ELLIS PETERS UN SACRILEGIO PER FRATELLO CADFAEL (The Holy Thief, 1992)
PROLOGO Nell'agosto del 1144, al culmine di un'e...
34 downloads
1245 Views
674KB Size
Report
This content was uploaded by our users and we assume good faith they have the permission to share this book. If you own the copyright to this book and it is wrongfully on our website, we offer a simple DMCA procedure to remove your content from our site. Start by pressing the button below!
Report copyright / DMCA form
ELLIS PETERS UN SACRILEGIO PER FRATELLO CADFAEL (The Holy Thief, 1992)
PROLOGO Nell'agosto del 1144, al culmine di un'estate torrida, Geoffrey de Mandeville, conte di Essex, si arrese alla vampa del sole e commise l'ultimo, fatale errore della sua lunga carriera opportunistica. Era interamente occupato, a quel tempo, a studiare progetti per espugnare, con un implacabile assedio, una della cerchia di fortezze, improvvisate ma efficienti, erette da re Stefano per circoscrivere e reprimere i saccheggi e le rapine delle bande di fuorilegge, ribelli e predatori di Geoffrey nel Fen, la regione delle paludi. Proprio qui erano nascoste le basi dalle quali egli aveva devastato per più di un anno il paese circostante, tanto da non lasciare un campo coltivato, un maniero custodito, un abitante padrone di qualsiasi bene avesse posseduto, nemmeno della sua stessa vita se avesse opposto resistenza. Come il re aveva strappato a lui con mezzi non troppo conformi alla legge, per dire il vero, tutti i suoi castelli e terre e titoli relativamente legittimi, così Geoffrey si era messo provocatoriamente all'opera per fare altret-
tanto con chiunque, ricco o povero, si fosse messo sulla sua strada. Per tutto un anno l'intera regione delle paludi era diventata, a dispetto di Stefano, un regno di predoni, e benché la cerchia di fortezze erette dal re avesse in qualche modo impedito che esso si estendesse, non era stata né un grande ostacolo per i movimenti del conte né era bastata per indurlo a una battaglia che lui era bravissimo a evitare. Lo infastidiva, tuttavia, un caposaldo del re a nord-est di Cambridge perché interferiva coi suoi rifornimenti, proprio il suo punto debole. Così, in una delle giornate più calde di quell'agosto, Geoffrey montò a cavallo e andò a fare un giro attorno a quel molesto castello per vedere quale fosse il punto più favorevole per un assalto. L'afa lo aveva indotto a scartare elmo e cotta di maglia, e un semplice arciere di guardia sulle mura poté così colpirlo al capo con una freccia. Geoffrey ne rise. Una ferita senza importanza, sarebbe guarita nel giro di qualche giorno. Ma, invece, fu colto da febbre per una grave infezione che pareva staccargli le carni dalle ossa e lo costrinse a letto. Dove morì quasi senza rendersene conto. Ma non in pace: scomunicato e senza assoluzione. E nessun prete poté aiutarlo, perché il concilio indetto a mezza quaresima da Enrico di Blois, vescovo di Winchester, fratello del re e a quel tempo legato papale, aveva decretato che nessuno, colpevole di avere usato violenza a un ecclesiastico, potesse essere assolto da altri che dal papa, e non con un decreto a distanza, ma da lui personalmente. E Roma era così lontana per un moribondo atterrito al pensiero delle fiamme dell'inferno! La scomunica, infatti, Geoffrey l'aveva meritata per essersi impadronito con la violenza dell'abbazia di Ramsey e averne scacciato monaci e abate per farne la capitale del proprio regno di ladri, aguzzini e assassini. Non v'era né possibilità di assoluzione per lui, né speranza di sepoltura. La terra lo avrebbe rifiutato. Non valsero a qualcosa neppure i generosi sforzi dei suoi seguaci in difesa della sua anima, poiché non potevano soccorrere il suo corpo. Quando fu tanto debole da smettere di agitarsi, cadendo in un sopore già simile alla morte, ufficiali e giuristi del suo seguito si affrettarono a emettere documenti in suo nome coi quali restituiva alla Chiesa le proprietà che le aveva strappate, compresa l'abbazia di Ramsey. Che fosse la sua volontà o no, nessuno si fermò a chiederlo e nessuno lo seppe mai. Gli ordini furono spediti e rispettati, ma senza alcun profitto per lui. Al suo corpo venne ugualmente negata una sepoltura cristiana, la sua contea e i suoi titoli furo-
no aboliti, le sue terre confiscate e la sua famiglia diseredata. Il suo primogenito, compagno nella sua ribellione, fu anch'egli scomunicato. Il minore, che portava il suo nome, era già con l'imperatrice Maud, che lo riconobbe come conte di Essex, un titolo che gli spettava anche senza terre. Geoffrey de Mandeville morì il sedicesimo giorno di settembre, ancora scomunicato, ancora senza assoluzione. L'unico gesto nei suoi confronti lo compirono alcuni cavalieri templari che si trovavano per caso da quelle parti e lo portarono nella sua bara a Londra dove, per l'irriducibile severità cristiana, dovettero deporlo in una fossa fuori della chiesa del Tempio, in terra non consacrata, e persino così oltrepassarono i limiti della legge canonica secondo la quale non si sarebbe dovuto seppellirlo affatto. Nelle file del suo esercito non v'era nessuno in grado di prendere il suo posto. L'unico legame tra i suoi seguaci era il comune interesse personale, e senza di lui la loro dubbia alleanza cominciò a dissolversi, tanto più quando le forze del re, incoraggiate, avanzarono contro di loro con rinnovato ardimento. Gruppi di fuorilegge si ritirarono prudentemente in tutte le direzioni, in cerca di pascoli meno frequentati e solitudini meglio riparate, dove potessero sperare di continuare a vivere come animali da preda. I più rispettabili per nascita o averi trovarono il modo di fare alleanze meno pericolose. Per tutti gli altri, la notizia della morte di Geoffrey fu un profondo sollievo. Per il re, significava la liberazione dal suo nemico più pericoloso e implacabile e dalla necessità di tenere la maggior parte delle proprie forze immobilizzata in quella regione, e per gli abitanti dei villaggi devastati da quella marmaglia, la fine del terrore e la possibilità di recuperare il poco rimasto nei loro campi saccheggiati, ricostruire le case incendiate e riunire di nuovo familiari e parenti. E poiché la morte si era affaccendata più del solito da quelle parti, seppellire decorosamente i loro morti. Sarebbe occorso più di un anno per tornare più o meno alla normalità, ma si potevano fare almeno i primi passi. E, prima della fine di quell'anno, la notizia giunse anche all'abate Walter di Ramsey, insieme col documento in extremis che gli restituiva il suo monastero. Ne rese debitamente grazie a Dio e provvide immediatamente a informarne i confratelli che erano stati scacciati senza un penny e senza casa, costretti a trovare un rifugio dove potevano, chi con parenti, chi in altre ospitali case benedettine. I più vicini si affrettarono a rispondere all'appello, ma si trovarono in
uno stato di totale desolazione. I fabbricati del monastero erano gusci vuoti, le terre incolte, i manieri posseduti un tempo caduti nelle mani di ladri e vagabondi e spogliati di tutti i loro tesori. Tuttavia l'abate e i suoi monaci si misero febbrilmente all'opera per restaurare case e chiesa e provvidero a informare del loro ritorno i confratelli più lontani. E poiché facevano parte di una fratellanza più ampia, avendo come famiglia l'intero ordine benedettino, trasmisero pure un appello urgente per un aiuto in denaro, materiali e manodopera per affrettare la ricostruzione e i rifornimenti del necessario. Un appello che in breve tempo giunse fino all'abbazia dei Santi Pietro e Paolo a Shrewsbury. CAPITOLO I I messaggeri arrivarono mentre era in corso il capitolo e insistettero per esservi ammessi immediatamente, prima di pensare a rifocillarsi o riposare, persino a lavarsi i piedi dal fango delle strade. Se chi veniva a chiedere non lo avesse fatto col massimo impegno, chi doveva dare avrebbe potuto fare altrettanto. Restarono lì con gli occhi puntati su di loro, ricusando di sedersi finché non avessero trasmesso il messaggio. Il vicepriore Herluin, esperto e autorevole, dall'aspetto imponente, si fermò davanti all'abate, con le mani intrecciate sul petto, mentre il giovane novizio venuto con lui da Ramsey restava due passi indietro, con modesta compostezza. Tre servitori laici al loro seguito come scorta durante il viaggio erano rimasti invece in portineria. «Padre abate, conoscerete anche voi la nostra dolorosa vicenda. Sono passati due mesi da quando ci sono stati restituiti monastero e possedimenti, e l'abate Walter sta richiamando al loro posto i confratelli costretti a rifugiarsi altrove quando ribelli e fuorilegge ci hanno derubati di tutto, scacciandoci con minacce di morte. I più vicini sono tornati appena è stato possibile. A una desolazione estrema. Eravamo proprietari legittimi di molti manieri dei quali, dopo quella spoliazione, si sono impadroniti furfanti senza legge che parteggiavano per Geoffrey de Mandeville. E dichiarare che ci venivano restituiti non serve a niente, poiché non abbiamo forze per riprenderli a quei predoni all'infuori della legge, che impiegherebbe anni per riconoscere i nostri diritti. Inoltre, ciò che avremmo potuto riavere sarebbe stato comunque un mucchio di rovine, senza più nulla di qualche valore. E dentro i confini...» Herluin aveva parlato con calma, in tono spassionato, ma quando giunse
al giorno del ritorno gli mancò per un momento la voce. «C'ero anch'io», riprese poi. «Ho visto che cosa avevano fatto a quel luogo santo. Un'infamia, un'empietà! La chiesa profanata, il chiostro ridotto a una stalla, sedie e tavoli e quant'altro di legno si trovava in dormitorio e refettorio usati come combustibile, tutte le provviste sparite, ogni oggetto di qualche valore che non avevamo avuto tempo di nascondere rubato. I piombi del tetto strappati via, le stanze lasciate aperte alla pioggia, al vento, al gelo. Nemmeno più una pentola grande o piccola in cucina, non un libro sacro, una striscia di pergamena. Il vuoto assoluto. Abbiamo cominciato a ricostruire, tutto più bello di prima, ma non possiamo farlo da soli. L'abate Walter ha persino donato una parte delle sue sostanze per comprare viveri da distribuire agli abitanti dei nostri villaggi, che non hanno raccolto alcun frutto dalle loro terre. Chi può coltivare i campi con la morte sempre alle calcagna? Quei malfattori hanno derubato di tutto anche il più povero dei poveri, e dove non c'era niente da rubare, uccidevano.» «Siamo stati informati del terrore dilagato in tutta la vostra regione», confermò l'abate Radulfus. «Ne siamo stati profondamente addolorati e abbiamo pregato perché avesse fine. Ora la fine è arrivata e nessuna casa del nostro Ordine vi rifiuterà tutto l'aiuto possibile per riparare i danni subiti. Diteci voi che cosa può essere più utile per la vostra abbazia, siete un fratello tra fratelli e l'offesa arrecata a uno è un'offesa per tutti.» «Sono venuto a chiedere aiuto a questa casa e a laici inclini a offrire qualcosa, opere e denaro, se qui a Shrewsbury c'è qualcuno esperto in edilizia disposto a lavorare per qualche settimana lontano da casa per rimediare ai danni che abbiamo subito. L'abbazia di Ramsey sarà grata per ogni penny, per ogni preghiera. A questo scopo vi chiedo il permesso di tenere una predica nella vostra chiesa e una alla Holy Cross di Shrewsbury, perché tutti i fedeli di buona volontà possano scrutare nel proprio cuore e dare quanto riterranno conveniente.» «Bene, ne parleremo con fratello Boniface», promise Radulfus. «Acconsentirà senza dubbio. Quanto alla nostra comprensione, potete già esserne certo.» «Sapevo di poter contare sull'affetto dei confratelli», ribatté garbatamente Herluin. «È stato lo stesso in tutte le altre case benedettine dove io stesso, il mio giovane compagno, fratello Tutilo, e altri ancora siamo andati a chiedere aiuto. Ora inoltre siamo incaricati di portare la notizia ai fratelli costretti a disperdersi per salvare la vita quando siamo stati aggrediti, e ricondurli a casa, dove c'è un estremo bisogno di loro. Alcuni, forse, non
sanno ancora che l'abate Walter è di nuovo all'abbazia e che gli occorrono il lavoro e la fede di tutti i suoi figli per l'immane opera della restaurazione. Uno, credo, si trova qui a Shrewsbury, la dimora della sua famiglia. Devo vederlo ed esortarlo a tornare con me.» «È vero», assentì Radulfus. «Sulien Blount, del maniero di Longner. È venuto da noi con l'autorizzazione dell'abate Walter. Non ha ancora pronunciato i voti. Era quasi alla fine del noviziato e nutriva qualche dubbio riguardo alla propria vocazione, perciò ha chiesto di poter tornare per qualche tempo in seno alla famiglia, così da riflettere in pace sul futuro, e io sono stato d'accordo. A mio parere ha sbagliato a entrare in convento, tuttavia tocca a lui rispondere per se stesso. Vi farò accompagnare da un monaco al maniero del suo fratello maggiore.» «Farò del mio meglio per ricondurlo ai suoi nobili sentimenti», dichiarò Herluin, col chiaro sottinteso che sarebbe stata una gioia per lui riportare all'ovile quel riluttante ma prezioso penitente. Fratello Cadfael, osservando dal suo angolo appartato quello straordinario personaggio, rifletté, con la sua vasta esperienza di uomini d'ogni sorta e condizione, che il vicepriore probabilmente avrebbe fatto una splendida predica alla Holy Cross e ottenuto generose donazioni da una quantità di coscienze non troppo immacolate, ma, quanto alla probabilità di far cambiare nuovamente idea al giovane Sulien Blount e allontanarlo dalla bella fanciulla che stava per sposare, v'era di che dubitare. Sarebbe stato un taumaturgo, se fosse riuscito a farlo, addirittura sulla via della santità. Nell'agiografia di Cadfael non mancavano santi scomodi che, a suo parere, avrebbero dovuto trovarsi un po' più in basso nei gradi della gerarchia celeste, ma dei quali non poteva negare l'irritante rettitudine. Tutto sommato, gli dispiaceva persino un poco per il vicepriore Herluin, che stava per spuntare tutte le proprie armi contro l'inespugnabile scudo dell'amore. Tentare di separare Sulien Blount da Pernell Otmore ora! Cadfael li conosceva ormai troppo bene per nutrire qualche dubbio. Scoprì di non essere particolarmente attratto dal vicepriore Herluin, anche se lo stimava per avere sopportato la fatica di quel lungo viaggio e per l'impegno che mostrava nel rinsanguare la cassa depredata e nel ricostruire i muri di Ramsey. Una coppia così male assortita, quei due messaggeri! Il vicepriore alto e robusto, con le spalle larghe, un po' più magro di quanto sarebbe dovuto essere, probabilmente per aver condiviso le privazioni sopportate dalla gente comune durante un anno di tirannia, senza raccolti. Un uomo sulla
cinquantina, giudicò Cadfael, dal viso scarno e austero, con labbra sottili che pareva non sapessero sorridere. Un compagno non certo amabile per un lungo viaggio, a meno che i tratti del suo viso non fossero ingannevoli. Fratello Tutilo, che stava sempre un passo indietro a lui ascoltando estasiato ogni sua parola, era invece sui vent'anni, esile, agile, aggraziato nei movimenti, un modello di ossequente compostezza. La sua testa arrivava a malapena alle spalle di Herluin, ed era incoronata da una profusione di riccioli castani, la messe cresciuta durante un viaggio tanto lungo. Lo avrebbero senza dubbio tosato a dovere quando fossero tornati a Ramsey, ma frattanto tale corona avrebbe fatto onore a un serafino dipinto in un messale, benché il viso sotto quell'aureola avesse ben poco di serafico, nonostante la sua aria di radiosa devozione. A prima vista un amabile innocente, un viso schietto, bianco e rosa come quello di una fanciulla, ma un esame più approfondito metteva in luce uno stridente contrasto tra quel colorito infantile e i lineamenti marcati, taglienti, quasi una maschera intesa a nascondere propositi insidiosi. Tutilo, strano nome per un giovane inglese, rifletté Cadfael. Forse scelto per lui quand'era entrato in convento? Doveva chiedere a fratello Anselm che cosa significava e dove quel nome fosse abituale. Cadfael tornò a prestare attenzione al dialogo tra l'abate e gli ospiti. «Già che siete da queste parti», stava dicendo Radulfus, «penso che forse vi piacerebbe visitare altre case benedettine. Vi daremo due cavalli, se desiderate farlo. Non è la stagione più adatta per viaggiare, i fiumi sono in piena e alcuni guadi saranno sommersi, ma a cavallo non correrete rischi. Intanto prenderemo accordi con fratello Boniface, parroco di Holy Cross, riguardo alla vostra predica. Se possiamo fare altro per voi, avete soltanto da chiederlo.» «Vi siamo profondamente grati, padre», assentì prontamente Herluin, arrivando quasi a sorridere. «I cavalli ci faranno davvero molto comodo per il nostro giro di visite e noi non ne abbiamo più nemmeno uno, se li sono portati via quei masnadieri senza legge. Non dovremo neppure allungare la strada per riportarveli al ritorno, ripasseremo da Shrewsbury. Ma prima di rimetterci in viaggio vorremmo, se è possibile, andare a parlare con fratello Sulien.» «Certamente. Vi farò accompagnare da fratello Cadfael che conosce bene la strada e la famiglia.» «Fratello Sulien!» commentò Cadfael più tardi, mentre attraversava il
cortile principale con fratello Anselm, precettore e bibliotecario. «Nessuno lo chiama più così da un bel po' di tempo ed è poco probabile che si ricominci a farlo, ormai. Radulfus avrebbe dovuto dirglielo, sa bene come sono andate le cose. Ma forse, anche se lo avesse detto, Herluin non lo avrebbe ascoltato. Sulien ormai chiama 'fratello' solo suo fratello Eudo. Si sta addestrando nell'uso delle armi e, dopo la morte di sua madre, che non tarderà molto, a quanto ne so, entrerà a far parte della guarnigione di Hugh al castello. Dopo essersi perfino sposato, con ogni probabilità. Certo, non tornerà mai più a Ramsey.» «Se lo ha mandato a casa il suo abate perché rifletta bene prima di decidere», osservò Anselm, «il vicepriore deve sottostare alla sua autorità, non può inframmettersi per riportarlo indietro. Potrebbe parlarne con lui, sì, cercare di persuaderlo a tornare, ma sarebbe una miserevole sconfitta, se non vi riuscisse. A meno che il suo scopo non fosse soltanto quello di liberarsi la coscienza.» «È possibile. E potrebbe anche riuscirvi, dopotutto», ammise Cadfael. «C'è più di una coscienza, in quella casa, che si sente in debito con Ramsey. Che cosa ve ne pare, dell'altro?» «Il giovane? Un entusiasta, con grazia e fervore che sprizzano dalle sue guance rosee. Forse è questo che lo ha indotto a seguire Herluin!» «Ma dove lo avrà preso quel nome strambo?» «Tutilo? È annoverato tra i santi del mese di marzo, ma qui non è molto noto. Era un monaco di San Gallo, morto da più di due secoli, maestro in tutte le arti, pittura, poesia, musica. Avremo un giovane altrettanto dotato fra noi? Devo metterlo alla prova con la ribeca e vedere che cosa sa fare, può darsi che abbia a meritare il nome che gli hanno dato. Tastate un po' il terreno, Cadfael, mentre andate a Longner, oggi pomeriggio. Vedete che cosa potete ricavarne, da questo Tutilo.» La strada per Longner, a nord-ovest del Foregate, attraversava un breve tratto di bosco, poi saliva un basso pendio costeggiante il Severn in piena, che trascinava con sé rami spezzati e detriti d'ogni genere. Era nevicato molto quell'inverno e ora, col disgelo, in tutta la campagna attorno s'increspavano piccole, luccicanti onde argentee. Il guado poco più a monte era intransitabile, le isolette che in tempi normali consentivano di varcarlo erano sommerse dall'acqua, ma il traghettatore non ebbe difficoltà a portare i passeggeri sull'altra riva, avvezzo com'era ad affrontare acque turbolente, calma o burrasca.
Sulla sponda opposta, la strada attraversava prati inondati fino a una iarda dal fiume. Se al disgelo si fossero aggiunte intense piogge primaverili sulle colline del Galles, l'inondazione sarebbe arrivata fino alle mura di Shrewsbury, il torrente Meole e la gora del mulino si sarebbero ingrossati fino a minacciare persino la chiesa dell'abbazia. Era già accaduto due volte da quando Cadfael aveva vestito il saio, e ora a occidente il cielo era basso e grigio, come una cappa sopra le montagne all'orizzonte. Aggirarono il margine delle acque tracimate, passarono sotto il bordo scuro del terreno arato al limite del campo del Vasaio, salirono un lieve pendio nel bosco ben curato del maniero e raggiunsero finalmente la radura dove sorgeva la dimora signorile, in un punto al riparo dal vento, circondata da un alto steccato che racchiudeva anche altri fabbricati minori. Mentre entravano nel recinto, Sulien Blount uscì dalle scuderie, dirigendosi verso la casa. Indossava un farsetto di cuoio e semplici calzebrache, quali si addicevano a un fratello minore che faceva la propria parte di lavoro nel possedimento del primogenito, in attesa dell'occasione di ritagliarsene uno spicchio. Alla vista dei tre visitatori si fermò, esitante, stupito al riconoscere nientedimeno che il vicepriore Herluin, così lontano dal suo convento. Ma si riprese subito e venne loro incontro con reverente e forse un po' apprensiva cortesia. Le vicissitudini dell'ultimo anno lo avevano condotto a tale distanza da chiostro e tonsura che l'improvvisa, inattesa ricomparsa di ciò che si ricollegava a un passato ormai chiuso parve, per un momento, una minaccia alla sua tranquillità guadagnata a caro prezzo e ai suoi progetti per l'avvenire. Ma soltanto per un momento. Sulien sapeva dove stava andando. «Padre Herluin! Benvenuto nella mia casa! È un piacere vedervi in buona salute e sapere che Ramsey è stata restituita all'Ordine. Entrate, vi prego, e diteci in che cosa possiamo esservi utili qui a Longner.» «Sapete anche voi in quali condizioni l'abbiamo riavuta, la nostra abbazia!» replicò Herluin. «È stata per un anno il covo di una masnada di briganti, saccheggiata e spogliata di tutto quanto si poteva bruciare, persino i muri deturpati, quando non addirittura abbattuti. Abbiamo bisogno di ogni figlio della nostra casa, di ogni amico dell'Ordine per ripristinare davanti a Dio ciò che è stato sconsacrato. Sono venuto a cercare voi, è con voi che desidero parlare.» «Amico dell'Ordine spero di esserlo», asserì Sulien. «Ma figlio di Ramsey e fratello dei suoi fratelli non lo sono più, ormai. L'abate Walter mi ha rimandato a casa perché riflettessi sulla mia vocazione, della quale capiva
l'incertezza, e ne parlassi con l'abate Radulfus, che avrebbe potuto consigliarmi riguardo alla prosecuzione del mio noviziato. Lui stesso mi ha prosciolto dal mio impegno. Ma entrate, padre, potremo discorrere da amici e io vi ascolterò con reverenza, tenendo rispettosamente conto di quanto mi direte.» E lo avrebbe fatto, perché gli era stato insegnato quali doveri avessero i giovani nei confronti degli anziani, tanto più quando si trattava di uno che né possedeva né avrebbe ereditato niente ed aveva perciò maggior bisogno di compiacere chi, disponendo di potere e autorità, era in grado di aiutarlo a farsi strada nella vita. Avrebbe ascoltato, certo, ma non sarebbe tornato sui propri passi, non avrebbe cambiato idea. Inutile dunque che Herluin cercasse, con la sua stessa presenza, d'imporre a un ex confratello doveri che non aveva più, impegni assunti erroneamente, per motivi fraintesi. «Vorrete parlare in via strettamente privata, immagino», osservò Cadfael, seguendo il vicepriore su per la gradinata che portava all'ingresso del vestibolo. «Col vostro permesso, Sulien, questo giovane confratello e io gradiremmo fare una visita a vostra madre. Se, naturalmente, sta abbastanza bene ed è disposta a ricevere visite.» «La vostra sempre!» ribatté Sulien, con un breve, luminoso sorriso. «E una faccia nuova sarà una gradevole eccezione per lei. Sapete come guarda la vita e il mondo, ora, con la mente e il cuore in pace.» Non era sempre stato così. Donata Blount aveva sofferto per anni di una malattia devastante e incurabile che l'aveva consumata lentamente e con dolori atroci, riducendola a poco più di uno scheletro. Ma non l'aveva sconfitta, lei era sopravvissuta alle sue pene e ora osservava con animo sereno il mondo che stava per lasciare. «Manca poco, ormai», osservò semplicemente Sulien, fermandosi nel vestibolo in penombra. «Padre Herluin, favorite venire con me nel salone, vi farò servire un rinfresco. Mio fratello è alla fattoria, mi dispiace che non sia qui a salutarvi, ma non eravamo stati avvisati, vorrete scusarlo. E voi, Cadfael, andate pure da mia madre, so che è sveglia. Siete sempre il benvenuto per lei.» Lady Donata, ormai confinata in permanenza a letto, stava appoggiata a una pila di cuscini, nella camera bene illuminata e riscaldata, in un angolo, da un piccolo braciere. Era diventata nulla più che ossa sottili e pelle diafana, le sue mani immobili sulla coperta erano candide e delicate come petali di giglio, ma nel viso affilato splendevano tuttora gli occhi di un azzur-
ro intenso, limpidi e intelligenti come sempre nella loro intramontabile bellezza. Lo spirito racchiuso in quel fragile guscio era sempre vigile, indomito, più che mai interessato al mondo circostante, senz'alcun timore o riluttanza al momento di lasciarlo. Donata alzò gli occhi sui visitatori e salutò Cadfael con una voce sommessa che non aveva perduto niente del proprio garbo. «Fratello, che piacere vedervi! Vi siete fatto vivo tanto di rado in tutto l'inverno e mi sarebbe rincresciuto andarmene senza congedarmi da voi!» «Avreste potuto mandare qualcuno a chiamarmi!» ribatté il monaco, sedendosi su uno sgabello accanto al letto. «Io sono obbediente e Radulfus non avrebbe avuto niente da obiettare.» «È venuto lui stesso a Natale per confessarmi. Mi ha adottata come pecora del suo gregge e non si dimentica di me.» «E per il resto come va?» insistette Cadfael, scrutando il suo viso sereno. Non occorreva andare per vie traverse, con Donata, lo capiva al volo. «Quanto a vita e morte, benissimo. Quanto a dolori... Mi ci sono abituata, non li sento più, o non me ne curo se si fanno sentire. Li considero il segno che speravo di trovare.» Parlava senza apprensione o rimpianti, contenta di aspettare ancora per qualche tempo. «E questo chi è?» domandò dopo un momento, fissando il giovane che si teneva in disparte. «Un nuovo aiutante per il vostro erbario?» Interpretando giustamente quelle parole come un invito, Tutilo si avvicinò un poco, con gli occhi spalancati e fissi sulla sconosciuta signora della quale capiva le condizioni, l'esuberanza della giovinezza a confronto con la morte, ma non sembrava affatto sgomento o impietosito. Donata non destava pietà. «No, io non ho niente a che vedere con lui», rispose Cadfael, che per altro sarebbe stato ben contento di avere un aiutante così svelto e attento. «È venuto col suo vicepriore dell'abbazia di Ramsey. L'abate Walter è tornato nel suo monastero e ha richiamato tutti i confratelli, ora impegnati nell'opera gravosa della ricostruzione, perché Geoffrey de Mandeville e i suoi briganti hanno lasciato un guscio vuoto. In questo momento il vicepriore Herluin è di là nel salone, tastando il terreno per vedere che cosa può fare con Sulien.» «Oh, quello non lo riavrà mai più», dichiarò fermamente Donata. «È stato un profondo dolore per me che fosse arrivato a commettere un simile errore e Geoffrey de Mandeville, anche se non ha mai fatto altro che male in tutta la sua vita, ha avuto almeno il merito di aver fatto ritrovare il senno a
Sulien, con la sua aggressione. Il mio figlio minore», aggiunse guardando Tutilo con un sorriso accogliente, «non è tagliato per fare il monaco.» «È quanto ha detto un imperatore, credo, riguardo al primo Tutilo, il santo dal quale questo giovane confratello ha preso il nome», osservò Cadfael, rammentando ciò che aveva appreso da Anselm. «Un santo che possedeva pure altre doti, era anche pittore, scultore, cantore e musico, per questo il suddetto imperatore ebbe a dire incollerito che un simile genio non era tagliato per fare il monaco.» «Chissà che un giorno o l'altro qualche re, o qualche donna, non abbia a dire altrettanto di questo», commentò Donata, osservando ammirata quel giovane tanto bello e garbato. «Siete un tale modello di bravura, voi, Tutilo?» «Per questo mi hanno chiamato così», ribatté lui arrossendo, ma per nulla a disagio, senza abbassare gli occhi fissi sulla signora che, nella pace finale della sua vita, aveva ritrovato in parte la perduta bellezza, tornando a essere l'ammirabile Donata di un tempo. «Me la cavo abbastanza bene con la musica», continuò in tono distaccato, come se parlasse di qualcun altro, senza né vanteria né critiche. E piccole fiamme d'interesse e simpatia si accesero negli occhi della donna. «Bene! Allora mostrateci qualcosa di ciò che sapete fare. La musica è stata spesso per me un grande aiuto per prendere sonno. Un sollievo, almeno, se i demoni non si acquietavano.» Donata indicò una cassapanca in un angolo della camera. «Là dentro c'è un salterio che nessuno tocca da una quantità di tempo, volete provarlo? Sarà bello udirne di nuovo la voce. E nel salone c'è un'arpa, ma nessuno sa suonarla.» Tutilo andò immediatamente a sollevare il pesante coperchio e prese dalla cassa uno strumento a corde, tondo e non molto grande, col manico lungo, da suonare tenendolo sulle ginocchia, poi scrutò sul fondo in cerca di un plettro, ma non ne trovò. «Un tempo li preparavo io, più o meno ogni settimana. Mi dispiace di avere poi trascurato il mio compito», disse Donata, quasi scusandosi. «Non importa, posso usare le unghie», ribatté lui sorridendo. Reggendo il salterio con cura scrupolosa, sedette accanto al letto, sistemò lo strumento nella posizione adatta e passò una mano carezzevole sulle corde, traendone un sommesso, tremulo mormorio. «Le vostre unghie sono troppo corte», lo avvertì la donna. «Vi sbuccerete la punta delle dita.» La sua voce sapeva trovare ancora sfumature capaci di rendere eloquenti
le frasi più semplici. A Cadfael sembrò quella di una madre incerta tra indulgenza e disapprovazione, ma desiderosa di mettere in guardia un giovane sul punto di avventurarsi in un'impresa che sarebbe potuta essere dolorosa. No, forse non una madre, e neppure una sorella maggiore, qualcosa di meno di una parentela coi diritti del sangue e al tempo stesso di più perché rapporti di quel genere, liberi da doveri e responsabilità, erano anche liberi da restrizioni, dipendevano soltanto dalla volontà degli interessati. E Donata aveva ormai troppo poco tempo davanti a sé per sottoporsi ora a limitazioni. Come l'avesse interpretata Tutilo non v'era modo di saperlo. Si limitò a guardarla sorridendo e tese le mani con le palme all'insù, flettendo le dita lunghe e agili. «La punta delle mie dita è di cuoio, guardate! Sono stato arpista al maniero del signore di mio padre per un anno, prima di entrare a Ramsey. Lasciatemi provare dunque, e scusatemi se sbaglio!» Lo disse con un tono indulgente, persino vagamente divertito, come se dovesse convincere della propria bravura un ascoltatore preoccupato senza motivo. Le prime note sommesse si alzarono come un coro d'insetti in un prato inondato dal sole, mentre Tutilo chinava la testa sulle corde tutto preso dalla propria musica, e Donata l'osservava con gli occhi socchiusi e maggiore attenzione perché lui non la guardava. Le dita del giovane, seppure incallite dall'arpa, scorrevano agili e sicure sulle corde, creando un ruscello scintillante di note armoniose. «Corde di metallo darebbero un suono più forte e limpido, ma serviranno benissimo anche queste di budello.» L'ondata della musica dilagò nella stanza, persino la vecchia cassa armonica parve dilatarsi per dare spazio a quella profusione di note. Cadfael si scostò un poco dal letto col suo sgabello per poterli vedere bene tutti e due, una coppia oltremodo interessante. Quel ragazzo era indubbiamente assai dotato, ma v'era qualcosa di allarmante in quel suo improvviso sfogo musicale. Come se un uccello canoro muto da gran tempo avesse scoperto a un tratto di avere riacquistato il dono del canto. Il primo ardore si placò dopo un momento lasciando il posto a un tono moderato, lo spumeggiante vorticoso ritmo di danza si attenuò in un'aria melodiosa più adatta a uno strumento così delicato. Persino un po' malinconica, una sorta di virerai, la canzone trobadorica ritmica e mesta. Dove poteva averla appresa? si domandò Cadfael. Certo non a Ramsey, dove non sarebbe stata ammessa.
E Donata, stanca del mondo ed esperta conoscitrice delle ironie della sorte, se ne stava quieta sui suoi cuscini, sorbendo la musica come fosse una bevanda corroborante, senza staccare dal giovane i grandi occhi azzurri. Girovagando per mezza Europa, tanti anni addietro, Cadfael aveva visto talvolta tra l'erba dei prati, in montagna, genziane più azzurre del cielo sereno, lo stesso colore di quegli occhi. Poi Tutilo prese a cantare. Una voce morbida e bene intonata per una melodia semplice e armoniosa, venata di dolore e di speranza a un tempo. Non usava l'inglese, neppure il francese-normanno conosciuto in Inghilterra, ma la langue d'oc, che Cadfael non rammentava più tanto bene. Dove poteva avere udito e imparato le canzoni dei trovatori provenzali, quel giovane novizio? Al maniero del signore dove suonava l'arpa? Donata non conosceva il francese meridionale, Cadfael lo aveva quasi dimenticato, ma entrambi sapevano riconoscere una canzone d'amore quando ne udivano una. Addolorata, inappagata, eternamente animata dalla speranza, un amour de loin, che tale sarebbe sempre rimasto. La cadenza mutò a un tratto, alla musica senza parole si sostituì un inno liturgico, Ave mater salvatoris, mentre la porta si apriva silenziosamente e soltanto Tutilo se n'era accorto - davanti all'innocua figura di Sulien Blount. Ma alle spalle si profilava quella minacciosa del vicepriore Herluin. Donata sorrideva tranquilla, ammirando quel vivace ingegno capace di mutare corso con tanta facilità, senza un'interruzione, senza alzare gli occhi, e Herluin corrugò la fronte in un'espressione di profondo biasimo al vedere il suo novizio tranquillamente seduto accanto al letto di una donna, suonando palesemente per lei, ma bastò un'occhiata al viso della donna, devastato eppure tanto dignitoso, per disarmarlo. Tanto più perché non era vecchia, ma avvizzita nel fiore degli anni. Tutilo si alzò rispettosamente, stringendosi il salterio al petto, e si ritrasse in un angolo della stanza, con gli occhi bassi. Non aveva bisogno di guardare Donata, per vederla, rifletté Cadfael. «Madre», disse Sulien in tono grave e un po' rigido, «c'è qui con me il vicepriore Herluin, mio superiore a Ramsey. Volete dargli il benvenuto, in nome di mio fratello?» In assenza del figlio maggiore e della nuora, Donata parlò autorevolmente per entrambi. «Padre, servitevi della nostra casa come se fosse la vostra. La vostra visita ci fa onore. È una gioia per noi tutti sapere che l'abbazia di Ramsey è di nuovo al servizio del Signore.»
«Il Signore ci ha protetti, è vero», convenne Herluin, con minor sussiego del solito, perché la vista di Donata lo aveva sconvolto. «Ma c'è molto da fare per rimettere in sesto la nostra casa e abbiamo bisogno di tutto l'aiuto possibile, da parte di tutti. Avevo sperato di riportare vostro figlio con me, ma a quanto pare non posso più chiamarlo fratello. Tuttavia, vi ricorderò entrambi nelle mie preghiere.» «E io ricorderò Ramsey nelle mie», dichiarò Donata. «Anche se perdete un fratello, potremo sempre esservi di aiuto in qualche altro modo.» «Andiamo cercando la carità di tutta la brava gente, di qualsiasi genere. La nostra casa è spoglia, si sono portati via tutto ciò che si poteva trasportare, lasciandoci soltanto i muri e anche quelli deturpati.» «Io», intervenne Sulien, «ho promesso di tornare a Ramsey e lavorare là per un mese, quando fosse stato il momento.» Non era mai riuscito a liberarsi del tutto dal senso di colpa per avere abbandonato una vocazione che peraltro aveva già sbagliato a intraprendere, e sarebbe stato un sollievo pagare il suo debito col lavoro e togliersi quel peso dalla coscienza prima di sposarsi. Pernell Otmore lo avrebbe capito e approvato. Herluin lo ringraziò dell'offerta, ma senza troppo entusiasmo, forse chiedendosi che cosa di buono e di utile avrebbe mai potuto ricavare la sua abbazia da quel giovane tanto insicuro. «Parlerò anche con mio fratello», riprese Sulien, «e vedremo che cos'altro potremo fare. Stanno tagliando il bosco ceduo e c'è pure del legname stagionato; gli chiederò di darvene una parte per la vostra ricostruzione e sono certo che non rifiuterà, se disponete di un carro per il trasporto o se potete prenderne uno a nolo, perché Eudo non può fare a meno dei suoi per molto tempo.» Quell'offerta concreta fu accolta con maggior calore. Herluin, rifletté Cadfael, era ancora corrucciato per il proprio fallimento nel tentativo di superare ogni ostacolo e riportare indietro Sulien non per un mese ma per tutta la vita. Non perché quel ragazzo avesse un valore particolare, ma perché il reverendo vicepriore non era avvezzo a incontrare opposizioni. Qualsiasi barricata doveva crollare come le mura di Gerico al suono della sua tromba. Comunque, aveva ottenuto quanto era possibile e si preparò a congedarsi. Tutilo, attento e silenzioso nel suo angolo, riaprì la cassa e vi depose con cura il salterio che aveva tenuto stretto al cuore. La delicatezza con la quale compì quelle semplici operazioni fece sorridere Donata.
«Il vostro cantore», disse, rivolgendosi a Herluin, «mi ha donato momenti di gioia e di serenità. Vorrei chiedervi un favore, se me lo consentite. Se qualche volta non potrò dormire per i dolori che mi affliggono, mi concederete un tale sollievo per un'ora, mentre siete a Shrewsbury? Non lo chiamerò se non ne avrò estremo bisogno. Gli permetterete di venire?» Seppure colto alla sprovvista da una simile richiesta, Herluin si rendeva perfettamente conto di essere stato messo in condizioni di netto svantaggio, rifletté Cadfael, anche se probabilmente sperava che lei non se ne rendesse conto a sua volta. Una speranza che fu subito delusa. Donata sapeva benissimo che il vicepriore non poteva rifiutare. Mandare un vulnerabile novizio a suonare per una donna, per di più a letto, era impensabile, persino scandaloso. Sennonché quella donna era ormai tanto vicina alla morte che si udiva nella sua voce il lieve cigolio della porta che si apriva e si vedeva sul suo volto il diafano pallore dell'anima incorporea. Lei non avvertiva più le caratteristiche di questo mondo, né temeva le paurose incertezze dell'altro. «La musica mi rasserena, è come una medicina per me», continuò Donata, aspettando pazientemente la risposta. Tutilo era in un angolo, in silenzio, con gli occhi bassi che, però, rilucevano di gioia. «Se lo chiamerete in caso di estremo bisogno», rispose finalmente Herluin, «come potrebbe il nostro Ordine rifiutarvi un aiuto? Chiamatelo e Tutilo verrà.» CAPITOLO II «Non vi sono più dubbi ormai riguardo all'origine del suo nome», osservò Cadfael, trattenendosi a parlare con fratello Anselm nello scomparto del chiostro la mattina seguente, dopo la messa solenne. «Melodioso come un'allodola.» Ne avevano appena udita una che cantava a voce spiegata e si erano fermati ad ascoltarla. «Sì, quel ragazzo è davvero dotato di un talento eccezionale», convenne Anselm. «Ha un orecchio e una disposizione naturali per la musica, ma una voce non adatta per cantare in un coro. Troppo predominante. Non si può nascondere una spiga in mezzo all'erba.» Era vero, Cadfael lo aveva sperimentato di persona. Ascoltando quel timbro puro e melodico, di una sonorità sorprendente e perfetta, nessuno avrebbe potuto dubitarne. Impossibile adeguare una voce simile all'uni-
formità di un coro. Cadfael si domandò se non fosse altrettanto irragionevole fare del suo possessore niente più che un semplice, disciplinato confratello. «L'ospite provenzale di fratello Denis ha drizzato le orecchie quando lo ha udito», continuò Anselm. «Ieri sera ha chiesto a Herluin di permettere al ragazzo di suonare con lui nella sala. Vanno là, ora. Io ho la ribeca per cambiare le corde e devo riconoscere che ha la massima cura per il suo strumento.» I tre che, usciti dalla porta meridionale della chiesa, stavano attraversando il chiostro, destarono una considerevole curiosità e una serie di congetture tra i novizi. Non accadeva spesso che fosse ospite dell'abbazia un trovatore venuto dal meridione della Francia, ed evidentemente ricco e famoso, se viaggiava con due persone al seguito e indossava vesti lussuose. Erano lì da tre giorni, bloccati nel corso di un viaggio a Chester perché si era azzoppato uno dei loro cavalli. Rémy di Pertuis era una figura non comune, un gentiluomo sulla cinquantina che si faceva notare per la sua raffinata eleganza e il portamento regale. Cadfael lo seguì con lo sguardo mentre andava verso la foresteria. Lo aveva visto soltanto di sfuggita fino allora, ma se Anselm lo stimava e apprezzava il suo estro musicale, valeva la pena di osservarlo con attenzione. Una bella testa lucente di folti capelli color rame e barba corta, busto eretto sotto un mantello foderato di pelliccia. E due accompagnatori che lo seguivano da presso: un uomo alto sui trentacinque anni che vesti di buona stoffa ma modeste collocavano a mezza via tra scudiero e stalliere, e una donna con mantello e cappuccio che per la figura snella e il passo leggero era senza dubbio giovane. «Come mai porta con sé una fanciulla?» domandò Cadfael, perplesso. «Lo ha spiegato lui stesso a fratello Denis», rispose Anselm, sorridendo. «Gli serve per un suo fine strettamente personale, benché non sia quello che avevo immaginato.» Fratello Anselm, pur essendo entrato in convento, aveva scandagliato molte delle vie traverse comuni fuori di quelle mura e smesso da tempo di stupirsene o scandalizzarsi. «Lei canta la maggior parte delle sue composizioni. Ha una bella voce e Rémy l'ammira per quella, ma per null'altro, a quanto posso vedere.» «Ma che cosa ci fa qui nel cuore dell'Inghilterra un menestrello della Provenza? Che non è certo un semplice giullare, è un provetto trovatore. Un po' lontano da casa, non vi pare?» Eppure, perché no? I mecenati che proteggevano tali artisti non erano
soltanto provenzali, ma inglesi, normanni, bretoni, angioini e possedevano terre e castelli dappertutto, cercarli da una parte o dall'altra era lo stesso. E la vera natura del trovatore, dopotutto, era quella del girovago amante dell'avventura. Chi cerca trova, ed era appunto dal verbo provenzale trobar che essi avevano preso il nome. E se la loro arte era universale, perché stupirsi della loro presenza anche in luoghi tanto lontani? «Sta andando a Chester», spiegò Anselm. «Così almeno ha detto il suo domestico, Bénezet. Forse spera di avere un posto in casa del conte. Ma non ha fretta e nemmeno bisogno di denaro, a quanto pare. Con tre ottimi cavalli da sella e due domestici può viaggiare tranquillo.» «Ma perché avrà lasciato il suo ultimo posto?» rifletté Cadfael. «Forse piaceva troppo alla signora e questo infastidiva il signore? Una faccenda seria, se ha dovuto attraversare il mare.» «Quello che mi chiedo io», disse Anselm, indifferente a quella cinica opinione riguardo ai trovatori, «è dove avrà trovato la donzella. Non è né provenzale, né d'altra località della Francia. Parla l'inglese e un po' di gallese, perciò dovrebbe averla scovata di qua dal mare. Bénezet è meridionale come lui.» Frattanto i tre erano spariti nella foresteria, lasciando insoluti tutti gli interrogativi sul loro conto. E tra qualche giorno, se il tempo si manteneva buono e il cavallo azzoppato riprendeva a trottare, se ne sarebbero andati, ignoti come i tanti altri che cercavano rifugio sotto quel tetto ospitale per un giorno, una settimana, poi proseguivano per la propria strada, senza lasciare traccia del loro passaggio. Cadfael si riscosse con un profondo sospiro da quel vano arzigogolare e andò in chiesa a dire una parolina all'orecchio di santa Winifred prima di tornare al suo lavoro in giardino. Ma c'era già qualcun altro a chiedere il favore della santa. Sul primo gradino dell'altare era inginocchiato Tutilo, così assorto nella sua preghiera che non udì avvicinarsi il monaco. Teneva il viso alzato verso la luce delle candele con un'espressione ansiosa e concentrata, muovendo rapidamente le labbra in un tacito ma fervido appello, fiducioso, a giudicare dai suoi occhi spalancati e le guance arrossate, che esso sarebbe stato ascoltato ed esaudito. Tutilo faceva sempre tutto col massimo impegno, pregava e suonava, con tutta l'anima. E, alla fine, si alzò con uno scatto gioioso e il mento alzato come se sapesse di avere ottenuto ciò che chiedeva. Quando avvertì un'altra presenza, si voltò a guardare il nuovo arrivato con un'espressione modesta e riservata, smorzando la sua luminosa esube-
ranza con la stessa facilità con la quale era passato da una canzone d'amore a un inno liturgico per sventare le ire di Herluin, nella camera di Donata. Come riconobbe Cadfael, tuttavia, la sua devota gravità si attenuò un poco e nei suoi occhi ricomparve cautamente uno sprazzo di luce. «Stavo chiedendo il suo aiuto per la nostra missione», spiegò. «E domani padre Herluin terrà una predica alla Holy Cross, in città. Se santa Winifred ci assiste, non possiamo fallire.» Tutilo tornò a guardare il reliquiario sopra l'altare, un lungo sguardo amorevole e stupito. «Ha già compiuto miracoli. Fratello Rhun mi ha detto come lo ha guarito e preso come suo fedele servitore. E tante altre meraviglie. Per l'anniversario della sua traslazione arrivano sempre centinaia di pellegrini, mi ha detto fratello Jerome. E mi ha parlato anche delle preziose reliquie che conservate qui. Ma lei è più importante di tutto, senza uguali.» Fratello Cadfael non aveva certo niente da obiettare, a quel riguardo. Ne aveva, invece, riguardo alle preziose reliquie che si erano accumulate lì nel corso degli anni. Pietre del Calvario e del Monte degli Ulivi... Diamine, le pietre sono pietre, se ne trovano dappertutto, c'è soltanto la parola di chi le fornisce circa la loro provenienza. Pezzetti d'osso di santi e martiri, una goccia del latte della Vergine, un brandello della sua veste, un'ampollina col sudore di san Giovanni Battista, una ciocca dei capelli rossi di santa Maria Maddalena... tutta roba facile da portare, e senza dubbio molti dei pellegrini che tornavano dalla Terra Santa erano in buona fede e credevano che lo fosse pure chi offriva loro quelle reliquie. In alcuni casi però Cadfael dubitava che fossero mai arrivati neppure ad Acri, ma santa Winifred la conosceva bene, l'aveva levata lui stesso dal terreno gallese e lui stesso ce l'aveva poi rimessa, ricoprendola con la dolce terra di Gwytherin che lei aveva tanto amata. E anche da lontano la santa fanciulla teneva una mano protettrice su Shrewsbury e su di lui, in un rapporto quasi personale. Lui cercava di mantenersi entro limiti ragionevoli quando le chiedeva qualcosa, ma ora la santa avrebbe certo ascoltato con la stessa attenzione anche questo giovane infervorato, concedendogli, se non forse tutto ciò che chiedeva, sicuramente quanto era di meglio per lui. «Oh, se avessimo anche noi a Ramsey una patrona simile!» proruppe Tutilo, più infervorato che mai. «Diventerebbe famosa anche la nostra abbazia e i nostri guai sarebbero finiti. I pellegrini arriverebbero a migliaia e le loro offerte arricchirebbero la nostra casa.»
«Arricchire il vostro monastero potrebbe anche essere compito vostro», lo redarguì seccamente Cadfael. «Ma non certo dei santi!» «No, tuttavia accade!» ribatté il ragazzo, imperturbato. «E Ramsey ha certamente bisogno e merita una grazia particolare, dopo tutto quello che ha sofferto. Non può essere una colpa chiedere che si arricchisca. Non voglio niente per me.» Poi si corresse. «Be', sì, voglio giovare ai miei fratelli, al mio Ordine, nient'altro.» «Questo incontrerà senza dubbio il suo favore. E il vostro talento è un dono del cielo. Andate dunque e fate del vostro meglio a Shrewsbury e nelle altre città dove intendete recarvi. Che cosa si potrebbe chiedervi di più?» «Farò tutto il possibile», asserì Tutilo con una fermezza venata di delusione, senza staccare gli occhi dal reliquiario argenteo della santa, rilucente tra le fiammelle delle candele. «Ma una patrona così... sarebbe la nostra fortuna! Fratello Cadfael, non sapete dirci dove potremmo trovarne un'altra?» Si congedò quasi controvoglia, voltandosi ancora a guardare dalla soglia, prima di scrollare risolutamente le spalle e andare a prendere da Herluin gli ordini e i suggerimenti del caso per indurre i bravi borghesi di Shrewsbury ad allentare i cordoni della borsa. Cadfael lo seguì con lo sguardo finché non fu sparito e gli augurò mentalmente buona fortuna, come meritava la sua innocente volontà. Si avviarono verso la città in processione solenne, con la dignitosa presenza del priore Robert ad aggiungere importanza all'evento. Lo sceriffo aveva informato il borgomastro e la gilda dei mercanti, affidando loro il compito di accertarsi che gli abitanti di Shrewsbury si rendessero conto del proprio dovere e fossero tutti presenti. Un'oblazione a un monastero così prestigioso e in quel momento maggiormente bisognoso d'aiuto era un mezzo infallibile per acquistarsi un merito, e in una grande città sarebbero state senza dubbio numerose le persone disposte a pagare un prezzo modesto per ottenere la remissione di modesti peccati. L'aria palesemente e profondamente soddisfatta di Herluin e la borsa rigonfia di Tutilo, al ritorno dalla loro spedizione, non lasciavano dubbi sul suo esito. E la predica della domenica seguente dal pulpito della parrocchia ingrandì il bottino. La cassetta donata da Radulfus per raccogliere le offerte andò facendosi sempre più pesante, e tre abili artigiani - un mastro carpentiere e due giovani muratori - offrirono la propria opera per le ripara-
zioni necessarie a Ramsey. Tutto andava per il meglio, persino Rémy di Pertuis aveva elargito sonanti monete d'argento, come si addiceva a un musico che aveva composto canti liturgici per due chiese provenzali. Era appena finita la messa, quando arrivò uno stalliere a cavallo che teneva per le redini un pony. Veniva da Longner, spiegò, e doveva trasmettere una preghiera di Lady Donata. Il vicepriore Herluin voleva essere tanto gentile da permettere a fratello Tutilo di recarsi da lei? Gli mandava un pony per il viaggio e prometteva che sarebbe tornato in tempo per compieta. Tutilo si sottomise umilmente alla volontà del suo superiore, ma gli brillavano gli occhi. Avere di nuovo tra le mani, senza sorveglianti, il salterio della signora sarebbe stata una giusta ricompensa per aver dovuto suonare la musica di Herluin durante la giornata. Cadfael lo vide col viso illuminato da una gioia infantile, gioia per essere ricordato e necessario, gioia per la prospettiva di una lunga cavalcata mentre non si aspettava altro che una delle consuete, monotone serate dentro le mura. Il monaco lo capiva e lo scusava. Aveva ancora un indulgente sorriso sulle labbra mentre tornava al suo laboratorio dove stava preparando alcune medicine. E là trovò ad aspettarlo una bella fanciulla. «Fratello Cadfael?» domandò la cantatrice di Rémy di Pertuis, scrutandolo con audaci occhi azzurri allo stesso livello dei suoi. Non molto alta, ma sopra la media per una donna, esile e dritta come una lancia. «Mi ha mandata da voi fratello Edmund. Il mio signore e padrone ha un terribile raffreddore, gracida come una rana, e il vostro confratello ha detto che voi potete aiutarlo.» «A Dio piacendo!» ribatté il monaco, ricambiando il suo minuzioso esame con pari freschezza. Non l'aveva mai vista così da vicino perché lei si teneva sempre in disparte, forse per non correre rischi con un padrone esigente. Era a capo scoperto, ora, e il suo viso ovale e delicato aveva lo splendore di un giglio tra due ali di ricciuti capelli neri. «Entrate, dunque», la invitò, «e ditemi qualcosa di più. La sua voce è senza dubbio della massima importanza. Colui che perde gli strumenti del suo lavoro ha smarrito i suoi mezzi di sussistenza. Com'è questo suo raffreddore? Gli lacrimano gli occhi? Ha mal di testa? Il naso tappato?» La fanciulla lo aveva seguito nel laboratorio già quasi buio, illuminato unicamente dal fuoco del braciere ricoperto di cenere, finché Cadfael non immerse un bastoncino di zolfo e usò la fiammella che se ne sprigionò per accendere la sua piccola lampada.
