JOHN DICKSON CARR UN COLPO DI FUCILE (Till Death Do Us Part, 1944) I Più tardi, ripensando agli avvenimenti, Dick Markha...
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JOHN DICKSON CARR UN COLPO DI FUCILE (Till Death Do Us Part, 1944) I Più tardi, ripensando agli avvenimenti, Dick Markham avrebbe potuto vedere un sinistro presagio in quel temporale estivo, nella tenda del chiromante, nel tiro al bersaglio e in una mezza dozzina di altre cose di quella fiera di beneficenza. Ma resta il fatto che egli a malapena s'accorse del tempo che faceva: ed era troppo felice, in quel momento. Davanti, mentre lui e Lesley varcavano i cancelli dai pilastri di pietra sormontati dallo stemma araldico raffigurante il grifone ed il frassino, si stendevano i prati di Ashe Hall. Sulle distese erbose spiccavano gaie bancarelle e tende a strisce contro lo sfondo rosso del lungo muretto di cinta del castello. Era una scena che, quattro o cinque anni dopo, Dick Markham avrebbe rammentato con nostalgia quasi angosciosa: un'Inghilterra verde, lussureggiante, calda; un'Inghilterra da partite di cricket e pomeriggi oziosi; un'Inghilterra che voglia Iddio non si debba mai estinguere, sostituita dalle tanto decantate sciocchezze di un mondo migliore. Si stendeva in tutta la sua opulenza, circa un anno prima che iniziasse la guerra di Hitler, sebbene l'aggettivo "opulento" mal si adattasse al patrimonio di George Converse, ultimo barone Ashe. Tuttavia Dick Markham, un giovanotto alto, dotato di un'immaginazione eccessiva, se ne accorse appena. «Siamo terribilmente in ritardo, sai» ansimò gaiamente Lesley con tutta l'aria di infischiarsene. Avevano camminato rapidamente, ma ora si fermarono di colpo mentre una folata d'aria fredda, a paragone del pomeriggio torrido, spazzava i campi con improvvisa violenza. Il vento prese di mira il cappello di Lesley, un assurdo copricapo da stella del cinema, con una grande ala palpitante di velo, costringendola ad afferrarlo con tutt'e due le mani. Il cielo, percorso da lente nuvole fumose, s'era fatto di un'oscurità crepuscolare. «Guarda!» esclamò Dick. «Che ore sono?» «Certo le tre passate.» Il giovane accennava davanti a sé, là dove l'ombra del temporale conferiva a ogni cosa un aspetto fantomatico e irreale; tende e bancarelle, ani-
mate dal vento, parevano deserte. «Ma... dove sono andati a finire tutti quanti?» «Probabilmente alla partita di cricket. Sarà meglio affrettarci. Lady Ashe e la signora Price saranno furiose.» «Te ne importa?» «No» confessò ridendo Lesley. «No davvero,» Dick l'osservò, ridente e ansimante, le mani strette sull'ala del cappello e notò la disperata serietà del suo sguardo, nonostante il sorriso che le schiudeva le labbra. Pareva che ogni pensiero, ogni emozione si fossero concentrati in quegli occhi bruni ripetendogli ciò che la fanciulla gli aveva detto la sera innanzi. Notò la grazia inconsapevole delle braccia alzate, l'abito bianco che la sferza del vento faceva aderire al bel corpo. Dick Markham non avrebbe mai immaginato che un tipo come lui, così intransigente in fatto di convenzioni, avrebbe osato abbracciare e baciare ardentemente Lesley Grant all'ingresso del parco silenzioso di Lord Ashe, durante un'aristocratica festa all'aperto, incurante che qualcuno potesse vederli. Ma fu proprio ciò che fece, mentre il vento spazzava il parco e il cielo diventava sempre più nero. La conversazione dei due giovani (e sia detto senz'ombra d'ironia) si fece un tantino caotica. «Mi ami?» «Lo sai. E tu mi ami?» Dalla sera precedente avevano pronunciato quelle parole un'infinità di volte senza rendersi conto di ripetersi, perché ogni volta erano parse una nuova scoperta che li colmava di una gioia ineffabile. Infine Dick Markham, vagamente conscio del luogo in cui si trovavano, si sciolse dall'abbraccio imprecando al mondo intero. «Dobbiamo proprio andare a quella dannata partita di cricket?» domandò. Lesley esitò, mentre l'intensa concentrazione di emozioni svaniva dai suoi occhi, e fissò il cielo. «Fra un minuto pioverà a dirotto» osservò. «Dubito che possano giocarla. Inoltre...» «Inoltre?» «Desidero consultare il chiromante» concluse d'un fiato. Dick non sapeva dire perché gli venne spontaneo scoppiare in una sonora risata; forse era l'espressione ingenua della ragazza e la sua aria grave
a destare l'ilarità, o forse avrebbe riso di qualsiasi cosa pur di sfogare la piena di sentimenti che gli urgeva dentro. «La signora Price assicura che è bravissimo» protestò prontamente Lesley. «Dice che indovina tutto il passato.» «Cose che si sanno già, comunque.» «Non potremmo andarlo a trovare?» Un lontano brontolìo di tuono echeggiò a levante. Afferrando saldamente Lesley per il braccio, Dick la trascinò a passo rapido lungo il viale che conduceva al gruppo di bancarelle sul prato. Non era stato fatto alcuno sforzo per sistemarle con una pur vaga parvenza d'ordine; e dal baraccone del lancio alla noce di cocco al così detto "stagno" dove si pescavano le bottiglie, ogni proprietario aveva piazzato la propria baracca secondo il suo gusto artistico. La tenda del chiromante era inconfondibile. Stava appartata, più vicina ad Ashe Hall; aveva la forma di una grossa cabina telefonica dal tetto a punta ed era a vistose strisce bianche e rosse. Sulla tenda spiccava un cartello che diceva: "Il grande Swami, lettore della mano e della sfera di cristallo: vede tutto, sa tutto" e una mano di cartone trafitta da frecce esplicative. Ora il cielo s'era fatto così cupo che Dick poteva distinguere una luce nell'interno del padiglione che doveva esser soffocante, quel pomeriggio. Un soffio di vento più gagliardo spirò fra le tende facendo sbatacchiare la tela e gonfiandole come palloncini. La mano di cartone s'agitò grottescamente come se li invitasse o facesse cenno di cacciarli. Una voce gridò: «Ohilà!». Il maggiore Price, dietro al banco del tiro a segno, li chiamava con voce gagliarda, le mani a imbuto davanti alla bocca. La maggior parte degli altri padiglioni era deserta; evidentemente i loro proprietari s'erano recati alla partita di cricket. Coraggiosamente, il maggiore era rimasto e. dopo aver attirato la loro attenzione, passò sotto il banco e corse ad incontrarli. «Credi che sappia?» chiese Lesley. «Suppongo che lo sappiano tutti» rispose Dick imbarazzato e insieme gonfio d'orgoglio. «Ti dispiace?» «Dispiacermi!» esclamò Lesley. «"Dispiacermi"?» «Mio caro giovanotto!» proruppe il maggiore tenendosi saldamente calcato in testa il berretto di lana scozzese. «Cara ragazza! È tutto il pomeriggio che vi cerco! E anche mia moglie. È dunque vero?» «È vero.»
«Mio caro giovanotto!» ripeté il maggiore con una solennità più adatta a un funerale che non a un matrimonio. Nelle grandi occasioni, il maggiore Price esibiva un sentimentalismo che poteva diventare terribilmente imbarazzante. Tese la mano a stringere l'una dopo l'altra quelle dei due giovani. «Ne sono felice» dichiarò con un tono di franca simpatia che riscaldò il cuore di Dick. «Una saggia decisione; lo dice anche mia moglie. A quando le nozze?» «Non abbiamo ancora deciso» rispose Dick. «Mi spiace d'esser arrivato così tardi alla festa; ma eravamo...» «Occupati» concluse il maggiore. «Lo so! Non dite altro.» Sebbene, rigorosamente parlando, non gli competesse più il grado di maggiore, non avendo mai fatto parte dell'esercito regolare ed essendosi guadagnato il grado nell'ultima guerra, l'appellativo si addiceva così bene a Horace Price che nessuno lo chiamava in altro modo. In realtà era un abile avvocato. Il villaggio di Six Ashes, per non nominare una buona metà dei paesi vicini, andava a sbrogliare le proprie liti nel suo ufficio della High Street. Ma il portamento militare, la figura massiccia, i baffetti rossi a spazzola, il viso tondo e lentigginoso, gli occhi di un azzurro sbiadito, oltre alla perfetta ed esasperante conoscenza delle cose militari e degli sport, facevano di lui il maggiore Price anche per i magistrati. In quel momento guardava raggiante i due giovani, dondolandosi avanti e indietro sulle calcagna e fregandosi le mani. «Dobbiamo celebrare l'avvenimento» annunciò. «Tutti vorranno congratularsi con voi. Mia moglie, Lady Ashe, la signora Middlesworth e tutti quanti! Intanto...» «Intanto» suggerì Lesley «non faremmo meglio a metterci al riparo?» Il maggiore Price la guardò sbattendo gli occhi. «Al riparo?» Le querce intorno ad Ashe Hall erano incurvate dal vento e lo sbatacchiare delle tende assomigliava allo schioccare di fruste. «Sta per scoppiare il temporale» osservò Dick. «Spero che le tende siano fissate saldamente, altrimenti voleranno per il cielo di tutta la contea.» «Oh, resisteranno benissimo» assicurò il maggiore «e ormai poco importa che scoppi il temporale. La fiera è quasi finita.» «Avete fatto buoni affari al vostro banco?» «Ottimi» rispose il maggiore mentre gli occhi azzurro pallido brillavano d'entusiasmo. «Sapete che alcuni amici si sono rivelati eccellenti tiratori?
Cynthia Drew, per esempio...» Price s'interruppe di colpo arrossendo violentemente, convinto di aver commesso un errore diplomatico. Con un senso di stanco risentimento, Dick si augurò che la gente non ricominciasse a rinfacciargli Cynthia Drew. «Lesley è ansiosa di conoscere il famoso chiromante, se è ancora nella sua tenda» osservò asciutto «e, col vostro permesso, credo che faremmo bene ad affrettarci.» «Oh, no, non dovete!» proruppe il maggiore. «Non dobbiamo che cosa?» Il maggiore Price tese la mano ad afferrare il polso di Lesley. «Andare dal chiromante. È ancora là, ma prima dovete onorare il mio padiglione della vostra presenza» disse sogghignando. «Il tiro a segno?» esclamò Lesley. «Assolutamente!» insistette il maggiore. «No, vi prego. Preferirei di no.» Dick si volse a guardare la ragazza, sorpreso dalla nota quasi isterica che aveva nella voce; ma Price, con esuberante e tirannica benevolenza, non le diede retta. Mentre una goccia di pioggia colpiva la fronte di Dick, il maggiore li sospinse verso il tiro a segno, un'angusta baracca dalle pareti di legno, il tetto di tela e una lastra di acciaio dipinto di nero sul fondo. Una mezza dozzina di bersagli scorrevoli su carrucole erano sospesi alle pareti di metallo, in modo da poter essere tolti una volta che il cliente aveva sparato. Tuffandosi sotto il banco, il maggiore Price fece scattare un interruttore e, grazie ad un'ingegnosa combinazione di batterie a pila, un piccolo fascio di luce illuminò ogni bersaglio. Sul banco era allineata tutta una collezione di fucili leggeri, specialmente calibro 22, che il maggiore aveva preso in prestito dagli abitanti di Six Ashes. «A voi, signorina» esclamò Price additando solennemente sul banco una ciotola colma di denaro. «Sei colpi per mezza corona. So che è un prezzo esorbitante, ma il ricavato va in beneficenza. Provate!» «Francamente, preferirei di no» si schermì Lesley. «Sciocchezze!» insistette il maggiore afferrando un piccolo fucile e accarezzando teneramente la canna. «Questa è una splendida arma di nuovo modello, un Winchester 61 automatico, molto adatto a eliminare un marito dopo il matrimonio.» Scoppiò a ridere compiaciuto della sua facezia. «Suvvia, provate!»
Dick, che aveva messo una mezza corona nella ciotola e s'era voltato per incoraggiare la ragazza, si fermò di colpo. Negli occhi di Lesley Grant c'era un'espressione enigmatica, ma che indubbiamente conteneva timore e supplica. S'era tolta il bel cappello e i folti capelli bruni che le ricadevano in riccioli sulle spalle erano un po' arruffati dal vento. Non era mai stata bella come in quell'istante di tensione; non dimostrava più di diciott'anni, sebbene ne confessasse ventotto. «So che è ridicolo» ansimò, mentre le sue dita tormentavano l'ala del cappello «ma ho una paura pazza delle armi, come di tutto ciò che fa pensare alla morte...» Il maggiore Price inarcò le sopracciglia rosse. «Santo cielo, figliola» protestò «non vi chiediamo di uccidere nessuno! Prendete il fucile e sparate a uno di quei bersagli. Coraggio!» «Sentite» intervenne Dick «se preferisce di no...» Allora Lesley, evidentemente decisa a non fare la figura della sciocca, strinse i denti e prese il fucile dalle mani di Price. Dapprima tentò di tenerlo alla distanza d'un braccio, ma vide che non andava e, dopo essersi guardata intorno esitante, appoggiò la guancia all'arma e sparò alla cieca. Il colpo, più un botto che una detonazione, fu coperto dal tuono. Sul bersaglio non apparve il foro di una pallottola ed il brontolìo del tuono parve commentare l'insuccesso di Lesley. La ragazza posò quietamente il fucile sul banco, ma Dick notò costernato che il suo corpo tremava e che era sul punto di piangere. «Mi dispiace» si scusò la fanciulla. «Non riesco a vincermi.» «Sono il più gran somaro del mondo» sbottò Dick Markham. «Non avevo capito niente...» Le posò le mani sulle spalle e l'emozione per la sua vicinanza fu così forte e conturbante che se non fosse stato per la presenza del maggiore Price, l'avrebbe stretta fra le braccia. Lesley tentò di sorridere e quasi vi riuscì. «Va tutto bene» lo rassicurò. «So che non dovrei essere così sciocca, ma...» fece un gesto stizzoso non riuscendo a trovare le parole, poi prese il cappello dal banco. «Non potremmo andare a trovare il chiromante, ora?» «Naturalmente. Ti accompagno.» «Non ci riceverà più di uno alla volta» osservò Lesley. «Resta pure qui a terminare la carica. Non te ne andrai, vero?» «È l'ultima cosa che devi pensare» replicò gravemente Dick. Si fissarono per un lungo istante prima che Lesley si allontanasse. Dick
Markham si mise a imprecare contro se stesso per aver turbato Lesley, con tale violenza che persino Price, chiuso in un colpevole silenzio, rimase piuttosto scosso. Il maggiore si schiarì la gola. «Donne!» esclamò scuotendo il capo. «Già. Ma, perdiana, avrei dovuto essere più perspicace!» «Donne!» ripeté il maggiore porgendo il fucile a Dick che lo prese automaticamente, poi osservò con un'ombra di invidia: «Siete fortunato, ragazzo mio». «Santo cielo, credete che non lo sappia?» «Quella ragazza» continuò il maggiore «è una vera strega: arriva qui sei mesi fa e fa girar la testa a metà dei maschi del paese. Ed è anche ricca...» s'interruppe esitando. «Sentite, Markham...» «Dite, maggiore Price.» «Avete visto Cynthia Drew, oggi?» Dick lo squadrò freddamente, ma il maggiore evitava di osservarlo, lo sguardo fisso sulla fila di fucili allineati sul banco. «Sentite!» esclamò il giovane. «Volete capirla che non c'è mai stato niente fra Cynthia e me?» «Lo so, caro figliolo» replicò in fretta l'altro con studiata indifferenza. «Ne sono certo; tuttavia le donne...» «Quali donne?» «Mia moglie, Lady Ashe, la signora Middlesworth, la signora Earnshaw.» Il vento ritornò a fischiare fra le tende gonfiandole e sollevando nuvole di polvere, senza che i due se ne accorgessero. «Un minuto fa» osservò Dick «dicevate che volevano congratularsi con noi, assicuravate che ci cercavano ansiosamente per tutto il paese per sommergerci di felicitazioni,» «Proprio così, mio caro. È la pura verità.» «E allora?» «Allora, badate, voglio solo avvertirvi, provano compassione per la povera vecchia Cynthia.» «La povera vecchia Cynthia?» «Per modo di dire, naturalmente.» Scostando Price da un lato, Dick imbracciò il fucile e sparò. La detonazione parve un rabbioso commento alle parole del maggiore e il giovane notò distrattamente d'aver centrato il bersaglio. Lui e il maggiore par-
lavano col tono guardingo e da cospiratori che gli uomini usano per discutere di faccende domestiche delicate e Dick era conscio della rete di chiacchiere che si nascondeva dietro la tranquilla facciata di Six Ashes. «Per oltre due anni l'intero villaggio ha cercato di mettere assieme Cynthia e me, ci piacesse o meno» commentò amaramente. «Vi capisco, figliolo, vi capisco benissimo!» Dick tornò a sparare. «Non c'è stato niente fra noi, vi assicuro! Non ho mai pensato seriamente a Cynthia e lei lo sa. Non può aver frainteso il mio contegno, checché ne pensino gli altri.» «Mio caro» osservò il maggiore con aria maliziosa «non si può ignorare una ragazza senza che lei si chieda che cosa ci sia dietro la nostra indifferenza.» Dick sparò ancora. «Non vedo perché dovrei sposarla solo per far piacere alla comunità. Sono innamorato di Lesley; l'ho amata fin dal primo momento che è arrivata qui e lei mi corrisponde, anche se non capisco che cosa trovi in me!» Il maggiore ridacchiò. «Suvvia» fece esaminando Dick da capo a piedi e agitando una mano in segno di protesta. «Dopo tutto siete la nostra celebrità locale.» Dick emise un borbottìo indistinto. «O meglio, dovrei dire che ora siete una delle nostre due celebrità locali» si corresse il maggiore. «Nessuno vi ha parlato del chiromante?» «No. Chi è? Non può trattarsi di qualcuno dei dintorni, altrimenti tutti lo conoscerebbero. Pare che lo ritengano incredibilmente bravo. Chi è, in verità?» Sul banco c'era una scatola di cartucce aperta. Il maggiore ne prese distrattamente una manciata lasciandosele scorrere fra le dita. Sorrise, come divertito da un improvviso ricordo. «Rammentatemi di raccontarvi un diabolico tiro che ho giocato a Earnshaw nel pomeriggio» disse. «Accidenti, maggiore, non cercate d'evadere. Chi è il chiromante?» Price si guardò cautamente in giro. «Ve lo dirò se non ne farete parola con nessuno, almeno per il momento, giacché egli desidera mantenere l'incognito. Probabilmente è una delle maggiori autorità viventi in fatto di criminologia.» II
«Un criminologo?» «Già. Sir Harvey Gilman.» «Non vorrete dire il patologo del Ministero degli Interni?» «Lui in persona» confermò il maggiore compiaciuto. Era così buio che si distingueva appena il cartello dov'era scritto: "Il grande Swami, lettore della mano e della sfera di cristallo: vede tutto, sa tutto". Ma internamente v'era una luce che pioveva dall'alto e disegnava contro la parete della tenda l'ombra delle due persone che stavano dentro. Erano ombre indistinte che si agitavano mentre la tenda si gonfiava e ondeggiava, tuttavia Dick distinse la sagoma di una donna da un lato e, dall'altra parte di quello che sembrava un tavolo, un'ombra tozza dalla testa stranamente bulbosa, che agitava le mani. «Sir Harvey Gilman!» mormorò Dick. «Sta seduto là dentro con un turbante in testa e indovina tutto su tutti» spiegò il maggiore. «Per tutta la giornata è stato la principale attrazione della festa.» «Se ne intende davvero di chiromanzia e di lettura nella sfera di cristallo?» «No, ragazzo mio» rispose asciutto Price «ma conosce profondamente la natura umana e il segreto della chiromanzia sta tutto qui.» «Ma che ci fa a Six Ashes Sir Harvey Gilman?» «Ha affittato la villetta di Pope per l'estate, sapete, quella in Gallows Lane, non molto lontano da casa vostra.» Ancora il maggiore ridacchiò. «Quando il commissario della contea me l'ha presentato, m'è venuta un'ispirazione.» «Un'ispirazione?» «Già, ho pensato che sarebbe stata un'ottima idea chiedergli di recitare la parte del chiromante senza rivelare la propria identità finché non fosse terminata la festa.» «Com'è, in realtà?» «Un vecchietto risecchito dagli occhi scintillanti; ma ci giurerei che si diverte un mondo. Gli Ashes sanno chi è (l'altra sera per poco non ha fatto svenire Lady Ashe per l'emozione), e anche il dottor Middlesworth e un paio d'altre persone.» Qui il maggiore s'interruppe per lanciare un altro poderoso richiamo che lacerò i timpani di Dick. Proprio una delle persone che Price aveva appena nominato passava di corsa fra il gruppo di tende, diretta verso Ashe Hall.
Il dottor Middlesworth, a testa scoperta e con una sacca di mazze da golf su una spalla, avanzava a lunghi passi per evitare la pioggia. Durante la festa s'era occupato del golf in miniatura, vale a dire un campo da golf in formato ridotto munito di un monticello di lancio improvvisato da cui si tentavano vari tiri. Vi si ricevevano premi nominali in relazione al minor numero di colpi impiegati per raggiungere la buca. Al richiamo del maggiore, Middlesworth scosse violentemente il capo; ma l'altro lo chiamò con tanta insistenza che, riluttante, dovette raggiungere il tiro a segno. Hugh Middlesworth era un tipo molto popolare, oltre che un buon medico. Le ragioni della sua popolarità erano difficili a determinarsi. Non era loquace e, inoltre, era il più remissivo e casalingo degli uomini avendo una moglie devota, ma dotata di una lingua pestifera e una famiglia assai numerosa. Quarantenne, curvo, i fini capelli bruni più radi alla sommità del cranio, il dottor Middlesworth aveva sempre un'aria vagamente tormentata. Una fitta rete di piccole rughe gli circondava gli occhi e la bocca sotto i sottili baffi bruni; le guance e le tempie erano incavate. Dirigendosi a lunghi passi verso di loro, osservò Price con aria stupita. «Non siete andati alla partita di cricket?» domandò. «No» rispose il maggiore. «Ho deciso di restar qui e poi... beh, volevo tener d'occhio il chiromante. Ho raccontato a Dick che si tratta di Sir Harvey Gilman.» «Oh!» fece il dottor Middlesworth. Aprì la bocca come per dire qualcosa, ma cambiò idea e tacque. «In questo momento Lesley Grant è là dentro a farsi leggere l'avvenire» continuò il maggiore «e se Sir Gilman le predirà l'incontro con un giovanotto biondo e un viaggio, l'azzeccherà in pieno. Perché questi due hanno deciso di sposarsi, sapete?» fece, additando Dick. Il dottor Middlesworth non fece commenti e si limitò a stringere calorosamente la mano del giovane con gioia sincera. «Ne avevo già sentito parlare da mia moglie» confessò, e riprendendo l'aria preoccupata seguitò esitante: «Quanto a Sir Harvey...». «Potrebbe essere interessante per il ragazzo conoscerlo, data la sua professione» osservò il maggiore battendo sulla spalla di Dick con aria di protezione. «Interessante non è la parola adatta» esclamò Markham con fervore. «Quell'uomo ha fornito le prove decisive in tutti i delitti, celebri o oscuri, degli ultimi trent'anni. Un mio amico, che abitava vicino a lui a Bayswater,
racconta che Sir Harvey arrivava spessissimo a casa con i visceri di qualcuno dentro vasi di vetro aperti. Ralph dice che è un'enciclopedia vivente in fatto di delitti, se solo si riesce a farlo parlare. E...» Fu allora che i tre uomini trasalirono contemporaneamente mentre il bagliore d'un lampo, seguito a breve distanza da un rombo di tuono, squarciava il cielo illuminando i campi d'un pallore mortale e mettendo in rilievo ogni particolare come per effetto d'un flash. Rilevò, sullo sfondo, la cupa sagoma in mattoni rossi di Ashe Hall, coi suoi camini sottili e le bifore snelle divise da colonnette, ora illuminate dal chiaro di luna: venerabile e tuttavia decadente, come i suoi proprietari; gli alberi contorti dal vento, il viso magro e tormentato del dottor Middlesworth, il faccione allegro del maggiore Price, ora rivolto verso la tenda del chiromante. Quando ritornò il buio e il rombo del tuono morì in lontananza, un nuovo evento attrasse la loro attenzione. Nella tenda del chiromante stava accadendo qualcosa di strano. L'ombra di Lesley Grant era saltata in piedi, mentre quella dell'uomo, pure ritto dall'altro lato del tavolo, puntava un dito verso di lei e il gioco fantastico delle ombre sullo sfondo illuminato rivelava la tensione della scena. «Guardate!» esclamò Dick Markham. Sentiva l'agitazione di quelle figure come se gli fossero accanto. Poi l'ombra di Lesley Grant si voltò e la ragazza balzò fuori della tenda. Istintivamente, il fucile ancora sotto il braccio, Dick le corse incontro. La vide fermarsi di colpo, candida figuretta nella penombra, come cercasse di riprendere il controllo. «Lesley! Che accade?» «Accade?» gli fece eco la ragazza con voce fredda e ferma, solo un tantino più acuta del normale. «Che ti ha detto?» Dick sentì, più che vedere, i grandi occhi bruni scrutare il suo viso. «Non mi ha detto nulla! Me lo immaginavo che non era niente di speciale. Sempre le solite storie: una vita felice, una leggera malattia e l'arrivo di una lettera con buone notizie.» «Perché allora eri così spaventata?» «Non ero spaventata!» «Mi dispiace d'insistere, cara, ma ho visto la tua ombra sulla parete della tenda.» Sempre più turbato, con decisione improvvisa e senza quasi rendersi conto di ciò che faceva, Dick cacciò il fucile in mano a Lesley. «Tie-
nilo un momento.» «Dick! Dove vai?» «Voglio vedere coi miei occhi quell'individuo.» «No, Dick!» «Perché no?» La pioggia rispose per lei e grosse gocce sempre più fitte caddero sul prato flagellando gli alberi che parvero stringersi in gruppo mentre il cielo s'apriva come una cisterna. Guardandosi in giro, Dick s'accorse che il prato, fino allora deserto, si andava popolando di gente che scappava di corsa dal campo di cricket, dall'altro lato dei prati. Il giovane prese Lesley per un braccio e, indicandole il maggiore Price che s'affrettava a raccogliere una bracciata di fucili, le disse: «Vai al castello. Ti raggiungerò subito.» Poi corse alla tenda ed entrò. Una voce dal tono deliberatamente gutturale si levò dal fondo dell'afoso padiglione. «Mi spiace, ma sono molto stanco. Ho terminato proprio ora la mia ultima seduta; per oggi non posso più ricevere nessuna dama o gentiluomo.» «D'accordo, Sir Harvey» ribatté Dick. «Ma non sono venuto per farmi predire la sorte.» I due uomini si fissarono e Markham non riuscì a capire perché la voce gli morisse in gola. In uno spazio di un paio di metri quadrati, una lampada elettrica schermata pendeva dal soffitto illuminando un globo di cristallo, scintillante sullo sfondo color prugna del tappeto di velluto che copriva il tavolino. Dietro il tavolo stava seduto il chiromante, un ometto curvo e risecchito d'una cinquantina d'anni, con un completo di lino bianco ed un turbante colorato avvolto intorno al capo. Sotto il turbante spuntava un volto da intellettuale: naso a fendighiaccio, bocca sottile, mento appuntito e fronte tormentata. «Così, mi conoscete» fece l'uomo con voce secca come quella d'un maestro di scuola. Si schiarì la gola e tossì diverse volte per ritrovare il tono giusto. «Sì, signore.» «Che volete, giovanotto?» «Vorrei sapere che cos'avete detto alla signorina Grant.» «Signorina chi?» «Grant, la ragazza uscita or ora, la mia fidanzata.»
«Fidanzata, eh?» Le palpebre rugose si contrassero leggermente. Il maggiore Price aveva detto che Harvey si divertiva a fare il chiromante. Ci voleva una buona dose di maligno umorismo per starsene tutto il giorno seduto in quella tenda calda e soffocante a parlare con voce contraffatta, godendosela a sezionare coloro che gli stavano di fronte, pensò Dick. Ma in quel momento non v'era ombra di divertimento sul viso di Sir Harvey. «Dicevate, signor...» «Markham. Richard Markham.» «Markham» gli occhi del Grande Swami parvero rivoltarsi all'indietro. «Markham. Non ha visto per caso programmate a Londra le commedie di un certo Richard Markham, appartenenti a quel particolare genere che credo si chiami "giallo psicologico"?» «Infatti, signore.» «Se ben ricordo, analizzano la forma mentale e i momenti di coloro che commettono delitti. Le avete scritte voi?» «Ho fatto del mio meglio» rispose Dick, improvvisamente sulla difensiva, sotto lo sguardo scrutatore di Sir Harvey. "Sì" pensò "il vecchio si diverte." Infatti emise un suono che sarebbe stato una risata se l'uomo avesse aperto un po' più la bocca, sebbene la fronte restasse aggrondata. «Certo, certo, signor Markham. Come avete detto che si chiamava quella ragazza?» «Grant. Lesley Grant.» Pronunciò il nome proprio mentre scoppiava il temporale prendendo a diluviare. La pioggia martellava la tenda con un tambureggiare così pesante da costringere Dick ad alzare la voce per farsi sentire. «Che significa tutto questo mistero?» «Ditemi, signor Markham, è da molto tempo che vivete qui a Six Ashes?» «No, solo da sei mesi. Perché?» «Da quando siete fidanzato con lei? Credetemi, ho una buona ragione per chiedervelo.» «Ci siamo fidanzati ieri sera. Ma...» Il martellare della pioggia si trasformò in uno scroscio facendo vibrare le pareti della tenda. Dietro la sfera di cristallo, sempre fissando il visitatore con un'espressione bizzarra, Sir Harvey Gilman voltò la mano a palmo in su e si mise a tamburellare con le nocche delle dita sul tavolo coperto di velluto.
«Un'altra cosa, giovanotto» osservò con aria interessata. «Dove prendete il materiale per le vostre commedie?» In qualsiasi altro momento, Dick sarebbe stato ben lieto e lusingato di spiegarglielo; ma ora era troppo esasperato per accontentarlo. «Per l'amor del cielo» sbottò «volete spiegarmi che succede?» «Mi stavo chiedendo come dirvelo» rispose Sir Harvey, mostrando per la prima volta un barlume di umanità. «Sapete chi è in verità questa così detta Lesley Grant?» «Chi è?» «Credo sia meglio dirvelo.» Traendo un profondo sospiro, s'alzò dalla sedia dietro il tavolo e in quell'istante Dick udì un colpo di fucile. Poi il mondo si dissolse in un incubo. Sebbene lo sparo non fosse stato forte, i pensieri di Dick erano talmente legati ai fucili e al tiro a segno che quasi intuì ciò che stava per accadere. Vide il buco prodotto dal proiettile spiccare nero sulla parete della tenda, diventata grigiastra per l'umidità della pioggia, e Sir Harvey abbattersi in avanti, come colpito da un pugno sotto la scapola sinistra. In un lampo vide lo sguardo enigmatico del patologo trasformarsi in un'espressione di aperto terrore. Tavola e uomo gli caddero quasi fra le braccia, ma non ebbe neppure il tempo di stendere una mano che gli crollarono ai piedi. La mano di Sir Harvey, contraendosi spasmodicamente, tirò a sé la coperta della tavola e la boccia di cristallo cadde con un tonfo sull'erba rasata. Allora Dick vide una macchia di sangue prender forma e allargarsi su un fianco dell'abito bianco e udì una voce acuta gridare all'esterno: «Maggiore Price, non ho potuto evitarlo!» Era la voce di Lesley. «Mi dispiace tanto, ma non ho potuto evitarlo! Dick non avrebbe dovuto darmi il fucile da tenere! Qualcuno m'ha urtato il braccio; avevo la mano sul grilletto e il fucile ha sparato da solo!» La voce giungeva da poco lontano, fra io scroscio della pioggia, vibrante di angoscia e sincerità. «Io... spero di non aver colpito nulla.» III Alle nove e mezzo di quella sera, mentre l'oscurità del crepuscolo s'addensava fuori della finestra, Dick Markham passeggiava avanti e indietro
per lo studio del suo villino, appena fuori di Six Ashes. "Se solo potessi smettere di pensare" si diceva "ma non ci riesco..." Restava il fatto che l'ombra di Sir Harvey Gilman si stagliava chiaramente contro la parete della tenda, fornendo un ottimo bersaglio a chi avesse voluto sparargli. "Ma ciò che pensi è assurdo, impossibile!" "Se non ti metti in orgasmo, troverai una spiegazione logica a questa storia. L'essenziale è che ti liberi dalle ragnatele del sospetto, da queste orribili reti che ti avvolgono il cervello e i nervi fino a farti sentire il ragno che s'agita in fondo alla trappola. Sei innamorato di Lesley: tutto il resto non conta." "Bugiardo!" "Il maggiore Price crede che lo sparo sia stato accidentale. Anche il dottor Middlesworth e Earnshaw, il direttore della banca, comparso così inaspettatamente dopo che Sir Harvey Gilman si è abbattuto colpito dal proiettile. Tu solo..." Dick smise di passeggiare per guardarsi lentamente intorno: ecco lo studio nel quale aveva fatto tanto lavoro, buono o cattivo, le panciute lampade a bulbo sui tavoli che spandevano una luce dorata riflessa dai vetri delle finestre sul giardino, il caminetto di mattoni scuri dalla mensola di marmo bianco, i muri a cui erano appese fotografie incorniciate di attori e programmi teatrali del "Comedy Theatre", dell'"Apollo" e del "St. Martin", annuncianti commedie di Richard Markham. "L'errore dell'avvelenatore" diceva uno; "Panico in famiglia" annunciava un altro; ciascuna opera era un tentativo di penetrare nella mente del criminale, di vedere la vita attraverso i suoi occhi, di sentire con la sua sensibilità. Fotografie e programmi occupavano tutto lo spazio lasciato libero dagli scaffali zeppi di libri che trattavano della psicologia umana morbosa e criminale. Quella era la torre d'avorio di Dick Markham, lontana dal mondo quanto lo stesso villaggio di Six Ashes. Persino il sentiero nel quale abitava era remoto. Accese un'altra sigaretta e aspirò profondamente il fumo nello strano, perverso tentativo di farsi girare la testa. Stava tirando una seconda, profonda boccata di fumo quando il telefono squillò. Staccò il ricevitore con tanta furia da far quasi cadere l'apparecchio telefonico dalla scrivania. «Pronto» disse la voce circospetta del dottor Middlesworth.
Schiarendosi la gola, Dick posò la sigaretta sul bordo della scrivania e afferrò il ricevitore con tutt'e due le mani. «Come sta Sir Harvey? È vivo?» Un istante di silenzio. «Oh, sì. È vivo.» «Credete che guarirà?» «Oh, sì. Vivrà.» Una vertiginosa sensazione di sollievo, come se gli si fosse liberato il petto da un peso immane, fece salire grosse gocce di sudore alla fronte di Dick. Riprese meccanicamente la sigaretta, tirò un paio di boccate, poi gettò il mozzicone nel camino. «Il fatto è che vuole vedervi» continuò il dottor Middlesworth. «Potreste venire subito al suo villino? Dista solo qualche centinaio di metri dal vostro e ho pensato che forse...» Dick fissò il telefono. «È in condizione di veder gente?» «Certo. Potete venire subito?» «Verrò appena avrò telefonato a Lesley per rassicurarla. Non ha fatto che chiamarmi tutta la sera; è fuori di sé.» «Lo so. Ha telefonato anche qui. Ma, vedete...» Middlesworth ebbe un attimo d'esitazione. «Sir Harvey dice che preferirebbe che non lo faceste.» «Facessi che?» «Che non telefonaste a Lesley. Non ancora, almeno. Vi spiegherà lui il perché. Intanto...» il medico esitò nuovamente «non conducete nessuno con voi e non riferite a nessuno ciò che vi ho detto. Lo promettete?» «Va bene, lo prometto.» «Sul vostro onore?» «Sul mio onore.» Lentamente, fissò dapprima il telefono, come sperando che potesse spiegargli quel mistero, poi posò il ricevitore sul gancio mentre il suo sguardo correva distrattamente alla finestra. Il temporale era cessato da un pezzo ed era ritornato il sereno. Il cielo era punteggiato di stelle e c'era nell'aria un profumo di erba bagnata e di fiori che esasperava i sensi. Poi si girò di scatto, con la sensazione di una presenza estranea, e scorse Cynthia Drew, ritta sulla soglia dello studio. «Salve, Dick» sorrise Cynthia. Dick Markham aveva giurato solennemente a se stesso che non si sarebbe più sentito a disagio la prossima volta che avesse visto la ragazza; e in-
vece provò il solito senso di colpa. «Ho bussato ripetutamente alla porta d'ingresso, ma m'è parso che nessuno udisse. Era aperto e così sono entrata» spiegò Cynthia. «Ti dispiace?» «Per niente!» La conversazione si esaurì come una fonte inaridita, finché lei non si decise a parlare. Cynthia era una di quelle ragazze piene di salute, schiette, che ridono spesso e che tuttavia a volte appaiono più complicate delle loro consorelle più fragili. Non si poteva negare che fosse graziosa: capelli biondi, occhi azzurri, carnagione delicata e bei denti. Fino allora aveva tormentato la maniglia della porta e d'un tratto, trac, la si vide prendere una decisione. Si drizzò sulla persona, la bella figura atletica messa in rilievo da una camicetta di maglia rosa e da una gonna marrone sopra calze e scarpe in tinta bruciata, lo guardò dritto in viso, trasse un profondo respiro, poi avanzò con calcolata lentezza e gli porse la mano. «Ho saputo di te e Lesley, Dick. Ne sono lieta e spero che sarete tanto felici.» Nello stesso tempo i suoi occhi dicevano: "Non credevo che mi avresti fatto questo. Naturalmente non m'importa molto e, come vedi, prendo la cosa con spirito; ma spero che ti renda conto di aver commesso una porcheria". «Grazie, Cynthia» rispose Dick a voce alta. «Lo speriamo anche noi.» Cynthia cominciò a ridere, ma immediatamente, come rendendosi conto che la sua ilarità era sconveniente, si controllò. «La vera ragione che mi ha condotta qui» continuò, arrossendo suo malgrado «è la terribile avventura di Sir Harvey Gilman.» «Capisco.» «Perché è Sir Harvey Gilman, vero?» Accennò verso le finestre seguitando a parlare rapidamente. Se Cynthia non fosse stata una ragazza tanto equilibrata, si sarebbe detto che ci fosse in lei una malcelata allegria. «Voglio dire, l'uomo che è venuto ad abitare nel vecchio villino del colonnello Pope qualche giorno fa e che ha mantenuto così misteriosamente l'incognito per recitare la parte del chiromante. È Sir Harvey Gilman?» «Sì, è lui.» «Dick, che cos'è successo nel pomeriggio?» «Ma tu non c'eri?» «No, però dicono che stia morendo.» Sul punto di parlare, Markham si trattenne in tempo.
