagionato avrebbe considerato i quattordicimila chilometri del viaggio fino a Delhi una noiosa formalità, per Abby furono una continua fonte di nuove e piacevoli esperienze. L'aereo fece scalo a Parigi, Ginevra e Beirut, scaricando circa un quindici per cento dei passeggeri. Durante le due prime soste Abby rimase a bordo, ma a Beirut scese, troppo eccitata per imitare la sua anziana compagna che sonnecchiava ormai da ore. Vagabondò per una mezz'ora nell'aeroporto, osservando le scintillanti vetrine del duty-free shop, poi, dopo essersi concessa una tazza di caffè e una manciata di ottimi datteri, tornò sull'aereo per scoprire che la sua nuova amica si era svegliata. «Scommetto che non ha chiuso occhio nemmeno per un minuto?» disse la donna, ritirando le gambe per farla arrivare al suo posto. «Sono troppo felice per dormire» ammise Abby con un sorriso smagliante. «A Delhi si sentirà stanca.» Due occhi neri scrutarono il suo viso. «Be', forse no. Lei è giovane e resistente. Solo i vecchi hanno bisogno di risparmiare le energie.» «Questo è il suo primo viaggio in India?» volle sapere Abby, incuriosita. «Ci sono stata molti anni fa, prima dell'Indipendenza, quindi in un certo senso è proprio il primo viaggio.» «Perché? La gente sarà cambiata, ma i monumenti e le cose che si visitano normalmente saranno sempre gli stessi.» «Dipende dai motivi per cui si viaggia» fu l'asciutta risposta. «A me interessa soprattutto la gente; a lei, evidentemente, le cose.» Abby annuì. «Fin da bambina sono stata affascinata dalla cultura indiana... dai dipinti, dall'architettura, dalla musica.» «Allora immagino che seguirà l'intero itinerario?» «Sì. E lei?» «Lo spero, ma dipenderà da come mi sentirò. Giles, mio nipote, era molto contrario a questo viaggio. Pensa che sono troppo anziana per Rachel Lindsay
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andarmene in giro per il mondo, e se uno prende l'età come criterio, forse ha ragione.» «Se uno si sente giovane dentro, l'età non conta.» «Ah, se è per questo io non riesco mai a star ferma, e ho più energia di tanta gente con la metà dei miei anni.» Abby non aveva difficoltà a crederle. La sua compagna di viaggio non era certo una vecchietta intimorita, ma una donna di spirito. Strano che suo nipote non se ne rendesse conto. «Lei abita a Londra?» domandò, guardando con simpatia il suo viso rugoso. «No, nel Hampshire. Lei è di Londra, invece?» «Sì, ho un appartamento nella zona di Victoria.» Sottoposta a un abile interrogatorio, Abby raccontò praticamente tutto di sé; il lavoro con il signor Rogerson, la sua prossima fine, e il colpo di fortuna del premio della lotteria che le aveva consentito di partire. «Una mia amica voleva che spendessi quei soldi per valorizzarmi» concluse con una smorfia. «Ma, dopo aver vissuto per vent'anni con Diana e Belinda, ho imparato ad accettare il mio aspetto insignificante.» «Se lei si considera insignificante, le sue sorelle devono essere straordinariamente attraenti. Ha degli occhi molto espressivi e un viso che...» La donna s'interruppe a metà frase con un gesto gentile. «È inutile dilungarsi. La sicurezza nasce dal di dentro, non da quello che possono dire gli altri. Mi dica, bambina, quanti anni ha?» Abby sorrise. «Non sono più una bambina. Ho ventiquattro anni, ma ne dimostro molti di meno perché sono piccola e magra.» «Minuta e slanciata» fu l'istantanea replica dell'altra. «Non le sembra una descrizione migliore?» «Sì, ma troppo gratificante.» «Perché? Ho espresso solo quel che ho visto. Ma adesso credo sia il momento di presentarsi come si deve. Sono stanca di tutte queste formalità.» «Il mio nome è Abigail West, ma tutti mi chiamano Abby.» «Il mio, Matilda Bateman, e sono felicissima di viaggiare con te. È un peccato che non ci siamo presentate prima, all'aeroporto. Sono sicura che Giles si sarebbe tranquillizzato se avesse saputo che avevo trovato una compagna così simpatica.» Ricordando lo sguardo ostile del nipote, Abby dubitò di Rachel Lindsay
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quell'affermazione, ma si guardò bene dal dirlo. «Sarà interessante osservare l'India attraverso i tuoi occhi innocenti» aggiunse la signora Bateman. «È passato tanto di quel tempo dal mio primo viaggio che ormai l'ho quasi dimenticato.» «Io credo che questo non riuscirò a dimenticarlo mai» disse Abby con una smorfia. «Anche perché sarà il primo e l'ultimo. Il prossimo anno mi toccherà Bournemouth!» «Un tale pessimismo in una ragazza della tua età!» esclamò Matilda, rimproverandola con un'occhiataccia. «Se vuoi ottenere qualcosa nella vita, devi sempre credere che potrai averla. Ci sono tre cose che non sono mai riuscita ad accettare: disperazione, depressione e destino. Le prime due bisogna combatterle con forza, tenerle lontane a tutti i costi, e la terza, il destino, ce lo costruiamo da soli, giorno dopo giorno.» Era chiaro che la signora Bateman aveva avuto delle esperienze che l'avevano portata a quella filosofia di vita, ma Abby non condivise la sua opinione. Il destino era una forza in cui aveva sempre creduto. Con il tatto che le era abituale, cambiò argomento, e la conversazione procedette pigramente fin quando la sua nuova amica si riaddormentò. L'aereo filava tranquillo nel buio stellato della notte e Abby si perse in un dormiveglia dal quale la strappò il tocco gentile di una hostess che la pregò di allacciarsi la cintura di sicurezza. Stavano per atterrare. Fu solo dopo le operazioni di sbarco e il superamento della dogana, che Abby vide per la prima volta l'intero gruppo della Gallway and King. Erano venti in tutto e, sebbene lei non fosse l'unica a viaggiare sola, era sicuramente la più giovane. Un giovane indiano, fiero del suo bel cuscinetto di grasso attorno alla vita, si presentò come incaricato dell'agenzia e li guidò verso il piccolo bus che li avrebbe portati nel centro della capitale. «Il signor Shiran, la vostra guida, vi incontrerà nel tardo pomeriggio» annunciò, «ma per il momento io sarò lieto di soddisfare ogni vostra richiesta. Oggi, come sapete, avete la giornata completamente libera.» «Io voglio andare a fare un giro per negozi» disse una delle donne. «Non ho fatto tutta questa strada per sprecare un giorno intero restandomene con le mani in mano in albergo.» Abby lasciò che le voci le scivolassero sopra la testa e si concentrò sul paesaggio circostante. Dopo aver abbandonato il modernissimo edificio dell'aeroporto, il bus procedeva fra una distesa di terreni piatti e ben Rachel Lindsay
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coltivati in mezzo ai quali spiccavano le vesti bianche dei contadini intenti al loro lavoro. Qua e là, all'ombra di alberi giganteschi, sorgevano delle casupole di sassi e fango con i tetti di frasche. Attorno, sugli ampi spazi di terra battuta, che durante i monsoni dovevano trasformarsi in un pantano, si aggirava un'incredibile quantità di gente e di animali. Donne, anziani e bambini si muovevano accanto a capre, galline, bufali e alle immancabili vacche sacre il cui latte, in molti casi, costituiva l'unica fonte di sostentamento per la popolazione. Così, pochi minuti dopo aver messo piede in India, Abby si trovò di fronte alle enormi contraddizioni di quell'affascinante paese. Da un lato, una tecnologia sorprendentemente avanzata e le vestigia di una fra le più alte civiltà che l'umanità abbia mai avuto, e dall'altro la crudeltà di un sottosviluppo che costringeva gran parte dei suoi quasi ottocento milioni di abitanti a vivere in condizioni di spaventosa povertà. Alla fine il bus si fermò davanti alle porte di cristallo del Oberoi Hotel e tre quarti dei passeggeri, compresa la signora Bateman, scesero. Quelli che rimasero, proseguirono assieme ad Abby fino al meno raffinato Naranda Hotel, e fu solo allora che lei capì che gran parte del suo gruppo aveva scelto la soluzione più cara del viaggio. Abby era troppo felice per lasciarsi turbare da quelle inezie e la sua camera, anche se piuttosto spartana, aveva il pregio di essere pulita e collegata a un bagno fornito di abbondante acqua calda. La sala da pranzo era buia, con le pareti chiazzate di umidità e i tavoli privi di tovaglie, ma i cibi che le servirono avevano tutta la fresca fragranza della cucina indiana: montone al curry con contorno di riso e diverse salse speziate che si armonizzavano alla perfezione fra loro. Dopo aver finito di mangiare, Abby disfece rapidamente la valigia e, poco propensa a rimanere in albergo, decise di uscire per una piccola esplorazione solitaria. Non si poteva volare per quattordicimila chilometri e poi infilarsi subito a letto! La prima cosa che la colpì non appena uscì in strada, oltre alla temperatura piacevolmente calda, fu la quasi totale assenza di traffico. Se le macchine erano poche e di foggia antiquata, il numero di biciclette e di scooter a tre ruote che fungevano da taxi era veramente impressionante. Gli autobus, ricoperti di specchietti e di decorazioni luccicanti, erano sgangherati, pieni di ammaccature e stracolmi di gente al punto da far sembrare vuota una scatola di sardine. Rachel Lindsay
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Al piano terra dei palazzi che costeggiavano la strada si apriva una serie interminabile di piccoli negozi, composti per lo più da due stanze che, in alcuni casi, servivano anche da abitazione per i commercianti che ora vi sedevano a gambe incrociate, circondati dalle loro merci. E che merci! Gioielli d'argento di squisita fattura con incastonate pietre semipreziose, oggetti di rame e di ottone, splendide sculture di profumatissimo legno di sandalo, dipinti su seta, spezie di tutti i generi e, dovunque, i ventagli coloratissimi dei sari disposti in armoniose gradazioni di colore. Decisa a non allontanarsi troppo dall'albergo, si fermò a esaminare da vicino le vetrine di alcune gioiellerie, ammirando la raffinata abilità degli artigiani e l'incredibile economicità dei prodotti in vendita. Si era ripromessa di non comprare nulla nei primi giorni, ma fu difficile resistere agli inviti dei venditori che continuavano a ribassare i già bassissimi prezzi degli oggetti su cui le capitava di posare gli occhi. Mentre era intenta a guardare, venne avvicinata da un gruppetto di quattro o cinque mendicanti. Erano bambini molto piccoli e giravano scalzi, seminudi e stracciati. Avevano in comune dei bellissimi occhi, grandi, scuri ed espressivi, colmi di una rassegnazione che la colpì nel profondo, e le braccia e le gambe scheletriche di chi non ha mai conosciuto la sicurezza di un pasto. Una ragazzina, che dimostrava sì e no cinque anni e aveva un visetto da angelo, tese la mano e, con orrore, Abby notò che le falangi delle sue dita erano rose dalla lebbra. D'istinto, cercò rapidamente nel borsellino, e distribuì fra loro gli spiccioli che le avevano dato quando aveva cambiato i soldi all'aeroporto. Fu come un segnale. In men che non si dica, Dio solo sa da dove, sbucarono altri mendicanti, alcuni ciechi, alcuni storpi, e calarono su di lei come avvoltoi con le mani protese e le voci imploranti. «Baksheesh! Paisa! Baksheesh!» Abby si guardò attorno e vide che erano almeno una quindicina. Fece per allontanarsi, ma quelli la strinsero in un cerchio, continuando a gridare e i più audaci iniziarono a toccarle i vestiti. «Vi ho dato tutto quel che avevo» disse lei, cercando di mantenere la calma. «Non ho più soldi spiccioli. Lasciatemi passare.» Cercò di aprirsi un varco fra di loro, dapprima gentilmente, poi, dopo l'insuccesso, con una foga che rasentava il panico. Quando vide la strada libera davanti, si mise a correre come una pazza, braccata da un coro di Rachel Lindsay
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grida furiose e dal tonfo dei passi di quelli che avevano deciso di inseguirla. Alla fine, stremata e con il cuore che le batteva all'impazzata nel petto, si infilò nell'atrio dell'albergo, e non avrebbe mai creduto che sarebbe stata così felice di vedere quelle pareti scrostate e il sorriso un po' untuoso del proprietario. All'uomo bastò un'occhiata oltre i cristalli della porta per rendersi conto di quel che era successo, e uscì subito dal banco della reception per venirle in soccorso. «È meglio non dare soldi ai mendicanti» disse con la sua cadenza cantilenante. «Altrimenti non la lasceranno mai in pace, e da uno ne verranno altri cento.» «Me ne sono accorta» rispose lei, ancora ansimante. «Ma è così difficile rifiutare. C'era una bambinetta piccolissima...» «Deve diventare più dura» fu la cruda, ma realistica replica dell'altro. «Sono anni che il nostro Governo parla di proibire ai mendicanti di chiedere l'elemosina, e, quando si decideranno a fare una legge a riguardo, non sarà mai troppo tardi.» Abby non era d'accordo. Invece di impedirgli di elemosinare, sarebbe stato meglio fare in modo che non avessero più bisogno di farlo. Ma quello era un problema di proporzioni così vaste che l'India, da sola, avrebbe potuto fare ben poco per risolverlo. Turbata, si avviò verso le scale per salire in camera a rinfrescarsi, ma dopo pochi istanti venne nuovamente raggiunta dal proprietario che agitava in mano un foglietto. «C'è appena stata una chiamata per lei» annunciò. «La signora Bateman la invita a cena all'Oberoi. Se desidera, farò venire un rickshaw davanti all'albergo. L'Oberoi è troppo lontano per andarci a piedi.» «I rickshaw sono cari?» domandò lei. L'uomo parve sorpreso. «Niente è caro per i turisti in India. Con mezza sterlina può raggiungere qualsiasi località a Delhi, ma è più saggio combinare il prezzo della corsa prima di salire.» Mezz'ora più tardi, appollaiata sullo stretto e duro sedile a forma di cesto con davanti un poveraccio che pedalava come un ossesso, Abby giunse alla conclusione che sarebbe stato meglio spendere un paio di rupie in più e prendere un taxi vero e proprio. A parte la scomodità di quel mezzo di trasporto, non le piaceva farsi trascinare in giro da un altro essere umano. Ma alla fine, quando arrivarono all'Oberoi, il guidatore parve deliziato Rachel Lindsay
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dal denaro che gli diede e, in un inglese stentato, si offrì di aspettarla per il viaggio di ritorno. «Sono venuta per cenare» ribatté lei, perplessa. «Probabilmente mi fermerò per diverse ore.» «Io aspetto. Se prendo un'altra corsa, poi torno. Tu non andare senza di me.» «No» rifiutò Abby, insospettita dalla sua insistenza. «Per tornare prenderò una macchina.» S'infilò nell'atrio prima che l'altro potesse protestare e lì, risplendente in un abito da sera nero molto elegante, trovò la signora Bateman che l'accolse con il più caloroso dei sorrisi. «Sono contenta che tu sia venuta, Abby. Non sapevo che saremmo scese in due alberghi differenti. Il tuo è confortevole?» «Sì, grazie. Oggi ci hanno servito un ottimo pranzo.» «Be', spero che non sarai troppo piena per goderti la cena. La cucina dell'Oberoi sembra la migliore della città.» «Ho paura di non essere mai sazia quando si tratta di mangiare» ammise Abby con una smorfia, e la signora Bateman scoppiò in una sonora risata, offrendole il braccio per guidarla nell'immenso salone in stile moghul dove per qualche minuto le due donne furono impegnate nella serissima impresa di scegliere le loro pietanze. Mentre cenavano, Matilda Bateman parlò dell'India, della sua letteratura e delle diverse tradizioni religiose che vi esistevano. Abby non avrebbe voluto andarsene mai, ma temeva di stancare l'amica e, quando notò i primi segni di affaticamento sul suo viso, spinse all'indietro la sedia. «Se non mi trovi troppo noiosa» disse con allegria la signora Bateman, accompagnandola attraverso l'atrio, «avrei molto piacere di stare con te durante il giro di domani. Sempre che non incontri qualcuno della tua età.» «Sarà molto difficile. Mi sembrano tutti molto vecchi» Abby si morse le labbra, vergognandosi di quella mancanza di tatto, ma Matilda rise. «Sono solo le persone di mezz'età che si offendono se le chiami vecchie. Dopo i settanta, diventa un complimento.» Batté affettuosamente la mano sulla schiena di Abby. «Quel che volevo dire, è che, se passerai il tuo tempo con me, dovrai dirmi senza esitazione quando preferisci restare sola o andare in giro con qualcun altro.» Dopo essersi fatta strappare quella promessa, Abby fece ritorno Rachel Lindsay
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all'albergo. La sua cameretta le parve deliziosamente intima e il letto caldo e accogliente. Faceva fatica a credere di essere veramente in India. Sorridendo, chiuse gli occhi e si addormentò come un sasso. Il mattino seguente si svegliò alle sette in punto. Il cielo era nuvoloso e l'aria piuttosto fresca, ma Abby non se ne rattristò. Quel giorno avevano in programma una gita e quello era il tempo ideale per girare la città senza soffocare di caldo. Il bus sarebbe venuto a prelevarli alle otto e mezzo, prima di passare dall'Oberoi per raccogliere il resto del gruppo. Viaggiare in prima classe comportava anche quel piccolo genere di vantaggi... Delhi era piena di luoghi interessanti per un turista, ma per visitarli tutti ci sarebbe voluta una settimana, e quindi fu normale che in un giro di poche ore si toccassero solo quelli più importanti. Fra tutti, Abby aspettava con particolare impazienza di vedere il Red Fort, uno splendido esempio di architettura moghul, di cui aveva letto pagine e pagine in diversi volumi che aveva consultato nella libreria del signor Rogerson. Ma, non appena lo vide, capì che nessun articolo, nessuna fotografia avrebbero potuto prepararla allo spettacolo fantastico di quelle mura merlate di pietra rossa del Rajastan, dalle quali il palazzo prendeva il nome, e alle perfette proporzioni di quel gigantesco edificio. Il grande arco dell'entrata era curvato alla maniera araba e testimoniava il potente influsso islamico che aveva influenzato, per diversi secoli, tutto il continente indiano. La loro guida era un giovane molto distinto, che parlava un ottimo inglese e snocciolava le notizie storiche con la monotonia di un grammofono che è stato usato troppe volte. Abby avrebbe preferito una visita meno affrettata. C'era moltissimo da vedere e solo la grande sala del trono avrebbe richiesto almeno un'ora di sosta. Lei rimase nel gruppo fin quando resistette, ma alla vista degli appartamenti reali, dei bagni e dell'harem decise che valeva la pena di restare indietro. Marmi deliziosi, sculture di ebano, bassorilievi raffinatissimi, intere pareti formate da un'unica, enorme lastra di pietra incredibilmente traforata... dovunque si posasse, lo sguardo coglieva bellezza e armonia di linee. Era meraviglioso... Abby si perse in ammirazione, cercando di immedesimarsi nell'atmosfera di quel luogo e di immaginare cosa doveva essere il palazzo nel massimo del suo splendore. Chiuse gli occhi e le parve quasi di vedere le vesti fruscianti e i magnifici gioielli delle concubine di Akbar, il grande Rachel Lindsay
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Raja dell'India medievale. All'improvviso udì un rumore di passi affrettati e si sentì chiamare. Riaprì gli occhi e vide la loro guida che le veniva incontro con la fronte aggrottata. «Per favore, rimanga nel gruppo» le disse in tono irritato. «Qui ci si perde con molta facilità.» «Ma mi piace osservare le cose con calma e consultare la guida turistica...» «Allora potrà tornare a visitarlo in un altro momento. Domani avete la giornata libera.» Lei annuì con aria rassegnata e lo seguì dove il resto del gruppo si era fermato ad aspettarla. «Ho intenzione di tornare più tardi con una guida personale» le disse la signora Bateman mentre si avviavano verso l'uscita. «Sarei felicissima se mi accompagnassi.» «Oh, mi piacerebbe!» sospirò Abby. «Ma solo se mi lascerai pagare la mia parte.» «Non dire sciocchezze, bambina mia. La spesa sarebbe sempre la stessa. Se non fosse per mio nipote, sarei scesa nel tuo albergo. Ma lui ha insistito perché viaggiassi in prima classe... a sentirlo, sembrerebbe che sono una vecchia paralitica!» Abby, prudentemente, non fece commenti, ma la sua curiosità crebbe. Nel comportamento della compagna c'erano alcune contraddizioni che solleticavano il suo naturale interesse. La signora Bateman stava all'Oberoi, eppure indossava vestiti passati di moda da almeno vent'anni. Forse un tempo era stata ricca, oppure era sempre stata povera e per sopravvivere contava sulla generosità dei parenti benestanti come il nipote. Entrambe le spiegazioni erano plausibili, ma d'istinto Abby tendeva a scartare la seconda; l'amica aveva un atteggiamento troppo fiero e indipendente per essere sempre vissuta di carità. «È proprio un peccato che Giles non sia voluto venire in questo viaggio» borbottò Matilda, interrompendo il corso dei suoi pensieri. «Quando glielo ho proposto, mi ha detto che ormai dell'India ha visto tutto quello che c'era da vedere.» «Non riesco a immaginarmelo in un gruppo come il nostro» ribatté Abby più con sincerità che con tatto. «Da quel poco che ricordo, non mi Rachel Lindsay
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pare il tipo da farsi schiavizzare da una guida.» «No, hai ragione!» La signora Bateman sorrise alla sola idea. «Ma Giles non è mai stato qui nelle vesti di un turista. Viaggia per lavoro.» «Lavoro?» «Sì. Credo, anzi, che oggi sia arrivato a Bombay. Era a Londra per qualche giorno per un colloquio con il Ministro dell'Energia. È un ingegnere nucleare che collabora con il Governo, e negli ultimi due anni si è occupato della nuova centrale che l'India sta costruendo negli stati del Nord.» Mentre la signora Bateman tesseva le lodi del nipote, Abby si dimostrò giustamente impressionata. Ormai, nella sua mente, non c'erano più dubbi: questo Giles aveva pagato il viaggio della vecchia zia, anche perché, come lei stessa le raccontò, era rimasto nella sua casa fin dall'età di tredici anni, quando aveva perso in un incidente stradale entrambi i genitori. «Io non volevo saperne di bambini» le confidò Matilda, osservando distrattamente il paesaggio che scorreva fuori dal finestrino del bus, «ma stare con Giles mi ha aperto un mondo completamente nuovo. Era un ragazzino adorabile.» Abby cercò di far coincidere l'immagine dell'uomo freddo e arrogante che aveva intravisto a Heathrow con quella di un ragazzino adorabile, ma fallì miseramente. «Certo che, fin da piccolo, dimostrava di avere un'intelligenza a dir poco sbalorditiva.» La signora Bateman era ancora immersa nel flusso dei ricordi. «Era anche furbo, imprevedibile, e gli piaceva molto prendere in giro la gente. Una volta, durante il primo anno di college, a Eton, cadde da un albero e si causò una lieve commozione cerebrale. Be', dopo essersi svegliato, finse di essersi dimenticato l'inglese e, per un'intera settimana, si fece beffe di tutti parlando solo in latino!» Abby la fissò con gli occhi sbarrati. L'interesse che Giles dagli occhi d'ambra le aveva ispirato durante il primo incontro si stava trasformando in sbalordimento. Forse era meglio che lui avesse deciso di non accompagnare la zia in quel viaggio. Che genere di conversazione avrebbe potuto divertire un uomo che, a quindici anni, parlava un latino tanto fluente da riuscire a ingannare per una settimana i suoi insegnanti? «Naturalmente mi fermerò da lui a Bombay» aggiunse Matilda Bateman. «Il nostro gruppo trascorrerà quattro giorni in città, ma io ho intenzione di restare almeno un mese. Forse anche di più, se ne sentissi il bisogno.» Rachel Lindsay
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«Bisogno?» «Di riposare» disse subito la signora Bateman, scoccandole una strana occhiata che diede un significato sibillino a quell'affermazione. «Suo nipote è sposato?» domandò Abby. «Solo con il suo lavoro. Spesso gli dico che un giorno o l'altro mi farà tenere a battesimo una nuova centrale nucleare!» Abby sorrise, scuotendo la testa. Poteva anche darsi che non sarebbe mai riuscita a ridere assieme al coltissimo Giles, ma ascoltando le pungenti battute di sua zia, scoprì che era molto facile ridere di lui!