Allora la fanciulla si guardò attorno, incuriosita dai ripiani occupati da vasi e caraffe, dai fasci di erbe essiccate appesi al soffitto e frusciami nella corrente d'aria che entrava dalla porta aperta. «La sua gola», mormorò dopo un momento in tono indifferente. «Non s'interessa d'altro. Ha la gola secca, la voce rauca, e fratello Edmund dice che voi avete pozioni e pastiglie adatte. Non è malato», precisò con sdegnosa sopportazione. «Non è più caldo del normale e quindi non ha la febbre, ma il semplice pensiero che qualcosa possa minacciare la sua voce lo fa sudare. La sua e anche la mia, è vero. Ma non perché si preoccupi per me. La mia voce è soltanto un altro dei suoi strumenti che non può rischiare di perdere. Fratello Cadfael, le fate voi quelle pastiglie e pozioni?» «Io trito e mescolo, le materie prime me le fornisce la natura. Manderò al vostro signore pastiglie per la gola e un calmante per la tosse da prendere ogni tre ore, ma devo prepararli. Un momento soltanto. Sedetevi accanto al braciere, intanto, comincia a far freddo, qui, la sera.» Lei lo ringraziò ma non sedette, quello schieramento di recipienti misteriosi l'affascinava. Si aggirò per il laboratorio osservando e rimirando, muovendosi leggera e silenziosa come un gatto, mentre il monaco prendeva da questo o quel ripiano poligala e sambuco, menta e un'ombra di oppio e mescolava il tutto dentro una bottiglia. «Avete bisogno di qualcosa per voi?» domandò Cadfael. «Qualcosa per evitare di ammalarvi a vostra volta?» «Io non ho mai preso un raffreddore in vita mia», replicò lei con aperto dispregio per le debolezze di Rémy di Pertuis e dei suoi simili. «È un buon padrone, Rémy?» La fanciulla scrollò le spalle. «Provvede al mio mantenimento e alle mie vesti.» «Nient'altro? Quello dovrebbe farlo anche per il suo stalliere o il suo sguattero. E voi, a quanto ne so, siete il puntello della sua reputazione», rimarcò Cadfael. Lei gli si mise di fronte, osservandolo mentre tappava con cura la bottiglia. Vista così, a faccia a faccia, appariva esperta e senza illusioni, in guardia contro le ferite e preparata a sottrarvisi o ricambiarle, se fosse stato necessario, eppure ancora più giovane di quanto egli avesse supposto, certamente poco più che adolescente. «Oh, è un bravissimo poeta e menestrello, tutto ciò che so me lo ha insegnato lui. Dio mi ha concesso un dono, certo, ma ho imparato da lui come usarlo. Se vi fosse mai stato un debito, cibo e vesti sarebbero già stati suf-
ficienti a saldarlo, ma non ve n'è nessuno. Rémy non mi deve niente. Il mio prezzo lo ha pagato quando mi ha comprata.» Cadfael la fissò sbalordito, chiedendosi se dovesse interpretare alla lettera quelle parole, e lei parve capirlo perché si affrettò ad aggiungere: «Comprata, sì, non assunta come collaboratrice. Io sono la schiava di Rémy, sempre meglio che restare legata all'uomo cui appartenevo prima. Non sapevate che accade tuttora?» «Sì, lo sapevo. Molti anni orsono un vescovo, Wulstan, tenne prediche appassionate per cancellare quella vergogna almeno dall'Inghilterra, se non dal mondo, ma l'unico risultato fu che i trafficanti furono costretti a operare di nascosto, il commercio continuò. Il punto di partenza è Bristol ma l'intento è più che altro quello d'introdurre schiavi gallesi in Irlanda.» «Mia madre potrebbe provare che il traffico si svolge nei due sensi», asserì la fanciulla. «In un rigido inverno aggravato dalla carestia, suo padre, per avere una figlia in meno da mantenere, la vendette a un mercante di Bristol che a sua volta la rivendette al signore di un modesto maniero nei pressi di Gloucester. È stata la sua compagna di letto per tutto il resto della sua vita, ma io non sono figlia di quel signore, purtroppo. Sono nata schiava e non c'è scampo.» «Potrebbe esservene uno», obiettò Cadfael, pur rendendosi conto delle inevitabili difficoltà. «E verso che cosa? Un'altra schiavitù peggiore? Rémy mi tratta bene, non come un padrone ma come un compagno, posso cantare e anche suonare, se c'è qualcuno che mi dà il la. Io non posseggo niente, neppure le vesti che indosso. Dove potrei andare? Che cosa potrei fare? Su chi potrei contare? No, non sono tanto sciocca. Me ne andrei se avessi un posto adatto a me e sicuro. Ma rischiare di essere riportata indietro, dopo averlo abbandonato? Sarebbe soltanto un'altra schiavitù di gran lunga peggiore di questa. No, meglio restare dove sono. Rémy non è cattivo con me. E poi, le cose potrebbero cambiare, non ho fretta.» Saggia decisione, rifletté Cadfael, considerata la sua situazione. A quanto pareva, il suo padrone provenzale non la molestava fisicamente e il profitto che traeva dalla sua voce arrecava pure a lei un notevole piacere, anche se non la ripagava con denaro, e poi le forniva vesti, nutrimento e riparo contro le intemperie, il che non era poco. E lei, se pure non lo amava, neppure lo detestava, aveva persino riconosciuto lealmente che erano stati i suoi insegnamenti a metterla in grado di usare al meglio il dono prezioso avuto da Dio. Alla sua età poteva permettersi di aspettare per qualche an-
no. Rémy era lui stesso in cerca di un mecenate importante col quale avrebbe potuto esservi anche per lei un posto soddisfacente. Ma sempre schiava, rifletté mestamente il monaco. «Ora», continuò la fanciulla osservandolo, incuriosita, «mi direte che esiste un posto dove potrei rifugiarmi senza pericolo di essere raggiunta. Rémy non oserebbe mai inseguirmi in un monastero.» «Me ne guardo bene!» protestò Cadfael. «Sovvertireste tutte le regole di qualsiasi monastero nel giro di un mese! No, non udrete mai da me un consiglio simile, non è posto per voi!» «Lo è stato per voi», sottolineò lei, maliziosamente. «E per quel Tutilo venuto da Ramsey. Avreste cercato di dissuadere anche lui? Il suo caso somiglia molto al mio. Non mi piace essere una schiava, come non piaceva a lui essere un domestico nella casa di un ripugnante vecchio satiro al quale egli invece piaceva troppo. Ma era il terzo figlio di un povero, ha dovuto provvedere lui per se stesso.» «Spero che non sia stato il suo unico motivo per entrare a Ramsey», ribatté Cadfael agitando vigorosamente la sua bottiglia per essere certo che gli ingredienti fossero ben mescolati. «Io invece lo credo, benché lui non se ne renda conto. È convinto che sia stato l'appello di Dio a levarlo da tutti i mali del mondo.» Lei stessa, rifletté il monaco, aveva conosciuto da vicino molti di quei mali e per fortuna ne era uscita senza danni. «Per questo cerca sempre di essere gentile e generoso», continuò la fanciulla. «E s'impegna a fondo in tutto ciò che fa.» Cadfael spalancò gli occhi fissandola stupito. «Pare che ne sappiate molto più di me sul conto di quel mio giovane confratello! Mi sembrava che non vi foste neppure accorta della sua esistenza. Come siete arrivata a scambiare un buongiorno con lui o addirittura a leggergli nella mente?» «Rémy lo aveva assunto come terza voce nell'organum triplo, ma non avevamo alcuna possibilità di parlare allora. Ed è naturale che ora nessuno ci veda mai scambiarci uno sguardo o qualche parola, sarebbe sconveniente per tutti e due. Lui sta per diventare monaco e non deve intrattenersi a tu per tu con una donna, io sono una schiava e se parlassi con un estraneo, per di più giovane, si penserebbe che ho idee adatte soltanto a una donna libera e potrei tentare di sciogliermi dalle mie catene. Inoltre io sono abituata a dissimulare e lui sta imparando. Non avete niente da temere, fratello. Tutilo ha occhi soltanto per la santità e il bene del suo monastero, io sono soltanto una voce. Parliamo di musica, l'unico interesse che abbiamo
in comune.» Vero, ma non l'intera verità. Non avrebbe potuto conoscere tanti particolari sul conto di quel ragazzo se non avessero mai parlato d'altro che di musica. «Sono pronte le medicine?» domandò la fanciulla, tornando bruscamente allo scopo della sua visita. «Rémy starà friggendo.» Cadfael le diede la bottiglia, poi mise alcune pastiglie in una scatoletta di cartone. «Un cucchiaino di sciroppo ogni tre ore», spiegò. «E le pastiglie quando vuole, gli calmeranno il bruciore alla gola. Qualcun altro sa dei vostri colloqui con Tutilo? Non ne avete fatto mistero con me.» Lei alzò le spalle sorridendo. «Perché dovrei? Tutilo mi ha parlato di voi. Non facciamo niente di male, non abbiamo niente da nascondere.» Lo ringraziò cordialmente e stava andando verso la porta quando Cadfael domandò: «Posso sapere come vi chiamate?» La fanciulla si voltò a guardarlo dalla soglia. «Mi chiamo Daalny. È il nome che usava mia madre, ma non l'ho mai visto scritto. Io non so né leggere né scrivere. Lei mi aveva chiamata così perché era il nome di un'antica regina irlandese consorte di un intrepido eroe, Partholan, il re di un popolo scomparso da secoli a causa di una terribile pestilenza che ebbe però il merito di scacciare per sempre i mostri che minacciavano la sua patria.» Se ne andò nella prima ombra del crepuscolo, snella e dritta, lasciando la porta aperta, e Cadfael la seguì con lo sguardo finché non scomparve oltre la siepe di bosso. La regina Daalny in schiavitù, quasi mitica come la sua omonima e molto più pericolosa. Allo scadere dell'ora che si era concessa, Donata aprì gli occhi e capovolse la clessidra sul tavolino accanto al letto. Aveva tenuto gli occhi chiusi mentre Tutilo suonava, per dargli l'impressione che lei non fosse lì, per evitargli il disagio dello sguardo di una vecchia avvizzita e lasciarlo libero di gioire del proprio talento senza doversi preoccupare dell'uditorio. Per lei poteva essere un piacere contemplare la sua fresca giovinezza, ma era poco probabile che lo fosse per lui la vista di una vecchiaia in rovina. Aveva fatto portare l'arpa nella propria camera per dargli la soddisfazione di essere lui stesso ad accordarla e metterla a punto e fu contenta di vedere che mentre era assorto in quelle operazioni, con la ricciuta testa bruna china sullo strumento, si era dimenticato persino della sua presenza. Così doveva essere, lei non era meno felice e lui lo era molto di più.
Ma un'ora era tutto quanto poteva chiedere, aveva promesso che Tutilo sarebbe tornato per compieta. Capovolse di nuovo la clessidra e lui smise immediatamente di suonare, con un soprassalto che fece vibrare le corde. «Ho commesso qualche errore?» domandò sgomento. «No, è un errore la vostra domanda, sapete benissimo che non è così. Ma il tempo passa e voi dovete tornare al vostro lavoro. Siete stato molto gentile e ve ne sono grata, ma se vi trattenessi più a lungo di quanto ho promesso non potrei più chiedere al vostro vicepriore di lasciarvi tornare un'altra volta.» «Potrei restare qui a suonare almeno finché non vi sarete addormentata», propose Tutilo. «Dormirò, non preoccupatevi per me. No, dovete andare ora, ma prima desidero darvi qualcosa. Aprite di nuovo quella cassa... oltre al salterio troverete una piccola borsa di pelle. Portatemela.» Tutilo obbedì. Donata sciolse il cordoncino che chiudeva il collo della borsa e ne rovesciò il contenuto sulla coperta: due braccialetti gemelli d'oro, una pesante catena d'oro con pietre preziose, un anello con sigillo, un altro formato da una larga fascia d'oro finemente cesellata e infine una grossa spilla pure d'oro lavorata a sbalzo, di evidente fattura sassone. «Prendete anche questi e aggiungeteli a quanto avete raccolto per Ramsey. Mio figlio Eudo ha promesso un buon carico di legname e vi manderà i carri domani sera, ma questi sono la mia offerta personale. Il riscatto di mio figlio minore.» Donata rimise i gioielli nella loro borsa e annodò il cordoncino. «Prendeteli!» Tutilo esitò, incerto. «Non occorre alcun riscatto, signora», disse dopo un poco. «Non aveva pronunciato i voti finali, aveva il diritto di scegliere la propria strada. Non deve niente.» «Non Sulien, ma io», ribatté lei, sorridendo. «Non fatevi scrupoli, prendeteli. Posso disporne come voglio, non li ho avuti dalla famiglia di mio marito ma da mio padre.» «Ma la moglie di vostro figlio», insisté Tutilo, «e la signora che sta per sposare Sulien... non protesteranno? Sono oggetti di grande valore e tutte le donne amano i gioielli!» «Le mie nuore sono d'accordo con me, non hanno nulla da obiettare. Ramsey pregherà per la mia anima e questo pareggerà i conti», concluse serenamente Donata. E Tutilo si arrese, anche se ancora un po' dubbioso, accettò la piccola ma preziosa borsa e baciò la mano che gliela porgeva.
«Andate ora», riprese Donata, riadagiandosi sui cuscini con un profondo sospiro. «Verrà a cavallo con voi Edred, che vi farà da scorta e riporterà poi indietro il pony. Non potete viaggiare da solo e a piedi, stasera.» Il giovane si accomiatò chiedendosi tuttora se avesse fatto bene ad accettare quel dono, che a lui sembrava favoloso. Arrivato alla porta si voltò a guardarsi indietro, ma Donata scosse la testa, accennandogli di andarsene con un gesto autoritario che lo fece uscire a precipizio come se fosse stato redarguito. Nel cortile trovò ad aspettarlo lo stalliere coi cavalli. Era già sera, il cielo era limpido e illuminato dalla luna, soltanto con lievi nubi lontane. Al traghetto l'acqua era più alta di quand'erano arrivati, benché non fosse piovuto. Più a monte, il fiume doveva essere in piena. Tutilo consegnò orgogliosamente il suo tesoro al vicepriore Herluin che lo ripose in un piccolo cofano di legno insieme con le altre offerte dei borghesi di Shrewsbury destinate a Ramsey, in aggiunta al carico di legname proveniente da Longner, mentre lui e Tutilo sarebbero andati a Worcester e possibilmente anche più lontano, a chiedere altri aiuti. Herluin chiuse il prezioso cofanetto e lo posò sull'altare di Saint Mary dove sarebbe rimasto fino al momento di affidarlo a Nicol, il fidatissimo economo del vicepriore, che ne avrebbe avuto cura durante il viaggio di ritorno a Ramsey. Altri due giorni e sarebbero partiti. L'abbazia aveva messo a loro disposizione cavalli per il resto del viaggio e un carro per il trasporto di quanto avevano raccolto, e la città aveva fornito gli uomini per tirarlo. Shrewsbury era stata magnanima con la casa consorella e l'oro di Donata era il coronamento di quella generosità. Non avrebbe corso alcun pericolo lì sull'altare, c'era Dio stesso a custodirlo. Uscendo dalla chiesa, Cadfael si fermò un momento ad annusare l'aria e perlustrare il cielo, già coperto di nuvoloni gonfi d'acqua tra i quali appariva di tanto in tanto un lampo di luna, subito oscurato. E quando andò a chiudere per la notte il suo laboratorio notò che il torrente aveva sommerso circa una iarda di terreno lungo il campo dei piselli. Piovve a dirotto per tutta la notte. La mattina, di buon'ora, Hugh Beringar, sceriffo del re nello Shropshire, arrivò a precipizio dalla città con la notizia di seri guai, mentre i suoi uomini davano l'allarme lungo il Foregate. «Sono stato informato che il Severn è straripato oltre la città», disse al-
l'abate Radulfus. «E nel Galles piove tuttora a scroscio. A Montford i campi sono allagati e il livello dell'acqua sta aumentando velocemente. Meglio mettere in salvo merci e oggetti preziosi, finché c'è tempo.» Le piene del Severn non arrecavano gran danno in città, salvo che per le attrezzature dei pescatori sulle sue sponde, ma il Foregate e parte dell'abbazia erano più in basso e minacciati, oltre che dal fiume, dal conseguente rigonfiamento del torrente Meole e dalla gora del mulino. «E gli abitanti delle case in riva al fiume dovranno trasferirsi momentaneamente in città; manderò alcuni dei miei uomini ad aiutarvi.» «Ne abbiamo già abbastanza, possiamo cavarcela da soli», ribatté l'abate. «Grazie per l'avvertimento. Pensate che sarà un'inondazione pericolosa?» «Non lo sappiamo ancora, ma avrete tempo per prepararvi. Se intendete caricare stasera quel legname di Longner, tuttavia, vi conviene portare il carro al di là della Fiera Equina. È a un livello sicuro e potrete andare e venire da stalla e fienile passando dalle porte del cimitero.» «Tanto meglio se anche gli uomini di Herluin potranno caricare la loro roba domani e tornarsene a casa...» Radulfus si alzò per andare a impartire gli ordini necessari, e Hugh si avviò verso la portineria, trascurando una volta tanto la consueta visita all'erbario di Cadfael. Ma il caso volle che in quel momento il monaco stesse aggirando la siepe del giardino, venendo così a trovarsi sulla strada dell'amico. «Ah!» esclamò, fermandosi di botto. «Mi avete preceduto! Avete avvisato l'abate?» «Certo, potete fermarvi e tirare il fiato», ribatté lo sceriffo, ponendogli un braccio attorno alle spalle. «Non sappiamo ancora che cosa possiamo aspettarci. Potrebbe essere meno grave di quanto temiamo, ma è meglio tenersi pronti, la parte bassa della città è già allagata. Bene, accompagnatemi fino alla porta, ora, vi ho a malapena visto da Natale.» «State tranquillo, questo guaio non durerà molto», lo rassicurò il monaco. «Due o tre giorni di acqua alta e un altro paio per ripulire, non è la prima volta che accade.» «Comunque mettete al sicuro le medicine che potrebbero occorrere e non lasciate nessun malato al pianterreno nell'infermeria. Sguazzare troppo nell'acqua non sarebbe igienico neppure per voi.» «Ci ho già pensato, stavo appunto andando a parlarne con fratello Edmund. Grazie al cielo, Aline e Giles non corrono alcun pericolo lassù nella vostra casa. Stanno bene?»
«Benissimo, grazie, ma voi trascurate troppo il vostro figlioccio.» Raggiunta la portineria dov'era legato il suo cavallo, Hugh si fermò un momento. «Venite presto a trovarci, quando il Severn sarà rientrato nel suo letto», raccomandò, prendendo le redini. «Lo farò, non dubitate. Intanto portate i miei saluti ad Aline e date un bacio per me al mio benamato figlioccio.» Lo sceriffo balzò in sella e partì al galoppo per andare a consultarsi col borgomastro del Foregate, e Cadfael si diresse soprappensiero verso l'infermeria, cercando mentalmente un posto dove sistemare le sue medicine perché fossero a portata di mano e, al tempo stesso, abbastanza lontano dall'insidia crescente delle acque del torrente Meole da una parte e della gora del mulino dall'altra. La messa fu celebrata come al solito, quella mattina, senza fretta, ma il capitolo si svolse nel giro di pochi minuti, dedicati soprattutto all'assegnazione dei vari compiti a gruppi appropriati di confratelli, così che non si creasse né confusione né spreco di tempo. Anzitutto impaccare gli oggetti di valore per il caso che fosse necessario trasferirli ai piani superiori, ma per il momento lasciarli dov'erano, inutile perdere tempo prezioso prima che fosse indispensabile. V'era altro da rimuovere dai punti più bassi del terreno entro le mura prima che la piena arrivasse a lambire la chiesa stessa. In uno di quei punti si trovavano le scuderie, perciò si provvide subito a sgombrare i cavalli e portarli più in alto, nello spazio della Fiera Equina, dove c'erano un granaio e un fienile dell'abbazia e gli animali, oltre a essere al sicuro, avrebbero trovato mangime a sufficienza senza bisogno di recarne là altro. Quanto alla chiesa, non era quasi mai accaduto che fosse invasa dall'acqua, lontana com'era dal fiume e attorniata da campi pianeggianti dove la piena avrebbe potuto dilagare, esaurendosi. Soltanto un paio di volte, a quanto si sapeva, il Severn era arrivato fino a quel punto, ma si era trattato di piene eccezionali causate dal disgelo primaverile dopo pesanti nevicate o da un lungo periodo di piogge torrenziali. Così i monaci ritennero sufficienti i provvedimenti presi, aggiungendo soltanto una vecchia, pesante coperta entro la quale avvolsero la bara argentea di santa Winifred, per il caso che sorgesse la necessità di rimuoverla, una eventualità che peraltro avrebbe sottinteso un'inondazione di una gravità senza precedenti. Cadfael saltò il pranzo, quel giorno, e andò invece a inginocchiarsi come
altre volte davanti all'altare della santa, in silenzio, perché aveva la mente troppo occupata dai ricordi per poter pregare, tanto più quando pareva esservi già in corso un dialogo con lei. Se v'era in paradiso un santo che lo conosceva perfettamente era proprio Winifred, la sua adorata vergine gallese, che non si trovava affatto lì, ma se ne stava quieta e soddisfatta nella sua terra natia, a Gwytherin. Nessuno lo sapeva all'infuori del suo devoto servo Cadfael, proprio lui che si era ingegnato a trovarle quel tranquillo riposo, e Hugh Beringar, che era stato messo al corrente di quel segreto in un secondo tempo. Lì, in Inghilterra, nessun altro, ma là, nella sua patria, a Gwytherin, era un nuovo principio di fede religiosa che non aveva bisogno di parole. Lei era tuttora là, con loro: andava bene così. Non era dunque minacciato il suo riposo, ora, ma quello inquieto di un giovane ambizioso e instabile che aveva commesso un omicidio inseguendo sogni aberranti, per la smania di favorire l'abbazia di Shrewsbury, per l'insano desiderio di eccellere. La sua morte aveva concesso a Winifred la possibilità di restare dov'era rimasto il suo cuore, nella sua terra amata. Questo, almeno, poteva quasi essere considerato come un'attenuante dei suoi peccati, La santa, difatti, non aveva cessato di elargire le proprie benedizioni perché nella bara destinata a lei giaceva invece un peccatore che raccoglieva le suppliche in suo nome. Anche se non era lì, aveva fatto miracoli. «Cara figliola», pregò silenziosamente Cadfael, «non è stato abbastanza a lungo in purgatorio? Non potete liberarlo finalmente dalle sue pene?» Nel corso del pomeriggio, il livello dell'acqua nel fiume e nel torrente parve decrescere un poco e stabilizzarsi, cosicché si cominciò a pensare che il peggio fosse passato, ma a tarda sera arrivò invece dall'altopiano del Galles l'ondata principale della piena, in un vorticoso tumulto di schiuma fangosa, di rami spezzati e rottami vari, persino le carogne di alcune pecore evidentemente travolte mentre pascolavano tranquille su un argine non abbastanza alto. Quella confusa accozzaglia ostruì in buona parte il ponte, facendo salire ancora più di prima il livello dell'acqua, e quanti erano presenti entro le mura dell'abbazia si precipitarono a portare in salvo tutte le suppellettili preziose, mentre fiume, torrente e stagno invadevano le zone più basse del cortile e del cimitero e rosicchiavano i gradini delle due porte, occidentale e meridionale, trasformando il recinto del chiostro in un laghetto melmoso. Frattanto, erano arrivati da Longner due carrettieri col promesso carico
di legname da costruzione che ora stavano trasferendo su un carro più grande appartenente all'abbazia per il viaggio fino a Ramsey. La cassetta del denaro offerto dagli abitanti di Shrewsbury era tuttora sull'altare di Saint Mary, pronta per essere consegnata all'economo Nicol che ne avrebbe avuto cura per il resto del tragitto. Un altare abbastanza alto per sopravvivere anche a un'inondazione quasi da diluvio universale. I carrettieri di Longner avevano portato con loro un volenteroso aiutante, un pastore di un villaggio poco distante, ma avevano appena cominciato a trasferire il loro carico quando sopraggiunse un agitatissimo fratello Richard che li mandò a dare una mano per portare fuori della chiesa o sistemare più in alto, all'interno, alcuni dei minacciati tesori dell'abbazia. Fratelli e ospiti erano in preda a un bel po' di confusione con l'avvicinarsi del buio. Un'ora dopo, la maggior parte del necessario salvataggio era compiuta, e gli ospiti cominciarono ad andarsene per raggiungere pascoli più alti e asciutti, prima di trovarsi con l'acqua alle ginocchia. L'ultimo fu Bénezet, l'uomo di Rémy, intabarrato e con stivali alti fino al ginocchio. I due carrettieri di Longner e il loro aiutante ripresero ad accatastare il legname, ma un fratello inquieto, col cappuccio alzato, trattenne l'ultimo, il pastore. «Amico, c'è qualcos'altro da mettere sul carro. Aiutatemi a caricarlo.» Ormai erano rimaste accese soltanto le luci sull'altare. Il pastore si lasciò guidare e si trovò a un'estremità di un fagotto lungo e stretto, accuratamente avvolto in coperte. Lo sollevarono insieme, un peso leggero per due uomini. Mentre si rialzavano, la lampada sull'altare gettò un raggio di luce giallastra sotto il cappuccio benedettino, sfiorò brevemente un viso intento e liscio, e tremolò nella corrente d'aria proveniente dalla sagrestia. Sempre insieme, monaco e pastore portarono fuori il loro fardello tra le tombe degli abati dove si trovava il carro dell'abbazia. I due carrettieri erano ancora sul loro, occupati a spostare via via i tronchi posteriori, pronti per venire trasferiti sul carro più grande, nella luce già attenuata del crepuscolo, e proseguirono indisturbati quando il loro aiutante e il fraticello issarono fra i tronchi il proprio fardello avvolto nelle coperte. L'ultima piega dell'ultimo involucro, un lampo di ricami dorati ora consunti e sfilacciati, comparve tra il legname di Longner. Da qualche parte, nel cimitero, allontanandosi verso l'ombra della chiesa, una voce fievole inviò loro ringraziamenti e benedizioni, e un cordiale augurio di buonanotte.
CAPITOLO III La mattina seguente subito dopo la messa solenne, il carro dell'abbazia si mise in viaggio per Ramsey. La cassetta col denaro fu affidata a Nicol, e l'assenza di un compagno che sarebbe andato col vicepriore Herluin a Worcester fu compensata dall'aggiunta di tre esperti operai in cerca di lavoro, una vigorosa, rassicurante guardia contro eventuali, sgradite sorprese. I tronchi erano ben assicurati, i quattro cavalli avevano trascorso comodamente la notte nella stalla alla Fiera Equina, al sicuro dalla piena, ed erano pronti a partire. La loro strada volgeva a oriente, oltre Saint Giles, e una volta superate le marcite e varcato il ponte presso Atcham, si sarebbero allontanati sempre più dal fiume, proseguendo su strade ben tenute e molto frequentate. Ma più avanti, più vicino alla loro destinazione, dove i tagliagole di Geoffrey de Mandeville avevano cercato rifugio, avrebbero forse avuto motivo di ringraziare il cielo per quei tre nuovi compagni che sapevano bene come usare le mani. Il carro se ne andò rumorosamente lungo il Foregate. Sarebbero stati alcuni giorni di strada, ma almeno in regioni più lontane dalle montagne del Galles che avevano rovesciato in pianura un tale volume d'acqua durante il disgelo dopo le pesanti nevicate dell'inverno. Più o meno un'ora dopo partì anche il vicepriore Herluin, accompagnato da Tutilo e da un altro servitore, ma dopo Saint Giles loro sarebbero andati verso sud. Probabilmente, Herluin non si era ancora reso conto che l'inondazione che si lasciava alle spalle avrebbe potuto raggiungerlo più a valle e persino sorpassarlo a Worcester. Rémy di Pertuis non accennò nemmeno ad andarsene. Alla foresteria non era arrivata neppure una goccia d'acqua. Era a un piano rialzato al quale si accedeva per una gradinata di pietra, e lui poté restare a curarsi la gola al caldo. Il suo cavallo personale, il migliore di tutti, zoppicava ancora, affermava il suo fedele Bénezet che badava pure ai cavalli, e ogni giorno sguazzava impassibile nell'acqua del cortile per andare ad accudirli nella stalla della Fiera Equina. Nel cortile delle scuderie, entro le mura, l'acqua era alta fin alle ginocchia e forse sarebbe rimasta così per parecchi giorni. Bénezet raccomandava di restarsene lì ad aspettare, e il suo signore, pensando alle possibili difficoltà della strada più a nord, verso Chester, con l'alto corso del Severn e l'imprevedibile Dee con cui fare i conti, non aveva
niente da obiettare. Era all'asciutto, ben nutrito e al sicuro lì dov'era. E la pioggia pareva allontanarsi. A occidente le nubi si andavano schiarendo, soltanto qualche pioggerella sporadica punteggiava talvolta la calma tediosa delle abitudini quotidiane. L'orario delle funzioni fu rispettato nonostante le difficoltà. Il coro rimaneva sopra il livello dell'acqua e si poteva raggiungerlo a piedi asciutti, grazie alla scala del dormitorio che si usava di notte. Nella sala del capitolo, il pavimento fu a malapena coperto d'acqua per due giorni, poi rimasero soltanto linee scure fra le lastre di pietra. Fu il primo segno che il fiume era tornato nel proprio letto, senz'altri straripamenti, e lo stesso accadde col torrente che si ritirò gradualmente, lasciando fra l'erba una striscia di detriti a segnare il punto in cui era arrivato. Anche la gora del mulino tornò lentamente al livello normale, trascinando con sé, dai giardini che aveva invaso, foglie e zolle di terra. Né andò meglio lungo la sponda del Severn sotto le mura della città, dove il livello si abbassò giorno per giorno, lasciando la frangia di casupole, baracche dei pescatori e darsene imbrattate di fango e ingombre di fogliame e rami spezzati. Nel giro di una settimana, torrente, fiume e laghetto erano di nuovo entro i loro confini, gonfi ma in continua recessione. L'impronta dell'acqua nella navata della chiesa dopotutto arrivava appena all'altezza del secondo gradino dell'altare di santa Winifred. «Non v'era alcun bisogno di muoverla», osservò il priore Robert, scuotendo la testa. «Avremmo dovuto nutrire maggior fiducia. Lei è senza dubbio in grado di avere cura di se stessa e del proprio gregge. Sarebbe bastata la sua volontà perché le acque si ritraessero.» Tuttavia, una umile dimora, vischiosa e gelida, sudicia di fango e di ciarpame, non era posto per una santa. Si misero all'opera senza lagnarsi, spazzando, sfregando e asciugando le piccole pozze rimaste in ogni incavo del pavimento, poi riempirono fino all'orlo tutte le lampade, le accesero e le misero sull'altare della santa perché asciugassero un poco l'umidità e riscaldassero l'aria. V'era molto da fare anche in seminterrati, magazzini, granai e stalle, naturalmente, ma la chiesa aveva la priorità assoluta. Quando fosse stata di nuovo in perfetto ordine, si sarebbe potuto rimettere al loro posto tutti gli oggetti preziosi portati altrove. L'abate Radulfus sottolineò la purificazione del sacro luogo con una messa solenne, poi si procedette alla ricollocazione dei sacri arredi nel ta-
cito accordo che tutto doveva essere in perfetto ordine, lindo e immacolato, prima di rimettere sul suo altare il più importante, più santo ornamento dell'abbazia dei Santi Pietro e Paolo. «Ora», disse finalmente il priore Robert, raddrizzandosi soddisfatto in tutta la sua maestosa altezza, «riportiamo sul suo altare santa Winifred che, lo sapete, si trova nella stanza sopra il portico settentrionale.» Era stata una fatica improba portare su per una scala a chiocciola una bara, per di più tutta avvolta in coperte perché non avesse a riportare danni. «Andiamo dunque in gioiosa devozione a riportarla alla sua beata missione fra noi.» È sempre stato convinto, rifletté Cadfael salendo rassegnato l'infida scaletta, che la santa fanciulla gli appartenga perché crede... No, Dio lo protegga, non crede, sa, è certo di essere stato lui a portarla qui. Dio guardi che abbia mai a scoprire la verità, che lei è ben lontana, là dove ha voluto restare, e la sua apparente connivenza è soltanto compassione di una fanciulla di buon cuore per un bambino scemo. Cynric, il sagrestano della parrocchia di padre Boniface, aveva ceduto la sua modesta dimora sopra il portico per mettervi al sicuro i tesori della chiesa durante l'inondazione, e ora ne sarebbe tornato in possesso. Alto e magro, di poche parole, incuteva un timoroso rispetto ai comuni mortali, ma veniva accettato senza riserve dagli innocenti. I bambini del Foregate, coi loro inseparabili compagni, i cani, stavano volentieri con lui, erano suoi amici sinceri e affezionati, certi di essere ricambiati. La sua stanzetta era spoglia quasi di tutto, ormai, restava soltanto l'ultimo e più prezioso residente. La bara, bene avviluppata e legata, venne religiosamente sollevata e manovrata con la massima attenzione lungo i ristretti confini della scala a chiocciola. In chiesa erano già pronti i cavalietti sui quali posarla, mentre la liberavano dai suoi molteplici strati di coperte, l'una dopo l'altra, che mettevano via via in disparte, ma a Cadfael sembrò che la sagoma man mano emergente dal suo involucro non fosse affatto quella che avrebbe dovuto essere. Ne ebbe la stupefacente conferma quando il priore Robert tese con reverente riguardo una mano a prendere l'ultimo lembo e sollevò anche quello. Con un grido che, seppur soffocato, ebbe un effetto sorprendente provenendo da tale augusta gola, il priore fece un passo indietro, costernato, poi avanzò di nuovo e strappò via la coperta, mettendo in luce ciò che era stato oggetto di tante cure reverenziali. Non il prezioso reliquiario d'argento di santa Winifred, ma un semplice tronco d'albero, più piccolo e corto, e naturalmente molto più leggero, forse perché potesse portarlo qualcuno da
solo. Tante fatiche, tanta devozione assolutamente sprecate. Santa Winifred, ovunque fosse, non era certamente lì. Dopo il silenzio stupito e stolido, esclamazioni e scompiglio eruppero da ogni parte, facendo accorrere lì altri che, udito il grido di sgomento, avevano lasciato le loro occupazioni per scoprirne la fonte. Il priore Robert, rigido e immobile come una statua, reggeva con ambe le mani la coperta, fissando quel tronco oltraggioso, una volta tanto ridotto al silenzio pure lui. Fu la sua ombra ossequiente a parlare in sua vece. «Un terribile errore», proruppe fratello Jerome, torcendosi le mani. «Nella confusione... Si era fatto buio prima che avessimo finito... Qualcuno si è sbagliato e l'ha portata altrove. La troveremo, indenne, in qualche solaio...» «E questo?» ribatté il priore, gelido, indicando il sacrilegio che avevano sotto gli occhi. «Così avviluppata con la massima cura, come abbiamo sempre fatto noi? Nessun errore! Nessuno sbaglio commesso in buona fede! Chi lo ha fatto intendeva ingannare! Questo è stato messo di proposito perché venisse trattato e venerato come si sarebbe fatto con lei. E adesso... Adesso dove sarà?» Qualcosa di quello scompiglio, un sentore di quell'allarme, era intanto trapelato fino al cortile principale e ora si andava radunando un numero crescente di spettatori a bocca aperta, di confratelli distratti dai loro compiti, di ospiti dall'udito fine usciti dalla foresteria, persino un paio di scolaretti sfacciati e incuriositi che fratello Paul rimandò alla loro scuola con minore indulgenza del solito. «Chi si è occupato per ultimo di lei?» domandò ragionevolmente Cadfael. «Qualcuno... Più di uno l'ha portata su nelle stanze di Cynric. Qualcuno di voi?» Tra la folla di curiosi e confratelli preoccupati si fece avanti fratello Rhun, il più giovane di tutti, prediletto della santa e suo devoto servitore. «Io, con fratello Urien, che l'ha avvolta accuratamente. Ma purtroppo non c'ero quand'è stata rimossa dal suo posto.» Un'al'ra figura apparve alle spalle dei fratelli. «C'era questo nella bara?», esclamò Bénezet. «Ma ho aiutato io fratello Matthew - credo che questo fosse il suo nome - a spostarla. L'abbiamo riposta con la massima cura; lui stesso ve lo potrà confermare.» «Osservate bene la coperta che l'avvolgeva», intervenne Cadfael avvici-
nandosi. «Vi pare che sia la stessa?» «Sì, è la stessa», rispose l'uomo, senza esitare. «Ne siete certo? Era sera... Erano ancora accese le candele sull'altare?» «Certissimo. Ho visto bene il disegno. Questo è ciò che abbiamo portato via quella sera, ma chi sapeva che cosa c'era dentro le coperte?» Fratello Rhun emise un gemito soffocato, avvicinandosi quasi timoroso a toccare la coperta, non osando credere ai propri occhi, seppure certo di avere la vista buona. «Ma no», mormorò, stupito. «Non è il panno in cui l'abbiamo avvolta fratello Urien e io molto prima di mezzogiorno. L'abbiamo lasciata là sull'altare dentro una semplice coperta sotto la quale avevamo steso una tovaglia d'altare che ci aveva dato fratello Richard. Vecchia e un po' sfilacciata, ma molto bella, con splendidi ricami. Questa non è assolutamente la stessa coperta. Ciò che questo brav'uomo ha portato nel posto destinato a santa Winifred non era la nostra amata signora, ma questo tronco, questo ludibrio! Padre priore, dov'è la nostra santa? Che ne è stato?» Il priore Robert girò un'occhiata autoritaria da quell'oggetto derisorio messo allo scoperto ai confratelli allibiti, poi al giovinetto privato del suo idolo che pareva accusare loro di quella perdita. Rhun, che aveva riacquistato il perfetto uso delle gambe per una grazia di santa Winifred, non avrebbe avuto requie e non ne avrebbe concessa ai suoi superiori finché non l'avessero ritrovata. «Lasciate tutto così come si trova», ordinò il priore, «e andatevene, tutti. Non dite una parola, non fate niente finché non avremo informato l'abate Radulfus. Deciderà lui come agire.» «È assolutamente da escludere che possa essersi trattato di un semplice errore», dichiarò Cadfael nello studio dell'abate, quella stessa sera. «Fratello Matthew e quel tale che è intervenuto sono certi di ciò che hanno trasportato, o quanto meno del disegno della coperta che l'avvolgeva. E fratello Urien e fratello Rhun sono altrettanto certi di ciò che hanno usato per farlo. È chiaro che nessun altro vi ha messo mano. Quello che c'era dentro è stato sostituito là sull'altare e poi portato al sicuro in buona fede, senza alcuna colpa da parte di chi lo ha fatto.» «No, certo», convenne Radulfus. «Ma come può essere accaduto un simile imbroglio? Chi può essere stato a farlo? E perché? Riflettete, Cadfael. C'era un'inondazione, non si sapeva che cosa sarebbe potuto accadere, ci si aspettava il peggio ed eravamo tutti indaffarati a mettere in salvo le nostre
cose più preziose. Non può darsi che in quella confusione, nel buio, qualcuno abbia commesso un errore o voluto fare uno stupido scherzo?» «Non tanto stupido da accomodare un tronco d'albero in modo che si potesse scambiarlo per quel reliquiario. No, è stato fatto di proposito, per svilire la nostra abbazia, forse, anche se non so immaginare né perché né chi avrebbe potuto nutrire un rancore tanto ignobile. Ma di proposito, certamente.» «E quel tronco», domandò l'abate, «faceva parte del carico di Longner?» «Da Longner è arrivata anche una parte di legname ben stagionato, ma non quercia. Il resto era tutto bosco ceduo e questo era legno stagionato per anni, tanto secco da poter uguagliare, più o meno, il peso del reliquiario. Non v'è alcun dubbio. In un angolo del seminterrato, sotto il refettorio, sono accatastati alcuni tronchi rimasti dopo gli ultimi lavori nei granai, sono andato a controllare. C'è un punto dove ne è stato levato uno, è chiarissimo il posto vuoto.» «Fatto a ragion veduta e con uno scopo determinato, dunque, come avete detto voi. Sembra incredibile. Tuttavia non vedo come sarebbe potuto accadere per caso, per un semplice concorso di circostanze. Urien e Rhun, dite, l'hanno preparata prima di mezzogiorno e la sera ciò che si trovava là sull'altare, pronto per essere portato via, era soltanto quel dannato tronco. In quel frattempo alla nostra santa è stato sostituito un pezzo di legno! Per quale scopo, con quale diavoleria in mente? Nei giorni dell'inondazione ben pochi sono usciti dall'abbazia, e certamente nessuno avrebbe potuto portare con sé un fardello tanto ingombrante. Quel reliquiario dev'essere nascosto da qualche parte dentro le nostre mura. Prima di rivolgerci altrove, dunque, cerchiamo in ogni angolo della casa e dei fabbricati esterni.» Le ricerche si protrassero per due giorni, in ogni momento tra una funzione e l'altra, come se fosse in gioco l'onore di tutti, compresi gli ospiti della foresteria che si unirono premurosamente alla caccia. Persino Rémy di Pertuis dimenticò il mal di gola e andò col suo Bénezet a ispezionare granaio e fienile alla Fiera Equina. E Daalny, la sua cantatrice, che forse non riteneva conveniente per una fanciulla mescolarsi a quel trambusto, rimase a guardare dai gradini della foresteria i monaci che correvano instancabili da un fabbricato all'altro, nei granai e nelle scuderie, persino nel chiostro, sempre invano. Quanti avevano dato una mano la sera dell'inondazione riferirono ciò che sapevano e che, nell'insieme, risultò essere il resoconto degli affannosi
spostamenti del tesoro della chiesa e della sua ricollocazione al proprio posto, ma non servì a chiarire che cosa fosse accaduto quel pomeriggio al reliquiario di santa Winifred. Alla fine del secondo giorno, persino il priore Robert, più che mai altero e dignitoso nonostante lo scorno, dovette riconoscere la sconfitta. «Non è qui», ammise. «Non entro queste mura, non nel Foregate. Se qualcuno sapesse qualcosa di lei, lo avrebbe detto.» «Non chiudiamo gli occhi», convenne tristemente l'abate. «L'abbiamo perduta. Non è possibile che si sia trattato di un errore, di un equivoco, è stato effettuato uno scambio col preciso intento d'ingannare. Tuttavia, chi se n'è andato da qui in questi ultimi giorni? Solamente i nostri confratelli Herluin e Tutilo, che sicuramente non avevano nulla più di quanto si erano portati, il minimo indispensabile per un viaggio.» «E il carro diretto a Ramsey», precisò Cadfael. A quell'osservazione seguì un profondo silenzio, mentre i monaci si guardavano l'un l'altro, dubbiosi, a disagio, riflettendo sulle funeste eventualità che si aprivano davanti a lorov «È possibile?» azzardò fratello Richard, il vicepriore, quasi con speranza. «Col buio e la confusione? Un ordine frainteso? Può darsi che sia stata messa su quel carro per sbaglio?» «No», dichiarò Cadfael, scartando bruscamente quella supposizione. «Se è stata rimossa dall'altare, chi lo ha fatto intendeva sistemarla da qualche altra parte. Tuttavia, sì, il carro è partito la mattina seguente e poteva esserci pure lei. Ma non per caso, non per sbaglio.» «Allora si tratta di un furto sacrilego!» proruppe Robert. «Un reato contro le leggi di Dio e del regno e dev'essere perseguito col massimo rigore.» «E come?» obiettò Radulfus. «Chi possiamo accusare? Dobbiamo parlare con tutte le persone che erano presenti quel giorno, chissà che qualcuno non possa aggiungere qualcosa a quanto sappiamo. C'erano il vicepriore Herluin e fratello Tutilo che, a quanto so, ha collaborato alla rimozione dell'arredamento dell'altare fino a tarda sera. E mi pare che vi fossero anche altri a cooperare. Dobbiamo parlare con tutti quelli che possono aver notato qualche particolare interessante, prima di gridare al ladro.» «I carrettieri di Eudo Blount che hanno portato il legname», intervenne fratello Richard, «a un certo punto hanno lasciato il loro lavoro per venire a dare una mano. Non dovremmo interrogare anche quelli?» «Non trascureremo niente», dichiarò l'abate. «Padre Herluin e fratello Tutilo ripasseranno di qui per riportare i cavalli, ma potrebbe passare qual-
che giorno e noi non possiamo perdere tempo. Robert, saranno arrivati a Worcester, ormai, non vorreste raggiungerli là e sentire che cosa potranno dirvi riguardo a quel giorno?» «Certo, ben volentieri. Ma se risultasse che si è trattato veramente di un furto, non dovremmo informare lo sceriffo e sentire se gli sembra il caso di mandare un uomo della sua guarnigione con me? In fin dei conti è una questione che riguarda le leggi del re quanto le nostre e, come avete detto voi, il tempo è prezioso.» «Giusto, parlerò con Hugh Beringar. Quanto agli uomini di Longner, manderemo qualcuno a sentire che cos'hanno da dire.» «Se me ne date il permesso», disse Cadfael, «andrò io.» Non gli piaceva per niente l'idea che qualcuno dello stampo di Robert piombasse su Eudo Blount e i suoi familiari interrogandoli con allusioni più o meno scoperte a sospetti di falsità e furto. «Bene, andate pure, Cadfael. Conoscete la famiglia meglio di tutti, parleranno più liberamente con voi. Dobbiamo trovarla, a qualunque costo. Domani informeremo Hugh Beringar di quanto è accaduto e faremo ciò che lui riterrà opportuno.» La mattina seguente, concluso il colloquio con l'abate, Hugh andò dritto filato al laboratorio di Cadfael e si lasciò cadere sulla panca a ridosso della parete di tronchi. «Sicché vi siete cacciato in una bella trappola, stavolta, amico! Come avete potuto perdere la vostra santa? E che cosa farete se una volta o l'altra, da qualche parte, a qualcuno verrà in mente di sollevare il coperchio di quella preziosa bara?» «Perché dovrebbero?» ribatté il monaco, ma senza eccessiva fiducia. «Considerando la curiosità umana, che voi dovreste conoscere meglio di me», osservò Hugh con un sorrisetto malizioso, «perché non dovrebbero? Se quell'affare va a finire in un posto dove nessuno sa che cosa sia o che cosa significhi, in quale altro modo scoprire che cosa si ha in mano? Voi per primo rompereste i sigilli.» «Io li ho rotti per primo», affermò Cadfael apertamente, senza riserve inutili in quel caso, perché Hugh sapeva fin troppo bene che cosa c'era nel reliquiario di santa Winifred. «E, spero, anche per ultimo. Mi sembra che non prendiate le cose con la gravità che meritano, Hugh!» «Mi riesce difficile farlo», ammise lo sceriffo. «Ma non temete, il vostro segreto non corre pericoli. Tutti i miei disturbatori della pace qui sembrano essersi congelati in attesa della primavera, quindi posso permettermi una
cavalcata fino a Worcester. Potrebbe essere divertente, in compagnia di Robert. E terrò un occhio aperto per i vostri interessi, quanto meglio potrò. Che cosa pensate di questa sparizione? Un complotto per derubarvi o è tutto un pazzesco garbuglio generato dall'inondazione?» «No, nessun garbuglio! Una mente fin troppo limpida ha portato via il reliquiario dall'altare e ha poi avvolto nelle sue coperte un tronco d'albero rubato nel seminterrato, in modo che entrambi potessero essere lontani dagli occhi e dalla mente possibilmente per parecchi giorni, come difatti è stato. Uno ha liberato il campo per l'altro, perché fosse introvabile. Per qualche tempo, almeno, perché sicuramente la ritroveremo.» Hugh guardava l'amico, attraverso il bagliore del braciere, con le labbra contratte e la fronte aggrottata, un'espressione che Cadfael ricordava dai vecchi tempi, quelli della loro prima, precaria conoscenza, quando nessuno dei due sapeva se l'altro era un amico o un avversario, eppure si erano sentiti reciprocamente attratti. «Sapete, Cadfael», disse finalmente, «voi avete sempre parlato di quel reliquiario come se contenesse davvero le ossa della fanciulla gallese. Dite 'lei', mai 'ciò' o più giustamente 'lui'. Mentre sapete benissimo di averla lasciata al suo eterno riposo là a Gwytherin. O, da vera santa, può trovarsi contemporaneamente in due posti diversi?» «Qualche essenza di lei può farlo senza dubbio», rispose senza esitare il monaco. «Ha operato miracoli qui fra noi. È rimasta in quella bara per tre giorni, non è da escludere che le abbia conferito una parte della propria misericordia. Per lei esistono forse limiti di tempo e di spazio? Sapete, Hugh, a volte mi chiedo che cosa troveremmo se mai alzassimo quel coperchio. Benché, lo ammetto», aggiunse mestamente Cadfael, «io preghi devotamente il cielo che non abbia mai ad accadere.» «E fate bene, fratello! Sa Iddio lo sconquasso che nascerebbe se qualcuno rompesse quei sigilli che voi avete riaccomodato con tanta perizia, alzasse il coperchio e scoprisse, invece delle ossa di una Santa Vergine, quelle di un giovane sui ventiquattro anni, oltretutto nudo come mamma lo ha fatto!» Hugh si alzò, ridendo, ma un po' a disagio perché quella possibilità esisteva indubbiamente e poteva sfociare in una catastrofe. «Devo andare a prepararmi, ora. Il priore Robert intende partire subito dopo il pranzo.» Abbracciò fugacemente Cadfael, passandogli accanto, come per incoraggiarlo. «Niente paura. Siete un suo beniamino, avrà la massima cura di voi, che peraltro siete riuscito tanto bene finora ad avere cura di voi stesso.»
