S.S. VAN DINE SEQUESTRO DI PERSONA (The Kidnap Murder Case, 1936) 1. Il rapimento mercoledì 20 luglio, ore 9,30 a.m. Com...
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S.S. VAN DINE SEQUESTRO DI PERSONA (The Kidnap Murder Case, 1936) 1. Il rapimento mercoledì 20 luglio, ore 9,30 a.m. Come i lettori ricorderanno, Philo Vance, subito dopo la soluzione del Mistero della Casa Giardino, era partito per un viaggio in Egitto. Soltanto verso la metà di luglio ritornò a New York, molto abbronzato e con una espressione di stanchezza negli occhi grigi. Compresi subito, non appena lo vidi sbarcare, che doveva essersi dedicato corpo e anima alle ricerche archeologiche che da tanti anni lo appassionavano. — Sono stanco morto, Van — mi disse con un caldo sorriso, quando fummo saliti su un taxi diretto a casa sua. — Ho bisogno di quiete e di riposo. Se non ti dispiace troppo, quest'estate non lasceremo New York... Ho portato con me due bauli zeppi di tesori archeologici che vorrei classificare... Vuoi incaricarti tu, domani, di ritirarli? Grazie, caro amico. Anche la sua voce risonava meno limpida. Parlava con una strana aria di distrazione e io fui indotto a pensare che Vance non avesse ancora potuto dimenticare del tutto una certa giovinetta da lui conosciuta durante gli strani e terribili avvenimenti svoltisi nella casa del professor Efraim Giardino. La mia supposizione doveva essere esatta, perché quella sera stessa, mentre riposavamo sul terrazzo-giardino della casa di Vance, egli cominciò a dire, senza alcun nesso con la conversazione svoltasi fin lì: — Gli affetti di un uomo coinvolgono gravissime responsabilità... Ecco perché a volte dobbiamo rinunciare alle cose che più ci sarebbero care... — No, quel viaggio in Egitto non aveva raggiunto completamente lo scopo per cui era stato intrapreso. Per alcuni giorni Philo Vance si dedicò assiduamente a disporre, classificare, catalogare i pezzi rari che aveva portato con sé, e quel lavoro per lui tanto piacevole, produsse subito i suoi benefici effetti. Le condizioni fisiche e morali di Vance migliorarono a vista d'occhio e ben presto egli tornò ad essere l'uomo energico e pieno di vita che avevo sempre conosciuto, amante degli sport, dell'arte, appassionato dei misteri dell'anima umana. Era trascorsa una settimana dal suo ritorno dal Cairo, quando ebbe inizio
il famoso "caso Kenting". Si trattava di un astuto e feroce delitto, posto dalla stampa nel massimo rilievo a cagione del moltiplicarsi di ratti e sequestri di persona che a quell'epoca si era verificato nel nostro paese. Questo caso particolare, però, differiva per molti aspetti dai soliti rapimenti, e appariva illuminato da sinistre luci. Certo, il movente del delitto era stato il solito e sordido desiderio di lucro e, superficialmente, la tecnica era simile a quella degli altri casi analoghi. Ma il coraggio e la decisione di Vance, la sua sbalorditiva intuizione, il suo fiuto nel seguire le ramificazioni dell'umana psicologia, gli consentirono di spingersi molto più in là di quelle che potevano sembrare le manifestazioni conclusive del "caso". Nel corso di questa indagine Vance non si preoccupò mai del rischio personale. Ad un dato momento, anzi, egli si trovò nel più grave dei pericoli e fu solo mercé la sua spavalderia, l'assoluta mancanza di paura fisica, la fulmineità e la precisione mentale proprie dei suoi atti quando erano in gioco esistenze umane (in questo gli aveva certo giovato l'esperienza compiuta durante la guerra europea: Vance era decorato della Croix de guerre) che egli poté salvare la vita di parecchie persone innocenti, e la propria, e smascherare il colpevole in una scena di intensa tragicità. Durante quel terribile episodio lo vidi dimostrare per la prima volta una fiera indignazione, assai diversa dal suo solito atteggiamento distante, cinico, puramente "accademico", direi: tanto era orrendo quel delitto! Come ho già detto, era trascorsa una settimana dal ritorno di Vance quando venne trascinato inaspettatamente e contro il suo desiderio a partecipare alle investigazioni. Vance aveva l'abitudine di lavorare sino a tardi la notte e di alzarsi tardi al mattino: fui quindi molto sorpreso quella mattina del 20 luglio nel trovarlo già in piedi, e vestito quando alle nove precise entrai in biblioteca. Vance aveva terminato la sua colazione mattutina, che si componeva di un caffè turco e di una sigaretta Régie, e indossava l'abito grigio pesante e i robusti stivali che quasi sempre denotavano la sua intenzione di una gita in campagna. Prima che io potessi esprimere il mio stupore (da quando ci conoscevamo era quella la prima volta, credo, che egli si fosse alzato e avesse iniziato la giornata prima di me) Vance mi spiegò sorridendo:
— Non allarmarti per questo mio scoppio di energia, Van... Voglio fare una corsa alla mostra canina di Dumont per assistere alla presentazione del mio cuccioletto Scottish-terrier... È il suo "debutto", sai? L'idea di rimanermene solo per un giorno non mi dispiaceva perché in assenza di Vance si era accumulato molto lavoro per me, amministratore generale dei suoi beni. Vance, mentre parlava, suonò per chiamare Currie, il suo vecchio cameriere inglese, e gli chiese il berretto e i guanti di camoscio; poi riempì il portasigarette, mi salutò e stava avviandosi verso la porta quando udimmo trillare il campanello d'ingresso, e qualche istante dopo vedemmo entrare John F. Markham, procuratore distrettuale della Contea di New York. — Dio del cielo, Vance! — esclamò Markham. — Stai già uscendo, a quest'ora? O stai invece rientrando? Nonostante il tono scherzoso delle sue parole Markham aveva un'aria piuttosto cupa e preoccupata. Vance gli sorrise, e poi lo scrutò, con la fronte aggrottata: — Non mi piace l'espressione delle tue greche sembianze, amico mio — gli disse. — Essa mal si addice a chi dovrebbe volare ben alto sopra tutte le miserie umane. Io stavo per recarmi in campagna, ad una esposizione canina. Il mio piccolo Sandy... — Al diavolo i tuoi cani e le tue esposizioni canine! — brontolò Markham. — Ho qualcosa di molto serio da dirti, io. Vance scrollò le spalle con fare rassegnato e trasse un sospiro esageratamente profondo. — Markham... mio carissimo Markham!... Perché sei arrivato proprio in questo istante? Trenta secondi ancora e io sarei stato in strada; libero e ignaro delle tue brutte notizie. — Vance depose guanti e cappello. — Ma dal momento che mi hai così ben pescato, ascolterò, sia pure contro voglia. Son certo che tra poco ti odierò e deplorerò il giorno che ti vide nascere. Dal tuo dolente sguardo vedo che ti trovi nei pasticci e hai bisogno di conforto spirituale... Accomodati, dunque, e narra la triste storia... — Non ho molto tempo per... — Eh, eh! — fece Vance indicando una comoda poltrona. — C'è sempre tempo. Ce n'è sempre e sempre ce ne sarà. Entità n, capisci? Assolutamente incomprensibile... senza principio, senza fine, impossibile a dividersi! In realtà il tempo non esiste neppure... Prese Markham per il braccio e, ignorando le sue proteste, lo fece sedere:
— Tu hai necessità di un sigaro e di una bevanda. "Calma", sia la tua parola d'ordine. Calma sempre! Pensa alle antiche querce e alle eterne nevi... Quanto tempo che non scrivo poesie! Già, ma Swinburne ne scriveva di più belle... Assaggia questo vecchio Amontillado, e fuma uno di questi sigari, assai migliori di quelli, puzzolentissimi, con cui sei solito appestarci... Con un gesto di rassegnazione Markham accese il sigaro e cominciò a centellinare il denso vino. Vance sedette a sua volta, accendendo una Régie. — Avanti, ora — disse. — E cerca di non essere troppo cupo, perché il mio cuore è già gonfio di tristezza. — La cosa è molto seria... Vance, come giudichi tu i rapimenti di persona? — Delitti bestiali. Peggiori degli avvelenamenti. È il più basso scalino a cui un criminale possa scendere... Perché? — C'è stato un rapimento stanotte. Me ne hanno informato mezz'ora fa e mi stavo recando sul luogo... — Chi? E dove? — chiese Vance, la cui espressione si era fatta grave. — Kaspar Kenting. Heath e un paio dei suoi uomini si trovano già in casa Kenting nell'86a Strada. Mi aspettano. — Kaspar Kenting... — Vance ripeté il nome, come volesse ricordarsi qualcosa. — Nell'86a Strada, dici? Si alzò improvvisamente e andò a consultare l'annuario del telefono. — Sta forse al n. 86 dell'86a Strada? Markham annuì: — Sì. È un indirizzo facile da ricordare. — Appunto — disse Vance. E invece di sedersi si appoggiò al tavolo. — Appunto. M'è tornato alla memoria nel sentirti pronunciare il nome di Kenting. .. La loro casa è un vecchio palazzo padronale... Molto interessante, pare. Non l'ho mai visto, ma una volta godeva di una vera notorietà: lo chiamano ancora la Ca' Rossa. — La Ca' Rossa? Perché? — Oh amico! Sei dunque così ignorante della storia di una città alla quale tu sopraintendi come procuratore? La Ca' Rossa venne costruita da Karl Kenting verso il 1880; egli fece dipingere di scarlatto pietre, mattoni, tutto, per distinguerla dalle altre case vicine... Questo, per sfida verso i suoi numerosi nemici. "Con una casa di quel colore", diceva, "non faranno fatica a trovarmi, se ne avranno voglia!" Così la dimora fu battezzata Ca' Rossa e ogni volta che venne ridipinta, fu conservato il colore originale... Una spe-
cie di tradizione, capisci?... Be', ma che è successo esattamente al tuo Kaspar Kenting?... — Scomparso durante la notte dalla sua camera da letto. Finestra aperta, scala a pioli, biglietto con richiesta di riscatto fissato all'intelaiatura della finestra. Nessun dubbio. — Le solite cose, insomma... Naturalmente il biglietto era composto da caratteri a stampa, ritagliati e incollati, vero? — Esattamente. — Niente di originale dunque. Il solito sistema... Ormai però è un po' in disuso nei migliori circoli di rapitori... Strano caso! Come ne sei stato messo al corrente? — Questa mattina arrivando in ufficio vi ho trovato Eldridge Fleel che mi aspettava. Fleel è il legale della famiglia Kenting, e uno degli esecutori testamentari del vecchio Kenting. Naturalmente la moglie di Kaspar Kenting lo aveva subito avvertito a casa (lui era ancora a letto) di quanto era capitato. Egli è accorso subito per rendersi conto coi propri occhi della situazione, e poi è venuto direttamente da me. — Un tipo normale, questo Fleel? — Oh sì, lo conosco da molti anni. Ottimo legale. Una volta era ricco e influente, ma la crisi lo ha duramente colpito. Eravamo entrambi membri del Circolo degli Avvocati e i nostri uffici erano nello stesso palazzo... prima che io avessi la disgrazia di venir nominato procuratore distrettuale... Mi misi subito in comunicazione col sergente Heath, e Fleel lo ha accompagnato in casa Kenting. Dissi che li avrei raggiunti al più presto possibile e sono passato di qui pensando... — Triste, molto triste! — sospirò Vance aspirando una lunga boccata di fumo. — Continuo a rimpiangere che tu non sia giunto qualche minuto più tardi... Ma sei decisamente ineluttabile! — Via, via, Vance! Sai bene che possiamo aver bisogno di te. Un rapimento è una cosa molto seccante, e il pubblico non lo digerirà tanto facilmente. Troppi casi ne abbiamo avuto, ultimamente... A proposito, lo conosci tu, questo giovane Kaspar Kenting? — Un pochino — rispose Vance distrattamente. — L'ho incontrato diverse volte, specialmente al Casino di Kinkaid e alle corse di cavalli. Kaspar era un accanito giocatore. E non troppo fortunato, anche. Oh, un tipo di perdigiorno, sempre nei pasticci... Non vedo chi potrebbe aver interesse a pagare una somma per il suo riscatto. Vance osservò attentamente i lunghi nastri di fumo azzurro della sua si-
garetta che salivano verso il soffitto, disperdendosi. — Strano ambiente — mormorò, quasi tra sé. — E non si può far colpa al ragazzo di essere quel che è. Il vecchio Karl K. Kenting era lui stesso un tipo curioso. Aveva molti quattrini e li lasciò tutti al figlio maggiore Kenyon K. perché ne desse poi parte al fratello quando e come ritenesse necessario... Immagino che ben raramente ciò sia avvenuto... Kenyon è il tipo del cittadino "tutto d'un pezzo", nella sua peggiore incarnazione. Detesta il gioco, applaude gli acuti dei soprani, si sente nudo se non ha qualche decorazione all'occhiello, va alle conferenze ecc... Ha ereditato certe caratteristiche del padre, tipo fanatico da Ku-Klux-Klan. — Alludi alle sue iniziali? — No, alle sue convinzioni... Non conosci la storia? Markham crollò il capo. — Il vecchio K. K. Kenting venne dalla Virginia ed era un Gran Dragone dell'ordine. Era tanto fanatico da mutare la C del suo nome in K e da aggiungere anche un K tra nome e cognome, cosicché il suo monogramma assumesse un valore di simbolo. Né si fermò qui: ai suoi figlioli, due maschi e una femmina, impose dei nomi comincianti per K e regalò a ciascuno la sua K mediana: Kenyon K. Kenting, Kaspar K. Kenting e Karen K. Kenting. La ragazza morì poco dopo il padre, e i due figli rimasti, meno fanatici nelle loro convinzioni, lasciaron perdere una delle tre K. — Ma perché una casa dipinta di scarlatto? — Qui non c'entra alcun simbolismo... Karl Kenting, che era diventato assessore del suo distretto, pensava che i nemici politici volessero perseguitarlo e li sfidò con quella bravata. Era un vecchio aggressivo e senza paura. — Mi pare di ricordare, però, che i suoi nemici riuscirono a sorprenderlo e a vendicarsi — disse Markham. — Sì, ma occorsero due mitragliatrici per spedirlo ai Campi Elisi. Allora la cosa fece molto rumore... Comunque i due figli, diversissimi tra loro, sono molto diversi anche dal padre. Markham si alzò, con fare deciso. — Be', tutto questo può anche essere interessante, ma io devo andare all'86a Strada. Può diventare un caso importantissimo, questo, e non debbo perdere tempo. Vance si alzò anche lui e spense la sigaretta: — Andiamo pure... Non capisco però perché sia stato scelto proprio Kaspar Kenting per un sequestro di persona... I Kenting non possono più an-
noverarsi fra le famiglie particolarmente ricche. Di solito le vittime vengono scelte in tutt'altra categoria, dai professionisti del rapimento... A proposito, sai a quanto ammonti il prezzo del riscatto? — Cinquantamila dollari. Ma vedrai il biglietto. Nulla sarà stato toccato, perché Heath attende il mio arrivo... — Cinquantamila! — Vance si versò un bicchierino del suo cognac Napoléon. — Molto interessante... Una bella sommetta no? Quand'ebbe sorseggiato il liquore, chiamò ancora Currie. — Capirai — disse — che non posso venire coi guanti di camoscio in una casa scarlatta. Sarebbe una stonatura. Chiese a Currie un paio di guanti di daino, il bastone e un cappello da città. Poi si rivolse a me: — Non ti spiace, Van, di telefonare a Mac Dermot che dovrà accompagnare lui Sandy alla Esposizione?... E poi, vieni anche tu con noi. La cosa potrà forse interessarti. Nonostante il mio lavoro arretrato, accettai volentieri l'invito. Telefonai dunque a Mac Dermott e raggiunsi Vance e Markham sotto la porta di casa. In un quarto d'ora l'automobile del procuratore distrettuale ci condusse sulla scena di quello che doveva rivelarsi uno dei "casi" più singolari della carriera di Philo Vance. 2. La Ca' Rossa mercoledì 20 luglio, ore 10,30 a.m. La casa dei Kenting, nell'86a strada, non era poi tanto bizzarra quanto mi ero aspettato di vedere dopo la descrizione di Vance. In realtà, essa differiva ben poco dagli edifici vicini e io le sarei potuto passare dieci volte davanti senza notarla affatto. Evidentemente la casa non veniva ridipinta da molti anni e il sole e la pioggia avevano quasi cancellato la tinta scarlatta, riducendola a una specie di grigio-bruno. Solo nelle sporgenze dei davanzali e nel tratto di muro protetto dalle grondaie era rimasta qualche traccia del colore originale. L'ingresso, sopraelevato di qualche metro sul livello della strada, e al quale si giungeva salendo cinque o sei larghi scalini era piuttosto vasto, a vetrate. Invece dei quattro piani normali, la casa aveva tre piani soltanto, senza contare il seminterrato; però era più alta delle case vicine e natural-
mente le sue finestre non erano allineate con quelle delle facciate degli altri edifici. Ne dedussi che le camere della Ca' Rossa dovevano aver soffitti straordinariamente alti. Un'altra cosa che distingueva la residenza dei Kenting da quelle dei vicini era l'esistenza di un cortiletto sul fianco dell'edificio; esso aveva una ventina di metri di lato ed era quasi totalmente occupato da un praticello verdissimo e molto ben tenuto, chiuso da quattro siepi. Sul prato spiccavano due aiole, l'una a forma di stella, l'altra di mezzaluna. Un vecchio acero contorto sorgeva poi in fondo al cortile occupandone coi suoi rami distesi quasi tutta la larghezza. Solo un basso cancelletto a punte divideva il cortile dalla strada. Alla luce del sole quel piccolo quadrato di verde, con le aiole fiorate e qualche sedia di ferro dipinta sparsa qua e là, aveva un aspetto molto piacevole: c'era però un particolare sinistro (sinistro non in se stesso ma per quello che avevamo saputo da Markham): una lunga, solida scala a pioli, di quelle usate dagli imbianchini, stava appoggiata al muro della casa proprio sotto una finestra del secondo piano, la finestra più vicina alla strada. Traversammo subito il marciapiede e salimmo i gradini dell'ingresso. Non ci fu bisogno di suonare. Il sergente Ernest Heath, della Sezione Omicidi, ci attendeva sulla soglia dell'ingresso. Dopo aver salutato Markham ch'egli chiamava "Capo", si rivolse a Philo Vance con una risatina cordiale e gli disse scrollando il capo: — Non mi aspettavo di vederla qui, signor Vance. Non c'è nulla che possa interessarla! Come sta? — Anch'io non pensavo di dover venire qui, sergente... E nulla poi, può interessarmi, all'infuori della Esposizione canina! — Gli strinse amichevolmente la mano: — Comunque, quale spettacolo mi offrirà? — Proprio niente di speciale. Un affare per il quale basterà il solito lavoro della polizia. Nulla che si presti a quelle che lei chiama "deduzioni psicologiche". — Parola d'ordine, è una prospettiva poco interessante! Spero che lei abbia ragione... comunque, dal momento che sono qui cercherò col mio solito metodo da dilettante di capirci qualcosa. Le prometto di non complicare la situazione! — Benissimo! — rispose il sergente e aprendo una grande porta a vetri ci fece attraversare l'ingresso e ci introdusse in un salotto afoso e zeppo di mobilio. — Il capitano Dubois e Bellamy sono di sopra, al lavoro. Quackenbush
ha preso alcune fotografie e se ne è andato. Heath sedette dietro una piccola scrivania e tolse di tasca il suo libriccino d'appunti: — Capo — disse poi a Markham — sarebbe forse opportuno anzitutto che lei ascoltasse direttamente il racconto degli avvenimenti dalla signora Kenting, moglie del signore scomparso. Notai allora, nella camera, altre tre persone. Davanti alla finestra verso la strada stava un signore un po' corpulento e d'aspetto solido e autorevole. Egli si avanzò e Markham lo salutò cordialmente: era Fleel, il legale della famiglia Kenting. Vicino a lui vidi un uomo di mezza età, piuttosto esile, ma d'espressione seria e quasi aggressiva. Fleel ce lo presentò brevemente, con un gesto della mano, come Kenyon Kenting, fratello dello scomparso. Poi l'avvocato si volse verso l'altro lato del salotto, e disse con fare cerimonioso: — Desidero in particolar modo presentare a lor signori la signora Kenting. Ci volgemmo tutti alla donna pallida e atterrita che sedeva all'estremità di un piccolo divano, nell'ombra del muro. Alla prima occhiata dimostrava trent'anni scarsi, ma compresi subito che avrei potuto benissimo sbagliarmi di dieci anni in meno o in più. Appariva esilissima, anche sotto le vaste pieghe della vestaglia di seta che indossava: e benché i suoi occhi fossero spalancati in un'espressione di smarrimento, spirava dal suo volto un non so che di acuto, di penetrante, di duro quasi. Pensai che un pittore avrebbe potuto prenderla a modello come tipo di donna querula, nervosa e appiccicaticcia: d'altra parte mi sembrò anche capacissima di dimostrarsi, in caso di necessità, molto intraprendente e sicura di sé. Aveva i capelli di un biondo opaco, cenerognolo; e le ciglia e le sopracciglia così pallide che, in quella luce smorta, sembrava non ne avesse affatto. Quando Fleel ce la presentò la signora ci rivolse un cenno del capo e fissò acutamente gli occhi su Markham. Kenyon Kenting andò a sederlesi al fianco e le batté leggermente sulle spalle circondandola con un braccio. — Devi essere coraggiosa, cara — disse in tono quasi tenero. — Questi signori sono venuti per aiutarci e io sono certo che desiderano sapere esattamente, da te, tutto quanto è accaduto questa notte. La signora distolse gli occhi da Markham e li rivolse, con espressione meditabonda e fiduciosa al cognato. Poi con un breve cenno di assenso, tornò a guardare il procuratore. Il sergente Heath interloquì bruscamente.
