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PATRICK QUENTIN SOLUZIONE ESTREMA (Danger Next Door, 1952) 1 Clark Rodman vide di nuovo la ragazza alla finestra della casa di fronte. Lei se ne stava lì, in piedi, e non sembrava essersi accorta della presenza dell'uomo. Fissava il muro e il tetto davanti a sé: un panorama piuttosto deprimente. Era molto bella; aveva i capelli scuri, la carnagione chiara e dei lineamenti delicati che le conferivano un aspetto alquanto esotico in quella zona degradata di New York. Ma non era solo la sua bellezza che aveva colpito Clark. C'era qualcos'altro in lei: una tensione, un'atmosfera elusiva di attesa, un'ansia nascosta da cui si poteva trarre l'idea che la ragazza covasse un segreto. Forse aspettava che la sua vita raggiungesse un qualche inevitabile ma spaventoso traguardo. L'appartamento in cui abitava era situato al quarto piano della casa accanto, esattamente di fronte alle stanze che Clark aveva preso in affitto di recente. C'era solo un angusto vicolo a separare i due edifici. In effetti, anzi, le due serie di finestre erano talmente ravvicinate che, nelle ultime tre settimane, mentre lavorava alla macchina per scrivere, Clark Rodman era diventato sempre più consapevole della presenza delle ragazza. Le sue apparizioni alla finestra erano infrequenti, anche se non pareva che lei uscisse molto di casa. Visibile o invisibile, la ragazza era sempre lì, a ricordargli che c'era qualcosa di strano in lei, forse un problema non risolto. Se Clark fosse stato romantico, avrebbe pensato alla sua vicina di casa come a una damigella in pericolo. Ma Clark non era affatto un romantico. In effetti, anzi, si vantava del suo cinismo. Tre anni di una guerra sanguinosa e di tumultuosi congedi in Europa e nel Pacifico gli avevano insegnato che gli uomini sono fragili e le donne ancora di più. All'estero, aveva imparato che una damigella in pericolo di solito è una ragazza che ha bisogno di sigarette o di dollari americani, e lui non era incline a ritenere che le donne di casa propria fossero molto meglio. Si ripeteva costantemente che i problemi della ragazza di fronte non lo riguardavano per nulla. Era infelice e spaventata? Be', che ci pensasse lei a risolvere quella situazione. Le ragazze si mettono continuamente nei pasticci, ma poi, in un modo o nell'altro, se ne tirano fuori. Le angosce della
sua bella vicina non lo riguardavano affatto. Eppure... Lei era ancora davanti alla finestra. Le luci nell'appartamento di Clark erano spente, perciò lui poteva osservarla senza che lei lo vedesse. La soffice maglietta chiara le modellava i giovani seni; gli occhi, scuri come i capelli, fissavano all'esterno con quella espressione assorta eppure tormentata che lui ormai si era abituato a conoscere molto bene. Per strada, un organino stava suonando una melodia di Verdi. Clark era certo che la ragazza non ascoltasse né la musica né nessuno degli altri confusi rumori notturni della città. Sembrava concentrata su qualcosa che poteva udire solo lei. Tirandosi indietro i capelli con un movimento della testa, lei si spostò con aria svogliata dalla finestra e scomparve alla vista di Clark. Poi si accesero le luci nella stanza accanto, la camera da letto. Lei raggiunse la finestra, la aprì e appoggiò i gomiti sul davanzale, stringendosi il mento con le mani chiuse a coppa. Rimase lì per quasi cinque minuti, persa nelle sue enigmatiche riflessioni. Dopo di che si voltò, si tolse la maglietta gialla facendosela passare sopra la testa e la gettò lontano da sé. Il letto, situato su una pedana e quindi leggermente sopraelevato, era chiaramente visibile a Clark. La ragazza si diresse verso il letto, si tolse la gonna e scalciò via le pantofole. Nel suo ruolo di cinico incallito, Clark non avrebbe dovuto provare il minimo scrupolo nell'approfittare del fatto che lei si era dimenticata di abbassare la veneziana. Eppure, mentre seguiva i movimenti del giovane corpo della ragazza, fu assalito da un inatteso senso di imbarazzo e si spostò dalla finestra. Si sentiva giovane e insicuro di sé, e Clark Rodman detestava l'idea di sentirsi giovane e insicuro. Provò anche una certa indignazione nei confronti della ragazza, visto che era per colpa sua che lui stava provando quelle sensazioni. "Forse non ha chiuso le imposte di proposito" borbottò tra sé. Ma in fondo non credeva a quell'ipotesi, così rimase lontano dalla finestra fino a quando le luci della camera da letto non si spensero. Si versò un drink e tentò di concentrarsi su qualcosa di completamente diverso, ma i suoi pensieri tornavano sempre alla ragazza della casa di fronte. Clark aveva raccolto qualche informazione sparsa su di lei dal portiere. La ragazza si chiamava Folwell ed era sposata con uno dei due uomini che apparivano a orari irregolari nell'appartamento. Suo marito era il
tipo robusto e corpulento che aveva un viso florido e una risata sonora. L'altro uomo era il fratello di quest'ultimo: un ometto la cui silhouette compariva di tanto in tanto alla finestra e che sembrava piuttosto insignificante. Tutti e due, almeno in apparenza, facevano i fotografi ed erano riusciti in qualche modo a evitare di venir arruolati nell'esercito. Una coppia piuttosto male assortita, pensò. Se la ragazza aveva sposato un tipo del genere, doveva esserci qualcosa che non andava in lei. Ma forse no. Forse si sentiva semplicemente spaesata. Ma di una cosa Clark non dubitava: quella ragazza era infelice. A volte, aveva anche la sensazione che fosse impaurita. Clark accese la luce e si diresse alla sua scrivania, che si trovava accanto alla finestra. Un fascio di fogli dattiloscritti, tenuti insieme con un fermaglio, era posato ordinatamente vicino alla macchina per scrivere portatile. Era il dattiloscritto di un racconto che Clark aveva ultimato quella mattina stessa. La ragazza di fronte lo aveva intrigato anche come scrittore, oltre che come uomo, e lui aveva utilizzato lei e i due poco eccitanti compagni maschili della ragazza come i personaggi centrali della storia. Solo poche ore prima, si sarebbe compiaciuto del suo sfrenato cinismo. Aveva presentato la ragazza come una sorta di locale Madame Bovary da quattro soldi. Ma ora, mente sfogliava il dattiloscritto, si rese conto all'improvviso che lei non era così. E visto che aveva scritto varie malignità sulla ragazza, l'intero racconto adesso gli sembrava falso. Aveva pensato di mandare il dattiloscritto per posta il giorno seguente alla rivista che aveva pubblicato il suo primo racconto, che Clark aveva spedito dalla Nuova Guinea circa un anno prima. Ma mentre i suoi dubbi sul valore della storia crescevano, decise di imbucarlo subito prima che subentrasse la sfiducia e si sentisse tentato di riscriverlo. Lo inserì in una busta, scarabocchiò sopra l'indirizzo e si avviò giù per le scale male illuminate uscendo sulla strada. La serata primaverile era calda e molto gradevole. Mentre s'incamminava verso la buca delle lettere all'angolo, riacquistò fiducia nei confronti della sua vecchia storia. Anche se aveva fornito una descrizione infedele della ragazza della casa di fronte, quel particolare non inficiava affatto il valore intrinseco del racconto. Era una buona operina, ne era convinto; e se fosse stata accettata, ciò avrebbe dimostrato una volta per tutte che aveva avuto ragione a opporsi al padre e a rifiutarsi di entrare nella Rodman Automobile Company dopo essersi congedato dall'esercito. Negli atolli del Pacifico, nel calore insopportabile della giungla della Nuova Guinea, nelle
spiagge frastagliate di Okinawa aveva trascorso notti insonni sognando di diventare uno scrittore, a guerra finita. Lui, Clark Rodman, il figlio di un multimilionario, il giovane rampollo che avrebbe potuto avere un lavoro sicuro in una delle numerose fabbriche automobilistiche del padre, non aveva che un solo desiderio: farsi strada nel mondo senza l'aiuto di nessuno e guadagnarsi da vivere con il solo ausilio della sua macchina per scrivere. — D'accordo, figliolo — aveva detto alla fine Joseph Rodman quando Clark, con il nuovo e brillante distintivo dei militari congedati all'occhiello, si era messo a discutere con lui di quella prospettiva nella casa di famiglia di Desborough, nel Michigan. — Mettiti alla prova come aspirante scrittore per sei mesi. Vai a stare per conto tuo e vedi di combinare qualcosa; ma se non riesci a produrre niente che sia vendibile in quel lasso di tempo, c'è sempre il settore pubblicitario della ditta che ti aspetta. Quanti soldi...? — No, papà — aveva detto Clark. — Da questo momento in avanti, devo farcela da solo. E così, era venuto a New York solo per diventare un'altra delle innumerevoli nullità che popolavano le sue strade. Spedì la busta, assaporando l'enorme piacere di non suscitare il minimo interesse tra i passanti. Come esponente della ricchissima famiglia dei Rodman, aveva trascorso infanzia e adolescenza praticamente sempre sotto i riflettori. Tutta quella pubblicità gli aveva dato fastidio, ma, dal momento del suo congedo, era diventato addirittura folle nel suo desiderio di privacy. Quella nuova vita trascorsa nel più totale anonimato era una gioia costante. Stava tornando indietro lungo il marciapiede quando un taxi si fermò proprio davanti all'edificio accanto al suo. Ne uscirono due uomini, uno dei quali aveva in mano una macchina fotografica. Ridevano a squarciagola e scherzavano con il tassista. Uno era una specie di gigante che avanzava con un'andatura burbanzosa; l'altro era piccolo, emaciato e molto veloce nei movimenti. Clark li riconobbe subito. L'uomo grande e grosso era Gene Folwell, il marito della ragazza della casa di fronte; il tipo minuto doveva essere indubbiamente il fratello. Il taxi si allontanò. I due nuovi arrivati si avviarono verso i gradini del portico, ma quando Clark passò loro davanti, Gene Folwell si voltò e prese a fissarlo. Con un grugnito di sorpresa, chiamò: — Ehilà! — e si affrettò a raggiungere lo scrittore, afferrandolo per un braccio.
— Un momento, signore. Io la conosco. Clark si volse e, con uno strattone, si tolse la mano dell'altro dalla manica. Gli occhi cisposi di Gene Folwell continuavano a fissarlo con espressione interrogativa. — Già, sono sicuro di conoscerla. Ma certo, ci sono! Lei è Clark Rodman, il figlio di Joseph Rodman! Clark s'irrigidì. Gene Folwell fece un segno al fratello da sopra la spalla. — Ehi, Harry! Guarda un po' chi ho trovato. Sorrise. L'altro uomo, stringendo bene in mano la macchina fotografica, si affrettò a raggiungerli. — Lo riconosci, Harry? — Gene Folwell diede una pacca vigorosa sulla spalla di Clark. — È il rampollo dei Rodman, quello che ha preso una medaglia in guerra. Un vero eroe, sai. Ma il bello è che non ha voluto saperne dei dollaroni del padre ed è venuto a vivere per conto suo. Un bel colpo di fortuna per noi, eh? — Potrebbe essere un colpo di fortuna — ribatté Clark — se aveste pescato l'individuo giusto. Per quanto mi riguarda, non so di chi stiate parlando e non voglio saperlo. — Non cerchi di fare il furbo con me, Rodman. Non si può prendere impunemente per il naso Gene Folwell di "Rapid News", eh? — Diede un colpetto col gomito al fratello. — Non dimentico mai una faccia che fa notizia. È una delle mie prerogative. Due anni fa, ho fatto un servizio speciale sull'intero clan dei Rodman. — Sorrise di nuovo. — "Figlio di un multimilionario respinge una fortuna per andare a vivere come un morto di fame." Il succo della storia sarebbe questo. Harry stava fissando intensamente Clark. — Ma lei non è il tizio che abita nell'appartamento di fronte al nostro? — E a lei che cosa importa? — chiese Clark. — Mi pareva. — Harry Folwell alzò lo sguardo verso il fratello con l'aria di uno che la sapesse lunga. — È quello che passa la giornata a spiare Laura. Clark arrossì. Gene Folwell sorrise di nuovo. — E così si è messo in testa qualche strana idea su mia moglie, Rodman? Bene, bene. Ma i ragazzi, in fondo, restano sempre dei ragazzi, immagino. Persino gli eroi. Peccato che abbia scelto proprio Laura, però. Mi dispiace davvero molto. Perché se voi due vi mettete in testa qualcosa, prima rompo tutte le ossa a mia moglie, poi passo a occuparmi direttamente di lei. Sogghignò in modo sgradevole e diede un colpetto sul braccio di Clark.
— Ma non lasciamo che una cosa tanto insignificante come questa interferisca con la nostra amicizia, Rodman. Noi l'abbiamo scovata e ora abbiamo bisogno della sua collaborazione. Una piccola foto... Gesticolò in direzione di Harry, che alzò la macchina fotografica e puntò l'obiettivo su Clark. Proprio mentre lampeggiava il flash, Clark balzò in avanti e, con un colpo energico, fece cadere la macchina dalle piccole mani dell'uomo. Harry si inginocchiò per recuperarla, e intanto Clark lanciò un'occhiataccia a Gene Folwell. — Tenti un'altra volta una cosa simile e non gliela farò passare liscia. Semplice, no? Folwell socchiuse le palpebre. — E così, il nostro eroe ha un diavolo per capello, eh? — Sì. Gene Folwell fece schioccare la lingua in modo sardonico. — Bene, bene, ora sappiamo come vive l'altra metà del mondo. Cosa fanno i ricchi? Rompono la macchina fotografica di un poveraccio e tentano di sedurgli la moglie. — Lasci stare sua moglie. Lei non c'entra niente. — Già — disse lentamente Folwell. — Penso proprio che lo farò. Ma se la pesco di nuovo che sbircia verso le finestre di casa mia... — Si risparmi le minacce per qualcuno che si spaventa a buon mercato. Gene Folwell, il viso rosso per la collera, avanzò di un passo verso di lui; poi, come se ci avesse ripensato, si fermò. — D'accordo, Rodman. Giochiamo pure al suo gioco. Ma se le cose cominciassero a diventare sgradevoli per lei, non dica che non l'ho avvertita. Poi annuì in direzione del fratello, che stava stringendosi la macchina fotografica contro l'esile petto. — Andiamo, Harry. I due entrarono nella casa di fronte. 2 Confuso e adirato, Clark si avviò verso la sua casa. Mentre saliva i gradini del portico, il tocco di una mano sulla spalla lo costrinse a voltarsi. Un uomo lo aveva seguito. L'individuo in questione era alto e magro, con un cappello calato sulla fronte. Nella fioca luce del lampione stradale, il suo viso era indistinto. Solo gli occhi, grigi e fermi, esercitarono una qualche impressione su Clark.
— Temo di aver origliato la sua piccola conversazione con i nostri vicini di casa — disse. — E così, lei sarebbe il figlio di Joseph Rodman, eh? Stupido da parte mia non averla riconosciuta prima. E sì che avevo visto un mucchio di sue foto sui giornali! La voce dell'uomo era gentile, eppure vi si notava un tocco di ironia, come se lui trovasse piuttosto divertente l'argomento di Joseph Rodman e del figlio dell'industriale. — Non credo che abbia molto senso negarlo. Ormai, credo che lo sappia l'intero isolato — disse Clark. Fece una pausa, valutò l'uomo con lo sguardo e si chiese cosa ci fosse dietro l'espressione ferma e un po' ostile dei suoi occhi grigi. — Dovrei conoscerla? — Non vedo perché. Io non ho un padre che fa notizia. — Neppure un nome? L'uomo fece un rapido e disarmante sorriso. — Sicuro, un nome ce l'ho. Ted Steele. Porse a Clark una mano forte e sottile. — Siamo vicini di casa, lo sapeva? Io abito nell'appartamento proprio sotto il suo, anche se sarebbe meglio definirlo un buco. Certo che li pesta per bene i tasti della sua macchina per scrivere, vero? — La disturbo? Ted Steele scosse la testa. — Non sono quelle le cose che mi disturbano. — Perché, ce ne sono altre? — Sì. Ce ne sono parecchie che mi danno piuttosto fastidio. — L'uomo fece una pausa. Il sorriso svanì dal suo volto, e lui prese a fissarsi le scarpe piuttosto logore. — Le va di bere qualcosa? — Forse. Ted Steele alzò prontamente lo sguardo. — Sicuro che le va. All'improvviso, mi è venuta la certezza che lei ha voglia di bere qualcosa. Prese Clark per il gomito e lo guidò fermamente dentro casa. Visto che era sempre cronicamente in guardia contro gli sconosciuti, Clark prese in esame l'idea di liberarsi di quell'individuo, ma la curiosità ebbe la meglio sui suoi sospetti. Seguì Steele su per la tetra scala e attese che l'altro aprisse la porta dell'appartamento subito sotto il suo. Venne sospinto in una stanza non meno modesta della sua ma egualmente confortevole, dove regnava un'atmosfera tranquilla. Steele lo lasciò per ritirarsi in un cucinino, da cui tornò subito dopo con i bicchieri e il ghiaccio. Senza nemmeno consultare Clark, preparò due highball a base di whisky e ne porse uno al suo vicino.
— A noi due. Clark annuì e bevve. Steele si stravaccò su una delle poltrone e si appoggiò con il gomito al bracciolo, fissando Clark con un'espressione intensa. Il suo viso era astuto e sicuro di sé come i suoi occhi. — Dalla persistenza con cui batte su quei tasti, direi che lei è uno scrittore. È così? — Be', almeno ci tento. Steele prese a rigirarsi lentamente il bicchiere in mano. — Ho fatto anche altre deduzioni su di lei. Per esempio, recentemente l'hanno congedata dall'esercito con tutti gli onori. Forse ha riportato qualche lieve trauma dalla guerra e magari ha trascorso un breve periodo di tempo in ospedale, ma adesso è tornato come nuovo. — Sorrise. — Questa è una delle mie deduzioni da un milione di dollari. Be', lo ammetto, in fondo non è poi così difficile, quando si sa come fare. — E come? — chiese Clark, ancora sulla difensiva. — L'ho letto sui giornali. — Il viso di Steele si fece improvvisamente serio. Quei rapidi cambiamenti di espressione sembravano caratteristici in lui. — C'è qualcos'altro che sono in grado di dedurre. Qualcosa di più importante. Dalla sua recente e piccola sessione con il nostro amico Gene Folwell, mi pare di aver capito che lei è interessato al nostro mistero locale. — Cioè i Folwell? — Esatto. — Cosa le fa credere che ci sia un mistero sui Folwell? — chiese Clark. — Io li annuso, i misteri. Ho una specie di sesto senso, sa. E faccio un tipo di lavoro in cui doti come questa servono molto. — Steele guardò il ghiaccio nel bicchiere. — Sono pagato per essere sospettoso. — Fa il giornalista? Steele sorrise. — Un mestiere così deprimente? No, grazie. — Il poliziotto, allora? — Più o meno. A dire la verità, sono un agente della Buoncostume in incognito. Ma questo lo tenga per sé, la prego. Nessuno deve sapere niente. — La Buoncostume? Vuol dire che il suo comando l'ha distaccata qui per tenere d'occhio i Folwell? — Niente di così ufficiale. — Ora il sorriso di Steele era piuttosto blando. — Abito qui perché anche i poliziotti devono pur vivere da qualche parte, non le pare? I Folwell sono solo dei vicini di casa. — Allora perché è così interessato a loro? — chiese Clark con aria so-
spettosa. — Perché mi interessa tutto quello che è strano. E, almeno fino a oggi, ho scoperto tre cose molto strane sui Folwell. — Si riferisce in modo particolare alla ragazza? — chiese Clark, sentendosi a disagio sotto lo sguardo inquisitore dell'altro. — Anch'io l'ho notata. Sembra che non lasci mai l'appartamento, tra l'altro. Ho la sensazione che abbia paura di qualcosa... forse proprio di quel pidocchio di suo marito. — Ragazza in pericolo, eh? Si vede che lei è proprio uno scrittore, Rodman. — Steele sembrava divertito. — No, non sono affatto interessato alla signora Folwell. Ci sono un mucchio di ragazze che hanno paura, e ci sono anche un mucchio di ragazze che sono sfortunate nella scelta dei mariti. Se fosse tutto lì... — Che cos'ha notato, allora? — La prima cosa strana in quell'appartamento sono le luci. — Le luci? — Sì — mormorò Steele. — I Folwell usano le lampadine più brillanti che abbia mai visto. — E quésto che importanza avrebbe? — Una luce forte può avere due effetti. — Steele tolse il cellophane da un nuovo pacchetto di sigarette e lo porse a Clark. — O aiuta a vedere meglio o finisce per abbagliare talmente che uno diventa praticamente cieco. — Sciocchezze. Se hanno una illuminazione così potente, forse è perché Folwell se ne serve per la sua attività di fotografo. — Questo è perfettamente plausibile — ammise Steele in tono riflessivo. — Ma non si può certo spiegare in questo modo la faccenda della carta da parati. — Ora c'è anche la carta da parati? — chiese Clark. Steele si sporse in avanti, prese il pacchetto di sigarette e ne accese una. Poi alzò rapidamente lo sguardo. — Quando non hanno le tapparelle abbassate, riesco a vedere parte della parete del salotto. La tappezzeria è strappata in vari punti. Gli squarci sono piuttosto vistosi e irregolari. Col tempo, inoltre, mi sono accorto che aumentavano. — Il suo sguardo si fece molto serio. — Questa non le sembra una stranezza? Dopotutto, la signora Folwell ha l'aria di una persona tranquilla e raffinata. Mi riesce difficile vederla strisciare nel salotto per strappare la tappezzeria dai muri. Clark gli lanciò un'occhiata stupefatta. Stava per parlare, ma l'altro aggiunse rapidamente: — Il che mi porta direttamente al terzo punto. Mai notato il mobilio in quella casa? Io mi sono divertito a tenere d'occhio il
salotto quando sapevo che non c'era nessuno, eppure ho visto tavoli e sedie muoversi... muoversi da un posto all'altro senza che nessun essere umano li spostasse. — Inghiottì un sorso del suo drink. — Ecco perché sono così interessato ai Folwell, Rodman. Clark posò il bicchiere. — Non è che lei sia un po' matto, per caso, eh? — Non credo proprio. — Carta da parati strappata, mobili che si muovono... Come diavolo se lo spiega? — Non me lo spiego, ed è questo che mi preoccupa. Pensavo che forse lei si era formato una qualche ipotesi. Dopotutto, il suo appartamento è disposto in maniera più strategica del mio. Può vedere più cose. — Io non ho mai visto mobili muoversi. — Davvero? — Forse non sono mai stato abbastanza sbronzo. — Non mi crede? — Esiste qualcuno che potrebbe farlo? Steele batté lentamente sul bracciolo della poltrona. — Sì, se avesse un po' d'immaginazione. E io credevo che lei fosse un tipo provvisto di un minimo di fantasia, visto il mestiere che fa! — Trasse un sospiro. — Ma forse l'immaginazione non fa più parte del bagaglio espressivo dello scrittore moderno. Oggi va di moda il realismo, vero? Come in un rapporto di polizia. Be', peccato. Ma non importa. Non si può impedire a un uomo come me di indagare. E credo che continuerò a tenere d'occhio i Folwell per conto mio. — Se dovessi vedere qualcosa di abbastanza fantasioso, magari le manderò una cartolina postale — disse Clark. Steele sorrise. — Molto bene. Clark si alzò. — Temo proprio di dover andare. Grazie per il drink, comunque. Ancora una volta, il viso di Steele s'incupì. — Ascolti un consiglio da un vecchio agente della Buoncostume. — Cioè? — Riguarda le ragazze in pericolo, specie quelle attraenti. Quando uno è giovane, anche se ha già fatto una guerra e crede di esserne uscito abbastanza scafato, gli basta vedere una ragazza in pericolo... specie quando è attraente, ripeto... per far venire fuori il cavaliere errante che è dentro di lui. Forse la signora Folwell ha i suoi guai, ma lei non si lasci immischiare, mi dia retta.
— Cosa le fa credere che io voglia farlo? — domandò Clark con una certa irritazione. Steele scrollò le spalle. — Non ho detto questo. Le stavo solo dando un consiglio, ricorda? — Poi si toccò con l'indice una sottile cicatrice proprio sotto lo zigomo. — Una volta, nella mia impetuosa giovinezza, sono stato abbastanza cavalleresco da balzare addosso a un individuo che stava picchiando la moglie. L'ho steso a terra, certo, ma guardi un po' cos'ho rimediato per aver ficcato il naso negli affari altrui. — Il marito l'ha accoltellata? — No, non ha avuto il tempo. Era la moglie che aveva in mano il coltello. Ah, le donne, Rodman! Non dimentichi mai di cosa possono essere capaci le donne. Proruppe in una risatina. — Dopo aver ascoltato la conferenza, che ne direbbe di un altro drink? — No, grazie. — Clark fissò il suo enigmatico vicino. — Sta cercando di mettermi in guardia contro qualcosa? L'altro alzò tranquillamente lo sguardo. — E perché dovrei? Gene Folwell ha una decina di chili di vantaggio, a occhio e croce, ma lei è in forma migliore. Se doveste azzuffarvi, punterei i miei soldi su di lei. E, a parte Gene Folwell, non c'è niente di cui preoccuparsi, dico bene? Carta da parati strappata, luci troppo intense, mobili che si muovono... nulla che possa anche solo lontanamente disturbare un uomo che ha poca fantasia. Si alzò di scatto e tese la mano a Clark. — Peccato che non possa trattenersi. Forse ci rivedremo in giro. "Buona" notte. La voce di Steele era piuttosto normale, ma Clark aveva notato la leggera accentuazione posta sull'aggettivo. In qualche modo, si sentì vagamente a disagio. 3 Di nuovo nella sua stanza, Clark si spogliò e spense le luci. Prima di andare a letto, comunque, si mise per qualche secondo davanti alla finestra, sbirciando verso l'appartamento di fronte. La camera da letto di Laura era ancora immersa nelle tenebre, ma la finestra non schermata del salotto ora brillava di una luce molto intensa. Ed era una luce davvero vividissima, pensò Clark. Steele aveva ragione. Notò Gene e Harry Folwell che si muovevano intorno con in mano dei bicchieri.
Il suono della risata fragorosa di Gene coprì per pochi istanti il ronzio delle radio, il pianto dei bambini e i guaiti dei cani negli altri appartamenti. Come al solito, il vicinato echeggiava di rumori notturni. Clark stava per allontanarsi dalla finestra quando le luci nella camera da letto di Laura si accesero all'improvviso. Gene Folwell attraversò la soglia con un bicchiere in mano. Il marito di Laura era evidentemente ubriaco. Si diresse con passo malfermo verso il letto, dove la ragazza stava dormendo con un braccio intorno all'aureola scura dei capelli sul cuscino. Per un attimo, Clark vide Gene Folwell abbassare lo sguardo verso di lei, barcollando leggermente. Poi l'uomo inclinò deliberatamente il bicchiere e lasciò cadere una goccia di liquido sul viso della moglie. Clark notò le pesanti dita di Folwell tirare fuori un cubetto di ghiaccio dal drink e premerlo contro la nuda pelle di Laura. La ragazza ebbe un sussulto, e il suo movimento istintivo fece cadere il bicchiere dalla mano malferma del marito. Gene Folwell si lasciò cadere sul letto accanto a lei. Clark vide il disgusto sul viso della ragazza mentre Folwell tentava di abbracciarla, premendo con forza le sue labbra contro quelle di lei. Clark non riusciva a sentire le loro voci, ma in fondo non ne aveva bisogno. La vista in sé era già abbastanza nauseante. Laura si era liberata da quell'abbraccio disgustoso e adesso si era alzata. Sembrava piccola e inerme, di fronte alla figura massiccia del marito. E sembrava ancora più disperatamente inerme quando Gene prese ad avanzare vacillando verso di lei e, fallendo ancora una volta nel suo tentativo di cingerla, le afferrò un braccio e glielo girò dietro la schiena. Clark vide il biancore quasi infantile della pelle di Laura mentre la giacca del pigiama le scivolava dalle spalle; vide l'espressione di panico nel viso della ragazza mentre il marito aumentava la pressione torturante sul braccio immobilizzato. Gene Folwell la tirò con forza a sé, ridendo. Poi, mentre lei cercava di lottare, la risata sparì dal viso pesante dell'uomo e lasciò il posto a un'espressione maligna di collera. Gettò la ragazza sul letto, si chinò su di lei e la colpì con forza sulla guancia. Furente dall'indignazione, Clark accese la luce e aprì la finestra. Mentre lo faceva, sentì la voce sonora e carica di disprezzo di Gene Folwell apostrofare la ragazza: — ...come se me ne importasse qualcosa, poi. Dovresti inginocchiarti tutti i giorni della tua vita davanti a me e dirmi quanto mi sei grata. Non ho forse preso una donna che nessun cittadino decente in questo Paese avrebbe mai osato toccare nemmeno con un...?
Clark si sporse fuori della finestra e gridò: — Basta! Basta, Folwell! Poi si interruppe non appena vide lo sguardo confuso e addolorato sul viso di Laura. Lei rimase perfettamente ferma per qualche secondo, guardando verso Clark con occhi carichi di disperazione, poi si girò sull'altro lato del letto. Nel frattempo, Folwell si era diretto alla finestra e l'aveva spalancata. Clark vide l'espressione minacciosa e furente dell'altro. — E così, il nostro dannato eroe è di nuovo in scena, eh? — borbottò. — Bene, Rodman, io l'avevo avvisata, ricorda? Non mi piacciono gli spioni. Specie se sono miei vicini di casa! Con una risata da ubriaco, chiuse la finestra facendola sbattere e abbassò la veneziana. Clark rimase in piedi dove si trovava, afferrando il davanzale e sentendo crescere dentro di sé una collera incontenibile contro Folwell. Si era completamente scordato del suo cinismo, che aveva coltivato con tanta dedizione. E si era scordato anche degli enigmatici avvertimenti di Steele a proposito del fatto di non immischiarsi negli affari altrui. Comunque, era sicuro che quelli non erano solo affari altrui. Stava cominciando a capire che tipo fosse Gene Folwell. Quasi certamente, si era messo a brutalizzare con fredda deliberazione la moglie dopo aver abbassato la veneziana, e Clark si rese conto che le minacce rivoltegli dall'uomo in strada non erano semplici parole. Clark non si era mai sentito così dalla fine della guerra. Quella sensazione di rabbia impotente era la stessa che aveva provato prima in combattimento, quando i suoi amici cadevano intorno a lui, e più tardi in ospedale, quando gli erano diventati noti i particolari delle efferate crudeltà che i giapponesi avevano inflitto ai loro prigionieri. Non conosceva Laura Folwell. Non le aveva mai parlato. E siccome non voleva affrontare la realtà delle cose e chiamare con il suo vero nome quello che provava per lei, si disse che avrebbe reagito in quel modo alla vista di qualunque donna maltrattata. Però sapeva che non era così. Sapeva che Laura Folwell non lo aveva intrigato solo come scrittore, ma anche come uomo. Nonostante la finestra dell'appartamento di fronte ora fosse schermata, l'immagine del viso di lei indugiava ancora in modo ossessivo nella mente di Clark. Lo scrittore provò l'urgente desiderio di fare irruzione nella casa di fronte e dare a Folwell quello che si meritava... e al diavolo le conseguenze. Le luci nella stanza di Laura si erano spente pochi secondi dopo che
Folwell aveva abbassata la veneziana, ma Clark rimase alla finestra, cercando di controllare i battiti furiosi del suo cuore. Mentre era ancora lì, la finestra di fronte si aprì tranquillamente e lui vide il volto di Laura, pallido e ombroso, nell'oscurità primaverile. — La prego. — La voce di lei gli giunse quasi come in un sussurro. — Non resti più lì. — Ma... — La prego. — Fece un sorrisino. — Si prenderà un brutto raffreddore e la colpa sarà solo mia. Con voce sorprendentemente incerta, Clark disse: — Mi dia il verde e verrò subito a dare una lezione a quel farabutto di suo marito. — No, no. Non deve venire qui. — E lei crede che io possa assistere a uno spettacolo del genere senza muovere neanche...? — La prego, è tanto gentile da parte sua e io l'apprezzo molto, davvero, ma va tutto bene. — Lei fece una pausa e poi il suo mormorio giunse di nuovo a Clark. — Però può fare una cosa per me. — Quale? — Non dica niente a nessuno di quanto è successo. Se lo tolga del tutto dalla testa. — Lo vuole davvero? — Sì. Voglio che faccia così... e niente domande. È l'unico modo, mi creda. Ormai ho imparato a badare a me stessa. Con riluttanza, Clark sussurrò: — D'accordo, come desidera. Ma ricordi: se dovesse cambiare idea, io sono sempre qui. Non mi piacciono i tipi come suo marito, e quando qualcuno non mi piace, di solito non me ne sto con le mani in mano. I suoi occhi, che si erano abituati all'oscurità, ora videro con più nitidezza il viso della ragazza. Lei gli lanciò un sorrisino di riconoscenza. — Mi ero accorta di lei. Sapevo che stava nell'appartamento di fronte. — Adesso la voce di Laura era così pacata che lui la udiva a malapena. — È un sollievo sapere che c'è. Ma potrebbe solo peggiorare le cose se cercasse d'intervenire, perché... nessuno può fare niente. — Davvero? — Davvero. D'impulso, Clark aggiunse: — È così tremendo? — La vita è sempre tremenda, non le pare? Nessuno mi ha mi detto qualcosa di diverso, al riguardo. Be', buona notte.
— Buona notte. — Come si chiama? — Clark. — Buona notte, Clark. — Buona notte, Laura. Lei tirò indietro la testa e la finestra si chiuse prontamente. Poi calò il silenzio. Mentre stava ancora in piedi davanti alla finestra, Clark provò un'assurda sensazione di ilarità. Lei lo aveva notato e gli aveva detto che era un sollievo sapere della sua presenza, anche se si era opposta a ogni tentativo di porgerle aiuto da parte di Clark. Lo scrittore pensò a Gene Folwell e la sua collera si riaccese, e, insieme a essa, quel senso di frustrazione che l'accompagnava. A ventidue anni, Clark non aveva ancora imparato a restarsene inattivo di buona grazia. Moriva dalla voglia di fare a cazzotti con Gene Folwell, e intanto, con i suoi pensieri, ritornò ansiosamente a Laura. All'improvviso, sentì che qualcuno bussava piano alla porta del suo appartamento. Si voltò di scatto. Un altro colpo. — Chi è? — chiamò. — Ted Steele, l'inquilino del piano di sotto. — Cosa vuole? — Un vicino amabile aprirebbe la porta e mi farebbe entrare senza indugi. Clark trovò l'interruttore al buio, accese la luce e aprì la porta, lanciando uno sguardo ostile al suo visitatore. — Allora, cosa vuole? — Se ne stava seduto al buio, eh? Immagino che sia un'abitudine degli scrittori. Forse perché così si diventa più creativi? — Steele entrò nella stanza. — Mi spiace molto di fare irruzione qui dentro in questo modo, ma mi sono accorto proprio adesso di essere rimasto senza sigarette. E io sono uno di quei tipi che non possono fare a meno della nicotina, non so se mi spiego. Lasciatemi senza sigarette per trenta secondi e non sono più io. Non è che può prestarmene un pacchetto? — C'è un drugstore all'angolo — disse Clark. Steele sogghignò. — Ma l'angolo è piuttosto lontano. Clark si voltò e andò a prendere un pacchetto di sigarette dal tavolo. Steele lo seguì e prese subito il pacchetto, strappando il cellophane. — Grazie, Rodman. Spero di ricambiare il favore, una volta o l'altra. Poi prese una sigaretta dal pacchetto e, accendendola, osservò Clark da
sopra il fiammifero stretto nelle mani a coppa. — A proposito, già che sono qui, potrei anche confortarla con la mia considerevole saggezza. — Altri consigli? — chiese Clark con impazienza. — Sicuro. I consigli sono la mia specialità. Sono più bravo in questo genere di cose che nella mia attività professionale. Eccogliene uno, per esempio: mai destare il vicino che dorme, Rodman. — Lanciò il pacchetto di sigarette per aria e lo prese al volo. — È il mio motto. — Se è davvero il suo motto, che ne direbbe di metterlo in pratica? — disse Clark. — Lasciando dormire me, tanto per fare un esempio. — Lei è proprio uno scrittore sospettoso, vero, Rodman? — Credo di essere piuttosto lento nel farmi gli amici. Mi dia un po' di tempo. — Peccato, perché io sono un tipo molto socievole. Così socievole, in effetti, che non c'è nulla che mi piaccia di più di una bella chiacchierata. Specie se riguarda qualche pettegolezzo. E già che siamo in argomento... le ho mai parlato dell'uomo che aveva affittato questo appartamento prima di lei? — Si avvicinò a Clark. — Mai sentito niente su di lui? — Cos'avrei dovuto sentire? — Credo che il padrone di casa tenga la notizia piuttosto riservata — mormorò Steele. — Cosa vuole, nuocerebbe molto alla reputazione del posto. — I suoi occhi grigi indugiarono sul viso di Clark. — Il portiere mi ha detto che l'inquilino era un tipo simpatico. Più o meno della sua età, Rodman. Era una specie di straniero in città, ma non sembrava avere nemici. La polizia non è riuscita a trovare uno straccio di prova... — Ma di che diavolo sta parlando? — È successo alcune settimane dopo l'arrivo dei Folwell. — Steele indicò il punto in cui stava Clark. — Il precedente inquilino di questo appartamento è stato trovato qui, vicino alla finestra. Era morto... con quattro pallottole nel cervello. — Suicidio? — Con quattro pallottole in testa? — Allora è stato un delitto? — Già, un delitto. Clark lo fissò. — E lei sta cercando di farmi capire che i Folwell sono implicati in quell'omicidio? — Non ho detto questo. Ho detto solo che la cosa è successa un paio di settimane dopo il loro arrivo. A essere franchi, la polizia non ha fatto mol-
ta strada nelle indagini. Non c'era alcun movente che collegasse il morto ai suoi vicini, così il caso è stato archiviato come uno dei tanti misteri irrisolti. — Ma... — Credevo solo che le avrebbe interessato saperlo. — Steele si strinse nelle spalle. — Ma non si preoccupi troppo per questo. Grazie delle sigarette, comunque, e buona notte. Mentre si chiudeva la porta dietro di sé, Steele stava ancora giocherellando con il pacchetto. All'improvviso, Clark ricordò che aveva visto il suo vicino fare lo steso nell'appartamento di sotto, meno di un'ora prima. E allora Steele aveva con sé un intero pacchetto di sigarette. Tabagista incallito oppure no, Ted Steele avrebbe incontrato qualche difficoltà a fumare venti sigarette in meno di un'ora. 4 Clark Rodman passò una notte agitata. Mentre se ne stava sdraiato a letto tra il sonno e la veglia, le immagini di Laura e del marito si mescolarono con quella dello sconosciuto giovanotto che, come gli aveva detto Steele, una volta occupava l'appartamento di Clark. La visione del precedente inquilino volteggiava davanti a lui nell'oscurità. Lo vide steso vicino alla finestra, morto, gli occhi girati verso l'appartamento dei Folwell. Anche lui, come Clark, aveva cercato di protestare contro il brutale trattamento a cui Folwell sottoponeva Laura? Quei proiettili nella sua testa erano il risultato del fatto che il giovane aveva visto cose che non doveva vedere? Gli accenni di Steele al mistero che circondava Laura assumevano un nuovo e sinistro significato. Mentre si rigirava a letto, Clark si sentiva tormentare da un mucchio di domande senza risposta. Dopo la scena a cui aveva assistito, non vedeva l'ora di dare a Folwell quello che si meritava, eppure Laura gli aveva detto esplicitamente che un'interferenza da parte sua non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose per lei. Prese in esame l'idea di confidarsi con l'inquilino del piano di sotto, che gli aveva rivelato di essere un detective. Ma Clark non conosceva Ted Steele abbastanza da potersi fidare di lui. Gli effetti del trauma che aveva subito in guerra non erano ancora del tutto scomparsi, e quella situazione, composta da tanti elementi così incredibilmente sfuggenti, lo rendeva sempre più incerto. Se solo ci fosse stata qualche persona lucida e coraggiosa a cui si fosse potuto rivolgere!