«Dicono che è accaduto un incidente» continuò Cynthia, «che Sir Harvey è stato colpito vicino al cuore da una fucilata... Povero Dick!» «Perché mi compiangi?» Cynthia serrò le mani. «Lesley è una cara ragazza» parlava con una sincerità così evidente che non si poteva dubitare di lei «ma non avresti dovuto darle quel fucile. Il maggiore Price dice che Sir Harvey è morente. Hai saputo qualcosa di più dal dottore?» «Beh, no.» «Tutti sono tremendamente sconvolti. La signora Middlesworth ha detto che l'incidente sta a dimostrare che non avremmo dovuto mettere un tiro a segno e la signora Price l'ha rimbeccata aspramente, dato che era suo marito ad averlo in consegna. È un vero peccato: il reverendo Goodflower dice che abbiamo ricavato più di un centinaio di sterline dalla fiera e la gente sta mettendo in giro le chiacchiere più assurde.» Cynthia raccoglieva libri sparsi per poi posarli nuovamente. Era piena di buone intenzioni, pensò Dick, maledettamente schietta, gentile e simpatica; tuttavia l'argomento gli dava sui nervi. «Senti, Cynthia, mi dispiace, ma devo uscire.» «Nessuno ha ancora incontrato Lord Ashe per chiedergli quel che ne pensa; ma lo si vede così raramente, no? A proposito, perché Lord Ashe guarda così stranamente la povera Lesley nelle poche occasioni in cui la vede?» Cynthia s'interruppe come meravigliandosi. «Che cosa dicevi, Dick?» «Che devo uscire.» «Perché?» «Per vedere cosa succede nell'altro villino. Il dottor Middlesworth vuole parlarmi.» Subito Cynthia cercò di rendersi utile. «Vengo con te, Dick. Se posso aiutarti...» «Ti dico che devo andar solo, Cynthia!» Fu come se l'avesse schiaffeggiata. "Ora sono un porco completo" pensò. "Oh, al diavolo!" Dopo un istante di silenzio, la ragazza lo guardò seria, gli occhi azzurri preoccupati. «Come sei irascibile, caro» osservò affettuosamente. «Non sono irascibile, accidenti! Solo che...» «Tutti gli scrittori lo sono, immagino; non v'è da stupirsene» continuò la
ragazza. «Tuttavia... buffo eh?, è una debolezza che non mi riesce di associare a un tipo come te padrone di sé, buon giocatore di cricket e... Oh, santo cielo! Ricomincio! Bisogna proprio che me ne vada.» Lo fissò decisa in viso. Con le guance arrossate, sotto gli occhi turchini, appariva davvero bella. «Puoi contare su di me, vecchio mio» aggiunse, e uscì. Ora era troppo tardi per farle delle scuse. Il "malvagio" della commedia attese che si fosse allontanata verso il villaggio e uscì a sua volta. Da est ad ovest, dirimpetto al villino, si stendeva un ampio sentiero di campagna che s'incurvava tra gli alberi e i campi aperti. Da un lato del sentiero correva il muretto di pietra che cintava il parco di Ashe Hall; dal lato opposto, su un'estensione di un centinaio di metri, sorgevano tre ville. La prima era quella di Dick Markham, la seconda era disabitata e la terza, proseguendo verso est, era stata affittata ammobiliata all'enigmatico forestiero. Questi villini di Gallows Lane incuriosivano i passanti. Sorgevano lontani dalla strada maestra e supplivano al contatore elettrico a gettone e alla mancanza di acqua corrente col loro aspetto pittoresco. Quando Dick uscì sul sentiero udì il campanile della chiesa battere le dieci. La strada era immersa nell'oscurità, ma sembrava meno buia della volta del cielo trapunta di stelle scintillanti. Allorché Dick arrivò all'ultima villa, camminava alla cieca. Ovunque buio, o quasi buio. Dirimpetto al villino di Pope sorgeva una fitta macchia di betulle contro il muro di confine del parco. Intorno alla casa si stendeva un frutteto. Dick non riusciva a scorgere nulla del villino, tranne due spiragli di luce che filtravano dalle tende mal tirate di due finestre sulla facciata. Qualcuno doveva averlo visto attraversare il giardino, perché il dottor Middlesworth venne ad aprirgli l'uscio e lo introdusse in un atrio d'aspetto moderno. «Sentite» incominciò il medico senza preamboli, con la solita aria mite, ma deciso: «Non posso seguitare con questa finzione. Non può pretenderlo». «Che finzione? Il vecchio è dunque ferito gravemente?» «Qui sta il punto. Non è ferito gravemente.» Dick chiuse la porta con un leggero tonfo e si voltò di scatto. «È svenuto per lo choc» spiegò il medico «così tutti hanno pensato che fosse morente o morto. Io stesso ho potuto accertarmene solo quando, dopo averlo condotto qui, ho usato la sonda. A meno di non essere colpiti alla
testa o al cuore, il proiettile d'una carabina calibro 22 non è mai pericoloso.» Uno scintillio divertito apparve nei miti occhi azzurri, mentre il dottor Middlesworth portava una mano a strofinarsi la fronte rugosa. «Quando estrassi il proiettile, Sir Harvey rinvenne e cominciò a gridare all'assassinio, sorprendendo il maggiore Price che insistette per rimanere, sebbene cercassi di allontanarlo.» «Ebbene?» «Sir Harvey non ha che una ferita superficiale che ha sanguinato pochissimo. Avrà la schiena indolenzita per qualche giorno, ma all'infuori di quello sta benissimo.» Ci volle qualche istante prima che Dick riuscisse ad assimilare la notizia. «Sapete che Lesley Grant è quasi fuori di sé, perché crede di averlo ucciso?» chiese. L'espressione divertita svanì dal viso di Middlesworth. «Sì, lo so.» «Che significa allora questa trovata?» «Quando il maggiore se ne andò» continuò il medico evitando una risposta diretta «Sir Harvey gli fece promettere di non dir nulla, affermando che sarebbe stato meglio far circolare la notizia ch'egli fosse morente e che ne avrebbe avuto ancora per poco. Conoscendo il maggiore, dubito che il segreto venga mantenuto a lungo.» L'emozione aveva sconvolto il dottor Middlesworth fino a renderlo loquace. «Comunque» protestò «neppur io posso mantenerlo e ho avvertito Sir Harvey. È contro l'etica professionale. Inoltre...» Come già un'altra volta quel giorno, il medico aprì la bocca per dire o suggerire qualcosa, ma ci ripensò. «Insisto a chiedervi, dottore: perché?» «Sir Harvey non ha voluto dirlo al maggiore e neppure a me. Forse lo dirà a voi. Venite.» Bruscamente, Middlesworth tese la mano a girare la maniglia d'una porta sul lato sinistro del vestibolo e accennò a Dick di precederlo. L'uscio dava in un salotto, largo sebbene basso di soffitto, con due finestre che si affacciavano sul sentiero. Nel centro esatto della stanza c'era un grande scrittoio illuminato da una lampada sospesa su di esso. In una poltrona accanto al tavolo, il dorso staccato dallo schienale, sedeva il chiromante, ora spogliato dei suoi paludamenti.
Il viso di Sir Harvey era così cupo da sommergere ogni altra impressione. Dick notò che indossava pigiama e vestaglia. Il capo, privo del turbante, si rivelava completamente calvo sopra gli occhi scettici, il naso appuntito e la bocca dura e sardonica. Squadrò Dick da capo a piedi. «Seccato, signor Markham?» Dick non rispose. «Suppongo che il seccato dovrei essere io» osservò Sir Harvey. Arcuò la schiena, fece una smorfia di dolore e strinse forte le labbra prima di riaprirle per continuare. «Ho proposto un piccolo esperimento, che il dottore qui non approva. Ma immagino che voi approverete, dopo aver udito le mie ragioni. No, dottore, potete restare.» Sir Harvey prese un sigaro mezzo fumato, appoggiato sull'orlo di un posacenere sullo scrittoio. «Intendetemi bene» proseguì. «Me ne infischio d'una giustizia astratta e non mi sposterei d'un passo dalla mia strada per dar informazioni contro qualcuno; ma sono intellettualmente curioso. Mi piacerebbe, prima di morire, sapere la risposta a uno dei pochi problemi che abbiano sconfitto il mio amico Gideon Fell. Se acconsentite ad aiutarmi possiamo tendere una trappola, altrimenti...» agitò il sigaro, se lo portò alle labbra e trovò che era spento. Nel suo contegno c'era qualcosa di più che un desiderio di rivincita. «Ed ora veniamo a quella donna, la così detta Lesley Grant...» Dick ritrovò la voce. «Facciamola finita, signore. Che cosa stavate per dirmi nel momento in cui è accaduto l'incidente?» «Volevo parlarvi di quella donna» seguitò l'altro con la solita calma. «Siete innamorato di lei, vero?» «Ne sono innamorato.» «È davvero un peccato» commentò asciutto Sir Harvey «però è già accaduto "prima".» Voltò la testa verso il calendario da tavolo, sulla scrivania, che segnava la data del due giugno, giovedì. «Ditemi, non vi ha per caso invitato a cena a casa sua, un giorno di questa o della settimana prossima, per una specie di celebrazione?» «Per la verità, sì. Per domani sera, ma...» Sir Harvey parve allarmato. «Domani sera, eh?» Nella mente di Dick sorse l'immagine di Lesley, sullo sfondo della sua casa, all'altro capo di Six Ashes; Lesley col suo buon umore, con la sua
mancanza di senso pratico, con la sua raffinatezza, Lesley che odiava l'ostentazione sotto qualsiasi forma, che non metteva mai il rossetto sulle labbra, né gioielli o abiti vistosi. Eppure queste doti di riservatezza erano accoppiate ad una natura appassionata che, quand'era innamorata, la faceva agire e parlare senza pudori. Senza volerlo si trovò a gridare: «Non posso sopportare altro! Che significano tutte queste assurdità? Cercate di dirmi che il suo nome non è affatto Lesley Grant?» «Infatti» rispose Sir Harvey. E guardandolo in viso: «Il suo vero nome è Jordan, ed è un'avvelenatrice». IV Per uno spazio d'una decina di secondi nessuno parlò; e quando Dick ritrovò la voce fu come se non avesse assimilato il significato di quelle parole. Si espresse senza collera, quasi con indifferenza. «È assurdo.» «Perché?» «Quella piccina?» «Quella piccina, come voi la chiamate, ha quarantun anni.» Di fianco a Dick c'era una sedia su cui il giovane si lasciò cadere pesantemente. Il colonnello Pope, proprietario della villa, aveva trasformato il salotto in un comodo sancta sanctorum per scapoli. Il fumo della pipa aveva annerito l'intonaco delle pareti e ingiallito le travi di quercia. Ai muri era appesa una fila di stampe militari dell'inizia e della metà del diciannovesimo secolo, dai colori delle battaglie e delle uniformi un po' sbiaditi dal tempo, ma ancora vivaci. Dick fissò i quadretti e gli parve che le tinte si confondessero. «Voi non mi credete, e neppure me l'aspettavo» osservò calmo Sir Harvey «così ho telefonato a Londra e domani verrà qui un funzionario di Scotland Yard che la conosce bene. Porterà anche fotografie e impronte digitali.» «Aspettate un momento, vi prego!» «Ebbene, giovanotto?» «Di che cosa è accusata Lesley, secondo voi?» «Di aver avvelenato tre uomini. Due erano suoi mariti; ecco la provenienza della sua ricchezza. Il terzo...» «Mariti?»
«La cosa urta la vostra anima romantica?» chiese Sir Harvey. «Il primo marito era un avvocato americano di nome Burton Foster; il secondo un commerciante di cotone che si chiamava Davies (ho dimenticato il nome). Entrambi erano ricchi, ma la terza vittima, come vi dicevo...» Dick si strinse forte le tempie. «Dio!» esclamò, e improvvisamente esplosero in quel monosillabo l'incredulità, le proteste, l'orrore, lo smarrimento che gli gridavano dentro. Avrebbe voluto non aver udito, cancellare dalla sua vita gli ultimi trenta secondi. Sir Harvey ebbe il buon gusto di mostrarsi un tantino confuso e di distogliere lo sguardo. «Mi dispiace, giovanotto» gettò il sigaro spento nel posacenere «ma così stanno le cose.» Poi osservò acutamente Markham. «E se credete...» «Continuate! Se credo che cosa?» La bocca dell'altro si fece anche più sardonica. «Se per un poetico senso della giustizia credete che stia inventando o voglia giocarvi un tiro, cavatevelo dalla testa. Credetemi, non è uno scherzo.» E, come Dick dovette scoprire ben presto, non lo era davvero. «Questa donna» proseguì Sir Harvey «è un cattivo soggetto. Più presto vi abituerete all'idea e più presto ve la leverete dalla testa. E più sicuro sarete...» «Più sicuro?» «Proprio così.» Si spostò sulla sedia cercando una posizione più comoda, ma vi rinunciò, irritato, con una smorfia di dolore. «Qui sta il punto» continuò. «Personalmente non giudico quella donna particolarmente abile; seguita tuttavia a farla franca. Ha inventato un metodo di assassinio che sconfigge Gideon Fell e me.» Era la prima volta che la parola "assassinio" veniva applicata a Lesley, aprendo nuovi spiragli su abissi infernali. Dick brancolò ancora alla cieca. «Fermatevi un istante!» insistette. «Un momento fa avete parlato di impronte digitali. Volete dire che è già stata processata?» «No, le impronte non furono ottenute ufficialmente. Non è mai stata processata.» «Ah!... Allora come fate a sapere che è colpevole?» L'esasperazione inasprì il tono dell'altro. «Non mi crederete finché non arriverà il nostro amico di Scotland Yard, signor Markham?»
«Non dico questo. Vi chiedo solo perché lo affermate con tanta sicurezza. Se Lesley è colpevole, perché la polizia non l'ha arrestata?» «Perché non possono provarlo. Tre delitti, badate, eppure non possono provare nulla.» Ancora una volta il patologo del Ministero degli Interni tentò distrattamente di mutar posizione e di nuovo il dolore glielo impedì. Ma era talmente assorbito nel discorso che quasi non se ne accorse. Le sue dita tamburellavano sui braccioli imbottiti della poltrona e negli occhi scimmieschi, fissi su Dick Markham, brillava un'espressione così sardonica che si sarebbe potuta scambiare per ammirazione. «La polizia vi fornirà dati e particolari precisi» seguitò. «Io posso solo dirvi ciò che so per esperienza personale. Vogliate avere la cortesia di non interrompermi più del necessario.» «Ebbene?» «Ho incontrato per la prima volta quella donna tredici anni fa. Il Governo non mi aveva ancora creato cavaliere e non ero ancora patologo del Ministero degli Interni. Spesso svolgevo funzioni di medico legale, oltre che di patologo. Un mattino d'inverno (la polizia vi fornirà le date) apprendemmo che un americano di nome Foster era stato trovato morto nello spogliatoio attiguo alla camera da letto della sua casa di Hyde Park Gardens. Mi recai laggiù con l'ispettore capo Hadley, ora sovrintendente. «Ci sembrò un caso evidente di suicidio. La moglie del morto era stata assente da casa, quella notte, e l'uomo fu trovato nello spogliatoio, disteso a metà su un divano accanto a un tavolino. La causa del decesso era acido cianidrico iniettato nell'avambraccio sinistro per mezzo di una siringa ipodermica che giaceva sul pavimento accanto a lui.» Sir Harvey fece una pausa. Un sorriso crudele gli increspò la bocca. «I vostri studi, signor Markham» fece stendendo le dita «i vostri studi dovrebbero avervi insegnato gli effetti dell'acido cianidrico. Inghiottito, procura una morte atroce, ma rapida. Iniettato nelle vene ha un effetto anche più rapido. «Nel caso di Foster il suicidio pareva evidente. Nessuna persona in possesso delle sue facoltà mentali si lascerebbe iniettare nelle vene un liquido che odora di mandorle amare lontano un miglio. Le finestre dello spogliatoio erano assicurate dall'interno, la porta non solo era chiusa dal di dentro, ma aveva appoggiato contro un pesante cassettone, tanto che la servitù aveva faticato ad entrare nella stanza. «Confortammo la vedova accasciata, ch'era ritornata a casa fra fiumi di
lacrime e scene di disperazione. Il dolore di quella creatura così delicata era commovente.» Dick Markham cercò di conservarsi calmo per ragionare. «E questa vedova» domandò «era?...» «Era la donna che si fa chiamare Lesley Grant. Sì.» Ancora vi fu silenzio. «Ora veniamo a una di quelle strane coincidenze che si ritiene erroneamente si verifichino solo nei romanzi e non nella vita reale. Cinque anni più tardi, questa volta in primavera, m'accadde di trovarmi a Liverpool per testimoniare alle Assise. C'era anche Hadley, per una ragione del tutto diversa. Ci incontrammo a St. George's Hall dove conoscemmo il sovrintendente di polizia locale. Per caso, durante il giorno, questi disse...» Qui Sir Harvey alzò lo sguardo. «Disse: "Dalle parti di Prince Park è accaduto un suicidio piuttosto strano. Un uomo s'è ucciso iniettandosi acido prussico; un tipo anziano, ma pieno di soldi. Godeva di ottima salute e non aveva preoccupazioni. Tuttavia è indubbio che si tratta di suicidio. L'inchiesta è finita proprio ora". Accennò verso il corridoio dal quale vedemmo venire verso di noi una donna in lutto, fra un gruppo di consolatori. Sono piuttosto coriaceo, ragazzo mio, e non m'impressiono facilmente; ma non dimenticherò mai l'espressione del viso di Hadley quando si voltò a dirci: "Perdiana, ma è la stessa donna!".» Silenziosamente, mentre Sir Harvey Gilman cessava di parlare e si sprofondava in riflessioni, il dottor Middlesworth attraversò la stanza, fece il giro del vasto scrittoio e sedette in una poltrona di vimini presso la finestra. Dick trasalì. S'era completamente dimenticato del medico. Nemmeno ora Middlesworth fece commenti o partecipò alla conversazione. Si limitò ad incrociare le lunghe gambe, appoggiando il gomito ossuto sul bracciolo della poltrona, il mento sulla mano, e fissò con occhi pensosi la lampada che pendeva sulla scrivania. «Volete dire che si trattava ancora di Lesley? Della "mia" Lesley?» ringhiò Dick Markham. «Della vostra Lesley, sì. Leggermente di seconda mano.» Dick fece per scattare dalla sedia, ma ricadde a sedere. Il suo ospite non si rendeva conto d'essere offensivo. Forse, come un chirurgo, cercava semplicemente di estirpare con un bisturi tagliente dal corpo di Dick Markham quello che considerava un tumore maligno.
«Allora» continuò «la polizia iniziò un'inchiesta.» «E con quale risultato?» «Con lo stesso risultato precedente.» «Provarono che non poteva essere stata lei a uccidere il marito?» «Provarono che non potevano... provarlo. Come nel caso di Foster, la moglie era stata assente da casa, quella notte.» «Aveva un alibi?» «Nessun alibi dimostrabile. Non era necessario.» «Continuate, Sir Harvey.» «Il signor Davies, il commerciante di Liverpool, era stato trovato riverso sulla scrivania del proprio studio. Ancora una volta la stanza era ermeticamente chiusa.» Dick si passò una mano sulla fronte. «Senza possibilità di dubbio?» chiese. «Le finestre non solo erano chiuse, ma avevano anche le imposte di legno sbarrate. La porta aveva due catenacci nuovi, a chiusura perfetta, che non potevano essere manomessi, uno in alto e uno in basso. Era una casa grande, solida, vecchia; la stanza poteva venir chiusa dall'interno come una fortezza. E non era tutto. «Si trovò che Davies aveva iniziato la sua carriera come farmacista e che quindi doveva conoscere l'odore dell'acido prussico. Non avrebbe potuto iniettarsi il veleno nell'avambraccio per errore. E, se non era suicidio, si trattava d'un delitto. Però non c'era traccia di lotta: Davies era un omaccione, vecchio sì, ma ancor vigoroso. Non si sarebbe sottomesso passivamente a un ago che odorava fortemente di acido cianidrico. E restava la porta chiusa dall'interno.» Sir Harvey increspò le labbra, inclinando la testa da un lato come per meglio ammirare l'effetto delle sue parole. «La chiarezza del caso, signori miei, faceva impazzire la polizia. Si sentivano sicuri, eppure non potevano provare che si trattava d'un delitto.» «Che cosa disse Les... voglio dire, che cosa disse la moglie, questa volta?» «Negò che fosse un delitto, naturalmente.» «Già, ma che cosa disse?» «Si mostrò semplicemente stupefatta e inorridita. Disse che non riusciva a capire. Ammise d'essere la donna che aveva sposato Burton Foster, ma l'intera faccenda non poteva essere che una spaventosa coincidenza o un errore. Che poteva ribattere la polizia?»
«E non fecero più nulla?» «Naturalmente seguitarono a indagare nella speranza che saltasse fuori qualche fatto nuovo.» «Ebbene?» «Tentarono di addebitarle qualche imputazione: invano! Non trovarono traccia di veleno presso di lei. Aveva sposato Davies sotto falso nome; ma ciò non costituisce reato, a meno che non vi sia una questione di bigamia o frode. E non era il caso suo. Punto e basta.» «E poi?» Il patologo scrollò le spalle e ancora fece una smorfia di dolore. «La sua prodezza finale posso raccontarvela in breve. Non vi presenziai, e nemmeno Hadley. L'avvenente vedova, ora proprietaria di una considerevole fortuna, scomparve improvvisamente e quasi mi dimenticai di lei. Tre anni fa un mio amico che vive a Parigi, e al quale una volta avevo raccontato la storia della donna, mi mandò un ritaglio di giornale francese. L'articolo riferiva un disgraziato suicidio in un appartamento di Avenue George V. La vittima era il signor Martin Belford, un giovane inglese che risultava da poco fidanzato e prossimo al matrimonio, con una certa Mademoiselle Non-So-Chi (il nome mi sfugge, in questo momento) la quale abitava in Avenue Foch. Quattro giorni prima aveva cenato a casa della donna, per una specie di festa di fidanzamento, aveva lasciato la casa apparentemente in buona salute e d'ottimo umore, era ritornato nel suo appartamento e la mattina seguente era stato trovato morto in camera da letto. Occorre che vi dica in quali circostanze?» «Le medesime?» «Esattamente. Camera chiusa ermeticamente e avvelenamento per endovenosa d'acido cianidrico.» «E poi?» «Inviai il ritaglio a Hadley che si mise in contatto con la polizia francese; ma questa non volle sentir parlare di null'altro fuorché di suicidio. I giornalisti francesi, ai quali è consentita maggiore libertà di espressione che non da noi, parlarono in tono di tragedia e di commiserazione della giovane donna: "Cette belle anglaise, très chic et distinguée".» Sprofondato nella poltrona di vimini, dal lato opposto della stanza, il dottor Middlesworth tirò fuori la pipa e si mise a ripulirne accuratamente il cannello. Si dava da fare per attenuare il profondo disagio, pensò Dick. Ed era la presenza del medico, rappresentante Six Ashes e la normalità, che rendeva
così grottesca la scena. «Sentite» sbottò. «Questa storia è impossibile!» «Certamente» convenne Sir Harvey «però è accaduta.» «Voglio dire che, dopo tutto, possono essere stati veramente suicidi.» «Forse sì» il tono dell'altro era cortese «e forse no. Suvvia, signor Markham, affrontiamo la realtà! Qualunque sia la vostra interpretazione dei fatti, non trovate la situazione leggermente sospetta? Leggermente sordida?» Dick rimase un istante in silenzio. «Allora, signor Markham?» «E va bene, sì; ma non sono d'accordo con voi che le circostanze fossero sempre le stesse. Quell'uomo di Parigi... come si chiamava?» «Belford.» «Belford, già. Avete detto che non lo sposò.» «Sempre spinto dai sentimenti personali, eh?» commentò Sir Harvey adocchiandolo con una specie di interesse clinico. «Non pensate affatto alla morte, al veleno; ma solo a quella donna fra le braccia di un altro.» L'osservazione era talmente azzeccata che Dick si sentì soffocare d'ira, pur atteggiando il viso a una calma dignitosa. «Non lo sposò» insistette. «Risultò che guadagnasse qualcosa dalla sua morte?» «No, nemmeno un soldo.» «E allora, perché l'avrebbe ucciso?» «Per tutti i diavoli, giovanotto!» scattò Sir Harvey. «Non capite che a quel punto la ragazza non poteva farne a meno?» Faticosamente, puntellandosi con prudenza ai braccioli della poltrona, si rizzò in piedi e tentò qualche passo su e giù per la stanza. «Voi lo sapete, giovanotto, o almeno la vostra professione dovrebbe avervelo insegnato, che l'avvelenatore non si ferma mai. Non può smettere. Diventa una specie di malattia, la fonte di una perversa emozione sempre più violenta, più eccitante di qualsiasi altra che la psicologia conosca. Il veleno! Il potere sopra la vita e la morte! Ve ne rendete conto?» «Me ne rendo conto.» «Bene. Allora considerate il mio punto di vista.» Allungò la mano a toccarsi delicatamente la schiena. «Vengo qui a trascorrere una vacanza estiva. Sono stanco e ho bisogno di riposo. Chiedo, come grande favore, che non venga rivelata la mia identità, altrimenti un sacco di sciocchi pretenderà di chiacchierare con me di
processi di cui ne ho fin sopra i capelli.» «Lesley...» cominciò Dick. «Non m'interrompete. M'assicurano che manterranno il segreto purché acconsenta a fare il chiromante alla loro festa di beneficenza. E va bene. Accetto, e per la verità la cosa mi alletta. È un'occasione per studiare la natura umana e per sbalordire gli sciocchi.» Alzò un dito a imporre silenzio. «Ma che accade? Nella mia tenda entra un'assassina che non ho più vista dall'affare di Liverpool. E non appare invecchiata d'un giorno, badate, da quando l'ho incontrata per la prima volta! Colgo l'occasione (e chi non l'avrebbe fatto?) per inculcarle un po' di timor di Dio. Dopo di che, in men che non si dica, lei tenta di uccidermi con un fucile. Ma questa volta non si può parlare di suicidio o di stanza ermeticamente chiusa poiché, con un foro di proiettile in una parete, un locale non si può dire ermeticamente chiuso. E perché? Perché sta organizzando un festino con avvelenamento per qualcun altro. In altre parole» accennò a Dick «per voi!» Un'altra pausa di silenzio. «Ora non ditemi che non ci avevate pensato!» esclamò Sir Harvey con aria scettica, scrollando il capo. «Non ditemi che una simile idea non v'era passata per la mente.» «Oh, no, ci avevo pensato.» «Credete alla storia che vi ho raccontata?» «Sì, ci credo; ma se ci fosse qualche errore... se non si trattasse affatto di Lesley...» «Vi arrenderete alla prova delle impronte digitali?» «Si, ci sarei costretto.» «E non credete ancora che tenterebbe di avvelenarvi?» «No, non ci credo.» «E perché? Immaginate che farebbe un'eccezione per voi?» Nessuna risposta. «Credete che finalmente si sia innamorata?» Ancora silenzio. «Anche ammettendolo, sareste disposto a sposarla?» Dick s'alzò dalla sedia. Aveva voglia di tirar pugni all'aria, di coprirsi le orecchie per non udire quella voce che lo costringeva ad affrontare la realtà dei fatti, tagliandogli ogni via di scampo. «Potete scegliere fra due alternative» seguitò l'altro. «M'accorgo però che avete già considerato la prima. Desiderate discutere la faccenda con
lei, vero?» «Naturalmente!» «Benissimo. C'è un telefono nell'ingresso. Chiamatela, chiedetele se tutta questa storia è vera e auguratevi che neghi. Perché certamente negherà, come il buonsenso dovrebbe suggerirvi, se ancora ve ne resta. E così vi troverete al punto di partenza.» «Quale sarebbe l'altra alternativa?» Sir Harvey Gilman interruppe i suoi tentativi di passeggiata per la stanza. «Potete tenderle una trappola per scoprire da voi che razza di donna sia» rispose semplicemente. «A mia volta saprò come diavolo sia riuscita a commettere i delitti.» V Dick tornò a sedersi. Prevedeva quale direzione avrebbe preso la conversazione. «Che genere di trappola?» chiese. «Domani sera siete invitato a cena a casa di quella signora, vero?» «Sì.» «Per una specie di celebrazione intima del vostro fidanzamento. Proprio come Martin Belford cenò con lei qualche ora prima di morire, no?» Dick provò una strana sensazione di gelo allo stomaco. «Sentite, signore! Non crederete che ritornato a casa mi chiuda in una stanza e che il mattino seguente mi trovino morto per avvelenamento con acido prussico, vero?» «Sì, giovanotto, lo credo.» «V'aspettate che io mi uccida?» «Quella, almeno, sarà l'apparenza.» «Ma perché? A motivo di qualcosa che sarà detta, fatta o suggerita a quella cena?» «Molto probabilmente sì.» «Che cosa, per esempio?» «Non lo so» ribatté Sir Harvey aprendo le mani in un gesto d'impotenza «ed è perciò che voglio vedere coi miei occhi.» Per un momento rimase in silenzio a riflettere. «Vi prego di notare» riprese dopo un po' «che per la prima volta siamo in grado di essere presenti. Le deduzioni non servono a nulla, come ha do-
vuto constatare Gideon Fell: bisogna vedere coi propri occhi. E di persona dovremo controllare un'altra cosa. C'è un particolare che dovete aver scoperto sul conto di Lesley Grant. Non le piacciono i gioielli, vero?» Dick rifletté. «Sì, è così.» «E non ne possiede? Inoltre, non tiene mai grosse somme di denaro in casa?» «No, mai.» «Veniamo a qualcosa che non è emersa fino alla morte della terza vittima. Allorché sposò Foster, l'avvocato americano, qualcuno installò nella loro camera da letto una cassaforte, piccola ma robusta. Anche quando si unì a Davies, il commerciante di Liverpool, in casa venne installata una cassaforte e in ciascun caso la donna spiegò che si trattava di un'idea del marito che l'usava per riporvi documenti importanti. Pareva che non vi fosse nulla di sospetto in ciò. «Ma» aggiunse Sir Harvey con straordinaria intensità «anche nella Avenue Foch a Parigi, dove lei viveva da sola, fu trovata una cassaforte dello stesso tipo!» «E che significa?» «La donna non possiede gioielli, non tiene in casa denaro; a che le serve allora una cassaforte a prova di furto? Che cosa ci tiene in questo forziere che non fu mai esaminato fin "dopo" il delitto?» Cupe congetture, tutte informi, ma non per questo meno sgradevoli, sorsero nella mente di Dick Markham. «Che suggerite, signore?» Cercò di assumere un'espressione indifferente; ma, come al solito, quel demonio risecchito gli lesse nel pensiero. «Anche ora c'è una cassaforte in casa sua, vero, giovanotto?» «Sì, c'è. Lo so per caso perché la cameriera fece un'allusione.» Dick esitò. «Lesley rise dicendo che ci teneva dentro il suo diario.» Fece una pausa. «Il suo diario» ripeté. «Possibile?» «Volete convincervi una buona volta che quella ragazza non è normale?» esclamò Sir Harvey. «Un avvelenatore deve confidarsi con qualcuno o qualcosa, che di solito è un diario. Tuttavia m'aspetterei di trovarci dell'altro. Come ricorderete, nessun veleno fu rintracciato presso di lei, né siringa ipodermica. Potrebbe trattarsi di cose del genere, oppure...» «Oppure?»
«Di qualcosa anche più spiacevole» concluse Sir Harvey. «Una volta Gideon Fell ebbe a dire che...» A questo punto fu interrotto. «Oggi al caffè ho sentito dire che il dottor Fell passa l'estate a Hastings» osservò improvvisamente Middlesworth togliendosi di bocca la pipa ancora vuota. «Ha affittato una villa laggiù.» Fu come se avesse parlato un mobile. Sir Harvey s'agitò guardandosi intorno irritato. «Gideon Fell qui vicino?» esclamò infine in tono soddisfatto. «Allora dobbiamo chiamarlo, giacché Hadley lo consultò dopo esser stato completamente sconfitto dal caso Davies e dal mistero delle porte chiuse. Nel frattempo noi provvederemo ad aprire quelle porte...» «Col mio aiuto?» chiese amaramente Dick. «Sì, col vostro aiuto.» «E se non volessi farlo?» «Credo che lo farete. La così detta signorina Lesley Grant è convinta che io sia morente e che quindi non possa tradirla. Incominciate a seguire la mia idea?» «Oh, sì, benissimo.» «Sa di commettere una pazzia, naturalmente; ma deve giocare con quel lucente, meraviglioso giocattolo che si chiama assassinio per avvelenamento. Ne è posseduta, ossessionata. Così, pur correndo un grave rischio, mi spara per non essere privata del brivido.» Sir Harvey batté l'indice sul bordo dello scrittoio. «Voi andrete a quella cena, signor Markham, farete tutto ciò che lei vi suggerirà e accetterete qualunque cosa dica. Io resterò in ascolto nella camera attigua. Col vostro aiuto scopriremo ciò che tiene in quel famoso nascondiglio. E quando avremo appurato come la non-abbastanza-astuta dama è riuscita ad ingannare la polizia di due nazioni...» «Scusatemi» l'interruppe nuovamente il dottor Middlesworth; si alzò dalla poltroncina di vimini e si accostò alla più vicina delle due finestre. Entrambe erano munite di pesanti tende di stoffa a fiori, sbiadite e annerite dal tempo e dal fumo di tabacco, non completamente tirate; e una di esse era spalancata. Middlesworth scostò le tende così che la luce della lampada illuminò il giardino esterno. Mettendo la testa fuori, gettò un'occhiata a destra e a sinistra, poi osservò le finestre per un lungo istante prima di richiudere le tende. «Ebbene?» domandò Sir Harvey. «Che succede?»
«Nulla» rispose il medico, e ritornò al suo posto. Sir Harvey lo scrutò attentamente. «Voi, dottore, avete detto ben poco fino ad ora» osservò in tono asciutto. «Già» convenne Middlesworth. «Che ne pensate di questa storia?» «Beh...» fece il medico profondamente imbarazzato. Esitò un istante, fissandosi le scarpe consunte dall'uso, poi guardò in viso Dick. «Deve essere terribile, per voi!» «Infatti» rispose Dick. Middlesworth gli era simpatico e si sentì un po' confortato da quelle parole gentili e comprensive. «Ma mi piacerebbe conoscere la vostra opinione.» Il medico esitò agitandosi sulla sedia. «Credo che valga la pena di tentare la trappola di Sir Harvey, anche se la ragazza dovrebbe essere davvero pazza per arrischiare una simile mossa contro di voi, a sole quarantotto ore di distanza dall'incidente del fucile. Però tutto andrebbe a monte se trapelasse la notizia che Sir Harvey non è gravemente ferito. Il maggiore Price, per esempio, lo sa.» Meditabondo, Middlesworth rivolse a Dick il suo sorriso caldo e confortante. «Può darsi che l'intera faccenda sia un errore, anche se Sir Harvey e la polizia di Christendon giurano di no; ma il fatto è, Dick, che... accidenti, in un modo o nell'altro dovete sapere la verità.» «Sì, lo capisco.» Dick s'abbandonò contro lo schienale della sedia. Si sentiva tutto dolorante, disfatto, ma il peggio doveva ancora venire. Si premette le mani sugli occhi chiedendosi che aspetto avesse il mondo in una giusta messa a fuoco. Sir Harvey l'osservava con aria di compatimento. «Allora facciamo... per domani sera?» chiese. «Va bene.» «Domattina vi darò le ultime istruzioni. Ho la vostra parola, spero, che non vi lascerete sfuggire parola o accenno di tutto questo con la nostra scaltra amica, vero?» «Supposto che sia colpevole» chiese improvvisamente Dick «e che il nostro tranello lo dimostri, che accadrà?» «Francamente, non me ne importa molto.» «Non devono arrestarla, badate, altrimenti sono disposto a giurare il falso.» Sir Harvey sollevò le sopracciglia. «Preferite vederla continuare alle-
gramente la sua opera di avvelenatrice?» «Non me ne importa un accidente di quel che ha fatto!» «Non volete aspettare di vedere come vi sentirete dopo l'esperimento? Credetemi, i vostri sentimenti potrebbero essere completamente mutati da qui a domani sera; potreste scoprire di non essere infatuato di lei come pensavate. Ho la vostra parola che non manderete tutto a gambe all'aria dicendo qualcosa alla nostra amica?» «Vi do la mia parola. Nel frattempo...» «Nel frattempo» intervenne il dottor Middlesworth «andatevene a casa e cercate di dormire. Quanto a voi» fece rivolgendosi a Sir Harvey «tornate a letto. Mi avete detto di avere del luminal; prendetene un quarto di grano se la schiena incomincia a farvi male. Farò una scappata domattina a cambiarvi la medicazione. Intanto, volete sedervi, per favore?» Sir Harvey ubbidì, adagiandosi delicatamente nella poltrona. «Non dormirò» gemette. «Qualunque cosa prenda non dormirò. Scoprire finalmente il trucco... trovare come avvelena mariti e amanti; ma nessun altro!» Dick Markham, che s'era alzato a fatica e si avviava verso la porta, si voltò bruscamente. «Nessun altro?» ripeté. «Come sarebbe a dire?» «Caro giovanotto! Perché credete d'essere stato scelto?» «Continuo a non capire.» «Vi prego di notare» ribatté Sir Harvey «che si tratta solo di ipotesi. Però non crederete che la scelta fosse accidentale, vero? La vittima doveva trovarsi in quel particolare stato mentale.» «Perché?» «Per fare ciò che lei esigeva, naturalmente.» «Un momento» protestò il dottor Middlesworth. «Siate ragionevole, Sir Harvey» continuò. «Non potete credere che questa ragazza dica: "Ecco qui una siringa ipodermica piena di acido prussico. Va' a casa e iniettatelo nel braccio, per farmi piacere".» «No, non proprio così crudamente.» «E come, allora?» «Ci proponiamo di scoprirlo; ma se esiste una spiegazione al mistero delle stanze ermeticamente chiuse, deve avvicinarsi molto alla mia supposizione. Il trucco funziona solo con uomini non nel pieno possesso delle loro facoltà mentali, ammaliati, intontiti, confusi. Non attaccherebbe neanche per un momento con qualcun altro.»
«Per esempio, qualcuno come voi o me?» «Esattamente» replicò il criminologo con assoluta certezza. «Buona notte, signori.» Lo videro sorrìdere, mentre uscivano nell'ingresso. Al di là dei campi, il campanile della chiesa di Six Ashes batté le undici. I suoi rintocchi spezzarono il silenzio della campagna, un silenzio quasi tangibile, mentre Dick e il dottor Middlesworth lasciavano il villino. Un profondo imbarazzo li tenne muti. Facendo strada con una torcia elettrica, Middlesworth indicò la sua automobile sulla strada. «Salite» disse. «Vi darò un passaggio fino a casa.» Durante il viaggio rimasero in silenzio, gli occhi fissi sul parabrezza. Middlesworth spinse il motore con inutile violenza e si fermò davanti alla casa di Dick con uno stridio di freni. Mentre l'auto ansimava rumorosamente, Middlesworth gettò un'occhiata intorno, poi disse: «Tutto bene?». «Tutto bene» rispose Dick aprendo la portiera. «Vi aspetta una brutta nottata. Non volete una tavoletta di sonnifero?» «No, grazie. Ho whisky in abbondanza.» «Non ubriacatevi!» Le mani di Middlesworth strinsero spasmodicamente il volante. «Per l'amor di Dio, non ubriacatevi!» Esitò. «Sentite, a proposito di Lesley, stavo giusto pensando...» «Buona notte, dottore.» «Buona notte, figliolo.» La macchina si mise in moto, allontanandosi verso est. Dick Markham restò sul cancello della villa per qualche istante, immobile; un profondo scoramento, una cupa disperazione si impadronirono di lui. Per prima cosa, egli non pensava affatto al delitto, alle persone che si supponeva Lesley avesse ucciso; ma agli uomini che la ragazza aveva amato. Parole staccate, intere frasi gli si affacciarono alla mente con tanta chiarezza che gli parve di riudirle. "Quella piccina, come la chiamate, ha quarantun anni." "Fiumi di lagrime e scene di disperazione." "Leggermente di seconda mano... Un omaccione, vecchio sì, ma vigoroso... La loro stanza da letto... Una terribile coincidenza o un errore... Non trovate la situazione leggermente sospetta? Leggermente sordida?" Era infantile. Indubbiamente! Puerile. Indubbiamente! Cercava di persuadersene, ma non poteva impedirsi di provare ciò che
prova una persona veramente innamorata. Se quelle parole fossero state scelte appositamente come tanti pugnali acuminati per torturargli i nervi, non avrebbero sortito un maggiore effetto. Si trovò a comporre mentalmente un ritratto di quegli uomini. Burton Foster, l'avvocato americano, se lo immaginava un tipo gioviale, vanesio, facile a lasciarsi imbrogliare. Quanto al signor Davies, l'omaccione vecchio sì, ma ancor vigoroso, non era difficile immaginarselo sullo sfondo della sua solida e vecchia casa trasudante ricchezza. Martin Belford, l'ultimo dei tre, restava più oscuro; ma, per qualche strana ragione, meno antipatico. Era giovane, probabilmente spensierato e brillante: Belford non contava molto. A voler ragionare, ciò che era sembrato avere maggior peso nei delitti era l'incredibile faccenda della siringa ipodermica piena di veleno. "Non può farne a meno... È come una malattia... Quella ragazza non è normale... Non voleva esser privata del brivido." Queste erano le parole che avrebbe dovuto ricordare per prime. Aveva pronunciato un sacco di belle parole su di un probabile errore; ma in fondo al cuore Dick Markham non credeva alla possibilità di un errore. Scotland Yard non commetteva sbagli del genere. E nonostante tutto, era il primo gruppo di frasi di Sir Harvey e non il secondo che tornava a farlo fremere, a torturarlo, a esasperarlo. Se solo Lesley non gli avesse detto tutte quelle bugie sul suo passato... Ma no, non gli aveva detto bugie; non gli aveva detto niente di sé. Oh, Signore benedetto, perché era tutto così complicato? Avviandosi verso casa, Dick provò uno struggente senso di solitudine, di vuoto, come se gli avessero strappato qualcosa, e ne rimase stupito perché aveva sempre creduto di amare la solitudine. Ed ora la solitudine lo spaventava. Percorse il corridoio che conduceva allo studio, aprì l'uscio e si fermò di colpo. Sul divano dello studio stava seduta Lesley. VI Sfogliava distrattamente le pagine d'una rivista e alzò il capo di scatto quando la porta si aprì. Una lampada panciuta sul tavolo dietro il divano metteva in risalto la delicatezza della sua pelle vellutata, faceva brillare i soffici capelli bruni che le scendevano sulle spalle in morbidi riccioli. Aveva sostituito l'abito bian-
co con uno verde cupo guarnito di strani bottoni. "Cette belle anglaise, très chic, très distinguée." Il collo sottile non rivelava una sola ruga. Gli innocenti occhi bruni apparivano spaventati. Per un momento nessuno dei due parlò; ma forse Lesley notò l'espressione stravolta del viso di Dick. Gettò via la rivista, s'alzò e gli corse incontro. Il giovane la baciò, dopo una leggera esitazione. «Dick» chiese calma Lesley. «Che è accaduto?» «Accaduto?» La ragazza si scostò d'un passo per meglio vederlo in viso. «Te ne sei andato... sei uscito» fece scuotendolo per le braccia. «Non eri più qui. Che c'è?» Poi, improvvisamente: «Si tratta del chiromante? Di Sir... Sir Harvey Gilman? Come sta?». «Sta come c'è da aspettarsi che stia.» «Vuoi dire che sta morendo, vero?» domandò Lesley. D'un tratto parve capire. «Dick, ascolta! È perciò che hai quell'aria sconvolta e ti comporti così stranamente?» Lo fissò inorridita. «Non crederai che l'abbia fatto apposta, vero?» «No, certo!» "Maledizione!" imprecò mentalmente. "Non devo lasciarmi sfuggire una parola, un accenno, una domanda che possano tradirmi!" La faccenda era piena di trabocchetti. La sua voce risuonava falsa, ipocrita ai suoi stessi occhi. Accarezzandole il braccio, alzò lo sguardo alla parete vicino al camino e la prima cosa che vide fu la copertina gialla d'una delle sue commedie: "Lo sbaglio dell'avvelenatore". «Davvero?» insisté Lesley. «Mia cara! Sparargli apposta? Non avevi mai visto il vecchio prima d'allora, no?» «Mai!» I suoi occhi si riempirono di lagrime. «Ho saputo chi era soltanto dopo l'incidente. Qualcuno m'ha detto il suo nome.» Dick tentò di sorridere. «Allora non v'è di che preoccuparsi. Non pensarci. A proposito, cosa ti stava dicendo, nella tenda?» Dick non aveva intenzione di chiederglielo, ma un impulso incontrollabile lo aveva spinto, suo malgrado. «Ma te l'ho detto!» esclamò Lesley. «Le solite cose a proposito di una vita felice, di una lieve malattia e dell'arrivo di una lettera con buone notizie. Mi credi?»