— Capo, non desidera forse dare un'occhiata, di sopra, alla camera dello scomparso? Snitkin è di guardia, perché nessuno tocchi nulla... — Un momentino, sergente — disse Vance, sedendo presso la signora Kenting. — Vorrei porre prima qualche domanda alla signora... Posso, vero? — chiese rivolgendosi con tono deferente alla donna, che annuì. — Mi dica dunque: quando si accorse dell'assenza di suo marito? La signora trasse un lungo respiro e dopo un'esitazione quasi impercettibile rispose con una voce un po' roca e bassa che contrastava stranamente col suo aspetto scolorito e quasi anemico: — Questa mattina, presto. Verso le sei, credo. Il sole stava appena spuntando... — E in che modo si accorse della sua assenza? — Non ho dormito molto bene stanotte... Ero inquieta, senza motivo. E la luce, filtrando attraverso le imposte, non solo mi svegliò, ma mi impedì di riaddormentarmi. Mi parve di udire un rumore insolito nella camera di mio marito... noi occupiamo due camere contigue al secondo piano... come di qualcuno che si muovesse con precauzione. Poi mi giunse distintamente un rumore di passi... come se qualcuno camminasse con pantofole di feltro. Respirò ancora profondamente, rabbrividendo un poco. — Ero già molto nervosa, e quei rumori mi atterrirono. Kaspar di solito dorme profondamente a quell'ora. Mi alzai, infilai le pantofole, una vestaglia e mi avvicinai alla porta di comunicazione fra le nostre due camere. Chiamai mio marito: nessuna risposta. Chiamai ancora e ancora, sempre più forte, bussando anche alla porta, e sempre senza alcun esito. Mi avvidi anzi ad un tratto che tutto era tornato nuovamente silenzioso nella camera. Invasa ormai dall'inquietitudine aprii in fretta la porta ed entrai. — Un momento, signora Kenting — interruppe Vance. — Lei ha detto di aver udito un rumore insolito nella camera di suo marito, e poi di aver udito qualcuno camminare... Di quale specie era il rumore che per primo attrasse la sua attenzione? — Non saprei dirlo esattamente... Forse qualcuno che muoveva una seggiola, o lasciava cadere qualcosa, o semplicemente apriva e richiudeva con precauzione una porta. Non potrei descrivere più chiaramente di così la mia impressione... — Non poteva trattarsi di una zuffa... o, in ogni modo, di un rumore prodotto da più persone? La donna scrollò il capo: — Non credo. Fu troppo rapido... Direi che fu un rumore imprevisto...
accidentale... Capisce quel che voglio dire? Ma non so immaginare nulla di preciso... Sono tante le cose che possono essere capitate. — Quando lei entrò nella camera la luce era accesa? — chiese Vance con la massima indifferenza. — Sì — si affrettò a rispondere la signora con vivacità. — Anzi, c'è una cosa curiosa: non solo il lampadario centrale era acceso, ma anche la lampadina presso il letto. Al chiarore del giorno, diffondevano una brutta luce giallastra. — E le due lampade si accendono con lo stesso interruttore? — chiese Vance fissando la Régie non accesa che teneva fra le dita. — No. L'interruttore per il lampadario è vicino alla porta, mentre la lampadina è connessa ad una presa nel muro, e si accende premendo un bottoncino sulla lampada stessa... Un altro fatto strano: il letto era intatto. Vance sollevò un poco le sopracciglia ma continuò a fissare la sigaretta. — Potrebbe dirmi a che ora il signor Kaspar sia entrato questa notte in camera sua? La signora esitò un attimo, rivolgendo un'occhiata a Kenyon Kenting. — Sì, sì — disse poi in fretta. — L'ho udito rincasare... Deve essere stato poco dopo le tre del mattino... Era uscito dopo pranzo... Io dovevo essere sveglia, quando ritornò... oppure forse fu il rumore del portone di strada che mi destò... Non saprei dire... Lo udii entrare in camera sua, accendere la luce, telefonare a qualcuno con voce adirata. Poi mi addormentai. — E sa dove e con chi suo marito avesse trascorso la serata? La signora Kenting annuì, ma ancora una volta parve esitare. Poi rispose: — Ieri, a Jersey si apriva un nuovo Casinò... Mio marito fu invitato all'inaugurazione... Il suo amico Quaggy gli telefonò verso le nove... — Per cortesia, vuol ripetere il nome di quell'amico? — Quaggy... Porter Quaggy... È una persona molto onesta e leale e io non ho mai avuto nulla in contrario a che mio marito uscisse con lui... Da molti anni è amico della nostra famiglia, ed è molto abile nel mettere un freno a Kaspar quando si accorge che lui starebbe per... bere un po' troppo. Il signor Quaggy venne qui ieri nel pomeriggio e fu allora che si accordò con mio marito per recarsi al nuovo Casinò... Vance assentì col capo, come se cercasse di connettere qualcosa che la donna gli aveva detto con qualcos'altro che aveva già in mente. — Dove abita il signor Quaggy? — In questa stesa strada, più su, verso Central Park... — Si arrestò, re-
spirò profondamente. — Il signor Quaggy è stato ospite gradito in casa nostra. Vance lanciò un'occhiata significativa a Heath che annotò qualcosa sul suo libriccino, poi continuò: — E lei sa se il signor Quaggy sia entrato in casa con suo marito, la notte scorsa? — No. Sono certa di no — fu la pronta risposta. — Udii mio marito entrare solo, salire le scale, e lo udii poi muoversi sempre solo in camera sua. Poi, come ho detto, mi assopii e non mi destai più sino al sorger del sole. — Posso offrirle una sigaretta? — chiese Vance tendendole l'astuccio. La signora scrollò lentamente il capo e lanciò un'occhiata interrogativa a Kenyon Kenting. — No, grazie — rispose poi. — Fumo molto raramente, ma non mi disturba il fumo altrui. Faccia pure. Vance s'inchinò leggermente, poi chiese: — Quando stamattina lei ha scoperto che suo marito non era nella camera, che le luci erano accese e il letto intatto... che cosa ha pensato? Che cosa ha fatto? — Rimasi naturalmente stupefatta e sconvolta... Poi vidi che la grande finestra verso il cortile era aperta e la tenda ancora sollevata. Ora Kaspar non mancava mai di abbassare quella tenda d'estate, per via del sole... Corsi subito alla finestra e guardai giù, colta improvvisamente dalla paura che Kaspar fosse caduto fuori... Vede — disse con riluttanza — quando rincasa tardi alla notte spesso mio marito ha bevuto un po'... Fu allora che vidi la scala a pioli e non sapevo più che pensare quando d'improvviso scorsi quell'orribile pezzo di carta. Compresi subito ciò ch'era avvenuto e perché avevo udito quei rumori nella camera... Allora svenni... Si fermò, e si asciugò piano gli occhi con un fazzoletto ricamato. — Quando mi fui ripresa un po' dal colpo subìto — proseguì — telefonai al signor Fleel. Chiamai anche il signor Renyon Kenting, che abita nella 5a Strada, proprio dall'altra parte del Parco... Poi mi feci portare un caffè e aspettai il loro arrivo. Non dissi nulla ai domestici e non osai informare la polizia prima d'essermi consultata con mio cognato, e specialmente col signor Fleel che non è solo il legale della famiglia, ma anche un intimo amico. Sapevo che lui mi avrebbe indicato la via da seguire. — Quanti sono i domestici? — Due soltanto: Weem, nostro cameriere e factotum, e Gertrud che fa da cuoca e cameriera.
— Dove dormono? — Al terzo piano, sul retro. Vance aveva ascoltato la relazione del tragico episodio con molta attenzione, e mentre gli altri potevano crederlo indifferente, io notai che di sotto le palpebre aveva più volte guardato con approvazione la narratrice. Alla fine si alzò e avvicinatosi alla scrivania depose il mozzicone della sigaretta in un grande portacenere di onice. Poi si volse di nuovo alla signora e le chiese tranquillamente: — Lei, o suo marito, eravate stati preavvertiti che qualcosa di questo genere stava per accadere? Prima di rispondere la donna guardò con espressione turbata il signor Kenyon Kenting. — Io credo, cara — la incoraggiò questi con fare declamatorio — che tu debba essere perfettamente sincera con questi signori. Allora dopo un attimo di incertezza la donna disse: — Ecco, da qualche tempo in qua, ho udito spesso Kaspar, dopo che rincasava, chiamare qualcuno al telefono e parlargli con tono d'ira. Non potei mai comprendere nulla di tali conversazioni... mi giungeva solo un mormorio confuso... E sempre, notai, il giorno seguente Kaspar era di pessimo umore, e sembrava turbato e preoccupato. Due volte lo pregai di spiegarmi quelle telefonate notturne, di dirmi ciò che lo angosciava. Ma lui mi rispose che non si trattava di nulla di grave, e che aveva parlato col fratello per certi affari. — Il che non rispondeva affatto a verità — osservò con naturalezza Kenyon Kenting. — Come ho detto a mia cognata non ricordo di aver mai ricevuto una telefonata notturna da Kaspar. Quando dovevamo parlar d'affari o veniva lui nel mio ufficio o venivo io qui in casa. Non riesco dunque a spiegarmi queste telefonate... che del resto possono anche essere completamente estranee al presente enigma. — Come lei giustamente dice, signore — assentì Vance — non c'è alcuna plausibile connessione tra i due fatti... Ma non si sa mai. E lei, signora, non ricorda qualche altro fatto che possa esserci di guida nelle nostre ricerche? — Sì — rispose la signora Kenting quasi con nuovo vigore. — Circa una settimana fa un uomo strano e piuttosto equivoco venne a trovare Kaspar... Mi parve un tipo dei bassifondi. Kaspar lo condusse subito qui in salotto e chiuse la porta. Rimasero insieme parecchio tempo. Io ero andata di sopra ma quando quell'uomo lasciò la casa lo udii dire forte a Kaspar:
"C'è sempre il mezzo di ottenere quello che si vuole"... Pareva volesse minacciarlo, dal tono con cui pronunciò queste parole. — E c'è stato altro? — Sì. Qualche giorno dopo lo stesso uomo tornò, con un altro tipo ancor meno raccomandabile. Potei solo vederli di sfuggita perché Kaspar li condusse in camera sua e vi si chiuse... Non saprei descriverli, ma so che mi sembravano individui pericolosi e che mi spaventarono assai. Ne chiesi a Kenting ma egli si limitò a rispondermi che si trattava di affari e che non ci avrei capito nulla. Kenyon Kenting che stava guardando fuori della finestra con le mani intrecciate dietro il dorso, disse pomposamente senza voltarsi: — Non credo che quei misteriosi visitatori abbiano a che fare col rapimento di Kaspar. Vance guardò verso di lui: — Ne è proprio sicuro, signor Kenting? — chiese freddamente. — Oh no! No! — rispose quello quasi per scusarsi, e si voltò di colpo tendendo la mano con atto oratorio. — Non ne sono sicuro. Ma mi sembra difficile che due uomini i quali intendano compiere un'azione così pericolosa, come un rapimento, possano esporsi così apertamente. D'altronde Kaspar aveva molte strane conoscenze... e quei due potevano essere nel novero. Vance continuò a fissarlo senza mutare d'espressione. — Può esser come dice lei, e può non essere... Problema interessante... ma per ora superfluo... Io mi chiedo... — si alzò, trasse dall'astuccio un'altra Régie, e concluse: — Ora credo che potremmo salire nella camera del signor Kaspar Kenting. Ci alzammo tutti, e quando rientrammo nell'atrio, vidi che la porta di una piccola camera situata proprio di fronte al salotto era spalancata, permettendo così di scorgere quello che mi parve un museo in miniatura disposto, su più piccola scala, come quelli pubblici; con molte caselle e bacheche ai muri e al centro della camera. — Ah! Una collezione di pietre dure! — commentò Vance. — Le dispiace, signora, se entro a dare un'occhiata? È una cosa che mi interessa grandemente... La signora parve un poco stupita, ma rispose subito: — Si figuri. Entri pure. — È una sua collezione, signora? — Oh no! — rispose la donna, con un po' di amarezza, a quanto mi par-
ve. — Apparteneva al signor Kenting padre. La trovai qui quando, molto tempo dopo la sua morte, entrai in questa casa... Benché Markham si dimostrasse impaziente e seccato Vance entrò nella cameretta e cominciò a osservare i vari scompartimenti. Mi fece cenno di avvicinarmi. Vidi, ordinatamente disposti, esemplari — diversi per forma e dimensione — di acquemarine, topazi, giade, piropi, tormaline, almandine, andalusiti, turchesi ecc., ecc. Molte di quelle gemme erano ben lavorate e sfaccettate e io le stavo ammirando convinto che rappresentassero un grande valore quando Vance mormorò: — Che strana collezione! C'è una sola gemma di valore, nessun esemplare raro fra le altre... Una collezione da scolaretto, proprio! Strano! E vedo molti spazi vuoti. A giudicare dalla cura e dalla disposizione generale, il signor Kenting deve essere stato un modesto dilettante... Lo guardai stupito. Ma egli tacque e girando sui tacchi ritornò nell'atrio. — Stranissima collezione! — mormorò ancora. — Le pietre dure erano una delle manie di mio padre — disse Kenyon Kenting. — Già, già... Collezione insolita... Poco rappresentativa, comunque... Suo padre era un intenditore, signor Kenting? — Oh sì! Egli studiò l'argomento per anni ed anni. Era molto fiero della sua "camera delle gemme", come la chiamava. — Ah! Kenting gli diede un'occhiata strana e penetrante, ma non disse nulla; e Vance seguì subito Heath su per la larga scalinata. 3. La richiesta di riscatto mercoledì 20 luglio, ore 11 a.m. Quando noi entrammo nella camera di Kaspar Kenting, il capitano Dubois e l'agente Bellamy si preparavano a uscirne. — Non credo che ci sia da fare per lei, sergente — disse Dubois, dopo aver rispettosamente salutato Markham. — Le solite impronte che si possono trovare in una camera da letto... E tutte uguali a quelle che abbiamo trovato chiarissime sul servizio da toeletta e sullo specchio del bagno... Non possono essere che le impronte di chi ci abitava. Per il resto, niente. — E sul davanzale? — chiese Heath attaccandosi all'ultima speranza.
— Niente, sergente, assolutamente niente — rispose Dubois. — Eppure lo abbiamo esaminato con grandissima cura. Chi è uscito questa notte da quella finestra o portava i guanti, o ha ripulito tutto alla perfezione. Il marmo del davanzale è così liscio e pulito che avrebbe potuto offrirci impronte nitidissime... Comunque confronterò tutto quel poco che ho potuto raccogliere coi nostri archivi. Le farò sapere qualcosa più tardi, quando avrò eseguito gli sviluppi e gli ingrandimenti necessari. Il sergente parve molto deluso. — Avrò ancora bisogno di lei più tardi per la scala — disse portandosi nervosamente il sigaro da un angolo all'altro della bocca. — Benissimo, sergente — rispose Dubois raccogliendo la sua cassetta nera... — Le raccomando di non far troppo tardi perché avrò bisogno di molta luce, per quel lavoro. — Lo salutò cordialmente e se ne andò, seguito da Bellamy. La camera di Kaspar Kenting non presentava nulla di elegante o di originale. Un vasto letto contro il muro a sud, e un cassettone presso la porta d'entrata; sedie, poltrone, un tappeto a fiorami e in un angolo, di fronte all'ingresso, una piccola scrivania con telefono. La camera aveva due finestre: una verso strada, semichiusa, o con la tendina calata a metà; l'altra verso il cortile, spalancata. A destra del letto una porta aperta permetteva di guardare in un'altra camera simile; evidentemente quella della signora Kenting. Tra il letto di Kaspar e il muro di sinistra due porticine più strette: quella del bagno e quella di un guardaroba. La luce era accesa, sia nel lampadario a cristallo che pendeva dal soffitto, sia nella lampadina tipo ufficio a capo del letto. Vance si guardò intorno con indifferenza, ma io sapevo benissimo che nessun particolare della scena gli sfuggiva. Le sue prime parole furono rivolte alla moglie dello scomparso. — Quando lei entrò qui, stamane, la porta era chiusa a chiave? La donna parve un po' incerta e balbettò: — Io... io davvero... non ricordo bene. Ma non doveva essere chiusa a chiave, altrimenti me ne ricorderei. Sono uscita da quella porta, e non ricordo di aver girato la chiave... — Evidentemente — disse Vance. — Un atto come quello di girare una chiave nella serratura, dovrebbe lasciare un ricordo distinto. Semplicissima psicologia... — Ma non posso dirlo con certezza però, signor Vance — si affrettò ad aggiungere la signora. — Ero così sconvolta... desideravo uscire immedia-
tamente di qui... — Giustissimo — disse Vance. — Del resto la cosa non ha importanza. Egli si diresse quindi verso la finestra aperta e guardò giù, alla scala a pioli. Intanto Heath, cavatosi di tasca un temperino, allentò la puntina con la quale stava fissato, sul telaio della finestra un foglietto sporco e gualcito; lo prese poi con precauzione e lo porse a Markham. Il procuratore distrettuale guardò quel documento con espressione turbata, e io a mia volta potei prenderne visione, mentre egli lo leggeva, di sopra la sua spalla. Si trattava di un comune foglio di carta da ufficio tagliato irregolarmente ai bordi perché non fosse possibile riconoscerne le dimensioni originali. Sul foglio erano state incollate parole a stampa, di caratteri e corpi diversi, ritagliate, con ogni probabilità da un giornale. Quelle righe irregolari e brutali, dicevano: Se lo volete indietro salvo bisogna pagare 50 mila dollari altrimenti amazeremo faremo conoscere dove & cuando lasciare danari più tardi Quella terribile comunicazione era firmata in modo cabalistico con due quadrati disuguali, uniti ad un angolo, tracciati con inchiostro nero. Così:
Markham porse il foglietto a Vance che vi buttò un'occhiata e lo lesse rapidamente con l'ombra di un sorriso scettico, come se la cosa lo interessasse ben poco. — Non si può immaginare nulla di meno originale, mio caro Markham! Di questi cartigli ne sono stati compilati a dozzine... Stava per rendere il biglietto a Markham quando lo ritirò bruscamente, per esaminarlo di nuovo. Il suo volto si rannuvolò, e ogni ombra di sorriso scomparve. — Interessante la firma — mormorò. Si incastrò il monocolo nell'orbita e la esaminò da vicino. — Fatta con un pennellino... un pennellino cinese, tenuto verticale... e con inchiostro di Cina... Questi quadratini... — Sicuro! — disse il sergente Heath. — Somigliano ai disegni che ho visto su certe monete cinesi.
— Proprio così, sergente... Questo non ci dice nulla, ma è sempre bene ricordare... — Ripose nel taschino del panciotto il monocolo e restituì il foglietto a Markham. — Non è un caso simpatico... Ma guardiamoci un po' intorno. Si avvicinò al cassettone, si accomodò la cravatta davanti allo specchio, si passò una mano sui capelli e ripulì il risvolto sinistro della sua giacca da un immaginario granello di polvere. Markham e Heath davano segni di impazienza. — Senta un po', signora Kenting — chiese Vance. — Suo marito era calvo, per caso? — Calvo? Ma no — ella rispose un po' indignata. — Perché me lo domanda? — Strano, molto strano. Vedo qui tutti i necessari oggetti di toeletta, tranne un pettine. — Ma... non capisco! — esclamò la signora, avvicinandosi a Vance. — Sicuro! Il pettine non c'è più! Kaspar lo teneva sempre qui... — e indicò un punto del tappetino di seta. — Straordinario! E vediamo un po' se per caso non mancasse anche lo spazzolino da denti. Dove lo teneva suo marito? — Nel bagno naturalmente... Su di un piccolo sostegno, presso l'armadietto dei medicinali. Vado subito... — Mentre parlava corse nel bagno. — Non c'è più, né al suo solito posto, né altrove — disse qualche momento dopo, ricomparendo, con aria perplessa. — Bene — osservò Vance. — E ricorda, signora, quali abiti indossasse ieri sera suo marito nel recarsi all'inaugurazione del casinò col signor Quaggy? — Lo smoking, naturalmente — rispose senza esitazione la signora Kenting. Vance traversò rapidamente la camera e aperse lo sportello dell'armadio a muro. Dopo una breve ispezione del contenuto si rivolse nuovamente alla signora Kenting: — La giacca dello smoking è appesa qui... Ne aveva forse più di una? La signora scrollò il capo in atto negativo. — Suppongo poi che, con lo smoking, il signor Kenting abbia messo anche le scarpe di vernice, no? — Certo — rispose la donna. — Strano! Eccone qui un paio... e con le suole ancora umide... Ieri è piovuto e il terreno era bagnato...
La signora Kenting attraversò la camera per avvicinarsi a Kenyon Kenting e infilò un braccio sotto quello di lui, come per cercar sostegno. Poi disse, quasi sottovoce: — Non capisco davvero, signor Vance. Vance diede un'occhiata pensierosa alla signora e al cognato, e guardò ancora dentro il vasto armadio. Un momento dopo si rivolse nuovamente alla signora Kenting. — Signora, lei conosce bene il guardaroba di suo marito? — Certo. Lo consigliavo sempre nella scelta delle stoffe — rispose la donna, con un tono quasi risentito. — Allora sarebbe molto utile che lei guardasse in questo armadio a muro per dirmi se manca qualcosa. La signora Kenting con un'espressione un po' spaventata, lasciò il braccio del cognato e raggiunse Vance presso l'armadio guardaroba. — Manca un abito grigio sportivo — disse dopo qualche attimo, aggrottando la fronte. — Quello che indossava sempre quando faceva qualche gita o qualche breve viaggio. — Interessantissimo — mormorò Vance. — E saprebbe dirmi con quali scarpe suo marito possa aver sostituito le scarpe di vernice? La signora strinse un po' gli occhi e fissò Vance come se cominciasse a capire. — Sicuro! — disse e si chinò a esaminare lo scompartimento riservato alle scarpe. — Manca un paio di scarpe gialle pesanti, quelle che di solito metteva con l'abito sportivo — annunciò poi con voce bassa, monotona. Vance si inchinò e mormorò un "grazie", mentre la signora ritornava presso Kenyon Kenting rimanendovi in atteggiamento rigido e con gli occhi spalancati. Vance ritornò all'armadio, vi frugò, poi si avvicinò alla finestra. Gli vidi tra il pollice e l'indice una piccola gemma rossa. — Non è un vero rubino — mormorò — ma un semplice rubino balascio... varietà indispensabile in una collezione di gemme, ma di scarso valore intrinseco... L'ho trovato in una tasca della giacca da sera di suo marito, signora Kenting... mi son preso la libertà di vedere se avesse vuotato le tasche del vestito nel cambiarsi, quando è rincasato... Non ho trovato altro... — Osservò ancora la pietra e la ripose nel taschino del panciotto. — Un'altra cosa che mi interesserebbe sapere, signora... Quale tipo di pigiama adopera suo marito? — Di seta... Gliene ho regalato alcuni recentemente, per il suo comple-
anno. — Si avvicinò rapida al letto. — Qui ce n'è uno che... — Sbranò ancor più gli occhi e si interruppe: — Non c'è più! — esclamò eccitatissima. — No. Letto preparato, pantofole al loro posto, bicchiere di succo d'arancia sul tavolino da notte... Ma niente pigiama sul letto... Avevo notato appunto questo fatto strano. Potrebbe trattarsi di una dimenticanza... — No — lo interruppe la signora. — Nessuna dimenticanza. Avevo preparato io, come sempre, il pigiama ai piedi del letto. — Seta leggera? — chiese Vance senza guardarla. — Sì, leggerissima... per l'estate... — Dunque il pigiama si sarebbe potuto facilmente arrotolare e infilare in una tasca... La signora assentì. Ora fissava Vance. — Che cosa intende dire? — gli chiese. — La prego di spiegarmi il suo pensiero... — Non saprei proprio — rispose Vance, con gentilezza. — Osservo semplicemente le cose... Ma non ho trovato alcuna spiegazione. Tutto ciò è molto strano. Markham che se ne era sempre stato, in silenzio, vicino alla porta, ora disse: — Capisco dove vuoi arrivare, Vance. La situazione è stranissima, ma ad ogni modo se le indicazioni sono esatte, dovremmo dedurne che non abbiamo a che fare con delinquenti disumani. Quando essi vennero qui per rapire il signor Kenting e poter poi estorcere una forte somma gli permisero almeno di cambiarsi d'abito e di portare con sé le cose che tornano più utili a un uomo lontano da casa. — Già già, si capisce — disse Vance senza entusiasmo. — Molto gentile da parte loro... Se è stato così! — Se è stato così? — ripeté aggressivamente Markham. — Che altro hai in mente? — Mio caro Markham! — protestò Vance con dolcezza. — Nulla, proprio nulla. La mia mente è uno schermo bianco... Indizi contraddittori... Come dirigerci? — Comunque sia — notò il sergente Heath — mi sembra che non ci sia motivo di temere alcun male per l'amico. Lo scopo del rapimento deve essere stato unicamente il denaro. — Può darsi, sergente. Ma è un po' presto per giungere a una conclusione. Fleel che aveva osservato e ascoltato ogni cosa con aria attenta e ufficia-
le, disse: — Credo, signor Vance, di indovinare ciò che pensa. Conoscendo i signori Kenting come io li conosco, e conoscendo anche la loro situazione familiare da molti anni a questa parte, posso dirle che lei è liberissimo di esporre senza tema la sua impressione sulle circostanze attuali. Vance guardò per qualche istante Fleel con un lievissimo sorriso, poi disse: — Realmente, signor Fleel, non so bene neppure io che cosa penso. — Mi permetta di non essere del suo parere — rispose il legale. — Personalmente. .. dopo alcuni anni di intimità con la famiglia Kenting... so che sarebbe una cosa molto opportuna... sto per dire un atto di misericordia se lei francamente esponesse quella che io credo la sua impressione, e cioè che Kaspar ha montato lui stesso questo "colpo" per ragioni che sono fin troppo ovvie... Vance guardò l'avvocato con aria lievemente perplessa e poi gli disse: — Se lei ritiene che le cose stiano così, signor Fleel, quale sarebbe, a parer suo, la linea di condotta da seguire? Lei che da tanto tempo conosce il giovanotto, è in grado di sapere meglio di ogni altro il modo di trattarlo. — Personalmente — rispose Fleel — ritengo giunto il momento di infliggere a Kaspar una severa lezione. La occasione non potrebbe essere migliore. Se Kenyon è d'accordo, e si trova in condizioni di poter sborsare l'ingente somma, io consiglierei di seguire tutte le istruzioni che ci perverranno, e di lasciare poi che la legge segua il suo corso imputando il colpevole di estorsione. È tempo, ripeto, che Kaspar riceva una buona lezione. Lei non è d'accordo con me, Kenyon? — Non so che dire — rispose Kenting, con palese incertezza. — Certo sento che lei ha ragione, Fleel... ma non dobbiamo dimenticare che c'è Magdalen... La signora Kenting cominciò a piangere silenziosamente. — Io non credo — disse poi, titubante — che Kaspar abbia fatto questa orribile cosa... Ma se fosse stato lui... Fleel si rivolse ancora a Vance: — Comprende perché le ho chiesto di esporre francamente il suo pensiero? L'ansia della signora Kenting ne verrà alleviata, anche se dovremo pensare che Kaspar abbia immaginato e condotto a termine questa brutta impresa. — Caro signore — rispose Vance — io sarei lieto di dire qualunque cosa che potesse alleviare l'ansia della signora Kenting riguardo alla sorte di
suo marito... Ma l'assicuro che, sino ad ora, gli indizi non mi permettono di concedere alcun conforto del genere a lei o ai membri della famiglia Kenting... A questo punto si verificò un'interruzione. Sulla porta comparve un uomo di mezza età, piccolo, con una faccia pallida e tonda, e radi capelli biondicci, lunghi, pettinati all'indietro in un vano sforzo di nascondere un'avanzata calvizie. Portava grosse lenti, sotto le quali si poteva vedere che uno dei suoi occhi azzurri, acquosi, era un po' diverso dall'altro. Ci guardò come se la nostra presenza non gli garbasse. Portava una livrea piuttosto vecchia e troppo larga per lui, che rendeva ancora più buffo il suo atteggiamento insolente e servile ad un tempo. — Che c'è, Weem? — gli chiese quasi senza guardarlo la signora Kenting. — C'è qui un signore... un agente... — rispose in tono arcigno — che vuol parlare col sergente Heath. — Come si chiama? — fece brusco Heath guardando con sospetto il domestico. Costui guardò cupamente Heath e rispose: — Dice di chiamarsi Mac Langhlin. Heath annuì e si rivolse a Markham: — È l'agente che stava di servizio ieri in questa strada, capo. Lasciai detto all'ufficio che me lo mandassero subito non appena avessero potuto pescarlo. Pensavo che forse potrebbe aver visto qualcosa... o comunque potrebbe darci qualche informazione utile per la nostra inchiesta... Dite all'agente che mi aspetti — comandò poi rivolto al domestico. — Tra pochi minuti scenderò. — Un momento, Weem... è questo il vostro nome, vero? — interloquì Vance. — Voi siete il domestico? — Sì, signore — rispose l'uomo con voce bassa e sorda. — È vostra moglie la cuoca, no? — Sì, signore. — A che ora siete andati a letto, ieri sera, voi e vostra moglie? Il domestico esitò un momento e lanciò una rapida occhiata alla signora Kenting, che gli voltava le spalle. — Circa le undici. Il signor Kenting era uscito, e la signora ci disse che non aveva più bisogno di nulla. — Voi abitate al terzo piano, sul retro della casa? — Sì. — E voi, o vostra moglie, non avete udito nulla di insolito nella casa, ie-
ri sera, dopo esservi ritirati? — No — rispose l'uomo dopo un'altra breve esitazione. — Tutto era tranquillissimo. Poi mi addormentai, e mi svegliai solo quando la signora suonò per il caffè verso le sei del mattino? — Allora non avete udito rincasare il signor Kenting... né alcun altro muoversi per la casa, tra le undici di sera e le sei del mattino. — No. Nessuno. Dormivo. — È tutto, grazie, Weem... Andate pure a riferire gli ordini del sergente a Mac Langhlin. Il domestico se ne andò con fare dolente. — È stata una buona idea — disse Vance a Heath — quella di convocare Mac Langhlin... Qui sopra non abbiamo proprio nulla da fare. Scendiamo dunque a sentire quello che ha da raccontarci. — Scendiamo! — e il sergente si avviò seguito da Vance, da Markham e da me. Prima di giungere alla porta Vance si volse al piccolo scrittoio sul quale stava il telefono, lo osservò, si avvicinò, aprì i cassetti, vi guardò dentro; poi prese una boccetta d'inchiostro e ne osservò l'etichetta; infine si chinò sul cestino, che stava presso lo scrittoio. Quando si alzò chiese alla signora Kenting: — Suo marito scriveva sempre qui? — Sì, sempre. — Mai altrove? La signora scrollò lentamente il capo. — Mai. Egli scrive pochissimo, e questo piccolo scrittoio è per lui più che sufficiente. — Ma non usa mai pasta, o colla...? Non ne vedo, qui. — Colla? — la signora Kenting appariva sempre più perplessa. — Ma... no. Anzi credo non ve ne sia neppure, in casa... Perché me lo chiede? Vance guardò la signora e le sorrise con una specie di simpatia: — Io credo semplicemente di sapere la verità, anche nei particolari... E la prego di scusare se alcune mie domande possono sembrare senza scopo. La signora Kenting non rispose e Vance ci raggiunse sulla porta. Scendemmo tutti nell'atrio. A metà scala però Markham si fermò lasciando che il sergente lo precedesse e prese Vance sottobraccio. — Senti, Vance — gli disse un po' irritato ma sottovoce, perché nessuno di quelli che eran rimasti di sopra potesse udirlo — questo rapimento non mi sembra del tipo solito, e credo che anche tu la pensi così... — Oh, Markham! Sai dunque anche leggere nel pensiero?