All'improvviso, gli venne in mente lo zio Talbot. Erano passati tre anni da quando Clark aveva visto per l'ultima volta il suo famoso zio, il dottor Talbot Trask, di professione patologo, ma aveva saputo dalla madre che il fratello di lei spesso veniva consultato, anche se non ufficialmente, dalla polizia di New York. Forse lo zio Talbot sarebbe stato disposto a dargli un buon consiglio o, se non altro, qualche informazione in più. Un uomo nella sua posizione non ci avrebbe messo molto a scoprire tutto quello che era possibile su individui come Folwell e Steele, per non parlare poi dell'omicidio che era stato commesso nell'appartamento di Clark. Lo scrittore ricordò che gli era sempre stato simpatico quell'ometto dalla testa rossa e un po' scontroso che disprezzava i milioni del cognato, anche se con parte di quegli stessi soldi aveva attrezzato i laboratori per gli esami clinici che dirigeva. Nonostante significasse molto per lui rompere i legami con i vari membri della famiglia fino a quando non fosse riuscito ad affermarsi come scrittore, Clark adesso era pronto a sacrificare parte della sua privacy, se in quel modo fosse riuscito a dare una mano a Laura. Avrebbe incontrato il dottor Trask l'indomani. Il pensiero di suo zio Talbot era rassicurante, tanto che aiutò Clark a prendere sonno. Subito dopo colazione, la mattina dopo, chiamò i laboratori del dottor Trask in modo da fissare un appuntamento per quello stesso pomeriggio. Quando si sedette alla sua macchina per scrivere, cercò di non pensare all'appartamento di fronte, ma tutte le volte che sentiva un movimento nelle stanze dei Folwell, non poteva fare a meno di volgere lo sguardo in quella direzione. Non notò né Laura né il cognato di lei, ma la sagoma corpulenta di Gene Folwell era spesso visibile. Avvolto in una vecchia veste da camera, l'uomo continuava a passeggiare avanti e indietro per il salotto. Di tanto in tanto, sembrava prendere a calci qualche pezzo di mobilio piuttosto basso. Oppure tirava vigorosamente in giù la mano, come se cercasse di respingere qualcosa che gli si era impigliato nelle gambe. Quello strano comportamento destò la curiosità di Clark, che subito pensò alle incredibili osservazioni di Steele sui mobili che si muovevano. Un cagnolino, o forse un animaletto più esotico come una scimmia, avrebbero potuto spiegare i curiosi gesti di Gene Folwell. Una scimmia, per esempio, sarebbe stata sicuramente in grado di spostate i mobili. Ma Clark non aveva mai visto nessun cane sulla piccola striscia di tetto che si stendeva sul
retro dell'appartamento dei Folwell. E, sicuramente, sarebbe stato molto difficile non riuscire a vedere una scimmia dalla finestra, prima o poi. Eppure, mentre osservava i curiosi movimenti di Folwell, Clark era sicuro che nella casa di fronte ci fosse qualcosa. Il marito di Laura stava continuando a camminare avanti e indietro per la stanza con aria scontrosa. Poi si avvicinò alla finestra e Clark lo vide di profilo. All'improvviso, si girò e si mise a fissare qualcosa che doveva trovarsi sul pavimento. Nonostante la finestra fosse chiusa e Clark non potesse sentire nulla, vide le labbra di Gene muoversi come se l'uomo fosse in preda a un attacco di collera. La cosa rese Clark perplesso e aumentò quel senso di vaga ansietà che provava. Per la maggior parte della mattinata, Clark rimase seduto alla scrivania, cercando di pensare con tutte le sue energie a un nuovo racconto, ma non riuscì a combinare niente. Tenendo sempre sotto osservazione l'appartamento di fronte, a un certo punto vide che Folwell si stava vestendo per uscire. Pochi minuti dopo, colse una rapida immagine dell'uomo con la borsa degli arnesi fotografici che gli pendeva da una spalla. La piccola sagoma di Harry si unì all'altra e, subito dopo, i due uomini uscirono. Clark attese fino a quando non fu certo che non sarebbero ritornati; poi, con un brivido di eccitazione, aprì la finestra e chiamò: — Signora Folwell! Non ci fu risposta. Clark cercò di controllare le altre finestre del caseggiato di fronte. Una donna stava stendendo il bucato due piani più sotto, ma non c'era nessun altro in vista. Provò a chiamare di nuovo, con più forza: — Signora Folwell! Stavolta, lei venne alla finestra. La vista della ragazza lo eccitò profondamente. Sembrava bella come il ricordo che ne aveva, ma era un po' pallida e tirata. — No, Clark, non lo faccia — disse in tono supplicante. — Le avevo già chiesto di non intromettersi in questa faccenda. La prego, non mi chiami più. — Ma era solo per fare una chiacchierata tra vicini di casa. — Clark cercava di parlare in tono piuttosto faceto, ma gli riusciva difficile tenere la voce sotto controllo. — Non è sempre una buona idea conoscere i propri vicini troppo bene — replicò Laura. Anche lei cercava di essere spiritosa, ma senza successo. — Temo che... ehm... abbiamo fatto un po' troppo chiasso qui dentro. Chiedo scusa per il disturbo.
— Suo marito può fare tutto il chiasso che vuole, purché non le metta le mani addosso. — Clark fece una pausa, poi aggiunse rapidamente: — Laura, so che ieri sera lei mi ha detto di non immischiarmi in affari che non mi riguardano. Ma io vorrei tanto aiutarla. Lei gli lanciò un sorriso veloce e pieno di gratitudine, ma scosse la testa. — Non c'è niente che lei possa fare. Gliel'ho detto e glielo ripeto. Ma non si preoccupi. Io sono più forte di quanto non sembra, sa? — Ieri, però, non sembrava... — Le ho detto di dimenticarsi di ieri sera. — La voce di Laura Folwell era ferma. Poi lei fece uno strano sorriso, un po' rauco. — Non mi tratti come se fossi una povera fanciulla da salvare. Non ne vale la pena, davvero. — Non è lei che deve deciderlo. — Invece sì. — Laura esitò; poi, stringendosi stancamente nelle spalle, aggiunse: — È un giovanotto molto ostinato, vero? Ma non voglio più discutere con lei. Glielo dico per l'ultima volta: stia alla larga da me. — Perché? — Perché? — Gli occhi di lei si infiammarono all'improvviso. — Perché è pericoloso... pericoloso per lei e per me. Prima che Clark avesse il tempo di replicare, lei aveva già chiuso la finestra e se n'era andata. Quel rapido e insoddisfacente scambio di battute con la ragazza aumentò il desiderio di Clark di vedere lo zio. Dopo aver pranzato, andò in fretta ai laboratori del dottor Trask, che erano situati dietro uno dei più grandi ospedali di New York, in un quartiere persino meno alla moda di quello in cui viveva Clark. L'interno dell'edificio, comunque, era scrupolosamente pulito, nonostante l'odore che lo pervadeva e che era a un tempo dolce in modo nauseabondo e vagamente sinistro. Clark attese alcuni minuti in un corridoio dal pavimento a mattonelle fino a quando una giovane donna in camice bianco non lo raggiunse. Doveva aver corso, perché ansimava. — Se è la persona mandata dalla società di pompe funebri — lo apostrofò — le dico subito che non può ancora ricucire la signora Ellis. Il dottor Trask è convinto che sia stata avvelenata. — Temo di essere solo il nipote del dottor Trask — disse Clark con un sorriso. — Ho un appuntamento. — Oh, povera me, mi scusi! Non so se il dottore può ricevere visite, in questo momento. È... è in uno dei suoi soliti momentacci, sa.
Gli occhi della ragazza ebbero un guizzo nervoso. — I casi di morte naturale lo sconvolgono sempre, quando si è convinto che si tratta invece di omicidi. Ma aspetti qui fuori e vedrò quello che posso fare. Clark attese per quasi un'ora davanti alla porta indicatagli. Almeno in apparenza, lo zio Talbot era insofferente e collerico come sempre. E Clark ne era felice, in un certo senso. Se non altro, lo zio non gli avrebbe ricordato la classica figura del parente impiccione e petulante che invita i propri congiunti a cena, fa domande inopportune sulle loro abitudini personali e infine li lascia alla mercé di qualche cugina sgraziata. Dopo un po', Clark si stancò di aspettare. Spalancò la porta e si gettò a capofitto in un torrente in piena di insulti verbali. Un ometto dall'aria terrorizzante continuava a lanciargli occhiatacce e a inveire contro di lui. I capelli rossi, corti e ispidi, si rizzarono per la collera; gli occhi azzurri lampeggiarono in modo furibondo dietro gli occhiali dalle lenti opache. — Chiuda quella porta! — ordinò il dottor Trask, afferrando Clark per un braccio e accostando con malagrazia il battente. — Va bene, ma... — Non me ne importa niente dei suoi ma! E tenga la bocca chiusa finché non ho finito con questo cadavere! — Il dottor Trask sfogò la sua furia con un tizio alto in camice bianco, che gli stava pazientemente accanto. — Hai controllato tutti i veleni noti, eh? Vorrai dire piuttosto che hai controllato tutti quei veleni a cui ti avranno fatto pensare il tuo debole intelletto e la tua incredibile mancanza d'immaginazione! Mentre l'uomo cercava di difendersi senza molto successo dall'aggressione verbale del dottor Trask, Clark fece correre lo sguardo intorno alla stanza e notò un grande tavolo mortuario al centro del locale, dove diversi assistenti stavano lavorando in modo febbrile. Lì, visibile solo parzialmente dietro le loro sagome in movimento, c'era il corpo nudo di una donna. La vista del cadavere risvegliò in Clark alcuni degli spiacevoli ricordi di guerra che aveva cercato di dimenticare con tutte le sue forze e, nonostante cercasse di controllarsi, provò un violento desiderio di uscire di nuovo all'aria fresca. — Stricnina? Bah! — stava gridando il dottor Trask. — Arsenico? Questa è un'autopsia, non una festicciola per bambole! Un momento! — Si girò verso Clark con aria minacciosa. — Mi prenda quella bottiglia, giovanotto. Lei è abbastanza alto, mi pare. Clark obbedì, poi guardò lo zio versare del liquido dalla bottiglia nella provetta del test. Il dottor Trask sembrava uno strano medico dai capelli
rossi che eseguisse qualche rito vudù in una giungla africana. — Guardi questo esperimento, giovanotto — disse con una risatina sinistra. — Se il miscuglio diventa verde, vuol dire che quella donna sul tavolo è stata assassinata. E allora avrò individuato uno degli avvelenatori più intelligenti dell'intera New York City. Scosse il miscuglio con bramosia, ma il colore non cambiò. — Dannazione, eppure pensavo di averlo in pugno! — La collera del dottor Trask cedette il passo a una delusione quasi infantile mentre il medico si voltava verso l'uomo in camice bianco. — Va bene. Firmerò il referto, Wallace. Morte naturale. — Poi agitò furiosamente l'indice dove spiccava una selva di peli rossicci. — Ma non può essere andata così, badi bene. Quella donna dev'essere stata per forza assassinata, con un fegato in simili condizioni. Le sconfitte professionali sembravano avere un effetto benefico sul dottor Trask. Non appena Clark si presentò, l'ometto cambiò subito umore e divenne estremamente gentile. Spinse il nipote nel proprio ufficio privalo, dove un'apparecchiatura fotografica per dilettanti e vari arnesi medici erano sparpagliati senza il minimo ordine su tavoli e scrivanie, quindi si accomodò in una poltrona girevole dove prese a roteare da una parte all'altra con una velocità allarmante. — E così tu saresti il ragazzo di Mabel, eh? — chiese. — Ho saputo che ti sei fatto onore in guerra, anche se hai avuto qualche problema. Un trauma da combattimento, come li definiscono di questi tempi. Poteva capitare a chiunque. Ora ti sei ripreso? — Credo di sì. Il dottor Trask sorrise. — Ho ricevuto una lettera da Mabel. La conosci tua madre, no? Una letterina molto materna e preoccupata... praticamente illeggibile. Così hai deciso di non sfruttare la fortuna del tuo caro padre, dico bene? Preferisci la vita semplice e la scrittura creativa, se non mi sbaglio. — Diede un grugnito. — Con ogni probabilità, non avrai il minimo talento. Tutti i ragazzini con il moccio al naso credono di essere Shakespeare, oggigiorno. Ma questo non c'entra. Tu sai quello che vuoi e sei andato avanti per la tua strada. Mi piace. Anche se non hai talento, di sicuro sei uno con la testa sulle spalle. Fece girare di nuovo la poltrona e assestò una pacca sul ginocchio di Clark. — Tu hai scelto un lavoro più duro di quello di tuo padre, giovanotto. Lui si occupa di automobili, tu di persone. Quando si apre un'auto, si trova più o meno quello che ci si aspetta. Ma con la gente è diverso. — Si
massaggiò i peli rossi sul mento. — Ai miei tempi, giovanotto, io ho aperto più persone di quante tu non ne abbia mai salutate e... be', nessuna di loro è quello che ci si aspetta, quando la si guarda dall'interno. E sono tutte diverse l'una dall'altra. Capisci quello che voglio dire? — Sicuro. Il dottor Trask sorrise di nuovo. — In quella orribile lettera, Mabel mi ha chiesto di tenerti gli occhi addosso, magari di invitarti a prendere il tè di tanto in tanto. Il tè! Non ne prendo uno da anni. Né intendo importi a forza la presenza di un vecchio zio scorbutico. Perciò non preoccuparti, ragazzo mio. E ora, cosa posso fare per te? Clark si trovò ad apprezzare quello zio eccentrico e tempestoso. Con cautela, gli spiegò la ragione della sua visita, l'interesse che provava per lo strano modo di vita dei vicini e il desiderio che aveva di scoprire, magari per vie non ufficiali, quanto ne sapesse la polizia al riguardo. — Mi era noto che lavoravi per la squadra Omicidi, un tempo, e così credevo che potessi trovare il modo per passarmi qualche informazione. — Eccolo qui l'uomo che potrà aiutarti! — esclamò il dottor Trask, alzando lo sguardo verso un tizio dalla corporatura robusta e dai capelli grigio ferro che era appena entrato nell'ufficio. — Il tenente Jones, della squadra Omicidi, dice sempre che farebbe qualsiasi cosa per me, vero, tenente? — Certo, dottore — disse il nuovo arrivato con un sorriso allegro. — Ero giusto venuto per vedere il referto della sua autopsia su quella donna, la Ellis. — Morte naturale — sbottò il patologo, pronunciando le parole come se quel referto fosse una specie di affronto personale. — Ma stia sicuro che con la prossima morte sospetta, le cose andranno molto diversamente. — Scosse di nuovo l'indice davanti a sé. — Si ricordi che centinaia di persone vengono assassinate a New York senza che voi stupidi poliziotti sospettiate mai di niente. Perciò si risparmi pure quell'espressione soddisfatta. — Ma io sono soddisfatto per l'esito del suo referto, dottore — disse il tenente, lanciando un'occhiata ammiccante a Clark. — Se lei dice che è morte naturale, sappiamo che non può essersi trattato di omicidio. Ci ha risparmiato un bel mucchio di lavoro e gliene siamo grati. — E allora mi mostri la sua gratitudine aiutando questo mio giovane nipote — borbottò il dottor Trask. — Non so cosa voglia di preciso, anche se mi sembra che abbia tutte le intenzioni di giocare all'investigatore. Credo che abbia bisogno di un po' di assistenza professionale.
Il tenente Jones ascoltò con attenzione mentre Clark gli parlava di Gene Folwell, di Ted Steele, il quale aveva sostenuto di essere un detective, e dell'omicidio che si era verificato nel suo appartamento. — Capisco — disse il tenente. — Bisogna che venga fatto tutto con discrezione, eh? Perché lei non vuole che la sua preda si spaventi. — Strizzò l'occhio a Clark. — Be', sarebbe irregolare, ma dato che suo zio è così importante per noi, vedremo di fare uno strappo alla regola. Cercherò di farle avere un rapporto non appena possibile. Dopo essersi annotato il numero di telefono di Clark, il tenente si rivolse al dottor Trask. — Oggi, all'obitorio, è arrivato un altro cadavere non identificato, dottore. Un uomo morto annegato. — Il tono di voce del tenente Jones era leggermente faceto. — Forse è meglio che ci dia un'occhiata. Non vorrei mai che fosse il suo amico professore. — Il professore! — abbaiò lo zio Talbot. — La scorsa settimana mi avete trascinato all'obitorio un mucchio di volte per ispezionare cadaveri che non potevano essere il professore più di quanto non possa esserlo lei. Pare proprio che l'obitorio sia popolato da una massa di autentici imbecilli. Non sanno distinguere un uomo che è stato in acqua da sei mesi da un altro che ci è stato sei minuti. — Be', non se la prenda con me — disse il tenente, sempre di buonumore. — Noi sappiamo solo che il professore è un uomo di mezza età e che è morto da alcuni mesi. Non è un gran che come descrizione, no? Mentre si avviava alla porta, strizzò di nuovo l'occhio in direzione di Clark. — Una bega personale — mormorò. — Il professor Barraclough se l'è svignata mentre era libero su cauzione. E i soldi li aveva versati il dottore: cinquemila dollari. Credo che suo zio voglia guardarsi bene in giro e accertarsi che sia morto davvero. Clark passò qualche altro momento sgradevole in compagnia dello zio, in quanto il dottor Trask tornò sull'argomento dello scrivere e sulle ambizioni del nipote. — Non c'è nulla come l'entusiasmo — disse l'ometto non appena Clark si alzò per andarsene. — Tu non guadagnerai niente dal tuo mestiere, ma che importa? A tuo padre non dirò dove vivi, e nemmeno a mia moglie. — Grugnì. — Ti inviterebbe subito a cena e finirebbe per avvelenarti con una di quelle assurde diete che sta seguendo attualmente. Sogghignò e poi aggiunse in tono più serio: — Ma non ficcare il naso nelle faccende altrui. L'aumento dei crimini violenti è stato terrificante dal-
la guerra, e i figli dei ricchi sono ottimi bersagli. Sorrise di nuovo mentre stringeva la mano di Clark nella sua. — La prossima volta non vorrei trovarti steso su quel tavolo che abbiamo nella stanza accanto, sai. 5 L'incontro con lo zio Talbot era stato molto stimolante. Clark provò una sensazione di grande benessere dalla fresca aria primaverile, dopo aver respirato così a lungo nell'atmosfera opprimente e surriscaldata del laboratorio. Lo scrittore si diresse a casa, convinto in cuor suo di avere fatto un passo avanti. Non sapeva se fosse riuscito o meno a trovare un modo per aiutare Laura, ma di sicuro non aveva fatto nulla per peggiorare la situazione. Aveva quasi raggiunto la porta del caseggiato in cui abitava quando vide in piedi all'angolo del marciapiede, proprio davanti a sé, un ragazzino che vendeva mazzi di violette. La vista di quei piccoli fiori primaverili spostò i pensieri di Clark nuovamente su Laura. D'impulso, lanciò al ragazzino una moneta da venticinque cent e gli disse di recapitare un mazzo di fiori nell'appartamento dei Folwell. Poi prese personalmente in consegna il vassoio delle violette e rimase in attesa mentre il ragazzino si metteva in moto per obbedire agli ordini che aveva ricevuto. L'attesa durò qualche minuto. Una vaga sensazione di inquietudine cominciò a impossessarsi di Clark. Poi, all'improvviso, la porta dello stabile in cui abitava Laura si aprì e il ragazzino scese di corsa i gradini del portico, le guance bianche come il gesso. Sembrava essersi completamente dimenticato sia dei fiori sia di Clark. Senza guardare né a destra né a sinistra, cominciò a correre alla cieca lungo il marciapiede. Con alcuni, rapidi balzi, Clark lo raggiunse in pochi secondi e lo afferrò per un braccio. — Ehi, piccolo! Hai dimenticato i fiori. Il ragazzino si volse e lo fissò. Stava piagnucolando, e i suoi occhi erano dilatati dalla paura. — Si può sapere che diavolo ti succede? — gli chiese Clark. — L'hai consegnato, quel mazzolino? Il ragazzo annuì senza parlare. — C'era la signora Folwell?
Il ragazzo annuì di nuovo. — E allora cos'è successo? C'era un uomo lì? Un uomo che ha cercato di colpirti? — Un uomo! Non c'era nessun uomo in quella casa. — Le parole uscirono a fatica dalla bocca del ragazzo. — E nessuno mi ha fatto del male. È stata una cosa che ho visto. L'ho vista strisciare dietro la gonna della signora. E mi ha fatto una faccia strana. Non... non era niente di umano. — Che cosa non era umano? — Quella cosa lì. Era una specie di diavolo, davvero! — gridò il ragazzino. Poi liberò a forza il braccio dalla stretta di Clark, riprese il vassoio e si eclissò senza perdere un secondo. Per un po' Clark rimase a guardarlo, poi si volse e risalì i gradini del portico della casa dei Folwell. In pochi minuti, raggiunse l'ultimo piano e bussò alla porta. Sentì la voce di Laura quasi subito. Lei chiamò in tono nervoso: — Chi è? — Clark Rodman. Posso entrare? La porta si aprì per metà. Laura stava in piedi sulla soglia. Si era appuntata il mazzolino di violette sull'abito. La ragazza vide lo sguardo interrogativo sul volto di Clark e gli fece un sorriso che però sembrava un po' troppo casuale per essere convincente. — È stato molto gentile da parte sua mandarmi le violette. Esitò, poi afferrò Clark per un braccio e lo fece entrare. Quindi chiuse la porta e vi si appoggiò con la schiena. — Non doveva venire. Le avevo chiesto di non farlo. I vicini ci vedranno, e mio marito... — Al diavolo suo marito! C'è qualcosa qui dentro che ha spaventato a morte quel ragazzo, e io voglio scoprire di che si tratta. — Poverino. — Laura stava ancora guardandolo e cercava di comportarsi con grande calma. — È stato tutto uno stupido errore. L'ho portato in cucina per dargli un biscotto, e lui ha visto... be', se aspetta un attimo, lo mostro anche a lei. Lo fece passare attraverso il salotto e lo condusse in un cucinino. — Vede? — Indicò una grande fotografia posata sul tavolo. — Mio marito fa l'operatore di cinegiornali, soprattutto, ma è anche un fotografo molto brillante. Al momento, sta tentando alcuni esperimenti per una rivista piuttosto orribile che si chiama "Non leggetelo di notte". Lascia gli ingrandimenti dappertutto. Non mi meraviglia che il ragazzino si sia spaventato.
Alcune di quelle foto spaventano anche me. Clark guardò la fotografia. Era la cosa più grottesca che avesse mai visto. C'erano dei corpi semiumani, ma un po' confusi e sfuocati, che turbinavano in una specie di composizione surreale, mentre in primo piano spiccava un solo viso... un viso rotondo e dalle guance paffutelle, non molto diverso da quello di un bambino, eppure contorto in un'espressione di oscena malevolenza. Per Clark era ovvio che il lavoro che Folwell svolgeva nel suo tempo libero era tutt'altro che rispettabile. C'era qualcosa di anormale e di perverso in quelle figure, e doveva esserci qualcosa di egualmente anormale e perverso nelle riviste che le pubblicavano. "Non leggetelo di notte" era sicuramente una pubblicazione che si rivolgeva solo agli impulsi più bassi e sadici dell'animo umano: una di quelle riviste pornografiche che i librai della Sesta Avenue estraevano da sotto il bancone per i clienti speciali. Clark non era un moralista, ma provava un normale disgusto per le perversioni, specie quando implicavano una vera e propria deformazione del gusto. E non c'era nulla di bello o di artistico negli studi fotografici di Gene Folwell. Gli diede un senso di orrore pensare che Laura era obbligata a vivere in un'atmosfera simile. — È piuttosto pauroso, credo — disse in tono lugubre. — Ma suo marito come fa a produrre effetti del genere? Sono fotomontaggi? — Oh, non saprei proprio. So solo che c'è un nuovo fantastico procedimento di cui si serve — disse Laura con un sorrisino — però io non ci capisco molto. — Già, ma i modelli? Perché ci saranno pure dei modelli, no? — Certo che ci sono. A volte, qui dentro viene la gente più orribile. E le pose che inventa Gene... S'interruppe con un sorriso forzato, ma Clark colse un lampo di momentaneo disgusto e di paura nei suoi occhi, mentre lei gli faceva segno di seguirla. Lo guidò in salotto e cominciò a parlare rapidamente dei vari esperimenti fotografici del marito. Clark capì dall'esitazione nella voce della ragazza che lei stava tentando disperatamente di comportarsi come una moglie normale che discutesse di un marito altrettanto normale. In breve, stava facendo del suo meglio per convincere Clark che non c'era nulla di strano in quella casa. Indicò alcuni curiosi meccanismi che erano disseminati lungo la stanza.
— Gene lascia i suoi strumenti dappertutto. Forse avrà notato che a volte usiamo luci molto brillanti; questo perché mio marito sta sperimentando alcuni speciali processi per scattare fotografie negli interni. — Agitò la mano verso una porta che dava nella parte più lontana dell'appartamento. — Lì tiene la camera oscura e una specie di laboratorio. A volte mi chiama per dargli una mano, ma lo fa solo quando ci sono da svolgere compiti di ordinaria amministrazione. Per le altre cose non si fida di me. — Di nuovo quel sorrisino secco e privo di allegria. — Sembra una specie di museo, vero? Clark non rispose. Non aveva nemmeno sentito quello che aveva detto la ragazza, perché i suoi occhi stavano esaminando le pareti della stanza. Ted Steele non si era sbagliato parlandogli di quelle strane luci; e non si era sbagliato neppure su qualcos'altro. La carta lungo tutti i muri era stata strappata a un'altezza di circa novanta centimetri dal pavimento. E un po' più in alto, sopra ciascun mobile, si vedevano degli strani segni zigzaganti. Laura parve aver indovinato il tenore dei pensieri di Clark, perché disse all'improvviso: — Non è orrenda, quella tappezzeria? Gene usa un certo acido in alcuni dei suoi processi, ed è incredibilmente sbadato. Quando un esperimento non gli riesce, perde la pazienza e comincia a lanciare i suoi prodotti in giro per la stanza. E, naturalmente, le pareti si rovinano. Visto che Clark non intendeva andarsene, lei lo afferrò di nuovo per un braccio e lo condusse nella piccola veranda, schermata dagli occhi indiscreti dei vicini perché i pannelli erano di vetro smerigliato. Lei si accomodò in una sedia di stoffa e, con un gesto, lo invitò a sedersi in un'altra. — Questo è l'unico posto della casa che non sia pieno di attrezzature fotografiche — disse. — Mi piace starmene seduta qui. Per qualche secondo, Laura rimase in silenzio. Poi si sporse in avanti, inumidendosi le labbra. Quando parlò, sembrava una bambina nell'atto di recitare una parte che fosse stata costretta a imparare a memoria. — Devo scusarmi con lei, Clark. Temo di essermi trasformata ai suoi occhi in una specie di donna del mistero. E credo anche che lei si preoccupi per me, immaginando magari chissà quali cose. Ma non c'è niente di strano, davvero. Clark le restituì lo sguardo con fermezza. — Questo lo ha già detto anche prima. Ricorda? La ragazza gettò all'indietro la testa. — E continuerò a dirlo, se necessario. Lei non avrebbe mai dovuto accorgersi di quello che è successo ieri sera. È stato stupido da parte mia dimenticarmi di chiudere le imposte. Mio
marito è un uomo piuttosto focoso e, quando beve molto, diventa un po' difficile. Ma... — e fece un sorriso radioso — ieri sera ho perso la testa e mi sono comportata come una povera sciocca. Non c'è nulla di tanto tenibile nell'avere un marito che beve, sa. Molte mogli hanno cose ben peggiori di queste da sopportare. — Ma io ho sentito quello che le ha detto suo marito, ieri sera — insistette Clark. — Quelle stupidaggini sul fatto che lei dovrebbe inginocchiarsi tutti i giorni davanti a lui ed essergli grata... Laura sbiancò in viso. — Ed è vero. Devo essergli grata per avermi sposato. Non esiste nessun altro uomo in America che avrebbe... Ma non posso spiegarglielo. Non me lo chieda, per favore. Clark si alzò. Si avvicinò alla ragazza, le prese le braccia e la guardò negli occhi scuri e supplicanti. — Lo so che non ho il diritto di intromettermi — dichiarò — ma sono sicuro che lei non mi dice la verità solo perché lei è una ragazza molto coraggiosa e vuole tenermi lontano dai guai. D'accordo. Questo lo capisco. Ma c'è un'altra cosa. Io non sono un completo imbecille. E mi riferisco alla cosa misteriosa che ha spaventato il ragazzino. Lui mi ha detto di averla vista strisciare dietro la sua gonna. Perciò so che non si è trattato della fotografia. E so anche che l'acido non avrebbe mai potuto lacerare la tappezzeria in quel modo. Per quanto riguarda suo marito, poi, non cerchi di presentarmelo come se fosse una persona normalissima. Io ho una certa esperienza in fatto di esseri umani, e so riconoscere un tipo subdolo quando lo incontro. — Si avvicinò alla ragazza. — Perché non ti fidi di me, Laura? Non capisci che io sono qui per aiutarti, che tu lo voglia o meno? Perché non mi usi, ora che sono qui per te? Perché continui a mentirmi? Per un attimo lei rimase perfettamente immobile, il viso proteso verso quello di lui e le labbra semiaperte. Sembrava vittima della stessa intensa emozione che cercava disperatamente di negare. Poi, molto lentamente, si sciolse dall'abbraccio di Clark. — E anche se mentissi? — sussurrò. — Non capisci che voglio che tu mi creda? Non capisci che questo è l'unico modo? Non voglio che un'altra persona venga coinvolta in questa storia. Clark prese la mano di lei nella sua. — Non sto cercando di metterti con le spalle al muro. Se non vuoi confidarti con me, va bene. Ma io non me ne andrò da qui fino a quando non avrò scoperto una cosa. Sei davvero in pericolo? — Pericolo? — Laura lo fissò dritto negli occhi. — D'accordo, ti dirò la
verità. Io non corro nessun vero pericolo. Ma un pericolo potrebbe esserci per te. Tu sei figlio di un uomo molto ricco, no? Be', una volta anch'io ero figlia di un ricco. E mio marito non è esattamente una persona piacevole quando si trova di fronte a gente piena di soldi, sai. — Non me ne importa un accidente di quello che potrebbe farmi tuo marito! — esclamò Clark. — So badare a me stesso, non temere. Ma la verità è che perdo il sonno, quando penso che tu te ne stai chiusa in questo buco tutto il santo giorno e non hai nessuna amicizia. Sono preoccupato, davvero. Vuoi fare un compromesso con me? Se la smetto di farti un mucchio di sciocche domande, mi permetti di venire a trovarti, qualche volta? Solo una visita di carattere sociale, niente di più. — Dici sul serio? — Gli occhi di Laura si accesero, poi la sua espressione s'incupì di nuovo. — No, temo che sia impossibile. — Non c'è niente d'impossibile. — Gene è incredibilmente geloso. Te ne sarai accorto anche tu, no? E i vicini noterebbero tutto. Se qualcuno ti vedesse mentre vieni qui e andasse a informare Gene... — Un momento. — Lo sguardo di Clark si era spostato sulla striscia di tetto all'esterno della veranda. Il crepuscolo si era infittito, ormai, ma lo scrittore riuscì lo stesso a individuare il profilo di una scala appoggiata ai piedi di un gruppo di camini. — La vedi quella scala? — La scala? Sì, l'hanno lasciata gli imbianchini. Clark le volse le spalle. — Mi permetteresti di venire da te, se i vicini non si accorgessero di nulla, vero? — Proruppe in una risata rauca. — Non preoccuparti. Forse ero un lupo nell'esercito, ma adesso sono diventato un bravo ragazzo. Laura sembrava incredibilmente giovane. Sporgendosi in avanti, gli prese una mano. — Sì. È una risposta orribile da parte mia, lo so; ma sì, lo permetterei. Clark sorrise. — Bene. — Però... — Dicevamo della scala. I due appartamenti sono molto vicini, perciò non dovrò far altro che usare la scala a mo' di ponte e poi passarci sopra. Di notte, non mi vedrà nessuno. — Clark, lo pensi davvero? — È un gioco da ragazzi. Vuoi che faccia un esperimento subito? — No, no, certo che no. D'accordo. Vieni a trovarmi, qualche volta. Ne sarei molto contenta. — Fece una pausa. — Non so dirti cosa si prova ad
avere un... un vero amico. — Amico! — Clark si alzò. — Non ti pare di sottovalutarmi un po'? Saresti sorpresa, se sapessi quanto ha pensato a te negli ultimi tempi questo tuo povero vicino. Ho scritto persino un racconto con un personaggio ricalcato sul tuo. — Un racconto? — Laura lo guardò con i suoi grandi occhi scuri, parzialmente incredula. Poi proruppe in una risatina amara. — Vorrei leggerlo. Sarebbe interessante sapere quanto differisce la finzione dalla realtà. — Non credo che lo apprezzeresti molto. L'ho scritto prima di conoscerti e ho un po' falsato la tua personalità. In effetti, credo di averti dipinta come un personaggio piuttosto patetico. — E non credi che io sia così? Clark scosse la testa. — Hai troppo fegato per essere patetica, ricordalo. Laura fissò all'esterno, verso i tetti che stavano oscurandosi. — Forse non è così. Forse è più vero il punto di vista che hai espresso nel racconto. — Be', lascia che te lo legga, così saprai. Che ne diresti di domani sera? Tuo marito e suo fratello saranno qui? — Torneranno tardi. — Allora siamo intesi? — Va bene. — Userò la scala. — Clark sorrise. — Spero di non aver dimenticato come si fa. Poi le prese la mano e la tenne stretta per un lungo attimo. — Grazie, Laura. E ciao, per ora. — Ciao, Clark. Sentendosi assurdamente felice, Clark uscì dalla veranda ed entrò nella zona piatta del tetto. Quindi prese la scala e ne posò un'estremità sull'altro lato, colmando il piccolo divario che separava le due case. Mentre passava da una parte all'altra, lanciò un'ultima occhiata a Laura. Lei si era voltata e ora stava dirigendosi verso la porta della camera da letto. Il viso della ragazza era in penombra, ma Clark le aveva visto comparire nelle mani un fazzoletto bianco. Con un improvviso e sconcertante senso di inquietudine, si rese conto che Laura stava piangendo. 6 Era piuttosto tardi quando, quella stessa sera, Clark sentì bussare piano
alla sua porta. Corse ad aprire. — Chi è? — Harry Folwell — sentì mormorare dall'altro lato del battente. — Ho un messaggio per lei. Con una certa diffidenza, Clark aprì la porta. Il minore dei due fratelli Folwell entrò, assumendo un'espressione contrita e annusando l'aria come un topo in laboratorio. — Salve, Rodman. Non è che ha per caso qualcosa da bere, eh? Clark andò a prendere del whisky e un bicchiere dalla cucina. — Ecco qui. Allora, cosa vuole da me, Folwell? — Laura è preoccupata. — Harry Folwell si versò un mezzo bicchiere di rye. — E io non sono sicuro che non abbia ragione di esserlo. — I suoi occhietti si fissarono di proposito su Clark. — Non è stata Laura a mandarmi qui, però io ho capito che lei è andato a trovarla, oggi pomeriggio. E quando le ho detto che cosa avevo notato, lei ha pensato... S'interruppe. — Che cos'ha pensato? — chiese Clark con impazienza. Fino a quando non avesse avuto prova del contrario, lui avrebbe continuato a considerare quell'ometto, insieme a Gene Folwell, come uno dei nemici di Laura. — C'è un uomo in questa casa — mormorò Harry Folwell. — Si fa chiamare Steele. Sa qualcosa su di lui? — Perche? — C'è una ragione, e le assicuro che riguarda il suo stesso bene. Allora, sa qualcosa su di lui? — A me ha detto di essere un agente in incognito della Buoncostume — rispose Clark. — Sia qui e tiene gli occhi aperti per... per evitare che capitino cose spiacevoli nel vicinato. Harry Folwell si lasciò cadere su una sedia, gli occhi fuori dalle orbite. — Le ha detto che è uno sbirro? — chiese. — Allora dev'esserci per forza qualcosa sotto. — Si sporse in avanti con aria confidenziale. — Stia a sentire, Rodman. Col mio lavoro, io ho imparato a conoscere tutti i poliziotti della città, capisce? Potrei snocciolarle i loro nomi alla rovescia e riconoscere tra cento persone in un confronto all'americana uno qualunque degli agenti di New York. Steele non è un poliziotto, glielo assicuro. Clark pensò ai sospetti che già nutriva sulla veridicità dell'uomo che stava nell'appartamento sotto il suo. Lanciò un'occhiata incuriosita a Harry Folwell. — E se anche mentisse? Un uomo ha tutto il diritto di mentire, no?