«Il fatto strano, Hugh», proruppe all'improvviso Cadfael mentre lo sceriffo raggiungeva la porta, «è che mi preoccupo quasi altrettanto per il povero Columbanus!» «Il povero Columbanus?» ripeté Hugh, voltandosi a guardarlo sorpreso e divertito. «Povero Columbanus, eh! Non finirete mai di stupirmi, fratello. Ha ucciso un uomo a tradimento, per la propria gloria, non per il bene dell'abbazia e men che meno di santa Winifred.» «Lo so, ma ha perduto! Ed è morto. E ora è stato privato del riposo, qualunque fosse, che gli sarebbe stato concesso qui su un altare, e portato chissà dove, in qualche posto ignoto dove non conosce nessuno, amico o nemico. E forse», continuò Cadfael scuotendo la testa al pensiero del peccatore smarrito, «ci si aspetteranno da lui miracoli che non è in grado di fare. Vi sembra tanto difficile sentirsi un po' dispiaciuti per lui?» Cadfael andò a Longner subito dopo aver pranzato, e trovò il giovane signore del maniero nella sua fucina, dove il fabbro stava riparando un aratro. Eudo Blount aveva la stoffa dell'agricoltore, un uomo robusto e schietto che, a quanto pareva, sarebbe stato adatto all'uso delle armi più di quanto non fosse il suo fratello minore. Ma, per lui, campi, raccolti e bestiame ben tenuto costituivano una soddisfazione sufficiente. Avrebbe allevato alla stessa maniera i suoi figli e gli sarebbe bastato. «Avete perduto santa Winifred?» esclamò trattenendo il respiro quando Cadfael gli spiegò quale fosse lo scopo della sua visita. «Ma come diavolo avete potuto perderla? Non era mica una cosetta qualsiasi che ti puoi mettere in tasca quando non ti vede nessuno! E ora volete parlare con Gregory e Lambert? Non penserete che vi siano entrati in qualche modo, anche se sono arrivati all'abbazia e ripartiti con un carro! Si è lamentato qualcuno?» «No, nessuno, assolutamente», rispose cordialmente il monaco. «Ma per puro e semplice caso potrebbero aver visto qualcosa che agli altri è sfuggito. Hanno dato una mano quando ve n'è stato bisogno e gliene siamo stati profondamente grati. Ma è meglio battere tutte le strade per accertarsi che nessun idiota abbia messo la signora al sicuro da qualche parte e poi se ne sia dimenticato. All'abbazia abbiamo già chiesto a tutti, sentiamo ora questi ultimi due per non correre il rischio di perdere proprio la risposta giusta.» «D'accordo», assentì Blount. «Accomodatevi pure. Li troverete qui di fronte, nella stalla o nella rimessa dei carri. Vi auguro di trovare ciò che desiderate, ma ne dubito. Hanno portato là il legname, lo hanno caricato su
un altro carro e sono tornati a casa. Ricordo che Gregory mi ha detto che cos'era accaduto, come la navata della chiesa fosse invasa dall'acqua, nient'altro. Comunque, sentite voi.» A Eudo, tranquillo fra la sua gente, non interessava sapere se e che cosa si sarebbe potuto scoprire. Tornò a occuparsi del suo aratro e il fabbro riprese a dare colpi di martello, che riecheggiarono all'orecchio di Cadfael fino alla porta aperta della rimessa dei carri. Gregory e Lambert erano là, tutti e due, intenti a trascinare per le stanghe un carro fino al suo posto abituale. Tarchiati e muscolosi, col viso segnato dalle intemperie per la vita all'aria aperta in tutte le stagioni, con una ventina d'anni di differenza tra loro, potevano sembrare padre e figlio, fieri della propria gente e delle proprie tradizioni. Salutarono cortesemente il monaco, per nulla sorpresi di vederlo. Negli ultimi due o tre anni era stato lì più volte, sempre bene accetto. Ma quando spiegò loro che cosa era venuto a chiedere, scossero la testa e sedettero sulle stanghe, riflettendo. «Abbiamo portato giù il carro prima che fosse buio», disse il più anziano, socchiudendo gli occhi per richiamarsi alla mente ogni particolare. «Avevamo cominciato a mettere il carico sul carro dell'abbazia, quando il vicepriore è venuto a dirci di dare una mano a mettere le cose in un posto più alto, perché l'acqua saliva molto in fretta.» «Il vicepriore Richard?» domandò Cadfael. «Siete certo che fosse lui?» «Certissimo, lo conosco bene, e non era ancora troppo buio a quell'ora, può dirvelo anche Lambert. Così andiamo e ci diamo da fare a trasportare tutta quella roba dove ci dice lui, parte nella soffitta sopra il granaio e parte in casa di Cynric, sopra il portico. Là sì era buio e i fratelli che correvano avanti e indietro con paramenti, croci, candelieri e metà delle lampade dove si era consumato tutto l'olio o si erano spente per la corrente che entrava dalle porte aperte. E non appena la navata è stata sgombra di tutto, siamo tornati al nostro lavoro.» «Aldhelm è tornato dentro», precisò Lambert, che fino a quel momento non aveva fatto altro che annuire in silenzio. «Aldhelm?» domandò Cadfael, stupito. «Era venuto ad aiutarci», spiegò Gregory. «Possiede un po' di terra vicino a Preston e cura le pecore al maniero di Upton.» Sicché c'era ancora un altro, prima che il lavoro fosse finito. Ma non oggi, rifletté Cadfael, calcolando le ore che gli rimanevano. «Questo Aldhelm andava dentro e fuori della chiesa come voi? Ed è tornato dentro all'ultimo momento?»
«Un fratello lo ha preso per una manica e lo ha fatto tornare perché aiutasse a portare un'ultima cosa. Eravamo sul carro a sistemare il legname, in quel momento; tutto quello che so è che qualcuno lo ha chiamato e lui è tornato indietro. Ma soltanto per qualche minuto. Avevamo sistemato appena un paio di tronchi e lui era già lì a darci una mano. E il monaco era rientrato in chiesa. Ci ha augurato la buonanotte da lontano.» «Ma era uscito in strada col vostro uomo?» insisté Cadfael. «Respiravamo tutti più liberamente, allora, tutto ciò che importava non correva più alcun pericolo, poteva restare dov'era sinché il fiume non fosse tornato al suo livello normale. E lui era un'anima gentile, è uscito per ringraziarci e ci ha pure benedetti. Perché no?» Perché no, difatti, quando uomini onesti faticavano più di quanto avrebbero dovuto senza compenso? «Avete visto», domandò cortesemente Cadfael, «se portavano qualcosa da mettere sul carro?» I due si scambiarono un'occhiata e scossero la testa. «Stavamo spostando i tronchi sull'orlo posteriore del carro, pronti per essere scaricati, e Aldhelm è venuto ad aiutarci, mentre il fratello tornava in chiesa. No, non hanno portato fuori niente, che io sappia.» «E nemmeno io», dichiarò Lambert. «Sapete almeno come si chiama il monaco che lo ha fatto tornare indietro?» «No», risposero all'unisono i due carrettieri e Gregory aggiunse premurosamente: «Fratello, era buio ormai e io conosco soltanto il nome di pochi, quelli che conoscono tutti». Vero, fuori del convento non erano in molti a conoscere il nome di un monaco. Purtroppo. «Tanto buio che non sapreste riconoscerlo, se lo rivedeste? Viso, figura, passo, portamento, nessun segno particolare che possa identificarlo?» «Fratello», ribatté pazientemente Gregory, «aveva il cappuccio alzato e il saio nero si confondeva col buio. Non abbiamo avuto modo di vederlo in faccia.» Cadfael li ringraziò con un mesto sospiro e stava per andarsene ad arrancare tra i campi acquitrinosi quando Lambert, rompendo il suo abituale, impenetrabile silenzio, proruppe: «Però potrebbe averlo visto Aldhelm». Era troppo tardi, ormai, se voleva tornare in tempo per il vespro. Preston, un piccolo villaggio, era appena a un miglio dalla sua strada, ma Aldhelm, se badava alle pecore a Upton, probabilmente era là a quell'ora, non
nel suo campiello. Il suo interrogatorio avrebbe dovuto aspettare. Cadfael attraversò i boschi di Longner e il pendio erboso sopra il fiume ormai calmo, per tornare all'abbazia. Il guado sarebbe stato di nuovo praticabile, ma fangoso e inquinato, mentre c'era un traghetto tanto più piacevole e rapido, che lo portò sulla sponda opposta lasciandogli un po' di tempo a disposizione, tanto da poter proseguire senza fretta. Anche da quella parte dovette attraversare un folto d'alberi prima di arrivare ai primi vicoli del Foregate, alberi che, abbastanza radi al principio, s'infittivano più avanti, mentre il sentiero si restringeva. Il posto adatto per un agguato, un'aggressione e ribalderie d'ogni genere. Pensieri suggeriti unicamente dalla pesante cappa di nubi e dalla tetra immobilità del giorno, e probabilmente del tutto infondati. Tuttavia, un misfatto era reale, perché santa Winifred era sparita, o quantomeno era scomparso il suo sostituto, ma per lui era lo stesso, sentiva quella mancanza come se avesse davvero perduta la sua patrona. Un'idiozia, perché sapeva bene dov'era e avrebbe potuto trasmetterle un messaggio anche là, com'era solito fare con la bara dove lei non c'era. Ma da quella bara aveva sempre ricevuto le risposte che cercava, mentre ora il vento che avrebbe dovuto portargli la sua voce da Gwytherin era muto. Cadfael riemerse nel Foregate all'altezza della Fiera Equina, un po' in collera con se stesso per essersi abbandonato a fantasiose malinconie tanto estranee al suo carattere, e arrancò caparbiamente fino alla portineria, ansioso di rientrare nel mondo reale dove aveva un lavoro concreto da svolgere. Doveva, sì, andare a scovare Aldhelm a Preston, ma fra lui e quel compito, altrettanto importanti, si frapponevano alcuni vecchi ammalati, un certo numero di giovani incerti e conturbati e il proprio dovere di osservare la Regola alla quale aveva giurato obbedienza. Non c'era molta gente in giro, nel Foregate faceva ancora freddo e il grigiore di quella giornata induceva a tornarsene in fretta a casa, una volta fatto ciò per cui si era usciti. Poche iarde davanti a lui camminavano accostate due persone, una delle quali zoppicava vistosamente, e Cadfael ebbe l'impressione di avere già visto, non molto tempo addietro, quelle spalle quadre, quei capelli ispidi, ma non quell'andatura claudicante. L'altro era più magro e palesemente più giovane. Entrambi camminavano un po' curvi, come se fossero stanchi dopo una lunga camminata e non vedessero l'ora di raggiungere la propria meta e il meritato riposo. Meta che evidentemente era l'abbazia perché, arrivati là, svoltarono risolutamente entro il portone, senza neppure girare il capo. Due nuovi ospiti per la nostra foresteria, pensò Cadfael, sempre a pochi passi da loro; un posto accanto al
fuoco, una buona cena e un po' di vino saranno più che benvenuti. Erano lì davanti alla porta della guardiola quando entrò anche lui, e il frate portinaio stava uscendo per parlare con loro. La luce era ancora sufficiente perché Cadfael potesse vedere come il suo viso, di solito placido e cordiale, diventasse a un tratto stupito e preoccupato, e le parole che stava per dire si mutassero in un'esclamazione sbigottita e sgomenta. «Mastro James! Come... Voi qui? Pensavo... Mamma mia, che cosa vi è capitato?» Senza pensare più al vespro, Cadfael si avvicinò al gruppetto per vedere meglio lo zoppo. «Mastro James di Betton? Il capo carpentiere di Herluin?» Non v'era dubbio, era l'uomo partito per Ramsey col carico di legname più di una settimana prima, ora a piedi e zoppicante. Tornato al punto di partenza, ma sudicio e ammaccato non soltanto per il viaggio. E il suo compagno, il più anziano dei due muratori partiti per Ramsey con la speranza di trovare un lavoro stabile, era lì accanto a lui, con una manica strappata, il capo bendato e un livido su uno zigomo. «Che cosa ci è capitato!» fece eco il mastro carpentiere. «Di tutto, meno che di essere ammazzati. Derubati da tagliagole e fuorilegge! Sparito il carro, il legname, i cavalli... Tutto scomparso, e soltanto per grazia di Dio non è stato ucciso nessuno. Martin ha la testa rotta, ma tornerà indietro con me.» «Venite!» intervenne Cadfael mettendogli un braccio attorno alle spalle. «Vi scalderete e berrete un po' di vino, mentre io vado a informare il padre abate di quanto è accaduto. Tornerò subito e mi occuperò della vostra testa. Non preoccupatevi. Grazie a Dio, siete qui sani e salvi! Tutte le elemosine di Herluin non avrebbero potuto ripagare la vostra vita.» CAPITOLO IV «Era andato tutto abbastanza bene», spiegò mastro James di Betton nello studio dell'abate, un'ora dopo, «finché non ci siamo addentrati nella foresta oltre Eaton. A sud di Leicester è bosco fitto, ma ben tenuto, e noi eravamo in cinque, svelti e capaci, non ci sfiorava neppure il pensiero di poter incappare in qualche guaio che non saremmo stati in grado di risolvere. Un paio di furfanti appiattati tra i cespugli in attesa di preda non avrebbero mai osato uscire allo scoperto per tentare la sorte con noi. No, ma quelli erano di un'altra razza. Dieci o dodici, con pugnali e randelli, due con la
spada. Dovevano averci seguiti di nascosto, senza fare rumore, cercando di scoprire chi eravamo. Più avanti avevano persino due arcieri, appostati ai lati del sentiero. Quando siamo stati vicini, qualcuno li ha avvertiti col fischio e quelli hanno teso l'arco con la freccia incoccata, ordinandoci di fermarci. Roger di Ramsey, che guidava il carro, è molto bravo coi cavalli, ma che cosa poteva fare, con quei due che lo tenevano di mira? Ha pensato di prenderli a frustate per metterli in fuga, dice, ma sarebbe stato inutile, i loro archi sarebbero stati più veloci della sua frusta. E poi ci hanno aggrediti da entrambi i lati.» «Grazie a Dio siete qui a raccontarlo», ribatté con fervore l'abate Radulfus. «E tutti i vostri compagni sono vivi? La perdita non è irreparabile, la vostra vita vale assai di più.» «Padre», riprese mastro James, «non c'è uno fra noi che non porti i segni di quella disavventura. Non ci siamo arresi senza combattere. Martin è stato bastonato fino a perdere i sensi e gettato esanime tra i cespugli, e Roger è finito accanto a lui con la sua frusta, della quale però aveva lasciato il segno su due di quei manigoldi, prima che lo immobilizzassero legandolo con la sua cintura. Ma eravamo cinque contro più del doppio, canaglie armate bramose di uccidere. Volevano soprattutto i cavalli, soltanto tre li avevano, gli altri dovevano andare a piedi. E anche il carro faceva comodo, perché mi è parso di vedere che avevano con sé un ferito. Così, se ne sono andati a precipizio nella foresta col loro bottino, lungo il sentiero, verso sud. E quando io ho cercato d'inseguirli, mi hanno scagliato una freccia che mi ha colpito a una spalla. Non avevamo scelta, abbiamo dovuto ritirarci e portare in salvo Martin e Roger. Anche Nicol ha assolto il suo compito col massimo impegno, pur vecchio com'è; ha tenuto ben stretta la chiave della sua cassetta, ma loro lo hanno tirato giù dal carro e lo hanno depredato. Che cos'altro potevamo fare? Non avevamo mai immaginato di poter incontrare una banda armata nella foresta, e così vicino a Leicester.» «Nessuno al mondo avrebbe potuto fare di più», dichiarò l'abate. «Mi dispiace che abbiate dovuto affrontare una tale prova, ma grazie al cielo ne siete usciti senza danni troppo gravi. Restate qui a riposarvi per un paio di giorni, e fatevi medicare le ferite, prima di tornare a casa. Mi chiedo chi potessero essere, in tal numero, esperti e bene armati. Che aspetto avevano? Banditi occasionali o delinquenti di professione?» «Questo non so dirlo, padre», rispose mastro James. «Posso dirvi soltanto che indossavano lussuosi farsetti di pelle e solidi stivali, e avevano spade adatte alla scorta di un barone.»
«E sono andati verso sud?» intervenne Cadfael, meditando su quella banda soldatesca così ben fornita di tutto, tranne che di cavalli. «Sud-ovest», corresse mastro James. «E con la massima urgenza, a quanto pareva.» «Urgenza di allontanarsi, di non trovarsi alla portata del conte di Leicester», azzardò il monaco. «Non avrebbe avuto troppi riguardi, se fossero caduti nelle sue mani. Mi chiedo se non facessero parte dell'accozzaglia radunata da Geoffrey de Mandeville, in cerca di pascoli più sicuri dove rifugiarsi, ora che il re è di nuovo padrone della regione delle paludi. Staranno ancora sparpagliandosi in tutte le direzioni, braccati da tutte le parti. Non si attarderanno certamente nelle terre di Leicester!» Gli fece eco un mormorio di approvazione. Certo, nessun malfattore sano di mente avrebbe mai neppure pensato a stabilirsi e svolgere la propria attività predatoria in un territorio controllato da un signore onnipossente come Robert Beaumont, conte di Leicester, il minore dei due figli di un altro Robert, che era stato uno dei più fidi sostenitori del severo regime del vecchio re Enrico, ed erano stati a loro volta altrettanto devoti a re Stefano. Alla sua morte, Robert padre possedeva la contea di Leicester; Beaumont, Brionne e Pontaudemer in Normandia e la contea di Meulan, in Francia, li aveva ereditati il primogenito, Waleran, mentre al minore, Robert, erano toccati il titolo e la contea in Inghilterra. «Non è certamente uomo da tollerare ladri e banditi nelle proprie terre», osservò l'abate. «Potrebbe decidere di catturare quei furfanti prima che prendano il largo un'altra volta. Ma ora ditemi, mastro James, che ne è stato dei vostri compagni? Avete affermato che sono tutti vivi.» «Bene, padre, quando siamo rimasti soli... e credo che se quei briganti non avessero avuto tanta fretta di andarsene non sarebbe rimasto vivo nessuno di noi... bene, ci siamo consultati e abbiamo deciso che bisognava portare la notizia a Ramsey e anche qui a Shrewsbury. E Nicol, sapendo che il vicepriore Herluin sarebbe stato a Worcester, allora, ha detto che lui sarebbe andato là a informarlo di quello che ci era capitato. Roger sarebbe tornato a casa sua a Ramsey e il giovane Payne ha pensato bene di andare con lui. Avrebbe fatto altrettanto anche Martin, ma io non ero troppo sicuro sulle gambe e lui non ha voluto che facessi quel viaggio fino a casa da solo. E ora che sono qui, intendo restarci, perché mi è passata qualsiasi voglia di viaggiare, dopo quella mischia, credetemi!» «Vi capisco», convenne l'abate. «Ormai questa bella notizia dovrebbe essere arrivata anche a Ramsey e a Worcester se, Dio guardi, non vi sono
state altre imboscate. E Hugh Beringar probabilmente è già a Worcester e saprà che cosa è accaduto. Se si può fare qualcosa per rintracciare il nostro carro coi cavalli, bene! Se no, almeno quello che vale molto di più, la vita di cinque uomini, non ha subito danni, sia ringraziato Iddio!» Fino a quel momento, Cadfael aveva rinviato le proprie notizie per lasciare il campo a quelle più urgenti portate dai malconci superstiti delle foreste del Leicestershire, ma ora pensò che fosse il momento buono. «Padre abate, sono tornato da Longner a mani vuote, nessuno dei giovani che hanno portato il legname ha qualcosa d'importante da dire. Tuttavia, io sento, dentro di me, che qualcosa di grandissimo valore dev'essere stato portato via con quel carro. Non vedo in quale altro modo il reliquiario di santa Winifred potrebbe essere uscito dall'abbazia.» L'abate lo fissò per un momento senza parlare, poi osservò: «Sembra che non abbiate dubbi a riguardo, e vi capisco. Avete parlato con tutti quelli che hanno preso parte al lavoro di quella sera?» «No, padre, c'è ancora un altro col quale devo parlare, un giovane di un villaggio vicino venuto ad aiutare i carrettieri. Ma ho parlato con questi e mi hanno detto che un terzo era stato richiamato in chiesa da un confratello, a tarda sera, per un ultimo scopo, poi il fratello è uscito con lui a ringraziarli e dare loro la buonanotte. Non hanno visto nessuno che mettesse qualcosa sul carro diretto a Ramsey, ma erano indaffarati col loro lavoro e badavano soltanto a quello. E io non posso fare a meno di pensare che qualcuno lo abbia fatto, col favore del buio, non vedo altre possibilità.» «E che cosa pensate di fare, allora?» «Andrò di nuovo a parlare con quell'Aldhelm, se siete d'accordo.» «È necessario», assentì Radulfus. «Un confratello, dite, lo ha fatto tornare indietro e dopo è uscito con lui. Sapevano il suo nome?» «No, e non lo riconoscerebbero nemmeno, se lo rivedessero. Era buio e lui era incappucciato. Con ogni probabilità è del tutto innocente, ma farò anche questo passo, parlerò con l'ultimo che resta.» «Dobbiamo fare tutto il possibile per recuperare ciò che è stato perduto. Se falliremo, pazienza, ma dobbiamo tentare», insisté l'abate, poi si rivolse ai due sfortunati viaggiatori: «Dove, esattamente, è stato teso quell'agguato?» «Nei pressi di un villaggio, Ullesthorpe, a poche miglia da Leicester», rispose mastro James. Erano entrambi palesemente stremati, dopo le peripezie del viaggio, e Radulfus non li trattenne oltre.
«Andate a godervi il meritato riposo, ora, e lasciate tutto a Dio e ai santi, che non ci hanno voltato le spalle.» Se Hugh e il priore Robert non avessero avuto un'ottima cavalcatura e l'anziano ma risoluto ex economo di Ramsey fosse stato costretto ad andare a piedi, non sarebbero arrivati al priorato di Worcester a un giorno di distanza l'uno dagli altri. Dopo quel disastroso incontro, Nicol aveva impiegato cinque giorni per raggiungere, zoppicando, il vicepriore Herluin a Worcester e fare il proprio rapporto, ma risoluto, persino ostinato com'era, non bastava certo qualche livido per scoraggiarlo e indurlo ad arrendersi senza combattere. Se un inseguimento era possibile, lo avrebbe chiesto a chiunque avesse l'autorità per decretarlo. Hugh e il priore Robert erano arrivati al priorato a tarda sera e dopo la debita, rispettosa visita al priore, avevano assistito al vespro e quindi riferita a Herluin la misteriosa sparizione del reliquiario di santa Winifred. Al contrario di quanto Hugh temeva, la reazione del vicepriore fu misurata, col naturale sgomento che si addiceva alla situazione. Esclamazioni e proteste eccessive avrebbero fatto dubitare della sua sincerità, ma era chiaro che secondo lui si era trattato soltanto di una stupida confusione fra troppi soccorritori in preda al panico e alla fretta, e ciò che era sparito si sarebbe ritrovato non appena tutti si fossero calmati e soffermati a riflettere. Degno di nota fu anche il fatto che egli manifestasse la propria intenzione di tornare immediatamente a Shrewsbury per concorrere al chiarimento di tale misfatto, benché sembrasse contare sulla propria autorità, per ricavare l'ordine dal caos, piuttosto che su qualche contributo concreto, che peraltro non era in grado di dare. Non aveva preso parte ai lavori urgenti in chiesa, era rimasto dignitosamente solo nell'alloggio dell'abate, all'asciutto. E non aveva idea di chi avesse messo in salvo santa Winifred, non aveva più visto il suo reliquiario dopo la messa del mattino. A quella conturbante notizia, Tutilo scosse in rispettoso silenzio la testa, sbarrando gli occhi. Come ebbe ricevuto il permesso di parlare, spiegò di essere andato in chiesa per prestare aiuto e di avere semplicemente obbedito agli ordini: non sapeva dove si trovasse la bara della santa, in quel momento. «Non dobbiamo arrenderci», dichiarò Herluin, maestoso più che mai. «Domani torneremo a Shrewsbury. Lei non può essere lontana. Dobbiamo trovarla.» «Domattina, dopo la messa», disse risolutamente il priore Robert, avva-
lorando la propria supremazia in quanto rappresentante di Shrewsbury, «ci metteremo in viaggio.» E così avrebbero fatto, se non fosse sopraggiunto Nicol. I cavalli erano bardati e pronti a partire, loro si erano già congedati dal priore e dai fratelli e Hugh stava per prendere le redini quando, dalla portineria, arrivò Nicol, imbrattato e contuso, che si appoggiava a un bastone tagliato da lui stesso nella foresta. A quella vista, Herluin emise un gemito soffocato, più di contrarietà che di sorpresa o di allarme, perché a quell'ora l'economo sarebbe dovuto essere a Ramsey e avrebbe dovuto aver consegnato regolarmente la cassetta col denaro. La sua comparsa lì, qualunque ne fosse la causa, non prometteva nulla di buono. «Nicol!» esclamò Herluin, frenando l'esasperazione per lo sconvolgimento dei propri piani. «Che cosa ci fate qui? Come mai non siete a Ramsey? Avevo creduto di potermi fidare di voi per portare a casa il denaro raccolto. Che cos'è accaduto? Perché avete abbandonato il carro? E dove sono i vostri compagni?» Nicol respirò a fondo prima di rispondere. «Padre, siamo stati aggrediti nella foresta, a sud di Leicester. Una dozzina di briganti armati di pugnali e randelli, persino con due arcieri. Volevano il carro e i cavalli e se li sono presi, noi eravamo in cinque, che cosa potevamo fare? E per fortuna avevano fretta, andavano di corsa, altrimenti ci avrebbero ammazzati. Ci hanno buttati in mezzo ai cespugli e sono spariti nella foresta, lasciandoci liberi. E questo è tutto.» Sparito il carro dell'abbazia, i cavalli, il carico di legname di Longner e, peggio di ogni altra cosa, la cassetta col denaro per la ricostruzione di Ramsey, sottratti da una masnada di fuorilegge lungo la strada! Il priore Robert emise un fischio sommesso, il vicepriore Herluin borbottò una sorda imprecazione, poi squadrò Nicol, indignato. «Non potevate fare qualcosa di meglio? Tutto il mio lavoro sprecato! Pensavo di poter far fede su di voi, che Ramsey avrebbe potuto contare su di voi...» Hugh posò una mano su una spalla dell'adirato vicepriore, troncando senza cerimonie le sue lamentazioni. «Qualcuno di voi è stato ferito gravemente?» «Non tanto da non poter proseguire a piedi come ho fatto io», rispose Nicol. «Tutte quelle miglia, per portare la notizia il più presto possibile.» «Siete stato bravissimo», approvò Hugh. «Grazie a Dio non è stato ucciso nessuno! E i vostri compagni dove sono andati?»
«Roger e il muratore più giovane hanno proseguito per Ramsey, il mastro carpentiere e l'altro ragazzo hanno preferito tornare a Shrewsbury. Dovrebbero essere là, ormai, se non hanno avuto altri guai lungo la strada.» «E dove siete stati aggrediti? A sud di Leicester, avete detto? Potreste condurci là? Ma no», aggiunse subito Hugh, osservando Nicol. Un uomo anziano, senza dubbio di più di cinquant'anni, acciaccato ed esausto dopo un lungo, faticoso viaggio a piedi. «No, avete bisogno di riposare, ora. Ditemi il nome di qualche villaggio vicino e troveremo le vostre tracce. Si dà il caso che siamo già pronti per partire. Andremo a Leicester, invece che a Shrewsbury.» «È stato nella foresta, poco lontano da Ullesthorpe. Ma quelli se ne saranno andati da un pezzo. Ve l'ho detto, avevano bisogno del carro e dei cavalli, penso che fuggissero da qualche posto divenuto scomodo per loro, avevano certamente una fretta del diavolo.» «Se avevano tanto bisogno di queste cose», osservò Hugh, «il carico di legname sarebbe stato un peso ingombrante, avrebbe rallentato la loro fuga. Non appena sono stati lontani da voi, se ne saranno liberati, facendo anche scivolare giù i tronchi. Se il vostro piccolo tesoro era sepolto là in mezzo, padre Herluin, potremmo ancora recuperarlo.» E se qualcos'altro è stato davvero caricato di nascosto all'ultimo momento, pensò, chissà che non si possa ritrovare anche quello! Herluin si era illuminato in viso, seppure attento a non perdere nulla della propria dignità, al pensiero di riacquistare ciò che si era smarrito, e la stessa luce aveva rischiarato il volto di Nicol, ma per la speranza di avere la rivincita su quei dannati che avevano buttato giù lui dal carro e minacciato i suoi compagni con pugnali e frecce. «Intendete tornare là per dare loro la caccia?» domandò. «In tal caso sarò felice di venire con voi. Ritroverò subito il posto, non vi farò perdere tempo. In questo momento qui c'è un cavallo in più, che ha portato padre Herluin da Shrewsbury, lo prenderò io e vi condurrò per la via più breve a Ullesthorpe. Concedetemi qualche minuto per bagnarmi la gola, mangiare un boccone, e sarò pronto!» «Cadrete lungo la strada», obiettò Hugh, ridendo di un ardore che tuttavia capiva benissimo. «No davvero, signore! Lasciate che metta le mani su uno di quei miserabili bastardi e farete di me l'uomo più felice al mondo. Non voglio restare fuori! Avevo un incarico preciso e devo saldare il conto. La chiave l'ho te-
nuta stretta, ma non ho avuto il tempo di gettare la cassetta tra i cespugli prima che ci buttassero me. Non mi lascerete indietro, vero?» «No di certo! Non temete», lo rassicurò prontamente Hugh. «Mi fa piacere avere con me un uomo che non si arrende facilmente. Andate, dunque, a prendervi pane e birra, ci farete da guida.» Il borgomastro di Ullesthorpe era sui quarantacinque anni, energico ed esperto, abile nel difendere non soltanto se stesso e la propria posizione, ma anche gli interessi dei suoi compaesani. Di fronte a un gruppo di visitatori in cui prevalevano gli ecclesiastici, rifletté per un momento scrutando Hugh Beringar, poi si rivolse a lui invece che ai rappresentanti della Chiesa. «Sì, signore, lo abbiamo trovato, quel posto, qualche giorno fa. Avevamo saputo di una banda di fuorilegge che attraversava la foresta, ma non si erano mai avvicinati ai villaggi, poi sono capitati qui questo mastro carpentiere e il suo compagno e, quando ci hanno raccontato ciò che era accaduto loro, abbiamo fatto quanto potevamo per avviarli sulla strada di Shrewsbury. Ho pensato anch'io, signore, che quei briganti dovevano essersi liberati di quel peso, sarebbe servito soltanto a farli rallentare. Vi condurrò là, è a un paio di miglia da qui.» Non aggiunse altro sinché non furono nel cuore della foresta, attraversata soltanto da un ampio sentiero dove si vedevano ancora i solchi impressi dalle ruote sul terreno umido. I predoni avevano semplicemente portato il carro in uno spazio aperto fra gli alberi, lo avevano inclinato, facendo scivolare giù il legname, e se n'erano andati col carro vuoto. In tal modo, naturalmente, la catasta ben ordinata alla partenza si era sparpagliata tutt'attorno e Hugh si rese conto, senza sorprendersi, che la maggior parte dei tronchi stagionati era sparita, lasciando i cespugli appiattiti sul terreno. Evidentemente, gli abitanti dei paesi vicini avevano approfittato dell'occasione per rifornirsi di legna gratuitamente. Il borgomastro dovette intuire che cosa pensava Hugh, perché osservò con un mesto sorriso: «Non vi sembra giusto che bravi e poveri contadini si prendano ciò che Dio ha mandato loro, ringraziandolo con tutto il cuore?» «Questa però apparteneva all'abbazia di Ramsey!» proruppe Herluin, rassegnato, ma non troppo. «Padre, loro l'hanno trovata qui senza sapere da dove fosse venuta, veramente un dono dal cielo, perché lasciarla andare in malora? Non hanno
visto né il carro né gli uomini che lo avevano portato qui. E il conte ci ha autorizzati a prendere la legna caduta, e tale era quella, per loro.» «Sarebbe stata comunque perduta, meglio usarla per riparare un tetto», osservò saggiamente Hugh. «Non si può biasimarli.» Il mucchio di tronchi rimasti si era sparso lungo il sentiero, e tra il groviglio d'erba e il sottobosco in mezzo agli alberi. Hugh e i suoi compagni si aggirarono indagando fra i resti, e a un tratto Nicol, che si era allontanato di qualche passo, lanciò un grido e, tuffandosi tra i cespugli, raccattò e mostrò loro la preziosa cassetta che aveva contenuto le elemosine di Herluin. Il coperchio era stato forzato, e ora non conteneva altro che una manciata di sassolini e un mucchio di foglie secche. «Vedete? Vedete? Non avevano la chiave, non l'avrebbero mai avuta da me, ma non è servito a niente. Un pugnale infilato a far leva sotto il coperchio, vicino alla serratura... Ed è finito tutto nelle mani di furfanti e vagabondi!» «Me l'aspettavo», mormorò tristemente Herluin, prendendo la cassetta per vedere coi propri occhi il danno. «Bene, siamo sopravvissuti a guai anche peggiori, sopravvivremo pure a questo. A volte sono stato persino indotto a pensare che la nostra casa fosse perduta per sempre! Questo è soltanto un inciampo sulla nostra strada, manterremo ciò che abbiamo promesso, nonostante tutto.» Con scarse probabilità di recuperare quei doni, rifletté Hugh. Le elemosine raccolte a Shrewsbury, i doni preziosi offerti da Donata, sparito tutto, finito nelle mani di furfanti, ormai lontani. «E questo è tutto», sospirò il priore Robert. «Signore...» Il borgomastro si avvicinò a Hugh parlandogli all'orecchio. «Signore, si è trovato qualcos'altro in mezzo a quei tronchi. Nascosto sotto a tutti, altrimenti quei bastardi lo avrebbero scoperto. Ma era ben celato e per fortuna è riapparso soltanto quand'ero là io. Appena disfatto l'involto ho capito che non era roba per noi.» Lo ascoltavano tutti con profonda attenzione, ora, spalancando gli occhi, Herluin e Robert irresistibilmente indotti a sperare oltre ogni speranza, ma timorosi di essere delusi, Nicol interessato ma strabiliato, perché nessuno gli aveva mai detto alcunché né riguardo alla sparizione del reliquiario di santa Winifred né della possibilità che si trovasse sul suo carro e fosse stato rubato con tutto il resto. Tutilo si teneva modestamente in disparte, attento, ma senza fare commenti. «E che cos'era, dunque, quello che avete trovato?» domandò Hugh.
«Una bara, signore, a giudicare dalla sagoma. Un po' piccola, se davvero si tratta di ciò, chi c'è dentro doveva essere esile, con le ossa sottili. E tutta ornata d'argento, un'esca irresistibile per un ladro, così ho pensato che fosse meglio porla al sicuro.» «E dove l'avete messa, allora?» domandò il priore Robert, cominciando a intravedere la possibilità di un insperato successo. «L'ho portata al mio signore, poiché è stata trovata sulle sue terre. Volevo evitare il rischio che qualcuno del mio villaggio o di quelli vicini venisse accusato del furto di una cosa tanto preziosa», spiegò il borgomastro. «Il conte Robert era, com'è tuttora, nel suo maniero di Huncote, a poche miglia da Leicester. L'abbiamo portata a lui, spiegandogli come l'avevamo trovata, ed è ancora là nel suo vestibolo, al sicuro.» «Sia ringraziato Iddio che ci ha concesso tale grazia!» esclamò il priore Robert, infervorato. «Credo che abbiamo ritrovato la santa della quale piangevamo la perdita!» Hugh immaginò per un momento il viso di fratello Cadfael se fosse stato lì a constatare quell'ironia della sorte. Tuttavia, una Santa Vergine e un peccatore impenitente erano del pari esseri umani e forse il monaco aveva avuto ragione parlando di «povero Columbanus». Se la signora, rifletté Hugh, divertito e preoccupato a un tempo, è stata tanto misericordiosa e avveduta da tenere ben chiuso il coperchio del suo reliquiario, forse potremo cavarcela ancora senza scandali. In ogni caso, non v'era modo di evitare il prossimo passo. «Bene», disse filosoficamente Hugh, «andremo dunque a Huncote, a parlare col conte.» Huncote, un villaggio ameno al di là di lussureggianti campi verdi, era raggruppato attorno alla cinta del maniero, un edificio non grande ma tutto di pietra, con una torre quadrata, solida quanto quella di un castello. L'ingresso nel cortile di visitatori sconosciuti fece accorrere immediatamente, con una prontezza e un'efficienza senza dubbio dovute alla presenza del conte nella sua residenza, due stallieri a prendere le briglie, un elegante paggio che, dalla porta del vestibolo, scese a salti la gradinata, incuriosito da quella visita, e un anziano maggiordomo, che emerse dalle scuderie. La comparsa di tre benedettini, due dei quali palesemente autorevoli, accompagnati da due laici, un domestico e un personaggio di autorità pari alla loro, fu accolta con cortese freddezza. La cortesia dell'ospitalità era concessa a qualsiasi visitatore, ma il calore esigeva una conoscenza meno superfi-
ciale. In un paese tuttora diviso tra due rivali pretendenti al trono, con l'aggravante dei tanti signori opportunisti, interessati a crearsi un dominio personale, gli uomini saggi osservavano i doveri dell'ospitalità e aprivano la propria casa a tutti, ma soltanto a chi lo meritava aprivano la propria mente. «Signore, reverendi fratelli», esordì il maggiordomo, «siete i benvenuti al maniero del mio signore Robert Beaumont. Io sono il suo maggiordomo, in che cosa posso servire l'Ordine benedettino e i suoi compagni? Avete qualcosa da chiedere?» «Se il conte Robert è qui e accetta di riceverci, lo abbiamo, sì», rispose Hugh. «Riguarda qualcosa che è sparito dall'abbazia di Shrewsbury e, a quanto mi è stato detto, è stato ritrovato qui, nella foresta che appartiene al conte. È il reliquiario di una santa e il vostro signore sarà contento di esserne informato, perché dev'essersi chiesto che cosa gli avevano portato in casa!» «Io sono il priore di Shrewsbury», intervenne Robert con cerimoniosa dignità, ma nessuno gli prestò molta attenzione. Il maggiordomo era anziano, intelligente ed esperto, probabilmente in confidenza col suo signore e informato di quanto riguardava la misteriosa ed elaborata bara stranamente scaricata nella foresta oltre Ullesthorpe. «Io sono lo sceriffo del re Stefano nello Shropshire», spiegò Hugh, «anch'io alla ricerca della sua stessa santa vagante. Se è in possesso del vostro signore, incolume e al sicuro, ha diritto alle preghiere di tutti i fratelli di Shrewsbury e di metà del Galles.» «Un paio di preghiere in più non faranno male a nessuno», convenne il maggiordomo. «Entrate, fratelli, vi accompagnerà il nostro Robin. E non preoccupatevi per i vostri cavalli.» Il paggio, sui sedici anni, spigliato e vivace, aveva atteso eventuali ordini tenendo gli occhi aperti e le orecchie tese, attento a tutto quanto lo circondava. Probabilmente un figlio di qualche affittuario di Leicester sistemato dal padre in un posto dove avrebbe potuto avanzare rapidamente di grado. E con la sua disinvoltura e la sua sollecitudine, non gli sarebbe stato difficile, giudicò Hugh. Robin li precedette su per la gradinata, girando un poco il capo per parlare con loro. «Il mio signore è venuto qui dalla città quando ha saputo di quei briganti in giro dalle nostre parti, ma non ne abbiamo visto nemmeno l'ombra, chis-
sà dove saranno, ormai. Sarà contento d'incontrare voi, invece, se avete una storia tanto straordinaria da raccontargli. Ha lasciato la contessa a Leicester.» «Ed è qui anche il nostro reliquiario?» domandò il priore Robert, ansioso di avere una conferma delle sue speranze. «Se è quell'affare che hanno portato, sì, è qui, padre.» «Senza danni?» «Penso di sì, ma non l'ho visto da vicino. E so che il conte ha ammirato il modo com'è lavorato l'argento.» Il paggio li lasciò in un salone attiguo al vestibolo per andare a informare il conte di quella visita inaspettata. Non erano trascorsi più di cinque minuti quando entrò il signore di mezzo Leicestershire, una bella fetta di Warwick e Northamptonshire, nonché di un vasto possedimento in Normandia, del quale aveva sposato l'erede. Hugh l'osservò con profondo interesse. Robert Beaumont, conte di Leicester, era sulla quarantina, tarchiato e non troppo alto, con capelli e occhi neri, e il viso ben rasato come usava in Normandia, dai tratti marcati. Abbigliato con sobria eleganza, aveva tuttavia qualcosa che guastava la simmetria della sua figura e la scioltezza dei suoi movimenti: un lieve rigonfio su una spalla, un'imperfezione non troppo grave, ma sufficiente per attirare lo sguardo di chi, come Hugh, lo vedeva per la prima volta. «Benvenuti nella mia casa, signori», disse subito il conte. «Arrivate proprio al momento giusto perché, lo confesso, sono stato tentato di sollevare il coperchio di quel prezioso cofano che mi hanno portato da Ullesthorpe. Sarebbe stato un peccato rompere quei bellissimi sigilli e sono contento di non averlo fatto.» E lo sono anch'io, pensò Hugh, e ancora di più lo sarà Cadfael. La voce del conte era sommessa e piacevole e ancora più gradite erano le sue informazioni. Il priore Robert si rabbonì, divenne a un tratto amabile e loquace. Alla presenza di un nobile normanno di così alto grado e col suo stesso nome, il priore tornò con la mente alle proprie origini e si raddrizzò in tutta la sua aristocratica altezza, come se si guardasse in uno specchio. «Signor conte, parlando in nome di Shrewsbury, città e abbazia, devo dirvi che è una grande consolazione per noi sapere che santa Winifred è al sicuro in mani tanto nobili. Viene quasi da pensare che sia stata lei a dirigere miracolosamente gli eventi per proteggere se stessa e i suoi fedeli, anche in mezzo a tanti pericoli.» «Davvero!» convenne il conte, con un lieve sorriso. «Se i santi possono
realizzare i propri desideri, come dite voi, sembra che la signora abbia creduto opportuno rivolgersi a me, un onore senza merito, purtroppo! Ma ora venite a vedere come l'ho sistemata e assicurarvi che non abbia subito né offese né danni. Restate qui almeno per questa notte, o anche più se volete; durante la cena mi racconterete come sono andate le cose e studieremo insieme quali passi fare per compiacerla.» La cena era squisita, l'accoglienza del conte cordiale e premurosa, un piacere anche più gradito dopo tante contrarietà, tuttavia Hugh si sentiva stranamente inquieto, innervosito, come se si aspettasse da un momento all'altro un contrattempo imprevisto, qualche nuova, improvvisa complicazione proprio ora, quando il priore Robert, almeno lui, cominciava a pensare che tutti i guai fossero finiti. Ma erano timori vaghi, che lui stesso non avrebbe saputo precisare. Il conte aveva pochi domestici a Huncote, ma erano ugualmente in dieci a tavola, tutti uomini, dato che la contessa e le sue donne erano rimaste a Leicester. Ai lati del padrone di casa sedevano i due prelati, con Hugh accanto al vicepriore Herluin; Nicol aveva preso il posto che gli spettava tra gli scrivani, e Tutilo, silenzioso e quasi cercando di scomparire in mezzo a tale distinta compagnia, era a un capo del tavolo, accanto al cappellano, badando a tenere la bocca chiusa anche lì. A volte è meglio ascoltare, attentamente. «Una vicenda molto strana», commentò il conte, dopo avere ascoltato con lusinghiera attenzione il fedele, appassionato racconto dell'accaduto fatto dal priore Robert, dalla trionfale traslazione di santa Winifred da Gwytherin a un altare dell'abbazia fino alla sua inspiegabile scomparsa durante l'inondazione. «Come se avesse lasciato il suo altare senza intervento umano... O almeno a voi non risulta che ve ne siano stati. E si sapeva già, mi dite, che aveva operato miracoli. È possibile», rifletté il conte, appellandosi alla maggiore esperienza del priore Robert in fatto di santità, «che abbia miracolosamente cambiato posto per qualche suo scopo benefico? Che abbia ritenuto opportuno portare la propria benedizione altrove? O che le fosse dispiaciuto qualcosa, lì dove si trovava?» A quel punto, si avvide che il priore era impallidito, drizzando le spalle, e si scusò. «Se mi sono presuntuosamente addentrato nel campo della santità, rimproveratemi», disse con la reverente sottomissione di un giovane novizio. Scarse probabilità che lo facesse, pensò Hugh, ascoltando e osservando con un interesse che gli riportò alla mente i primi tempi dei suoi incerti
rapporti con Cadfael, quando si scambiavano dispetti e frecciate, tastando cautamente il terreno in piccoli campi di battaglia, fino ad arrivare a una schietta, duratura amicizia. Il priore, anche se sospettava di essere preso in giro, perché non era uno sciocco, non si sarebbe mai azzardato a redarguire un signore della statura di Robert Beaumont, ma l'altro benedettino aveva abboccato all'amo. «Signor conte», osservò Herluin, attento a non assumere l'aria del censore, «anche un laico può avere un'ispirazione profetica. Il mio confratello priore è stato testimone della sua facoltà di concedere grazie e afferma che nessuno, a quanto si è accertato, ha rimosso il reliquiario. Non è logico, dunque, pensare che santa Winifred lo abbia trasferito lei stessa sul carro diretto a Ramsey, quel luogo spietatamente saccheggiato e semidistrutto da empi briganti? Dove sarebbe potuta essere più necessaria e onorata? Dove avrebbe potuto fare tanti miracoli come a Ramsey? Perché ormai è certo che è partita da Shrewsbury sul carro che tornava là coi doni offerti da tante persone devote per la nostra sfortunata abbazia. Se il suo intento era quello di portarvi anche le proprie benedizioni, possiamo forse, noi, opporci ai suoi desideri?» Parole sante, senza dubbio, argomentazioni che parevano irrefutabili, ma il conte non si arrese. «Io non intendo oppormi a niente, non so risolvere indovinelli. È stata indubbiamente l'abbazia di Shrewsbury a portarla qui, dal Galles, e la santa ha ivi compiuto miracoli, non ha mai ricusato la devozione che la circondava. Io cerco una guida, non pretendo di esserlo per altri, in questioni come questa. Ho enunciato una possibilità. Se qualcuno ha avuto mano nei suoi spostamenti, tutto ciò che ho detto non ha più senso, perché non esistono più misteri. Ma finché non sappiamo...» «Abbiamo validissimi motivi per credere che la santa si trovasse bene con noi», l'interruppe il priore Robert, maestoso nella sua argentea indignazione. «La nostra devozione non è mai venuta meno, la sua festa è stata celebrata solennemente tutti gli anni e l'anniversario della sua traslazione ha goduto di una benedizione particolare. Un nostro giovane e devotissimo confratello che era a malapena in grado di camminare ha ricevuto da lei la grazia di una completa guarigione, e da allora è stato il suo più fedele e zelante servitore. Non posso credere che ci abbia lasciati di sua volontà.» «Oh, non dico con l'intento di allontanarsi da voi», protestò Herluin, «ma per pietà di un altro monastero in rovina non avrebbe potuto sentirsi in dovere di accorrere in suo aiuto? Perché ha certamente lasciato la vostra
abbazia coi miei uomini e con loro ha preso la strada per Ramsey. Perché mai lo avrebbe fatto, se non desiderava allontanarsi da voi e non aveva alcun obbligo con noi?» «Non è ancora provato», dichiarò il priore Robert, tornando ai fatti concreti, «che nessuno - nessun peccatore, perché è stato un sacrilegio - abbia avuto qualcosa a che vedere con la sua sparizione. Il nostro abate, a Shrewsbury, ha impartito ordini perché si rintracciassero tutti coloro che erano venuti ad aiutarci quando il fiume aveva raggiunto la nostra chiesa, ma noi non sappiamo che cos'abbia scoperto. Là forse conoscono la verità, ormai, ma qui certamente no.» Il conte si era tirato indietro, tra quei due accalorati campioni, ritenendosi esente da ogni responsabilità, tranne quella di mantenere la pace e la concordia nel suo salone, e guardando a turno, benevolmente, l'uno e l'altro, come se desse ragione a entrambi. «Reverendi padri», disse cortesemente, «a quanto so, intendete tornare insieme a Shrewsbury; perché non ve ne state tranquilli finché siete qui e non avrete saputo che cosa si è scoperto durante la vostra assenza? Potrebbe essersi appianato tutto e, in caso contrario, se non si fosse svelato alcun intervento umano nella sparizione di quel reliquiario, vi sarà sempre tempo per riflettere su una spiegazione ragionevole. Ma non ora! Non ancora!» Con guardingo sollievo, ma senza entusiasmo, accettarono entrambi, se non altro come un espediente per rinviare le ostilità. «Giusto!» esclamò il priore Robert, anche se con una certa freddezza. «È inutile azzardare pronostici. Avranno fatto tutto il possibile per scoprire la verità, aspettiamo finché non lo sapremo.» «Mentre ero là con voi», aggiunse Herluin, «ho pregato la santa perché ci assista in questa difficile situazione: avrà certo ascoltato e avuto pietà di noi... Ma avete ragione, dobbiamo pazientare finché non ne sapremo di più.» Un po' di malizia, rifletté Hugh, contento di essere un semplice spettatore e poter vedere chiaramente il gioco, ma senza cattiveria. Si sta divertendo nella stagione più tediosa dell'anno, anche lontano dalle sue donne, ma è bravo a placare la burrasca quanto lo è stato nel sollevarla. Ora che cos'altro può fare per trascorrere piacevolmente la serata e intrattenere i suoi ospiti? Uno di loro, almeno, precisò fra sé con un vago senso di colpa, rammentando che gli restava ancora il compito di riportare a Shrewsbury quei due ambiziosi prelati senza spargimento di sangue. «C'è ancora un piccolo problema che non abbiamo preso in considera-
zione», osservò il conte. «Se santa Winifred voleva davvero andare a Ramsey con quel carro, e se gli uomini non possono interferire nei progetti dei santi, dovrebbe essere stata lei a volere anche quanto è accaduto in seguito, l'aggressione dei banditi, il furto del carro e dei cavalli, il successivo abbandono del carico, compreso il reliquiario, perché lo trovasse qualcuno dei miei affittuari e lo portasse a me. Tutto studiato e compiuto, sembrerebbe, per arrivare finalmente dov'è ora. Ma se avesse inteso andare a Ramsey, non vi sarebbe stata alcuna aggressione con tutto il resto, ci sarebbe andata senza inciampi. Invece è venuta qui, affidata alle mie cure. Non si può dire della prima mossa: 'è stata la sua volontà' senza dire altrettanto per le successive. La logica vale pur qualcosa!» I due prelati ai suoi fianchi lo fissavano ora stupefatti, allarmati e ammutoliti, un successo per il conte, che li guardò con un sorriso disarmante. «Vedete in quale situazione mi trovo. Se i fratelli di Shrewsbury hanno scoperto chi, delinquente o pazzo, ha trafugato per primo il reliquiario, ogni dubbio è risolto. In caso contrario, vorrei che mi concedeste un onore al quale forse non ho diritto, ma del quale sarei orgoglioso. Se intendete partire domani per Shrewsbury, portando naturalmente con voi santa Winifred, vorrei fare parte della sua scorta.» CAPITOLO V Fratello Cadfael era andato fino a Preston per parlare con Aldhelm, ma non lo aveva trovato. Era lontano, gli avevano detto, nei campi appartenenti al maniero di Upton, ad assistere le pecore che stavano figliando. Un secondo tentativo lo fece andando direttamente ad Upton per sapere dove avrebbe potuto trovarlo, e si sobbarcò pazientemente un altro miglio di cammino, fino a un ovile tra i campi dove finalmente lo trovò, occupato a tenere in piedi un agnellino ancora malfermo sulle gambe. Un giovane alto e magro, tutto braccia e gambe, dal viso schietto incoronato da una massa di capelli color rame. Quando lo avevano chiamato a dare una mano per mettere in salvo i tesori della chiesa durante l'inondazione, aveva obbedito senza fare domande, ma ricordava tutto di quel giorno. «Sì, fratello, ero là. Ho aiutato Gregory e Lambert a caricare il legname, e fratello Richard ci ha chiamati per spostare qualcosa. E c'era un altro che correva su e giù come noi, un tizio uscito dalla foresteria che portava gli arredi dell'altare, uno che pareva sapesse bene che cosa fare, che cosa occorreva. Io ho eseguito soltanto quello che mi veniva chiesto.»