— Smettila! Dunque, o i rapitori non hanno intenzione di fare del male al giovane Kenting... oppure ha ragione Fleel e Kenting si è... rapito da se stesso... — Sento arrivare la tua domanda... — sospirò Vance con rassegnazione. — Sì — fece Markham aggressivo — mi piacerebbe proprio sapere perché ti sei rifiutato di concedere qualche speranza, o di ammettere la possibilità di una di queste due ipotesi, mentre sapevi benissimo che ciò avrebbe mitigato l'ansia della moglie e del fratello di Kenting. — Markham — rispose Vance — tu sei un'ottima persona, ma sei anche troppo ingenuo per questo mondo privo di scrupoli. Tu e il tuo amico legale Fleel, avete formulato errate supposizioni. E io non sono tanto crudele da offrire alla gente fallaci speranze. — Che cosa vuoi dire? — Una cosa sola, Markham — rispose Vance fissando il procuratore distrettuale e abbassando ancora la voce. — Secondo me, quel poveraccio è già morto. 4. Un'impressionante dichiarazione mercoledì 20 luglio, ore 11,45 a.m. Le parole di Vance erano sorprendenti e impreviste; pure, anche nella scarsa luce delle scale potei scorgere una tale espressione di serietà sul suo volto che non ebbi dubbio alcuno sulla fermezza della sua convinzione circa il destino di Kaspar Kenting. Markham rimase lui pure impressionato, per un momento; ma compresi che in sostanza era scettico sulla conclusione di Vance. Tutti gli indizi scoperti nella camera di Kaspar Kenting suggerivano ipotesi completamente opposte... Senza allentare la stretta del braccio di Philo Vance, Markham gli chiese a bassa voce: — Hai qualche motivo per dire ciò? — Eh, eh, mio caro Markham — disse Vance — non è questo il momento, né il luogo, per discutere la cosa. Sarò lieto di chiarirti in seguito il mio pensiero. Non dobbiamo dare importanza agli indizi superficiali, predisposti per farci prendere una determinata strada. No, qui vi sono molte falsità, molte sottigliezze... le cose che detesto sopra tutte... Aspettiamo. Per il momento sono ansioso di sapere che cosa ha da raccontarci Mac Langhlin. — Fa come credi. Per conto mio, hai torto.
— Può darsi benissimo. E, in questo caso, ne sarei straordinariamente lieto. Discese lentamente gli ultimi scalini e noi lo seguimmo in silenzio. Mac Langhlin entrava allora in salotto obbedendo a un gesto perentorio di Heath. L'agente sembrava straordinariamente alto e muscoloso nei suoi panni civili, un po' strettini. Weem, che stava chiudendo la porta di strada, riattraversò in quel momento l'atrio e, senza degnarci di un'occhiata si diresse, col passo rapido, e pure incerto, verso il retro della casa. Vance crollò il capo con aria meditabonda mentre lo seguiva con lo sguardo, poi entrò nel salotto. Mac Langhlin (ch'io ricordavo benissimo di aver conosciuto all'epoca del famoso caso Benson: era stato lui a denunciar la presenza della misteriosa Cadillac grigia davanti alla casa dell'84a Strada) era in atto di parlare al sergente quando vide Markham e si trasse rispettosamente da parte in attesa di ordini. — Mac Langhlin — cominciò Heath con quel tono burbero ufficiale che tanto divertiva Vance — stanotte... o per essere più esatti nelle prime ore del mattino, qualcosa di molto grave è capitato in questa casa. A che ora siete smontato dal servizio? — Alle otto, come al solito. Stavo andando a letto, un'ora fa, quando l'ispettore... — Bene, bene. Avevo dato io ordine di mandarvi subito qui. Ci occorre un rapporto. Dove vi trovavate stamattina verso le sei? — Compivo i miei giri regolamentari dall'altra parte della strada. — E non vedeste nulla o nessuno di sospetto? L'uomo trasalì e aggrottò la fronte, come se cercasse di ricordare qualcosa. — Qualcosa ho visto. Ma allora non mi parve nulla di sospetto... Non avevo motivo di intervenire. — Di che si tratta? Fuori tutto quello che sapete. Anche se non vi sembra cosa importante. — Ecco, sergente... una macchina chiusa di un colore verde sporco si fermò lungo il marciapiede, da questa parte della strada, verso le sei appunto. C'erano due uomini, e uno di loro scese e aprì il cofano per guardare il motore. Mi avvicinai per sentire se occorresse il mio aiuto, ma a quanto pare era cosa da nulla. Poco dopo l'auto ripartiva. Notai che aveva lo scappamento aperto... Allora riattraversai la strada riprendendo il mio giro verso Broadway. — È tutto qui?
— No, sergente — rispose con un po' d'impaccio Mac Langhlin. — Stavo svoltando l'angolo di Park Avenue per ritornare nella 86a Strada quando vidi la stessa macchina arrivare a grande velocità, ma in direzione opposta, e svoltare nel parco. — Siete certo che fosse la stessa? — Ecco, non potrei giurarlo, naturalmente... Ma era dello stesso tipo, dello stesso colore, aveva lo scappamento aperto, e c'erano due persone... L'uomo al volante mi parve lo stesso che avevo visto prima con la testa sopra il motore... grande, grosso, con una faccia liscia... Mac Langhlin guardò il sergente come se si aspettasse qualche rimprovero. — Be', non avete visto altro? — grugnì Heath. — Doveva essere piuttosto chiaro, a quell'ora. — Niente altro, sergente — rispose Mac Langhlin, evidentemente sollevato. — Solo quella macchina, due volte... Tra la prima e la seconda volta saranno passati circa venti minuti. — E dov'era esattamente l'automobile quando la vedeste per la prima volta? — Vicino al marciapiedi, una trentina di metri più su di questa casa. — E perché non avete rivolto qualche domanda ai due che stavano nella macchina? — Come ho detto, non ne ebbi il motivo... Erano tranquilli, educati, e non avevano neppure l'aria di avere alzato il gomito... Heath cominciò a camminare spazientito su e giù per la camera. — Sentite, Mac Langhlin — disse Vance. — I due uomini erano bianchi entrambi? — Sissignore — rispose l'agente con aria di maggior deferenza: Vance era a fianco di Markham, ed egli pensò certamente che parlasse per conto del procuratore. — E non è possibile che nella macchina ci fosse anche un terzo uomo, più piccolo, in ginocchio magari, o nascosto, e che voi non l'abbiate visto? — Potrebbe darsi... Io non guardai dentro la macchina... Certo di spazio ce n'era a sufficienza... Ma perché avrebbe dovuto starsene nascosto? — Non ne ho la più lontana idea... — E lei pensa che ci fosse? — Non lo so. Certo le cose sarebbero molto semplificate se lo sapessi! — Non la capisco, signor Vance — disse il sergente interrompendo il suo andirivieni. — Due uomini robusti sono più che sufficienti per un ra-
pimento. — Certo, più che sufficienti... — confermò Vance; poi chiese ancora a Mac Langhlin: — Nel vostro giro, stanotte, non vi è capitato di vedere una scala a pioli? — Sì, ne ho vista una appoggiata all'albero, nel cortile di questa casa. L'ho notata quando ha cominciato a far chiaro... — Ah sì, eh? Be', quella scala c'è ancora, nel cortile: ma appoggiata al muro della casa, sotto una finestra aperta. — Davvero! Ma... ho forse sbagliato a non parlar prima di quella scala? Mi pareva... — Oh no, no! Voi non c'entrate. Qualcuno prese quella scala, mentre voi camminavate verso la Broadway, e la trasportò sotto la finestra... Del resto può darsi che la cosa non abbia importanza. A proposito, avevate già notato prima di questa notte una scala nel cortile? — Nossignore. Di solito il cortile è sempre molto pulito e in ordine. — Mille grazie — disse Vance e andò a sedere sul divano allungando pigramente le gambe davanti a sé. Era chiaro che non aveva altre domande da rivolgere a Mac Langhlin. Heat si tolse il sigaro di bocca e disse: — Bene, Mac Langhlin, grazie d'essere venuto subito. Ora andate pure a casa. Può darsi che abbia ancora bisogno di voi. L'uomo salutò e si diresse alla porta. Ma poi si fermò e disse a Heath: — Scusate, sergente... ma non vi dispiacerebbe dirmi che cosa è accaduto qui stanotte? — Niente di eccezionale. Un rapimento... La cosa non si presenta grave, ma dobbiamo venirne a capo. È scomparso un giovanotto, Kaspar Kenting, e abbiamo trovato una richiesta di riscatto... Conoscevate il Kenting? — Certo! L'ho visto spesso rincasare, a tutte le ore... E quasi sempre sembrava piuttosto allegro... Heath non disse più nulla e Mac Langhlin se ne andò. Udimmo poco dopo sbattere la porta di strada. — E adesso, signor Vance? — chiese Heath. — Adesso comincia il bello, caro sergente. Lei non ha la più lontana idea di tutte le cose che io vorrei sapere, e... — Senti, Vance — lo interruppe Markham — prima di tutto vorrei sapere che cosa significa... e che cosa giustifica la dichiarazione da te fattami sulle scale... Io mi sentirei pronto a scommettere che il giovanotto sta bene di salute quanto noi due...
— Credo che perderesti la scommessa, vecchio mio. — Ma tutti gli indizi... — E perché noi dovremmo proprio sempre dirigerci là dove gli "indizi" vogliono farci andare? — Sei dunque a conoscenza di fatti a me ignoti? — Oh no! Tu hai veduto e udito tutto quello che ho veduto e udito io. Soltanto, noi diamo una diversa interpretazione alle cose. — Sentiamola, questa tua interpretazione. — Mi perdoni, capo — fece Heath. — Io non ho sentito quanto il signor Vance le ha detto scendendo le scale, non conosco le sue idee intorno a questo caso. — Il signor Vance — gli disse Markham — non crede che Kaspar Kenting sia stato rapito solo per estorcere denaro, e neppure che sia volontariamente scomparso per far credere a un rapimento. Egli pensa che il giovanotto sia già morto. — Accidenti! E che cosa mai le ha suggerito una simile idea, signor Vance? Philo Vance continuò a fumare per un momento in silenzio; poi rispose, come se si fosse trattato di una cosa normalissima: — Caro sergente! Mi pare che tutto induca a una simile conclusione... Credi tu — continuò rivolto a Markham — che il nostro Kaspar sarebbe andato al Casinò a rischiare qualche centinaio di dollari proprio la sera in cui doveva portare a termine un grand coup come questo, di cinquantamila dollari? — E perché no? — L'impresa criminale era preparata da molto tempo. Resta a provarlo quel messaggio composto di lettere e di parole ritagliate e impastate sopra un pezzo di carta ritagliato a sua volta da uno più grande... — Non c'era poi bisogno che l'impresa criminale, come tu dici, fosse preparata da gran tempo — obiettò Markham. — Kaspar avrebbe avuto tutto il tempo di ritagliare e incollare dopo il suo ritorno dal Casinò. — Oh no, non credo — rispose subito Vance. — Ho esaminato lo scrittoio, il cestino della carta... Nessuna traccia di simile attività. E poi quella telefonata nelle primissime ore del mattino dimostra ch'egli stava occupandosi in altro modo di comporre le sue difficoltà finanziarie... — Avanti — disse Markham, poiché Vance si era nuovamente interrotto. — Bene. Perché Kaspar Kenting avrebbe dovuto impiegare tre ore a mu-
tar d'abito dopo il suo ritorno? Pochi minuti gli sarebbero bastati. E ancora: perché avrebbe aspettato le chiare ore del mattino per eclissarsi? Quanto più propizia, a lui, l'oscurità! — E come puoi sapere che non se ne sia andato molto prima dell'alba? — Amico, dimentichi che all'alba la scala era ancora appoggiata all'acero, secondo la testimonianza di Mac Langhlin. Dunque doveva esser già chiaro quando fu messa sotto la finestra... Ora sono certo che se Kaspar avesse meditato di rapire se stesso avrebbe disposto la scala sotto la finestra molto prima... — Capisco benissimo, signor Vance — disse Heath. — E poi anche la signora Kenting ci ha detto di aver sentito qualcuno muoversi in camera alle sei del mattino. — Vero. Ma ciò non ha importanza... Io non credo che la persona sentita muoversi dalla signora Kenting nella camera di suo marito a quell'ora fosse Kaspar... Inoltre, Markham, c'è anche questo fatto da considerare: come mai la porta di comunicazione fra la camera di Kaspar e quella di sua moglie non era chiusa a chiave, se il giovane aveva intenzione di attuare un piano così delicato e grave? Se veramente egli avesse architettato l'impresa, non si sarebbe certo dimenticato di chiudere l'uscio à chiave... Era troppo importante che nessuno venisse a sorprenderlo... E sempre parlando della porta, ricorderete che la signora la aprì verso le sei dopo aver udito qualcuno che camminava per la camera "come se avesse delle pantofole..."; e quando lei entrò, non vide nessuno. Ergo: di chiunque si trattasse, deve aver lasciato a precipizio la camera non appena ha sentito la signora bussare e chiamare il marito... Ora non le pantofole sono scomparse, ma i pesanti stivali. Se si fosse trattato di Kaspar, ed egli fosse fuggito giù dalle scale, sua moglie lo avrebbe certo sentito; e così pure se avesse scavalcato la finestra per valersi della scala a pioli... Gli stivali fanno rumore, e in quel momento la signora ascoltava certo con attenzione... E finalmente: perché, se la persona che si muoveva nella camera fosse stata Kaspar intento a imitare il passo di un uomo in pantofole, avrebbe dovuto attendere il richiamo della consorte per darsi a precipitosa fuga? Aveva avuto tre ore di tempo, dopo il suo ritorno, per andarsene con tutto comodo! Da tutto ciò mi sembra di poter ragionevolmente concludere che la persona udita alle sei del mattino dalla signora Kenting non era suo marito. Markham annuì: — Ora posso benissimo seguire il pensiero, Vance... e non posso dire di esserne molto soddisfatto. Vorrei però sapere...
— Un momento, amico, un momento ancora — interruppe Vance alzando una mano. — Se la persona che si muoveva nella camera fosse stata Kaspar Kenting, non avrebbe avuto il tempo, tra il richiamo della signora e la fuga, di raccogliere pettine, spazzolino, pigiama. E poi, perché avrebbe dovuto prendersi quella briga in un momento così grave? Oggetti simili si possono comperare dovunque... Ma c'è di più: se avesse predisposto a scopo di lucro la propria scomparsa, Kaspar avrebbe avuto tutto il tempo possibile per procurarsi in anticipo tutto l'occorrente, anziché raccoglierlo di furia all'ultimo minuto... Markham rimase silenzioso e, dopo un minuto o due Vance continuò: — Spingiamoci ancora oltre nella nostra linea di ragionamento: Kaspar Kenting avrebbe pur dovuto comprendere che l'assenza di quegli oggetti personali avrebbe reso evidente proprio ciò ch'egli doveva ad ogni costo celare: la propria volontaria partecipazione all'impresa per estorcere i cinquantamila dollari. Perciò ritengo che quegli oggetti furono raccolti e portati via dalla persona in pantofole udita dalla signora Kenting, col preciso scopo di darci quell'impressione. Pettine, pigiama, spazzolino, scarpe... Oh troppi, troppi indizi! Un embarras de richesses! — Dunque tu credi a una mistificazione? — Esattamente. Tutto è troppo chiaro. Nulla è lasciato alla fantasia. — E allora il rapimento sarebbe autentico! — Può darsi — mormorò Vance. — Però vi sono, per questo, troppe controindicazioni... Guarda che io espongo solo una teoria... Certo mi sembra strano che abbiano permesso a Kaspar di mutar d'abito: egli avrebbe avuto così tutto il tempo di chiamare o, comunque, di agire in modo da far fallire l'impresa. Il fatto che Kaspar abbia potuto appendere con cura nell'armadio la giacca dello smoking, vuotare le tasche, riporre le scarpe... tutto indica una tranquillità che i rapitori difficilmente gli avrebbero potuto concedere. La gente di quella risma non è molto cortese, Markham. — E allora che cosa credi sia accaduto? — chiese Markham. — Non so. Sappiamo soltanto che ieri sera Kaspar aveva un impegno dal quale fu trattenuto sino alle tre del mattino, e che, dopo il suo ritorno, telefonò a qualcuno e mutò d'abiti. Possiamo dedurre che egli prese un appuntamento fra le tre e le sei del mattino e che quindi ritenne inutile coricarsi, nell'intervallo. Per questo si cambiò con comodo, ed è anche probabilissimo che egli sia uscito silenziosamente dalla porta di strada per recarsi al luogo fissato. Se la mia teoria è esatta, dobbiamo ritenere che egli pensava anche di ritornare subito perché lasciò la luce accesa. E ancora: ri-
tengo senz'altro che l'uscio della sua camera da letto che dà nel corridoio non fosse chiuso a chiave, altrimenti la signora Kenting ricorderebbe questo particolare. — Ammetto che le cose stiano come tu dici... Che cosa può essergli capitato? — Caro Markham! Tutto ciò che noi, per il momento, conosciamo, è che lui non è tornato. Sembra scomparso! Qui, a ogni modo, non c'è. — Va bene, ma perché sei tanto sicuro che Kaspar Kenting sia già morto? — Non sono sicuro! — rispose Vance. — Io ho detto soltanto che temevo che il giovane fosse morto... Se non si tratta di un autorapimento, o di uno dei soliti sequestri di persona, è molto probabile che sia stato assassinato. La scomparsa di Kaspar, e tutti gli indizi elaborati in modo da far credere a un suo tentativo di estorsione, indicano un rapporto fra l'appuntamento e gli indizi trovati in camera da letto... È dunque da ritenersi che se fosse ancora vivo e potesse un giorno essere liberato, sarebbe in grado di raccontare tanto da condurci alla scoperta del colpevole. Solo sopprimendolo i colpevoli possono ottenere l'impunità... — La sua teoria, signor Vance — disse Heath — è molto convincente. Tuttavia. .. — Perché perdere tempo a discutere, caro sergente?... Abbiamo raccolto dati troppo scarsi, finora. Bisogna continuare un poco l'indagine per veder di scoprire qualcosa di più... — Scoprire che... e come? — proruppe nervosamente Markham. — Eh caro Markham, siamo ancora così ignoranti su quanto ci circonda! Uno scambio di idee col signor Kenyon Kenting, ad esempio, lo credo utilissimo. E poi c'è il tuo amico Fleel, il fido Giustiniano di casa Kenting, il quale potrebbe offrirci qualche prezioso suggerimento. La stessa signora Kenting è forse in grado di gettare qualche altro raggio fra le tenebre, per non parlare della signora Falloway, madre della signora Kenting, che vive qui. Un tipo eccezionale di suocera, sai? Piena di idee originali. L'ho conosciuta prima che diventasse invalida... E Weel? Mi sembra piuttosto restio a spifferar confidenze sulla famiglia dei suoi signori, ma possiamo tentare. — Non preoccuparti di questo, Vance, ciò rientra nel corso normale delle indagini che faremo a suo tempo... — Il tempo presente è sempre il migliore, carissimo amico...! Il caso mi interessa e dal momento che mi hai privato del mio divertimento canino, voglio andare a curiosare un po' qua e là...