3 Malgrado la sua disponibilità a parlare del nipote preferito, la signora Bateman raccontò poco o nulla riguardo a se stessa e al termine di quella giornata Abby si rese conto di sapere ben poco del passato dell'amica. Una sola cosa era chiara: adorava Giles e lui le voleva molto bene. D'altro canto, era difficile non voler bene a una donna come Matilda. Era intelligente, arguta e, a dispetto dei modi a volte un po' bruschi, gentile. Fece di tutto per rendere il più confortevole possibile la permanenza di Abby a Delhi, insistendo per averla a cena tutte le sere e portandola spesso in visite private ai luoghi che avevano frettolosamente toccato durante la mattina. Non permise mai ad Abby di pagare la sua parte di quota, e alla fine lei smise di protestare, rivolgendo un silenzioso ringraziamento alla generosità di Giles. Tre giorni dopo, quando raggiunsero, su di un bus con l'aria condizionata, il Clark-Shiraz ad Agra, i componenti del tour si erano già divisi in tanti piccoli gruppetti a seconda delle simpatie reciproche. «Non riesco a capire che cosa diavolo è venuta a fare in India la metà di questa gente» borbottò la signora Bateman durante il loro primo pomeriggio in città. «Per loro si tratta solo di un immenso mercato, in cui, di tanto in tanto, trovano dei meravigliosi palazzi...!» «Non mi sento di biasimarli se fanno molti acquisti» rispose Abby, cercando di difenderli. «Ci sono dei gioielli e dei broccati veramente interessanti.» «Non mi sembra di averti visto soccombere alla tentazione.» «Solo perché non saprei che farmene di quel genere di cose. Di solito conduco una vita molto semplice.» Rachel Lindsay
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«Una ragazza carina come te? Vergogna!» Abby scoppiò a ridere e si scostò dal viso una ciocca dei lunghi capelli biondi. «Per prima cosa non credo di essere carina. Intelligente sì, e anche allegra e spiritosa... ti permetto di usare quasi tutti gli aggettivi tranne quello.» «Allora non sei né intelligente, né tantomeno allegra» replicò Matilda in tono asciutto. «Altrimenti non parleresti così. Tu sei carina, piccola mia.» Puntò sul suo viso due occhi straordinariamente penetranti. «Ma forse non è il termine giusto... Dire che hai una bellezza elusiva sarebbe più esatto.» Abby era troppo divertita per sentirsi imbarazzata e, notandolo, la sua amica emise uno sbuffo di irritazione. «Che cos'è la bellezza per te?» chiese. «Avere il fisico di una maggiorata e i capelli platinati?» «No, certo che no» rispose Abby con un sorriso. «Ma una figura armoniosa mi sembra il minimo indispensabile.» «E che cosa c'è che non va nella tua?» «Sono troppo bassa. Nessuna ragazza di un metro e sessanta ha mai vinto un concorso di bellezza.» «Solo perché al giorno d'oggi hanno fissato dei canoni di bellezza che, francamente, io trovo alquanto mediocri» dichiarò la signora Bateman con convinzione. «Non è necessario essere alti per essere belli. Immagino che questa mancanza di sicurezza ti derivi da quelle egoiste delle tue sorelle, eh?» «Le gemelle non sono egoiste» disse subito Abby, iniziando a scaldarsi. «E io mi sento perfettamente sicura.» «Sì, ma a livello intellettivo. Da un punto di vista emozionale, sei ancora una bambina.» «Be', non vedo che colpa abbiano in questo le mie sorelle.» «Io la vedo» ribatté Matilda. «Avrebbero dovuto aiutarti.» «Ci hanno provato, ma in un modo che per me era sbagliato. Io non sono fatta per le unghie laccate, le ciglia finte e i vestiti sexy e, quando si sono accorte di come sembravo ridicola con quella roba addosso, hanno deciso di... be'...» «Di mollarti lì da sola?» «Dovevano pensare alla loro carriera» mormorò Abby sulla difensiva. La signora Bateman le lanciò un'occhiata scettica, ma non poté aggiungere altro perché vennero chiamate a prendere posto su uno dei taxi Rachel Lindsay
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che doveva portare il gruppo alla prima visita del Taj Mahal. «Domani torneremo con la luce del giorno» disse la loro guida, «ma come primo impatto, non c'è nulla di meglio che vedere il Taj sotto i raggi argentei della luna.» Le sue, furono parole profetiche. Quando Abby attraversò il grande portone di pietra e, in distanza, scorse le cupole bianche di quel monumento all'amore, seppe che non avrebbe mai visto nulla di più commovente e meraviglioso in vita sua. Una lieve foschia si alzava dal fiume che scorreva attorno all'edificio, e così il Taj Mahal dava l'impressione di essere sospeso in un mare senza tempo. Il cielo era buio, bluastro, e il disco latteo della luna scintillava come una perla sopra le guglie aguzze dei quattro minareti che sorgevano in corrispondenza degli angoli del palazzo. «Avviciniamoci» suggerì la guida, e iniziò a camminare lungo i bordi delle grandi vasche rettangolari che si spingevano fin nelle vicinanze del Taj, riflettendo da mille angolazioni diverse le linee purissime di un'architettura che non aveva eguali al mondo. All'ingresso della tomba sostarono per ammirare l'arco di trenta metri che saliva fin quasi alla base della grande cupola centrale, poi si spostarono su un lato e sedettero su una piattaforma di marmo da cui si godeva una visione generale dell'edificio. Guardando quelle colonne, quelle cupole, quegli intarsi, era difficile credere che l'uomo avesse, non costruito, ma semplicemente sognato una magnificenza simile e Abby s'inchinò mentalmente davanti al genio e alla potenza dell'imperatore Moghul che aveva concepito quel poema di marmo in memoria della moglie scomparsa. In presenza del Taj tutti i fatti che aveva letto persero di importanza. Io sono qui e adesso, sembrava proclamare l'edificio nel silenzio incantato delle sue volute, quello che è stato e quello che sarà non conta. Io non appartengo a nessun tempo e a nessun luogo. Io appartengo all'umanità! Scossa nel profondo da un'emozione a cui non si poteva dare un nome, lei abbassò gli occhi e si accorse che nel frattempo gli altri membri del gruppo si erano allontanati verso direzioni diverse. Solo la signora Bateman era rimasta al suo posto e, senza bisogno di parlare, Abby sentì che stava provando le stesse cose. Dalle sue labbra uscì un piccolo sospiro e, udendolo, Matilda le saettò un'occhiata penetrante. «Non piangere, Abby.» Rachel Lindsay
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«È troppo bello per piangere.» «Per costruire il Taj, l'imperatore ha trasformato le sue lacrime in marmo. Ci sono voluti vent'anni e ventimila vite umane, ma lui non riusciva a pensare ad altro.» Abby sospirò di nuovo. «Deve aver amato la moglie alla follia per donarle una meraviglia simile.» «Proprio il genere di cose che odio!» «Non ti piace il Taj?» Abby era esterrefatta. «No, no, non intendevo questo. Sarebbe un delitto. Ma edificare un tempio all'amore perduto è un terribile spreco di emozioni e di energie. Anche se fosse stato l'amore più grande del mondo, avrebbe dovuto accettare la morte e continuare a vivere. Bisogna guardare in avanti, non indietro.» La signora Bateman rabbrividì e si strinse il soprabito attorno al collo. «Immagino che mi consideri una vecchia inacidita, vero?» «No, per niente.» «Be', lo sono.» Matilda Bateman rabbrividì di nuovo e si alzò in piedi. «Fa freddo qui. Credo che prenderò un taxi e tornerò in albergo. Ma tu rimani pure» aggiunse, vedendo che Abby si stava alzando. «Ci vediamo domani mattina. Sarà un'altra lunga giornata piena di meraviglie.» Non fu una previsione esagerata. Per sette interminabili ore Agra li avvolse nella magia sempre nuova dei suoi suoni e dei suoi odori. Visitarono un pittoresco mercato... dove una delle donne del gruppo si fece svuotare la borsetta... un tempio, dedicato alla forma rigeneratrice della divinità, Shiva; e per la seconda volta il Taj Mahal che, sotto la vivida luce del sole, infondeva emozioni diverse, ma sempre esaltanti. Quando tornarono al Clark Shiraz, stanchi ma felici, appresero che dopo cena, nel giardino dell'albergo, si sarebbe esibita per loro una compagnia di danzatori. «Mi arrendo!» sospirò la signora Bateman ad Abby con una smorfia eloquente. «Sono esausta e credo proprio che mi farò portare la cena in camera.» Abby scrutò il volto dell'amica e si accorse che aveva le guance insolitamente arrossate. Forse era solo per via del sole, ma dopo cena, prima che iniziassero le danze, si recò velocemente da lei per vedere come stava. In una spessa camicia da notte di cotone con gli sbuffi ai polsi e al collo, la sua compagna di viaggio dimostrava la sua età più di quanto non facesse Rachel Lindsay
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durante il giorno. La sua voce era bassa e, nel bel mezzo del saluto, s'interruppe a causa di un violento accesso di tosse, che la lasciò senza fiato per qualche minuto. «Non pensi che sarebbe meglio farti vedere da un dottore?» chiese Abby dopo averle portato un bicchiere d'acqua. «Per cosa? Vado soggetta alle bronchiti e tutto si sistema con una buona notte di riposo. Sono stata stupida a sedermi sul marmo freddo l'altra sera al Taj Mahal.» «Non hai portato qualche medicina?» «Non ricordo, ma forse in bagno troverai una bottiglia di sciroppo per la tosse.» Abby entrò nel bagno, e rimase sconvolta dal numero dei medicinali che vide disposti attorno al lavandino. Se la signora Bateman aveva davvero bisogno di tutta quella roba, cominciava a capire che le preoccupazioni di suo nipote non erano poi completamente infondate. «Ho paura che domani dovrò restare in albergo» borbottò Matilda, dopo un altro brutto attacco. «Ma non importa... Fathepur-Sikri l'ho vista già durante la mia prima visita e sono sicura che non è cambiata.» «Da quel che ho letto le rovine sono ottimamente conservate.» «È una città morta, come Pompei. Quattrocento anni fa era la residenza principale di Akbar, ma dopo la sua morte i Moghul l'hanno abbandonata. Però vale la pena di visitarla.» «In India vale la pena di vedere tutto» dichiarò Abby con tale fervore da strappare un sorriso all'amica. «Ogni tanto mi dimentico quanto sia meraviglioso essere giovani.» «È altrettanto meraviglioso essere giovani nel cuore come te.» «Grazie, cara. Sei sempre molto gentile. Domani, quando rientrerete, passa a raccontarmi le tue impressioni.» Il mattino seguente Abby si preparò con quasi un'ora di anticipo sull'orario della partenza. Prima di salire sul bus voleva fare un salto nella camera della signora Bateman per sincerarsi delle sue condizioni. Entrò dopo aver bussato, e le bastò un'occhiata per capire che Matilda soffriva di qualcosa di più grave di una semplice infreddatura. Aveva il viso gonfio e gli occhi lucidi di febbre. Sembrava anche che avesse delle difficoltà a concentrarsi a lungo, perché, dopo aver raccomandato a Abby di non perdere il bus, si mise a borbottare frasi incoerenti. A quel punto Abby decise di far venire un medico. Rachel Lindsay
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L'impiegato della reception le disse che era fortunata, perché il dottor Murti stava proprio visitando una persona in albergo e quindi sarebbe stato disponibile fra poco meno di mezz'ora. «La sua guida la stava cercando» aggiunse. «Si sbrighi.» «Ho paura che dovranno partire senza di me» disse Abby, combattendo la delusione. «Non mi sento di lasciare sola la signora Bateman.» «Potremmo farla accudire da una cameriera.» La tentazione era forte, ma non tanto da spingerla a contravvenire al suo codice umanitario, e Abby rifiutò l'offerta. Il dottore arrivò pochi minuti dopo che il bus aveva lasciato l'albergo. Era un uomo di mezza età dall'aria distinta e indossava un elegante completo alla Nehru, con la giacca abbottonata fin sotto la gola. Sottopose la paziente, che era quasi priva di conoscenza, a una visita scrupolosa e, quando ripose lo stetoscopio, aveva un'espressione così seria che Abby temette il peggio. «È una brutta bronchite» disse alla fine. «Le prescriverò degli antibiotici, ma non mi aspetto dei miglioramenti prima di ventiquattro ore.» «Pensa che sia il caso di farla ricoverare in ospedale?» chiese Abby. «No, per il momento no. Ma mi riservo di decidere dopo la visita di stasera. Nel frattempo le farò avere le medicine.» Il dottor Murti puntò su di lei i grandi occhi scuri. «È una parente?» «No, un'amica. Ma sono pronta ad assisterla.» Annuendo soddisfatto, il medico se ne andò, e ad Abby non rimase che sedersi sulla poltrona con un libro fra le mani. Si sarebbe rifatta della mancata visita alla città, leggendone la storia. Il dottore tornò verso il tramonto e a quell'ora Abby aveva già capito che le condizioni della malata erano peggiorate. Respirava con difficoltà e di tanto in tanto borbottava frasi sconnesse su gente e posti che Abby non aveva mai visto. «Non si preoccupi» le assicurò il medico. «Domani mattina cominceremo a vedere i primi miglioramenti.» Lei avrebbe voluto essere altrettanto ottimista e, col passare del tempo, le sue paure crebbero anziché diminuire. La signora Bateman continuava a delirare. «Piantala di fare il prepotente, Giles! Non sono una bambina. Ho viaggiato due volte attorno al mondo prima ancora che tu nascessi, e non Rachel Lindsay
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ho intenzione di passare gli anni che mi rimangono confinata dentro un appartamento. Sarò anche vecchia, ma non sono ancora rimbecillita!» Abby sorrise. Delirio o no, Matilda ragionava sempre allo stesso modo! Chissà come si era arrabbiato suo nipote! Da quel poco che ricordava di lui, era pronta a scommettere che non gli piaceva farsi sgridare a quel modo. Si avvicinò al letto e si chinò sul viso sudato dell'amica. La fronte scottava, e adesso ogni respiro era accompagnato da una paurosa serie di sibili e rantoli. Per la prima volta, Abby iniziò a pensare che la guarigione non era poi un fatto scontato. E in questo caso come avrebbe reagito suo nipote sapendo che nessuno lo aveva avvertito? Tanto più che doveva essere a Bombay... Dopo un attimo di esitazione, perché era sempre difficile frugare negli effetti personali di un estraneo, prese la borsa della signora Bateman e l'aprì per vedere se c'era un'agenda o un quaderno con gli indirizzi. Fu fortunata, perché trovò quasi subito quel che cercava. Un'elegante agendina in pelle con diversi indirizzi, fra cui sottolineato da una riga rossa, spiccava quello di Giles Farrow a Bombay. Chiamò subito il centralino per inoltrare la telefonata, e passò il tempo ad aspettare passeggiando nervosamente per la stanza, un momento sicura di aver fatto la cosa più giusta, l'altro piena di dubbi e di perplessità. Il primo squillo dell'apparecchio mise fine a quell'altalena di sentimenti: il nipote della signora Bateman era in linea e la sua voce, filtrata dalla distanza, suonava ancora più fredda del solito. «Lei non mi conosce» iniziò Abby, leggermente confusa, «ma sto viaggiando nello stesso gruppo di sua zia. Io... ci... ci siamo scontrati al check-in a Heathrow e...» «Che cosa è successo a mia zia?» Giles Farrow la interruppe con voce tagliente, e lei, vergognandosi di essersi ingolfata in una spiegazione inutile, gli espose brevemente la situazione. «Il medico ha detto che non è nulla di grave, ma...» «Ma lei era tanto preoccupata che ha pensato di chiamarmi.» «Sì» disse Abby con decisione. «Se fossimo stati in Inghilterra non mi sarei nemmeno sognata di disturbarla, però...» «Prenderò il primo aereo. Ho paura che non riuscirò ad arrivare stanotte, ma domani mattina sarò sicuramente lì da voi.» Lei rimase sorpresa dalla rapidità con cui aveva deciso. «Non mi Rachel Lindsay
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aspettavo che sarebbe venuto, signor Farrow.» «E allora perché mi ha telefonato?» «Per metterla al corrente dei fatti. Ma se...» «La ringrazio per la sua gentilezza, ma la prego di lasciare che sia io a decidere.» Troncò la comunicazione con un brusco saluto e Abby abbassò lentamente la cornetta, indecisa fra il sollievo e l'irritazione. Santo cielo, ma chi si credeva di essere quel tipo! Però era contenta di averlo avvisato. Adesso la responsabilità della situazione non ricadeva più sulle sue spalle. Se alla signora Bateman fosse successo qualcosa durante la notte, nessuno avrebbe potuto biasimarla per non aver fatto del suo meglio. Si fece portare qualcosa da mangiare in camera, poi uscì sul terrazzo e lasciò vagare lo sguardo nella notte. Era stata una giornata infernale. Sedere per ore al capezzale di un malato non era certo un modo divertente di trascorrere una vacanza. Sbadigliò, stiracchiandosi per sgranchire le membra, e all'improvviso desiderò che Giles Farrow fosse già lì a darle il cambio. Che sollievo sarebbe stato scaricare su di lui tutte le responsabilità della malattia di sua zia! Si sedette vicino alla finestra e sospirò, passandosi le mani fra i capelli. La vista era stupenda, con la cupola bianca del Taj che faceva capolino sopra i tetti, ma nella sua mente non riusciva a smettere di pensare agli incredibili occhi ambrati che, per una frazione di secondo, aveva fissato all'aeroporto prima di partire. Le avevano dato un'impressione di calore che contrastava stranamente con la voce fredda e arrogante del loro proprietario.
4 Abby dormì sorprendentemente bene sulla poltrona a lato del letto della signora Bateman e si svegliò solo quando la luce iniziò a filtrare dalla finestra, annunciando un nuovo giorno. Il suo primo pensiero fu per la malata. Matilda era ancora assopita, ma respirava leggermente e aveva la fronte fresca. Abby si accigliò. Se avesse aspettato qualche ora prima di telefonare a Giles Farrow... adesso però non era il momento di perdersi in inutili elucubrazioni. Quel che era fatto non si poteva cambiare, e a quest'ora lui Rachel Lindsay
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doveva già essere molto vicino. Cercando di non fare rumore, si trasferì in bagno e si infilò sotto il getto della doccia, togliendosi di dosso gli ultimi residui di sonno. Quando tornò in camera, la signora Bateman era sveglia, e le lanciò un'occhiata stupita. «Buon Dio, Abby, che cosa fai qui?» «Sono rimasta con te tutta la notte.» «Con me? Senza andare a dormire in camera tua?» «Il dottore ha detto che non era prudente lasciarti sola. Ma ho dormito benissimo... la poltrona è molto comoda. E adesso possiamo pensare alla colazione. Vuoi qualcosa in particolare?» «Solo del tè al limone.» Matilda si passò una mano sul viso. «Non riesco a ricordare che cosa ho fatto ieri. So che a un certo punto sei venuta a trovarmi, ma dopo è tutto molto vago. Ho dato i numeri?» «Tutti quelli della tabellina pitagorica!» Abby sorrise, lieta di sentire che l'amica non aveva perso il gusto della battuta, poi, dopo aver preso fiato, annunciò l'imminente arrivo di Giles Farrow. Come c'era da aspettarsi, la signora Bateman non gradì la notizia. «Non avresti dovuto telefonargli. Giles è sempre molto occupato e odia essere disturbato.» «A me non è sembrato così dispiaciuto. Ha detto che era contento che l'avessi chiamato.» «Naturale... ci vogliamo molto bene. Ma non era il caso di fargli fare tutto questo viaggio per nulla.» «L'altra sera stavi molto male, avevi perso conoscenza e io ero preoccupata. Se fossimo stati a casa, con dei dottori inglesi, forse non...» «Non c'è niente che non va nei dottori indiani. Devi imparare a non essere tanto provinciale, mia cara. Sei troppo intelligente.» «Hai ragione.» Abby accettò di buon grado quella critica. «Comunque sono felice di essermi messa in contatto con tuo nipote.» «Ha detto a che ora sarebbe arrivato?» «In mattinata. Ma non ha saputo darmi un orario preciso.» Mezzogiorno venne e passò, ma di Giles Farrow non c'era traccia, e la signora Bateman si convinse che aveva preso un aereo a metà mattina. «Vedrai che arriverà nel pomeriggio» disse ad Abby con la voce rauca. «Non preoccuparti. Pensa invece alla tua vacanza. Oggi il gruppo parte per Jaipur, e non voglio assolutamente che tu perda il bus per causa mia.» Abby promise che non l'avrebbe perso, ma in cuor suo non era tanto Rachel Lindsay
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sicura. Dopo mangiato, Matilda aveva avuto un altro attacco di febbre e si era assopita, il viso pallido e sudaticcio. Non era ancora guarita e lei non aveva nessuna intenzione di lasciarla prima di essere sicura che suo nipote fosse arrivato ad Agra. Verso le tre e mezzo, uscì dalla camera e andò in cerca della loro guida, il signor Shiran. L'autobus per Jaipur sarebbe partito fra quaranta minuti, e lui disse che doveva decidere subito. O veniva con loro in Rajasthan, o le avrebbe prenotato un posto per raggiungerli a Udaipur, la prossima tappa del tour. Abby si guardò attorno con una smorfia di disappunto, sperando di veder arrivare un taxi con Giles Farrow, ma poi scelse l'unica soluzione che il suo innato senso della lealtà le permise di prendere. «Non posso lasciare la signorina Bateman» disse in tono fermo, osservando con tristezza gli altri componenti del gruppo che si radunavano nell'atrio dell'albergo. «Mi prenoti pure quel posto per Udaipur.» Il signor Shiran sbrigò rapidamente quell'incombenza e alle quattro e dieci, in perfetto orario, l'autobus partì con il suo carico di allegri turisti. Abby rimase a fissarlo fin quando sparì dietro una curva, poi tornò all'interno dell'albergo, pensando coraggiosamente che, dopotutto, Jaipur non era tanto interessante come dicevano... La signora Bateman dormiva ancora e nella stanza nemmeno l'aria condizionata riusciva a tener lontano il gran caldo della pianura indiana. In distanza, una radio trasmetteva un brano di musica classica; le note lunghe e vibranti del sitar agirono come un balsamo sui nervi aggrovigliati di Abby e a poco a poco la delusione lasciò il posto a una piacevole indifferenza. Che cosa vuoi che sia la visita di una città, in confronto all'assistenza a una persona malata? Confortata da quel pensiero, chiuse gli occhi e si rilassò contro lo schienale della poltrona. Fu solo la luce che le ferì all'improvviso le palpebre che la riportò bruscamente alla realtà. Giles Farrow era entrato nella camera: alto, snello e ridicolmente inglese con il suo portamento altero e arrogante. La signora Bateman, che evidentemente doveva essere sveglia da un pezzo, si mise a sedere sul letto e lo salutò con un misto di gioia e di vergogna. «Giles, caro, mi dispiace di averti fatto fare tutta questa strada per nulla. Sto molto meglio. Abby non avrebbe dovuto telefonarti.» Rachel Lindsay