«Naturalmente.» Lesley ritornò al divano ed egli la seguì. Avrebbe voluto sedersi di fronte a lei, ma ubbidì agli occhi della fanciulla che gli chiedevano di sedersi al suo fianco. Lesley fissò il tappeto e i capelli le piovvero un po' in avanti nascondendole la linea del collo. «Se dovesse morire, che cosa mi farebbero, Dick?» «Nulla. È stato un incidente.» «Voglio dire... la polizia verrebbe ad interrogarmi?» Seguì un silenzio carico di tensione. Dick tese istintivamente la mano verso la scatola delle sigarette, sul tavolino, chiedendosi se sarebbe riuscito a impedirsi di tremare. I due parevano sospesi in un vuoto irreale fatto di libri, quadri e lampade accese. «Temo che un'inchiesta dovrà svolgersi.» «Il che significa che verrà stampato sui giornali? Dovrò dare il mio nome?» «È solo una formalità, Lesley. Che t'importa?» «Nulla. Soltanto...» gli gettò un'occhiata spaventata per quanto si sforzasse di sorridere. «Vedi, tutto quel che so di cose simili l'ho imparato da te.» «Da me?» Lesley accennò alle file di libri zeppi di storie criminali. «Sono cose terribilmente interessanti» osservò sorridendo Lesley. «La morte mi ripugna e allo stesso tempo mi attrae. È affascinante, in un certo senso. Centinaia di persone con strani pensieri chiusi nella mente...» Poi Lesley ebbe un'uscita sorprendente: «Voglio essere rispettabile! Voglio essere rispettabile a tutti i costi!». Dick prese un tono volutamente divertito. «E non ci riesci?» «Caro, non scherzare, ti prego! Ed ora essere coinvolti, senza colpa, in questo spaventoso pasticcio!» Tornò a fissarlo così supplichevole che distrusse ogni sua facoltà di ragionamento. «Ma questo non rovinerà la nostra festicciola, vero?» «Quella di domani sera, vuoi dire?» «Sì, la nostra cena.» «Nulla potrebbe impedirmi di venirci. Ci saranno altri invitati?» Lesley lo fissò. «Non desideri che ci sia altra gente, vero?... Dick, che hai? Perché ti sen-
to così lontano? Ancora un po' e mi verranno strane idee.» «Non ho nulla!» «Voglio che tutto sia perfetto fra noi! Tutto. E soprattutto voglio che tutto sia perfetto domani sera, perché devo dirti qualcosa. E devo anche mostrarti qualcosa.» «Davvero? Che cosa devi dirmi?» Dick aveva estratto una sigaretta dalla scatola e la stava accendendo quando fu bussato violentemente alla porta. Lesley emise un'esclamazione e tornò a sedersi. Il giovane non sapeva se essere grato o spiacente dell'interruzione. Si affrettò verso la porta d'ingresso, l'aprì e sbatté gli occhi per la sorpresa scorgendo la persona che stava ritta sulla soglia. «Ehm... buona sera» fece il visitatore. «Spiacente di disturbarvi a quest'ora.» «Entrate, prego.» Di fronte al cancello, sul viale, era ferma una Ford sconquassata, col motore acceso. Il visitatore fece cenno di spegnerlo a qualcuno seduto nell'interno della macchina, poi entrò con aria un po' diffidente. George Converse, barone di Ashe, era l'unico pari del regno che Dick conoscesse; però, avendone frequentemente incontrato altri nella narrativa, Dick trovava Lord Ashe piuttosto sorprendente. Era un uomo di media statura, sottile e muscoloso, sulla sessantina, coi capelli grigio ferro, la carnagione rosea e un viso assorto da studioso. Lo si vedeva raramente e si diceva stesse compilando una interminabile storia della sua famiglia. I suoi abiti avevano sempre un'aria vagamente trasandata che non stupiva se si consideravano le grosse tasse che doveva pagare e il suo stato di cronico dissesto. Ma sapeva essere una piacevole compagnia, quando voleva. Mentre Dick lo precedeva lungo il corridoio, pensava ad alcune parole che Cynthia Drew aveva pronunciato qualche ora prima, quella stessa sera: "Perché Lord Ashe guarda così stranamente la povera Lesley nelle poche occasioni in cui la vede?". Anche quella sera Lord Ashe si fermò di colpo sulla soglia dello studio e fissò "stranamente" Lesley. La ragazza si alzò di scatto in piedi. «Ehm...» borbottò il visitatore. «Sì, sì, sì...» Poi s'inchinò cortesemente e sorrise. «Siete la signorina Grant, vero? Io, ehm, credevo...» Evidentemente imbarazzato, si rivolse a Dick. «Mio caro ragazzo, il diavolo deve averci messo la coda.»
«Che è accaduto?» esclamò Lesley. «Va tutto bene, signorina Grant!» la rassicurò gentilmente Lord Ashe. «Sulla mia parola d'onore, non c'è nulla di cui dobbiate preoccuparvi. Però sono contento di vedervi. To... ehm... non m'aspettavo di trovarvi qui.» «Sono capitata dentro per caso.» «Sì, sì, naturalmente.» Si rivolse nuovamente a Dick: «Torno ora da...» accennò l'altro villino. «Ho pensato ch'era mio dovere andar a chiedere notizie; ma la casa è completamente buia e non ha risposto nessuno, quando ho bussato.» «Non c'è da allarmarsi. Sir Harvey riposa.» Lord Ashe parve sorpreso. «Ma non c'è un dottore ad assisterlo? O un'infermiera?» «No. Il dottor Middlesworth ha deciso che non era necessario.» «Ma, mio caro ragazzo, non è un'imprudenza? Però il dottor Middlesworth sa il fatto suo. Come sta il ferito?» «Il ferito sta come ci si può aspettare che stia. Perché dicevate che il diavolo ci ha messo la coda?» «Qualcuno ha rubato un fucile» rispose Lord Ashe. Vi fu un istante di silenzio. Lord Ashe trasse di tasca una busta da occhiali con un paio di lenti a "pince-nez" che si mise a cavallo del naso. «Ditemi, vi prego, signorina... ehm... Grant; dopo il disgraziato incidente di questo pomeriggio durante il quale è partito casualmente un colpo di fucile, rammentate che avete fatto dell'arma?» Lesley lo fissò a bocca aperta. «L'ho restituita al maggiore Price. Tutti possono testimoniarlo.» «Già, infatti; ma non rammentate per caso che è stato del fucile "dopo" che lo avete restituito al maggiore Price?» Lesley scosse il capo e rabbrividì. «Il maggiore Price stava raccogliendo i fucili quand'è scoppiato il temporale. Erano tutti in fila sul banco del tiro a segno. Dopo quell'orribile... cosa, gli gettai il fucile e credo l'abbia messo con gli altri; ma non ne sono sicura. Ero sconvolta e chiesi a Dick di condurmi a casa.» «Ehm, sì. E voi rammentate come sono andate le cose, ragazzo mio?» «Quando Sir Harvey svenne» spiegò Dick «mi affacciai alla tenda e chiamai il maggiore Price e il dottor Middlesworth.» «E poi?» «Bill Earnshaw, il direttore di banca, sapete» rispose Dick nel dubbio che Lord Ashe, vivendo una vita così ritirata, non lo conoscesse «Bill Ear-
nshaw era appena arrivato. Il maggiore Price chiese a Bill di badare ai fucili mentre con il dottor Middlesworth trasportava Sir Harvey nella automobile del dottore. È tutto quel che riesco a ricordare.» «È esatto. Le testimonianze concordano.» «Che cosa non va, allora?» «Il maggiore Price, vedete, afferma che nessuno ha sottratto un fucile, lui presente. A sua volta Bill Earnshaw dice che nessuno ha preso un fucile mentre c'era lui. Eppure l'arma è scomparsa.» Lesley esitò. «È lo stesso fucile con cui io...» «Sì.» Lord Ashe sollevò la mano agli occhiali e Dick notò che portava un piccolo anello a sigillo al terzo dito della sinistra; un anello modesto, opaco. Lo notò anche Lesley che appariva molto agitata dopo l'arrivo di Lord Ashe. Ora il barone, com'era sua abitudine, dopo esser partito in tromba, s'era smontato come un grammofono che abbia terminato la carica. «Beh... io credo che non abbia molta importanza» concluse dopo una pausa. Il disco aveva ripreso a girare. «Ma il maggiore Price e il signor Earnshaw erano piuttosto infuriati. Credo che il maggiore abbia giocato qualche stupido scherzo a Earnshaw nel pomeriggio e sospetti che questi voglia rendergli la pariglia. Semplicemente fantastico! Specie se si considerano le chiacchiere che ci sono in giro.» «Che chiacchiere?» chiese Lesley stringendo convulsamente le mani. «Vi prego, parlate. Dicono qualcosa di me?» «Santo cielo, no, cara signorina! Ma ho persino sentito dire che Sir Harvey Gilman non è ferito gravemente. Speriamo sia vero. E ora, caro ragazzo, vi toglierò il disturbo. Ehm, avete un trasporto, signorina Grant?» «Un trasporto?» «Per andare a casa» spiegò Lord Ashe. «No, sono venuta a piedi.» «Posso offrirvi un passaggio? Ho fuori la Ford, e Perkins è un ottimo guidatore.» «Grazie, Lord Ashe. Credo mi convenga accettare.» Il suo sguardo implorò Dick di trovare una scusa per trattenerla con un'intensità quasi isterica; ma il giovane rimase in silenzio. Sapeva che se Lesley fosse rimasta avrebbe finito per lasciarsi sfuggire di bocca tutta la storia. La presenza calma, equilibrata di Lord Ashe aveva ridato alle cose il loro giusto valore, riportandolo alla realtà della situazione che, per un momento, aveva dimenticato o quasi. Eppure, nonostante tutto, Dick si rese conto che amava Lesley e avrebbe continuato ad amarla.
Così i due si accomiatarono e Dick si sentì stringere il cuore osservando il viso di Lesley. Erano appena usciti che già avrebbe voluto gridare: "Lesley, torna indietro! Non può esser vero! Lascia che ti racconti tutto." Ma la Ford si mosse. Dick volse le spalle al giardino e rientrò. Andò nella saletta da pranzo, prese un bicchiere, la bottiglia di whisky, un sifone di seltz e se li portò in studio posandoli sulla scrivania. Ma la testa gli girava; era terribilmente stanco e andò a distendersi sul divano. La pallida luce della lampada gli batteva sugli occhi. I vetri delle finestre che davano sul lato est del giardino erano aperti e dall'esterno giungeva lo stormire delle foglie mosse dal vento. Di lì a poco il campanile della chiesa batté la mezzanotte; ma Dick non l'udì. Se qualcuno affacciandosi alla finestra avesse guardato dentro - e per la verità un certo viso spiò nella stanza verso le prime ore del mattino - questo qualcuno avrebbe visto un giovanotto biondo, disteso su un divano sgangherato, in calzoni di flanella grigia e giacca sportiva che si lamentava nel sonno. Fece sogni orribili. In seguito non rammentò che cos'avesse sognato; ma fu vinto dal sonno, finché qualcosa non lo trasse da quelle tenebre, qualcosa che gridava, chiamava, strillava disperatamente... Mezzo sveglio, Dick si voltò e per poco non rotolò sul pavimento. Ora aveva capito. Era la suoneria del telefono che seguitava a squillare. Dick s'alzò, stirò le lunghe gambe e raggiunse barcollando la scrivania. Era ancora mezzo addormentato quando sollevò il ricevitore, ma l'ansietà della voce che sussurrava dall'altro capo del filo lo svegliò di colpo. «Qui la villa del colonnello Pope» alitò la flebile voce. «Venite immediatamente, altrimenti sarà troppo tardi.» Poi silenzio. E Dick Markham si ricordò di tutto. VII «Chi parla?» gridò. «Chi siete?» Nessuno rispose. Era stato solo il sussurro di una voce non identificabile. Dopo aver riagganciato, Dick si premette le mani sugli occhi e scosse il capo per schiarirsi le idee. Il suo orologio da polso s'era fermato; ma dovevano essere le cinque
passate. Non c'era nemmeno il tempo di star a riflettere, ora. Si precipitò fuori della villa, sentendosi sporco, in disordine, con la barba lunga, mentre usciva nel silenzio e nell'oscurità dell'ora mattutina, e si mise a correre verso est. In quel mondo morto tutti i suoni acquistavano una nuova intensità. Distingueva il cinguettio d'un uccello, un fruscio fra l'erba e il trepestio dei suoi passi sul sentiero polveroso, mentre un fresco sentore di rugiada gli saliva alle narici. Aveva sorpassato la casa vuota e già era in vista della villa di Sir Harvey Gilman quando s'accorse che qualcosa accadeva là dentro. Una luce s'accese in salotto. Davanti a lui era ancora buio. Alla sua sinistra, parallelo al sentiero, cominciava il fitto boschetto di betulle che s'addossava al muro di cinta di Ashe Hall. A destra, a un centinaio di metri di distanza, si ergeva il villino, che un giardino separava dalla strada. Ma di fianco, e oltre la casa, sempre ad est, parallelo alla strada, si stendeva il rigoglioso frutteto che formava una specie di tunnel con la macchia di betulle che gli stava dirimpetto, un angusto sentiero attraverso il quale penetrava a fatica la luce rosata del sole nascente. Ma se anche il fitto fogliame tratteneva i raggi luminosi, la luce del giorno bastava ad offuscare quella elettrica che s'era appena accesa nella villa di Sir Harvey, dietro le finestre del pianterreno che aveva le tende scostate. Dick Markham si fermò di colpo col cuore che gli batteva forte e un senso di nausea causato dallo stomaco digiuno dal giorno precedente. Non sapeva neppure lui perché corresse tanto e che cosa si aspettasse di trovare. Evidentemente Sir Harvey s'era alzato di buon'ora, se aveva tirato le tende e acceso la luce. Dick riprese a camminare lentamente nella penombra fissando la striscia di sole ai suoi piedi, ripetendosi che la sua fretta, quel senso di aspettativa, erano assurdi; ma quando fu a meno di trenta metri dalla villa comprese che non erano poi tanto assurdi. Un leggero grattamento, come di metallo strofinato contro la pietra, gli fece alzare lo sguardo a sinistra, verso il muro di confine del parco di Ashe Hall. Qualcuno, nascosto dietro il muretto di pietra, sporgeva un fucile, ne appoggiava la canna sul bordo e prendeva attentamente di mira una delle finestre illuminate della villa dirimpetto. «Ehilà!» gridò Dick Markham. Il grido fu coperto dal colpo di fucile. Nel silenzio la detonazione ri-
suonò fragorosa mettendo in fuga nugoli di uccelli dalle piante. La vista acuta di Dick colse il foro del proiettile nel vetro della finestra. Poi il fucile scomparve. Qualcuno correva ansando, o forse ridendo, nella macchia di betulle; poi l'eco dei suoi passi si spense: il tiratore s'era dileguato. Per una decina di secondi Dick rimase immobile, come impietrito. Non c'era più bisogno di correre, ora; con certezza terribile sapeva ciò che era accaduto. Ormai era inutile dare la caccia allo sparatore nel fitto del bosco. All'orizzonte si alzava il sole, una fiammeggiante palla d'oro bianco dietro lo sfondo verde scuro degli alberi. Sebbene il sole non fosse ancor forte, per qualche istante la figura rimase solo un'ombra che correva verso Dick. «Che succede? Chi è là?» gridò la figura. Il giovane riconobbe la voce di Cynthia Drew e corse verso di lei. S'incontrarono all'ingresso del giardino della villa di Sir Harvey. Cynthia, che indossava la stessa blusa di maglia rosa e la gonna marrone della sera prima, si fermò di colpo e lo fissò stupita. «Dick! Che cosa è accaduto?» «Qualche guaio, temo.» «Ma che diavolo fai qui?» «Quanto a questo, potrei rivolgerti la stessa domanda.» La ragazza fece un gesto vago. «Non riuscivo a dormire e così sono uscita a fare una passeggiata.» Cynthia, forte e robusta, era l'ultima persona al mondo che si sarebbe definita "impressionabile", tuttavia, notando l'espressione di Dick, gli premette le mani sul petto esclamando allarmata: «Dick, si tratta di ciò che abbiamo udito?...». «Credo di sì.» Fino allora Dick aveva evitato di guardare la casa; ma ora si decise a voltarsi e vide proprio ciò che s'aspettava di vedere. La villetta bassa aveva l'aria di una casa-giocattolo con le sue finestrelle sporgenti dal tetto spiovente. Al pianterreno le due finestre illuminate, sul lato sinistro della porta d'entrata, lasciavano vedere l'interno della stanza. Dick rammentò che la sera prima Sir Harvey Gilman era seduto nella poltrona accanto allo scrittoio, al centro della camera. Ora la poltrona era stata spostata di fronte al tavolo, come se la persona che l'occupava, e che indubbiamente era Sir Harvey, si fosse seduta a scrivere. Ma il criminologo non stava scrivendo. La lampada che pendeva dall'alto, col suo paralume nocciola, riverberava un fascio di luce sul suo cranio calvo. Aveva il mento affondato nel
petto, le braccia abbandonate lungo i braccioli della poltrona. Lo si sarebbe potuto credere tranquillamente addormentato se non fosse stato per il foro del proiettile che spiccava nettamente nel vetro della finestra, proprio all'altezza del suo cranio calvo. Dick sentì un impeto di nausea serrargli la gola, ma lo dominò. Cynthia, calma e risoluta, seguì la direzione del suo sguardo e affondò i denti nel labbro inferiore. «È la seconda volta che mi capita» osservò Dick. «Ieri ho visto un proiettile forare la parete della tenda, oggi la finestra; ma non per questo l'emozione è stata meno violenta. Credo... un momento!» Rapidamente attraversò la striscia d'erbacce che separava il muretto e gettò un'occhiata dall'altra parte. Nella penombra distinse qualcosa ch'era stata gettata sotto gli alberi, abbandonata dallo sparatore prima di fuggire. Scavalcato il muro raccolse l'oggetto, incurante di cancellare in quel modo impronte digitali preziose. Era un fucile a ripetizione calibro 22, un Winchester '61, e Dick non dubitò nemmeno per un istante che fosse quello che era scomparso. Dopo che Lesley Grant aveva restituito il fucile al maggiore Price, il giorno prima, l'arma era stata rubata dal tiro al bersaglio, secondo quanto aveva detto Lord Ashe. «No!» esclamò Cynthia Drew. «No, che?» «Non fare quella faccia!» L'espressione di Dick non era di costernazione, ma di folle trionfo; perché, chiunque avesse rubato il fucile, quella persona non poteva essere Lesley Grant. Lui, Dick Markham, era rimasto sempre con la ragazza dopo l'incidente, l'aveva accompagnata a casa, s'era fermato con lei diverse ore e Lesley non aveva con sé il fucile. Non solo era disposto a giurarlo; ma sapeva ch'era la verità. Lasciando ricadere il fucile, Dick volteggiò sopra il muretto. "Questo", almeno, non poteva averlo fatto Lesley. Udì vagamente che Cynthia gli diceva qualcosa, ma, senza curarsi di risponderle, corse verso la villa di Sir Harvey. Nessuno steccato circondava il giardino. Dick s'accostò alla finestra forata dallo sparo sul lato sinistro della facciata e appiattì il viso contro il vetro sudicio; poi, mettendo le mani a coppa intorno agli occhi, tornò a guardare.
Sotto la luce polverosa, rafforzata da quella del sole nascente, la figura del piccolo patologo stava seduta immobile di fronte al grosso tavolo, di profilo, gli occhi aperti, i muscoli della mascella rilassati. Dick non dubitò nemmeno un istante che fosse morto; ma c'era qualcosa di sfasato che non riusciva a capire. «Dick» sussurrò la voce di Cynthia al suo fianco. «Quella pallottola non l'ha ucciso.» Era vero. Il proiettile aveva trapassato il vetro della finestra rasentando la testa di Sir Harvey, ma non aveva toccato l'uomo. Nel tono di Cynthia c'era ansietà, stupore e anche un senso di sollievo. Dick si voltò a guardarla. «Che diavolo gli è successo, allora?» «Non lo so.» «Sir Harvey!» gridò Dick, accostando la bocca alla finestra. «Sir Harvey Gilman!» Nessuna risposta. Il giovane esaminò attentamente prima l'una poi l'altra finestra. Giacché la villa era piuttosto bassa da terra, il davanzale delle finestre gli arrivava all'altezza della cintura. Erano comuni finestre a ghigliottina, assicurate dall'interno con ganci di metallo. Posando un ginocchio sul davanzale, Dick riuscì a issarsi sulla finestra e, spiando attraverso il vetro, constatò che entrambe erano chiuse internamente. Un pensiero spaventoso incominciò a farsi strada nella sua mente. «Aspetta qui un momento» disse a Cynthia. Corse verso la porta d'ingresso e trovò che non era chiusa a chiave. L'aprì ed entrò nel piccolo e moderno ingresso che ricordava dalla sera precedente. Ricordò pure che a sinistra c'era la porta che immetteva nel salotto. Aprendola si sarebbe trovato alle spalle della figura immobile seduta allo scrittoio. Ma non riuscì ad aprire la porta, sebbene girasse con forza la maniglia. Era chiusa dall'interno. Si precipitò di nuovo in giardino dove Cynthia guardava ancora nella stanza, attraverso il vetro. «Sai» dichiarò la ragazza. «C'è qualcosa di strano in quell'uomo. Ha il viso d'una tinta bluastra. Credi che sia effetto della luce? E guarda la bocca: non c'è della schiuma alle labbra? E... Dick! Che diamine stai facendo?» Con la vaga idea che il foro del proiettile potesse servire come prova,
Dick non toccò la finestra di destra, ma si accostò all'altra e, preso da terra un pezzo di mattone, lo scagliò nel vetro mandandolo in frantumi. Dalla stanza afosa uscì nell'atmosfera mattutina un soffio d'aria che sapeva lievemente di mandorle amare. Cynthia afferrò Dick per il braccio. «Senti che odore di smalto per le unghie» osservò. «Che può essere?» «Acido prussico.» Issandosi sul davanzale, il giovane passò la mano attraverso il vetro rotto, tolse il gancio di ferro, aprì la finestra e si lasciò cadere nella stanza tra i frantumi di vetro. Ora l'odore di mandorle amare si sentiva anche più distintamente. Gli costò uno sforzo accostarsi al corpo immobile e toccarlo, pure lo fece. L'uomo ch'egli aveva conosciuto come Sir Harvey Gilman doveva esser morto da poco, perché il suo cadavere era caldo. Indossava ancora il pigiama e la vestaglia. La poltrona lo manteneva eretto, salvo la testa che gli ciondolava sul petto, mentre le braccia, compostamente appoggiate sui braccioli, gli davan l'aria di una persona che riposa. Ma se ci si avvicinava, si notavano chiaramente lo sguardo vitreo degli occhi mezzo aperti, il colorito cianotico e la schiuma sulle labbra, conseguenti all'avvelenamento per acido prussico. Dick gettò un'occhiata alla porta che immetteva nell'ingresso. Col cuore in tumulto s'accostò a esaminarla. La chiave era girata nella serratura e un solo solido catenaccio era tirato dall'interno. Delle due finestre, che con la porta costituivano le uniche vie di accesso alla stanza, una ora aveva il vetro inferiore rotto e l'altra un foro di proiettile a qualche centimetro dall'intelaiatura. Ma Dick era certo, anche se la polizia ne avrebbe dubitato, ch'esse erano chiuse ermeticamente quando lui era arrivato. «E aveva detto che a lui non sarebbe successo!» osservò Dick ad alta voce. Fu allora che notò qualche altra cosa. La luce che pioveva dall'alto faceva brillare un oggetto ai piedi della poltrona: una minuscola siringa ipodermica dal tubo di vetro e lo stantuffo nichelato. L'ago era infilato nel tappeto, come se la siringa fosse caduta dalle dita rilassate del morto, e conferiva il tocco finale a quella scena terribile, mentre l'odore di acido prussico pareva farsi più acuto e il giorno schiariva fuori. Un altro suicidio.
VIII Dick era ancora immobile accanto alla porta, cercando inutilmente di riordinare le idee, quando udì un tonfo lieve accanto alla finestra. Cynthia l'aveva agilmente scavalcata e s'era lasciata cadere con leggerezza fra i vetri rotti. Aveva il viso calmo, ma preoccupato, più preoccupato per Dick, si sarebbe detto, che non per la figura rannicchiata nella poltrona. «È terribile!» esclamò. «Hai detto acido prussico. È un veleno, vero?» «Sì, potentissimo.» Cynthia gettò un'occhiata di repulsione alla poltrona. «Ma che diavolo è accaduto a quel poveretto?» «Vieni qui» fece Dick. «Ehm... sei sicura di star bene?» «Ma certo, sto benissimo!» Ci voleva altro per sconvolgere Cynthia. «Ma è spaventoso, orrendo e che so altro!» esclamò con forza. «Vuoi dire che qualcuno l'ha avvelenato?» «No, guarda.» La ragazza girò dietro lo scrittoio e il giovane le indicò la siringa ipodermica con l'ago conficcato nel tappeto. Poi, facendosi forza, sollevò il braccio sinistro per il gomito. Le maniche della vestaglia e del pigiama scivolarono indietro mettendo a nudo un braccio scheletrito segnato di vene azzurre congestionate. L'iniezione era stata fatta da una mano maldestra; sull'avambraccio si notava una macchiolina di sangue rappreso. «Dick! Aspetta. Non avresti dovuto farlo.» «Fare che?» «Rompere il vetro della finestra, toccare ogni cosa. Nei libri che mi hai prestati... dici sempre che bisogna lasciar tutto come si trova. Non è vero?» «Oh, certo» egli rispose cupo. «Scatenerò un pandemonio con la mia imprudenza. Ma dobbiamo sapere!» Gli occhi azzurri lo sprutarono attenti. «Hai un aspetto da far paura. Non ti sei ancora coricato da ieri sera; vero?» «Che importa, ora!» «Ma a me importa. Non ti riposi mai abbastanza, quando lavori. E hai in mente qualcosa che ti preoccupa. Te lo volevo dire ieri sera.» «Ti prego, Cynthia. Vuoi guardare qui?» «Sto guardando» ribatté Cynthia, sebbene distogliesse lo sguardo tormentandosi le mani.
«Si tratta di suicidio» egli spiegò cercando di imprimerglielo nella mente scandendo con forza le parole. «Ha preso una siringa piena di acido prussico (eccola là) e se l'è iniettata nel braccio sinistro. Tu stessa puoi testimoniare» fece un ampio gesto circolare «che la stanza è chiusa dall'interno. Ciò dimostra, capisci, che nessuno ha cercato di ucciderlo.» «Ma, Dick, qualcuno ha cercato di ucciderlo sparandogli con un fucile!» «Il proiettile non l'ha colpito, no?» «No» convenne Cynthia «ma quel tale ci ha provato.» Il petto le si sollevava affannosamente. «Si tratta di Lesley?» chiese. Dick si voltò di scatto. «Che c'entra Lesley?» «È per lei che ti preoccupi» rispose Cynthia con franchezza spiccatamente femminile. «Perché pensi che si tratti di lei?» «Chi altro potrebbe essere?» ribatté Cynthia, e senza star a spiegare la logica del proprio ragionamento continuò, indicando la figura in poltrona: «Quell'orribile ometto ha sconvolto tutto e tutti, a Six Ashes. Prima c'è stato l'incidente del fucile, ieri nel pomeriggio. Naturalmente è stato un incidente» per un attimo gli occhi turchini parvero riflettere «però è strano che stamattina qualcuno gli abbia sparato di proposito. E, per colmo, tu affermi che si è avvelenato con un acido... qualchecosa». «C'è la tua testimonianza, Cynthia.» «Non è sufficiente, Dick» rispose brusca. «Che vuoi dire?» «Non lo so! Questo è il punto. Hai sentito della lite di ieri sera fra il maggiore Price e il signor Earnshaw a causa del furto d'un fucile?» «Sì, me l'ha detto Lord Ashe.» Cynthia indicò nuovamente la figura in poltrona. «Dick, che cosa ti ha detto di Lesley?» «Nulla! Perché, in nome di Dio, credi che m'abbia detto qualcosa di lei?» «Ha letto una quantità di cose su tutti gli altri nella sfera di cristallo, così scommetto che ha letto qualcosa anche su Lesley ed è perciò che sei preoccupato.» Fino allora Dick aveva considerato Cynthia una buona compagna, ma non esattamente un modello d'intelligenza. Per schivare il pericoloso argomento scoppiò a ridere. «Che c'è?» insistette Cynthia con dolcezza materna. «Su, dimmelo!»
«Senti, non penserai che Lesley abbia qualcosa a che vedere con questo?» «E perché dovrei pensarlo?» fece Cynthia evitando di guardarlo mentre un leggero rossore le saliva alle guance. «Solo... Non sarebbe meglio che avvertissimo la polizia?» «Già, credo di sì. Che ore sono?» «Le cinque e venti. Perché?» Dick si spostò di fronte allo scrittoio. La figura immobile, un occhio semi-aperto, lo sorvegliava con un'espressione così sardonica che pareva ridere dall'inferno in cui si trovava. «Telefonerò a Bert Miller, naturalmente.» Miller era il poliziotto locale e non ci avrebbe messo molto ad arrivare. Sebbene Gallows Lane terminasse in aperta campagna, qualche centinaio di metri a est - una forca (Gallows = forca in inglese) si ergeva realmente in quel punto nel diciottesimo secolo, pensò Dick, sentendosi rivoltare lo stomaco a quel pensiero - esisteva ancora un viottolo che, attraverso i campi, conduceva a Goblin Wood, nelle cui vicinanze abitava Bert Miller. «Però devo avvertire immediatamente il dottor Middlesworth» concluse. «Perché il dottor Middlesworth?» «Perché sa tutto sugli altri casi e dobbiamo decidere insieme...» «Che altri casi, Dick?» Un passo falso, quasi un tradimento... Dick rimediò alla meglio: «Voglio dire sui casi criminali in genere.» «Mi avevi detto che non si trattava di un delitto» osservò Cynthia che lo guardava fisso, col respiro più frequente. Non rispose alla domanda, perché la sua attenzione fu attratta da qualcosa che aggiungeva un tocco grottesco alla scena. S'accostò nuovamente a esaminare il cadavere, questa volta dal lato opposto. Sul tappeto, di fianco alla poltrona, come se fosse caduta dalla mano sinistra della vittima, giaceva una scatola di puntine da disegno rovesciata. Una siringa ipodermica vicino alla mano destra, puntine da disegno vicino alla sinistra. Roba da far girare la testa! Dick si chinò a raccogliere una puntina e se la premette forte contro il pollice, notando distrattamente che in un braccio umano avrebbe prodotto lo stesso effetto di una iniezione fatta in qualche modo... «Dick» esclamò Cynthia. Il giovane si raddrizzò di scatto. «Vado a telefonare» disse per arginare il torrente di domande che le leg-
geva negli occhi. «Scusami.» Rammentava che l'apparecchio era nell'ingresso. Tolse il catenaccio alla porta e girò la chiave, constatando la solidità della serratura e la perfetta aderenza del catenaccio all'uscio. Sarebbe stato tremendamente difficile parlare a Middlesworth con Cynthia nella stanza accanto. La suoneria squillò a lungo prima che dall'altro capo rispondesse la voce inconfondibile di una donna quasi addormentata. «Spiacente di disturbarvi a quest'ora, signora Middlesworth, ma...» «Il dottore non è in casa» lo interruppe la voce. «È al castello.» «Al castello?» «Ad Ashe Hall. Stanotte una delle cameriere si è sentita male e Lady Ashe era preoccupata. Non è il signor Markham che parla?» «Sì, signora Middlesworth.» «Devo riferirgli qualcosa, signor Markham? State male?» «No, no! Niente di simile; ma è piuttosto urgente.» «Davvero? Mi spiace che non sia in casa» mormorò la voce con tono ipocritamente afflitto. La moglie di un medico condotto sa come comportarsi in questi casi. «Se è urgente potete telefonargli laggiù, oppure attraversare il parco e raggiungerlo al castello. Buongiorno.» Attraversare il parco e raggiungerlo al castello. Era la soluzione migliore, decise Dick. Passando per il boschetto e giù per South Field, sarebbe stato ad Ashe Hall in due minuti. Rientrò in fretta in salotto dove trovò Cynthia che si mordeva perplessa il labbro inferiore. Le prese le mani, sebbene lei si mostrasse riluttante ad abbandonargliele, e le strinse forte. «Ascolta, Cynthia. Devo andare al castello; Middlesworth è là. Non starò via più di una diecina di minuti. Nel frattempo, vuoi dare un colpo di telefono a Bert Miller e restare di guardia? Di' a Bert che Sir Harvey Gilman si è ucciso e di affrettarsi a venire.» «Ma...» «Si è ucciso, hai capito?» «Avrai fiducia in me, Dick? Voglio dire, mi spiegherai, più tardi?» «Sì, Cynthia, te lo prometto.» Era bello aver qualcuno di cui potersi fidare in quell'atmosfera d'incubo: cara, schietta, energica Cynthia! "Ed ora affrontiamo la realtà" si disse. "Se anche questa volta fosse stata Lesley..."
"Via" ribatté il suo buonsenso. "Lesley non avrebbe ucciso Sir Harvey Gilman solo per impedire ch'egli svelasse la sua identità alla gente di Six Ashes." "E perché no?" chiese il demone del dubbio. "Perché" rispose il buonsenso "il delitto avrebbe richiamato la polizia, e la sua identità sarebbe stata comunque rivelata." "Non necessariamente, se se ne fossero occupate le autorità locali, considerandolo un banale suicidio" rimbeccò il dubbio. "Ma Sir Harvey è un personaggio assai noto" insistette il buonsenso. "Il fatto sarebbe stato riportato dai giornali e probabilmente avrebbe attirato l'attenzione di qualcuno di Scotland Yard." Il dubbio scoppiò in una risata diabolica. "Anche tu sei un giovane commediografo abbastanza noto; eppure il tuo suicidio avrebbe potuto apparire sui giornali senza che lo stesso Sir Harvey dubitasse che questa fanciulla dal viso d'angelo ti avesse avvelenato." Qui il dubbio lo afferrò con artigli rapaci, ingigantendo nella sua immaginazione. Evidentemente Sir Harvey odiava Lesley Grant. La perseguitava accanitamente. Nel pomeriggio precedente, quando lei aveva tentato di ucciderlo, era stato sul punto di smascherarla. Era facile immaginare quali fossero i suoi sentimenti nei confronti del criminologo. Se dentro quel bellissimo corpo si nascondeva un'avvelenatrice, questa doveva essere nella disposizione d'animo adatta a vendicarsi con un sistema di avvelenamento inspiegabile. Ma a questo punto ci si trovava di fronte al colpo di scena finale: se c'era un uomo che stava in guardia e che non si sarebbe lasciato persuadere con nessun trucco a farsi un'iniezione nel braccio, questo era lui. Dick affrontò pensieroso la salita di South Field. Ora si scorgeva in lontananza l'ala meridionale di Ashe Hall, i cui vecchi muri di mattoni parevano neri nella chiara aria mattutina. Sebbene dal camino della cucina non uscisse ancora fumo, tutte le porte erano già spalancate. La prima persona che Dick vide fu Lord Ashe che svoltava l'angolo dell'edificio, coi soliti calzoni di velluto a coste e la vecchia giacca, guanti da giardinaggio e un paio di cesoie nella destra. Si fermò di colpo scorgendo Dick e attese che questi lo raggiungesse. «Ehm... buongiorno» fece Lord Ashe con aria imbarazzata. «Buongiorno, signore. Siete mattiniero.»
«Mi alzo sempre a quest'ora» rispose Lord Ashe. Lo sguardo di Dick errò sull'ala meridionale del castello. «Non chiudete mai porte e finestre di notte?» Lord Ashe scoppiò a ridere. «Caro figliolo» rispose con un lieve movimento delle cesoie e aggiustandosi meglio gli occhiali sul naso «qui non c'è niente da rubare. I quadri sono tutte copie e anni fa mio fratello maggiore Frank ha regalato i gioielli di famiglia a una famosa... ehm... dama di facili costumi. Naturalmente c'è l'argenteria, o almeno ciò che ne è rimasto; ma ci vorrebbe un autocarro, per portarla via tutta.» Poi si fece pensieroso ed osservò curiosamente il giovanotto attraverso le lenti. «Scusate se ve lo dico, signor Markham; ma avete un'aria stravolta. È successo qualcosa?» Dick l'informò bruscamente dell'accaduto. «Sir Harvey Gilman s'è ucciso.» Lord Ashe lo fissò a bocca aperta. «Santo cielo!» Il barone si guardò intorno come trasognato. «Ma è... fantastico!» «Proprio così.» «Ora che ci penso» borbottò Lord Ashe «a metà notte m'è parso di udire uno sparo. O è stato più tardi? Che ore erano?» fece frugandosi nella memoria. «Sir Harvey non s'è sparato. Ha preso una siringa contenente acido prussico e se l'è iniettato nel braccio. Cynthia e io l'abbiamo trovato circa mezz'ora fa.» «Acido prussico» ripeté Lord Ashe. «Ne usavamo una soluzione per spruzzare gli alberi da frutto. Credo che Sir Harvey potesse procurarselo facilmente. Ma perché, ragazzo mio? Perché?» «Non lo sappiamo.» «Sembrava in ottime condizioni di salute e d'umore, tranne che per quel disgraziato inci... E... ehm, posso chiedervi perché siete venuto qui?» «Devo vedere il dottor Middlesworth. Sua moglie mi ha detto che era al castello.» «Oh, sì. Era qui. Cecily, una delle cameriere, l'ha passata brutta, stanotte. Appendicite. Middlesworth ha ritenuto che non fosse necessario operare. Ma ora non è più qui. Se n'è andato come un pazzo dicendo che doveva fare una scappata a Hastings.»