— E va bene. Su che cosa vuoi concentrare ora le tue prodigiose facoltà? — chiese Markham. — Oh adulatore!... Per il momento ardo di ispezionare un po' la scala a pioli! Heath rise: — La cosa non è molto difficile, signor Vance! Ci conviene entrare nel cortile dal cancello che dà sulla strada... E si avviò senz'altro verso l'uscita. 5. La scala a pioli mercoledì 20 luglio, ore 12,30 p.m. Seguimmo il sergente. Il sole brillava in un cielo senza nubi, e la luce era così intensa che, dopo la semioscurità di casa Kenting, quasi ci abbagliò. Il cancelletto del bel cortile era socchiuso e il sergente lo aprì del tutto con una spinta del piede. — Non avanzate troppo — disse Heath, precedendoci. — Ci sono alcune impronte ai piedi della scala e dobbiamo copiarle per i calchi del capitano Jerym. — Bene, bene — sorrise Vance. — Ma spero che lei ci permetterà di avvicinarci almeno quando dovrà farlo il capitano Jerym per le sue opere d'arte! — Certo. Ma mi raccomando... Forse queste impronte sono l'indizio più prezioso che possediamo. — Oh cielo! Ma dice davvero! — esclamò Vance. — Guardi questa, signor Vance — disse Heath indicando un'impronta presso la siepe, a una trentina di centimetri dai piedi della scala. — Sono lusingatissimo di essere ammesso alla contemplazione di una traccia così importante! — disse Vance inginocchiandosi ed estraendo il monocolo per esaminare l'impronta. — È stata una fortuna per noi che sia piovuto proprio ieri pomeriggio! — commentò Heath. Vance sembrava completamente assorto nel suo esame. Dopo alcuni minuti mormorò senza voltarsi: — Piuttosto piccola questa impronta, eh? — Già — disse Heath. — Sembra fatta da un piede di donna... e con una pantofola, anche... Non c'è traccia del tacco.
— Sicuro, niente tacco... Niente tacco — assentì Vance con aria distratta. — Perfettamente... Strano... Chi sa... — Si chinò ancor più sull'impronta: — Ma non credo che si tratti di una pantofola... A meno che lei non voglia chiamare pantofole anche i sandali... — Crede, signor Vance? — Sì. È evidente. E non si tratta neppure di un sandalo comune... Un sandalo cinese, direi, di quelli con la punta rivolta un poco in su... — Un sandalo cinese? — chiese Heath quasi divertito. — Sicuro! — disse Vance stropicciandosi vigorosamente il pantalone sul ginocchio per farne scomparire una lieve traccia di terriccio... — E... per Giove! Eccone là un'altra! — esclamò fermandosi e indicando una leggera depressione nel prato proprio ai piedi della scala. — È vero. Non l'avevo vista quella — assentì Heath con maggior interesse. — Non ha importanza. È simile all'altra — disse Vance e, passando davanti al sergente, atterrò la scala con entrambe le mani. — Oh, signor Vance! — esclamò arrabbiatissimo Heath. — Adesso lascerà le sue impronte digitali sulla scala! Vance tolse per un momento le mani dalla scala e si rivolse ad Heath con un sorriso divertito: — Così, almeno, Dubois e Bellamy avranno un po' di lavoro. Giacché temo che su questa scala non si troveranno altre impronte... Per fortuna ho un alibi inattaccabile: sono sempre rimasto a casa mia insieme a Van Dine a leggere Boccaccio! Heath, soffocato dall'indignazione non riusciva a spiccicare una parola. Vance si volse di nuovo, riafferrò la scala, la sollevò da terra e la spostò un poco a destra. Poi, prima che il sergente potesse opporsi salì rapidamente gli scalini sin quasi in cima e subito ridiscese. Quando si trovò di nuovo sul prato accese un'altra sigaretta e disse: — Ho quasi paura di guardare quel che è successo... Sarebbe molto umiliante se mi fossi sbagliato... Sollevò di nuovo la scala, la spostò ancora un poco a destra e inginocchiandosi confrontò le due nuove impronte prodotte dalla scala con le due precedenti. — Molto interessante — disse, alzandosi. — Che cosa? — brontolò il sergente che ancora non poteva rassegnarsi alla disinvoltura di Vance. — Le impronte lasciate dalla scala ora, quando io ci sono salito, sono
press'a poco eguali a quelle lasciate stanotte. Capisce che cosa dimostra questo piccolo esperimento? — Ecco, a dire la verità... non vedo... — Glielo dirò io — fece Vance sedendo sopra un piolo. — Anzitutto, dimostra che, stanotte, o meglio stamattina, non ne sono discesi due uomini contemporaneamente; poiché chi si è valso della scala era una persona di scarso peso... cinquanta chilogrammi al massimo; e finalmente che il signor Kaspar Kenting non fu rapito attraverso quella finestra... È chiaro? — Non molto... — Ma ragioniamo un po', caro sergente — sospirò Vance. — Quando la scala venne disposta sotto quella finestra, tra l'alba e le sei del mattino, il terreno era molto più umido e cedevole di adesso, perché sono ormai parecchie ore che il sole brilla... No? Ora osservi bene: la scala, quando ci sono montato poco fa, ha lasciato nel terreno impronte praticamente identiche alle precedenti. Quindi... — Ma sicuro! — esclamò Heath. — Il tizio che vi è salito stanotte deve essere molto più leggero di lei, signor Vance. — Benissimo! Doveva trattarsi di una persona molto mingherlina. Se poi due persone (cioè Kaspar Kenting e il suo supposto rapitore) fossero discese da quella scala, le impronte sarebbero state addirittura profondissime, no? — Non c'è dubbio. — Deduciamo dunque che una sola persona e di corporatura modestissima si è valsa di quella scala nelle prime ore del mattino. — Bene, signor Vance, e questo dove ci conduce? — Mettendo insieme i risultati del nostro piccolo esperimento, con le impronte trovate nel prato dovremmo pensare a un cinese di piccola statura... Pura supposizione... Dobbiamo però pensare... — Già — fece Markham — si capisce. Tu pensi anche alla firma più o meno cinese del foglietto appuntato alla finestra. — Sei straordinariamente perspicace, vecchio mio. Quello era proprio il mio pensiero... Vance soffiò dalle labbra un filo di fumo azzurrino e si alzò lentamente. Fissò per un poco le piccole foglie verdi del cespuglio di ligustro che gli stava davanti poi, chinandosi, divise il folto fogliame con le mani come se cercasse qualcosa. — To'... guarda, guarda! Vance scostò ancor più il fogliame e io vidi un pettine dal dorso d'argen-
to sospeso fra due ramoscelli del ligustro. — Che c'è, Vance? — chiese Markham. Senza rispondere Vance prese il pettine e glielo mostrò. — Un pettine... un pettine da uomo, col dorso d'argento molto lavorato... Non si spaventi, sergente — disse poi rivolto a Heath — l'argento è troppo lavorato perché possa aver serbato qualche impronta. — In ogni caso, del resto, non ne troveremmo!... — Lei crede che sia il pettine di Kaspar Kenting? — Direi. Era proprio sotto la finestra del giovanotto... — Come abbiamo fatto Snitkin e io a non vederlo? — si chiese il sergente Heath scrollando le spalle un po' imbarazzato. — Niente di più spiegabile... Era molto ben nascosto tra le foglie fittissime del ligustro. Io l'ho visto solo perché un raggio vi ha battuto sopra facendolo scintillare... Certo anche chi lo ha gettato dalla finestra deve averlo cercato, ma poi il tempo stringeva e avrà rinunciato a trovarlo. Interessante, no? E fece scomparire il pettine in una tasca della giacca. — Che ne pensi, Vance, di questo nuovo fatto? — chiese Markham fissando l'amico. — Oh, non voglio pensare nulla. Sono stanco di pensare. Ritorniamo in casa. Entrando, vedemmo la signora Kenting, Kenyon Kenting e FleeI che proprio in quel momento discendevano le scale. Vance si accostò e chiese: — C'è qualcuno di loro che abbia visto prima d'ora quella scala a pioli? — Non l'avevo mai vista prima di stamattina — rispose lentamente la signora Kenting. — E neppure io — disse il cognato. — Non capisco neppure di dove possa essere uscita... A meno che non l'abbiano portata i rapitori questa notte. — Quanto a me — fece Fleel — da parecchio tempo non venivo qui... A ogni modo, anche prima non ricordo d'aver visto in giro una scala simile. — È certa, signora — chiese Vance — che la scala non fosse in casa? Non potrebbe essere rimasta per molto tempo in qualche ripostiglio, a sua insaputa? — Sono sicurissima che non c'era. L'avrei saputo. E poi, non avevamo affatto bisogno di una simile scala. — Stranissimo! — mormorò Vance. — Questa notte l'agente di servizio ha visto la scala in questo cortile, appoggiata all'acero.
— All'acero! — disse Kenyon Kenting con aria stupita. — Dunque più tardi è stata rimossa di là e messa contro il muro della casa? — Esattamente. Gli autori del colpo hanno fatto certo due viaggi stanotte! Strano, no? Vance lasciò cadere l'argomento e, toltosi di tasca il pettine ritrovato, lo porse alla signora: — A proposito, signora Kenting, è questo per caso il pettine di suo marito? La donna lo guardò, come spaventata. — Sì, sì — disse con voce appena percettibile. — È il pettine di Kaspar... Dove l'ha trovato, signor Vance? Che cosa significa ciò? — L'ho trovato nella siepe proprio sotto la finestra aperta... Ma non so ancora che cosa ciò significhi, signora Kenting. Prima che la signora potesse dire altro, Vance si rivolse rapido a Kenyon Kenting e gli disse: — Vorrei avere un breve colloquio con lei, signor Kenting. Dove possiamo andare? L'uomo si guardò intorno, sorpreso e indeciso: — Credo che quello studiolo sia il posto migliore — disse poi. Traversò l'atrio dirigendosi ad una porta vicina a quella della "camera delle gemme" e la aprì traendosi poi da parte per lasciarci entrare. La signora Kenting e il signor Fleel procedettero invece verso il salotto, al lato opposto del vestibolo. 6. Cinquantamila dollari mercoledì 20 luglio, ore 12,45 p.m. Kenyon Kenting ci seguì nello studiolo e sedette in una vasta poltrona di cuoio. Sembrava a disagio. — Sarò naturalmente lietissimo di dirvi tutto quello che so — cominciò subito. — Ma temo di potervi essere di scarso giovamento. — Questo lo vedremo — mormorò Vance che con le mani sprofondate nelle tasche guardava fuori della finestra. — Anzitutto desidereremmo sapere con precisione quali siano gli accordi finanziari esistenti tra lei e suo fratello. Se non erro quando suo padre morì lasciò a lei di disporre della intera sostanza, e Kaspar Kenting non poteva riscuotere denaro senza la sua autorizzazione.
Kenting annuì ripetutamente poi disse: — Le cose stanno così. Però Fleel fu nominato... come dire? custode del patrimonio... E posso dirle che ho sempre pagato tutte le spese di casa, e ho dato a Kaspar più denaro di quanto non sarebbe stato opportuno. — Suo fratello è un po'... spendaccione, vero? — È un dilapidatore, e appassionatissimo per il gioco — disse Kenting con risentimento. — Non fa che chiedermi denaro per i suoi debiti di gioco. Ne ho pagati moltissimi, ma talvolta debbo pure oppormi. Kaspar ha una grande facilità a mettersi nei pasticci... Beve troppo... Ha sempre costituito per noi una fonte di gravi preoccupazioni, anche per il fatto che è sposato, e dobbiamo dei riguardi a Magdalen. — E le questioni finanziarie vengono decise esclusivamente da lei? Oppure lei si consiglia col signor Fleel? Kenting diede a Vance una rapida occhiata. — Io consulto sempre il signor Fleel sulle questioni di una certa importanza riguardanti il patrimonio... Nelle cose minori, naturalmente, non è necessario. Per quanto riguarda la disposizione del denaro le nostre responsabilità sono congiunte, però debbo dire che non è mai sorta alcuna divergenza di vedute fra me e il signor Fleel che è persona ragionevolissima. Vance fumò per alcuni minuti in silenzio mentre Kenyon Kenting guardava vagamente davanti a sé; poi andò a sedersi in una poltroncina girevole davanti a un antiquato scrittoio a saracinesca. — Quando ha visto suo fratello per l'ultima volta? — chiese fissando la punta della sua sigaretta. — L'altro ieri — rispose prontamente Kenyon. — Ci vediamo, generalmente, tre volte alla settimana, o qui, o al mio ufficio in'città. Abbiamo sempre parecchie piccole cose da decidere... La situazione è tale che anche le ordinarie piccole spese di casa mi vengono sottoposte. Vance annuì, senza alzare il capo. — E... lunedì ha parlato di questioni finanziarie, con suo fratello? Kenyon Kenting mutò posizione nella poltrona, e tamburellò con le dita sui braccioli prima di rispondere. Poi disse: — Preferirei non parlare di ciò, sia perché la considero cosa strettamente personale, sia perché non vedo quale rapporto possa avere con l'attuale situazione. Vance osservò l'uomo per un momento: — Questo spetta a noi deciderlo, credo — disse poi con voce secca. — E
vorremmo proprio che lei rispondesse a tale domanda. — Naturalmente, se lo ritiene necessario... però preferirei non parlare di ciò. — Mi dispiace, signor Kenting — disse Markham col suo tono più ufficiale — ma siamo costretti a insistere. — Va bene — disse Kenyon Kenting con aria rassegnata. — Poiché è proprio necessario vi dirò che mio fratello venne lunedì a chiedermi una grossa somma, insistendo e abbandonandosi poi a manifestazioni quasi isteriche quando io rifiutai. — Disse perché tale somma gli occorreva? — chiese Vance. — Sì — rispose Kenting rabbiosamente. — La solita storia: gioco e debiti contratti per... per una donna. — Potrebbe darci qualche precisa informazione circa i debiti di gioco? — insistette Vance. — Roulette, poker... che so io? Ma specialmente cavalli. Deve grosse somme a parecchi allibratori. — Potrebbe dirci qualche nome? — No — rispose Kenting guardando Vance di sfuggita. — ...Credo però che uno di essi si chiami, press'a poco, Hanix. — Ah! Hannix? E perché suo fratello aveva tanta urgenza di pagare? — Mi disse che si trattava di gente priva di scrupoli, pericolosa... A quanto pare era stato minacciato da loro a più riprese. — Allora non si tratta di Hannix. Hannix sembra cattivo, ma non lo è... È molto furbo, ma non pericoloso... E di che natura sono gli altri debiti... quelli relativi alla misteriosa signora da lei menzionata?... Gioielli forse? — Sì, proprio così — disse annuendo con energia il signor Kenting. — Bene, bene. Tutto mi pare normalissimo in definitiva. La situazione di suo fratello non brilla certo per eccessiva originalità. Gioco, alcool, e donne avide di gioielli... Straordinariamente convenzionale, no? E... lei rifiutò di sborsare il denaro? — Per forza. La somma avrebbe seriamente sbilanciato la nostra situazione patrimoniale... E, in ogni modo, non avrei certo potuto realizzarla così di punto in bianco. Anche se avessi avuto intenzione di accontentare Kaspar, mi sarebbe stato necessario parlare con Fleel, il quale non mi avrebbe sicuramente approvato. Egli ha una doppia responsabilità, morale e legale, capisce? — Suo fratello non andò a parlar della cosa anche col signor Fleel? — Sì. Sempre, quando mi oppongo alle sue richieste, egli corre da Fleel
che è più propenso a considerarle con indulgenza... Ma questa volta la richiesta era troppo vergognosamente elevata, e anche Fleel oppose un netto rifiuto... Debbo anche dire che, secondo me, Kaspar esagerava l'entità dei suoi bisogni... Fleel ebbe la stessa impressione mia e me lo disse la mattina seguente al telefono, dimostrandosi molto adirato contro Kaspar. — La signora Kenting possiede una sostanza propria? — chiese inaspettatamente Vance. — Nulla, assolutamente nulla. Dipende in tutto e per tutto da Kaspar... E ho l'impressione che lui la privi di molte cose per aver più denaro a propria disposizione... Ho protestato parecchie volte con lui, in proposito. Ma sempre inutilmente. — Dato però quello che è accaduto stamattina — osservò Vance a questo punto — può darsi che suo fratello non avesse del tutto esagerato la sua necessità di denaro. Kenting si fece grave: — È un terribile pensiero questo, signore — disse quasi sottovoce. — Ma è quello che subito mi si è affacciato stamattina quando arrivai qui. Può immaginare quanto ne sia rimasto scosso. Vance lo guardò e gli chiese: — Che cosa intende fare, quando riceverà ulteriori istruzioni per il pagamento del riscatto? Kenting si alzò con aria profondamente turbata. — Che cosa posso fare? E mio fratello. Cercherò di raccogliere in qualche modo la somma... Non posso lasciarlo assassinare. È una situazione terribile. — Già... già... — fece Vance. — E poi c'è Magdalen... Non posso certo permettere che... Sì, è una situazione terribile... — Indubbiamente. Però — disse Vance — ho una vaga idea che nessun riscatto le verrà chiesto... A proposito, signor Kenting, lei non ci ha ancora detto quale somma le avesse chiesto suo fratello... Quale somma aveva chiesto per le sue immaginarie difficoltà? Kenting alzò il capo di scatto e fissò Vance acutamente, come non aveva ancora fatto. Poi cominciò a passeggiare nervosamente su e giù per la stanza. — Speravo che lei non mi avrebbe rivolto questa domanda... Non ho accennato di proposito alla cosa per timore di creare una erronea impressione...
— Dunque? — intervenne Markham. — Di quale somma si tratta? — La verità è... — rispose con evidente esitazione Kenting — ...che mio fratello mi chiese cinquantamila dollari... Una cosa che ha dell'incredibile, vero?... — soggiunse quasi per giustificarsi. Vance guardò attentamente un'incisione appesa sopra lo scrittoio. — Immaginavo che dovesse trattarsi di una somma simile — mormorò. — La ringraziamo moltissimo, signor Kenting... E per ora non l'annoieremo più... Desidererei soltanto sapere se la madre della signora Kenting, la signora Falloway, vive ancora nella Ca' Rossa. Kenting apparve sorpreso della domanda. — Oh sì! — rispose poi. — Occupa un appartamentino al terzo piano con suo figlio, il fratello di mia cognata. È inferma e può camminare soltanto con l'aiuto di un bastone. Raramente è in grado di scendere le scale, e non esce quasi mai di casa. — E che tipo è il figliolo? — È la più insignificante e inutile creatura che abbia mai conosciuto. Pare sempre malaticcio, e non guadagna un penny... È perfettamente contento di vivere qui con la madre, a spese dei Kenting — concluse con aria risentita il signor Kenyon. — Spiacevole situazione anche questa! — osservò Vance. — La signora Falloway e suo figlio sono al corrente di quanto è avvenuto qui stanotte? — Sì. Magdalen e io abbiamo detto loro tutto questa mattina. Non era il caso di tenerli all'oscuro. — Vorremmo avere anche noi un breve colloquio con loro... Vuole avere la bontà di accompagnarci di sopra? — Felicissimo — disse Kenting con aria di sollievo, e si avviò senz'altro verso la porta, seguito da noi. La signora Falloway era una donna sulla sessantina, molto corpulenta e, in apparenza, di una proporzionata aggressività. La sua pelle era rugosa, ma i capelli ancor quasi neri, nonostante l'età. Qualcosa di mascolino aleggiava intorno a lei; le sue mani erano grandi e ossute come quelle di un uomo e i suoi lineamenti energici e marcati, ma nello sguardo le brillava una malizia tutta femminile... La giudicai una donna dotata di una ferrea volontà, ma simpatica e leale. Quando entrammo sedeva placidamente in una poltrona posta di fronte alla vasta finestra. Indossava un antiquato abito di alpagà che le nascondeva i piedi, e uno scialle pure antiquato. Sul pavimento vicino alla poltrona
vidi un robusto bastone col manico d'oro, ricurvo. Davanti a un vecchio secrétaire sedeva un giovane magro, d'aspetto malaticcio, dai lineamenti pure molto marcati, e con capelli nerissimi che gli ricadevano sulla fronte. Non ci si poteva sbagliare nel giudicarlo figliolo della signora Falloway. Il pallido giovane teneva in mano una lente e la muoveva qua e là sopra la pagina di un album di francobolli. — Questi signori desiderano parlare con lei, signora Falloway — disse Kenyon Kenting con tono poco cordiale. (Era evidente che un sordo antagonismo esisteva fra quei due.) — Io vado da Magdalen... Se avrà ancora bisogno di me, mi troverà giù — soggiunse rivolto a Vance. Quando se ne fu andato, Vance mosse incontro alla signora con aria affabile. — Forse lei si ricorda ancora di me, signora Falloway... — cominciò. — Oh, mi ricordo benissimo, signor Vance! E sono molto lieta di rivederla! Sieda in quella poltrona e cerchi di immaginarsi che questa brutta camera sia un salotto Luigi XVI! — Qualunque camera nella quale lei si trovi, signora Falloway — disse Vance inchinandosi galantemente — diventa il più gradevole dei salotti! — Che cosa ne dice della situazione? — chiese la signora con la sua voce profonda. — Crede che davvero sia capitato qualcosa a mio genero? — Non posso ancora dirlo. Ma spero che lei potrà aiutarci — rispose Vance. Poi ci presentò alla signora che ci salutò con garbata dignità. — E questo è mio figlio Fraim — disse poi la signora Falloway indicando il magro giovanotto. Fraim Falloway si alzò, chinò il capo senza una parola e si lasciò ricadere sulla sedia. — Filatelico? — gli chiese Vance osservandolo. — Raccolgo francobolli americani — rispose Fraim senza alcuna nota di entusiasmo nella voce. — Ha udito qualche cosa lei, questa mattina? — gli domandò subito Vance. — Voglio dire: ha udito rincasare Kaspar? O è giunto al suo orecchio qualche rumore, più o meno strano, fra le tre e le sei? Fraim Falloway scrollò il capo, con aria di assoluta indifferenza. — No — disse. — Dormivo. — E lei, signora Falloway? — Ho udito Kaspar rientrare. Mi svegliò sbattendo la porta di strada... come fa sempre. Poi mi riaddormentai e non seppi più nulla sino a stamane quando Magdalen e il signor Kenyon mi raccontarono l'accaduto.