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«Se ha telefonato, vuol dire che eri malata» borbottò lui, avvicinandosi al letto. Si chinò a baciarla con affetto, poi le sorrise. «Sono felice di sentire che stai meglio.» «Anche se sei venuto fin qui senza motivo? Oh, Giles, come mi dispiace!» «Ne è valsa la pena, se non altro per vedere che ti scusi due volte nel giro di un minuto! Non ricordo un'altra occasione simile!» Matilda scosse la testa, ma, prima che potesse replicare, venne colta da un parossismo di tosse che portò immediatamente suo nipote a fianco del letto. L'anziana signora si lasciò versare un bicchiere di succo di frutta, poi lanciò un'occhiata piena di affetto ad Abby. «E adesso, mia cara, anche tu puoi tranquillizzarti.» Si voltò verso il nipote. «Questa povera ragazza ha saltato l'escursione di ieri per starmi vicina.» Guardò nuovamente Abby. «Non perdere altro tempo: va' a prendere i bagagli e goditi il soggiorno a Jaipur. Prima però lasciami il tuo indirizzo di Londra. Ho in mente una cosa di cui vorrei parlarti.» Abby si alzò e le bastò un'occhiata alla sveglia sul comodino per rendersi conto che l'autobus per Jaipur doveva essere già a metà strada. Giles Farrow la studiava con un'espressione poco amichevole e lei si chiese che cosa avesse fatto per meritarsela. Che fosse arrabbiato per quel viaggio inutile? «Ho paura che il gruppo sia già partito, Matilda. Sono quasi le sette.» Sbalordimento e dispiacere si susseguirono sul volto stanco della sua amica. «Povera bambina, ma perché non me l'hai detto? Sapevi che Giles sarebbe venuto! Saresti dovuta partire!» «Il signor Farrow non era ancora arrivato» disse Abby senza guardarlo. «Poteva aver cambiato idea.» «Questo non è un motivo sufficiente per mandare all'aria tutta la visita di Jaipur.» «Se ti avessi lasciata qui da sola, non mi sarei sentita a posto con la coscienza» rispose Abby con una sincerità che non parve molto gradita a Giles. Gli occhi color ambra si chiusero in due fessure sospettose, come se quella spiegazione non l'avesse minimamente convinto. «È terribile!» esclamò Matilda Bateman in tono veemente. «Hai perso una parte importante del viaggio. Giles, dobbiamo pensare a qualcosa!» «Per il momento sono così stanco che non riesco a pensare a nulla» disse lui con voce inespressiva. «Il mio aereo era in ritardo e sono rimasto tre Rachel Lindsay
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ore ad aspettare a Bombay. Ho bisogno di un buon bagno caldo, di cambiarmi il vestito e di cenare.» «Ottima idea!» Sua zia annuì vigorosamente. «Allora sbrigati a sistemarti e poi porta questa brava ragazza a mangiare con te. Non voglio più vederla in camera mia!» Abby sentì su di sé la pressione dello sguardo ambrato. «Ci vediamo nel salone moghul fra un'ora» fu il gelido invito. Lei annuì, ma solo perché non voleva rattristare la signora Bateman con un rifiuto. Quella era la seconda volta che incontrava Giles Farrow e l'antipatia iniziale si stava trasformando in aperta ostilità. «Fra un'ora» ripeté lui con il medesimo tono e lasciò la stanza. Non appena rimasero sole, Matilda le fece cenno di avvicinarsi al letto. «Non so come ringraziarti per esserti presa cura di me in questo modo» mormorò. «Sei una persona di cuore.» «Qualsiasi altro al mio posto avrebbe fatto lo stesso» protestò Abby, schermendosi. «Non è vero. Un altro forse sarebbe rimasto per qualche ora, ma poi avrebbe chiamato un'infermiera... cosa che avresti dovuto fare anche tu, a ogni modo. No, tesoro mio, sei una persona di cuore.» Quelle parole commossero Abby fin quasi alle lacrime. «Adesso sarà meglio che vada a cambiarmi anch'io» disse con un filo di voce e si avviò verso la porta per non correre il rischio di scoppiare a piangere come una stupida. «Sì, brava. A mio nipote non piace aspettare. È una delle poche cose che lo fanno andare veramente in bestia.» Abby si morse le labbra per non uscirsene con una battuta tagliente e, sorridendo, le disse che, prima di andare a dormire, sarebbe tornata a trovarla. Un'ora più tardi, quando l'ascensore la scaricò all'ultimo piano dell'albergo, trovò già il suo ospite che l'attendeva. Giles Farrow indossava un elegante completo di lino chiaro su una camicia di seta bianca, ma sembrava più scuro e pensieroso che mai. «Qui servono sia la cucina indiana che quella occidentale» le disse in tono freddo, dopo averla scortata a un tavolo d'angolo. «Preferisco quella indiana» rispose lei, cercando di suonare disinvolta. «Non capisco la gente che viaggia e poi prende sempre le solite uova al prosciutto per colazione e l'arrosto di vitello a cena. Tanto varrebbe stare a Rachel Lindsay
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casa propria!» «Dipende da come si è abituati. Se uno si è adattato a una dieta specifica, farebbe meglio a non cambiare.» La logica inoppugnabile di quel ragionamento ridusse al silenzio Abby, che cominciò a desiderare di non essere venuta. Per nascondere l'imbarazzo e l'irritazione, finse di studiare con molto interesse la lista delle vivande. Quasi tutti i piatti avevano nomi locali che non le dicevano niente e lei, a scanso di equivoci, disse che avrebbe preso una porzione di pollo al Tandoori. «Niente altro?» volle sapere lui, fissandola con espressione indecifrabile. «Non saprei...» mormorò Abby, esitando. «Ho una fame da lupo e a pranzo sono riuscita a mangiare solo un paio di sandwich, ma non so se...» «Come mai così poco?» Giles Farrow l'interruppe in tono beffardo. «Era troppo occupata a recitare la parte della bella crocerossina?» Per un attimo lei sperò di aver sentito male, ma il nipote della signora Bateman rincarò la dose, spazzando il campo da ogni possibile equivoco. «Sono lieto che adesso abbia ritrovato l'appetito... dipende forse dalla certezza di aver raggiunto l'obiettivo che si era prefissa?» «Non capisco dove vuole arrivare?» borbottò Abby, decisa a non andarsene prima di aver chiarito la situazione. «È riuscita a imporsi all'attenzione di mia zia. È questo che aveva in mente, no?» La rabbia latente nella voce di Giles Farrow stavolta non lasciò spazio a dubbi di sorta. Era furioso e, per qualche strana ragione, convinto che avesse tentato di raggirare la signora Bateman. «Non so per quale motivo lei si sia formato una così cattiva opinione di me, signor Farrow» disse Abby in tono basso, ma intenso. «Le assicuro che non mi sono divertita ad assistere sua zia mentre il resto del gruppo visitava Fathepur-Sikri e Jaipur. Non posso permettermi di tornare in India ogni anno, e questo viaggio è molto importante per me.» «Non quanto potrebbe essere importante mia zia. Se continua a giocare le carte giuste, come ha fatto fino a questo momento, questo sarà solamente il primo di molti altri viaggi.» Confusa e indignata, lei lo fissò con espressione battagliera. «Sarebbe così gentile da spiegarmi quali interessi avrei a comportarmi in questo modo?» «Potrebbe diventare la sua accompagnatrice e segretaria» rispose lui in Rachel Lindsay
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tono zuccherino. «L'ultima è stata licenziata tre mesi fa, e questo è il primo viaggio che mia zia affronta da sola. È un bel lavoro, e io non la biasimo per aver tentato di aggiudicarselo. La prospettiva di vivere sei mesi in una casa di campagna e sei mesi viaggiando deve essere straordinariamente allettante.» «Non ho la minima idea di quel che sta dicendo. Non sapevo che sua zia avesse bisogno di una segretaria e...» «Non sprechi inutilmente il fiato!» esclamò Giles Farrow, impedendole di finire. «O vorrebbe farmi credere che non sa nemmeno chi sia?» «Me lo dica lei, chi è sua zia?» borbottò Abby con una smorfia ironica. Lui schiuse le labbra in un sorrisetto condiscendente. «Devo ammettere che è molto abile, signorina West, ma non altrettanto intelligente. Tutti sanno chi è Mattie Bates.» «Mattie Bates?» ripeté lei, strabuzzando gli occhi. «Ma... non vorrà... intende dire che... la signora Bateman è... Ma io non sapevo niente... non l'avevo nemmeno sospettato! Lei si riferisce a Mattie Bates, la famosa scrittrice di gialli?» «Esatto» confermò Giles a denti stretti, «e la prego di risparmiarmi il resto della sceneggiata.» «Farò di meglio, signor Farrow. Le risparmierò di cenare con me.» Tremando come una foglia, Abby balzò in piedi. «Ne ho abbastanza delle sue insinuazioni e voglio mettere le cose in chiaro una volta per tutte, che mi creda o no. Io di sua zia sapevo solo che era una simpatica vecchietta che viaggiava da sola, e si figuri che, fino a pochi secondi fa, ero persino convinta che fosse stato lei a pagarle il biglietto!» Senza dargli tempo di replicare, si allontanò dal tavolo e si diresse verso l'uscita. Fortunatamente l'ascensore era al piano, e lei si precipitò all'interno e premette il bottone del secondo piano. La sua mente era un caos di pensieri dai quali emergeva un solo nome: Mattie Bates. L'autrice di un'innumerevole serie di romanzi gialli che avevano tenuto col fiato sospeso almeno due generazioni di lettori, la creatrice del signor Gill e di Alphonse Drake, i due investigatori che, a ogni nuova avventura, finivano in cima alla lista dei best-seller di mezzo mondo. Mattie Bates, la donna che aveva accumulato una gigantesca fortuna solo attraverso la cessione dei diritti dei suoi libri ai produttori teatrali e cinematografici di Broadway e Hollywood, e che, malgrado la fama, era riuscita a stendere un velo di riservatezza attorno alla sua vita privata. Rachel Lindsay
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Le porte dell'ascensore si aprirono, e, come un automa, Abby si diresse verso la porta della sua camera. Era chiaro che Giles Farrow soffriva di un profondo senso di colpa: essere il beneficiario di una simile ricchezza lo aveva reso sospettoso e cinico nei riguardi delle persone con le quali sua zia entrava in contatto. O forse, più realisticamente, aveva paura che qualcuno gli soffiasse sotto al naso l'enorme eredità. Comunque, per quante attenuanti potesse trovargli, nulla giustificava la meschinità delle accuse che le aveva lanciato. Accuse che rivelavano anche un'assoluta mancanza di fiducia in sua zia. La signora Bateman era una donna in gamba, capace di valutare la gente che le stava attorno, e Abby ne aveva avuto prova durante quel viaggio. Solo su suo nipote si era clamorosamente sbagliata. Altro che ingegnere nucleare... Giles Farrow era un verme arrogante della peggior specie! Un colpo alla porta della camera interruppe il vortice di insulti che le salivano alle labbra. Andò ad aprire con molta cautela, temendo di vedersi davanti gli occhi gelidi di Giles Farrow e invece era solo un cameriere che reggeva un vassoio coperto dal quale filtrava un profumino stuzzicante. «Ma io non ho ordinato niente» disse Abby, perplessa. «L'ordine è arrivato direttamente in cucina, signorina» rispose lui, posando il suo carico sul tavolino sotto la finestra. «Se ha bisogno di altro, suoni il campanello.» Si allontanò con un inchino rispettoso, lasciando Abby ad alzare il coperchio di argento su una profusione di piatti fumanti: pollo al Tandoori, riso al latte con frutta secca e anacardi, spinaci speziati e rosolati nel burro fuso. Capì subito che dietro c'era Giles Farrow e, sebbene il pensiero le togliesse l'appetito, non seppe resistere alla tentazione. Avvicinò una sedia e cominciò a mangiare. L'ambiente non era lussuoso come nel salone moghul, ma almeno qui non era costretta a sopportare la presenza di un uomo che detestava. La sua forchetta si fermò a mezz'aria. Un uomo piuttosto strano e contraddittorio. Capace di investirla a sangue freddo con delle accuse ignobili, e poi di farle portare in camera una cena squisita. Strano e contraddittorio... un brivido di apprensione le serpeggiò lungo la spina dorsale e lei sentì che, dopo lo scontro di prima, la storia con Giles Farrow era appena cominciata.
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Con la pancia piena e l'animo un po' più tranquillo, Abby si presentò davanti alla porta della camera della signora Bateman e, vedendo uno spiraglio di luce che filtrava da sotto il battente, bussò senza paura di disturbare. «Grazie di essere venuta, cara!» esclamò l'amica, quando la vide entrare. «Sono contenta che tu e Giles abbiate cenato assieme... non c'è modo migliore per cominciare a conoscersi.» Abby rispose con un sorriso venato da una punta di amarezza. Matilda stava guarendo e non voleva rattristarla dicendole che fra lei e suo nipote correva la stessa relazione che potrebbe esserci fra un topo e un serpente a sonagli... «Ti vedo in gran forma» disse, avvicinandosi al letto. «Mi sento in forma. Grazie a te, bambina mia.» I loro sguardi si incrociarono e le due donne sorrisero simultaneamente, felici di essere assieme. «Ormai non c'è più bisogno che tu rimanga a tenermi compagnia» aggiunse la più anziana in tono deciso. «Mi pare che sotto stasera si balli. Perché non ti unisci alla festa?» Abby diede una scrollatina di spalle. «Per ballare avrò tempo anche a Londra.» «Ci vai spesso?» «No, ma non per mia scelta. Il fatto è che i ragazzi della mia età sono piuttosto infantili, mentre quelli più vecchi o sono sposati o... troppo intraprendenti.» «In cerca di qualcuno che gli scaldi il letto la notte, vuoi dire?» Matilda Bateman notò l'espressione di Abby e scoppiò a ridere. «Guarda che non sono vecchia come sembro...» Abby ricambiò il sorriso. «Immagino che avrai pensato che sono proprio terribilmente stupida» disse con fare esitante. «Quando tuo nipote mi ha detto chi sei, ho avuto...» «Giles te l'ha detto?» Matilda piegò le labbra in una smorfia di disappunto. «Peccato, mi ero dimenticata di ricordargli che doveva tenere la bocca chiusa. Volevo parlartene io quando saremmo arrivate a Bombay. Vedi, ho in mente un progetto che ti riguarda.» «Davvero?» «Non riesci a indovinare?» Rachel Lindsay
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Abby ci riusciva benissimo, soprattutto dopo la lite con suo nipote, ma preferì scuotere la testa e aspettare che l'amica scoprisse per prima le carte. Come da logica, ricevette l'offerta di diventare la sua segretaria-dama di compagnia. «Ma non rispondere subito, piccola. Pensaci bene. Io abito in campagna e conduco una vita piuttosto monotona. Certo, ci sono sempre i viaggi, ma ormai non mi muovo più come una volta, e per otto mesi all'anno rimarresti isolata. E il lavoro sarà duro.» «Adesso che mi hai fatto l'elenco di tutti i motivi per rifiutare» sorrise Abby, «mi devi dire almeno perché dovrei accettare.» «Perché mi hai detto che ami la natura e gli animali, perché ti piace viaggiare, e io in primavera andrò in Giappone.» Matilda fece una pausa, poi aggiunse: «Però insisto sul fatto che devi riflettere bene prima di darmi una risposta». Abby abbassò lo sguardo sul tappeto. «Tuo nipote viene a trovarti spesso?» chiese. «Durante questi ultimi tre anni è stato sempre in India, ma fra qualche mese dovrebbe ritornare in Inghilterra, e quindi immagino che verrà un finesettimana ogni mese, o giù di lì. Ma perché vuoi saperlo?» Abby rispose con un'altra domanda. «Sa che hai intenzione di offrirmi questo posto? Lui non approva... è convinto che io ti abbia assistita solo per mettermi in buona luce.» «Il che dimostra che anche il più intelligente degli uomini può diventare un perfetto imbecille quando si tratta di giudicare una donna!» La signora Bateman la fissò con espressione molto seria. «Non lasciare che Giles ti rattristi, Abby. Lui ha sempre paura che qualcuno si approfitti di me e dal momento che anche tu hai a cuore solo il mio bene, forse in questo troverete qualcosa che vi unisce.» Abby avrebbe voluto dire che l'unica cosa che li univa era l'antipatia, ma preferì sorvolare. «Mi piacerebbe moltissimo accettare la tua proposta, Matilda. Il posto sembra tagliato su misura per me.» Il viso della sua amica si aprì in un sorriso estasiato, e Abby non ebbe cuore di confidarle la profonda ostilità che Giles le aveva dimostrato. Da piccola le avevano insegnato che per vincere una battaglia bisogna prima conoscere il proprio avversario e quindi iniziò a investigare in quel senso. «Se ricordo bene, hai detto che tuo nipote sta per tornare in Inghilterra. Rachel Lindsay
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Significa che il suo incarico qui è finito?» «Sì. Il Governo indiano vorrebbe che si fermasse altri tre anni, ma lui ha rifiutato. Dice che in Inghilterra c'è più bisogno di lui.» «Allora perché è venuto?» «Perché glielo aveva chiesto il Ministero degli Esteri» rispose la signora Bateman con aria d'importanza. «Al giorno d'oggi le alleanze fra nazioni si costruiscono anche sugli scambi tecnologici. Giles non era in condizione di respingere l'invito... specialmente dopo che il Primo Ministro in persona gli aveva spiegato quanto fosse importante.» La donna tirò un gran sospiro. «Anche se sapeva che gli sarebbe costata la felicità.» Abby sentì le orecchie che le prudevano per la curiosità, ma si rifiutò di soddisfarla. «Credo che fino all'ultimo Giles abbia creduto che Vicky non facesse sul serio» proseguì la sua amica. «Anch'io ero della stessa opinione. Pensavo che lei volesse solo tirare un po' la corda, ma che alla fine il suo senso pratico l'avrebbe fatta recedere da quella decisione.» Abby iniziava a vederci chiaro. «E questa delusione deve aver influito molto su tuo nipote, vero?» Matilda Bateman annuì con espressione pensierosa. «Dopo che Vicky l'ha lasciato, ha perso fiducia in tutte le donne. Ma forse è stato meglio così. Ho paura che, se si fossero sposati, non sarebbero mai stati felici assieme. Lei ha sempre avuto una mentalità da approfittatrice e sono sicura che, presto o tardi, anche Giles l'avrebbe vista com'è veramente. Sotto il suo aspetto duro, mio nipote è un romantico.» Quella dichiarazione era così assurda, che Abby non tentò nemmeno di valutarla. Giles Farrow poteva essere descritto in molte maniere, ma non certo come un romantico... «Era bella?» chiese, lasciandosi vincere dalla curiosità. «Stupenda. Vicky ha un fascino straordinario e lo sa sfruttare molto bene. Era convinta che Giles avrebbe finito per piegarsi ai suoi capricci e così, quando lui le ha confermato che sarebbe venuto in India, lo ha piantato in asso, troncando il fidanzamento. Povero Giles, in quei giorni era proprio a terra.» «Perché lei non è voluta venire in India? So che a Bombay fa caldo, ma...» «Durante i primi diciotto mesi, Giles non stava a Bombay. Viaggiava in continuazione fra Delhi e Calcutta con altre frequenti puntate nel Nord del Rachel Lindsay
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paese. Non era una vita ideale per una giovane sposa... lo ammetto... ma se Vicky avesse stretto i denti, sono certa che Giles avrebbe trovato una soluzione conveniente per entrambi. Lei però non poteva concepire una vita lontano dagli sfarzi delle ambasciate di Delhi o dalle favolose ricchezze dei mercanti di Bombay. Due mesi dopo aver rotto con Giles, si è sposata con un milionario americano... e lui non è ancora riuscito a mandarla giù.» • «Pensi che la ami ancora?» «Se non fosse così, accetterebbe di parlarne.» Per Abby era difficile immaginare Giles Farrow nei panni di un innamorato con il cuore infranto, ma stando al racconto della signora Bateman, quella era la situazione. Certo, la sua reazione poteva derivare anche dall'orgoglio ferito. Per uno che si crede un padreterno, l'improvviso voltafaccia della fidanzata può essere un'esperienza terribile. «A cosa stai pensando?» chiese Matilda, lanciandole un'occhiata penetrante. «Hai un'espressione poco convinta.» «Cercavo di vedere tuo nipote attraverso i tuoi occhi» disse Abby con franchezza. «Ma non ci riesco molto bene. Mi rendo conto che deve aver sofferto, però credo che da questo a condannare tutte le donne ci passi! Odio i pregiudizi di qualsiasi genere.» Ci fu un lungo silenzio, e per un attimo lei pensò di aver esagerato. Aprì la bocca per scusarsi, ma la signora Bateman la precedette. «Pregiudizi, eh? Se qualcuno glielo dicesse, Giles risponderebbe di essersi comportato in modo molto razionale.» «Anche la razionalità può essere viziata da un pregiudizio» dichiarò Abby con fermezza. «Forse un giorno se ne accorgerà da solo.» «Se si innamorerà un'altra volta...» «Ah, quella è una scena che non vorrei perdermi!» La signora Bateman sorrise. «Lo spero anch'io.» Se quel colloquio aveva aperto una piccola breccia nel muro di antagonismo che Abby aveva eretto per difendersi dalle accuse di Giles Farrow, il mattino seguente, quando lo incontrò nel corridoio davanti alla sua camera, quella piccola breccia si richiuse subito. Il nipote della signora Bateman osservò freddamente la sua espressione allegra e, in tono beffardo, senza nemmeno salutarla, disse: «La vedo particolarmente soddisfatta oggi, signorina West. Ha ottenuto quello che Rachel Lindsay
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voleva?». «Pensi un po' come le pare, signor Farrow» ribatté lei con altrettanta freddezza. «Ormai ho rinunciato all'idea di farle cambiare opinione nei miei confronti.» «Sarebbe un'impresa disperata. Lei potrà anche prendere in giro mia zia, ma si ricordi che la terrò d'occhio.» «Paura che rubi l'argenteria?» insinuò Abby, sarcastica. «Fortunatamente il grosso del suo patrimonio è investito in azioni» proseguì lui in tono inespressivo. «Adesso è molto difficile che qualcuno possa approfittare del suo buon cuore.» «Questo vale anche per lei?» Abby aveva reagito d'istinto, ribattendo colpo su colpo, ma capì subito di aver commesso un errore insultandolo a quel modo. Giles Farrow strinse furiosamente i pugni, come se stesse per colpirla, gli occhi che sprizzavano scintille e il viso livido di rabbia sotto l'abbronzatura. «Ero venuto a dirle che domani mia zia e io partiremo per Bombay» disse a denti stretti, dopo essersi calmato. «Il medico l'ha appena visitata e ha detto che è in grado di viaggiare.» Fece una pausa e, con evidente riluttanza, aggiunse: «So che lei stasera andrà a Udaipur per qualche giorno e che dopo scenderà a Bombay». Un'altra pausa, più lunga della precedente. «Mia zia vorrebbe che venisse a stare da noi.» «Non si sforzi tanto, signor Farrow» borbottò lei, controllando a stento l'irritazione che sentiva crescerle dentro. «Starò in albergo, assieme al resto del gruppo. L'ho già pagato, tra l'altro.» Lui la fissò con espressione indecifrabile. «Mia zia aveva previsto la sua risposta e mi ha pregato di insistere.» Abby inspirò a fondo e cercò di riflettere. La signora Bateman sapeva che fra lei e suo nipote non correva buon sangue, ma non che si detestavano al punto da non poter nemmeno mantenere un minimo di civiltà nel loro rapporto. E rifiutare quell'invito avrebbe significato proprio quello. «Va bene, verrò» disse in tono sommesso. «Farò in modo di non darle fastidio.» «Basta che faccia in modo di essere utile a mia zia» ribatté Giles Farrow, gelido. «Senza sfruttarla... se possibile!» Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Stanca di quelle continue insinuazioni, di quei continui tentativi di umiliarla e offenderla, Abby Rachel Lindsay
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mandò all'aria la sua naturale timidezza. Si rizzò orgogliosamente nel suo metro e sessanta di altezza, spinse in avanti il mento e, guardando il suo avversario negli occhi, sibilò: «Sa cosa le dico, signor Farrow? Che non ho mai conosciuto un uomo più arrogante, incivile e... e stupido di lei! Vada al diavolo!». Lo oltrepassò con uno spintone, avviandosi a grandi passi in direzione dell'ascensore. Comincia bene, comincia proprio bene!, pensava furiosamente. Se qui siamo a questo punto, chissà cosa succederà a Bombay!