Harry inghiottì il resto del whisky nel bicchiere e se ne versò dell'altro. — Sa che quel tipo la segue? Me ne sono accorto già da tempo. Ecco perché Laura si è preoccupata quando gliel'ho detto. Lei è andato a trovarla oggi pomeriggio, vero? Be', quello Steele l'ha pedinata. E la stava seguendo anche ieri. Clark batté le palpebre. — Mi stava seguendo? E perché diavolo avrebbe dovuto farlo? — Mi ascolti, amico, lui lo sa che lei è il figlio di Joseph Rodman? Clark annuì. — Sì, grazie a suo fratello. Steele era lì sulla strada quando voi due avete tentato di scattarmi quella foto. — Allora stia alla larga da lui. Questo non è un quartiere molto raccomandabile per i figli dei milionari. È da un po' che tengo d'occhio Steele e non sarei sorpreso se tentasse di giocarle qualche scherzetto. — Harry Folwell sporse un braccio all'infuori con una certa enfasi, ma non pareva molto sicuro nei movimenti. — Non sono affari miei, lo so. Non gliene avrei neanche parlato, se Laura non si fosse preoccupata. Il visitatore di Clark bevve un altro sorso di whisky e all'improvviso si piegò in avanti. — Suppongo che lei non abbia molta stima di me, Rodman. Tanti la pensano in questo modo, ma io non sono così insignificante come sembro, glielo assicuro. E non me la sono affatto presa perché mi ha rovinato la macchina fotografica, l'altra sera. L'idea di scattare quella foto era venuta a Gene, non a me. Io sono perfettamente d'accordo col fatto che lei voglia salvaguardare la sua privacy. — L'ometto occultò il proprio imbarazzo nascondendosi dietro il bicchiere di whisky. — Ora so che non c'è stato niente di illecito tra lei e Laura, perciò è inutile tirare ancora in ballo l'argomento. Però forse farebbe meglio a guardare dove va, glielo suggerisco da amico. Gene è geloso come il diavolo. Non che sia uno stinco di santo, questo lo so. A volte, forse, si comporta in modo un po' rude per una ragazza raffinata come Laura, ma con me è molto buono. Ed è sempre stato generoso con tutta la sua famiglia. — Già, lui mostra la sua bontà in un modo molto affascinante. Picchiando la moglie e non lasciandola mai uscire di casa. — Non lasciandola mai uscire di casa? — gli fece eco Harry. — Ma è Laura che non lascia mai l'appartamento, perché non vuole. E non lo vorrebbe nemmeno lei, se avesse passato i guai che ha passato quella povera ragazza. Se la sentirebbe di affrontare il mondo, sapendo che tutti... — S'interruppe di colpo. — Ma queste sono faccende private. Non dovrei
nemmeno parlarne. E — aggiunse — comunque la pensi io, devo sempre prendere le parti di Gene. Lui è molto attaccato ai suoi due fratelli. Lo sapeva. — Due fratelli? — Già, proprio così. — La voce di Harry Folwell cominciava a diventare meno nitida per effetto del whisky. Un sorriso vacuo, quasi ebete, gli comparve sulle labbra. — Lei forse penserà che sono un omuncolo, Rodman, ma ho un fratello che... Be', io sono una specie di gigante, paragonato a lui, come Gene lo è al mio cospetto. E Gene si prende cura anche di lui. Ecco perché... a volte guardo dall'altra parte, quando non si comporta in modo così gentile come dovrebbe comportarsi un marito. Prosciugò il bicchiere e si alzò con passo malfermo. — Grazie per avermi ricevuto, e grazie anche del whisky. — Un guizzo di apprensione gli oscurò improvvisamente lo sguardo, come se l'uomo avesse detto più di quanto non si era proposto. — Non c'è bisogno che informi Gene della mia visita — borbottò. — E non gli parli nemmeno del nostro fratellino. Gene non è un furfante come Steele, ma sa essere un po' ruvido, a volte. — Me l'ha già detto. — Già. E glielo ripeto: Gene è un duro. — Harry Folwell fissò Clark, cercando di mettere a fuoco l'immagine. — Ah, riguardo a Steele... Le ho parlato di Steele? — Sì. — Stia a-alla larga da Steele. Quello è un imbroglione. Laura è prepreoccupata. Lei le vuole bene. Lo so. E anch'io io voglio bene a Laura. Una brava ra-ragazza. Faccia qualcosa per lei. — Farò tutto quello che posso, eccetto che fingere di non vedere quando suo marito la malmena. — Gene è un buon ragazzo. Un ottimo fra-fratello. Qualunque cosa cacapiti, io starò dalla sua parte. Tese la mano a Clark. — Arrivederci, giovanotto. Stia bene. E non si faccia fregare da quello Steele. — Arrivederci. Harry Folwell si mosse con passo incerto verso la porta e, dopo aver agitato la mano in cenno di saluto, se la chiuse alle spalle. Poco dopo la visita di Harry Folwell, Clark Rodman andò a letto. Adesso che non era più sotto l'incantesimo della presenza diretta di Laura, si rese conto che le cose stavano facendosi sempre più complicate. Steele lo
aveva messo in guardia contro i Folwell. E ora Harry Folwell lo aveva messo in guardia contro Steele. Se l'uomo al piano di sotto non era un detective, a che gioco giocava? Possibile che lo pedinasse sul serio? Perché Harry si era comportato in modo così strano quando aveva parlato dell'altro fratello? E qual era la tragedia nel passato di Laura a cui sia la ragazza sia il cognato avevano fatto cenno? Come se questi problemi non fossero già abbastanza, c'era sempre l'inesplicabile mistero dell'uomo assassinato in quell'appartamento; l'uomo che era stato trovato alla finestra con quattro proiettili nel cervello. Fu con sollievo che Clark pensò alla figura del tenente Jones, il poliziotto dai capelli grigi che gli ispirava una grande fiducia. L'indomani, forse, avrebbe spedito il suo rapporto a Clark, e con tutta probabilità alcuni dei misteri sarebbero stati risolti. Dopo un po', Clark scivolò nel sonno. Ma si svegliò a un'ora imprecisata. Nonostante si rendesse conto che c'era qualcosa di strano, la sua mente, impigrita dal sonno, faticò a raccapezzarsi. C'era stato un rumore da qualche parte; un rumore che non era semplicemente uno di quei suoni notturni che a volte si sentivano in una zona affollata come la sua. Clark si drizzò a sedere nel letto e cercò di scuotersi. Poi io sentì di nuovo e capì subito di cosa si trattava. Qualcuno stava muovendosi con passi furtivi sulla striscia piatta di tetto all'esterno della sua finestra. Senza accendere la luce, scivolò fuori dal letto e si gettò una veste da camera sulle spalle. Poi si diresse verso la finestra e sbirciò all'esterno. La luna era sorta in cielo e gettava raggi sinistri sul panorama formato dai camini e dai tetti. Per un attimo, Clark non riuscì a distinguere niente nelle ombre quasi impenetrabili. Poi, a poco a poco, mentre i suoi occhi si abituavano alla mezza luce, scorse una vaga figura appollaiata sul bordo del tetto. Il suo primo istinto fu quello di lanciare un urlo di richiamo, ma lo represse. Se la misteriosa persona si fosse spaventata, poteva darsela tranquillamente a gambe passando dalla scala antincendio. Clark aprì piano la finestra e si lasciò cadere sul tetto, circa sessanta centimetri più sotto rispetto al davanzale. Mentre avanzava, una dozzina di domande formulate solo a metà presero forma nel suo cervello. Che cosa poteva farci qualcuno sul tetto a quell'ora di notte? E perché se ne stava lì sul bordo, nel punto più vicino all'appartamento dei Folwell?
Clark si fermò di scatto quando si accorse che cosa stava facendo la figura che aveva intravisto. Aveva appena sollevato un'estremità della scala che Clark si era portato dietro dall'altra casa subito dopo la sua visita a Laura. Mentre lo scrittore osservava, premuto contro i freddi mattoni di un camino, vide l'altro uomo poggiare la scala sul tetto della casa di fronte, colmando il divario che separava i due edifici. Clark chiamò ad alta voce. — Che cosa ci fa qui? La scala venne sospinta all'indietro e batté fragorosamente sul tetto. L'uomo si volse di scatto e balzò su Clark. La luce della luna batté sulla canna di una rivoltella, puntata direttamente contro il petto di Clark. Per un attimo, lo scrittore restò immobile, fissando la figura alta e sottile con il cappello calato sopra gli occhi. Poi sentì un sorriso divertito, e l'uomo si rimise la rivoltella in tasca. — E così era solo lei, Rodman. Clark riconobbe la voce tranquilla di Ted Steele. — Com'è che è venuto qui? — chiese. — Voi agenti in incognito della Buoncostume vi trasformate in pericolosi banditi, la notte? — I poliziotti proteggono le loro case, Rodman. E, tra parentesi, anche la sua. — Steele si accese una sigaretta, e il bagliore del fiammifero rivelò per un istante i suoi occhi grigi. — Avevo notato la scala da sotto, mentre percorrevo il vicolo, e ho pensato che sarebbe stata una tentazione molto forte per i ladri. Così ho deciso di rimuoverla. — Guarda caso, però, io so che quella scala si trovava a circa un metro dall'orlo del tetto — disse dolcemente Clark. — Deve avere gli occhi di una lince per essere riuscito a vederla dal vicolo... e nel cuore della notte, per di più. — In altre parole, non mi crede. — Credo a molto poco di quello che mi ha detto. — Clark si avvicinò, stringendosi il cordone della vestaglia intorno al giovane corpo. — E non creda di dovermi proteggere. La scala non era un'esca per attirare i ladri. È stata lasciata lì dagli imbianchini. — Dagli imbianchini? — Clark vide i denti di Steele, bianchi nel chiarore della sigaretta. — E lei la tiene d'occhio per loro? Be', ammetto di essermi sbagliato, Rodman. — Scrollò le spalle. — Che ne direbbe di far entrare in casa un pericoloso bandito lasciandolo passare dal suo appartamento ed evitandogli di rompersi l'osso del collo sulla scala antincendio? Senza una parola, Clark si voltò e Steele lo seguì. Entrambi entrarono nella camera da letto di Clark.
Steele si diresse con indifferenza verso il salotto, accendendo la luce. Poi si avvicinò alla finestra e sbirciò in direzione della casa di fronte, che era immersa nelle tenebre. — Peccato che abbia ignorato il mio consiglio di tenersi alla larga dai Folwell, Rodman. Ha passato una piacevole esperienza andandoli a trovare, tra parentesi? — Cosa le fa credere che sia andato a trovarli? — Lei mi conosce, no? E ormai sa tutto del mio sesto senso. — Già — fece Clark — e devo dirle che comincio ad averne abbastanza di lei e del suo sesto senso. In effetti, credo che sia giunto il momento di gettare le carte in tavola e dirmi a che gioco sta giocando. — Ma davvero? Be', temo proprio che voi scrittori abbiate un'immaginazione sfrenata. — Steele scosse mestamente la testa. — D'accordo, Rodman, le confesserò la tremenda verità. Io sono una spia internazionale, spaccio droga, organizzo la tratta delle bianche, progetto di sequestrare il Presidente e ho intenzione di far saltare in aria l'Empire State Building con una bella dose di dinamite. Mentre i due uomini restavano immobili a fissarsi l'un l'altro con una malcelata ostilità, il telefono di Clark squillò. Lo scrittore andò subito a rispondere. — Qui è il tenente Jones — disse una voce un po' brusca e familiare. — Lo so che è un po' tardi per chiamare, Rodman, ma credevo che le avrebbe fatto piacere ricevere subito le informazioni. Ho fatto fare dei controlli su quelle persone che mi aveva indicato. — E allora? — Clark lanciò un'occhiata a Steele, che stava fissandolo blandamente. — Gene Folwell fa il fotografo per il "Rapid News". Lavora con loro solo da alcuni mesi, ma è l'uomo più in gamba che abbiano. A quel che si sa, ha una fedina penale perfettamente pulita. Suo fratello lavora per la stessa ditta. Niente che non vada in tutti e due, solo che a volte hanno l'abitudine di alzare un po' il gomito. Comunque, dopotutto, sono entrambi scapoli. — Scapoli? — gli fece eco Clark. — Sono entrambi scapoli? — Se uno di loro si è sposato, quelli di "Rapid News" non ne sanno niente. Ho ottenuto queste notizie dal vicepresidente in persona. La mente di Clark prese a turbinare mentre il tenente continuava a riferirgli quanto aveva appreso. — Per quanto riguarda le altre faccende, credo proprio che qualcuno l'abbia menata per il naso, Rodman. Non c'è nulla nei nostri archivi sull'eventuale morte di un uomo all'indirizzo che lei ci ha
comunicato... niente di niente, sia nell'ipotesi dell'omicidio sia in quella del suicidio. Clark guardò di nuovo Steele, che si accese una sigaretta. — E l'altro nome che le avevo dato? — Si riferisce a quel tale Steele? — Il tenente sorrise. — Devono esserci davvero molti buontemponi lì da lei, Rodman. Non esiste nessun uomo della Buoncostume che si chiami così, e non esiste neppure nessun poliziotto che abiti a quell'indirizzo. Non può essere un federale o un investigatore di un'altra città, comunque, perché qui in centrale sappiamo praticamente tutto sui loro spostamenti. — Capisco — disse tranquillamente Clark. — Ho mandato un agente dalle sue parti per dare un'occhiata. Steele ha preso in affitto l'appartamento il giorno dopo che è arrivato lei. Il portiere non sa nulla sul lavoro di Steele. Vuole che mi occupi più a fondo di questa faccenda? Dopotutto, suo zio mi ha fatto un mucchio di favori, a suo tempo. — No, grazie — disse lentamente Clark. — Credo che fosse tutto uno sbaglio. Se ne dimentichi. Riagganciò e si rivolse a Steele. Stava per parlare, quando l'altro disse in tono tranquillo: — Così ha deciso di non ricorrere ai servigi della polizia, Rodman? Lei dev'essere un tipo che tiene molto alla sua indipendenza. E forse questo è un tratto del carattere che lei ha ereditato da suo zio. È andato a trovarlo oggi pomeriggio, no? — Mi ha seguito, allora. — Clark sporse all'infuori la mascella con fare minaccioso. — D'accordo. Ora che ne direbbe di una piccola spiegazione? Lei ha mentito sul fatto di essere un poliziotto; ha mentito quando mi ha detto di essersi stabilito qui prima di me; ha mentito su quella scala e infine ha mentito sull'uomo che, a sentir lei, sarebbe stato ucciso in questa stanza. — Non le pare che ci siano un po' troppe menzogne da spiegare, Rodman? — E, scrollando leggermente le spalle, Steele si diresse verso la porta. — Però forse le interesserà sapere che io, a differenza di altri, mento sempre con le migliori intenzioni. Buona notte. Clark lo sentì fischiettare piano mentre scendeva. Il motivo aveva una cadenza vagamente ironica, e lui ricordò che si trattava di una canzone molto popolare qualche anno prima: Ama il tuo vicino.
7 Rimasto di nuovo solo, Clark si preparò un drink piuttosto forte. Gli sembrava l'unica cosa da fare. La telefonata del tenente, invece di semplificare la faccenda, l'aveva ingarbugliata ancora di più. Steele non era un detective; non c'era mai stato un omicidio nell'appartamento di Clark; Gene Folwell era un cittadino stimabile. Niente di quello che aveva saputo sembrava avere senso. Ma c'era un fatto che, più di qualunque altro, sconcertava Clark. Perché mai Gene Folwell cercava di farsi passare per uno scapolo? Era possibile che quella circostanza fosse in qualche modo legata al mistero del passato di Laura? Era credibile l'ipotesi che, per qualche ragione di cui Clark non riusciva minimamente a capacitarsi, Laura non avesse sposato Folwell, ma vivesse con lui senza alcuna necessità giuridica? Lo scrittore aveva la sensazione di essere ancora in alto mare. Il giorno seguente gli parve interminabile. Vide Gene e Harry Folwell lasciare l'appartamento di fronte piuttosto presto, ma aveva promesso a Laura di non andare a trovarla finché non avesse potuto passare dall'altra parte con la scala senza essere visto. E quando, alla fine, le tenui ombre della sera primaverile avvolsero nell'oscurità le case, lui prese una delle copie della sua storia, andò sul tetto e si diresse verso la scala che Steele aveva cercato di togliere la sera prima. Pochi secondi dopo, era già sul tetto del caseggiato di Laura e stava tirandosi dietro la scala. La trovò seduta nella semioscurità della piccola veranda. La ragazza si alzò prontamente non appena lo vide e avanzò verso di lui, il volto luminoso nel crepuscolo. — Ma allora sei venuto davvero! — Credevi che non avrei mantenuto la parola? — Le prese le mani. Erano morbide e calde. — O pensavi che tuo cognato mi avesse indotto a rinunciare all'idea cercando di spaventarmi? — Harry? — Lei gli lanciò un'occhiata carica di stupore. — Harry avrebbe cercato di spaventarti? — Non sei stata tu a spedirlo da me, ieri sera, dicendogli che doveva convincermi a non venire qui? E non gli hai anche raccomandato che mi mettesse in guardia contro un certo Steele, un tizio che abita nell'appartamento sotto il mio? — Steele? Clark, ma io non so nemmeno di cosa parli! Non ho mai sen-
tito menzionare un uomo con un nome simile e, naturalmente, non sono stata io a mandarti Harry. Perché mai avrei dovuto farlo? — Me lo sono chiesto anch'io — disse Clark con un sorriso. — Ma non prendertela troppo. In fondo, non è successo nulla di grave. — Diede un colpetto al dattiloscritto. — Ti ho portato il mio capolavoro. Eccolo qui. — Vorrei tanto che me lo leggessi. — Laura si voltò verso la porta che conduceva nell'appartamento vero e proprio. — Entriamo. Al buio non si vede nulla. Lo scortò in salotto e si sedette sul divano. Clark si sedette accanto a lei. Laura si sporse verso di lui, i capelli scuri che le scendevano sul giovane viso dall'espressione seria. — Parla davvero di me? I capelli di lei gli sfioravano la guancia. Clark moriva dalla voglia di lanciare via il dattiloscritto e di prenderla tra le braccia. — Non proprio. Però credevo che tu fossi così, prima di conoscerti. — Le sorrise. — Sei pronta? Lei annuì. — E non dire che è un racconto meraviglioso e che io sono un grande scrittore. Non è meraviglioso. È solo un raccontino. Ascolta e non fare commenti. Lui si sentì all'improvviso molto importante. Mentre Clark cominciava a leggere, lei lo osservava, il viso chiuso tra le mani a coppa. Leggendo il racconto davanti a Laura, lui trovò la storia un po' infantile e piuttosto cinica. Il ritratto della ragazza che viveva in un sobborgo squallido e anelava con tutte le sue forze a un'esistenza non diversa dai personaggi di cui leggeva sulle riviste patinate, gli sembrava quasi crudele e insultante, ora che aveva identificato la protagonista in Laura. Arrivato a metà, s'interruppe e lasciò cadere il dattiloscritto. — Basta così — disse. — Fa davvero schifo. Dio solo sa perché mi ero convinto che fosse buono. Chissà cos'avevo in testa quando ho pensato di leggertelo. — Non fa schifo, Clark. È bello. — Laura gli aveva posato una mano sul braccio. — Credimi. Lui la guardò. Il volto di Laura era pallido e serio. — Ti sei identificata nella protagonista? — le chiese. — No. Non credo che mi assomigli molto. Ma come potrebbe essere diversamente? Chi mai si sognerebbe di scrivere un racconto su di me... sapendo chi sono?
Sedeva perfettamente immobile e lo fissava. Con sorpresa e costernazione, Clark vide alcune lacrime luccicarle negli occhi. — Laura... Le sfiorò il braccio con una mano. — Laura, non piangere. Lei scosse la testa. — Non sto piangendo. — Laura. — Si chinò su di lei e la strinse tra le braccia. — Laura, piccola, non farmi questo. Non piangere. — Mi spiace, Clark. Mi spiace davvero. Io... — Piccola. — La bocca di Clark si mosse lungo la guancia di lei e trovò le sue labbra. Docile e sottomessa, lei si arrese al bacio per qualche secondo, poi si scostò da lui. — Non farlo, Clark, ti prego. Non c'è speranza. — Non è vero, Laura. C'è sempre una speranza, devi credermi. — Tu rendi solo le cose più difficili per me. — Ora lei stava piangendo senza più pudore. — Sono stata una sciocca. È tutta colpa mia. Ho creduto di poter afferrare una cosa solo perché la volevo. Ho creduto di poter stare un po' con te illudendomi che... Oh, Clark, ti prego, vattene! Dimenticati di me. È meglio così, davvero. — Laura. — La voce di Clark era brusca. Le afferrò entrambe le braccia e la tenne immobile, in modo che lei potesse fissarlo negli occhi. — Possibile che tu non capisca? Non riuscirai a mandarmi via. Non accetterò mai di andarmene. Adesso mi dirai qual è il problema che ti assilla così tanto e mi permetterai di risolverlo per te. Devi farlo, perché, anche se ti sembrerà un'espressione trita e ritrita, io credo di amarti. — Credi di amarmi? — Sì. Amore. Mai sentito questa parola? Le labbra di Laura erano quasi pallide, come le sue guance. — No, Clark — disse dolcemente. — Tu non mi ami. — Devi deciderlo tu? — Sì. — Si alzò in fretta. — Sì, devo deciderlo io. Forse puoi credere di amarmi, ma non mi ameresti mai... non potresti mai farlo, se sapessi chi sono. Attraversò la stanza e si diresse a una scrivania, poi aprì un cassetto e ne estrasse un fascio di ritagli di giornale. Glieli ficcò in mano. — Leggili. Capirai quello che volevo dire. Gli occhi di Clark caddero sul primo ritaglio.
— No — disse Laura. — Non farlo qui, ti prego. Portali a casa tua. — E quando li avrò letti, potrò tornare? — Vedrai che te ne passerà la voglia — disse molto dolcemente lei. Poi si mosse d'impulso verso Clark, si allungò sulla punta dei piedi e lo baciò sulla bocca. — Addio, Clark. Infine, lo spinse verso la porta della veranda. Lui non fece alcun tentativo di trattenersi. Senza guardarsi alle spalle, uscì direttamente sul tetto. Alcuni secondi dopo, era già nel suo appartamento. Confuso e sconcertato dalla forza delle sue stesse emozioni, si sedette alla scrivania e allargò i ritagli davanti a sé. La prima cosa che colpì la sua attenzione fu una foto di Laura. Vicino, ce n'era un'altra di un uomo dai capelli bianchì e dall'aria molto dignitosa. Aveva due occhi fermi e una bocca sensibile. Sotto le due fotografie, c'era una scritta in stampatello: IL PROFESSORE È COLPEVOLE Clark riandò con la mente agli avvenimenti del giorno prima, quando aveva fatto visita allo zio nel suo laboratorio. Il tenente Jones aveva menzionato un certo professore, lasciando intuire a Clark che lo zio fosse molto interessato alla scoperta del cadavere del professor Barraclough. E a quello seguirono altri, più remoti ricordi: i ricordi di uno scandalo sensazionale che aveva riempito le prime pagine dei giornali diversi mesi prima. Adesso capiva tutto: perché Laura non usciva mai di casa; perché il marito la umiliava in modo tanto crudele; perché Harry Folwell aveva fatto quegli enigmatici accenni. Laura era la figlia del famoso professor Hobart Barraclough! Clark aveva letto i particolari di quella incredibile storia alcuni mesi prima, mentre era ancora convalescente nell'ospedale militare. All'epoca, la vicenda lo aveva intrigato e anche un po' disgustato, così come aveva interessato e sconvolto l'intera America. Il fatto che vi fosse coinvolto uno stimato professore aveva aggiunto altra benzina al fuoco. E il misfatto aveva acquistato una tale diffusione anche per la sua originalità. Persino la polizia aveva ammesso che non c'era mai stato nulla di vagamente simile negli annali del crimine. Gli eventi avevano avuto luogo in una grande università nell'Est del Paese... una delle comunità americane più aristocratiche e sussiegose. Per mesi, dozzine di cittadini preminenti erano stati terrorizzati da una forma di
ricatto particolarmente crudele e ingegnosa. La cosa era giunta all'attenzione della polizia solo gradualmente, e anche allora i particolari erano stati predisposti in maniera così abile dal criminale che nessuno aveva potuto produrre il minimo indizio sulla mente che stava dietro quell'estorsione di massa. Erano state svolte indagini minuziose su ogni organizzazione criminale operante nel distretto, ma le autorità non avevano cavato il classico ragno dal buco. Poi era stata annunciata la notizia incredibile che il professor Barraclough veniva interrogato dalla polizia. Scienziato molto brillante e di fama internazionale, Hobart Barraclough era uno dei professori universitari più riveriti in assoluto. Prima della guerra, aveva fatto più di ogni altro ricercatore per il progresso delle tecniche impiegate nel campo della fotografia, del cinema e della televisione, anche se non aveva mai voluto sfruttare le sue scoperte dal punto di vista commerciale. Durante la guerra, aveva messo al servizio del Genio Radiotelegrafisti e Segnalatori il suo notevole ingegno, conseguendo altresì dei miglioramenti nelle tecniche fotografiche che potevano definirsi a dir poco sensazionali. Aveva facilitato i bombardamenti di precisione, inventando poi una nuova specie di pellicola che era stata adottata a bordo di tutti i caccia americani. Era stato decorato dal presidente Roosevelt e poi di nuovo dal presidente Truman. Era considerato uno dei cinque civili che avevano contribuito di più alla vittoria nella guerra. E quando quel lavoro era finito, il professore se n'era tornato al suo laboratorio e aveva ripreso il proprio posto in facoltà, vivendo nella più assoluta reclusione accademica in compagnia della sola figlia, anche se avrebbe potuto mettere su una fortuna nel mondo degli affari o a Hollywood. Non appena si era diffusa la notizia del suo coinvolgimento nelle indagini, erano giunte espressioni di protesta da tutto il mondo e messaggi di stima da parte delle più alte autorità. Secondo quanto c'era scritto nei giornali, il dottor Talbot Trask era stato uno dei primi ad accorrere in aiuto del suo vecchio amico. A poco a poco, però, erano emersi dei fatti che dimostravano oltre ogni ragionevole dubbio la colpevolezza del professor Barraclough in quell'inesorabile e complicata manovra di ricatti. Tutti i quotidiani avevano dato la più ampia diffusione alle sensazionali scoperte delle autorità inquirenti. Nel laboratorio del professore erano state scoperte dozzine di fotografie di persone molto note... banchieri, politici e famosissimi studiosi... in situa-
zioni a dir poco imbarazzanti. Gli esperti avevano svelato che il professore si era spinto così in là nel processo del fotomontaggio che era virtualmente impossibile accorgersi della falsità delle fotografie. Ritratti di celebrità erano fusi abilmente con foto di donne in varie posizioni compromettenti. Potenti politici comparivano in ben noti ritrovi dalla fama equivoca, e persino i ministri del culto avevano subito in quelle foto una così radicale trasformazione da sembrare il ritratto della più assoluta immoralità. Quelle fotografie erano state usate per estorcere diverse centinaia di migliaia di dollari alle malcapitate vittime. Ed erano state trovate nel laboratorio del professore. Fu ben presto provato che nessuno, a parte il professore e i tecnici dell'esercito, poteva sapere niente su quei particolari processi fotografici. E fu anche provato che Barraclough stava inviando da qualche tempo grosse somme di denaro in varie banche sudamericane, il che faceva chiaramente pensare a una sua intenzione di lasciare il Paese. Infine, la carta su cui erano state scritte le richieste estorsive corrispondeva perfettamente a quella trovata nel laboratorio. Persino l'inchiostro era del tutto simile a quello che solitamente usava il professore. Non parevano proprio esserci dubbi sulla sua colpevolezza. Quando la storia era diventata di dominio pubblico, Laura si trovava in California, a studiare con qualche celebrato neurologo amico di suo padre. Ma lei non aveva voluto sentir ragione, ed era tornata subito a casa per stare a fianco del padre. Aveva negato sdegnosamente la colpevolezza del professore, annunciando alla stampa di essere certa che una persona priva di scrupoli aveva incastrato deliberatamente il padre. Ma nemmeno Laura era riuscita a sfuggire al fango lanciato a piene mani dai giornali scandalistici. Qualcuno aveva lasciato capire che, in realtà, Laura era complice del professore e che la ragione del suo viaggio in California era quella di seguire le operazioni di trasferimento del denaro e attendere l'arrivo del padre. Mentre Clark continuava a leggere, si accorse che il nome di suo zio figurava con sempre maggiore prominenza nel caso. Era lui che aveva pagato la cauzione quando il professor Barraclough era stato arrestato. E le luci della ribalta si erano puntate proprio sul dottor Trask, dopo l'improvvisa tragedia con la quale era culminata quella rapida sequenza di eventi. La sera successiva al pagamento della cauzione, il professor Barraclough si era rifugiato nella sua casetta estiva a Long Island. Da lì aveva telefonato alla figlia, dicendole che intendeva suicidarsi. La ragazza era accorsa di-
speratamente sul posto, accompagnata dal dottor Trask, ma ormai era troppo tardi. Il professor Barraclough aveva già preso il mare a bordo di una piccola motolancia. Diversi giorni dopo, alcuni pescatori avevano riferito di avere avvistato una barca vuota che andava alla deriva nell'oceano. La barca non era mai stata recuperata, comunque, e nessuno aveva mai più sentito o visto il professore. Per un po', erano circolati pettegolezzi privi del minimo fondamento sull'ipotesi che Barraclough fosse ancora vivo, poi qualche nuova impresa criminale aveva cominciato a riempire le prime pagine dei giornali. Clark aveva le mani malferme quando arrivò all'ultimo ritaglio. Laura aveva avuto ragione a dirgli che sarebbe cambiato. Ma era stata folle a pensare che quegli eventi gli avrebbero impedito di continuare ad amarla. Povera Laura, costretta a nascondersi in quel tetro appartamentino di fronte, disperata nei panni di una reietta sociale che, attraverso la colpa del padre, aveva perso qualsiasi diritto alla felicità... 8 Clark non tornò subito da Laura. Rimase in piedi accanto alla finestra, guardando la casa di fronte e cercando al contempo di mettere ordine nei suoi pensieri. Si rese vagamente conto della luce molto intensa che filtrava dalla finestra non schermata del salotto dei Folwell; e notò, sempre molto vagamente, che adesso la spalliera della grande poltrona era perfettamente visibile dal vetro. La sua attenzione si concentrò sulla poltrona, anche se, a tutta prima, neppure lui capì il perché. Poi, con sua grande incredulità, vide che la poltrona stava muovendosi. Lentamente, e come se operasse con una propria volontà, stava spostandosi verso la finestra. Si avvicinava sempre di più, e non si fermò fino a quando la spalliera non si trovò perfettamente a contatto col pannello. Mentre batteva ancora le palpebre, Clark vide qualcos'altro. Una piccola mano era comparsa all'improvviso sul retro della sedia e stava artigliandone il rivestimento. Capì subito che la mano non apparteneva a Laura; e capì anche che non poteva appartenere a nessun altro degli inquilini di quella casa che lui conosceva. Era bianca e molto minuta, come la mano di un bambino, eppure in qualche modo diversa. Il suo biancore sembrava malato, e il morbido
indice era ornato da un pesante anello d'oro. Una seconda mano comparve subito dopo. Mentre Clark osservava, le minuscole dita si chiusero con sempre maggiore determinazione sulla spalliera della poltrona. C'era qualcosa che stava tirandosi su e comparendo davanti al suo campo visivo. Quando Clark vide quella faccia alla finestra, per un istante credette di aver smarrito la ragione. Non si trattava tanto del fatto che quel viso fosse grottesco o ributtante. Anzi, a guardarlo bene, sembrava grazioso, se non proprio benigno: il volto rotondo e paffutello di un bambino. Ma Clark capì immediatamente che non si trattava del viso di un bambino. Nonostante la bocca soffice e infantile, e i capelli folti e scarmigliati, c'era qualcosa di orribilmente sinistro nell'espressione dell'essere che si trovava di fronte a lui. Le guance carnose erano un po' cadenti, e gli occhi azzurri, che sbirciavano nelle tenebre, erano a un tempo vacui e deliberatamente maligni, come gli occhi di un vecchio libertino. Le piccole mani si tesero di nuovo all'insù, afferrandosi al bordo della finestra. Con un agile movimento, l'essere si issò sul davanzale interno e Clark ne vide l'intero corpo, il corpo di un nano. I vestiti che indossava erano quelli di una persona adulta. I pensieri si inseguirono vertiginosamente nel cervello di Clark. Così era quella creatura che aveva spaventato il ragazzino delle violette. Ecco chi era il responsabile delle cose inesplicabili che si erano succedute nell'appartamento di fronte. Quel visino maliziosamente cherubico gli parve in qualche modo familiare. Poi si rese conto che era il viso usato da Gene Folwell come modello per la fotografia che Laura aveva mostrato a Clark. Quel nanerottolo, metà uomo e metà scimmia, stava ancora dondolandosi alla finestra. All'improvviso, parve accorgersi di Clark. Appiattì il viso contro il vetro e lo osservò attentamente con gli occhi di un azzurro acquoso. Clark si voltò di scatto. Teneva ancora in mano i ritagli di giornale che gli aveva dato Laura. La pietà che provava per la ragazza era quasi fisicamente dolorosa nella sua intensità. Era il colmo che lei, con tutti i suoi problemi, dovesse occuparsi anche di quel ritardato mentale. Provava disgusto per se stesso, al pensiero di averla lasciata sola con quell'essere per tanto tempo. Con le tempie che gli martellavano, entrò senza perdere tempo in camera da letto e da lì passò direttamente sul tetto. Pochi secondi dopo, e con l'ausilio della scala, aveva già raggiunto la casa di fronte.
Laura era in veranda. Clark ne scorse la figura nella semioscurità. La ragazza stava nella sedia a dondolo. Non l'aveva sentito avvicinarsi, e mentre lui entrava dal tetto, Laura sobbalzò. — Clark? — Sono io. Laura lo raggiunse e si fermò davanti a lui, alzando lo sguardo. — Hai letto quei ritagli? — Sicuro. — E... e sei tornato? — Cosa ti aspettavi che facessi? Che mi rinchiudessi in un monastero? — Le posò le mani sulle braccia. — Questo può anche attendere, piccola. Prima c'è qualcos'altro di cui dobbiamo parlare. Ho appena visto quella strana creatura che tuo marito e Harry tengono qui. Perché non me ne hai parlato prima? Senza attendere risposta, Clark si diresse verso la porta che dava nel salotto e la aprì. Laura lo seguì in silenzio. Si fermarono entrambi sulla soglia, guardando all'interno della stanza. Il nano era ancora lì. Adesso si era staccato dalla finestra e se ne stava incongruamente appollaiato su un curioso macchinario, forse una cinepresa, che era stato fissato al muro. Il suo viso paffuto e infantile era contorto in una smorfia di concentrazione, e le sue piccole mani erano entrambe allungate sopra la testa, intente a strappare pezzi di tappezzeria. — E così, Franko è uscito di nuovo dalla sua stanza. — La voce di Laura era un po' rauca. — Lui è molto furbo, sai. Bisogna tenerlo continuamente d'occhio. Clark fissò il nano, che gli restituì uno sguardo vacuo. — Chi è? — Il fratello di Gene. Ha quasi l'età di mio marito. Trentadue anni, credo. Sua madre ha avuto un incidente prima che lui nascesse. È perfettamente innocuo, sai, ma lo sviluppo gli si è bloccato. Ecco spiegato quel riferimento al terzo fratello Folwell che Harry aveva fatto parlando con Clark. Quello era il fratello con cui Gene era sempre molto gentile, come gli aveva detto Harry. Ma, stando alle apparenze, il fardello più grande di quella "gentilezza" pesava proprio sulle spalle di Laura. — Non te ne avevo mai parlato — gli spiegò la ragazza — perché Gene non vuole che la gente lo sappia. Franko è una delle ragioni che mi costringono a restare quasi sempre in casa. Devo prendermi cura di lui. Laura aveva fatto un passo avanti. Il nano stava ancora strappando la
carta da parati. Sembrava del tutto ignaro della loro presenza. — È sordomuto, poverino — disse Laura. — C'è solo un modo di comunicare con Franko. Se ti metti a fare dei gesti, lui capisce. Anzi, ripete tutti i movimenti che vede. Laura batté sulla parete. Franko abbassò lo sguardo su di lei con i suoi occhi dall'espressione assente e infantile. Poi, con grande deliberazione, ripeté il gesto della ragazza e batté a sua volta sul muro. Lei gli fece un cenno agitando la mano, e lui la imitò. Infine, muovendosi a balzi come un animale, corse verso di lei e cercò di strisciare tra le sue braccia. Clark provò un'ondata di disgusto nel vedere che quell'uomo, il quale aveva trentadue anni compiuti, si aspettava di essere portato in giro esattamente come un bambino. Ma gli occhi di Laura erano teneri, mentre lei si chinava su Franko. Sorrise e gli accarezzò i capelli. La manina del nano scattò subito all'insù e si chiuse sui capelli neri della ragazza. Laura lanciò un'occhiata di supplica a Clark e scomparve in una stanza interna. Tornò ben presto da sola, chiudendosi a chiave la porta dietro di sé. — Mi spiace enormemente per lui — disse. — È così mansueto e paziente... Non vuole crearci dei problemi. Clark stava guardandola, e nel suo animo un senso di ammirazione per lei si univa a un odio sempre più marcato per il marito che le aveva imposto un onere simile. — Ma Laura, perché devi essere proprio tu a prenderti cura di lui? Non sarebbe meglio affidarlo a qualche istituzione? — Mi chiedi se sarebbe meglio? — Lei si strinse nelle spalle. — Qui dentro nessuno fa molto caso a quello che è meglio o peggio. Gene non vuole affidarlo a una istituzione perché se ne serve come modello per quelle sue orribili fotografie. Sarebbe disposto a fare di tutto, pur di non perdere un'opportunità simile. Immagino che potrebbe anche torturare Franko, se quello fosse l'unico modo per ottenere l'espressione di cui ha bisogno in una certa fotografia. — Dici sul serio? — Certo. — Allora perché non ti rivolgi alla polizia? — Io rivolgermi alla polizia? — Laura sorrise. — E tu credi che la polizia si preoccuperebbe di dare ascolto alle lamentele della figlia del professor Barraclough? — Che differenza vuoi che faccia per la polizia di chi sei figlia? —
Clark le posò una mano sulla spalla. — Per me non fa nessuna differenza, se questo può interessarti. Tuo padre avrebbe anche potuto assassinare una dozzina di persone, ma per quanto mi riguarda... — Così credi anche tu che papà fosse colpevole? — Laura si lasciò cadere stancamente su una sedia. — Non ti biasimo per questo. L'hanno pensato tutti. Perché non dovresti pensarlo pure tu? — Tu non ne sei convinta? — le chiese dolcemente Clark. — No di certo. E non ne saresti convinto nemmeno tu, se lo avessi conosciuto. Era la persona più dolce del mondo. Non avrebbe mai potuto pensare a una mostruosità come quella che gli hanno attribuito neppure in un milione di anni. Lui viveva per il suo lavoro ed era assolutamente ingenuo. È stata questa la sua tragedia. — In che senso? — Che questo suo carattere lo ha reso la vittima ideale per un criminale senza scrupoli che cercasse un comodo capro espiatorio. — Laura lo guardò fisso negli occhi. — Voglio che tu lo sappia e, per favore, ti supplico di credermi. Mio padre non ha avuto nessuna colpa, se non quella di fidarsi troppo di certe persone. Era qualcun altro che aveva organizzato quei ricatti, Clark, qualcuno che era molto vicino a mio padre. Papà nutriva la più totale fiducia nei confronti di quella persona. Non ha mai intuito cosa stava succedendo. E non ha sospettato nulla persino quando questa persona si è resa conto che le cose stavano complicandosi e ha pensato bene di scaricare tutte le colpe su mio padre. — Lo sai con certezza? — Si capisce. Non mi sono comportata così solo per cocciutaggine. Se avessi davvero pensato che mio padre era una persona spregevole, non l'avrei mai protetto. Ma la verità è un'altra. — Lei abbassò lo sguardo sulle sue mani. — Come puoi immaginare, non è facile sopportare che tutti lo credano colpevole, e che molti siano addirittura convinti che io sia stata sua complice, quando invece ho sempre saputo chi era il vero responsabile. — Ma hai perso la ragione, Laura? Se lo sai, devi dire la verità! — Non è così facile. — Ma dev'esserlo, per forza. — La voce di Clark si era fatta brusca. — In ogni caso, dimmi tutto. Tu hai lasciato che questa storia ti distruggesse, ma non devi arrenderti. Non vuoi che il ricordo di tuo padre ti perseguiti per sempre, no? E non credo che tu desideri passare il resto della tua vita nascondendoti in squallidi appartamenti con un uomo come Folwell, terrorizzata dall'idea di affrontare il mondo perché il mondo crede che tu sia
una criminale, dico bene? Laura, parlami. Dimmi la verità... e poi lascia che mi occupi di tutto io. Lei lo stava fissando intensamente. — Significo davvero così tanto per te? — Mi comporterei in questo modo, altrimenti? Lei gli prese la mano. — Non dovrei — disse dolcemente. — Se mi fosse rimasto un po' di carattere, insisterei per farti andare subito via. Ma credo che tu abbia ragione. Ormai non ce la faccio più, e dopo aver conosciuto uno come te... — Dimmi la verità, Laura. Lei si alzò e si diresse alla finestra, voltandogli le spalle. — Come vuoi tu, Clark. Ecco la verità. L'uomo che aveva organizzato i ricatti... l'uomo che ha scaricato deliberatamente la colpa su papà... è Gene Folwell, mio marito. 9 Clark la fissò con espressione incredula. — E tu continui a vivere con lui? Laura si voltò rapidamente dalla finestra. — Sì, continuo a vivere con lui. — Ma... — Credi che sia perché lo voglio? — Lei si avvicinò a Clark. — È questo che credi? Clark si strinse nelle spalle con fare inerme. — Laura, sono così confuso che non so più nemmeno io quello che credo. Lei abbozzò un sorriso. — Mi spiace. Capisco che tu sia confuso. — Folwell è un verme. Alza le mani su di te e ti costringe a star dietro a quel nano semideficiente. E tu obbedisci senza battere ciglio. Già solo questo mi pare abbastanza duro da mandare giù. Ma ora mi dici addirittura che è lui il tizio che ha incastrato... — Clark, adesso ti rivelerò ogni cosa — lo interruppe lei, sedendosi di nuovo accanto allo scrittore. — Ora che ho messo allo scoperto tutto questo orribile pasticcio, tanto vale che ti dica la verità. Io continuo a vivere con Gene perché c'è un seguito alla storia di mio padre... un seguito che devi promettermi di non rivelare a nessuno. Prometti? — Ma certo. — Tutti credono che mio padre sia morto. Anche la polizia ne è convin-
ta. Ma lui non è morto. — No? — Potrebbe esserlo, però, visto quello che ha passato. Non potrà tornare mai più qui, sapendo che dovrebbe affrontare lo scandalo e l'arresto, povero papà. È tagliato per sempre fuori dal suo lavoro, da me e da tutto ciò che significa qualcosa per lui. Dovrà trascorrere il resto della sua vita come un uomo senza casa e senza nome, però è ancora vivo. Sta in Messico. — Ecco cos'è che ti tiene legata a Folwell. Anche lui lo sa? Laura annuì. — Sa tutto. Se lo lascio, ha giurato che andrà subito a dire alla polizia dove si nasconde papà. — E ti gli credi? — Certo. Lui lo farebbe senza nemmeno battere ciglio. — Ma se tuo padre è innocente... — È proprio questo il punto. Gene ha fabbricato dei tali indizi contro mio padre che nessuno riuscirà mai a dimostrare la sua innocenza. Se papà fosse portato qui, sarebbe automaticamente processato e condannato. — Sporse una mano con enfasi. — Ora lo capisci perché devo stare qui? I particolari della scelleratezza di Folwell erano stati rivelati in tale rapida successione che solo dopo qualche secondo Clark fu in grado di comprenderne appieno la portata. Le sue emozioni erano state messe a dura prova negli ultimi giorni, e il proprio autocontrollo, mai molto forte dal giorno in cui aveva lasciato l'ospedale, era praticamente scomparso. La guerra gli aveva insegnato a odiare; e adesso odiava il suo vicino più implacabilmente di quanto non avesse mai odiato i giapponesi. Il suo nuovo e sorprendente amore per Laura era mescolato senza speranza alla pietà che provava per lei e al desiderio di liberarla da una situazione che, lo sapeva, era una delle più malvagie e brutali nelle quali si fosse mai imbattuto. Laura sedeva molto tranquillamente e non diceva nulla. Era quella passiva rassegnazione all'orrore che lo colpiva come il particolare più commovente della ragazza. Lei non aveva mai chiesto né aiuto né simpatia, neppure quando lui l'aveva costretta a rivelargli la verità. — Laura, ascoltami. — La voce di Clark era ferma. — Tu hai paura di Folwell e non ti biasimo per questo. Ma ora hai un amico. Io sono il tuo amico, Laura, e ti assicuro che non mi spavento tanto facilmente. Tuo padre potrà tornare in America; faremo in modo che venga riabilitato. Tutto quello che ci serve è provare la colpevolezza di Folwell. — Provare la sua colpevolezza? — ripeté stancamente lei. — Certo, sarebbe bello se ci riuscissimo.