Dick lo fissò a bocca aperta. «A Hastings? Alle cinque del mattino? A far che?» «Non saprei dirvelo, caro giovanotto. Middlesworth è stato piuttosto misterioso, in proposito» rispose Lord Ashe. Il dolce profumo dell'erba, lo splendore dei prati verdi sotto i raggi del sole davano un senso di stordimento. «Che c'è di vero nella diceria che Lesley Grant è un'assassina?» domandò infine Lord Ashe, col solito tono pacato. IX Lesley Grant, tanto per darle un nome, si svegliò alle otto e un quarto del mattino. La sua casa, la vecchia dimora dei Farmham, all'estremità meridionale della High Street di Six Ashes, dava sui prati di Ashe Hall, dal lato est. Era gaia, ombreggiata da alberi e circondata da un giardino. Dalle finestre della stanza da letto, al piano superiore, si poteva scorgere, a sinistra, lo stemma araldico col grifone e il frassino scolpito sui pilastri di pietra del cancello. Per un momento Lesley giacque immobile fissando il soffitto con gli occhi spalancati. Non s'udiva il ticchettìo dell'orologio sul tavolino da notte. Lo sguardo di Lesley si spostò di fianco, evidentemente per guardare l'ora, prima di riprendere a fissare il soffitto. La stanza era confortevole, ammobiliata con raffinato buon gusto. Niente quadri, ma solo una riproduzione in bianco e nero di un disegno grottesco, fra le due finestre. Posandovi sopra lo sguardo, Lesley affondò i denti nel labbro inferiore. «È "stupido"!» esclamò ad alta voce. Chi l'avesse vista in quel momento sarebbe rimasto turbato dai suoi movimenti. Scivolando fuor dal letto, nella camicia di seta bianca guarnita di pizzi, si accostò alla stampa e la sollevò dalla parete. Sotto comparve la parte anteriore di una cassaforte a muro in acciaio brunito, d'un modello importato dagli Stati Uniti. Non aveva chiave, ma si apriva mediante una combinazione nota solo al fabbricante e alla così detta signorina Lesley Grant. Il suo respiro divenne impercettibile; il petto s'alzava e s'abbassava appena sotto la camicia di seta. Posò la mano sul quadrante della cassaforte e aveva già dato due mezzi giri alla maniglia quando un passo pesante pro-
veniente dalle scale e un tintinnìo di vasellame l'avvertirono che la signora Rackley stava arrivando col tè. Rimise a posto il quadro e ritornò di corsa nel letto. La signora Rackley aprì la porta della camera. «Sveglia, signorina?» chiese come al solito la donna. «Splendida mattina. Ecco qui una buona tazza di tè.» La signora Rackley era un'impareggiabile cuoca-cameriera-massaia per chiunque tollerasse la sua soffocante e affettuosa invadenza. Si accostò ansimando al letto e posò il vassoio in grembo alla ragazza; poi, le mani sui fianchi, rimase ad osservarla. «Non avete una bella cera, stamattina» fece la brava donna. «Sto benissimo, signora Rackley» ribatté Lesley. «Non avete una bella cera» ripeté decisa l'altra. «Perché non vi fate un bel riposino e lasciate che vi porti la colazione a letto?» continuò con tono suadente. «No, no! Mi alzerò subito.» «Non mi sarà di alcun disturbo» insistette la tentatrice. «Non voglio la colazione a letto, signora Rackley!» La donna mise il broncio e si guardò nuovamente intorno. Lo sguardo cadde su una sedia dove giacevano ben ripiegati una gonna nera, una camicetta bianca, sottoveste, calze e reggicalze. «Guarda, guarda» esclamò la signora Rackley col tono inquisitorio di un vigile. «Siete uscita, ieri sera, signorina?» Lesley, che s'era versata il tè e stava portandosi la tazza alle labbra, si fermò di colpo. «Uscita?» ripeté. «Siete uscita dopo che Sua Signoria vi ha accompagnata a casa ieri sera?» domandò la donna. «Santo cielo, no!» «Quando siete ritornata dalla casa del signor Markham indossavate l'abito verde scuro.» La signora Rackley indicò la sedia su cui erano posate la gonna nera e la camicetta bianca; poi seguitò con tono ammonitore: «Siete delicata, signorina, proprio come la mia figliola maggiore. Non dovreste fare certe cose!» «Quali cose?» «Uscire» ripeté l'altra ostinata. «Ma non sono uscita!» protestò Lesley con un gesto d'irritazione che per poco non rovesciò la tazza del tè. «Non sono uscita, avete capito, e se
qualcuno lo afferma è un bugiardo.» La signora Rackley rimase stupita da tanta violenza; però non fu questa la ragione del suo improvviso silenzio; ma il fatto che aveva notato qualcosa di molto avvincente. Spiava fuori della finestra con tale intensità che Lesley, balzata fuori dal letto, posò la tazza sul vassoio e corse a raggiungerla. Sul viale, fuori del cancello, sotto il sole cocente, il maggiore Horace Price stava parlando col signor William Earnshaw, il direttore della banca. La figura massiccia del maggiore contrastava con quella eretta ed elegante del banchiere. Earnshaw s'era tolto il cappello mostrando una folta capigliatura corvina ben pettinata e lisciata che luccicava al sole. Sebbene fossero troppo distanti perché le due donne udissero ciò che dicevano, era evidente che fra i due esisteva una certa animosità. Stavano entrambi impettiti e il colorito del maggiore era molto acceso. Ma non era questo che attirava l'attenzione delle due donne. Dal lato sud, dove Gallows Lane sboccava ad angolo retto nella High Street, giungeva in bicicletta il poliziotto locale, Bert Miller, pedalando a una velocità mai raggiunta in vita sua. Sia il maggiore che Earnshaw si voltarono a guardarlo. Quando il maggiore lo chiamò, Miller frenò così bruscamente che per poco non andò a ruzzolare nel fosso. Seguì una breve pantomima durante la quale l'agente parlò gesticolando animatamente. Una volta il maggiore si volse a guardare la casa di Lesley mostrando il viso lentigginoso, le guance paffute sotto il cappello floscio che portava nei giorni di lavoro, la bocca semi-aperta. La conferenza terminò e il maggiore Price, come prendendo una decisione, spinse il cancello e s'avviò lungo il viale che conduceva alla villa. «Stare alla finestra in camicia da notte!» protestò la signora Rackley. «Vi vedrà! Ritornate a letto, signorina. Intanto vi preparo il bagno.» «Lasciate perdere il bagno» ribatté Lesley e con voce non troppo ferma continuò: «scendete a vedere che cosa succede e dite al maggiore Price che sarò dabbasso fra un istante». E, per la verità, dieci minuti dopo Lesley scendeva di corsa le scale che conducevano al pianterreno, indossando un abito diverso dai due discussi completi della sera precedente. Non c'era traccia della signora Rackley che era stata bruscamente congedata dal maggiore. Nell'ingresso Lesley trovò Price che si rigirava il cappello fra le mani. Il maggiore si schiarì la gola. «Mia cara ragazza» attaccò «ho appena parlato con Bert Miller.» «Sì, lo so. Ebbene?»
«Cara figliola, temo di dovervi comunicare una grave notizia. Sir Harvey Gilman è morto.» Nella fresca penombra dell'ingresso, una vecchia pendola scandiva rumorosa il tempo, come un metronomo. «Non l'ho fatto apposta» esclamò Lesley. «È stata una disgrazia, lo giuro!» «Zitta, cara. Vi prego!» «Sono desolata, ma...» «Non si tratta del colpo di fucile che ha ricevuto» continuò il maggiore, passandosi un dito nel colletto. «Sembra che il poveretto si sia avvelenato questa notte. Ma... non potremmo ritirarci in qualche posto a parlare?» Silenziosamente, Lesley gli indicò una porta che li condusse in un salotto con pareti dipinte di verde e un grande camino di pietra grezza. Lesley, che pareva troppo stordita per parlare, si lasciò guidare da Price verso una sedia su cui si abbandonò. Il maggiore le sedette di fronte, posò il cappello sul pavimento e, appoggiando le mani aperte sulle ginocchia, si sporse verso di lei con aria di cordialità confidenziale. «Suvvia, non dovete allarmarvi» la rassicurò gentilmente. «Però, come vostro consigliere legale... almeno spero che vorrete ancora considerarmi tale...» «Naturalmente!» «Brava figliola!» si chinò ad accarezzarle un braccio. «Come vostro legale ritengo che vi siano uno o due punti da chiarire. Oh, niente d'importante» soggiunse con un gesto di noncuranza. «Si è avvelenato, avete detto? Non capisco. Perché mai l'ha fatto, quel pover'uomo?» «Beh,» ammise il maggiore «questo è proprio uno dei punti oscuri della spiacevole faccenda. Il suo cadavere è stato trovato stamattina presto da Dick Markham.» Lesley si rizzò di scatto sulla sedia. «Da Dick?» «Sì, così dice Dick. Pare che qualcuno abbia chiamato Dick al telefono...» «Chi?» «Non lo sa. Ha inteso solo il sussurro d'una voce che, così almeno dice Bert Miller, gli intimava di raggiungere immediatamente il vecchio villino di Pope, prima che accadesse qualcosa di grave.» «E poi?»
«Dick si precipitò alla villa e la scorgeva già in lontananza allorché qualcuno accese la luce in salotto. Poco dopo qualcuno sporse un fucile da sopra il muro di cinta del parco di Ashe Hall e sparò nella finestra del salotto. No, aspettate! Non è come pensate. Dick si precipitò verso la casa insieme a Cynthia Drew...» «Cynthia Drew? Come mai era con Dick?» Price fece un gesto vago. «Era uscita di buon'ora a fare una passeggiata o qualcosa di simile. Dunque, corsero alla villa, ma solo per scoprire che il proiettile non aveva colpito Sir Harvey. Trovarono il poveretto seduto in poltrona di fronte alla scrivania. Dopo essersi chiuso nella stanza s'era fatto un'iniezione di acido prussico.» Seguì un lungo silenzio. Lesley non fece commenti; aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi vi rinunciò con un gesto d'impotenza e di smarrimento. Quanto al maggiore Price appariva chiaramente imbarazzato. Si schiarì la gola e, finalmente, si decise ad affrontare l'argomento. «Sentite, mia cara. Non vorrei che mi fraintendeste, ma...» «Ma, che cosa?» «Per la verità, anche se nulla fosse accaduto, avevo intenzione di fare una chiacchierata con voi. Quando siete arrivata a Six Ashes avete avuto la bontà di affidarmi i vostri interessi, una saggia decisione, dato che voi non v'intendete di cose pratiche. Ma ora state per sposarvi...» Lesley parve anche più confusa. «Che c'entra questo?» «C'entra» fece il maggiore. «Vostro marito si aspetterà che gli renda conto del mio operato, non vi pare? Perché immagino che sarà lui ad occuparsi dei vostri interessi per il futuro. È naturale.» «Buon Dio, no!» esclamò Lesley. «Dick se ne intende d'affari quanto me.» Il maggiore appariva sempre più nervoso. «In tutti i casi» ribatté, sempre evadendo l'argomento scottante «voglio considerare le cose con gli occhi di un estraneo. Per esempio... Avete qualche parente vivente?» Lesley s'irrigidì. «Perché me lo chiedete?» «Beh, vedete, so così poco di voi. E giacché desidero ardentemente aiutarvi...»
«Vi prego, maggiore Price. Preferirei la smetteste di tergiversare. Ditemi, dove volete arrivare?» «Ebbene» fece il maggiore «desidererei mi riferiste cosa vi ha detto esattamente il chiromante ieri nel pomeriggio.» Seguì un silenzio così profondo che non s'udiva nulla all'infuori del ticchettìo della vecchia pendola. «Non ditemi che si tratta delle solite panzane che raccontano i chiromanti» la prevenne Price. «Sarebbe una bugia. Perbacco, cara, ero là e vi ho vista! «Considerate gli avvenimenti dal punto di vista di un estraneo. Il chiromante vi dice qualcosa che vi sconvolge. Dick Markham piomba nella tenda per scoprire che cos'è accaduto. Parte un colpo di fucile, per disgrazia naturalmente, e il vecchio viene colpito. Fortunatamente la ferita non è grave...» «Non è grave?» esclamò Lesley. «Beh... no» rispose il maggiore confuso. Di nuovo Lesley si guardò intorno con aria stranamente furtiva. Parve riordinare i propri pensieri con la stessa rapidità con cui un prestigiatore maneggia le carte, le labbra socchiuse, repressione del viso intenta e stupita. «Dick lo sapeva?» esclamò. «Dick lo sapeva e non me l'ha detto?» Il maggiore scosse il capo. «Oh no, il ragazzo non lo sapeva.» «Ne siete certo?» «Come ricorderete fummo Middlesworth e io a trasportare a casa Sir Harvey. Era ferito solo superficialmente; ma il vecchio ci fece giurare di mantenere il segreto sulle sue vere condizioni "nell'interesse della giustizia". Dopo tutto era patologo del Ministero degli Interni... Accidenti, ragazza mia, che potevo fare? Non so che cos'abbiano detto poi a Dick Markham; ma certamente non sapeva che Sir Harvey stava bene quando lasciai la villa Pope... Ora, il vecchio sembra in possesso di un grave segreto che vi riguarda. Qualcuno ruba un fucile, lo stesso che ha causato l'incidente, e gli spara attraverso la finestra. Nello stesso momento, apparentemente, lui s'avvelena. Suvvia, tirate le somme.» Lesley si inumidì le labbra. «Avete detto "apparentemente"? Esiste qualche possibilità di dubbio?» «Per quel che mi riguarda, nessuno!» Price ridacchiò sollevando le sopracciglia sopra gli occhi azzurri sbiaditi. «Non si può entrare ed uscire da
una stanza chiusa a chiave dall'interno, non vi pare?» abbassò la voce. «Ma se avete qualcosa da raccontarmi, non vi pare che sia meglio dirmela subito?» Le mani di Lesley afferrarono i braccioli della sedia, quasi fosse sul punto di balzare in piedi. «Non ho nulla da dirvi. Credetemi, vi prego!» «Nemmeno quel che vi ha detto il chiromante?» «Maggiore Price, non avevo mai visto quell'uomo in vita mia!» «Ed è tutto quel che avete da dirmi?» «È tutto quel che posso dirvi.» «Bene...» borbottò Price. Traendo un profondo sospiro si alzò facendo qualche commento sul tempo. Lesley lo accompagnò alla porta in un imbarazzante silenzio. «Se avete bisogno di me, mi troverete in ufficio» fece il maggiore accomiatandosi. Quando se ne fu andato, Lesley rimase a lungo immobile nell'ingresso, le braccia incrociate sul petto, immagine di perplessità e d'angoscia. «No» esclamò a voce alta. «No, no, no!» Il ticchettìo della grossa pendola la richiamò alla realtà e, volgendo il capo, notò meccanicamente ch'erano quasi le nove. Dalla cucina veniva l'appetitoso profumo della pancetta fritta, a volte così gradito, segno evidente che la signora Rackley, con tutte le domande che le urgevano dentro, non poteva esser lontana. Lesley si precipitò di sopra, corse in camera sua, chiuse la porta a chiave e appoggiò il volto ardente contro il pannello della porta, poi si girò di scatto con l'impressione di qualcosa intravista, ma che la sua mente non aveva registrata. La stampa in bianco e nero, non più appesa alla cassaforte, giaceva a faccia in giù sul pavimento. Di fronte alla cassaforte, le dita sul quadrante della combinazione, stava Cynthia Drew. Per un lungo istante le due ragazze rimasero a fissarsi. L'estate, coi suoi grevi profumi e i suoi mormorii, si riversava nella stanza dalle finestre aperte, fra strisce di sole. L'atletica ragazza dai capelli biondi e gli occhi azzurri e l'altra più fragile, dai capelli e gli occhi castani, si fissarono con emozione crescente che rasentava l'isterismo. Poi la voce di Cynthia Drew ruppe il silenzio. «Voglio sapere che cosa c'è nella cassaforte» disse «e intendo scoprirlo prima di andarmene, a costo di ucciderti!»
X Quella mattina, quasi alla stessa ora (le nove), Dick Markham se ne stava seduto solo in cima ai due gradini di pietra davanti alla villa di Sir Harvey Gilman. "Ebbene" pensava "ormai è fatta!" Ora bisognava affrontare il peggio. Rammentava il suo colloquio con Lord Ashe, l'arrivo di Miller, poi l'interminabile interrogatorio di questi che prendeva nota di tutto. Ricordava una colazione affrettata, consumata sul tavolo di cucina della propria casa, con Cynthia Drew seduta di fronte che seguitava a chiedergli che cosa avesse in mente. Più tardi ricordava Bert Miller che telefonava al sovrintendente di polizia di Hawkstone per riferirgli l'accaduto; e la partenza dello stesso Miller per recarsi a Loitering Halt ad incontrare un funzionario di Scotland Yard, giunto appositamente da Londra in ferrovia. Stava arrivando il sovrintendente Hadley. Le cose precipitavano. Dick non aveva detto nulla a Cynthia, nonostante le sue insistenze; non sopportava di parlare con lei di Lesley. Aveva scoperto che nemmeno Lord Ashe sapeva qualcosa di preciso. Chiacchiere, chiacchiere, chiacchiere! Non si poteva rintracciarne la provenienza né farle cessare. Avevano assunto un atteggiamento ostile nei riguardi di Lesley da quando era circolata la notizia del loro fidanzamento. Eppure v'era dell'altro, nell'atteggiamento di Lord Ashe. Dick avrebbe giurato che il barone cercava di dirgli, di trasmettergli, di suggerirgli qualcosa. Ma che cosa? E così ora se ne stava seduto solo sui gradini della villa, abbandonato persino da Cynthia, partita per qualche misteriosa missione, a guardia di un morto fino al ritorno di Bert Miller. Non aveva detto nulla a Cynthia sulla vita di Lesley; ma sarebbe importato qualcosa se anche l'avesse fatto? No, assolutamente nulla. Nemmeno se avesse riferito quel che sapeva a tutto il paese. Presto sarebbe arrivato il sovrintendente Hadley e la storia sarebbe saltata fuori in tutti i suoi spiacevoli particolari. E intanto...
«Ohilà!» gridò urta voce dalla strada. Bill Earnshaw attraversò il giardino e si diresse verso la villa. «Arriverò in ritardo alla banca» osservò quand'ebbe raggiunto Dick «ma ho creduto bene di fare una scappata quaggiù.» La voce gli si spense in un borbottio indistinto. «Brutto affare, eh?» Dick assentì. Earnshaw accennò alle sue spalle. «Ero davanti alla casa di Lesley a parlare con quel... quel somaro di Horace Price» il viso gli si imporporò rendendosi conto che quello non era frasario adatto a un direttore di banca «quando passò Bert Miller in bicicletta e ci raccontò l'accaduto.» Earnshaw era un uomo di mondo. Rideva molto e si vantava del proprio senso dell'umorismo. Era un abile uomo d'affari, buon giocatore di bridge e di canasta; un ufficiale territoriale che si riteneva un ottimo tiratore di pistola e fucile, sebbene non se ne gloriasse. Tuttavia, proprio per questa sua qualità, la faccenda non poteva mancare di destare il suo interesse. «Stavo pensando, Dick, quel fucile...» cominciò. «Al diavolo il fucile!» sbottò l'altro con tale violenza che Earnshaw lo guardò sorpreso pensando che il giovanotto doveva avere i nervi scossi. «Voglio dire» si corresse Dick «che Sir Harvey non è stato ucciso da un colpo di fucile, ma...» «Lo so, lo so. Tuttavia» il suo sguardo vagò sulla facciata della casa «non vi è venuto in mente che la persona che ha sparato il colpo di fucile nel vetro è la figura principale di questa faccenda?» Dick sbatté gli occhi. «No, non mi è venuto in mente. Perché mai?» «Beh, supposto che la polizia sospetti che Sir Harvey non si sia affatto ucciso...» «Si è ucciso! Guardate le prove. Non ci credete?» «Francamente, vecchio mio» sorrise Earnshaw «sono accadute cose talmente strane che non so più cosa credere. A proposito, non mi sono ancora congratulato con voi per il vostro fidanzamento con Lesley. Buona fortuna e lunga vita!» «Grazie.» «A proposito di quel che stavo dicendovi» fece Earnshaw accennando alla finestra del salotto «vi dispiace se do un'occhiata?» «Per niente. Non sono della polizia.» Camminando in punta di piedi, forse per un senso di rispetto verso la
morte, Earnshaw s'accostò alla finestra di destra e scrutò nella stanza; poi si voltò con una lieve smorfia di disgusto, ma con l'aria soddisfatta di chi ha visto confermati i propri sospetti. «Un sedicente assassino» disse indicando il muro di cinta oltre la strada «si nasconde là dietro, pronto a sparare. Qualcuno accende la luce nel salotto e, questo è il punto, la persona col fucile può vedere chi c'è nella stanza.» Earnshaw fece una pausa. Dick Markham s'alzò lentamente in piedi. «Questa persona» continuò il banchiere «è un testimonio importante. Egli solo potrebbe dire: "Sir Harvey non era solo, c'era qualcuno con lui"; e ciò sistemerebbe la faccenda. Non vi pare?» Esistono cose talmente lampanti che la mente non riesce ad afferrarle al volo e Dick annuì, irritato di non esserci arrivato da solo. Qui Earnshaw, con innata prudenza, precisò ridendo: «Badate che non dico che sia andata proprio così. Non faccio l'investigatore, io. Però se fossi quel poliziotto che Bert Miller aspetta da Londra, farei così: chiederei al testimonio di farsi avanti...». «Ma il testimonio non si farebbe avanti. Correrebbe il rischio di venir accusato di tentato omicidio.» «Non potrebbe promettergli l'impunità, la polizia?» «Cioè desistere dal perseguirlo legalmente?» «Non capisco questi termini legali» osservò Earnshaw nervosamente. «Rivolgetevi a...» una leggera esitazione «al maggiore Price; io non me ne intendo.» Poi, fissandolo in viso con aria decisa, seguitò: «Quel che m'interessa è il fucile, se si tratta dell'arma che è scomparsa. Dov'è ora?». «Nel salotto. Miller ci ha dato un'occhiata.» «Posso vederlo?» «Certamente. Avete qualche particolare ragione per chiederlo?» «Sicuro» ripeté Earnshaw. «In primo luogo il fucile è mio. Ricordate che Price andò in giro per il paese a farsi prestare i fucili per il tiro a segno?» «Sì.» «In secondo luogo, occupando una posizione di un certo rilievo nella comunità...» Qui Earnshaw scoppiò in una risata non troppo convincente. «Non importa, entriamo.» L'eco di quella risata divenne anche meno convincente quando entrarono nel salotto. La lampada che pendeva sullo scrittoio era stata spenta da un pezzo, così
che il morto sedeva in penombra. Sebbene Earnshaw si costringesse a un'educata indifferenza, non riuscì a reprimere un sussulto quando, dopo aver girato intorno al tavolo, scorse l'espressione sardonica di quel viso dagli occhi socchiusi. Distolse rapidamente lo sguardo, ansioso di allontanarsi al più presto. Dick gli porse il fucile. «Non abbiate paura di toccarlo, Bill, perché se anche ci fossero state impronte digitali ci ho pensato io a rovinarle. È vostro?» «Sì, è il mio fucile» rispose Earnshaw. «Sentite...» «Aspettate un momento» s'affrettò a intervenire Dick. «Se state per chiedermi chi ha rubato il fucile ieri nel pomeriggio, ho già detto a Lord Ashe che non lo so.» «Ma...» «Di una cosa sono certo» continuò Dick «che non l'hanno preso né Price né Middlesworth, perché ricordo di averli visti portar via Sir Harvey. E nemmeno Lesley e io, giacché eravamo insieme. E non c'era nessun altro finché non siete arrivato voi e vi siete offerto di occuparvi dei fucili.» Sebbene Earnshaw continuasse a sorridere, l'espressione dei suoi occhi e della bocca non era divertita. «Se qualcuno ha preso l'arma, è stato Price.» «Accidenti, Bill, vi dico che non è stato lui! Non si può nascondere un fucile in tasca o sotto la giacca.» «È proprio quello che dico anch'io. Nessuno si è accostato al banco me presente e non sono stato io a prelevare l'arma, sebbene Price finga di crederlo. Rubare il mio fucile... È assurdo. E spero che non mi direte che è sparito per opera di magia.» Dick fu sul punto di replicare che non se ne sarebbe stupito; ma ne aveva fin sopra i capelli di fucili e di tutto il resto, nella snervante attesa del sovrintendente David Hadley; così si limitò a brontolare qualcosa in tono conciliante, rimettendo il fucile contro il muro di fianco al camino. Earnshaw rise per dimostrare che non gli serbava rancore. «Non crederete che voglia drammatizzare, spero; ma, scusate se lo ripeto, ho una certa posizione da salvaguardare e questa faccenda susciterà molto scalpore.» «Che cosa ve lo fa credere?» Earnshaw divenne molto serio. «Quell'individuo non si è ucciso, e voi lo sapete quanto me.» «Avete un'idea di chi possa averlo ucciso?» «No, ma è compito della polizia scoprirlo. Un cadavere trovato in una
stanza ermeticamente chiusa, con da un lato» accennò al morto «una siringa ipodermica e dall'altro una scatola di puntine da disegno.» Rifletté un istante. «Naturalmente non c'è niente di misterioso nelle puntine da disegno; voglio dire sul fatto che siano qui. Probabilmente se ne troveranno altre scatole per tutta la casa. Non abitavate qui al tempo del colonnello Pope, vero?» «No.» «Il colonnello Pope le usava contro le vespe» disse Earnshaw. Dick credette di aver udito male. «Usava le puntine per le vespe?» «Qui è pieno di vespe» spiegò Earnshaw accennando in direzione del frutteto. «Il colonnello Pope diceva che d'estate non poteva tener le finestre aperte senza esser messo in croce da quelle bestiacce.» «Ebbene?» «Qualcuno gli parlò di un sistema americano di "schermi". Non esistono in Inghilterra, ma sarebbero molto utili. Sono riquadri di rete di fil di ferro incorniciati in legno che, incastrati nelle fessure, servono a tener lontani gli insetti. Il colonnello Pope non riuscì a procurarseli; ma gli venne un'idea: prese due pezzi di garza e li assicurò tutt'intorno all'intelaiatura delle finestre con puntine da disegno.» Earnshaw indicò lo scrittoio. «Ne troverete indubbiamente delle altre nei cassetti, ma che significano vicino alla mano del morto?...» Dick resistette all'impulso di rispondergli che le puntine potevano produrre lo stesso effetto di un'iniezione; ma era solo una fantasia senza importanza. Nel crescente calore della stanza stagnava l'odore di acido prussico che emanava ancora dai pori del morto. Earnshaw incominciava a innervosirsi. «Usciamo di qui» esclamò improvvisamente. Erano di nuovo in giardino quando il banchiere chiese: «Avete visto Lesley, stamattina?». «Non ancora. Perché me lo chiedete, Bill?» «Per nulla» rise Earnshaw. «Sarà contenta di sapere, immagino, che dopo tutto non è stata lei... A proposito, Dick, non vorrei credeste che do importanza alle chiacchiere. Non c'è pericolo.» «Naturalmente.» «Ma a volte non posso fare a meno di pensare che in Lesley c'è qualcosa di misterioso.»
«Non vi capisco.» «Rammento la prima volta che l'ho vista e le ho parlato» rispose meditabondo l'altro. «È nostra cliente, sapete?» «Come tutto il resto della comunità, suppongo, e non vedo che cosa ci sia di sinistro.» Senza badargli, Earnshaw continuò. «Ciò che sto per dirvi non è un segreto, naturalmente. Era arrivata a Six Ashes da una quindicina di giorni, e aveva affittato la casa di Farmham. Venne nel mio ufficio e mi chiese se non era un grande problema trasferire il suo conto dalla nostra filiale di Basinghall Street a Londra alla sede locale. Naturalmente le risposi che ne sarei stato felicissimo. Poi mi chiese se avevamo cassette di sicurezza.» Il banchiere scoppiò in un'altra delle sue risatine. Dick Markham trasse di tasca un pacchetto di sigarette e meccanicamente lo porse a Earnshaw, ma questi scosse il capo. «Dissi di no, se intendeva il tipo di cassette di sicurezza che possediamo nelle succursali londinesi; ma che accontentavamo sempre i nostri clienti tenendo in custodia i valori che ci offrivano, dentro una scatola sigillata nella nostra camera blindata. Mi diede un'occhiata strana e disse che non possedeva nulla di valore, ma aveva una o due cose che desiderava mettere al sicuro.» «Ebbene?» «Poi disse: "Dovrete sapere che cosa c'è nella scatola che vi consegnerò?". Risposi che, al contrario, preferivamo non saperlo. Sulla ricevuta che consegniamo ai clienti mettiamo sempre "contenuto sconosciuto". Poi, vecchio mio, temo d'aver commesso un errore diplomatico. Dissi, così per scherzo: "Naturalmente, se mi venissero dei sospetti, avrei il dovere di indagare" e dopo d'allora lei non parlò più della faccenda.» "Contenuto sconosciuto." Dick accese una sigaretta e osservò la spirale di fumo alzarsi nell'aria. Ora l'eterno torturante enigma della cosa che, pur non essendo un oggetto di valore, doveva esser tenuta nascosta agli occhi di tutti, il mistero della stessa Lesley, stavano per essere svelati. «Ascoltate» mormorò Earnshaw. Il rombo di una macchina che arrivava dalla strada fu seguito dall'apparizione della sconquassata Hillman del dottor Middlesworth. L'auto si fermò davanti alla villa e Middlesworth, sceso dal posto di guida, apri lo sportello posteriore.
«Buon Dio!» esclamò Earnshaw. «Ma quello è...» Dal retro della macchina emerse lentamente una figura alta e grossa avvolta in un mantello nero e con un cappello a larghe falde. Poi la figura si erse sulla strada, il mantello e il nastro degli occhiali svolazzanti, il faccione dal triplice mento e dai baffoni da bandito, rosso per lo sforzo, e si mise ad osservare la villa. Indi il maestoso figuro si schiarì la gola con un suono che pareva un grido di battaglia, imprimendo un moto sussultorio ai suoi numerosi menti. «Sì» fece Dick che aveva visto parecchie volte quella specie di gigante sui giornali illustrati. «È Gideon Fell.» Ed ora comprese il significato del viaggio di Middlesworth a Hastings. La sera precedente questi aveva detto che il dottor Fell trascorreva là l'estate. Middlesworth era andato a prenderlo a un'ora indecente del mattino. Perché? Poco importava; l'essenziale era che il dottor Gideon Fell ne sapeva quanto il sovrintendente Hadley su quella faccenda. Ora la storia di Lesley sarebbe saltata fuori, e in presenza di Bill Earnshaw. Si sentì anche peggio, quando vide Middlesworth confabulare col dottor Fell, indi il mastodontico individuo dirigersi beccheggiando verso la villa. Il criminologo sembrava in preda a una violenta collera. Immenso come un galeone in navigazione nel suo mantello svolazzante, superava di una buona testa tutti i presenti. Si fermò ansimando di fronte a Dick Markham e lo fissò con straordinaria intensità. «Il signor Richard Markham?» chiese. «Sì.» «Signore» annunciò il dottor Fell «siamo venuti a portarvi buone notizie.» «Buone notizie?» ripeté Dick. «Nonostante il fatto» seguitò Fell, rimettendosi il cappello e gettando un'occhiata verso Middlesworth «nonostante il fatto che venendo qui abbiamo incontrato un certo maggiore... maggiore?» «Price» suggerì Middlesworth. «Un certo maggiore Price che ci ha messo al corrente degli avvenimenti di questa mattina.» Dick spostò lo sguardo da Fell a Middlesworth; ma questi aveva la solita aria inespressiva sul volto dalla fronte corrugata sopra cui i capelli s'andavano diradando. C'era però qualcosa di rassicurante nell'espressione dei suoi occhi e nelle profonde rughe intorno alla bocca.
«Possiamo comunque stabilirlo subito» osservò Middlesworth. Si accostò alla finestra del salotto e battendo sul vetro disse: «Dottor Fell, chi è quell'uomo?». Emettendo brontolii che parevano salire dalle profondità del suo stomaco, il criminologo raggiunse la finestra e si accostò quel tanto che gli permetteva la sua circonferenza pachidermica. Si aggiustò gli occhiali sul naso, si chinò in avanti con aria di profonda concentrazione ma, dopo appena due secondi, tornò a raddrizzarsi. «Signore» dichiarò con la stessa epressione di collera repressa «non ho la più pallida idea di chi sia quell'uomo; ma certo non è Sir Harvey Gilman.» XI Troppe emozioni, tutte in una volta, producono una specie di torpore durante il quale è facile simulare la calma. «Che scherzo è questo?» esclamò Dick Markham. Vide tre volti fissarlo: quello di Earnshaw a bocca aperta, quello di Middlesworth atteggiato a una smorfia amara, e quello del dottor Fell in un tale parossismo di furia che il labbro inferiore sollevato gli toccava i baffoni da bandito. «Non è uno scherzo» rispose Middlesworth. «Non è Sir Harvey Gilman?» gridò Dick. «È un impostore» affermò semplicemente Middlesworth. «Ieri sera non ho potuto esporvi i miei sospetti perché non volevo darvi false speranze, ma...» Middlesworth s'interruppe. «Scusatemi, Bill» fece rivolgendosi a Earnshaw «non avranno bisogno di voi in banca?» Il sottinteso non poteva essere più chiaro, tuttavia non c'era offesa nel tono gentile di Middlesworth: si rivolgeva alla cortesia, alla buona educazione del bancario, il quale subito annuì. «Indubbiamente; sono già in ritardo. Vogliate scusarmi, signori. A più tardi.» E, voltate le spalle, s'allontanò come in stato d'ipnosi, sebbene dovesse bollire per la curiosità. Middlesworth attese, finché la schiena eretta, il cappello floscio e il completo blu scomparvero in lontananza. «Diteglielo, dottor Fell» sollecitò allora. Il criminologo, veleggiando come un poderoso galeone, venne a piantarsi di fronte a Dick.
«Signore» tuonò aggiustandosi le lenti sul naso «siete stato vittima, non so perché, dello scherzo più crudele e brutale che abbia conosciuto nella mia lunga carriera. Voglio rassicurarvi riguardo a quella signorina... come si chiama?» «Lesley Grant» suggerì Middlesworth. «Oh, ah, sì.» L'espressione del dottor Fell era feroce. «La signorina Grant non è un'avvelenatrice e, per quel che mi consta, non ha commesso alcun delitto. Vi esporrò esattamente ciò che intendo dire.» Enumerò i vari punti sulle dita. «Non s'è mai sposata, non ha ucciso nessuno, non s'è mai interessata a nessun avvocato Burton Foster, per l'eccellente ragione che quella persona non è mai esistita...» «Che cosa?» Il dottor Fell gli impose il silenzio agitando la mano. «Non ha avvelenato il vecchio Davies di Liverpool perché anche lui non è mai esistito. Non ha mai invitato nel suo appartamento il signor Martin Belford di Parigi a un pranzo di fidanzamento per poi rimandarlo a casa a morire, perché anche lui è un'invenzione. In breve, signore: l'intera storia contro la signorina Grant non è altro che un cumulo di menzogne dal principio alla fine.» Dick Markham si risvegliò dal suo torpore per accorgersi che la sigaretta accesa gli s'era consumata fra le dita. Gettò il mozzicone fra l'erba. «Suvvia, coraggio!» disse la voce di Middlesworth uscendo da una specie di nebbia; e fu il sorriso bonario e incoraggiante del dottore a rompere l'incanto. «Allora, chi è, in nome del cielo?» esclamò Dick. «Voglio dire, chi era?» Non riuscendo a esprimersi con le sole parole Dick si servì dei gesti, come un bambino. Indicò la finestra del salotto con la sua diabolica messa in scena e il cadavere dallo sguardo sardonico. «Quanto a quello» rispose il dottor Fell «posso solo ripetervi che non lo so.» «E perché mi ha detto tutte quelle bugie?» esclamò Dick. «Perché? A che scopo?» Fell aggrottò le sopracciglia. «Mi rifiuto di credere che si trattasse solo di uno scherzo.» «Non era uno scherzo» affermò Middlesworth asciutto. «Avreste dovuto osservare il suo viso ieri sera.»
Il dottor Fell si rivolse nuovamente a Dick con benevolenza corposa, un po' contrita. «Vedete, ragazzo mio, a modo suo la storia ch'egli aveva inventata era un autentico capolavoro creato solamente ed appositamente per voi, per colpire ogni punto debole della vostra armatura, per impressionare ogni parte ricettiva della vostra mente.» (Vero! Vero! Vero!) «Ogni parola era destinata a risvegliare in voi una particolare reazione. Alla giovane donna in questione aveva conferito una psicologia convincente in una situazione che la fantasia vi costringeva ad accettare. Era un quadro perfetto, destinato a vincere un drammaturgo con le sue stesse armi. Ma quel che mi stupisce...» Qui la voce del dottor Fell morì in un borbottìo e il grassone rimase in silenzio a riflettere. Dick si rivolse al dottor Middlesworth: «Vi faccio i miei complimenti, dottore». «Va bene, va bene» fece il medico imbarazzato. «Avete immaginato fin da principio ch'era un impostore?» «Beh» rispose Middlesworth «non esattamente.» «Ma il vostro contegno di ieri sera...» «Non mi sarei azzardato a dire che era un impostore; però c'erano alcune cose che non mi convincevano. Quando il maggiore Price me lo presentò, mi disse che Sir Harvey esigeva da noi la promessa che avremmo mantenuta segreta la sua identità per un po' di tempo...» «Lo credo bene!» esclamò irosamente il dottor Fell. «Ma il vero Sir Harvey non avrebbe preteso una simile promessa, per Giove!» «Ero pieno di curiosità» continuò Middlesworth «così gli chiesi d'uno dei suoi famosi casi. Mi rispose con ampi particolari, ma parlando accennò alle due cavità del cuore, il che mi stupì, perché qualsiasi studente in medicina sa che il cuore è formato da quattro cavità. E poi le storie che raccontò ieri sera...» Dick parlò con una sensazione d'amaro in bocca: «Volete dire che mi ha imbrogliato con una storia di delitti assurda?». «Non assurda, né impossibile: solo improbabile, come il particolare che un patologo venga chiamato a fungere da medico legale nella zona di Londra, o, nella storia di Liverpool, il fatto che l'inchiesta si svolgesse a St. George's Hall mentre il delitto aveva avuto luogo nel sobborgo di Prince's Park. Io sono soltanto un medico» spiegò Middlesworth in tono di scusa «ma... oh, al diavolo!»
Si cacciò in bocca la pipa spenta mettendosi a tirare con accanimento. «Comunque» seguitò scrollando le spalle «ho pensato che era bene mettersi in contatto col dottor Fell» gli occhi miti ammiccarono verso Dick. «Vi sentite meglio, figliolo?» «Sono esattamente dodici ore che sono immerso in quest'incubo» rispose Dick «e mi sembrano dodici giorni, dodici anni. Devo abituarmi all'idea che Lesley non è un'assassina e che gli uomini che ha ucciso non sono esistiti. Che non c'è stato alcun avvelenamento con acido prussico e nessuna stanza chiusa dall'interno.» TI dottor Fell tossicchiò. «Vogliate scusarmi» osservò cortesemente «ma c'è stato un avvelenamento con acido prussico ed esiste una stanza chiusa dal di dentro. Provatevi a dare un'occhiata al salotto e ve ne convincerete.» I tre si fissarono pensierosi. «Dottor Fell» chiese Dick «che significa questo pasticcio?» Il criminologo soffiò rumorosamente dal naso. «Bene, signori» tuonò agitando in aria il bastone «tutto quello che sappiamo di questa faccenda è che la storia di quell'imbroglione era falsa; ma qualcuno ha fatto in modo che diventasse vera.» «A che scopo?» Il dottor Fell si rimise a passeggiare. «Non potremo trarre alcuna conclusione finché non sapremo chi sia l'impostore» continuò «e a che gioco giocava e perché abbia tramato questa spaventosa macchinazione solo per... per che cosa? Se ho ben capito, per esser presente nella casa mentre il signor Markham cenava con la signorina Grant. È esatto?» Dick e Middlesworth assentirono. «Ma un'osservazione che voi, dottor Middlesworth, avete fatto stamattina, quando quel maggiore Price ci mise al corrente degli ultimi avvenimenti, mi pare abbia centrato il bersaglio: qualunque spiegazione si dia alla situazione, il centro del complotto resta sempre la signorina Lesley Grant.» «Come potete asserirlo?» chiese Dick asciutto. Un'espressione divertita apparve negli occhi del dottor Fell, illuminandogli il faccione rosso. «Il centro dell'intero complotto resta sempre la signorina Lesley Grant» ripeté. «E ora una questione molto importante. L'impostore ha raccontato la storiella delle stanze chiuse e delle siringhe ipodermiche a qualcun altro,
oltre a voi?» «Non lo so» rispose Dick. «Nemmeno io» ammise Middlesworth. «Potrebbe averlo udito qualcuno mentre raccontava?» La scena della sera precedente tornò vivida alla memoria di Dick: le pesanti tende a fiori non completamente tirate davanti alle finestre, una delle quali aperta, e il dottor Middlesworth che improvvisamente, durante il racconto del falso Sir Harvey, s'alzava per andar a guardare fuori. «C'era qualcuno in giardino?» chiese al medico, dopo avergli ricordato l'incidente. «Sì.» «Avete visto chi era?» «No, era troppo buio.» «Vi sono due alternative» borbottò il dottor Fell. «Potremmo dire, volendo, che l'impostore si camuffò da Sir Harvey, ideò tutta questa grottesca montatura e prese tutte le misure necessarie per rinchiudersi là dentro, solo per iniettarsi il veleno. L'altra alternativa...» «Un delitto?» «Sì. E capite dove ci conduce?» Il dottor Fell riprese il suo soliloquio rivolto a un pubblico invisibile, passeggiando concitatamente avanti e indietro, poi si fermò di nuovo. «Questo è il punto. Ieri sera qui fu ricostruito un delitto, punto per punto, come un disegno, e il colmo è che il delitto originale non esisteva! Era inventato, un capolavoro sortito dalla fantasia di un impostore che si faceva chiamare Sir Harvey Gilman. Tuttavia qualcuno lo riprodusse fedelmente. La gente di Six Ashes credeva, e crede tuttora, che quell'individuo fosse Sir Harvey Gilman, il patologo del Ministero degli Interni. Ciò che Sir Harvey dice è Vangelo, i fatti che riferisce come veri sono veri. Perché la brava gente dovrebbe dubitarne? «O egli ha raccontato a qualcuno in privato la storia dell'acido prussico, o qualcuno, nascosto nell'ombra, l'ha ascoltato ieri sera. Quest'individuo crede fermamente che Lesley Grant sia l'assassina che ha ucciso tre uomini. Improvvisamente, col cuore giubilante, egli progetta di commettere questo delitto impossibile e lo compie sereno, nella certezza che sarà accusata Lesley Grant in vece sua.» Il dottor Fell fece una pausa traendo un profondo respiro, poi aggiunse con minor enfasi: «Così stanno le cose, signori miei, potete scommetterci la camicia.»