6 Ma le sue paure si rivelarono del tutto infondate. Quando arrivò a Bombay il mattino di tre giorni dopo, fu un Giles Farrow molto controllato e gentile quello che l'accolse nell'atrio della sua splendida villa, un edificio bianco a due piani che risaliva all'epoca della dominazione inglese. «Ben arrivata, signorina West» le disse con voce inespressiva. «Ha fatto buon viaggio?» «Sì, grazie» rispose Abby, fissandolo come se si aspettasse che iniziasse subito ad aggredirla. Lui si accorse che era nervosa e le sue labbra si schiusero in un rapido sorriso. «Mia zia è in giardino» aggiunse, e la precedette in direzione delle grandi portefinestre che si affacciavano su un prato rigoglioso e ben curato. La signora Bateman era seduta all'ombra di un magnifico pipai vicino al bordo della piscina e, non appena la vide, si alzò per abbracciarla, tempestandola di domande per sapere che cosa aveva fatto a Udaipur e se si era divertita. Quando ebbe placato la sua sete di notizie, Abby si sentì dire che quella sera erano invitati a un party dai Chandris e che quindi doveva salire immediatamente nella camera che le avevano preparato e riposarsi. Abby cercò di protestare dicendo che non le sembrava il caso e che avrebbe preferito restare in casa, ma la signora Bateman non la volle nemmeno ascoltare e suo nipote, con uno scintillio divertito negli occhi, chiamò Lala, la sua governante indiana, per farla accompagnare. Così, dopo la stanchezza e le inevitabili scomodità del viaggio, Abby si trovò immersa in un'atmosfera di agiata ricchezza che non aveva mai Rachel Lindsay
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conosciuto prima e che raggiunse il suo culmine verso le sei di sera, quando l'amica insistette per farle indossare uno dei suoi sari. «Mi sento ridicola» disse con aria sconsolata, osservando la seta lucente che Lala le aveva abilmente drappeggiato attorno alla vita. «Non riesco nemmeno a camminare... come farò a venire alla festa in questo stato?» «Farai un figurone alla festa» ribatté Matilda, trascinandola davanti allo specchio. «Guarda come sei bella...» Abby si guardò e fu costretta ad ammettere che, dopotutto, il sari non le stava male. L'abito tradizionale delle donne indiane aveva il pregio di snellirle la figura, facendola sembrare più alta di quanto non fosse in realtà, e sapeva essere sensuale senza apparire eccessivo o volgare. La conferma definitiva, comunque, l'ebbe quando scese nell'atrio. Giles, elegantissimo in un vestito di lino color champagne, stava sorseggiando un aperitivo e, vedendola, passò nei suoi occhi ambrati un lampo di apprezzamento tipicamente maschile, che le diede un inspiegabile, quanto violento, piacere. Un po' turbata, Abby pensò a un qualche modo di avviare una conversazione, ma venne salvata dall'arrivo trionfale della signora Bateman, che evidentemente non stava più nella pelle all'idea di quella prima uscita mondana dopo la malattia. I Chandris abitavano in uno dei palazzi più moderni di Bombay, affacciato sulla costa ventosa dell'Oceano Indiano. Scendendo dai tornanti di Mali-bar Hill, la Mercedes di Giles Farrow sfiorò Hanging Gardens e svoltò a sinistra, offrendo ai suoi occupanti una magnifica panoramica della città. Poco più sotto, immerse in un piccolo parco circondato da un alto muro, si ergevano le Torri del Silenzio, gli anfiteatri dove, come spiegò Giles, i Parsi davano i loro morti in pasto agli avvoltoi. Gli uccelli, aggiunse in tono casuale, erano capaci di pulire un cadavere nel giro di un'ora. Abby non riuscì a reprimere un brivido di orrore, che Matilda notò immediatamente. «So che sembra un'usanza barbara» disse con calma, «ma i Parsi seguono la religione di Zoroastro e rispettano tutti gli elementi naturali, compresi il fuoco e la terra. È per questo che non vogliono contaminare la terra con i cadaveri al modo di noi Cristiani, e neppure bruciarli come fanno gli Indù.» «Sarà, ma era proprio necessario che piazzassero i loro... cimiteri nel bel mezzo della città?» protestò Abby, ancora sconvolta. «Il denaro può tutto» sentenziò Giles, intervenendo nuovamente nella Rachel Lindsay
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conversazione. «I Parsi hanno costruito le industrie e il commercio di Bombay. Sono solo centoventimila, pochissimi in un paese che conta quasi ottocento milioni di anime, eppure controllano il quaranta per cento delle ricchezze di tutta l'India. Sono molto potenti.» «Ragione di più per trasferire le Torri del Silenzio in luoghi meno abitati.» «Sono d'accordo con lei, signorina West, ma le tradizioni sono dure a morire e credo che le Torri rimarranno al loro posto ancora per diversi anni.» Abby lasciò cadere il discorso e si concentrò sul paesaggio circostante. Stavano percorrendo il lungomare, un viale interminabile attorno al quale erano disposti i grattacieli e gli edifici più moderni della città, così diversi dalle case in stile vittoriano che costellavano le zone interne e collinari del Maharasthra. A un certo punto la Mercedes svoltò sulla destra e si fermò ai piedi di un palazzo che, per architettura e preziosità delle rifiniture, non avrebbe sfigurato nei quartieri residenziali di Miami. Matilda, suo nipote e Abby uscirono nell'aria umida e salmastra della sera e, dopo aver attraversato una grande porta di cristallo, entrarono in un ampio salone dove la povertà sembrava una parola sconosciuta. «I Chandris sono proprietari di tutto il condominio» spiegò la signora Bateman, mentre si avviavano verso gli ascensori. «Ma abitano solo nei due ultimi piani.» «Devono avere una famiglia molto numerosa!» esclamò Abby, guardandosi attorno senza nascondere la meraviglia. «Quattro figli, tre maschi e una femmina, che però vivono per conto loro. Sono sposati.» L'ascensore li scaricò su una vasta terrazza al centro della quale, in mezzo a una profusione di piante di ogni tipo, era stata ricavata una piscina ovale, e la signora Bateman proseguì nel suo ruolo di cicerone. «Questa è l'entrata estiva» mormorò, stringendo il braccio di Abby. «Durante la stagione dei monsoni si sale direttamente al piano di sopra, che è coperto.» «Un'entrata invernale e una estiva!» Abby sorrise. «Immagino che avranno tutti un bagno personale.» «Non li ho mai contati, ma mi pare che siano otto» fu la sorprendente e divertita replica di Matilda, che poi la lasciò per dirigersi verso i padroni di casa. Rachel Lindsay
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Il signor Chandris era un uomo dall'aria serafica, con i capelli bianchissimi e la figura rotondeggiante. Doveva essere sulla sessantina, come la moglie, una donna ancora attraente che indossava con disinvoltura un sari molto semplice e una collana di diamanti grossi come ciliegie. Parlavano un inglese perfetto, appena viziato dall'accento cantilenante tipico degli indiani. Dopo le presentazioni di rito, che si svolsero in un'atmosfera raffinata e assieme familiare, Abby venne scortata verso i tavoli del buffet da un giovane amico della coppia, che si complimentò per l'eleganza con cui indossava il sari. La qualità dei rinfreschi, la compostezza dei domestici e la signorilità degli invitati erano di livello europeo, e lei non si stancò di ammirare, con un po' di vergogna, lo sfarzo che regnava in ogni angolo di quella dimora principesca. A qualche centinaio di metri da lì la gente lottava giorno dopo giorno con lo spettro della fame, ed era terribile vedere un simile spreco di ricchezza, ma quella era l'India, nel bene e nel male, e bisognava accettarla. Jay, il suo accompagnatore, era un ragazzo molto simpatico, che, pur avendo studiato a Cambridge, conservava tutta la tranquilla compostezza del suo popolo. Abby si divertì molto ad ascoltare i suoi racconti sulle difficoltà che aveva incontrato viaggiando per l'Europa, ma a un certo punto la sua attenzione venne attirata da un nuovo gruppo di invitati che era appena sbucato dalle porte dorate dell'ascensore. Erano sei in tutto, quattro indiani e una coppia di europei che superavano gli altri di almeno una testa. Abby rimase colpita soprattutto dalla donna, una delle più belle che avesse mai visto, sia dal vero che in fotografia. Alta e sottile come un giunco, aveva un morbido caschetto di capelli scuri che le scendeva fin sulle spalle, e un viso semplicemente perfetto, con gli zigomi alti, il naso appena accennato e la bocca larga, sensuale. Assomigliava a una ballerina russa e camminava con la grazia sinuosa di una modella, fasciata da un abito lungo fino alle caviglie che metteva in risalto le linee armoniose di un corpo privo di difetti. D'istinto, in modo quasi automatico, Abby cercò con gli occhi Giles, che stava chiacchierando con il signor Chandris e la moglie. Mentre lo guardava, i nuovi arrivati entrarono nel suo campo visivo, e lui impallidì come se avesse visto uno spettro. Per una frazione di secondo rimase impietrito, con il sorriso che gli moriva sulle labbra, poi riuscì a controllarsi, ma il suo sguardo aveva perso la vivacità di poco prima. Rachel Lindsay
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Nel frattempo la ragazza e il suo accompagnatore... forse il marito... avevano porto i loro omaggi ai padroni di casa, e lei si era voltata a salutare Giles, posandogli una mano sul braccio. Parlavano come se si conoscessero da tempo, e Abby ebbe la certezza che quella fosse la famosa Vicky, la sua ex fidanzata, la donna che lo aveva lasciato per non andare a vivere in qualche sperduta cittadina del Nord del paese. Si girò verso Jay e vide che anche lui, come del resto tutti gli uomini presenti, aveva gli occhi incollati sulla nuova venuta. «Chi sono quei due?» gli chiese in tono volutamente casuale. «Tony Laughton e sua moglie. Lui è un petroliere texano, ricchissimo e il signor Chandris sta facendo ottimi affari con una delle sue società. Ma la moglie è di una bellezza straordinaria, non trova?» «Sì, è bellissima» disse lentamente Abby. «Sa come si chiama?» «Victoria, mi pare.» «Victoria» mormorò Abby, sempre più convinta che si trattasse proprio della Vicky di cui le aveva parlato la signora Bateman. Riportò la sua attenzione sul piccolo gruppo e notò che Giles si era completamente ripreso dallo shock iniziale. Sembrava perfettamente a suo agio, con una mano infilata nella tasca della giacca e l'altra rilassata attorno a un calice di champagne. Era un'esibizione degna di un Oscar e lei, sia pure con riluttanza, fu costretta ad ammettere che Giles aveva delle doti di autocontrollo fuori dal comune. In quella arrivò anche la signora Bateman, che si appese al suo braccio e gli sorrise come se avesse intuito che aveva bisogno di sostegno. A un certo punto i suoi occhi incrociarono quelli di Abby, che continuava a guardare e, alzando una mano, la chiamò. Sorridendo, inventò una scusa al giovane indiano al suo fianco e obbedì al comando. «Voglio presentarti i signori Laughton» disse Matilda, quando Abby si unì al gruppo. «Vicky è un'amica di famiglia.» «Quasi un membro della famiglia» la corresse l'interessata, piegando le splendide labbra in un sorriso che però non le raggiunse gli occhi. La signora Bateman annuì, ma con poca convinzione. «Be'» borbottò allegramente, «in questo caso avrai ancora più piacere di conoscere la ragazza che mi ha tanto aiutata quando mi sono ammalata ad Agra.» Lo sguardo di Vicky Laughton si spostò su Abby, ma non perse nulla della sua durezza. «Allora lei sarebbe la Buona Samaritana di turno?» disse in un tono lievemente ironico. «Giles mi ha appena annunciato che Rachel Lindsay
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zia Matty l'ha assunta nelle vesti di segretaria e dama di compagnia... Che fortunata combinazione!» Abby non seppe come replicare. Aveva percepito l'ironia che si celava sotto quelle belle parole, ma non riusciva a capire cosa avesse fatto per meritarsela. La risposta le venne fornita quasi immediatamente, quando la bella Vicky si voltò a guardare Giles. «Farai meglio a stare in guardia, Giles. Sento puzza di bruciato... ho paura che la zia Matty si sia messa di nuovo a recitare la parte di Cupido!» «Io sono sempre in guardia» ribatté lui con calma. «Vuoi dire che sono l'unica che sia mai riuscita a penetrare nelle tue difese?» Sconvolta dalla crudeltà di quella battuta, Abby iniziò a sganciarsi dal circolo, ma non poté fare a meno di sentire la replica di Giles Farrow, che fu misurata e priva di emozione. «Quando ti ho conosciuta non avevo motivo di difendermi. Dopo sì.» «Adesso mi fai sentire in colpa.» Stavolta Vicky abbassò la voce fino a renderla simile a una carezza. «Mi hai perdonata?» «Certo, immediatamente. Non si può rimproverare uno sgarbo a un bambino... prima di avergli insegnato che cosa è giusto e che cosa no.» L'esclamazione della sua ex fidanzata era difficile da interpretare. Conteneva rabbia, esasperazione e forse anche una sfumatura di rimpianto. Comunque Vicky decise di averne avuto abbastanza e raggiunse il marito che nel frattempo aveva intavolato un'accanita discussione con il signor Chandris. Giles, invece, si voltò dall'altra parte e si avvicinò ad Abby. «Si sta divertendo, signorina West?» le chiese in tono asciutto. Sorpresa da quell'inaspettata domanda, lei rispose in modo alquanto banale. «Sì, molto. E' la prima volta che vedo una casa indiana.» Il nipote della signora Bateman sogghignò, ma nei suoi occhi rimase solo amarezza. «Questa non è una casa tipica dell'India. È la dimora di un miliardario che vive come uno degli antichi Maharaja Moghul» disse con aria aggressiva. «Per vedere una vera casa indiana, dovrebbe venire a visitare certi paesi nei quali ho soggiornato durante i miei tre anni di permanenza qui.» Erano riflessioni e scrupoli che Abby condivideva, ma in quel momento, più per ripicca che per convinzione, ebbe l'impulso di contraddirlo. «Questo non toglie che le cose belle destino ammirazione a prescindere dalle condizioni sociali che le hanno create. Per costruire le piramidi sono Rachel Lindsay
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morti migliaia e migliaia di schiavi, ma a nessuno viene in mente di contestarne la magnificenza.» Giles Farrow annuì con espressione beffarda. «Le cose belle!» ripeté, facendole il verso. «Voi donne siete tutte uguali: fate tanti discorsi, ma poi, di fronte a una pelliccia o a un paio di diamanti, siete pronte a rimangiarvi tutto! Se avesse visto quel che ho visto io, non...» Abby sapeva che, dicendo voi donne, lui pensava a Vicky, ma quello non bastò a calmare la sua irritazione. «Guardi che non c'è nulla di eccezionale in quello che lei ha fatto, signor Farrow» disse in tono veemente, interrompendolo. «Centinaia e centinaia di giovani occidentali vengono a prestare il loro aiuto nei paesi sottosviluppati e senza ricevere il lauto stipendio che lei sicuramente riceve dal Governo indiano!» Aveva osato troppo, come sempre le accadeva quando era sottoposta a una tensione emotiva, ma ormai era tardi per pentirsene. «Io diffido della gente che si lancia in imprese come questa seguendo solo una moda» ribatté Giles con voce tagliente. «Molti di loro resistono solo poche settimane!» «Lei diffida di tutti quelli che credono fortemente in qualcosa tanto da farne un punto fermo delle loro vite!» «Se la vuole mettere in questo modo, sì!» confermò lui, quasi gridando. Abby scosse la testa. «E crede forse di comportarsi in modo diverso?» «No, ma non condanno quelli che la pensano diversamente. A me, di quello che fanno gli altri, non me ne importa un fico secco!» «Allora non mi meraviglio che nessuno... eccetto sua zia... si curi di quello che fa lei!» Giles serrò le mascelle, e i suoi occhi ambrati scintillarono come quelli di una tigre nella notte. Abby aspettava la tempesta, ma non aveva fatto i conti con il suo autocontrollo. «Non ho bisogno di riscuotere il consenso di tutti, signorina West» le disse a denti stretti. «Mi basta l'amicizia della gente che rispetto. Ma della sua buona opinione ne farò volentieri a meno.» Trascinata in una discussione che si era improvvisamente inasprita, lei sentì gli occhi che le si riempivano di lacrime, e, per non dargli anche quella soddisfazione, si allontanò di scatto, dirigendosi verso una zona buia della terrazza. «Signorina West?» Giles Farrow l'aveva seguita e, sentendo che si avvicinava, lei cercò, inutilmente, di sfuggirgli. «La prego di scusarmi per Rachel Lindsay
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quel che ho detto. Non avevo intenzione di essere rude.» «Si comporta così dal primo momento che mi ha vista» mormorò Abby con la voce che le tremava di pianto. «Ma non come adesso» replicò lui con sorprendente onestà. «La mia unica attenuante è che... be', ho dei problemi e sono preoccupato. Mi dispiace molto di averla trattata male.» «Non importa.» A quel punto lei trovò il coraggio di guardarlo e vide che era ancora pallido e teso. Sembrava più giovane, e dava un'impressione di vulnerabilità che stonava con la solita immagine dell'uomo tutto d'un pezzo a cui era abituata. «Sarebbe meglio se non stessi in casa sua» aggiunse. «Ma le prometto che cercherò di non importunarla.» «Questo non è necessario.» «Per me, sì!» Giles aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi cambiò idea e la richiuse. «Come preferisce» mormorò, allontanandosi. Abby rimase lì ancora per qualche minuto, desiderando che il nipote della signora Bateman non avesse il potere di ferirla e allo stesso tempo di farla sentire spiacente per lui. La loro lite era sorta dal nulla, come un temporale estivo, e allo stesso modo si era dileguata, lasciandosi dietro un residuo di dolore che la turbava più di quanto sarebbe stata disposta ad ammettere. Fortunatamente, dopo aver lasciato Bombay, non sarebbe più stata costretta a sopportare la sua presenza. Però... però una cosa doveva riconoscerla: Giles Farrow poteva anche essere un uomo freddo e arrogante, ma si era scusato, il che significava che sapeva di aver sbagliato. E quella, coi tempi che correvano, era una dote molto rara. Decisa a non pensare più a lui, Abby abbandonò il suo rifugio sul bordo della terrazza e raggiunse la signora Bateman. «Ti dispiacerebbe tornare a casa adesso?» le chiese l'amica quando se la vide apparire al fianco. «Niente affatto. Se vuoi andare, sono pronta.» «Allora chiederò a un maggiordomo di chiamare un taxi.» «E non dici niente a tuo nipote?» «Gli farò portare un messaggio all'ultimo momento, in modo che non possa fermarci.» «Hai progettato tutto» sorrise Abby. Rachel Lindsay
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«Come sempre!» esclamò Matilda, prendendola a braccetto e sospingendola in direzione dell'ascensore. Solo quando furono a bordo di uno scassatissimo taxi che sferragliava verso Malibar Hill, la vecchia signora tirò fuori l'argomento che le pesava sul cuore: Vicky Laughton. «Immagino che avrai capito che è lei la ex fidanzata di mio nipote?» «Sì. Ma lui era al corrente che sarebbe arrivata stasera?» «No. Secondo me non sapeva nemmeno che fosse in India. Avresti dovuto vedere che faccia ha fatto quando gli è apparsa davanti sulla terrazza!» «L'ho vista» confessò Abby. «Mi è sembrato sorpreso.» «Sconvolto è il termine giusto. Ma sono contenta che sia successo. Proprio l'altro giorno gli avevo detto che deve smetterla di fuggire dal passato e ammettere una buona volta di essere stato un imbecille a innamorarsi di una donna come Vicky.» «Può darsi che vederla gli abbia fatto l'effetto contrario. Forse ha capito di amarla ancora» mormorò Abby in tono pensoso. «In questo caso dovrà sbrigarsela da solo. Vicky comincia ad annoiarsi del marito ed è pronta a lasciarlo.» «Te lo ha detto lei?» domandò Abby, molto meravigliata. «No, certo che no. Ma la conosco così bene che potrei dirti quel che le passa per la testa ancora prima che lei stessa se ne renda conto. Ricordati queste parole, Abby: Vicky è venuta in India per mostrare a Giles che è pronta a tornare con lui.» «Tuo nipote potrebbe riprenderla.» «Allora vuol dire che è proprio rimbecillito!» esclamò la signora Bateman con un gesto di stizza. «Va bene che l'amore è cieco... ma a tutto c'è un limite! Spero che in questi anni di separazione abbia cominciato a vedere le cose da un diverso punto di vista.» Abby rimase zitta e, dopo qualche minuto di silenzio, Matilda riprese i fili del discorso. «Tu pensi che non dovrei interferire nella sua vita, vero?» chiese, scoccandole un'occhiata indagatrice. «Sì» ammise Abby. «Amare una persona non significa avere il diritto di condizionarla.» «Ma io non mi sognerei mai di parlarne con lui... sarebbe il modo migliore per spingerlo a fare esattamente l'opposto. Posso solo mettergli Rachel Lindsay
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davanti una ragazza carina e sperare che si ricordi di essere un uomo.» Abby sussultò sul sedile e la signora Bateman annuì un paio di volte. «Sì, mia cara. Tu saresti una moglie ideale per Giles.» «Ma non puoi... è terribile... spaventoso... Io... io non avrei mai accettato il tuo lavoro se avessi saputo che... che avevi in mente questa mostruosità!» «Sfortunatamente sembra che non sia nella mente di mio nipote.» «Non ne sarei tanto sicura. Credo che sospetti. Forse è proprio per questo che mi detesta. Ci avevi già provato prima?» «Molte volte» rispose Matilda senza battere ciglio. «Ma ho sempre fallito.» «Finirà male anche stavolta» borbottò Abby, fissandola come se non riuscisse a credere che fosse vero. «Partirò domani. Non posso restare.» «Certo che puoi restare.» La signora Bateman l'afferrò per un braccio. «Devi perdonarmi di essere tanto impicciona, ma voglio bene a Giles e sto cominciando a voler bene anche a te. Non avevo intenzione di parlartene, ma vedere Vicky stasera mi ha fatto perdere le staffe. Ti prego, dimentica quel che ho detto. Non prendere decisioni affrettate a causa delle sciocche fantasie di una povera vecchia.» «Ma non capisci? Non posso fare finta di niente! Ogni volta che incontrerò tuo nipote mi sentirò morire d'imbarazzo!» «Quisquilie! E hai il coraggio di definirti una ragazza moderna? Come puoi essere imbarazzata se fra voi non c'è neanche un briciolo di attrazione?» «Questo è vero» ammise Abby a denti stretti. «Tuo nipote è uno degli uomini più sgradevoli che abbia mai conosciuto, e credo che lui nutra la stessa antipatia nei miei confronti.» «Allora nessuno di voi deve preoccuparsi delle mie manovre» concluse Matilda in tono sbrigativo. Abby non poté fare a meno di ridere dell'abilità con cui l'amica aveva ribaltato la situazione in suo favore. «Sei incorreggibile» disse, scuotendo la testa, «e io rimarrò solo se mi prometti che non farai nulla che possa mettermi in imbarazzo. Trattami come se fossi una dipendente qualsiasi... e non come la futura nuora!» «Se è questo che vuoi, ti accontenterò!» Stesa sul letto, un'ora più tardi, Abby non riusciva a dimenticare quell'incredibile conversazione. L'idea di sposare un uomo come Giles Rachel Lindsay
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Farrow non le riusciva del tutto sgradita... Era bello, intelligente, deciso e, in modo tutto suo, sensibile. Se solo avesse avuto un carattere migliore... o se non avesse mai conosciuto Vicky Laughton... No, pensò, dandosi della cretina, ci sono troppi "se" in questa faccenda! E poi è una cosa assurda, pazzesca, improponibile! Il rombo di un motore che si spegneva sotto le finestre la distolse dalle sue frenetiche riflessioni. Giles stava rincasando. Sentì la portiera della macchina che sbatteva, e rumore di passi sul portico. Poi solo silenzio. Ma la consapevolezza che lui era vicino, rinfocolò le sue paure. Era saggio restare in quella casa? Sarebbe stata capace di vederlo senza ricordarsi che l'aveva accusata di aver deliberatamente cercato di approfittare della generosità di sua zia? O forse temeva che tentasse di approfittare di lui? Quell'ultimo pensiero la fece sorridere. Se aveva ragione, si sarebbe divertita un mondo a dimostrargli quanto diverse possono essere le donne. L'ultima cosa che desiderava al mondo era di legarsi a un uomo così stupido da farsi amareggiare la vita da una snob come quella Vicky! Felice di questa considerazione, Abby chiuse gli occhi e si addormentò.