— Conosce una ragione qualunque che abbia potuto indurre qualcuno a rapire Kaspar Kenting? — No. Ma ne conosco moltissime che possono indurre a... non rapirlo!... Non è una persona troppo cara, sa? E mi dispiace molto che mia figlia lo abbia sposato... Comunque, spero che non gli sia accaduto nulla di grave. — E perché, mamma? — chiese Fraim Falloway. — Sai benissimo che ci rende tutti infelici, Magdalen compresa. Personalmente ritengo che sarebbe una bella liberazione! — Non essere vendicativo, figliolo — gli disse la madre con voce tenera; e il giovane ritornò ai suoi francobolli. — Allora, signora Falloway — fece Vance che sembrava spazientito da quel colloquio familiare — lei non è in grado di darci alcuna informazione che possa esserci utile? — No. Non so nulla, e non ho nulla da dirle — rispose la donna chiudendo la bocca con aria decisa. — In questo caso, non ci rimane che tornarcene da basso — concluse Vance. — Vorrei potervi aiutare — disse la signora Falloway con improvvisa gentilezza, alzandosi a fatica, nonostante le proteste di Vance. — Ma la mia infermità mi costringe a starmene così segregata! Camminare è un supplizio, per me... Se non sbaglio, sto diventando vecchia! Ci accompagnò zoppicando fino alla porta. Suo figlio che si era alzato, la teneva stretta per un braccio, e ci lanciava occhiate di rimprovero. — Una simpatica vecchia! — disse Vance, quando la porta si fu richiusa alle nostre spalle. — La sua mente è rimasta giovanile... Poco piacevole il giovanotto... Più ammalato della madre. Ma non lo sa. Tiroide credo. Scarsità di ormoni. Pieno d'astio contro i suoi simili in genere e suo cognato in particolare. Non mi va. — Brutto, antipatico caso! — brontolò quasi fra sé Markham, e ripiombò in un silenzio meditabondo. Non appena ci ritrovammo nell'ingresso Vance si diresse al salotto, ed entrò. La signora Kenting stava ancora seduta rigidamente sul divano a fianco del cognato che la guardava con aria rassicurante. Fleel fumava, su una poltrona, presso lo scrittoio, sforzandosi di mantenere il suo atteggiamento più ufficiale e disinvolto. Philo Vance andò a sedersi vicino al divano e disse, rivolto all'infelice signora:
— Lei ci ha detto, signora Kenting, di non essere in grado di descriverci i due uomini che alcune sere fa vennero da suo marito... Vorrei tuttavia che facesse uno sforzo per darci almeno un'idea sommaria del loro aspetto. — È strano che lei mi rivolga questa domanda! Stavo parlando proprio di ciò con Kenyon, per vedere di ricordare qualche cosa... Ecco: uno dei due era un omone... con un collo molto grosso... Aveva i capelli grigi se non erro... e forse un paio di baffetti sottili... Ma non posso davvero ricordare con precisione. Questo è l'uomo che venne due volte. — La sua descrizione, signora, corrisponde all'aspetto di un certo signore al quale appunto pensavo. E se si tratta proprio di quella persona sarebbe esatta anche la sua impressione riguardante i baffetti. — Oh... chi è, signor Vance? — chiese la signora chinandosi nervosamente in avanti. — Crede dunque di riconoscere il responsabile di questa orribile cosa? — No — disse Vance crollando il capo. — Sono spiacentissimo di non poterle dare alcuna assicurazione in proposito. Se l'uomo che venne a trovare suo marito è la persona che credo, si tratta di un inoffensivo allibratore che talvolta si lascia trasportare dall'ira verso i clienti che non pagano, ma che non farebbe male a una mosca... E dell'altro uomo che cosa può dirmi, signora? — Quasi nulla, signor Vance; l'ho appena intravisto. Ricordo solo che era molto più piccolo del compagno, e bruno... Mi pare anche di ricordare che fosse assai ben vestito... In complesso mi parve meno pericoloso dell'altro... Però, li giudicai entrambi tipi poco raccomandabili, e mi preoccupai molto per Kaspar. Vorrei poterle dire qualche cosa di più, ma davvero non so. Vance la ringraziò con un leggero inchino: — Posso benissimo comprendere il suo stato d'animo di allora e di adesso, signora Kenting. Ma non credo che alcuno di quei poco graditi visitatori abbia a che fare con la scomparsa di suo marito. Se avessero meditato un simile Colpo, non si sarebbero certo esposti così... Il secondo visitatore sarà probabilmente il proprietario di qualche casa da gioco, ed è facilmente spiegabile la sua relazione con l'allibratore... Così dicendo Vance si alzò e si rivolse a Fleel il quale aveva seguito il colloquio con molta attenzione. — Prima di andarcene, signore — gli disse — desidereremmo parlarle brevemente, nello studiolo... Penso che lei potrà illuminarci su uno o due punti. Non le spiace...?
L'avvocato si alzò vivacemente. — Sarò lietissimo di fare tutto quanto sta in me per aiutarvi — disse — ma temo assai che non potrò dirvi nulla più di quanto già sapete. 7. Gli opali neri mercoledì 20 luglio, ore 1,15 p.m. Nello studiolo, Fleel sedette con disinvoltura aspettando che Vance o Markham lo interrogassero. Avevo l'impressione che fosse in grado di fornire particolari accurati ed esatti meglio di qualunque altro membro della famiglia; ma Vance lo interrogò solo brevemente, e non su argomenti intorno ai quali, secondo me, avrebbe potuto offrirci informazioni e suggerimenti preziosi. — Il signor Kenting ci ha detto — cominciò Vance — che suo fratello gli chiese recentemente una grossa somma di denaro e che dopo il rifiuto ottenutone, si rivolse a lei come co-esecutore testamentario del padre. — Verissimo — rispose Fleel togliendosi il sigaro di bocca e palpeggiandolo. — Anch'io risposi con un rifiuto. Anzitutto perché non prestai molta fede alla storia che Kaspar Kenting mi raccontò: troppe volte ha gridato "Al lupo!". Ormai sono diventato scettico, in proposito. Inoltre, solo poche settimane fa il signor Kenyon e io avevamo acconsentito a versargli una forte somma, diecimila dollari, per essere precisi, per trarlo da analoghe difficoltà... Lo facemmo, come già altre volte, più per riguardo a sua moglie che a lui. Ma, disgraziatamente, lei non trasse mai alcun beneficio dalle concessioni finanziarie fatte a suo marito. — Kaspar Kenting venne da lei personalmente? — No. Mi telefonò... Francamente, io non gli chiesi molti particolari, e lo trattai piuttosto male. Kaspar è stato un vero guaio per gli amministratori del patrimonio... — Ora però — fece Vance — immagino che lei e il signor Kenyon farebbero di tutto per toglierlo dai pericoli... e sarebbero disposti a pagare anche la somma richiesta per il riscatto, no? — Mi pare che non ci sia altro da fare, purtroppo — disse Fleel senza entusiasmo. — Naturalmente non so se questo rapimento sia autentico o no... Ma certo, è sempre un affaraccio... — Indubbiamente — assentì Vance. — E... a proposito, la signora Kenting ci disse che Kaspar parlò con tono molto adirato al telefono, nelle
prime ore del mattino... Parlava forse con lei? — Ma sicuro! Mi svegliò, poco dopo le tre, con una chiamata e si mise ad ingiuriarmi quando rifiutai di tornare sulla decisione presa. Mi disse che io e Kenyon avremmo rimpianto la nostra tirchieria, dalla quale sarebbe derivato certo qualche guaio serio. Sembrava fuori di sé, ma io non lo presi sul serio perché altre volte si era comportato così... Invece a quanto pare diceva proprio la verità, stavolta... Chissà! Forse avremmo dovuto renderci esatto conto della situazione, Kenyon e io, prima di prendere un atteggiamento definitivo... — No, no — mormorò Vance — ciò non sarebbe servito a nulla, credo... Ciò che è accaduto stava maturando da tempo... Ci sono troppi elementi contrastanti e... a proposito, signor Fleel, quale somma le chiese Kaspar Kenting? — Una somma troppo forte per essere presa in considerazione: trentamila dollari! — Trentamila! Molto interessante! — disse Vance alzandosi. — E per il momento, signor Fleel, non abbiamo altro da chiederle. La ringraziamo molto della sua cortesia e ci permetteremo di disturbarla ancora se interverrà qualche fatto nuovo... — Potete sempre trovarmi al mio ufficio durante il giorno, e a casa mia la sera — rispose Fleel alzandosi a sua volta e inchinandosi rigidamente. Poi porse a Philo Vance un biglietto da visita. — Qui ci sono i numeri dei miei telefoni... Io mi fermo ancora un poco con la signora Kenting e con Kenyon. Quando fu uscito Markham chiese a Vance: — Che ne dici di quel divario circa la cifra richiesta da Kaspar Kenting — Ma! Può darsi che il giovane, visto fallito il suo tentativo col fratello abbia ridotto la cifra con Fleel sperando in un migliore risultato... Curioso però che abbia chiesto a Kenyon proprio cinquantamila dollari... Chi sa se... Be'! ma vediamo un po' il maggiordomo prima di andarcene... Vance si avvicinò alla porta e l'aprì. Appena fuori di essa stava Weem un Po' curvo in avanti come se stesse origliando. Non parve affatto turbato: anzi ci guardò in malo modo e fece per andarsene. — Ohilà, Weem! — gli gridò Vance con un sorriso divertito. — Entrate un momento. Potrete sentire meglio! E poi voglio farvi un paio di domande. L'uomo ritornò sui suoi passi, ed entrò nello studiolo con espressione aggrottata, senza guardare in faccia nessuno.
— Da quanto tempo siete al servizio dei Kenting? — Quasi tre anni. — Tre anni... Bene. E avete qualche idea su quanto è accaduto qui questa notte? — Nossignore, nessuna — rispose Weem, sempre fissando nel vuoto i suoi occhi acquosi. — Ma niente potrebbe sorprendermi in questa casa. Sono in troppi ad averne abbastanza del signor Kaspar. — E voi siete tra quelli? — Io sarei ben felice di non rivederlo più — fu la pronta e rabbiosa risposta. — E chi ancora la pensa allo stesso modo? — La signora e il signorino Falloway non gli sono certo affezionati... e credo che anche la signora Kenting ne sia stufa. Lei e il signor Kenyon sono ottimi amici... mentre tra i fratelli non corre buon sangue... È un tipo un po' difficile, da viverci insieme, il signor Kaspar... e piuttosto irragionevole... Non pensa che anche gli altri abbiano qualche diritto... È capace di picchiare sua moglie quando ha alzato il gomito... — Basta così — interruppe seccamente Vance. — Voi siete una linguaccia, Weem. Gli volse le spalle con aria disgustata, e il domestico se ne andò come se nulla fosse. — Andiamo, Markham, andiamo a prendere una boccata d'aria... Non mi piace l'atmosfera di questa casa, non mi piace proprio... — Io direi che prima... — cominciò Markham. — No, amico, credimi — lo interruppe Vance. — La sola cosa che ci resta da fare è attendere che i nostri cospiratori muovano un altro passo. Presto capiterà qualcosa, Markham. Una mossa sapientemente calcolata, scommetto. Pazienza, caro! Pazienza e placidità. Indifferenza, ecco il nostro motto. Lascia che gli amiconi muovano la prima pedina. Imita la montagna: Maometto verrà da te... — Tu parli di "cospiratori" e di "amiconi", Vance, sempre al plurale. Credi dunque che più persone siano implicate in questo caso? — Certamente, visto che una persona non può trovarsi contemporaneamente in diversi luoghi. Un individuo attirò il nostro giovane fuori di casa, un altro, o più probabilmente due, lo aspettarono al luogo stabilito; poi forse ci fu un altro ancora che si incaricò della piccola messa in scena nella camera. .. ma di ciò non sono sicuro, perché uno qualunque dei precedenti potrebbe benissimo essersi incaricato della faccenda...
— Pensi ai due uomini in auto visti da Mac Langhlin stamattina? — Sì. Ma nessuno di quei due era mingherlino, e sono quindi incline a credere che l'uomo dai sandali cinesi sia stato un altro: quattro in tutto, dunque. — Ma allora, tutto sommato, si tratta di un complotto per rapimento, come s'era pensato al principio. — Non posso escluderlo in senso assoluto... Ma sebbene parecchie persone abbiano certo "lavorato" d'accordo, la mente direttiva è stata una sola... La persona che ha architettato l'impresa deve essere necessariamente molto ben edotta della situazione e delle abitudini dei Kenting. Ora, non credo che la Ca' Rossa sia in diretti rapporti con una banda di gangster... — Ammettendo che tu abbia ragione, Vance, per quale motivo avrebbe fatto ciò? — Denaro, amico. Qualcuno ha immediato bisogno della somma indicata nel biglietto fatidico... Una banda di gangster organizzati non avrebbe indicato l'ammontare del riscatto preteso, se non dopo opportuni negoziati. Se eliminiamo la probabilità che Kaspar sia l'autore del complotto siamo costretti considerare il crimine sotto una luce speciale, e a ritenere che sia stato ispirato da una disperata e immediata necessità di denaro. — Questa volta non mi sento molto certo che tu abbia ragione, Vance — disse Markham. — Neppure io, caro, neppure io! Ma, per ora, andiamocene. Qualche minuto dopo filavano, nell'automobile del procuratore distrettuale, verso Central Park. Giunti davanti all'albergo Nottingham, Vance fece cenno all'autista di fermarsi. — Io credo, Markham, che sarebbe molto opportuna una visitina al misterioso signor Quaggy, che occupa un appartamentino ammobiliato qui. Date le sue abitudini notturne, ritengo che debba essere in casa... Vorrei però che il portiere facesse a meno di annunciargli la nostra visita... Forse lei, Heath, potrà occuparsi di ciò... Spero non avrà dimenticato a casa il suo bel distintivo dorato... Heath sogghignò. — Lasci fare a me, signor Vance. Non è la prima volta che mi trovo in simili circostanze... Non incontrammo infatti nessuna difficoltà nel farci comunicare il numero dell'appartamento del signor Quaggy e nel farci portar su in ascensore senza essere annunciati. In risposta alla nostra scampanellata venne ad aprirci una negra di vaste
proporzioni in grembiule e col capo fasciato da una vecchia calza. — Dobbiamo parlare col signor Quaggy — disse Heath coi suoi modi più bruschi. La negra apparve spaventata. — Non credo che il signor Quaggy... — cominciò con voce tremante. — Non c'importa nulla di quello che voi credete. C'è il vostro padrone, o non c'è? Polizia... — disse Heath mostrando il distintivo. — Sissignore, c'è, sissignore — rispose la negra, completamente addomesticata, questa volta. — È in salotto. Heath si avviò senz'altro verso l'uscio indicato dalla domestica, e noi lo seguimmo. La camera nella quale entrammo era arredata col lusso un po' convenzionale degli appartamentini ammobiliati d'albergo di categoria signorile. Una libreria a vetri piena di libri dalle copertine variopinte, un pianoforte, poltrone imbottite, un caminetto, un piccolo mobile-bar, lampade. Nella parete di fronte a noi due ampie finestre verso strada, con tendaggi di velluto. Quando entrammo, un uomo di circa quarant'anni dal volto pallido e stanco si alzò con aria sorpresa e risentita al tempo stesso. I suoi lineamenti erano belli e fini, ma l'occhio rosso e gonfio, l'espressione tesa e nervosa ne facevano il vero tipo del giocatore inveterato. Era ancora in abito da sera; la sua bianchezza era molto sciupata e le scarpe di vernice recavano tracce di fango secco. Prima che potesse aprir bocca, Vance gli si rivolse cortesemente: — Perdoni la nostra intrusione. Lei è il signor Porter Quaggy, vero? L'uomo lo fissò freddamente. — E con ciò? Non capisco perché voi... — Un momento, signore... — Vance presentò se stesso e noi, poi continuò: — Noi veniamo da casa Kenting... È successa una disgrazia, nelle prime ore del mattino, e la signora Kenting ci ha detto che Kaspar Kenting era uscito con lei, ieri sera... — È successo qualche cosa a Kaspar? — chiese Quaggy stringendo gli occhi; poi, allungando un braccio verso il piccolo bar, si versò un abbondante whisky. — Di ciò parleremo in seguito — rispose Vance. — Ora ci dica: a che ora ritornarono a casa, ieri notte, lei e il signor Kaspar? — Chi ha detto che siamo tornati a casa insieme? — Evidentemente l'uomo stava molto in guardia. — Sappiamo dalla signora Kenting che suo marito si recò con lei all'a-
pertura del casinò di Jersey e che il signor Kenting rincasò verso le tre del mattino. È così? Quaggy esitò: — E se così fosse, che ci sarebbe da ridire? — chiese poi. — Nulla... assolutamente nulla. Siamo semplicemente in cerca di informazioni... Vedo che lei è ancora in abito da sera e che le sue scarpe sono infangate... Poiché da ieri non è piovuto, debbo concludere che lei sia rimasto alzato tutta la notte? — Non è forse nei miei diritti? — brontolò l'altro. — Senta, signor Quaggy — interruppe Markham seccato. — Sarebbe molto meglio che lei rispondesse con un altro tono. Noi stiamo compiendo un'inchiesta intorno a un delitto e non abbiamo tempo da perdere. Se lei teme di compromettersi con le sue risposte ha il diritto di comunicare col suo avvocato. — All'inferno gli avvocati! — proruppe Quaggy. — Non ne ho bisogno. Non ho nulla da temere, io, e posso rispondere da me. Sì, ieri mi sono recato con Kaspar al nuovo casinò e, come ha detto la signora Kenting, siamo ritornati verso le tre del mattino... — Lei arrivò col signor Kenting sino alla Ca' Rossa? — chiese Vance. — No. Il nostro taxi venne da Central Park, e io scesi qui, davanti a casa mia... Kaspar mi aveva pregato di accompagnarlo, e di tenergli compagnia per la notte, dicendo di essere molto preoccupato... Io pensai che fosse un po' brillo e non gli diedi ascolto, ma quando se ne fu andato cominciai a ripensarci: lui si metteva sempre nei pasticci... e un'ora dopo, circa, mi spinsi fino a casa sua. Tutto sembrava tranquillo. C'era la luce accesa in camera di Kaspar, e pensai che non si fosse ancora coricato... Decisi di non disturbare e me ne tornai sui miei passi. — Non è entrato per caso nel cortiletto — chiese Vance. — Varcai appena il cancello — rispose l'altro. — La finestra della camera di Kaspar era aperta o chiusa? E la persiana era alzata? — Non so se la finestra fosse chiusa o aperta. Ma certo la persiana era abbassata, perché ricordo la luce attraverso le liste di legno. — E non vide una scala a pioli, nel cortile? — Una scala a pioli? No, che ci sarebbe stata a fare? — Si fermò a lungo, lei, nel cortile? — No. Ritornai subito a casa, e mi preparai da bere. — Però, a quanto vedo, non andò a letto.
— In verità — rispose Quaggy freddamente — cominciai ad almanaccare intorno a Kaspar. Era di un umore infernale ieri sera... Non l'avevo mai visto così... Mi aspettavo, quasi, che stesse per capitargli qualcosa. Ecco perché avevo fatto quella spedizione fino a casa sua. — La sua preoccupazione riguardava solo il signor Kaspar? — chiese Philo Vance fissandolo. — So che lei è un grande amico di famiglia, molto apprezzato dalla signora Kenting. — Felicissimo di saperlo — rispose Quaggy guardando a sua volta Vance. — Madgalen è una donna squisita e per nulla al mondo vorrei che le accadesse qualche cosa di spiacevole. — Grazie dell'informazione — mormorò Vance. — Capisco benissimo il suo pensiero... Comunque il suo presentimento di ieri notte era esatto: qualcosa è capitato al giovanotto, e la signora Kenting è terribilmente angosciata... — Ma... Kaspar però, nulla di grave spero? — Non lo sappiamo ancora. Il fatto è, signor Quaggy, che il suo compagno di ieri sera è scomparso, e i primi superficiali indizi fanno pensare a un rapimento. — Accidenti! — Quaggy dimostrava molta padronanza di sé, e la sua espressione non mutò. — Ma sicuro! — disse Vance, con indifferenza. Ancora una volta l'uomo si avvicinò al piccolo bar e si versò un'altra porzione di whisky. — E quando è accaduta la cosa? — domandò fra un sorso e l'altro. — Questa mattina di buon'ora — rispose Vance. — Ecco perché siamo qui. Speravamo che lei potesse darci qualche idea. — Spiacentissimo di non poter esservi d'aiuto — disse Quaggy deponendo il bicchiere. — Vi ho detto tutto quello che so. — Molto gentile da parte sua... Forse avremo ancora bisogno di parlare con lei... — Benissimo. Sempre a vostra disposizione. Ma sarà perfettamente inutile, perché tutto ciò che sapevo ve l'ho detto. — Potrebbe darsi che a mente riposata lei ricordi qualche altro particolare... — Se vuol dire a mente lucida, lo dica pure. — Oh no, no, signor Quaggy. Io la ritengo un uomo troppo cauto e avveduto per concedersi il discutibile lusso dell'alcool... Una mente lucida è un requisito essenziale per un calcolatore...
Nell'andarsene Vance si fermò un momento davanti a un piccolo scrittoio, vicino alla porta, e si incastrò rapidamente il monocolo nell'orbita. Al centro dello scrittoio sopra un cartoncino stava una perfetta coppia di pietre scure, due bellissimi opali neri. Quando ci trovammo nuovamente in macchina, Markham dopo un paio di minuti dedicati all'accensione e all'avvio del suo sigaro disse: — Troppi fattori sembrano contraddire la tua teoria, Vance. Se l'affare fu complottato con tanta cautela, come mai Kaspar poteva avere il presentimento che qualcosa di brutto stesse per capitargli? — Presentimento? Dopo le minacce di Hannix e di quell'altro tipo, che egli deve aver preso molto sul serio, Kaspar sarà stato semplicemente nervoso e impaurito... Di qui il desiderio di compagnia e di distrazione... — Cosicché tu continui a credere che le sue inquietudini non avessero nulla a che fare con quel che è successo poi? — Ma certamente! Perché non dovrebbe essere così? Non vedo proprio perché le reazioni psicologiche del giovane Kenting dovrebbero avere un motivo diverso... A proposito, Markham, ho visto due splendidi opali neri sulla scrivania di Quaggy... — Ma che c'entra questo... — cominciò Markham; poi subito un lampo di comprensione gli passò nello sguardo: — Credi che provengano dalla collezione Kenting. — È possibile. La collezione era molto povera in fatto di opali... E quelli che ho visti da Quaggy erano certo tra i più belli... — Ciò viene a complicare le cose in un altro senso ancora. Come credi che quelle pietre siano venute in possesso di Quaggy? Vance scrollò le spalle: — E chi lo sa? È una domanda che potremo rivolgere all'interessato un giorno o l'altro. Poi continuammo la nostra corsa in silenzio. 8. Ultimatum giovedì 21 luglio, ore 10 a.m. La mattina seguente, poco prima delle dieci, Markham telefonò a casa di Vance. Risposi io alla chiamata. — Dica a Vance che ritengo opportuno che venga subito qui, al mio ufficio — fu la perentoria ambasciata del procuratore distrettuale. — C'è qui
Fleel e lo tratterrò sino al suo arrivo. Ripetei il messaggio a Vance mentre ancora tenevo il ricevitore all'orecchio ed egli fece un cenno di assenso. Pochi minuti dopo, mentre uscivamo di casa, Vance mi disse con insolita gravità: — Van, temo che ciò sia già accaduto... Non me l'aspettavo così presto. Ero convinto che dovessero trascorrere almeno un paio di giorni prima di una nuova mossa... Comunque, tra poco sapremo. Mezz'ora dopo giungemmo all'ufficio del procuratore distrettuale, nel vecchio Palazzo di Giustizia. Vance non passò dalla camera del segretario, ma entrò direttamente, da una porticina privata, nello spazioso studio di Markham. Markham era seduto al suo scrittoio con espressione molto turbata e davanti a lui, su un'ampia poltrona, stava Fleel. Dopo un rapido saluto Markham disse: — Le "istruzioni" annunciate sono giunte. Il signor Fleel ha trovato un biglietto, tra la sua posta di stamattina, e me lo ha subito portato. Io non so quale consiglio dargli, ma poiché mi sembra che tu abbia qualche particolare idea intorno a questo caso, ritengo opportuno metterti subito a conoscenza del messaggio. Evidentemente bisogna fare qualcosa e senza perdere tempo. Prese un foglietto dalla scrivania e lo porse a Vance. Si trattava di una pagina di blocco-notes, rigata e piegata in due. Carta molto ordinaria, scrittura a matita, evidentemente alterata. Metà delle lettere erano a stampatello, e, mentre osservavo il messaggio al di sopra della spalla di Vance non seppi decidere se esso provenisse veramente da una persona ignorante, o fosse stato compilato per dare a bella posta una simile impressione. — Vorrei vedere anche la busta — disse Vance. — È molto importante. Markham gli porse una busta affrancata e timbrata, di qualità non migliore del foglio. Era stata aperta molto accuratamente con un tagliacarte. Il timbro diceva che la missiva era stata imbucata alle cinque del pomeriggio all'ufficio postale di Westchester. — E dove si trova questo ufficio? — Ho subito guardato, non appena il signor Fleel mi ebbe mostrato la lettera — disse Markham. — È giù, verso il Bronx. — Molto interessante. Proprio dal lato opposto della città... E quale distretto serve quell'ufficio?