«Volete dire che qualcuno odia tanto Lesley da uccidere per...» Il criminologo prese un'espressione allarmata. «Mio caro signore» protestò «non possiamo ancora dir nulla circa il movente del delitto. Non conosciamo l'identità del morto e prima di dire che l'assassino aveva questo o quel movente è necessario sapere chi ha commesso il delitto su cui indaghiamo.» «E allora?» «L'unica cosa che sappiamo con certezza è che Lesley rappresentava un comodo capro espiatorio. Voi stesso lo credevate, fino a qualche minuto fa, non è vero?» «Sì, temo di sì.» «Su, coraggio!» tuonò il dottor Fell scosso da una delle sue solite irrefrenabili risate. «Non c'è bisogno che vi sentiate un miserabile o imprechiate mentalmente contro la vostra iniquità.» «Credevo invece di sì.» «Così, da quanto ho saputo da Middlesworth, eravate pronto a proteggere quella ragazza qualunque cosa avesse fatto. Ciò è biasimevole da parte vostra e non posso che disapprovare un comportamento che non si addice a un buon cittadino; ma, per tutti i fulmini, è così che agisce un vero innamorato. Però, in considerazione delle presenti difficoltà...» «Ebbene?» «Non dovete dimenticare, signore, che conosco gli avvenimenti di ieri attraverso la schematica relazione del dottor Middlesworth e quelli di stamattina come me li ha riferiti il maggiore Price, che a sua volta li aveva saputi dal poliziotto locale. Ma una cosa è chiara; se la responsabilità di questo delitto viene addossata alla signorina Grant, ne consegue che...» Fece un'altra pausa immergendosi in profonde riflessioni, poi chiese: «A proposito, chi è quel signore che si trovava qui un momento fa?». «Avrei dovuto presentarlo» si scusò Dick «ma ero così sconvolto che me ne sono dimenticato. È Bill Earnshaw, il direttore della banca.» «Oh, ah, capisco. Che cosa era venuto a fare?» «Era preoccupato per quel dannato fucile. Inoltre ha spiegato in parte la presenza della scatola di puntine da disegno nel salotto.» E Dick riferì il chiarimento di Earnshaw sul colonnello Pope e il suo sistema di difesa contro le vespe. Il dottor Fell l'ascoltò con la massima attenzione ed uguale attenzione dedicò alla sua esposizione dei fatti avvenuti il giorno prima nel parco del castello, inclusa la inesplicabile scomparsa del fucile, sotto gli occhi di tutti.
Qualcosa di quest'ultimo mistero parve interessare particolarmente il dottor Fell che fissò Dick con aria di profonda concentrazione; ma, invece di esporre la propria idea, il grassone passò ad altro argomento. «Ditemi. Il nostro amico impostore s'era dimostrato un buon chiromante? Vi risulta che in generale abbia colto nel segno leggendo la mano alla gente di qui?» «Pare che l'esattezza delle sue informazioni avesse paralizzato tutti, compreso...» Con una fitta al cuore, Dick si ricordò che doveva aver detto qualcosa anche a Lesley, sebbene la ragazza lo negasse accanitamente. Il dottor Fell si avvide del suo turbamento. «Posso suggerire di non ricominciare a tormentarvi? Arconti d'Atene! Se è riuscito a ipnotizzare voi con un cumulo di menzogne, non può aver fatto la stessa cosa con la ragazza?» «Volete dire che le ha raccontato qualche storia fantastica?...» «Pare fosse la sua specialità» osservò il criminologo. Una salutare ventata di buonsenso veniva a spazzar via ogni nube e Dick esclamò con fervore: «Appena ritornerà Bert Miller e potrò smontare di guardia, andrò immediatamente da Lesley a chiederle scusa». «Se volete andar subito, posso restar io di guardia» s'offerse il grassone. «Mi interessa moltissimo esaminare quella stanza. Più tardi, se vorrete, mi racconterete tutto. Ho la sensazione che la mia conoscenza degli avvenimenti sia non solo incompleta, ma anche falsata. A proposito, con tutta probabilità mi troverete a Ashe Hall.» «A Ashe Hall? Conoscete Lord Ashe?» Il dottor Fell accennò col bastone, mentre diceva: «Certo. Quelli, immagino, sono i prati del castello?» «Sì. Potete attraversare il boschetto e arrivarci per la scorciatoia.» «Debbo restare di guardia al vostro posto, signore?» Middlesworth batté sul braccio di Dick. «Andiamo, vi darò un passaggio. Alle dieci e mezzo devo essere all'ambulatorio.» Dick compì il viaggio col dottor Middlesworth in uno stato d'animo molto diverso da quello della sera precedente. Mentre percorrevano Gallows Lane, non molto distante da High Street e dalla casa di Lesley, Dick disse semplicemente «Grazie!» e il dottore rispose «Di nulla», ma fu come se si fossero stretti la mano. Quando Middlesworth lo depositò di fronte alla casa di Lesley, Dick ri-
mase un po' a fissare la High Street. Non s'era ancora del tutto rimesso dall'orribile incubo; ma aveva voglia di ballare, di gettare un sasso nella finestra dell'ufficio postale, per esprimere in qualche modo il suo sollievo. Persino la vista della High Street gli procurava un piacere quasi fisico. C'erano le case dall'aspetto familiare, l'ufficio postale con l'irascibile ricevitrice, i negozi, il caffè Griffin e Ash Tree, i tre o quattro uffici e l'elegante costruzione in mattoni della City & Provincial Bank. Più avanti sorgeva il basso campanile di pietra della chiesa, retta dal reverendo Arthur Goodflower, il cui orologio batteva in quel momento le dieci e un quarto. T rintocchi sonori erano come una melodia all'orecchio di Dick Markham che era il solo a percepirla mentre, aperto il cancello, percorreva il viale che conduceva alla casa di Lesley. Nessuna risposta allo squillo del campanello. Suonò ancora col medesimo risultato prima d'accorgersi che la porta d'entrata era socchiusa. La spalancò e mise la testa nell'ingresso in penombra. «Lesley!» chiamò. Dove avrebbe trovato il coraggio di guardarla in faccia, di confessarle che la sera prima l'aveva sospettata di essere un'angelica avvelenatrice, del diario e degli altri orribili segreti che aveva immaginato nascosti nella cassaforte? La sola cosa da farsi era raccontarle tutto sinceramente e mettere fine a quell'incubo con una risata. Ancora nessuna risposta dalla casa. «Lesley!» chiamò di nuovo. Con tutta probabilità la signora Rackley era fuori a fare la spesa, a quell'ora; ma Lesley... Stava per andarsene chiudendosi la porta alle spalle quando su un tavolino scorse la borsetta di Lesley con accanto la chiave della porta. Sempre chiamando la ragazza entrò in salotto, gettò un'occhiata in sala da pranzo, nella cucina attigua e fuori della finestra sul retro per assicurarsi che non fosse in giardino. Come ultima risorsa, mise la testa nell'angusta stanzetta dai mobili bianchi e azzurri, dove di solito Lesley consumava la prima colazione. Sul tavolino, apparecchiato con estrema cura per una persona, la pancetta e le uova fritte s'erano raffreddate e il pane tostato s'era indurito sulla griglia. Nella tazza non era ancora stato versato il caffè. Dick si precipitò fuori della stanza, ritornò nell'ingresso e salì la scala a tre gradini per volta. In quella casa si osservavano le convenzioni con tale rigore che fino al-
lora Dick non era mai entrato nella stanza da letto di Lesley, sebbene sapesse dove si trovava. Si fermò davanti alla porta chiusa, bussò, poi, non ottenendo risposta, dopo un attimo d'esitazione, aprì l'uscio. Fra le due finestre della stanza, che davano su High Street, spiccava la cassaforte a muro spalancata e avanzando di qualche passo Dick vide che l'interno, non più grande di una grossa scatola da biscotti, era vuoto. S'inoltrò nella stanza e sobbalzò. Raggomitolata sul pavimento ai piedi del letto, la guancia sinistra contro il tappeto, giaceva Cynthia Drew. Aveva una gamba ripiegata, le braccia spalancate e, sulla tempia sinistra, un'ecchimosi violacea che aveva sanguinato lasciandole una traccia bruna lungo la guancia. La ragazza non si muoveva. XII Una cassaforte vuota. Cynthia col viso cereo e i capelli biondi scompigliati. Dick la sollevò fra le braccia e la depose sul letto dove giacque afflosciata come una bambola. Grazie a Dio, non c'era da dubitare che fosse viva, e non sembrava nemmeno ferita gravemente. La si udiva chiaramente respirare attraverso le labbra socchiuse; però era molto pallida e la contusione spiccava livida sulla pelle smorta. Una porta aperta, di fronte alle finestre, lasciava intravedere un bagno modernissimo, quasi sibaritico. Dick vi si precipitò, aprì il rubinetto dell'acqua fredda nel lavabo, vi immerse un asciugamano, lo strizzò, poi frugò nell'armadietto dei medicinali in cerca di sali e della tintura di iodio. Sollevando lo sguardo allo specchio sopra il lavabo, si trovò di fronte alla propria immagine: un viso ispido di barba, non lavato, spettrale, da far paura alla gente per bene. Non trovò né i sali né la tintura di iodio; ma solo una bottiglia di acqua ossigenata e un pacco di cotone idrofilo. Ritornò da Cynthia e stava applicandole l'asciugamano bagnato sulla fronte quando udì sbattere la porta d'entrata al pianterreno. Lesley? Ma non era Lesley. Discesa la scala in quattro salti, trovò nel vestibolo la signora Rackley, una sporta della spesa al braccio, un sacchetto di carta rigonfio nell'altra mano e un abominevole cappellino inalberato in testa. «Signor Markham!» esclamò la signora Rackley, e i suoi occhi ag-
giunsero "questa poi!" con aria di riprovazione. «Dov'è la signorina Lesley?» «In casa, signore.» «Non è in casa, signora Rackley!» «Quando sono uscita c'era» fece l'altra, scaricando i pacchi sul tavolo un tantino allarmata. «Da quanto tempo siete uscita?» «Da circa un'ora» rispose la donna gettando un'occhiata alla pendola. «La signorina Cynthia...» «Che ha fatto la signorina Cynthia?» L'agitata cuoca-cameriera-governante si dava da fare intorno ai pacchi che sembravano inclini a rotolar giù dal tavolo come palle da biliardo. «Beh, signore, è stato mentre era qui il maggiore Price. La signorina Cynthia è entrata dalla porta sul retro e ha chiesto se poteva salire in camera della signorina Lesley per la scala di servizio perché voleva farle una sorpresa. Le dissi di andare pure giacché la signorina Cynthia è una brava ragazza.» «Beh? Che è successo poi?» «È successo qualcosa, signore?» «Continuate, vi prego!» «Poi il maggiore Price se ne andò e la signorina Lesley salì in camera sua e la udii parlare con l'altra.» «E allora?» «Salii anch'io di sopra, bussai alla porta e dissi: "Signorina, la colazione è pronta" e lei rispose: "Scendo subito. Uscite a far la spesa" con un tono brusco che non le avevo mai sentito. Così, uscii immediatamente come lei mi aveva ordinato... Non mi direte, signore, che non ha fatto colazione?» Dick ignorò la domanda. «La signorina Cynthia è caduta e s'è ferita al capo. Se potete...» Non vi fu bisogno d'aggiungere altro. Nonostante la sua vasta mole, la signora Rackley salì le scale con sorprendente agilità. Il trattamento che somministrò a Cynthia si dimostrò valido ed efficace. Dopo aver lavato la ferita detergendola dal sangue, vi applicò un rimedio che andò a prendere al piano superiore. Risvegliandosi dallo svenimento, Cynthia cominciò a dibattersi, strillò borbottando e scalciando; ma la signora Rackley la tenne ferma per le spalle finché non si quietò. «Su, su» l'incoraggiò la donna. «Su, da brava!» e girando il collo chiese: «Credete che dovremmo chiamare il medico, signore?».
«No.» «Com'è successo, signore?» «È... scivolata e ha battuto la testa contro il piede del letto.» «Eravate qui, signore?» Dick eluse la domanda. «Grazie, signora Rackley. Siete stata di grande aiuto. Se ora voleste lasciarmi parlare un momento da solo con la signorina Cynthia...» «Non so se debbo farlo» ribatté decisa la donna. «Quel che le serve è una buona tazza di tè. Se ne aveste...» Il trucco funzionò. Uscita la donna, Dick sedette sulla sponda del letto. «Va tutto bene, Cynthia» la rassicurò. «Che cosa è successo?» «Mi ha colpita. Sembra assurdo, ma mi ha colpita con lo specchio.» «Che specchio?» Cynthia si sforzò di levarsi a sedere, ma appena ebbe sollevate le spalle dal letto scorse la cassaforte spalancata e, presa da un senso di vertigine, si aggrappò al braccio di Dick. «Dick, la cassaforte!» «Ebbene?» «È vuota. Che cosa c'era dentro?» «Non lo sai?» «No. Ho cercato di...» Cynthia si interruppe di botto e il suo viso assunse un'espressione vacua, un po' stolida, quasi bovina. «Lasciami alzare, ti prego.» «Sta' ferma, Cynthia.» «Come vuoi.» «Dove hai sentito dire che nella cassaforte c'era qualcosa?» «Mio caro Richard, non l'ho sentito dire. La cassaforte è il mistero del paese. Tutta Six Ashes ne parla, specialmente da quando di misteri ce ne sono piovuti addosso a profusione!...» Ancora, Cynthia si controllò. «Mi ha colpita, Dick. Stavo avvicinandomi con l'intenzione di discutere e lei ha afferrato lo specchio e mi ha colpita!» Dick si guardò in giro. C'era un servizio da toeletta d'argento, assai semplice ma lussuoso, e molto pesante. Lo specchio a mano, ch'era stato usato come arma offensiva, giaceva in bilico sul bordo del mobile, come abbandonato in tutta fretta. «Perché l'ha fatto, Cynthia?»
«Te l'ho detto. Le ho chiesto di aprire la cassaforte!» «Ti stava di fronte?» «Sì, con le spalle rivolte alla toeletta, la mano nascosta dietro la schiena. E m'ha colpita con lo specchio prima che potessi alzare un dito.» «Cynthia, sei sicura di dire la verità?» «Perché dovrei mentire?» «Lesley non è mancina e se ti avesse colpita con lo specchio mentre le stavi di fronte, quella contusione dovrebbe essere sulla tempia sinistra. Come mai, invece, è sulla destra?» Cynthia lo fissò. «Non mi credi, Dick Markham?» «Non dico che non ti credo, Cynthia. Cerco solo di scoprire quel ch'è successo qui.» «Naturalmente tieni dalla sua parte» esclamò la ragazza con improvvisa amarezza, poi voltò la testa e incominciò a singhiozzare disperatamente. Dick, terribilmente imbarazzato, commise l'errore di toccarle il braccio e Cynthia gli scostò la mano con odio selvaggio. Allora il giovane s'alzò, andò alla finestra e guardò fuori, confuso e sconcertato. Sul lato opposto della strada, sulla sinistra, si stagliavano i cancelli di Ashe Hall. Nulla si muoveva nella High Street all'infuori di un individuo alto dal portamento militare, evidentemente un forestiero, che attraversava la strada in direzione dell'ufficio postale. Perfettamente calma, la ragazza si levò a sedere sul letto e mise i piedi a terra. «Devo avere una faccia che fa spavento» osservò. Dick si voltò di scatto. «Cynthia, dov'è Lesley?» «Come diavolo vuoi che lo sappia?» «Non è qui, non è in casa e, come hai detto, ora la cassaforte è vuota.» «Non crederai che le abbia fatto qualcosa, vero?» «No, ma... Per l'amor del cielo, ascoltami! Voglio dire questo: che scusa avevi per chiederle di aprire la cassaforte? Perché l'hai fatto?» «Se tu avessi inteso le orribili cose che dicevano di lei...» «Cynthia, ieri sera non eri per caso in ascolto fuori della finestra?» «Quale finestra, Dick? Che cosa vuoi dire?» No, era assurdo! L'autentico stupore della ragazza fugò il sospetto dalla sua mente. «Insisto per sapere quel che intendi dire!» ribadì Cynthia.
Dick imbastì una scusa: «Voglio dire che stamattina eri là, vicino alla villa, e potresti aver sentito o visto qualcosa che potrebbe essere di aiuto». Aveva lanciato la frase a casaccio, ma, con suo grande stupore, l'atteggiamento di Cynthia mutò. «Per la verità, Dick, ho visto qualcosa.» «Che cosa?» Le dita di Cynthia martoriavano il copriletto di piuma. «Volevo dirtelo prima, ma ero così sconvolta che m'è sfuggito di mente. Comunque non è molto importante, dato che Sir Harvey Gilman s'è ucciso.» Lo fissò in volto. «Perché s'è ucciso, vero?» «Lascia andare. Che cosa hai visto?» «Ho visto qualcuno che correva» rispose la ragazza. «Quando? Dove?» Cynthia rifletté. «Un attimo prima che sparassero nella finestra.» «Prima dello sparo?» «Sì, arrivavo dal sentiero, ricordi? Io venivo da est e tu da ovest. Non ti avevo ancora visto e, naturalmente, non immaginavo che stesse accadendo qualcosa di strano; ma scorsi qualcuno attraversare di corsa il sentiero, davanti a me; e dopo averlo scavalcato, tuffarsi nel boschetto.» «Hai potuto vedere chi fosse?» «No, ho scorto solo un'ombra; c'era la falsa luce che accompagna il levare del sole.» «Non puoi descriverla in qualche modo?» «No, temo di no.» «Uomo o donna?» Cynthia esitò. «Non saprei dirlo. E ora, Dick Markham, se hai finito con l'interrogatorio e i vari sospetti su di me, avrei piacere di andarmene a casa.» «Sì, certamente. Appoggiati, sei ancora stordita. Ti accompagnerò io.» «Non farai niente del genere, Dick Markham» rispose Cynthia con furia contenuta. «Se credi d'accompagnarmi a casa dai miei genitori in questo stato ti sbagli di grosso. Ti prego, fatti in là.» «Non fare la sciocca, Cynthia!» «Sentilo» ribatté la ragazza. «Sono anche sciocca.» «Non volevo dir questo, Cynthia, ma solo che...» «Tanto per cominciare, hai dimostrato di non preoccuparti affatto per me!» Dick fece per protestare. Poi, non riuscì mai a ricordare come, si trovò
Cynthia fra le braccia, che singhiozzava sulla sua spalla, calda e morbida, così vicina da sentire le forme salde del suo corpo. E fu proprio allora che entrò la signora Rackley, col vassoio del tè. «Grazie infinite, Dick» mormorò Cynthia svincolandosi dall'abbraccio e rivolgendogli un amichevole sorriso. «E grazie anche a voi, signora Rackley. Non c'è bisogno che veniate a trovarmi a casa. Sto benissimo. Arrivederci.» Li salutò e uscì dalla stanza. La signora Rackley si accostò al letto e posò il vassoio sul tavolino da notte. «Signora Rackley,» disse Dick «dov'è andata?» «Posso chiedervi, signore, di chi volete parlare?» chiese la donna, evitando di guardarlo. «Della signorina Lesley, naturalmente.» «Vogliate scusarmi la libertà, signore; ma dubitavo che la cosa vi interessasse.» «Per l'amor del cielo, signora Rackley, non interpretate in modo sbagliato tutto quel che vedete!» «Per il bene della signorina Lesley non ho visto nullà; quel che è stato è stato, se mi capite» dichiarò la signora Rackley, sempre evitando di guardarlo. «Non è affar mio...» «Non c'era niente di...» «Non voglio saper nulla di quel che non mi riguarda» l'interruppe la donna. «Non lo beve nessuno questo tè?» «No, temo di no. La signorina Cynthia...» «Questo tè» insistette la signora Rackley, sollevando il vassoio d'un palmo e sbattendolo di nuovo sul tavolino da notte «è stato ordinato espressamente.» «Va bene, va bene. Lo berrò io, questo maledetto intruglio.» «Signor Markham» fece la donna «vi avevo sempre ritenuto un gentiluomo, ma evidentemente i gentiluomini sono piuttosto rari.» Nella sua preoccupazione per Cynthia, evidentemente, la signora Rackley non s'era accorta della cassaforte aperta quand'era entrata la prima volta, mentre la seconda volta era chiusa e nascosta dietro il quadro. Tuttavia, se riferita alla scomparsa di Lesley, era una cavità pericolosa con il suo segreto inviolato. Una dozzina di possibilità, per la maggior parte drammatiche, ma tutte diabolicamente realistiche, balenarono nel cervello di Dick Markham. Dick aveva già deciso di cominciare una serie di telefonate quando il telefono squillò nell'ingresso. Dall'altro capo del filo gli
giunse la voce del dottor Fell. «Ah!» fece il grassone schiarendosi la voce nel microfono con la violenza d'un terremoto. «Speravo proprio di trovarvi lì. Sono a Ashe Hall. Potete raggiungermi immediatamente?» «Si tratta di Lesley?» «Sì.» Dick strinse con forza la cornetta mormorando mentalmente una preghiera, prima di parlare. «Sta bene?» «Bene?» tuonò Fell. «Certo che sta bene. È qui, seduta vicino a me.» «E allora?...» «Per la verità, ci sono notizie importanti» continuò il criminologo. «Abbiamo identificato il morto.» XIII Nell'ala nord del castello, lungo un oscuro corridoio odorante di muffa ricoperto da una guida di stuoia, s'apriva la stanza che Lord Ashe usava come studio. C'erano quattro persone ad attenderlo, allorché Dick entrò. Una spessa portiera verde impediva ai rumori esterni di penetrare nella stanza. Contro le finestre c'era una grossa tavola coperta di carte, disposta in modo che la luce piovesse sulla spalla sinistra di chi vi stava seduto. Accanto al tavolo, in una sedia girevole cigolante, stava Lord Ashe, rivolto verso la stanza. Di fronte a lui, sedeva rigida Lesley Grant. Il dottor Fell era sprofondato in un'enorme poltrona di legno. Con le spalle rivolte al camino, un individuo dal portamento militare, lo sguardo duro e la mascella forte (lo stesso che Dick aveva visto non più di mezz'ora prima nella High Street) fischiettava fra i denti. Lesley scattò in piedi. «Se non vi dispiace» disse «aspetterò fuori mentre glielo direte. Non voglio esser presente al colloquio.» Lesley si diresse verso Dick. «Salve, caro» lo salutò. «Ti sei divertito, ad ascoltare le mie gesta di avvelenatrice?» Poi, dopo aver abbozzato un inchino scherzoso verso il dottor Fell, Lesley uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle. «Un bel gesto, signori miei!» osservò Lord Ashe traendo un profondo respiro. «Ammirevole» tuonò Fell. «Ammirevole!»
«Sciocco!» commentò brusco l'individuo dal portamento militare. «E maledettamente rischioso, anche. Ma le donne sono fatte così...» Dick non ci capiva nulla. «Non vorrei disturbarvi, dottor Fell» disse «ma mi avete detto di venire immediatamente ed eccomi qua: Se volete spiegarmi...» Il dottor Fell sbatté le palpebre. «Eh, ragazzo mio? Spiegarvi che cosa?» «Quello che è successo.» «Oh, ah! Sì» esclamò il dottor Fell improvvisamente illuminato. «A proposito, lasciate che vi presenti un amico. Il signor Markham, il sovrintendente Hadley.» Dick strinse la mano all'uomo accanto al camino. «Hadley, naturalmente, ha riconosciuto il morto non appena l'ha visto» continuò Fell. «In un certo senso, mi dispiace di aver perso Sam» commentò Hadley. «Era un tipo notevole, Sam, sebbene debba ammettere che a volte l'avrei strozzato volentieri!» Hadley sogghignò. «State calmo, signor Markham. Volete sapere chi era realmente quell'individuo?» «Naturalmente.» «Era un imbroglione di professione, di nome Samuel De Villa, probabilmente il più abile truffatore all'americana che sia mai esistito.» «Un truffatore all'americana?» esclamò Dick. «Forse, caro figliolo, vi interesserà vedere questo» intervenne la voce pacata di Lord Ashe. Spingendo indietro la sedia, aprì un cassetto del tavolo a cui era seduto, ne trasse un grosso pezzo di velluto scuro ripiegato come una borsa e lo spiegò sul tavolo. «Vistoso, eh?» disse Fell. "Vistoso" era una parola troppo blanda. All'infuori che nelle commedie musicali, Dick non aveva mai visto niente che potesse paragonarsi agli oggetti che scintillavano sul quadrato di velluto. Erano solo quattro: una collana a tre fili, un braccialetto, un orecchino e quello che sembrava un collare; ma colpivano l'occhio per quella che poteva definirsi una combinazione di bellezza e volgarità. E ora Dick si rese conto perché un certo stemma araldico l'avesse ossessionato. Lo aveva visto spessissimo sui cancelli d'ingresso di Ashe Hall, sull'anello che portava al dito Lord Ashe e, Dio solo sa perché, sull'insegna della taverna di Six Ashes. Naturalmente Dick pensò tra sé che quei favolosi gioielli non potevano
essere veri. Pure, la luce che entrava dalle finestre traeva bagliori opalescenti dalla triplice fila di perle della collana, i brillanti del braccialetto sfavillavano malignamente e lo splendore dei rubini sulla catena d'oro antico era così vivo... Interpretando la sua espressione, Lord Ashe disse: «Oh, sì, sono veri». Toccò delicatamente prima la collana e poi il bracciale. «Questi» continuò «sono dell'inizio del diciottesimo secolo, e questo» toccò l'orecchino «dubito sia un'imitazione moderna. Ma questo» e toccò il collare «è ciò che la tradizione descrive come un dono della stessa Gloriana a George Converse nel 1576.» Seguì un lungo silenzio. Fuori, nel giardino cintato, s'ergeva un susino solitario. Come in sogno, Dick vedeva i raggi di sole filtrare dal giardino attraverso le finestre anguste sul mucchio di gemme, la stanza scura con gli alti scaffali pieni di libri intorno alle pareti, il ritratto che parlava di tempi antichi in cui sfarzosi gioielli del genere ornavano d'abitudine braccia, gole e orecchie delle dame. Infine Dick ruppe il silenzio. «Sono vostri, signore?» L'altro scosse il capo. «Vorrei che lo fossero» rispose con rincrescimento e sorridendo continuò: «Appartengono alla signorina Lesley Grant». «Ma è impossibile! Lesley non possiede gioielli.» «Chiedo scusa» ribatté Lord Ashe. «Detesta i gioielli, sì, e non ne porta; ma questi le appartengono suo malgrado.» Meditò un attimo, poi guardò il dottor Fell. «Non vi dispiace, signore, che gli spieghi le cose così come me le ha raccontate stamattina la signorina Grant?» «Per nulla» rispose il criminologo. «È una strana storia» fece Lord Ashe «e, sotto certi aspetti, patetica. È la storia di una ragazza, come posso dire?, alla ricerca disperata della rispettabilità. Avete mai sentito parlare, signor Markham, di una certa Lily Jewell?» «No» rispose Dick. Tuttavia un sospetto incominciava a farsi strada nella sua mente. «Cosa strana, vi ho accennato proprio stamattina» osservò il barone. «Non sarebbe esatto definirla soltanto "una donna di facili costumi". Mio fratello maggiore, Frank, ed altri uomini, si rovinarono per lei, prima della
guerra '14-18. Fra le altre cose, egli le regalò anche questi gioielli. Incominciate a seguirmi?» «Credo di sì.» «Lily Jewell morì dimenticata da tutti qualche anno fa. Perì di morte violenta. Era una donna anziana che si pagava i giovani amanti. Minacciò uno di questi con una rivoltella per esserle stato infedele e nella colluttazione partì un colpo che l'uccise. Lily ebbe una figlia da un certo capitano Jewell, la ragazza che voi conoscete come Lesley Grant.» Lord Ashe fece una pausa. Dick si voltò a guardare in giardino. Centinaia di ricordi gli si affollarono alla mente. Annuì pensieroso. «Io... ehm, vivo un po' fuori del mondo» spiegò Lord Ashe passandosi le. punte delle dita sulle tempie. «Non ero preparato a vedermela piombare qui stamattina per gettarmi quel mucchio di roba dicendomi: "Vi prego, prendetevi questi maledetti fronzoli, se credete che vi appartengano".» Lord Ashe fece un'altra pausa. Il dottor Fell si schiarì la gola. «Dopo la morte della madre» seguitò il barone «la sua fissazione è stata quella di farla finita con la sua vita precedente e di diventare il più possibile diversa da Lily Jewell. Mi seguite sempre, signor Markham?» «Sì, benissimo.» «La ragazza deve aver vissuto in uno stato continuo di tensione... e deve esser stato per lei un brutto colpo scoprire chi abitava dirimpetto a casa sua.» «Non lo sapeva?» «No. Quand'era bambina, mio fratello era conosciuto ufficialmente come "il signor Converse" o "zio Frank", piuttosto che col suo titolo. Il nome di Ashe non significava nulla, per lei.» «Così, fu un puro caso?...» «Oh, no: un amico maligno. Un amico maligno le suggerì che, se avesse lasciato il continente per stabilirsi in Inghilterra, probabilmente le sarebbe piaciuto vivere in un villaggio chiamato Six Ashes. Venne qui e il luogo le piacque. Trovò un'abitazione di suo gusto e passarono diverse settimane prima che osservasse attentamente lo stemma sui cancelli del castello» Lord Ashe tese la mano a toccare il collare «e lo paragonasse a questo.» «Capisco.» «Avrebbe potuto andarsene, naturalmente; ma la gente del posto le piaceva, e le piaceva una persona in particolare» aggiunse guardando Dick.
«Presumo che questa vita tranquilla, monotona, fosse proprio quella che cercava, che desiderava disperatamente. E non volle rinunciarvi. «Immagino che un morboso senso di colpa la facesse impazzire: colpa verso di voi, verso tutti i componenti della mia famiglia. Vi assicuro che non capisco perché. Come le ho detto stamattina, non ha alcuna responsabilità nel comportamento della madre.» Lord Ashe esitò. Sollevò prima il collare, poi il braccialetto e infine la collana sul palmo della mano, come godendo del loro contatto. «Ma è anche vero che allora si discusse se mio fratello aveva o meno il diritto di regalare gioielli di famiglia a Lily Jewell e se, in verità, essi non facessero parte di un patrimonio inalienabile. La ragazza, oltre al timore di ciò che avrebbero detto le signore del villaggio se avessero saputo che era figlia di Lily Jewell, aveva anche l'incubo che la polizia venisse ad arrestarla. Era terrorizzata dall'idea che qualcuno vedesse quei gioielli e riconoscesse lo stemma degli Ashe, il che sarebbe certamente accaduto. Ma non voleva separarsene né tenerli in banca. Di qui la cassaforte, che dimostra da parte sua un certo buonsenso, dato l'ingente valore dei gioielli.» Il sovrintendente Hadley intervenne chiedendo: «Che valore?». «Mio caro sovrintendente» rispose Lord Ashe che incominciava a mostrare chiari sintomi d'esser sul punto di scaricarsi, come un orologio «il loro interesse storico...» «In contanti, voglio dire.» «Temo di non poterlo precisare; ma certo diverse migliaia di sterline, come potete giudicare da voi.» Lord Ashe tornò a rivolgersi a Dick Markham. «Quando vidi per la prima volta la signorina... ehm, la signorina Grant, circa sei mesi fa, notai la sua rassomiglianza con Lily Jewell e ne rimasi perplesso e stupito ma, sulla mia parola d'onore, non collegai mai la ragazza con la signora Jewell. Erano così diverse, così...» Lord Ashe abbozzò un gesto vago. «Ebbene, mio caro giovanotto, se aveste conosciuto Lily Jewell, capireste ciò che intendo dire.» «Ma Lesley pensò...» «Forse ebbe paura che avessi indovinato chi era e lo sciocco timore di essere oggetto di chiacchiere crebbe a dismisura fino a diventare una ossessione. Doveva essere in preda a una forte tensione nervosa e voi rammenterete gli avvenimenti di ieri.» Il sovrintendente Hadley scoppiò in una risata stridula. «Sam De Villa» esclamò.
«De Villa, alias Sir Harvey Gilman, cercava i gioielli, allora?» domandò Dick. «E che altro credevate cercasse?» ribatté sardonico Hadley. «Quando mi recai laggiù alla villa col vostro agente... come si chiama?» «Bert Miller.» «Miller, sì, feci al dottor Fell una breve relazione sulla vita e le imprese di Sam De Villa. Sam era un truffatore all'americana; non sarebbe mai riuscito a scassinare una cassaforte Florida Buldog e nemmeno ci avrebbe provato. Era un vero artista!» «Un artista che, spero, brucerà all'inferno, in questo momento!» esclamò Dick. «Continuate.» Hadley scrollò le spalle. «Niente di più semplice. Di solito Sam lavora in continente. Rintracciò la figlia di Lily Jewell a Six Ashes e decise sul da farsi. Prima di tutto inquadrò il distretto.» «Inquadrò?» ripeté Lord Ashe. «Lo studiò, assunse il maggior numero d'informazioni su tutti. Uno dei suoi espedienti era di andar in giro nel ruolo poco appariscente di piazzista.» «Le Bibbie!» esclamò Lord Ashe. Tutti lo fissarono. «Chiedo scusa, signori» fece Lord Ashe agitandosi sulla sedia «ma quell'individuo mi ricordava un tale ch'era stato qui parecchio tempo fa a vender Bibbie. Volete dire che si trattava dello stesso malfattore che chiamate Sam?» Hadley annuì. «Funziona sempre, il trucco delle Bibbie» dichiarò. «Danno al venditore la possibilità di accostarsi alla famiglia e alla sua storia, se trova qualcuno disposto a chiacchierare.» Il dottor Fell appariva turbato. «Sapete, Hadley» osservò «sarei curioso di sapere se ha visitato qualche altra casa di Six Ashes, oltre questa.» «Immagino che abbia fatto il giro di tutto il paese» rispose cupo il sovrintendente. «Questo spiegherebbe il suo enorme successo come chiromante, un ruolo che assunse di buon grado, dato che Sam diceva di avere il senso dell'umorismo.» «Al diavolo il suo senso dell'umorismo!» esplose Dick. Seguì un silenzio imbarazzato che fu rotto dal sovrintendente Hadley.
«Capisco, signor Markham, capisco» osservò sorridendo, come se ci fosse arrivato un po' in ritardo. «La festa all'aperto offrì a Sam una magnifica occasione per sconvolgere la signorina Grant e, di conseguenza, per sconvolgere voi, in preparazione al suo piano.» «A proposito, che cosa le disse veramente?» Seguitando a sorridere Hadley borbottò: «Non riuscite a immaginarlo, signor Markham?». «Alluse al fatto che, come chiromante, sapeva tutto del suo passato e di quello di sua madre?» domandò Dick. «Proprio così e con la certezza, vedete, che la ragazza non vi avrebbe detto nulla. Così vi sconvolse alludendo a segreti assai più sinistri. Non credo ci sia altro da dire, signor Markham. La storia della terribile avvelenatrice, del diario, del veleno o che altro chiusi nella cassaforte avevano per scopo di farle aprire la medesima. Come riuscirci? Facile! Secondo quanto m'ha raccontato il dottor Fell, vi disse che voleva esser presente "non visto", mentre voi cenavate con la signorina Grant, e che era ansioso di vedere che cosa conteneva la cassaforte, vero?» «Sì.» «E che vi avrebbe dato "le ultime istruzioni", il mattino dopo?» «Sì. Sono le parole esatte.» Ancora Hadley scrollò le spalle. «Voi dovevate ottenergli la combinazione della cassaforte» disse il sovrintendente «la combinazione della cassaforte inespugnabile. Ve lo avrebbe comunicato stamattina, se fosse stato vivo.» «Un momento. Credete che Lesley me l'avrebbe detta?» «Se vi avrebbe dato la combinazione? Sapete benissimo che lo avrebbe fatto, se glielo aveste chiesto. Comunque, lei aveva intenzione di raccontarvi tutto al pranzo di quella sera.» Alcune frasi fluttuarono nella mente di Dick, parole che Lesley aveva pronunciato la sera prima a casa sua: "Voglio che tutto sia perfetto, domani, perché devo dirti qualcosa. E devo mostrarti qualcosa". La vide seduta al lume della lampada, mesta e pensierosa. «Ma avreste creduto a ciò che vi avrebbe raccontato?» «No, penso di no.» (Era lieto che Lesley non fosse presente in quel momento). «Durante il giorno vi sareste fatto dare la combinazione e mentre stavate cenando Sam avrebbe ripulito la cassaforte e si sarebbe tranquillamente eclissato. Questo è tutto, signor Markham. Soltanto...»
«Soltanto» intervenne il dottor Fell «qualcuno l'ha ucciso.» XIV Le parole risuonarono fredde, gravi. E il prudente Hadley, sporgendo la mascella, pronunciò una formale protesta: «Un momento, Fell! Non possiamo affermare con sicurezza che si tratta di un delitto, per ora». «Oh, ragazzo mio! E che cosa credete che sia?» «Forse posso rispondere a una delle vostre domande» intervenne Lord Ashe. Sia il dottor Fell che Hadley si voltarono stupiti a guardarlo. «Un momento fa» riprese Lord Ashe «vi chiedevate se questo falso venditore di Bibbie avesse visitato altre case oltre la mia. So che la cosa non è molto importante, però posso rispondervi con sicurezza di no. Ho fatto indagini in proposito. Davvero, signori» confermò posando il collare d'oro. «Sentite, avete usato la parola "delitto"?» «Sì» affermò il dottor Fell. «Se ho ben capito, questo De Villa è morto avvelenato in una stanza con le porte e le finestre chiuse dall'interno.» «Sì» convenne il dottor Fell «ed è perciò che ripeto che il centro del complotto è evidentemente la signorina Lesley Grant.» «Scusate un momento» esclamò Dick, e rivolgendosi a Lord Ashe: «Avete detto, signore, che stamattina Lesley è venuta qui e vi ha consegnato i gioielli confessando la storia di sua madre?». «Sì, con mio grande imbarazzo.» «Perché l'ha fatto?» Lord Ashe parve confuso. «Beh, evidentemente perché la piccola Cynthia Drew era andata da lei accusandola di essere un'avvelenatrice.» In quel momento Lesley scivolò nella stanza, chiudendo adagio la porta dietro di sé. Nonostante la sua calma esteriore, quel colloquio doveva innervosirla terribilmente. «Sarà meglio che risponda io, sebbene mi sia molto penoso parlarne» osservò. «È proprio così, Dick. Te ne parlerò più tardi; ma è stato terribile.» «Cynthia?» «Sì. Questa mattina è salita nella mia stanza, Dio sa come ha fatto ad en-
trare, e l'ho sorpresa mentre cercava di aprire la cassaforte.» «Sì... lo sapevo.» «Mi disse: "Voglio sapere che cosa c'è nella cassaforte e intendo scoprirlo prima di andarmene". Le chiesi di che stava parlando. Rispose: "È là che tieni il veleno, vero? Il veleno che hai usato per quei tre uomini ch'erano innamorati di te?". Capisci?» «Suvvia, calmati, cara.» «Avevo pensato» continuò la ragazza «che tutto il villaggio dicesse, o almeno immaginasse, cose terribili, di me. Specialmente quando continuò affermando che Dick sapeva tutto e che la polizia sarebbe venuta ad arrestarmi, perché avevo rinchiuso nella cassaforte il veleno o qualche altra cosa orribile. Mi pareva d'impazzire...» «E l'hai colpita?» Lesley sbatté le palpebre. «Colpita?» «Sì, con lo specchio a mano della toeletta.» «Santo cielo, no!» esclamò Lesley spalancando gli occhi. «Ha detto che l'ho colpita?» «Che accadde, allora?» «Cynthia si slanciò verso di me. È molto forte e io non sapevo che cosa fare, così mi scansai, lei inciampò e cadde come un sacco di patate contro lo zoccolo del letto. Vidi ch'era svenuta, ferita leggermente. Forse è stato crudele da parte mia; ma l'ho lasciata dove si trovava. Tolsi quella roba dalla cassaforte, corsi da Lord Ashe e gli raccontai la storia. Mentre parlavo arrivarono il dottor... dottor Fell, vero?, e il sovrintendente Hadley e pensai che ormai potevo dire la verità anche a loro.» Lesley si umettò le labbra. «C'è una sola cosa che m'interessa sapere, Dick» aggiunse fissandolo intensamente. «L'hai detto tu a Cynthia?» «Detto che cosa?» «Quella storia orribile dei tre mariti e... il resto» concluse Lesley arrossendo. «Continuava a ripetere come una pazza: "Finché la morte ci dividerà. Finché la morte ci dividerà". È tutto quel che mi interessa. Hai detto a Cynthia in confidenza qualcosa che non vuoi confessarmi?» «No.» «Giuri che è la verità, Dick? Questa mattina eri in giro con lei, all'alba. L'ha detto il maggiore Price.» «Sul mio onore, non ho detto una sola parola a Cynthia!» «Allora, dove ha saputo quella storia?»