7 Nelle due settimane che seguirono, Abby fece del suo meglio per evitare Giles. Le poche volte che lui cenò con sua zia, si sedette a tavola fingendo di essere sordomuta per poi sparire in camera non appena Lala finiva di levare i piatti. Arrivò al punto di sviluppare una specie di sesto senso che l'avvisava quando Giles era in procinto di rincasare e spesso si trovò a metà delle scale proprio mentre la sua Mercedes si fermava davanti al portone. Non era una situazione molto piacevole, ma se non altro più tollerabile dell'aperta ostilità dei primi giorni. Un bel mattino, però, gli eventi precipitarono in modo del tutto imprevisto. Convinta che il padrone di casa fosse andato, come al solito, in ufficio, Abby si piazzò nel salone, e iniziò a copiare una delle magnifiche miniature che ornavano le pareti. Era un hobby che coltivava fin dai tempi della scuola e che l'aiutava a distendere i nervi nei momenti di tensione. Impiegò quasi due ore a completare il disegno a matita, poi, dopo aver aperto la sua scatola di acquerelli, intinse il pennello nell'azzurro e Rachel Lindsay
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cominciò a colorare lo sfondo del cielo. Era un lavoro che richiedeva una concentrazione assoluta e che impediva di pensare troppo, cosa di cui sentiva un grande bisogno. Fu così solo per caso, quando alzò la testa dal foglio, che vide Giles che la guardava. Il cuore le balzò nel petto come se fosse stata una ladra colta con le mani nel sacco, e lo shock la spinse immediatamente ad alzarsi. «Non se ne vada solo per causa mia» disse lui con calma. «Avrei dovuto smettere comunque.» «Posso dare un'occhiata?» A meno di non essere apertamente scortese, rifiutare era impossibile. «Certo, ma stia attento a non toccare niente. Il foglio è ancora umido.» Giles annuì e si avvicinò al tavolo, guardando prima la miniatura e poi i risultati delle sue fatiche. «È molto buona... non sapevo che fosse un'artista.» «Infatti non lo sono. Mi limito a copiare.» «Con ottimi risultati, direi.» Lui si chinò con espressione assorta. «Ha riprodotto ogni minimo dettaglio. Da quanto tempo ci lavora?» «Da un paio d'ore.» «Ha l'accuratezza di una fotografia. Se lo dipingerà altrettanto bene, sarà una riproduzione perfetta.» Abby non fece commenti, e il nipote della signora Bateman si allontanò in direzione di una finestra. «Ha mai pensato di venderle?» «Di solito le regalo.» Lui si voltò, scoccandole un'occhiata penetrante. «E questo è per mia zia?» «No, non credo che l'apprezzerebbe molto, visto che può godersi l'originale.» Lei avrebbe voluto fermarsi, ma non riuscì a resistere a un impulso di rabbia irrazionale. «È una cosa che faccio spesso... Cerco di corrompere delle povere vecchie indifese con le mie copie e poi le manipolo in modo da farmi nominare erede delle loro favolose fortune!» La sua voce si spense in un tremito rivelatore. Era assurdo che le importasse tanto di ottenere la sua approvazione! Giles sembrò leggerle nella mente. «Perché reagisce in questo modo, signorina West? Non mi dirà che le importa quel che penso di lei?» «Sarebbe un'inutile perdita di tempo! Lei è una delle persone più spregevoli che abbia mai avuto la sfortuna di conoscere!» Rachel Lindsay
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Lui la raggiunse con pochi, rapidi passi, e l'afferrò brutalmente per le spalle. «Stia attenta a come parla!» le sibilò a pochi centimetri dal viso. «Lei è un'ospite in questa casa.» «Non me lo ricordi! Se non fosse per sua zia, me ne sarei andata da un pezzo!» «Vuole dire che ha già abbandonato ogni speranza di combinare qualcosa con me?» Abby arrossì fino alla radice dei capelli e negli occhi ambrati di Giles si accese un lampo di trionfo. «Dunque sapeva quali erano i progetti di mia zia nel momento in cui l'ha assunta! Prima non ne ero sicuro, ma adesso mi ha dato la conferma che cercavo.» «L'ho scoperto solo la notte della festa» mormorò Abby, senza guardarlo. «Se l'avessi sospettato fin dal principio, non avrei mai accettato il posto che mi ha offerto. Essere di aiuto agli altri mi piace, ma non sopporto l'idea di venir sacrificata sull'altare dell'egoismo!» Lui imprecò a fior di labbra e le diede uno scrollone. «Lei non sa niente di me! Niente!» «So che si crogiola nell'autocompatimento solo perché un'insulsa ragazza l'ha trattata così stupidamente da farle pensare che tutte le donne siano delle arpie!» ribatté lei a denti stretti, lanciandogli un'occhiata di sfida. «E lo sono!» ruggì Giles, un muscolo che gli pulsava pericolosamente sulla mascella. «L'unico scopo della vostra vita è di trovare un marito il più ricco possibile!» «Non è vero!» protestò Abby, indignata. «Ah, no? E allora perché lei è venuta qui? O vuole farmi credere di gioire alla prospettiva di passare la sua giovinezza in compagnia di una vecchia settantaquattrenne?» «Non vedo cosa ci sia di strano!» replicò lei, vicina alle lacrime. «E poi vivere in un ospizio sarebbe sempre preferibile che vivere con una carogna come lei!» «Davvero?» Lui s'impossessò della sua bocca con una rapidità e una ferocia che la sconvolsero. Abby lottò per liberarsi, ma era come un passero che volesse sfuggire agli artigli di un'aquila. Giles si aprì a viva forza una via fra le sue labbra vulnerabili, carezzandole il seno e i fianchi con sensuale lentezza, destinata a umiliarla. Rachel Lindsay
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Lei si sentì morire. Nessun uomo l'aveva mai baciata e toccata a quel modo e, a dispetto della rabbia omicida che le cresceva dentro, il suo giovane corpo vibrò in un'appassionante risposta. Temendo che lui potesse accorgersene, si divincolò come una pazza, dandogli calci negli stinchi e alzando le dita verso il suo viso per graffiarlo. Giles la immobilizzò con estrema facilità, ma per farlo dovette interrompere il bacio, tirandosi indietro, e i suoi occhi incrociarono quelli di lei. Aveva le pupille dilatate e Abby si perse nelle profondità di quei pozzi neri circondati da un minuscolo anello dorato. Per una frazione di secondo, smisero di combattere e fu come se fosse passato un secolo. Il mondo si fermò, la stanza, la villa e Bombay si dissolsero di fronte alla potenza invincibile dell'emozione che lampeggiò fra loro con la violenza di un fulmine. Lui fu il primo a riprendersi. Le sue mani si aprirono, lentamente, quasi con riluttanza, e fece un passo indietro, lasciandola andare. «Mi dispiace, Abby. Io... Non ci sono scuse per quello che ho fatto.» «È stata anche colpa mia» mormorò lei, roca. «Non avrei dovuto provocarla.» «Allora diciamo che è stata colpa di entrambi» Giles scosse la testa, poi sul suo viso apparve un'espressione ansiosa. «Ti ho fatto male?» chiese. «Sei così piccola che...» «Sto bene» rispose Abby, interrompendolo. «È solo che non ero mai stata baciata così, prima.» Lui scoppiò in una risata nervosa, priva di qualsiasi sarcasmo. «Sei molto innocente, Abby. Puoi darmi uno schiaffo, se vuoi.» «Non cambierebbe nulla» ribatté lei con un filo di voce, abbassando bruscamente lo sguardo per non vedere com'era bello. Giles mosse un passo nella sua direzione, poi si fermò. «Abby... scusami. Mi sono comportato in modo spaventoso e...» «Non si preoccupi. Ormai è passato e non dirò niente a sua zia.» «Lei sarebbe felicissima di saperlo.» Col volto in fiamme, Abby lo guardò. Stava sorridendo, e sembrava quasi dolce. «Ragione di più per non parlargliene» mormorò, abbassando subito gli occhi. Esitò ancora una frazione di secondo, poi si avviò verso la porta. La voce di Giles la raggiunse quando aveva già la mano sulla maniglia. «In parte sei responsabile di quel che è successo, Abby. Durante le Rachel Lindsay
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ultime settimane hai fatto di tutto per entrarmi sotto la pelle.» Lei si girò di scatto, gli occhi che sprizzavano scintille. «Non è vero!» esclamò. «Ho fatto di tutto per evitarla!» «Non ho mai visto nessuno che riuscisse a rendere così evidente la sua assenza.» «Be'... non era mia intenzione!» «Può darsi, ma il risultato non è stato diverso.» «Non ha pensato che questo ragionamento può essere rovesciato?» replicò Abby in tono asciutto. «Se lei non avesse avuto la coscienza sporca, non si sarebbe nemmeno accorto del mio atteggiamento.» Giles si concesse il più lieve dei sorrisi. «Non sarà più necessario che mi eviti in futuro.» «Come vuole» borbottò lei, poco convinta. «Arrivederci, signor Farrow.» «A questo punto sarebbe meglio se ci dessimo del tu... sarebbe più onesto, non trovi?» Abby annuì bruscamente e se ne andò, ma più tardi, al sicuro nella fresca penombra della sua stanza, si rese conto che quel che era appena successo avrebbe potuto avere conseguenze molto gravi. Il suo istinto femminile le diceva che la guerra con Giles Farrow era finita e che i loro rapporti ora sarebbero entrati in una fase nuova. Però non voleva che all'ostilità seguisse automaticamente l'amicizia. Giles era un uomo pericoloso, nel bene e nel male, e lei sapeva che diventare sua amica avrebbe potuto essere un'esperienza ben più distruttiva che combatterlo. E quei timori si concretizzarono drammaticamente già due giorni dopo, quando la signora Bateman la pregò di accompagnarla in centro per fare un po' di spese. Abby scarpinò dietro l'amica per quasi due ore, poi, esausta, si arrese, e Matilda, borbottando qualcosa sulla fragilità della gioventù moderna, le disse di andare pure ad aspettarla nel ristorante del Taj Mahal Hotel. Sorridendo dell'inesauribile scorta di energia dell'anziana signora, Abby si diresse verso il mare, sulle cui sponde sorgeva il magnifico palazzo che ospitava l'albergo, forse uno dei più belli del mondo. Le strade del centro di Bombay non avevano nulla da invidiare a quelle di una metropoli occidentale, anche se qua e là la presenza di qualche mendicante, Rachel Lindsay
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accovacciato nei suoi miseri stracci con davanti la ciotola delle elemosine, ricordava la tragedia del sottosviluppo che assediava buona parte dei più di dieci milioni di persone che l'abitavano. Lei, comunque, si concentrò sulle vetrine dei negozi che straboccavano di sete e broccati, gioielli, raffinati intarsi lignei e meravigliose statue di avorio antico. Quando arrivò all'altezza del Taj Mahal Hotel, si portò sul bordo del marciapiede e iniziò ad attraversare la grande piazza sulla quale si apriva l'ingresso principale dell'albergo. Fu allora che li vide. Un uomo e una donna, due europei molto eleganti, seduti su una delle panchine seminascoste dai grandi cespugli di ibisco al centro del giardino. Con un tuffo al cuore, riconobbe prima i capelli ramati di Giles, poi la splendida capigliatura corvina di Vicky Laughton. Le loro teste erano molto vicine, come se fossero impegnati in una conversazione intima e importante. Abby cambiò bruscamente direzione, passando a una decina di metri dalla panchina, ma fu una precauzione inutile, perché il nipote della signora Bateman e la sua ex fidanzata erano così concentrati, che non si sarebbero accorti neanche del passaggio di un elefante! Lei sentì una rabbia feroce che le montava dentro. Giles non poteva essere così stupido da volere ancora una donna che lo aveva abbandonato tre anni prima e che adesso, per incontrarlo, doveva sicuramente aver mentito al marito! Guadagnò i raffinati interni del Taj Mahal Hotel in preda a un turbamento che non fece che aumentare la sua irritazione. Cosa mi importa se lui desidera Vicky?, si chiese nel tentativo di razionalizzare le proprie emozioni. È la sua vita, ed è libero di comportarsi come gli pare... per me non fa differenza! Era una bugia, e lo sapeva benissimo. Faceva una gran differenza. Ogni nervo del suo corpo la spingeva a desiderare di essere al posto dell'altra donna, di ricevere da Giles gli stessi sguardi adoranti... Quella constatazione le strappò un sussulto lacerante. L'inevitabilità della situazione le calò addosso in tutta la sua devastante ed elettrizzante potenza. Era innamorata. Ma come era accaduto, e quando? Se glielo avessero chiesto due giorni prima, avrebbe detto che Giles Farrow era l'uomo più odioso che avesse mai conosciuto! È solo attrazione fisica, pensò, cercando di minimizzare. Non può essere niente di più profondo. Però l'attrazione fisica, fin che Rachel Lindsay
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durava, aveva la prerogativa di far male. E ne aveva appena avuta una prova. «Perché diavolo Giles le permette di prenderlo di nuovo in giro?» borbottò a fior di labbra, aspettando un'impossibile risposta dal volto ineffabile di una divinità indù scolpita nel marmo. Quella sera, quando scese in sala da pranzo per la cena, scoprì con notevole disappunto che Giles era rimasto in casa. Con addosso solo un paio di pantaloni chiari e una camicia, il nipote della signora Bateman era molto attraente e lei pregò che non gli venisse in mente di intavolare una conversazione, cosa che, puntualmente, non si avverò. «Come sei seria stasera» osservò lui, andandole incontro. Abby scrollò le spalle, senza rispondere, e Giles, dopo averle scoccato un'occhiata penetrante, le portò un bicchiere colmo di un liquido giallastro. «Non voglio niente, grazie» rifiutò lei in tono freddo. «Provalo... è solo succo di frutta.» Con un sospiro rassegnato, Abby prese il bicchiere e se lo portò alle labbra. Il succo di frutta era buonissimo, ma lei quasi non se ne accorse. Tutti i suoi nervi erano tesi a percepire la presenza dell'uomo al suo fianco. Dio mio, è ancora peggio di quanto avessi immaginato, pensò, e, per paura di tradirsi, si mosse verso la signora Bateman, che era sprofondata in una poltrona sotto la finestra. «Stavo proprio dicendo con Giles che avrei voglia di fare un piccolo viaggio» annunciò Matilda, alzando gli occhi dal libro che stava consultando. Abby annuì distrattamente, la mente ancora concentrata sull'uomo dietro le sue spalle. «Pensavo di andare ad Aurangabad... è solo a un'ora di volo da qui.» Con uno sforzo, Abby cercò di ricordare quel che aveva letto a riguardo. «Non è famoso per via delle grotte?» mormorò. «Non può essere famoso per null'altro, mia cara» fu la divertita risposta dell'anziana signora. «Aurangabad è un misero villaggio di poche case, nel quale hanno costruito un paio di alberghi per ospitare i turisti che si fermano a visitare le grotte e i templi.» Abby annuì, riacquistando in pieno la memoria. Il tempio di Ajanta, scoperto nel 1819 in un avvallamento del terreno nelle vicinanze di Aurangabad, era uno degli esempi più eclatanti della raffinatezza raggiunta dalla civiltà indiana nell'antichità. I dipinti più antichi erano stati eseguiti circa due o tre secoli prima della nascita di Cristo. Rachel Lindsay
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«Se per te va bene» aggiunse la signora Bateman, «vorrei partire dopodomani. Giles ci procurerà i biglietti.» «Non è sicuro che riesca a ottenerli» obiettò lui, intervenendo nella discussione. «Conosci la spaventosa lentezza della burocrazia indiana.» «Sciocchezze!» esclamò sua zia con un gesto che voleva spazzare il campo da ogni possibile equivoco. «Il Governatore non può negarti un favore così insignificante.» Giles sorrise. «Tu dai un peso eccessivo a quella che può essere la mia influenza.» «So quel che vali» ribatté lei. «E sarebbe ora che cominciassi a capirlo anche tu.» Zia e nipote si fissarono come se stessero incrociando mentalmente le spade e Abby ebbe la sensazione che la signora Bateman avesse intuito che si era visto con Vicky. «Perché non vieni anche tu ad Aurangabad?» propose Matilda in tono solo apparentemente casuale. «Non credo che riuscirò a liberarmi.» «È il lavoro che ti trattiene?» «Che altro?» borbottò lui con espressione indecifrabile. «Ma vedrò se posso combinare. Andarmene da Bombay per qualche giorno potrebbe farmi bene.» Abby diventò di tutti i colori, e si allontanò immediatamente, dirigendosi verso il mobile bar per posare il bicchiere. Quando si voltò, vide che Giles l'aveva seguita per compiere la medesima operazione. Cercò di aggirarlo, ma lui le bloccò la strada. «Perché non sei venuta a salutarmi quando mi hai visto nella piazza davanti al Taj Hotel stamattina?» le chiese di punto in bianco. Se aveva intenzione di sorprenderla, ci riuscì in pieno. Lei lo fissò senza spiccicar parola. «So che mi hai visto» insistette Giles. «Ma io non sapevo che tu avessi visto me.» «Non sono ancora diventato cieco» ribatté lui, un lampo negli occhi socchiusi. «Mi hai ignorato perché non approvavi che fossi con Vicky?» «Non sono affari che mi riguardano» rispose prontamente lei, evitando il suo sguardo. «Se questo bastasse a fermare una donna!» Giles si fece ancora più vicino. «Allora, è per questo che non sei Rachel Lindsay
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venuta?» «No, certo che no... pensavo che preferissi non essere disturbato.» Lui meditò qualche secondo su quella risposta, poi riprese a parlare. «L'hai detto a mia zia?» «No. Non voglio deluderla.» Giles strinse la mascella. «Scegli con molta cura le parole, eh?» borbottò. «Vorrei poter dire lo stesso del modo in cui scegli le donne.» Abby si pentì subito di quell'uscita avventata, e ne aveva motivo. Infatti, se Giles non si fosse irritato per il suo valore superficiale, avrebbe potuto intuire che c'era sotto qualcosa. «Tu non sei in grado di giudicare Vicky» le disse in tono asciutto. «L'amore non è come lo descrivono nei romanzi rosa, dove tutti fanno sempre la cosa giusta e vivono felici e contenti. Nella vita reale, le persone commettono degli sbagli e ne pagano le conseguenze.» «Ti riferisci alla tua esperienza personale?» chiese freddamente lei. «In caccia di particolari piccanti?» «No. I tuoi sentimenti non mi riguardano.» «Pensavo che fossimo amici» disse lui con calma. «E gli amici non si giudicano prima di conoscere come stanno realmente le cose.» «Tu non ti comporti come se fossimo veramente amici» replicò Abby a voce bassa. «Sono sicura al cento per cento che non ti interessa quel che penso del tuo rapporto con la signora Laughton.» Giles sentì l'enfasi e si irrigidì. «Ti sottovaluti» disse a denti stretti. «Ehi, voi due, laggiù... si può sapere di cosa state confabulando?» chiese la signora Bateman dall'altro capo della sala. «Della situazione politica» rispose subito suo nipote con incredibile faccia tosta. «E a cosa serve? Tanto non riuscirete a risolverla!» «Se c'è una volontà decisa, si possono risolvere tutti i problemi di questo mondo» dichiarò Giles con voce inespressiva. Abby approfittò di quell'attimo di distrazione del suo interlocutore per spostarsi su uno dei divani in stile orientale che arredavano la stanza. Era sorpresa dal fatto che lui le avesse chiesto ragione del suo atteggiamento di quella mattina, e alla fine decise che aveva voluto sondarla per scoprire se aveva riferito a sua zia l'incontro con Vicky. All'improvviso sentì le molle del divano che si abbassavano, e capì che Rachel Lindsay
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Giles l'aveva raggiunta anche lì. Tenne gli occhi ostinatamente fissi sul pavimento, sperando che la lasciasse in pace e, soprattutto, che cambiasse idea riguardo a quel viaggio ad Aurangabad. L'idea di trascorrere due o tre giorni in sua compagnia la terrorizzava. «A cosa stai pensando?» La voce calda e virile penetrò nei suoi pensieri con un tempismo che la spaventò. «Mi chiedevo perché hai deciso di venire ad Aurangabad» borbottò lei. «Immagino che avrai visitato le grotte molte altre volte?» «Sì, certo, ma è un posto che vale la pena di rivedere di tanto in tanto. E poi sento il bisogno di allontanarmi dalla città, e sono sicuro che il tuo cervellino riuscirà a trovare diverse, sordide spiegazioni per questo.» «Non diverse, solo una!» sibilò Abby di rimando. «Fuggire dalle tentazioni.» Giles la squadrò da capo a piedi con deliberata insolenza. «Come fai a sapere se invece non abbia intenzione di abbracciarle, le tentazioni?» Lei si sentì avvampare e la risatina beffarda del suo compagno non l'aiutò certo a superare l'imbarazzo. «Ti consiglio di non servirti delle parole per combattermi, Abby» aggiunse lui con ironica sollecitudine. «E che altro mi rimane?» «Hai a disposizione armi ben più sottili, Abby West, ma credo che tu non sappia da che parte cominciare per adoperarle. Sei troppo ingenua.» «È un'ingenuità che preferisco mantenere» dichiarò Abby, sempre più rossa. «Sarebbe un peccato!» esclamò lui, e la sua voce si abbassò sensualmente. «I frutti maturi devono essere mangiati... Sarebbe uno spreco lasciarli marcire sul ramo!» Abby non seppe come replicare e ammise la sconfitta con un lieve sospiro. Giles aveva ragione quando diceva che non poteva combatterlo con le parole. Lui era troppo esperto in quel genere di schermaglie perché avesse la possibilità di sconfiggerlo. Soprattutto se, come adesso, all'intelligenza aggiungeva anche il peso del suo fascino virile. Fortunatamente Abby non era così sprovveduta da pensare che avesse iniziato a corteggiarla perché la trovava attraente. Forse voleva solo dimostrarle che, quando entrano in ballo le emozioni, tutti possono fare la figura dello scemo. Quello che non sapeva, era che lei non aveva alcun bisogno di essere Rachel Lindsay
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convinta...