Markham consultò un elenco. — Un territorio vastissimo, tra i fiumi Bronx e Hutchinson... Territorio in gran parte desolato... Praticamente impossibile rintracciare qualcuno sui dati di un timbro postale. Vance spiegò il foglietto e lesse. Diceva: Signore, so che lei e familia anno danari e se 50 mila dollari non disponete nel buco di una quercia a 60 metri vest angholo meridionale parco Cientrale giovedì undici sera ucideremo Gasper Kentin. Niente discusione. Se avertite Polisia sapremo. Sorveglamo ogni vostra mossa. Anche questo messaggio, come il precedente, era firmato con due quadrati uniti a un angolo e tracciati col pennello. — Niente di più originale che nella prima comunicazione — commentò Vance. — Dirò che l'autore di questa minacciosa epistola non è tanto incolto come vorrebbe farci credere... Guardò il signor Fleel che lo stava osservando attentamente e gli chiese: — Quali sono le sue idee sulla situazione, signor Fleel? — Personalmente — rispose il legale — io propendo a lasciar decidere ogni cosa al signor Markham e ai suoi consiglieri. Io non saprei che cosa dire o suggerire. La somma richiesta non è possibile realizzarla sul solo patrimonio Kenting che consiste per la maggior parte in valori vincolati a lunga scadenza... Però sono convinto che il signor Kenyon Kenting saprà, se tale è la sua intenzione, provvedere in altro modo. Ma naturalmente, la decisione spetta a lui solo. — Egli è già al corrente di questa lettera? — chiese Vance. — Non ancora — rispose Fleel scrollando il capo. — La ho portata immediatamente al signor Markham. Ritengo però che Kenyon debba esserne avvertito ed avevo anzi intenzione di recarmi alla Ca' Rossa, uscendo di qui, per comunicargli il nuovo fatto intervenuto. Lui non è in ufficio, questa mattina, e credo si trovi presso la signora Kenting. Non farò nulla, comunque, senza il consenso del signor Markham. E guardò il procuratore come per chiedergli una risposta. Markham, che si era alzato, guardava fuori dalla finestra, con le mani strette dietro la schiena e un sigaro spento fra le labbra. Dopo qualche istante si volse, tornò a sedersi, e disse: — Io credo, signor Fleel, che lei debba recarsi senza indugio dal signor
Kenyon Kenting e dirgli esattamente come stanno le cose. — Sono lieto che lei sia di questo parere, signor Markham — disse Fleel — poiché anche io la penso allo stesso modo. Lui solo può e deve decidere qualcosa rispetto al denaro. Si alzò e si avviò gravemente verso la porta. — D'accordo — mormorò Vance. — Vorrei però pregarla, signor Fleel, di fermarsi in casa Kenting sino al nostro arrivo. La raggiungeremo tra breve. — Aspetterò — disse Fleel, e uscì. Vance si accomodò meglio nella poltrona, stese le lunghe gambe dinanzi a sé, e guardò meditabondo, fuori dalla finestra. — Be', Vance, che ne pensi? — gli chiese Markham dopo un po'. — Penso tante cose che non saprei neppure enumerarle. E forse tutte inutili! — Per essere più preciso — insisté Markham dominando la sua irritazione — che ne pensi di quel messaggio? — Autentico, autenticissimo! Non v'è dubbio che il denaro sia fortemente desiderato... Non mi aspettavo però tanta precipitazione. Bisogna far qualcosa, subito. — Non ti sembrano un po' vaghe quelle istruzioni? — No, Markham. Sono molto esplicite, invece. Conosco benissimo quell'albero. Gli innamorati romantici se ne servono per i loro dolci biglietti. Un luogo tranquillo. Tutte le vie d'accesso scoperte... Questo non vuol dire che la polizia non possa sorvegliarlo... Mah! Markham tacque a lungo, fumando nervosamente, poi disse: — Avrei fatto meglio a lavarmene le mani, di questa storia. Stamane i giornali sono pieni di rimproveri per il nostro riserbo. E non so da che parte incominciare! — Non scoraggiamoci, vecchio amico! La cosa è accaduta solo ieri! — Ma debbo pur prendere qualche provvedimento! Il biglietto di oggi cambia tutta la situazione... — Che, che! Non cambia nulla. È proprio quello che aspettavo. — Bene! E adesso che è arrivato, che cosa intendi fare? — Andarmene alla Ca' Rossa. Non sono un tipo telepatico, ma sento che laggiù troveremo indicazioni per la nostra prossima attività. — Se la pensi così, perché non siamo andati con Fleel? — Soltanto per dargli tempo di recar la notizia laggiù e di discutere la situazione col fratello di Kaspar. È bene che tutti conoscano i particolari del
caso. Faremo più presto, così. — Pensi forse che Kenyon cercherà di procurarsi il denaro per rispondere a quella minacciosa richiesta? — È possibilissimo. E credo anche che pregherà la polizia di lasciargli mano libera. Comunque, è tempo che andiamo ad accertarcene. Ti senti di venire, Markham? — La macchina ci aspetta giù — rispose semplicemente il procuratore distrettuale. 9. Decisioni giovedì 21 luglio, ore 11,15 a.m. Alla Ca' Rossa trovammo Kenyon Kenting, Fleel, il giovane Falloway e Porter Quaggy radunati in salotto. Tutti ci accolsero col riserbo e la solennità intonati all'occasione. — Hanno portato il messaggio con loro, signori? — chiese subito vivamente Kenyon. — Fleel me ne ha riferito il testo, ma desidererei ugualmente vedere quel foglio. Vance annuì e si tolse di tasca la paginetta, deponendola sullo scrittoio. — È del solito tipo — disse. — Non credo che lei potrà trovarci qualcosa di più di quanto le ha riferito il signor Fleel. Kenting, senza una parola, attraversò in fretta la camera, tolse il biglietto dalla busta, lo spiegò sul piano verde della scrivania, e lo lesse. — Che cosa pensa di fare? — gli chiese Markham. — Io personalmente direi di non esaudire subito la richiesta. Kenting scrollò il capo con fare turbato, poi disse: — Mi sentirei egoista e colpevole se agissi in modo diverso... Se dovessi non esaudire la richiesta e poi... capitasse davvero qualche cosa a Kaspar... — Si interruppe, e si appoggiò alla scrivania guardando tristemente al suolo. — Non so però ancora come mi sarà possibile raccogliere una simile somma, e in così breve tempo... Anche se ci riuscirò, sarà una vera rovina... — Io posso contribuire in una certa misura — disse seccamente Quaggy, ch'era seduto in un angolo piuttosto oscuro. — Anch'io vorrei poter fare qualcosa — disse Fleel. — Ma, come sa, la mia sostanza personale è ormai ridotta a zero, e come curatore del patrimonio Kenting non posso prelevare una somma simile, e per un simile scopo,
se non dietro autorizzazione del tribunale: autorizzazione impossibile ad ottenersi entro così breve tempo. Fraim Falloway stava in piedi appoggiato al muro e ascoltava attentamente con una sigaretta fra le grosse e pallide labbra. — E perché non lasciate che le cose vadano per il loro verso — suggerì con malignità. — Secondo me non val proprio la pena di spendere dei quattrini per Kaspar... E poi, chi vi assicura che gli salvereste la vita, in ogni modo? — Taci, Fraim! — lo redarguì Kenting. — Nessuno ha chiesto il tuo parere. Il giovane Falloway scrollò le spalle con aria di indifferenza. La cenere della sigaretta gli cadde sul modesto abito nero, ma lui non si curò di toglierla. — Senta, signor Fleel — chiese Vance — quale verrebbe a essere precisamente la situazione finanziaria della signora Kenting nell'ipotesi che Kaspar Kenting dovesse morire? Chi beneficerebbe della sua... voglio dire a chi andrebbe il patrimonio di Kaspar? — A sua moglie — rispose Fleel. — Benché quando Karl Kenting morì, Kaspar non fosse ancora sposato, il testamento stipula chiaramente che qualora Kaspar si fosse ammogliato e fosse premorto alla moglie, quest'ultima avrebbe dovuto essere l'erede. — Sicuro! — interloquì con tono irato Fraim Falloway. — Tutto andrebbe a mia sorella, e senza tante storie. Kaspar non si è mai condotto bene con Magdalen, e sarebbe ora che anche lei potesse avere qualcosa di buono. Ecco perché dichiaro che è una vera sciocchezza buttare tutto quel denaro per riavere Kaspar. Nessuno qui lo valuta un quattrino, se dobbiamo proprio dire la verità. — Mite e caritatevole punto di vista! — osservò Vance. — Suppongo che sua sorella debba essere molto indulgente con lei, vero? Fu Kenyon Kenting che rispose: — È proprio così, signor Vance... Farebbe qualunque sacrificio per suo fratello e per sua madre... È naturalissimo, del resto. Però, Kaspar è mio fratello, e io sono deciso a tentare ogni cosa per la sua salvezza, dovessi buttarci fin l'ultimo centesimo... Vorrei però che la polizia rimanesse completamente estranea alla cosa, sino a che io non abbia constatato a che possano approdare i miei passi... Guardò Markham come per scusarsi, poi soggiunse: — Ho discusso la questione col signor Fleel proprio prima del loro arri-
vo... E a entrambi è apparsa evidente l'opportunità che la polizia mi dia via libera per seguire a puntino le istruzioni ricevute... Perché se è vero che i rapitori spiano le mie mosse, qualora sospettassero un mio accordo con la polizia non agirebbero, e Kaspar continuerebbe a rimanere in loro balia. Markham assentì. — Comprendo benissimo il suo punto di vista, signor Kenting... Spetta a lei solo decidere: e, se tale è il suo desiderio, la polizia se ne laverà le mani. Fleel approvò le parole di Markham: — Se Kenyon — disse — è in grado di mettere insieme la somma richiesta, mi sembra che questa sia la soluzione migliore... anche se discutibile sotto certi aspetti... Ma, e in questo credo saremo tutti d'accordo, per il momento la considerazione essenziale è la salvezza di Kaspar. Philo Vance, in apparenza, non aveva prestato alcuna attenzione a questo breve dialogo: ma, dal moto deciso della sua mano quando si portava la sigaretta alle labbra, io capivo benissimo che non una sillaba di quanto si era detto gli era sfuggita. A questo punto infatti si alzò e disse con un accento stranamente deciso: — Io penso che loro signori siano in errore entrambi e sono contrario all'idea di una rinuncia anche temporanea della polizia all'azione... Ciò significherebbe prestarsi a una bricconata. Di più, credo che le allusioni alla polizia fatte sul biglietto siano un semplice tentativo di intimidazione. Non vedo dunque perché la polizia non dovrebbe, con tutta discrezione, seguire lo svolgimento della cosa. La voce di Vance era ferma, e il tono delle sue parole costituiva di per sé un rimprovero per Kenting e per Fleel. Markham rimase in silenzio, certo giudicando, come me, che Vance doveva aver parlato così per un motivo ben definito. Quanto a Kenting era evidentemente scosso; e anche Fleel pareva spinto a considerare le cose in altro modo. — Forse ha ragione lei, signor Vance — ammise finalmente Kenting, esitando. — Ora che ci ripenso, sono incline a seguire il suo suggerimento. — Siete una massa di cretini — disse a denti stretti Falloway. Poi si chinò in avanti e proruppe: — Kaspar, Kaspar, Kaspar, sempre lui! Non è utile a nessuno, e tutti non pensano che a Kaspar! — Taci, sciocco! — gli ordinò Kenting. — Che stai a fare qui? Vattene in camera tua! Falloway sogghignò e, senza rispondere, traversò la camera e si lasciò cadere in una poltrona.
— E allora, signori, che hanno deciso? — chiese, calmo Markham. — Vogliono pagare il riscatto senz'altro, e ritengono opportuno un'azione concomitante della polizia? Kenting respirò profondamente e disse: — Ora debbo andarmene in ufficio per cercare di raccogliere la somma. — Poi si volse a Markham: — E la polizia agisca intanto come ritiene più opportuno. Detto questo lanciò un rapido sguardo interrogativo a Fleel. — Mi dispiace, Kenyon, ma in ciò non posso consigliarla — disse l'avvocato. — È una strana situazione troppo delicata... Ritengo opportuno lasciar fare al signor Markham... Se posso poi esserle di aiuto... — Mi terrò in comunicazione con lei, Fleel, senz'altro... E grazie anche a lei, Quaggy, per la sua bontà... Spero di poter fronteggiare la situazione senza ricorrere ad altri, ma apprezzo molto la sua generosa offerta... — Sino alle cinque del pomeriggio — interloquì Markham con una certa impazienza — sarò in ufficio. Aspetto comunicazioni da lei prima di quell'ora, signor Kenting. — Oh, non mancherò certo! — disse Kenting con una risatina priva d'allegria. — E possibilmente verrò di persona. — E uscì. Fleel lo seguì poco dopo, mentre Falloway se ne rimaneva sogghignando vicino alla finestra. Quaggy si alzò e disse a Markham: — Io rimarrò un poco con la signora Kenting. — Certo, certo — intervenne Vance. — Ha bisogno di un po' di conforto. — Si avvicinò alla scrivania, riprese il foglietto del messaggio, lo rimise nella sua busta e se lo fece scivolare in tasca. Poi uscimmo nell'afoso pomeriggio. Quando fummo di ritorno nello studio del procuratore distrettuale, Markham mandò immediatamente a chiamare Heath e, non appena questi fu arrivato, lo mise al corrente della situazione e gli fece leggere il messaggio. — Io, per conto mio, non darei loro neppure il becco di un quattrino — commentò il sergente. — Ma se quel Kenting insiste, lasciamolo fare. Minore responsabilità... — Giusto — fece Markham. — E voi, Heath, conoscete quell'albero a cui il biglietto allude? — Altro che! — rispose Heath. — L'ho visto tante volte... È disposto in modo che l'occhio vi cade per forza dagli sbocchi di parecchie vie.
— E credete possibile sorvegliarlo, efficacemente, nel caso che il signor Kenting metta in atto il suo proposito di depositare la somma? — Lasci fare a me, capo! Ci sono mille modi. Possiamo disporre dei riflettori nelle case della 5a Strada e illuminarlo, quando sia il momento, come in pieno giorno. Qualcuno dei ragazzi potrà nascondersi in taxi, e magari tra i rami dell'albero stesso... Sarà un gioco impadronirsi dell'individuo che verrà a prendere i quattrini. — O non sarebbe meglio invece — obiettò Markham — lasciar perdere il denaro? Se mantengono la loro parola il giovane Kenting sarebbe salvo senz'altro... — Mantenere la parola! Oh, capo, non conosce forse quella gente? Quando mai lo hanno fatto? Lasci che ne prendiamo uno e penseremo noi a lavorarlo in modo che sputi tutto... Così risparmieremo il denaro, riavremo quel buono a nulla di un Kenting e metteremo la mano su quei galantuomini in un colpo solo. Vance sorrise nell'udire quell'ottimistica profezia. — Ho paura, sergente — gli disse — che lei subirà una grave delusione. Il caso non è così semplice come crede... Potrà magari metter la mano su qualcuno, ma dubito assai che riesca a incolparlo di rapimento... Quella scorretta missiva non va presa troppo sul serio. Ho idea che sia stata studiata per spingerci sopra una pista falsa... Comunque l'esperimento può riuscire interessante... Anzi sarei contento di potervi partecipare anch'io. — Le piace arrampicarsi sugli alberi, signor Vance? — chiese Heath. — Enormemente. Ma bisogna che cambi d'abito. — Nessuna obiezione da parte mia, signor Vance. C'è tutto il tempo. (Io sapevo che il sergente era felicissimo di poter contare su Vance nella posizione strategica perché, nonostante le punzecchiature che Vance cordialmente gli infliggeva, Heath nutriva verso di lui una grande ammirazione, un profondo affetto, e un'illimitata fiducia.) — Benone, allora. E che abito mi consiglia? — Calzoncini corti — ribatté Heath. — Ma di un colore piuttosto scuro. — Poi si rivolse a Markham: — Quando conosceremo la decisione finale, capo? — Kenting mi farà sapere qualcosa oggi, prima che io lasci l'ufficio. — Magnificamente. Così avremo tutto il tempo necessario per prendere le nostre disposizioni. Erano le quattro del pomeriggio quando vedemmo arrivare Kenyon Ken-
ting. Vance che voleva essere pronto a ogni evento non s'era mosso dall'ufficio di Markham e io ero rimasto con lui. Kenting aveva con sé un grosso pacco di biglietti da cento dollari e lo depose sulla scrivania di Markham con aria di cupa decisione. — Ecco il denaro, signor Markham — disse. — Cinquantamila buoni dollari americani... È tutto quanto possiedo, si può dire... Eccomi a terra!... Be', come ritiene che dobbiamo agire, allora? Markham prese il denaro e lo ripose nella cassaforte. — Desidero ripensarci ancora a fondo — disse. — Poi le comunicherò la decisione definitiva. — Io lascio tutto nelle sue mani — disse Kenting con un sospiro di sollievo. Dopo poche altre parole Kenting se ne andò, con l'intesa che Markham gli avrebbe fatto sapere qualcosa entro un paio d'ore. Poco dopo Heath che era uscito nelle prime ore del pomeriggio, rientrò e ogni cosa fu discussa nei particolari. Rimanemmo intesi che Heath avrebbe predisposto i suoi riflettori in modo da poter illuminare la quercia a un dato segnale, e che tre o quattro agenti scelti sarebbero stati pronti ad accorrere. Vance e io, armati, dovevamo nasconderci tra gli alti rami della quercia. Vance che era rimasto silenzioso disse alla fine, pigramente: — Tutto bene, sergente, ma non vedo la necessità di disporre nel nascondiglio proprio il denaro... un altro pacco della stessa forma o delle stesse dimensioni servirà perfettamente allo scopo... E avvertite Fleel. Io credo che sia la persona più indicata a portare il pacco all'albero... Heath annuì. — Proprio quello che pensavo anch'io... E adesso, al lavoro! 10. L'albero nel parco giovedì 21 luglio, ore 9,45 p.m. Vance, Markham e io dovevamo pranzare al circolo, quella sera. Prima però Vance e io mutammo di abito per la nostra spedizione. Tutti i particolari erano stati ormai predisposti. Vance era d'umore bizzarro. Mi sembrava che avrebbe dovuto prendere un poco più seriamente la cosa: invece appariva soltanto incuriosito, come se la situazione non fosse ancora ben chiara nella sua mente. Non dimo-
strava però alcuna apprensione. Quando uscimmo mi porse una rivoltella calibro 45 ma, vedendo che la mettevo nella tasca esterna della giacca per averla a portata di mano, disse, sorridendo: — Inutile precauzione, Van. Ficcala in una tasca dei pantaloni e dimentica di averla... Tra parentesi, non so neppure se sia carica. Ne prenderò una anch'io, ma solo per canzonare il sergente. Non ho la più lontana idea di quello che possa accadere... però ti assicuro che non ci sarà alcuna sparatoria... Il bravo Heath dovrà rinunciare al suo melodramma. Protestai che i gangster non sono persone molto comode e che avvertimenti del genere di quello ricevuto da Fleel non vanno presi troppo alla leggera. Vance sorrise ancora: — Oh, io non prendo nulla alla leggera, ma sono certo che quel messaggio non va interpretato secondo le apparenze... Rimanersene appollaiato sopra un albero, poi, non è uno sport serale troppo divertente... Però forse verremo a sapere qualche cosa di molto istruttivo, anche se non avremo l'opportunità di abbracciare il colpevole della scomparsa di Kaspar... Allons-y! Alle otto trovammo Markham che ci aspettava allo Stuyversant Club. Sembrava preoccupato, nervoso, e Vance cercò di rallegrarlo. Ordinò i piatti più esotici e impossibili ad aversi e finalmente si accontentò di tournedos de boeuf e pommes de terre soufflées. Lunga fu la discussione col sommelier per i vini, e complicata la spiegazione fatta al cameriere circa il modo di preparare le crêpes suzette... Philo Vance era di ottimo umore e rifiutò ostinatamente di seguire Markham sul terreno dei discorsi gravi. Parlò quasi sempre di ippica diffondendosi a commentare i pregi dei più notevoli "due anni" della stagione. Avevamo finito il pranzo e stavamo sorseggiando il caffè, quando Heath ci raggiunse. Mancavano pochi minuti alle dieci. — Tutto è pronto, capo — annunciò fieramente. — Ho fatto disporre quattro potenti riflettori sopra una casa della 5a Strada, proprio di fronte al nostro albero. A un segnale, si accenderanno insieme. — Quale sarà il segnale? — È semplice, capo — spiegò Heath. — Un altro piccolo riflettore rosso che ho fatto montare sopra un semaforo a uno sblocco di strada poco distante dalla quercia. Quando lo accenderò i riflettori della casa entreranno in azione. — C'è altro, sergente? — Tre dei nostri ragazzi, in divisa da autista, stazioneranno coi loro tassì
lungo la 5a Strada, pronti ad accorrere quando i riflettori si accenderanno... Tutti gli sbocchi del Parco sono ben custoditi... e il signor Vance e il signor Van Dine troveranno un ottimo nascondiglio tra il fogliame dell'albero, che è molto fitto a quest'epoca dell'anno. No, non credo che l'amico potrà sfuggirci! — Poi si volse a Vance: — E sono certo che lei non avrà quasi altro da fare che assistere allo spettacolo da un posto di balconata! — Lo so che non saremo disturbati — rispose Vance allegramente. — Lei pensa proprio a tutto! — E il pacco del denaro? — chiese Markham. — Ne abbiamo preparato un'imitazione perfetta. Il signor Fleel, secondo il suggerimento del signor Vance, andrà a imbucarlo nell'albero. Ho dato appuntamento a lui e al signor Kenting per le dieci e mezzo, nell'ufficio del Sopraintendente... non mancheranno di sicuro!... E adesso sarebbe forse opportuno che il signor Vance e il signor Van Dine andassero a prendere il loro posto, no? — Giusto! — fece Vance alzandosi e stirandosi con finta pigrizia. — Addio, dunque... e in bocca al lupo! Scendemmo dal nostro taxi all'angolo della 5a Strada e procedemmo verso l'ingresso dei pedoni al Parco. Mentre passavamo un autista balzò da un taxi fermo, e traversò la strada. Riconobbi, anche con quella divisa, l'agente Snitkin; il quale a sua volta dovette riconoscere Vance perché riprese quasi subito il suo posto al volante. La notte era calda, afosa, e io, lo confesso, mi sentivo piuttosto eccitato, entrando nel Parco. Osservavo le coppie sedute, i passanti e mi chiedevo se qualcuna di quelle persone fosse il sinistro figuro al quale davamo la caccia. Vance, invece, non sembrava affatto interessato. — Che stupida avventura — mi sussurrò guidandomi attraverso uno stretto sentiero verso un gruppo di querce che spiccavano contro le argentee acque di un bacino. — Eppure chi sa? Questo buffo mondo può sempre riserbarci qualche sorpresa... Forse, quando ti sarai accoccolato sul tuo ramo favorito, farai bene a preparare la rivoltella... Fu questo il solo indizio che Vance attribuisse qualche importanza alla situazione: ma bastò perché le finestre accese dei palazzi lontani mi sembrassero stranamente amichevoli. Vance mi condusse, attraverso un praticello, sino a una grande quercia che, per la sua imponenza, si distingueva nettamente dalle altre. Si trovava relativamente in ombra, perché la più vicina lampada distava parecchi metri e non era molto forte.