«Questo è un particolare che interessa anche noi» osservò Fell. Il grassone indicò la sedia dell'altro lato della scrivania di Lord Ashe. «Sedetevi, mia cara» disse a Lesley. Lesley ubbidì. «Se state per tenerci una conferenza...» incominciò Hadley con aria sospettosa. «Non terrò alcuna conferenza» ribatté il dottor Fell con aria di dignità offesa. «Voglio solo chiedere alla signorina Lesley se ha un nemico mortale in questo paese.» «Impossibile!» esclamò Lesley. «Ebbene, consideriamo le prove. Sam De Villa, pace all'anima sua, arrivò a Six Ashes come un forestiero. Non aveva, pare, alcuna conoscenza fra la gente del villaggio. Siete d'accordo, Hadley?» «Per quel che ne sappiamo finora, sì.» «Perciò Sam, come Sam, cessa di essere importante nello schema del delitto.» «Se si tratta di un delitto» corresse prontamente Hadley. «Se si tratta di un delitto, e va bene. Quindi è inevitabile, come si diceva stamattina, che la replica di un delitto immaginario (la siringa ipodermica, l'acido prussico, porte e finestre chiuse) sia un deliberato tentativo di incriminare Lesley Grant, che qualcuno crede un'assassina; altrimenti non avrebbe senso.» «Sentite un po'...» attaccò Hadley. «Vi sfido a trovare un'altra spiegazione» chiese il dottor Fell gentilmente, ma con fermezza. Hadley rimase in silenzio. «Di conseguenza» proseguì Fell rivolto a Lesley «dobbiamo affrontare la domanda: c'è qualcuno che vi odia tanto da desiderare di vedervi accusata d'omicidio?» Lesley lo guardò smarrita. «Non v'è nessuno, tranne... ma è assolutamente impossibile.» Il dottor Fell rimase imperturbabile. «A proposito, ragazzo mio» disse rivolto a Dick «nella confusione del momento, mentre eravamo alla villa, ho dimenticato di raccomandarvi la massima segretezza. Questa mattina, quando siete andato a trovare la signorina Grant, ho sentito dire che avete visto la signorina Cynthia Drew.» «Infatti.» «L'avete... ehm, aggiornata? Le avete detto che la signorina Grant non è,
in verità, la diabolica criminale sospettata di tre omicidi?» «No, non volle ammettere di aver sentito voci su Lesley, così preferii tacere.» «Non lo diceste a qualcun altro?» «No, non ho visto nessuno.» «E quanto al nostro amico dottor Middlesworth, è tipo da andar a spifferare in giro che la signorina Grant non è un'avvelenatrice?» «Hugh Middlesworth è la persona più riservata del mondo, e in particolar modo terrà la bocca chiusa su questa faccenda. Potete scommetterci la camicia.» Il dottor Fell meditò per un istante. «Perciò» concluse «c'è in giro qualcuno che crede ancora a questa storia. Questa persona ha ucciso Sam De Villa e ha disposto tutta la messa in scena per far ricadere la colpa su Lesley Grant. Tranne nel caso improbabile che l'assassino sia il nostro amico Lord Ashe...» «Buon Dio!» esclamò il barone. «Questo è un esempio dello strano concetto che il dottor Fell ha dell'umorismo» borbottò il sovrintendente Hadley. «L'assassino stesso, tuttavia, ci fornirà la soluzione del problema» disse il criminologo fissando attentamente il gruppetto sbalordito. «Seguitemi: il cadavere di Sam De Villa viene trovato in una stanza chiusa dall'interno; di conseguenza, ragiona l'assassino, Lesley Grant sarà accusata del delitto. Ma come ha fatto a commetterlo? Il complotto dell'assassino contro di lei fallirebbe se non si spiegasse il mistero della stanza chiusa.» Dick Markham esitò. «Allora voi credete...?» «Credo che riceveremo qualche comunicazione dall'assassino.» Il viso di Hadley aveva un cipiglio sempre più sospettoso. «Un momento» borbottò il sovrintendente. «È per quello che un momento fa mi avete chiesto...» Si interruppe di colpo mentre il dottor Fell gli lanciava una rapida occhiata d'avvertimento. «Voglio dire» continuò Fell «che riceveremo una comunicazione da "Un Amico" o "Un Collaboratore", che ci fornirà una spiegazione, sia pur sommaria, di com'è stato organizzato il delitto della porta chiusa.» «Una collaborazione di che genere?» chiese Dick. Dopo una pausa durante la quale Fell si appellò al suo pubblico invisibile, il grassone si rivolse accigliato a Dick. «Questa mattina presto avete ricevuto una telefonata che mi interessa
moltissimo. Il poliziotto locale mi ha riferito la vostra deposizione; ma avrei piacere di interrogarvi particolareggiatamente in proposito, perché... per tutti i diavoli dell'inferno! Accidenti, accidentaccio!» Simili imprecazioni stupirono altamente Lord Ashe che lo fissò a bocca aperta. Lesley si morse il labbro inferiore. «Non capisco niente, di questa storia» sbottò la ragazza. «Non vorrete dire... non penserete che qualcuno abbia commesso un delitto solo per gettare la colpa su di me?» «Sarebbe un tantino ingenuo, no?» chiese Fell, lo sguardo vacuo. «Sì, sarebbe un tantino ingenuo.» «Allora, scusate, dove volete arrivare?» «Già» intervenne Hadley esasperato «è proprio quello che vorrei sapere anch'io.» «Devo confessare che questo genere di cose è al di là della mia comprensione» osservò Lord Ashe. Consultò l'orologio da polso e aggiunse: «Spero che rimarrete tutti a pranzo, vero?» Lesley scattò prontamente in piedi. «Vi ringrazio, ma non posso, data la mia nuova posizione, come figlia di Lily Jewell...» «Mia cara figliola» ribatté gentilmente Lord Ashe. «Non siate sciocca.» Posati i quattro gioielli scintillanti sul pezzo di velluto, lo ripiegò a mo' di borsa e glielo porse. «Tenete» disse. «Non li voglio!» esclamò stizzosamente Lesley. «Non voglio più rivederli!» «Mia cara signorina Grant» ribatté Lord Ashe «non stiamo a discutere a chi tocchino oggetti di così ingente valore. Potreste tentarmi...» «Credete che potrò ancora guardare in faccia Lady Ashe?» «Francamente, credo di sì» rispose il marito della dama in questione. «E il resto del villaggio? Sono felice che sia finita; ma quanto ad affrontare ancora la gente...» Dick le si accostò e la prese per un braccio. «Ora verrai con me a fare una passeggiata in giardino, prima di pranzo.» «Ottima idea» approvò Lord Ashe. «Rimanderemo a più tardi la questione controversa, se accettare o no questo patrimonio. Intanto, se volete che l'aria di campagna vi giovi, dovete liberarvi da certe idee morbose.» Dick scoppiò in una risata così schietta che il suo autodisprezzo ne rimase scosso. «Che cosa ti ha detto Cynthia?» insistette Lesley. «E come sta? E come
mai si trovava con te a quell'ora del mattino?» «Ti prego, Lesley, vogliamo parlar d'altro?» «Giusto» approvò Lord Ashe. «Ma una cosa mi sembra evidente, signor Markham.» Il suo viso s'indurì mentre gli occhi assumevano un'espressione enigmatica. «La signorina Grant ha più di un amico maligno.» «Come sarebbe a dire?» esclamò Lesley. «Uno di loro» spiegò il barone «la mandò a vivere qui a Six Ashes. Un altro, se possiamo prestar fede a ciò che abbiamo inteso ora, cerca di farla impiccare per omicidio.» «Non capite che è proprio questo che non posso sopportare?» gemette Lesley aggrappandosi al braccio di Dick. «Non voglio più sentirne parlare!» Lord Ashe rifletté. «Certamente, soprattutto se il dottor Fell ha idea di come e perché è stato commesso questo misterioso delitto della camera chiusa.» «Oh, sì» fece Fell in tono modesto. «Credo di poterlo spiegare, dopo aver ricevuto una o due risposte che aspetto... Comprendete qual è la considerazione più importante in questo caso?» XV Fu nel tardo pomeriggio, fuori della sinistra villetta di Gallows Lane, che il dottor Fell ripeté quella strana domanda. Dopo aver pranzato a Ashe Hall, il dottor Fell, Hadley e Dick Markham fecero un giro per il paese. Non era ancora trapelata la notizia che il morto non era Sir Harvey Gilman e che la polizia aveva dubbi sulla tesi del suicidio. Incontrarono molta gente. Un tentativo di ottenere un colloquio con Cynthia Drew fu frustrato dalla madre della ragazza, una donnetta malinconica che ostentatamente si astenne dal parlare con Markham. Cynthia, spiegò, aveva fatto una brutta caduta scivolando sui gradini di pietra e s'era ferita ad una tempia; perciò non era in condizione di veder nessuno... e nessuno poteva pretendere di vederla, precisò sollevando le sopracciglia. Ma incontrarono il maggiore Price che usciva dall'ufficio, e Earnshaw che acquistava francobolli all'ufficio postale. Il dottor Fell comprò sigari di cioccolata e sigari autentici nel negozio di tabacchi-e-dolciumi, scambiò pareri sull'architettura religiosa col reverendo Goodflower e visitò la ta-
verna Griffin per scolarsi diverse pinte di birra prima dell'ora di chiusura del locale. Il sole tramontava dietro il villaggio quando ritornarono in Gallows Lane. Passando davanti alla casa di Lesley, Dick ricordò le ultime parole della ragazza quando s'erano lasciati: "Stasera verrai a cena, come avevamo progettato?" e il suo fervido assenso. Cercò un viso dietro le finestre, ma non lo vide. Invece, di lì a poco, vide delinearsi accanto al cupo frutteto la sagoma della bassa casetta dalle finestre manomesse. Il cadavere di Sam De Villa, alias Harvey Gilman, era stato trasportato da un pezzo all'obitorio di Hawkstone. L'agente Bert Miller stava ora pazientemente di guardia in giardino. Hadley gli gridò, non appena furono abbastanza vicini da poter essere uditi: «Nessun rapporto post mortem?». «No, signore. Hanno promesso di telefonare appena sapranno qualcosa.» «Sono riusciti ad appurare da dove veniva quella telefonata?» Bert Miller non era molto pronto di comprendonio. Il grasso viso impassibile sotto l'imponente elmetto chiese: «Quale telefonata, signore?». «La telefonata anonima che il signor Markham ha ricevuto a casa nelle prime ore di stamattina e che gli ingiungeva di precipitarsi qui. Non ve ne ricordate?» «Sì, signore.» «Hanno rintracciato la provenienza?» «Sì, signore. È stata fatta da questa casa.» «Da qui?» ripeté Hadley sbirciando il dottor Fell. «Dall'apparecchio che c'è là dentro» precisò Miller indicando la porta d'ingresso aperta alle sue spalle «alle cinque e due minuti del mattino. L'ha detto il centralino.» Hadley tornò a guardare Fell. «Immagino che ora direte che l'avevate previsto» osservò asciutto rivolto al criminologo. «Oh, piantatela, Hadley» gemette il dottor Fell. «Non cerco di indovinare come si sono svolti i fatti per opera di magia; ma certe cose saltano all'occhio, perché non possono far a meno di risultare evidenti. Capite, non è vero, qual è la considerazione più importante, in questo delitto?» Hadley rimase muto. «Sentite, signore» intervenne Dick «avete già fatto un'altra volta questa domanda, ma quando abbiamo cercato di rispondervi avete cambiato argomento. Perché?» «Secondo la mia umile opinione» disse il criminologo «la conside-
razione più importante è: "Come ha trascorso le ultime sei ore della sua vita Sam De Villa?".» Dick, che s'era aspettato qualcosa di totalmente diverso, lo fissò sbalordito. «Vi siete congedato da lui verso le undici di sera» proseguì Fell. «Bene! Alle cinque e venti di stamattina, l'avete trovato morto da poco. Come ha trascorso questo intervallo di tempo? Vediamo un po'.» Il dottor Fell salì i due gradini d'accesso ed entrò nel vestibolo della villa. «Il salotto è a sinistra» osservò. «Vi ho già dato una occhiata stamattina mentre aspettavo. A proposito, ho dato una sbirciatina anche al contatore della luce, sotto l'acquaio.» Fell si lisciò i baffi, poi si rivolse nuovamente a Dick: «Quando ve ne andaste alle undici, De Villa disse che aveva intenzione di andare a letto?». «Sì.» «E probabilmente andò a letto» osservò il grassone «giacché Lord Ashe, giunto qui poco dopo per chieder notizie del ferito, trovò tutta la casa buia. Così vi ha detto il barone, vero?» «Sì.» «Questa mattina non sono salito al primo piano, ma ora vale la pena di dare un'occhiata.» Una scala angusta, con pesanti balaustre e svolte ad angolo retto, li condusse al piano superiore. Qui trovarono due ampie camere da letto verso la facciata dell'edificio e una camera più piccola e la stanza da bagno sul retro. Solo la camera sopra il salotto dava segni d'esser stata occupata. Il dottor Fell spalancò la porta munita di un saliscendi. Dalle due finestre che davano sulla strada entrava la luce del tramonto, a cui l'ombra del boschetto di betulle conferiva una sfumatura verdastra. L'arredamento della stanza era sobrio: un letto a una piazza, un cassettone munito di specchio, un guardaroba di quercia pesante, una sedia a schienale rigido e un paio di tappeti piccoli sul pavimento. La stanza odorava di muffa nonostante le finestre aperte e aveva un aspetto sudicio e trasandato. Il letto era sfatto e le coperte tirate da parte come se il suo occupante si fosse alzato in fretta. Lo stesso disordine notarono negli oggetti personali: colletti sporchi, articoli di toeletta, libri, un cordone da vestaglia, sparsi tutt'intorno o traboccanti da due grandi valigie non ancora completamente sfatte. «Come vedete, s'era solamente accampato qui» fece il dottor Fell indi-
cando con il bastone «pronto a tagliar la corda non appena avesse arraffato il bottino. Un piano perfetto eseguito magistralmente. E invece... un momento!» Sul pavimento, accanto al letto, c'erano un vassoio con due o tre zollette di zucchero, un bicchiere pieno a metà d'acqua stantia e una bottiglietta. Seguendo lo sguardo attento di Fell, Hadley raccolse la bottiglia contenente alcune pillole bianche e la portò accanto alla finestra per leggerne l'etichetta. «Luminal» disse il sovrintendente «pastiglie da un quarto di grano.» «Già» intervenne Dick. «Ieri sera disse che aveva portato con sé del luminal. Middlesworth gli consigliò di prendere un quarto di grano se gli avesse fatto molto male la schiena.» Il dottor Fell rifletté. «Solo un quarto di grano?» «Così almeno gli disse Middlesworth.» «E immagino che la ferita gli dolesse...» «Maledettamente; e giurerei che in quello non fingeva.» «No!» tuonò il criminologo scuotendo violentemente il capo con aria cupa. «No, no, no, no! Vedete, Hadley, non era nella natura di Sam De Villa esser così moderato.» «Che intendete dire?» «Beh, supponete di esser nella sua situazione. Siete un tipo nervoso, pieno di immaginazione e vi si prospetta una notte bianca passata a smaniare per il dolore d'una ferita. E avete a portata di mano luminal a volontà. Vi limitereste a prenderne un quarto di grano, o piuttosto non ingurgitereste una buona dose per esser certo di dormire?» «Sì» ammise Hadley «penso di sì. Ma...» «Cerchiamo di ricostruire il preludio del delitto» esclamò Fell. «Dove siamo arrivati?» «A ben poco, se volete il mio candido parere.» «Seguiamo egualmente i movimenti di De Villa. I suoi ospiti se ne vanno alle undici. È già in pigiama, vestaglia e pantofole, così non deve nemmeno svestirsi. Sale in camera da letto.» Qui lo sguardo del dottor Fell cadde sul cordone della vestaglia a cavallo della spalliera del letto e lo fissò tirando il labbro inferiore. «Sentite, Hadley, il corpo di De Villa fu trovato stamattina in pigiama e vestaglia. Io non l'ho notato, ma voi ricordate per caso se il cordone era attaccato alla vestaglia?» Si rivolse a Dick. «E voi, ragazzo mio?»
«Non ricordo» confessò Dick. «Neppure io» fece Hadley. «Ma ora la vestaglia si trova all'obitorio di Hawkstone e possiamo telefonare per chiederlo.» Fell eliminò l'argomento con un gesto. «Proseguiamo nella nostra ricostruzione delle ore precedenti il delitto. De Villa sale in camera da letto portandosi un bicchier d'acqua. Ingerisce una buona dose di luminal e, seduto sul letto, fuma una sigaretta (vedi posacenere) aspettando che la droga faccia il suo effetto. Poi...» Hadley sbuffò, sogghignando ironico: «E poi si alza e scende al pianterreno alle cinque del mattino?» «Apparentemente sì.» «Ma perché?» «È quanto spero che il signor Markham possa dirci qui e subito!» esclamò bruscamente il dottor Fell. «Ritorniamo dabbasso.» Il salotto del pianterreno appariva molto meno sinistro senza la figura immobile seduta allo scrittoio. Gli esperti di Hawkstone avevano già passato al vaglio la stanza per fotografie e impronte digitali; la siringa ipodermica era stata tolta, mentre il fucile era ancora appoggiato accanto al camino e la scatola rovesciata delle puntine da disegno giaceva per terra accanto alla poltrona. Hadley non fece commenti e, incrociate le braccia, si appoggiò con la schiena alla parete fra le due finestre. «Signor Markham» cominciò il dottor Fell con tanta gravità che Dick trasalì «se mai vi siete concentrato nella vita, questo è il momento di concentrarvi con tutte le vostre forze.» «Su che cosa?» «Su ciò che avete visto stamattina.» Non c'era bisogno di alcuno sforzo di concentrazione per ricordare. «Sentite, signore. Sarà meglio chiarire una cosa, prima. Credete che vi stia mentendo?» «Perché dovrei crederlo?» «Perché da Miller là fuori al sovrintendente Hadley a Lord Ashe, tutti sembrano credere che menta o abbia sognato. Vi ripeto che quelle finestre erano chiuse ermeticamente! Ne dubitate?» «Oh, no» fece il dottor Fell. «Non ne dubito affatto.» «Tuttavia l'assassino riuscì, come posso dire, a portare il suo corpo fisico dentro e fuori della stanza per uccidere De Villa? Nonostante la porta e le finestre chiuse?»
«Sì» rispose il criminologo; e aggiunse: «È ciò che credo!». «Continuate» l'incitò il sovrintendente. «Cominciamo» disse il criminologo incrociando le braccia anche più strette «con la misteriosa telefonata delle cinque e due minuti. Avete sentito che proveniva da questa casa, no?» «Sì.» «Non avrebbe potuto essere la voce di De Villa, per esempio?» «Sì, avrebbe potuto essere lui. Era una voce indefinibile, solo un sussurro.» «Tuttavia, dava un'impressione di ansietà?» «Di grande ansietà, sì.» «Bene. Usciste di casa e percorreste di corsa il sentiero. Quando foste a breve distanza da qui, vedeste la luce accendersi in questa stanza. A che distanza eravate quando vedeste la luce?» Dick rifletté. «A un centinaio di metri.» «Così non potevate vedere nella stanza?» «Santo cielo, no. Assolutamente! Ero troppo lontano. Vidi solo brillare la luce perché era ancora piuttosto buio.» Senza una parola il sovrintendente Hadley si alzò in piedi. La stanza era illuminata solo dalla lampada dietro lo sporco paralume appeso sopra lo scrittoio, il cui interruttore si trovava accanto alla porta che dava nell'ingresso. Hadley vi si accostò, spense la luce, poi la riaccese e, sempre in silenzio, ritornò al suo taccuino posato sulla scrivania. Il dottor Fell si schiarì la gola con un suono prolungato. «Allora» riprese «rallentaste il passo? Un momento dopo vedeste sporgere dal muro una carabina? Sì. A che distanza vi trovavate?» Dick tornò a riflettere. «Beh, a una trentina di metri, forse meno.» «Cosicché non potevate ancora vedere nella stanza?» «No, assolutamente.» «Ma vedeste distintamente il fucile?» «Sì.» «Scorgeste persino» incalzò il dottore «il foro prodotto dal proiettile quando, come diceste all'agente, "s'infilò nella finestra"?» Dick assentì. «Per modo di dire, naturalmente. Stavo pensando alla tenda del chiromante e osservavo il fucile. Lo vidi sparare e anche da quella distanza po-
tei scorgere il foro nella finestra.» «Avete una vista acuta, non è vero?» «Sì, molto acuta. Ieri, per esempio, quando sparavo al bersaglio nel padiglione del maggiore Price, avrei saputo dire con esattezza quanti punti avevo fatto, senza bisogno di farmi consegnare il cartoncino.» Intervenne il sovrintendente Hadley. «Se pensate che vi sia un trucco nel foro del proiettile, potete togliervelo dalla testa. È stato sparato da quel fucile, calibro 22, senza possibilità di dubbio.» Fell voltò lentamente il viso arrossato. «Perdiana, Hadley!» esclamò in un'improvvisa esplosione di collera che stupì il sovrintendente. «Volete lasciarmi condurre questo interrogatorio a modo mio? Voi, signore, siete un sovrintendente della polizia metropolitana e io sono a vostra disposizione. Ora mi avete fatto l'onore di consultarmi in questo caso che entrambi riteniamo un delitto. Posso o non posso fare le domande a modo mio?» Fuori della finestra l'elmetto di Bert Miller si arrestò per una frazione di secondo prima di riprendere il suo movimento su e giù. Ma Dick se ne accorse appena, preso com'era dalla straordinaria violenza dello sfogo di Fell. «Se vi ho pestato i piedi me ne dispiace» borbottò Hadley contrito. «Proseguite.» «Ah, finalmente!» fece il grassone aggiustandosi gli occhiali. «Udendo lo sparo, signor Markham, riprendeste a correre?» «Sì.» «E incontraste la signorina Cynthia Drew sul sentiero?» «È esatto.» «Come mai, nonostante la vostra vista acuta, non l'avevate scorta prima?» «Perché il sole batteva nei miei occhi, e sul sentiero, e lei veniva da est. Mentre potevo vedere le cose sui lati della strada, non scorgevo quelle sul sentiero.» «Già, capisco. E come spiegò la sua presenza sul sentiero a quella ora?» ripeté gentilmente il criminologo. Nell'ingresso il telefono squillò. I tre uomini, ciascuno immerso nei propri pensieri, trasalirono. Hadley si precipitò all'apparecchio e l'udirono parlare a bassa voce. Quando ritornò il suo volto era grave.
«Ebbene?» lo sollecitò il dottor Fell. «No» rispose subito il sovrintendente «non era quel che pensate. La vostra idea di quella telefonata è assurda, e lo sapete. Nessuno correrebbe un rischio simile. Ma ammetto che l'altra idea...» «Chi era, Hadley?» «Era il medico legale di Hawkstone. Ha appena fatto l'autopsia che ha capovolto di nuovo le carte in tavola.» Il dottor Fell, la mole maestosa appoggiata al muro, si raddrizzò di colpo, la bocca aperta sotto i baffoni da bandito. «Sentite, Hadley. Non mi direte che Sam De Villa non è stato ucciso dall'acido prussico, vero?» «Oh, sì. È stato ucciso dall'acido prussico; circa tre grani, somministrati con una siringa ipodermica da una mano inesperta. Ma...» «Ma?» «Si tratta del contenuto dello stomaco.» «Spiegatevi, perdiana!» «Circa sei ore prima di morire» rispose Hadley «Sam aveva trangugiato tre o quattro grani di luminal.» Hadley tornò a sedersi allo scrittoio e aprì il taccuino. «Non capite?» continuò. «Se Sam ha preso tutto quel luminal prima di andare a letto alle undici passate, è praticamente impossibile che sia sceso per le scale coi propri mezzi alle cinque del mattino successivo.» XVI «Badate» aggiunse prontamente Hadley «non lo escludo tassativamente. C'è gente capace di resistere alle droghe più potenti, che ne smaltisce gli effetti in breve tempo. Tutto quel che possiamo dire è che è molto improbabile. Ma, almeno per quel che ci risulta, Sam stamattina scese al pianterreno. E, a meno che non riteniamo il signor Markham un bugiardo, la luce s'accese in questa stanza all'ora ch'egli dice.» «Indubbiamente.» «E non trovate che questo capovolge le carte in tavola?» «No» rispose Fell «ragazzo mio, non direi. E potrei dimostrarvelo, se mi lasciaste condurre a termine certe importanti indagini. Per esempio, che spiegazione diede la signorina Cynthia Drew della sua presenza sul sentiero a quell'ora?» Dick distolse lo sguardo.
«Non poteva dormire ed era uscita a fare una passeggiata.» «Una passeggiata? Oh, ah. E Gallows Lane è un posto adatto per una passeggiata mattutina?» «Perché no?» Il dottor Fell lo guardò accigliato. «Il sentiero, mi ha detto Lord Ashe, termina a un centinaio di metri da qui, nel punto in cui, nel diciottesimo secolo, si ergeva una forca.» «In teoria sì, ma in pratica continua in un viottolo attraverso i campi aperti, verso Goblin Wood, dove tutti vanno a passeggiare. Miller abita là.» «Suvvia, ragazzo mio» fece il criminologo con eccezionale mitezza. «Non c'è bisogno di scaldarsi. Capisco perfettamente. Il fatto e che la signorina Drew era sulla scena del delitto, o molto vicina. Vide o udì qualcosa che potrebbe aiutarci.» «No, Cynthia... Aspettate un momento, sì invece!» si corresse Dick ossessionato da nuovi, torturanti interrogativi. «Non ne ho parlato nella mia deposizione di stamattina, perché Cynthia non me l'aveva detto. Me lo disse soltanto dopo, quando la vidi in casa di Lesley.» «Ebbene?» «Qualche minuto prima che il fucile sparasse, Cynthia vide qualcuno attraversare di corsa iì sentiero dal frutteto al boschetto dirimpetto.» Riferì l'incidente. L'effetto sul dottor Fell fu elettrizzante. «Perdinci!» tuonò facendo schioccare le dita «Arconti d'Atene! È fin troppo bello per essere vero! Ci sono!» Hadley scattò in piedi. Il movimento della poltrona, che slittò sul tappeto consunto, rivelò qualcos'altro oltre la scatoletta rovesciata di puntine da disegno. Sul tappeto, aperto e a faccia in giù, come fosse stato cacciato sotto la sedia per nasconderlo, giaceva un libro rilegato in tela. Hadley si chinò a raccoglierlo. «Ehi, Hadley» protestò il dottor Fell sbirciando una puntina ch'era rotolata lontano dalle altre. «State attento a non camminare sopra quelle puntine. Beh? Che cos'è?» Hadley gli porse il libro. Era una copia un po' sfogliata dei "Saggi" di Hazlitt in un'edizione popolare, col nome Samuel De Villa scritto sulla prima pagina e parecchie annotazioni vergate con la medesima calligrafia. Il dottor Fell lo esaminò incuriosito prima di gettarlo sul tavolo. «Non aveva un gusto un po' sofisticato il vostro Sam?» borbottò.
«Volete togliervi dalla testa l'idea dilettantistica che i truffatori siano soltanto ignoranti e assidui frequentatori di alberghi e bar alla moda?» «Va bene, va bene, non vi inquietate!» «Come ho seguitato a dirvi stamattina, i modi distinti di Sam, la sua istruzione, gli fruttavano cinquemila sterline l'anno. Suo padre era un pastore evangelico del West Country: Sam si fece onore all'Università di Bristol, studiò medicina e già altre volte s'era fatto passare per patologo senza commettere troppe papere. Una volta, nella Francia meridionale, raggirò uno smaliziato avvocato inglese per una somma enorme, proprio grazie a...» Hadley s'interruppe, sollevò il libro e lo depose nuovamente sul tavolo. «Beh, lasciamo correre. Che significa la vostra agitazione?» «Cynthia Drew» rispose Fell. «Ebbene?» «Ciò che ha visto o pretende di aver visto mira a sviare le nostre indagini: uno specchietto per le allodole. Ed ora a voi, ragazzo mio» continuò rivolgendosi a Dick: «avete visto qualche traccia del misterioso vagabondo sul sentiero?» «Vi ho già detto che avevo il sole negli occhi.» «Tutti avevano il sole negli occhi. Guarda chi si vede!» esclamò d'un tratto il dottor Fell. Una due posti nera scintillante, ma di modello antiquato, che Dick riconobbe per quella di Bill Earnshaw, arrivava tossendo dal sentiero e si fermò davanti alla villa. Cynthia Drew sedeva accanto a Earnshaw, sul sedile anteriore. «Non ho ancora conosciuto la ragazza, ma credo di indovinare chi sia» osservò il criminologo. «Volete scommettere, Hadley, che ha sentito dire che la signorina Grant non è un'avvelenatrice e viene qui, un po' spaventata, per sapere da noi come stanno veramente le cose?» Hadley batté le mani sul tavolo. «Vi dico che non può aver scoperto nulla» dichiarò il sovrintendente. «Nessuno lo sa oltre a noi, alla signorina Grant e a Lord Ashe, il quale ha giurato di non dire una parola. Non può aver scoperto nulla.» «Oh, sì che può» intervenne Dick Markham. «Earnshaw!» Hadley lo guardò stupito. «Earnshaw?» «Il direttore della banca, l'individuo che scende ora di macchina con lei! Era qui stamattina e s'è fermato abbastanza per sentire il dottor Fell dire: "Quello non è Sir Harvey Gilman!". Vi ricordate, dottore?»
Il dottor Fell imprecò sottovoce. «Hadley» disse con un sussurro rimbombante, simile al vento che soffi nel tunnel d'una ferrovia sotterranea «per tutti i diavoli, sono un vecchio rimbecillito! M'ero completamente dimenticato di quel tale nonostante l'abbiamo incontrato stamattina all'ufficio postale.» Il criminologo si batté il pugno sulla fronte rossa. «Quando l'incontrammo all'ufficio postale, ebbi la sensazione di averlo già visto prima. Una distrazione, mio buon Hadley!...» «Beh, questa volta almeno non potete prendervela con me» ribatté brusco il sovrintendente. «Ma, a proposito dell'ufficio postale, questo non sventa il vostro piano?» «Non necessariamente. Però avrei preferito che fosse andata diversamente.» Il significato del riferimento all'ufficio postale con la sua irascibile impiegata, la signorina Laura Feathers, che teneva sermoni da dietro la grata metallica che proteggeva lo sportello per ogni minima infrazione al regolamento postale, non riuscì troppo chiaro a Dick; ma ogni altra considerazione fu spazzata dalla sua mente dalla preoccupazione per Cynthia Drew. «Miller» chiamò il sovrintendente. Fuori della finestra, Bert Miller girò sui tacchi, parve sul punto di dire qualcosa, ma cambiò idea. «Signore?» «Potete far entrare la signorina Drew e il signor Earnshaw» gli ordinò Hadley. «Ma sarò io a interrogare questo testimone.» Cynthia, seguita da Earnshaw, si precipitò nella stanza, ma si fermò di colpo. Era riuscita a mimetizzare con la cipria il livido sulla tempia; ma c'erano cose che non poteva nascondere. «La signorina Cynthia Drew?» chiese Hadley in tono inespressivo. «Sì. Io...» Hadley si presentò e presentò il dottor Fell. «Desiderate vederci per qualcosa, signorina Drew?» «Mia madre mi ha detto che eravate venuti a cercarmi» rispose Cynthia. «Non mi chiamò pensando di risparmiarmi dei fastidi. Soltanto quando arrivò il signor Earnshaw e mi raccontò gli ultimi avvenimenti, seppi che eravate stati a casa mia. Volevate chiedermi qualcosa, signor Hadley?» «Per la verità sì, signorina Drew. Volete sedervi?» Indicò la pesante poltrona nella quale era stato seduto il morto. Cynthia attraversò la stanza e vi si lasciò cadere.
Earnshaw, sorridendo esitante sulla soglia della stanza, si schiarì la gola. «Dicevo proprio ora a Cynthia...» «Vostra madre ci ha detto, signorina Drew, che vi siete ferita alla tempia scivolando e battendo la testa sui gradini di pietra» lo interruppe Hadley. «Era una versione addomesticata a beneficio dei vicini» rispose Cynthia. Hadley annuì. «Per la verità mi è stato detto che siete stata colpita dalla signorina Grant con uno specchio a mano.» «Sì, mi spiace dirlo, ma è la verità.» «Vi interessa sapere, signorina Drew, che la signorina Grant nega di avervi colpita con uno specchio o con qualsiasi altra cosa?» Cynthia sollevò la testa spalancando gli occhi con aria stupita. «Ma è vero!» «È vero, signorina Drew, che siete caduta e avete battuto la testa contro lo zoccolo del letto?» «lo... no, no di certo!» E dopo un silenzio prolungato, aggiunse: «Sentite, parliamoci chiaro, detesto menar il can per l'aia, detesto i discorsi tortuosi! Sono certa che voi sapete perché sono venuta qui. Il signor Earnshaw m'ha detto...». Earnshaw intervenne prima che qualcuno potesse fermarlo. «Se non vi dispiace» disse cortese ma freddo «preferirei esser lasciato fuori da questa faccenda. Sono venuto qui stamattina presto, per chiedere di un fucile, lo stesso che si trova vicino al camino. Mentre ero qui, spiegai a Dick Markham una mia teoria sull'accaduto e gli diedi alcune informazioni.» «Riguardo alle puntine da disegno?» domandò il dottor Fell. «Sì.» Ora Earnshaw chiacchierava con disinvoltura. «Il colonnello Pope le usava sempre per i suoi schermi di garza, come potrete constatare da solo esaminando le intelaiature delle finestre, sebbene non sappia spiegarmi che cosa ci facesse stamattina una scatola di puntine rovesciata per terra. Non importa!» Earnshaw sollevò una mano. «Mentre ero qui» continuò rivolgendosi a Fell «vi sentii parlare di qualcosa che riguardava Sir Harvey Gilman. Non ero vincolato al segreto da un giuramento, come ricorderete. Nessuno mi disse di non parlarne. Ciononostante decisi di tacere, a causa della mia posizione, perché non capii bene quel che avevate detto. Oggi, ritornando a casa dalla banca...» Cynthia fece un lieve movimento.
«...mi fermai a casa di Cynthia per lasciarle un messaggio da parte di mia moglie» continuò il banchiere. «Lei mi vide e si sfogò un po' raccontandomi una storia assolutamente orribile su Lesley Grant.» «Una storia vera» replicò Cynthia sempre fissando Hadley. «Una storia orribile» ripeté il banchiere. «Allora, discrezione o no, mi sentii in dovere di metterla in guardia. Le dissi: "Sentite un po', Cynthia, dove avete sentito queste panzane? Perché sono costretto ad avvertirvi che il dottor Gideon Fell dice che questo Sir Harvey non è affatto il vero Sir Harvey, e anche Middlesworth ha affermato che è un impostore".» «È vera la storia su Lesley?» chiese Cynthia. Hadley rimase in silenzio. «È vera?» chiese Earnshaw impallidendo. Il sovrintendente rimase per qualche istante col peso del corpo appoggiato sulle mani aperte sopra lo scrittoio, il viso impenetrabile. «Supponiamo che vi dicessi, signorina Drew, e anche a voi, signor Earnshaw, che la storia su Lesley Grant è vera.» «Oh, santo cielo!» esclamò Earnshaw con voce strozzata. «Ufficialmente non posso darvi alcuna informazione, badate» continuò Hadley in tono ammonitore. «Dico semplicemente "supponiamo". E ora vogliate scusarmi, signor Earnshaw, ma devo parlare un momento in privato con la signorina Drew. Vi dispiace aspettare fuori in macchina?» «No, no, certo» rispose subito Earnshaw. Uscì chiudendosi la porta alle spalle. Udirono i suoi passi risuonare nell'ingresso, poi fuori della villa, sull'erba. Per la prima volta Cynthia si rivolse a Dick Markham. «Non ho potuto dirtelo stamattina, Dick» esclamò con tono accorato. «Non ho potuto farti tanto male. Me n'è mancato il coraggio.» «Già, naturalmente.» «Quando Bill mi riferì ciò che aveva udito, non persi un istante... ed eccomi qua!» «Un momento, signorina Drew» intervenne Hadley calmo. «Non potevate far del male al signor Markham raccontandogli la verità, per quanto sapeste che ne era già al corrente?» Fece una pausa. «Diceste alla signorina Grant che Markham sapeva già tutto, no?» Cynthia scoppiò in una risata stridula. «Che sciocca! Mi sono espressa male. Sì, sapevo che conosceva la verità; ma non volevo essere io a rinfacciargliela né a ricordargliela.» «A proposito, dove udiste quella storia?»
«Che importa, ormai, se la storia è vera?» Hadley tese la mano a prendere il taccuino. «Potrebbe non importare se la storia fosse vera» osservò tranquillamente. «Ma non è vera affatto, signorina Drew. Era un cumulo di menzogne inventate da un furfante che si faceva chiamare Sir Harvey Gilman.» Cynthia lo fissò come impietrita. «Ma voi avete detto...» «Oh, no. Ho detto semplicemente "supponiamo", come questi signori possono testimoniare!» Hadley posò la matita sul taccuino. «Dove avete udito quella storia?» Incredulità, diffidenza e un'aria di virtù offesa si alternavano sul viso pallido di Cynthia. «Non dite sciocchezze!» esclamò. «Se non fosse vero, perché dovrebbero dire che lo è?» «Perché qualcuno potrebbe non avere simpatia per la signorina Lesley Grant. Lo capite?» «No. A me Lesley piace moltissimo o, almeno, credevo mi piacesse.» «Eppure l'avete aggredita.» «Non l'ho aggredita» ribatté Cynthia sollevando il mento, pallida ma calma. «Allora è stata lei ad aggredirvi? Continuate a sostenere che vi ha colpita con lo specchio?» «Sì.» «Dove udiste quella storia, signorina Drew?» insistette Hadley. La ragazza ignorò la domanda. «Sarebbe assurdo che qualcuno fornisse tanti particolari su fatti inesistenti. Dev'esserci un fondo di verità. Che cosa sapete di Lesley? Quante volte è stata sposata? Che cosa ci tiene nella cassaforte?» «Sentite, signorina Drew.» Esasperato, Hadley posò taccuino e matita e s'appoggiò nuovamente al tavolo aggrappandosi all'orlo con tutt'e due le mani come se volesse spingerlo verso la ragazza. «Vi ripeto che non c'è ombra di verità in quella storia.» «Ma!...» «La signorina Grant non è una criminale, non è mai stata sposata e ciò che tiene nella cassaforte è perfettamente innocuo. Non s'è avvicinata a quella villa né ieri sera né stamattina. Vi dirò di più; la casa è rimasta buia dalle undici di ieri sera sino alle cinque di stamattina, quando è stata accesa la luce in...»