8 Il giorno seguente Giles non andò in ufficio e passò metà della mattina a organizzare il viaggio ad Aurangabad e l'altra metà in un'interminabile discussione con sua zia riguardo a certi investimenti. Abby, che non si sarebbe mai sognata di ascoltare una conversazione così delicata, si sedette sul lato opposto della piscina e cercò di decifrare le note dell'ultimo libro della signora Bateman, con l'intenzione di riscriverle per renderle più comprensibili. All'improvviso un'ombra si proiettò sul tavolo dove stava lavorando e lei non ebbe bisogno di alzare gli occhi per capire che si trattava di Giles. «Perché non vieni a fare una nuotata?» le chiese, lasciandosi cadere su una sedia vicino a lei. Abby azzardò un'occhiata e colse la snella muscolatura di un paio di gambe perfettamente abbronzate. «O preferisci andare in spiaggia?» proseguì lui. «Juhu vale una visita.» «Potrei sapere a cosa devo tutte queste gentilezze?» chiese lei in tono inespressivo. «Sbaglio o un paio di giorni fa abbiamo fatto pace? Vorresti che tornassimo a essere nemici?» Giles emise un lungo sospiro. «Non credevo che tu fossi tanto puritana, Abby.» «Puritana? Io?» «Sì, proprio tu. Vedendomi con Vicky ti si sono arruffate le penne, e da allora hai deciso di trattarmi a pesci in faccia.» «Sono una ragazza vecchio stile e non amo gli inganni.» «Io e Vicky eravamo fidanzati» disse lui con calma. «Sarebbe ridicolo fingere che non ci conosciamo. Il passato è una cosa a cui bisogna essere capaci di guardare senza rimpianti.» «Però gli altri potrebbero pensarla diversamente» ribatté Abby, asciutta. «Non credo che il signor Laughton approverebbe il fatto che vi vediate. In circostanze simili, io non approverei di certo.» «Non vorrai dirmi che saresti gelosa di tuo marito?» «Mi pare normale essere gelosa se sapessi che esce da solo con una ragazza con cui era fidanzato. Specialmente se non è stato lui a rompere il Rachel Lindsay
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fidanzamento.» «Bene, bene» borbottò Giles, provocandola, «sono felice di sentire che conosci la gelosia. Se non altro, dimostra che sei capace di emozioni più violente di quel che pensavo.» «Tu non sei nella posizione di capire le mie emozioni» sbottò lei e si mosse per alzarsi. Un braccio nudo, forte, la inchiodò sulla sedia. «Tu hai l'abitudine di lanciare le tue frecciate e poi andartene» borbottò lui con un sorriso privo di allegria. «Ma stavolta non te lo permetterò.» Faceva sul serio e Abby, rinunciando a un'impossibile lotta, si rilassò contro lo schienale. «Lasciami andare, Giles. Sono sicura che la profondità delle mie emozioni non ti ha mai interessato.» «Qui ti sbagli» disse Giles, contraddicendola. «Sei una ragazza così tranquilla che non avrei mai immaginato di accorgermi dei tuoi sbalzi di umore e invece è tutto il contrario. Non sei un temporale, Abby... perché quelli si vedono arrivare e si fa in tempo a ripararsi. Tu assomigli piuttosto a una pioggerellina leggera, di quelle che ti infradiciano ancora prima che te ne renda conto.» «Oh, grazie!» esclamò lei, ironica. «Ho sempre sognato di essere paragonata a una pioggerellina...!» «Dovresti. Non c'è niente di più bello che passeggiare sotto una gentile, dolce acquerugiola.» «Può farti venire la polmonite!» replicò Abby, acida. «Sarebbe sempre un bel modo di morire!» Lei non rise. «Tu continui a scherzare» disse con voce tagliente. «Ma sei l'unico a divertirti. Piantala, Giles... è crudele, non intelligente.» «Crudele?» le fece eco lui, rabbuiandosi. «Non volevo essere crudele... non da quando ho iniziato a comprenderti. Ma vedo che sono stato anche stupido.» «In che senso?» chiese Abby, confusa. Ci fu una lunga pausa prima che Giles rispondesse. «Per il momento preferisco non dirtelo, Abby. Aspetterò che tu risolva la questione a modo tuo.» La guardò in modo strano, poi scattò in piedi e si allontanò, muovendosi con malcelata impazienza. Il mattino dopo alle cinque e mezzo, quando scese nell'atrio pronta per partire, Abby si stava ancora domandando che cosa aveva inteso con quella frase. Rachel Lindsay
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Il viaggio fino all'aeroporto e ad Aurangabad si svolse sotto un cielo nuvoloso e in un clima di tensione reciproca che solo il chiacchiericcio spensierato della signora Bateman riuscì ad alleggerire. Arrivarono a destinazione verso le undici e, dopo aver rapidamente attraversato le poche case del paese, si diressero subito all'albergo dove avevano prenotato le camere. Lì, si concessero appena il tempo di disfare le valigie e, consumato un pranzo leggero, ma sostanzioso, risalirono sul taxi e partirono alla volta del desolato altipiano di Ellora. Abby aveva molto letto e studiato a riguardo, ma nulla poteva prepararla allo spettacolo di quei trentaquattro templi, costruiti in epoche diverse da architetti Indù, Buddhisti e Jain, quasi a voler simboleggiare la tolleranza religiosa di cui l'India era, e resterà sempre, la culla. Anonimi monaci-scultori avevano asportato, nel corso dei decenni, qualcosa come duemila tonnellate di roccia, usando attrezzi rudimentali e senza l'ausilio di mezzi meccanici. Le parole non bastavano a descrivere la meraviglia delle sculture, che erano ricavate da un unico, gigantesco, pezzo di roccia, cesellato fino all'inverosimile in ogni minimo particolare. Era difficile scegliere la più bella, ma Abby rimase senza fiato di fronte all'enorme rappresentazione iconografica di Surya, il dio Sole, una delle principali divinità del complesso Pantheon induista. Il dio era rappresentato alla guida del suo carro, trascinato da otto cavalli appaiati, eseguiti con tale perizia da dare l'impressione di essere vivi. Per raggiungere l'effetto voluto, i monaci-artisti avevano seguito le venature della nera roccia, riproducendo con incredibile realismo la muscolatura degli animali contratta nello sforzo della corsa, le criniere svolazzanti, l'espressione degli occhi. Era uno spettacolo unico al mondo, e a un certo punto lei, quasi stordita da tanta bellezza, si sedette sui gradini di un tempio per riprendere fiato. «Ti piace, Abby?» La voce calda di Giles la riscosse dalle sue meditazioni e, voltandosi, Abby vide che la stava guardando con un sorriso sulle labbra. «Sì, moltissimo... forse troppo» rispose in tono sommesso, come se avesse paura di disturbare qualcuno parlando a voce alta. «Quello che non capisco è come siano riusciti a fare queste sculture» aggiunse, riportando lo sguardo sul carro del dio Sole. «È già abbastanza difficile scolpire la roccia quando la si guarda da davanti, ma qui hanno cominciato a scavare dall'alto... E' pazzesco!» Rachel Lindsay
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«Credo che prima abbiano selezionato un pezzo di roccia, scavandoci tutto attorno una specie di fossato, e poi abbiano proseguito nel modo normale.» «Sì, ma deve essere stato un lavoro titanico» borbottò lei, scuotendo la testa. «Certi templi sono alti trenta metri!» «È proprio questo che li rende così affascinanti. E noi pensiamo di avere gli artigiani migliori...» Lui fece un gesto con la mano. «La maestosità di questo posto è insuperabile.» Abby capì esattamente quel che voleva dire e condividere la sua opinione le diede una strana contentezza. Lo amava e, istintivamente, si chiese se da ragazzo era stato diverso, meno cinico e più sensibile. «Allora, cos'hai deciso?» chiese bruscamente Giles dopo qualche istante di silenzio. «Eh...?» lei alzò di scatto la testa. «Non capisco... a che riguardo?» «Riguardo a me. Mi fissavi come se volessi prendermi le misure.» Quell'espressione le strappò un sorriso. «Mi domandavo se da ragazzo eri già così sicuro di te come adesso.» «Ti sembro sicuro?» Lui fece una smorfia, ma non aspettò che rispondesse. «Da ragazzo ero una combinazione difficile... timido, intelligente e incredibilmente determinato. Volevo molto bene a mio padre... un uomo eccezionale, ingegnere e poeta. Ho sempre voluto assomigliargli.» «Scrivevi poesie anche tu?» «Lo faccio ancora.» Gli occhi ambrati si strinsero, riducendosi a due fessure impenetrabili, e Abby sentì che la stava valutando. «Un giorno te le darò da leggere.» «Un giorno?» «Non sei ancora pronta per leggerle adesso.» Infastidita dal fatto che lui continuasse a considerarla immatura da un punto di vista emotivo, lei si allontanò. Giles la trattava esattamente come avrebbe trattato una dipendente di sua zia con la quale all'inizio era stato sgarbato e che ora aveva deciso di far sentire a proprio agio. Abby era stata un'ingenua a sperare, sia pure per un solo momento, che fosse venuto ad Aurangabad per il piacere della sua compagnia. Era venuto perché aveva bisogno di scappare da Bombay, di mettere un centinaio di chilometri fra sé e Vicky Laughton. Quella riflessione la rallegrò, perché significava che Giles stava facendo del suo meglio per non soccombere Rachel Lindsay
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all'attrazione che provava per una donna sposata. «Ti andrebbe una bibita fresca?» Giles l'aveva seguita e, senza aspettare che decidesse, la prese per un braccio e la guidò verso la scalinata di pietra che conduceva fuori dall'avvallamento dei templi, in direzione del parcheggio. Il taxi col quale erano venuti era fermo all'ombra di un gruppo di acacie e lei non capiva dove avesse intenzione di portarla. «Non mi dirai che c'è un bar in mezzo a questo deserto?» chiese con espressione stupita. «No.» Lui sorrise e, dopo aver aperto il bagagliaio della macchina, prese un borsone dal quale estrasse un thermos e due bicchieri di plastica. Li riempì di succo di frutta ghiacciato e, con aria soddisfatta, gliene porse uno. «Ma pensi sempre a tutto?» esclamò Abby con aperta ammirazione. «Sono abituato a viaggiare» disse modestamente Giles. «Ho l'impressione che tu raggiunga questi risultati in ogni cosa che intraprendi.» «Lo dici come se fosse un difetto» commentò lui, lanciandole un'occhiata indagatrice. «Potrebbe diventarlo» asserì lei con molta serietà. «La perfezione è difficile da mantenere.» «Perfezione... addirittura! Devo prenderlo per un complimento?» Di colpo Abby capì che doveva stare più attenta. Se lui avesse intuito che se ne era innamorata, sarebbe stata la fine! «Dov'è tua zia?» chiese, smettendo di guardarlo. «A fotografare uno dei templi. L'autista è con lei, quindi non ci sono problemi.» «Ti preoccupi per lei, vero?» «Sì. È una vecchia bambina, ma è vecchia! Sono felice che abbia incontrato te quando si è ammalata ad Agra.» Lei si sentì il cuore che le si allargava. «Non hai più paura che voglia sfruttarla?» Giles si accigliò. «Non ricordarmi le sciocchezze che ho fatto e detto. Se potessi, mi prenderei a calci...!» Abby sorrise e si portò alle labbra il bicchiere, continuando a fissarlo. Era bellissimo, ma aveva un'espressione remota, come se fosse perso in pensieri molto profondi e importanti. «Come sei diventato serio» disse, tentando di non far trapelare Rachel Lindsay
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l'emozione dalla voce. «A cosa pensi?» «Cercavo di vedermi dal tuo punto di vista» confessò lui, «e non sono sicuro di gradire il quadro.» «Tu non puoi sapere come ti vedo» obiettò lei. «Dici? Credo invece di potermi avvicinare abbastanza.» Giles si mise a enumerare: «Hai già detto che sono freddo e poco amichevole. Poi, qualche istante fa, hai aggiunto che sono perfetto e che mi aspetto la perfezione dagli altri, come a significare che sono uno snob e che manco di comprensione». «Oh no! Adesso stai esagerando a denigrarti. Io non ti vedo così!» «Come, allora?» «Forse un giorno te lo dirò» ribatté Abby a muso duro, e poi, scoppiando a ridere, aggiunse: «Si può giocare in due allo stesso gioco, Giles!». Per un attimo lui rimase sorpreso, poi scosse la testa e si unì alla risata. «Abby West, sarai anche piccolina e indifesa, ma hai una lingua che taglia come un rasoio!» All'improvviso le prese una mano, la strinse e continuò a tenerla anche quando sua zia li raggiunse, asciugandosi il viso con un grande fazzoletto di foggia maschile. Ansimava per il caldo, e accettò con un sospiro di sollievo il bicchiere che Giles le aveva riempito. «Un bagno e un letto» borbottò, mentre salivano sul taxi per tornare all'albergo. «Non sogno altro! Stasera voi giovani dovrete fare a meno di me.» Abby aprì la bocca per dire che avrebbe preferito ritirarsi in camera, ma poi cambiò idea e la richiuse. Se continuava a evitare di restare sola con Giles, lui avrebbe potuto sospettare i motivi reali di quel comportamento. «Ho paura che non sarà niente di eccitante, Abby» borbottò lui. «La vita notturna di Aurangabad si riduce al giro del nostro albergo!» Lei rise. «Dopo la scarpinata di oggi sarò più che felice di sedermi da qualche parte con un gelato in mano!» «Bene. Fissiamo subito un appuntamento... alle otto al bar, d'accordo?» Studiando il suo magro guardaroba dopo aver fatto una lunga e benefica doccia, Abby scelse l'abito di cotone rajasthano che la signora Bateman aveva insistito per farle comprare durante uno dei loro giri nei negozi di Bombay. Il taglio non era niente di speciale, ma il tessuto, coloratissimo e ricamato, era stato arricchito da decine di piccoli specchietti, che a ogni passo riflettevano da una diversa angolazione le luci della stanza, Rachel Lindsay
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accendendosi come tanti piccoli occhi. Quando scese nel bar, vide Giles prima che lui si accorgesse del suo arrivo, e sperimentò un'emozione così violenta che rimase paralizzata sulla soglia. Anche una donna che entrasse lì per la prima volta non avrebbe potuto fare a meno di essere affascinata dalla sua figura: alto, slanciato, teneva la schiena diritta e osservava la gente seduta nella sala con la quieta sicurezza di un uomo conscio dei propri mezzi. Poi, come se avessero percepito la sua presenza, gli occhi ambrati si spostarono nella sua direzione, e lui si staccò dal bancone per venirle incontro. Senza parlare, le presentò uno squisito cocktail di frutta e le propose di trasferirsi subito nella sala da pranzo. «Mi hanno detto che un grosso gruppo di turisti giapponesi scenderà fra qualche minuto, e vorrei filarmela prima che arrivino» spiegò. Era una ragione più che valida e lei lo seguì fino al tavolo che avevano riservato per loro. La sala da pranzo aveva un aspetto un po' squallido, ma il cibo era ottimo e, dopo aver ordinato per entrambi, Giles insistette perché si concentrasse esclusivamente sulle portate. Abby fu felice di obbedirgli. La lunga escursione del pomeriggio l'aveva stancata e le bastava stare vicino a lui in quel piacevole silenzio, finalmente libero da tensioni inespresse. Trascorsero così un'ora semplicemente paradisiaca, poi, all'improvviso, mentre bevevano la seconda tazza di caffè, lei vide il corpo del suo compagno che si irrigidiva. Voltando leggermente la testa, seguì la direzione del suo sguardo stravolto e scorse Vicky Laughton e suo marito che entravano nella sala, dirigendosi verso il loro tavolo. «Non avevo la minima idea che foste da queste parti» disse Anthony Laughton, dopo averli salutati. «Vicky e io abbiamo deciso di venire all'ultimo momento... o meglio, è stata Vicky a decidere, e io, da bravo marito, l'ho accontentata!» «Mi sembra il minimo che potevi fare» borbottò l'interessata con un sorriso irresistibile. «Mi hai lasciata sola a Bombay per tre giorni per andare a guardare quei tuoi strani uccelli!» «Be', se non altro erano del tipo con le penne e il becco» scherzò Anthony, ma se sperava di farla ingelosire, fallì miseramente. «Se fossero stati di un altro tipo, forse adesso saresti un po' più eccitante» fu la secca replica di sua moglie, e Abby vide un'espressione di dolore attraversare gli occhi azzurri dell'uomo. Rachel Lindsay
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«Zia Mattie non è qui?» chiese Vicky a Giles in tono appena malizioso. «Non vorrei che avessimo interrotto qualcosa di importante?» Abby si sentì avvampare, ma Giles non batté ciglio. «Mia zia cena in camera» disse con voce inespressiva. «E, se avessi voluto portare Abby da qualche parte per gli scopi che tu pensi, non avrei certo scelto un posto come questo.» Vicky si esibì nella sua risatina di gola. «Oh, come sei rigido! Vivere in India non ti ha cambiato.» «Non tutti possono avere la stessa morale» mormorò suo marito. «Su questo Giles e io siamo sempre stati d'accordo.» Gli occhi di Vicky scintillavano come due stelle, ma, quando si posarono su Abby, non espressero alcuna simpatia. «Lei sta certamente vedendo molto dell'India, signorina West.» «Non più degli altri turisti» rispose Abby. «Alla fine ci si trova sempre negli stessi posti.» «Mia moglie preferisce improvvisare» disse Anthony Laughton. «Venire qui, per esempio, non era in programma.» «Sarai contento di avermi ascoltato quando vedrai le sculture» borbottò sua moglie, e lanciò un'altra occhiata a Giles. «Che ne dici di unire le forze domani?» «Noi siamo già stati a Ellora. Domani andremo ad Ajanta.» «Allora potremmo spostare l'ordine tradizionale e venire prima ad Ajanta. Ci vediamo dopo la cena al bar per concordare gli ultimi dettagli?» «Perché no?» Giles annuì con fare noncurante, e li salutò con un cenno del capo mentre si spostavano verso il loro tavolo. Nel silenzio che seguì, Abby continuò a guardarlo, aspettandosi che facesse qualche commento sull'improvvisa apparizione di Vicky, ma lui riprese la sua tazza senza dare alcuna impressione di voler parlare. «Sapevi che sarebbero venuti?» gli chiese lei alla fine, un po' infastidita. «È una domanda o un'accusa?» Giles sbatté rabbiosamente la tazza sul piattino. «Mi pare di averti già detto più di una volta che non mi piace essere giudicato.» «Ma io non ti stavo giudicando.» «Ah, no?» Abby arrossì. «Be'... pensavo solo che...» «So esattamente quel che pensi, e ti ricordo che la mia ex fidanzata è accompagnata dal marito. O non te ne sei accorta?» Rachel Lindsay
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Lei sentì le labbra che le tremavano. Non si aspettava quello scatto, ma era stata stupida a non prevederlo. Ogni volta che compariva Vicky, Giles diventava un altro. Era una cosa che avrebbe fatto meglio a non dimenticare mai... Lui si alzò senza avvisarla, spezzando il corso delle sue riflessioni, e ad Abby non restò che seguirlo in direzione del bar. «Se non ti dispiace salgo in camera» gli disse, quando furono davanti alla porta. «Così potrai restare solo con i tuoi amici.» «Oh, no, carina, non così facilmente!» Ancora furioso, Giles l'afferrò per un braccio e la trascinò all'interno del bar. Sapendo che si aspettava della resistenza, lei si rilassò immediatamente e si sedette su un divanetto di pelle senza fare storie, nascondendo un sorriso di trionfo quando vide la sua aria confusa. «Non riesco a capirti» borbottò, quasi a se stesso. «So che abbiamo iniziato con il piede sbagliato... e la colpa è sicuramente mia... ma non ti ho dato alcun motivo di considerarmi il peggior libertino del mondo!» «Io non ti considero il peggior libertino del mondo» replicò Abby in tono tranquillo. «È solo che abbiamo modi diversi di vedere le cose, e nessuno dice che il mio sia migliore del tuo.» «Però lo pensi, vero?» «Ognuno sta comodo nelle sue scarpe.» «Ti è mai capitato di innamorarti dell'uomo sbagliato?» Giles le lanciò un'occhiata piena di amarezza. «O tu sei una di quelle persone fortunate che si innamorano a comando?» Sì che mi è capitato, avrebbe voluto dire lei, mi sono innamorata di te! «Non sono mai stata innamorata» disse invece. «E, da quel che ho visto della gente che lo è, spero che non mi capiti mai.» «Continua così, e vedrai che non ti succederà di sicuro.» Abby si morse le labbra, rifiutando di fargli capire come soffriva. «Tu non sei solo ingenua e innocente» proseguì lui con voce tagliente, «ma anche rigida e di mentalità ristretta. Forse sei un frutto che non maturerà mai... uno di quelli destinati a marcire sul ramo!» Lei scattò in piedi con un gemito. Quello era troppo e nemmeno l'autocontrollo di un fachiro le avrebbe permesso di soffocare le lacrime che sentiva premere agli angoli degli occhi. «Vado a letto» dichiarò con un filo di voce. «E ti prego di non cercare di fermarmi.» Sola nella quiete della sua camera, lontana da sguardi indiscreti, si Rachel Lindsay
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concesse finalmente un lungo pianto liberatorio, al termine del quale, con gli occhi gonfi e rossi, sedette al tavolino del trucco. «Tu non sei altro che una qualsiasi signorina Nessuno» disse alla sua immagine riflessa nello specchio. «Perché ti sorprendi se Giles ti vede nello stesso modo? E che diritto hai di fare commenti sul suo comportamento? Se anche decidesse di portarsi a letto due donne alla volta, non sarebbero affari tuoi!» Dopo quel monologo assurdo, si alzò ancora più turbata di prima e iniziò a passeggiare nervosamente per la stanza. Dovunque guardasse, nella sua mente campeggiava l'immagine del volto di Vicky: bellissimo, provocante, sensuale. Abby era convinta che fosse venuta ad Aurangabad per stare con Giles. E suo marito lo sapeva, o almeno lo sospettava. Ma allora perché aveva accettato di accompagnarla? Forse per darle modo di decidere una volta per tutte cosa fare del suo futuro? Ma non era la sola Vicky a dover decidere in quel senso... Giles, con il suo comportamento, avrebbe recitato una parte determinante in quella commedia. Svuotata di ogni energia, Abby s'infilò nel letto e spense la luce. L'oscurità le calò attorno come una cappa, ma non era certo più nera del suo umore. Rimase sveglia per molte ore prima di addormentarsi.
9 Solo la consapevolezza che la signora Bateman si sarebbe dispiaciuta se non fosse andata ad Ajanta, impedì ad Abby di darsi malata e restare in albergo. Il mattino della partenza si svegliò con una forte emicrania e un senso di spossatezza, e la vista di un Giles particolarmente taciturno e tirato non servì certo a rallegrarla. Così, a parte Matilda Bateman che, in scarpe basse e cappello di paglia contro il sole, era l'immagine stessa dell'intrepido turista inglese, fu un trio non molto vivace quello che si apprestò alle due lunghe ore di macchina che bisognava affrontare prima di giungere alla gola stretta e profonda, sulle cui pareti erano state scavate le famose grotte di Ajanta. A differenza di quelle di Ellora, che rimanevano sempre vicine alla superficie del terreno, queste erano vere e proprie caverne, che si spingevano per centinaia e centinaia di metri nelle viscere delle colline circostanti. Lì, protetti da enormi spessori di roccia, i monaci buddhisti, Rachel Lindsay
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più di duemila anni prima, avevano ricavato dei giganteschi stanzoni nei quali erano state poste le trentanove statue delle diverse forme del Buddha. Quando iniziarono il loro giro, Abby, se ancora ce ne fosse stato bisogno, ebbe un'altra prova che l'idea di spendere i soldi della vincita in quel viaggio era stata la migliore che avesse mai avuto. Non c'erano vestiti, gioielli o pellicce che potevano valere l'emozione di essere lì, di camminare in quelle gallerie lisciate dai passi degli eremiti che, nel corso dei secoli, vi avevano abitato per ricercare l'ultima verità, il segreto della vita e della morte. E, se non l'avevano trovata, la perfezione dei dipinti che ornavano le volte delle cripte indicava che ci erano andati molto vicini. Unico neo in tanto splendore, la folla di visitatori che si accalcava all'ingresso di ogni grotta, costringendoli a volte a lunghe attese prima di poter procedere nella loro esplorazione. Verso le undici, la signora Bateman, che forse aveva richiesto troppo al suo fisico il giorno precedente a Ellora, annunciò che, se non si fosse seduta subito, avrebbero dovuto trasportarla via a braccia. «Ma voi due andate pure avanti. Io mi fermo qui all'ombra ad aspettarvi.» «Possiamo aspettare assieme» disse subito Giles, e si mise a cavalcioni del muro che era stato costruito lungo le ripide scalinate che univano esternamente le varie caverne, una protezione necessaria per evitare che qualche turista distratto precipitasse nel fondo della gola. Abby lo imitò, stando bene attenta a mantenere una distanza di sicurezza, e lasciò vagare lo sguardo sull'interminabile serpente di visitatori che si snodava a varie altezze sul costone della collina. C'erano più indiani che stranieri, e, dai loro atteggiamenti di devozione, si capiva che vivevano quell'esperienza come un pellegrinaggio religioso e non come un semplice giro turistico. A un certo punto, sopra alle loro teste, scorse una capigliatura tristemente familiare e riconobbe i lineamenti perfetti di Vicky Laughton. Anche Giles l'aveva vista, perché si voltò verso sua zia, e, in un tono apparentemente casuale, disse: «Vicky e suo marito sono qui. Sono arrivati ad Aurangabad ieri sera». «Non è una sorpresa» grugnì la signora Bateman, facendosi vento con un opuscolo. «Se consideri che ha fatto diecimila chilometri per vederti di nuovo, un piccolo viaggio da Bombay non deve pesarle tanto.» «Adesso capisco da chi prende spunto Abby...!» borbottò lui con Rachel Lindsay
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un'espressione granitica che spinse Matilda a guardare Abby con occhi sgranati. «Hai provato anche tu a farlo ragionare?» domandò. Abby arrossì. Sentirsi porre la domanda in modo così diretto, le fece realizzare quanto era stata sfacciata nel giudicare un uomo che conosceva appena. Come stupirsi se si era arrabbiato! «Visto che ci siamo incontrati un'altra volta!» La voce argentina di Vicky non tradiva alcun segno di stanchezza. La ragazza aveva la pelle fresca come una rosa e la sua bellezza colpì Abby con la violenza di una mazzata. Poi Vicky mormorò qualcosa, e Giles rispose con una risatina bassa, inequivocabilmente sensuale. Abby si girò dall'altra parte, fingendo un grande interesse per il panorama. Avrebbe voluto essere lontana migliaia di chilometri e, quando Giles le parlò, sobbalzò visibilmente. «È ora di riprendere la marcia, Abby.» Lei si tirò in piedi, cercando di non vedere le unghie scarlatte di Vicky posate sulla pelle del suo braccio... «Forse la signorina West preferisce restare con zia Mattie» disse Vicky in tono falsamente premuroso. «Anche a Tony non piace camminare veloce...» «Ma io non ho nessuna intenzione di camminare veloce» ribatté Giles. «E in mezzo a questa folla, è meglio restare uniti. Se tu, però, hai fretta...» «No, nessuna fretta.» Vicky sorrise. «Sono sicura che sei una guida migliore di Tony.» Appoggiandosi sempre al suo braccio, prese la testa del gruppo, e Abby, notando la smorfia della signora Bateman, capì che zia Mattie era furiosa per il modo in cui Giles si era fatto pilotare. Ma, a questo punto, che senso aveva intromettersi? Se Vicky aveva deciso di mollare il marito e tornare con Giles, lui era l'unico arbitro della situazione, il che, purtroppo, lasciava pochi dubbi sulla sua conclusione... Involontariamente, Abby lanciò un'occhiata ad Anthony Laughton. Il poveretto camminava al suo fianco, ma fissava la moglie con l'espressione di un cane bastonato. Abby avrebbe voluto scuoterlo. Non capiva che l'unico modo di tenere testa a una donna con il temperamento di Vicky era di mostrarsi forti e decisi e che tirarsi da parte veniva interpretato solo come un segno di debolezza? «A quanto pare dovrà accontentarsi di me, signorina West» le disse, Rachel Lindsay