«E qualcuno vi ha domandato, a tarda sera, di aiutarlo a mettere sul carro, insieme coi tronchi, un fagotto lungo e stretto?» domandò Cadfael esplicitamente, ma senza troppe speranze. «Sì, uno lo ha fatto», fu invece la pronta risposta. «Ha detto che si doveva portarlo a Ramsey con quel carro, così lo abbiamo sistemato in mezzo ai tronchi. Era ben imbottito, non avrebbe riportato alcun danno.» I danni li aveva riportati, ma non era necessario che Aldhelm lo sapesse. «E i due carrettieri di Longner non se ne sono accorti? Com'è possibile?» insistette Cadfael. «Be', era buio, pioveva, e indaffarati com'erano col loro legname è comprensibile che non se ne siano avveduti. E io non me ne sono più occupato. Era quello che il fratello ci aveva detto di fare. Erano affari dell'abbazia nei quali io non c'entravo per niente.» Era certamente vero che il suddetto fratello sapeva fin troppo bene cosa faceva e quasi altrettanto certa era la sua identità, ma non si poteva accusarlo senza prove. «Com'era quel fratello? Avevate già parlato con lui in chiesa?» «No. È uscito di corsa e mi ha tirato per una manica, nel buio. Pioveva e lui aveva il cappuccio stretto attorno al viso, tutto quello che posso dire è che era un benedettino. Non molto alto, meno di me, e giovane, a giudicare dalla voce. Però lo riconoscerei se lo vedessi.» «L'avevate visto una volta sola, nel buio e incappucciato, e sapreste identificarlo?» «Senza dubbio. Sono tornato indietro con lui a prendere quel carico ed era ancora accesa la lampada sull'altare: l'ho visto in faccia. Certo, non basta una descrizione per individuare una persona, ma io lo riconoscerei fra mille se lo vedessi.» «L'ho trovato!» dichiarò Cadfael, riferendo il risultato della propria inchiesta all'abate Radulfus, nel suo studio. «E dice che riconoscerebbe quel monaco.» «È certo?» «Certissimo. E io gli credo. È l'unico che lo abbia visto in viso, alla luce della lampada sull'altare mentre sollevavano il reliquiario. Tutti gli altri erano fuori, al buio. Sì, credo proprio che non abbia alcun dubbio.» «E verrà?» «Verrà, ma a determinate condizioni. Ha un padrone e un lavoro, e ora è occupatissimo con le pecore che stanno figliando. Non si allontanerà di un
passo finché non sarà nato anche l'ultimo agnello, ma dopo, se lo si manderà a chiamare verso sera, finita la sua giornata di lavoro, verrà. Però dovremo aspettare che torni da Worcester.» «Bene», assentì Radulfus con moderato entusiasmo. «Comunque, Cadfael, dovremo tenere per noi quell'informazione per evitare il rischio che il responsabile si metta in guardia o si abbia a sospettare di qualcuno che non c'entra affatto. Muoviamoci con la massima cautela, attenti a non recare danno a nessuno, nemmeno al colpevole.» «Se la nostra santa torna indenne e immutata», osservò Cadfael, «tutta questa storia può ancora risolversi senza guai per nessuno.» Si rese conto a un tratto di quanto fosse nel giusto Hugh a dire che Cadfael parlava istintivamente di quel reliquiario praticamente vuoto come se contenesse davvero le sante, miracolose ossa che avrebbero dovuto esserci. E quanto ne aveva sentito la mancanza, la mancanza di quel simbolo che lei si era degnata di rendere prezioso. Il reliquiario tornò il giorno seguente, accompagnato da una nobile scorta. Fratello Cadfael stava uscendo dall'infermeria, a metà mattina, quando la compagnia entrò dal portone. Non soltanto Hugh, il priore Robert e i due confratelli di Ramsey, ma anche due scudieri e un giovane gentiluomo che cavalcava, tacito e riservato, accanto allo sceriffo, dietro i due priori, ma palesemente autorevole. Indossava vesti scure ma lussuose, e il suo cavallo era uno splendido roano con finimenti altrettanto preziosi. E, dietro tutti, su un carrettino trainato da un cavallo, c'era il reliquiario di santa Winifred, diligentemente avvolto in drappi ricamati. Fu uno spettacolo vedere che tutti accorrevano nel grande cortile, come se la voce del suo felice ritorno fosse volata sulle ali del convento. Fratello Denis uscì dalla foresteria, fratello Paul dalla scuola, con due ragazzini che sbirciavano dietro le pieghe del suo saio; due novizi e due stallieri vennero dal cortile delle scuderie e una mezza dozzina di fratelli da occupazioni sparpagliate: tutti comparvero sulla scena quasi prima che il portinaio fosse uscito dalla guardiola per dare il benvenuto alla compagnia. Tutilo, che cavalcava modestamente alla retroguardia, scivolò giù dalla sella e corse a tenere la staffa a Herluin, come un paggio di corte, mentre il suo signore smontava. Il novizio modello, un po' troppo premuroso, forse, per avere la mente tranquilla. E se i sospetti di Cadfael erano fondati, ora aveva ottimi motivi per comportarsi bene. Il reliquiario scomparso era tornato al proprio posto ed era come se si fosse trovato un testimone in grado
di chiarire come qualcuno lo avesse fatto sparire. E Tutilo, benché ignorasse che cosa gli riservava la sorte, non poteva essere certo che quel felice ritorno mettesse fine a tutto. Speranzoso ma preoccupato, incrociando le dita per scaramanzia, si sarebbe comportato come un santo finché non fosse cessato ogni pericolo e nessuno si occupasse di lui. Forse persino pregando santa Winifred perché lo proteggesse, con la sua sfacciataggine! Eppure Cadfael non poteva fare a meno di nutrire una certa simpatia per l'autore di un'impresa ambigua ma coraggiosa che aveva finito col riportarlo al punto di partenza, esponendolo alla vergogna oltre che alla punizione. Tanto più in quanto a lui stesso, Cadfael, era appena stato risparmiato un infortunio analogo. Il coperchio del reliquiario, già liberato del suo involucro, era tuttora perfettamente sigillato, nessuno aveva visto che cosa conteneva e lui poteva tornare a respirare. Il priore Robert, in casa propria, aveva preso le redini in tutto. I fratelli, emozionati, riportarono il reliquiario sul suo altare, devotamente seguiti da Tutilo; novizi e stallieri condussero i cavalli nelle scuderie e il piccolo carro alla casa colonica. Robert, Herluin, Hugh e il forestiero si avviarono verso la casa dell'abate Radulfus che era già uscito a salutarli. Quell'ospite forestiero Cadfael non lo aveva mai visto, ma non era certo difficile scoprire chi fosse. L'agguato aveva avuto luogo poco lontano da Leicester e questo era un personaggio di condizione palesemente elevata, dunque perché andare a cercare più lontano? A Cadfael non era sfuggita la deformità della sua spalla, anche se non era tanto grave da deturpare una figura per tutto il resto ben proporzionata. Era noto a tutti che il minore dei fratelli Beaumont era, come si diceva, «segnato»: lo chiamavano Robert Bossu, Robert il Gobbo, e lui non se ne risentiva affatto. Che cosa ci faceva, dunque, Robert Bossu all'abbazia? Frattanto erano spariti tutti nella casa dell'abate, si sarebbe conosciuto il motivo della sua visita e Hugh avrebbe poi ripetuto al suo amico Cadfael tutto quanto si era detto. Bastava che avesse la pazienza di aspettare finché il colloquio tra i poteri ecclesiastico e secolare non fosse concluso. Nel frattempo, rifletté il monaco, avrebbe potuto occuparsi di un'altra questione importante: mandare qualcuno a cercare Aldhelm tra le sue pecore, a Upton, e chiedergli di venire all'abbazia per identificare il suo nebuloso benedettino, mentre erano tutti lì. Erano nel laboratorio di Cadfael, quando Hugh raccontò all'amico la lunga storia delle peregrinazioni di santa Winifred, o quanto meno del suo
reliquiario, e come esso fosse arrivato fino a Robert Beaumont. «Ma fa sul serio?» domandò alla fine il monaco. «Solo a metà. Sta attraversando un momento difficile, deve tutelare gli interessi di suo fratello qui, come Waleran tutela quelli di Robert in Normandia, ma si diverte a mettere la volpe tra i polli, specialmente due galletti con sproni e penne arruffate come il vostro priore e Herluin di Ramsey.» «Ma ha intenzione di insistere?» «Finché si divertirà e non avrà niente di meglio da fare. Buon Dio, glielo hanno messo in testa loro stessi! Si può quasi pensare, dice Robert - il nostro Robert, intendo - che sia stata addirittura lei a dirigere le operazioni! Quasi ricalca l'altro Robert, e mi pare di vedere che cosa gli passa per la mente. Ma non temete, non farà niente che possa demoralizzare l'abate Radulfus che ritiene un suo pari.» «Si vede a malapena», osservò Cadfael, partendo per una tangente inaspettata. «Che cosa?» «La gobba. Robert Bossu! Un nome noto a tutti. Pare che Robert e Waleran Beaumont siano andati ognuno per proprio conto da un bel po' di tempo, ormai. Il maggiore vive in Normandia da quattro anni; Stefano non può più contare su di lui come suo devoto sostenitore.» «Lo so già», convenne amaramente Hugh. «Stefano lo capisce quando ha perso un compagno fedele. E probabilmente comprende anche il motivo e non gliene fa una colpa. I due Beaumont possiedono entrambi terre qui e in Normandia, e da quando Goffredo d'Angiò si è impadronito di quella regione per conto di suo figlio, tutti i seguaci di Stefano temono per le proprie terre e probabilmente sono tentati di cambiare partito per guadagnarsi il suo favore. Le terre francesi e normanne hanno grande importanza per Waleran, non ci si può stupire che sia andato là per rendersi gradito a Goffredo, piuttosto che correre il rischio di essere espropriato. Ha ereditato quelle terre dal padre, è conte di Meulan e il titolo passerà ai suoi figli. Robert invece ha ereditato le terre inglesi, Breteuil lo ha avuto soltanto perché ne ha sposato la proprietaria, ma la sua dimora è qui. Così Waleran va dove sono le sue radici, per evitare che vengano strappate, anche se deve inchinarsi all'Angiò per conservare un bene che appartiene alla sua famiglia da generazioni. Dove sia il suo cuore non lo so. Deve fedeltà a Goffredo, ora, ma fa il meno possibile per essergli d'aiuto e ancora meno per ostacolare Stefano, tutelando gli interessi propri e del fratello là, mentre Robert fa altrettanto per lui qui. Si astengono entrambi da qualsiasi azione,
probabilmente perché sono maledettamente stufi! Questo caos dura da troppo tempo!» «Non è mai facile servire due padroni», commentò Cadfael. «Anche se si è in due a condividere la fatica.» «Tanti altri hanno gli stessi fastidi.» «E li abbiamo anche noi, Hugh! Il conte si divertirà, forse, ma non certamente Herluin. Se avessi saputo che l'avreste riportata indietro senz'alcun danno, non mi sarei arrovellato tanto perché non sapevo come fosse scomparsa.» «Non potevate farne a meno», osservò Hugh, comprensivo. Come non potete ora.» «È vero! Ho mandato a chiamare quel pastore di Upton. Sarà qui prima di compieta e finalmente si scoprirà la verità. Ormai sappiamo tutti com'è stato rubato il reliquiario, ma soltanto lui sa chi ha commesso il furto. Non molto alto, con una voce giovanile, ha detto Aldhelm, che è stato indotto ad aiutarlo e lo ha visto in faccia, da vicino. Non vi sarebbe neppure bisogno di conferma, ma comunque è meglio avere una certezza assoluta. Herluin non è né piccolo né giovane, e non sarà certo stato uno di noi fratelli a mettere la nostra venerata patrona su un carro diretto a Ramsey! E, alla luce dei fatti, come li conosciamo ora, chi altri può essere stato, se non Tutilo?» «Un ragazzo in gamba!» commentò Hugh, con un involontario sorriso elogiativo. «Sarebbe sprecato con un saio. E sapete, Cadfael, dubito molto che Herluin avrebbe avuto qualcosa da obiettare davanti a un furto ben riuscito, ma leverà la pelle al responsabile di un fallimento. Bene, me ne torno a casa, ora. Qui non ci sarà bisogno di me finché quell'Aldhelm non avrà assolto il proprio compito e puntato il dito sul vostro Tutilo come, penso, siete certo che farà prima di sera. Preferisco non essere qui. Se sarò costretto a prendere dei provvedimenti, lasciatemi almeno respirare fino a domattina.» Cadfael lo accompagnò soltanto fino all'erbario, dove fratello Winfrid, il suo aiutante, stava appoggiato alla sua vanga, seguendo con lo sguardo una figura che aggirava quasi di soppiatto la siepe, dirigendosi verso il cortile principale. «Che cosa ci faceva fratello Jerome appostato qui vicino al vostro laboratorio?» domandò poi fratello Winfrid, la sera, quando andò a metter via i suoi attrezzi.
«Era qui?» replicò distrattamente Cadfael, mentre pestava nel mortaio le erbe necessarie per fare uno sciroppo. «Io non l'ho visto.» «Sicuro! Probabilmente voleva sapere che cos'aveva da dirvi lo sceriffo. È stato lì davanti alla porta per qualche momento, poi ha sentito che vi avvicinavate per uscire e se l'è squagliata di corsa. Avrà udito qualcosa d'importante?» «Non credo. In ogni caso, niente d'importante per lui.» Rémy di Pertuis aveva deciso di partire quel giorno, ma l'arrivo del conte di Leicester lo indusse a riflettere e revocare l'ordine impartito a Bénezet e Daalny di cominciare a riempire le borse. Il cavallo azzoppato era guarito e pronto a riprendere il viaggio, ma ora non sarebbe stato saggio aspettare qualche giorno ed esaminare le possibilità che si profilavano con quel ricco signore così provvidenzialmente apparso? Rémy non lo conosceva personalmente, ma aveva udito parlare di lui e sapeva che era un gentiluomo colto e amante della musica. Inoltre, alloggiavano entrambi alla foresteria e pranzavano alla stessa tavola. Perché trascurare un'occasione così promettente, per rincorrerne una lontana e incerta? Rémy si dispose quindi a esplorare la situazione e fare il possibile per riuscire simpatico: possedeva garbo e abilità sufficienti, se voleva. E Bénezet era al suo servizio da tanto tempo, sapeva sempre quale fosse il suo compito in ogni occasione, senza bisogno di ordini. Si guadagnò le simpatie degli scudieri del conte, ascoltò con attenzione chiunque parlasse dei gusti, del carattere, degli interessi di Robert Bossu, e i risultati furono incoraggianti. Un mecenate di tal fatta avrebbe significato protezione assoluta, una vita quasi principesca e una professione a lui congeniale. Bénezet stava tornando felice e contento alla foresteria, quando vide fratello Jerome che aggirava di corsa la siepe dell'erbario a testa bassa, come se avesse fretta di confidare a qualcuno un peso che l'opprimeva. A chi? si domandò Bénezet e, curioso come sempre di scoprire qualcosa che potesse tornargli utile, seguì a debita distanza Jerome, fino al chiostro. Il priore Robert stava riponendo un libro nell'armadio a muro dello scrittorio, e Jerome andò difilato da lui, ansioso di comunicargli che cosa aveva scoperto, mentre Bénezet scivolava, non visto, nello scomparto attiguo, ormai deserto perché a quell'ora, con le prime ombre della sera, tutti i fratelli scrivani se n'erano andati. Nella quiete del crepuscolo, inoltre, le voci erano più sonore e Jerome, agitatissimo, non badava al tono della propria. Tanto di guadagnato per lui, rifletté Bénezet, a volte le notizie più impor-
tanti si trovano nei posti più impensati. «Padre priore», disse Jerome tra sdegnato e soddisfatto, «ho scoperto qualcosa che dovete sapere. Pare che vi sia qui nei dintorni un tale che ha dato una mano a mettere il reliquiario di santa Winifred sul carro diretto a Ramsey, senz'alcuna colpa da parte sua, perché glielo aveva chiesto un monaco benedettino. Un fratello che è in grado di riconoscere: verrà qui stasera per vedere se lo trova. Padre, perché non ci è stato detto niente di questa storia?» «Io lo sapevo», ribatté il priore, richiudendo l'armadio. «Me lo ha detto il padre abate. Abbiamo mantenuto il segreto per non mettere in guardia il colpevole.» «Ma, padre, lo vedete che cosa significa? È stata la nequizia degli uomini a sottrarla alle nostre cure e io ho udito il nome dell'empio che ha osato farlo, l'ho udito da fratello Cadfael. Il preteso innocente è il novizio di Ramsey, Tutilo.» «Questo non lo sapevo», confessò Robert con un vago tono di dignità offesa. «Ma senza dubbio perché il padre abate non ha voluto accusare una persona prima di avere una prova irrefutabile della sua colpa. Dobbiamo soltanto aspettare fino a stasera e l'avremo.» «Padre, come si può credere a tanta malvagità in un uomo? Una colpa che nessuna penitenza potrebbe assolvere. Dovrebbe cadere su di lui la folgore del cielo e distruggerlo?» «Dio segue percorsi imperscrutabili», asserì il priore, voltandosi per uscire dallo scrittorio, con la sua ombra fedele alle calcagna. «Ma lo farà, non dubitate. Ancora poche ore e il colpevole avrà la punizione che merita.» L'astioso e insoddisfatto brontolio di fratello Jerome svanì a poco a poco nella quiete della sera. Bénezet non si mosse. Restò seduto per qualche momento nello scrittorio, riflettendo su quanto aveva udito, prima di alzarsi e tornare impensierito alla foresteria. Lo aspettava una serata tranquilla, lui e Daalny erano esonerati da ogni compito, perché Rémy avrebbe cenato con l'abate e il conte, il primo frutto della sua campagna alla ricerca di una posizione onorevole e redditizia. Non vi sarebbe stato alcun bisogno di un servitore, là, e anche se alla cena si fosse accompagnato un trattenimento musicale, non avrebbero certo chiamato a farne parte Daalny, una donna, in casa dell'abate. Così entrambi sarebbero stati liberi, una volta tanto, di fare quello che volevano. «Ho qualcosa da dirti», esordì quando trovò Daalny, occupata ad accor-
dare la sua ribeca alla luce di una torcia nell'atrio. «È in corso una caccia della quale penso si debba informare il tuo Tutilo. Avvertilo e digli che sparisca. Potrà soltanto procrastinare il giorno, ma avrà almeno tempo per riflettere e credo che sia abbastanza furbo per inventare una storia plausibile o persuadere il suo testimone a cambiare la propria deposizione. Non vorrei che gli accadesse qualche guaio peggiore di quelli che si è già tirati addosso.» «Non è il mio Turilo», protestò Daalny, ma si posò la ribeca sulle ginocchia e guardò Bénezet aggrottando la fronte. «È vero quello che mi avete detto?» «Perché dovrei mentire? Hai udito anche tu tutto quell'andare e venire, questo è l'ultimo atto. E tu sei qui libera come un uccello, a patto che torni nella tua gabbia quando devi. Fa' pure quello che ti pare, ma io gli direi quale pericolo lo minaccia. Bene, vado a fare quattro passi in città per sgranchirmi le gambe, io non so niente e non posso dire nulla.» «Non è il mio Tutilo», ripeté distrattamente Daalny, riflettendo. «A giudicare dal modo come evita di guardarti, potrebbe facilmente esserlo, se tu volessi», commentò Bénezet, con un sorrisetto malizioso. «Ma lascialo pure a bollire nel suo brodo, se ti fa piacere.» Ma non le faceva affatto piacere, e Bénezet lo sapeva benissimo. Prima di sera Tutilo sarebbe stato al corrente della minaccia che incombeva su di lui. Il vicepriore Herluin stava andando a casa dell'abate per una cena in compagnia di personaggi ragguardevoli, un invito del quale era particolarmente fiero, quando fu bloccato a metà strada da Tutilo che, umile e reverente, gli chiese il permesso di andare da Lady Donata, a Longner. «Padre, la signora desidera che io vada a suonare qualcosa per lei, come ho fatto altre volte. Me lo consentite?» Herluin stava pensando alla prossima cena e alle discussioni che sarebbero indubbiamente sorte riguardo a santa Winifred e non sapeva niente di sospetti, fondati o no, e tanto meno di un testimone oculare che sarebbe venuto quella stessa sera a chiarire ogni dubbio. Tutilo ottenne il permesso con una facilità molto simile a un congedo, e uscì dal portone senza infingimenti, avviandosi tranquillamente lungo il Foregate. Non occorreva andare molto lontano, certamente non fino a Longner, ma quanto bastava per non essere presente al momento cruciale. Certo non si poteva pensare che ogni pericolo fosse scomparso dopo l'inutile intervento di Aldhelm, ma a
quanto poteva accadere in seguito avrebbe provveduto quando fosse stato il momento. Ora bastava scongiurare il pericolo attuale e lui sapeva di essere in grado di farlo. La notizia giunse all'orecchio di fratello Jerome per vie traverse: l'uccello che desiderava tanto accalappiare aveva preso il volo e ormai era lontano, irraggiungibile. Jerome schiattava di rabbia. Non v'era giustizia in questo mondo, e neppure nell'altro. Il demonio era troppo bravo nel proteggere i suoi seguaci. Doveva avere ingoiato tanto fiele da ammalarsi, perché sparì per tutto il resto della giornata. Ma nessuno sentì la sua mancanza. Il priore Robert si accorgeva della propria ombra soltanto quando ne aveva bisogno per qualche commissione o gli occorreva la sua ossequente presenza per restaurare l'equilibrio, se qualcuno aveva offeso in qualche modo la sua dignità di religioso; per la maggior parte degli altri fratelli non faceva alcuna differenza che lui ci fosse o no, novizi e scolari si tenevano sempre il più lontano possibile da lui. Soltanto a compieta la sua assenza destò stupore, commenti e finalmente preoccupazione, perché non mancava mai a una funzione. Il vicepriore Richard, un'anima buona anche con chi non gli era troppo simpatico, andò a cercarlo e lo trovò sul suo letto in dormitorio, pallido e tremante, palesemente in preda a gravi sofferenze, e sul punto di vomitare. Ma poiché era soggetto a guai del genere, nessuno se ne stupì eccessivamente; fratello Cadfael gli portò una bevanda calda e una pozione per acquietargli lo stomaco, e lo lasciarono a smaltire il malanno col sonno. Fu l'ultimo, lieve, incidente della giornata, perché il definitivo, non ancora accaduto, non si sarebbe certo potuto definire tale. Accadde poco dopo la mezzanotte e la febbrile mezz'ora dopo compieta parve, al confronto, uno scherzo di cattivo gusto. Perché il giovane pastore di Upton, il testimone tanto atteso che avrebbe dovuto svelare finalmente la verità, non venne. Gli ospiti dell'abate se n'erano andati tutti, ormai. Rémy e il conte Robert erano tornati insieme, come buoni amici, alla foresteria, dove Bénezet era appena rientrato dalla sua passeggiata in città, e due scudieri del conte aspettavano il loro signore, mentre Daalny, nella sua camera, si ravviava i lunghi capelli neri. Erano tutti lì, pronti per andare a letto, ma Aldhelm non era arrivato. E nemmeno Tutilo era tornato dalla sua visita alla signora di Longner. Poiché niente, per nessun motivo, poteva sovvertire l'ordine dei riti quo-
tidiani, la campana per il mattutino suonò regolarmente a mezzanotte e i fratelli scesero sonnolenti in chiesa. Cadfael, capace di dormire o restare sveglio a proprio piacere, si sentiva sempre pervaso dalla particolare solennità delle funzioni notturne, quando la volta della chiesa pareva assumere una vastità maggiore, appena sfiorata dalla luce delle candele. Anche il silenzio pareva più profondo, a quell'ora, e il lieve cigolio della porta meridionale parve un grido lamentoso. Era entrato qualcuno, pensò Cadfael, qualcuno che ora se ne stava immobile in fondo alla chiesa, forse timoroso di turbare la solennità del momento, poi una voce sommessa si aggiunse, da quel punto, a quelle dei responsori. Quando, finita la messa, i monaci si avviarono verso la scala per tornare a letto, un'altra figura col saio si fece risolutamente strada fra loro. Era Tutilo, fradicio per la pioggia, e, quando si passò una mano sul viso pallido e sconvolto, vi lasciò una traccia scura. Come lo vide, Herluin gli andò incontro con una brusca esclamazione, nella quale si mescolavano sdegno, collera e stupore, ma prima che potesse riprendere fiato per subissarlo di aspri rimproveri, come indubbiamente intendeva fare, Tutilo ne aveva trovato a sufficienza per spiegarsi. «Padre, mi dispiace di avere tardato tanto, ma non avevo scelta, era della massima importanza che andassi subito al castello. Mentre tornavo all'abbazia, sul sentiero che parte dal traghetto e si addentra nel bosco, ho trovato un morto! Ucciso, padre, guardate!» E mostrò la mano che si era passata sul viso e vi aveva lasciata quella traccia. «Non vi sono dubbi, l'ho toccato... Aveva il cranio sfondato.» CAPITOLO VI Quando si vide le mani alla luce, Tutilo trasalì, sbattendo gli occhi, e le allargò, badando a non toccarsi il saio; il palmo della destra era coperto di sangue quasi raggrumato, e la sinistra ne aveva sulla punta delle dita. Non avrebbe né potuto né voluto dire di più, finché non se le fosse lavate, strofinandole energicamente l'una contro l'altra, quasi fino a strapparsi anche quella pelle contaminata, insieme col sangue. Ma più tardi, nello studio dell'abate col priore Robert, Herluin e fratello Cadfael, del quale aveva chiesto lui stesso la presenza, raccontò senza esitazione i particolari della sua macabra scoperta. «Come vi ho detto, mentre tornavo all'abbazia lungo il sentiero che dal traghetto s'inoltra nel bosco, nel punto dove gli alberi sono più fitti, sono
inciampato in un corpo che giaceva di traverso sulla strada e mi sono inginocchiato accanto a lui. Si poteva seguire il sentiero regolandosi sulla striscia di cielo che si vedeva fra gli alberi, ma laggiù era buio pesto. Ho tastato il terreno attorno e ho riconosciuto la rotondità di un ginocchio e un lembo di stoffa. Sulle prime ho pensato che fosse un ubriaco, ma non si muoveva o diceva una parola. Allora sono salito con la mano dalla gamba al fianco, chinandomi sul punto dove giudicavo che fosse la faccia, ma anche lì nemmeno un alito, nessun segno di vita. Poi gli ho toccato la testa e ho capito che era morto. Ma non di morte naturale! Ho sentito l'osso frantumato.» «Ma dove, esattamente, lo avete trovato? Lo sapete?» domandò cortesemente l'abate. «No, padre. Era troppo buio, non v'era modo di saperlo, senza una torcia o una lanterna, e io ero annichilito, a tutta prima. Ma poi ho riflettuto che si trattava palesemente di un delitto e bisognava informarne lo sceriffo, così sono andato al castello, ho riferito a Hugh Beringar quanto era accaduto, e lui ha provveduto immediatamente a mandare là qualcuno a montare la guardia. E, padre, mi ha incaricato di chiedervi d'informare anche fratello Cadfael che s'intende di ferite perché ha fatto pure lui il soldato per tanti anni. Inoltre, se me lo permettete, domani dovrei accompagnarlo dove ho scoperto quel poveretto e ci troveremo con lo sceriffo. Per questo ho chiesto che fosse presente anche lui, ora. Frattanto, se ha qualche domanda da farmi, sono pronto a rispondere.» Il povero Tutilo era rimasto senza fiato dopo quella lunga tirata in aggiunta alla sua disavventura, ma respirò di sollievo per essersi liberato di quel peso. «Se c'è qualcuno a montare la guardia», osservò Cadfael, cogliendo l'occhiata interrogativa dell'abate, «il nostro sopralluogo può aspettare fino al mattino. Inutile fare speculazioni in anticipo, col rischio d'imboccare una strada sbagliata. Vi chiederò soltanto una cosa, Tutilo. A che ora siete partito da Longner?» Tutilo aspettò a lungo prima di rispondere. «Era tardi, oltre l'ora di compieta.» «E non avete incontrato nessuno?» «Di qua dal traghetto, no.» «Penso sia meglio soprassedere, ora, e aspettare finché non avremo visto quel posto di giorno e saputo chi è quella povera anima», suggerì l'abate. «Andate pure a letto, Tutilo, e Dio vi conceda un sonno tranquillo. Ripren-
deremo in considerazione ogni problema quando ci alzeremo.» Sonno tranquillo... rifletté Cadfael, tornato a letto ma senza alcun desiderio di dormire. Quanti di noi cinque, uno che parlava e quattro che ascoltavano, chiuderanno ancora occhio stanotte? E dei tre di noi che sapevano dove sarebbe dovuto essere un certo giovane che veniva all'abbazia sul far della sera, passando proprio da quel sentiero, quanti hanno già sommato due più due e dato un nome alla vittima sconosciuta, cominciando a vedere certi motivi per i quali a qualcuno avrebbe fatto comodo che non arrivasse mai a destinazione? Radulfus? Avrebbe senza dubbio visto quella possibilità, ma l'avrebbe accantonata finché non si fosse saputo qualcosa di più. Il priore Robert? A onor del vero, non aveva quasi aperto bocca e avrebbe aspettato di avere un motivo irrefutabile prima di accusare qualcuno, ma è abbastanza intelligente per mettere insieme tante minuzie e ricavarne un quadro eloquente. E io? Le stesse considerazioni valgono anche per me: attenti a non imboccare la strada sbagliata, sa il cielo quanto sarebbe difficile tornare poi indietro a cercare quella giusta! Vediamo dunque che cos'abbiamo. Aldhelm, che oltretutto a quest'ora potrebbe anche essere a casa sua, immemore e immerso in un sonno beato, sarebbe dovuto venire da noi ieri sera per identificare il suo uomo. E i soli a saperlo eravamo Radulfus, il priore Robert, Hugh e io; Herluin non ne sapeva niente e nemmeno, a quanto mi risulta, Tutilo. Eppure, è strano che proprio quella sera sia andato a Longner. Lo ha mandato qualcuno? Più tardi lo sapremo; per il momento non ha importanza. Diciamo dunque che in qualche modo sia venuto a sapere dell'imminente arrivo di Aldhelm: sparendo come ha fatto avrebbe soltanto rinviato il riconoscimento, prima o poi avrebbe dovuto ritornare. E così ha fatto, ma Aldhelm non si è più visto. Un particolare dopo l'altro, si era costruita un'agghiacciante possibilità, alla quale tuttavia non riusciva a credere. Meglio smetterla coi «se» e i «ma» finché non avesse visto lui stesso il luogo dov'era stato commesso l'omicidio e l'infelice che ne era stato vittima. La luce ancora incerta del mattino, filtrando tra gli alberi non del tutto spogli, illuminava scarsamente il sentiero e il tappeto di foglie morte nel quale affiorava qualche pietra. Il sole era ancora velato dalle nuvole che la sera prima avevano portato una lieve pioggia, ma ciò era tuttavia sufficiente per vedere che cosa aveva indotto Tutilo a inginocchiarsi. Il corpo, come aveva detto lui, giaceva di traverso per la strada, un po'
girato sul fianco destro, e i lembi scostati del mantello lasciavano vedere un braccio ripiegato sotto la spalla e l'altro teso come se tastasse il terreno. Il cappuccio, che ora gli circondava il collo, doveva essergli scivolato dal capo quand'era caduto, lasciando scoperto il lato sinistro, una massa informe di sangue coagulato, lo sfacelo sul quale aveva posato la mano Tutilo, inorridendo. Sembrava abbastanza tranquillo ora, immobile e taciturno al margine del sentiero, con gli occhi fissi su ciò che il buio gli aveva nascosto, e le labbra strette, ma un po' troppo, l'unico segno che rivelasse quanto gli costava mantenere quella calma. Si era alzato di buon'ora, probabilmente dopo una notte insonne, e li aveva condotti a quel punto nel folto degli alberi senza dire una parola oltre ai convenzionali saluti del mattino o un'ossequente risposta se qualcuno lo interrogava. E non v'era da stupirsi, rifletté Cadfael, se lui aveva visto giusto e Tutilo era stato costretto a rievocare un episodio a proposito del quale aveva mentito non soltanto alla legge ma anche ai superiori dell'Ordine che aveva scelto di propria volontà. Cadfael s'inginocchiò accanto alla testa frantumata e, passando delicatamente una mano sotto la guancia destra, girò il viso in modo che si potesse vederlo interamente. Da quel lato era, per la maggior parte, intatto. «Sapete come si chiama?» domandò Hugh guardando Tutilo, che non poté fare a meno di rispondere. «No, non lo so», disse senza esitare. Sorprendente, ma certamente vero. Un incontro per il quale non v'era stato bisogno di nomi. Anonimo lui per Aldhelm, anonimo Aldhelm per lui. «Ma lo conoscete?» insisté lo sceriffo. «L'avevo visto una volta. Era venuto ad aiutarci quando si era inondata la chiesa.» «Si chiama Aldhelm», intervenne Cadfael alzandosi, dopo avere rimesso quel povero viso martoriato come lo avevano trovato. «Lo aspettavamo all'abbazia, ieri sera, e ci chiedevamo appunto come mai non fosse venuto.» Guardò Tutilo cercando di capire se lo sapesse o no, ma lui non ne diede segno. Si era isolato in un suo mondo personale dal quale non sarebbe stato facile farlo tornare. «Bene», rispose Hugh, «a quanto ci risulta Aldhelm percorreva tranquillo questo sentiero, diretto all'abbazia e proveniente dal traghetto, quando qualcuno che stava in agguato lo ha assalito proditoriamente alle spalle qui, in questo punto.»
«Così sembra», convenne Cadfael. «E dev'essere caduto dov'è ora, perché lo strato di foglie tutt'attorno è intatto.» «Un primo colpo lo ha stordito, non era più in grado di difendersi, dopo. Non v'è stata alcuna reazione, alcuna lotta.» «Pioveva», osservò Tutilo, a mezza voce. «Sì, lo so», ribatté Cadfael. «E se si era riparata la testa col cappuccio, evidentemente gli è scivolato giù quand'è caduto.» Tutilo continuò a fissare il cadavere, immobile, e nei suoi occhi apparve il luccicore di una lacrima. «Posso coprirgli il viso, fratello?» «Non ancora. Devo esaminarlo da vicino, prima che lo portino via.» Poco lontano da loro, due sergenti dello sceriffo ai lati di una lettiga osservavano tutto in silenzio, senza batter ciglio. Avevano certo visto di peggio, in fatto di omicidi. «Fate tutto quello che è necessario, Cadfael», disse Hugh. «L'arma che ha usato l'assassino probabilmente è sparita con lui, ma questo povero morto forse potrebbe dirci qualcosa.» Cadfael tornò a inginocchiarsi accanto alla testa dello sventurato Aldhelm e osservò attentamente la ferita frastagliata, con spuntoni d'osso in mezzo al sangue. Il cranio era fratturato appena sopra e dietro la tempia sinistra, e sarebbe potuto essere un bastone con un massiccio pomo di ferro a causare quel danno, ma l'infossatura che aveva formato era troppo grande e irregolare. Cadfael sollevò cautamente l'orlo del cappuccio e, passando una mano all'interno, scoprì un tratto dove la stoffa era indurita. Sangue coagulato, non molto, senza dubbio l'effetto del primo colpo che si era abbattuto sul capo ancora coperto della vittima. E questo era sul lato posteriore della testa, soltanto quel tratto era insanguinato. Cadfael sollevò del tutto il cappuccio, passò le dita tra i folti capelli castani del morto, dalla nuca in su, e trovò soltanto la crosta di un'escoriazione ormai asciutta. Da quella parte il cranio non aveva subito danni. «Non può essere stato un pugno, per quanto violento, a colpirlo», osservò. «Sarebbe bastato tutt'al più a fargli perdere i sensi per qualche momento, non a ucciderlo. Il colpo fatale è stato vibrato deliberatamente, con quello scopo.» «Mentre lui era là, inerte, alla mercé del suo nemico», aggiunse amaramente Hugh. Cadfael spianò le pieghe del cappuccio e fra una e l'altra rinvenne piccoli frammenti di legno marcio e friabile. Doveva esservene senza dubbio in
quantità, in un posto come quello, ma com'era finito lì? Passò una mano sulle spalle del mantello e non ne trovò altri. Con un profondo sospiro, accomodò il cappuccio sulla testa frantumata, coprendo anche il viso. Alle sue spalle, Tutilo trattenne bruscamente il respiro, rabbrividendo. «Ancora un momento», suggerì Cadfael. «Diamo un'occhiata in giro. Se il suo assassino è rimasto qui per qualche tempo ad aspettarlo, potrebbe aver lasciato qualche traccia.» Non avrebbe potuto trovare un nascondiglio più sicuro lungo tutto quel sentiero, dal traghetto fino al Foregate. A un certo punto, rammentò Cadfael, si divideva in due rami, uno arrivava alla Fiera Equina, l'altro sboccava a metà del Foregate, non molto lontano dall'abbazia. Quello che doveva avere seguito Tutilo per andare a Longner e per tornare, facendo lungo il cammino quella dolorosa scoperta. Sempre che, naturalmente, fosse andato o avesse inteso andare a Longner. Cadfael esaminò attentamente la posizione del cadavere, poi tornò indietro di qualche passo, fino al punto in cui doveva essersi nascosto l'aggressore. Un riparo sicuro, con un'infinità di rami e ramoscelli secchi e qualche pezzo di legno marcio attorno. Ne cercò qualcuno con entrambe le estremità spezzate e lo trovò. «Qui!» esclamò. Attraversò la cortina di folta vegetazione lungo il sentiero e raggiunse un piccolo spiazzo erboso tra gli alberi, cosparso di foglie morte. Terreno soffice, con l'erba appiattita da qualcuno che l'aveva calpestata poche ore prima. E là, sotto un cespuglio al margine dell'erba, scoprì un grosso ramo spezzato, ma non del tutto. Quando si chinò a raccattarlo, un'estremità penzolante spruzzò attorno una nuvoletta di detriti. Grosso e pesante quanto bastava, ma friabile. «Ha aspettato qui. Per un bel po' di tempo, a giudicare dal modo come ha scalpicciato il terreno. Con questo ha sferrato il primo colpo e gli si è rotto in mano.» Hugh osservò per qualche momento il ramo, soprappensiero. «Ma non certo il secondo», osservò, «se era andato in pezzi a quella maniera.» «No, questo lo ha buttato là tra i cespugli. E si sarà guardato attorno, cercando qualcosa di meglio? Perché se ha avuto bisogno di questo, vuol dire che non aveva altre armi.» Forse, pensò Cadfael, non aveva nemmeno intenzione di uccidere, se non ha portato alcun mezzo per farlo. «Comunque, vediamo che cos'aveva a propria disposizione.» Perché lo strumento necessario doveva trovarlo lì, non aveva tempo per andare a cercarlo altrove: Aldhelm avrebbe potuto riprendersi nel giro di pochi minuti e alzarsi. Cadfael salì per un tratto lungo il sentiero, indagando fra i cespugli, poi fece lo stesso scendendo sul lato opposto. Qui e là af-
fioravano tra l'erba grosse pietre calcaree, in qualche punto ammucchiate e ricoperte di muschio come se fossero lì da anni. Cadfael scese ancora per alcune iarde, sulla sinistra del sentiero, dove si era nascosto l'aggressore. Poco lontano dal posto dove giaceva Aldhelm c'era, tra i cespugli, una chiazza di pietre distaccate, quasi sepolte da erba e licheni, ma qualcosa nella loro disposizione indusse il monaco a osservarle più da vicino. Una di quelle sopra il mucchio non era ricoperta di muschio come le altre, benché fosse perfettamente allineata come doveva essere sempre stata. Quando la levò dalla sua nicchia, non vi rimase né un filo d'erba né un'ombra di muschio. L'aveva già tolta dal suo posto qualcun altro, quel giorno. «No», mormorò Cadfael, «questo non me l'aspettavo. Che avessimo a imbatterci in una mente tanto tortuosa!» «Questa?» domandò Hugh quasi incredulo, fissando quella pietra così grossa e senza dubbio pesantissima. La faccia superiore era levigata dal tempo, ma, quando Cadfael la rivoltò, apparvero sulla faccia inferiore spigoli taglienti, orlati di una crosta scura. «Questo è sangue», osservò Hugh. «È sangue, sì», convenne il monaco. «Compiuta l'opera, non v'era più fretta. C'era tempo per pensare, per ragionare. L'assassino ha rimesso la pietra dove l'aveva presa, allineandola con la massima cura. Il muschio non poteva rimettercelo, ma chi mai se ne sarebbe accorto? Bene, qui abbiamo fatto quanto era in nostro potere, ora non rimane altro che tirare le somme e cercar di capire che razza d'uomo può essere un assassino simile.» «Possiamo portarlo via, questo povero infelice?» «Potreste portarlo all'abbazia? Vorrei esaminarlo di nuovo, con maggior attenzione. Credo che vivesse solo. Parleremo col suo parroco a Upton. E questa pietra...» Era troppo pesante... Cadfael fu contento di poterla posare per un poco. «Mettete anche questa con lui.» Per tutto quel tempo Tutilo era rimasto lì vicino, senza aprir bocca, ma attento a tutto ciò che dicevano gli altri. E quando gli uomini di Hugh, dopo aver sistemato Aldhelm sulla barella, si avviarono verso il Foregate, li seguì con la testa china e gli occhi fissi sul cadavere, come i dolenti dietro un funerale. «Non se ne andrà?» sussurrò Hugh all'orecchio di Cadfael, mentre si avviavano a loro volta. «State tranquillo, me ne occuperò io. È al servizio di un padrone severo e non ha alcun altro posto dove andare.» «E che cosa pensate di lui?»
«Non lo so nemmeno io. Non riesco a inquadrarlo, come mi accadeva un tempo con voi, che nutrivate gli stessi dubbi nei miei riguardi, lo so. E guardate com'è finita!» «È venuto dritto da me con quella bella notizia. Affannato e sconvolto, ma con la mente perfettamente lucida. Non ha perso tempo, il corpo non era ancora freddo del tutto, ma non respirava più. E lui si è comportato come avrebbe fatto chiunque si fosse imprevedibilmente imbattuto in un omicidio. Forse anche meglio di tanti altri.» «Che può essere un indice delle sue doti», affermò risolutamente Cadfael. «O forse della sua astuzia, chi lo sa!» «Non mi accade spesso di vedervi nelle vesti di avvocato del diavolo, quando si tratta di un giovane nei guai!» rimarcò Hugh, con un mesto sorriso. «Bene, lo affido alla vostra custodia, mentre noi rifletteremo sull'opportunità di una condanna o di un'assoluzione.» Nella cappella mortuaria il corpo di Aldhelm giaceva sul suo catafalco, indifferente e composto come una reliquia, quasi sapesse di aver detto a Cadfael tutto ciò che poteva. A quanto era risultato, non tutte le macchie bianche sulla sua testa fratturata erano spuntoni ossei. V'erano anche frammenti di pietra calcarea e granelli di terra, a documentare quale strumento aveva causato quel danno. Cadfael e Tutilo, ai due lati della salma, si scrutavano a vicenda. Tutilo, lui pure pallido come un morto, era palesemente stremato. Cadfael lo aveva tenuto accanto a sé di proposito, quando Hugh era andato dall'abate Radulfus a riferire quanto era accaduto, e lui si era silenziosamente affaccendato a procurare ciò che occorreva, a sistemare dignitosamente il cadavere, ad accendere candele, affrontando impavido la presenza della morte. Ora non c'era più niente da fare, e lui se ne stava lì, immobile e muto. «Lo sapete», domandò Cadfael, «perché Aldhelm si trovava su quel sentiero, diretto all'abbazia? Sapete che cosa si riprometteva di dire quando avesse visto qui, tutti insieme, i fratelli dell'Ordine?» «Sì», ammise con un filo di voce Tutilo, muovendo a malapena le labbra, «lo so.» «E siete anche a conoscenza del modo in cui è stato portato via il reliquiario di santa Winifred? Non è più un mistero per nessuno, ormai. E saprete senza dubbio che un nostro confratello coinvolto in quell'inghippo ha chiesto aiuto ad Aldhelm. E che l'intenzione di chi lo aveva organizzato
era quella di mandare la nostra santa a Ramsey; è stato un caso disgraziato che si perdesse prima di arrivarci. Pensate che la giustizia appunterà gli occhi sui fratelli di Shrewsbury ai quali è stata rapita, o non piuttosto sui due che avevano qualcosa da guadagnare? Uno, in particolare.» Tutilo fissò Cadfael senza batter ciglio né dire una parola. «E qui c'è il povero Aldhelm, che avrebbe potuto dare sicuramente un viso e un nome a quel confratello, ma non ha più voce per farlo. E voi eravate lontano, sulla stessa strada, quella che porta al traghetto, a Preston, da dove lui sarebbe arrivato, a Longner dove voi eravate diretto quando lui è morto.» Una volta ancora, Tutilo fissò il monaco senz'aprir bocca. «Figliolo», riprese Cadfael, «lo sapete, vero, che cosa si dirà? Che siete stato là ad aspettare Aldhelm e lo avete ucciso perché non potesse smascherarvi.» Tutilo non protestò nemmeno per precisare che era stato lui a dare l'allarme, a portarli sul luogo del delitto. Tacque per qualche momento, soprappensiero, fissando Cadfael, poi ribatté: «Non lo diranno, nessuno potrà. Perché andrò io stesso dal padre Radulfus e dal padre Herluin e spiegherò che cosa ho fatto. Sono pronto a rispondere delle mie azioni, ma non di un omicidio che non ho commesso». «Figliolo», obiettò Cadfael dopo aver riflettuto a lungo, «non illudetevi di poter tappare la bocca al prossimo. Vi sarà sempre qualcuno a sostenere che avete soppesato le probabilità e, sapendo che già si sospettava di voi, avete scelto il male minore. Chi non preferirebbe confessarsi colpevole di furto e falsità al cospetto della Chiesa anziché venire impiccato per omicidio dagli uomini dello sceriffo? Comunque stiano le cose, siete in un bel guaio!» «Non importa! Se merito una penitenza la farò, ma, qualunque sia il prezzo, non lascerò che si dica che ho ucciso un brav'uomo per impedirgli di accusarmi. Ma se si travisassero in qualche modo le cose a mio danno, che cosa potrei fare? Fratello Cadfael, fatemi parlare col padre abate, chiedete un'udienza per me, a voi non la rifiuterà. E chiedete se potrà essere presente anche padre Herluin, mentre è ancora qui lo sceriffo. Non posso aspettare fino al capitolo di domani!» Aveva deciso, adesso non vedeva l'ora di farla finita e, rifletté Cadfael, aveva scelto la via migliore. La verità, sempre che l'avesse detta, poteva spandere la propria luce in più di una direzione. «Bene, se lo desiderate veramente, vi accontenterò. Ma non cercate di
difendervi prima di essere accusato. Parlate con calma, senza eccedere, e l'abate vi ascolterà sicuramente.» Avrebbe voluto poter dire altrettanto del vicepriore Herluin, e forse lo pensò anche Tutilo perché, pur in mezzo a tanti guai, un fugace sorriso illuminò il suo volto. «E venite con me.» Lo studio dell'abate era più affollato di quanto Cadfael si era aspettato. C'era ancora Hugh, poi il vicepriore Herluin, del quale lo stesso Tutilo aveva chiesto la presenza, e dov'era lui non poteva certo mancare il priore Robert, e naturalmente era stato invitato il conte Robert, proprietario delle terre dove si erano svolti i fatti. Ma Tutilo non si sgomentò. Meglio affrontarli tutti insieme, e lasciare che decidessero loro in un senso o nell'altro. «Padre abate... Padre Herluin...» Il giovane novizio si piantò ben fermo sulle gambe, girando dall'uno all'altro, come avrebbe fatto davanti al banco dei giudici in un tribunale. «Quello che intendo affermare ora avrei dovuto dirlo molto prima, perché riguarda un problema del quale si sta tuttora discutendo. Sappiamo tutti che il reliquiario di santa Winifred è stato portato via sul carro carico di legname diretto a Ramsey, ma nessuno sa come sia arrivato là sopra. Bene, è stata opera mia. Ho levato dal suo altare il reliquiario avvolto in pesanti coperte perché si doveva rimuoverlo per causa dell'inondazione, e ho messo al suo posto un tronco d'albero. La sera, poi, ho chiesto a un giovane, venuto coi carrettieri, di aiutarmi a sistemarlo sul carro che doveva portare a Ramsey quel legname. È la verità. Nessun altro ha avuto parte in quell'opera. L'ho fatto io e posso spiegare il motivo che mi ha indotto a ciò.» Herluin aveva aperto la bocca per rovesciare su quel presuntuoso novizio un fiume d'improperi, ma la chiuse ancora prima che l'abate lo fermasse con un imperioso cenno della mano. Perché, inveire ora contro quell'importuno guastamestieri avrebbe messo a repentaglio la richiesta che Ramsey intendeva avanzare per ciò che lui aveva così stupidamente cercato di conquistare. Che cosa non avrebbe potuto fare una santa miracolosa per coronare con un'aureola di gloria la casa che l'ospitava? Il problema era vivo più che mai, perché accanto a lui, attento e sorridente, c'era il conte di Leicester che, a sua volta, per fede o per interesse, mirava a ottenere lo stesso tesoro. No, non dire niente ora, aspetta finché le cose non saranno più chiare. Fa' un bell'inchino all'abate, e tieni la bocca chiusa. «Avete fatto bene a spiegarvi», disse benevolmente l'abate, rivolgendosi a Tutilo. «Purtroppo quel povero giovane è morto e noi non possiamo fare
altro che piangerlo e celebrarne le esequie, come faremo, con rito solenne. Ma non sarebbe stato meglio se aveste parlato prima, risparmiandogli quel viaggio che è stato la sua morte?» Cadfael, quando vi ripensò, più tardi, si rese conto di avere avuto, in quel momento, la certezza che non era stato Tutilo a uccidere Aldhelm: non sapeva nemmeno chi fosse l'uomo che aveva trovato morto su quel sentiero. «Bene, quel che è fatto è fatto», riprese l'abate, in tono pacato. «Ci avete detto come avete trafugato quel reliquiario, ma perché lo avete fatto?» Tutilo deglutì, raddrizzando le spalle. «Avrò certo sbagliato, padre, ma le mie intenzioni erano buone. Sono venuto qui con padre Herluin profondamente addolorato per la catastrofe avvenuta a Ramsey e con l'ardente desiderio di fare qualcosa d'importante per la sua ricostruzione. Avevo sentito parlare dei miracoli di santa Winifred, dei tanti pellegrini e dei ricchi doni giunti grazie a lei all'abbazia di Shrewsbury, e ho immaginato quanto sarebbe stato bello avere una patrona simile per dare nuova vita alla nostra casa. Ho pregato perché intercedesse per noi e ci desse un segno della sua grazia, e ho avuto la sensazione che mi avesse ascoltato, desiderasse aiutarci e volesse venire con noi a Ramsey. E ho sentito che il compito di portarla là toccava a me.» Tutilo non era più pallido, ora; due intense macchie di colore accentuavano i suoi zigomi come se avesse la febbre, e Cadfael si domandò se fosse davvero emozionato a tal punto o semplicemente capace di arrossire a proprio piacere per dare quella sensazione agli altri. «Ho studiato il modo e il tempo», continuò Tutilo, «e ho fatto quello che vi ho già detto. Non facevo niente di male, mi dicevo, obbedivo fedelmente a istruzioni che mi erano state impartite. Ma mi angustia il pensiero di avere avuto bisogno dell'aiuto di un'altra persona, ignara di tutto.» «Soprattutto del pericolo che la minacciava», corresse l'abate. «Lo so», ammise Tutilo. «E non so darmene pace. Dio mi perdoni!» «A tempo debito forse lo farà», ribatté Radulfus. «Non tocca a noi giudicare. Frattanto, abbiamo la vostra spiegazione e una santa tornata da noi per vie impensabili. Possiamo anche credere, come voi, che sia stata lei stessa a scegliere il proprio destino e i propri servi fedeli, ma prima di tutti abbiamo un morto assassinato del quale occuparci. Se sapete qualcosa che possa far luce sulla sua morte, ditelo.» «Padre», rispose prontamente Tutilo, «vi giuro che non ho mai fatto, né avrei mai fatto, alcun male a quel poveretto e non ho la minima idea di chi
potesse avere un motivo per ucciderlo. Sapevo, sì, che avrebbe potuto dirvi sul mio conto quello che vi ho appena riferito io, ma arrivare a ucciderlo per tappargli la bocca? Mai e poi mai. Mi sarei arreso senza protestare, quando avesse puntato il dito su di me. Certo, un po' di paura l'avevo, cercavo di mantenere il segreto. Ma non ve ne sono più motivi, ormai.» «Tuttavia, soltanto voi», insisté l'abate, «avevate un motivo per impedire che venisse qui a dire quello che sapeva. E quanto ci avete detto ora non può né cancellare la verità, né scagionare voi. Finché non ne sapremo di più su quel delitto, penso che sia meglio tenervi qui, sotto la mia custodia. Per il momento, l'unica accusa che si possa muovervi è di furto nella nostra casa, e questo è di mia competenza, se lo sceriffo non ha niente in contrario.» «Niente, padre abate. Lo affido a voi.» Herluin non aveva fatto commenti, né di approvazione né di protesta. Stava riflettendo sulle alternative che gli si presentavano. Quello stupido ragazzo aveva commesso errori che sarebbero potuti essere disastrosi, ma senza rendersene conto era stato di grandissimo aiuto per l'abbazia di Ramsey. Lo aveva voluto la santa! Chi avrebbe potuto opporsi? Si era messa in viaggio, e soltanto la malvagità degli uomini aveva frustrato i suoi desideri. «Fratello Cadfael», disse l'abate, «chiamate due inservienti perché lo portino via. Accompagnatelo fino alla sua cella, poi, se volete, tornate qui.» CAPITOLO VII Tornando nello studio dell'abate, Cadfael ebbe l'impressione che, se lo scontro non era ancora cominciato, le trombe di guerra erano senza dubbio già intonate per annunciarne l'inizio. Radulfus era calmo come sempre, e il viso del conte era sereno e benevolo, che era tutto quanto si poteva dire del suo stato d'animo, ma il priore Robert e il vicepriore Herluin sedevano rigidi come scope, evitandosi accuratamente l'un l'altro, con lo sguardo fisso nel vuoto, come se fossero costretti a occuparsi di un argomento che non li interessava per niente. «Tralasciando il problema dell'omicidio, per il quale non abbiamo tuttora uno straccio di prova», osservò Herluin, «penso che si possa credere senza discussioni a quanto ha detto quel ragazzo. Un furto sacro. Ha fatto ciò che voleva la santa.»