«Signore» intervenne una voce. Da qualche minuto Dick era conscio che qualcosa era mutato nello sfondo. L'elmetto dell'agente Miller passava e ripassava ancora davanti alla finestra; ma si muoveva più rapidamente. E fu il faccione rosso del poliziotto a far capolino dall'intelaiatura della finestra senza vetro, con un effetto davvero comico, se non fosse stato per l'espressione ansiosa di Miller. «Signore» ripeté brusco rivolgendosi a Hadley «posso dirvi qualcosa?» Il sovrintendente si volse irritato. «Più tardi. Stiamo...» «Ma è importante, signore. Si tratta di quanto è successo qui» fece il poliziotto sporgendo il grosso braccio a indicare la stanza. «Entrate» disse Hadley e nessuno parlò finché Miller, scomparso dal davanzale, entrò dalla porta d'ingresso e si mise sull'attenti. «Non ho potuto dirvelo prima, signore, perché nessuno m'aveva parlato di quello che pare possa chiamarsi un delitto...» «Ebbene?» «Io abito vicino a Goblin Wood, signore.» «E allora?» «Ieri notte mi trovavo fuori a tarda ora a causa di un ubriaco che stava procurando dei guai agli abitanti di Newton Farm. Per andare a casa in bicicletta faccio sempre questa strada proseguendo per il viottolo che va diritto a Goblin Wood. Verso le tre di questa mattina sono passato davanti a questa villa.» Silenzio. «Ebbene?» l'incitò Hadley. «Nella casa del signor Markham, signore» Miller indicò Dick «c'era una stanza illuminata. La vedevo chiaramente.» «Infatti» confermò Dick. «M'ero addormentato sul divano dello studio con la luce accesa.» «Ma» seguitò Miller con enfasi «questa villa qui era molto più illuminata dell'altra. Pareva un albero di Natale.» Hadley sobbalzò: «Che state dicendo?». Miller, enfatico e ostinato, seguitò: «La verità, signore. Tutte le tende erano tirate davanti alle finestre, ma lasciavano filtrare la luce e praticamente tutte le stanze della villa, almeno quelle che potevo vedere passando in bicicletta, erano illuminate». L'aperto stupore di Cynthia che s'era voltata a guardare Miller, la perplessità più blanda del sovrintendente Hadley al pensiero della casa solita-
ria completamente illuminata e con dentro un uomo narcotizzato, tutto passò inosservato per Dick che concentrò la propria attenzione sulla prorompente soddisfazione che irradiava dal viso del dottor Fell. L'"ah!" del dottore esprimeva un così sincero compiacimento da lasciare intendere che ormai il criminologo aveva risolto il caso. Miller si schiarì la voce. «Penso fra me: "È tutto a posto", perché avevo sentito dire che il signore era ferito. Poi» continuò Miller, alzando la voce, come timoroso di essere interrotto «vidi qualcuno vicino alla porta d'entrata. Era buio, lo so; ma fu la camicetta o la blusa bianca, come volete chiamarla, a farmela notare, e sono quasi sicuro...» Hadley s'irrigidì. «Una camicetta bianca?» ripeté. «Sì, signore. Era la signorina Lesley Grant.» XVII Era Cynthia Drew a mentire, o era Lesley? Camminando per Gallows Lane, nella penombra irreale del crepuscolo, Dick Markham tentava di affrontare l'interrogativo. Erano le otto passate. Anche facendosi il bagno e sbarbandosi in tutta fretta sarebbe arrivato in ritardo all'appuntamento con Lesley e gli sembrava un tradimento, giacché Lesley vi attribuiva un significato tanto romantico. Ma, tornando al delitto, era Cynthia a mentire o Lesley? Una delle due era una ragazza sincera e onesta, che diceva la verità; l'altra nascondeva pensieri terribili dietro un bel viso che poteva assumere un'espressione del tutto diversa, cogliendolo di sorpresa. Non che la sua lealtà verso Lesley vacillasse: l'amava troppo. Ma supponendo che, dopo tutto... E, d'altra parte, come poteva essere stato commesso il delitto in una stanza ermeticamente chiusa? Evidentemente il dottor Fell lo sapeva, sebbene non li avesse messi a parte delle sue scoperte. Lui e il sovrintendente Hadley s'erano ritirati a discutere in una stanza sul retro della villa da cui erano uscite grida, rumore di pugni battuti sul tavolo, ma nessuna spiegazione udibile. Dick non era stato presente alla discussione. Lui e Cynthia erano persino stati rinchiusi in camere separate e tenuti d'occhio dallo zelante Miller. Ma allora? Procedendo sconfortato per il sentiero, Dick si trovò davanti al cancello
della sua casa, buia, mentre gli ultimi raggi del sole facevano luccicare i vetri delle finestre. Accidenti, doveva spicciarsi! Lesley lo stava aspettando. Aveva estremo bisogno di una nuova rasatura, doveva cambiarsi gli abiti stazzonati... Chiuse la porta d'ingresso, girò l'interruttore della luce accanto alla porta, ma nulla accadde. Lo fece scattare una, due, tre volte, prima di rendersi conto che, se la luce non s'accendeva, non era per colpa dell'interruttore. Ancora quell'infernale contatore a gettone! La signora Belford, che gli faceva i lavori di casa, era sempre ben fornita di scellini per cibare il mostro; ma Dick aveva tenute accese le luci tutta la notte precedente e così s'era esaurita la riserva d'energia. Attraversando a tastoni lo studio, raggiunse la cucina e poi la dispensa, le cui finestre erano sul lato est della casa, come quelle dello studio. Per fortuna, come raramente accade, riuscì a trovare uno scellino fra gli spiccioli che aveva in tasca. Tastando alla cieca sotto l'acquaio, trovò il contatore, infilò la moneta nella scanalatura e l'udì cadere all'interno. E la luce s'accese nello studio. Era ritto accanto all'acquaio e guardava fuori dalla finestra della dispensa, quando se ne accorse. Vide un vivo chiarore illuminare improvvisamente il giardino, proprio come tante ore prima aveva visto la luce scaturire dalle finestre dell'altro salotto... Non era stato girato l'interruttore, ma la luce s'era accesa. Dick Markham s'aggrappò al bordo dell'acquaio. «Perdiana!» esclamò a voce alta. Ritornò in studio, si guardò intorno, poi si rivolse alla macchina da scrivere: «Vuoi sapere, vecchia mia, come si può creare l'illusione d'una luce che si accende in una stanza ermeticamente chiusa?». Dick s'interruppe bruscamente. Dalla soglia della stanza il maggiore Horace Price, le sopracciglia rosse sollevate, lo fissava stupito. Poi il suo faccione lentigginoso, dai baffi rossi a spazzola e gli occhi d'un azzurro scialbo, prese un'espressione indulgente dimostrando che, dopo tutto, egli non trovava nulla di strano nel fatto che uno scrittore di gialli sensazionali si rivolgesse alla propria macchina da scrivere come a un amico. «Che dicevate, ragazzo mio?» chiese Price. «Volete sapere, maggiore» chiese Dick «come si crea l'illusione che qualcuno accenda la luce in una stanza ermeticamente chiusa?»
Non si preoccupava di mantenere il segreto; aveva bisogno di confidare la sua scoperta a qualcuno. Un autentico interesse apparve negli occhi un po' prominenti dell'altro. Dopo essersi gettato un'occhiata alle spalle per accertarsi che nessuno li ascoltava, entrò nello studio e chiuse l'uscio. Dick rimase assorto un istante. «Proprio ieri sera» continuò «mi dicevo che tutt'e tre le ville di Gallows Lane avevano il contatore della luce a gettone. Per Giove! Ecco perché l'ha fatto! Ecco perché tutte le luci sono rimaste accese per metà della notte!» Il maggiore appariva confuso. «Un momento, ragazzo mio. Ecco perché qualcuno ha fatto che cosa?» «Ieri sera Bert Miller passò in bicicletta davanti alla villa e vide che tutte le luci erano accese, laggiù, dietro le tende tirate.» «Ah sì? E allora?» «Qualcuno ha acceso tutte le luci perché la corrente si esaurisse» rispose Dick. «Sentite, vi dispiacerebbe...» Ma Dick, senza badargli, continuò: «Le luci si spensero, allora qualcuno girò tutti gli interruttori, tranne quello del salotto. Il mattino seguente, all'ora giusta, lo stesso individuo non ebbe che da infilare uno scellino nel contatore e la luce brillò in salotto, come se qualcuno l'avesse accesa in quel momento». Il maggiore Price scoppiò in una risatina sconcertata. «Vi dispiacerebbe spiegarvi meglio?» suggerì. «Temo di non aver la più pallida idea di quel che intendete dire.» Poi Dick vide il punto debole. La faccenda della luce era esatta. Il dottor Fell la conosceva già, poiché aveva fatto un'osservazione proprio a proposito del coniatore elettrico, nell'altra villa. Ma questo non risolveva il problema. «Il particolare della luce non spiega come l'assassino abbia potuto entrare ed uscire dalla stanza ermeticamente chiusa, lasciandoci Sam De Villa» dichiarò Dick a voce alta. «E sebbene la stanza fosse chiusa, giurerei che Sam era morto solo da pochi minuti al mio arrivo alla villa.» Le cose non erano cambiate: il mistero restava inalterato. Con calma ostentata, il maggiore chiese brusco, mentre gli occhi gli brillavano d'intensa curiosità: «Chi è Sam De Villa?». Dick parve risvegliarsi. «Oh, scusatemi, maggiore. Ero così scosso da qualcosa che mi era appe-
na accaduta che blateravo a voce alta. E, per la verità, non ho il diritto di parlarne con nessuno. Se potessi spiegarvi perché...» «Caro ragazzo, non è affar mio. A meno che...» «A meno che?» «A meno che la faccenda non riguardi qualche mio cliente, naturalmente. L'opinione del villaggio sembra ora divisa fra la tesi del suicidio e quella del delitto. Io, ehm, non saprei dire per quale propendo.» «Era soltanto una mia teoria» spiegò Dick «ma temo che non conduca a nulla di positivo. No, accidenti! La sola persona che fino ad ora ha fatto un'osservazione intelligente è Bill Earnshaw.» «Earnshaw ha fatto un'osservazione intelligente?» «Sì, e mi chiedo perché mai il dottor Fell non l'abbia presa in considerazione. Earnshaw ha detto...» «Caro figliolo» l'interruppe Price asciutto «non m'importa di sapere ciò che ha detto. Quel che mi sorprende è che Earnshaw abbia fatto una osservazione che voi definite intelligente.» «Sentite, maggiore, siete ancora in collera con Bill?» Price sollevò la sopracciglia. «In collera? Non vi capisco; ma mi sembra ridicolo che, dopo tutto, un individuo che si vanta di aver il senso dell'umorismo non accetti uno scherzo innocente senza farne una tragedia.» «Si tratta dello scherzo che giocaste a Earnshaw ieri al tiro a segno? A proposito, di cosa si trattava?» «Non importa! Non sono venuto qui a parlare di quella faccenda. Vogliate scusarmi, ma sono venuto per dirvi...» «Temo che sarete voi a dovermi scusare, maggiore» l'interruppe Dick. «Sono invitato a cena da Lesley e non mi sono ancora vestito.» «Già» assentì il maggiore fissando la pipa che aveva tratto di tasca, assieme alla borsa del tabacco. La caricò lentamente, poi, sollevando lo sguardo, chiese: «Sapete che ore sono?». Dick gettò un'occhiata al suo orologio fermo. «Sono le nove meno venti» proseguì il maggiore «e mi pare che foste atteso a casa della ragazza per l'ora dell'aperitivo, verso le sette e mezzo, no? Fermatevi un momento» esclamò, mentre Dick si precipitava verso la scala. «È molto bello che ora vi affrettiate. Benissimo! Ma, ragazzo mio, la troverete ancora, quando arriverete a casa sua?» Dick si fermò di colpo. «Che volete dire?»
«Vi parlo come un uomo che potrebbe esser padre a tutti e due, e come amico, senza alcuna intenzione d'offesa; ma perdinci, vorrei che vi decideste una volta per tutte! È vero o no che oggi la signora Rackley ha sorpreso voi e Cynthia, proprio nella stanza da letto di Lesley, in un atteggiamento piuttosto intimo?» La domanda, in un momento come quello, era talmente grottesca che colse Dick alla sprovvista. «Vi ho già detto che non c'è stato assolutamente nulla fra noi!» esclamò. «Certamente, figliolo. Capisco benissimo, tuttavia...» «La signora Rackley l'ha detto anche a Lesley?» «Sì, specialmente quando ha visto che alle sette e mezzo non eravate ancora arrivato, né alle otto e neppure alle otto e mezzo. E, un'altra cosa...» Il maggiore si cacciò la pipa fra i denti «Cynthia è rimasta laggiù con voi durante tutto questo tempo?» fece accennando col capo verso l'altra villa. «Cynthia se n'è andata un'ora fa con Bill Earnshaw.» «Se soltanto aveste telefonato, ragazzo mio!» «Sentite, maggiore Price. Non posso dirvi altro, tranne che Hadley potrebbe recarsi da un momento all'altro a casa di Lesley per interrogarla.» Dick vide la figura tarchiata del maggiore irrigidirsi. «Davvero? Che dite mai!» «Ho lasciato la villa solo perché Hadley e il dottor Fell erano immersi in una discussione e...» «Discussione su che?» «Sulla distillazione dell'acido prussico, e come sia facile estrarlo da ingredienti non velenosi che si possono acquistare in qualsiasi farmacia. Ma la maggior parte dei loro discorsi non era udibile. Comunque, potrò facilmente spiegare a Lesley come stanno le cose.» Il maggiore fece scattare l'accendino e accese la pipa. «Caro figliolo» osservò «tutto quel che posso dirvi è che la ragazza è sconvolta, quasi fuori di sé. Se volete renderle un buon servigio, raggiungetela immediatamente.» Dick seguì il consiglio di Price. Mentre tornava sul sentiero dirigendosi ad ovest, verso il villaggio, sentì un suono di voci avvicinarsi alle spalle. Erano le voci del dottor Fell e del sovrintendente Hadley che litigavano ancora. Se quei due si recavano a casa di Lesley per interrogare una ragazza che Price aveva definito sconvolta e quasi fuori di sé, Dick intendeva arrivare prima di loro. E poi... chissà!
In tre o quattro minuti arrivò nella High Street. Ma la High Street era immersa nell'oscurità e completamente deserta. Gli abitanti di Six Ashes, che non si trovavano al Griffin e all'Ash Tree, dovevano essere in casa, pronti ad accendere la radio per ascoltare il notiziario delle nove. Dick girò a destra, attraversò la strada e marciò a grandi passi sul selciato di mattoni che pavimentava la High Street. Ecco la casa di Lesley, dietro la macchia di castagni, con le distese erbose ai lati. Nessuna luce filtrava dalle pesanti tende ben tirate. Dick si fermò davanti al cancello e si guardò intorno. La sola casa vicina (se casa si poteva chiamare) era l'ufficio postale. Due sudicie finestrucole, con le buche per le lettere e i pacchi sotto, e una porta in mezzo, davano sulla High Street. Nei locali sulla facciata la signorina Laura Feathers divideva la propria attività fra l'ufficio postale e una botteguccia di tessuti che sembrava non vendesse mai nulla. Nei locali angusti, sul retro, c'era l'abitazione della zitella. L'ufficio postale chiudeva sempre alle sei (i malcontenti dicevano prima delle sei) ed ora, infatti, era chiuso, con le tapparelle scure ben calate sulle finestre e la porta, e l'aria di sfidare i clienti come un forte sfida gli assalitori. Dick s'avviò lungo il vialetto che conduceva alla casa di Lesley. In quel momento, nell'ufficio postale risuonò uno sparo. Era stato indubbiamente un colpo d'arma da fuoco, di pistola o forse anche di fucile, ed egli sapeva da dove proveniva. Aveva voglia di fuggire, di correre alla cieca, di allontanarsi da ciò che seguitava a perseguitarlo; ma, con eguale chiarezza, sapeva di non poterlo fare. Doveva andare dov'esso lo conduceva, fosse solo per amore di Lesley. Si voltò e corse verso l'ufficio postale. Un filo di luce filtrava dalle imposte chiuse delle finestre e dalla porta. «Ehi!» gridò. «Ehi, laggiù!» Non s'aspettava risposta, ma in un certo senso ne ricevette una. Dietro la porta chiusa dei passi risuonarono sulle tavole nude del pavimento: passi furtivi, rapidi, che s'allontanavano verso i locali di abitazione sul retro. Dick afferrò la maniglia della porta. Sebbene questa non s'aprisse mai dopo le sei, tranne quando Henry Garret, il postino, arrivava alle nove per ritirare la corrispondenza della sera che la signorina Feathers gli preparava in un sacco di tela, questa volta la porta era aperta. L'immagine della signorina Feathers, che non parlava mai d'altro che delle sue gastriti e dei soprusi commessi dai suoi clienti, sorse nella mente di Dick. Spalancò l'uscio e sentì odore di polvere da sparo.
Nei sudici locali dell'ufficio postale una lampada polverosa spandeva una luce debole sul banco munito di grata. In fondo Dick vide una porta aperta che conduceva nei locali di abitazione, da cui proveniva il sibilo e il borbottio d'una cuccuma per il tè che bolliva. Ma non andò subito là. La parte interna della cassetta per le lettere e i pacchi era sotto la finestra dal lato del negozietto di tessuti e la sua porticina di legno era spalancata. Si infilavano le lettere nella fessura apposita, sulla strada, e queste cadevano nella cassetta da questo lato; ma ora ce n'erano rimaste dentro ben poche. Sul pavimento erano sparpagliate buste spiegazzate di tutte le dimensioni, come se fossero state disperse da una ventata. E dietro il banco del negozio, vacillante, stava la signorina Laura Feathers. I suoi occhi scuri, sebbene vitrei, avevano un luccichio elettrico. Appariva incredibilmente brutta, incredibilmente sciatta coi capelli grigi scostati dal viso devastato e raccolti in una crocchia e l'abito nero informe. Colpita in pieno petto da breve distanza, teneva le dita della mano destra, sporche di sangue, premute sotto il seno sinistro. Dovette accorgersi della presenza di qualcuno perché, con la sinistra che stringeva un frammento di carta, seguitava ad indicare con frenetica vitalità la porta in fondo alla stanza. Ancora per qualche secondo seguitò a scuotere la mano boccheggiando, sforzandosi di parlare, prima di abbattersi dietro il banco. Poi il silenzio della stanza fu rotto solo dal sibilio della cuccuma per il tè nella camera sul retro. XVIII Per molto tempo ancora Dick Markham avrebbe rivisto in sogno quegli occhi fissi su di lui. Perché, ora, era morta. Dick la ritrovò dietro il banco, gli occhi spalancati Giaceva su un monticello di buste sgualcite, la mano sinistra ancora accennava in avanti. Ma le dita s'erano rilassate un momento prima di contrarsi nella rigidità della morte e il pezzo di carta che serravano, macchiato di sangue ai bordi, era caduto di fianco alla mano. Dick lo raccolse meccanicamente quando la signorina Feathers giacque immobile, dopo qualche movimento convulso. Non avrebbe saputo dire perché l'avesse preso; tuttavia, istintivamente qualcosa aveva attratto la sua attenzione.
Il pezzo di carta era un frammento di busta, mancante del francobollo, strappata nel senso della lunghezza in alto. Conteneva il frammento d'un foglio di taccuino. Alcune parole del testo, scritte a macchina, lo colpirono. Esse dicevano: "Perché siete così sciocchi? Se volete sapere come ha fatto Lesley Grant...". Nient'altro, e niente sul retro; ma Dick fissò quelle poche parole come se ingigantissero davanti ai suoi occhi riempiendo la stanza. Perché erano scritte con la sua macchina da scrivere. Non c'era possibilità di dubbio, con quella "e" storta che lo faceva sempre impazzire, e la "o" nera che non riusciva mai a ripulire completamente. Dick avrebbe saputo riconoscere ovunque i caratteri della sua Underwood. Per qualche minuto rimase a guardare il frammento di carta prima che qualcos'altro attirasse la sua attenzione. In qualche punto dei locali d'abitazione risuonarono dei passi che s'allontanavano di corsa. Solo più tardi seppe come fosse stato vicino a buscarsi un colpo di rivoltella nel cuore, perché agì d'istinto, senza pensare alle conseguenze del suo atto. Sempre tenendo stretto il frammento di busta volteggiò sopra il banco e corse verso la porta di fondo. Davanti a lui s'aprivano tre stanze, l'una dietro l'altra in linea retta. Nella prima, una cucina-tinello dalla tappezzeria unta, la tavola era preparata per la cena e dalla cuccuma usciva una nube di vapore. La stanza era vuota e la porta sul fondo dava nella camera da letto e più in là, mentre ci si precipitava dentro, vide la porta della dispensa, chiusa. Indubbiamente era sulle tracce dell'assassino. La camera da letto era buia. Qualcuno, dall'altro lato della porta della dispensa, annaspava freneticamente per girare la chiave dell'uscio. E la chiave non voleva girare. Dick, precipitandosi avanti, inciampò in un cavalletto per asciugare la biancheria e finì per terra lungo disteso. Cadendo urtò una brocca che andò in frantumi e si cacciò i frammenti di vetro nel palmo della mano procurandosi un dolore che gli trafisse il cervello. Ma d'un balzo si rialzò, come una palla di gomma, scalciando lontano il cavalletto. La dispensa era vuota. Odorava di acqua stantia e di saponata e non era buia come la stanza da letto. La porta scura, dai pannelli di vetro, sbattuta contro il muro, vibrava ancora per il colpo che qualcuno le aveva inferto spalancandola, solo qualche secondo prima. Fuggito? No! eccolo...
La luce pallida stagliava contro l'oscurità esterna le sagome oblunghe delle finestre del retro-cucina. L'angusto edificio dell'ufficio postale si stendeva in profondità per una quindicina di metri dalla facciata sulla High Street. Dirimpetto, oltre un muretto di pietra, si scorgeva il fianco e parte del retro della casa di Lesley Grant in fondo a un prato. L'assassino correva, si confondeva con i contorni di un albero, esitava e avanzava lentamente verso la parte posteriore della casa di Lesley. Non usciva luce dalla cucina a illuminare il suo viso. Dick riuscì solo a scorgere la porta aprirsi e chiudersi silenziosamente, mentre la figura scivolava dentro. Nella casa di Lesley. Ciò significava... Un momento! Ansando, Dick scavalcò il muretto e si tuffò nel prato. Mentre i suoi occhi si abituavano all'oscurità, altre figure fluttuarono verso di lui. Per qualche secondo aveva inteso il ronzio d'una falciatrice che rullava sull'erba. Ora poteva vedere la macchina, spinta da Mcintyre, il giardiniere di Lesley, la cui figura alta e sparuta apparve accanto alla porta d'ingresso sul retro. Gettando un'occhiata a sinistra verso la facciata della casa, Dick scorse l'enorme, inconfondibile sagoma del dottor Gideon Fell, col mantello nero e il cappello a larghe falde, avanzare lungo il sentiero verso la porta d'entrata. Il dottor Fell e Hadley, arrivati non molto tempo dopo di lui, dovevano aver udito lo sparo. Ma non fu questo a provocare l'ondata di sollievo che gli serpeggiò per le vene mentre il suo cervello riprendeva a funzionare. L'uccisione di Laura Feathers era l'ultima, convincente prova dell'innocenza di Lesley Grant. Poteva dimostrarlo. E con questa scoperta si sentì agghiacciare al pensiero d'un altro pericolo che minacciava la donna amata. Il vero assassino, sgusciato fuori dal retro dell'ufficio postale, era stato inaspettatamente preso in trappola da tre lati. Mcintyre s'avvicinava da una direzione, Fell da un'altra, e lui, Dick, da una terza. E l'assassino s'era rifugiato in casa di Lesley mentre la ragazza era sola con la signora Rackley... Un pensiero raggelante! Dick attraversò di corsa il prato e raggiunse l'ingresso posteriore. «Restate davanti a questa porta!» gridò allo sbalordito Mcintyre. «Non lasciate uscire nessuno! Avete capito?»
«Sì, signore, ma...» Senza fermarsi a fornirgli alcuna spiegazione. Dick aprì la porta ed entrò nella cucina buia odorante di cibi appetitosi, vide un filo di luce filtrare sotto la porta della sala da pranzo e la spalancò. Lesley, che non aveva saputo trattenersi dal balzare in piedi, stava ritta con le braccia abbandonate lungo i fianchi. Dick osservò la lucentezza dei soffici capelli bruni, la dolce linea del collo e del mento, gli occhi bruni levati a guardarlo. «La tua cena è laggiù» disse la ragazza indicandogli la cucina e distogliendo gli occhi. «È fredda. Ho... ho detto alla signora Rackley di andarsene. Ripensandoci meglio, non hai sopportato l'idea di cenare con la figlia di Lily Jewell, vero?» «Lesley» chiese Dick «chi è entrato in casa un attimo fa?» La mano della ragazza s'afferrò allo schienale della sedia. «Qui in casa? Nessuno.» «Dall'ingresso posteriore, un minuto fa.» «Nessuno è entrato, tranne te. Sono sempre stata qui. Me ne sarei accorta, no?» «C'è il tinello dove fai colazione» osservò Dick. «Lui, o lei, o chiunque sia, potrebbe esser entrato di là, senza che te ne accorgessi.» «Dick, che cos'è successo?» Il giovane non voleva allarmarla, ma doveva dirglielo. «Ascolta, cara. Laura Feathers è stata assassinata. Qualcuno è entrato nell'ufficio postale e le ha sparato, qualche minuto fa. L'assassino è la stessa persona che ha ucciso Sam De Villa e temo che ora si trovi in questa casa.» Lo squillo del campanello della porta d'ingresso, che aveva la suoneria in quella stanza, li fece sobbalzare come il sibilo d'un serpente a sonagli. Lesley fissò Dick. «Niente, niente» la rassicurò lui. «È il dottor Fell. L'ho visto arrivare dal viale. Hai detto che la signora Rackley non c'è?» «No, l'ho mandata via perché...» «Allora vieni con me» fece Dick prendendola decisamente per un polso. «Probabilmente non c'è nessun pericolo, però non voglio perderti di vista mentre vado ad aprire.» Le strinse forte il polso, mentre lei lottava per liberarsi. «Preferirei che tu non mi toccassi» ansimò Lesley «dopo che tu e Cynthia...»
«Non nominare Cynthia!» «E perché no?» Dopo averla trascinata nell'ingresso, Dick aprì la porta e, come sperava, si trovò di fronte alla vasta mole rassicurante del dottor Fell. «Laura Feathers...» incominciò Dick. «Lo so» l'interruppe Fell. Il suo panciotto s'alzava e s'abbassava come un mantice; la voce era sommessa. «Abbiamo udito lo sparo e vi abbiamo visto correre dentro. Ora c'è là Hadley. Posso chiedervi quale altro vespaio siete andato a stuzzicare?» «Potete davvero chiamarlo così» osservò Dick. «In primo luogo posso dimostrare che Lesley è innocente. In secondo luogo, non vi sarà nemmeno bisogno di provarlo perché, se avete a portata di mano un agente, potremo cogliere l'assassino in questa casa.» In poche parole narrò l'accaduto. Quell'atteggiamento flemmatico, mentre da un momento all'altro Dick s'aspettava che qualcuno sparasse un colpo di rivoltella dalle scale, esasperò il giovane. «Ma non capite?» ripeté sforzandosi di contenersi. «Qui in casa c'è un assassino.» «Oh, ah!» fece Fell scrutando con gli occhi l'ingresso. «In casa, già. Non potrebbe essere uscito dall'entrata posteriore?» «Spero di no. Comunque, Joe McIntyre, il giardiniere, è là di guardia.» «E non può essere uscito dall'entrata principale» concluse il criminologo spostando il corpaccio per sbirciarsi attorno «perché ci sono Bert Miller e un funzionario del Reparto Omicidi di Scotland Yard. Già. Vogliate scusarmi un momento.» Uscì ondeggiando nell'oscurità dove lo si vide confabulare con due figure sul sentiero: una di queste scivolò verso il retro della casa mentre l'altra rimase immobile. Il dottor Fell ritornò in casa. «Sentite, signore» protestò Dick «non fate perquisire la casa?» «Per il momento, col vostro permesso, no» rispose Fell. «Preferirei entrare un momento e far quattro chiacchiere.» «Allora promettetemi di condurre via Lesley da qui, mentre...» «Vi assicuro, è meglio che la signorina rimanga.» «Anche se c'è un assassino in casa?» «Anche se c'è un assassino in casa» rispose gravemente il criminologo. Ed entrò togliendosi il cappello e cacciandosi il bastone sotto il braccio. La sala da pranzo, vivacemente illuminata, attrasse la sua attenzione. Accennando a Dick e Lesley di precederlo, li seguì nella stanza. Qui si
guardarono attorno con distratto interesse, mormorò qualche protesta contro la giornata torrida e, col pretesto che nella camera faceva troppo caldo, spalancò le pesanti tende e aprì le finestre. Sotto di esse stava un'antica cassapanca fiorentina di quercia; Fell vi si sedette sopra. «Signore» incominciò «quei due frammenti di carta devono essere consegnati a Hadley, come giustamente avete osservato. Ma dalle vostre parole devo dedurre che credete di aver scoperto il significato di ciò che è accaduto all'ufficio postale?» «Sì, credo di sì.» «Benissimo» esclamò Fell. «Volete spiegarmi di che si tratta?» «Al diavolo, dottore! In un momento come questo?» Lesley, sebbene non capisse una parola di ciò che dicevano i due uomini, tremava. Dick le circondò le spalle con un braccio. La casa sembrava piena di rumori e scricchiolii sinistri, come se fosse stregata, e dall'ingresso giungeva il ticchettìo della vecchia pendola che scandiva i secondi. «Come volete» finì per acconsentire Dick. «Questa mattina, quando conobbi il sovrintendente Hadley a Ashe Hall, non era la prima volta che lo vedevo.» «Ah! Ebbene?» «La prima volta che lo vidi ero alla finestra della camera da letto di Lesley, di sopra» accennò al soffitto «e lo vidi attraversare la strada diretto all'ufficio postale.» «Continuate» disse Gideon Fell. «Poi vi fu quella riunione nello studio di Lord Ashe, al castello. Voi spiegaste che lo scopo del delitto era incriminare Lesley...» «Un momento» intervenne il grassone. «Se ben ricordate, dissi che sfidavo chiunque ad affermare il contrario; ma continuate.» «Diceste che il vero assassino ci aveva fornito un problema e che si doveva trovarne la soluzione, e cioè il mistero della camera ermeticamente chiusa, perché la polizia potesse arrestare Lesley. Poi osservaste che avreste ricevuto una "comunicazione".» «Infatti.» «Quando ce lo diceste» continuò Dick «il sovrintendente Hadley vi guardò e disse: "È per quello che un momento fa mi avete chiesto?..." e voi lo zittiste prontamente. Suggeriste che poteva trattarsi di una telefonata. Ma Hadley non credette nemmeno un istante alla "telefonata" e lo disse più tardi nella villa del morto. Osservò che sarebbe stato troppo rischioso e
soggiunse: "Ma devo ammettere che la vostra idea...". E anche questa volta lo interrompeste prontamente. Non molto tempo dopo, però, si lasciò sfuggire un accenno all'altra idea in rapporto all'ufficio postale. «Sono stato un vero cretino a non capirlo prima» continuò amaramente Dick. «Si trattava del vecchio trucco della lettera anonima.» Lesley lo guardò sbalordita. «Il trucco della lettera anonima?» ripeté. «Sì. Se l'assassino desiderava mettersi in contatto con la polizia, il mezzo più sicuro e anonimo era di scriverle. E come ricorderete, alla posta non esiste una macchina che distribuisca i francobolli.» «Credo di cominciare a capire» esclamò Lesley. «Chiunque voglia dei francobolli deve comperarli da Laura. Stamattina il dottor Fell chiedeva che una persona, o forse una d'un gruppetto, avrebbe scritto un biglietto per spiegare come tu avevi commesso il delitto.» «Vuoi dire che?...» «Così chiese a Hadley di fare ciò che fa di solito la polizia quando si trova di fronte a un'ondata di lettere anonime. Con la cooperazione dell'incaricato postale, ogni francobollo venduto a persona o persone sospette viene contraddistinto con un segno, così, quando arriva la lettera anonima, la polizia può provare infallibilmente chi l'ha scritta. Figuriamoci se Laura Feathers non si sarebbe prestata con piacere a un lavoro del genere! Ci si sarebbe divertita un mondo. E il dottor Fell ricorse a quel trucco per intrappolare l'assassino. E per poco il trucco non funzionò. «L'assassino scrisse realmente un biglietto: ne ho qui la prova. S'insinuò nella mia villa e scrisse quelle maledette righe sulla mia macchina da scrivere.» Lesley si scostò da lui. Pareva non credere alle proprie orecchie. «Sulla tua macchina da scrivere?» esclamò. «Sì, ma temo che non ci dia nessun indizio. Sono rimasto assente da casa tutto il giorno e metà dei vicini entra ed esce da casa mia, senza curarsi di bussare. Cynthia Drew, il maggiore Price...» «E io» sorrise Lesley. «Non scherzare!» la rimproverò severamente Dick. «L'assassino scrisse quel biglietto accusando Lesley di essere una famosa avvelenatrice e probabilmente dimostrando come era stato ucciso De Villa, poi lo impostò. Più tardi, lui o lei, venne a sapere in qualche modo che era stata tesa una trappola; allora tentò di riprendersi la lettera quando Laura Feathers avesse vuotato la cassetta, facendosela dare con una scusa. Ma Laura era un tipo
scaltro; sapeva la verità e commise l'errore di lasciarlo capire all'assassino. E così...» Dick fece il gesto d'uno che tira il grilletto di un'arma, poi si rivolse al dottor Fell: «È vero, o no, signore?». Il viso del criminologo era molto serio. «Oh, sì» ammise «è vero.» «Era questo il vostro piano con l'ufficiale postale?» «Sì» rispose Fell. «Naturalmente poteva far fiasco.» «Possibile?» «Possibilissimo, accidenti!» ribatté Fell. «È abbastanza semplice usare quel trucco con chi scrive lettere anonime in serie e perciò ha bisogno di parecchi francobolli; ma supponiamo che il nostro uomo avesse un francobollo in tasca o in casa e non gli occorresse comperarlo? Ma valeva la pena di tentare. E il trucco funzionò.» «Ad ogni modo, c'è una cosa che questi due pezzi di carta e gli avvenimenti di questa sera provano definitivamente.» «Che cosa?» «L'esattezza della vostra tesi originale. Diceste che questo sarebbe accaduto, ed è accaduto. Diceste che Lesley poteva essere accusata da una comunicazione anonima, ed è stata accusata. Affermaste che l'assassino avrebbe seguito questa linea di condotta, ed è così che s'è comportato. Che altro vogliamo? Io credo che l'assassinio di Sam De Villa fu commesso nell'intento di accollare il delitto a Lesley. Non siete d'accordo?» «Ebbene, no» rispose riluttante Fell. «Non sono d'accordo.» XIX «Come sarebbe a dire?» chiese Dick. «Non sono d'accordo che la spiegazione da voi data sia la sola possibile» disse tranquillamente Fell. «Ma era la vostra teoria!» «Vi chiedo scusa» ribatté asciutto il criminologo «ma se riflettete un momento vi convincerete che non era affatto la mia teoria.» «Ma diceste chiaramente...» «Dissi che, considerate le prove, questa era la conclusione a cui dovevamo arrivare e sfidai Hadley a trovarne un'altra.» «Ebbene? Qual è la differenza? Non è la stessa cosa?» «Se ricordate, dissi anche che ci voleva un po' d'ingenuità a crederci.»
«Che significa? Dove volete arrivare?» «Gliel'ho chiesto anch'io questa mattina» disse Lesley. «Non vi capisco: Laura Feathers viene uccisa» osservò Dick. «Voi suonate alla porta, vi dico che c'è in casa un assassino, che l'ho visto entrare di corsa qui e m'aspetto che voi facciate qualcosa. Invece, per tutta risposta, dite che volete entrare e far quattro chiacchiere. Posso ripetervi che in questa casa c'è un assassino?» «Davvero?» fece Fell. Allora Dick notò qualcosa che gli fece rizzare i capelli in testa. Il dottor Fell, a modo suo, non era meno teso, meno all'erta, meno spaventato di lui. Ebbe la sensazione che qualcosa si muovesse, stesse in agguato nell'ombra; che da un momento all'altro la situazione potesse capovolgersi, con uno schianto spaventoso. «A costo di passare alle vie di fatto, metterò alla prova la vostra pazienza ancora per un po'» disse il dottor Fell con voce che sembrava giungere da lontano. «Perché?» «Perché sto aspettando qualcosa.» «Che cosa?» Il dottor Fell ignorò la domanda. «Un momento fa» continuò «avete fatto precise ed accurate deduzioni circa la trappola dell'ufficio postale con le sue terribili conseguenze. Ne avete fatte altre?» Dick aveva la gola secca. «Credo d'aver scoperto come si possa accendere la luce in una stanza chiusa dall'interno.» Riferì l'incidente alla propria villa. «È esatto anche questo, dottore?» «Oh, sì» rispose il criminologo osservandolo con nuovo interesse. «Avete centrato un'altra volta il bersaglio. Ma, suvvia! Avete avuto tanto acume da risolvere la parte più difficile del problema; è possibile che non riusciate, sforzandovi ancora un po', a vedere la verità sull'uccisione di Sam De Villa?» «No.» «Perché no?» «Perché la stanza resta chiusa ermeticamente; chiunque abbia messo uno scellino nel contatore, all'esterno...» «Questo è vero, tuttavia... Che avete saputo della lite di ieri fra il signor Earnshaw e il maggiore Price?» chiese distrattamente.
«È importante, signore?» «Come prova no, come indizio credo di sì.» Dick scosse il capo. «Ho sentito dire che c'è stata una lite fra Bill e il maggiore al tiro a segno, perché Price aveva fatto uno scherzo a Bill; ma non so di che cosa si trattasse.» «Io invece l'ho saputo da Lord Ashe. Ho saputo altre cose molto interessanti, da lui. Il signor Earnshaw si ritiene un buon tiratore, vero?» «Sì.» «Ieri arrivò al tiro a segno nel primo pomeriggio per far sfoggio della sua abilità davanti alla moglie e a un gruppo d'altre signore. Il maggiore Price, tutto serio, gli porse un fucile caricato a salve e il signor Earnshaw mirò sei volte al bersaglio senza mai colpirlo.» Il dottor Fell continuò, fissando il pavimento: «Il maggiore Price disse: "Una scalogna nera, caro amico, siete giù di forma oggi!". Passarono diversi minuti prima che Earnshaw s'accorgesse del tiro giocatogli che non gli piacque affatto. Qualche tempo dopo, come ricorderete, il signor Earnshaw accusò Price di aver rubato il fucile Winchester 61 dal banco, mentre il maggiore dichiarò che il ladro non poteva essere che Earnshaw. Non vi suggerisce nulla tutto questo?» «Non direi. È solo uno dei tipici scherzi del maggiore.» «Per l'appunto» convenne il criminologo. «Ma, quanto a Bill Earnshaw, mi sembra la persona che fino ad ora ha fatto l'osservazione più intelligente sul delitto nella stanza chiusa. Ho cercato di riferirvela, stamattina, ma non mi avete dato retta.» «Perdonate la mia distrazione» si scusò Fell. «Che osservazione?» Dick agitò i pugni in aria. «"Chi ha sparato quel dannato colpo di fucile a Sam De Villa, quasi nello stesso istante in cui Sam moriva avvelenato?" Bill ha osservato, e sono d'accordo con lui, che, dopo l'assassinio, la persona che ha sparato quella fucilata è la figura più importante del caso. Non vi pare?» «In un certo senso, sì.» «Lo sparatore poteva vedere nella stanza, così dovette scorgere chiaramente ciò che avveniva là dentro. Ebbene? Voi non avete cercato di scoprire chi fosse, non avete dimostrato nessuna curiosità nei suoi riguardi!» Il dottor Fell alzò una mano a chiedere silenzio. «Ecco il punto cruciale della faccenda! Ecco il punto nel quale si è spenta la luce, in senso figurato, naturalmente; il momento in cui una nube ha
ottenebrato il cervello degli investigatori, spingendoli nella direzione sbagliata. Voi mi dite: "Questa è un'enorme negligenza. Perché non cercate lo sparatore, come cercate l'assassino?". Ebbene, posso rispondervi con la mano sul cuore che sarebbe tempo sprecato.» «Tempo sprecato? Perché?» «Perché lo sparatore e l'avvelenatore che ha ucciso Sam De Villa con l'acido prussico sono la stessa persona.» Il campanello della porta d'ingresso squillò di nuovo sonoramente. Dick aveva la testa che gli girava. Gli pareva che le parole del dottor Fell non avessero senso. Ebbe la folle visione di un assassino che sparava nel braccio di Sam De Villa un proiettile fantastico contenente una siringa ipodermica piena di acido prussico. Il campanello tornò a trillare. Lesley s'alzò prontamente per andar ad aprire e, prima che Dick potesse trattenerla, era già sparita nell'ingresso. Mentre la ragazza apriva la porta, Markham vide con la coda dell'occhio che il visitatore non era altri che il sovrintendente Hadley. «Spiegatevi meglio!» pregò Dick. «Voi dite che l'assassino?...» «L'assassino ha ucciso Sam De Villa iniettandogli il veleno nel braccio» rispose il dottor Fell con pazienza olimpica. «Nel salotto?» «Sì, nel salotto.» «E poi?» «Poi l'assassino è scivolato fuori della stanza...» «Lasciandola chiusa dall'interno?» «Sì, lasciandola chiusa dall'interno.» «Ma in che modo?» «Ci sto arrivando» rispose Fell imperturbabile. «Vi chiedo semplicemente di seguire i movimenti di questo misterioso personaggio. L'assassino iniettò l'acido prussico che rese quasi subito incosciente De Villa, poi uscì dalla stanza... e vi telefonò dall'apparecchio nell'ingresso dicendovi di correre subito. Indi attese che foste per strada e lasciò cadere uno scellino nel contatore elettrico, facendo così accendere la luce in salotto. Avendo ora abbastanza luce a disposizione per vederci, attraversò la strada, si nascose dietro il muretto e, col Winchester 61 rubato, sparò in direzione della finestra.» «A un morto?» «A un morto, o a un moribondo, sì.» «Anche se la stanza era già chiusa dall'interno?»