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quando Vicky e Giles avevano guadagnato già una decina di metri su di loro. «Sono sicura che lei sa molte cose su queste grotte» ribatté Abby con un sorriso, notando la guida che portava sotto il braccio. «L'entusiasmo non mi manca di certo!» esclamò lui, illuminandosi un po'. «Vuole che le legga quel che dice il libro di ogni grotta?» Lei annuì, vedendo che era contento di rendersi utile, ma presto fu tanto interessata da quel che udiva, che perse l'iniziale senso di disagio. Le caverne erano rischiarate da luci soffuse, per non rovinare la vernice dei dipinti e, in mezzo a quella calca, l'aiuto della guida si rivelò essenziale per capire quel che stavano vedendo. «Nella prossima cavità dovremmo trovare una statua del Buddha particolarmente interessante.» Anthony alzò gli occhi dal libro e indicò un vano ovale dal quale si accedeva a una cripta molto alta, dove era disposta la statua finemente lavorata di un Buddha benedicente seduto a gambe incrociate su un fiore di loto. «E che cosa c'è di particolare?» chiese Abby. «Ne ho viste centinaia uguali a questa.» «L'espressione del volto... è straordinariamente serena. Si concentri, signorina West, e capirà quel che voglio dire.» Abby si concentrò, poi si avvicinò alla statua. Il signor Laughton fu costretto a spostarsi per lasciar passare un gruppo di turisti, e lei rimase sola nella cripta. Alzò lo sguardo verso il Buddha, poi fece due passi di lato, in modo da poterlo ammirare di profilo. Fu allora che, con la coda dell'occhio, colse dietro al basamento del fiore di loto, un movimento di stoffa chiara, due braccia femminili avvolte a una figura più scura. Si tirò indietro di scatto, ma ormai l'immagine di Giles e Vicky che si baciavano era impressa a fuoco nel suo cervello. Sconvolta, tornò nella galleria principale e, seguendo ciecamente la corrente dei visitatori, si trovò, più per caso che altro, a fianco di Anthony Laughton e della signora Bateman. «Hai visto Giles?» le chiese l'anziana scrittrice. Troppo turbata per fidarsi di parlare, Abby si limitò a scuotere la testa, poi si voltò verso uno dei dipinti. Quando sentì la signora Bateman che chiamava, capì che Giles e Vicky erano riapparsi. «Perché siete andati avanti?» domandò lui a sua zia. «Avevo detto che Rachel Lindsay
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era meglio restare vicini.» «In questa ressa?» borbottò Matilda con un gesto d'irritazione. «È già un miracolo se si riesce a respirare!» «Allora propongo di interrompere qui» disse Giles con decisione. «Tu hai già fatto troppo.» «Mi associo. Va' avanti con Abby, io torno alla macchina.» «Perché non torniamo tutti con la nostra macchina?» suggerì Vicky. «Siamo riusciti a trovarne una con l'aria condizionata.» La prospettiva di passare due ore confinata con Giles e la donna che amava, spinse Abby a cercare una scusa per staccarsi dalla compagnia. «Io pensavo di restare qui per parlare con i pittori che lavorano su queste riproduzioni» disse, indicando il cavalletto infilato in una nicchia poco lontano. «Non credo che si faranno vedere prima dell'orario di chiusura delle caverne» obiettò Giles, lanciandole un'occhiata indagatrice. «Ma se ti interessa, posso trovare il modo di farti tornare domani.» «Preferisco fermarmi adesso» insistette Abby. «C'è molta gente del nostro albergo qui, e non avrò difficoltà a farmi dare un passaggio.» Convinti, tutti gli altri si mossero verso l'uscita, ma Giles rimase indietro. «C'è qualcosa che non va, Abby? Mi sembri imbronciata.» «No, va tutto benissimo.» «Oh, certo!» bofonchiò lui a denti stretti. «Immagino che credi che abbia progettato questo viaggio apposta per vedermi con Vicky, vero?» «Ho smesso di preoccuparmi per te e la signora Laughton. La tua vita non mi riguarda.» «Un giorno o l'altro ti darò una lezione di quelle che ricorderai per un pezzo!» sibilò Giles di rimando, in modo che nessuno, compresa Vicky che lo stava guardando, capisse quel che le aveva detto. Abby gli voltò le spalle e, dopo aver aspettato che se ne andasse, riprese lentamente il giro di esplorazione. Col passare dei minuti, l'intricata bellezza dei dipinti ebbe un effetto calmante sulla sua mente, facendole realizzare quanto futili sarebbero apparsi i suoi problemi fra un centinaio di anni, come futili apparivano ora i problemi degli uomini che avevano lavorato per creare quel mondo sotterraneo. Ma forse loro erano stati più saggi; devoti solo alla loro religione, fedeli agli insegnamenti del Buddha, avevano accantonato il miraggio della donna e dell'oro, scegliendo di Rachel Lindsay
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vivere lontani dalle apparenze e dai condizionamenti della società civile, lontani dalla violenza delle emozioni provocate dall'amore e dall'odio. Profondamente depressa dalla prospettiva di un futuro privo di amore, Abby si sedette in una delle cavità più interne dell'intero percorso, che veniva solo sfiorata dal flusso dei visitatori. C'era una nicchia che sembrava fatta apposta per accogliere il corpo di un uomo, e lei appoggiò la testa alla parete rocciosa, respirando regolarmente per rilassarsi. Riprese conoscenza a causa di un forte crampo a una gamba. Era buio fitto. Per qualche terribile istante, Abby non capì dove si trovava, e fu solo quando sentì una protuberanza della roccia premerle la schiena che ricordò il viaggio ad Ajanta, Giles, Vicky, la nicchia nella caverna... Balzò in piedi con un gemito. Era sola! Avevano spento le luci e se n'erano andati via tutti. Guardò l'orologio, ringraziando Dio che avesse le lancette luminose, e vide che erano le sette. Le grotte chiudevano alle sei. Dio mio, pensò, mi hanno chiusa dentro! Si avviò con il cuore che le batteva all'impazzata nel petto, inspirando a fondo per calmarsi. Non doveva farsi prendere dal panico. L'uscita non era lontana e, anche se le caverne erano silenziose come una tomba, non erano una tomba. Tutt'al più ci poteva essere qualche fantasma dei monaci che... Sta' zitta!, si disse freneticamente. Ci manca solo che pensi ai fantasmi! Erano passati un paio di minuti da quando si era svegliata, e, ora che i suoi occhi si erano abituati all'oscurità, cominciò a scorgere un debolissimo chiarore che proveniva dalla caverna principale. L'uscita doveva essere da quelle parti; Abby iniziò a camminare, tastando il terreno con i piedi e tenendo le mani protese in avanti per non andare a sbattere contro qualcosa. All'improvviso, circa quattro metri più avanti, vide un sottile spiraglio di luce filtrare come da sotto una porta, e capì che ce l'aveva fatta. Accelerò il passo e sentì sotto le mani il legno del battente. Meno male... ma, e se fosse stata chiusa? Quel pensiero la paralizzò per almeno dieci secondi, poi, facendosi coraggio, cercò a tentoni la maniglia e la girò... Era fuori! L'aria fresca della notte le accarezzò il viso e mai le era sembrata più meravigliosamente profumata! Anche la visibilità era migliore. Il sole era tramontato da circa un'ora, ma una falce di luna rischiarava il tortuoso susseguirsi di gradini che portavano all'inizio del percorso, nel fondo della gola. Ora era solo questione di tempo. Il villaggio più vicino si trovava a Rachel Lindsay
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cinque chilometri, e, camminando di buon passo, avrebbe potuto raggiungerlo in un'ora. Da lì, poi, arrivare all'albergo ad Aurangabad sarebbe stato un gioco da ragazzi. Molto più rincuorata e fiduciosa, Abby iniziò a scendere i primi scalini, e scoprì che la cosa non era semplice come aveva pensato. La luce pallida della luna era debole, falsava le distanze, e bisognava procedere con la massima cautela per non correre il rischio di cadere. Perse la strada per due volte, finendo la prima in un fondo cieco, e la seconda contro una porta chiusa, che doveva precludere l'accesso a una grotta in via di restauro. Che stupida era stata ad addormentarsi a quel modo! Forse, inconsciamente, aveva cercato rifugio in un mondo dove Giles e i problemi a lui connessi non esistevano? Maledicendosi per quella sciocca abitudine a porsi domande alle quali non poteva rispondere, superò una serie di gradini particolarmente alti e sconnessi. All'improvviso la luna venne coperta da una nuvola e l'oscurità si intensificò pericolosamente. Abby decise di fermarsi per aspettare che tornasse la luce, ma in quella poco lontano risuonò il grido rauco di un animale. Innervosita, si chiese che genere di creature abitassero la gola e ricordò che nel libro che descriveva la scoperta delle grotte, aveva letto che gli ufficiali inglesi erano arrivati lì seguendo le tracce di una tigre ferita... Ma nell'India moderna non c'erano più tigri, vero? Oppure sì...? Un fruscio nel sottobosco alla sua sinistra le fece rizzare i capelli sulla testa. Si rimise frettolosamente in marcia, ma paura e prudenza non vanno molto d'accordo. L'incidente avvenne quasi alla fine di una lunga scalinata. Mise un piede in fallo, cercò invano di aggrapparsi al muro di sostegno, e cadde, rotolando su un paio di gradini. Si fermò con la pancia all'aria e le braccia stese sul duro terreno, imprecando contro la propria goffaggine. Grazie a Dio non era successo niente, ma avrebbe potuto farsi male. Aspettò qualche secondo per prendere fiato, poi si alzò, o meglio, tentò di alzarsi. Nell'attimo in cui poggiò a terra il piede sinistro, sentì una fitta lacerante alla caviglia e ricadde all'indietro mordendosi le labbra per non gridare. Il dolore era così forte da intontirla, e fu solo dopo mezzo minuto che ebbe il coraggio di sfiorare con le dita la parte offesa. L'osso della caviglia sembrava intatto, ma la carne attorno si stava gonfiando rapidamente, e Rachel Lindsay
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anche la più lieve pressione risultava insopportabile. Niente da dire, era una bella distorsione... Abby alzò gli occhi al cielo e chiese al Signore che cosa avesse fatto di male per meritarsi anche questa disgrazia. Eccomi qui, pensò, ormai disperata, non posso muovermi e l'unica speranza che mi rimane è che le tigri della zona abbiano già mangiato stasera! Stava cercando di farsi coraggio, ma sapeva che la situazione non era delle più allegre. L'indomani mattina gli addetti alle grotte l'avrebbero trovata sicuramente, ma la notte era lunga da passare e, adesso che non poteva camminare, scoprì che l'aria era piuttosto fredda. Fece ancora un paio di tentativi di muoversi, ma poi, rassegnata al peggio, si trascinò contro la parete rocciosa e attese. E' incredibile come scorra lentamente il tempo quando non si ha altro da fare che contare i battiti del proprio cuore, e Abby, nella prima ora, guardò l'orologio almeno quattro o cinque volte, sempre convinta di aver già superato la mezzanotte. Alla fine abbandonò anche quell'ultimo appiglio psicologico, e pianse tutta la sua desolazione, fino a stordirsi. Doveva anche essersi appisolata, perché a un tratto si rizzò a sedere, certa di aver sentito un rumore. Tese le orecchie, ma non udì nulla. Si appoggiò alla parete con un sospiro, poi, di colpo, il suono si ripeté e le parve che qualcuno chiamasse il suo nome. Quasi incredula, provò a rispondere. «Sono qui! Sono qui!» gridò con quanto fiato aveva in gola. «Abby! Continua a chiamare!» Sebbene debole, la voce si era avvicinata, e lei riconobbe il timbro caldo di Giles. In distanza vide lampeggiare una torcia elettrica, che poi sparì dietro a un angolo del sentiero. Quando riapparve, era molto più vicina e luminosa. Giles la incitò a continuare a chiamare a intervalli regolari, in modo da poter seguire il suono della sua voce come una traccia, e cinque minuti dopo si inginocchiò febbrilmente accanto a lei, afferrandola per le spalle. «Dove diavolo ti eri cacciata?» Non c'era sollecitudine nelle sue parole, solo rabbia. «Sei impazzita tutto d'un colpo? Cosa fai rannicchiata contro il muro? Avresti potuto almeno pensare di muoverti, con questo freddo!» «Non posso muovermi» mormorò Abby, abbagliata dalla luce della torcia. «Sono ferita.» La stretta sulle sue spalle si accentuò. «Ferita come?» «Non è niente di grave.» Lei aveva retto fino a quel momento, ma ora la Rachel Lindsay
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sua voce s'incrinò di pianto. «M... mi sono s... storta la c... caviglia... s... sono scivolata... su un g... gradino e...» Giles imprecò a fior di labbra e, gentilmente stavolta, la sollevò da terra. «Qui non possiamo fare niente per la tua caviglia. Passami un braccio attorno al collo e tieni la torcia con la mano libera. Con un po' di fortuna dovremmo riuscire a scendere in fondo senza altri incidenti.» Abby obbedì senza fare storie, stringendo convulsamente le mascelle ogni volta che un movimento brusco le faceva venir voglia di urlare per il dolore. Lui si accorse che soffriva e accelerò il passo, riprendendo a parlare solo quando furono sulla stradicciola relativamente in piano che correva alla base delle scale. «Com'è che sei rimasta indietro?» le chiese in tono sommesso. «Mi ero seduta per riposare. Avevo intenzione di rilassarmi un paio di minuti, ma poi...» «Piccola stupida incosciente!» L'attacco di Giles giunse così inaspettato, che la strappò immediatamente dall'autocompatimento in cui si stava crogiolando. «Come ti permetti di insultarmi! Credi forse che abbia voluto restare chiusa nelle grotte! O che mi sia gettata di proposito giù dalle scale per storcermi la caviglia! Sei un bastardo, Giles Farrow, un cinico, insensibile bastardo!» «Tanto insensibile da aver trascorso le ultime quattro ore a cercarti come un imbecille lungo la strada da qui all'albergo! Pensavo che qualcuno ti avesse dato un passaggio e che tu avessi avuto dei problemi.» «Problemi?» ripeté lei, dimenticando per una frazione di secondo la sua indignazione. «Una ragazza carina, sola, di notte... quel genere di problemi» spiegò lui in tono risentito. Abby cercò di immaginarsi nell'atto di fuggire da una macchina, inseguita da un omaccione viscido e ansimante, ma il quadro che si figurò nella mente era così ridicolo che cominciò a ridere. «Ti diverti?» grugnì Giles, chinandosi a guardarla con aria minacciosa. Lei tentò di rispondere, ma non riusciva a smettere di ridere, e lui capì che stava avendo una crisi isterica. «Piantala!» ordinò e le diede uno scossone. Abby ebbe l'impressione che la caviglia le esplodesse e, dopo un rauco gemito, tacque. Giles se la strinse contro il petto cullandola come se fosse Rachel Lindsay
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stata una bambina. «Scusami, Abby, non ho pensato che ti avrei fatto male. Ma tu non sai quanto siamo stati in pena... L'idea che forse ti avevano buttata da qualche parte, ferita e sanguinante... Dio mio!» Lei soffocò un singhiozzo e si rannicchiò fra le sue braccia, appoggiando la testa sulla sua spalla. Perse il senso della realtà, e si accorse appena che l'aveva sdraiata sul sedile posteriore di una macchina, avvolgendola in una coperta. Riprese conoscenza dopo un intervallo di tempo indefinito, con le mani di Giles che le carezzavano il viso. «Siamo arrivati» le disse, e, senza darle il tempo di muoversi, la prese fra le braccia, estraendola dall'abitacolo del taxi. Mentre attraversavano le porte di cristallo dell'albergo, Abby vide un mucchio di gente assiepata nell'atrio e si rese conto che stavano per fare un ingresso a sensazione. «Mettimi giù, per favore» mormorò. «Se mi appoggio, posso camminare.» Lui la ignorò e si fece largo fra i curiosi, puntando in direzione del banco della reception, dove chiese le chiavi della sua camera. «Il medico è già arrivato, signor Farrow» disse l'impiegato, porgendogliele. «Vuole che lo faccia salire?» «Sì.» «Come facevi a sapere che avrei avuto bisogno di un medico?» chiese lei, rossa d'imbarazzo. «Sono un chiaroveggente» borbottò Giles, sorridendo per la prima volta da quando l'aveva trovata, e Abby avrebbe voluto baciarlo. Ma quello non era né il momento, né il luogo, soprattutto perché Vicky Laughton e la signora Bateman stavano avanzando verso di loro. «Abby! Piccola cara!» esclamò Matilda in tono ansioso. «Grazie a Dio sei viva! Che cosa ti è successo?» «Mi sono slogata una caviglia. Ho messo un piede in fallo... niente di grave, per fortuna.» «Ma perché sei rimasta sola?» «Avrai tempo domani per farle tutte le domande che vuoi» disse Giles, interrompendola. «Adesso Abby ha bisogno di farsi guardare la caviglia e di un sedativo.» «Non farne una tragedia, Giles!» La voce di Vicky suonò chiara come una campana, ma conteneva una Rachel Lindsay
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nota stonata, e Giles le lanciò un'occhiata fulminante. «Si è semplicemente persa» continuò la signora Laughton. «Non è mai stata in pericolo.» «Se fosse restata contro quel muro tutta la notte, avrebbe potuto prendersi la polmonite» ribatté lui con la massima calma. «Ma non c'è restata, quindi non mi sembra il caso di drammatizzare» insistette Vicky, fissandola con aria altezzosa. «A Bombay la sua avventura sarà sulla bocca di tutti, signorina West. Turista inglese persa nelle grotte di Ajanta. Se dirà di aver visto un paio di spettri che si aggiravano fra i templi, la metteranno sulla prima pagina del giornale.» Abby era così sbalordita da quelle accuse che non seppe come replicare. Ebbe appena il tempo di decidere che forse non ne valeva nemmeno la pena, quando Giles parlò. La sua voce era calma, ma lei sentì il suo corpo che si irrigidiva, e capì che era furioso. «Se Abby avesse voluto attirare l'attenzione dei giornali, le sarebbe bastato annunciare il nostro fidanzamento.» Il viso di Vicky si allungò di un paio di centimetri. «Il vostro cosa?» esclamò, con l'espressione di chi non crede alle proprie orecchie. «Il nostro fidanzamento» ripeté Giles, sorridendo. Poi abbassò la testa per guardare Abby. «Vedi che avevo ragione, tesoro? Sono giorni che ti dico che è inutile fingere. Se non fosse per la tua timidezza...» «Lo sapevo!» intervenne la signora Bateman, battendo le mani come una ragazzina. «Sapevo che eravate fatti l'uno per l'altro!» «Tu dovresti cominciare a scrivere romanzi d'amore invece dei gialli» ribatté Vicky, acida, continuando a fissare Giles. «Non ci credo. È una montatura.» «E perché?» volle sapere lui, beffardo. «Perché non me ne hai neanche accennato.» «Tu sei l'ultima persona alla quale l'avrei detto.» Giles rinforzò la presa sul corpo di Abby. «Adesso, se non vi dispiace, vorrei portarla in camera.» Fu solo quando si chiusero nella cabina dell'ascensore che Abby ritrovò la parola. «So che eri arrabbiato con Vicky per il modo in cui mi aveva trattata, ma non avresti dovuto spararla così grossa! Diventerò lo zimbello di tutti!» «Ne parleremo più tardi.» «Ne parleremo subito!» replicò lei a denti stretti. «Perché diavolo hai detto che siamo fidanzati?» Rachel Lindsay
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«Perché volevo ferirla» borbottò lui, con un lampo di rabbia negli occhi. «Non hai visto come ti guardava?» «Sì che l'ho visto, ma questo non ti dava il diritto di usarmi. O non ti importa di ferire anche me?» Giles si rabbuiò. «Non era mia intenzione» disse a voce bassa e, prima che Abby potesse replicare, le porte dell'ascensore si aprirono, mostrando il dottore che li aspettava nel corridoio davanti alla camera. Lei non ebbe più occasione di restare sola con Giles e forse fu un bene, perché, nel calore della discussione, avrebbe potuto dirgli cose di cui si sarebbe pentita. «Scendo un attimo mentre il dottore ti visita.» Lui si avvicinò al letto, fissandola con espressione indecifrabile. «Se hai bisogno di qualcosa, chiamami.» «Tu sei l'ultima persona di cui avrò bisogno» dichiarò Abby con voce tagliente. «Buonanotte.» La porta si chiuse dietro di lui, e il medico le lanciò un'occhiata sorpresa. «Ma lei soffre!» esclamò, come se cercasse una spiegazione a un comportamento che gli appariva incomprensibile. «Non per via della caviglia» rispose Abby con una smorfia, domandandosi cosa avrebbe detto se gli avesse chiesto una medicina per curare un cuore infranto.
10 Il sedativo fece presto effetto e Abby sprofondò in un lungo sonno privo di sogni, dal quale si svegliò il mattino seguente con la caviglia strettamente fasciata e uno stato mentale più idoneo a ricostruire gli sbalorditivi eventi della sera prima. La domanda che la tormentava era questa: perché Giles aveva spudoratamente e pubblicamente dichiarato che erano fidanzati? La risposta più ovvia era che aveva paura di cadere un'altra volta nella trappola di Vicky. Non aveva fiducia in se stesso, e si era inventato quella ridicola storia per scoraggiarla. Abby era felice di vedere che fosse così deciso a resistere al fascino dell'ex fidanzata, ma non avrebbe mai immaginato, nemmeno nel peggiore degli incubi, di venir usata come uno schermo protettivo in quella che sembrava ormai diventata una guerra totale fra due ex amanti. Un colpo leggero alla porta interruppe il corso dei suoi pensieri e, Rachel Lindsay
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credendo che fosse la cameriera, lei diede via libera a un impeccabile e freschissimo Giles. «Stai già meglio» le disse dopo averla salutata, fermandosi ai piedi del letto. «Quando avrai finito la colazione, ti porterò all'ospedale per farti fare una radiografia della caviglia.» «Non ho le ossa rotte» borbottò Abby con il muso lungo. «La caviglia si sta sgonfiando... non mi pare il caso di andare all'ospedale.» «Potrebbe esserci una frattura molto piccola, ed è meglio andare sul sicuro.» «Ci sono fratture ben più serie di cui dovremmo discutere.» Lui la guardò un attimo in silenzio, poi scosse la testa e sospirò. «Immagino che ti riferisca a quel che ho detto a Vicky?» «Ma come sei perspicace stamattina, Giles!» esclamò lei in tono beffardo, tirandosi a sedere sul letto per affrontarlo meglio. «Questa storia deve finire subito. Se non dirai alla signora Laughton come stanno veramente le cose, lo farò io.» «Senti, Abby, io non...» «Non puoi scherzare su una faccenda tanto seria, Giles» proseguì Abby, interrompendolo. «E non mi importa che tu lo abbia fatto solo a fin di bene... non devi nasconderti dietro le mie gonne! Spero che almeno questo non vorrai negarlo, perché ieri vi ho visti che vi baciavate in una delle grotte... e potete considerarvi fortunati che non vi abbia visto anche suo marito.» «Ah, eri fu?» mormorò Giles, apparentemente calmissimo. «È per questo che sei così arrabbiata?» «Sarei stata arrabbiata lo stesso» ribatté lei con voce tagliente. «Fidanzati...! Ma pensavi davvero che mi sarei lasciata usare come un burattino?» La voce le tremava, ma riuscì a controllarla. Giles si era mosso verso la finestra, e le dava la schiena. All'improvviso, attorno al suo corpo si era creato un alone di tensione e, vedendo che si passava la mano fra i capelli, Abby capì che non era tranquillo come voleva sembrare. Quella consapevolezza stemperò la sua indignazione, aiutandola a rendersi conto di quanto doveva essere difficile, per un uomo con il suo temperamento, smettere di desiderare una donna sposata. Poi lui parlò. «Ti dà tanto fastidio? Trovi che essere fidanzata con me sia una cosa così ripugnante?» Rachel Lindsay
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«Trovo ripugnante essere usata!» «Ma non fidanzata» replicò prontamente Giles, voltandosi a guardarla. «Quello non ti importa?» Attenta a non tradirsi, lei scelse con molta cura le parole. «Le menzogne non mi sono mai piaciute» disse a voce bassa e, dopo una pausa, aggiunse: «Ma immagino che... che molte donne ne sarebbero lusingate». Lui si portò di nuovo vicino al letto. «Tu invece no, vero?» chiese, fissandola con espressione impenetrabile. «No, io no. Sono lieta di vedere che cerchi di combattere i tuoi sentimenti per la signora Laughton, ma non voglio essere usata come uno spaventapasseri.» «E sei pronta a rompere il fidanzamento e mandarmi in pasto ai lupi... o dovrei dire alla strega?» Lei non sorrise. «Sono sicura che sei abbastanza intelligente da cavartela.» «A volte, specialmente in queste ultime settimane, mi sembra di essere abbastanza stupido, invece.» Giles si sedette accanto a lei e Abby, acutamente conscia del suo aspetto disordinato, si tirò il lenzuolo fin sotto il mento. «Preferirei essere lasciata sola» disse in tono petulante. «Non hai alcun bisogno di sentirti imbarazzata. Se al mattino appena sveglie tutte le donne assomigliassero a te, le case di cosmetici andrebbero in fallimento.» «Molto gentile» borbottò lei, troppo irritata per essere contenta. «Ma ti comunico che le lusinghe non serviranno a nulla.» «Mai pensato che potessero servire!» Abby gli lanciò un'occhiata penetrante, ma lui era molto serio. In cuor suo desiderava con tutte le sue forze che quel fidanzamento fosse reale, e che un giorno Giles arrivasse ad amarla. Ma era un'ipotesi improponibile. «So di essere molto giovane e... ingenua» disse, senza guardarlo. «Ma questo non ti dà il diritto di sfruttarmi a tuo piacimento.» «Io non la metterei giù così pesante.» Gli occhi di lui seguirono i morbidi contorni del suo seno, delineati sotto il lenzuolo e Abby incrociò furiosamente le braccia per proteggersi da quello sguardo. «Hai capito benissimo quel che volevo dire!» «Ma tu non capisci quel che voglio dire io» ribatté Giles. «Perché insisti Rachel Lindsay