«Non mi riesce facile dimenticare che è stato ucciso un uomo», obiettò Radulfus. «Anzi, ritengo che sia la cosa più importante. Hugh, che ve ne pare di quel figliolo? Ci ha appena detto che cosa poteva temere che avesse a dirci il morto. Sicché non aveva alcun motivo per ucciderlo.» «Ma era proprio quello il movente», ribatté lo sceriffo. «E, a quanto ne sappiamo, nessun altro ne aveva. È possibile... Possibile, dico, niente di più. È venuto difilato al castello dicendo di essersi imbattuto in un cadavere, e senza dubbio era agitato, sconvolto, com'era logico che fosse, colpevole o no. E se lo ha fatto di proposito, per mascherare la sua colpa, è certamente più vecchio dei suoi anni, perspicace e ambiguo. E per essere sincero devo dire che secondo me è davvero così, e ha avuto la sfacciataggine di recitare quella pantomima.» «Ma allora», replicò l'abate aggrottando pensieroso la fronte, «perché venire da me a svelare lui stesso quello che avrebbe potuto dire quel testimone?» «Perché pensava, confessando una colpa minore, di sottrarsi a un'accusa assai peggiore, quella di omicidio. Meglio accettare qualsiasi punizione, per quanto grave, potesse infliggergli la Chiesa, piuttosto che cadere nelle mani della legge secolare, la mia legge», sottolineò Hugh, «che punisce l'omicidio con l'impiccagione. Se ammettendo una certa colpa si può evitare di essere accusati di un'altra infinitamente più grave... Credo che sia abbastanza furbo per scegliere e abbastanza tenace per continuare su quella strada. Padre Herluin dovrebbe conoscerlo meglio di noi.» Fratello Cadfael, al contrario, era certo che Herluin probabilmente non aveva neppure la più vaga idea di ciò che passava per la mente ai suoi novizi, perché non si curava di loro. Ma ora l'allusione, probabilmente intenzionale, di Hugh lo aveva messo in difficoltà. Intendeva mantenere una netta distinzione fra sé e Ramsey, inorridendo al pensiero che si potesse aver ospitato un omicida, ma dal momento che sussisteva tuttora la possibilità di approfittare di un furto, sacro o no, avrebbe finto di crederci e persino di apprezzarlo. «Non ho mai avuto molto a che fare con fratello Tutilo, prima di questo viaggio», disse soppesando le parole, «ma l'ho sempre trovato sinceramente devoto alla nostra casa di Ramsey. Dice di essere stato ispirato nelle sue azioni dalla santa, e io gli credo. Non è la prima volta che accadono tali prodigi, sarebbe un peccato di presunzione disconoscerli.» «Stiamo parlando di omicidio», ribatté severamente Radulfus. «E per quanto possa riuscirmi sgradevole dire che tutti sono in grado di uccidere,
non oso neppure dire che nessuno è del tutto incapace di farlo. Tutilo era là su quel sentiero e il morto era un suo potenziale accusatore, un ottimo motivo per liberarsene. Questo è quanto abbiamo contro di lui, a suo favore c'è il fatto che sia andato immediatamente a riferire allo sceriffo quanto era accaduto e che poi lo abbia ripetuto tale e quale a noi. Se fosse stato lui il colpevole, non sarebbe stato logico che se ne tornasse dritto verso casa, lasciando che fosse qualcun altro a scoprire il cadavere e dare l'allarme?» «Chissà!» ribatté il priore Robert. «Lo sceriffo ha detto che era agitatissimo. Non è facile restare calmi dopo aver assassinato un uomo!» «O dopo aver scoperto qualcuno che era stato palesemente ucciso», osservò Hugh. «Qualunque sia la verità», intervenne il conte, «ora è qui, al sicuro in una cella. Basta avere pazienza e, se ha qualcosa sulla coscienza, prima o poi probabilmente finirà per confessarlo. Dubito che abbia un carattere tanto forte da resistere a lungo in queste condizioni. Se non dirà niente nel giro di qualche settimana, potrete dedurne che non ha nulla da confessare.» Forse aveva ragione, rifletté Cadfael. Che cosa poteva essere più snervante per un ragazzo che trovarsi relegato fra quattro mura, sottochiave, con nient'altro che un lettuccio, un tavolino e un crocifisso a fargli compagnia? Anche se Tutilo vi era entrato con evidente sollievo e non aveva battuto ciglio quando aveva sentito girare la chiave. Il letto, per quanto tutt'altro che principesco, era senza dubbio una comodità, ma lasciatelo lì a bollire per una diecina di giorni e se nasconde ancora un segreto lo sputerà fuori, in cambio dell'aria libera del cortile e della musica delle funzioni. «Io non ho tempo da sprecare restando qui con le mani in mano ad aspettare», protestò Herluin. «Devo portare a Ramsey al più presto possibile quanto sono riuscito a raccogliere e, a meno che contro Tutilo vi sia qualche fondata accusa, devo condurlo con me. Se ha contravvenuto a qualche legge della Chiesa o alle regole dell'Ordine, toccherà a Ramsey prendere gli opportuni provvedimenti, e questo è compito del nostro abate. Ma se me lo consentite, padre, ho qualcosa da eccepire riguardo al vostro giudizio che abbia commesso un misfatto nei confronti del reliquiario di santa Winifred. L'ho detto e lo ripeto, è stato un furto santo, compiuto con doverosa reverenza. Lo ha ispirato la santa stessa. Se non fosse stato così, non gli avrebbe permesso di farlo.» «Non intendo certo incrociare la spada con voi», obiettò Robert Bossu in tono cortese e riflessivo, «ma devo farvi osservare che non gli ha permesso di farlo. Il carro sul quale si trovava è stato intercettato e rubato da vaga-
bondi nella foresta del mio dominio e nelle mie terre è venuta a riposare.» «Un intervento dovuto alla malvagità degli uomini!» ribatté Herluin, accalorato. «Ma avete riconosciuto voi stesso che i santi possono sbaragliare la cattiveria umana. Se non ha creduto bene di farlo in quel caso, dev'essere stato perché quell'azione serviva ai suoi propositi. Ha permesso che la si portasse via da Shrewsbury e le si compisse un'aggressione fuorilegge. È venuta nella mia foresta, e in casa mia ha avuto asilo. Secondo il vostro stesso ragionamento, tutto questo dev'essere stato per sua volontà.» «Vorrei rammentare a entrambi», intervenne cortesemente l'abate, «che se tutto è accaduto secondo i suoi desideri, santa Winifred si trova di nuovo sul suo altare nella nostra chiesa. Questo, dunque, dev'essere lo scopo cui miravano tutte quelle deviazioni. E lei è dove desiderava essere.» Il conte sorrise in modo accattivante. «No, padre abate, vogliate scusarmi, ma per quest'ultimo passo le cose sono andate diversamente. La santa è di nuovo qui perché io, con tutto il rispetto per quanto hanno da dire gli altri, ho voluto riportarla a Shrewsbury, dov'è cominciata la sua odissea, perché potesse scegliere lei dove concluderla. Lei non aveva dato alcun segno di voler lasciare la mia cappella, dov'era venerata. Ho voluto io portarla qui, senza tuttavia rinunciare ai miei diritti. È venuta da me ed è stata la benvenuta, e se lo vuole la riporterò a casa con me e le fornirò un altare non meno ricco dei vostri.» «Signor conte», interloquì il priore Robert, indignato, «le vostre argomentazioni non reggono. Se i santi possono servirsi di uomini di cattiva volontà per i loro scopi, a maggior ragione potranno farlo con quelli di buona volontà, quando li trovano. Che l'abbiate portata qui, nella casa che aveva scelto, non vi dà diritti maggiori dei nostri, benché torni a vostro credito. Santa Winifred è stata qui felice per sette anni e forse più, e qui è ritornata. Non ci lascerà ora.» «Tuttavia ha fatto capire a fratello Tutilo», ritorse Herluin accalorandosi a sua volta, «che le nostre sventure a Ramsey l'hanno impietosita e desidera aiutarci. Non possiamo ignorarlo, voleva partire e l'ha fatto, per venire in nostro aiuto.» «Siamo ugualmente risoluti tutti e tre», riprese il conte. «Affidiamo dunque il compito di decidere a un consigliere neutrale, attenendoci poi lealmente al suo giudizio.» A quella proposta seguì un lungo, pesante silenzio, poi Radulfus ribatté: «Lo abbiamo già un consigliere. Facciamo in modo che la nostra santa e-
sprima chiaramente la propria volontà. Aveva acquisito una vasta cultura negli ultimi anni della sua vita, e conosceva bene le Sacre Scritture: non rifiuterà di affidarsi a quelle per farlo. Alla consacrazione di ogni vescovo si ricorre a un mezzo particolare per accertare la sua attitudine al sacro ministero. Gli viene posato su una spalla il Vangelo, si apre a caso una pagina e si mette il dito su una riga. Facciamolo noi, ora, con la nostra santa, e atteniamoci scrupolosamente a quanto deciderà lei». Dopo un altro silenzio ancora più lungo per assimilare quell'inatteso, sorprendente suggerimento, il conte dichiarò, palesemente soddisfatto: «D'accordo! Non si potrebbe fare di meglio. Padre abate, lasciateci oggi e domani per riordinare le idee, poi saremo pronti ad affrontare questa sorta di giudizio di Dio. Presenteremo la nostra istanza alla santa e accetteremo il suo verdetto, qualunque sia». «Istruitemi, Cadfael», disse Hugh un'ora dopo, nel laboratorio del monaco. «Io non sono in confidenza con vescovi e arcivescovi. Com'è possibile interpretare gli intendimenti del cielo con questa faccenda di Bibbie e Vangeli che ha in mente Radulfus? Oh, sì, so che è un sistema abbastanza comune quello di prevedere il futuro aprendo a caso un Vangelo e mettendo un dito su una riga, ma non che si usi anche per la consacrazione di un vescovo. Sarebbe troppo tardi per sostituirlo con un candidato migliore, se l'esito gli fosse avverso!» Cadfael trafficò un poco con una pentola in ebollizione sul braciere, poi la depositò sul pavimento perché si raffreddasse, e sedette accanto all'amico. «Non ho mai assistito alla consacrazione di un vescovo», rispose finalmente. «Ma a quanto ha detto Radulfus è proprio così: Vangelo, pagina e riga...» «Ma chi lo fa? Mi sembra un particolare molto importante!» «Non ho mai pensato a chiederlo, ma certo il vescovo o arcivescovo officiante. Che potrebbe essere amico o nemico dell'aspirante. Saranno tutti onesti, penso, ma non si può mai sapere! Comunque, bene o male che sia, il futuro del nuovo vescovo dipenderà da quella riga. Una regola appropriata, a volte. Il vescovo Wulstan di Worcester ha detto: 'Osservate gli israeliti, nei quali non alberga malizia'. Non tutti sono stati così fortunati. Sapete, Hugh, qual è stato il giudizio di Dio per Roger di Salisbury, caduto in disgrazia di Stefano alcuni anni fa e morto senza aver riguadagnato il suo favore? 'Legatelo mani e piedi e buttatelo fuori nel buio'.»
«Si stenta a crederlo», commentò Hugh, scettico. «Quale è stato il responso del cielo per Henry di Winchester quando ha ottenuto il vescovato? Posso pensarla persino io qualche riga che forse non sarebbe di suo gusto!» «Mi pare che fosse qualcosa di Matteo a proposito degli ultimi giorni, nei quali si moltiplicheranno tra noi i falsi profeti. Ma le parole possono essere interpretate in tanti modi.» «Questo è il problema ora», commentò Hugh. «A meno che i Vangeli non parlino tanto chiaro da non poter essere fraintesi. Perché, secondo voi, l'abate ha proposto di ricorrere a quel mezzo? È senza dubbio possibile fare qualcosa per ottenere la risposta desiderata, ma non se c'è di mezzo Radulfus. È così sicuro della giustizia del cielo?» Una domanda che Cadfael si era già posta, concludendo che l'abate era davvero convinto che il Vangelo avrebbe dato ragione all'abbazia di Shrewsbury riguardo al possesso della santa. E non aveva mai smesso di stupirsi per la beffa di aspettarsi miracoli da un reliquiario dove le sue ossa avevano riposato una volta soltanto, e per tre giorni, prima di essere religiosamente restituite alla sua natia terra gallese; e ancora più stupefacente era il fatto che avesse trasmesso le sue grazie da tante miglia di distanza, perdonato la presenza di un peccatore, seppur pentito, nella bara destinata a lei, e permesso che il fulgore del miracolo restasse invisibile attorno al suo altare, senza lasciar comprendere se una grazia era stata concessa oppure negata. Lei non era lì, non c'era mai stata, ma aveva senza dubbio consentito che vi giungesse il suo spirito, manifestando la propria presenza con grazie sorprendenti. «Sì», rispose Cadfael. «Confida, penso, che Winifred provveda a fare ciò che è giusto. Probabilmente sa che lei non ci ha mai realmente lasciati e mai lo farà.» Cadfael tornò al suo laboratorio la sera, dopocena, per assicurarsi che tutto fosse in ordine e spargere un po' di cenere sul fuoco del braciere perché durasse fino al mattino. Naturalmente non aspettava nessuno a quell'ora, e si girò bruscamente, stupito, quando la porta si aprì quasi senza rumore alle sue spalle ed entrò Daalny, abbigliata con inconsueta eleganza. I folti capelli neri, fermati con un nastro rosso, e riccioli acconciati con cura ai lati della fronte, la gonna di un azzurro intenso come quello dei suoi occhi e un bustino d'oro attorno ai fianchi. Colse lo sguardo che la scrutava da capo a piedi e rise.
«Le vesti adatte quando lui ha ospiti. Mi ha chiamata a cantare per il signore di Leicester. Adesso sono là a discutere di possibili accordi e io me la sono squagliata. Non sentiranno certo la mia mancanza. Penso che Rémy possa tornare a Leicester con Robert Bossu, se saprà giocare bene le sue carte. E, bravo com'è con la sua musica, il conte non sarà certo deluso.» «Ha ancora bisogno delle sue medicine?» domandò Cadfael, senza fare commenti. «No. E nemmeno io.» Era palesemente inquieta, si aggirava impensierita nella capanna, come se esitasse a spiegare il motivo che l'aveva condotta lì. «Bénezet dice che Tutilo è stato imprigionato perché accusato di aver commesso un omicidio. Avrebbe ucciso, sostiene Bénezet, l'uomo che aveva indotto ad aiutarlo per portare via la vostra santa. Ma non può essere vero», dichiarò risolutamente Daalny. «Tutilo non sa nemmeno che cosa siano male e violenza, lui sogna, non fa!» «Ha fatto qualcosa di più che sognare, quando ha trafugato la nostra santa!» sottolineò Cadfael. «Lo aveva sognato, prima. Oh, sì, è capace di rubare, ma questo è ben diverso. Desiderava ardentemente offrire un dono eccezionale al suo monastero per farsi apprezzare. Dubito che avrebbe mai sottratto qualcosa per sé, ma per Ramsey sì. Cominciava persino a sognare di liberare me dalla schiavitù. Ma ora voi lo avete messo sottochiave da qualche parte, con prospettive tutt'altro che invitanti. Se la vostra santa resterà qui ora, lui non avrà più niente a che vedere con la legge dello sceriffo, ma Herluin lo riporterà con sé a Ramsey e là gli leveranno la pelle per il suo insuccesso. Se poi, Dio non voglia, si confermasse l'accusa di omicidio, sarebbe ancora peggio: lo impiccherebbero.» Era arrivata, finalmente, a ciò che in realtà voleva sapere. «Dove lo avete messo? So che è in prigione.» «Nella prima cella penitenziaria, vicino al passaggio verso l'infermeria. Ne abbiamo soltanto due, e anche quelle sono occupate assai di rado. Sono andato a dargli un'occhiata meno di mezz'ora fa. Dorme come un ghiro e probabilmente non si sveglierà fino a domattina.» «Perché non ha niente sulla coscienza!» esclamò la giovane, trionfante. «Come ho detto io.» «Non giurerei che ci abbia sempre detto tutta la verità», ribatté bonariamente Cadfael, «quando si tratta della sua coscienza. Ma si riposi pure tranquillo, povero figliolo. Ne ha bisogno.» «Sì, è senza dubbio un bugiardo inveterato, ma fa parte delle sue fanta-
sie. E a volte si è costretti a mentire. Ho dovuto farlo io stessa per tenermi a galla tanto a lungo, e così è stato per lui. Ma uccidere? No, è troppo lontano dal suo carattere.» Evidentemente Daalny non aveva ancora raggiunto il suo scopo. Continuò a gironzolare, sfiorando qui e là, con la punta delle dita, un vaso, un'ampolla, alzando una mano a toccare il mazzo d'erbe fruscianti, senza mai guardare Cadfael, esitando a chiedere o, meglio, a scoprire senza chiederlo ciò che voleva sapere. «Gli porteranno da mangiare, vero? Chi baderà a lui? Voi?» «Al vitto provvederanno i domestici, ma io posso andare a trovarlo e lo farò. Figliola, se gli volete bene, lasciatelo stare.» «Ho poco da scegliere!» ribatté amaramente lei. Amaramente, ma non troppo, rifletté Cadfael, come se volesse far mostra di una rassegnazione che era ben lontana dal provare. Cominciava a sognare pure lei e avrebbe cercato di realizzare il suo sogno. Le sarebbe bastato spiare il domestico che portava i pasti al prigioniero per sapere a quali ore lo faceva, e vedere dov'erano appese, in portineria, le chiavi delle due celle. Il Galles non era lontano, e nel palazzo di un principe, là, una voce come quella di Tutilo e una tale bravura nell'uso di uno strumento a corda avrebbero trovato facilmente asilo. Ma andarsene senza essersi levato di dosso l'accusa di omicidio e con la costante minaccia di essere inseguito e catturato? No, meglio restarsene tranquillo e sbugiardare gli accusatori. Perché Cadfael era certo che Tutilo non aveva mai fatto del male a nessuno ed era un'ingiustizia addossargli una simile infamia. E Daalny era sempre lì, come intendesse dire o chiedere qualcosa, col viso contratto e gli occhi socchiusi. Poi si girò di scatto e si avviò verso la porta. «Buonanotte, fratello», disse dalla soglia, senza voltare la testa, e uscì richiudendo con garbo il battente. Al momento, Cadfael non diede troppa importanza a quel colloquio: Daalny non gli era sembrata tanto infervorata da voler realizzare effettivamente il suo piano. Ci ripensò il giorno dopo, quando la vide seguire attentamente con lo sguardo il domestico che verso mezzogiorno uscì dal refettorio e svoltò nel passaggio tra l'infermeria e la scuola dove si trovavano le due celle, poco lontano dal cancelletto dal quale si scendeva al mulino e allo stagno. Sparito il domestico, Daalny attraversò frettolosamente il cortile e raggiunse la portineria, oltrepassò la porta aperta della guardiola, apparentemente senza sbirciare all'interno, e si fermò per qualche momento sul
portone guardando lungo il Foregate, prima di ritornare verso la foresteria. Nella guardiola, il pannello con le chiavi era vicino alla porta, e lei aveva senza dubbio visto il gancio vuoto e, accanto a quello, la compagna della chiave mancante. Uguali per forma e per lunghezza, diverse soltanto nella parte che faceva scattare la serratura. Chissà, forse anche quella discreta sorveglianza faceva parte di una fantasticheria che probabilmente non avrebbe mai osato tradurre in realtà, ma a ogni buon conto Cadfael andò a fare una chiacchieratina col fratello portinaio, prima di sera. Daalny si sarebbe mossa soltanto col buio, non era più necessario spiare il domestico che portava la cena a Tutilo, ormai sapeva qual era la chiave che le serviva. Ora bastava che il fratello portinaio la rimettesse poi sul gancio sbagliato, lasciando a lei la gemella inutile. Cadfael non si disturbò a tenerla d'occhio; non era necessario, e tutto sommato lui era quasi certo che non sarebbe accaduto niente. La posizione di Daalny era troppo vulnerabile, perché lei si avventurasse in quell'impresa. Così la giornata trascorse normalmente, col consueto rituale di lavoro e lettura, di studio e preghiera. Cadfael tornò al proprio lavoro con zelo maggiore del solito perché la sua mente era rivolta altrove e lui si sentiva in fallo, anche se la causa di quella distrazione era un grave problema di giustizia, colpa e innocenza. Tutilo doveva essere liberato da quell'infamia che non aveva meritata, indipendentemente da ciò che avrebbe potuto meritare per i misfatti che aveva veramente commessi. Lì all'abbazia la prigione era pure una difesa contro ogni minaccia: la Chiesa aveva cura dei suoi uomini, anche se delinquenti. Una volta fuori, a meno che non fosse caduta persino l'ombra di un sospetto su di lui, sarebbe stato un fuggiasco, esposto a tutti i rigori della legge, e l'atto stesso della sua evasione sarebbe stato una prova contro di lui. No, doveva restare lì, finché non potesse uscire riabilitato. Era quasi l'ora di compieta quando Cadfael raggiunse il cortile principale e vide tre cavalieri che arrivavano in quel momento dalla portineria: Sulien Blount che, in sella a uno splendido cavallo pezzato, ne teneva per le redini un altro già sellato, e dietro di lui due stallieri. Una visita ben strana, a quell'ora. Sulien doveva aver avuto un motivo gravissimo per arrivare fin lì da Longner. Cadfael gli andò incontro preoccupato. «Sulien, che cosa c'è? Che cosa vi porta qui, tanto tardi?» Il giovane si chinò verso di lui con un sospiro di sollievo. «Devo chiedere un favore all'abate, fratello. E probabilmente anche al vicepriore di Ramsey... Mia madre desidera che le mandino quel giovane musico, Tutilo, che già altre volte le è stato di grande aiuto, cantando e suonando per lei
e conciliandole così il sonno. E stavolta sarà un lungo sonno, Cadfael. Non passerà la notte. E c'è qualcosa che desidera e ha bisogno di fare... Io non le ho chiesto niente e non fatelo nemmeno voi, vi prego, se la vedete...» «Quel Tutilo che cercate in questo momento è sottochiave in una delle nostre celle», spiegò Cadfael, sgomento. «Dopo che lo ha mandato a chiamare vostra madre, due sere fa, si sono appuntate su di lui accuse molto gravi; l'abate non potrà lasciarlo uscire senza solide garanzie che tornerà.» «Lo so. È stato da noi Hugh Beringar, so come stanno le cose. Potremo provvedere noi stessi a tenerlo ben stretto e riportarvelo poi indietro. Chiedetelo, almeno. Dite a Radulfus che è l'ultimo desiderio di mia madre. La misericordia della morte ha tardato molto, ma adesso siamo proprio alla fine, fratello, dovete credermi! Radulfus sa tutto, vi ascolterà!» «Bene, vado a chiederglielo, aspettatemi qui.» «Ma, Cadfael... due sere fa? Non l'abbiamo affatto mandato a chiamare!» Cadfael non se ne stupì. Quella possibilità gli era già passata per la mente. Una chiamata tanto a proposito, troppo provvidenziale. Tutilo aveva scoperto che cosa lo aspettava e si era levato di torno quanto bastava per sfuggire al verdetto. Ma ormai non faceva più alcuna differenza. «Non preoccupatevi, lo avevamo capito. Aspettatemi qui.» L'abate Radulfus era solo. Ascoltò attentamente quell'estrema richiesta, corrugando la fronte, poi disse tristemente: «È alla fine dei suoi giorni, come potremmo negarglielo? Avete detto che loro sono in grado d'impedirgli qualsiasi tentativo di fuga? Bene, lasciatelo andare». «E padre Herluin? Devo chiedere il permesso anche a lui?» «No. Tutilo è dentro le mie mura e affidato alla mia custodia. Ho l'autorità per decidere. Andate voi stesso, Cadfael, e consegnatelo a loro. Resta così poco tempo per lei, non sprechiamolo.» Cadfael tornò svelto alla portineria. «Può venire con voi, abbiamo il permesso dell'abate. Vado a chiamarlo.» Quando andò a prendere la chiave della cella nella guardiola, non fu sorpreso di vedere che il gancio era vuoto. Daalny si era data davvero da fare, dopotutto. Doveva aver preso durante il vespro la seconda chiave dal gancio dove, a mezzogiorno, aveva visto che il domestico appendeva la prima, ma aveva dovuto aspettare che fosse quasi buio per usarla. E adesso era il momento giusto, quando tutti i fratelli sarebbero stati in chiesa per compieta. Cadfael lasciò i messaggeri da Longner ad aspettarlo con trepidazione e aggirò quasi correndo l'angolo della scuola, fino alle celle penitenziarie
dove l'oscurità era più fitta. E lei era lì, un'ombra appena percettibile che tentava invano d'infilare la chiave in una toppa che non era la sua. Cadfael l'udì sbuffare rabbiosamente, pestando i piedi, tanto assorta in quella vana fatica che non si avvide della sua presenza finché lui non la prese per un braccio, spingendola gentilmente da parte. «È inutile, figliola! Lasciate fare a me.» Con una sommessa esclamazione di sgomento, Daalny si liberò infuriata dalla sua stretta, indietreggiando di un passo. Dalla cella non proveniva alcun rumore, benché la piccola griglia della porta fosse illuminata. «Un po' di pazienza!» riprese il monaco. «Voi avete qualcosa da dirgli e io pure. Vediamo di sbrigarcela.» Si chinò a raccattare la chiave che Daalny aveva buttata via nell'impeto della collera. «Venite, ci penso io.» La sua chiave naturalmente girò senza sforzo nella serratura e Cadfael aprì la porta. Tutilo era in piedi, rigido e pallido, con gli occhi spalancati. Non sapeva niente dei progetti di Daalny e ora non sapeva che cosa aspettarsi, stupito per quella visita oltre l'orario consentito. «Ditegli quello che dovete», suggerì Cadfael. «Ma in breve, perché il tempo stringe, per lui come per me.» Daalny rimase per qualche momento immobile, perplessa, poi balzò oltre la porta aperta, come se temesse di vederla richiudersi a un tratto davanti a lei. Tutilo passò sbalordito lo sguardo dall'una all'altro, senza capire, disorientato. «Tutilo», l'esortò Daalny, ansiosa, «vieni via! Passa da quel cancelletto a pochi passi da qui e sarai libero. Non ti vedrà nessuno, sono tutti in chiesa. Vattene in fretta, finché c'è tempo. Va' a ovest, nel Galles, non aspettare che facciano di te il capro espiatorio. Vai, subito!» Tutilo si riscosse con un sussulto, incredulo. «Libero? Che cos'hai fatto, Daalny? Se la prenderanno con te...» Guardò incerto Cadfael, non sapendo se considerarlo amico o nemico. «Non capisco!» «È quello che è venuta a dirvi», spiegò il monaco. «E ho anch'io un messaggio. C'è qui Sulien Blount con un cavallo pronto per voi e vi prega di andare da sua madre, subito, senza perdere tempo, perché Lady Donata è in punto di morte e desidera ascoltarvi un'ultima volta prima di morire.» Tutilo s'irrigidì in un'immobilità marmorea. Soltanto le sue labbra si mossero, pronunciando, senza voce, un nome. «Donata?» E aggiunse, accorato: «Sta davvero morendo?»
«E chiede di voi», ribatté Cadfael. «Come ha fatto due sere fa, avete detto. Ma stasera è vero, e sarà l'ultima volta.» «Ho abusato del suo nome», ammise Tutilo con un profondo sospiro. «E Herluin mi permette di andare?» «Non Herluin, l'abate. Con una scorta e la vostra parola che tornerete senza creare guai.» Tutilo prese a un tratto per le braccia Daalny e la scostò garbatamente dalla porta, poi le accarezzò il viso, pian piano, dalla fronte al mento, in un gesto di sconsolate scuse. «Mi ha chiamato», sussurrò. «Devo andare da lei.» CAPITOLO VIII Tutilo aveva scelto diversamente, dunque, in modo palesemente irrevocabile, ma Daalny non restò lì a rammaricarsene: raggiunse l'angolo della scuola e si fermò a guardare i quattro che uscivano nel Foregate, svoltando verso la Fiera Equina, una strada più comoda per i cavalli, che inoltre avrebbe evitato a Tutilo di ripercorrere il sentiero dove si era malauguratamente imbattuto nel cadavere di Aldhelm. Ma se avesse dato retta a lei, rifletté la fanciulla, a quell'ora sarebbe stato fuori di lì, in un mondo che forse cominciava già a pentirsi di avere lasciato e probabilmente non sarebbe stato troppo benevolo per un novizio benedettino fuggito dal suo convento; sempre meglio, tuttavia, della prospettiva di essere impiccato. E quando la raggiunse Cadfael, lo scrutò seria e pensierosa, come se volesse leggergli nei più remoti recessi della mente. «Non lo credete, vero?» osservò. «Sapete che non ha mai fatto alcun male a quel povero pastore. Lo avreste lasciato fuggire?» «Sì, se avesse voluto», rispose sinceramente il monaco. «Ma sapevo che non avrebbe agito così. Toccava a lui scegliere e lo ha fatto. Adesso io vado a compieta.» «Vi aspetterò nel vostro laboratorio, devo parlare con voi. Ora non ho più dubbi e vi dirò tutto quello che so. Voi potrete forse vedere qualcosa che a me è sfuggito. Per lui occorrono facoltà mentali superiori alle mie, e due che si schierano al suo fianco saranno meglio di uno.» «Mi sto chiedendo», dichiarò il monaco, osservando il suo viso attento e risoluto, «se quel ragazzo lo volete per voi o se agite soltanto per gentilezza d'animo. Bene, attendetemi là. Ho bisogno anch'io di un altro cervello. E se avrete freddo, ravvivate pure il fuoco del braciere col soffietto.»
«Ora», disse Daalny quando Cadfael la raggiunse nella capanna odorosa di erbe e aromi vari, «sapete che non lo avevano chiamato a Longner, quella sera. Era soltanto un pretesto plausibile per giustificare la propria assenza quando sarebbe arrivato il pastore. Non avrebbe risolto il suo problema, ma avrebbe almeno rinviato il peggio, e Tutilo non guarda quasi mai al domani. Se avesse potuto evitare d'incontrarsi con quel pover'uomo anche per pochi giorni, tutto quel chiasso attorno alle ossa della santa si sarebbe chetato, e Herluin lo avrebbe portato con sé nei suoi giri in cerca di elemosine. Ora, invece, se quel giudizio di Dio gli sarà avverso, Herluin sfogherà su di lui il proprio livore, senza ritegno. Questi ecclesiastici restano come sono nati, ma il loro carattere si esaspera. Buoni e generosi, o cattivi e spietati, lo diventeranno sempre di più, l'uno o l'altro, interamente. E proprio ora, quando Tutilo comincia a capire qual è il suo posto e che cosa desidera essere! Bene», sospirò la ragazza, «è andata così! Ha mentito riguardo a Longner perché voleva essere fuori di qui per tutta la sera, ora ha un debito con lei e intende pagarlo.» «C'è qualcosa di più di un debito», osservò Cadfael. «Lady Donata lo ha conquistato alla prima occhiata, e sarebbe andato comunque da lei. Sapeva che Aldhelm sarebbe venuto qui, quella sera, avete detto. Come mai? Ne eravamo a conoscenza soltanto l'abate e io, nessun altro. Neppure il priore Robert.» «Glielo avevo detto io», rispose sinceramente Daalny. «E voi come lo sapevate?» «Sì, capisco che debba sembrarvi strano», ribatté lei, un po' esitante. «È stato Bénezet a scoprirlo. Aveva udito per caso il priore Robert e fratello Jerome che ne parlavano, ed è venuto subito a dirmelo. Era certo che avrei avvertito Tutilo, penso che fosse proprio quello che voleva. Sapeva», confessò Daalny, «che gli voglio bene.» Le parole più semplici e sobrie sono le più adatte per esprimere sentimenti complessi e sregolati, rifletté Cadfael. «E lui?» domandò con finta indifferenza. Ma lei non era così malaccorta. Le donne non lo sono mai, e Daalny aveva maggior esperienza della vita di quanto comportassero i suoi anni. «Credo che non sappia bene neppure lui che cosa prova, per me o per chiunque altro. Si lascia trasportare dal vento. Ha una visione splendida e vi si butta a capofitto. Il sogno monastico si va scolorando e lui non è tipo da continuare su quella strada per amore della pace e della beatitudine.»
«Raccontatemi, dunque», insisté bonariamente Cadfael, «che cos'è accaduto, quella sera, dopo che ha chiesto e ottenuto il permesso di andare a Longner.» «Lo avrei detto subito», ammise lei, «ma non lo avrebbe aiutato. Perché senza dubbio era là su quel sentiero, ha trovato quel povero morto ed è corso al castello per informare lo sceriffo, come avrebbe fatto qualsiasi persona onesta. Ciò che posso affermare io non cambia niente. Ma se voi troverete un grano di buon senso in questa storia, ditemelo, perché io non l'ho visto.» «Bene, sentiamo.» «Ci eravamo messi d'accordo, ed era la prima volta che ci incontravamo soli fuori dell'abbazia. Lui è uscito e si è avviato lungo il sentiero che porta al traghetto, io sono sgattaiolata fuori della porta del cimitero e ci siamo incontrati alla Fiera Equina, dove siamo restati nascosti nel fienile finché non abbiamo udito la campana di compieta. A quell'ora, abbiamo pensato, lui avrebbe dovuto essersene già andato da un pezzo. Così tardi, in una sera tanto buia!» «E pioveva», le rammentò Cadfael. «Anche quello, ad aggravare la situazione.» «E che cosa avete fatto durante tutto quel tempo?» «Abbiamo chiacchierato», rispose Daalny con un mesto sorriso. «Della vocazione che lui aveva liberamente seguita, della schiavitù che a me era stata imposta fin dalla nascita, senza possibilità di scelta, e come in fine l'una valesse l'altra. Io ero nata nella trappola, lui c'era entrato per evitare una servitù d'altro genere, con gli occhi aperti ma senza vedere dove andava. E adesso proprio lui, con mani e piedi legati, pensa di liberare me.» «Come voi avete offerto la libertà a lui stasera. Bene, e poi? Avete udito la campana di compieta e pensato di poter tornare senza pericoli. Allora com'è che lui era solo sul sentiero del traghetto?» «Non abbiamo osato tornare insieme. Non volevamo correre il rischio che qualcuno lo vedesse arrivare da una strada diversa da quella che avrebbe presa per andare a Longner. E io sono rientrata dalla porta del cimitero, come ne ero uscita. Sarebbe stato riprovevole farci vedere insieme. Lui, per i suoi voti, non può frequentare donne, e a me non è consentito intrattenere rapporti con uomini.» «Non ha ancora pronunciato i voti solenni», obiettò Cadfael. «Ma peccato che sia andato solo. Se ci foste stata anche voi quando ha scoperto quel cadavere, avreste potuto testimoniare per lui.»
«Io?» ribatté lei, con una risatina di scherno. «Chi mi avrebbe creduto? Una povera schiava in giro con un novizio, di notte? Si sarebbe detto che avevamo complottato insieme quell'omicidio. Dovete credermi, fratello, vi ho detto la pura verità. Tutilo potrà pure essere un bugiardo incallito e un ladro astuto, ma in fondo è ingenuo come un bambino. Abbiamo persino recitato insieme le preghiere, quand'è suonata la campana! Chi lo crederebbe?» Cadfael lo credeva, ma immaginava la faccia che avrebbe fatto Herluin, se quella domanda l'avessero rivolta a lui. «Be', almeno mi avete detto che erano in tanti a sapere che Aldhelm avrebbe percorso quel sentiero. Se Bénezet ha udito Jerome che ne parlava ai quattro venti, quanti altri potevano esserne informati? Il priore Robert sa essere discreto, ma Jerome? Ne dubito. E Bénezet non potrebbe averlo detto pure a Rémy, oltre che a voi? Dall'uno all'altro, sempre in via 'confidenziale', naturalmente, fin dove può essere arrivata quella notizia? Tanti interrogativi su cui riflettere! Ora andate a letto, figliola, e smettete di preoccuparvi.» «E se Tutilo non tornasse più da Longner?» «Non pensatelo nemmeno! Tornerà!» Riaccompagnarono all'abbazia Tutilo alla prima luce limpida e perlacea dell'alba. I due uomini che cavalcavano ai suoi fianchi lo lasciarono davanti al portone e si congedarono amichevolmente da lui, uno si chinò persino a battergli una mano su una spalla, mormorandogli qualcosa all'orecchio prima di andarsene col cavallo che aveva montato lui. Cadfael era già fuori da un'ora, ormai, e aveva occupato il tempo raccogliendo i primi fiori di biancospino lungo le siepi, ai margini del suo campo di piselli, per ricavarne un leggero purgante per i suoi malati. Di tanto in tanto, tuttavia, tornava fino al cortile principale per aspettare Tutilo. Aveva una bisaccia colma di candidi fiorellini quando, facendo per la settima volta quel viaggio, lo vide entrare dal portone e avvicinarsi alla guardiola come se volesse prendere lui stesso la chiave per tornare doverosamente nella sua prigione. Camminava come se fosse malsicuro sulle gambe, con la testa china su qualcosa che teneva fra le braccia, e pareva che non vedesse bene dove metteva i piedi. Cadfael gli andò incontro, e il fratello portinaio che, avendo udito il trepestio dei cavalli, stava uscendo per vedere chi fosse arrivato, si fermò sulla soglia, lasciando al monaco il compito di occuparsi del prigioniero pentito.
Tutilo non alzò gli occhi sinché non furono uno di fronte all'altro e, a tutta prima, parve che non riconoscesse nemmeno un viso noto. Aveva gli occhi arrossati, forse per una notte insonne o forse per avere pianto, e si teneva affettuosamente stretta al petto, come se temesse di perderla, una morbida sacca di pelle chiusa con stringhe che conteneva qualcosa di rigido. Guardò per qualche momento Cadfael con un'espressione di profondo dolore, poi mormorò: «È morta. Senza un tremito né un lamento e, pensando che si fosse addormentata come tante altre volte ascoltando la mia musica, ho continuato a suonare... Il silenzio avrebbe potuto infastidire il suo riposo...» «Avete fatto bene», approvò Cadfael. «Lo aspettava da tanto tempo! Ora più niente può disturbarlo.» «Sarei tornato prima, ma non volevo lasciarla senza l'ultimo, definitivo congedo. Era stata tanto gentile con me.» Non intendeva come una signora con un servo, né come una patronessa con un suo protetto. V'era stata fra loro una gentilezza d'altro genere, che era stata un balsamo per entrambi. «Mi rendevo conto che forse avreste pensato che non mi avreste più rivisto, ma il suo prete aveva detto che non sarebbe vissuta fino al mattino, non potevo lasciarla proprio allora.» «Non c'è fretta. Io sapevo che sareste tornato. Avete fame? Sedetevi un momento in portineria, vi porteremo la colazione.» «Grazie, ma me l'hanno già offerta là. Mi avrebbero dato anche un letto, ma sarei venuto meno ai patti se fossi rimasto quando non v'era più alcun bisogno di me. Ora però ne avverto la necessità», confessò Turilo, sbadigliando. L'unico letto di cui disponeva ora si trovava nella sua cella, ma vi andò di buon grado, contento di avere una porta sbarrata fra sé e il mondo. Cadfael prese la chiave, accompagnò Tutilo e rimase a guardarlo mentre si sedeva con un profondo sospiro di sollievo sull'orlo del suo lettuccio, posando accanto a sé la sacca con una sorta di amorevole delicatezza. «Restate per qualche momento, fratello», pregò. «Voi la conoscevate bene. Come ha potuto essere tanto buona con me, tormentata com'era dal suo male?» Una domanda per la quale non esisteva risposta, e comunque lui nemmeno l'aspettava. Ma non era necessario chiedersi perché una donna che stava morendo troppo presto per la sua età e troppo tardi per il suo benessere avesse trovato un conforto nella presenza accanto a sé della giovinezza e della bellezza, proprio perché era vulnerabile e inerme in un mondo tutt'altro che generoso coi deboli.
«Le avete procurato un intenso piacere e non aveva avuto altro che tremende sofferenze negli ultimi anni. Vedeva chiaramente in voi, penso, meglio di altri che vivono al vostro fianco, forse meglio di voi stesso.» «La mia visita non lascia niente a desiderare», protestò Tutilo. «So come sono. Si può cantare come un angelo anche senza esserlo. Non è un merito. Avevano portato l'arpa nella sua camera per me. Io temevo che il suono fosse troppo forte in uno spazio così limitato, ma l'aveva voluto lei. Voi l'avete conosciuta quand'era più giovane, sana e bella, vero, Cadfael? Mentre suonavo le gettavo ogni tanto un'occhiata, perché stava così zitta e immobile da farmi pensare che si fosse addormentata, e invece era sempre là con gli occhi bene aperti e le guance rosee. Non sembrava affatto vecchia ed emaciata, le sue labbra erano rosse e tumide, un po' curvate, come se sorridesse. E io ero felice di cantare per lei inni alla Vergine, ma poi, vedendo che sembrava ringiovanire perché non soffriva più, mi sono messo a cantare canzoni d'amore e ho capito che le faceva piacere. A volte veniva ad ascoltare anche la moglie del suo figlio maggiore e talvolta persino la signora che sta per sposare il fratello minore. Il loro prete l'aveva già assolta da ogni colpa, ammesso che ne avesse qualcuna. Dev'essere morta attorno alle tre del mattino, ma io non me ne sono accorto. Pensavo che si fosse addormentata, sinché non è venuto il fratello minore a dirmelo.» «Si era davvero addormentata», osservò Cadfael. «E se la vostra musica l'ha accompagnata sino al confine estremo è stato un trapasso sereno. Non dovete addolorarvi per lei. Aveva atteso pazientemente per anni quella fine.» «Non è stato quello ad abbattermi, sapevo che dovevo attendermelo. Ma il seguito non me l'aspettavo. Guardate che cosa ho qui.» Tutilo sciolse le stringhe che chiudevano la sua sacca e ne levò con cura amorosa il salterio che soleva suonare nella camera di Donata, in perfetto ordine, come se fosse nuovo. Lo posò accanto a sé e pizzicò agilmente le corde, traendone un trillo argentino. «Lo ha dato a me. Me lo ha portato suo figlio, il più giovane, dicendomi che lo aveva voluto lei, perché un musico senza uno strumento era come un guerriero senza spada e a un trovatore occorrevano tre cose: uno strumento, un cavallo e l'amore di una donna. Il primo me lo offriva lei, ma gli altri due avrei dovuto procurarmeli io.» Tutilo parlava con voce sommessa, ora, e aveva le lacrime agli occhi, tornando con la mente a quella scherzosa predizione che poteva anche sottintendere un avvenire lontano dal chiostro, un sogno che per altro andava
già perdendo gran parte del suo fascino. E forse aveva avuto ragione. Gli si era affezionata non come a un essere spirituale, ma come a un essere umano, giovane e vigoroso, dotato di facoltà tuttora ignorate. E i moribondi, uomini e forse ancora più donne, erano stati a volte oracoli stupefacenti. Quando giunsero fino a loro i rintocchi della campana per il mattutino, Cadfael prese col debito riguardo il salterio e lo posò sul tavolino. «Devo andare, ora. E voi, datemi retta, cercate di dormire e scordarvi di tutto, fino al momento del Giudizio di Dio. Avete fatto del bene alla signora e lei ne ha fatto a voi. Col suo favore, e l'aiuto di qualche preghiera che potremo aggiungere noi, non potrà esservi contrario.» «Ah, sì», sospirò Tutilo, spalancando gli occhi. «È per oggi, vero? Me n'ero dimenticato.» Quel pensiero non lo intimidiva, forse perché non aveva niente da temere. «E adesso potete dimenticarvene di nuovo», osservò Cadfael. «Voi più di tutti dovete aver fede nella santa che vi è tanto cara. Affidatevi a santa Winifred. Se vi ha rivelato una volta, privatamente, i suoi desideri, pensate che non possa fare altrettanto, pubblicamente, oggi? Dormite tranquillo e lasciate che sia lei a decidere per noi tutti.» Durante la mezz'ora tra il capitolo e la messa solenne, quando Cadfael era nel suo laboratorio, occupato a selezionare i suoi fiori di biancospino, Hugh andò a riferirgli il risultato delle proprie ricerche. Non era gran che, ma se non altro aveva saputo dal traghettatore qualcosa che poteva essere utile. «Quel ragazzo non è andato neppure vicino a Longner, quella sera. Non ha attraversato il fiume, ma, disgraziatamente per lui, lo ha fatto quell'altro povero infelice, e il traghettatore ricorda anche l'ora. A quanto pare, il parroco di Upton ha un servitore che va a trovare suo fratello a Preston una volta alla settimana, e quella sera è andato con lui Aldhelm, che lavorava là ma abitava in un villaggio vicino. E, a quanto dice il servitore, doveva essere poco prima dell'ora sesta quando Aldhelm lo ha lasciato a Preston ed è andato verso il traghetto. Poi, per attraversare il fiume e percorrere il sentiero fino al punto in cui è stato rinvenuto, non deve avere impiegato più di mezz'ora, forse anche meno, se era un buon camminatore, e, dato che oltretutto pioveva, avrà anche affrettato il passo. Secondo me è stato aggredito e ucciso da un quarto a mezz'ora dopo la sesta. Ora, se il vostro pupillo può dire dov'era, mentre si pensava che fosse a Longner, e, meglio ancora, presentare un testimone in grado di confermarlo, ce ne sarebbe più
che abbastanza per liberarlo da ogni sospetto.» Cadfael lo guardò per un lungo momento, pensieroso, senza badare ai suoi petali di biancospino che svolazzavano nella corrente della porta aperta. «Se quello che dite è vero, Hugh, spero proprio che la questione sia risolta. Perché, anche se Tutilo non è ancora pronto ad ammetterlo, c'è qualcun altro che può, e vorrà, testimoniare di essere stato con lui fino all'ora di compieta, vale a dire poco meno di un'ora dopo quella che pensate voi. Poiché questo è in aperto contrasto con la sua vocazione e sarebbe dannoso per l'altra parte, nessuno dei due morirà certo dalla voglia di spifferare tutto apertamente. Ma forse al vostro orecchio, lavorandoli un poco, potrebbero sussurrarlo.» «Dov'è ora il ragazzo? Sempre chiuso a doppia mandata nel suo penitenziario?» «E sprofondato nel sonno, spero. Probabilmente voi non sapete che ieri sera, poco prima di compieta, lo ha mandato a chiamare Donata, e Radulfus gliene ha dato il permesso, a patto che s'impegnasse a tornare. Lei è morta, Hugh. Dio e i santi si sono ricordati di lei, finalmente.» «No, non lo sapevo», mormorò lo sceriffo. Poi rimase a lungo in silenzio, riflettendo su ciò che avevano significato gli ultimi anni per Donata Blount e i suoi familiari. Un tormento incessante, al quale soltanto la morte aveva posto fine. «Ma troverò certo la notizia alla guarnigione. E aveva chiamato Tutilo, dite?» «Vi sembra strano?» «Mi stupisco quando la gente non fa niente di strano!» ribatté Hugh con un sorrisetto amaro. «No, l'unico fatto inusuale in questa vicenda è che quei due si siano incontrati. Vivevano in due mondi tanto diversi da far escludere persino la possibilità che avessero a vedersi, e men che meno di trovarsi a fianco a fianco! E lei adesso è morta. L'ha vista morire?» «Era là, sì, ma ha pensato che si fosse addormentata mentre lui suonava. E in un certo senso è stato così. Si erano profondamente affezionati l'uno all'altra. Dove non c'è niente in gioco non vi sono nemmeno barriere. Niente che unisce e niente che divide. E lui è tornato stamattina sconvolto da quell'esperienza, addolorato ma ancora di più stupito, perché Donata gli aveva regalato il salterio che soleva suonare per lei, insieme con un messaggio tratto dalle romanze dei menestrelli. È rientrato volentieri nella sua cella e spero che dorma finché non avremo risolto il quesito che dovremo affrontare dopo la messa. E auguriamoci che Dio e santa Winifred ci mandino una soluzione soddisfacente!»
«Ah, quello!» esclamò Hugh, dubbioso. «Non vi sembra che scegliere a caso una o due righe della Bibbia sia una maniera pericolosa per risolvere un problema? Penso che non sarebbe difficile architettare un imbroglio. Lo avete fatto voi stesso una volta, seppure per una buona causa!» «Era per impedire un furto, non per commetterne uno», protestò Cadfael. «Non ho mai ingannato santa Winifred e non lo farò certamente ora. Ma lei stessa non permetterà che quel ragazzo debba pagare per una morte della quale non è sicuramente colpevole. Lei sa di che cosa abbiamo bisogno e che cosa meritiamo. Provvederà perché i torti vengano riparati e le dispute appianate, quando sarà il momento.» «E senza alcun aiuto da parte mia!» commentò Hugh, ridendo. «Bene, me ne vado, ora, non ho altro da fare qui. Ma più tardi, quando si sveglierà, dovremo discorrere un po' col vostro canarino!» Cadfael andò in chiesa prima della messa, a disagio per tutte le sue dichiarazioni di fede e al tempo stesso sentendosi in colpa. Gli era mancato il tempo per preparare il suo infuso e aveva lasciato i fiori di biancospino, ripuliti da ogni impurità, in un vaso coperto con una candida pezzuola di lino. Quella neve primaverile gli riportava alla mente altre primavere ormai lontane, altre fioriture simili eppur diverse, quando i biancospini esalavano un profumo dolce e inebriante che intorpidiva i sensi. Ancora qualche settimana e una stessa neve avrebbe imbiancato le siepi. Il profumo della rifioritura era già nell'aria, elusivo ma costante, come il lieve incresparsi delle onde di un ruscello. Più per istinto che di proposito, Cadfael si ritrovò inginocchiato davanti all'altare di santa Winifred, rivolgendosi tacitamente a lei in gallese, la lingua natia di entrambi, per chiedere il suo aiuto riguardo alla morte di un giovane onesto, guardiano di agnelli che trattava con cura amorosa, e non meritava una morte violenta come quella cui era andato incontro. E aiuto pure per un altro giovane, sospettato di una colpa che non poteva avere commesso, che non doveva soggiacere a una morte altrettanto ingiusta. Cadfael era certo che la sua santa lo ascoltava; non avrebbe mai voltato le spalle a chi la supplicava, ma quanto al suo stato d'animo, non era altrettanto certo, considerando quanto era accaduto. Le rivolgeva le proprie preghiere con fede sincera, umilmente, ma sempre in buon gallese del nord, il Galles di Gwynedd. Che forse non le andava a genio, ma non le avrebbe comunque impedito di operare secondo giustizia. Quando si alzò, aggrappandosi all'orlo dell'altare, già arredato per la ce-
lebrazione del suo ritorno, Cadfael non se ne andò subito. Il silenzio attorno a lui parve a un tratto gradevole e minaccioso a un tempo, come la quiete che precede una tempesta. E lì davanti a lui, al centro dell'altare, c'era il libro dei Vangeli, non il grosso volume miniato, ma un altro più piccolo e senza fregi, più adatto all'uso quotidiano. Cadfael vi posò una mano e rimase per qualche momento così, dubbioso ed esitante, poi risolse a un tratto di aprirlo, chiedendo mentalmente guida e luce alla sua santa. «Figlia benedetta, mostratemi voi la strada, perché ho un bambino di cui aver cura, bugiardo e briccone, ma lo ha fatto così questo mondo, e gentile non meno che menzognero. Ma non un assassino, sono certo che non ha mai fatto alcun male a nessuno, nei vent'anni della sua vita. Ditemi una parola, una parola che illumini la mia mente e mi aiuti a tirarlo fuori dalla sua gabbia.» Quasi senza rendersene conto, girò le pagine del libro, chiudendo gli occhi, si fermò su una e posò un dito su una riga. Bruscamente consapevole di ciò che aveva fatto, rimase per qualche momento immobile come una statua, attento soprattutto a non muovere il dito fermo su quel foglio, poi aprì gli occhi e guardò il punto dove esso si era fermato. Il Vangelo dell'apostolo Matteo, capitolo dieci, versetto ventuno. Cadfael aveva imparato tardi il latino, ma quello era abbastanza semplice. «... E il fratello darà la morte al fratello...» Restò a fissare quelle parole che, a tutta prima, gli parvero insensate, a parte l'accenno a una morte causata di proposito, non la serena chiusura di una vita com'era stato per Donata. Il fratello darà la morte al fratello... Faceva parte della profezia di disintegrazione e caos riguardante gli ultimi giorni, e visto in quel contesto era soltanto un particolare di un quadro apocalittico, ma c'era una risposta, soprattutto per chi, come lui, apparteneva da tanti anni a una confraternita. Non un estraneo, non un nemico, ma un fratello che tradiva un fratello. E, a un tratto, gli sembrò di vedere un giovane che procedeva in gran fretta lungo un sentiero nella foresta in una sera buia, sotto la pioggia, vestito di un saio scuro, col cappuccio alzato a nascondergli il volto. Poi l'immagine, appena delineata nella scarsa luce che filtrava tra gli alberi, scomparve, ma la sua sagoma gli era familiare. Un uomo incappucciato avvolto in un voluminoso mantello nero. O un uomo incappucciato con un saio nero? In quelle condizioni, che differenza avrebbe fatto? Fu come se davanti a lui una porta si fosse aperta su una luce tenue ma nitida. Un fratello consegnato alla morte... Se fosse stato vero? Se la vitti-
ma designata non fosse stato Aldhelm, ma qualcun altro? Soltanto Tutilo aveva un motivo per temere la sua testimonianza e il giovane aveva sostenuto a spada tratta di non esserci entrato per niente in quella morte. Non soltanto, cominciavano anche a emergere particolari che lo confermavano. Inoltre lui stesso era un fratello, e quella sera, uscito dall'abbazia, doveva passare per quel sentiero. Inoltre, per aspetto, età e fretta di sottrarsi alla pioggia, vi sarebbe stata poca differenza tra lui e Aldhelm, per un assassino in agguato. Un fratello consegnato alla morte, certo, se un altro non si fosse trovato su quel sentiero prima di lui. Ma chi aveva progettato quello scempio? Se il significato dell'oracolo era quello che sembrava, il termine poteva anche riferirsi a un monaco, un fratello di un Ordine monastico. Per quanto ne sapeva Cadfael, nessuno all'infuori di Tutilo era uscito dall'abbazia, quella sera, ma chi avesse avuto in mente un'azione simile avrebbe saputo fare in modo che nessuno si avvedesse della sua assenza. Un appartenente all'Ordine che detestava Tutilo tanto da tentare di ucciderlo? Il priore Robert non avrebbe certo pianto lacrime amare, se qualcuno gli avesse fatto pagare a quel modo il suo oltraggioso comportamento, ma era a cena con l'abate Radulfus e altri personaggi importanti, quella sera, e comunque sarebbe stato piuttosto difficile immaginarlo acquattato in un bosco, sotto la pioggia, per far fuori con le sue aristocratiche mani un delinquente. Herluin avrebbe potuto rinfacciargli di avere screditato Ramsey non tanto per aver tentato un furto, quanto perché ne aveva fatto un terribile pasticcio, ma pure lui era a cena dall'abate. Tuttavia, l'oracolo si era radicato nella mente di Cadfael come la punta aguzza di una spina. Il monaco raggiunse il suo stallo con quelle parole che riecheggiavano senza posa nella sua mente: «E il fratello darà la morte al fratello». Dovette applicarsi col massimo impegno per levarsele dalla testa e seguire la celebrazione della messa. CAPITOLO IX Dopo la messa, quand'erano rimasti in chiesa soltanto gli interessati a quanto sarebbe seguito, l'abate Radulfus recitò una breve preghiera per avere una guida dal cielo, poi si avvicinò all'altare di santa Winifred. «Con tutto il rispetto», intervenne educatamente il conte Robert, «con quale giudizio si determinerà chi dovrà essere il primo a tentare la sorte? C'è una qualche regola?»