— Perché, non è possibile? — Lui è un tipo molto furbo. Non ha lasciato nessuno straccio di prova in grado di incriminarlo. Non credere che non abbia tentato con tutte le mie forze di trovare qualcosa... qualche punto debole. È l'unica ragione della mia vita. Ma non serve a niente. — Però, se non hai prove, come puoi essere certa di aver ragione? — Questo è facile — rispose Laura con un sorriso. — So che è colpevole perché me l'ha detto lui. — Te l'ha detto "lui"... Folwell? — E anche molte volte. Lui sa di essere perfettamente al sicuro. Che cosa vale la mia parola contro la sua, quando molta gente è convinta che io sono in ogni caso colpevole? Che tu ci creda oppure no, Gene è un cittadino molto stimato. Ecco perché è così sicuro di se stesso. Credo anche che si diverta un mondo, in questa situazione. Gli piace terribilmente tenermi sulle spine, perché sa che lo odio. E anche questo lo diverte. — Una persona del genere dovrebbe essere trovata in un vicolo buio con un pugnale conficcato nella schiena — sbottò Clark. — Già, ma i tipi come lui sono quelli che sanno badare maggiormente a se stessi. — Laura si spostò i capelli neri dal viso. — Immagino che tu ti stia chiedendo perché l'ho sposato, tanto per cominciare. Non preoccuparti. Non era perché ho ceduto al suo fascino. Anche su questo c'è una lunga storia... la storia del mio piccolo romanzo con Gene Folwell. Vuoi sentirla? — Voglio sentire tutto. — Gene era uno studente universitario, quando papà insegnava. Più tardi, ottenne un posto in un quotidiano locale come fotografo. Allora non mi ero praticamente accorta che esistesse, eccetto per il fatto che mio padre me ne accennava qualche volta, parlando di lui come di un giovanotto molto dotato. Spesso si faceva vedere al laboratorio di papà, fingendo di passare per una specie di discepolo del grande scienziato. Se avessi avuto un po' di buon senso, avrei dovuto capire subito che lui stava sempre così vicino a papà per potergli rubare i segreti dei suoi nuovi processi fotografici. Laura non fece alcun tentativo di reprimere una profonda nota di amarezza nella sua voce. — Io mi trovavo in California quando è scoppiato lo scandalo, così sono tornata indietro in fretta e furia. Gene era costantemente a casa nostra. Dapprima ho pensato che fosse solo uno delle dozzine di giornalisti che
avevano invaso il posto. Per un po', lui ha persino finto di esserlo; poi, un giorno, mi ha parlato a tu per tu. Mi è parso un tipo simpatico, e voleva aiutarmi; nessuno sarebbe potuto essere più gentile. Mi ha detto che era sicuro dell'innocenza di papà e che, a tempo debito, saremmo stati in grado di dimostrarla. Secondo lui, però, c'era solo una cosa che potevamo fare subito per impedire che papà andasse in prigione, e cioè far credere che lui fosse morto. — Laura esitò. — Ho bisogno di bere qualcosa di forte, prima di continuare — disse. — Preparo un drink anche per te. Quando tornò con i bicchieri, parlò più rapidamente e con studiata assenza di emozioni. Spiegò come Gene Folwell avesse delineato il piano di suicidio per il professore. Barraclough doveva andare a Long Island, annunciare che intendeva togliersi la vita e prendere il mare a bordo della sua motolancia. Lì sarebbe stato raccolto e portato in tutta segretezza su una nave da carico che faceva rotta per il Messico. La sua motolancia doveva essere trovata vuota, mentre andava alla deriva in mare aperto. Laura, tormentata e sconvolta, si era aggrappata a quel piano come se fosse l'unica via d'uscita. Aveva lavorato parecchio per vincere gli scrupoli di suo padre e, alla fine, lo aveva persuaso a essere complice in un atto che andava contro i principi dell'anziano professore e che poteva persino rivelarsi una tacita ammissione di colpevolezza. Era stato solo per amore di Laura che Barraclough aveva acconsentito a mettere in pratica le istruzioni di Folwell e a inscenare il finto suicidio, sparendo dalla circolazione almeno fino a quando non si fosse trovata qualche prova a suo discarico. Tutto era stato eseguito con la più assoluta precisione. — Certo, siamo stati folli a lasciarci persuadere — continuò tranquillamente la ragazza. — Papà è scappato dopo che era stato liberato su cauzione. In questo modo, ha reso la sua posizione persino più difficile che se fosse rimasto in carcere. Ma lui si fidava di Gene. Nessuno di noi due ha mai lontanamente intuito quale fosse il vero movente di Gene. Laura posò il bicchiere per terra. — Quando il progetto era stato portato a termine e i giornali avevano annunciato la morte di papà, Gene mi ha dato un assaggio del suo vero carattere. Mi ha fatto capire che si aspettava una qualche ricompensa per i rischi e i problemi che aveva dovuto affrontare. Mi ha detto chiaro e tondo che mi sarei sentita sola senza papà, che avrei avuto bisogno... — In breve, quel bastardo ti ha costretta a sposarlo. — Sì. Nessuno crederebbe che le cose possano succedere in questo modo, oggigiorno, eppure è così. Ma in realtà lui non voleva solo me. Io ero
semplicemente una parte del piano, capisci? Con papà morto, io avrei ereditato i suoi soldi, le sue invenzioni, tutto. Ma con il giusto grado di persuasione, ed essendo una moglie devota, avrei finito per girare ogni cosa a mio marito. Era un trucco molto astuto, addirittura perfetto... Fece una pausa. — Per fortuna, era un po' troppo perfetto. Gene sa meno cose sulla legge di quante non ne utilizzi per infrangerla. E, in effetti, c'era un grande neo nel suo piano. Papà poteva essere dichiarato legalmente morto solo se il suo corpo fosse stato ritrovato. Naturalmente, però, questo era impossibile. In tal caso, io, come sua parente più stretta, dovevo aspettare sette anni prima di poter ricevere l'eredità. Vedi che pasticcio ha combinato Gene? Si è dato la zappa sui piedi da solo, in un certo senso. Ha ottenuto me... anche se Dio solo sa quanto poco significhi per lui... e ha ottenuto quei procedimenti fotografici che papà mi aveva assegnato, anche se poi non si sono rivelati così lucrosi come Gene sperava. Comunque, spera sempre di ricavare qualcosa da quel nuovo obiettivo messo a punto da papà e che consente di scattare foto praticamente con qualsiasi luce. Però non ha ottenuto la cosa più importante di tutte: i soldi. Perciò dovrà starmi appiccicato ancora per sette anni, prima che possa ereditare; e, credimi, non mollerà tanto facilmente. — Immagino di no — disse Clark. — Puoi contarci. Clark abbassò lo sguardo sulle sue mani. — Questa è una nuova scoperta per me — disse tranquillamente. — Non credevo che esistesse un essere umano così degno di venir sterminato. — Alzò gli occhi su Laura. — Anche suo fratello è coinvolto? — Harry? — La ragazza scosse la testa. — Lui non sa niente di questa storia, ne sono sicura. È venuto a stare con noi solo quando ci siamo trasferiti qui, e ha portato Franko con sé. Harry ha una paura folle di Gene, ma non è cattivo. Solo un po' patetico. Ci fu qualche secondo di silenzio. Laura si appoggiò allo schienale della sedia. Ora che aveva raccontato l'intera storia, sembrava essere tornata di umore nero, come se si rendesse conto di non poter fare nulla. Clark, invece, si sentiva sempre più furibondo e determinato ad agire. I giorni in cui aveva pensato di essere indurito e del tutto insensibile ai problemi del mondo erano ormai svaniti. Ed era anche svanito quel senso di cinismo che aveva imparato dalla guerra. L'innata cavalleria che è propria dei giovani era sbocciata in lui insieme all'amore che provava per Laura. La ragazza
sembrava ancora più bella e desiderabile perché si trovava in un pasticcio tanto spaventoso. Era compito suo proteggerla, e Clark si sentì ringalluzzito all'idea di poterle presto mostrare tutto ciò di cui era capace. — Laura. — Le prese una mano, fredda e immobile, e la tenne nelle sue. — Laura, tesoro. Lei si voltò dalla parte di Clark, le labbra semichiuse, gli occhi pieni di un'intensità febbrile. — Ora ti ho detto tutto, Clark. — Non proprio tutto. — Ma... — C'è ancora un'altra cosa. Credo di avere il diritto di sapere. Ti ho detto che ero innamorato di te, e naturalmente non ho cambiato idea. Ma tu? Per te sono solo un vicino un po' ficcanaso che continua a intromettersi nella tua vita, oppure...? — La risposta la sai già. — Lei si alzò e lo fissò negli occhi. — Non occorre che te lo dica, Clark. Anche lui si alzò. — Laura... — Ti prego. Clark provò a prenderla tra le braccia, ma lei si divincolò, le labbra tremanti. — No, Clark, non insistere. Tu hai sentito tutto. Non è già una prova abbastanza brutta per me, senza doverci aggiungere anche il fardello supplementare di innamorarmi di qualcuno che non potrei mai...? Lui la interruppe con un brivido di eccitazione. — Che non potresti mai? Che non potresti mai... cosa? Laura si avvicinò di nuovo a lui e gli prese una mano tra le sue. — Dobbiamo essere realisti. Ti prego, Clark, almeno aiutami in questo. Io sono legata senza speranza a Gene, e tu lo sai. Non potrei mai liberarmi di lui... e anche e ci riuscissi, a cosa servirebbe? Come potrei mai sperare di mettermi con te? Tu sei un Rodman; la tua famiglia è ricca, potente e molto orgogliosa dei suoi mezzi. Come potrebbero mai i tuoi genitori approvare un matrimonio tra il loro figlio e una ragazza che... che ha vissuto quella specie di vita che ho vissuto io? — Quella specie di vita che sei stata costretta a vivere, piuttosto! Laura, cos'hai mai fatto di sbagliato? Sei stata incredibilmente coraggiosa. Hai... Credi che la mia famiglia non capirebbe, se glielo spiegassi? Ma poi, perché dovrei preoccuparmi di quello che pensa o non pensa la mia famiglia? Io me ne sono andato di casa e ho detto chiaro e tondo a mio padre che vo-
levo vivere per conto mio. Laura... Fece una pausa e poi le chiese: — Laura, una volta che sarai fuori da questo imbroglio e avremo dato a Folwell quello che si merita... saresti disposta a sposarmi? Mentre lei alzava lo sguardo su Clark, lo splendido viso ora tenero e tranquillo, parve all'improvviso più vecchia e più saggia di lui. Lo baciò con grande delicatezza sulle labbra. — Non saprai mai quanto ti sono grata per questo. Non lo dimenticherò fino a quando avrò vita, ma... — Ma.. cosa? — Che senso ha continuare a illuderci? Io non riuscirò mai a liberarmi di Gene. — E invece sì. Lei scosse la testa. — Ti ho detto che ho tentato di tutto. Lui è più furbo di te e me messi insieme. Non riusciremo mai a batterlo al suo stesso gioco. Laura si sedette di nuovo, fissando con gli occhi spenti lo spazio davanti a sé. — C'è solo una possibilità. Una possibilità su un milione. Clark era sprofondato in un silenzio pieno di cupezza. Ma ora alzò lo sguardo con bramosia. — Quale possibilità? — Gene è un farabutto e lo sarà sempre. Forse persino adesso sta progettando qualche sporco imbroglio di cui non siano a conoscenza col solo scopo di fare soffrire un po' di gente. Oh, lo so che è una cosa orribile da dire, ma io spero che accada con tutte le mie forze, perciò sarebbe ipocrita negarlo. Chissà, magari un giorno finirà per imbattersi in qualcuno che è più furbo di lui. Qualcuno che potrebbe trattarlo nell'unico modo in cui merita di essere trattato. — Ucciderlo, vuoi dire? — Le parole uscirono dalla bocca di Clark quasi a forza. — Perché, sarebbe tanto terribile? — Lei alzò lo sguardo verso di lui, gli occhi improvvisamente accesi. — Forse tu non ci credi, ma... S'interruppe. — Ma cosa, Laura? — È assurdo, naturalmente, ma ci sono state volte in cui lo avrei ucciso volentieri io stessa. Oh, quell'impulso è passato in un lampo, ovviamente, però... Quando penso che, con Gene morto, potrei andare via da qui, tornare da papà e cercare di aiutarlo in qualche modo... Clark, è stato terribile da
parte mia, lo so, ma è vero. Lui si sentiva sempre più agitato. — Non è stato terribile, Laura. Mio Dio, io ho combattuto in guerra. E per tre lunghi anni. Ho ucciso uomini, uomini che probabilmente valevano cinquanta volte più di Gene Folwell, senza battere ciglio, solo perché si trovavano nell'altro schieramento. Be', anche Folwell si trova dall'altra parte della barricata, no? Se pensassi che non ci fosse altra via d'uscita per noi due, non esiterei a ucciderlo con le mie stesse mani. Laura lo stava ascoltando con gli occhi spalancati. — Clark, non devi dire queste cose. — Perché no? — Sono stata io a ridurti così. — Laura, io ti voglio e ti avrò. E se non ci fosse nessun altro modo... — Esci subito di qui. — Ora il viso di Laura fiammeggiava dalla collera. — Ti prego, Clark, vattene. Lui non si mosse. Preso nei suoi oscuri pensieri, non stava quasi più ascoltandola. Laura lo afferrò per un braccio e cominciò a spingerlo verso la veranda. — Stammi a sentire, Clark. Se davvero vuoi aiutarmi, troveremo qualche modo, te lo prometto. Farò qualunque cosa... sono persino disposta a dimenticare mio padre... se mi prometti che non dirai mai più queste cose. — Sicuro, troveremo un modo. — Clark si volse verso di lei e la baciò su una guancia. — Va bene. Ora me ne vado, se proprio vuoi. Ma, giacché siamo alle promesse, promettimi una cosa. Se dovessi mai aver bisogno di me, se Folwell cominciasse a darti di nuovo fastidio, chiamami. Lei annuì con aria solenne. — D'accordo, Clark, prometto. — E posso tornare, domani mattina? — Gene uscirà sul presto, credo. — Troveremo qualcosa, te lo assicuro, piccola. Troveremo qualcosa. La baciò di nuovo, stavolta sulle labbra, e scivolò fuori sul tetto. Le aveva detto che avrebbero escogitato un modo per risolvere la situazione. Ma era difficile pensare a cosa si potesse fare... salvo ricorrere alla soluzione estrema. 10 Quella sera, Clark si trovò a contemplare l'ipotesi dell'omicidio. Fu la calma estrema con cui ci rifletté sopra che lo sorprese più di ogni altra co-
sa. All'ospedale, nei lunghi giorni del suo ricovero dal trauma subito in battaglia, aveva indugiato perversamente sulle implicazioni colpevoli dei delitti legalizzati che aveva commesso col patrocinio del suo governo. Era tormentato da un forte senso di colpa per le morti inferte al nemico, ma la terapia psichiatrica all'ospedale era riuscita a convincerlo della sua innocenza morale. Forse la terapia aveva avuto persino troppo successo, perché ora, mentre rifletteva sulla sconcertante crudeltà e venalità di Gene Folwell, Clark non riusciva a vedere nessuna buona ragione per cui il suo vicino di casa dovesse restare in vita... se la morte era l'unico modo per liberare Laura e suo padre. Non si trattava di un'emozione egoista, si disse. Non la pensava così solo perché voleva Laura per se stesso. Folwell era un criminale che aveva inflitto sofferenze a dozzine di persone, aveva completamente distrutto un grand'uomo e aveva reso un inferno la vita in terra alla figlia di Barraclough. Se Folwell era stato così furbo da sfuggire alla legge, quello non era un buon motivo perché continuasse a farla franca. O sì? Si pose la domanda, ma non riuscì a trovare nessuna risposta adeguata. Però non aveva perso del tutto la testa. Uccidere Folwell era per lui ancora una pura e semplice ipotesi che forse, nel futuro, sarebbe stato necessario attuare. La cosa da fare subito, tuttavia, era quella di considerare la situazione e vedere come comportarsi nell'immediato. Si ricordò quasi subito che anche suo zio, il dottor Trask, era stato coinvolto nella tragedia del professore. Quello era un inatteso colpo di fortuna. Clark nutriva grande fiducia in suo zio. Sarebbe stato poco saggio fargli sapere quello che Laura gli aveva detto in confidenza, ma il dottor Trask era stato un grande amico del professor Barraclough, tanto che aveva anticipato una forte somma per pagargli la libertà su cauzione. Perciò era possibile che fosse in grado di fornire una qualche pista d'indagine a Clark. Chiamò il laboratorio. Una segretaria gli disse con la più grande enfasi che il dottor Trask non poteva vedere nessuno, quella mattina, ma Clark riuscì a ottenere un appuntamento per il pomeriggio, sul tardi. Lo scrittore trascorse il resto della mattinata passeggiando avanti e indietro per la sua stanza. Mettersi a lavorare era fuori questione. Era anche impossibile andare a trovare Laura, perché una grande sagoma, che appariva di tanto in tanto alla finestra del salotto, gli fece capire che Gene Folwell era ancora in casa. Alla fine, Clark decise di uscire e si recò di buon passo alla biblioteca
pubblica. Lì, almeno, avrebbe potuto leggere le diverse versioni che i giornali avevano fornito del caso. E chissà, forse avrebbe potuto ricavarne qualcosa di utile. Quando Clark firmò il foglietto di richiesta dei quotidiani che desiderava consultare, e delle date, la bibliotecaria gli lanciò un'occhiata incuriosita. — Strano. Stamattina, è venuto un altro uomo che voleva consultare quei giornali — dichiarò la donna. — E ha dato il suo stesso indirizzo. Mi ha detto che era interessato al caso del professor Barraclough. Clark alzò bruscamente lo sguardo. — Che aspetto aveva? — Era un uomo alto e magro. Ha detto che era uno degli ex studenti del professore. Un uomo alto e magro. E così, Ted Steele stava ancora giocando al suo gioco incomprensibile. Nella tensione emotiva della sera precedente, Clark si era completamente dimenticato dell'inquilino del piano di sotto. Il solo pensiero di quell'individuo gli faceva provare una sensazione piuttosto sinistra. Steele era solo un'altra di quelle persone ostili che in qualche modo minacciavano Laura e lui stesso. Rileggendo i quotidiani, Clark non ricavò nulla di particolarmente utile. Capì comunque che lavoro incredibilmente efficiente avesse svolto Gene Folwell nel creare una marea di indizi contro il professore. Laura aveva ragione. Sarebbe stato impossibile dimostrare l'innocenza di Barraclough, a meno che non fosse venuto alla luce qualche nuovo elemento. Gli occhi di Clark indugiarono su alcuni paragrafi, paragrafi nei quali si accennava in modo obliquo al fatto che Laura fosse stata l'assistente del padre non solo in laboratorio, ma anche nel piano di ricatti. Clark sentì la collera crescergli dentro. Prima di andarsene, comunque, decise di fare un controllo anche su Steele, per vedere se il suo misterioso vicino era stato più sincero con la bibliotecaria che con lui. L'elenco degli studenti del college in questione rivelò che Edward Steele si era laureato dieci anni prima. Sembrava verosimile, in rapporto all'età che il tizio dimostrava. Steele non era un cognome molto raro, naturalmente; e sarebbe anche stato piuttosto sicuro da usare, se qualcuno voleva impossessarsi dell'identità di un altro. Mentre Clark usciva in strada, stava ancora riflettendo sul problema di Ted Steele. Quando raggiunse il laboratorio dello zio, erano già le cinque e mezzo,
l'ora dell'appuntamento. Stavolta, comunque, gli venne risparmiata l'ordalia di dover assistere all'esame autoptico e venne ammesso quasi subito nell'ufficio privato del dottor Trask. L'ometto dalla testa rossa era chino sopra una pila di fogli posati sulla scrivania. Clark notò una sfilza di cifre e complicate statistiche. Il dottor Talbot Trask stava contando ad alta voce come un ragazzino: — Centoquarantotto, centoquarantanove, centocinquanta... Idioti! Razza di incapaci e corrotti! Poi alzò improvvisamente lo sguardo e lanciò un'occhiataccia a Clark. — Ti rendi conto che questi laboratori hanno provato... "provato" per mezzo di analisi scientifiche, bada bene... che negli ultimi sei mesi centocinquanta tra i casi di persone decedute e portate qui per l'autopsia non sono morte per cause naturali? Il suo sguardo feroce si era appuntato su Clark, come se il professore lo sfidasse a contraddirlo. — E quanti arresti hanno eseguito? — Gli occhi fiammeggianti parevano accusare Clark di essere il responsabile della porzione più grande di quelle morti violente. — Diciassette! Ti rendi conto? Diciassette! Guarda queste cifre, se non mi credi. Clark si piegò gentilmente sul foglio che lo zio stava leggendo. — E solo tre delle persone arrestate sono state condannate per omicidio di primo grado — continuò lo zio con aria disgustata. — Se potessi fare a modo mio, metterei sottochiave tutti i parenti di quelli che muoiono senza essere stati malati da almeno due anni. E i processi li farei fare ai medici, non agli avvocati e alle solite giurie dalla testa vuota! Bah! Clark attese che allo zio sbollisse la collera, prima di affrontare l'argomento della sua visita. — Quando sono venuto qui l'ultima volta, zio Talbot, il tenente Jones ha detto che tu eri interessato al professor Barraclough. So che gli hai pagato la cauzione, e so anche che speri di poterlo identificare, nel caso che... il suo cadavere venga ritrovato. — Clark faceva fatica a tenere sotto controllo il tono della voce. — Sono terribilmente interessato al professore, zio. Saresti così buono da dirmi qualcosa su di lui? Ci fu una curiosa espressione sul viso del dottor Trask mentre lui fissava il nipote. — Sei sempre il solito ficcanaso, eh? — disse. — Suppongo che tu sia venuto qui per strapparmi qualche informazione e poi utilizzarla in uno dei tuoi racconti, mi sbaglio?
— No, non si tratta di questo — disse in fretta Clark. — Ho una ragione personale per farti la domanda che ti ho fatto... molto personale. Per un attimo, il dottor Trask si accarezzò il mento dalla barbetta rossiccia con fare pensieroso. Sembrava riluttante a parlare. Ma quando alla fine si decise, fornì a Clark un resoconto della storia che non differiva in nessun particolare da quello che lui aveva appreso da Laura e, in seguito, letto sui giornali. — Ma tu non credi che il professore fosse colpevole, vero, zio? — domandò con impeto Clark. Per la prima volta, negli occhi del dottor Trask notò una strana emozione che non era né indignazione né curiosità scientifica. — Hobart Barraclough era uno dei nostri più grandi scienziati — rispose lentamente lo zio Talbot. — È stato un eroe di guerra, ed era anche il miglior amico che abbia mai avuto. Essendo anch'io una specie di fotografo dilettante, so bene che progressi abbia fatto fare a quel particolare settore. Agitò la mano intorno alla stanza e indicò a turno i vari studi fotografici appesi alle pareti. Poi parlò delle discussioni scientifiche che faceva con il suo vecchio amico e delle rivalità che erano intercorse tra di loro. Clark ebbe qualche difficoltà a riportare l'attenzione dello zio sull'argomento che gli interessava di più. — Ma davvero ti ha fatto perdere i soldi che avevi pagato per la sua cauzione, zio? Il dottor Trask parve di nuovo esitare. Poi fissò negli occhi il nipote. — Credo che tu abbia una buona ragione per rivolgermi questa domanda — disse tranquillamente. — Ma se non ce l'hai, e se dovessi usare in modo improprio quanto ti dico... — e a quel punto fece un gesto eloquente — nipote o non nipote, stai certo che te ne pentirai. — Puoi fidarti di me — disse solennemente Clark. — Anch'io, come te, sono certo della sua innocenza. — Hobart mi ha restituito i soldi della cauzione — disse il dottor Trask. — Ho ricevuto la somma la sera stessa del suo suicidio. Non ho mai accennato a questo fatto con nessuno, nemmeno con la figlia, per non parlare poi della polizia... E insieme ai soldi c'era un biglietto. Frugò in un piccolo cassetto della scrivania ingombra e ne estrasse un singolo foglio. Clark lesse: Mio caro e vecchio amico,
c'è solo una via d'uscita per me. Non posso affrontare il processo e tutto quello che ciò comporterebbe. Questo messaggero ti porterà in buoni del tesoro negoziabili l'equivalente della somma che tu hai così generosamente versato per la mia libertà su cauzione. Pensa a me non come a un vigliacco, ma come a un tuo caro amico. Sempre tuo, Hobart Barraclough Quando Clark posò il biglietto, suo zio lo stava guardando fisso negli occhi. — Questa, ragazzo mio, non è la lettera di uno spietato e immorale ricattatore. So che la polizia aveva più di una prova per farlo condannare. La polizia, puah! Se quelli si fossero sforzati di seguire il più elementare corsetto di psicologia, saprebbero che tutte le prove del mondo non basterebbero a trasformare in un criminale una persona come Hobart Barraclough. Avevano tentato persino di dimostrare che c'era una traccia di follia nella tamiglia. Tutte menzogne. Semmai, la follia stava dalla parte della moglie, non del mio amico. Il dottor Trask emise un grugnito e lanciò un'occhiata severa a Clark da sopra gli occhiali. — E sono state dette numerose sciocchezze anche sulla figlia. Tutto perché lei aveva un bel visino e un po' di sale in zucca. I giornali, puah! Clark provò un'improvvisa ilarità. Era bello sentire il suo brusco e ipercritico zio prendere le difese di Laura. Provò l'impulso folle di confidare tutto a quell'ometto dalla testa rossa. Ma mentre Clark rifletteva, il dottor Trask aggiunse improvvisamente: — Ora che Barraclough è morto, la polizia ha chiuso il caso. Per loro, tutto si riduce a trovare corpi che poi mi portano qui chiedendo che li identifichi. Ne arrivano tutti i giorni; ce n'è uno all'obitorio persino adesso. — Con un caustico cenno del capo, il dottor Trask liquidò l'argomento dei cadaveri come se fosse del tutto irrilevante. — Ma c'è un indizio che potrebbe discolpare Barraclough, se la polizia si preoccupasse di seguirlo. — Dici sul serio? — chiese con avidità Clark. — E quale sarebbe? — I giornali non hanno mai accennato alla cosa — mormorò il dottor Trask — ma diverse delle vittime dei ricatti hanno spiegato come erano state istruite a consegnare il denaro. Dovevano recarsi a un certo spettacolo da music-hall con il denaro in contanti e farlo scivolare nella tasca di un
nano che si esibiva sul palco. Il giorno seguente dovevano tornare e, sempre nella tasca del nano, avrebbero trovato la negativa della foto del ricatto. Clark si drizzò a sedere, facendo correre i pensieri. Laura non era stata in grado di trovare nessuna prova contro Gene Folwell. Ma quello di cui gli aveva parlato lo zio era un indizio piuttosto preciso. Se solo avessero potuto dimostrare che il nano usato nello schema estorsivo era Franko, il fratello di Gene... — Un nano! — esclamò il patologo, facendosi passare una mano tra i capelli. — Questo è stato uno dei due elementi che mi hanno dimostrato in maniera incontrovertibile che Barraclough non poteva essere colpevole. Non era impossibile che un grande cervello come il suo potesse essersi piegato a una tentazione così perversa come quella di ricattare la gente con dei fotomontaggi, lo ammetto. Ma te lo immagini il professor Barraclough con un nano come complice? Una cosa assolutamente romanzesca, ragazzo mio. Assurdo! Ma Clark lo ascoltava a malapena. Si alzò di scatto, gli occhi fiammeggianti. — Non so come ringraziarti, zio. Mi hai detto quello che volevo sentire. Mentre Clark si avviava alla porta, il dottor Trask lo chiamò bruscamente. — Non così veloce, giovanotto — gridò. — Ho detto che avevo due ragioni per credere all'innocenza di Barraclough. Non vuoi sentire la seconda? C'era un bagliore un po' triste e un po' malizioso negli occhi dell'ometto mentre lui continuava. — Anch'io sono stato ricattato. Ma Hobart sapeva bene che non avevo nemmeno un cent intestato a me. Tutti i soldi che guadagno vengono prontamente investiti in questo laboratorio. Per pagare la sua cauzione, sono stato costretto a chiedere un prestito a tuo padre. Inoltre, persino un matto non tenterebbe di ricattare il suo più vecchio amico. Mentre Clark stava in piedi sulla soglia, sentì il sogghigno mefistofelico dello zio. — Un giorno, ti farò vedere la foto che hanno usato per ricattarmi — disse. — Sempre che mi prometti di non parlarne con mia moglie... o con Mabel. 11
Clark si affrettò a raggiungere casa nell'oscurità incombente. Doveva riferire subito a Laura quello che aveva appreso dallo zio. Non c'era alcun dubbio nella sua mente che il nano coinvolto nel ricatto fosse Franko. Provò una certa soddisfazione nel constatare che era stato proprio lo sfrenato egoismo di Folwell a fornirgli l'indizio decisivo. Se Franko fosse stato rinchiuso in un'istituzione, se il fratello non avesse insistito a tenerlo con sé per usarlo come modello nelle sue foto perverse non ci sarebbe stato nessun elemento a collegare Gene Folwell con i ricatti. Era già calata la sera quando Clark arrivò davanti alla porta del suo stabile. Mentre transitava al terzo piano, una porta si aprì e ne emerse una figura sottile e familiare. — Salve, Rodman — mormorò Ted Steele. — Ha un paio di minuti da dedicarmi? — Mi spiace molto — disse subito Clark — ma ho una fretta del diavolo. — Peccato. — Gli occhi grigi dell'altro assunsero un'espressione di scherno, posandosi su Clark. — Speravo di poter fare una piccola chiacchierata con lei... a proposito della biblioteca pubblica. Ma Clark non si fermò. Una volta al piano superiore, entrò nel suo appartamento. Accese le luci e poi le spense di nuovo. Prima di andare da Laura, doveva accertarsi che la ragazza fosse sola. Non era ancora pronto ad affrontare Gene Folwell. Si diresse alla finestra aperta e sbirciò un po' a disagio in direzione dell'appartamento di fronte. Il salotto era immerso nelle tenebre, ma nella camera da letto la luce era accesa. Nonostante le imposte fossero state abbassate, Clark notò che all'interno danzavano strane ombre. Per qualche secondo, rimase immobile. Qualcosa aveva acuito la sua ansietà. Perché mai le luci in camera da letto dovevano essere accese a un'ora così tarda? Perché il resto dell'appartamento era al buio? Perché...? All'improvviso, s'irrigidì. Aveva percepito un rumore dall'appartamento di fronte. Dapprima era troppo indistinto perché potesse riconoscerlo. Ma poi lo udì di nuovo, e subito sentì un freddo brivido di collera scendergli lungo la spina dorsale. Era lo schiocco di una frusta. Il rumore venne subito seguito da un piccolo grido... se di dolore o di estasi, Clark non riuscì a capire. Poi sentì la sonora risata di Gene Folwell.
Clark tornò indietro con la memoria alle fotografie quasi oscene che aveva visto nell'appartamento dei Folwell. Che stessero inscenando qualche orgia sadica nella stanza di Laura? Al pensiero, Clark si sentì avvampare dalla collera. Poi gli arrivò nuovamente lo schiocco della frusta, seguito da un'esclamazione smozzicata e dalla risata di Gene Folwell. Non riuscì a sopportare oltre. Quasi senza accorgersene, Clark sfrecciò nella sua camera da letto e uscì sul tetto. Con mani malferme, posò la scala sul bordo dell'edificio di fronte e se ne servì per passare dall'altra parte. Arrivato davanti alla veranda dei Folwell, si rese conto che la porta non era chiusa a chiave. La aprì con una spinta, entrò nel salotto vuoto e puntò subito verso la porta della camera da letto di Laura. Aprì anche quella e rimase fermo sulla soglia per un lungo momento, fissando la scena davanti a sé. Quello che vide era così disgustoso, così perversamente vizioso che non riuscì a coglierne subito tutte le implicazioni. Si limitò a restarsene dov'era, guardando uno spettacolo i cui particolari erano tutti rivoltanti. Ma, prima di ogni altra cosa, il suo sguardo si concentrò su Laura. Se ne stava inginocchiata sul pavimento, la testa contro il bordo del letto, mentre una macchina fotografica poggiata su un trespolo si trovava alle sue spalle. La ragazza aveva le mani legate dietro la schiena, e il vestito le era stato strappato all'altezza delle spalle. I capelli neri le cadevano sulla fronte, e il suo profilo era contorto in un'espressione di paura e di disgusto. Gene Folwell stava in piedi sopra di lei e le aveva appena colpito la schiena nuda con un frustino. Appollaiato su una sedia vicino al letto, il viso rotondo e infantile attraversato da un sorriso ebete, c'era Franko. Gene passò il frustino al fratello nano e si diresse verso la macchina fotografica. Con orrore, Clark vide il nano alzare il frustino in imitazione di Folwell e calarlo con forza sulle spalle di Laura. Clark ci aveva impiegato solo una frazione di secondo per prendere nota della frustata. La sua momentanea inazione cessò di colpo. Balzò all'interno della stanza, strappò il frustino dalle mani del nano e spinse rudemente Franko per terra. — Clark! — Quel richiamo era venuto come in un sussurro dalle labbra di Laura.