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a denigrarti, Abby? Sei giovane e ingenua... è vero... ma hai una tua quieta bellezza che, se si nota, può diventare molto attraente.» Stavolta lei non tentò nemmeno di controllarsi. «Se non la pianti di prendermi in giro, Giles, giuro che mi trascinerò nell'atrio dell'albergo e dirò alla tua cara amica che le hai raccontato una balla grande così!» «Come a dire che altrimenti non lo faresti?» chiese lui, fingendosi stupito. Poi, senza darle tempo di reagire, si piegò in avanti e la strinse in un rapido abbraccio. «Sapevo di poter contare su di te» disse, roco. «Ti prego, cerca di resistere ancora per qualche giorno. Significa molto per me.» Lieta che non sapesse quel che significava per lei, Abby gli diede, con un sospiro, la sua parola e lui, dopo averle ricordato che sarebbe venuto a prenderla fra un'ora, se ne andò. I raggi X non rivelarono traccia di fratture nella caviglia di Abby, ma il medico le consigliò di tenerla a riposo per una settimana, e Giles decise che sarebbe stata molto più comoda nella casa di Bombay. Grazie alle sue conoscenze, ottenne tre posti sull'aereo del pomeriggio e fu solo allora, mentre scendeva nell'atrio dell'albergo appoggiandosi a una cameriera, che Abby si trovò faccia a faccia con la signora Laughton. «Oh, ecco la nostra eroica fidanzatina!» esclamò Vicky in tono velenoso, vedendola. «Che sorpresa quell'annuncio! Non sapevo che lei e Giles foste due attori così bravi!» «Avevamo deciso di tenerlo segreto» mormorò Abby, arrossendo. «Strano. Di solito i fidanzati fanno l'opposto. Tutte le ragazze che conosco avrebbero dato un occhio pur di poter dichiarare che stavano per sposarsi con Giles.» A quelle parole, Abby vide rosso. «Io non sono tutte le ragazze, signora Laughton. Forse è per questo che Giles mi ama.» Vicky accusò il colpo e il suo viso assunse un'espressione sprezzante. «Non credo che la ami» disse a denti stretti. «Giles si sente in colpa perché crede di essere la causa del fallimento del mio matrimonio. Ma non appena capirà che avrei lasciato comunque Anthony, tornerà da me. Ci amiamo, e abbiamo diritto alla nostra felicità.» «E che cosa era successo al suo amore quando le aveva chiesto di sposarlo tre anni fa?» Gli occhi di Vicky si velarono di rimorso. «Non sopportavo l'idea di viaggiare in continuazione fra un villaggio e l'altro. Mi sono comportata Rachel Lindsay
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come una stupida, creando inutili sofferenze per entrambi. Già pochi mesi dopo aver sposato Anthony, mi ero resa conto di aver commesso un errore spaventoso.» «I suoi errori non mi riguardano.» Abby avrebbe voluto far sparire a schiaffi quel sorrisetto insolente, ma ebbe la forza di controllarsi. «L'unica persona a cui potrebbero interessare è Giles, ma dal momento che adesso è innamorato di me...» «Sì, continui a illudersi, povera ingenua!» sibilò Vicky, distorcendo le labbra in un ghigno beffardo. «Quando sarò libera, Giles diventerà mio... anche se dovesse riuscire a sposarlo. Se lo ricordi la prossima volta che farà l'amore con lui!» Si allontanò bruscamente, con grandi passi nervosi, ma Giles, che arrivava in quel momento, la vide. «Che cosa voleva?» chiese ad Abby, mettendosi subito al suo fianco. «Vuole te. Dice che ti sposerà, dopo aver divorziato.» «Capisco...» Lui le scoccò un'occhiata indagatrice. «E questo ti ha resa furiosa.» «Solo perché dimostra quanto sia ridicola questa storia del fidanzamento. Vicky ha capito che è una montatura.» «Allora sposiamoci e dimostriamole che si sbaglia.» Abby lo fissò con gli occhi sgranati. La tentazione di rispondere sì fu solo momentanea, ma sottolineava con quale facilità l'amore potesse rendere stupida anche una persona normalmente dotata di buon senso. Che genere di felicità avrebbe potuto sperare da un uomo che, stringendola fra le braccia, avrebbe sempre pensato a un'altra donna? «Allora, Abby?» ripeté Giles. «Che te ne pare della mia proposta?» «Sei tanto vigliacco da non avere il coraggio di affrontare la signora Laughton senza nasconderti dietro le mie gonne?» «L'hai già detto» sorrise lui, senza battere ciglio. «Ma ti ricordo che avrei qualche difficoltà a nascondermi dietro le tue gonne. Sono troppo alto!» «Hai capito benissimo» replicò lei, gelida. «La tua brutalità non mi aveva lasciato dubbi. Sei così poco disposta ad aiutarmi, che mi manderesti nella fossa dei leoni.» «Stamattina erano lupi o streghe... cambi ogni minuto! Ma il nocciolo della questione è un altro: se non sei in grado di resisterle da solo...» «Non tutti possono avere la tua incrollabile determinazione» ribatté Rachel Lindsay
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Giles con molta serietà e, dopo averla sollevata da terra, la portò verso il taxi che aspettava davanti l'ingresso. Le formalità dell'imbarco all'aeroporto vennero sbrigate con confortante rapidità e, subito dopo il decollo, lui si assicurò che fosse comoda nella poltrona vicino a sua zia e si sprofondò nella lettura di un libro. Un po' sconcertata da quel comportamento, Abby lo osservò con la coda dell'occhio e lo colse in un paio di occasioni a sorridere sotto i baffi, scuotendo lievemente la testa. Era strano, perché non capiva cosa potesse esserci di tanto divertente in un volume intitolato: L'interazione molecolare delle particelle deboli in un campo di forze elettromagnetiche...! Tornare nella quiete della casa di Bombay fu per lei un gran sollievo, ma se aveva sperato di trascorrere una settimana di completo relax, dovette presto ricredersi. La notizia del fidanzamento si era diffusa come un incendio in un campo di stoppie e Giles venne letteralmente inondato da un mare di inviti da parte degli amici che volevano conoscere la fortunata ragazza. «Non riesco a capire che bisogno c'era di annunciare a mezza Bombay quel che è successo» gli disse in tono risentito una sera, mentre tornavano dalla festa data in loro onore da un famoso scienziato indiano. «Non ti vergogni di accettare dei festeggiamenti del tutto immeritati?» «Adesso che mi ci fai pensare, sì» rispose lui. «Ma c'è un altro modo di guardare la faccenda: Vicky cadrà nella trappola solo se continueremo a comportarci come una qualsiasi coppia di fidanzati.» «In questo sei bravissimo» ribatté Abby, beffarda, pensando alla sollecitudine con cui l'aveva guidata nel salotto del professor Sundra tenendola amorevolmente per mano durante tutto il party. Ma d'altra parte fra non molto avrebbero potuto smettere di fingere, e quei momenti sarebbero rimasti a ricordo di un'impossibile felicità. «Ehi, che sospirone!» osservò Giles, parcheggiando la Mercedes nel garage sotto casa. «Fai tanta fatica a sostenere la parte di una giovane donna in procinto di sposarsi?» «Certo che faccio fatica!» sbottò lei, acida e amareggiata. «Se tu sei lo sposo...» «Povera Abby» borbottò lui con un lampo minaccioso negli occhi. «Adesso temo che farai ancora più fatica!» Rachel Lindsay
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La prese fra le braccia prima che avesse il tempo di intuire le sue intenzioni, impadronendosi selvaggiamente della sua bocca. Abby capì subito che resistere sarebbe stato inutile e si costrinse a rimanere passiva, immobile come una statua di marmo. Il bacio divenne più profondo, deliziosamente provocante, e lei si piantò le unghie nel palmo delle mani per non cedere alla tentazione di stringerselo contro, di passargli le dita fra i capelli... No, sarebbe morta piuttosto che dargli la soddisfazione di rispondere alla passione che sentiva ardere in lui! Alla fine Giles si tirò indietro, ma continuò a tenerla fra le braccia. «Perché fingi di non sentire niente, Abby?» «Non sto fingendo.» «Sì, invece! Hai una natura troppo generosa per essere priva di emozioni.» «Non ti ha mai sfiorato l'idea di non essere in grado di suscitarle queste emozioni?» Ci fu una lunga pausa. «No, non ci avevo pensato» mormorò lui. «Sei una donna giovane, normale, e dal momento che non credo che mi trovi fisicamente repellente devi avere qualche altro motivo per comportarti così.» Rendendosi conto che si stava pericolosamente avvicinando alla verità, Abby partì al contrattacco. «Non ti trovo repellente, Giles, ma questo non significa necessariamente che debba venire a letto con te. Sei di bell'aspetto, simpatico, quando vuoi, e so che godi di un'ottima reputazione in campo professionale. Ma questo non basta a renderti affascinante ai miei occhi e, se sono diversa dalle altre ragazze che hai conosciuto, non so che farci. Non sono una bambola che puoi usare per divertirti a tuo piacimento! Quindi, la prossima volta che ti verranno i bollori, ti consiglio di infilarti sotto una doccia fredda!» Giles scese in silenzio dalla macchina e le girò attorno per aprirle la portiera, ma lei lo precedette e si avviò a balzelloni verso le scale che conducevano all'atrio. Nella fretta di sfuggirgli, però, rischiò di cadere e lui si precipitò a sostenerla. «Non mi offro di portarti fino alla tua camera» borbottò dopo averla depositata sana e salva sul pavimento di marmo dell'ingresso. «Non vorrei che i miei istinti animaleschi avessero la meglio... Dovrai salire da sola e nel frattempo io farò la doccia fredda che mi hai tanto gentilmente consigliato!» Rachel Lindsay
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Abby lo guardò sparire in cima alle scale e, appoggiandosi al corrimano, si accinse a imitarlo. Aveva superato solo pochi gradini, quando il lato comico della situazione in cui si erano ficcati le strappò un sorriso. Quella sera aveva ferito l'orgoglio di Giles, ma era sempre meglio che avergli rivelato ciò che provava per lui. Chissà, forse gli avrebbe fatto bene accorgersi che non poteva avere tutto quello che desiderava! Passò una settimana. Il medico venne a toglierle la fasciatura dalla caviglia e lei fu libera di andare e venire a suo piacimento senza più nulla che le ricordasse la sua disavventura a eccezione del fidanzamento con Giles. In un momento di confidenza, raccontò come stavano veramente le cose alla signora Bateman, non potendo tollerare che la povera vecchia si illudesse di aver trovato finalmente la soluzione dei problemi del nipote. «Però è un peccato che tu e Giles stiate solo fingendo» sospirò Matilda un pomeriggio di qualche giorno dopo, mentre aspettavano nel giardino la visita della signora Chandris. «Sicura che non ci sia neanche una possibilità che diventi reale?» «No. Alla fine Giles tornerà con Vicky. Lei è il tipo di donna che ottiene sempre quello che vuole.» «E tu che tipo di donna sei? Non vuoi nemmeno provare a lottare per strapparglielo?» Abby alzò di scatto gli occhi, ma non poteva guardare la signora Bateman e mentire. Di dire la verità non se la sentiva, perciò non le rimase che eludere la domanda. «Sto facendo del mio meglio per aiutare Giles, ma la decisione finale spetta a lui.» «Non hai risposto alla mia domanda, mia cara. Sei innamorata di mio nipote, si vede benissimo, e dovresti almeno tentare.» Ormai smascherata, Abby cercò di sorridere. «Tentare cosa?» bofonchiò, evitando il suo sguardo. «I sentimenti degli altri non si possono catturare con una rete, come pesci!» «Non ne sarei così sicura... specialmente con gli uomini. In un certo senso assomigliano molto ai pesci. Basta trovare l'esca giusta e... abboccano!» Abby scoppiò a ridere, ma era turbata. Ora la signora Bateman sapeva, e c'era il rischio che le venisse in mente di combinare uno dei suoi scherzetti... Stava per pregarla di non intervenire, quando un domestico annunciò che la signora Chandris era arrivata. Rachel Lindsay
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Chiacchierarono del più e del meno per quasi un'ora poi, mentre sorseggiavano un tè deliziosamente speziato, la conversazione scivolò su Vicky Laughton. «Ho sentito che suo marito tornerà in America da solo» disse la signora Chandris. «Vicky, a quanto pare, si è iscritta a un corso di meditazione.» «Meditazione?» ripeté la signora Bateman con espressione scettica. «Non sembra il tipo.» «Il signor Laughton mi ha detto che è molto interessata agli insegnamenti di uno dei nostri guru. Sono persone affascinanti, dotate di un grande carisma. E a volte, come discepoli, radunano individui completamente diversi fra loro.» «Sarà, ma per diventare discepoli, mi pare che si debba rinunciare completamente al proprio ego. E non credo che Vicky resisterà a lungo.» La signora Chandris sorrise con la sua aria gentile. «Non dovrebbe nemmeno scartare la possibilità che cambi in meglio. La mente umana è un universo misterioso e impenetrabile. La contemplazione dell'anima può portare a una grande conoscenza e comprensione della propria natura profonda.» «Le uniche animelle che Vicky ha mai contemplato, erano arrostite alla brace e ben servite su un piatto!» ribatté la signora Bateman, sogghignando. La signora Chandris scoppiò a ridere e passò a un altro argomento, ma, dopo che se ne fu andata, Abby diede voce a un dubbio che la tormentava da parecchi giorni. «Che cosa succederà a Giles quando torneremo in Inghilterra? So che contava di fermarsi fino alla partenza della signora Laughton, ma adesso, con questo corso di meditazione, potrebbero volerci dei mesi.» «Allora resteremo anche noi» rispose Matilda con un gesto noncurante. «Giles è felice di averci qui, e uno dei vantaggi del mio mestiere sta proprio nel fatto che posso lavorare dovunque. Ti ho raccontato di quella volta che ho scritto un libro mentre scalavo gli Appalachi? Certo, ero molto più giovane, ma...» «Non menare il can per l'aia» borbottò Abby, interrompendola. «Oh?» «Scusa, ma hai capito benissimo dove volevo arrivare. Quando partiremo per l'Inghilterra? Io non posso continuare a fingere di essere fidanzata con Giles in eterno. Sono felice di aiutarlo, ma... non riuscirò ad Rachel Lindsay
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andare avanti ancora per molto.» La signora Bateman si rabbuiò. «Se Vicky riuscisse a farsi sposare, per lui sarebbe un disastro.» «Non vedo perché? Lui la ama e...» «Non credo che sia proprio amore quello che prova.» Abby avrebbe desiderato essere altrettanto sicura, ma sapeva per esperienza che non c'era nulla di più inutile che proiettare le proprie fantasie nella realtà, e chiamarle fatti. «Giles la ama, Matilda. Se fosse il contrario, non avrebbe bisogno di usarmi come schermo. E io sono stanca di questa situazione. Voglio partire. Se tu preferisci restare, dimmelo subito, in modo che possa organizzarmi al meglio.» «Anche se significasse perdere il lavoro?» Abby esitò solo una frazione di secondo. «Sì, anche a costo di perdere il lavoro» rispose con un sospiro. Era una prospettiva desolante, ma non aveva vie d'uscita. Il posto con la signora Bateman era oro per lei ma, se non troncava subito con Giles, rischiava di impazzire. «D'accordo, Abby» disse Matilda in tono sommesso. «Telefona all'agenzia e vedi se trovi un paio di posti sul volo di lunedì. Spero che non ti dispiaccia restare ancora qualche giorno?» Abby scosse la testa e si ritirò all'interno della casa per sistemare tutto prima che Giles rincasasse. Dal giorno del loro fidanzamento, lui aveva cenato sempre con loro, intrattenendosi nel salotto dopo che avevano finito di mangiare, invece di trasferirsi nello studio come faceva di solito. In poche parole, insisteva nella commedia del fidanzato perfetto anche quando non c'era nessuno da impressionare. E, se la signora Bateman lo interpretava come un segnale di genuina affezione, per Abby si trattava solo di debolezza. Giles aveva tanta paura di se stesso e di Vicky, da non fidarsi a restare in compagnia dei propri desideri nemmeno per un secondo. Quando tornò in giardino dopo aver prenotato due posti sull'aereo per Londra si guardò attorno e sospirò di nostalgia. Quel posto le sarebbe mancato. Vi aveva trascorso molte ore felici, specialmente nelle due ultime settimane, con la signora Bateman e con... con Giles. Sì, anche con lui, perché a dispetto di tutti i suoi tentativi a volte le era capitato di dimenticarsi che il fidanzamento era una farsa e, proprio a causa di quelle Rachel Lindsay
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sempre più frequenti dimenticanze, doveva partire prima possibile... prima che fosse troppo tardi. «Pensavo di andare in centro per comprare ancora qualcosina» le disse Matilda in tono funereo. «Vieni anche tu?» «Ho già le valigie stracolme. È meglio che rimanga a casa o non saprei resistere alla tentazione.» Più tardi quella sera, mentre si cambiava per la cena, Abby ripensò a quella frase: resistere alla tentazione. Giles era la sua tentazione, e finora era riuscita a resistere, ma ne valeva la pena? Stranamente turbata, si sedette davanti allo specchio e osservò la sua immagine riflessa. Le pene d'amore dovevano farle bene, perché non si era mai vista così fiorente. Quasi graziosa, pensò, e sorrise sapendo che Giles si sarebbe arrabbiato se avesse sentito quel quasi! «No, non sono proprio male» sussurrò, allacciandosi il reggiseno. Così, con le braccia arcuate dietro alla schiena, le punte scure dei seni premevano contro il tessuto trasparente, rivelando la soda pienezza di un corpo fatto per essere amato... All'improvviso, come per effetto di una folata di vento, la porta della sua camera ruotò sui cardini, sbattendo contro il muro per lasciar passare il Giles più infuriato che avesse mai avuto la sfortuna di vedere. Esterrefatta, Abby cercò di alzarsi per raggiungere la vestaglia, ma lui le fu subito addosso, così vicino da sconsigliarle qualsiasi movimento che lo irritasse ancora di più. «Cosa ti prende?» le gridò a denti stretti. «Sei impazzita? Prenoti l'aereo per Londra senza nemmeno avvisarmi? Non sai che non puoi ancora partire?» Investita da quel fiume di parole, lei si limitò a guardarlo con gli occhi sbarrati. Non capiva perché fosse tanto arrabbiato, e decise di conservare la calma. «Non posso restare qui per sempre» disse con un filo di voce, cercando di farlo ragionare. «Sapevi che presto saremmo partite.» «Non così presto. Voglio che tu mi dica perché!» «Mi sembra ovvio... Sono stufa di fingere e di sentire i tuoi amici che cianciano del nostro matrimonio, dei bambini, e di altre simili amenità!» «Mi dispiace che non ti piaccia sentir parlare di matrimonio e bambini» ruggì Giles, fissandola come se stesse per colpirla. «Pensavo che fossi il tipo da volerli entrambi.» Rachel Lindsay
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«È vero, ma non in queste circostanze.» Abby si rannicchiò sulla sedia, riparandosi istintivamente con le mani. Lui rimase in silenzio per un paio di secondi, poi, con uno sforzo sovrumano, si rilassò. «E che cosa c'è di mostruoso in queste circostanze!» chiese in tono vibrante. «Se sei stanca di fingere, sposiamoci, e facciamola finita!» «No.» «Perché no? Non sei innamorata di nessun altro.» «Il che non significa che debba sposare te.» Lei si alzò per raggiungere l'armadio e la vestaglia, ma Giles le tagliò la strada. «Giles... ti prego. Lascia almeno che finisca di vestirmi.» «Ti preferisco spogliata» sussurrò lui, rauco, afferrandola per le spalle. «Non posso lasciarti andare, Abby. Non voglio!» Abbandonando ogni pretesa di compostezza, Abby iniziò a lottare, ma fu come voler spegnere un incendio con la benzina. Il suo accenno di resistenza fece perdere la testa a Giles che, dopo una breve colluttazione, la spinse sul letto, inchiodandovela con la semplice pressione del suo corpo. «Lasciami andare, Giles» disse lei in tono imperioso, non ancora doma. «Appena avremo finito di parlare» ribatté lui, ugualmente testardo. «Allora parliamo da seduti.» «Scapperesti.» Abby non provò nemmeno a negarlo. «Ti odio!» sibilò, gli occhi pieni di lacrime di umiliazione. «Non ne hai motivo. Sono stato un fidanzato esemplare.» «Sì, l'amante invisibile!» esclamò lei, beffarda. «Né amante, né invisibile!» mugolò Giles con un sorriso diabolico, prima di impossessarsi brutalmente della sua bocca tremante. Infiammata dal desiderio, Abby si inarcò istintivamente, premendo i seni eretti contro il suo torace in una risposta sulla quale non potevano esserci equivoci. Sentì i muscoli del corpo di lui che si irrigidivano, e capì che ormai era troppo tardi per fermarsi. «Non ti lascio andare» le diceva Giles, affondandole le dita fra i capelli per impedirle di spostare la testa. Aveva la fronte coperta da un sottile velo di sudore e gli occhi che sprizzavano scintille. «È da quando ti ho vista la prima volta che mi provochi, e adesso dovrai accettarne le conseguenze!» «No!» Terrorizzata, lei fece un ultimo sforzo per liberarsi, ma poi Rachel Lindsay
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ricadde ansimando sul materasso. «Giles, ti prego... non farlo!» implorò. «Sarebbe... terribile!» «Sarebbe terribile se non lo facessi. Forse avrei dovuto prenderti già molto prima. Ho provato con la ragionevolezza e la cortesia, ho provato persino con la gelosia, ma non è servito a niente. Forse è il momento che ricorra alla forza.» «Sei pazzo!» gridò Abby, vedendo che parlava sul serio. «Lasciami andare!» «Mai. Tu mi appartieni.» Lui abbassò nuovamente la testa per baciarla, ma stavolta non cercò le sue labbra. Le sfiorò la pelle morbida del collo con la bocca socchiusa, umida, e scese sulla soda compattezza dei suoi seni, che nella confusione della lotta erano stati messi a nudo. Quando sentì la sua lingua guizzarle su un capezzolo, Abby emise un piccolo gemito e nel suo intimo esplose un caleidoscopio di colori accecanti. Nessun uomo l'aveva mai baciata così e, negli ultimi sprazzi di lucidità che le restavano, pensò che forse era giusto che fosse lui il primo ad averla, ad amarla... Ma poi, all'improvviso, Giles si tirò indietro. Lei aprì gli occhi e sul viso stravolto di lui lesse la violenta tenerezza di un desiderio che le mozzò il fiato in gola. «Ti amo, Abby. Come hai fatto a non accorgertene?» Abby sperimentò una gioia ineffabile, ma durò lo spazio di un secondo. «Non mentire, Giles» mormorò, ansimante, continuando a fissare le sue iridi ambrate. «Non è necessario.» «Perché dovrei mentire? Pensi che voglia ingannarti per spingerti a fare l'amore con me? Mi credi così meschino?» «Non essere tanto duro' con te stesso» disse lei in tono sommesso, passandogli le dita fra i capelli. Era un gesto che aveva voluto fare molte volte. «Hai sofferto molto, e hai bisogno di amore.» «Sì, ho sofferto» ammise Giles, e poi, con suo grande stupore, scoppiò in una sonora risata. «Oh, Abby, che sciocca sei! Non hai ancora capito che tu sei l'unica che mi ha fatto soffrire! Vicky aveva perso questo potere già dieci giorni dopo avermi lasciato.» «Ma tua zia...» «Zia Mattie scrive romanzi e tende a esagerare. Con Vicky sono stato male solo al principio, quando non sapevo che la donna che avevo immaginato non esisteva.» Rachel Lindsay
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«E sarei io quella donna?» chiese Abby in tono asciutto, rendendosi conto che, se Giles avesse risposto affermativamente, non gli avrebbe creduto. Ma, grazie a Dio, lui scosse energicamente la testa, e il suo no! rimbombò nella stanza come un tuono. «Tu non assomigli per niente a quella donna! Anzi, sei l'esatto opposto!» Si tirò a sedere sul letto, continuando a tenerla abbracciata. «La mia donna ideale è molto diversa» aggiunse con un sorriso ironico. «La sognavo alta e mora, docile di giorno e appassionata di notte!» «E io?» «Tu sei appassionata ventiquattro ore su ventiquattro!» Lei ridacchiò stupidamente, incapace di credere che fosse tutto vero. Giles lo intuì, perché le incorniciò il viso con le mani e la riempì di piccoli, dolcissimi baci. «Non mi sono accorto subito di amarti. Al principio mi irritavi e avevo paura che tu volessi approfittare del buon cuore di mia zia. Nel mondo che conoscevo, nessuno era capace di tanto altruismo, soprattutto nei confronti di uno sconosciuto. Ma ben presto ho capito che eri esattamente come sembravi: una di quelle rare persone che pensano prima agli altri e poi a se stesse. Da quel momento sono stato perduto.» «Be', hai nascosto molto bene i tuoi sentimenti» borbottò Abby in tono risentito. «Quella sera alla festa dei Chandris, quando hai visto Vicky, sei diventato pallido come un lenzuolo.» «È vero, ma non perché l'amavo. Ero solo sorpreso.» «E allora perché vi siete incontrati il giorno dopo nella piazza davanti al Taj Hotel!» «Perché lei mi aveva telefonato e me lo aveva chiesto. Io ero curioso di sapere quel che aveva in mente.» «E quel bacio nella caverna, ad Ajanta? Un altro invito?» «Vicky ha fatto tutto da sola. Mi ha gettato le braccia al collo senza darmi nemmeno il tempo di muovere un dito. Se tu non fossi fuggita come un cerbiatto spaventato, avresti visto anche che la respingevo.» Lei sospirò, ricordando l'inferno di depressione e gelosia di quei momenti. «Mi sono comportata proprio da perfetta imbecille, vero?» mormorò, abbassando gli occhi. «Oh, se è per questo, anch'io non ti sono stato da meno» rise lui, accarezzandola teneramente. «Avrei dovuto dirti che ti amavo subito dopo aver annunciato il fidanzamento.» Rachel Lindsay
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«Non penso che ti avrei creduto. Mi è difficile persino adesso. Sono così diversa da Vicky!» «Grazie a Dio!» esclamò Giles con evidente sincerità. «Incontrarti è la cosa più bella che mi sia mai successa. Ho impiegato un po' per accorgermene, ma adesso...» La sua voce si spense nel tremito di un'emozione incontrollabile. «Se dicessi che non ho mai amato una donna come amo te, Abby, potrebbe sembrare la solita frase ipocrita che si usa in questi casi, ma voglio dirla ugualmente, perché è la verità. Tu sei stata una rivelazione per me. La tua onestà, la tua gentilezza... Oh, al diavolo anche questo! Parlo troppo!» La baciò in un impeto di passione che Abby fu finalmente libera di ricambiare. Rispose a ogni bacio e a ogni carezza con la spontanea sensualità della sua natura generosa e alla fine fu la prima a stendersi sulle lenzuola, invitandolo a raggiungerla con un'occhiata languida, piena di promesse. Quando le loro labbra si fusero, emise un lungo mugolio di piacere, e se lo strinse contro, sciogliendosi in mille piccoli fremiti di desiderio. Giles percepì la sua resa, la disponibilità a soddisfarlo totalmente, ed ebbe un sussulto. «No, Abby!» Staccò le sue braccia dal collo e, prima che lei potesse fermarlo, balzò giù dal letto. «Quando faremo l'amore per la prima volta, voglio scegliere il posto e il momento.» Fece una pausa, sorridendo sensualmente, e aggiunse: «Dovrà essere un posto tranquillo, e un momento molto lungo». «Lungo quanto?» volle sapere lei, gli occhi velati di passione. «Un mese. Un mio amico ha una casa galleggiante a Shrinagar, in Kashmir, e mi ha già detto che sarà felice di prestarmela... sempre che tu riesca a sopportare l'idea di restare da sola con me per tutto questo tempo?» «Voglio stare con te per sempre» rispose Abby con la semplicità che solo l'amore può raggiungere. Lui sentì la semplicità, sentì l'amore, e, dopo averla fatta scendere dal letto, l'aiutò, molto lentamente, a vestirsi. FINE
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