«Siamo qui per chiederlo», rispose semplicemente l'abate. «Chiediamo un'ispirazione per tutto, dal primo passo all'ultimo, senza riserve da parte nostra. Ma se qualcuno di voi ha qualcosa da obiettare, lo dica, spieghi che cos'altro vorrebbe, e vedremo se con giusta ragione o no.» Nessuno ebbe niente da obiettare e fu Robert Bossu a parlare per tutti. «Procedete pure, padre abate, siamo tutti d'accordo.» Radulfus salì i tre gradini dell'altare e apri il libro dei Vangeli fissando la croce più in alto, per non vedere a quale pagina lo aveva aperto e dove avrebbe posato il dito. «Avvicinatevi, e accertatevi che non vi siano inganni», disse. «E che quanto leggerò ad alta voce è ciò che il destino mi ha mandato.» Herluin si accostò immediatamente a scrutare, ma il conte Robert rimase dov'era, arrendendosi con un inchino alla dichiarazione dell'abate. Radulfus guardò finalmente la pagina aperta e spiegò: «È il Vangelo di san Matteo, capitolo ventesimo, e la riga dice: 'L'ultimo sarà il primo e il primo l'ultimo'». Niente da dire, quanto a quello, pensò Cadfael, osservando con qualche preoccupazione dal suo posto appartato. Semmai, era abbastanza strano che alla prima prova fosse seguita una risposta tanto appropriata: i pronostici dei vescovi erano per lo più ambigui, enigmatici. Se a tastare il terreno non fosse stato Radulfus, con la sua inflessibile rettitudine, si sarebbe forse potuto sospettare... Ma non si poteva dubitare del potere illimitato dei santi. Lei, capace di chiamare accanto a sé un ragazzo storpio e sostenerlo con la propria grazia mentre posava le grucce ai piedi del suo altare, non avrebbe forse potuto anche girare le pagine di un Vangelo e guidare un dito fiducioso sino alle parole che aveva scelte lei stessa? «Si direbbe», osservò il conte Robert, «che, come ultimo arrivato, il verdetto metta me al primo posto nell'elenco. Sembra così anche a voi, padre?» «Indubbiamente», confermò l'abate. Richiuse il libro, lo collocò accuratamente al centro dell'altare e scese, mettendosi in disparte. «Procedete, conte.» «Che Dio e santa Winifred mi aiutino!» mormorò lui, salendo senza fretta i gradini; rimase per qualche momento immobile davanti al libro, poi lo aprì lentamente, premette i palmi sulle due pagine per appiattirle, e sostò per un altro momento con un dito alzato prima di toccarne una, sempre senza guardare né a quale pagina avesse aperto il libro, né in quale punto avesse posato il dito. V'erano tanti modi per mistificare persino il giudizio
di Dio, ma il conte si era deliberatamente comportato in modo da evitare anche il più lieve sospetto. E ora lesse ad alta voce traducendo con facilità dal latino, come un dotto prelato: «Mi cercherete, ma non mi troverete, e dove sarò io, voi non potrete venire». Alzò gli occhi, riflettendo: «È Giovanni, capitolo settimo, versetto trentaquattro. Questo è strano, padre abate, perché è stata lei a venire da me quando io non la cercavo affatto, non sapevo niente di lei. È un indovinello difficile da interpretare, dov'è lei io non posso andare, perché lei è qui e sono qui anch'io, accanto a lei. Come lo spiegate?» Cadfael avrebbe potuto dirglielo, ma se ne guardò bene, per quanto sarebbe stato interessante rispondere a quella domanda e sentire che cosa avrebbe ribattuto quel nobile, sagace signore. Era persino allettante, perché avrebbe anche apprezzato l'ironia della sorte. Robert Bossu si era interessato della controversia lì a Shrewsbury in un periodo di frustrazione e d'inerzia, peccato che si dovesse privarlo della parte migliore di uno scherzo, che era tanto più di una semplice burla. Quello doveva tuttora essere condiviso soltanto da Hugh, che conosceva il meglio e il peggio del suo amico Cadfael. No, c'era qualcun altro che sapeva tutto. Santa Winifred, senza dubbio, qualche volta ricordava e sorrideva, nel suo tranquillo riposo a Gwytherin; rideva, persino, quando si era svegliata per inviare un raggio della sua grazia a un povero storpio lì a Shrewsbury. E in certo modo anche la seconda risposta, come la prima, era stata adeguata, sciorinando una verità segreta e un paradosso davanti a un uomo che l'avrebbe apprezzato appieno, ma che non poteva essere messo a parte del segreto. «Non ne capisco più di voi», ammise l'abate, sorridendo. «Ascolto e cerco di capire. Forse dovremo aspettare che vi sia una risposta a tutto, prima di poter vedere uno spiraglio di luce. Dobbiamo procedere, dunque, con questa speranza?» «Volentieri», rispose il conte. Ridiscese i tre gradini e si mise con discrezione in disparte, per lasciare il campo libero a chi lo avrebbe seguito, e i suoi due giovani scudieri, addestrati ad altrettanta temperanza, gli si misero silenziosamente ai fianchi. Se per il conte quel rito era soltanto un passatempo per sconfiggere la noia, rifletté Cadfael, almeno lo compiva a fin di bene, lui non aveva alcun interesse. E quel pensiero lo indusse a meditare sulla stranezza dei rapporti umani. Un uomo come quello, astuto e calcolatore, che cosa aveva a che fare con re Stefano, istintivo e impetuoso, persino ingenuo, che si gettava a
capofitto in ogni sua impresa, con l'impeto di un toro? E lo stesso poteva valere per Hugh. Esseri tanto equilibrati non avrebbero dovuto essere ormai stanchi oltre misura di quella lunga contesa che non faceva progressi, di quello spreco di uomini e di mezzi, della privazione del benessere comune? Stanchi non soltanto di Stefano, ma anche, forse persino di più, di quella signora che si teneva ostinatamente abbarbicata al suo impero, a qualunque costo. Ma da qualche parte, si domandò il monaco, non ci sarà stato un altro erede più promettente, un indizio di un sole nascente capace di disperdere ogni dubbio, come le nebbie del mattino, e annullare col suo bagliore la visione di re e imperatrice, insieme con tutto il caos e le rovine che si erano abbattuti su quel paese? «Padre Herluin», disse Radulfus, «volete fare la vostra prova?» Il vicepriore si avvicinò all'altare e salì lentamente i tre gradini, come se fosse sul punto di affrontare un esperimento che avrebbe potuto appagare o demolire un'ambizione accarezzata da tempo. E quando fu il momento di farlo, esitò a lungo prima di posare leggermente le mani sul libro, per due o tre volte, ritraendole poi ogni volta. Quanto potevano essere discordi le maniere di uomini diversi quando si avvicinava il momento della verità! Robert Bossu aveva aperto il libro senza esitare e aveva posato energicamente le mani sulle due pagine per appiattirle, senza curarsi di controllare quali fossero. Herluin, quando finalmente le toccò, lo fece come se la pergamena scottasse, poi osservò attentamente in quale punto del libro si trovassero e finalmente, quasi ansimando, chinò il capo per vedere da vicino che cosa gli aveva assegnato la sorte. Allora deglutì senza parlare. «Leggete», lo esortò cortesemente Radulfus. Non v'era scampo. Con voce roca, ma pronunciando chiaramente le parole, perché gli costava uno sforzo notevole persino parlare: «È Luca, capitolo tredici, versetto ventisette. 'Io vi dico, non vi conosco, non so donde veniate! Andate via da me, voi tutti, operatori d'iniquità...'» Rialzò la testa e chiuse risolutamente il libro prima di girare lo sguardo sui volti che l'osservavano, attenti e rispettosi, una deferenza che temette di perdere. «Sono stato ingannato!» proruppe, col viso grigio per la collera. «Vilmente raggirato! E lei mi ha mostrato quale è stato il mio fallo: essermi fidato di un bugiardo e ladro. Non è stato per sua volontà che fratello Tutilo, se possiamo chiamarlo ancora fratello, l'ha portata via, trascinando per di più un'anima innocente nel peccato, se non addirittura alla morte. Il suo
crimine è l'empietà, oltre al furto; ha mentito fin dal principio, affermando di essere stato ispirato dalla santa, e poi ha occultato la propria colpa accumulando bugie su bugie. Ora lei mi ha fatto capire chiaramente con quale ribaldo ho avuto a che fare e mi ha palesato che tutte le sue peregrinazioni le ha volute veramente lei, per poter tornare qui, dov'erano cominciate. Padre abate, mi ritiro con dolore e umiltà. Se ha avuto compassione per le disgrazie di Ramsey, lui l'ha resa inutile e qui noi non abbiamo diritti. Lo riconosco, seppure a malincuore, e prego perché lei voglia perdonarmi!» Per se stesso! Certo non per quel povero, infelice ragazzo che in quel momento stava dormendo in un'angusta cella di pietra. Altro che perdono per lui, se la decisione fosse spettata a Herluin! Avrebbe vendicato su Tutilo tutte le proprie umiliazioni, come già gli addossava colpe d'ogni genere, tanto meglio se utili per districare Herluin, innocente e devoto, che non aveva niente da rimproverarsi, se non una fede troppo profonda. «Un momento!» esclamò Radulfus. «Aspettate a pronunciare giudizi, tutti possiamo ingannarci. La collera non è mai una buona consigliera, può facilmente indurci a condannare un innocente. E la santa non ci ha ancora detto niente, riguardo a Shrewsbury.» Più che giusto, rifletté Cadfael, può avere qualche accusa da muoverci. Se avesse a venirle in mente, proprio ora, di far sapere a tutti che è con noi soltanto con lo spirito, che quanto c'è nel suo splendido reliquiario è in realtà il cadavere di un giovane che ha commesso un omicidio proprio per poter portare lei a Shrewsbury, ed è morto lui stesso, accidentalmente, in circostanze che hanno reso indispensabile la sua sparizione? Un misfatto senza dubbio peggiore di quello commesso da Tutilo per una causa analoga, portarla a Ramsey. Rimettendola religiosamente nella fossa dalla quale l'aveva levata e rinchiudendo l'assassino nella bara vacante, Cadfael era persuaso, come ora, di avere obbedito alla sua volontà, restituendole per l'eterno riposo il posto che lei desiderava. Non poteva essere stato ugualmente in buona fede Tutilo? Un'impresa che la santa aveva condannato poco prima. Ora toccava all'altro tentare la sorte, era giusto, anche se il priore Robert avrebbe forse avuto qualcosa da obiettare riguardo alla propria dignità, una debolezza alla quale peraltro soggiaceva raramente. Salì i gradini dell'altare con portamento solenne e le mani giunte davanti al petto come per un'ultima preghiera. Come fu davanti ai Vangeli chiuse gli occhi, aprì il libro a caso e, sempre con gli occhi chiusi, posò un dito su una pagina. Rimase così, im-
mobile, tanto a lungo da far pensare che avesse una sacrosanta paura di ciò che gli sarebbe toccato. Chi avrebbe mai immaginato che il pilastro della casa potesse tremare? Finalmente aprì gli occhi, lesse qualche riga e rialzò l'imponente testa argentea, trionfante, mentre una vampata di gioioso rossore gli coloriva le guance. Con voce tentennante tra esultanza e reverente timore, lesse: «San Giovanni, capitolo quindici, versetto sedici: 'Non siete voi che avete eletto me, ma io ho eletto voi'». Tra i fratelli che aspettavano e guardavano col fiato sospeso trascorsero, come una raffica di vento o l'impeto di un'ondata sulla spiaggia, un intenso fremito e un lungo sospiro. Poi, come il frantumarsi dell'onda in una miriade di spruzzi, i sospiri si disintegrarono in lievi sussurri, mentre i fratelli si spostavano, scambiandosi amichevoli gomitate, tra risa e lacrime. Finché l'abate Radulfus non s'irrigidì autoritariamente, alzando una mano per sedare l'incipiente burrasca. «Silenzio! Rispettate questo sacro luogo e accettate compostamente le risposte, com'è vostro dovere. Padre priore, scendete accanto a noi, ora. Tutto ciò che era necessario è stato fatto.» Il priore Robert era ancora tanto abbacinato che per poco non mise un piede in fallo scendendo i gradini, ma si riprese subito, recuperando prontamente tutta la propria boriosa dignità. Se l'esperienza del timor di Dio aveva avuto qualche effetto duraturo su di lui, lo avrebbe dimostrato il tempo, rifletté Cadfael. Ma probabilmente no. Ne aveva comunque risentito il suo compiacimento di sé. Per qualche tempo il priore si sarebbe mosso con la massima cautela, per il timore di poter offendere in qualche modo quella piccola santa gallese. «Padre», disse ora con voce di nuovo pacata e suadente, «ho assolto fedelmente il compito che mi è stato affidato. Adesso dobbiamo interpretare il responso.» Sì, era di nuovo lui, borioso come sempre, ma almeno per qualche momento era sembrato un essere umano come tutti. Quasi un miracolo! «Padre abate», intervenne garbatamente il conte, «ritiro ogni richiesta, compresa quella di sapere com'è possibile che io sia qui in compagnia della Santa Vergine e al tempo stesso si dica che dov'è lei io non posso andare. Anche se, lo confesso, secondo me c'è sotto una storia che amerei molto conoscere.» Svelto a capire, commentò fra sé Cadfael, e amante dei paradossi. «Cedo il campo a voi, che ne sapete tanto più di me in queste cose. A me basta, e ne sono fiero, che si sia degnata di venire per un poco nella
mia casa. Se me lo consentite, padre, vorrei fare un'offerta in segno di riconoscenza.» «Penso che a santa Winifred farebbe piacere che la vostra offerta in suo onore la destinaste all'abbazia di Ramsey», osservò Radulfus. «Siamo tutti fratelli dello stesso Ordine e anche se è irritata per gli errori e le trasgressioni degli uomini, non se ne risentirà con un monastero già tanto sventurato.» Quei due, sospettò Cadfael, parlavano in toni tanto cerimoniosi per cancellare l'impressione di quei primi momenti dolorosi e dare al vicepriore Herluin il tempo per padroneggiare la propria mortificazione e ritirarsi dignitosamente. Aveva inghiottito il rospo, ma quel boccone lo aveva quasi strozzato. Sapeva riconoscere abbastanza di buon grado una sconfitta, ma niente avrebbe mai attenuato il suo rancore verso lo sfortunato giovane che tenevano sottochiave in attesa della punizione. «Mi vergogno», dichiarò, «anche per la mia abbazia, per avere tenuto al mio fianco, fiduciosamente, un falso aspirante alla vita monastica. Oso chiedere scusa per ciò, ma non per me. Sarei dovuto essere meglio armato contro gli inganni del demonio. Sono stato cieco e stolto, lo confesso, ma non ho mai inteso arrecare danno a questa casa e chiedo umilmente perdono. Il conte di Leicester ha parlato anche per me. Cedo a voi il campo, padre abate.» «Se nessuno ha altro da aggiungere», si limitò a dire Radulfus, che cominciava a trovare quegli scambi troppo lunghi e noiosi, «vorrei chiudere questa riunione con una preghiera e lasciare tutti liberi di andarsene.» Erano ancora inginocchiati dopo l'ultimo Amen quando un'improvvisa folata di vento percorse la navata fino al coro, come se provenisse dalla porta meridionale, benché non si fosse udito né lo scatto del chiavistello né alcun cigolio dei cardini. L'avvertirono tutti e, in quell'atmosfera ancora satura di profezie e di dubbi, non fu difficile interpretarla come un evento miracoloso. Fratello Rhun, il devoto servitore di santa Winifred, che occupava il primo posto nei suoi pensieri, si voltò subito: «Padre!» proruppe con voce alta e squillante. «Guardate l'altare! Le pagine dei Vangeli si voltano da sole!» Il priore Robert aveva lasciato il libro aperto alla pagina dove aveva letto il responso che lo riguardava, san Giovanni, l'ultimo degli Evangelisti, molto avanti nel volume, e ora tutti gli occhi erano appuntati su quelle pagine che si stavano davvero voltando all'indietro, lentamente, a volte una
sola, a volte un certo numero tutte insieme, come se a sfogliarle fosse una mano talora incerta, talaltra risoluta e frettolosa. All'indietro, da Giovanni a Luca, da Luca a Marco... e oltre... Tutti guardavano affascinati, notando a malapena che alla brusca folata di vento seguiva ora una calma assoluta, eppure le pagine, lentamente ma senza soste, continuavano a voltarsi all'indietro, ricadendo piatte. Dovevano essere arrivate a Matteo, e il ritmo rallentò, sempre una pagina alla volta che si alzava, restava per un attimo eretta, poi si abbassava. L'ultima a voltarsi si posò leggermente, non del tutto piatta come le compagne, ma poi rimase immobile; non restava più nemmeno un alito del vento che aveva mosso le altre. Per qualche momento nessuno si azzardò a fare alcunché, poi l'abate si alzò e si avvicinò all'altare. Ciò che aveva scelto il vento doveva avere un significato particolare, più che umano, e Radulfus fissò a lungo la pagina, senza toccarla. «Venga qui qualcuno di voi», disse poi. «Meglio avere un altro testimone, oltre a me.» Il priore Robert fu ai piedi dei gradini in un attimo, era abbastanza alto da poter leggere senza salirli, Cadfael si avvicinò dall'altro lato e Herluin non si mosse dal suo posto, già abbastanza tribolato dai propri guai per interessarsi a ipotetici miracoli, ma il conte si avvicinò con ingenua curiosità, allungando il collo per vedere le pagine aperte, e notò con profondo stupore che nella piega tra le due facce c'erano alcuni piccoli petali candidi e un rigido germoglio di biancospino con un bocciolo appena aperto. «Non ho toccato niente», dichiarò Radulfus, «perché non sono io il postulante e considero la profezia come una grazia della quale è il simbolo questo germoglio. La sua punta mi addita il versetto numero ventuno, che dice: 'E il fratello darà la morte al fratello'.» Seguì un lungo, reverente silenzio e il priore Robert sfiorò delicatamente i piccoli petali e il germoglio. «Padre abate, non eravate con noi a Gwytherin, perciò non avete riconosciuto questo miracolo. Quando la santa benedetta ci è apparsa come una visione là, nella sua chiesa, si è fatta precedere da una nevicata di piccoli fiori bianchi. Non è ancora la stagione dei fiori di biancospino, ma questi... questi ce li manda lei al loro posto, come il candore della sua purezza. Un segno che ci viene direttamente da santa Winifred e noi, per il nostro ufficio, dobbiamo tenerne conto.» «Il problema è l'interpretazione», osservò Radulfus. «Come dobbiamo
intendere un simile oracolo?» «Parla di morte», rilevò il conte. «E una morte c'è stata. Una tal minaccia pende sul capo di un giovane del vostro ordine e l'oracolo parla di un fratello come strumento del male, che si addice perfettamente al caso, a quanto risulta finora. Tuttavia, parla anche di un fratello come vittima, mentre il morto non era un fratello. Come si può spiegare?» «Se la santa ci ha indicato la via, noi non possiamo fare altro che seguirla», dichiarò l'abate. «'Fratello', dice, tanto riguardo alla vittima quanto a chi ha progettato la sua uccisione. E la santa sa bene quanto noi quale significato ha quel termine entro queste mura. Se qualcuno tra voi ha qualche idea circa questo urgente, spinoso problema, lo dica.» Fu Cadfael a parlare, dopo un lungo silenzio durante il quale i confratelli, turbati, si erano sogguardati l'un l'altro, dubbiosi e incuriositi. «Padre abate, io ho qualche idea in proposito, non ci avevo pensato fino a stamattina, ma a questo punto mi sembra di cruciale importanza. La sera del delitto era molto buia, non soltanto per l'ora ma anche per il tempo, con nubi basse e una pioggia fastidiosa. Il punto in cui è stato rinvenuto il cadavere di Aldhelm è al margine della foresta, un angusto sentiero scarsamente illuminato dalla striscia di cielo visibile tra la chioma degli alberi. Sufficiente tuttavia per distinguere una sagoma, un profilo da parte di qualcuno in attesa, con gli occhi abituati al buio. E la sagoma di Aldhelm era, a giudicare dal passo svelto e sicuro, quella di un giovane, avvolto in un mantello scuro, col cappuccio alzato contro la pioggia. In tutto e per tutto simile a quella di un fratello benedettino.» «Se capisco bene», replicò Radulfus, «mi state dicendo che quel povero giovane è stato aggredito per sbaglio, perché l'assassino lo aveva scambiato per un fratello benedettino?» «Concorderebbe con l'oracolo.» «E con l'oscurità della sera. Intendete dire che la vittima designata era fratello Tutilo? Che lui non era il cacciatore, ma la selvaggina?» «È quello che ho pensato, padre. Due persone somiglianti per età e corporatura. E si sapeva che Tutilo era uscito dall'abbazia quella sera, e per quale strada sarebbe ritornato, o perlomeno si pensava, secondo quanto ci aveva fatto credere. Padre, ammettiamolo, si era creato una quantità di nemici, qui, con le maniere non sempre irreprensibili.» «Fratello contro fratello...» sottolineò Radulfus. «Anche noi possiamo sbagliare, come tutti gli esseri mortali, malvagità e odio non sono fuori del nostro ambito. Ma allora chi può essere stato il secondo, micidiale fratello?
Nessun altro è uscito dall'abbazia, quella sera.» «Nessuno che sappiamo noi», ribatté Cadfael. «Ma si può farlo di nascosto, ci sono strade per entrare e uscire senza essere visti, se si vuole.» L'abate lo fissò senza batter ciglio, padrone come sempre di sé, benché in tutta l'abbazia accadesse assai di rado qualcosa di cui Radulfus non fosse al corrente, rifletté Cadfael. A volte era uscito e tornato pure lui, di notte, senza passare dalla portineria, per incombenze urgenti nelle quali trovava una giustificazione per la sua indisciplina. Secondo la Regola di san Benedetto, che lui venerava, subito dopo l'amore di Dio, veniva l'amore del prossimo. «Parlate certo per esperienza», commentò Radulfus. «E ciò che dite è indubbiamente vero. Tuttavia, a noi non risulta che qualcuno si sia allontanato in qualche modo dall'abbazia, quella notte. O forse voi sapete qualcosa di cui noi siamo all'oscuro?» «No, padre, non so niente altro.» «Scusate il mio ardire», intervenne il conte Robert, «ma se l'oracolo ha parlato di due fratelli, perché non chiedere qualche segno che possa indicarci la via da seguire? Non un nome, certo, non sarebbe possibile, ma vi sono altri modi per farcelo capire, come ha già fatto la vostra santa.» A poco a poco, quasi di soppiatto, tutti i fratelli erano scesi dai loro stalli, disponendosi in cerchio attorno al gruppo, ai piedi dell'altare. Non troppo vicino, ma quanto bastava per udire ciò che si diceva e ascoltando attenti e ansiosi. Nell'aria, un'atmosfera d'imbarazzo e di tensione, che non sfuggì di certo a Cadfael. «Se i fratelli si sentono in stato d'accusa per questo termine», continuò il conte, «penso che dovrebbe essere uno di loro a chiedere quel segno, se voi siete d'accordo, padre. Chi è innocente ha il diritto di non essere incolpato a torto, come chi è colpevole ha il dovere di pagare per ciò che ha fatto.» Se il conte si stava divertendo una volta ancora, rifletté Cadfael, almeno lo faceva con l'eloquente dignità di un arcivescovo o di un giudice del re. E comunque fosse, non era un uomo da lasciare irrisolto quell'arcano. Aveva un attento ascoltatore nel priore Robert, suo omonimo. Ormai certo di serbare la sua santa, insieme con la gloria che si rifletteva su di lui per averla trovata e portata all'abbazia, non vedeva l'ora che tutto fosse chiarito e risolto, e che quei fastidiosi ospiti venuti da Ramsey se ne tornassero alla loro abbazia, prima di combinare altri guai. «Padre», disse in tono mellifluo e insinuante, «mi sembra giusto e dove-
roso. Dobbiamo fare come dice il signor conte?» «Senz'altro», convenne Radulfus. «Pensateci voi.» Il priore girò lo sguardo sul cerchio silenzioso dei monaci che lo fissavano in reverente attesa. Il nome che pronunciò era il più logico e gli parve strano di non vedere accanto a sé il suo fedele seguace. «Fratello Jerome, affido a voi questo compito, nell'interesse di tutti. Venite avanti e fate il vostro esperimento.» Ma certo! Dov'era fratello Jerome e come mai non lo si era né visto né sentito da tanti giorni? Mentre non era stato lontano neppure di un passo dal suo amato priore, sempre pronto ad approvare con ossequiosa adulazione ogni parola. Pensandoci ora, Cadfael si rese conto di non averlo più visto da quella sera in cui lo avevano trovato nel suo letto tremante di febbre e sconvolto da mal di stomaco e vomito, e aveva dovuto accorrere da lui con pastiglie e sciroppi per calmarlo. Finalmente il cerchio ben ordinato dei fratelli più lontani si scompose e ne emerse fratello Jerome, senza fretta, quasi controvoglia, con la testa china e le braccia strette al petto come se avesse freddo. Col viso grigio e smunto sembrava ammalato, esausto, ma il priore Robert ritenne che fosse soltanto riluttante ad accettare un compito che avrebbe dovuto sentirsi onorato di assolvere, e lo invitò con un gesto autoritario ad avvicinarsi all'altare. «Venite, vi aspettiamo. Aprite devotamente quel libro.» L'abate, dopo aver richiuso il sacro libro, era là fermo, immobile. Jerome si avvicinò lentamente ai gradini, si fermò un momento, titubante, poi respirò a fondo e posò un piede sul primo scalino, ma lo ritrasse immediatamente e, nascondendo il viso tra le mani, cadde in ginocchio con un grido soffocato e crollò bocconi. «Non posso», gemette, «non posso... Lei mi fulminerebbe, se osassi... Non è necessario, mi arrendo, ammetto il mio orribile peccato! Ho seguito il ladro, ho aspettato che tornasse e, Dio abbia pietà di me, ho ucciso un innocente!» CAPITOLO X Nell'inorridito silenzio che seguì a quella stupefacente confessione, il priore Robert restò per qualche momento immobile, allibito e incredulo. Che una sua creatura potesse cadere in peccato mortale era già sconcertante, ma che quel peccato fosse addirittura un delitto oltrepassava i limiti
della comprensione umana. E così pensò anche Cadfael, per il quale tuttavia quella confessione era illuminante. L'idea di Jerome cereo e stravolto sul suo letto, dopo aver vomitato l'anima, senza dubbio tormentato dai sensi di colpa e trascurato da tutti, lo mosse per la prima volta a compassione. Fratello Rhun, il più giovane, spontaneo e servizievole di tutta l'abbazia, seguì il suo primo impulso e, senza chiedere il permesso, s'inginocchiò accanto a Jerome, gli mise un braccio attorno alle spalle e lo sollevò un poco, stringendolo a sé, prima di voltarsi a guardare fiducioso l'abate. «Padre, comunque sia, sta male! Permettetemi di restare qui con lui, vi prego!» «Bene, agite come vi detta il cuore», assentì Radulfus, non meno pallido del priore, «e lo stesso devo fare io. Alzate la testa e guardatemi, Jerome!» Quella che gli veniva richiesta era una pubblica ammissione di colpa, al cospetto di tutti i fratelli, ma il tono risolutorio e non severo dell'abate fu un sollievo, e spinse Jerome a dominarsi. Il primo passo, il più difficile, lo aveva fatto, e come accennò a raddrizzarsi Rhun fu pronto a sostenerlo. «Obbedisco, padre. Intendo confessare tutto e scontare la pena che merito. Ho commesso un peccato orribile!» «Confessione e penitenza sono il principio della saggezza», osservò l'abate. «Senza quelle, nessuna grazia è possibile. Ciò che avete fatto lo avete detto, raccontateci ora com'è accaduto.» Il titubante racconto si protrasse per qualche tempo, mentre Jerome, che sembrava pietosamente esile, rattrappito e infelice, restava lì in ginocchio, sostenuto dal caritatevole braccio di Rhun, con il suo viso radioso accanto al proprio, a sottolineare stridenti differenze. Com'è spaventosamente grande la varietà del genere umano. «Padre, quando si è appurato che le reliquie di santa Winifred erano finite sul carro diretto a Ramsey, la mia reazione è stata una collera furiosa verso il ladro che aveva osato un tale sacrilegio e quella sera, quando ho saputo che aveva chiesto e ottenuto il permesso di recarsi a Longner, ho temuto che intendesse fuggire, o quantomeno allontanarsi per qualche tempo, consapevole che la giustizia poteva tuttora raggiungerlo. Non riuscivo a tollerare che se ne andasse libero e indisturbato! Lo odiavo! Ma ero lontano mille miglia dall'intenzione di uccidere, quando andai ad aspettarlo sul sentiero lungo il quale sarebbe tornato. Non so bene nemmeno io che cos'avessi in mente... Affrontarlo, accusarlo, fargli capire che lo aspettavano le fiamme dell'inferno, se non avesse confessato il suo misfatto e pagata la giusta pena.»
«E siete andato a mani vuote?» domandò l'abate. Una domanda logica, ma Jerome parve non capire il sottinteso. «Certo, padre! Che cosa mai avrei dovuto portare con me?» «Non importa! Continuate.» «Bene, quando ho udito qualcuno avvicinarsi tra i cespugli, ho pensato che doveva essere Tutilo. L'ora e il posto concordavano. Non sapevo da quale strada sarebbe venuto quell'altro, oltretutto poteva darsi che fosse già tornato indietro, inutilmente, come aveva progettato il ladro. E questo... camminava tranquillo e disinvolto, nonostante il buio, fischiettando canzoni profane. Come se non avesse alcun pensiero al mondo... Non ho saputo resistere. Ho raccattato un ramo caduto, e quand'è stato vicino l'ho colpito alla testa. È crollato, padre, di sbieco lungo il sentiero, il cappuccio gli è scivolato dal capo e lui non si è più mosso. Allora mi sono avvicinato, mi sono inginocchiato e l'ho visto in faccia, nonostante il buio. Non era il mio rivale, non il nemico della santa, non il ladro! E io lo avevo ucciso! Sono fuggito... Tremante e sconvolto dalla nausea, sono fuggito e non ne ho fatto parola con nessuno, ma lui era sempre presente nei miei pensieri. Confesso la mia imperdonabile colpa e me ne pento amaramente, mi rammarico di avere alzato la mano contro un innocente, ma quel che è fatto è fatto, sono stato io a ucciderlo!» Jerome chinò la testa nel cerchio delle braccia alzate, nascondendo il viso e singhiozzando, ma non disse altro. E Cadfael, che stava per aggiungere qualcosa al suo racconto, tacque a sua volta. Jerome aveva certamente detto tutto ciò che doveva, e anche il peso che sorreggeva era superiore a quanto meritava: si poteva lasciare che lo portasse ancora per un poco. Quel terribile responso: «Il fratello darà la morte al fratello», poteva valere pure per lui perché, anche se non lo aveva proprio ucciso, aveva praticamente destinato alla morte Aldhelm. Ma se quella fatalità era poi stata opera di un fratello, rifletté Cadfael, l'assassino doveva essere lì fra loro. E, in tal caso, meglio lasciargli credere che la spiegazione offerta da Jerome fosse stata accettata senza riserve e lui fosse al sicuro, insospettato e insospettabile. Chi è convinto di non correre alcun pericolo non pensa neanche a stare in guardia e può commettere qualche scempiaggine che lo tradisce. In via confidenziale, sì, bisognava dire la verità all'abate, ma soltanto a lui. Jerome era stato sciocco, certo, ma non quanto lui stesso e gli altri credevano. E se era giusto che pagasse per ciò che aveva fatto, non doveva espiare per un crimine vile e spietato commesso da altri. «Una confessione terribile e dolorosa», commentò l'abate Radulfus, ac-
corato. «Una sciagura incomprensibile, imprevedibile e soprattutto, purtroppo, irrimediabile. Dovrò, dovremo pregare e riflettere a lungo prima di fare qualche passo che potrebbe essere errato. Inoltre, non è una questione di mia competenza, si tratta di un omicidio, e questo riguarda lo sceriffo, che oltretutto troverà già a sua disposizione il reo confesso.» Jerome era ormai pronto ad accettare tutto, qualsiasi accusa, qualsiasi punizione, umile e rassegnato. «Padre», mormorò, «qualsiasi penitenza abbia a essermi inflitta sarà la benvenuta per me. Non cerco attenuanti, intendo pagare interamente il debito per i miei peccati.» Della sua profonda desolazione in quel momento non v'era da dubitare. Quando Rhun cercò di aiutarlo ad alzarsi, respinse il suo braccio, restando ostinatamente in ginocchio sul pavimento. «Padre», continuò, «lasciatemi andar via da qui, lasciatemi piangere lontano da tutti.» «Lontano da tutti potrete stare», replicò l'abate, «ma non per piangere. Se è troppo presto per giudicare, non è mai troppo presto per pregare, quando il pentimento è sincero. Pensateci voi, Robert», continuò senza staccare gli occhi da quell'infelice figura inerte sulla pietra gelida, come se non avesse a rialzarsi mai più. «E voi, fratelli, tornate ai vostri compiti. In qualsiasi momento o circostanza, avanti a tutto c'è l'osservanza dei vostri voti.» Il priore Robert, taciturno e allibito, tanto da perdere persino un po' della sua abituale, studiata dignità, condusse il suo prostrato seguace alla seconda cella penitenziaria: la prima volta, rammentò Cadfael, che venivano occupate entrambe contemporaneamente. Il vicepriore Richard, sempre placido e sereno qualunque cosa accadesse, provvide poi a rimandare in buon ordine i confratelli alle loro occupazioni e quindi al refettorio per il pranzo, calmando il suo gregge, così che quando sedettero a tavola nessun pensiero venne a turbare il loro normale appetito. Herluin si era giudiziosamente astenuto dal prendere parte a quell'impiccio, visto che tornava a vantaggio del buon nome di Ramsey e creava un penoso imbarazzo a Shrewsbury. Avrebbe accettato di buon grado l'offerta del conte e si sarebbe ritirato nel proprio monastero, ma come avrebbe trattato Tutilo quando lo avesse riavuto là metteva paura soltanto a pensarlo. Herluin non era tipo da dimenticare e perdonare. Quanto alla ritirata dal campo di battaglia di Robert Bossu, fu un model-
lo di accortezza e tatto, quieto, coscienzioso, perspicace ed efficiente com'era: due parole a Radulfus e una brusca occhiata ai due scudieri che lo capivano a un lieve alzar di ciglio e al fugace lampo di un sorriso. Bossu sapeva quando mettere in evidenza il proprio rango e quando e come eclissarsi in mezzo a una moltitudine. Cadfael aspettò il momento buono per avvicinarsi all'abate, quando lasciò il coro. «Una parola, padre! C'è altro da aggiungere riguardo a questa storia, anche se non in pubblico, non ancora.» «Ha forse mentito, oltre che ucciso?» domandò Radulfus sottovoce, senza girare il capo. «Né l'uno né l'altro, padre, se è vero ciò che penso. Ha detto tutto quello di cui è a conoscenza, e tutto quello che crede di sapere, e sono certo che non ci ha nascosto niente. Ma vi sono particolari che lui ignora e svelarli potrà chiarire un caso tuttora tanto oscuro. Concedetemi un colloquio privato, poi vedrete voi che cosa si dovrà fare.» Radulfus rimase per qualche momento a guardare i confratelli che si allontanavano in silenzio verso il chiostro, prima di parlare. «Dite che finora abbiamo udito soltanto la metà... e la metà peggiore, di quanto c'è da sapere? Quel povero giovane riposa là nella sua bara, il suo parroco lo riporterà oggi stesso a Upton, perché venga seppellito tra la sua gente, e non voglio ritardare in alcun modo il suo ultimo viaggio.» «Non è necessario», lo rassicurò Cadfael. «Lui mi ha detto tutto quanto poteva, e quello che posso aggiungere io l'ho dedotto chiaramente stamattina, benché siano state le sue condizioni e il posto dov'è stato rinvenuto a farmelo capire. Ciò di cui sono stato testimone l'ha visto pure Hugh Beringar, ma, dopo quanto è venuto alla luce stamattina, quei particolari assumono un diverso valore.» «In tal caso», osservò Radulfus dopo una breve riflessione, «penso che prima di fare altri passi sarebbe opportuno avere Hugh con noi. Una collaborazione che potrà essere utile a noi e pure a lui. Chiesa e Stato devono rispettarsi e aiutarsi a vicenda, anche in tempi difficili come questo. La giustizia è sempre uguale per tutti. Cadfael, volete andare voi a chiedergli di venire qui, oggi pomeriggio? Così potremo sentire tutti insieme quello che avete da dire a vostra volta.» «Molto volentieri, padre.» «E come dobbiamo interpretare questa serie di prodigi che ci avete snoc-
ciolato?» domandò Hugh, mentre pranzavano. «Devo credere davvero che ogni responso sia stato proprio quello adatto, come se qualcuno avesse sfogliato le pagine dei Vangeli e segnato quelle che avrebbero potuto intrappolare il richiedente? Siete certo di non averlo fatto voi?» Cadfael scrollò risolutamente la testa. «Non m'immischio con la mia santa. Non ho fatto imbrogli, e nemmeno ne ha architettati qualcun altro, non v'era niente d'irregolare quando ho messo a posto il libro prima che si avvicinassero altri. L'ho aperto e mi è capitata sotto gli occhi la mia risposta, laddove prima ero stato cieco. E non so come spiegarlo, a meno che non sia stata proprio lei a guidare la mia mano!» «E tutti gli oracoli successivi? Ramsey non soltanto rifiutata, ma incolpata... Un po' dura per Herluin! E il conte Robert burlato con un paradosso! Poi a Shrewsbury... 'Non siete voi che avete eletto me, ma io ho eletto voi.' Mi sembra un avvertimento, più che una constatazione. E stata lei a prediligervi e può anche abbandonarvi, se vuole. Meglio che stiate bene in guardia, perché non sopporterà che un altro scompiglio del genere sconvolga la sua regola. Un monito inteso particolarmente per il priore Robert, oserei dire, che è convinto di essere stato lui a sceglierla e quindi si comporta come se appartenesse personalmente a lui. Avrà compreso l'allusione?» «Ne dubito. È troppo fiero di se stesso.» «E infine, Cadfael, riguardo alle pagine che si voltano da sole e si fermano al punto giusto. Troppi miracoli per una sola mattina!» «Chissà, i miracoli possono essere talvolta una semplice manipolazione divina di circostanze normali. Perché no? Prendiamo l'ultimo oracolo, per esempio. Il libro dei Vangeli era rimasto aperto e un soffio di vento penetrato dalla porta meridionale ha scomposto le pagine, voltandole a ritroso da Giovanni a Matteo. Non è entrato nessuno, è vero, ma qualcuno deve avere aperto il battente, richiudendolo subito quando ha udito le voci, per non disturbare. Nessun dubbio riguardo al vento, lo abbiamo sentito tutti. Poi le pagine non si sono più mosse, perché fra l'una e l'altra c'erano petali e un rametto di biancospino caduti dalle mie maniche quando ho chiuso il libro. Un intoppo insufficiente per ostacolare il movimento delle pagine quand'era una mano a voltarle, ma più che bastante quand'è stato soltanto il vento a farlo. Ma anche così, possiamo definirlo un puro caso? E, ora che ci penso», continuò Cadfael scuotendo la testa incerto fra dubbio e convinzione, «il vento non soffiava più, ancora prima che la pagina si fermasse. Ho visto l'ultima voltarsi lentamente e restare per un attimo ritta, prima di
adagiarsi. E l'aria sopra l'altare era immobile, le fiammelle delle candele erano ferme ed erette, senza il minimo tremolio.» Aline aveva seguito il colloquio attenta e silenziosa. C'era sempre qualcosa di misterioso e di arcano in lei, qualcosa che filtrava dai suoi occhi blu e dall'espressione indulgente e divertita di una nonna che guardasse i nipotini impegnati nei loro giochi. «Come accade spesso», osservò Hugh con un sorrisetto remissivo, «la mia dolce signora si sta divertendo alle nostre spalle!» «Non è vero!» protestò lei. «Mi sto semplicemente chiedendo come mai il passo da fatti abituali a eventi miracolosi, che è così breve, vi stupisca tanto. Se non fosse stupefacente non sarebbe miracoloso, non vi pare?» Nello studio dell'abate trovarono anche il conte di Leicester che, riguardoso come sempre, al loro arrivo accennò cortesemente a congedarsi. «Voi avete problemi ai quali io sono estraneo, e non voglio esservi d'impiccio. Padre abate, mi avete benevolmente concesso questa visita giacché ho assistito a quanto è accaduto stamattina, ma ora avete altre inchieste da svolgere, a quanto pare. Permettetemi dunque di congedarmi e sgombrare il campo.» «Signor conte», intervenne Hugh, «tutta questa storia riguarda anche voi e la vostra esperienza è tanto maggiore della mia. Se il padre abate acconsente, restate qui, vi prego, e aiutateci col vostro discernimento. C'è di mezzo un omicidio, un argomento che riguarda l'umanità intera.» «Sì, restate con noi», assentì Radulfus. «Hugh ha ragione, abbiamo bisogno di ogni consiglio possibile.» «E io sono curioso quanto è ragionevole esserlo», confessò il conte, sedendosi di nuovo. «Il padre abate», proseguì poi, rivolgendosi a Hugh, «mi ha detto che c'è altro da aggiungere a quanto è accaduto qui stamane, e suppongo che voi ne siate al corrente.» «Sì, me lo ha riferito Cadfael, la confessione di fratello Jerome e tutto il resto. Ed è certo che noi due, in base a quanto abbiamo rilevato sul posto, potremmo arrivare molto più in là di quello che sa Jerome stesso.» Cadfael sedette accanto a lui sulla panca a ridosso della parete. «Jerome ha detto il vero», confermò. «Perlomeno riguardo a ciò che conosce lui, che non è tutta la verità. È andato ad aspettare là su quel sentiero, ha detto, ed è così. Ci siamo recati là anche noi, appena fuori del bosco, dove il terreno era scalpicciato e l'erba appiattita. Aveva raccattato un ramo, e quando quel povero giovane è arrivato, lo ha colpito violentemente al capo, lui è caduto tramortito e il cappuccio gli è scivolato dalla testa. Tutto vero,
abbiamo trovato il ramo che, già un po' imputridito, si è spezzato nell'urto, ma è stato tuttavia sufficiente per fargli perdere i sensi. E il corpo giaceva, come ha detto Jerome, di sbieco attraverso il sentiero. Allora lui, convinto di averlo ucciso, è fuggito ed è corso a nascondersi qui. Vero pure questo, perché fratello Richard lo ha rinvenuto tremante sul suo letto, straziato dal vomito e dal mal di stomaco. Gli ho portato io stesso le medicine per calmarlo. Ma Jerome non ne ha mai fatto parola con nessuno, né di quello né, tanto meno, di ciò che aveva fatto. Ora ha riferito di un colpo, soltanto uno, e io gli credo.» «Anch'io», convenne Radulfus. «Arrivati a questo punto, a quale scopo nascondere qualcosa?» «Certo. Da quella sera si è trascinato come un moribondo, inorridito lui stesso per ciò che aveva fatto. E di un colpo singolo ho avuto la prova esaminando la testa del povero Aldhelm. Un'unica ferita sul lato posteriore, dove ho trovato pure minute schegge di legno. Una botta che avrebbe potuto fargli perdere i sensi per un po', ma certo non fratturargli il cranio, e men che meno ucciderlo. Voi che ne dite, Hugh?» «Che avrebbe avuto un tremendo mal di testa, dopo, ma niente di peggio. Inoltre avrebbe sicuramente ripreso i sensi nel giro di un quarto d'ora o poco più. Nonostante tutto, Jerome non aveva arrecato gran danno alla sua selvaggina!» «Esatto. E se, invece di darsi alla fuga, Jerome si fosse soffermato a dare un'occhiata alla sua vittima, se ne sarebbe reso conto pure lui.» «Ci sarebbe voluta una freddezza che probabilmente lui non possiede», osservò il conte. «Inoltre, era certo di averlo ucciso!» «È fuggito in preda al terrore», aggiunse Cadfael. «E quando ha poi saputo che Tutilo aveva rinvenuto Aldhelm morto, che altro avrebbe potuto pensare?» «E seppur coi ragionevoli dubbi», commentò l'abate, «non potremmo pensarlo anche noi? Un giovane capace d'intraprendere una simile nequizia... come possiamo essere certi che non si sia invece fermato per portarla a termine?» «Non possiamo, finché non si sia chiarito ogni particolare. Però credo che Jerome abbia detto la verità, almeno quella che conosce lui. Perché quanto è accaduto in seguito è ben diverso, e Hugh potrà confermare quello che ho da dire io.» «Senza dubbio», ribadì lo sceriffo. «A pochi passi dal punto dove giaceva Aldhelm abbiamo trovato un
mucchio di pietre ricoperte di muschio e licheni come se fossero là da gran tempo, ma su di una quello strato era scomposto o addirittura sparito. Una pietra molto pesante, ho dovuto usare le due mani per prenderla. E la parte di sotto era macchiata di sangue. Nascosto, quando la pietra era al suo posto, ma inconfondibile. Indubbiamente lo strumento della sua morte. Una pietra macchiata di sangue e frammenti di muschio e licheni nelle ferite di Aldhelm. Chi gli ha rotto la testa ha poi rimesso accuratamente la pietra sopra le altre. A meno che non si fosse guardato molto da vicino, tutto sarebbe sembrato perfettamente normale. Nel giro di qualche settimana, il tempo e la natura avrebbero colmato le crepe che tradivano l'uso che se n'era fatto. Ma Jerome sarebbe stato capace di farlo? Scavar fuori una pietra di quel peso da un mucchio, sbatterla sulla testa di un uomo esanime e poi ricollocarla freddamente al suo posto? Mi stupisce già che possa essere arrivato a vibrare un colpo tale da tramortire, spezzando addirittura quel ramo, anche se era già mezzo fradicio. E non dimentichiamo che lui stesso ha ammesso di avere colpito l'uomo sbagliato. Non v'era alcun contrasto fra lui e Aldhelm. E, ricordando che nessuno lo aveva visto uscire dall'abbazia, si è comportato come chiunque altro in preda al panico, è corso a nascondersi qui, dov'era conosciuto, e nessuno avrebbe mai nemmeno immaginato che avesse potuto commettere un'azione simile.» «Intendete dunque dire», rimarcò il conte, «che gli aggressori sarebbero stati due, perché il vostro povero Jerome, dopo avere scoperto il proprio errore, non avrebbe avuto alcun motivo per accanirsi contro una persona che non c'entrava per niente?» «Sì», confermò risolutamente il monaco. «E voi, sceriffo?» «Sì, lo credo anch'io.» «Allora», insisté il conte, «chi ha completato l'opera aveva un motivo per levare di mezzo Aldhelm prima che arrivasse all'abbazia. Non Tutilo, ma proprio Aldhelm. L'assassino lo conosceva bene e lo ha visto in faccia quand'è caduto e gli è scivolato dal capo il cappuccio. Non è stato un errore, Aldhelm è stato ucciso perché era Aldhelm!» «È logico», convenne Radulfus. «Era là, a viso scoperto, benché Jerome abbia dovuto inginocchiarsi per vederlo bene, nella scarsa luce della sera. Ma se ha potuto riconoscerlo lui, lo stesso è stato per quell'altro.» «Inoltre», osservò Hugh, «dubito che Aldhelm sia rimasto là inerte per più di un quarto d'ora, dopo quel colpo alla testa. Chi lo ha ucciso lo ha fatto in quel breve tempo, perché lui non si era mosso. Se, incoscientemente,
lo ha fatto dopo il secondo colpo, fatale, è stata soltanto la convulsione di un attimo, nello spasimo della morte. L'omicida doveva essere vicino, forse aveva assistito alla prima aggressione. Senz'alcun dubbio, era là poco dopo. Avete già rilasciato Tutilo, padre?» domandò bruscamente lo sceriffo. «Non ancora», rispose Radulfus, senza stupirsi di quella domanda apparentemente illogica. Ciò che aveva in mente Hugh era abbastanza chiaro. «Forse sarebbe bene procedere con la massima calma, ma avete comunque fatto bene a parlarne. Tutilo percorreva quel sentiero e ha trovato Aldhelm morto. A meno che... a meno che in quel momento fosse ancora vivo. Sì, potrebbe essere stato davvero Tutilo a finire ciò che Jerome aveva cominciato.» «A me ha detto», spiegò Hugh, «e penso lo abbia riportato anche a voi, di non aver potuto riconoscere, nel buio, chi fosse quel morto. E se l'assassino era stato là prima di lui, è indubbiamente vero. Non lo abbiamo capito neppure noi, di giorno, finché Cadfael non gli ha girato il viso verso la luce diretta. Vi ha persino detto, padre abate, di avere toccato la testa di quel morto, dov'era frantumata. Tutto, in lui, il comportamento, la voce, il raccapriccio evidente, perché tremava al solo parlarne, ha per me l'accento della verità. Tuttavia, può anche essere vero che sia arrivato là poco dopo la fuga di Jerome, quando il presunto cadavere era soltanto tramortito, che lo abbia riconosciuto e ucciso, e in seguito abbia escogitato il modo per sottrarsi a qualsiasi sospetto venendo a raccontare tutto a me.» «Nessuno di quei due mi sembra un probabile assassino», osservò il conte. «Fracassare la testa di qualcuno con un sasso... non si può mai sapere che cosa arriverebbe a fare un uomo in un caso estremo! Ma, dopo, avere l'accortezza e il sangue freddo per rimettere esattamente al suo posto quel sasso e far sparire ogni traccia, ben pochi riuscirebbero a farlo. Bene, ora li avete tutti e due sottochiave, non c'è fretta.» «C'è anche una questione di tempo», precisò Cadfael. «Voi, Hugh, mi avete detto di avere saputo dal parroco di Upton che lui e Aldhelm si erano separati a Preston, quando Aldhelm è andato a prendere il traghetto.» «Sì, attorno alle sei di sera. E da Preston, calcolando traghetto e strada fino al punto dov'è stato aggredito, avrebbe impiegato tutt'al più mezz'ora. Me lo ha confermato anche il traghettatore. Alle sei e mezzo al massimo, dunque, doveva essere là dov'è morto. Se voi siete in grado di provare indubitabilmente dov'è stato Tutilo fino a quell'ora, potremo cancellarlo dall'elenco e dimenticarci di lui.»