«Sì.» «Ma perché?» «Perché il suo piano non poteva riuscire, altrimenti» rispose Fell. «Ohilà!» intervenne una voce collerica che per qualche istante aveva cercato inutilmente di attirare la loro attenzione. Congiungendo le mani e facendo scricchiolare le nocche, il sovrintendente esclamò aspro: «Fell, siete pazzo?». Il criminologo, che fino allora aveva seguitato a fissare Dick Markham con uno sguardo ipnotico, quasi quanto quello del falso Sir Harvey Gilman, non rispose. «Vi aspetto nel luogo dov'è stata uccisa quella donna; poi, non vedendovi arrivare, vengo qui per sapere che cosa diavolo vi sia successo» seguitò Hadley. «E faccio bene perché scopro...» «Non ancora, Hadley!» disse Fell girando di scatto la testa. «Che significa, non ancora? Miller m'ha detto...» Il criminologo si rivolse nuovamente a Dick. «Quando prima sono entrato qui» continuò «ho detto che avevo un po' caldo; e avevo caldo, accidenti! Così ho tirato indietro le tende della finestra che, come noterete, sono aperte. Vi prego, osservate queste finestre.» «Che hanno le finestre?» chiese Dick. «Come vedete sono comuni finestre all'inglese, munite di intelaiatura in legno, proprio come quelle che voi o Hadley avete a casa vostra. Questa è alzata. Ma io la chiudo: così.» La finestra calò con un leggero tonfo. «Quando la finestra non è fermata, come ora, si nota che il gancio di metallo sta indietro, parallelo al vetro della finestra e alla congiunzione delle intelaiature, rivolto verso destra. Ma supponete, ragazzo mio, che io voglia chiudere.» Fu allora che Dick notò che Lesley non era nella stanza. Non era ritornata, non era entrata con Hadley. «Dottor Fell» disse «dov'è Lesley?» Fell finse di non averlo udito, o non l'udì. «Supponiamo, ragazzo mio, che voglia chiudere la finestra. Prendo il pomolo del gancio di metallo, lo tiro verso di me e lo giro a sinistra. Così. Il gancio ruota nell'alveolo; ora sporge verso di me ad angolo retto con l'intelaiatura, e la finestra è chiusa.» «Dottor Fell, dov'è Lesley?» «Vedete che il gancio sporge verso di me? E perciò...»
Fece una pausa perché ormai non c'era più bisogno di continuare. Per l'ultima volta nel caso di Six Ashes, con un fragore che scosse l'intera casa, s'udì uno sparo. Il dottor Fell, il viso rosso riflesso nel vetro della finestra, non si volse. I tre uomini rimasero per qualche istante come paralizzati, poi Dick alzò lentamente gli occhi al soffitto. Sapeva da dove proveniva lo sparo: dalla camera di Lesley, proprio sopra le loro teste. «Maledetto idiota!» urlò Hadley fissando il dottor Fell, mentre nel suo sguardo il sospetto si trasformava in certezza. «Avete lasciato che accadesse!» La voce del dottor Fell risuonò soffocata contro il vetro della finestra. «Sì, ho lasciato che accadesse, Dio mi perdoni.» «Suicidio?» «Suicidio. Non c'era altra soluzione, capite?» «No!» gridò Dick Markham. «No!» Non era sicuro di potersi muovere perché le gambe gli si piegavano e la vista gli si confondeva. L'immagine di Lesley, dei suoi occhi bruni, il pensiero di lei, di quanto l'amasse ed avrebbe continuato ad amarla finché - la frase solenne gli risuonò ironicamente all'orecchio - "finché la morte li avessi divisi", lo faceva impazzire, gli torturava i nervi. Poi si accorse di correre verso la porta. Una luce vivace brillava nell'ingresso dove Bert Miller, muovendosi rapidamente, nonostante la sua corpulenza, stava già salendo le scale. Il commediografo corse dietro Hadley su per la scala. Trovarono Bert Miller davanti alla porta chiusa della camera di Lesley. Sia l'agente che il sovrintendente parlarono a bassa voce. «Questa porta è chiusa a chiave, signore.» «Sfondatela!» «Non so, signore, se facciamo bene...» «Sfondatela, vi dico!» L'uscio era sottile. Miller indietreggiò di qualche passo; allargò le ampie spalle, studiò la porta; poi ebbe un'idea migliore. Mentre assumeva la posizione di un calciatore che sta per colpire la palla, Dick Markham si voltò. Quando il grosso stivale del poliziotto colse l'uscio proprio sotto la serratura, Dick non l'udì nemmeno. Perché il dottor Fell saliva le scale lentamente e pesantemente, ansimando; e dietro a lui arrivava Lesley Grant...
Lesley si fermò di colpo, la mano serrata alla balaustra, gli occhi spalancati. «Dick!» gridò. «Per l'amor di Dio, che ti succede?» Crac! fece per la seconda volta lo stivale di Miller contro la porta. «Che hai, Dick? Perché mi guardi così?» Crac! fece lo stivale del poliziotto. Fu il dottor Fell che arrancando faticosamente su per gli ultimi gradini della scala s'era fermato a riprender fiato a parlare. «Gran Dio!» tuonò rivolgendosi a Markham con tono desolato. «Caro figliolo, non avrete creduto che... Non v'era per caso venuto in mente che...» Crac! fece nuovamente lo stivale di Miller e per l'ultima volta. La serratura saltò e la porta si spalancò con tale impeto da uscire dai cardini. Dick non rispose al dottor Fell; ma prese Lesley fra le braccia stringendola fino a soffocarla. Udirono i pesanti passi di Fell percorrere lentamente il corridoio e raggiungere la porta schiantata, poi videro Hadley, Miller e Fell guardare nella stanza da letto illuminata, da cui usciva l'odore acre della polvere da sparo. Qualche istante dopo il criminologo raggiunse i due giovani, ancora abbracciati. «Sarà meglio che andiate a dare un'occhiata» disse a Dick. «Giace sul tappeto, quasi nella stessa posizione in cui dovete aver trovato Cynthia Drew.» Dick ritrovò la voce. «Cynthia? Allora è stata lei?» «Santo cielo, no!» esclamò Fell. La stanza era stata spazzata e rassettata, le tende erano scostate dalle finestre aperte sulla notte estiva e tutto sarebbe apparso in ordine, non fosse stato per la figura distesa ai piedi del letto, con accanto un'automatica calibro 38 e per la macchia di sangue che s'andava allargando sul petto dell'uomo che respirava ancora debolmente. Il dottor Fell sussurrò all'orecchio di Dick: «Ecco la sola persona che poteva aver commesso entrambi i delitti: il dottor Hugh Middlesworth!». XX Questo accadeva la sera di venerdì, dieci giugno. Nel pomeriggio della domenica seguente un gruppetto composto dal dottor Fell, Hadley, Lesley Grant e Dick Markham si recò alla sinistra villa di Gallows Lane, a bordo
d'una vettura della polizia. Hadley stava scrivendo il suo rapporto finale e doveva controllare certi particolari. E fu così che fu ricostruita tutta la storia. Né Lesley né Dick fecero alcun commento prima di arrivare alla villa. Avevano sempre davanti agli occhi il viso mite e tormentato, così vivo d'intelligenza, del dottor Middlesworth, ora freddo nella morte. Entrando nel salotto il dottor Fell occupò il divano e Hadley la poltrona accanto allo scrittoio; i due giovani, accomodatisi a loro volta, ritrovarono la voce. «Il dottor Middlesworth!» esclamò Dick. «Ma come ha fatto?» «Il dottor Middlesworth...» sussurrò Lesley. «Perché ha cercato di gettare la colpa su di me?» «No, no, no!» protestò Fell. «Che volete dire?» «Ciò che dovete cacciarvi bene in mente» continuò Fell con la stessa aria irritata «è che non c'è mai stata la minima intenzione di addossare la colpa alla signorina Grant. È quel che si aspettava che credessimo, ciò che doveva condurci fuori strada. Dovevamo partire dal presupposto che chi aveva ucciso Sam De Villa lo credesse davvero Sir Harvey Gilman, l'accettasse come il vero patologo del Ministero degli Interni e ritenesse Lesley Grant un'avvelenatrice. Perciò, capite, l'unica persona che non poteva essere assolutamente sospettata era colui che aveva dubitato fin dal principio che De Villa non fosse Sir Harvey e ch'era venuto a prelevarmi per dimostrare che era un impostore! Sta tutta qui l'ingegnosità del delitto. Lasciate che vi racconti con ordine come si sono svolte le cose. «A un'ora impossibile di venerdì mattina arrivò a Hastings in macchina un tipo timido, dall'aria intelligente e imbarazzata, che mi tirò fuori dal letto presentandosi come il dottor Hugh Middlesworth, di Six Ashes. Mi narrò ciò che era successo qui la sera prima, dicendo che aveva ragione di sospettare che il presunto Sir Harvey Gilman fosse un impostore... Conoscevo il vero Sir Harvey Gilman? Sì, lo conoscevo. Era un ometto magro, sulla cinquantina, completamente calvo? No davvero. E quello era così. «"Ebbene" mi disse Middlesworth "quell'imbroglione ha spaventato un mio amico di nome Markham con un mucchio di menzogne sulla sua fidanzata. Volete venire a Six Ashes con me per smascherare quell'individuo?"» Il dottor Fell fece una smorfia. «Naturalmente accettai. Ci precipitammo a Six Ashes, solo per essere
salutati al nostro arrivo in High Street dalla notizia, comunicataci dal maggiore Price, che Sir Harvey Gilman era stato trovato morto nelle esatte circostanze dei delitti da lui inventati. Accidenti, signore e signori! Accidenti, ripeto! Middlesworth pareva inebetito, e io pure.» Il dottor Fell si sporse in avanti. «Vi prego di notare» osservò «che il primo accenno alla teoria che la signorina Grant facesse da capro espiatorio a qualcuno che aveva abboccato l'amo del falso Sir Harvey venne proprio da Middlesworth. Arrivammo insieme alla villa, poco dopo le nove, e ci trovammo voi e il signor Earnshaw. Più tardi vi precisai che il suggerimento veniva da Middlesworth. Ricordate?» Dick annuì. «Sì, ricordo.» «Accettai la sua teoria» continuò Fell. «L'adottai perché a prima vista sembrava la sola spiegazione possibile; tuttavia una cosa mi lasciava perplesso ed incominciai a esporre il mio dubbio prima di rendermi conto che sarebbe stato più prudente tacere. «Sì, signor Markham, il racconto del falso Sir Harvey sulla famosa avvelenatrice era fabbricato esclusivamente per voi, su misura, creato per qualcuno che fosse... fosse...» «Continuate pure» l'incitò amaramente Dick. Il dottor Fell rifletté un istante. «Diciamo... emotivamente sensibile. Ma perché l'impostore è tanto imprudente da dire tutte quelle sciocchezze davanti al medico locale, che può mandare all'aria i suoi piani? Il suo atteggiamento verso Middlesworth era piuttosto strano, anche a detta dello stesso Middlesworth: non cercava d'ipnotizzarlo, come faceva con voi; non si preoccupava di lui, non sembrava nemmeno accorgersi della sua presenza.» Dick si alzò. «È vero!» esclamò ricordando la scena del giovedì sera in quella stessa stanza. «De Villa lo trattava come se fosse un mobile.» Il dottor Fell aveva acceso un sigaro e fumava, meditabondo. «Così la mia mente, naturalmente sospettosa, incominciò a chiedersi il perché di quel contegno. Ma il sospetto su Middlesworth si trasformò in certezza quando voi» si rivolse a Dick «spinto dall'ansia di Earnshaw sulla sorte del fucile, mi raccontaste tutta la storia della festa all'aperto del giorno precedente. Da quel racconto emersero due cose: la prima, il fenomenale successo dell'impostore come chiromante. E, badate, egli non diceva ai suoi clienti le solite panzane: "Siete un tipo bonario, ma di grande forza di
carattere" o "Guardatevi dagli affari arrischiati durante la Quaresima". No, per tutti i diavoli! Citava dei fatti veri e in abbondanza, su tutti. Da dove aveva tratto tutte quelle informazioni l'imbroglione se non da qualcuno che, a parte del suo segreto, gli teneva mano? Da un complice, in breve?» «La seconda cosa emersa dal racconto era piuttosto compromettente: mi riferisco al mistero del fucile scomparso.» «Ma il fucile scomparve veramente» protestò Dick. «Non vorrete dirmi che fu Middlesworth a rubarlo, vero?» «Oh sì.» «Ma come? Le sole persone che s'avvicinarono al tiro a segno furono il maggiore Price, Bill Earnshaw, il dottor Middlesworth, Lesley ed io. E noi tutti siamo pronti a giurare che nessuno di noi può aver preso il fucile. Quanto a Middlesworth, aiutò a trasportare De Villa sull'automobile, sotto gli occhi di tutti, prima di andarsene. Come poté rubare l'arma? Non si può nascondere un fucile in tasca o sotto la giacca!» «No» convenne il dottor Fell «ma lo si può nascondere dentro una sacca di mazze da golf e portarselo via inosservati sotto gli occhi di tutti. E Middlesworth, me l'avete detto proprio voi, portava una sacca da golf sulle spalle.» Seguì un silenzio prolungato. Dick rammentava fin troppo bene il dottor Middlesworth, proveniente dal golf in miniatura, la pesante sacca delle mazze da golf su una spalla. «Quel vecchio demonio ha qualche buona idea, di tanto in tanto» osservò Hadley indicando Fell. «Perciò lo lascio sbizzarrire.» «Grazie» rispose il criminologo con distratta dignità; poi si rivolse nuovamente a Dick. «Fin dal primo momento, Middlesworth mi apparve sotto una luce ambigua. Era il solo che potesse aver rubato il fucile. E poi... Voi e Middlesworth ritornaste al villaggio nella macchina del dottore, questi per recarsi all'ambulanza e voi per andar a casa della signorina Grant. Entrai qui dentro» abbozzò un gesto circolare «per osservare la scena del delitto e trovai qualcosa che mi fece levar tanto di cappello all'intelligenza umana, perché scoprii com'era stato architettato il trucco della stanza ermeticamente chiusa.» «Come fece?» chiese Lesley. Il dottor Fell non rispose subito. «Mentre mi davo da fare per la stanza» continuò «arrivò Hadley. Diede un'occhiata al cadavere e disse subito: "Santo cielo, ma è Sam De Villa", e
più tardi mi tratteggiò la carriera di quel furfante riferendomi qualcosa che mi diede la certezza che la persona che cercavamo era Middlesworth. Perché, vedete, Sam De Villa aveva veramente studiato medicina. Aveva abbandonato gli studi a soli sei mesi dalla laurea... Quella mattina stessa, arrivando qui, chiesi a Middlesworth - e voi gli faceste la medesima domanda in mia presenza - qual era la prima cosa che gli aveva fatto sospettare che Sir Harvey Gilman fosse un impostore. Rammentate?» «Sì.» «Il dottor Middlesworth rispose press'a poco così: che aveva interrogato il presunto Sir Harvey su uno degli ultimi famosi casi criminali di cui s'era occupato e che questi gli aveva fornito ampi particolari ma, parlando, aveva accennato alle due cavità del cuore, il che l'aveva stupito perché qualsiasi studente di medicina sa che il cuore è formato da quattro cavità. Ora questo era impossibile perché Sam De Villa, impersonando brillantemente Sir Harvey Gilman, un patologo, non avrebbe mai commesso una simile topica; non era nel suo stile. Perciò Middlesworth mentiva.» «Ma perché?» Qui il dottor Fell gettò un'occhiata a Hadley. «Avete lì la confessione del dottor Middlesworth, Hadley?» Il sovrintendente prese una borsa posata accanto alla poltrona e l'aprì. Ne trasse un sottile foglio di carta dattiloscritta e lo porse a Fell che lo soppesò sulla mano. «Questa l'ha dettata Middlesworth poco prima di morire, venerdì sera. È una storia logica, sincera e umana.» «Dannazione!» sbottò Dick Markham. «Questo è il guaio: il dottor Middlesworth mi piaceva.» «Anche a me» confessò il dottor Fell «e in un certo senso è giusto aver simpatia per lui. Chiunque liberi il mondo da farabutti come Sam De Villa merita la nostra gratitudine. Se non avesse perso la testa uccidendo quella disgraziata impiegata delle poste...» «Voi l'avreste difeso, non è vero?» chiese sardonicamente Hadley. «Ma, così stando le cose, lasciaste che si uccidesse?» Il dottor Fell ignorò la domanda. «La storia di Middlesworth è molto semplice. Ricordate quando disse che gentaglia come quella si serve di qualsiasi arma, incluso il ricatto, quando ritiene di poterne trarre profitto?» «Volete dire che si trattava di ricatto, in questo caso?» chiese Lesley. Fell continuava a soppesare il foglio sulla mano.
«Hugh Middlesworth si trovava in una situazione moralmente penosa; ma amava la rispettabilità, l'amava quasi quanto...» il dottor Fell guardò Lesley, tossì e distolse lo sguardo. «Aveva una moglie appartenente alla nobiltà campagnola, una famiglia numerosa e molti obblighi di società. Ma non aveva raggiunto quella posizione senza fatica. Nove anni prima, quando era al verde e disperato, prima di Six Ashes e della rispettabilità, si era assunto un certo lavoro in una squallida casa di cura londinese specializzata in interventi illegali. Middlesworth era il medico che si occupava di queste operazioni. Sam De Villa lo sapeva e poteva provarlo. «Sam arrivò qui col suo piano per impadronirsi dei gioielli della signorina Grant ed affrontò Middlesworth. Questi non aveva la più pallida idea che Sam fosse un medico, come lui. Lo conosceva solo come un furfante molto abile. Gli disse: "Sono venuto a Six Ashes fingendomi un tale. Voglio i gioielli e tu mi aiuterai". Il già tribolato Middlesworth si ribellò. "Non mi farò tuo complice" rispose; "quando scomparirai capiranno ch'ero implicato nel furto e mi arresteranno non appena avrai tagliato la corda col bottino. Perciò sono ben deciso a non farti da compare." «"Non ve ne sarà bisogno" osservò freddamente Sam. "Basterà che tu mi aiuti, senza bisogno di comprometterti, e prima di tutto raccontami tutto su questo distretto e i suoi abitanti." Così lo scaltro Sam fu messo al corrente di tutti i retroscena di Six Ashes. Richard Markham era pazzamente innamorato di Lesley Grant. Fidanzamento imminente. Fidanzamento certo. Il giovanotto era uno scrittore di gialli psicologici riguardanti la mentalità degli assassini, e specialmente degli avvelenatori... «Sam preparò il suo piano con astuzia e precisione. Affittò questa villa e con ammirevole faccia tosta si presentò al commissario della contea come Sir Harvey Gilman chiedendogli la massima segretezza sulla sua identità. Poi fu data la festa di beneficenza al castello durante la quale si sparse la notizia del fidanzamento di Lesley Grant con Richard Markham e, con l'aiuto della signora Rackley, persino l'annunzio dell'invito a pranzo per venerdì sera. Alla festa all'aperto, dove fece la parte del chiromante, Sam decise ch'era tempo d'agire. «Ciò che il presuntuoso Sam non comprese fu di aver trovato in Middlesworth un avversario di intelligenza pari alla sua. E Middlesworth era stufo e disperato. Aveva creduto di aver seppellito per sempre il passato; ma da esso era saltato fuori Sam De Villa a mettergli un cappio intorno al collo, a turbargli i sonni... un incubo che minacciava costantemente la sua rispettabilità...»
Imbarazzato, Fell tornò a tossire rumorosamente distogliendo gli occhi da Lesley. «Riuscite a capire ciò che provava, signorina Grant?» «Sì» rispose la ragazza rabbrividendo. «Middlesworth decise che De Villa doveva morire» continuò Fell «e colse l'occasione per ucciderlo dopo la festa all'aperto di giovedì pomeriggio. Ora osservate lo svolgersi degli eventi.» Il criminologo prese la confessione dattiloscritta e fece scorrere il dito lungo le righe, in cerca del punto giusto. Trovatolo, lesse ad alta voce: «"...De Villa sconvolse talmente la signorina Grant, nella tenda del chiromante, ch'ella premette il grilletto del fucile quando il maggiore Price le urtò il braccio. Sono sicuro che è stato un incidente."» «È stato un incidente!» esclamò Lesley. «"...M'accorsi subito che la ferita di De Villa era superficiale; ma egli svenne per l'emozione e tutti credettero che fosse morente. Allora compresi come avrei potuto uccidere quel porco, se fossi riuscito a restare solo con lui. Fu perciò che feci scivolare il fucile nella mia sacca da golf e me la tenni sulle spalle quando il maggiore Price ed io trasportammo il ferito in macchina. Avevo intenzione di portarlo a casa, di dargli un anestetico, estrargli il proiettile e, col medesimo fucile, sparargli una seconda pallottola, mortale, nel foro della prima. La gente lo avrebbe ritenuto vittima dell'incidente verificatosi alla festa..."» «Lo avrebbe creduto senz'altro!» esclamò Dick Markham. «"...Ma non potei mettere in atto il mio progetto, perché non riuscii assolutamente a liberarmi del maggiore Price. Così dovetti pensare a qualcos'altro."» Il dottor Fell posò la confessione sul divano. «E pensò a qualcos'altro» commentò poi il criminologo. «Il nuovo piano gli fu offerto su un vassoio in questa stessa stanza, il giovedì sera, mentre era seduto qui con Dick Markham e Sam De Villa. Sam raccontava la storia terrificante di una famosa avvelenatrice, ponendo le basi per il furto dei gioielli. Middlesworth se ne stava seduto da parte, in silenzio; ma qualcuno gli suggerì come potesse uccidere De Villa facendola franca.» «Chi fu a suggerirglielo?» chiese Dick. «Lo stesso Sam.» «Sam De Villa?» «Così ha detto Middlesworth. Volete riportare la mente alla scena?... Discutevate animatamente della camera chiusa» seguitò Fell «e De Villa os-
servò, a proposito del proiettile sparatogli attraverso la tenda, che con un foro nella parete una stanza non può più dirsi ermeticamente chiusa. Poco dopo, Middlesworth udì un rumore all'esterno. S'alzò, andò alla finestra e guardò fuori. Quando si ritrasse rimase a fissare la finestra voltandovi la schiena come se gli fosse venuto in mente qualcosa. È esatto anche questo?» «Sì.» «Ebbene?» lo sollecitò gentilmente il dottor Fell. «Quando Middlesworth guardò fuori della finestra, che cosa vide?» Il criminologo si accostò ondeggiando alla finestra ancora chiusa, su cui spiccava netto il foro della pallottola; indicandolo, il dottor Fell continuò: «Il colonnello Pope, come sapete, assicurava sempre degli schermi di garza a queste finestre, talvolta alla parete superiore e talaltra a quella inferiore, usando puntine da disegno. Di conseguenza, che cosa troviamo? Come Earnshaw ha fatto giustamente osservare, troviamo innumerevoli buchetti prodotti dalle puntine disseminati lungo tutta l'intelaiatura di legno della finestra. Chiaro?» «Naturalmente, ma...» «Potremmo infilare una puntina da disegno in un punto qualsiasi dell'intelaiatura e poi toglierla senza che il nuovo foro da essa lasciato si notasse, no?» «Certamente, ma...» «Middlesworth ebbe una duplice ispirazione. Vi dirò esattamente come fece. Egli poteva essere matematicamente certo che Sam De Villa avrebbe preso una forte dose di luminal prima di andare a letto. Così, lasciata questa villa, vi accompagnò a casa; poi Middlesworth andò a casa per fare determinati preparativi. Chi era la persona più adatta ad avere a portata di mano una siringa ipodermica? Un medico. Per il momento, Middlesworth non s'occupò di questi preparativi; prima doveva provvedere ad altre cose. «Poco dopo mezzanotte, quando tutta Six Ashes dormiva, ritornò di nuovo alla villa. La casa era buia. Non ebbe difficoltà ad entrare perché la porta non era chiusa a chiave e, se mai, avrebbe potuto introdursi da una finestra. Trovò Sam De Villa, come s'aspettava, immerso in un profondo sonno causato dal sonnifero, nella camera da letto del primo piano. Fino allora tutto andava a meraviglia. Entrò in salotto dove accese la luce e dispose la stanza secondo i propri piani, specialmente la grossa poltrona dove ora è seduto Hadley, nel punto giusto dove doveva trovarsi per ciò che sarebbe accaduto nelle prime ore dell'alba. Poi chiuse le due finestre, ma
tirò indietro completamente le. tende. «Capite, naturalmente, quale fu la sua prossima mossa? Middlesworth, col fucile Winchester 61, attraversò il sentiero, scavalcò il muro di cinta di fronte, scelse attentamente la posizione e poi, sempre poco dopo mezzanotte, sparò una fucilata nella finestra della stanza illuminata e vuota. Fu sparato allora il "vero" colpo. La pallottola forò il vetro e colpì il quadro della Battaglia di Waterloo sopra il camino, infilandosi nel muro. «Questi sono i paraggi più solitari di tutto il paese, dopo mezzanotte. Middlesworth ritenne improbabile che qualcuno udisse lo sparo. Sam De Villa, immerso in un profondo sonno ipnotico al piano superiore, non l'avrebbe certo udito. Lo intese invece Lord Ashe nel mezzo della notte, come ebbe a dirvi l'indomani mattina quando vi recaste a Ashe Hall» fece il dottor Fell rivolgendosi a Dick «ma lo confuse con un altro colpo che udì poco dopo le cinque del mattino. Quanto a Middlesworth, chiuse le tende delle finestre, accese tutte le luci per esser certo che si spegnessero prima del mattino e poi ritornò di corsa a casa... Non aveva fatto ancora nulla di male. «Per poco il caso non mandò a monte il piano di Middlesworth, perché questi ricevette una telefonata nelle prime ore del mattino; ma la chiamata proveniva da Ashe Hall, dove una delle cameriere s'era sentita male e giungeva quanto mai opportuna, perché il dottore avrebbe potato tener d'occhio la villa, data la sua vicinanza al castello. «Lasciò Ashe Hall alle cinque meno venti del mattino comunicando bruscamente a Lord Ashe la sua intenzione di recarsi immediatamente a Hastings, guidò la macchina fino alla High Street, l'abbandonò qui e percorse un'altra volta Gallows Lane. Me lo immagino arrivare qui alle prime luci dell'alba, il cuore freddo come le sue mani, «Molto tempo prima, naturalmente, era andato a gettare un'occhiata nello studio illuminato del signor Markham ed aveva visto lo scrittore profondamente addormentato sul divano e una bottiglia di whisky intatta e un sifone di seltz posati sulla scrivania. «La luce s'era spenta da un pezzo, alla villa; la casa era buia. Faceva fresco ed era giunta l'ora del delitto e dell'illusione. Middlesworth trovò De Villa ancora immerso nel sonno. Se la vittima si fosse svegliata, era pronto a legarla con il morbido cordone della vestaglia e imbavagliarla con un fazzoletto e del nastro adesivo. «Ma non fu necessario. Trasportò De Villa al pianterreno e lo accomodò su quella poltrona in modo che la traiettoria del proiettile già sparato pas-
sasse proprio sopra la sua testa. E poi, mentre la prima luce irreale dell'alba illuminava la stanza, arrotolò la manica della vestaglia di De Villa e con la mano guantata iniettò l'acido prussico nel braccio sinistro della sua vittima.» Il dottor Fell fece una pausa. Nonostante il calore pomeridiano, Dick Markham sentiva un gran freddo al cuore. Gli pareva di vedere ombre diaboliche muoversi per la stanza nella luce grigia del mattino: il medico con le mani guantate, il corpo che si contraeva negli ultimi spasimi dell'agonia. «Poi» seguitò Fell «Middlesworth chiuse la stanza. Poté farlo perché ora c'era un foro di proiettile nel vetro della finestra, capite? Continuavamo a parlare della stanza ermeticamente chiusa ma, per Giove, non era chiusa, questo è il punto! De Villa aveva detto la verità affermando che una stanza non si può chiamare ermeticamente chiusa quando c'è un foro di proiettile in una parete. «Middlesworth prese una scatola di puntine da disegno e le sparse artisticamente sul pavimento vicino alla mano sinistra del morto. Chiuse e sprangò la porta dall'interno e infine... volete essere tanto gentile, Hadley?» Il sovrintendente annuì con una smorfia. S'alzò e uscì dalla camera. «Venerdì sera feci uno sproloquio sulle finestre. Vi prego ora di osservare questa finestra e questo foro di proiettile. Il foro che ora ho di fronte è sotto la linea di congiunzione delle intelaiature, una diecina di centimetri sotto e a sinistra del gancio di metallo. Benissimo! «Prendo una puntina da disegno, come questa che ho in mano ora, la fisso al telaio della finestra, quello orizzontale di fronte a me, sopra il foro del proiettile e un po' oltre, a sinistra; poi prendo un pezzo di robusto filo nero lungo così» il dottore trasse il filo dalle capaci tasche col gesto di un prestigiatore «e lo preparo per il trucco.» La figura del sovrintendente Hadley apparve fuori della finestra. Il davanzale, come Dick aveva già notato, non arrivava oltre la vita di un uomo. Il dottor Fell aprì la finestra spingendo a destra il gancio metallico, così che rimase piatto e rivolto in basso. Piegando in due il filo, fissò un cappio intorno al pomolo del gancio. Fece passare i capi del filo a sinistra sopra la puntina da disegno, come sopra una carrucola, poi li riportò verso il basso infilandoli attraverso l'apertura del foro del proiettile in modo che ora sporgevano dalla finestra. «Poiché io sono di dimensioni tutt'altro che modeste» spiegò Fell «mi
scuserete se non sarò io ad eseguire l'azione all'esterno. Alzo la finestra. Così.» Sollevò la finestra, mentre il lungo cappio di filo scorreva con essa, mantenendo però inalterata la sua posizione. «Immaginate ora che mi arrampichi sulla finestra, come ha fatto Middlesworth. Salto fuori, chiudo la finestra dietro di me» essa scese con un leggero tonfo «e sono a posto. Non mi resta che prendere i capi del filo, che ora pendono fuori della finestra, e tirarli verso il basso come sta facendo Hadley. La pressione sul cappio fa sì che la puntina da disegno funzioni da carrucola, spingendo il pomolo del gancio metallico verso di me e muovendosi lentamente in fuori finché risulta ad angolo retto. E la finestra è chiusa. Fatto questo, un forte colpo verso il basso stacca la puntina dall'intelaiatura; essa cade nella stanza e rimbalza sul pavimento. Tiro uno dei capi del cappio di filo e lo faccio uscire dalla finestra, come un serpente, finché tutto il filo mi resta in mano. Non ne rimane alcuna traccia. La puntina sarà ritrovata nella stanza, naturalmente; ma passerà inosservata se ne avrò già sparse per terra un'intera scatola. Pronto, Hadley!» Il gancio della finestra, sollevato dal filo, era ricaduto nella posizione di fermo. Hadley, fuori della finestra, diede un colpo verso il basso. La puntina si staccò, cadde sul davanzale e rimbalzò nella stanza dove giacque sul tappeto. «Come vedete» fece Fell indicandola «non è caduta molto lontana da un'altra puntina rotolata fuori dalla scatola rovesciata che abbiamo trovato in questa stanza venerdì mattina. Forse ricorderete che la notai mentre eravamo qui quel pomeriggio, perché per poco Hadley non ci camminò sopra. Era tutto qui il trucco di Middlesworth» concluse Fell. «Ci sono voluti diversi minuti per spiegarlo, ma per metterlo in pratica non sono occorsi più di trenta secondi. La stanza era chiusa dall'interno. Ora Middlesworth era pronto per l'ultima parte del suo piano, la più importante: convincere voi, signor Markham, che non c'era nessun foro di proiettile nel vetro prima del vostro arrivo. «Andò all'apparecchio nell'ingresso e vi telefonò quel messaggio frenetico. Era certo di convincervi ad uscire e vi convinse. Fece il conto di quanto tempo ci volesse per arrivare alla villa, lasciò cadere uno scellino nel contatore, dopo aver lasciato l'interruttore girato in questa stanza in modo che la luce si accendesse. Attraversò di corsa il sentiero dal frutteto al boschetto di larici (e fu allora che la signorina Cynthia Drew lo vide) e rimase in attesa. Quando foste bene in vista, produsse un po' di rumore fa-
cendo strisciare il fucile contro il muretto per attrarre la vostra attenzione e, mentre voi lanciavate un richiamo verso il tiratore, mirò alla finestra e sparò...» «Una cartuccia a salve» terminò Dick. «Una cartuccia a salve» assentì il dottor Fell «ispirandosi al famoso scherzo giocato dal maggiore Price a Earnshaw, e con ottimo risultato. «Ora, signor Markham, voi stesso eravate assolutamente convinto di aver visto il proiettile infilarsi nel vetro della finestra ed era ciò che dovevo mettere in chiaro interrogandovi venerdì pomeriggio. Così mi sono irritato un po' quando Hadley m'ha interrotto in un punto cruciale e temo di averlo mandato al diavolo... Ma, in verità, scopersi che non avevate visto nulla del genere perché alle mie domande rispondeste: "Guardavo il fucile, lo vidi sparare e anche da quella distanza potei scorgere il foro nella finestra". «Scorgere il foro sì. Qui sta la differenza. Guardavate il fucile e lo vedeste sparare. E fin qui tutto bene; ma quanto a dire che vedeste il proiettile infilarsi nel vetro era materialmente impossibile, perché avrebbe presupposto che voi voltaste la testa da sinistra a destra ad una velocità superiore a quella del proiettile. «Dopo la vostra precisazione respirai di sollievo. E allorché mi riferiste la storia di Cynthia Drew che aveva visto un uomo, o una figura, attraversare di corsa il sentiero, il caso mi apparve completamente risolto. Ma quell'interruzione di Hadley in un momento così delicato...» Il sovrintendente, che entrava in quel momento nella stanza, si fermò di colpo, infuriato. «La mia interruzione, eh?» esplose. «Sì.» «Se vi foste degnato di mettermi al corrente dei vostri piani un po' prima, le cose sarebbero andate più lisce. E non vi sembra di anticipare un po' i tempi, nella vostra storia?» Il dottor Fell tornò al divano e sedette di nuovo. «Resta ancor poco da dire. Se mi concedete di riportare l'orologio alle dieci di venerdì mattina, vedrò di chiarire i punti che ancora rimangono oscuri. Dopo aver esaminato per la prima volta questa stanza, prima dell'arrivo di Hadley, ero quasi certo di poter spiegare il mistero della stanza chiusa. Poi giunse Hadley e identificò il morto; ma la mia attenzione era già concentrata sul dottor Middlesworth anche prima di recarmi a Ashe Hall...» «Perché desideravate tanto andare laggiù?»
«Perché al castello erano stati svegli per la maggior parte della notte a causa della cameriera che s'era sentita male, perciò qualcuno poteva aver udito qualcosa. Come vi ho detto, Lord Ashe aveva inteso lo sparo poco dopo mezzanotte. Prima di recarmi al castello pregai Hadley di mettermi in contatto con l'impiegata delle poste...» «E» ringhiò il sovrintendente «di far contrassegnare, con segni diversi, i francobolli acquistati da quattro o cinque persone. Solo nel tardo pomeriggio appresi che sospettava definitivamente di Middlesworth. Avreste potuto sospettare della signorina Drew, che per me era la maggiore indiziata, del maggiore Price, del signor Earnshaw, e persino di...» «Di me?» chiese Lesley. «E persino di Lord Ashe» concluse sorridendo Hadley. «Beh, avrei potuto anche sbagliarmi, ma da allora in poi tutto mi diede la matematica certezza che avevo ragione. Udii persino Lord Ashe dire in vostra presenza che il venditore di Bibbie, Sam De Villa, aveva visitato solo Ashe Hall. Suppongo che quel furfante facesse una visitina di ricognizione per scoprire come sarebbe stato accolto e per farsi un'idea del personaggio più importante del distretto. Perciò non avrebbe mai potuto ottenere tante informazioni sugli abitanti del villaggio solo da una conversazione con Lord Ashe, e ciò confermava la mia convinzione che esistesse un complice. «Vi ho già esposto i vari indizi che mi condussero alla certezza di aver risolto il caso, dopo la mia intervista col signor Markham nel tardo pomeriggio. Dalla confessione di Middlesworth sappiamo che egli s'accorse della trappola dei francobolli perché ne comperò un intero foglio che la povera Laura aveva contrassegnato sommariamente. «Egli aveva già inviato una lettera proprio a me, accusando la signorina Grant d'essere una nota avvelenatrice e dando suggerimenti, senza però dire nulla di definitivo, su come poteva essere stato commesso il delitto. Doveva fornire una base al complotto immaginario, capite? Doveva dimostrare che esisteva veramente Sir Harvey Gilman e che cercava di rovinarla. Era l'unico modo, e il più sicuro, a suo giudizio, per stornare i sospetti da sé. «Scritta la lettera e scoperta la trappola, cercò di riprendersi il biglietto compromettente. E Laura morì.» «Ma questa lettera» intervenne Dick «non indicava come era stato commesso veramente il delitto?» «Oh, no, era troppo rischioso. Inoltre, non era necessario. Tutto quel che
Middlesworth doveva fare era di battere e ribattere sul concetto che qualcuno voleva rovinare la signorina Grant. Ma s'accorse che il foglio di francobolli era segnato. Dopo aver ucciso Laura si rifugiò in casa della signorina Lesley, perché tre persone gli precludevano la fuga da tre parti diverse. «Vedete» continuò esitando il criminologo «ero quasi certo di averlo intravisto nella camera da letto, mentre arrivavo dal sentiero; e il racconto del signor Markham mi confermò che non m'ero sbagliato. Così feci circondare la casa in modo che non potesse fuggire. Poi... parlai per lui, feci in modo che m'udisse e lo lasciai morire. E con questo credo di avere spiegato tutto.» Seguì un lungo silenzio mentre gli ultimi raggi del sole tingevano d'una sfumatura dorata la stanza. «Non tutto» disse a un tratto Dick. «Immagino che fosse Cynthia, la persona in ascolto fuori della finestra giovedì sera. Fu così che udì il racconto di De Villa su Lesley?» «Sì, fu così. La signorina Drew è una brava ragazza, ma è un po'... strana.» «E Lesley non la colpì con lo specchio mentre discutevano?» «Certo che non l'ho colpita!» protestò la ragazza. I due giovani erano seduti non lontani l'uno dall'altro, e Dick stava cercando il coraggio per affrontare un'ultima domanda. «Stai pensando a ciò che hanno detto di me, e cioè che mi hanno vista nel giardino della villa alle tre del mattino?» chiese Lesley leggendogli nel pensiero. «Fu quello a farti sorgere l'orribile sospetto che, dopo tutto, potevo esser io la colpevole?» «Beh, non proprio la colpevole, ma...» «Sì che lo credesti. Non negarlo.» «Va bene, cara, è vero.» «E non ti biasimo» osservò Lesley. «È mortificante che la spiegazione della mia presenza sul luogo del delitto a quell'ora sia così banale. Ma non posso farci nulla! È qualcosa che mi preoccupa e mi ha tanto preoccupato. Ho consultato parecchi medici e tutti m'hanno detto di non darmi pensiero perché si tratta di un inconveniente di cui soffrono spesso le persone come me, molto nervose, che hanno tendenza a drammatizzare ogni cosa. Io credevo di aver ucciso quell'uomo, capisci? Voglio dire che credevo di aver ucciso Sir Harvey Gilman quando il fucile sparò incidentalmente. Così me lo sognai; non potei far a meno di sognarlo. Passai una notte terribile e mi
svegliai talmente stanca che compresi che doveva essermi accaduto qualcosa, sebbene avessi soltanto una pallida idea di ciò che avevo fatto e di dov'ero andata. Poi notai un abito diverso da quello che avevo addosso la sera prima a cavallo d'una sedia... voglio dire che lo vidi il mattino seguente, quando mi alzai...» «Senti» esclamò Dick «non vorrai dirci che...» «Era uno dei tanti miei tormenti. Sì, soffro di sonnambulismo. Devo esser venuta qui dormendo, forse con l'idea di accertarmi se Sir Harvey era ferito gravemente; ma non me ne ricordo e la cosa più terribile è che, senza saperlo, avrei potuto imbattermi nell'assassino. Valgo ben poco, non è vero, Dick? La figlia di Lily Jewell, una ragazza nevrastenica e per di più affetta da sonnambulismo...» Dick posò una mano sulle sue. «Cara, il tuo sistema nervoso, anche se scosso, è tuo e perciò mi piace. Ma una cosa posso prometterti, come direbbe il dottor Fell, con la mano sul cuore. Non sarai più affetta da sonnambulismo.» «Perché?» «Perché ci penserò io a guarirti» rispose Dick Markham. FINE