Ma il giovane si era già inserito tra la ragazza e Gene Folwell. Lanciò un'occhiata furente all'omone. — Dovrebbe esserci una legge contro i ficcanaso, non è vero? — disse tranquillamente quest'ultimo. — È molto seccante che i vicini vengano a turbare una tranquilla serata domestica. E così, l'eroico Rodman si è deciso a sguainare la spada del cavaliere? — Gene Folwell aveva le labbra serrate. — Meglio che se la squagli subito, Rodman. Le dita di Clark erano strette sull'impugnatura del frustino. Lo sollevò e colpì in viso Gene Folwell con tutta la forza che aveva. Laura lanciò un grido soffocato. Folwell alzò una mano per proteggersi il viso; poi, imprecando tra i denti, si scagliò in avanti e colpì con un pugno la spalla di Clark. Nell'arco di pochi secondi, i due uomini si erano messi a lottare selvaggiamente, a corpo a corpo. Clark era più leggero del suo avversario, ma la collera gli aveva contento una l'orza supplementare. Si liberò dalla stretta dell'altro, fece partire un colpo e centrò Folwell in piena fronte. L'altro barcollò all'indietro e si sentì un frastuono infernale mentre il trespolo della macchina fotografica impattava contro il pavimento dopo la caduta. Fin lì, Clark non si era reso conto che in quella stanza c'era una macchina fotografica. Ma ora, mentre pensava che Folwell stava riprendendo le torture a cui sottoponeva la moglie, sentì crescere dentro di sé una furia ancora maggiore. Fece scattare entrambi i pugni, come una girandola, e vide del sangue schizzare dal naso di Folwell. Il sangue sgocciolò fino al segno rosso che il frustino aveva lasciato sulla guancia dell'uomo. Clark piazzò un gancio un po' maldestro al mento dell'avversario e spinse via Folwell da sé. Stavolta, l'altro perse l'equilibrio. Allungò il braccio di scatto, in cerca di un appiglio, e precipitò di lato sul pavimento. Mentre cadeva, impattò con la testa contro l'estremità in ferro del letto. Per qualche attimo si mosse spasmodicamente, lungo disteso sul tappeto. Poi il suo corpo s'irrigidì e rimase immobile. Clark abbassò lo sguardo su di lui, quindi si girò verso Laura e la liberò dalla corda che le bloccava le mani. Lei cercò subito di coprirsi il seno con i pezzi dell'abito stracciato. Il suo sguardo incrociò quello di Clark in un'espressione disperata. — Non avresti dovuto farlo, Clark. Non capisci? Questo non te lo perdonerà mai. Ora farà di tutto per vendicarsi. — E tu credi che me ne importi? — tagliò corto Clark. — Laura, questa
è la fine. Non permetterò che resti qui un attimo di più. Lascerai questo posto stasera stessa. Lei fece un debole gesto di protesta, poi si alzò e si diresse verso Franko. Il nano aveva ritrovato il frustino. Con gli occhi azzurri e vacui fissava davanti a sé mentre batteva meccanicamente su una sedia. Stava ancora imitando i movimenti del fratello. Laura guardò Clark. — Non devi prendertela con Franko. Lui non capisce; non si rende conto di quello che fa. Lei attraversò la stanza e raggiunse il nano. Lui fece cadere il frustino e alzò lo sguardo sulla ragazza con un'aria di assoluta devozione, come un cane verso il suo padrone. Poi alzò le mani in modo che lei lo prendesse in braccio. Per la prima volta, Clark vide una specie di pathos rifulgere in quella triste parodia di un essere umano. Laura tirò su di peso Franko come se fosse un bambino e lo portò fuori dalla stanza. Quando tornò, il viso della ragazza era pallido ma determinato. Abbassò lo sguardo sulla figura priva di sensi del marito. — Ci sono molte cose che devo dirti, Clark, perché tu possa capire questo disgustoso spettacolo. Ma forse prima è meglio portare Gene nella sua stanza. Te la senti di farlo? Clark si chinò sul corpo immobile e, usando tutta la forza che aveva, riuscì a sollevare Folwell. Poi, posandosi il fardello sulla spalla, seguì Laura in salotto e quindi in un'altra camera da letto. Lì lasciò cadere il corpo di Gene sul materasso. Laura gli gettò sopra una coperta. Le sue dita si chiusero su quelle di Clark e, quando la ragazza parlò, c'era quasi una nota di esultanza nella sua voce. — Qualunque cosa possa farci Gene — disse tranquillamente — sono contenta che sia successo questo, Clark. Per tutta la sua vita, lui non ha fatto altro che impaurire e sfruttare la gente. Credo che questa sia stata la prima volta in cui gli è capitato di dover ingerire la sua stessa medicina. — Laura aumentò la stretta sulla mano dello scrittore, poi si voltò di scatto a guardarlo. — Per un attimo, quando è caduto, ho... ho pensato che tu l'avessi ucciso, Clark. Fece una pausa, le labbra semichiuse. — E al pensiero che forse l'avevi ucciso, non ero per niente spaventata. Si lanciò contro la spalla di Clark, premendo il viso sulla giacca di tweed del giovane. — Oh, Clark, devi aiutarmi! Devi impedirmi di provare queste sensazioni! Mio Dio, cosa mi sta succedendo? Perché mi sono sentita felice all'idea
che Gene fosse morto? 12 Entrarono in salotto. Una bottiglia di rye e un bicchiere si trovavano esattamente nel punto in cui li aveva lasciati Gene Folwell. Clark si versò del liquore nel bicchiere. Tutti i nervi nel suo corpo sembravano tesi come una corda di violino. Bevve un sorso di whisky, e il sapore acre del liquore sulla sua lingua contribuì a scuoterlo. Aveva già preso una sigaretta da un contenitore sul tavolo. Anche il gusto del fumo gli sembrava stranamente pungente. Laura sedeva al tavolo di fronte a lui e lo guardava con ansietà. Le dita della ragazza continuavano a muoversi sulla parte anteriore del vestito lacerato. Nello shock degli ultimi minuti Clark si era completamente dimenticato di riferirle del discorso avuto con lo zio. Solo a poco a poco mentre il whisky infondeva calore e forza al suo corpo, lui ricordò che era venuto lì per portare le ultime buone notizie a Laura, e cioè che per la ragazza esisteva la possibilità di sfuggire a quella specie di inferno in cui era costretta a vivere con Gene. La sua voce sembrava stranamente impastata mentre lui spiegava a Laura come avesse scoperto la presenza di un nano nella storia dei ricatti e come esistessero testimoni che, se necessario, potevano identificare Franko. — So che dev'essere stato Franko — concluse. — Ecco perché allora non sapevi niente della sua esistenza. Gene lo faceva recitare in uno spettacolo da music-hall e lo usava come collettore delle somme estorte. Non capisci come questo implichi quasi matematicamente la colpevolezza di Gene? Se possiamo dimostrare che Franko... — s'interruppe, prendendole la mano e stingendogliela. — Ora abbiamo in mano qualcosa con la quale contrastare Gene. È quello che avevamo sperato, Laura, capisci? La ragazza ascoltava in silenzio. Per un attimo, un bagliore di speranza le si accese negli occhi scuri, ma non durò a lungo. Non chiese a Clark come avesse fatto ad avere quella informazione; non gli chiese niente. Si limitò a tirarsi indietro i capelli sulla fronte. — E così potremmo avere la prova della colpevolezza di Gene? — Laura abbozzò un sorriso freddo. — Questa sì che è veramente ironica! E proprio adesso doveva capitare! — Cosa vuoi dire, Laura?
— Tu non sai cos'è successo oggi pomeriggio. — La voce della ragazza era spettrale. — È stato orribile. Non mi riferisco a quello che hai visto tu... ma a quello che è successo prima. Abbiamo fatto una tremenda litigata, Gene e io. Prima non ho mai avuto il coraggio di dirgli in faccia quello che pensavo. Ma da quando ti conosco, non so come, qualcosa è rinato in me. Lui ha detto delle cose orrende su papà, ed è da lì che è cominciato il tutto. A quel punto, mi sono ribellata. Oh, lo so che è stato sciocco da parte mia, ma gli ho detto che sarei andata dalla polizia per accusarlo di aver incastrato papà. Clark svuotò il bicchiere con un ultimo sorso e, meccanicamente, si versò dell'altro whisky. Un curioso senso di vertigine stava invadendogli il cervello. Il volto pallido di Laura gli sembrava sfuocato, come se stesse guardandolo attraverso una cortina di nebbia. — Dapprima, Gene mi ha riso in faccia — stava dicendo lei. — Poi nello sguardo gli è apparsa una strana espressione e... — S'interruppe di scatto e, dopo pochi secondi, aggiunse: — Clark, hai scoperto qualcos'altro sull'uomo che sta nell'appartamento sotto il tuo? Si chiama Steele, no? — Già. No, non ho scoperto nient'altro, Laura. Ma che cos'ha...? — Qualcuno ha detto a Gene di noi due. — La voce di Laura era bassa e rapida. — Sono sicura che è stato quello Steele. Vedi, Gene ha detto delle cose poco belle su di te. Poi ha aggiunto che sei stato tu a mettermi in testa l'idea di minacciarlo, perché da sola non avrei mai avuto il coraggio necessario e... Quindi, per l'ennesima volta, ha ammesso tutto, naturalmente. Ha ammesso quello che aveva fatto per gettare la colpa su papà. — Laura indicò improvvisamente un punto al di là del tavolo. — Se ne stava seduto lì in quella sedia, a raccontarmi per filo e per segno come aveva pianificato la storia dei ricatti. Aveva rubato quelle tecniche fotografiche che stava sviluppando mio padre, naturalmente, e si era reso subito conto come sarebbe stato furbo fabbricare qualche indizio che incriminasse papà e lo costringesse a inscenare il suicidio, così lui sarebbe stato libero di sposarmi e di intascare l'eredità. Laura s'interruppe, lasciando cadere una mano sul tavolo. — Se ne stava seduto lì, Clark, e continuava a dirmi quelle cose orribili. E mentre parlava non faceva che ridere, perché sapeva che, qualunque cosa avessi tentato, non potevo combinare niente. In realtà, avevo le mani legate. — Non è vero! Ora c'è qualcosa che puoi fare, Laura! — Clark si sporse goffamente in avanti. Ora tutti i mobili nella stanza sembravano ruotare intorno a lui. La cinepresa fissata alla parete, le sedie, il tavolo, stavano tutti
muovendosi in modo curiosamente ritmico. Quasi senza sapere quello che faceva, Clark si portò di nuovo il bicchiere alle labbra e prese un'altra delle acri sigarette nel contenitore. — Te l'ho detto, Laura. Ti ho detto che ora possiamo ottenere delle prove. E le prove... — No che non possiamo, invece. — La voce della ragazza salì di tono in un crescendo di disperazione. — Stammi bene a sentire, Clark. Dopo avermi confessato tutto, Gene mi ha detto per quale motivo non avrei mai potuto rivolgermi alla polizia. Vedi, lui si era già preparato a questa eventualità mesi fa. Sai come faceva a spillare soldi alla gente, no? Fabbricava foto false in cui si vedevano personalità celebri con ragazze seminude in tutte le posizioni più imbarazzanti. Bene, durante gli ultimi mesi, lui ha preparato qualcun'altra di queste fotografie. Il sorriso di Laura si ripercosse con un suono amaro e sinistro nelle orecchie di Clark. — Me le ha fatte vedere questo pomeriggio. Sono più o meno come le altre. Ma... ma stavolta Gene ha trovato una nuova modella. — Gli occhi della ragazza si fissarono con una intensità bruciante in quelli di Clark. Era l'unica cosa di cui fosse consapevole lo scrittore nel suo stato di stordimento. — L'ha usata in tutte quelle foto disgustose. E sai di chi si tratta? Si tratta di me, Clark! Di me! Lui si sforzò di cogliere tutte le implicazioni di ciò che aveva appena sentito. — Per tutto il tempo che siamo stati qui — disse rapidamente Laura — Gene ha continuato a scattarmi foto con... con quel nuovo processo che aveva inventato papà. Io non me ne sono nemmeno accorta, ma... oh, Clark, è stata un'esperienza davvero terribile! Ciò che hai visto stasera, con me legata al letto e Franko... sì, Gene, stava usando anche quelle foto per il suo sporco piano. Doveva essere l'ultima prova contro di me. Laura si era alzata. Clark sentì le dita delle ragazza stringersi sulle sue spalle. — Ora capisci perché non potrei mai andare a denunciarlo, nemmeno se avessi tutte le prove del mondo contro di lui? Se Gene fosse mai condannato per quei ricatti, lo sarei anch'io, come sua complice e sua... modella. Oh, mio Dio, che sciocca sono stata! Che stupida, stupida sciocca! Ora Clark aveva terminato di bere anche il suo secondo drink. Si alzò e si mise molto vicino a Laura. Forse aveva bevuto troppo, rifletté. Ecco perché tutto gli pareva così indistinto e sfuocato. Sì, doveva essere quella
la ragione. Eppure, non si sentiva ubriaco. Non aveva mai provato una sensazione simile, in precedenza. Una parte del suo cervello era come assopita, ma un'altra era vivida e attiva. Gli pareva di vivere in un mezzo sogno, dove le parole di Laura e i suoi pensieri si fondevano in modo inestricabile, così che gli riusciva difficile capire cosa fosse vero e cosa immaginario. "Gene Folwell ha fatto queste cose a Laura. Adesso lei non può più scappare da lui. Gene Folwell ha distrutto la vita di Laura." Clark sapeva che quelle parole le aveva solo pensate, eppure avrebbe potuto giurare di aver sentito qualcuno pronunciarle ad alta voce. Il suo cuore stava pulsando come una dinamo. — Io amo Laura. — Stavolta, era la sua voce. — Io la amo e devo proteggerla. Io odio Gene. Ma non c'è nessuna via d'uscita, nessuna. Doveva aver vacillato, perché sentì di nuovo le dita di Laura stringersi sul suo braccio. All'improvviso, l'impressione confusa che Clark aveva di lei si rafforzò. Ora gli pareva di vederla in miniatura, come una specie di fotografia di se stessa, anche se con particolari molto vividi. Le labbra della ragazza si mossero, articolando qualche parola incomprensibile. Lui si fermò per cercare di capire quello che Laura aveva detto e sentì di nuovo la voce di lei giungergli flebile e indistinta, come una voce dall'altro capo di una linea telefonica parzialmente sconnessa. — Clark, che hai? Cosa ti succede? Lui tentò di risponderle, ma all'improvviso quell'altra voce, la voce tambureggiante, risuonò nelle sue orecchie. "Ti sbagli" stava dicendogli la voce. "Una via d'uscita c'è, e tu lo sai. Gene Folwell è ancora sdraiato su quel letto, privo di sensi. E c'è il trespolo d'acciaio sul pavimento della camera da letto. Il trespolo d'acciaio! Il trespolo d'acciaio!" Un istante dopo, ebbe la sensazione che la voce fosse quella di Laura, poi di nuovo la sua e infine quella di un essere che non aveva mai conosciuto. Ma Clark si sorprese ad ascoltarla con un'attenzione estatica, quasi esultante. Ora sapeva quello che doveva fare. E, con folle e soverchiante senso di potere, capì che avrebbe trovato il coraggio per farlo. Si spostò dal tavolo. Nell'intensa illuminazione della stanza, notò vari oggetti a caso, ma fu su uno in particolare che si concentrò: la porta della camera da letto. La camera da letto di Laura. La camera in cui lui e Gene avevano lottato, rovesciando sul pavimento la macchina fotografica e gli altri arnesi di Folwell. E lì c'era anche il trespolo...
Clark raggiunse la porta. Appoggiò una mano contro lo stipite e poi si spinse in avanti. Le luci erano ancora accese. Scorse il letto in disordine, il tappeto gualcito e la macchina fotografica per terra. Poi vide il trespolo d'acciaio che sembrava ammiccare con aria invitante proprio verso di lui. Si rese vagamente conto che Laura doveva essere lì, in mezzo a quel caos di luce e di oscurità che lo circondava. Ma, in quel momento, non riuscì a pensare a lei. Stava cercando la porta dell'altra stanza, quella dove lui e Laura avevano portato Gene Folwell. Una porta si profilò davanti a lui. Era aperta. Nella vivida luce del salotto, notò una figura indistinta sdraiata sul letto e parzialmente nascosta da una coperta. Incespicò in avanti fermandosi sul bordo del letto, le dita strette sul trespolo pieghevole. Per un secondo rimase immobile, abbassando lo sguardo su quella forma in penombra di cui conosceva bene l'identità. Era l'uomo che odiava più di quanto non avrebbe mai potuto odiare un'altra persona in vita sua; l'uomo che aveva distrutto la vita di Laura; l'uomo che aveva avvinto a sé quella povera ragazza con un legame così odioso che nulla sarebbe mai stato in grado di spezzare. No, nulla sarebbe mai stato in grado di spezzarlo! Clark sentì una risata... la sua. Sollevò il trespolo e lo abbatté con forza contro la sagoma oscura sdraiata sul letto. Nella luce che filtrava dal salotto, vide il cuscino bianco diventare rosso. Il sangue continuò a schizzare dalla testa dell'uomo inerte, macchiando la mano che reggeva il trespolo. Clark colpì di nuovo e poi di nuovo. Da qualche punto imprecisato, a miglia di distanza, sentì l'urlo di una donna, sentì la voce di Laura che gridava: — Clark, basta! Fermati! Ma quella voce non aveva la minima realtà per lui. Tutto il suo essere era concentrato su un unico pensiero... un pensiero selvaggio e trionfante. "Laura è libera! Libera!" La voce della ragazza adesso era più vicina, tanto vicina che sembrava formarsi nel cervello dello scrittore. — Clark, cosa... cos'hai fatto? È morto! Non udì nient'altro. Il trespolo gli scivolò dalle dita molli e l'oscurità si chiuse intorno a lui. Stava precipitando, come risucchiato in un vortice. 13
Quando cominciò a tornare in sé, Clark fu consapevole solo di un dolore lancinante alla testa. Tutto il resto sembrava avvolto nella nebbia. Era sdraiato a letto; di quello si rendeva vagamente conto. Ma dove e perché non riusciva a ricordare. A poco a poco, si fece strada in lui l'idea di essere tornato nuovamente a casa. Forse la sua grande avventura di andare a New York e lì tentare di intraprendere una carriera di scrittore non aveva mai avuto luogo. I suoi occhi doloranti colsero, a uno a uno, i vari oggetti di quella stanza e, chissà per quale strana ragione, Clark si formò l'idea che fossero gli oggetti familiari della camera da letto che aveva occupato per anni nella casa dei genitori. Ben presto, il domestico del padre sarebbe venuto a dirgli di alzarsi perché era tardi e... Se solo la sua testa avesse smesso di ronzare! Se solo fosse riuscito a percepire le cose con maggiore chiarezza! Aveva avuto un incubo. Ma certo, ora ricordava. Un brutto incubo. Lottò contro la morsa inesorabile che gli aveva intrappolato il cervello, poi tentò di alzarsi per dimostrare a se stesso che stava bene e che si era svegliato in un mondo sano e tranquillo. Tentò di bandire i ricordi tumultuosi che gli si affollavano nella mente. Presto, forse, sarebbe entrata sua madre e gli avrebbe detto che era stato tutto un sogno: la sua partenza per New York, l'affitto dell'appartamento, la sua ambizione di scrivere... E Clark avrebbe potuto dirle che c'era una bellissima ragazza nella casa di fronte, e che era... Sposata a un altro uomo! Il sogno non stava svanendo; anzi, diventava sempre più reale. Naturalmente, tutto era iniziato quella notte in cui lei aveva dimenticato di chiudere le imposte. Clark ebbe la sensazione di rivedere Laura come gli era apparsa quella prima volta alla finestra. Poi vide il volto di lei contorcersi in una smorfia di dolore mentre qualcuno... suo marito... le torceva un braccio dietro la schiena. Quindi fu la volta dell'uomo del piano di sotto, quello che si faceva chiamare Steele. Non aveva fatto altro che dirgli bugie... bugie su un certo omicidio. Quella parola acquistò subito una straordinaria consistenza ai suoi occhi, illuminandosi come un'insegna al neon. Poi scivolò via. Ora fu la volta di ricordi piacevoli. Quei primi momenti che aveva trascorso da solo con Laura. La sera primaverile in quella piccola veranda. Anche i ricordi svanirono, lasciando il posto a immagini di un corpo nudo sulla tavola mortuaria. Adesso era la voce di suo zio che parlava. E par-
lava del caso di un certo professore, il professor Barraclough. Debolmente, il suo cervello tentò di raggiungere la sequenza successiva. L'incredibile immagine di un nano che stava brandendo un frustino davanti a una donna. La florida, simpatica faccia di Gene Folwell stava chinandosi sull'obiettivo di una macchina fotografica. Poi una colluttazione; del sangue che scendeva lungo le guance di Folwell. Sangue! Adesso ricordava. Folvvell era caduto. Lo vedeva sdraiato sul pavimento con la macchina fotografica accanto a sé... la macchina fotografica e... qual era quell'altro oggetto? Qualcosa che scintillava, qualcosa di metallico... ah, ecco, un trespolo! Il trespolo di una macchina fotografica. Le mani di Clark si strinsero sui bordi del letto. Non era stato un sogno. Era tornato davvero in quella stanza, aveva sollevato il trespolo e... Aveva assassinato Gene Folwell. Era successo veramente. Si guardò in giro per la stanza. Adesso tutto gli era terribilmente chiaro. Probabilmente, si trovava in una delle camere dell'appartamento di fronte. Sì, era nell'appartamento di Laura. E, in qualche momento imprecisato del passato, aveva ucciso Gene Folwell. Il giorno prima, aveva contemplato con freddezza il delitto, ma ora che lo aveva commesso davvero, si sentiva inerme e smarrito. Tentò di venire a patti con quel fatto nuovo e irrevocabile. "Lui, Clark Rodman, era un assassino." Era steso a letto, con la testa che gli doleva selvaggiamente, quando la porta si spalancò ed entrò Laura. Lei era pallida e tirata. Si fermò sulla soglia e lo guardò. Il suo cervello stava dicendo: "L'ho fatto per Laura, l'ho fatto per Laura". Ma lui sapeva che qualunque cosa avesse commesso, e per quanto oscuro potesse essere il suo futuro, quello di lei lo sarebbe stato ancora di più. In quanto moglie di Gene e figlia del professor Barraclough, sarebbe stata universalmente additata come capro espiatorio. Laura si avvicinò al letto e vi si sedette sopra. Clark le lanciò uno sguardo interrogativo. — È tutto vero? — Sì, Clark, è vero. Lui si umettò le labbra asciutte. — Devo essere come impazzito. — No! — Laura gli prese una mano e la tenne stretta. — Sono state le sigarette. — Le sigarette? — Ora capisco tutto. Gene fumava marijuana. Tu hai preso una sigaretta, e deve averti... Oh, Clark, non avrei mai immaginato che...
— Marijuana? — la interruppe lui. — Ecco perché l'hai fatto. Eri drogato e non lo sapevi. Neanch'io lo sapevo. Tu... — Si coprì gli occhi con la mano. — È tutta colpa mia. Sono stata io che l'ho ucciso. E ti ho coinvolto in questa storia che riguardava solo me. Era un problema mio, ma ho cercato di far leva sul tuo affetto. Ti ho montato la testa e, quando hai preso la marijuana, a quel punto volevi ucciderlo veramente e la droga ti ha solo facilitato il gesto. Tu volevi ucciderlo perché sono stata io a istigarti. — Sai bene che questo non è vero, Laura. Non puoi prenderti la colpa. Io sapevo quello che facevo. Io... Clark le gettò le braccia al collo e la strinse a sé. — Come posso giustificarmi? Non me ne importa niente della sua morte. Non me ne importa niente nemmeno adesso. Ma non ti ho affatto aiutato. Anzi, ho solo rovinato tutto. Lei emise un piccolo singhiozzo e si rilassò contro la spalla di Clark. — Prenderò io la colpa — disse. — Perché non dovrei? Tanto, ormai non mi restano più molte ragioni per vivere. Nessuno sa che conoscevi Gene. Sì, è questo che dirò. Io... Laura ebbe un improvviso sussulto e si staccò da lui, mettendosi in ascolto. Anche Clark drizzò le orecchie. Sentì il rumore... il fruscio di una chiave infilata nella serratura. Qualcuno stava entrando. — Dev'essere Harry! — sussurrò Laura. Udirono dei passi, poi la voce stridula di Harry chiamare dalla stanza accanto: — Gene! I passi si avvicinarono mentre il fratello di Gene si muoveva nell'appartamento. Poi calò il silenzio, seguito solo da un grugnito di stupore. Quindi i passi ripresero. Adesso erano più vicini e si dirigevano in camera da letto. La maniglia ruotò. La porta venne spalancata. Harry Folwell si fermò sulla soglia. Il fratello di Gene non parlò. Il suo volto affilato era pallido; i suoi occhietti sembravano luminosi e duri come il ghiaccio. — Proprio un bel quadretto — disse in tono dolce. — L'amore e due assassini! Laura si umettò le labbra. — L'hai visto? — Ho dato solo un'occhiata, ma mi è bastato. Harry Folwell entrò nella stanza. C'era qualcosa di sinistro nella sua figura sottile e poco appariscente. Ignorando Clark, concentrò il suo sguardo
su Laura. — E così, hai predisposto tutto alla perfezione, eh? Hai adescato un giovane idiota e gli hai raccontato la tua storia strappalacrime. Gli hai detto che passato tragico era il tuo e come avresti potuto sentirti libera, se lui fosse stato disposto a fare una cosuccia da niente come quella di assassinare tuo marito. — È una menzogna! — esclamò Clark. — Davvero? — Le labbra sottili di Harry Folwell si curvarono in un sorriso. — Già, forse è solo una menzogna quella che ho visto sul letto di Laura, con la testa fracassata da quel trespolo. Forse stavo solo sognando. Poi si voltò di nuovo con aria truce verso Laura. — Non sei stata molto pratica, vero? Forse immaginavi di poter uccidere un uomo e fare in modo che la gente dicesse: "Poverina, ha sofferto tanto! Dovremmo offrirle una medaglia per tutto quello che ha passato". — Tirò fuori una sigaretta di tasca. — Be', vedremo presto quanto dolore proverà la polizia per te. — Non hai prove, Harry. — Laura si passò stancamente una mano sulla fronte. — E non puoi trascinare Clark in questa storia. Gene aveva dozzine di nemici, no? Chiunque di loro poteva entrare qui e... — E assassinarlo mentre la moglie e il suo amante se ne stavano mano nella mano in un'altra stanza? — disse Harry Folwell sogghignando. — Cerca di spiegarlo alla polizia. — L'uomo serrò le mani a pugno. — Forse hai pensato che anch'io fossi un imbecille come questo Rodman, è così? "Povero piccolo Harry, in fondo lui non è cattivo. E ha anche dei contatti che potrebbero servire. Forse, in qualche modo, riuscirà a mettere a tacere tutto". Mettere a tacere tutto, eh? — Sputò il fumo della sigaretta in faccia a Laura. — Hai dimenticato che Gene è mio fratello? Lui si è sempre comportato bene con me. Come potevi credere che...? — Harry! — Adesso la voce di Laura si era fatta supplicante. — Non ho idea di quello che vuoi combinare, ma tieni Clark fuori da questa storia. Sono stata io a farlo, lo giuro. Ho assassinato io Gene. Clark è venuto dopo. Lui... — Basta così, Laura — tagliò corto Clark. — Questa è una menzogna, Folwell. Ho ucciso io suo fratello e, se vuole saperlo, ne sono orgoglioso. Laura ha cercato di fermarmi, ma invano. — Be', forse è meglio che concordiate le vostre storie — Folwell si mosse verso la porta — perché ho intenzione di telefonare subito alla polizia. — Un momento — disse Laura, che si affrettò a raggiungere il cognato. — Gene ti ha sempre angariato. Ha passato la vita a terrorizzarti, e lo ha
fatto così bene che, persino ora che è morto, hai ancora paura di lui. È per questo che vuoi chiamare la polizia, vero? Non perché ti piace l'idea che venga fatta giustizia, no, ma perché hai paura. Laura continuò a parlare rapidamente. — Tu non la pensavi molto diversamente da me su Gene. Sapevi che era marcio e che si divertiva a torturare il povero Franko. Non voglio ricordarti il genere di vita che mi faceva fare. Se ora ti chiedo un favore, è per Clark, non per me. Fece una pausa. — Ti prego, non chiamare ancora la polizia. Perché rendere le cose più difficili per tutti noi? Gene aveva dei nemici. Te l'avevo già detto, e tu lo sai benissimo. Se solo ti decidessi a stare dalla nostra parte, sarebbe tutto molto più facile. Forse è brutto da parte mia dire queste cose, ma sto lottando per tutto ciò che ha ancora un qualche significato nella mia vita. Gene è morto e meritava di morire. Perché non possiamo portarlo da qualche parte in macchina e abbandonarlo lì? Così avremmo almeno la possibilità che la polizia non riesca mai a risalire a noi. Avevi ragione su di me. Sono io la vera responsabile della morte di Gene. Ma una giuria si limiterebbe a condannare Clark e magari a spedirlo sulla sedia elettrica. Dagli quest'unica possibilità... ti supplico. C'era qualcosa di regale in Laura mentre se ne stava lì, con gli occhi che le lampeggiavano e il mento proteso in avanti. Con una parte di sé, Clark pensava confusamente che, siccome aveva commesso il delitto, era giusto che dovesse pagarne il fio. Meritava di subire la punizione che la legge gli avrebbe comminato. Ma un'altra parte di sé lo spingeva a considerare anche Laura. Se lui precipitava, anche lei lo avrebbe seguito nel baratro. E il piano della ragazza, nonostante fosse piuttosto tirato per i capelli, avrebbe potuto pur sempre salvarla. Per quanto fosse molto rischioso cercare di trasportare il cadavere fuori di casa e abbandonarlo in qualche luogo deserto, per Laura quel tentativo poteva fare la differenza tra la vita e la morte. — Ti scongiuro — stava dicendo la ragazza con fervore. — Harry, che bene ti verrà se Clark dovesse finire sulla sedia elettrica? E come sai che tu non sarai sospettato proprio come noi? Harry Folwell abbassò lo sguardo sulle proprie mani. — E così ti aspetti che protegga un assassino... che metta i bastoni tra le ruote alla giustizia, eh? Clark si rivolse all'ometto. — La pianti con i suoi discorsi altisonanti. Se ci aiuta a sbarazzarci del cadavere, non se ne pentirà. Posso darle dei soldi. Harry spalancò gli occhi con improvviso interesse. — Oh, finalmente
qualcuno si è deciso a parlare come si deve. Pensa di riuscire a spillare un po' di quattrini al suo vecchio? Clark si strinse nelle spalle. — Non lo so. Forse. — Quanti? — Quanto vuole? — Diecimila? Non mi pare molto per salvarvi tutti e due dalla sedia. — Nella voce di Harry era ricomparsa la vecchia nota servile. — Allora, andrebbero bene diecimila dollari? — D'accordo — rispose Clark. — Tenterò. Folwell sembrava raggiante. — Bene, credo che un fratello dovrebbe provare un sentimento davvero morboso verso la sua famiglia per rifiutare diecimila dollari. Diciamo che mi scorderò di fare quella telefonata alla polizia. — Si avvicinò un po' di più a Clark e gli strizzò l'occhio in segno confidenziale. — In fondo, non vedo che male ci sarebbe a scaricare Gene in qualche vicolo buio. Lui non è un tipo noto alla polizia, naturalmente, ma se venissero avviate delle indagini, è probabile che dal suo passato affiorerebbe un bel po' di marciume. E non esiste alcuna ragione al mondo per cui la polizia dovrebbe sospettare della sua adorata moglie o del figlio di Rodman, che, guarda caso, abita proprio qui di fronte. L'ossequiosa furbizia di Harry disgustò Clark, ma lui e Laura si erano cacciati in un brutto pasticcio. E ora, per uscirne, dovevano aggrapparsi anche alla più esile pagliuzza. — Forse — stava mormorando Harry Folwell — sarebbe meglio che lei se ne torni nel suo appartamento, Rodman, e faccia una piccola interurbana. Vorrei sapere cosa ne pensa suo padre a proposito di quei diecimila, prima di cominciare a prendermi gioco della legge. Clark si alzò. — Va bene, Folwell. Se preferisce così... Si sentiva ancora un po' stordito. Mentre camminava, gli pareva di essere una persona che era stata malata da tempo e che doveva migliorare il proprio tono muscolare, prima di potersi muovere bene. Lasciandosi Laura e Harry alle spalle, Clark entrò in salotto. Lì, rannicchiato sul pavimento, c'era Franko. Nelle piccole mani stringeva qualcosa che scintillava alla luce delle lampadine sul soffitto. Alzò lo sguardo verso Clark, gli occhi azzurri che luccicavano di gioia come quelli di un bambino. In modo ritmico, monotono, il nano stava battendo sul pavimento con l'oggetto che aveva in mano. E ogni volta che batteva, lasciava una macchia scura sul tappeto. Anche
le piccole dita grassocce erano macchiate. A Clark quello parve il più terribile di tutti gli eventi capitati durante la serata. Franko giocherellava con il trespolo d'acciaio pieghevole, lo strumento che Clark aveva usato per assassinare il fratello del nano. 14 Clark si sentiva sempre un po' stordito mentre se ne tornava a casa. Era ancora sotto l'influsso della droga, ma ricordava il piano. In qualche modo, lui, Laura e Harry Folwell avrebbero cercato di distruggere ogni traccia del delitto. Sembrava un progetto folle, eppure la sua mente si attaccò disperatamente all'idea, visto che quella era la sola possibilità di salvare Laura dalle conseguenze dell'omicidio. Non provò nessun rimorso per aver ucciso Folwell e ben poca paura per se stesso. La cosa che gli seccava di più era l'immediata necessità di chiamare suo padre. Se n'era andato di casa pieno di ambizioni e si era convinto che, lontano dal suo habitat familiare, sarebbe riuscito a sfondare come scrittore. Quando aveva spiegato al padre il suo punto di vista, lui non si era opposto. Ma ora, solo alcune settimane dopo la sua partenza, avrebbe dovuto telefonare al padre e chiedergli diecimila dollari. Ovvio che non poteva in nessun modo coinvolgere l'anziano genitore nel delitto. Avrebbe dovuto fare appello alla sua mente annebbiata e inventare qualche scusa per giustificare quella richiesta di denaro. Il breve tratto dal salotto al telefono gli parve infinito. Quando raggiunse l'apparecchio, rimase fermo per alcuni secondi, fissando il ricevitore nero che luccicava. Qualunque storia avesse inventato, sarebbe stato comunque umiliante. Per un attimo, fu tentato di consegnarsi spontaneamente alla polizia, pur di non dover sollevare quel ricevitore. Poi la sua mente tornò a Laura. La vide seduta in una corte di giustizia affollata e sentì il pubblico ministero parlare di lei come di un'adultera e di un'assassina; non gli fu difficile immaginarsi l'espressione fredda e implacabile che avrebbero assunto i rispettabili cittadini dai banchi della giuria. Tutto era meglio di quel supplizio. Clark sollevò il ricevitore e chiamò il centralino. — Vorrei Desborough, Michigan, 2683. Ci fu una breve pausa, poi l'operatrice gli chiese il numero. Quando Clark glielo diede, lei disse: — Non ha parlato con la persona
che cercava a Desborough? — Come sarebbe a dire? — Circa un'ora fa, ho ricevuto una telefonata dal suo numero per Desborough 2683. Credevo che si fosse già messo in contatto. È la stessa telefonata o un'altra? Ancora molto lento nei suoi riflessi cerebrali, Clark tentò di cogliere le implicazioni di quella domanda. Qualcuno aveva chiamato suo padre da quell'appartamento, un'ora prima. Che fosse stato lui? La voce squillante dell'operatrice risuonò di nuovo. — È la stessa telefonata o un'altra? — Non importa — disse Clark. — Mi metta in linea. — Benissimo — disse la voce. — Può riagganciare. La chiamo appena possibile. Clark posò il ricevitore sulla forcella, ma non si mosse dal tavolo. Rimase in piedi lì accanto, perfettamente immobile, fissando il telefono con aria assorta. Tutti i nervi del suo corpo erano tesi in attesa che la suoneria squillasse. Stava cercando di inventarsi una storia ragionevole a beneficio del padre. Un debito di gioco? Forse. Non aveva mai mostrato il minimo interesse per il gioco e non sarebbe stato facile far digerire a suo padre una storia come quella. In ogni caso, era la soluzione più semplice. Poteva sempre dire di aver conosciuto un uomo e di essersi ubriacato mentre faceva qualche partita a poker con lui. Era piuttosto debole come scusa, però non aveva alternative. Clark era in attesa spasmodica che il telefono squillasse, ma in realtà gli arrivò un altro suono. Qualcuno stava bussando forte alla porta di casa. Lui si era concentrato con tale intensità sui suoi pensieri che non capì subito cosa fosse stato a provocare quel rumore. Poi lo sentì di nuovo e ne capì la natura. Aveva un ospite. Non poteva esserci un momento peggiore per ricevere una visita. Avrebbe dovuto sforzarsi di apparire calmo e normale. Qualunque sospetto da parte del nuovo arrivato sarebbe stato fatale sia per lui sia per Laura. Cercò di immaginare chi potesse essere la persona che era venuta a trovarlo così tardi. Forse si trattava di Ted Steele, l'inquilino del piano di sotto. Clark pensò agli occhietti grigi e furbi di Steele, che sembrava leggere nei pensieri della gente proprio nello stesso istante in cui essi si formava-
no. Clark aveva sempre intuito che Steele poteva rivelarsi una minaccia, ma ora ne ebbe la certezza. Mentre se ne stava immobile, incerto sul da farsi, alla porta risuonò un altro, energico colpo, subito seguito da una voce che chiamò in tono sdegnato: — Allora, mi fai entrare sì o no, giovanotto? Chi credi che sia? Qualcuno che si diverte a bighellonare in eterno nei pianerottoli delle case? Fammi entrare, sbrigati! Clark provò una forte ondata di sollievo. Il suo visitatore non era Ted Steele, ma il tempestoso dottor Trask, l'ometto dalla testa rossa. Lo zio Talbot era probabilmente uno degli uomini più temuti d'America, ma per Clark la sua visita inaspettata fu come un dono degli dei. Andò ad aprire la porta. Il dottor Trask entrò di gran carriera nella stanza, si sedette e prese a battere sui braccioli della poltrona con le dita tozze. Poi lanciò un'occhiataccia a Clark da sopra gli occhiali dalle lenti opache. — Ebbene, giovanotto, si può sapere perché mi hai trascinato qui a quest'ora infame? Ti avviso che è quasi mezzanotte. E io ho cose migliori da fare che... — S'interruppe, e sul suo viso si diffuse una nota di costernazione mentre guardava Clark. — Ma che c'è, ragazzo mio? Cosa ti è successo? La mente di Clark si era messa a lavorare con la rapidità della disperazione. Il dottor Trask, consulente della polizia di New York, era un accanito denunziatore di delitti e di criminali. Almeno in superficie, era l'ultima persona al mondo con la quale Clark avrebbe dovuto confidarsi. Ma c'era qualcosa nel suo dinamico zietto che spinse Clark a fidarsi di lui. Si strinse stancamente nelle spalle e sporse le mani all'infuori. — D'accordo, zio. Ti dirò cosa mi è capitato. È una faccenda che ti riguarda, dopotutto. Ho appena commesso un omicidio. Il dottor Trask batté le palpebre. — Cos'hai detto? — Ho detto che ho appena commesso un omicidio. Il dottor Trask grugnì. — Giovanotto, se credi di potermi tirare fuori dal letto per rifilarmi un cumulo di stupidaggini... — No, zio, è tutto vero. Un paio d'ore fa, ho ucciso un uomo. — Adesso Clark parlava chiaramente e con fermezza. — Ho assassinato Gene Folwell. Ricordi? L'uomo di cui ero venuto a parlarti. — Sorrise. — Bel nipote che hai, vero? Il dottor Trask non parve né scioccato né inorridito da quanto aveva appena sentito. Stava fissando bruscamente il nipote sotto le sopracciglia ros-
se e cespugliose. Nel suo sguardo si leggeva una nota d'impazienza combinata con una riluttante ammirazione. — Giovane idiota — abbaiò. — Possibile che tu non abbia un minimo di buon senso? Uccidere un uomo è già abbastanza stupido in se stesso. Ma vantarsene subito dopo il fatto... Mentre il dottor Trask parlava, il telefono squillò. Clark si volse e tese la mano verso il ricevitore. Con grande rapidità, lo zio lo bloccò. — Non rispondere — disse. — Dev'essere papà. L'ho appena fatto chiamare dalla centralinista. Volevo... — Intendi spifferare ogni cosa a tuo padre? — Per la prima volta, gli occhi del dottor Trask mostrarono sorpresa e sconcerto. — Di tutti i giovani imbecilli che popolano questo mondo... Poi si mosse verso il telefono, sollevò il ricevitore e abbaiò: — Annulli la chiamata, signorina. — Si avvicinò nuovamente a Clark. — Fortuna per te che sono arrivato io, giovanotto. Lasciato a te stesso, ovviamente, finiresti per metterti un cappio al collo in cinque secondi. Visto che sei un assassino, hai bisogno di una balia asciutta. Forza, ora raccontami quello che è successo. Tornò alla sua poltrona, si accese una sigaretta e prese a soffiare feroci nuvole di fumo. Quindi ascoltò in assoluto silenzio mentre Clark gli riferiva la storia del suo amore per Laura, la miseria della vita della ragazza con Gene e l'accumulo graduale di crudeltà fisica e mentale che aveva condotto in maniera tanto inesorabile all'assassinio di Folwell. Il dottor Trask non fece alcun commento quando sentì che il suo vecchio amico, il professor Barraclough, era ancora vivo; e non fece egualmente nessun commento quando apprese che il nano nell'appartamento di fronte sembrava la prova vivente che Gene Folwell era il vero cervello dietro quel piano di ricatti. La mente incisiva e dinamica del dottore stava concentrandosi con grande intensità sul fatto che il nipote aveva commesso un delitto e che lui doveva pur fare qualcosa al riguardo. Ma dopo che Clark gli ebbe spiegato il vago progetto di rimuovere il cadavere di Folwell dall'appartamento di fronte, accennando alla promessa fatta a Harry di pagargli diecimila dollari per la sua copertura, il piccolo patologo si decise a parlare. — Bene, Clark Rodman — disse in tono sarcastico — sei proprio un giovane sciocco. Forse Gene Folwell aveva perso ogni diritto di vivere, ma un delitto non è mai la soluzione ai problemi. E io detesto avere un nipote
che si comporta da autentico imbecille. Però — e qui si strinse nelle spalle — non ha senso che me la prenda con te. Pagherai molto caro per quello che hai fatto. Clark si passò una mano tra i capelli. — Allora hai intenzione di consegnarmi alla polizia? — La polizia! — esclamò il dottor Trask. — Io fornisco ai poliziotti la mia opinione sui cadaveri che mi portano. Il mio compito non è quello di svolgere indagini in loro vece. Che scoprano per conto loro come sono andate le cose, se ci riescono! Si sporse in avanti di scatto, puntando davanti a sé un dito coperto da una sottile peluria rossa. Quando l'ometto parlò, la sua voce era rude, ma Clark notò in essa una nota soffusa di gentilezza. — Sono pronto ad aiutarti, Clark Rodman, ma a due condizioni. Primo, non ti permetto di sprecare diecimila dollari per un topo di fogna come Harry Folwell. Sono soldi di tuo padre, no? E se lui avesse voglia di buttare il proprio denaro dalla finestra, potrebbe sempre comprarmi un nuovo laboratorio, non ti pare? In secondo luogo, devi rinunciare all'insana idea di metterti ad armeggiare con il cadavere. — Ma zio — disse Clark — è l'unica speranza che ho di tenere Laura fuori da questa storia. Se la polizia viene nell'appartamento e trova il corpo, penserà che Laura... — Stupidaggini! Se usassi un po' più il cervello e un po' meno il cuore, non diresti simili sciocchezze. — Il dottor Trask schiacciò la sigaretta come se fosse stata il suo peggiore nemico. — I poliziotti possono essere degli idioti, certo. Sai bene cosa penso di loro. Ma se ti metti in testa di trafficare con il cadavere, allora entri in un campo che è di mia stretta competenza. Se potessi dimostrare, e lo potrei, che il corpo di Gene Folwell è stato trasferito dall'appartamento per essere abbandonato da qualche parte, tu e Laura Barraclough finireste entrambi sulla sedia elettrica, giovanotto. E non credere che tenterei di proteggerti. Non lo farei neanche se potessi. Nel frattempo, Clark aveva cominciato a reagire dal punto di vista emotivo. Ora che gli effetti della droga stavano estinguendosi, lui cominciava a sentirsi più normale, e un istintivo rimorso per quanto aveva fatto si era unito alla folla tumultuante delle altre sensazioni. Si appoggiò allo schienale della poltrona. — Ma allora... cosa posso fare, zio? — chiese. — Io non sono un avvocato — abbaiò il dottor Trask. — Che il cielo mi scampi e liberi anche da quelli! Ma vedo la situazione con estrema chia-
rezza, e ti assicuro che è brutta, davvero brutta. Posso anche capire l'impulso cavalleresco che ti ha spinto a uccidere quell'uomo. Specie dato che eri sotto l'influsso di una droga, a quanto pare, e quindi non potevi considerarti completamente responsabile del tuo comportamento. Ma una giuria capirà? Io credo di no. Perché c'è una cosa maledettamente spiacevole contro di te. Tu sei innamorato della moglie dell'uomo che hai ucciso. E sono proprio questi i particolari che la gente comune non dimentica. Lussuria e delitto: i due vecchi cavalli di battaglia di ogni procuratore distrettuale a caccia di notorietà in questo Paese... e due argomenti in grado di fare breccia su qualsiasi giuria. — Ma non c'è mai stato niente tra me e Laura. — Cerca di spiegarlo a una giuria, se ti riesce. Non conosco la ragazza molto bene, ma l'ho vista qualche volta. Quei dodici giurati saranno così impegnati a osservarle le gambe che non crederanno a nessuna relazione platonica tra voi due. Naturalmente, potrei testimoniare che eri sotto l'influsso della marijuana al momento del delitto. E potrei anche mostrare che quella droga è in grado di spingere gli uomini che ne fanno uso ad azioni indipendenti dalla loro volontà. Ma questo a cosa ti servirebbe? Riuscirei solo a convincere la giuria che tu eri drogato, non che non te la facevi con Laura. All'improvviso, il dottor Trask si batté la mano sul ginocchio. — Un momento. Hai detto che andavi sempre a trovarla utilizzando la scala sul tetto? Clark annuì. — E solo quando calava il buio? — Sì. Laura non voleva che qualcuno ci vedesse, perché... — Eccellente. — Gli occhi del dottor Trask scintillavano in modo trionfante, come se il patologo avesse appena scoperto tracce di veleno in un cadavere che lui, e lui solo, aveva sospettato di essere morto per cause non naturali. — Ragazzo mio, forse tutto può ancora aggiustarsi. Almeno c'è un raggio di speranza, anche se è piuttosto piccolo. Clark lo fissò con ansietà, senza capire. — Cosa intendi dire? — La polizia potrebbe accusarti di omicidio solo se fosse in grado di trovare un movente. Il movente lo avrebbero anche, bada bene: la moglie e l'amante che cospirano per sopprimere il marito. Ma non è detto che debbano scoprirlo per forza. — Il dottor Trask inclinò la testa di lato. — La ragazza sta dalla tua parte? — Certamente. Ha anche cercato di prendersi la colpa di quanto ho fatto.