CAPITOLO XI «Non ho ancora avuto l'occasione di conoscervi», osservò Robert Bossu, «ma so, come saprete sicuramente voi, che il nome di Hugh Beringar è conosciuto e stimato tra la gente per bene. E come potrebbe essere altrimenti, quando le finanze dello Stato sono quasi sempre in dissesto, e i dipendenti della cancelleria hanno perso i contatti con la maggior parte del paese? Quanti cittadini, quanti enti pubblici o privati pensate che paghino regolarmente i loro tributi? La vostra contea, invece, non è mai in debito e gode almeno di una certa pace, si può sperare di non correre pericoli per le strade, che qui sono abbastanza sicure. Inoltre, so che siete in ottimi rapporti con Owain Gwynedd, benché Powis si roda il fegato!» «Faccio il possibile per conservarmi il posto», ribatté Hugh con un sorrisetto sarcastico. «Fate il possibile per mantenere la quiete nella vostra contea, come fanno tutti gli uomini saggi, ma non sempre con successo.» Erano nell'appartamento del conte alla foresteria, seduti uno di fronte all'altro ai lati di un tavolino con coppe e caraffe di vino, separati dal mondo da una pesante cortina davanti alla porta. Robert Bossu era servito con la massima cura. I due scudieri erano sempre pronti ai suoi ordini, muovendosi senza rumore, e senza aprir bocca, ma ciononostante lui li mandò fuori, prima di parlare confidenzialmente con un estraneo, o quasi. «Mi piace l'ordine», disse Hugh, «e preferisco vedere la mia gente viva e in buona salute, per quanto dipende da me. Detesto gli sprechi di vite umane, di tempo che potrebbe essere impiegato proficuamente, e di terre che potrebbero dare frutti preziosi. V'è da stupirsi se cerco d'impedirli nella mia giurisdizione?» «No davvero!» approvò il conte. «Ciò che voi dite ora, io lo sostengo da tempo. Per quanti anni ancora durerà questo avanti e indietro che sfocia sempre in un punto morto? Voi siete un seguace di Stefano e lo sono anch'io, altri non meno onesti di noi seguono l'imperatrice. Ci impegoliamo così, senza pensarci troppo, ma verrà il momento, Hugh, in cui dovremo riflettere, da entrambe le parti, prima che lo spreco sia diventato totale e non si possa fare più niente.» «E noi due, voi e io, andiamo conservando quant'è possibile in attesa di quel giorno?» obiettò Hugh, corrugando la fronte. «Oh, dovrà passare ancora qualche anno, ma quel giorno verrà. Ve n'era
già traccia quando abbiamo cominciato, quando Stefano regnava in Normandia come in Inghilterra. Ma quattro anni fa, e forse più, è cambiato tutto. Goffredo d'Angiò è penetrato con la forza in Normandia e se n'è impadronito, accampando i diritti di sua moglie e in nome di suo figlio.» «Già!» convenne mestamente lo sceriffo. «E quello stesso anno vi è andato anche il conte di Meulan, con la speranza di potersi accordare con Goffredo per la salvaguardia del proprio territorio.» «Che altro avrebbe potuto fare mio fratello?» ribatté Robert. «È il signore di quella regione, ne porta persino il nome: Waleran, conte di Meulan, e per quanto cari possano essergli i suoi titoli in Inghilterra, il suo dominio è là, non può rinunciarvi. Io sono fortunato, Hugh, ho ereditato da mio padre i titoli e le terre inglesi, posso dormire tranquillo. Sì, mia moglie mi ha portato Breteuil, ma quello è la parte minore del mio cuore, come lo è il titolo di Worcester per mio fratello. Così lui è denigrato come voltagabbana a favore di Maud e io sono apprezzato come fedele seguace di Stefano. Quale differenza vedete tra noi, Hugh? Fratelli gemelli, il più stretto legame di sangue possibile...» «Nessuna», affermò Hugh. «Capisco benissimo che, perduta la Normandia, le cose stiano così, ora, non soltanto per i fratelli Beaumont. Chi non accetterebbe qualche compromesso per difendere i propri diritti e l'eredità dei suoi figli? E anche se possiamo considerare vostro fratello come un fedele di Goffredo d'Angiò, sono certo che farà il minor danno possibile a Stefano e darà il minor aiuto possibile all'angioino. E voi non verrete meno alla vostra fedeltà, ma senza fare un passo contro Goffredo, come Waleran eviterà di farne contro Stefano. E là lui occulterà la vostra costante devozione e proteggerà i vostri interessi, come fate voi qui per lui. La divisione tra voi non è affatto tale. È un'aggregazione nell'interesse di entrambi, né di Stefano né dell'imperatrice.» «Nell'interesse del buon senso», sottolineò il conte, sorridendo. «Lo pensate pure voi. Questa è diventata una guerra che non può essere né vinta né persa. Vittoria e disfatta sono diventate entrambe impossibili, ma purtroppo potranno ancora passare anni prima che la maggior parte della gente cominci a capire. Noi che cerchiamo di montare due cavalli lo sappiamo già.» «Se non si può né vincere né perdere», riprese Hugh, «dev'esserci un'altra strada! Nessun paese può vivere eternamente in una caotica situazione di stallo tra due forze esauste, senza governo, mentre due gruppi di vecchi sconcertati se ne stanno accoccolati sui loro magri guadagni, scrutandosi
desolatamente a vicenda, incapaci di alzare una mano per il coup de grâce.» Robert Bossu rifletté per qualche momento guardandosi le mani, prima di alzare gli occhi sul viso attento e grave dello sceriffo. «Mi piace la vostra diagnosi. È durata troppo a lungo e si protrarrà ancora per qualche anno, non fatevi illusioni. Non c'è via d'uscita, salvo che per la morte di tutti quei vecchi, che non periranno di ferite, ma d'inerzia, disgusto e vecchiaia. Non vorrei aspettare tanto da diventare come loro!» «E nemmeno io!» concordò Hugh. «Ma che cosa si può fare mentre si aspetta, forse fino ai limiti della sopportazione?» «Mantenere il proprio posto, badare al proprio gregge, assicurare i propri steccati... e affilare la spada.» «Riscuotere le proprie rendite e pagare i debiti tributi?» aggiunse lo sceriffo. «Anche quello. Fino all'ultimo penny. E soprattutto tenere per sé le proprie idee. Anche quando termini quali traditore e voltagabbana volano liberi come frecce, abbattendosi a caso su un bersaglio qualsiasi. Io volevo bene a Stefano e gliene voglio tuttora, ma detesto questo rovinoso nulla che hanno combinato lui e sua cugina.» Il pomeriggio andava ormai declinando verso le prime ombre del crepuscolo, tra poco sarebbe suonata la campana del vespro. Hugh bevve l'ultimo sorso e posò la coppa sul tavolo. «Bene, è meglio che vada a badare al mio gregge, se posso considerare come miei i due prigionieri dell'abate. Abbiamo ancora un omicidio da risolvere. E voi, conte? Tornerete al vostro maniero, ora, suppongo. In tempi come questi è meglio non restare lontano troppo a lungo.» «Mi dispiace andarmene senza conoscere la fine», ammise Robert Bossu con un sorrisetto quasi di scusa. «So che l'omicidio non è uno scherzo, ma quei due prigionieri... Pensate che l'uno o l'altro possa essere capace di uccidere? Ah, purtroppo quello che uno ha in mente non gli si può leggere in faccia! Bene, domani o dopo io me ne tornerò a casa. È stato un piacere conoscervi, Hugh. E me ne vado con un altro regalo, vengono con me Rémy e il suo seguito. Per fortuna sono arrivato prima che partisse per Chester, una eventualità favorevole anche per lui, perché là il suo genio sarebbe stato sprecato.» Hugh si accomiatò e il conte lo accompagnò doverosamente fino alla porta. Aveva trovato un orecchio attento alle proprie confidenze, e lo apprezzava per i suoi ideali e i suoi valori. «Ricordatelo, Hugh!» raccomandò
come ultimo saluto. Dopo il vespro e la visita a Tutilo nella sua cella, Hugh e Cadfael si rifugiarono nel laboratorio a riflettere sul poco che avevano ricavato da quella visita: poco, ma ostinatamente concordante con quanto Tutilo aveva dichiarato fino dal principio. Ed era sembrato che non fosse eccessivamente preoccupato per il proprio futuro e che non si rendesse conto dei trabocchetti nei quali poteva cadere a ogni passo. Riguardo a Daalny nemmeno una parola. Se ne stava là seduto sul suo miserabile giaciglio, composto e rassegnato, rispondendo senza esitazione a tutte le domande, e spalancò gli occhi strabiliato quando Cadfael gli raccontò come i Vangeli avessero definitivamente riportato santa Winifred a Shrewsbury e fratello Jerome avesse barbugliato la sua sorprendente confessione piuttosto che aspettare di essere accusato dal cielo. «Me?» proruppe Tutilo, incredulo. «Cercava me?» E scoppiò in una breve, sonora risata al pensiero di Jerome in veste di assassino e di se stesso in quella di vittima. Poi si portò le mani al viso come se si vergognasse di aver potuto ridere in una situazione simile. «E quel poveretto là inerme e qualcuno... Oh, Signore, come si può... No, non Jerome, non è possibile!» Desideroso di trasmettere agli altri la propria certezza, lui che aveva trovato quel relitto umano: «No, non potete, non dovete crederlo!» Un'altra certezza. Chi, sano di mente, avrebbe mai potuto credere che Jerome, esile, magro e smunto com'era, fosse stato in grado di sfondare il cranio di un uomo con una pietra che probabilmente non sarebbe stato nemmeno in grado di sollevare? «Poiché non siete andato a Longner», osservò Hugh, «dove siete stato quella sera, per tornare proprio da quella strada?» «Volevo soltanto essere lontano da tutti», spiegò Tutilo. «Mi sono rifugiato nella soffitta della stalla alla Fiera Equina e sono rimasto là finché non ho udito la campana di compieta, poi sono andato quasi fino al traghetto, per far credere che tornavo da Longner, se qualcuno mi avesse visto.» «Solo?» domandò Hugh. «Solo, naturalmente.» Mentiva, fermo e risoluto. Ma non serve, se non si è convincenti. No, non aveva incontrato nessuno, all'andata o al ritorno, che potesse comprovare i suoi spostamenti. Aveva ammesso la parte peggiore di ciò che aveva fatto e non sembrava preoccuparsi del resto. Hugh e Cadfael ri-
chiusero la porta, riportando la chiave in portineria, e tornarono nella quiete del laboratorio, riattizzando il braciere e chiudendo la porta sul buio della sera. «E ora», disse Cadfael, «spero che vorrete perdonarmi se vi dico che cos'altro ha fatto, quello che non ha detto lui.» Hugh sedette sulla panca, appoggiandosi contro la parete. «Per che cosa devo perdonarvi? Come al solito, ne sapete più di me. Che cosa non mi ha rivelato?» «Non lo ha detto nemmeno a me. L'ho saputo da qualcun altro, con la promessa che non ne avrei parlato con nessuno, nemmeno con voi, ma mi scuserà se non mantengo la promessa. Daalny... L'avete vista in giro, ma di solito se ne sta in disparte...» «Sì, la cantante di Rémy, quella graziosa fanciulla venuta dalla Provenza.» «Dall'Irlanda, per l'esattezza. Ma sì, quella. Sua madre era stata venduta a Bristol e lei è nata in schiavitù. Un commercio che esiste tuttora, le prediche del vescovo Wulstan non lo hanno reso illegale, lo hanno soltanto riprovato, e penso che il nostro ladro santo sia acceso d'entusiasmo in questo momento, senza sapere bene se vuole essere un martire o un cavaliere errante. Ora sogna di liberare l'unica schiava che gli sia mai accaduto, e mai gli accadrà, d'incontrare, benché io dubiti che si sia reso conto della sua bellezza.» «Intendete dire che era con lei, quella sera?» domandò Hugh, che cominciava a divertirsi. «Esatto. E non vuole dirlo perché Rémy apprezza molto la sua voce e ha sempre paura che lei possa sfuggirgli. Il suo servitore aveva saputo per caso che Aldhelm stava venendo qui per identificare il fratello che lo aveva imbrogliato e lo ha riferito a Daalny, sapendo che aveva un debole per quel ragazzo. Lei lo ha avvertito, Tutilo ha inventato la storia di essere stato chiamato a Longner, e ha ottenuto il permesso da Herluin, che non sapeva niente di Aldhelm. Tutilo è uscito normalmente dal portone, si è avviato verso il traghetto, ma poi ha svoltato verso la Fiera Equina e si è nascosto nel fienile sopra la nostra stalla, come ha detto. E lei è scivolata fuori della porta del cimitero e lo ha raggiunto là, dove sono rimasti finché non hanno udito la campana di compieta. Allora si sono separati, tornando poi per la stessa strada, ognuno per proprio conto. Così dice lei, e così non vuole dire lui, per timore di procurarle qualche guaio.» «Sicché per tutta quella sera sono stati comodamente occupati nel fieni-
le, come tanti altri ragazzi e ragazze prima di loro!» commentò Hugh, ridendo. «In un certo senso, sì, ma non come quelli. Lei dice che hanno soltanto parlato. Niente altro. E avevano molto da dire, senza avere mai avuto la possibilità di farlo. Era la prima volta che si trovavano insieme, fuori di queste mura. E hanno persino recitato le preghiere, quando hanno udito la campana di compieta.» «E voi le credete?» «Perché lo avrebbe detto, altrimenti? Non aveva niente di cui giustificarsi con me. Né io le avevo chiesto niente, lo ha confessato spontaneamente.» «Bene: se è vero, vale anche per lui», convenne Hugh. «Concorda col momento in cui è venuto da noi al castello, un'ora dopo l'arrivo di Aldhelm su quel sentiero. Ma se le cose stanno così, fra loro, come possiamo credere ciecamente a quanto dice la ragazza?» «Avete riflettuto», ribatté malinconicamente Cadfael, «che Herluin, fallito lo scopo del suo viaggio, vorrà tornarsene al più presto alla sua abbazia? È il superiore di Tutilo e desidererà senza dubbio portarlo indietro con sé. E, per quanto ne so, al punto in cui siamo, ha il diritto di farlo. Se lo aveste trattenuto al castello in base a un sospetto sarebbe stato diverso, il possesso è fondamentale per la legge. Ma lui è qui, in una prigione dell'Ordine, e sapete anche voi che la Chiesa tiene ben stretto quello che ha. Tra un'accusa secolare di omicidio e una ecclesiastica di furto e falsità, quel ragazzo prediligerebbe forse la seconda, ma tra la vostra custodia e quella di Herluin, francamente preferirei vederlo affidato a voi. Herluin però non se lo lascerà sfuggire. Quello sciocco ha destato nel suo priore la speranza di acquistare una santa miracolosa, poi è miseramente fallito nella sua impresa, facendone motivo di biasimo e umiliazione. E ne pagherà dieci volte tanto la pena, quando Herluin lo riavrà a casa. Non so, forse sarebbe meglio vederlo accusato di una colpa di cui non si è macchiato e consegnato a voi, anziché sottoposto a una penitenza senza fine per quello che confessa lui stesso di aver commesso.» Hugh sorrise, sogguardando affettuosamente il monaco. «È ora di mettersi al lavoro nel poco tempo che rimane, e trovare il colpevole di quell'omicidio, se voi siete certo che non è stato quel ragazzo. Se ne andranno tutti insieme, perché Rémy e i suoi compagni andranno con Robert Bossu al suo maniero, e Herluin farà la stessa strada per tornare alla sua abbazia fino a Leicester, dove il carro è stato aggredito ed è cominciata tutta questa
baraonda. Sarebbe sciocco se non approfittasse dell'occasione per avere una scorta.» Lo sceriffo si alzò, con un profondo sospiro. Era stata una giornata molto movimentata, con tanti enigmi irrisolti e l'unico sollievo di un paio d'ore con Aline e Giles, che a cinque anni li tiranneggiava entrambi; gli altri problemi, più o meno gravi, potevano aspettare fino all'indomani. «Perché Robert Bossu ha voluto parlare privatamente con voi, oggi pomeriggio?» domandò Cadfael, mentre l'amico si avviava verso la porta. «Perché», rispose Hugh fermandosi e voltandosi indietro, «ritiene necessario che in questa contesa giunta a un punto morto tutti gli uomini di buon senso si diano da fare per trovare un modo per farla finita con le fazioni, visto che nessuna delle due ha qualche speranza di vincere. Che in sostanza significa: come uscire da un pantano prima che il fango ti arrivi alla gola. Fateci un pensierino anche voi, Cadfael, mentre sussurrate qualche parola all'orecchio di Dio, a compieta.» Cadfael non avrebbe saputo dire che cosa lo avesse spinto, dopo compieta, ad andare da Tutilo. Forse la voce limpida e pura che proveniva dalla sua cella, effondendosi come una malia nel cortile, quando lui uscì dalla chiesa dopo l'ultimo ufficio della sera. Una luce fioca rischiarava il riquadro della finestrella in alto: il prigioniero non aveva ancora spenta la sua piccola lampada. Un canto sommesso ma perfettamente intonato, di un'incomparabile dolcezza, e una voce che sarebbe potuta essere quella di un bambino o di un angelo. Cadfael si fermò, colpito da tanta bellezza. Mai nulla di così limpido e cristallino si era udito nel coro della chiesa. Benedetta la condizione umana, pensò, che permette a povere, fallibili creature quali siamo, né bambini né angeli, di creare melodie simili, appartenenti a un altro mondo. Una grazia che non meritiamo! Bene, forse era un segno. O forse ciò che lo aveva spinto a quel passo era soltanto la sensazione di dover fare un altro tentativo di ricavare qualcosa di utile da quel figliolo, qualcosa che potesse indicare la via da seguire, magari qualcosa che lo stesso Tutilo non si rendeva conto di sapere. E non era nemmeno da escludere che potesse essere stata un'ispirazione da parte di santa Winifred che lo accompagnava con la propria grazia dalla sua tomba a Gwytherin, perdonandogli la presuntuosa convinzione di avere interpretato la sua volontà, tanti anni addietro. Comunque fosse, Cadfael andò in portineria a prendere la chiave della cella, seguito dal canto struggente di Tutilo. Il fratello portinaio non fece obiezioni; nella sua solitudi-
ne, il giovane si era dimostrato tranquillo e rassegnato, come se gradisse quella pace che gli consentiva di riflettere sulla propria situazione attuale e sulle sue possibilità per il futuro. Indipendentemente dai motivi che lo avevano portato a vestire il saio, la sua fede era sincera, e semplice: se non hai fatto del male a nessuno, nessuno farà del male a te. Salvo che, naturalmente, essendo quello che era, non cercasse di tenere tutti tranquilli, convinti della sua sottomissione, finché non smettessero di badare a lui, e scivolare poi fuori della trappola, come un'anguilla. Con Tutilo non si poteva mai sapere, aveva ragione Daalny. Bisognava conoscerlo molto bene per capire quando mentiva e quando diceva la verità. Il giovane era ancora inginocchiato davanti al piccolo crocifisso appeso alla parete e non si voltò subito quando la chiave girò nella toppa e la porta si aprì alle sue spalle. Aveva smesso di cantare e guardava davanti a sé con espressione assente. Si voltò soltanto quando la porta girò di nuovo sui cardini e, vedendo Cadfael, fece un sorrisetto smorto, sedendo sul letto. Sembrava sorpreso, ma non aprì bocca, aspettando rispettosamente di sentire che cosa si voleva da lui, ma senza timore. «Niente di particolare», disse subito Cadfael, rispondendo alla domanda letta nei suoi occhi. «Soltanto la speranza che, parlando con noi, prima, aveste dimenticato qualcosa, qualche piccolezza che potrebbe esserci utile.» Tutilo scosse la testa. «No, vi ho detto tutto quello che so, e quello che ho rivelato è la verità.» «Oh, non ne dubito», lo rassicurò Cadfael. «Ma riflettete bene. Un piccolo particolare, qualcosa che a voi sembra trascurabile, per noi potrebbe essere importante. Non preoccupatevi, ora. Lasciate riposare la mente e chissà che non affiori qualcos'altro.» Il monaco si guardò attorno, nella piccola cella spoglia. «State abbastanza al caldo, qui?» «Sotto le coperte, sì, abbastanza. Ho dormito anche più al freddo e su un letto meno comodo.» «E non vi manca niente? Posso fare qualcosa per voi?» «Secondo la Regola non dovreste neppure chiederlo», ribatté Tutilo con un subitaneo, luminoso sorriso. «Ma sì, forse c'è una cosa lecita che posso chiedervi. Qui solo, ho seguito le ore, ma a volte me ne dimentico. Inoltre mi servirebbe per passare il tempo. Lo approverebbe persino padre Herluin. Potete portarmi un breviario?» «Che ne è stato del vostro?» domandò Cadfael, sorpreso. «So che ne avevate uno molto piccolo, che richiedeva occhi buoni per leggerlo. Ma,
grazie a Dio, i vostri lo sono senza dubbio, alla vostra età!» «L'ho perduto», spiegò Tutilo. «Lo avevo alla messa, il giorno prima che mi chiudessero qui dentro, ma non so dove l'ho lasciato o mi è caduto. E ne sento la mancanza.» «Lo avevate ancora quando avete trovato Aldhelm su quel sentiero?» «Sì, allora lo avevo, ne sono certo. Ma dopo non ci ho pensato più e ho paura di averlo smarrito proprio là, fra gli alberi, nel buio. Non avevo più testa per niente, dopo quella scoperta. Correndo giù per quel sentiero, oltrepassando il fiume e poi arrivando in città, potrei averlo perso in qualsiasi posto. Chissà, potrebbe essere in fondo al Severn, ormai. E mi piace avere un breviario, quando mi alzo per il mattutino e le laudi.» «Bene, vi lascerò il mio», si offrì Cadfael. «Ma dormite, ora, se intendete alzarvi con noi a mezzanotte. E tenete pure accesa la vostra lampada, nel frattempo. C'è olio sufficiente, vedo. Buonanotte, figliolo!» «Non dimenticate di chiudere a chiave la porta!» ribatté Tutilo con una risatina amara. Lei era là, dritta, nel punto più buio, appoggiata al muro della cella, quando Cadfael aggirò l'angolo. Ma anche la scarsa luce proveniente dalla finestra occidentale della chiesa bastava per mettere in risalto l'ovale chiaro del viso, il luccicore degli occhi e piccole scintille argentee lungo l'orlo della sua veste. Doveva essere andata a cantare per Robert Bossu e indossava l'abito di gala. Una figura snella e fiera, nell'immobilità della notte. Daalny, la regina di Partholan, una semidea del paradiso occidentale. «Ho udito le vostre voci», sussurrò, cauta. «Non potevo chiamarlo, guai se mi avesse udita qualcuno! Che cosa gli accadrà ora, Cadfael?» «Niente di grave, spero», la confortò il monaco. «Così chiuso in una prigione smetterà di cantare e allora morirà», gemette lei. «E dopodomani noi partiremo per Leicester col conte. Rémy mi ha già ordinato d'imballare per bene gli strumenti e il mattino seguente ce ne andremo tutti. Bénezet provvederà ai cavalli, farà anche galoppare un poco quello di Rémy per accertarsi che sia guarito completamente. Noi saremo lontani, e lui resterà qui. Alla mercé di chi?» «Del buon Dio», dichiarò Cadfael. «Con l'intercessione dei santi. Di una senza dubbio, perché mi ha già ispirato un'idea. Andate dunque a letto e non scoraggiatevi. Nulla è ancora perduto.» «E quale vantaggio ne ho io? Potremmo provare dieci volte che non ha ucciso nessuno, ma lo riporterebbero comunque a Ramsey, e là gliela fa-
ranno pagare cara, non tanto perché è un ladro, quanto perché ha fatto un gran pasticcio con la sua ruberia. Con la comitiva del conte e una scorta troppo forte per poter fuggire.» Daalny guardò la mano di Cadfael che stringeva la chiave, e sorrise. «Ora so qual è quella giusta.» «Potrebbe essere appesa al gancio sbagliato», obiettò il monaco. «La riconoscerei ugualmente. Ve ne sono soltanto due uguali, per forma e dimensioni. E ricordo bene il disegno della mappa di quella che non serve. Non ripeterò due volte lo stesso errore!» Cadfael stava per esortarla a lasciar perdere tutto, ma poi ebbe un'improvvisa visione della giustizia del cielo quale l'applicava talvolta la Chiesa, in buona fede ma spietatamente, con tutta la virtuosa ristrettezza di menti sorde e cieche davanti all'infinita varietà del genere umano, con le sue manchevolezze, aspirazioni e necessità, dimentica dei richiami evangelici. Cadfael pensò agli uccelli canori in gabbia, privati dell'aria necessaria per usare le loro corde vocali, senza più animo per cantare, e capì quant'era facile che morissero. Metà del genere umano era lì, in quella snella fanciulla bruna accanto a lui, e quella metà aveva il diritto di ragionare, decidere e dire il proprio parere non meno di quella maschile. Dopotutto erano parimenti responsabili. Arcivescovi o abati, avevano tutti una madre di carne e sangue ed erano pure loro il frutto di un appassionato amplesso. Daalny avrebbe agito nel modo in cui le sembrava opportuno, e lo stesso avrebbe fatto lui. La custodia delle chiavi non era compito suo, quando avesse rimesso al suo posto quella che aveva in mano. «Bene, bene», mormorò con un profondo sospiro. «Non pensiamo più a lui per stasera. Lasciamo le cose come sono. Domani forse il cielo sarà più chiaro.» E con quello la lasciò, tornando in portineria per restituire la chiave. Alle sue spalle, Daalny bisbigliò: «Buonanotte, fratello!» Il tono era neutro, cortese e riservato. Un semplice saluto nel buio. E lui quale scusa poteva accampare per tornare a interrogare quel figliolo, con la speranza di qualche improvvisa reminiscenza che svelasse la verità, come se si spalancassero le imposte di una finestra in un mattino d'estate? Soltanto una piccolezza: Tutilo aveva perduto il suo breviario da qualche parte, in qualche momento di quel giorno fatale. Con mezzo miglio di bosco e due o trecento iarde di viali del Foregate e una corsa sfrenata in città, andata e ritorno, da perlustrare per cercarlo! Un breviario si poteva ricopiare. Ma allora, se era tutto lì, perché lui sentiva che santa Winifred continuava a incitarlo, a sussurrargli all'orecchio che lui sapeva dove
cominciare a cercarlo e avrebbe fatto bene a occuparsene subito l'indomani mattina, perché non c'era tempo da perdere? CAPITOLO XII Cadfael si alzò al levar del sole, in una luce perlacea che prometteva una giornata limpida e calma, pronto ad assolvere il compito che lo aspettava e poteva servire, già che c'era, a un duplice scopo. Andò anzitutto nel suo laboratorio a prendere le medicine che probabilmente occorrevano all'ospedale di Saint Giles, soprattutto pomate e lozioni per dermatiti ed eritemi, le malattie più diffuse tra i derelitti che cercavano rifugio là, causate dall'inedia e dal sudiciume, spesso senza colpa da parte loro. Poi quelle causate dal freddo, specialmente tra i vecchi, afflitti da tosse e mal di gola, col respiro crepitante come foglie secche per il lungo vagabondare per le strade. Riempita la sua bisaccia, Cadfael si guardò attorno per controllare quali fossero i lavori più urgenti e ne trovò a sufficienza per tenere occupato fratello Winfrid per tutto il resto della mattina. Dopo la prima, lasciò Winfrid a zappare gioiosamente un tratto di terreno per piantare più tardi i cavoli e tornò a prendere la chiave in portineria. Poco prima di arrivare allo spiazzo della Fiera Equina, a mezza strada da Saint Giles, c'erano il granaio e la stalla col fienile dov'erano stati ricoverati i cavalli dell'abbazia durante l'inondazione. Su quel tratto di strada si era fermato il carro di Longner, mentre i carrettieri davano una mano a mettere in salvo i tesori della chiesa, e Tutilo era emerso dalla porta posteriore del cimitero per trascinare indietro Aldhelm, facendone un complice inconsapevole del suo furto sacrilego. E lì, a quanto aveva detto Daalny, lei e Tutilo si erano rifugiati nel fienile la sera della morte di Aldhelm per sfuggire al testimone, uscendo soltanto quando avevano udito la campana di compieta. E a quell'ora difatti il pericolo era cessato, perché il giovane innocente era morto. Cadfael aprì la porta e la lasciò socchiusa. Nella penombra odorosa di fieno, c'erano le poste per i cavalli, vuote in quel momento, e quasi al centro della stalla c'era una scala a pioli che portava a una botola nel pavimento del fienile. Il monaco salì e, lasciando aperta l'imposta ribaltabile, avanzò nel suo vano superiore, illuminato da due piccole finestre. Alcuni barili contro la parete di fondo, un mazzo di attrezzi nell'angolo più vicino e ancora una grande quantità di fieno, perché la raccolta dell'anno era stata copiosa.
I ragazzi avevano lasciato le loro impronte nel fieno, l'una accanto all'altra, evidentissime. Cadfael le osservò per qualche momento con profondo interesse. Due impronte, vicine ma nettamente separate e in perfetto ordine. Senza dubbio l'unico peccato commesso lì era stato quello di nascondersi per sottrarsi agli strali della sorte almeno per quella sera, anche se il colpo sarebbe poi immancabilmente arrivato il giorno seguente. Dovevano essere rimasti immobili, seduti l'uno accanto all'altra, attenti a evitare persino il minimo fruscio del fieno. Cadfael si guardò attorno in cerca del piccolo oggetto estraneo che era venuto a cercare, senza alcuna certezza che fosse lì, soltanto con la vaga sensazione che un dito benevolo gli avesse indicato quel posto. E, difatti, era stato un caso che non lo avesse scoperto quando aveva sollevato l'imposta della botola, perché era proprio lì, a pochi pollici dall'apertura, e nascosto soltanto in parte. Un libricino rilegato in ruvida pelle, coi margini sciupati per essere stato aperto e richiuso chissà quante volte. Tutilo doveva averlo posato lì quando se n'erano andati, per avere le mani libere e aiutare Daalny a scendere, e poi, con la mente attenta a richiudere accuratamente la botola, aveva dimenticato di riprenderlo. Cadfael lo rigirò tra le mani soddisfatto. C'era un filo di paglia tra due pagine, quelle dov'erano le preghiere per compieta. Lì, nel buio, sarebbe stato impossibile leggerle, ma Tutilo le conosceva certo a memoria e la pagliuzza probabilmente era soltanto il segno che l'ora di quell'ufficio era stata rispettata. Sarebbe stato facile, rifletté il monaco, ma pericoloso, affezionarsi a quel briccone, a volte divertente, spesso esasperante, ma dotato di tanti pregi. Non ultima una voce angelica, generosamente elargita a un giovane che era tutt'altro che un angelo! Il monaco era lì, immobile, a un passo dalla botola, quando udì provenire dal basso un lieve rumore. La porta era rimasta aperta, sarebbe potuto entrare chiunque, ma lui non aveva udito alcuno scalpiccio. Quello che aveva udito era di tutt'altro genere, come se qualcuno avesse rimosso il coperchio del grande vaso contenente il grano, che era stato riempito quando si erano portati lì i cavalli e poi lasciato così, per il caso che ve ne fosse bisogno di nuovo perché il pericolo non era cessato. Poi il rumore si ripeté, quando il coperchio venne rimesso al suo posto. Cadfael si spostò un poco per guardare attraverso la botola, e l'intruso lo interpellò gaiamente. «Siete voi, fratello? Va tutto bene! Ho dimenticato qui una cosa, quando abbiamo portato via i cavalli.» Un fruscio di passi sulla paglia di sotto, poi apparve Bénezet, il domesti-
co di Rémy, che guardava in alto sorridendo amabilmente e scuotendo una briglia ornata di piccoli fregi dorati. «È del mio signore Rémy! Avevo condotto fuori il suo cavallo per la prima volta dopo che si era azzoppato, coi finimenti, ma avevo dimenticato questa. E domani ne avremo bisogno. Stiamo facendo i bagagli.» «Sì, lo so», replicò Cadfael. «E avrete una buona scorta.» Mise il piccolo breviario nella tasca sul petto del saio, perché aveva la bisaccia al pianterreno, s'infilò cautamente nella botola e cominciò a scendere. Bénezet lo aspettò, dondolando la sua briglia. «Mi sono ricordato appena in tempo dove l'avevo lasciata. Ho chiesto al portinaio e lui mi ha detto che fratello Cadfael era andato a prendere la chiave e lo avrei trovato qui, così sono venuto subito a prenderla, intanto che c'era la porta aperta. Ora, se avete finito, fratello, possiamo tornare indietro insieme.» «Io devo andare a Saint Giles», spiegò il monaco, riprendendo la sua bisaccia. «Posso chiudere la porta o avete qualcos'altro da fare?» «No, niente. Meno male che me ne sono ricordato, altrimenti il finimento più bello di Rémy sarebbe rimasto qui appeso a quella rastrelliera e io avrei dovuto pagarlo col mio salario o con la mia pelle!» Bénezet si congedò bruscamente, e un attimo dopo era sparito verso il Foregate, senza voltarsi indietro. E senza neppure girare il capo verso la giara del grano nel suo angolo buio. Ma la briglia, a quanto pareva, l'aveva ripresa dall'ultima rastrelliera. Aveva fatto inutilmente un progetto? Cadfael si avvicinò alla giara e alzò il coperchio. V'erano alcuni chicchi sull'orlo interno e sul pavimento attorno. Non molti, ma c'erano. Il monaco infilò le braccia in mezzo al grano, rovistando, finché le sue dita non toccarono il fondo, ma non trovò niente... Non per nascondere, ma per recuperare qualcosa, qualcosa che aveva il compito di trascinare con sé un po' di chicchi, quando l'avessero tirata fuori. O Bénezet era soltanto curioso di sapere che cosa fosse stato lasciato lì dentro? Un'idea inopportuna? La gente commette spesso sciocchezze che non hanno nulla a che vedere con gli impegni del momento. Ma, talvolta, anche tali sciocchezze hanno un profondo significato. Cadfael si riscosse, chiuse a chiave la porta e s'incamminò verso Saint Giles. Quando tornò, nel grande cortile ferveva un'attività insolita, ma senza fretta perché i partenti avevano ancora tutto quel giorno per prepararsi. I due scudieri di Robert Bossu andavano e venivano dalla foresteria, impaccando tutto quello che non sarebbe occorso al loro signore durante il viag-
gio. L'economo Nicol e il suo compagno più giovane, che aveva dovuto farsi a piedi tutta la strada da Worcester a Shrewsbury, avevano ben poco da fare quanto a preparativi, perché ora le elemosine raccolte per la loro abbazia sarebbero state sul carro del conte, lo stesso che aveva riportato a casa il reliquiario di santa Winifred, mentre Herluin avrebbe potuto avvalersi del cavallo da soma del conte, sempre generoso nel prodigare al vicepriore attenzioni che lusingavano il suo orgoglio. I preparativi del terzo gruppo in partenza erano un po' più complessi. Daalny scese cauta i gradini della foresteria reggendo fra le braccia, come se fosse un bambino, un organo portatile e allungando il collo sopra lo strumento per vedere dove posava i piedi. Cadfael le si avvicinò, premuroso. «È troppo pesante, per voi! Datelo a me.» Lei lo guardò sorridendo, ma scrollò la testa. «Grazie, ma ne sono responsabile io. Per Rémy gli strumenti sono quasi più preziosi di chi li usa, e questo non è tanto pesante, è soltanto voluminoso. Nella rimessa c'è la sua custodia imbottita, potreste aiutarmi a sistemarlo dentro a quella, se volete. È meglio essere in due per tenerla aperta.» Il monaco accettò l'incombenza, andò con lei nella rimessa e tenne debitamente alzato il coperchio del grande astuccio, mentre Daalny vi deponeva l'organo, abbassando poi il coperchio e affibbiando le cinghie che lo assicuravano. Fuori, gli scudieri del conte erano tuttora indaffarati nei loro compiti e Bénezet, più lontano, stava strofinando energicamente selle e finimenti che sistemava via via su un'intelaiatura di legno a un gancio della quale era appesa la ricca briglia di Rémy. «Al vostro signore piacciono le cose belle», commentò Cadfael, indicandola. «Oh, quella! Non è di Rémy, è di Bénezet», corresse Daalny, seguendo il suo sguardo. «Dove l'abbia presa è un mistero. Lui non l'ha mai detto, ed è inutile chiederglielo, non apre bocca. Io ho pensato spesso che l'abbia rubata da qualche parte.» Cadfael rifletté senza fare commenti. Perché aveva mentito, Bénezet? A quale scopo? Forse perché avendo davvero rubato quella briglia, come aveva ipotizzato Daalny, riteneva saggio attribuirne il possesso al suo signore, proprio per evitare fastidiose domande riguardo alla sua provenienza? Il monaco mutò direzione, in tono indifferente. «Non ne ha nemmeno molta cura, l'ha lasciata là nel granaio alla Fiera
Equina fino dai giorni dell'inondazione! È venuto a riprenderla soltanto stamattina.» Daalny si girò di scatto a guardarlo, mentre affibbiava l'ultima cinghia della custodia. «Ve lo ha detto lui? Ha passato mezz'ora a pulirla e lustrarla stamattina presto. Non è mai uscita di qui, l'ho vista io almeno una diecina di volte, da allora!» Il modo in cui lo guardava, sbarrando gli occhi sbigottita, non piacque a Cadfael. Non desiderava che cominciasse lei pure a farsi domande, era già troppo interessata e abbastanza imprudente per commettere qualche atto inconsulto all'ultimo momento, quando avrebbe dovuto andarsene coi compagni a Leicester, senza avere né risolto né guadagnato niente. Meglio tenerla fuori di quei problemi, se era ancora possibile. Cadfael alzò le spalle e ribatté, in tono noncurante: «Forse mi sono sbagliato io. Ho visto Bénezet là a metà mattina, con la briglia in mano, e ho pensato che fosse venuto a prenderla soltanto allora, e che naturalmente appartenesse a Rémy.» «Era logico», convenne lei. «Mi sono sempre chiesta anch'io dove se la fosse procurata. Probabilmente in Provenza. Ma onestamente? Ne dubito. Ma che cosa ci faceva alla Fiera Equina?» indagò Daalny, senza guardare Bénezet e in tono neutro, come se la possibile risposta non avesse alcuna importanza. Un disinteresse tuttavia smentito dal luccicore dei suoi occhi fissi sul viso del monaco. «Non lo so. Ero su nel fienile, quando lui è entrato. Probabilmente incuriosito perché aveva visto la porta aperta.» «Ah! E voi, scusatemi, come mai vi trovavate là?» ribatté lei stupita, quasi incredula. «Cercavo una conferma di quanto mi avevate detto. E l'ho trovata. Lo sapevate che Tutilo aveva dimenticato là il suo breviario dopo compieta?» «No!» Un sussurro appena percepibile, nell'incertezza di ciò che poteva seguire. «Ho dovuto portargli il mio, ieri sera. Non aveva idea di dove poteva aver smarrito il suo, ma io ho pensato al posto più probabile e sono andato a cercarlo. Era là, sì, con un segno tra le pagine delle preghiere per compieta. La conferma che cercavo, Daalny! Non vedo l'ora di consegnarlo a Hugh Beringar.» «Servirà per liberarlo?» «Per quanto riguarda Hugh, penso di sì. Ma il superiore di Tutilo qui è Herluin e non possiamo ignorarlo.»
«È proprio necessario che lo sappia?» «Non tutta la verità, se Hugh la pensa come me. Che esiste una valida prova dell'innocenza di Tutilo, sì, ma non v'è alcun bisogno di dirgli dov'eravate o che cosa facevate voi due quella sera.» «Non facevamo niente di male», protestò lei con palese disdegno per un mondo portato a vedere il male dappertutto, anche dove non ve n'era nemmeno l'ombra. «L'abate non può prevalere su Herluin? Questo è territorio suo, non dell'abbazia di Ramsey!» «L'abate si atterrà alla Regola. Tutilo non appartiene alla sua abbazia, Radulfus non ha alcuna autorità su di lui. Può soltanto aspettare! A un certo punto, potrebbe essere lo stesso Herluin ad aprire la porta di quella cella.» Cadfael si trattenne dal fare commenti su quanto sarebbe accaduto dopo, benché gli sembrasse che l'ardente vocazione di Tutilo si fosse ormai raffreddata tanto da cedere il passo a quella, più affascinante, di liberare dalla schiavitù la regina di Partholan. Oh, bene! In fin dei conti non erano affari suoi, meglio ritirarsi in buon ordine, a scanso d'imprevedibili complicazioni. «Tenetemi informata», disse Daalny in tono quasi autoritario. Null'altro. Soltanto quando Cadfael se ne fu andato verso la portineria per vedere se arrivava Hugh, lei si voltò a guardare Bénezet. Perché si era dato la pena di dire bugie inutili? Forse preferiva far credere che un oggetto così prezioso appartenesse al suo signore anziché a lui, per evitare domande imbarazzanti, ma in tal caso perché fornire spontaneamente una spiegazione che nessuno gli chiedeva? Come mai un uomo avvezzo a tenere la bocca chiusa, a misurare le parole, le sprecava ora in bugie superflue? E, ancora più interessante, non era certo andato sino alla Fiera Equina per recuperare quella briglia, sua o di Rémy che fosse. Quello era un pretesto, non il motivo. Dunque perché c'era andato? Per recuperare qualcos'altro? Qualcosa non dimenticato ma lasciato là di proposito? Il giorno seguente sarebbero partiti per Leicester e se Bénezet l'aveva messo là perché fosse al sicuro, nascosto a tutti, doveva riprenderlo prima di sera. Inoltre, se le cose stavano così, l'oggetto misterioso doveva essere in quel nascondiglio dalla sera dell'inondazione, quando le acque del fiume avevano invaso la chiesa e tutti gli arredi preziosi erano stati portati via, quando Tutilo aveva commesso il suo ingegnoso furto e si era gettato il seme dell'omicidio. Una morte della quale non era colpevole Tutilo, ma qualcun altro. Qualcuno che aveva un motivo per temere ciò che aveva da
dire Aldhelm riguardo a quella sera? Quale altro movente poteva esservi per uccidere un innocuo pecoraio di un maniero lontano tante miglia? Daalny proseguì nel suo lavoro senza fretta, perché non intendeva allontanarsi da lì finché c'era Bénezet. Dovette rientrare più volte nella foresteria per prendere gli strumenti più piccoli, ma cercò d'impiegare il minor tempo possibile. Flauti e oboi erano facili da portare, e ribeca e mandola avevano la loro custodia imbottita, non v'erano problemi. Mancava poco a mezzogiorno, ormai. I valletti del conte Robert finirono di accumulare i loro bagagli, pronti per essere caricati l'indomani, e rientrarono nella foresteria per accudire il loro signore. Daalny chiuse l'ultimo laccio e posò il rotolo dei flauti accanto alle borse da sella. «Queste sono pronte. Avete preparato i finimenti?» Bénezet aveva con sé una bracciata d'indumenti e una capace borsa riempita a metà che posò per terra, e quando lui voltò per un momento le spalle, la fanciulla ne approfittò per toccarla con la punta di un piede, suscitando un tintinnio sommesso, ma inconfondibile, di monete. Il giovane si girò di scatto a guardarla, corrugando la fronte, ma lei sostenne il suo sguardo senza batter ciglio, come se non avesse udito niente. «Andiamo a pranzo», suggerì in tono indifferente. «È già tardi.» Hugh ascoltò la cronaca di Cadfael rigirandosi tra le mani il piccolo breviario, con un sorrisetto tra divertito ed esasperato. «Io posso rispondere per la mia giurisdizione», osservò alla fine. «Ma qui dentro non ho alcun potere, lo sapete anche voi. Riconosco che quel ragazzo non ha commesso alcun omicidio, del quale, per la verità, non l'ho mai creduto colpevole. Per me questo è una prova sufficiente, ma al vostro posto non racconterei i particolari a Radulfus, e men che meno a Herluin. È meglio che non v'immischiate in questa faccenda, anche se vi sentiste in dovere di tenere al corrente l'abate. Dubito che possa fare qualcosa per levare dai guai quel poveretto. Trovarsi con una ragazza in un fienile isolato! Porterebbe acqua al mulino di Herluin, se avesse a scoprirlo, una colpa persino peggiore di un furto sacrilego. Lo proscioglierò da quell'accusa, anche se non sono in grado d'incolpare qualcun altro, ma più di tanto non posso promettere.» «Vedete voi», sospirò Cadfael, rassegnato. «Fate ciò che vi sembra opportuno, ma non perdete tempo. Domani quelli là se ne andranno.» «Bene, beata l'ora!» Hugh si alzò. «Robert Bossu ha altro in mente che non seguire il destino di un giovane galeotto destinato a subire il giudizio
della sua Chiesa. Sarà un bel po' di confusione in meno e se ne avvantaggerà anche il nostro prigioniero.» Tese all'amico il breviario, con la pagliuzza a segnare le pagine delle preghiere che Tutilo aveva recitato con Daalny quella sera. «Restituitelo al suo proprietario. Ne avrà bisogno.» Lo sceriffo se ne andò per la sua visita all'abate, mentre Cadfael restava lì seduto a riflettere mestamente su quel libricino consunto, senza sapere nemmeno lui perché si preoccupasse di quello stupido furbastro che aveva tentato di rubare nientemeno che la santa di Shrewsbury, avviando nel contempo una funesta serie di eventi che aveva creato un mare di guai, compresa la morte di un uomo tranquillo, che non c'entrava per niente. Guai involontari e imprevisti, certo, ma pur sempre gravi, ai quali probabilmente ne sarebbero seguiti altri, finché il loro autore fosse rimasto lì, dove non sarebbe dovuto essere. Nemmeno la sua devozione, sincera ma un po' troppo fervorosa, si addiceva alla disciplina di una fratellanza monastica. Bene, se non altro Hugh aveva chiarito che non era colpevole di omicidio, qualsiasi altra accusa si potesse addossargli, e la sua impresa ladresca, oltretutto fallita, non riguardava lo sceriffo del re. Per tutto il resto, nel peggiore dei casi avrebbe dovuto fare ciò che tanti altri avevano fatto prima di lui: rassegnarsi alla sua sorte, sopravvivere alla penitenza e abituarsi a campare senza alzate di testa, ma senza pericoli. Un uccello canoro in gabbia. Benché, naturalmente, vi fosse sempre Daalny. Tenetemi informata, aveva detto. E lui l'avrebbe fatto, circa il meglio e il peggio per entrambi. Nello studio dell'abate, Hugh riferì brevemente le proprie conclusioni. Se non si poteva dire tutto, meglio comunicare il meno possibile. «Devo rivelarvi, padre, che ho avuto una prova dell'innocenza di Tutilo riguardo all'omicidio del quale è stato accusato. Un'evidenza inconfutabile, cosicché per me, in quanto rappresentante della legge, il caso è chiuso.» «Avete trovato altrove il colpevole?» «No. Ma ora sono certo che non è Tutilo. Ciò che ha fatto quella sera, venendo immediatamente a informarmi di quel delitto, depone in suo favore, e quant'altro ha potuto fare il giorno seguente, lo ha compiuto di buon grado. La mia legge non ha niente di cui dolersi nei suoi confronti.» «Ma la mia sì!» ribatté Radulfus. «Rubare non è una colpa di poco conto, ma è ancora peggio coinvolgere un altro, mettendo in pericolo la sua vita. A suo credito, devo dire che lo ha confessato lealmente, con segni di genuino rimorso per avere trascinato con sé quello sfortunato giovane.