— Eccoci qua, Van — annunciò sottovoce. — E adesso divertiamoci... se trovi che sia divertente emulare i passeri... Io salirò per primo... Trovati un ramo dove tu possa stare nascosto ma dominare i dintorni attraverso le foglie. Si afferrò a uno dei rami più bassi e si issò agilmente; un momento dopo era scomparso e io lo seguii... Sono molto meno agile di Philo Vance e dovetti fermarmi più volte per prendere fiato; era assai buio, inoltre, e bisognava andare cauti nel mettere i piedi... Finalmente trovai un grosso ramo e potei sedermici, più o meno comodamente, in modo da vedere attraverso il fogliame ciò che accadeva sotto e intorno alla quercia. — Strana esperienza! — La voce di Vance mi giungeva dall'altra parte del grosso tronco. — Credevo che i giorni della mia fanciullezza fossero finiti, ormai!... E neanche una mela, su questa pianta! No! Neppure una modesta ciliegia! E come tornerebbe utile un cuscino, anche! Da un quarto d'ora circa ci trovavamo in quella precaria situazione, quando una massiccia figura, ch'io riconobbi subito per quella di Fleel, comparve nel sentiero. Egli rimase indeciso per qualche istante, poi attraversò il prato e si avvicinò all'albero. Se qualcuno stava in osservazione doveva averlo scorto certamente perché nessun'altra persona all'infuori di lui era in vista dentro un notevole raggio all'intorno. Egli si fermò proprio sotto di me e fece scorrere la mano sul tronco, sino a quando trovò un largo buco irregolare. Allora trasse un plico di sotto la giacca e lo inserì lentamente e accuratamente nell'apertura. Poi si ritrasse, accese con ostentazione un sigaro, buttò il fiammifero e si avviò per un altro sentiero. In quel momento guardai verso la stradicciola per la quale noi eravamo entrati nel parco e, alla luce di una macchina che passava, vidi d'un tratto un uomo poveramente vestito che, nell'ombra, appoggiandosi a una panchina spiava evidentemente Fleel. Qualche minuto dopo vidi l'individuo uscire dall'oscurità e allontanarsi. — Perbacco — sussurrò Vance. — Il diligente signor Fleel era sorvegliato... il che è proprio ciò che il nostro sergente desiderava... Be', se tutto procede come si deve, non avremo più di un quarto d'ora da rimanercene qui malamente aggrappati. Spero che il gangster o chi per lui, sia una persona svelta, perché sono arcistufo! Non erano, infatti, trascorsi altri dieci minuti che io vidi una figura avanzarsi verso l'albero. A ogni riflesso di luce cercavo di afferrare qualche particolare della sagoma che si avvicinava: una lunga cappa nera che stri-
sciava fino al suolo... uno stranissimo cappello a visiera, un sottile bastone. Tutti i miei muscoli si irrigidirono, nell'attesa, e la mia mano scivolò alla tasca dove tenevo la rivoltella. — Dio mio, quale emozione! — sussurrò Vance, con voce per nulla commossa. — Forse quello è il fellone che stiamo aspettando... Ma che ne faremo, dopo averlo preso? Se camminasse un poco più in fretta! L'individuo dalla cappa avanzava lentissimo, fermandosi spesso per guardare a destra e a sinistra come volesse sorvegliare il terreno in tutte le direzioni. Impossibile dire se fosse grasso o magro per via del mantello che lo avvolgeva. Era una forma sinistra, che si moveva nella semioscurità proiettando sul sentiero un'ombra grottesca. Procedeva così lentamente che un brivido mi corse giù per la schiena: sembrava una Nemesi misteriosa che, impercettibilmente ma senza scampo, strisciasse verso di noi. — Una figura assolutamente fantastica — mormorò Vance. — Sembra uscita da un romanzo di Eugenio Sue... Speriamo che la sua meta sia proprio l'albero: sarebbe intonatissima alla stagione... Dopo un tempo che mi pareva interminabile, la forma misteriosa e cauta venne a trovarsi finalmente a breve distanza dal tronco, sotto i rami. Si guardò ancora una volta intorno, poi, come sotto l'impulso di una decisione improvvisa si avanzò verso il nascondiglio naturale e, dopo averlo rapidamente frugato, ne trasse il pacco depostovi da Fleel un quarto d'ora prima. Vidi accendersi il piccolo riflettore rosso sul semaforo indicatoci da Heath e subito violenti fasci di luce vennero dalla 5a Strada a investire l'albero e il terreno circostante. Rimasi un momento come accecato, con l'impressione che sotto di me si svolgesse un'intensa attività. Udii anche la voce di Vance ripetere più volte "Oh mio Dio! O Dio mio" con l'accento del massimo stupore, poi lo vidi balzare agilmente a terra. Pareva che tutto avvenisse contemporaneamente. Markham, Fleel, Kenting giungevano di corsa, preceduti da Heath e dall'agente Sullivan che, piombati in un attimo sul posto, afferrarono l'ammantata figura, ciascuno per un braccio, proprio mentre si disponeva ad allontanarsi, con la preda, dal tronco. — Che magnifico lavoro! — esclamò con soddisfazione Heath, proprio mentre io mi lasciavo scivolare a terra. — Piano, mio caro... faccia piano! — lo ammonì con energia Vance. Mentre così diceva due taxi giunsero a corsa vertiginosa, in direzione opposta, si fermarono con grande stridore di freni e i due autisti balzarono verso di noi spianando le loro rivoltelle.
Heath e Sullivan guardavano stupiti Vance. — Lasci, sergente — comandò Philo Vance. — Lei è un po' troppo ruvido... Ci penso io! C'era qualcosa nella voce di Vance che li costrinse a obbedire: essi abbandonarono la stretta e indietreggiarono di un passo verso il gruppo formato da Markham, Fleel e Kenting. Il presunto colpevole non si mosse, e si limitò a scostare la visiera del suo strano cappello mostrando così il volto in piena luce. Davanti a noi, appoggiata stancamente al sottile bastone col pacco delle banconote ancora stretto nella mano sinistra stava, benevola e canzonatoria, la signora Falloway. Il suo volto non mostrava traccia alcuna di paura o di turbamento; no, la sua espressione era piuttosto di soddisfatta calma, di trionfo quasi. — Come sta, signor Vance? — chiese con disinvoltura come se si trovasse a un tavolino da tè. — Molto bene, grazie, signora Falloway — rispose Vance con un cortese inchino. — Quantunque debba ammettere che il ramo da me scelto fosse piuttosto scomodo. — Ne sono proprio spiacente — sorrise la signora. In quel momento una snella figura traversò il prato e, senza una parola, venne a disporsi dietro la donna. Era Fraim Falloway, e mi parve avvilito e perplesso. Vance gli lanciò una rapida occhiata ma non disse nulla; e sua madre, che pure doveva averlo scorto con la coda dell'occhio, finse di non accorgersi neppure della sua presenza. — È rimasta fuori fino a tardi, signora Falloway — disse Vance. — Le è piaciuta la passeggiatina? — L'ho trovata molto utile, se non altro. Ecco il pacco... Quattrini, salvo errore, che ho trovato nella spaccatura dell'albero... Perché, sa, sono un po' vecchia, io, per i convegni amorosi... Vance prese il pacco e lo gettò a Heath che lo prese al volo con automatica destrezza. Il sergente, come tutti, osservava sbalordito lo scioglimento inatteso del dramma. — Sono certo che lei non sarà mai troppo vecchia, invece, per simili convegni — mormorò Vance, galantemente. — Adulatore impenitente! — sorrise la vecchia signora. — E mi dica: che cosa pensa di me dopo... diciamo dopo la scappata di questa sera? Vance la guardava, e la sua espressione giocosa si fece d'un tratto grave e quasi commossa:
— Penso che lei è un'ottima madre — disse. Poi subito mutò tono e proseguì: — Ma l'ora è troppo tarda e il tempo troppo umido perché lei torni a casa a piedi... — Si volse a Heath che lo guardava a bocca aperta e gli chiese: — Sergente, uno dei suoi pseudo autisti è in grado di guidare un taxi con un minimo di sicurezza personale? — Eh... ma... sì — balbettò Heath. — Snitkin era conducente d'auto prima di arruolarsi nella polizia. — Benissimo allora. — Si pose al fianco della signora Falloway e le offrì il braccio: — Posso avere l'onore di accompagnarla a casa? — Lei è molto cavalleresco, signor Vance — disse la signora accettando senza esitazione il braccio di lui — e io le sono molto riconoscente della sua cortesia. Vance si avviò attraverso il prato: — Andiamo, Snitkin — disse. E l'agente di affrettò a precederli per aprire loro lo sportello del taxi. 11. Un'altra camera vuota giovedì 21 luglio, ore 11,10 p.m. — Mi pare che ora non ci rimanga che seguire il signor Vance — disse Heath dopo aver dato alcune disposizioni ai suoi agenti. — C'è evidentemente qualche cosa che non va, in questa storia. Salimmo tutti sul secondo taxi: Markham, Fleel e il giovane Falloway si strinsero sul sedile in fondo; Kenting ed io ci accomodammo sui seggiolini pieghevoli, e il sergente sedette a fianco dell'agente Guilfoyle che guidava. Nessuno parlò, durante il tragitto. Markham guardava aggrondato fuori dal finestrino, Fleel fissava lo sguardo vuoto davanti a sé, Fraim Falloway col cappello sugli occhi ridacchiava ogni tanto per qualche intimo pensiero; Kenting al mio fianco sembrava sfinito e, coi gomiti puntati sulle ginocchia, si reggeva il capo tra le mani. Attraverso il vetro vedevo il sergente passarsi il sigaro da un angolo all'altro della bocca: doveva sentirsi molto deluso e certo andava chiedendosi quale errore avesse commesso nello svolgimento del suo "piano". Indubbiamente la conclusione dell'episodio era stata la cosa più strana che si poteva immaginare. Sarebbe stato comprensibile che nessuno fosse venuto a ritirare il denaro; ma che dovessimo trovarci di fronte una vecchia
inferma. .. E poi c'era, cosa misteriosa fra tutte, l'atteggiamento di Vance nei suoi riguardi... Dov'era rimasto l'autore del minaccioso messaggio? Ricordai a un tratto la figura appoggiata alla panchina, in atto di spiare Fleel... Forse era quello, il nostro uomo... Forse ci aveva visto arrampicarci sull'albero e aveva ritenuto più prudente filare rinunciando per il momento al bottino... Quando fummo arrivati davanti alla Ca' Rossa (che mi pareva d'un tratto nera e tetra nell'oscurità) balzammo giù dalla macchina e ci affrettammo verso la porta d'ingresso. Weem ci aprì e, con un gesto superfluo, ci indicò il salotto. Attraverso la porta spalancata vedemmo Vance e la signora Falloway, entrambi seduti. — La signora Falloway — ci spiegò Vance, senza alzarsi, quando entrammo — ha desiderato riposarsi un po' qui prima di salire in camera sua. — Mi sento davvero esausta — disse la vecchia signora rivolgendosi a Markham — e non potrei affrontare subito tutte quelle scale! Il vecchio Kenting avrebbe dovuto costruire una casa con i soffitti più bassi o, almeno, provvederla di un ascensore. Passare da un piano all'altro è per me una grave fatica... Ora poi, dopo la lunga passeggiata nel parco... Sorrise, accomodandosi un cuscino dietro il capo. In quel momento si udì suonare alla porta di strada e Heath corse ad aprire. Da dov'ero, potei vedere benissimo chi fosse il visitatore: Porter Guaggy. — Che cosa desidera? — gli chiese, brusco, il sergente sbarrandogli il passo. — Desidero soltanto, se ciò le garba — rispose freddamente Quaggy — chiedere come sta la signora Kenting, e sapere se c'è qualche novità sul conto di Kaspar. Vi ho visto passare poco fa in macchina davanti a casa mia... È lecito avere notizie o no? — Lo lasci entrare, sergente — disse Vance. — Gli darò io le notizie che desidera. E debbo anche fargli qualche domanda. — Benissimo — brontolò il sergente. — Avanti, allora. Quaggy entrò con un passo rapido e ci raggiunse in salotto. Si guardò intorno, poi chiese, senza rivolgersi a nessuno in particolare: — Dunque, che cosa è accaduto stasera? — Nulla, assolutamente nulla — rispose Vance senza guardarlo. — Un vero peccato... Sono lieto però, che lei abbia pensato di venirci a trovare così d'improvviso... Non le spiacerebbe, signor Quaggy, dirci dove ha trascorso la serata? L'uomo guardò Vance con gli occhi semichiusi e il volto inespressivo.
— Sono rimasto a casa — disse poi, gelido — a chiedermi che cosa fosse capitato a Kaspar... E lei? Vance sorrìse. — Non credo che la cosa possa interessarla molto — rispose con l'accento più soave — ma, dal momento che me lo domanda, le dirò che mi sono dato alla scalata di un albero! Strano passatempo, eh? Quaggy si rivolse a Kenting. — E allora? Ha potuto raccogliere il denaro e seguire le istruzioni? — Sì — disse Kenyon chinando il capo con aria grave e turbata. — Ma è stato inutile... — Bell'affare! — commentò Quaggy ricevendo un'occhiataccia da Heath. — Non si è presentato nessuno a ritirare la somma? — Oh sì, signor Quaggy — rispose Vance. — Qualcuno è venuto per il denaro, all'ora indicata, e se lo è preso... — ...riuscendo a sgusciar tra le dita della polizia, come al solito eh? — fece Quaggy. — Oh no. Non è accaduto nulla di simile. Il colpevole è qui con noi, in questa camera. Quaggy trasalì violentemente. — Anzi — continuò Vance — io personalmente ho voluto accompagnare a casa la persona incriminata. E, cioè, la signora Falloway. L'espressione di Quaggy non mutò. La sua era una maschera da vecchio giocatore di poker; però compresi che la notizia lo aveva molto stupito. Prima ch'egli potesse dir qualcosa, Vance gli chiese: — A proposito, signor Quaggy, lei si interessa di opali neri? Ne ho visto una coppia magnifica sul suo scrittoio, ieri. Quaggy esitò per qualche istante: — E se così fosse? — domandò poi con voce incolore. — Strano — proseguì Vance — che non vi siano esemplari di opali neri nella collezione di Karl Kenting. Le nicchie dove quelle pietre dovrebbero trovarsi sono vuote. Non capisco come un collezionista possa aver trascurato pezzi così significativi... — Comprendo l'allusione... C'è altro? Quaggy stava di fronte a Vance. Lentamente avanzò un piede come per spostare il peso del proprio corpo sopra la gamba meno stanca; e così facendo portò la sua scarpa a sfiorare quasi quella di Vance. — Sinceramente — disse Philo Vance guardando Quaggy con un freddo sorriso — se fossi in lei non proverei neppure... A meno, si capisce, che
non desideri farsi spezzar la gamba e slogare l'anca... Conosco bene la mossa: l'ho imparata in Giappone. Quaggy ritirò in fretta il piede senza dir nulla. — Ieri mattina ho trovato un rubino balascio nella giacca da sera di Kaspar Kenting — continuò Vance — e nella collezione anche quella pietra manca... Interessante, no? — Che diavolo ci trova d'interessante? — ghignò Quaggy. — Andavo solo chiedendomi se ci potesse essere qualche rapporto tra quegli opali e il rubino... Non le dispiacerebbe dirmi dove si è procurato quelle pietre? Quaggy fece udire una risatina gutturale, ma non rispose. Allora Vance si rivolse a Markham: — Visto l'atteggiamento assunto da questo signore, e dato che è stato anche l'ultima persona che abbia visto Kaspar Kenting vivo, riterrei opportuno trattenerlo a disposizione come testimone oculare. — Quegli opali, li ho acquistati nel più legittimo dei modi — disse rapidamente Quaggy. — Li ho comprati ieri sera da Kaspar il quale aveva necessità urgente di un po' di denaro. — E lei sapeva che quelle pietre facevano parte della collezione Kenting? — Non ho chiesto da dove venissero. Mi fidavo di Kaspar, naturalmente. — Già, naturalmente — mormorò Vance. La signora Falloway appoggiandosi pesantemente al bastone si alzò: — Da molto tempo sospettavo che Kaspar saccheggiasse la collezione per procurarsi il denaro per giocare — disse. — Tutte le volte che mi capitava di vederla, era sempre più povera... Ma sono molto stanca, e spero di poter raggiungere la mia camera, ora, senza incidenti. — Ma signora Falloway! — proruppe Kenyon Kenting che da quando eravamo tornati, non aveva tolto, si può dire, gli occhi di dosso alla signora. — Io non riesco a spiegarmi la sua presenza nel parco, stanotte... La signora Falloway lo guardò freddamente: — Il signor Vance capisce — disse brevemente. — E credo che ciò basti... Buonanotte, signori. Si avviò zoppicando verso la porta e Vance corse al suo fianco: — Permetta che l'accompagni... La scala è faticosa. Per la seconda volta in quella sera la donna accettò graziosamente il braccio di Vance. Fraim Falloway non si alzò per aiutare sua madre: sem-
brava assolutamente inconsapevole di tutto quanto si svolgeva intorno a lui. Markham diede un'occhiata significativa a Heath, e, alzandosi, andò a prendere il braccio libero della signora Falloway. Heath invece andò a porsi più vicino al signor Quaggy, che stava sempre in piedi. La vecchia signora, che anch'io avevo seguita, faticava enormemente a salire le scale. Doveva fermarsi a ogni gradino, e quando finalmente raggiungemmo la sua camera, si lasciò cadere, completamente esausta, in una poltrona. Vance dispose il bastone di lei a portata di mano e poi le disse cortesemente: — Vorrei rivolgerle una o due domande, se non si sente troppo debole per rispondere. La signora sorrise: — Un paio di domande non sono molte... coraggio! — Perché — cominciò Vance — si è sottoposta al terribile sforzo di arrivare fino al parco, stasera? — Ma per il denaro, si capisce — rispose l'inferma con un burlesco atto di sorpresa. — E poi non ho fatto tutta la strada a piedi. Un taxi mi ha condotta fino a pochi metri dall'albero. Pensi come sarei stata ricca, se non mi fossi fatta cogliere con le mani nel sacco! Invece lei, signor Vance, ha sciupato tutto! — Mi dispiace davvero... Del resto in quel plico non c'era neppure un dollaro. — Tacque, guardò fisso la signora e soggiunse: — Come ha fatto a sapere che suo figlio voleva andare a sottrarre la somma del riscatto? Per qualche momento il volto della signora Falloway rimase simile a una maschera. Poi disse con voce stranamente chiara: — È molto difficile ingannare una madre... Fraim era al corrente di tutto... Mi raccontò lui stesso ogni cosa... Stasera, verso le dieci, dopo essere rimasto con sua sorella e Kenyon, venne a dirmi che doveva uscire. Compresi subito, benché lui esca spesso la sera, quale fosse la sua meta e il suo scopo... Si capisce subito quando Fraim mente; gli leggo negli occhi... Allora... allora... volli salvarlo da un'azione infame... Vance non disse nulla. Guardava la vecchia signora con ammirazione e pietà: — Fraim è buono, in fondo... creda! Ma... non so... gli manca come qualche cosa nello spirito e nel corpo. — Sì, signora Falloway — disse Vance. — Ha grande bisogno di essere curato... Non gli ha mai fatto fare l'esame del sangue?
— No, signor Vance... Non ne ho mai avuto il coraggio... Di che cosa crede si possa trattare? — Non oserei esprimere un'opinione precisa... ma credo si tratti di qualche scompenso nel sistema ghiandolare... — Strappò un foglietto dal suo taccuino, vi scrisse qualcosa e lo porse alla signora: — Questo è il nome di uno dei nostri più eminenti specialisti. Gli si rivolga a nome mio. Chissà? Forse oggi esiste una cura efficace, per suo figlio. — Lei è molto buono, signor Vance — disse la donna guardandolo con gratitudine. — Mi accorsi subito, stasera, nel parco che lei aveva compreso ogni cosa... Una mamma... — Sì, sì... — mormorò Vance. — Ma adesso dobbiamo tornare giù in salotto... Buon risposo, signora... e la mia eterna ammirazione! Si chinò a baciarle la mano. Quando entrammo in salotto, trovammo il gruppo quale l'avevamo lasciato. Vance sedette, accese una sigaretta e disse: — Vi sono una o due cose che... — S'interruppe di colpo: — Credo che sia meglio che anche la signora Kenting sia presente. Dopo tutto lo scomparso è suo marito, e un suggerimento di lei può rivelarsi utilissimo. — Giustissimo, signor Vance. Vado subito a chiamare Magdalen. — Spero che non sia troppo tardi... — disse Vance. — Oh no — lo rassicurò Kenyon. — Non si ritira mai molto presto... Ha sofferto sempre molto d'insonnia e spesso legge fino a tarda notte. Stasera sono stato con lei sino alle nove e mezzo: era molto eccitata e sono certo che non intende coricarsi prima di sapere ciò che è avvenuto dei nostri piani... Corse fuori dal salotto. Lo udimmo salire le scale, e poco dopo, bussare ripetutamente a una porta... Ci fu un lungo silenzio, poi il rumore di una porta aperta di furia. Vance proteso nella sua seggiola pareva in attesa di qualche cosa. Pochi minuti ancora e Kenting ridiscese a precipizio le scale e comparve sulla soglia: era ansante, aveva gli occhi sbarrati, il volto atterrito. Dovette appoggiarsi allo stipite per non cadere. — Lei... lei non c'è! — balbettò. — Ho bussato ripetutamente... Allora, spaventato, ho cercato di aprire, ma la porta era chiusa... Sono passato dalla camera di Kaspar in quella di Magdalen... Le luci sono accese, ma lei non c'è. Respirò profondamente e proseguì come se compiesse uno sforzo enor-
me: — La finestra... che dà sul cortile è aperta... e... sotto... c'è appoggiata la scala a pioli...! 12. "Smeraldo" giovedì 21 luglio, ore 11,30 p.m. L'annuncio dato da Kenyon Kenting che sua cognata era scomparsa dalla camera da letto e che sotto la finestra stava la prodigiosa scala a pioli, ebbe un effetto istantaneo sugli ospiti del salotto. Markham e io ci volgemmo contemporaneamente verso Heath, sulle cui spalle pesava la responsabilità della normale procedura poliziesca; Heath, dimentico di Quaggy, si volse bellicosamente a Kenting; Quaggy lasciò cadere la sigaretta sul tappeto e, senza neppure guardare, la calpestò con macchinale sicurezza... — Oh Kenyon... Dio mio! — esclamò, quasi tra sé. Sembrava profondamente turbato. Fleel balzò in piedi, tirandosi la giacca, come un automa, e Fraim cominciò a strillare, istericamente: — Accidenti! Accidenti! Questa è un'altra bricconata di Kaspar! Vuole i soldi quello! Non è vero un corno che lo abbiano rapito. — Zitto, giovanotto — gli ordinò il sergente scrollandolo per una spalla. — Non serve a nulla andar strillando stupide accuse! Falloway tacque, e si frugò nelle tasche fino a quando trovò una sigaretta mezzo disfatta. Anch'io ero rimasto sbalordito dal nuovo evento. Non ancora completamente rimesso dalla strana avventura del parco, l'annuncio di Kenyon Kenting mi aveva colto alla sprovvista. Soltanto Vance appariva imperturbato: egli sapeva dominare in modo sbalorditivo i suoi nervi e sarebbe stato impossibile dire quale reazione avesse provocato in lui la notizia della scomparsa della signora Kenting. Markham, che da qualche istante scrutava Vance, sbottò: — Mi sembra che la cosa non ti sorprenda affatto, e che tu la prenda con una strana calma... Avevi qualche idea di questo... di questo nuovo colpo quando proponesti di chiamare la signora Kenting? — Mi aspettavo qualcosa di simile... ma, lo confesso, non così presto. — E se ti aspettavi qualcosa, perché non me lo hai detto prima, in modo che fosse possibile provvedere? — Ma, mio caro Markham, non era possibile prendere alcun provvedi-
mento... La situazione era, ed è tuttora, difficilissima. Heath intanto era andato a telefonare, e potevo udire la sua voce che dava istruzioni ufficiali. — Voglio dare un'occhiata alla camera — disse, quand'ebbe finito. — Due agenti saranno qui tra poco... Che serata maledetta! Vance, Markham e io lo seguimmo su per le scale. Heath forzò, prima, la porta della camera della signora Kenting: ma, come Kenyon ci aveva detto, era chiusa. Allora risalimmo il corridoio sino alla camera di Kaspar Kenting. La porta era spalancata e, attraverso la camera, Potevamo vedere quella della signora brillantemente illuminata. Vi accorremmo. Come Kenting aveva detto, la finestra che dava sul cortile era spalancata e non solo la persiana era alzata, ma anche le pesanti tende erano scostate. Evitando di toccare il davanzale, Heath si affacciò e subito si volse a noi. — La scala è proprio lì! La stessa che abbiamo visto ieri sotto l'altra finestra. Philo Vance, in apparenza, non ascoltava. S'era avvitato il monocolo nell'orbita e si guardava intorno senza dimostrare alcun interesse. Si avvicinò pigramente alla toletta, di fronte alla finestra e si chinò sul piano del tavolino. Una scatola di vetro per la cipria vi stava aperta; e, parecchio distante, il coperchio. Un grosso piumino era in terra sotto il tavolo. Vance lo raccolse, lo ripose nella scatola, e rimise al suo posto anche il coperchio. Poi prese in mano un piccolo vaporizzatore che stava pericolosamente in bilico sull'orlo del tavolino, e premette leggermente la pera di gomma. Annusò e ripose il vaporizzatore in un piattino di cristallo che evidentemente gli apparteneva. — Smeraldo di Courtet — mormorò. — Sono certo che non può essere il profumo prediletto della signora... È un profumo forte, più adatto alle brune... specie se di carnagione olivastra e con abbondanti chiome... Molto interessante... Heath osservava Vance un po' impazientito perché non ne comprendeva le intenzioni; ma non diceva nulla. Vance andò a esaminare la porta che dava sul corridoio: — La catenina di sicurezza non è applicata... La porta è chiusa a chiave... E non c'è la chiave nella serratura... — Che importanza ha questo, Vance? — chiese Markham. — Non potrebbero aver chiuso, togliendo poi la chiave? — Sì... in teoria, — rispose Vance. — Ma è un procedimento piuttosto
strano... Quando uno si chiude in camera a chiave lascia generalmente la chiave nella toppa... Perché dovrebbe toglierla? Non lo so proprio. Tutto può darsi... Traversò la camera, entrò nel bagno, pure illuminato. Guardò la lunga catenella di metallo che pendeva dal diffusore della luce, prese il pesante cilindro di vetro col quale la catenella terminava e lo lasciò poi facendolo oscillare innanzi e indietro. Guardò nel bicchiere del dentifricio, esaminò il lavabo, il piattino del sapone. — Che cosa mai,... — cominciò Markham che seguiva aggrondato tutti i movimenti dell'amico. — Cercavo semplicemente di stabilire con una certa approssimazione l'ora in cui è partita la signora... Direi che ciò sia avvenuto verso le dieci. — In base a quali dati? — Posso anche sbagliarmi... non c'è nulla di sicuro a questo mondo... Esprimo solo un'opinione. Non sono un oracolo, né di Delfo né d'altri luoghi... Mi arrabatto in cerca della verità. Indicò con la punta della sigaretta la catena del diffusore che ancora oscillava come un pendolo senza aver quasi nulla perduto del suo moto iniziale. — Quando siamo entrati qui, quella catenella era perfettamente immobile. Ora io credo che, col peso di quell'orribile cilindro di vetro, essa dovrebbe oscillare circa un'ora, quando venga tirata con forza normale per accendere la luce... E adesso sono le undici e mezzo. Il bicchiere per il dentifricio è asciutto, il che significa che da un'ora o due non è stato adoperato... Nessuna traccia di acqua sul lavabo o sugli orli... Il tappo di gomma è asciutto... la schiuma del sapone è secca... Tutte cose non toccate da più di un'ora a questa parte, dunque... Ora io non posso credere che una signora avvezza a rimanere alzata fino a tardi come la signora Kenting si decida a compiere così presto la sua toeletta notturna. Eppure c'è luce in bagno, e indizi che si è incipriata e profumata... Inoltre, caro Markham, tali riti femminili debbono essere stati compiuti molto in fretta, altrimenti non avrebbe lasciato il vaporizzatore sull'orlo della toeletta e il piumino della cipria per terra... — Vedo... vedo... — Tutti questi particolari uniti al fatto della catenella di sicurezza non applicata e della chiave mancante mi suggeriscono l'idea che avesse un appuntamento intorno alle dieci e si trovasse un po' in ritardo. Markham meditò un istante, poi disse lentamente:
— Questa è una semplice ipotesi, Vance... L'appuntamento avrebbe potuto essere anche per un'ora diversa e meno tarda... solo abbastanza avanzata per giustificare l'uso della luce artificiale. — Verissimo, qualora non avessimo altri indizi, oltre quelli trovati or ora... Ma non ricordi che Kenyon Kenting ci ha detto d'essere rimasto con sua cognata fino alle nove e mezzo circa? E hai già dimenticato, caro Markham, che secondo il racconto della signora Falloway, il giovane Fraim trascorse pure la serata con sua sorella sino a poco prima di uscire per la sua spedizione, verso le dieci...? Questo spiegherebbe la fretta della signora dato che aveva un appuntamento proprio per quell'ora... Tutto combina benissimo... — Capisco — annuì Markham. — Ma che ne consegue? Invece di rispondergli Vance chiese al sergente: — A che ora lei comunicò a Fleel e a Kenyon Kenting le nostre decisioni per la serata? — Verso le sei... forse qualche minuto dopo. — E dove trovò quei signori? — Chiamai Fleel a casa sua, ma non c'era ancora. Lasciai detto che telefonasse lui a me, e poco dopo infatti mi telefonò. Ma non gli chiesi dove si trovava. Kenyon Kenting, invece, era qui. Vance non fece alcun commento, ma parve soddisfatto della risposta. Si diede un'altra occhiata intorno, poi disse ancora a Heath: — Temo, caro sergente, che tutti i suoi fotografi e i suoi esperti non troveranno proprio nulla qui... Ma non voglio renderla troppo infelice dicendole di rinunciare ai suoi giochetti... — Insisto per sapere che cosa significano tutti i tuoi calcoli — fece Markham ostinato. — Significano perfidia — disse Vance con voce insolitamente grave e vibrante. — Significano delinquenza... Che brutto affare. Lo detesto, perché ci costringe a rimanere inattivi... Temo che dovremo aspettare ancora... — Ma non possiamo starcene così, con le mani in mano — protestò Markham. — Tu, che cosa consiglieresti di fare? — Ecco... Proporrei di rivolgere qualche domanda ai signori che ci aspettano giù... E poi di esaminare la scala a pioli... Ha la sua lampadina tascabile, sergente? — Certo. — Dopo di che — continuò Vance — potremo andarcene a casa, mentre il sergente provvedere alle solite pratiche inutili e minuziose.