Lei... — Eccellente. Allora ecco la storia che dovrai raccontare alla polizia. Ed è quella vera, eccetto che per l'omissione di alcune piccole frivolezze romantiche. Nessuno ti ha mai visto andare in quell'appartamento, e tu abiti in questa zona solo da poco tempo. In ogni caso, anche se saltasse fuori che qualcuno ti ha visto andare da Laura, potresti sempre ricorrere a una spiegazione semplicissima. Lei è la figlia del professor Barraclough, il più vecchio amico di tuo zio. Perciò le hai fatto visita su espressa richiesta di tuo zio. — Il patologo diede un grugnito. — Non mi sarei mai aspettato di dover assistere un omicida. Però è piuttosto gratificante scoprire che riesco ancora a sorprendermi alla mia età. — Sì, ma... — Hai una spiegazione perfettamente adeguata per quello che hai fatto, giovanotto — lo interruppe lo zio. — Sei tornato nel tuo appartamento e hai sentito un grido di donna provenire dalla casa di fronte. Ti sei affrettato ad andare là e hai visto Folwell che trattava la moglie in modo brutale, proprio come mi hai descritto. Hai avuto una colluttazione con lui e l'hai ucciso. Questa è una storia che una giuria potrebbe capire, provando persino una certa comprensione verso il colpevole. Un giovane eroe americano che accorre per difendere una povera ragazza dalla vergogna e dalla tortura fisica. Un'immagine molto edificante, non ti pare? E poi c'è quel nano. Forse la polizia riuscirà a sviluppare le fotografie nell'apparecchio di Folwell, nelle quali sarà di sicuro impressa tutta la tremenda e disgustosa scena. — Il dottor Trask gettò le mani all'infuori. — Una giuria potrebbe anche non condannarti per avere ucciso un uomo in queste circostanze. Clark provò un senso di improvvisa esultanza. Suo zio aveva ragione. Perché lui e Laura non si erano resi conto che una spiegazione semplice era la migliore? E, in fondo, era proprio la verità. Clark avrebbe sempre negato il proprio amore per Laura parlando con la polizia, ma anche se non l'avesse amata, avrebbe sempre fatto quello che aveva fatto. Il piccolo patologo era riuscito a farlo sentire meno in crisi con se stesso. — Ecco quale sarà la tua storia, giovanotto — stava dicendo bruscamente il dottor Trask. — E dovrai attenerti a questa, sempre e comunque. Fu solo a quel punto che Clark si ricordò di Harry. — Già, ma c'è il fratello — sbottò. — Quello è un individuo spregevole, interessato solo al denaro. E lui sospetta che ci sia qualcosa tra me e Laura. — Ha le prove? — Be', no.
— Allora va' subito là, giovanotto, e trattalo come si conviene con una persona simile. — Il tono di voce del dottor Trask era fermo e categorico. — Rifiutati di dargli anche un solo cent e nega che ci sia mai stato qualcosa tra te e quella ragazza. In breve, mandalo all'inferno. Se poi dovesse tentare di estorcerti dei soldi, sappi che quello non è il tipo da rivolgersi alla polizia, nel caso di un mancato pagamento da parte tua. Cerca di spaventarlo per bene, Clark Rodman. Entra in casa loro passando dalla porta d'ingresso, come si conviene a un cittadino rispettabile. Non usare più la scala sul tetto. E non parlare né con lui né con nessun altro del sottoscritto. Cerca di convincerlo che tu sei in grado di dominare perfettamente la situazione con le tue forze, anche se non è vero. Noi due ci sentiamo più tardi. Il dottor Trask guardò l'orologio e si alzò di scatto. — Passare una buona parte della nottata a chiacchierare del più e del meno con un giovane sciocco! — abbaiò. — E pensare che ho un mucchio di lavoro da sbrigare. Ho promesso a Jones che sarei stato all'obitorio, per l'una. Poliziotti... assassini... tutti sempre tra i piedi! Anche Clark si alzò. Strinse la mano allo zio e disse: — Grazie. Non riesco a dirti quanto ti sono grato. Nessun'altra persona al mondo avrebbe fatto tanto per me. — Be', in fondo sei sempre il figlio di mia sorella Mabel, no? — ringhiò il piccolo patologo. — Dio solo sa quanto poco vali, ma sei tutto quello che ha. — Si girò, gesticolando con un indice minaccioso. — Quando sei venuto a trovarmi al laboratorio, Clark Rodman, ho subito pensato che fossi uno sciocco. Lo penso ancora, bada bene, ma almeno ho capito che sei uno sciocco umano. Si diresse in fretta alla porta e poi si fermò, lanciando una brusca occhiata alle spalle. — Quello che mi hai detto del mio vecchio amico, il professor Barraclough, è molto interessante. Sai che ore sono adesso in California? Clark gli lanciò un'occhiata di stupore. — Be', credo che siano indietro di tre ore, rispetto a noi. Ma questo cosa c'entra? — Devo fare una telefonata — sbottò l'ometto. — Poliziotti, assassini, cadaveri... mai un momento di tregua! Che cos'ho mai fatto per meritarmi una sorte simile? Bah! Quindi si voltò e uscì di gran carriera dall'appartamento. 15
Fu solo quando la porta si chiuse alle spalle del dottor Trask che Clark cominciò a chiedersi perché mai suo zio fosse venuto a fargli quella visita inattesa nel cuore della notte, il dottor Trask aveva parlato come se fosse stato Clark a convocarlo lì, ma dato che quello non era ovviamente il caso, lo scrittore decise che la visita era stato il risultato di un impulso stravagante da parte dello zio e si dimenticò completamente della faccenda. C'erano cose ben più importanti a cui pensare. Il piccolo patologo dai capelli rossi aveva fornito a Clark il coraggio necessario per affrontare la situazione, anche se i pericoli per lo scrittore non erano affatto cessati. Gli occhi gli dolevano e i suoi processi cerebrali erano ancora offuscati dalla marijuana che aveva assorbito dalla sigaretta di Folwell, ma Clark capì egualmente che la cosa più importante da fare, al momento, era quella di andare subito da Laura e avvertirla di non ammettere nemmeno con Harry che loro due erano innamorati. Senza l'accertamento di quel particolare, potevano sentirsi al sicuro dall'accusa di aver cospirato per assassinare Gene Folwell. Probabilmente, c'era abbastanza marciume nel passato di Folwell da rendere in qualche modo giustificabile il suo assassinio da parte di Clark. Nessun giudice e nessuna giuria sarebbero stati ansiosi di condannare un giovane che era corso a difendere una donna nell'atto di venir torturata, anche se, sull'impulso del momento, aveva ucciso l'aguzzino. Però, come gli aveva ricordato lo zio, se fosse saltata fuori la prova della sua intimità con Laura, se qualche testimone avesse assistito alle loro visite segrete e al loro scambio di baci, allora la situazione di entrambi si sarebbe fatta disperata. I due amanti sarebbero stati additati al pubblico ludibrio come adulteri e assassini, non molto diversamente da come era capitato a Judd Grey e a Ruth Synder, i quali avevano fatto in modo di togliere di mezzo un marito indesiderato per le loro ragioni egoistiche. Quel pensiero incupì il volto di Clark, mentre il giovane si affrettava a scendere le scale di casa. Fu un conforto per lui ricordare che Laura aveva insistito perché Clark non andasse mai a trovarla passando dalla porta d'ingresso; e quasi tutti i suoi viaggi tra i due edifici erano stati portati a termine col favore della notte. Nessuno dei suoi vicini lo aveva osservato mentre usava la scala sul tetto, ne era sicuro. Avvicinandosi al pianterreno, Clark percepì un rumore di passi nella scala dietro di sé. Si diede un'occhiata alle spalle e, nella semioscurità, scorse la figura di un uomo alto e magro muoversi dietro di lui. Ted Steele! Clark provò una fitta di ansietà. Era convinto che nessuno
dei vicini lo avesse visto mentre usava la scala per transitare nell'appartamento dei Folwell. Ma poteva essere certo di quell'uomo? In una circostanza aveva notato Steele sul tetto, chino sulla scala. E Steele, che sembrava onnisciente, gli aveva fatto capire che sapeva delle sue visite a Laura. Forse un testimone c'era, dopotutto. I pensieri si affollarono nella mente di Clark. Quell'uomo che si era fatto passare per un poliziotto aspettava davvero che si presentasse un'occasione simile? Era possibile che sperasse di ricattarlo? O, peggio ancora, non poteva essere un vero investigatore che aveva scoperto il legame di Laura col professore e che quindi adesso era perfettamente in grado di individuare un movente per l'omicidio? Clark fece una pausa sulle scale. Anche i passi alle sue spalle si fermarono. E così, Steele lo stava seguendo. In fretta, prima che l'altro uomo potesse avvicinarsi abbastanza da vederlo, Clark scese di corsa giù per i restanti scalini, aprì il portone d'ingresso e coprì a tempo di record la distanza che separava il suo stabile da quello dei Folwell. Si era già chiuso alle spalle il portone dell'altro caseggiato prima ancora che Steele fosse uscito sulla strada. Si inerpicò fino al quarto piano e bussò alla porta. Fu Laura ad aprirgli e a farlo entrare. C'erano ombre scure di stanchezza sotto gli occhi della ragazza, ma dal suo viso si irraggiava la stessa incantevole fierezza che Clark aveva notato quando lei si era ribellata a Harry prendendo le difese dello scrittore. — Hai sistemato tutto? — sussurrò. — Harry non vuole sentir ragione sulla faccenda dei soldi. Minaccia ancora di chiamare la polizia, se non li otterrà. E... e io credo che impazzirò, se saremo costretti a tenere qui dentro Gene ancora per molto. — Ma dovremo farlo, Laura. E... che tu ci creda o no, sono convinto che le cose si aggiusteranno da sole, dopotutto. — Dici che le cose si aggiusteranno da sole? — gli fece eco lei, dubbiosa. — Ma in che modo? Lui le diede un colpetto sulla mano. — Stai tranquilla. Ora che gli effetti di quella sigaretta sono finiti, sto cominciando a vedere la situazione con maggiore chiarezza. — Ma questo a cosa può servirci? Tu l'hai ucciso, no? E Gene è... è morto.
— Certo che l'ho ucciso, ma tieni conto che ho reagito a una sua provocazione, dopotutto. Se c'è un uomo che meritava una sorte simile, quello è lui. Non dobbiamo mai scordarci di questa elementare verità. — Già, però la polizia ti arresterà lo stesso. Finirai in carcere. — Forse. E forse no. Forse potremo dimostrare che sono accorso qui per difenderti da lui. Poi abbiamo avuto una colluttazione e io l'ho ucciso per legittima difesa. Stammi a sentire... Lui le spiegò in fretta che cosa avrebbero dovuto fare. Obbedendo alle istruzioni dello zio, non fece alcun accenno alla visita che aveva appena ricevuto, ma incalzò Laura a lasciar perdere il piano molto azzardato che avevano concepito con Harry. — Vedi — le disse — sono sicuro che non mi condanneranno, a meno che non siano in grado di provare che abbiamo complottato per sopprimere tuo marito. Ma come potrebbero riuscirci? Nessuno ci ha mai visto insieme, e non esiste nulla che possa dimostrare che non siamo semplici vicini. Laura alzò lo sguardo verso di lui, le labbra contorte in uno strano sorriso. — Nessuno ci ha mai visto insieme, dici! Questa sì che è proprio bella. — Proruppe in un risolino rauco. Clark la afferrò per le spalle. — Laura, non devi lasciarti andare. Non c'è ragione di aver paura di Harry. Ci penso io a lui. Non c'è niente di cui preoccuparsi. — Non c'è niente di cui preoccuparsi? Be', si vede che non conosci i fratelli Folwell. — La sua voce era molto tranquilla. — Ti avevo detto che Gene era un tipo molto furbo, ricordi? — continuò lei. — Be', Harry lo è ancora di più. È riuscito a fare qualcosa di così perfido e ingegnoso che... — S'interruppe, sentendo un rumore di passi alle sue spalle. — Eccolo qui. Sono sicura che ora ti dirà tutto. Harry Folwell si unì ai due. I suoi occhietti astuti si indirizzarono a Clark. — Si è messo d'accordo con sui padre per quella somma, Rodman? — chiese. Mentre Clark guardava l'uomo che aveva cercato di volgere in profitto la morte del fratello, provò una collera e un disgusto persino più forti dell'odio che aveva provato per il marito di Laura. — Non avrà nemmeno un cent da me, Folwell — disse. — E lo stesso vale per mio padre. Dirò alla polizia tutta la verità: che ho sentito gridare la signora Folwell, che sono venuto qui dal mio appartamento e ho visto che il marito la stava maltrattando nel più ignominioso dei modi, e infine che
ci siamo messi a lottare. A quel punto, la posta in palio era la mia vita o la sua. — Questa è la terza versione dei fatti che mi racconta — osservò Folwell con un sogghigno. — La più nobile ed eroica, lo ammetto. Il vicino cavalleresco. Ma come farà a spiegare le sue visite notturne a Laura? Quelle che faceva con l'ausilio della scala sul tetto? Clark guardò la ragazza. — Se la polizia dovesse farmi qualche domanda sulle mie eventuali visite qui, dirò che il padre della signora Folwell era amico di mio... ehm... di un mio parente. E io andavo a trovarla esattamente per questa ragione. Non c'è mai stato nient altro tra noi. — E così, trescare con la moglie di un altro per lei non conta niente? — La voce di Harry era carica di sinistre implicazioni. — Baciarla e mettersi a pomiciare con lei due minuti prima di andare da Gene e rompergli la testa con un... — Harry! — esclamò bruscamente Laura. — Ti prego, fammi parlare un momento da sola con Clark. — Felicissimo di lasciare insieme questi due piccioncini per qualche minuto — disse Harry con grottesca sentimentalità. — Laura è un vero tesoruccio, Rodman, ed è troppo innocente per sapere che se si può imbrogliare un marito, è impossibile imbrogliare una cinepresa. — Sorrise di nuovo. — Inventatevi pure tutte le bugie che volete, tanto non vi porteranno da nessuna parte. Avete una cinepresa contro di voi, e questi aggeggi dicono sempre la verità. Harry si allontanò, ma poi si fermò sulla soglia del salotto. — Dopo che avrete finito la vostra piccola sessione, Laura, non dimenticarti di chiedere al tuo ragazzo di fermarsi per lo spettacolo. Il programma completo sta per essere trasmesso. Quando Harry se ne fu andato, Clark lanciò un'occhiata perplessa a Laura. — Ma di che diavolo parlava? Lei si strinse leggermente nelle spalle. — Hai detto che nessuno aveva delle prove su... su di noi. Be', ti sbagliavi. Harry ha tutte le prove di questo mondo. — Ma Laura, non è possibile! Come...? — Harry ci tiene in pugno — disse la ragazza, scura in viso. — Ci aiuterà a coprire la morte di Gene, d'accordo, ma ora il prezzo raddoppierà, molto probabilmente. Non c'è nulla che possa salvarci, eccetto... eccetto il denaro. Vedi, Harry ha una prova a dir poco schiacciante contro di noi. — Ancora non capisco.
— Te l'avevo detto subito che questa era una casa pericolosa per il figlio di un ricco, ma allora credevo che il pericolo venisse da Gene. Non mi sarei mai immaginata che Harry stesse progettando un piccolo ricatto in proprio. — Un ricatto? — In qualche modo, ha scoperto che venivi qui. Non so come abbia fatto... a meno che non sia in combutta con quel tizio che sta sotto di te, quel tale Steele. — Fece una pausa. — Comunque, ha pensato che sarebbe stato interessante avere una registrazione di quello che succedeva quando tu e io eravamo soli qui. Ricordi quella cinepresa fissata alla parete del salotto? Quella che Gene usava per fare esperimenti in casa? Be', Harry ha copiato uno di quei nuovi processi inventati da mio padre e ha predisposto la cinepresa in modo che potesse operare automaticamente. Poi ti ha gettato un po' di polvere negli occhi recitando la parte della persona perbene e mettendoti in guardia contro Gene e Steele. Tutte le volte che ti vedeva arrivare qui, s'insinuava all'interno e metteva in funzione la cinepresa. Immagino che abbia registrato dei filmini molto interessanti. — Vuoi dire — gridò Clark, sentendosi afferrare da un terrore crescente — che Harry progettava di ricattarmi riprendendoci mentre stavamo insieme? — Esatto — disse tranquillamente la ragazza. — Te l'avevo detto che i fratelli Folwell hanno un talento smisurato in questo genere di cose. Harry ha avuto un gran successo. Ha ripreso eccellenti scene d'amore. Ma ha in mano anche qualcos'altro... — Cosa? Le labbra di Laura stavano tremando. — Stasera ha azionato la cinepresa, Clark. Quando te ne sei andato, dopo che avevi preso quel trespolo e... — Emise un piccolo sospiro. — Harry ha una pellicola in cui ti si vede commettere il delitto! 16 Clark la fissò incredulo, di nuovo assalito dalla sua vecchia sensazione di panico. Se ciò che le aveva detto Laura era vero, se Harry Folwell li aveva effettivamente filmati, i consigli che gli aveva dato il dottor Trask non servivano più a niente. Lui e Laura erano assolutamente alla mercé del fratello di Gene. In quel momento, Harry apparve sulla soglia del salotto con le mani in
tasca e sorrise verso di loro in modo disinvolto. — Ebbene, Rodman, Laura le ha parlato della mia piccola sorpresa? Clark serrò le labbra. — Non ci credo. — Be', come dice quel proverbio? Chi non vede non crede, vero? — Harry Folwell si strinse nelle spalle sottili. — Ho predisposto tutto per la rappresentazione. Direi che è un filmino davvero spettacolare. L'ho appena sviluppato nel laboratorio di Gene, utilizzando uno dei vecchi processi di Barraclough. Un uomo proprio in gamba, quello. — È un falso! — gridò Clark. — Un falso? — disse Harry in tono di scherno. — Meglio che venga a dare un'occhiata, così potrà constatare di persona. Ma presto. È piuttosto rischioso lasciare qui il cadavere di Gene ancora per molto. Pensavo che la sua pelle le stesse più a cuore, Rodman. — Allora non andrà alla polizia? — Mi pareva di essere stato chiaro su questo punto, no? — Harry cominciò a fischiettare sottovoce. — Io le darò manforte, Rodman, sempre posto che suo padre dia manforte a tutti noi. Avevo detto diecimila dollari, vero? Clark annuì. Ormai non poteva fare più nulla al riguardo. — Be', visto come mi sono dato da fare per sviluppare subito il filmino — disse Harry in tono strascicato — sono sicuro che suo padre sarà disposto a pagare qualcosa di più. Magari ventimila dollari, eh? Ma... aspetti pure fino a quando non lo avrà visto con i suoi occhi. Si voltò verso il salotto. — Coraggio, Romeo e Giulietta. Venite a dare un'occhiata al vostro provino. Clark lanciò una rapida occhiata in direzione di Laura. — Meglio che tu non lo veda — disse in tono perentorio. — Non potresti sopportarlo. — Va bene — sussurrò la ragazza con un debole luccichio di gratitudine nello sguardo. — Resterò qui. — E giusto per accertarmi che non si metta strane idee in testa — tagliò corto Harry con voce tranquilla — la informo che ho una rivoltella in tasca, Rodman. Non vorrei mai che perdesse la testa un'altra volta e facesse qualcosa di avventato. Dopotutto, un omicidio per sera mi pare che basti e avanzi. Clark seguì di buon passo Harry Folwell in salotto, lasciando Laura nell'ingresso. Un piccolo schermo di tela era stato attaccato a una delle pareti. Harry Folwell aveva sistemato un proiettore sull'altro lato della stanza.
Folwell fece un cenno col capo in direzione di una sedia. — Si metta pure comodo, Rodman. Harry passò da una porta interna e riapparve quasi subito, tenendo Franko per mano. Poi prese una sedia, la mise accanto a quella di Clark e ci posò su il nano. — Pensavo di far partecipare anche Franko alla proiezione — disse. — Lui va matto per i film. Franko alzò lo sguardo verso Clark con fare ingenuo e sulle sue labbra sottili apparve un sorriso ebete. All'improvviso, sporse all'infuori una mano e la fece scivolare in quella di Clark. Il giovane tirò subito indietro le dita e Franko lo imitò senza perdere tempo, incrociando le braccia sul petto esattamente come aveva fatto Clark. Lo scrittore ricordò con un piccolo brivido di orrore il modo in cui quella creatura ritardata aveva imitato tutte le azioni di Laura il giorno in cui lo aveva visto per la prima volta. E adesso, mentre lui si frugava in tasca alla ricerca di una sigaretta, vide che il nano faceva lo stesso. Franko si piazzò una sigaretta inesistente in bocca e mosse le dita come se volesse accenderla, imitando quanto aveva visto fare a Clark. E mentre Franko si muoveva, Clark si accorse per la prima volta di una cosa: le braccia del nano avevano uno sviluppo muscolare che sarebbe risultato notevole addirittura in una persona normale. Il pensiero della forza di quell'essere patetico glielo rese in qualche modo ancora più repellente. L'intera situazione era una specie di incubo, persino più orribile di quelle notti nella giungla del Pacifico, quando si coricava insonne nel suo rifugio in attesa che un nemico impalpabile strisciasse verso di lui. Ora se ne stava seduto lì, in una strana stanza, con un nano al suo fianco e aspettava di vedere le riprese di un omicidio commesso da lui stesso. Harry aveva spento le luci. Nell'improvvisa oscurità, azionò il proiettore e un raggio di luce molto intensa si diffuse sullo schermo in miniatura. — E ora si prepari ad assistere al più grande film epico di tutti i tempi — disse in tono di scherno. — Clark Rodman e Laura Folwell sono i protagonisti di Amore illecito, una storia di passioni sfrenate che sfocerà nel finale più istrionico mai realizzato al cinema: un vero omicidio commesso davanti ai suoi stessi occhi. Peccato che non ci sia il sonoro, Rodman; ma, come si dice, non si può sempre avere tutto dalla vita, no? Mentre il proiettore cominciava a ronzare, Clark si sporse in avanti sulla sedia. Franko stava premendo contro di lui come un bambino inquieto, ma lo scrittore non si accorgeva quasi della sua presenza. Tutti i nervi del suo
corpo si erano tesi di fronte a quella nuova prova. Persino in quel momento, quasi non riusciva a crederci; non riusciva a credere di essere finito inesorabilmente in trappola. Quando le immagini si diffusero sullo schermo, Clark si rese subito conto che Harry Folwell non gli aveva giocato uno scherzo. Lì davanti, vaga e ombrosa, lo scrittore vide un'immagine di se stesso. Non era più di una semplice silhouette, ma la si vedeva chiaramente accovacciarsi su un tetto. Mentre Clark osservava, l'immagine di se stesso si chinò e lanciò qualcosa in avanti verso l'obiettivo della cinepresa. Era la scala. Con grande attenzione, posò l'estremità della scala sul bordo dell'altro edificio, così da colmare il divario che separava le due case. Poi cominciò ad avanzare lungo la scala e, mentre si avvicinava, la sua immagine divenne sempre più nitida. Era una strana sensazione vedere quel riflesso fotografico di se stesso. La collera montò di nuovo nel cervello esausto di Clark. Era disgustoso pensare che Harry Folwell se ne stava nascosto lì, invisibile; mentre Clark si recava al suo appuntamento con Laura; ed era anche disgustoso il modo in cui quel film privo di sonoro distorceva l'intera situazione. Lì, sullo schermo, Clark sembrava incarnare con esattezza la concezione volgare di un amante colpevole che strisciasse furtivamente verso la sua meta. Al fianco di Clark, Franko si era chinato in avanti sulla sedia e fissava il film con una sorta di estatica fascinazione. Le sue piccole spalle erano curve, e con le braccia tentava vagamente di imitare i movimenti dell'immagine di Clark sullo schermo. — Bello, non è vero? — risuonò la voce di Harry Folwell da dietro il proiettore. — Ma aspetti la prossima sequenza, Rodman. Lì ci avviciniamo alle vette supreme dell'arte. Clark provò il desiderio impellente di balzare all'indietro, gettare a terra il proiettore e tentare di distruggere la pellicola, nonostante il fatto che Folwell avesse una rivoltella. Poi si rese conto che la negativa sarebbe stata sicuramente chiusa a chiave nella camera oscura di Gene. Non sarebbe approdato a nulla ricorrendo alla violenza. Così decise di restare tranquillo, seguendo il film con le mani che stringevano i bordi della sedia. La figura che aveva attraversato lo spazio tra i due caseggiati servendosi della scala adesso era svanita. Sullo schermo comparve improvvisamente l'inquadratura successiva. Ora la scena era vividamente illuminata, in contrasto con le sequenze precedenti. Due figure erano in piedi accanto a un tavolo... il tavolo di quella stessa stanza. Clark sobbalzò, non appena rico-
nobbe se stesso e Laura. — Ecco l'incontro dei piccioncini — commentò Harry. I ricordi tornarono a occupare la mente di Clark... ricordi di attimi felici, che in seguito erano diventati amari. La scena che in quel momento stava svolgendosi davanti ai suoi occhi si era svolta solo il giorno prima, ma sembrava il relitto di un qualche passato remotissimo e ormai dimenticato. Persino lì, su quel piccolo schermo, Laura sembrava bellissima. Sedeva accanto al tavolo, proprio come rammentava Clark. Lui stava spingendo in avanti una sedia e nella mano reggeva un dattiloscritto. All'improvviso, l'ironia della situazione lo colpì. Perpetuato nella celluloide, c'era un giovane e ambizioso autore che stava per leggere un suo racconto alla ragazza che amava; era quella la destinazione a cui lo aveva condotto la sua "grande avventura". La pellicola procedeva. Ora Clark stava piegandosi sul dattiloscritto. Le sue labbra presero a muoversi mentre lui leggeva le pagine a una a una e le sfogliava. Laura lo osservava con gli occhi assorti, il mento nelle mani chiuse a coppa. Alla fine, il racconto terminò. L'immagine fotografica di Clark posò il dattiloscritto sulle ginocchia e lanciò un'occhiata a Laura. Il viso della ragazza era seminascosto, ma un fazzoletto bianco che si muoveva fece capire allo scrittore che lei stava piangendo. Clark s'irrigidì nel vedere la sua immagine alzarsi e muoversi lungo lo schermo in direzione di Laura. Si mise in ginocchio accanto a lei e le cinse le spalle con le braccia. Ora stava baciandola. Per un lungo attimo, l'obiettivo indugiò sul loro abbraccio. Poi ci fu una dissolvenza. — La delicatezza ci obbliga a lasciare i due giovani amanti a questo punto, stretti l'uno nelle braccia dell'altra — commentò Harry Folwell in tono di scherno. — Pensi solo a quale successo riscuoterebbe questo film se lo proiettassimo in una centrale di polizia, Rodman! Ma, personalmente, credo che farebbe colpo anche su suo padre. E ora si prepari alla prossima scena, un autentico scoppio di passione. Clark non sembrava più preoccuparsi di quanto accadeva intorno a sé. Si appoggiò allo schienale della sedia, gli occhi che seguivano meccanicamente i movimenti delle due figure sullo schermo. Ora stava guardando se stesso e Laura in una sequenza svoltasi la sera prima. Stavolta Clark aveva in mano i ritagli dei giornali. Lui stava in piedi, mentre Laura sedeva nella sedia che aveva occupato anche in precedenza.
Clark notò qualcosa d'irreale e di grottesco in quella scena. Di tanto in tanto, sia lui sia Laura sparivano dallo schermo, ma era ovvio che i due si trovassero nel bel mezzo di una qualche crisi sentimentale. Ora Clark stava stringendo le braccia della ragazza; lei gli era molto vicina e lo guardava. Poi Laura si appoggiò allo schienale della sedia. Ancora una volta, Clark si affrettò ad andarle vicino e la abbracciò. Era doloroso per lui ricordare la vera realtà che quelle rapide immagini rendevano in qualche modo ridicola. Quello era stato il momento seguito alla rivelazione che Laura gli aveva fatto della tragica storia del suo matrimonio forzato con Gene. Clark non riuscì a sopportare oltre. Si girò di scatto ed esclamò: — Fermi quella maledetta pellicola! Ne ho abbastanza! Le darò quello che chiede. Folwell sorrise. — Ammetto che la scena era un po' ripetitiva, ma bisogna assolutamente che veda il finale, Rodman. Non può perderlo. Clark si afflosciò di nuovo sulla sedia. Sullo schermo c'era stata un'altra dissolvenza, e adesso si vedeva una nuova scena. Ora l'obiettivo aveva inquadrato l'angolo del salotto vuoto. Sul tavolo c'erano una bottiglia di whisky e un bicchiere... la bottiglia di whisky che Folwell aveva lasciato lì. Contro la sua volontà, gli occhi di Clark si fissarono come rapiti su quel piccolo schermo. Tutto quanto vedeva era accaduto quella stessa sera. Solo poche ore prima, il palcoscenico era stato predisposto proprio in quel modo. E lui, Clark, era destinato a uscire di scena da assassino. Mentre si piegava in avanti, notò che anche Franko ripeteva il suo gesto. Il nano era completamente assorbito dalle immagini sullo schermo; i suoi occhi luminosi erano fissi direttamente davanti a sé. Nel film, il salotto era ancora vuoto. Poi, all'improvviso, Laura e Clark apparvero, proprio com'erano entrati poco prima, dopo la colluttazione che lo scrittore aveva avuto con Gene e dopo quegli orribili momenti in cui Laura era stata legata al letto. Adesso sembravano una coppia piuttosto in affanno... molto diversi dai giovani amanti delle sequenze iniziali. L'abito di Laura era strappato sulla schiena e le copriva solo per metà le spalle. I vestiti di Clark erano in notevole disordine; i capelli gli cadevano ribelli sulla fronte e si notava una traccia di sangue su una guancia. — Ha visto in che stato sono ridotti la signora Folwell e il suo spasimante? — chiese ironicamente Harry. I due si erano mossi verso il tavolo e ora stavano sedendosi. Clark affer-
rò la bottiglia e versò del whisky nel bicchiere. Quindi cominciò a parlare con veemenza, facendo una pausa di tanto in tanto per bere un sorso di liquore. Anche Laura stava parlando e, sporgendosi da sopra il tavolo, gesticolava enfaticamente con una mano. Clark era inorridito mentre guardava. Quasi non riconosceva se stesso, e di sicuro faceva fatica a riconoscere persino Laura. C'era qualcosa di primordiale e di disperato nelle due figure sullo schermo. Chiunque avesse visto quel film, li avrebbe inesorabilmente presi per due cospiratori che stessero progettando un omicidio. Clark si versò un secondo drink e un istante dopo si alzò, barcollando come un ubriaco. Anche Laura si alzò. Lei si pose al suo fianco e gli strinse le braccia. Per un attimo rimasero entrambi immobili, coi visi a una decina di centimetri l'uno dall'altro. Poi Laura si voltò e indicò solennemente un oggetto al di fuori del raggio visivo della cinepresa. — Qui abbiamo fatto un piccolo taglio — esclamò Harry. — E ora, Rodman, eccoci al gran finale! Franko si stava torcendo in avanti sulla sedia. Teneva sempre le braccia incrociate sul petto e, nella semioscurità, il suo piccolo profilo quasi senza lineamenti aveva un'espressione estatica. Fino a quel momento, Clark non si era reso quasi conto della presenza del nano. Ora, all'improvviso, provò una violenta repulsione per quella creatura esile e malformata che sedeva al suo fianco. Era come se tutto l'orrore, il disgusto, il malefico sortilegio che aveva offuscato il suo amore per Laura si fosse rappreso in Franko. Ben presto Clark si sarebbe visto nuovamente nello schermo, e stavolta nell'atto di commettere un omicidio. Perché era lui, Clark Rodman, che l'aveva commesso, anche se in quei momenti si era comportato come una specie di Franko... una creatura mossa da un cieco impulso. Ora il film avanzava inesorabilmente. La scena cambiò all'improvviso. La sagoma di un uomo prese a muoversi con passo incerto lungo la stanza. Per Clark era incredibile pensare che l'immagine sconvolta e barcollante che vedeva sullo schermo era in realtà se stesso. Eppure, nonostante i momenti in cui aveva agito sotto l'influsso della droga fossero ancora piuttosto vaghi nella sua mente, ora che la cinepresa gli mostrava impietosamente quelle scene, ricordò tutto con nitidezza. L'uomo nella pellicola aveva raggiunto la porta. Per un attimo, scomparve in una stanza interna. Quando tornò, stava stringendo in mano quel trespolo dall'aria tanto inesorabilmente familiare.