Possiede doti che può ancora usare per la gloria di Dio, ma prima c'è un debito da pagare.» L'abate osservò per qualche momento Hugh, poi aggiunse: «Posso sapere qual è la prova di cui disponete? Se non avete indagato oltre, vuol dire che è davvero inconfutabile!» «Tutilo ha accampato il pretesto di essere stato chiamato a Longner per potersi levare di torno e restare nascosto finché non fosse cessato il pericolo di essere riconosciuto da un testimone, almeno per quella sera. Dubito che abbia guardato più avanti, era il pericolo immediato che cercava di evitare. E so dove si era nascosto. Era nel fienile sopra la stalla dell'abbazia alla Fiera Equina, e la mia prova dimostra che non si è allontanato finché non ha udito suonare la campana di compieta. Quando Aldhelm, quel testimone, era già morto.» «E c'è qualche altra voce a confermare luogo e tempi?» «C'è», dichiarò Hugh, senza aggiungere altro. «Bene», sospirò l'abate, «quel figliolo è capitato per caso e io non posso, anche se volessi, ignorare la sua trasgressione o alleviare la sua pena. Il vicepriore Herluin lo riporterà a Ramsey, dal suo abate, ma finché è qui nella mia casa devo rispettare i loro diritti e tenerlo sottochiave.» «Non era curioso, non ha fatto domande», riferì Hugh a Cadfael, nell'erbario. «Ha accettato senza discutere il mio giudizio, quando gli ho detto di essere certo che Tutilo non aveva né ucciso né infranto alcuna legge, perlomeno fuori dell'ambito della Chiesa. Comunque domani sarà finito tutto, quelli se ne andranno e lui potrà occuparsi dei suoi malfattori. Jerome sarà senza dubbio assolto, ma l'abate non farà ciò che pensavo in qualità di superiore dell'abbazia: permettere al nostro scomunicato di tornare al proprio posto, almeno per stasera. Ha ragione, naturalmente. Non può correre rischi, in questo caso deve agire come rappresentante di Ramsey. Dispiace anche a me, ma Tutilo resta nella sua cella. Ufficialmente, almeno», aggiunse lo sceriffo con un sorrisetto ironico. «Persino le vostre recidive, sempre che trasgredissero soltanto la legge della Chiesa, non sarebbero affar mio!» «Qualche volta lo sono state», obiettò Cadfael, tornando con la mente a certi episodi che accesero nei suoi occhi una scintilla di nostalgia. «È tanto tempo che non facciamo una cavalcata insieme di notte!» «Tanto di guadagnato per le vostre vecchie ossa. Restatevene a dormire tranquillo nel vostro letto, e lasciate che scaltri, piccoli banditi come il vostro Tutilo sudino per i loro peccati, in attesa del perdono. A quanto sap-
piamo, l'abate di Ramsey è un'anima buona, indulgente, forse persino amante della musica, che sarebbe un altro vantaggio. Se lo liberassimo ora, dove potrebbe andare, senza vesti, senza cibo, senza denaro?» Era vero, riconobbe fra sé Cadfael. Se la sarebbe cavata in qualche modo, ma a quale prezzo? Una camicia e calzebrache rubate in un cortile dove una massaia le aveva stese ad asciugare, un paio d'uova levate di sotto a una gallina, qualche penny ottenuto da un viaggiatore in cambio di una canzone, pochi altri accattati a un mercato... però nessun muro di pietra attorno, nessuna porta chiusa a chiave, nessuna lagnosa predica sulla remissione dei peccati, né isolamento dal mondo intero, pasti e preghiere, senza poter scambiare nemmeno una parola con un compagno, che sarebbe stato considerato un complice. «Tuttavia», osservò Hugh, «nella Regola c'è una giustificazione per lasciare tutte le porte aperte, dopo aver fatto il possibile per emendare il reprobo. 'Se il fratello infedele ti abbandona, lascialo andare.'» Cadfael lo accompagnò fino alla portineria, nell'ora quieta e serena prima del vespro. Non gli aveva detto niente né della briglia di Bénezet né della propria visita alla Fiera Equina, quando gli aveva mostrata la tacita testimonianza del breviario di Tutilo. Ma anche quella, in fondo, non era una prova sicura, e allora meglio non avanzare supposizioni, magari infondate, a danno di chiunque. «Domani verrete ad assistere alla partenza del conte col suo seguito?» domandò Cadfael al momento di congedarsi dallo sceriffo. «Suppongo che vorrà approfittare di tutta la luce possibile per il viaggio.» «Partirà subito dopo aver assistito alla prima messa, ma comunque verrò sicuramente.» «E portate tre o quattro dei vostri uomini... Sufficienti per montare la guardia al portone, semmai vi fosse qualche tentativo di evasione, ma non tanti da destare commenti o allarme.» Hugh si fermò di botto, scrutando incuriosito l'amico. «Non alludete a quel vostro insignificante confratello, vero? A chi altri state pensando?» «A nessun altro, dovete credermi, Hugh. Per il momento, una piuma portata dal vento è più solida di quanto so io. Può darsi che io abbia a scoprire altro, ma, intanto, venite anche voi e non fate niente prima di domani. La presenza di Robert Bossu è un validissimo sostegno per noi e se io ho torto e vado a sbattere il naso contro un muro, puntando scioccamente il dito verso un innocente, pazienza, un po' di sangue dal naso non è un gran
male. Ma non voglio chiamare assassino un uomo senza avere una prova più che sicura. Consentitemi di fare a modo mio, lasciando dormire tranquilli tutti gli altri.» Hugh stava per chiedergli maggiori particolari su ciò che pensava di fare e quali timori lo turbassero, poi cambiò idea. Con lui e tre o quattro dei suoi uomini a sorvegliare la partenza dell'illustre ospite, con l'aggiunta dei suoi due giovani scudieri sempre attenti a ogni evenienza, che cosa sarebbe potuto accadere? E Cadfael era una vecchia volpe astuta e lungimirante, lo aveva appreso lui stesso a proprie spese tanti anni prima. «Bene, come preferite», convenne. «Saremo qui, ai vostri ordini.» Il suo bel pomellato era legato accanto al portone. Hugh balzò in sella e partì al piccolo trotto verso la città. Cadfael lo seguì con lo sguardo finché non udì il tonfo degli zoccoli sul ponte, poi tornò indietro, al primo tocco della campana per il vespro. Il giovane confratello incaricato di portare i pasti ai prigionieri stava tornando verso la portineria per rimettere al loro posto le chiavi, e Cadfael proseguì senza fretta, drizzando le orecchie perché aveva avvertito la presenza di qualcuno appiattito nell'ombra accanto alla porta. Lei non si mosse, non gli augurò la buonanotte, pur essendo consapevole della sua presenza. Doveva essere già lì, zitta e immobile, quando lui si era congedato da Hugh, attenta a non farsi scoprire. Al vespro, Cadfael recitò una preghiera per il povero, infelice fratello Jerome, lasciato là a covare il proprio veleno e turbato da un cuore non ancora totalmente indurito. A tempo debito sarebbe stato riammesso in chiesa, soggiogato e umiliato, prostrandosi sulla soglia del coro, finché l'abate non avesse giudicato che la punizione era durata abbastanza per espiare la sua colpa. E chissà che lo spavento non servisse a correggere i lati peggiori del suo carattere. Era chiedere molto, ma i miracoli accadono, talvolta! Seduto sull'orlo del suo pagliericcio, Tutilo ascoltava l'incessante, isterica lamentela di fratello Jerome nella cella attigua, tanto dolorosa da fargli pena, anche se si trattava dell'uomo che aveva progettato di ucciderlo, o poco meno. E, con quella litania nelle orecchie, non udì il lieve rumore della chiave che girava nella toppa e la porta venne aperta con tanta cura per evitare qualche scricchiolio che Tutilo non girò la testa, finché una voce alle sue spalle non bisbigliò: «Tutilo!» Nel riquadro della porta c'era Daalny. La sera dietro di lei era ancora chiara per via della luce riflessa dal muro sul lato opposto, e da quella del
cielo turchino impolverato di stelle appena visibili. La fanciulla entrò, chiudendo immediatamente la porta, perché nella cella era accesa la piccola lampada e il più lieve raggio che ne trapelasse sarebbe bastato a tradirli. Poi scrutò Tutilo e corrugò la fronte al vederlo pallido e scoraggiato come lei non avrebbe voluto che fosse. «Parla piano», sussurrò. «Se noi sentiamo lui, lui può sentire noi. Devi andartene, in fretta. Questa volta devi, è l'ultima possibilità. Domani partiamo tutti e Herluin ti riporterà a Ramsey, in una schiavitù peggiore della mia.» Tutilo si alzò lentamente, fissandola stupito. Gli ci era voluto un po' di tempo per staccarsi dal mondo angoscioso dei lamenti di Jerome e rendersi conto che la porta si era davvero aperta e Daalny era proprio lì davanti a lui, tangibile e ansiosa, coi capelli neri sciolti sulle spalle e gli occhi simili a fiammelle azzurre nell'ovale periato del viso. «Va', spicciati», insisté lei. «Ti mostrerò la strada, dal cancelletto al mulino, poi a occidente, verso il Galles.» «Va'?» ripeté Tutilo come in un sogno, esitante, incredulo davanti a quell'impensabile opportunità. Poi ritrovò a un tratto ardire e sicurezza. «No, io non vado da nessuna parte senza di te.» «Sciocco! Non hai scelta. Se non ti spicci dovrai tornare a Ramsey, probabilmente in ceppi, una volta oltrepassato Leicester e fuori delle mani di Robert Bossu. Preferisci restare in prigione accusato di un delitto che non hai commesso, per il quale potresti essere impiccato, anziché andartene tranquillo nel Galles, col tuo salterio e la tua voce, che là riconoscerebbero come un dono di Dio, accogliendoti con gioia? Svelto, vieni, non rovinare tutto quello che ho fatto.» Daalny prese lo strumento, che era sull'inginocchiatoio nella sua custodia, glielo mise fra le braccia e Tutilo se lo strinse al cuore, guardandola con gli occhi splendenti. Poi aprì la bocca, ma lei, pensando che intendesse protestare, gliela tappò con una mano, mentre con l'altra lo spingeva verso la porta. «No, non dire niente, va' e basta. Meglio da solo! Che cosa potresti fare con una schiava transfuga alle calcagna, a impacciarti il passo? Tu sei libero, ma io ho un padrone. Vattene, Tutilo, ti prego!» Il giovane ritrovò a un tratto forza, audacia e risolutezza e andò con lei, non seguendola, ma precedendola fuori della cella; la chiave girò di nuovo nella toppa e furono entrambi liberi nell'aria fresca della sera. Raggiunsero indisturbati la recinzione; Daalny aprì il cancelletto, fece passare il compagno dall'altra parte, fuori delle mura dell'abbazia, e richiu-
se il battente. E Tutilo si trovò davanti l'argento opaco del laghetto del mulino, tra il sentiero verso il Foregate e la strada verso il Galles. Daalny si avviò verso il cortile principale senza voltarsi indietro. Aveva qualcosa da fare, la mattina seguente. Qualcosa della quale Tutilo non sapeva niente ma che, con un po' di fortuna, avrebbe posto fine a ogni ricerca, esautorandolo da ogni sospetto. La legge secolare poteva muoversi liberamente anche in un regno spaccato in due, ma la legge canonica no. E mezze prove sbiadivano al cospetto di evidenze irrefutabili di colpa o d'innocenza. Udendo le voci che cantavano tuttora nel coro, Daalny non si affrettò, tornò tranquillamente nella cella dov'era stato Tutilo, e spense la lampada perché si pensasse che lui si era coricato e avrebbe dormito in pace per tutta la notte. CAPITOLO XIII Il giorno della partenza sorse senza un alito di vento, col sole velato da una nebbiolina chiara che si sarebbe dissolta ben presto, lasciando il campo allo splendore primaverile. Un'ottima giornata per tornare a casa. Dopo una notte insonne, Daalny assisté alla prima messa perché le occorreva tutta la propria forza d'animo per quanto aveva deciso di fare, e preghiera, silenzio e solitudine l'avrebbero aiutata a riflettere sulla via migliore da seguire. Perché le pareva che nessun altro sapesse o quantomeno sospettasse ciò che intuiva lei, perciò nessun altro si sarebbe mosso. Tuttavia, poteva anche darsi che lei si sbagliasse. Un tintinnio di monete, un oggetto solido che si era spostato quando lei lo aveva urtato col piede... quale valore potevano avere come prova, quand'anche vi si aggiungesse lo strano particolare che le aveva riferito Cadfael, la menzogna riguardo alla briglia di Rémy dimenticata in quella stalla fuori mano? Eppure quell'uomo aveva mentito, e che cosa poteva essere andato a fare là, se non a riprendere qualcosa, suo o di qualcun altro, che intendeva tenere nascosto? Ma di chi e perché? Bene, Tutilo se n'era andato e si poteva sperare che fosse ormai lontano e al sicuro. L'Ordine benedettino non contava molto nel Galles dove, anche se era prevalso il rito romano, resisteva tenacemente la Chiesa celtica, meno severa. Avrebbero accettato di buon grado un novizio disertore, tanto più quando lo avessero udito cantare e suonare; gli avrebbero procurato un patrono e un'arpa, indumenti e calzature in compenso della sua musica. E
lei lo avrebbe liberato a qualsiasi costo da ogni sospetto di omicidio perché non avesse più niente da temere ovunque andasse. Per i suoi peccati minori, poi, sarebbe stato perdonato. Le doleva un poco il cuore per la sua partenza, ma né vi avrebbe badato né si sarebbe rammaricata per il suo abbandono, benché lui avesse dichiarato che non sarebbe mai andato in nessun posto senza di lei. Ora importava soltanto che non fosse mai ripreso, mai più rinchiuso tra muri di pietra che gli avrebbero tarpato le ali o costretto a un silenzio che avrebbe arrugginito le sue corde vocali. Durante tutta la messa, pregò silenziosamente per lui, aspettando da un momento all'altro un grido d'allarme per la sua sparizione, che esplose soltanto quando il fratello portinaio, dopo avere portato la colazione a fratello Jerome, tornò con quella per Tutilo. Ma anche allora non fu propriamente un grido, perché il monaco non alzava mai la voce e stentava a riconoscere una tegola anche quando gli cadeva sulla testa. Uscì in fretta dalla cella, levando una mano dal vassoio per chiudersi la porta alle spalle, poi rammentò che non c'era più nessuno da custodire, e la lasciò addirittura spalancata. Per Daalny, che osservava attenta quell'angolo del cortile dalla porta della foresteria, quella reazione era logica, naturalmente, ma non toccava a lei dare l'allarme, ci pensasse qualcun altro, e tornò ai suoi preparativi per la partenza. Molto meno ovvia sembrò invece a Cadfael, che veniva in quel momento dal giardino. «Se n'è andato!» proruppe il fratello portinaio. «Com'è possibile?» Era una vera domanda, non una protesta. Guardò le chiavi posate sul vassoio, poi la porta aperta, e infine corrugò la fronte. «Andato?» fece eco Cadfael, spiegabilmente sbalordito. «Come se n'è andato, con la porta chiusa a chiave e la chiave là da voi, in portineria?» «Guardate voi stesso! A meno che non sia stato il diavolo, qualcuno ci ha messo sopra le mani quando io non c'ero e gli ha aperto la porta. Guardate, vuota come la borsa di un povero, questa cella, e il letto a malapena toccato. Chissà dov'è, ormai. Il vicepriore Herluin diventerà matto, quando lo saprà. Adesso è a colazione col padre abate e io devo andare a rovinargliela.» Il poveretto non sembrava eccessivamente afflitto da quella prospettiva, ma ancora meno ansioso di portare quella bella notizia. «Non preoccupatevi, ci sto andando io», lo rassicurò Cadfael, mentendo soltanto a metà, perché gliene era venuta in quel momento l'intenzione. «Voi liberatevi del vassoio prima di seguirmi, e la notizia sarò io a portar-
la.» «Non sapevo che aveste una propensione al martirio!» scherzò il portinaio. «Ma obbedirò molto volentieri. Grazie a Dio, sua signoria è pronto a partire e, se viaggia, com'è probabile, con una scorta, Herluin e compagni sarebbero sciocchi a perdere un'occasione simile per dare la caccia a un furfantello di quella sorta, che oltretutto ha una notte di vantaggio su di loro. Prima di mezzogiorno ci avranno liberati della loro presenza.» Andò a posare il vassoio, incerto se riportare la chiave al suo posto, ma finì col tenersela, come se fosse una prova rassicurante, e seguì senza fretta Cadfael verso l'alloggio del padre abate. Il vicepriore Herluin la prese male. Balzò in piedi sconvolto, sentendosi derubato non soltanto della sua santa trafugata per riportarla lì a Shrewsbury, ma anche della possibilità di vendicarsi, e furibondo all'idea di dover tornare a Ramsey a mani vuote, dopo essersi sentito per qualche tempo sulla via del successo, con larghi mezzi per provvedere al restauro della sua abbazia e l'invidiabile benedizione di una santa miracolosa. Sparito tutto, ora, anche il colpevole, svanito nel nulla, e lui restava con lo smacco di un evidente fallimento, magramente ripagato delle sue fatiche e avendo perduto un novizio forse non esemplare per il suo comportamento, ma ammirato per la sua voce e pertanto in certo modo redditizio. «Dovete inseguirlo!» esclamò recisamente. «E, mi spiace dirlo, padre abate, ma la guardia al prigioniero deve essersi allentata ultimamente, sennò come avrebbe potuto qualcuno non autorizzato impadronirsi della chiave della sua cella? Io me ne sarei occupato personalmente, anziché affidare l'incarico ad altri. Ma, comunque, dovete inseguirlo e catturarlo. Deve rispondere di alcune accuse ed espiare alcune colpe. Non si può permettere a un colpevole di andarsene impunito.» L'abate, palesemente e profondamente contrariato, benché non fosse chiaro se per causa del prigioniero latitante, dei suoi guardiani disattenti o di quel demonio infuriato per avere perduto il suo capro espiatorio, ribatté, acido: «Entro la mia giurisdizione, certo, ma non è di mia competenza inseguire un ricercato nel mondo esterno». A colazione con l'abate, quella mattina, c'era anche il conte Robert, che però fino a quel momento non aveva aperto bocca, accontentandosi di girare uno sguardo vagamente canzonatorio da un viso all'altro, compreso Cadfael che aveva scagliato quel dardo micidiale con aria indifferente, spalleggiato dal fratello portinaio che teneva tuttora in mano la chiave che do-
veva essere stata rubata, a suo parere, durante il vespro, e poi rimessa al suo posto prima che la funzione fosse finita. Un incidente inaudito e impensabile, si giustificò il confratello, perciò lui non aveva mai preso precauzioni, anche perché la portineria era quasi sempre sorvegliata, con le chiavi bene in vista. E il suo compito era soltanto quello di controllare che i prigionieri ricevessero regolarmente i pasti; quello della loro sorveglianza toccava alle autorità dell'abbazia. «Ma c'è sempre un sospetto di omicidio contro di lui!» scattò Herluin. «Non abbiamo alcuna prova in contrario. La legge del re ha il dovere di ritrovare il colpevole, se non lo ha la Chiesa!» «Vi sbagliate», obiettò Radulfus, paziente ma severo. «Proprio ieri lo sceriffo mi ha detto di avere prove inoppugnabili che non è stato fratello Tutilo a uccidere il povero Aldhelm. La legge secolare non ha alcuna accusa da muovergli. Potrebbe farlo soltanto la Chiesa, che non ha sergenti da mandare al suo inseguimento per le sue mancanze.» A quella parola, «mancanze», Herluin arrossì fino alla radice dei capelli, come se la ritenesse un rimprovero diretto a lui per l'incapacità di esercitare un adeguato controllo sui suoi subordinati. Cadfael non era della stessa opinione. Radulfus poteva giudicare se stesso inadeguato alla sua carica, ma non lo avrebbe mai detto riguardo ad altri, mentre Herluin pensava esattamente il contrario riguardo alle deficienze che avevano sminuito la sua dignità e la sua autorità, minacciando di rimandarlo a casa umiliato e bisognoso di tolleranza e consolazione. «Può darsi, padre abate», disse col tono funereo di un profeta di sventure, «che in questo caso la Chiesa debba esaminare attentamente il proprio atteggiamento, perché se omette di combattere contro i furfanti, ovunque si trovino, può cadere in discredito la sua stessa autorità. La battaglia contro il male è una crociata non meno nobile di quella in Terra Santa. Non torna a nostro credito starcene con le mani in mano e permettere al malfattore di andarsene libero come l'aria. Questo giovane ha abbandonato i suoi confratelli e trasgredito i suoi voti. Bisogna riportarlo indietro perché risponda delle sue malefatte.» «Se lo giudicate un peccatore tanto pervicace», osservò l'abate, «dovreste riflettere su quanto dice la Regola a questo proposito. 'Scacciate il malvagio dalla vostra comunità.'» «Non lo abbiamo scacciato noi», ribatté Herluin ancora bruciante di collera. «Non ha aspettato di essere giudicato e di dover rispondere delle sue colpe, se l'è squagliata di notte, facendosi beffe di tutti.»
«Anche per questo», intervenne Cadfael, incapace di resistere alla tentazione, «la Regola ha qualcosa da dire. 'Se il fratello infedele ti abbandona, lascialo andare.'» L'abate Radulfus gli gettò una brusca occhiata di disapprovazione, e Robert Bossu accennò uno dei suoi inquietanti sorrisi, pronti a sparire prima che la persona alla quale erano indirizzati potesse aversene a male. «Io sono responsabile del novizio che mi è stato affidato», insisté Herluin, ignorando quelle diversioni, «e devo fare tutto il possibile per ritrovarlo.» «Temo che ve ne mancherà il tempo», obiettò Robert Bossu con la consueta amabilità. «Se intendete restare qui per svolgere le vostre indagini, dovrete poi aspettare un'altra occasione favorevole per rimettervi in viaggio. Noi dobbiamo partire subito dopo la prima messa. Ma non sarebbe meglio che approfittaste dell'opportunità di viaggiare in numerosa compagnia, unendovi a noi?» «Se vostra signoria potesse rimandare soltanto di un paio di giorni...» «No, mi dispiace. Ho anch'io i miei malfattori da sorvegliare», rispose il conte in tono quasi di scusa. «Soprattutto se bricconi e vagabondi come quelli che hanno assalito il vostro carro si aggirano ancora nelle mie terre. Ho perduto la mia battaglia per santa Winifred, ma non me ne dolgo. Dopotutto, sono stato io a riportarla qui, come pensavo e penso che fosse suo desiderio, e spero di essermi guadagnato una piccola benedizione per le mie pene. Ma ora non posso più restare tanto lontano da casa mia», dichiarò il conte, alzandosi. «E vi consiglierei, padre Herluin, di unirvi a noi dopo la messa e fare come suggerisce san Benedetto, lasciar andare il fratello infedele.» La messa degli addii cominciò con estrema puntualità, e fu celebrata nel minor tempo possibile perché il conte, quando aveva fretta, contagiava quanti gli stavano attorno. Appena furono usciti dalla chiesa, nella prima luce del sole, cominciò il trambusto della partenza, caricare i bagagli e sellare i cavalli. Nel frattempo, sopraggiungevano i viaggiatori, l'economo Nicol e il suo omologo di Ramsey con Herluin, taciturno e imbronciato, riluttante ad abbandonare la sua pecora smarrita, ma ancora di più a restare lì e perdere l'occasione di un viaggio comodo e sicuro almeno per metà strada e probabilmente a cavallo per l'altra metà, perché Robert Bossu sapeva essere generoso con gli uomini di Chiesa, anche con quelli che gli erano cordialmente antipatici.
Il carro che aveva riportato a casa santa Winifred servì ora come portabagagli per tutta la comitiva. Quando furono sistemati quelli del conte e dei suoi scudieri, le elemosine raccolte da Herluin a Worcester e a Evesham, le borse e gli strumenti di Rémy, rimase ancora posto per Nicol e il suo compagno, tutto sommato un carico non eccessivo per il cavallo. E quello che aveva portato prima il bagaglio del conte poteva servire ora per Herluin. I due scudieri portarono i cavalli sellati dal cortile delle scuderie, e Bénezet li seguì col destriero di Rémy e il proprio, mentre un ragazzo conduceva la giumenta di Daalny. Rapidità e competenza, rifletté Cadfael che aveva seguito l'operazione da un angolo del chiostro, un po' preoccupato perché le cose erano andate più in fretta del previsto. Era ancora presto perché arrivassero Hugh e i suoi uomini, ma le cerimonie dei saluti si sarebbero protratte per qualche tempo e il conte probabilmente non se ne sarebbe andato senza congedarsi dallo sceriffo. Questo trambusto era motivo di distrazione sia per i fratelli, che si soffermavano più a lungo del dovuto a osservare la comitiva, sia per i ragazzi, che fratello Paul doveva continuamente richiamare affinché si risolvessero ad adempiere al loro dovere di bravi scolari. Daalny, col mantello ma a capo scoperto, uscì dalla foresteria e scese la gradinata per raggiungere i compagni e, osservando le borse da sella di Bénezet, riconobbe quella che conteneva i suoi segreti per un profondo graffio che aveva già notato sotto una fibbia. Era molto pallida, constatò Cadfael: lo era sempre, ma della bianchezza di una magnolia, mentre ora il suo viso sembrava di ghiaccio, con la pelle tesa sulle ossa delicate. Segni di una penosa tensione che lo addoloravano, benché ignorasse quale poteva esserne la causa. Aveva fatto quello che si era proposta, mandare Tutilo in un mondo che gli si addiceva più del chiostro, ma adesso adattarsi di nuovo alla consueta esistenza, dopo quel breve sogno, doveva costarle caro, non v'era rimedio. Le restava però ancora qualcosa da fare, l'ultima. Finalmente i due scudieri del conte, che erano rientrati nella foresteria per assicurarsi che non fosse rimasto nulla di quanto apparteneva al loro signore o ai suoi amici, ricomparvero per avvisare che era tutto pronto, e in quel momento sopraggiunse anche l'abate Radulfus, col priore alle spalle, per congedarsi dai suoi ospiti. Il conte era come sempre elegante ma senza sfarzo, con una tunica rosso scuro lunga soltanto fino al ginocchio perché non fosse d'impaccio per ca-
valcare e una sopravveste grigio-azzurra della stessa lunghezza. Accanto a lui c'era Rémy di Pertuis che sprizzava gioia da tutti i pori, e insieme raggiunsero i cavalli dov'erano ad aspettarli l'abate e il priore. «Padre», disse il conte, «mi congedo da voi con profondo rimpianto. La vostra ospitalità è stata molto generosa e, temo, non altrettanto meritata, perché ero venuto da voi avanzando pretese sulla vostra santa. Tuttavia, sono felice che, fra tanti pretendenti, lei abbia saputo scegliere il migliore, e spero che la vostra benedizione mi accompagni lungo la strada.» «Con tutto il cuore», dichiarò Radulfus. «La vostra compagnia è stata un piacere anche per me e mi auguro di poterne godere ancora al più presto.» Il gruppo, che per un momento era sembrato pronto a partire, cominciò invece a sciogliersi, come se tutti fossero riluttanti ad andarsene perché avevano ancora altro da dire. Il priore Robert che, col suo sussiego di patrizio normanno, non si sarebbe mai congedato da un conte senza un'estrema esibizione di brillante eloquenza; Herluin che, pur freddo e taciturno com'era, non poteva essere lasciato in disparte, e Rémy che, raggiante per la sua buona sorte, distribuiva imparzialmente sorrisi luminosi a tutti. Sarebbe passato certo almeno un quarto d'ora prima che qualcuno infilasse il piede nella staffa e montasse a cavallo, rifletté Cadfael che aveva una lunga esperienza a quel riguardo. Daalny invece, assai meno esperta, si aspettava che partissero in fretta e non si azzardò ad aspettare, col rischio di avere atteso troppo. Si fece coraggio e si mosse subito, temendo di non avere il tempo per dire tutto ciò che doveva. Si avvicinò rispettosamente all'abate e al conte e, al primo momento opportuno, disse ad alta voce: «Padre abate, signor conte Robert, posso dire una parola? Prima che ce ne andiamo devo richiamare la vostra attenzione su un fatto che non può essere taciuto, perché riguarda un furto e forse un omicidio. Vi prego di ascoltarmi perché è un peso troppo grave per me, e da sola non posso fare niente». La udirono tutti e tutti gli occhi si appuntarono su di lei, in un silenzio greve di curiosità, di stupore, persino di disapprovazione per il fatto che una persona senz'alcuna importanza osasse chiedere un'udienza immediata, come un lampo a ciel sereno, e le venisse accordata. Tuttavia, nessuno le accennò di allontanarsi o la indusse a tacere facendo il viso scuro. L'abate e il conte ora la guardavano con profondo interesse, e lei chinò con deferenza il capo, come a ringraziarli. Finora non aveva detto niente che potesse allarmare o mettere a disagio qualcuno, nemmeno Bénezet, che se ne
stava tranquillo con un braccio intorno al collo del suo cavallo e la bisaccia contro un fianco. Qualunque lancia avesse in mano, Daalny non l'aveva ancora appuntata verso nessun bersaglio, ma Cadfael capì il suo intento e si sgomentò. «Posso parlare, padre?» «Anzi, dovete», ribatté Radulfus. «Avete pronunciato due parole che sono state costantemente presenti nella nostra mente, in questi ultimi giorni: furto e omicidio. Se avete qualcosa da dire a questo proposito, è nostro dovere ascoltarvi.» Cadfael, che stava un po' in disparte, guardando ansioso il portone e pregando il cielo che arrivasse finalmente Hugh, gettò una sospettosa occhiata a Bénezet. Non si era mosso, e il suo viso continuava a essere soltanto una maschera d'interessata ma impersonale curiosità, come tutti gli altri, ma i suoi occhi erano fissi su Daalny come la punta di due pugnali, e la sua stessa immobilità sembrava ora calcolata, con uno scopo preciso come quella di un cane da ferma. Oh, se soltanto l'avessi avvertita! pensò Cadfael. Avrei dovuto sapere che è capace di tutto, se ne ha un motivo. È stato quello che le ho rivelato io riguardo a quella briglia a metterla su questa traccia? Non ha mai detto niente, ma io avrei dovuto capirlo. E adesso ha sferrato il suo colpo troppo in fretta. Bisogna lasciarla ragionare, lasciare che arrivi lentamente al nocciolo della questione, che rammenti tutto quanto è accaduto prima e giunga alla conclusione a poco a poco, adesso che ha raggiunto il proprio scopo. Hugh sarà qui all'ora fissata, ma sarà sempre troppo tardi. «Padre, siete al corrente del furto di Tutilo in quella sera quando l'inondazione ha raggiunto la chiesa e di come, in seguito, Aldhelm abbia detto di poter riconoscere il ladro e sia stato ucciso mentre veniva all'abbazia per farlo. Un delitto del quale è stato accusato Tutilo, perché pareva che fosse l'unico ad avere un movente.» L'abate rifletté per qualche momento prima di ribattere, in tono neutro: «Sì, è vero. Sembrava evidente, non v'era alcun motivo per sospettare di qualcun altro». Daalny non aveva fatto nomi, ma lui capì. Ora fissava il portone, strusciando i piedi, badando a non attirare su di sé l'attenzione, ma muovendosi cautamente per uscire dal cerchio di uomini e di cavalli che l'attorniava. Ma i due scudieri del conte erano troppo vicini, stringendolo ai fianchi, e non riuscì a liberarsi. «Credo, padre», continuò Daalny, «che uno del nostro gruppo abbia na-
scosto nella sua bisaccia da sella qualcosa che non gli appartiene, qualcosa che penso abbia rubato quella medesima sera dell'inondazione, quando nella chiesa regnava il caos. Non so, naturalmente, se Aldhelm ne ha parlato, ma anche se avesse soltanto visto, non sarebbe abbastanza? E se faccio torto a un innocente, com'è possibile, padre, accetterò di buon grado la penitenza che vi sembrerà opportuna. Ma cercate, padre, fate una prova.» Si voltò finalmente a guardare Bénezet, ancora più pallida del solito. L'uomo era in trappola, dentro quel cerchio che avrebbe potuto rompere soltanto con la violenza, ma l'ira lo avrebbe tradito e lui non aveva ancora la corda al collo. «Nella bisaccia da sella stretta contro il suo fianco», proseguì imperterrita Daalny, «c'è qualcosa che tiene nascosto fino dalla sera dell'inondazione. Se fosse roba sua, acquistata onestamente, perché nasconderla? Basta poco per dissipare ogni dubbio, padre, nel suo stesso interesse.» A tutta prima, parve che Bénezet intendesse rispondere a quell'accusa con una semplice risata sprezzante e un'alzata di spalle, ma poi l'attenzione generale accentrata su di lui lo indusse a reagire diversamente. «Sei matta? È una sporca bugia, non ho niente che non mi appartenga. Ditelo voi, padrone! Avete mai avuto motivo di pensare che io possa essere un ladro? Come può pensarlo lei?» «Io ho sempre ritenuto Bénezet degno della massima fiducia», ribatté Rémy senza esitare, ma un po' a disagio. «Non lo credo capace di rubare. E, del resto, che cosa è venuto a mancare? Niente, che io sappia. Ma può esserci qualcuno che ne sa più di me.» «Nessuno si è mai lamentato di niente», convenne l'abate, corrugando la fronte. «C'è un mezzo molto semplice per accertarlo», insisté Daalny, implacabile. «Aprite la sua bisaccia! Se non ha niente da nascondere, potrà dimostrarlo e svergognarmi. Se io non ho paura, perché dovrebbe averne lui?» «Paura?» proruppe Bénezet sdegnato. «Di una simile calunnia? Quello che c'è nella mia bisaccia è mio, non devo rispondere a nessuno per un'accusa così assurda. No, non metterò in mostra la mia povera roba per soddisfare la tua malignità. E non capisco perché tu abbia a insistere con tali bugie sul mio conto. Che cosa ti ho mai fatto di male, io? E comunque, sono ingiurie sprecate, il mio padrone mi conosce bene.» «Comunque», ripeté il conte Robert in tono freddamente autorevole, «farete bene ad aprire la vostra bisaccia e provare così la vostra innocenza davanti a tutti. Perché non tutti qui vi conoscono altrettanto bene. Se la
damigella mente, svelate le sue calunnie.» Aveva gettato un'occhiata ai suoi due scudieri, inarcando per un attimo le sopracciglia, e i due giovani si accostarono di più a Bénezet, col viso impassibile ma gli occhi attenti. «Abbiamo un dovere verso un morto», intervenne l'abate, «perché questa figliola ci ha rammentato un oggetto molto prezioso che è stato rubato. E se lei è davvero in grado di far luce su quel misfatto e rimuovere anche una sola ombra di dubbio da chiunque, tranne il colpevole, penso che abbiamo l'obbligo di accertarlo. Portate qui la vostra bisaccia.» «No!» Bénezet se la strinse contro il fianco. «Questo è uno scorno, un'umiliazione... Non ho fatto niente di male, perché dovrei sopportare un simile affronto?» «Prendetela», disse semplicemente Robert Bossu. Bénezet girò attorno uno sguardo di fuoco, mentre i due scudieri ai suoi fianchi posavano abilmente le mani non su di lui, ma sulla briglia e la bisaccia. Nessuna speranza ora di balzare in sella e rompere l'accerchiamento, ma lì c'erano i cavalli degli scudieri, liberi, e uno era poco lontano dal portone, placido e immobile. Bénezet lasciò la sua preziosa bisaccia con un gemito di rabbia, assestò al suo cavallo un violento colpo al ventre che lo fece indietreggiare con un indignato nitrito, e si precipitò oltre il gruppo che l'ostacolava e che si era scomposto per evitare calci. Raggiunse di corsa il cavallo più vicino al portone e balzò in sella senza nemmeno servirsi della staffa. Non c'era nessuno tanto vicino da poter afferrare le briglie e, prima che qualcuno avesse avuto il tempo di montare a cavallo a sua volta, Bénezet stava galoppando non verso il portone ma verso il punto dove Daalny aveva pensato di scansare un pericolo, incappando poi in un altro. E ora Bénezet aveva sfoderato il suo pugnale e lo teneva, nudo, in mano. Daalny si rese conto delle sue intenzioni soltanto all'ultimo momento, quando lo ebbe davanti. Bénezet non aprì bocca ma Cadfael, accorso a precipizio per sottrarla al rischio di finire sotto gli zoccoli del suo cavallo, lo vide bene in faccia, una maschera di odio e di furore, con le labbra ritratte sui denti come un lupo in agguato. Ma non poteva perdere tempo per schiacciarla sotto gli zoccoli, aveva troppa fretta. Si protese di fianco sulla sella mentre fuggiva e il pugnale le squarciò una manica dalla spalla in giù, tracciandole una ferita ugualmente lunga sul braccio. Lei fece un balzo indietro e cadde pesantemente sui ciottoli, mentre Bénezet spariva al gran galoppo oltre il portone, dirigendosi verso la città. Hugh Beringar, il suo luogotenente e tre sergenti erano in quel momento
in capo al ponte e, come li vide, Bénezet svoltò bruscamente a sinistra, nel sentiero tra la gora del mulino e il fiume, poi a sud-ovest lungo il margine della Long Forest, al sicuro sulla via più breve per il Galles. Lo sceriffo e i suoi uomini, naturalmente, non potevano sapere quale fosse il motivo di quell'evoluzione, ma un uomo a cavallo che erompeva dal portone dell'abbazia lanciandosi verso il ponte, si bloccava vedendoli e svoltava poi fulmineamente in una stradina laterale era senza dubbio un evento non trascurabile e così Hugh gridò: «Seguitelo!» ancora prima che uno degli scudieri del conte uscisse di corsa dall'abbazia urlando: «Fermatelo! È un ladro!» «Riportatelo indietro!» ordinò Hugh, e i suoi uomini svoltarono immediatamente nella stradina, inseguendo a spron battuto il fuggiasco. Daalny si era alzata prima che la raggiungesse Cadfael, cercando di vincere il terrore per quell'attentato alla sua vita che la faceva tremare ora, quando il peggio era passato. Non sapeva che cosa contenesse esattamente quella bisaccia, ma doveva essere qualcosa che sarebbe stato una rovina per lui, se lo avessero scoperto. Altrimenti, perché sarebbe fuggito come se avesse il diavolo alle calcagna, ancora prima che essa venisse aperta? Daalny corse a rifugiarsi in chiesa, come una rondine che torna al nido, sedette sui gradini dell'altare di santa Winifred, dove tutto era cominciato e tutto finiva, e chinò la testa all'indietro, contro il freddo della pietra. Cadfael l'aveva seguita in chiesa, ma si fermò al vederla così assorta, come se ascoltasse una voce e fosse perduta in un ricordo. Dopo il caos, quella calma, quel silenzio sembravano soprannaturali. Lei lo aveva sentito entrando, Cadfael lo avvertì vedendola così estatica. Le si avvicinò senza far rumore e parlò sottovoce, come se temesse d'infastidirla. «Vi ha ferita, fatemi vedere.» «Soltanto un graffio», mormorò lei in tono indifferente, ma scostò obbediente la manica fino alla spalla. Era un taglio superficiale, una linea lunga e sottile, punteggiata di piccoli rubini. «È pulito!» «Siete caduta in malo modo, non pensavo che potesse arrivare a tal punto. Avete parlato troppo presto, io intendevo risparmiarvene la necessità.» «Ho sempre pensato che non sapesse né amare né odiare», mormorò Daalny quasi a se stessa. «Non l'ho mai visto commuoversi per qualcosa. Comunque io sto bene, non preoccupatevi per me. Tornate a vedere come stanno le cose e chiedete che mi lascino sola per un poco. Ne ho bisogno,
devo riflettere.» «Lo farò», promise Cadfael, e tornò indietro senza perplessità, perché ora lei era padrona di se stessa e delle proprie azioni come forse non era mai stata. Prima di uscire, si voltò a guardarla un'ultima volta e lei era sempre là immobile sui gradini dell'altare, con lo sguardo fisso davanti a sé, e un vago sorriso sulle labbra, come se vedesse qualcuno. Avevano slegato le bisacce della sella e le avevano depositate in portineria, il posto più vicino dove vi fosse un tavolo adatto all'operazione. Erano là in sei, quando vi andò Cadfael: l'abate Radulfus, il priore Robert, il vicepriore Herluin, Robert Bossu, Rémy di Pertuis e Hugh Beringar, appena arrivato e subito informato dell'accaduto. E fu lui a vuotare le bisacce, levandone il modesto equipaggiamento personale di un apprezzato domestico, indumenti ben ripiegati, rasoio, spazzole, una bella cintura, un paio di guanti un po' sciupati ma di ottima fattura. E infine, sotto a tutto, una rigonfia sacca di pelle, legata con un cordoncino, che mandò un imprevedibile tintinnio di monete quando Hugh la sollevò, posandola sul tavolo. «Buon Dio!» esclamò Herluin sbalordito. «Io la conosco, questa. Era nella cassetta da portare a Ramsey che avevamo lasciata sull'altare di Nostra Signora quando c'è stata l'inondazione. Ma com'è possibile? La cassetta era stata messa sul carro col legname e l'abbiamo poi ritrovata ad Ullesthorpe, scassinata e vuota.» Hugh aprì la borsa, la capovolse e ne scivolarono fuori prima una cascata di pence d'argento, poi uno scintillio di gioielli: una collana d'oro con pietre preziose, due braccialetti d'oro uguali e due anelli pure d'oro, uno massiccio con sigillo, l'altro formato da una larga fascia finemente cesellata. Ultima fu una grossa spilla d'oro rossiccio, un fermaglio di mantello di splendida fattura sassone. «Questi li conosco anch'io», disse Radulfus. «La spilla l'ho vista una volta appuntata al mantello di Lady Donata e l'anello a fascia lo portava sempre.» «Li aveva regalati a Ramsey poco prima di morire», spiegò Herluin, profondamente stupito da quel ritrovamento che sembrava un miracolo. «Erano tutti nella cassetta che avevo affidato a Nicol quand'è montato sul carro diretto a Ramsey. Poi l'abbiamo ritrovata, ma vuota...» «Lo ricordo bene», confermò Nicol, che frattanto si era avvicinato alla portineria, fermandosi sulla soglia. «Mi sentivo sicuro perché avevo io la chiave, ma quei bricconi l'hanno forzata, si sono presi il tesoro, poi l'hanno
buttata via... Così almeno pensavamo!» Ed era quello che avevano pensato tutti. Tanta generosità, tanti doni per un monastero devastato erano stati sull'altare di Nostra Signora la notte dell'inondazione, abbastanza in alto per essere al sicuro dall'acqua, ma non dai ladri che si erano intrufolati col pretesto di dare una mano a mettere in salvo gli arredi sacri, approfittandone invece per impadronirsi di quel tesoro. La chiave era nella serratura, allora, non v'era stato bisogno di forzarla. Era stato facile prendere il sacchetto di pelle e sostituirlo con quanto era disponibile, stracci e sassi, per uguagliare il peso. Poi richiudere a chiave la cassetta e rimetterla al suo posto, come se nessuno l'avesse mai toccata. E dopo, rifletté Cadfael, osservando l'ultimo lascito di Donata, nascondere il bottino da qualche parte, fino al momento di andarsene da Shrewsbury. Da qualche parte dove, anche se fosse stato scoperto, non si potesse collegarlo a un nome, ma dove sarebbe stato difficile scoprirlo. E Bénezet aveva aiutato a portare i cavalli dalla stalla dell'abbazia a quella della Fiera Equina. Non ci sarebbe voluto molto per ficcare il suo tesoro in fondo alla giara del grano, riempita di fresco per i pochi giorni durante i quali i cavalli sarebbero rimasti là. Certamente non tanti da dover vuotare la giara, mettendo allo scoperto quello che c'era sotto il grano. E comunque più al sicuro che nella foresteria, dove andavano e venivano viaggiatori d'ogni tipo ed era impossibile mantenere un segreto. «Sono sempre rimasti qui a Shrewsbury!» esclamò lo sceriffo, davanti a quella pila d'oro e d'argento: «Padre Herluin, a quanto pare Dio e i santi vi hanno restituito il vostro tesoro!» «Con qualche aiuto anche da parte di quella vostra ragazza, Rémy!» osservò Robert Bossu. «Non dimentichiamoci di lei. Aveva ragione, parlando di furto. Spero che non le sia accaduto niente di male. Dov'è adesso?» «In chiesa», rispose Cadfael. «E vi prega di lasciarla là sola per un po' di tempo, prima di partire. Ha soltanto un graffio a un braccio e niente le impedisce di muoversi, ma ha bisogno di un po' di quiete per ritrovare la calma, dopo quello spavento.» «Bene, rispetteremo il suo desiderio», assentì il conte. «Ma io vi confesso, Hugh, che non vedo l'ora di essere fuori di questo marasma. E se i vostri uomini riporteranno indietro il ladro senza danni, tanto di guadagnato, perché fuggendo mi ha pure rubato uno splendido cavallo. Ha molto di cui rispondere!» «Di ben più che un semplice furto», commentò cupamente il monaco. Aveva rimosso il mucchio d'indumenti sotto i quali era stata nascosta la
refurtiva di Bénezet, e frugando a fondo nella bisaccia ne aveva trovato un altro: una camicia di lino bianco, palesemente lavata e stirata di recente, che teneva tra le mani, osservando attentamente il polsino di una manica. Pignolo e autosufficiente, Bénezet non aveva bisogno di una donna che gli tenesse in ordine la biancheria, e non era tanto ricco da buttar via una camicia tuttora in ottime condizioni, tanto meno lì, in un monastero, mentre Rémy era in cerca di un protettore. L'aveva lavata e stirata lui stesso, nascondendola poi in fondo alla sua bisaccia e aspettando di essere a parecchie miglia da lì, all'aria aperta, per disfarsene. Ma vi sono macchie che non è facile lavare. Cadfael mostrò il polsino a Hugh, mentre il conte Robert prendeva l'altra manica. A circa un palmo dall'orlo erano entrambe cosparse di piccole macchie tonde, non più di un tenue ma netto contorno rosa, e Cadfael, che ne aveva già viste altre simili, capì alla prima occhiata di che cosa si trattava. E lo stesso fu per Robert Bossu. «Questo è sangue!» esclamò il conte. «Sangue di Aldhelm», fece eco Cadfael. «Pioveva, quella sera, Bénezet avrà avuto il mantello e ha agito con la massima circospezione, ma...» Ma non si può spaccare la testa a un uomo esanime usando un'enorme pietra tutta spigoli senza imbrattarsi di sangue almeno mani e maniche. E sulla stoffa tali macchie, se non si lavano subito, diventano indelebili. E rivelatrici. «Me la ricordo quella sera», disse Rémy, allibito e quasi incredulo. «Ero a cena da voi, padre abate, e lui era libero da ogni suo dovere. Ne avrebbe approfittato per andare a fare una passeggiata in città, ha detto.» «Ha riferito lui a Daalny che aspettavamo Aldhelm qui all'abbazia, e lei ha avvertito Tutilo perché si allontanasse. Sicché Bénezet sapeva di quella visita e supponeva, ma non ne era certo, quale fosse il motivo. Poteva accadere che Aldhelm, interrogato in proposito, ricordasse e riferisse innocentemente qualcosa di troppo di ciò che aveva visto. E così è morto, senza alcuna colpa, ucciso da Bénezet. Che non saprà mai, come non lo sapremo mai noi, se aveva veramente un motivo per uccidere.» Alan Herbard, il sostituto di Hugh, arrivò a cavallo all'abbazia un'ora prima di mezzogiorno, quando la comitiva si stava radunando per la partenza, dopo che il conte Robert l'aveva generosamente differita per lasciare a Daalny il tempo di riprendersi. Toccò a Cadfael il compito di andare a cercarla in chiesa. V'era stato anche, per tutti gli altri, il tempo per schiarirsi le idee riguardo alla valanga di eventi e scoperte, non tutti gradevoli, che
minacciavano di diminuire il loro numero e cambiare molte vite. Il vicepriore Herluin aveva perduto un novizio e la possibilità di vendicare tanti abusi amaramente sofferti, ma in compenso aveva recuperato un tesoro che credeva perduto per sempre e il suo umore, pur fra tanti peccati, morti e violenze, si era rasserenato fino a sfiorare la benevolenza. Rémy aveva perduto un domestico ma assicurato il proprio futuro con un protettore di grande prestigio: un servo si poteva sostituirlo facilmente, ma essere accolto tra i familiari di un conte tanto importante era una fortuna che sarebbe durata per tutta la vita. Rémy non aveva niente di cui lamentarsi. Non aveva nemmeno perduto il cavallo, insieme col domestico: quello che costui aveva rubato apparteneva allo scudiero di Robert Bossu. Il vecchio ma pacifico roano di Bénezet, liberato dalle sue bisacce, aspettava ora tranquillamente un altro cavaliere. Poteva prenderlo Nicol, lasciando il suo compagno a guidare il carro. Si stava ristabilendo l'ordine normale della vita, dopo tanto sconquasso. E tutt'a un tratto ecco lì Alan Herbard, che stava smontando accanto alla portineria, incuriosito e un po' intimorito al vedere Hugh in tale illustre compagnia. «Lo abbiamo preso, sceriffo. Io sono corso avanti per avvertirvi, arriveranno subito anche gli altri. Dove dobbiamo portarlo? Non ci avete detto perché è scappato e di che cosa è accusato.» «È incriminato di omicidio. Tenetelo stretto e mettetelo sottochiave al castello, io verrò appena possibile. Siete stati svelti, non poteva essere molto lontano. Com'è accaduto?» «Ci ha trascinati per un miglio o più nella Long Forest e stavamo guadagnando terreno quando lui ha lasciato improvvisamente il sentiero battuto cercando di mettersi in salvo nel folto della foresta. E penso che abbia spaventato un cervo o qualche altro animale selvatico, e il cavallo si sia impuntato, perché abbiamo udito Bénezet bestemmiare, e l'animale è indietreggiato con un acuto nitrito. Probabilmente Bénezet lo aveva colpito col pugnale...» «Conradin non lo avrebbe mai sopportato!» esclamò indignato lo scudiero che si era avvicinato per sentire che cosa fosse accaduto al suo cavallo. «È una mia supposizione, perché era molto avanti e non potevamo vederlo, ma il cavallo deve aver fatto un balzo indietro e disarcionato il suo cavaliere che, cadendo, è andato a sbattere violentemente contro un ramo basso, perché lo abbiamo trovato quasi tramortito sotto un albero. E in quelle condizioni, naturalmente, non ci ha creato guai.»
«È ancora in tempo a farlo», lo ammonì Hugh. «Will non è un novellino, non allenterà la guardia. Ma il cavallo», aggiunse Alan, quasi in tono di scusa, «non lo abbiamo riportato. Era scappato prima che arrivassimo noi e, per quanto lo abbiamo cercato, seppure senza allontanarci troppo per non lasciare incustodito il prigioniero, non ne abbiamo trovato traccia. E così, libero com'era, chissà fin dove sarà arrivato, prima di vincere la paura e fermarsi.» «E con lui se n'è andato tutto il mio corredo», gemette lo sfortunato scudiero, poi rise. «Mio signore, dovrete rivestirmi da capo a piedi, se non si potrà ritrovarlo!» «Riprenderemo le ricerche domani e ve lo riporteremo», promise Alan. «Ma prima voglio vedere quel delinquente al sicuro, in prigione.» Fece un profondo inchino all'abate e al conte, rimontò a cavallo e se ne andò, lasciandoli a guardarsi l'un l'altro incerti, come accade quando ci si sveglia all'improvviso e ci si chiede se ciò che vediamo è sogno o realtà. «È finita bene», osservò Robert Bossu, dopo un momento. «Sempre che sia finita! Se non sbaglio, padre, è la seconda volta che ci salutiamo, ma questa è definitiva, dobbiamo andarcene. Spero di potervi rivedere in un'occasione migliore, ma ora sarete contento di non averci più attorno, con tutti i guai che vi abbiamo combinato. La vostra abbazia sarà molto più tranquilla senza di noi.» Poi si rivolse a Cadfael. «Volete chiedere alla signora se si sente in grado di venire con noi? È ora di partire.» Cadfael andò e tornò dopo un momento, solo. «Se n'è andata», annunciò, cercando di mantenere un tono indifferente. «In chiesa ho trovato soltanto Cynric, il sagrestano di fratello Boniface, occupato a smoccolare le candele sull'altare maggiore, e lui non ha visto nessuno né entrare né uscire nell'ultima mezz'ora.» In seguito, si domandò più di una volta se Robert Bossu se lo aspettasse. Ma probabilmente non aveva mai neppure pensato a un'evenienza simile: Daalny, finora, non significava niente per lui, la conosceva appena e certo non si era mai soffermato a chiedersi che cosa avrebbe potuto o non potuto fare. E, comunque, non parve eccessivamente stupito. Non fu lui, ma Rémy di Pertuis a prorompere sbigottito: «No! Non può essere fuggita! Dove potrebbe andare? È mia! Ne siete certo? No, dev'essere là, non avete avuto il tempo per cercarla bene...» «L'ho lasciata là più di un'ora fa», ribatté Cadfael. «Seduta sui gradini dell'altare di santa Winifred, e adesso non c'è più. Andate a guardare voi
stesso. Non c'era nessuno in chiesa quando vi si è recato Cynric.» «Mi ha abbandonato!» gemette Rémy pallido e sconvolto, non limitandosi a protestare per la perdita di un bene, ma d'altra parte non soffrendo certo la perdita di una persona cara. Daalny era una voce per lui, ma, da vero musico provenzale qual era, la considerava più preziosa dell'oro fino, più dei rubini, e avere accanto a sé quella ragazza significava essere padrone di quello strumento, che per Rémy era la sua unica dote. «Devo cercarla. Appartiene a me, l'ho comprata. Mio signore, aspettate almeno finché non l'avrò trovata, non può essere lontana. Due giorni... un giorno...» «Altre ricerche? Altre delusioni? Ah, no!» ribatté il conte, scuotendo risolutamente la testa. «Ci sono già passato per quella strada, una barriera dopo l'altra, un inciampo dopo l'altro, senza fine. Capisco che sia un bene prezioso per voi, Rémy, un'ugola d'oro, una mano abile e leggera per qualsiasi strumento musicale, ma io sono lontano da casa da troppo tempo ormai, e se mi volete come vostro patrono, vi conviene venire via con me, ora, scordandovi di avere sborsato denaro per qualcosa che non ha prezzo. Non serve a niente. Vi sono tanti altri al mondo similmente dotati, avrete i mezzi per trovarli e vi assicuro che non avranno da lamentarsi.» Non erano parole vane, e Rémy lo sapeva. Dovette lottare a lungo con se stesso per decidere tra la sua cantatrice e la sicurezza per l'avvenire, ma la conclusione era indubitabile. Cadfael lo vide deglutire e quasi soffocare per lo sforzo, e gli fece un po' pena. Ma con un protettore potente, colto e durevole come Robert Beaumont, la compassione per Rémy di Pertuis non poteva durare a lungo. «Padre abate, e voi, sceriffo», stava dicendo in quel momento, «tremo al pensiero che lei possa essere sola e in difficoltà. Se ritornasse o se aveste sue notizie, vi prego, fatemelo sapere e manderò qualcuno a prenderla. È sempre stata e sarà sempre la benvenuta per me.» Senza dubbio, e non soltanto perché l'apprezzava per la sua voce. Probabilmente non si era mai reso conto, finora, che Daalny era molto più di una sua proprietà personale, era una creatura umana come lui, con gli stessi diritti, e poteva avere fame, morire di stenti, cadere vittima di predoni da strada, subire danni in mille modi. Fu come se una monaca si fosse trovata a un tratto fuori del convento dov'era entrata bambina, avventurandosi in un mondo sconosciuto e spietato. Per Rémy un'immagine nuova, apparsa e scomparsa nel medesimo istante. «Bene, signore, io ho fatto quanto potevo. Sono pronto.»
Erano partiti tutti, in corteo lungo il Foregate, verso Saint Giles: Robert Beaumont al fianco del vicepriore Herluin, tornato di buonumore dopo avere recuperato il frutto di tutte le sue fatiche lì a Shrewsbury e lusingato di viaggiare in compagnia di un signore tanto altolocato, i due scudieri del conte, e infine Nicol, a chiudere la sfilata, felice di andare una volta tanto a cavallo invece che a piedi. Lo scalpitare degli zoccoli riecheggiò nella chiesa finché non ebbero aggirato l'angolo della Fiera Equina, poi regnò finalmente il gradito silenzio necessario per riflettere. Era finita. «Bene», mormorò fratello Cadfael con un sospiro di sollievo, e ringraziando familiarmente santa Winifred con un cenno del capo, «un briccone simpatico e innocuo, ma non adatto al chiostro, non più di quanto fosse lei per la schiavitù. E allora, di che lagnarsi, Hugh? Ramsey starà benissimo anche senza di lui, e la regina di Partholan non è più una schiava. Ha perduto tutto il corredo, è vero, ma quello probabilmente lo avrebbe buttato via comunque. Non aveva niente di suo, mi ha detto, neppure l'abito che indossava. Ora sarà contenta di non avere sottratto altro che quello.» «E quel giovane non ha rubato altro che una ragazza», commentò Hugh. Poi aggiunse, scrutando il viso soddisfatto dell'amico: «Lo sapevate che lui era là, quando l'avete seguita in chiesa?» «Be', non so come, non avevo né visto né udito niente, ma, sì, sapevo che era là. E lo stesso è accaduto a lei, appena è entrata. È stato come se qualcuno mi sussurrasse all'orecchio: non fare rumore, non dire nulla, andrà tutto bene. In fondo, non chiedeva molto, poveretta, soltanto di restarsene sola per qualche momento. E la porta sulla strada è sempre aperta.» «Secondo voi», domandò Hugh mentre si avviavano verso la porta meridionale e il chiostro, «Aldhelm aveva qualcosa da dire contro Bénezet?» «Chi lo sa! Era possibile, e tanto bastava.» Uscirono nella luce piena del primo pomeriggio che, dopo tale subbuglio di eventi e di passioni, pareva promettere una sera di pace, col piacere del riposo dopo la fatica, della quiete dopo la tempesta. «Era facile affezionarsi a quel ragazzo», osservò Cadfael. «Ma pericoloso, con una simile banderuola. Senza dubbio un ladro, ma non per interesse, e un bugiardo, se gli conveniva. Ma con Donata era stato sincero, quanto ha fatto per lei gli era dettato dal cuore, non dal pensiero di un guadagno.» Non v'era più nessuno nel cortile principale quando svoltarono verso la portineria. Uno spazio poco prima vibrante di collera e di sommovimento, ora deserto, come se un creatore secondario, deluso dal mondo che aveva
forgiato, avesse voluto cancellarlo per lasciare il posto a un secondo tentativo. «Avete pensato», domandò Hugh, «che quei due saranno certamente sulla stessa strada che ha preso Bénezet? A sud, fino all'incrocio con l'antica via romana, poi a ovest, dritti come un fuso, nel Galles. E, col favore dei santi, o del diavolo, potrebbero persino imbattersi in quel cavallo sbandato, là nella foresta, dove Alan domani non troverà più niente.» «E un cavallo ancora con le bisacce da sella di quello sfortunato scudiero», rammentò a un tratto Cadfael, rallegrato da quel pensiero. «Gli faranno comodo indumenti diversi da saio e cappuccio e, così a occhio e croce, penso che dovrebbero essere proprio della sua misura.» «Non trascinatemi oltre», si affrettò a ribattere Hugh. «Trovare non è rubare», obiettò Cadfael, mentre si fermavano al portone dov'era legato il destriero dello sceriffo. «Donata lo aveva capito meglio di tutti noi. Un trovatore, aveva detto, ha bisogno di tre cose, e soltanto di quelle. Uno strumento, un cavallo e una donna innamorata. Il primo glielo ha dato lei, come acconto di buon augurio. Ora, forse, li ha tutti e tre.» FINE