L'immagine si mosse e avanzò a tentoni lungo la parete, in direzione di un'altra porta che fece capolino davanti all'obiettivo. L'interno di quella seconda stanza era illuminato in modo assai vivido. Ogni particolare venne rivelato con assoluta precisione. Eppure, gli occhi di Clark erano fissati su un particolare oggetto: il letto e la forma in penombra che stava sdraiata lì sopra. L'uomo sullo schermo entrò nella stanza. Clark lo vide dirigersi con assoluta determinazione verso il letto e fermarsi un istante lì, abbassando lo sguardo. Poi la figura alzò il braccio e calò con violenza il trespolo, abbattendolo sulla sagoma oscura sotto di sé. Il trespolo venne sollevato di nuovo e calato con forza, una volta, due volte... Lo schermo ebbe un guizzo e l'immagine sparì, dopo di che vennero riaccese le luci nel salotto dei Folwell. Clark si alzò di scatto. Harry Folwell si mise subito al suo fianco e gettò con aria indifferente un braccio sulle spalle di Franko. — Bello spettacolo, eh, Rodman? Clark non lo degnò di un'occhiata. I suoi occhi erano fissi sul pavimento. — Avrà i suoi soldi — disse. — Questo mi pare ovvio, no? — Ero sicuro che sarebbe stato ragionevole. — Il tono di voce di Harry Folwell era compiaciuto e soddisfatto. — Ora non c'è più ragione di preoccuparsi, ragazzo mio. Mi sono messo in contatto con un amico e gli ho detto di venire qui. Tra poco, io e lui faremo in modo di portare via il cadavere di Gene. Lo abbandoneremo in qualche posto, e la polizia non saprà mai che lei e Laura... — La smetta di seccarmi ancora con questa faccenda — tagliò corto Clark. — Avrà i suoi ventimila dollari, non dubiti. Faccia quello che deve fare, ma non me ne parli più. — Come preferisce. Forse farebbe meglio a tornarsene a casa. Quando si sarà calmato un po', cosa ne dice di fare quella interurbana a suo padre? Io terrò il film in caldo per lei fino a quando Rodman senior non aprirà i cordoni della borsa. — D'accordo. Clark non avrebbe potuto sopportare l'idea di vedere Laura in quel momento. Si diresse in corridoio, aprì la porta d'ingresso dei Folwell e se la chiuse alle spalle facendola sbattere.
17 Quando uscì sulla strada, era ancora buio. La notte sembrava infinita. Ma un'occhiata all'orologio gli mostrò che erano appena le due. Di nuovo nel suo appartamento, Clark si lasciò cadere sul letto. Era in uno stato indescrivibile. Ormai, per lui Laura non era nient'altro che un tenue fantasma perso in un punto imprecisato del suo cervello. La violenza e lo spargimento di sangue di quella stessa sera non gli sembravano più reali delle immagini che aveva visto sullo schermo. Mentre se ne stava sdraiato a letto, riuscì a pensare solamente all'ultima scena del film. Sempre di nuovo, con l'occhio della memoria, seguiva la sua stessa immagine strisciare lungo la parete, entrare nella stanza, avvicinarsi al letto e sollevare il trespolo. A poco a poco, un nuovo pensiero si insinuò nel suo cervello. Dapprima era troppo confuso perché potesse coglierne appieno tutte le implicazioni, ma poi prese gradualmente forma. Durante la maggior parte di quel film, l'obiettivo della cinepresa non si era mosso molto. Piuttosto staticamente, era rimasto puntato sulle due sedie sulle quali si erano accomodati Clark e Laura. Eppure, quando si era arrivati al momento dell'omicidio, la cinepresa aveva preso a muoversi con grande precisione, almeno in apparenza, seguendolo mentre lui passava da una stanza all'altra. Harry Folwell gli aveva detto di aver fissato la cinepresa alla parete e di averne predisposto l'utilizzo automatico senza che nessuno dovesse azionarla manualmente. Clark se ne intendeva ben poco di tecniche cinematografiche, e comunque che una cinepresa si accendesse da sola gli sembrava un'eventualità del tutto plausibile. Ma come avrebbe fatto il macchinario a seguirlo mentre lui si trasferiva nell'altra camera? Com'era possibile che fosse in grado di riprenderne gli spostamenti senza che nessuno lo manovrasse? Lo scrittore si drizzò a sedere sul letto. Adesso il suo cervello era più attivo. Ma certo! Che sciocco era stato! Era inconcepibile che una cinepresa fissata a una parete avesse potuto riprendere i suoi movimenti mentre Clark commetteva l'omicidio. Folwell aveva sicuramente mentito. Doveva esserci qualcuno nella stanza, qualcuno che lo aveva seguito con l'obiettivo nel momento in cui Clark aveva sollevato il trespolo per colpire. Dapprima, quella idea gli parve così fantasiosa che Clark la abbandonò. Ma poi gli si affacciarono alla mente altri pensieri... pensieri che gli porta-
rono un'improvvisa e disperata speranza. Laura gli aveva detto che Gene Folwell era una persona diabolicamente astuta. Come Clark sapeva, quell'uomo si era reso responsabile di un intricato e ardito piano di estorsioni che poi era stato usato per incriminare il professor Barraclough. Era possibile che, dopotutto, gli spettrali eventi della serata non fossero altro che una colossale finzione? Era concepibile che Gene Folwell avesse imbrogliato Clark e Laura, inscenando un piano in cui loro avrebbero creduto di recitare la parte di due assassini? Come un lampo, varie incongruità nel dramma che si era svolto nell'appartamento di fronte si affacciarono alla mente di Clark. Gene Folwell aveva una corporatura decisamente più robusta rispetto a quella dello scrittore, eppure si era lasciato tramortire quasi senza opporre resistenza. Era davvero privo di sensi quando era crollato sul pavimento? O la sua era solo una messinscena? Non era possibile che fosse scivolato via mentre Laura e Clark si trovavano in salotto e avesse piazzato un fantoccio sul letto? Clark sentì crescere l'eccitazione dentro di sé. E poi c'erano anche quelle sigarette alla marijuana. Non era possibile che Gene le avesse lasciate lì di proposito, in modo che lo scrittore, fumandole, sarebbe caduto sotto l'influsso della droga e avrebbe agito quasi in stato di trance? Infine, c'era il cadavere. Ma da quando era stato commesso il "delitto", Clark non aveva più visto il corpo. Tutto sembrava altamente improbabile. Ma se Gene e Harry Folwell avessero avuto l'intenzione di tentare un ricatto, sarebbe stato molto furbo da parte loro far credere a Clark di essere un assassino. E poi c'era una prova... la più vaga delle prove possibili... a suffragare la sua ricostruzione. Qualcuno lo aveva seguito con la cinepresa. Ma se qualcuno si fosse trovato nella stanza, qualcuno che non fosse né Clark né Laura, non avrebbe mai permesso alla scrittore di commettere un omicidio. A meno che, naturalmente, quell'omicidio non fosse una deliberata finzione. Clark si sentì animare all'improvviso da una frenesia febbrile. La sua era la più folle delle supposizioni, ma l'avrebbe seguita fino in fondo. Ora si sarebbe recato nell'appartamento di fronte per vedere cosa stava succedendo. Entrò in fretta in camera da letto e uscì sul tetto. Da lì si mosse rapidamente in direzione della scala e, senza fare rumore, la appoggiò al bordo dell'altro edificio. Pochi secondi dopo, era già sul tetto dei Folwell. Rimase fermo qualche secondo, a riflettere. Davanti a lui c'erano la ve-
randa e la porta che conduceva in salotto. Entrò con passo felpato nella veranda e puntò subito verso il salotto. Le luci nell'ultima stanza erano accese. Clark avvicinò l'occhio al piccolo spazio nel pannello di vetro della porta che non era coperto dalla tenda. Da quel punto riuscì a vedere quasi metà della stanza; scorse anche la porta che dava nell'altra camera. Sul tavolo, c'erano ancora la bottiglia di whisky e le sigarette... un crudele ricordo degli avvenimenti di poco prima. La stanza era vuota, ma mentre Clark se ne stava accovacciato lì, sbirciando verso l'interno, notò un movimento nelle ombre vicino alla porta più lontana. Trattenne il respiro. Qualcuno stava entrando in salotto. Poi accadde tutto in un lampo. Per un istante, Clark vide una figura fermarsi sulla soglia. La mano della persona sconosciuta salì e premette l'interruttore, spegnendo la luce. La stanza cadde subito nell'oscurità. Clark scivolò all'indietro, acquattandosi contro il muro. La persona che aveva visto nell'appartamento dei Folwell era un uomo. E nonostante l'avesse scorta in una frazione di secondo, sarebbe stato pronto a giurare che non si trattava di Harry. L'uomo, che indossava un pigiama spiegazzato, era alto e aveva le spalle robuste. Sembrava un viso familiare. Clark fu quasi certo di aver visto Gene Folwell. I pensieri presero a mulinargli nel cervello ancora stordito. Dunque, la sua ipotesi si era rivelata esatta! In qualche imprevedibile modo, Gene Folwell aveva deliberatamente falsificato il proprio assassinio. C'erano migliaia di domande che avrebbero richiesto una risposta, ma Clark preferì non pensarci. Adesso era consapevole solo di una immensa sensazione di sollievo. Tutta l'oscurità, tutti gli orrori di quelle notte non erano stati altro che chimere. Finalmente, Clark si era svegliato dall'incubo. Non era un assassino! Poi la ragione ebbe il sopravvento. In fondo, aveva visto Gene Folwell solo per una frazione di secondo. Forse i suoi occhi lo avevano ingannato. Forse... Si diresse alla porta. Doveva entrare in quel salotto e dimostrare a se stesso che l'uomo che aveva assassinato era ancora vivo. Le sue dita artigliarono la maniglia; poi, all'improvviso, Clark s'irrigidì. Qualcosa di freddo e di duro premeva contro la sua schiena. Una voce, molto tranquilla e ferma, disse: — Mani in alto, Clark Rodman. Lentamente, Clark alzò le mani, poi si voltò.
Sulla soglia della veranda dei Folwell, c'era la figura alta e slanciata di Ted Steele. 18 Ted Steele gli si avvicinò, puntando la rivoltella contro il petto di Clark. — Non parli — disse bruscamente — e si giri da questa parte Clark obbedì meccanicamente e si sentì trascinare all'indietro. Steele gli bloccò le braccia dietro la schiena. Poi una mano calò sulla sua bocca e soffocò il grido che stava uscendo dalla gola di Clark. Mentre cercava di lottare, lo scrittore udì un rumore metallico, dopo di che la pressione sulle sue braccia si allentò. L'altro gli aveva bloccato i polsi dietro la schiena, ammanettandoli. — Da questo momento in avanti, lei farà esattamente quello che le dirò di fare, Rodman — mormorò Steele, mentre puntava un'altra volta la rivoltella contro la schiena del giovane. — Passi su quella scala e se ne torni nel suo appartamento. E niente scherzi! Ho il dito sul grilletto, e non mi ci vuole niente a spararle. Con Steele alle calcagna, Clark si mosse verso la scala. Tenendosi in equilibrio con difficoltà, riuscì ad arrancare fin verso il tetto di casa sua. La sua mente stanca era ancora troppo assorbita a riflettere su quanto aveva appena visto nell'appartamento dei Folwell per preoccuparsi di affrontare quel nuovo e inatteso pericolo. Steele lo condusse nel salotto della casa di Clark. Poi annuì verso il divano, la rivoltella ancora stretta in pugno. — Si sieda, Rodman. Mentre Clark si lasciava cadere sul divano, lanciò un'occhiata vacua in direzione dell'altro. — Quale sarebbe l'idea? Con la mano libera, Steele aveva estratto un fazzoletto di tasca che strappò subito in due. — Lei è in arresto, Rodman. — L'inquilino del piano di sotto restituì l'occhiata a Clark con i suoi impassibili occhi grigi. — E io non intendo correre rischi con un pericoloso assassino. — Ma io non ho ucciso Gene Folwell! — protestò Clark. — È ancora vivo. Non sono un assassino. — E io non sono un poliziotto. L'aveva già scoperto, vero? Ma è lo stesso in arresto.
Steele si mosse in avanti. Quando Clark tentò di alzarsi, Steele lo spinse di nuovo sul divano e infilò una metà del fazzoletto strappato tra le labbra del giovane. Mentre Clark si dibatteva per liberarsi dalle manette, l'inquilino del piano di sotto applicò l'altra metà del fazzoletto sulla bocca dello scrittore e ne annodò i capi dietro il collo, in un bavaglio soffocante. Clark sporse all'infuori le gambe tentando di opporre una qualche resistenza, ma Steele estrasse con calma un pezzo di corda dalla tasca. In pochi secondi, aveva già legato le caviglie del giovane. — Un sequestro di persona proprio efficiente, eh? — mormorò, facendo un passo indietro e guardando il corpo legato e imbavagliato di Clark sul divano. — Ma dopotutto, lei si è trovato in una situazione molto più sordida, stasera. Perciò immagino che non abbia obiezioni a un bel rapimento pulito e senza spargimento di sangue. Clark lo fissò con occhi ostili. Sin dall'inizio, quell'uomo era stato un vero e proprio enigma per lui. E persino in quel momento non riusciva a trovare un modo per spiegarsi il comportamento di Steele. Lui sapeva quello che era successo a Clark nell'appartamento di fronte; almeno in apparenza, aveva scoperto tutto. Ma anche se era un poco di buono intento a compiere un qualche misfatto, perché, tra tutte le occasioni possibili, aveva scelto proprio quella per rapire Clark? Steele stava sorridendo tranquillamente. — Perlomeno, sono riuscito a neutralizzarla come avrei voluto fare nelle ultime due settimane. Si diresse di buon passo in cucina e ne tornò con un drink. — Peccato che non possa offrirle un po' del suo whisky, ma sono stato costretto a imbavagliarla per impedire che parlasse. Lei ha aperto la bocca anche troppo, di recente, Rodman. E, a forza di parlare, si è cacciato in un vero pasticcio, proprio come un perfetto imbecille. Avvicinò una sedia al divano e si sedette, gli occhi grigi fissi sul volto di Clark. — Lei è soddisfatto di se stesso perché è convinto di non aver commesso un omicidio, vero? Ma anche ammettendo questo fatto, la situazione non è ancora tutta rose e fiori per lei, Rodman. A parte il resto, i Folwell hanno ancora quel film piuttosto imbarazzante. Prese una sigaretta dalla tasca. — Tra parentesi, io lo guardavo dalla veranda quando Harry Folwell gliel'ha fatto vedere. Piuttosto interessante, devo ammetterlo. Sono sicuro che suo padre sarà disposto a sborsare una bella sommerta per tenerlo fuori dalla circolazione... delitto o non delitto. Il fumo azzurrognolo della sigaretta avvolse come in una nuvola il lucci-
chio ironico negli occhi di Steele. — Mentre riflettevo sulla situazione, Rodman, ho usato questo telefono per chiamare suo padre, poco fa. Spero che lei non me ne voglia. Il signor Rodman senior ha detto che avrebbe preso l'aereo e si sarebbe precipitato subito qui per aggiustare le cose con me. Vede, mi pareva più giusto che i soldi lì desse a me, invece che ai Folwell. Non vorrei mai che il denaro di suo padre finisse nelle mani della ditta rivale, qui di fronte. Clark posò i polsi ammanettati contro un cuscino mentre l'altro continuava a parlare in modo imperturbabile. — Peccato che non siamo riusciti a parlarci in modo così schietto anche prima, Rodman, però non può negare che ho fatto del mio meglio per essere sempre gentile con lei. L'ho persino messa in guardia contro i suoi vicini, non è forse vero? Ecco perché mi sono inventato quella brutta storia di un omicidio commesso nel suo appartamento. Purtroppo, però, lei è stato abbastanza furbo da controllare con la polizia e ha scoperto che era tutta una menzogna. Ma è stato davvero così furbo, in fondo? Perché non ha fatto altro che precipitarsi a capofitto nella trappola che le hanno preparato nell'appartamento di fronte. Steele fece un gesto d'indifferenza con la sigaretta. — Credo che lei volesse rivolgersi alla polizia e dimostrare che il professor Barraclough era stato incastrato dai fratelli Folwell. Un'ipotesi molto ingegnosa, la sua, ma la polizia l'aveva già scartata alcuni mesi fa. L'uomo si piegò in avanti. — Il tenente Jones le ha detto che Gene Folwell non aveva precedenti penali. Be', era la pura e semplice verità. Capita che io sia al corrente del caso del professore, e so che all'epoca Gene e Harry Folwell erano stati interrogati con grande scrupolo. Non esisteva la minima probabilità che avessero messo in piedi quella storia di ricatti da soli. In primo luogo, non ne hanno il cervello. Gene è un bravo fotografo, ma come uomo è un vero stupido. Non fa che bere e fumare sigarette alla marijuana. Harry, poi, non è altro che un povero idiota senza spina dorsale. Il professor Barraclough aveva inventato quel particolare tipo di fotomontaggio, è vero, ma era stato molto attento a non ammettere estranei nel suo laboratorio. Io ero uno dei suoi studenti al college e lo so per certo. Steele si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza. — Credo che ora possa capire perché ho dovuto trattarla così rudemente, Rodman. Lei è un giovane idealista pronto a perdere subito le staffe, quando qualcuno si prende delle libertà con una signora. Nel caso della nostra affascinante vicina, la mia unica scusa è che ne ero innamorato molto pri-
ma di lei... anzi, praticamente tutti i ragazzi della mia età lo erano, anche se Laura aveva solo sedici anni quando io frequentavo il college. Le sembrerà strano, ma non l'avevo neanche riconosciuta quando sono venuto ad abitare qui. Ma appena lei ha cominciato a interessarsi tanto dell'appartamento di fronte, Rodman, i ricordi si sono come risvegliati in me, e a quel punto ho riconosciuto il mio primo amore. Smise un istante di andare su e giù per la stanza e guardò Clark. — La polizia ha sempre sospettato che il professor Barraclough possa essere stato incastrato — disse tranquillamente. — Ma il professore era un uomo molto intelligente, troppo intelligente per finire in una trappola tesagli da uno stupido alcolizzato come Gene Folwell. Anche lei è un tipo molto astuto, Clark, ma è caduto nella stessa trappola del vecchio. Stranamente, la persona che ha gettato l'amo è la stessa in entrambi i casi. Gli occhi grigi dell'uomo adesso erano diventati più teneri. — Questo non durerà a lungo, come dicono i dentisti quando usano il trapano, ma le farà un male del diavolo. Il criminale puntava sul fatto che il professor Barraclough avrebbe preferito assumersi la colpa, piuttosto che far sapere al mondo che qualcuno a cui voleva bene era in realtà il responsabile dei ricatti. E quella stessa persona sapeva che lei, Rodman, era il classico tipo del cavaliere, l'uomo disposto a fare di tutto, pur di difendere una ragazza di cui era innamorato. In breve, quella persona era certa che lei avrebbe dichiarato di aver commesso il delitto e si sarebbe rivolto a suo padre per chiedergli i soldi del ricatto. Clark alzò lo sguardo verso Steele, tirando le manette che gli bloccavano i polsi. — Stia calmo e cerchi di non prendersela troppo, Rodman. Ripensi a tutto quanto è accaduto dall'inizio. In primo luogo, Gene Folwell avrebbe ammesso di conoscere la sua vera identità quella sera per strada, se si era già messo in testa di estorcerle un bel mucchio di quattrini? No, l'intero schema richiedeva una mente di gran lunga più sottile per essere messo in atto. Perché l'unico modo per fare breccia su una persona intelligente come Clark Rodman, e il colpevole doveva saperlo, era quello di risvegliare in lei una vera emozione, come per esempio la pietà o addirittura l'amore. Ci voleva un cervello fine per rendersi conto che un uomo con la sua storia non avrebbe mai interferito tra marito e moglie se non dopo una forte provocazione. Ecco perché è stata messa su quella scenetta delle torture. Per attirarla in trappola. Dio solo sa quello che le ha raccontato Laura su se stessa, ma avendo visto il film dal tetto, immagino che si sia trattato di una
storia molto convincente. Steele si versò un altro drink e ne bevve un gran sorso prima di continuare. — Non capisce che è stata la nostra amica a escogitare tutto? La nostra fanciulla bella e maledetta, Laura Barraclough? Harry e Gene sono state solo le sue pedine. Ogni mossa che quei due hanno fatto negli ultimi giorni è stata controllata da Laura, con il solo scopo di risvegliare la sua simpatia per lei e costringerla a odiare il marito. È stato un gioco molto pericoloso, il suo. Ma Laura sapeva che solo coinvolgendo se stessa e lei in qualcosa di così serio come il delitto poteva fare in modo che il suo spirito cavalleresco, Rodman, desse dei buoni frutti. "Ha lavorato sulle sue emozioni fingendo di essere una povera moglie maltrattata. È stata una meravigliosa messinscena. Prima, immagino, avrà finto di essere una donna sfortunata, sposata a un ubriacone violento che la costringeva a restarsene tappata in casa, e coraggiosa nelle avversità. Poi è cominciato il secondo atto: qualche vago accenno a un profondo dolore e la comparsa del nano. Infine il momento cruciale, e lì immagino che le avrà raccontato qualche storia strappalacrime su suo padre e su come Gene aveva distrutto la carriera del professore, rovinando sia il vecchio sia la figlia. A quel punto, era riuscita a portarla proprio dove voleva. E un uomo dal temperamento aggressivo sarebbe stato disposto a commettere un delitto per una donna che si trovasse nella posizione in cui pretendeva di essere Laura... specie se ne era follemente innamorato. Ma il suo capolavoro è stato il gran finale, con Gene, il nano, la frusta e Laura legata al letto e incapace di difendersi. Lo spettacolino era stato realizzato a bella posta, per accelerare gli eventi. E le sigarette alla marijuana dovevano servire a stordirla, così non si sarebbe reso conto che l'omicidio era tutta una messinscena, che la persona sul letto era semplicemente un manichino. "Vede, Laura è una schiava della marijuana esattamente come suo marito. Quei primi giorni, quando lei pensava che la ragazza fosse stata rinchiusa contro la sua volontà e che covasse chissà quale segreto cruccio, in realtà se ne stava nel suo appartamento a fumare droga. La notte in cui mi ha sorpreso sul tetto, Rodman, io stavo usando la scala per raggiungere la casa dei Folwell. Avevo assistito a una bella scenetta tra marito e moglie. Non gliela descriverò, ma le basti sapere che Laura lo aveva sposato per ragioni non solo connesse alla grande abilità di Gene come fotografo. Non mi sorprende che lei abbia sentito strani rumori in quell'appartamento, di tanto in tanto. Le donne si comportano in modo diabolico, sotto l'influsso
della marijuana. E nel suo caso..." Ted Steele s'interruppe, udendo un mormorio soffocato provenire dalla persona seduta davanti a sé. Clark era scivolato in avanti sul divano, in preda a un mortale svenimento. 19 — Su, coraggio, beva qualcosa. Ne ha bisogno. E pensi che la sua notte è appena cominciata. Clark sentì la voce di Steele, sfuocata e indistinta. Era consapevole degli occhi grigi dell'altro su di lui, che ora sembravano gentili e premurosi. E si rendeva anche conto che adesso i suoi arti erano liberi. Sedeva sul divano, un cuscino poggiato confortevolmente sotto la testa. Poi Steele gli accostò un bicchiere alle labbra e qualcosa di caldo e pungente gli scivolò giù per la gola. Cercò di fare appello ai suoi ricordi, almeno per quanto gli era possibile. Quell'uomo aveva finto di arrestarlo, poi aveva detto che intendeva rapirlo. Lo aveva legato e lo aveva costretto ad ascoltare una storia assurda su Laura. Steele sembrava sapere un mucchio di cose. Gli aveva detto chiaro e tondo che era Laura la responsabile del complotto contro di lui. Ciò significava che era stata Laura ad accendere la cinepresa che lo aveva filmato mentre commetteva il "delitto"? Ed era sempre stata Laura che lo aveva drogato deliberatamente e lo aveva incitato a uccidere il marito... in realtà un falso delitto che sarebbe stato usato per costringere Clark a chiedere soldi al padre? Steele gli aveva anche detto che Laura aveva organizzato quei famosi ricatti di cui era stato accusato il professor Barraclough. Clark si sentiva ancora troppo scioccato per essere in grado di soppesare la possibile verità di quelle terribili accuse. Adesso non riusciva a pensare ad altro che a quell'uomo alto che era chino su di lui. — Chi... chi è lei? — chiese debolmente. — Temo di essere proprio un detective, Clark. — Steele stava estraendo una tessera di tasca. — Ho aperto un'agenzia di investigazione privata poco prima della guerra. Mi sono specializzato in casi piuttosto delicati, dove la cosiddetta "buona educazione" è un requisito necessario. Quando il dottor Trask ha ricevuto quella foto ricattatoria, all'epoca del caso del professor Barraclough, mi ha chiamato a svolgere indagini in tutta segretezza.
Poi mi ha raccomandato a suo padre, che in seguito mi ha assunto per tenerla d'occhio fino a quando non si fosse ambientato a New York. — Un investigatore privato! — esclamò Clark. — Vuol dire che... che papà l'ha pagata per sorvegliarmi? — Sì, ma non pensi a niente di spiacevole. Dovevo solo accertarmi che non le capitasse niente, visto che lei è il figlio di un ricco che aveva deciso di vivere come l'altra metà del mondo. Suo padre non voleva che la spiassi. Ma era convinto che siccome suo figlio aveva affrontato tre anni di guerra, forse avrebbe avuto bisogno di un po' di sorveglianza durante il primo periodo di reinserimento nella vita civile. — Sorrise. — Credevo che fosse una bella idea fingere di essere un poliziotto della Buoncostume, così lei non avrebbe sospettato nulla, se mi avesse visto entrare e uscire di casa in orari strani. Ma su questo punto lei è stato più furbo di me, Clark e ha capito ben presto che non ero un vero poliziotto. In effetti, è un tipo molto più intelligente di quanto forse lei stesso non creda. Mi ha aiutato a fare due lavori nello stesso tempo. — Non capisco — borbottò Clark. — È molto semplice. — Steele portò di nuovo il bicchiere alle labbra del giovane. — Le ho già detto che il suo interesse per i nostri dirimpettai ha risvegliato anche il mio. È così che mi sono reso conto che erano proprio i Folwell. Nonostante la polizia avesse archiviato il caso del professore col suicidio di Barraclough, io stavo ancora lavorando su quella faccenda per conto di suo zio. Prima non ero stato in grado di rintracciare i Folwell, perché erano spariti subito dopo la morte di Barraclough. È stato un vero colpo di fortuna averli trovati qui. E questo mi ha offerto un'altra possibilità, specie quando ho scoperto del nano. Vede, i Folwell avevano tenuto assolutamente segreta la cosa, perché il nano era l'unica prova in grado di collegarli alla storia dei ricatti. Se Laura non avesse cercato di essere troppo furba e non si fosse convinta a usare Franko come un altro elemento per riscuotere la sua simpatia, Clark, non sarei mai stato in grado di ottenere nessuna prova contro di loro. Adesso il tono di Steele si era fatto quasi contrito. — Temo di essere stato una pessima guardia del corpo per lei, Clark. Negli ultimi giorni, ho continuato a usare la scala per tenere d'occhio i Folwell. Ho intuito che stavano tentando di giocarle qualche brutto tiro, e speravo di coglierli con le mani nel sacco in modo da ottenere una prova decisiva contro di loro nell'affare del professore. Dio solo sa che ci sono riuscito, ma non avrei mai immaginato che potessero cacciarla in un brutto pasticcio come que-
sto. Quel film è molto serio, e dobbiamo riuscire in qualche modo a entrarne in possesso prima che arrivi suo padre. Perché qui sono in ballo sia la sua reputazione sia la mia. — E così, ha chiamato veramente papà — disse Clark. — E suppongo che mio zio si sia precipitato qui, poco fa, in seguito a una sua telefonata, vero? — Sì. Cominciavo a preoccuparmi per lei. Temevo si accorgesse che i Folwell la stavano usando nel loro sporco gioco e si mettesse davvero ad ammazzare qualcuno. Ecco perché sono stato così brusco con lei e ho pensato bene di legarla mentre le raccontavo la verità. In quel momento, qualcuno bussò perentoriamente alla porta. Steele andò in fretta ad aprire, e all'improvviso la stanza parve riempirsi di uomini. Gli occhi stanchi di Clark individuarono la piccola e dinamica figura dello zio Talbot. Ma c'era anche il tenente Jones, coi suoi capelli grigi, accompagnato da diversi altri poliziotti. Clark si accorse che lo zio e Steele tenevano un rapido consulto, in tono sussurrato. Poi il dottor Trask si avvicinò al divano e fece bruscamente segno a Clark di alzarsi. — Ebbene, ragazzo mio — abbaiò — mentre questi esperti in faccende criminali discutono dei fatti loro, forse sarebbe meglio che noi due ci ritirassimo in camera da letto. Entrò subito nell'altra stanza. Clark lo seguì, le braccia che gli ricadevano mollemente sui fianchi. Il piccolo patologo chiuse la porta alle loro spalle e strinse la mano di Clark. Dietro le lenti, i suoi occhi, di solito tanto feroci, erano dolci, quasi gentili. — A quanto mi risulta, Steele ti ha detto tutto quello che c'era da dire, giovanotto. — Il dottor Trask fece in modo che la sua voce suonasse prosaica, se non proprio brusca. — Hai subito un terribile trauma, lo so, ma lo supererai. Tutti superano i brutti momenti nella loro vita. Questo è uno degli espedienti più tragici e insieme efficienti della natura umana. — Ma è assurdo! — sussurrò Clark con il cuore spezzato. — Non posso credere che Laura... — Forse riuscirò a convincerti — tagliò corto il dottor Trask. — Sai che l'altro giorno il corpo di un uomo, un uomo annegato, è stato portato in obitorio, no? Be', stanotte l'ho identificato senza il minimo dubbio come quello del mio povero amico, il professor Barraclough. — Allora, quello che mi ha raccontato Laura sul fatto che suo padre si trovava in Messico era solo una menzogna?
— Sì. Lei si è inventata di sana pianta la vicenda del padre vivo e rifugiato in Messico per rendere ancora più convincente la storia del suo matrimonio infelice. Sapeva che eri un giovanotto sveglio e che non ti saresti fatto prendere all'amo da un racconto inconsistente. — Ci fu una leggera esitazione nella voce del dottore. — Avevo sospettato sin dall'inizio che il suicidio del mio vecchio amico fosse stato commesso per proteggere qualcuno, ma non mi era mai venuto in mente che fosse stata proprio la figlia, la sua stessa figlia, a costringerlo a uccidersi. Povero Barraclough, ha sacrificato la sua preziosa vita perché il mondo non sapesse che creatura vile e spregevole era la figlia. — Ma zio — intervenne Clark — voi tutti dite che Laura è colpevole e l'accusate di aver commesso quelle cose tremende... eppure lei era in California quando è scoppiato lo scandalo! — Già, ma non era lì quando il prezzo dei vari ricatti è stato incassato — replicò bruscamente il dottor Trask. — Era stata lei a rubare il nuovo procedimento fotografico scoperto dal padre e a incastrarlo quando si è resa conto che l'intera faccenda stava per venire alla luce. Il piccolo patologo agitò l'indice tozzo davanti a sé, e la sua voce proruppe in un crescendo di indignazione. — Una donna come Laura Barraclough salta fuori solo una volta in un secolo, ragazzo mio. Ma quando appare, è come se l'incarnazione del male si fosse messa a camminare sulla terra. A volte, si manifesta come una signora di notevole lignaggio, come per esempio una Messalina o una Lucrezia Borgia. Altre volte, invece, appare in panni più umili, come quelli di una certa Sarah Jane Robinson, che avvelenò diciotto persone per incassarne le rispettive assicurazioni. E come quelli di Laura Barraclough, per l'appunto, la ragazza che ha fabbricato a bella posta fotografie false e indecenti non per denaro, ma per pura e semplice malvagità; la ragazza che non ha esitato a spingere al suicidio il suo stesso padre, il quale, pur sapendo tutto, le voleva ancora bene. Clark si era lasciato cadere sul letto. — Non ci credo — disse. — Non può essere stata così perfida. — Non può essere stata così perfida? — gli fece eco il dottor Trask. — Stammi bene a sentire, giovanotto. Hobart Barraclough l'ha spedita in California, è vero, apparentemente perché la figlia studiasse con il dottor Blumgarten, il famoso psichiatra. Ho telefonato a Blumgarten stasera, a Los Angeles, per scoprire quello che era veramente successo. Lo zio Talbot lanciò un'occhiata feroce a Clark da sopra gli occhiali. — E ho avuto una risposta diretta alle mie domande. Barraclough aveva sco-
perto tutto sulle attività illecite della figlia. Sapeva che Laura non aveva ricevuto un'eredità genetica troppo buona da parte della madre. Così l'ha spedita da Blumgarten non come studentessa, ma come paziente. Ecco perché ha trasferito del denaro in California; quei trattamenti sono piuttosto costosi. "Il dottor Blumgarten mi ha riferito la sua opinione professionale di Laura Barraclough. Ha detto che, secondo lui, la ragazza univa a un eccezionale intelletto una delle personalità tendenzialmente criminali più pericolose e perverse di cui avesse mai avuto notizia. E questo, giovanotto, è il vero ritratto della ragazza che abita di fronte a te." 20 La voce incisiva del dottor Trask crebbe rapidamente di tono. Ora l'ometto stava spiegando al nipote perché si fosse portato la polizia dietro. Inutile a dirsi, la polizia non sapeva nulla né della relazione di Clark con Laura né del falso delitto. Gli agenti erano accorsi su semplice sollecitazione di Steele per acciuffare i veri responsabili della storia di ricatti di cui tempo prima era stato accusato il professore. — Steele sta raccontando a Jones che tu e lui lavoravate insieme — concluse il dottor Trask. — Non so esattamente che idee abbia in testa, ma tu devi dargli manforte e non perdere la calma. — D'impulso, strinse la mano di Clark. — Mi rendo conto che per te sarà una prova terribile, ma se riuscirai a superare questa notte, ragazzo mio, se non altro avrai la consolazione di sapere che niente potrà più farti paura. Il piccolo patologo tornò di gran carriera in salotto e Clark lo seguì. Steele e i vari poliziotti erano ancora lì. Tutti si volsero verso di lui con aria trepidante mentre il dottor Trask entrava. — Be' — e puntò l'indice tozzo prima su Steele e poi su Clark — se questi due dilettanti ritengono di aver risolto il caso del professore, credo che dovrebbe sentirli, Jones. Ma speriamo che non ci mettano molto. Sono le tre passate, e non voglio che mia moglie venga a cercarmi all'obitorio. — Steele ha avuto l'idea di cercare di cogliere in fallo i Folwell — disse tranquillamente il tenente Jones. — È una procedura irregolare, ma in fondo sarei disposto a tutto anch'io pur di mettere le mani su quella banda. Anzi, forse è meglio che andiamo là. Paura, rabbia e un profondo senso di umiliazione combattevano senza sosta nella mente di Clark, mentre lui accompagnava Steele, lo zio e i poli-
ziotti nell'appartamento dei Folwell. Rivedere Laura dopo tutto quanto aveva appreso, e per di più in compagnia di gente a lei sconosciuta, sarebbe stata la più dura tra tutte le prove di quella notte. E nonostante gli indizi schiaccianti di cui gli aveva parlato lo zio, nella sua mente si annidava sempre l'irragionevole speranza che Laura fosse innocente. E insieme a quello, c'era un altro pensiero... un pensiero che quasi non osava ammettere nemmeno con se stesso. L'occhiata che aveva dato a Gene Folwell vivo era stata molto breve e del tutto incerta. In cuor suo, Clark aveva la sensazione di essere ancora un assassino, dopotutto. Steele bussò in modo perentorio e Harry Folwell si presentò ad aprire con lo sguardo annebbiato e una coordinazione approssimativa nei movimenti. Per un attimo, guardò i nuovi arrivati con espressione vacua, poi borbottò qualche parola di saluto a beneficio dei poliziotti, che forse conosceva già, vista la sua professione di fotografo. Non prestò la minima attenzione a Clark mentre faceva accomodare i visitatori in salotto e accendeva tutte le luci. Il dottor Trask fu il primo a parlare. In apparenza, quella mossa era una parte precostituita del piano. Il patologo spiegò che in nottata aveva identificato un cadavere all'obitorio, quello del professor Barraclough. Perciò era suo dovere formale richiedere un'identificazione definitiva alla parente più prossima del defunto, e cioè la figlia. Harry andò a chiamare la cognata. Il gruppetto dei nuovi arrivati attese senza parlare. Clark notò che il tenente Jones e Steele stavano guardando con interesse i dispositivi tecnici e le foto quasi pornografiche che Gene Folwell aveva disseminato nella stanza. — Ah, signora... ehm... Folwell, mi spiace essere costretto a disturbarla così tardi e per un compito tanto spiacevole, ma... Clark non ascoltò le parole dello zio. I suoi occhi, come quelli di ogni altro uomo nel salotto, erano fissi su Laura. Non credeva che esistesse una donna più affascinante: era a dir poco stupenda, in piedi al centro della stanza con una vestaglia bianca, intenta ad ascoltare la notizia del ritrovamento del padre. Clark vide gli occhi della ragazza inumidirsi di lacrime. Poi la osservò portarsi lentamente una mano alla gola bianca. Infine, ne registrò la coraggiosa determinazione della bocca e del mento mentre lei parlava. — Io la... la accompagnerò all'obitorio, dottor Trask. Se fingeva, quella era una recitazione straordinaria. Mentre Clark la guardava e coglieva ogni particolare di quella testa eretta in modo tanto
orgoglioso sotto l'aureola scura dei capelli, si scoprì a gridare con ogni sua forza dentro di sé che una donna simile non poteva essere affatto il mostro che Steele e suo zio avevano dipinto. — Prima che vada, signora Folwell, temo di doverle chiedere un favore. — Steele aveva parlato con voce studiatamente indifferente. — Io sono stato un grande ammiratore di suo padre e un suo ex studente. Forse lei si ricorderà di me... Laura inclinò il capo di lato. — Sì, signor Steele, ricordo di averla vista ai corsi di papà. Lei è anche un nostro vicino di casa, vero? — Esatto. Spero voglia scusarmi, se le faccio questa richiesta proprio adesso che lei ha ricevuto una notizia tanto dolorosa. Capisco tutta la sua sofferenza e le sono vicino, mi creda. Il leggero movimento della testa di Laura fu il gesto più grazioso che Clark le avesse mai visto fare. — Io ora rappresento gli interessi del signor Joseph Rodman — continuò Steele. — E incidentalmente anche quelli del signor Clark Rodman. A quanto ne so, quest'ultimo è stato ripreso in una pellicola che suo cognato ha proiettato qui dentro, questa sera stessa. Io ne ho parlato con signor Clark Rodman e, da quanto mi ha detto, il film non è stato girato contro la sua volontà. Lui ha eseguito certe mosse in modo che il signor Folwell potesse sperimentare una nuova tecnica di ripresa in interni a cui sta lavorando da tempo. È esatto? Le pupille di Laura si dilatarono quasi impercettibilmente. Poi, per la prima volta, lei guardò Clark. I suoi occhi erano assolutamente privi di espressione. — Naturalmente, il signor Rodman ha detto la verità — rispose con calma. — Ha fatto un favore a Harry e a me stessa recitando una certa parte. È stato solo un esperimento amichevole. — Già, so-solo un piccolo esperimento amichevole — le fece eco Harry Folwell con voce malferma. — Allora non farà la minima obiezione se questi funzionari di polizia e tutti noi le chiediamo di vedere il film, vero? — domandò Steele. Il viso di Harry Folwell sbiancò di colpo, ma Laura rimase perfettamente composta. — Nessunissima obiezione — mormorò. — Temo che quelle riprese siano un po' sciocche e melodrammatiche. Forse il signor Rodman è stato alquanto dilettantesco nella sua recitazione, con licenza parlando, ma se la cosa non dà fastidio a lui, di sicuro non lo dà a me.
Clark ascoltava le parole della ragazza con espressione sempre più stupita. Non erano vere, naturalmente, ma gli pareva incredibile il modo in cui Laura era riuscita a far fronte a quell'incredibile contrattempo con una tale, perfetta compostezza. Che rischiasse di cadere in una trappola che Steele aveva deliberatamente preparato per lei? O esisteva ancora la possibilità che la ragazza fosse innocente e che quindi stesse mentendo sul film per salvare Clark dalla rovina? Lo scrittore non era quasi più nemmeno consapevole della presenza degli altri intorno a sé. Li sentì parlare, poi vide che Harry si avviava verso il proiettore. La stanza cadde subito nell'oscurità. Clark non riuscì a sopportare l'idea di vedere quel film un'altra volta. Quando le immagini cominciarono ad apparire sullo schermo, lui distolse deliberatamente lo sguardo. Perché, si chiese, Steele era così ansioso che la polizia vedesse quella pellicola, se, come sembrava, lui stava dalla sua parte? E perché, se l'investigatore credeva nella colpevolezza di Laura, aveva scelto di incastrarla con quella particolare prova? Il ronzio del proiettore sembrava provenire dall'interno della sua testa. Il film era insopportabilmente lungo... anzi, adesso persino più lungo, visto che non lo stava guardando. Poi, mentre i suoi occhi si abituavano sempre di più all'oscurità, notò con sua sorpresa e disgusto che Franko era scivolato in qualche modo dentro la stanza. Il nano stava in piedi proprio davanti a Clark, e i suoi occhietti rotondi e trasognati erano fissi sullo schermo. C'era uno sguardo di folle estasi nel suo piccolo viso. Clark era in grado di dire a quale scena era giunto il film semplicemente guardando i gesti che faceva il nano. Era uno spettacolo ripugnante, quasi peggiore della realtà, vedere le sue stesse azioni imitate in modo tanto goffo da quella creatura miserevole. Quando alla fine la pellicola terminò e le luci si riaccesero, Clark non riuscì più a vedere Franko. I funzionari di polizia si stavano raccogliendo intorno a Clark e sorridevano. — Bene, giovanotto — e il tenente Jones rifilò una pacca sulle spalle a Clark — lei ha proprio la stoffa dell'attore. C'è da meravigliarsi che a Hollywood non si siano ancora accorti di lei. — Molto convincente e realistico. — Ted Steele stava guardando Laura da sopra la sigaretta. — Talmente realistico, in effetti, che è quasi impossibile credere che non troveremmo il cadavere di un uomo assassinato, se entrassimo in quella stanza. Laura gli lanciò un sorriso freddo. — Già. È stato un esperimento pro-
prio riuscito. Le luci erano molto chiare, vero? Clark osservò l'investigatore privato muoversi verso la porta della camera da letto. Poi vide un tenue sorriso dipingersi sulle sue labbra mentre Steele diceva: — Sarei molto interessato a vedere il fantoccio che avete usato, signora Folwell. Era davvero perfetto. Clark capì in quel momento quale fosse il piano dell'investigatore; Steele sperava di scoprire che i Folwell avevano usato del sangue finto sul fantoccio, e quel particolare avrebbe dimostrato che il film non era stato un mero esperimento fotografico, ma un deliberato tentativo di incastrare lui, lo scrittore. Il suo cuore perse un battito mentre l'investigatore spalancava la porta della camera da letto, dove Clark aveva sistemato Gene Folwell dopo la colluttazione che aveva avuto con lui. E qualche tempo dopo era tornato in quella stessa camera, stordito dalla droga, per assassinare Gene. Poi... Era la sua coscienza colpevole o Steele si era fermato un istante di troppo sulla soglia di quella stanza? All'improvviso, l'investigatore fece un passo indietro. L'espressione serena e leggermente ironica sul suo viso aveva fatto posto a uno sguardo di orrore. Steele, il forte e onnisciente Steele, si era appoggiato con una mano allo stipite della porta per non vacillare. — Mio Dio! — esclamò. — Ma come... Tutti si erano affollati sulla soglia. D'impulso, Clark balzò in avanti, spingendo di lato il tenente Jones e Steele. Entrò nella stanza e, un istante dopo, si fermò bruscamente. La camera da letto si trovava nelle stesse identiche condizioni di come l'aveva lasciata lui. Una sedia giaceva capovolta sul pavimento. Ai suoi piedi, macchiato di sangue e scintillante, c'era il trespolo della macchina fotografica. E sul letto, c'era il corpo di un uomo con la testa fracassata. Quell'uomo era Gene Folwell. 21 Il tenente Jones stava spingendo tutti via dalla porta della stanza dove giaceva il cadavere di un uomo. Clark colse qualche fugace immagine di Laura, del profilo di Steele, che non si era ancora ripreso dallo shock, e infine del dottor Trask, che entrava di gran carriera nella stanza e si chiudeva la porta alle spalle. Ma era a malapena consapevole dello scompiglio che si
era creato intorno a sé. Quel colpo di scena del tutto inatteso lo aveva lasciato di stucco. Gene Folwell era morto, dopotutto. Il che significava che lui, Clark Rodman, era davvero un assassino. Cercò di estrarre un senso da quanto era successo. Evidentemente, l'immagine dell'uomo che aveva creduto essere Gene Folwell era stata quasi certamente un parto della sua fantasia. Il suo estremo desiderio di far tornare in vita il morto doveva averlo ingannato, facendogli scambiare Harry Folwell per suo fratello. E così, tutto si era ingarbugliato all'inverosimile. La sua convinzione che l'omicidio di Gene fosse un falso aveva persuaso anche Steele. E nel tentare di discolparlo, l'investigatore privato non aveva fatto altro che puntare ancora di più i riflettori sulla colpevolezza di Clark. Ora Steele si era avvicinato allo scrittore. — Mi spiace terribilmente, Rodman — mormorò. — Non intendevo cacciarla in questo brutto guaio. Credo proprio di aver preso un granchio. Clark non replicò. Un altro pensiero stava formandosi nel suo cervello. Se Steele si era sbagliato nella sua ipotesi, non ne conseguiva che poteva essersi sbagliato anche su Laura? La prova irrefutabile che Clark aveva ucciso Folwell di sicuro assolveva la ragazza dalle accuse che l'investigatore privato e lo zio dello scrittore le avevano rivolto. E mentre Clark guardava lo stupendo viso di Laura, pallido e rassegnato, si trovò a sperare che le cose potessero andare proprio così. Era pronto a combattere contro una accusa di omicidio, se solo si fosse potuto dimostrare che Laura era sempre stata la ragazza che lui aveva creduto. Notò vagamente che il tenente Jones aveva fatto una rapida telefonata e stava riagganciando proprio in quel momento. Tutti si trovavano in quella stanza tranne il dottor Trask, e fissavano il tenente con occhi inquieti. Jones si avvicinò a Laura. — Signora Folwell — disse bruscamente — ha qualche spiegazione da offrirci sulla morte di suo marito? Laura gli restituì prontamente lo sguardo. La sua mano si mosse verso l'alto e si posò sul colletto della vestaglia bianca. Quando parlò, la voce della ragazza era assolutamente tranquilla. — Avendo visto il film, tenente, non avrei pensato che fossero necessarie altre spiegazioni. — Ma lei ci ha detto che il film era solo una specie di recita da dilettanti, signora Folwell.
— L'ho detto io? — Laura spalancò gli occhi. — Se non mi sbaglio, è stato il signor Steele a fare quel suggerimento. Io gli ho tenuto bordone solo perché era quello che vi aspettavate che facessi. Dato che siete venuti qui con il signor Rodman, naturalmente ho dato per scontato che lui vi avesse detto che il film era una registrazione dell'omicidio di mio marito. — Le stavo chiedendo la sua versione dei fatti, signora Folwell — tagliò corto il tenente Jones. — Di Rodman parleremo dopo. — Molto bene. — Ci fu un leggero tremito nelle ciglia nere. — È molto doloroso per me, ma capisco che debba essere fatto. Il signor Rodman è... un giovanotto piuttosto impulsivo. Per qualche strana ragione, si è messo in testa l'idea che mio marito mi maltrattava. Approfittava di ogni scusa per piombare qui dentro e minacciare Gene. In un'occasione, effettivamente, ha persino aggredito mio marito. Laura si inumidì le labbra. — Alla fine, però, ha chiesto scusa. E per dimostrare al signor Rodman che non aveva nessun astio verso di lui, mio marito lo ha pregato di scrivere una piccola sceneggiatura. Sapeva che il signor Rodman era uno scrittore. Gli ha chiesto di mettere a punto solo alcune brevi scene, che dovevano essere usate per saggiare le nuove tecniche fotografiche di Gene. Clark stava fissando la ragazza con uno sguardo di attonito stupore. — Il signor Rodman ha scritto la storia che tutti avete appena visto sullo schermo — continuò tranquillamente la ragazza. — Purtroppo, però, quando stasera ha recitato le ultime sequenze, aveva bevuto troppo. Durante una delle cosiddette scene d'amore, mi ha quasi strappato i vestiti. Harry era troppo preoccupato a filmare per rendersi conto che l'attore stava... ehm... perdendo il proprio autocontrollo. E quando si è arrivati al delitto vero e proprio, be', il signor Rodman è stato persino più realistico del previsto. — Quello che Laura dice è tutto vero, fino all'ultima parola — farfugliò Harry. — Non credevo ai miei occhi quando mi sono reso conio che in realtà il signor Rodman aveva assassinato il povero Gene. Ho continuato a filmare ancora per un po', senza capire che... — Il signor Rodman ci ha fornito una spiegazione piuttosto fantasiosa quando ci siamo accorti di quello che aveva fatto — osservò tranquillamente Laura. — Mi ha detto che mi amava, che era follemente geloso di mio marito, che il liquore che aveva bevuto gli aveva fatto perdere la testa per qualche secondo e... — Si strinse nelle spalle. — È molto giovane, tenente. La prego di voler considerare questa circostanza.
Clark era troppo sconvolto per parlare. Si limitò a lanciare un'occhiata smarrita in direzione della ragazza. Laura Folwell, invece, non lo guardò mai, nemmeno una volta. — Nel caso abbia ancora qualche dubbio sui sentimenti che il signor Rodman nutriva per mio marito e per me stessa, tenente, scoprirà che ha scritto un racconto su noi due. Non c'è nemmeno bisogno di dire che è un'opera di pura fantasia, ma potrebbe rivelarsi molto preziosa nel mettere in luce il... il punto di vista del signor Rodman. Clark si sentì il cuore diventare di piombo. La spiegazione di Laura era stata molto convincente. Era persino riuscita a inserire nel suo schema il racconto che Clark le aveva letto e che significava così tanto per lui. E ora, in aggiunta al fatto di vederla pubblicamente marchiata come ladra e mentitrice, lui stesso, Clark, sarebbe stato sicuramente accusato di omicidio. Non restava davvero più nulla... nulla. Il tenente Jones si era rivolto verso di lui, lo sguardo penetrante. — Bene, Rodman, la signora Folwell sostiene che lei ha confessato di averle ucciso il marito. È disposto ad ammettere che il film da noi visto è una registrazione dell'omicidio? — Io ammetto solo che non... — cominciò Clark. — Lui non ammette proprio niente! Era stato il dottor Trask a parlare. Il piccolo patologo era uscito in fretta dalla stanza dove giaceva il cadavere di Gene Folvvell. Lanciò un'occhiataccia a Clark. — Tieni la bocca chiusa, giovane idiota! Tutti fissavano l'ometto dalla testa rossa che stava lì, rannicchiato in avanti come una tigre pronta a spiccare il balzo. — Non osi rivolgere altre domande a mio nipote, Jones! — gridò. — Lui ha un alibi perfetto per il lasso di tempo in cui è stato ucciso quell'uomo. Se non si fida di me, chieda al medico legale, non appena arriva. — E questo cosa significa? — Significa che Gene Folwell, l'uomo nella stanza accanto — e qui il dottor Trask puntò l'indice — è morto da meno di mezz'ora. Tutti fissarono il piccolo patologo. — Mi ci gioco la mia reputazione professionale. — Il dottor Trask lanciò un'occhiataccia a Jones. — Qualunque studente di medicina potrebbe confermarglielo. Il sangue non ha nemmeno iniziato a raffreddarsi. La superficie corporea è ancora calda... Mentre lo zio parlava, Clark sentì crescere dentro di sé un barlume di
speranza. — Ripeto: mio nipote ha un alibi perfetto — continuò il dottor Trask — dato che è stato insieme a noi almeno negli ultimi quaranta minuti. E chi vorrà contraddire la parola di un funzionario di polizia e quella di un patologo? Si guardò intorno, come se sfidasse gli altri a mettere in dubbio quanto aveva detto. — No, quest'uomo è stato ucciso da qualcuno che ora è qui dentro molto di recente. L'indice peloso scattò di nuovo, stavolta fermandosi su Laura. — E non sarei sorpreso se fosse stata proprio questa strega ad assassinarlo! 22 Era una scena sorprendente: l'ometto sgraziato dalla testa rossa che si avvicinava sempre di più alla ragazza in vestaglia bianca. Nel modo di muoversi del dottor Trask, e nel suo puntare l'indice così solennemente, c'era qualcosa di minaccioso. Era come se il patologo si fosse trasformato in una belva della giungla assetata di sangue. — Non le bastava rovinare suo padre — ringhiò. — Doveva distruggere anche suo marito. E io so quando e perché l'ha fatto. È stato non appena si è accorta che mio nipote non si sarebbe piegato ai suoi sporchi giochi, vero? L'ha visto venire qui con la polizia e a quel punto ha concepito l'idea di dare realtà alle sue vili menzogne. Adesso l'indice tozzo dell'ometto era a pochi centimetri dal viso della ragazza. All'improvviso, il dottor Trask si girò e lanciò un'occhiata feroce a tutti i presenti. — Guardatela! — gridò selvaggiamente. — Guardate la donna che ha ucciso il marito dormiente a sangue freddo e ha confezionato a bella posta un cumulo di menzogne per salvarsi la pelle e spedire un giovane innocente sulla sedia elettrica! Per un attimo, Clark pensò che i nervi d'acciaio di Laura, le grandi doti istrioniche della ragazza avrebbero avuto la meglio persino in quell'aggressione tempestosa. Ma mentre la guardava, vide il viso di lei contorcersi in una maschera di panico cieco e maligno. Gli occhi scuri guizzarono rapidamente; le piccole narici si dilatarono; tutto in lei sembrò disintegrarsi nello spazio di pochi secondi. Persino la sua voce, quando la ragazza parlò,
aveva un timbro nuovo, un po' rauco. — Non sono stata io a uccidere Gene! — gridò, rivolgendosi furiosamente a Clark. — Di' la verità! Di' a tutti che non l'ho ucciso io! Clark sentì la morsa d'acciaio di Steele sulla sua spalla. L'investigatore lo tratteneva per impedirgli di avanzare verso Laura. Lei si voltò verso Harry. — Diglielo tu, Harry — implorò. — Devono sapere che non sono stata io a ucciderlo. Io... io volevo bene a Gene. Non... non sapevo nemmeno che era morto. È stato uno shock terribile per me. Non avrei mai... Oh, sono disposta ad assumermi la colpa per la faccenda delle fotografie e tutto il resto. Ammetto di aver ricattato della gente, in passato, ma non ho ucciso Gene. Non sono stata io! Harry Folwell scosse la testa e borbottò: — Be', neanch'io, Laura. Però sembra proprio che ti abbiano incastrato. — Incastrato, eh? — intervenne il dottor Trask, che si avvicinò nuovamente a Laura con aria minacciosa. — E come ci si sente a essere incastrati? Lei che ha incastrato suo padre e mio nipote? Le piace sorbirsi un po' della medicina che ha somministrato agli altri? — Basta, zio Talbot! Clark Rodman si era liberato dalla stretta di Steele. Poi, balzando in avanti, aveva spinto via quasi brutalmente lo zio dalla ragazza. Era stato così umiliato nelle ultime poche ore che non sopportava l'idea di vedere oltraggiata ulteriormente la ragazza che aveva amato. Il suo amore se n'era andato, ormai, ma provava ancora una certa pietà per quella creatura scossa e singhiozzante; forse la stessa pietà che aveva provato anche il padre di lei quando, rendendosi conto di com'era fatta veramente, l'aveva spedita in California e si era assunto ogni colpa in quella terribile vicenda dei ricatti. — È giunto il momento che parli anch'io, mi sembra — disse tranquillamente Clark. — Voi tutti avete cercato di fermarmi, ma... Tenente Jones, è disposto ad ascoltarmi? — Sicuro. — Il funzionario di polizia si strinse nelle spalle, come a far capire che era ancora in alto mare. — Grazie. — Clark guardò a turno gli altri. — Vedete, credo di aver capito com'è stato ucciso Gene Folwell. Mentre il tenente lo fissava con improvviso interesse, Clark sentì rinascere dentro di sé qualcosa del vecchio amor proprio che pensava di aver perduto. — La signora Folwell non ha assassinato suo marito. Credo che voi tutti vi rendiate conto che una ragazza come lei non aveva bisogno di commettere un gesto simile in prima persona. Poteva sempre servirsi di un
uomo come... come... — liquidò con un gesto un accenno di protesta da parte dello zio — come Harry, che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, o come... — Non dimentichi che la signora Folwell l'ha accusata di omicidio, Rodman — intervenne perentoriamente Steele. — Non si lasci prendere troppo la mano dalla cavalleria. — Non lo farò. Non con un uomo come lei che mi protegge anche meglio di una guardia del corpo. — Clark gli lanciò un sorriso sardonico. — Le dispiace seguirmi un minuto? Credo di poterle spiegare esattamente com'è stato commesso il delitto. A un cenno d'assenso da parte del tenente Jones, Steele seguì Clark fuori dalla stanza, gli occhi socchiusi come se non avesse capito bene quello che si proponeva di fare l'altro. Dopo qualche minuto, Clark tornò da solo. Aveva i capelli in disordine e il nodo della cravatta allentato. C'era una macchia di sangue sulla sua guancia. Fissò negli occhi il tenente Jones. — Lei è stato così gentile da complimentarsi con me per come ho recitato in quel film. Persino la signora Folwell ha ammesso che, come amante e assassino, sono stato piuttosto realistico. Mi chiedo se le andrebbe di assistere a qualche ulteriore prova del mio talento. Clark notò che Laura lo guardava a disagio con il volto pallido e tirato, ma lui non le prestò la minima attenzione. Si mosse verso il camino e prese un attizzatoio. — Vorrei ripetere l'ultimo atto di quel film, se non le dispiace. Come vede, mi sono calato di nuovo nel personaggio, per così dire. E anche se non possiamo usare la stanza originale, credo che qualunque altra possa andare bene. Dopo aver sussurrato qualche parola all'indirizzo dei due poliziotti che lo accompagnavano, il tenente Jones seguì insieme agli altri Clark, che si avviò alla porta più vicina. Lo scrittore la aprì, rivelando un corridoio breve e scarsamente illuminato. A sinistra si vedeva la porta aperta di un'altra stanza, la camera da letto di Laura. Dal punto in cui stavano, era possibile vedere solo metà della zona interna. Ma nel raggio visivo di tutti c'era un letto, illuminato da una lampada schermata. E sul letto, sotto una coperta, era sdraiata una figura indistinta. La sua testa, appoggiata contro il cuscino, sembrava spappolata. — Voglio che restiate tutti dove siete — disse Clark. — Se vi avvicinaste di più, rovinereste l'effetto artistico. E non preoccupatevi per quella fi-
gura. È solo il fantoccio che i Folwell e io abbiamo usato in quel film. Steele lo ha trovato sotto il letto. Piuttosto realistico, vero? Credo che la testa sia la vescica di un maiale, riempita di ossa e sangue animale per risultare più convincente. E la faccia le è stata cucita addosso. Un procedimento fotografico molto semplice per farla assomigliare a una certa persona. E adesso, sono pronto a ripetere la scena del delitto. Clark si passò una mano tra i capelli. Brandendo l'attizzatoio, uscì nel corridoio. Il dottor Trask allungò un braccio e tentò di fermarlo. — Ti sei messo in testa l'idea del tutto idiota che, replicando la scena dell'omicidio, tu possa spingere il vero colpevole a farsi avanti? — È proprio l'idea che mi è venuta in mente, zio — rispose Clark. — Chiamala pure idiota, se vuoi. Ma credo che questo piccolo esperimento possa interessarti. Lasciando gli altri raggruppati sulla porta del salotto, Clark si mosse furtivamente lungo il breve corridoio che conduceva in camera da letto. Stava maneggiando l'attizzatoio in modo teatrale. Il pubblico lo osservava in silenzio. Lo videro scivolare dentro la stanza e avvicinarsi furtivamente al letto. Poi si fermò per un attimo, curvandosi sulla figura sdraiata lì sopra. Sollevò l'attizzatoio e lo abbatté sul fantoccio una volta, due volte, tre volte... Si sentì un gemito soffocato da parte di Laura, poi Harry Folwell lanciò un'esclamazione. Clark uscì dalla camera da letto e, passando nel corridoio, lasciò cadere per terra l'attizzatoio. Quindi si unì agli altri. — Non muovetevi — sussurrò. — State bene a guardare. Ora l'assassino si tradirà da solo. L'atmosfera era tesa. Gli occhi di tutti i presenti erano fissi sulla camera da letto. Dopo pochi secondi, una figura s'insinuò nel corridoio. Le maniche arrotolate della camicia rivelarono il sorprendente sviluppo muscolare delle braccia. Ma rivelarono anche varie macchie di sangue sulla pelle. Dapprima la figura si mosse a passi incerti, come se stesse cercando qualcosa che aveva perso; poi i suoi occhi caddero sull'attizzatoio, che era appena visibile nella penombra del corridoio. La figura vi si diresse senza perdere tempo e lo sollevò. C'era un sorriso sul suo volto... il sorriso soddisfatto di un bambino che aveva appena ritrovato un giocattolo smarrito. Perché, nonostante le braccia molto robuste, quell'individuo trentenne non era più grande di un bambino. Si trattava di Franko, il fratello nano di Gene Folwell. C'era qualcosa di grottesco e di orribile nel modo in cui ciascuno dei
movimenti enfatici di Clark veniva imitato dal nano mentre quest'ultimo si insinuava in camera e si apriva un varco verso la figura sdraiata sul letto. Franko si fermò davanti al fantoccio e un sorriso non meno orribile gli si formò sulle labbra. Sollevò lentamente l'attizzatoio. Poi si mise a menare fendenti con una furia selvaggia, senza mai fermarsi. Alla fine, salì addirittura sul letto per essere sicuro di colpire il bersaglio con maggiore precisione. Dopo aver sferrato l'ultimo colpo, lasciò cadere a terra l'attizzatoio, saltò giù dal letto e corse verso il gruppo degli osservatori come un cagnolino in attesa di ricevere qualche carezza. — Eccolo qui l'uomo che ha ucciso Gene Folwell — disse molto tranquillamente Clark. — E questo è esattamente il modo in cui è stato commesso l'omicidio. — Capperi! — esclamò il dottor Trask in tono concitato. — Credo proprio che il ragazzo abbia visto giusto. 23 Dopo la dimostrazione di Clark, tutto divenne all'improvviso molto ufficiale. Nel frattempo, erano arrivati il tecnico delle impronte, il fotografo della polizia e il sostituto del medico legale. Tutti, in compagnia del dottor Trask, stavano lavorando sul corpo di Gene Folwell e sull'arma del delitto nel tentativo di suffragare la ricostruzione del crimine ipotizzata da Clark. Laura e Harry Folwell furono interrogati in salotto, mentre Clark e Steele vennero lasciati soli nella camera da letto di Laura. Gli occhi grigi dell'investigatore privato erano colmi d'ammirazione per Clark. — Ha avuto un vero colpo di genio quando ha pensato a quella spiegazione — disse, offrendo una sigaretta allo scrittore. — Dopo tutte le traversie che ha passato, non mi sarei mai aspettato una tale lucidità da parte sua. Tra parentesi, se non dovesse avere successo come scrittore, sappia che nella mia agenzia c'è sempre un posto per lei. — Non è che abbia fatto poi molto — osservò con modestia Clark. — Stavo tenendo d'occhio Franko durante la proiezione, e mi sono reso conto che imitava tutti i miei gesti. Sapevo che era scivolato fuori della stanza, al termine del film. Suonava un po' folle, lo so, ma era possibile che lui fosse entrato nella camera di Gene, l'avesse trovato addormentato e l'avesse ucciso imitando quello che aveva appena visto sullo schermo. Quando lo zio
ha detto che Folwell era morto da pochi minuti, allora ho capito di avere ragione. Però — aggiunse improvvisamente — Gene dev'essere stato ucciso mentre eravamo tutti qui. Perché lo zio non ha spiegato meglio quel particolare, invece di limitarsi a dire che Folwell era morto nell'ultima mezz'ora? Steele sorrise. — Credo che il suo diabolico zietto si sia tenuto a bella posta per sé questa circostanza. Voleva far credere alla signora Folwell che l'omicidio era stato compiuto prima del nostro arrivo, nella speranza che lei crollasse e si decidesse a confessare tutto. E ha avuto ragione, perché la confessione l'ha ottenuta davvero. Ma quello che per poco non crollava sono stato io, quando ho aperto la porta della camera da letto. Però dev'essere stato un brutto colpo anche per la signora Folwell. Probabilmente, lei si era preparata una storia per tutte le emergenze in qualche modo prevedibili. Ma trovarsi il marito assassinato in casa propria e non avere la minima idea sulla dinamica dell'omicidio! Dev'essere stato a dir poco imbarazzante. Comunque, la signora Folwell ha cercato di trarsi d'impaccio lanciando quell'accusa contro di lei. Dietro il fumo della sigaretta, lo sguardo dell'investigatore era molto serio. — Sono entrato in quella camera perché credevo di potervi trovare qualche indizio compromettente per la signora Folwell e suo cognato, come per esempio il fantoccio col sangue finto o cose del genere. Ma in realtà ho trovato solo quello che sembrava un indizio grosso come una casa contro di lei... l'uomo che stavo cercando di proteggere. Per un attimo, ho creduto che il colpevole potesse essere davvero lei, Rodman. E a guardarla in faccia, si sarebbe detto che anche lei ne fosse convinto. — In realtà, pensavo solo a chi poteva essere l'assassino, visto che ero sicuro di non averlo ammazzato io Folwell — disse Clark. — Sa — mormorò Steele — mentre lei era intento alla sua ricostruzione e io stavo col nano in camera da letto, quello ha cominciato a dibattersi come un matto perché moriva dalla voglia di imitarla subito. Ho fatto una fatica del diavolo a tenerlo. Credo che lo abbiano addestrato a ripetere i gesti. Ha mai pensato a che risorsa poteva essere per una banda del genere? Un sordomuto che ripete tutte le azioni della gente. Gli si sarebbe potuto insegnare qualsiasi cosa, dal borseggio all'omicidio. In quel momento, un poliziotto entrò nella stanza e disse ai due di raggiungere gli altri in salotto. Erano tutti lì. Il dottor Trask stava accanto alla finestra, il mento spinto all'infuori con aria bellicosa. Harry Folwell si era
messo a sedere. Laura stava in piedi al centro della stanza, la testa ben eretta, e si stringeva nella vestaglia bianca. I suoi momenti di terrore e di livida collera erano svaniti. Il viso della ragazza aveva riacquistato la sua bellezza pallida e serena. Guardava davanti a sé con gli occhi scuri, tristi e incantevoli dietro il soffice schermo delle ciglia. Il tenente Jones era al suo fianco, le labbra incurvate in una smorfia. — Bene, signora Folwell — esordì — parlandole da funzionario della squadra Omicidi, posso dirle che il signor Rodman ha scagionato lei e suo cognato Harry da qualunque complicità nella morte del signor Folwell. Le impronte sull'arma del delitto sono quelle del nano, e i medici qui presenti concordano sul fatto che la morte dev'essere sopraggiunta dopo il nostro arrivo, mentre ci trovavamo tutti in questa stanza. Laura inclinò leggermente la testa, ma non parlò. — Però — proseguì Jones — temo che dovrà seguirmi in centrale e spiegare perché ha tenuto in casa questo idiota potenzialmente pericoloso, signora Folwell. Abbiamo inoltre scoperto varie fotografie che lei e il signor Folwell dovrete spiegare. Un altro poliziotto si fece avanti. — Sono l'investigatore a cui erano state affidate le indagini nel caso dei ricatti attribuiti al professor Barraclough. Considerando le ammissioni che lei ha fatto stasera, la informo che bisognerà sottoporla a un nuovo interrogatorio. — Lo sguardo dell'uomo era molto severo mentre si posava su Clark. — Vorrei inoltre chiedere al signor Rodman se intende sporgere denuncia per le insinuazioni che lei ha fatto sulla morte di suo marito. Per un attimo, lo sguardo di Clark si incrociò con quello di Laura. L'espressione tranquilla della ragazza rimase completamente immutata. Sembrava quasi che lei stesse fissando uno sconosciuto. — Non intendo sporgere nessuna denuncia — disse tranquillamente Clark. — E c'è solo una delle dichiarazioni della signora Folwell che vorrei correggere. Nella sua modestia, mi ha attribuito la paternità di quel piccolo dramma cinematografico che avete visto stasera. Nonostante apprezzi molto la generosità della signora — e un sorriso amaro gli incurvò le labbra — temo che l'idea sia fondamentalmente sua. Il tenente Jones si alzò bruscamente. — Bene, signora Folwell, ora è meglio che andiamo. — Come vuole. — La ragazza rabbrividì leggermente. — Un attimo, però. Devo prendere le mie cose.
Laura si voltò con tranquilla dignità, la vestaglia bianca che le fasciava in morbide pieghe il corpo sinuoso. Mentre gli altri la osservavano in silenzio, lei si avviò lentamente alla porta. Forse fu Clark il solo ad accorgersi che la porta verso cui stava dirigendosi la ragazza non conduceva alla sua stanza, ma alla veranda e di lì al tetto. Lui esitò per un attimo, poi, senza una parola, la seguì. Lei era già uscita e si muoveva con maggiore rapidità. Lui gridò: — Laura! Laura! La ragazza si guardò alle spalle e Clark ne scorse lo stupendo profilo, che all'esterno sembrava ancora sereno. Ma lui sapeva che quella era solo la terrificante e agghiacciante calma della disperazione. — Laura! Ora lei stava correndo sul tetto, diretta verso la scala che Clark aveva lasciato sospesa tra le due case. Lui le fu subito dietro, ma non poté impedire che la ragazza raggiungesse la scala. Laura ci salì sopra, la vestaglia bianca che le svolazzava intorno come una nuvola bianca. Per un istante, rimase ben eretta. — Laura! L'esile figura mosse un rapido passo lungo la scala, allontanandosi da Clark, poi vacillò e sporse all'infuori la mano in cerca di sostegno. Ma non c'era niente che potesse sorreggerla. Incespicò ed emise un grido strozzato. — Laura! — Clark balzò in avanti, cercando di afferrarla. Ma era troppo tardi. Lei aveva perso l'equilibrio e stava cadendo... cadendo verso il vicolo lastricato quattro piani più sotto. 24 Quando alla fine Clark Rodman salì le scale del suo appartamento, un'alba luminosa striava già l'orizzonte. Clark si sentiva completamente esausto, sia nel corpo sia nella mente. Il sordido dramma era arrivato al suo epilogo; Laura era morta. L'avevano trovata priva di vita nel piccolo e oscuro vicolo sottostante. Ora lo scrittore non desiderava altro che essere lasciato in pace. — C'è solo un'ultima prova da affrontare — gli sussurrò Steele, che lo aveva affiancato. — Suo padre ha preso l'ultimo aereo e credo che ora sia già arrivato. Ricordi che dobbiamo un po' minimizzare la faccenda davanti a lui. Abbiamo entrambi una reputazione da difendere.
Joseph Rodman stava passeggiando con impazienza su e giù per il salotto di Clark quando i due entrarono. Clark affrontò il padre con un senso di grande difficoltà. — Santo cielo, figliolo! — esclamò il magnate, stringendogli la mano ansiosamente. — Hai una faccia che fa spavento. Che è successo? Steele, perché mi ha telefonato? Clark fu contento che l'investigatore prendesse in mano la situazione. Si lasciò cadere sul divano e accese una sigaretta mentre Steele raccontava al padre una storia plausibile, anche se del tutto falsa, di quanto si era verificato. Non venne fatto alcun accenno a Laura o al personale coinvolgimento di Clark nel losco affare dell'appartamento di fronte. L'investigatore si limitò a spiegare con un leggero guizzo ironico nello sguardo in che modo lui e Clark fossero riusciti a sgominare una pericolosa banda di criminali. Steele aveva chiesto a Joseph Rodman di presentarsi sul posto perché era sicuro che il magnate non avrebbe voluto che il nome del figlio finisse sui giornali. — E oltre a questo, signore — concluse l'investigatore — lei mi aveva detto di informarla se suo figlio si fosse messo... ehm... a lavorare troppo. — Esatto, Steele — disse Rodman con un risolino. Poi si voltò con orgoglio paterno verso Clark. — Bene, ragazzo mio, e così ti sei messo a dare la caccia ai delinquenti, eh? Ottimo. Però mi pare che l'attività di scrittore non si concili molto con la tua salute. Datti un'occhiata allo specchio. A tua madre verrebbe un colpo, se ti vedesse in questo stato. — Si sporse in avanti. — Il che mi conduce direttamente al vero scopo della mia visita. Non ne hai abbastanza di questa vita da bohème, figliolo? Che ne diresti di tornare a occuparti di automobili? Clark scrollò le spalle con fare indifferente. — Forse è prematuro parlarne ora. — Pensavo al settore pubblicitario — mormorò Joseph Rodman. — Abbiamo sempre bisogno di scrittori in quel comparto, Clark. E a te rimarrebbe comunque del tempo libero per i tuoi racconti. — Forse, papà. — Sai, è curiosa questa faccenda dello scrivere — continuò il padre in tono riflessivo. — Ho sempre creduto che tu fossi un tipo dalla testa dura, Clark. Ma stasera, sull'aereo, ho incontrato il vecchio Graves, una dei direttori di quella rivista a cui hai spedito il tuo primo racconto. E lui mi ha detto che ne ha ricevuto un altro, di recente. Clark mostrò un debole interesse.
— Sai, ragazzo — disse il padre — Graves è rimasto davvero molto colpito da quel racconto. Ha detto che hai creato uno dei personaggi femminili più interessanti della narrativa odierna. Mentre Clark si voltava, il padre gli strizzò l'occhio. — Mi chiedevo quando mi farai conoscere la mia futura nuora, figliolo. Ecco perché ti suggerivo quel posto ne! settore pubblicitario. Avresti un regolare stipendio e ti resterebbe del tempo per scrivere. Tra parentesi, il vecchio Graves sta per mandarti un cospicuo assegno per il tuo ultimo racconto. Pare che non riesca a dimenticarsi della ragazza della storia; me ne ha parlato praticamente per tutto il viaggio. Rodman s'interruppe non appena il dottor Trask entrò nella stanza. Sotto il braccio, portava un grande pacchetto avvolto in caria marrone. L'industriale gli strinse calorosamente la mano e gli spiegò dei progetti che aveva riguardo al ritorno del figlio nell'industria automobilistica. — E credo di poterlo persuadere — concluse il padre di Clark. — Scrivere può andare bene per un po', ma non è un mestiere serio. Il dottor Trask lo fissò da sopra gli occhiali. Poi si girò verso Clark, lo afferrò per una manica della giacca e lo costrinse ad alzarsi. — Vieni con me, ragazzo mio, ho qualcosa da dirti. Trascinò Clark senza tante cerimonie in camera da letto. — Stammi bene a sentire, giovanotto — sussurrò, agitandogli davanti l'indice con fare minaccioso — vuoi andare davvero a lavorare nella fabbrica di tuo padre? — Forse — rispose Clark con indolenza. — Bah! — Il viso del dottor Trask s'incupì di sdegno. — Stasera hai mostrato a tutti, figliolo, che hai cervello e coraggio. Ti farai strada nella vita, se terrai duro. Io ti dico che non devi tornare in quella fabbrica. Devi restare qui e fare quello che ti piace. — Vuoi dire... scrivere? — Sì, voglio dire scrivere. È questo ciò che vuoi, vero? — Lo volevo — rispose Clark in tono sconsolato. — E lo vuoi ancora. Non perderti d'animo. Devi continuare a... — A scrivere racconti con personaggi femminili sempre più attraenti, come per esempio Laura? — disse Clark con un sogghigno fosco. — Ora li descriverai anche meglio. — Il dottor Trask sorrise d'impulso. — Perché d'ora in avanti li vedrai in maniera più obiettiva. E ti guarderai bene dal recitare un'altra volta la parte dello stupido. — Quando si è stupidi una volta, lo si è per sempre.
— Questo non è vero, Clark Rodman. Ho trovato un buon metodo... il metodo migliore, in effetti... per impedirtelo. — Il dottor Trask indicò il pacchetto che teneva sotto il braccio. — Questo è un regalo per te. L'ho rubato nell'appartamento dei Folwell, approfittando di una distrazione... assolutamente volontaria, suppongo... da parte del tenente Jones. Porse il pacchetto a Clark. — È quel famoso film. Clark prese il pacchetto dalla mano dello zio. Il piccolo patologo sorrideva. C'era uno strano luccichio nei suoi occhi. — Guardatelo in privato — disse con un sogghigno — tutte le volte che cominci a diventare troppo cavalleresco con la ragazza della porta accanto. FINE