Quando rientrammo nel salotto, trovammo i quattro uomini in ansiosa attesa. Anche Fraim Falloway appariva eccitato. — Avete scoperto qualche cosa? — ci chiese subito con voce acuta. — Non abbiamo ancora condotto a fondo la nostra indagine, ma speriamo di poter presto sapere qualche cosa di definitivo. Ora però — disse Vance — vorrei rivolgere a ciascuno di lor signori una domanda. Scelse pacatamente una Régie nel suo astuccio di plastica e ambra nera; poi, improvvisamente, chiese a Fleel: — Qual è il suo profumo favorito, Mr. Fleel? L'avvocato lo guardò stupefatto e certo, se fosse stato in tribunale, avrebbe protestato col presidente della Corte contro una domanda così oziosa. Nel presente caso si accontentò di sorridere rispondendo: — Non ho alcun profumo favorito, e non me ne intendo... A Natale invio delle bottiglie di profumo alle mie principali clienti, anziché il solito cestino di fiori... Ma di ciò si occupa la mia segretaria. — E lei considera la signora Kenting come una delle sue "principali clienti"? — Certo. — Scusi, signor Fleel, la sua segretaria è bionda o bruna? Fleel parve ancora più sconcertato, ma rispose subito: — La direi piuttosto bruna... Non assomiglia certo a Jean Harlow, per esempio, se è questo che lei vuol dire. — Grazie — disse Vance e si volse a Fraim Falloway: — E il suo profumo favorito, signor Falloway, qual è? — Non... non saprei — balbettò il giovane. — Non me ne intendo troppo... Ma direi che lo "Smeraldo" è straordinario... così sottile... esotico... misterioso... — Alzò gli occhi, così dicendo, come un poeta che declami i propri versi. — Ha ragione — mormorò Vance e diresse lo sguardo verso Kenyon Kenting. — Tutti i profumi sembrano eguali a me — disse questi con fare annoiato — ... e non riesco a distinguerli l'uno dall'altro: tranne la gardenia. Quando debbo regalare un profumo, regalo sempre la gardenia. — Oh, oh! — fece Vance con un leggero sorriso. — E lei, signor Quaggy? Quale profumo sceglierebbe per regalare a una signora? Quaggy sogghignò: — Non ho mai fatto una simile corbelleria. Preferisco mandare dei fiori.
È molto più semplice... A ogni modo se dovessi proprio mandare un profumo a una donna, cercherei prima di scoprire quale lei preferisce. — Perfettamente ragionevole — disse Vance, alzandosi come a fatica. — E ora, sergente, andiamo un po' a vedere quella scala. Heath accese la sua potente lampada tascabile, e per la seconda volta entrammo, attraverso il cancello, nel cortile-giardino. L'erba, assai corta, era perfettamente asciutta, e il terreno duro. — Non c'è pericolo che possa confondere qualcuna delle sue dilette impronte, sergente — disse Vance chinandosi ai piedi della scala a pioli. — Nemmeno Camera lascerebbe tracce del suo passaggio su questo terreno compatto. Spostò ancora, come aveva fatto la volta precedente, la scala un poco a destra, e proseguì: — E non si preoccupi neppure per le impronte digitali. La persona che ha maneggiato questa scala è abbastanza scaltra per aver adoperato i guanti... Si chinò ancora al suolo e subito si rialzò: — No. Neppure la più leggera depressione... solo qualche filo d'erba piegato. Coraggio, sergente mio, tocca a lei montare sulla scala... Io sono terribilmente stanco. Heath salì cinque o sei scalini, e ridiscese. Poi lui e Vance si chinarono ad osservare il suolo: — Vede? La scala ha lasciato due leggere depressioni anche col peso di una persona sola... Entriamo a fare i nostri saluti. Vance annunciò a Kenyon Kenting e agli altri che noi ce ne andavamo e che tra poco la casa sarebbe stata posta sotto la sorveglianza degli agenti. — Credo che posso andarmene anch'io — osservò Kenting. — Ormai qui la mia presenza non serve più a nulla... Prego lor signori di comunicarmi qualsiasi novità: a casa mia se si verificassero stanotte, o in ufficio domani. — Certo — gli rispose Vance senza guardarlo. — Dopo una serata come questa è bene che lei cerchi di riposare... Domani sarà così in condizioni di poterci meglio aiutare, qualora se ne presentasse l'occasione. Kenting parve riconoscente di quelle parole cortesi. Era molto abbattuto. Prese in fretta il cappello e se ne andò. Quaggy lo seguì con lo sguardo, poi si alzò a sua volta. — Credo che anche a me non resti che andarmene... Posso? — chiese con un accento di sfida. — Altro che! — disse Vance. — Dopo una notte insonne come quella
che ha trascorso, le sarà necessario doppio riposo. — Grazie — mormorò Quaggy, sarcastico, e se ne andò. Quando la porta di casa si fu chiusa alle sue spalle, Fleel ci guardò come chi voglia scusarsi e disse: — Spero che loro non avranno male interpretato il mio apparente voltafaccia di questa mattina, riguardo all'aiuto della polizia. Io ero perfettamente sincero quando, nell'ufficio del Procuratore, espressi il parere che la polizia dovesse decidere sul pagamento del riscatto... Ma nel venir giù, ripensai alla cosa, e quando vidi poi Kenting deciso ad agire senza aiuti, mi parve più opportuno permettergli di fare a modo suo. Comprendo ora il mio errore... Ciò che è accaduto stanotte... — Non si dia pensiero di questo, Mr. Fleel — disse Vance. — Noi ci rendiamo perfettamente conto della sua situazione. È molto difficile dare consigli in circostanze come queste... ed è comprensibile come si possa mutare d'avviso da un momento all'altro. Fleel si era alzato e guardava meditabondo il suo sigaro fumato a mezzo. — Sì — disse. — La mia posizione è molto difficile... che ne pensano del secondo, terribile episodio di stanotte? — In verità — rispose Vance osservandolo senza parere — è ancora troppo presto per giungere ad una conclusione definitiva. Domani forse... Fleel fremette, come colto da un brivido improvviso: — Sento che non siamo ancora alla fine — osservò. — C'è qualcosa di disperato e di malvagio in tutto ciò... Vorrei non essere stato coinvolto in questo affaraccio. Comincio a temere anche per la mia sicurezza personale. — Immagino benissimo i suoi sentimenti — disse Vance. — Be', ora me ne vado anch'io — concluse Fleel. Parlava con voce stanca e notai che la sua mano tremava nel prendere il cappello. — Arrivederci! — lo salutò Vance. L'avvocato ci rivolse un rigido inchino e uscì. Intanto Fraim Falloway si era alzato, era passato in silenzio davanti a noi e ora saliva pesantemente le scale. Era appena giunto al primo pianerottolo, quando il telefono posto sopra una mensola, cominciò a squillare. Weem sbucò dalla semioscurità dell'atrio e staccò il ricevitore con un ruvido: "Pronto!". Ascoltò per un momento, poi guardò cupamente verso di noi. — Vogliono il sergente Heath — annunciò con aria quasi offesa. Il sergente accorse:
— Pronto!... Sì, sono io... Che c'è? Ah, questo per... Aspettate un momento... — Si volse a noi, tappando con una mano la cornetta e chiese: — Dove saremo tra una mezz'ora, capo? — A casa del signor Vance — gli rispose Markham vedendo la sua espressione. — Oh mio Dio! — sospirò Vance. — Io che speravo di poter riposare... — Sentite — abbaiava Heath al telefono. — Saremo a casa del signor Vance, 38a Strada... Sapete dov'è? Bene! Fate presto!... — Qualcosa di importante? — domandò Markham. — Direi di sì, capo... Le riferirò tutto strada facendo. Snitkin ci raggiungerà a casa del signor Vance, e Sullivan e Hennessey saranno qui a momenti... Sentite, Weem — proseguì il sergente rivolgendosi al domestico — tra poco arriveranno alcuni dei miei uomini. Allora potrete andarvene a letto. Questa casa è ormai sotto la sorveglianza della polizia, capito? Weem annuì tetramente e fece per ritirarsi. — Un momento, Weem — fece Vance. — Ditemi: voi o vostra moglie avete sentito qualcuno entrare o uscire di casa stasera verso le dieci? — No, io non ho sentito nessuno. E nemmeno Gertrud. La signora Kenting dopo pranzo ci disse che non avrebbe avuto più bisogno di noi. Eravamo molto stanchi e alle nove dormivamo già. Ci destammo solo quando arrivò lei con la signora Falloway e dovetti scendere ad aprire... Quando furono arrivati anche gli altri, mi rivestii del tutto e rimasi giù nel dubbio che occorresse qualche cosa... — Molto bene, Weem! Non volevo sapere altro — disse Vance. E s'avviò per uscire. 13. L'automobile verde giovedì 21 luglio, mezzanotte. Proprio mentre Heath, Markham e io stavamo per seguire Vance, ci giunse dall'esterno un ticchettio aspro e minaccioso simile a quello di una mitragliatrice: e i miei nervi eran così tesi che quel rumore mi colpì quasi come se avessi veduto l'arma puntata contro di me. — Dio onnipotente! — tuonò Heath, e si fermò di botto, come se lui pure fosse stato colpito da una scarica in pieno petto. Poi oltrepassando Vance spalancò la porta e si precipitò fuori nella notte afosa, seguito da tutti noi.
Il sergente s'era fermato sul limite del marciapiede e guardava a destra e a sinistra incerto sulla direzione da prendere. Guilfoyle saltato giù dal sedile del taxi gesticolava ora di fronte ad Heath. — Gli spari son venuti da quella parte — disse, stendendo il braccio verso Central Park. — Che cosa devo fare, sergente? — Rimani qui, e tieni gli occhi aperti, sino all'arrivo di Sullivan e di Hennessey. Poi tieniti a portata di mano in caso di bisogno. — Va bene. — Che affaraccio! — mormorò Vance. — Se non erro questi colpi sono una nuova manifestazione della sua complessità. Heath correva ora verso il parco, seguito da noi. All'angolo, proprio vicino all'Albergo Nottingham, un gruppetto di gente si agitava sotto la viva luce di un fanale. Heath, arrivando, ordinò bruscamente di circolare, e quando noi giungemmo sul posto, la scena era già quasi sgombra. Accasciato contro il sostegno del fanale si trovava Fleel, mortalmente pallido, vero ritratto del collasso e della paura; di fronte a lui stava Quaggy che lo guardava con strana calma. Prima che qualcuno potesse interrogare Fleel, Vance afferrò l'uomo sotto le ascelle e lo costrinse a sedere a terra, appoggiando la schiena al lampione. — Respiri profondamente — gli disse — e cerchi di dominarsi. Poi vedrà se le riesce di raccontarci quel che è accaduto. Vedemmo Fleel ansare un poco; poi si alzò, sostenendosi al lampione. Quaggy gli pose una mano sulla spalla e lo scrollò un pochino, come per rincuorarlo. Fleel fece una smorfia che voleva essere un sorriso e ciondolò il capo a destra e a manca come per schiarirsi le idee. — Per un filo — brontolò — non mi hanno colpito. — Chi, signor Fleel? — chiese Vance. — Ma... ma... — balbettò l'uomo respirando ancora forte. — Quelli della macchina, naturalmente... Non ho visto chi fossero. — Cerchi di raccontarci quello che le è accaduto. — Non avete visto? — chiese Fleel con una voce acuta, che non sembrava più la sua. — Stavo per attraversare la strada e prendere un taxi quando un'automobile mi è giunta alle spalle e ha frenato rumorosamente vicino al marciapiede proprio mentre io giungevo sotto questo lampione... Mentre mi voltavo per veder che cosa stesse accadendo, al finestrino è
comparsa una piccola mitragliatrice... e ha cominciato a sparare... Mi sono abbassato istintivamente riparandomi dietro questo lampione... Dopo un discreto numero di spari la macchina è ripartita di corsa... Confesso che ero troppo spaventato per osservare quale via prendesse... — Però non l'hanno colpita, signor Fleel. L'avvocato si tastò: — No, grazie al cielo. — Eppure la macchina doveva essere ad un paio di metri soltanto da lei... Che pessimi tiratori! Per questa volta è stato proprio fortunato, signor Fleel, osservò Vance. Poi si volse improvvisamente a Quaggy: — Non capisco poi come lei si trovi ancora qui. Non le era mancato certo il tempo di raggiungere il suo nido... — Io ero in casa mia! — rispose Quaggy indicando con aria indignata due finestre illuminate del vicino albergo. — Come vede, c'è ancora la luce accesa. Quando sono giunto in camera mia, non sono andato subito a letto... spero non sia un delitto, vero?... Mi sono affacciato alla finestra e vi sono rimasto qualche minuto per respirare una boccata di aria. Allora ho visto il signor Fleel risalire la strada, e, dietro di lui una macchina. Non l'ho osservata di proposito ma, non so come, l'ho notata. Naturalmente, quando essa si fermò proprio di fronte al signor Fleel che era giunto sotto il lampione la mia curiosità si fece più viva. E quando udii gli spari, e vidi il signor Fleel accasciarsi pensai che lo avessero ucciso... e mi precipitai giù. Eccomi qui. C'è qualcosa di illegale in tutto questo? — chiese con freddo sarcasmo. — Oh no, no! — sorrise Vance. — Normalissimo. Molto più normale che se lei si fosse coricato senza neppure affacciarsi alla finestra. — Rivolse a Quaggy un enigmatico sorriso. — E, a proposito, non ha notato di che tipo fosse la macchina degli assalitori del signor Fleel? — No, non l'ho osservata molto bene... Dapprincipio naturalmente non mi interessava. Poi, cominciata la sparatoria, ero troppo emozionato per ricevere impressioni nitide... Ma mi sembra fosse non molto grande e certo non di un modello nuovo. — E il colore? — Oh, un colore non molto vivo... — Quaggy chiuse gli occhi come per rivedere la scena nella memoria. — Un verde sporco, direi... Dalla finestra non si vedeva bene... Però credo proprio fosse verde. — E da che parte se ne andò poi? — interloquì Heath che da qualche
momento stava osservando Quaggy. — Non l'ho osservato — rispose questi gelidamente. — Ho visto solo che si avviava verso il Parco. — Bella risma di testimoni! — brontolò il sergente. — Mi occuperò io della macchina. — E partì di corsa in direzione di Central Park. Mentre stava per svoltare alla cantonata, una massiccia figura in uniforme comparve e venne, quasi, a collisione con lui. Era Mac Langhlin. — Che cosa è successo, sergente? Ho udito gli spari, e sono accorso... venivano proprio da qui? — Avete visto una macchina proveniente da questa strada svoltare nel Parco? — gli chiese Heath afferrandolo per un braccio. Non potei udire la risposta di Mac Langhlin ma gli vidi fare un gesto che certo indicava la direzione presa dalla macchina verde. Heath si guardò intorno, evidentemente per cercare una automobile da requisire per l'inseguimento ma non v'era alcuna, in vista; allora si avviò a piedi con Mac Langhlin alle calcagna. — Mi aspettino all'angolo — ci gridò volgendo un attimo il capo; poi scomparve. — Quale energia! — sospirò Vance. — Heath è tutto azione e niente calcolo... A quest'ora l'automobile verde può essere all'altro capo della città... — C'è un posteggio di taxi poco più su — disse Markham — e Heath sarà andato a prenderne uno per l'inseguimento. — Magnifico! — mormorò Vance. — Ma non credi che la macchina degli sparatori sia in grado di lasciarsi dietro un taxi qualunque?... — No, se il sergente riuscisse a ficcarle un paio di proiettili nei pneumatici — rispose Markham irritato. — Dubito molto che a Heath posso presentarsi una simile opportunità... Si sente meglio? — chiese poi a Fleel. — Sì, ora va bene — rispose l'avvocato, muovendo qualche passo e mordendo la punta di un sigaro. — Vuole che la facciamo accompagnare a casa? — Grazie, non occorre — rispose Fleel con voce ancora un po' malferma... — Posso andare da solo. Prenderò un taxi. — Stese la mano a Quaggy che gliela strinse con sorprendente cordialità. — Grazie anche a lei, signor Quaggy — gli disse, un po' intimidito, mi parve. Poi s'inchinò a noi con sussiego e si allontanò. — Strano episodio — commentò Vance, quasi tra sé. — Però, si intona al resto... È stata una bella fortuna per il tuo amico legale che quelli fossero
tiratori così scadenti... Be', non ci rimane che avviarci all'angolo della strada e aspettare l'energico sergente. Questo lampione non ci può dir più nulla. Markham seguì silenziosamente Vance verso il Parco. Quaggy camminò con noi sino all'ingresso del suo albergo, poi ci salutò. Prima di entrare si rivolse ancora a noi e ci disse con fare canzonatorio: — Mille grazie per non avermi arrestato. — Niente, niente, signor Quaggy — gli rispose Vance sorridendo. — La partita non è ancora chiusa, sa?... Arrivederci... Quando fummo giunti all'angolo, Vance sedette indolentemente sulla larga balaustra di pietra che costeggiava il muro dell'albergo Nottingham, accese una sigaretta e disse: — Io non sono un tipo sanguinario, Markham, ma mi augurerei che quel signore della mitragliatrice lo avessi colpito, il tuo signor Fleel... La distanza era così breve! Io non ho mai maneggiato una mitragliatrice, ma credo che me la sarei cavata molto meglio... E il povero sergente che corre come un pazzo!... Il mio cuore sanguina per lui... No, la spiegazione di questo piccolo incidente notturno non si trova nella macchina verde... — A volte, Vance — ribatté Markham — le tue chiacchiere sono proprio irritanti. Bell'affare, se avessero ammazzato anche Fleel a pochi passi da me e dalla polizia... — Bella notte! — mormorò Vance. — Così quieta e solitaria... Un po' calduccia, però. — Scommetto che Heath e Mac Langhlin sono riusciti a scovare l'automobile in qualche posto — disse Markham che evidentemente seguiva il filo dei suoi pensieri. — Può darsi, ma questo non ci farà avanzare di molto. Non possiamo mandare un coupé verde alla sedia elettrica. Qualche minuto dopo un taxi arrivò a corsa vertiginosa, si fermò davanti a noi e Heath e Mac Langhlin ne balzarono fuori. — L'abbiamo trovata! — annunciò Heath trionfante. — È la stessa macchina che Mac Langhlin vide mercoledì mattina vicino a casa Kenting. L'agente annuì con entusiasmo: — Proprio quella! Posso giurarlo. Dio, che corsa! — E dove l'avete trovata? — chiese Markham, mentre Vance si divertiva a soffiare circoletti di fumo nell'immobile aria estiva. — In una via laterale del Parco — rispose Heath con un gesto della mano che sfiorò pericolosamente il viso di Mac Langhlin, dritto al suo fianco.
— Abbandonata. Quasi sul marciapiede. Quelli che la occupavano devono essere tornati poi sulla strada a prendere un taxi... Proprio quello davanti a questo nostro... Heath fece un cenno imperioso all'autista e un ometto rotondo di circa trent'anni, con una palandrana troppo lunga per lui, scese e si avvicinò. — Sentite — gli disse il sergente. — Conoscete il nome dell'autista che stava sulla macchina presa da quei due? — Sicuro che lo conosco. Siamo amici. — Sapete dove vive? — Sicuro che lo so. In Kelly Street... Ha moglie e tre bambini. — Al diavolo la sua famiglia! — brontolò Heath. — Bisogna che lo peschiate subito e lo mandiate al Comando di Polizia. Voglio sapere dove si sono fatti condurre quei due tipi. — Glielo posso dire io — fu la rispettosa risposta dell'autista. — Stavo parlando con Ab quando quei due arrivarono. Anzi aprii io stesso lo sportello... Gli dissero di portarli a grande velocità alla stazione della metropolitana a Lexing Avenue. — Ah! — fece Vance. — Metropolitana eh? Molto interessante. — Comunque voglio vedere l'autista — disse Heath senza tenere conto dell'interruzione di Vance. — Mandatemelo eh? — Sissignore. Tornerà al posteggio fra mezz'ora. — Benissimo... Capo, adesso telefonerò alla Centrale perché vedano di mettersi sulle tracce degli automobilisti... — Perché precipitare le cose? — chiese Vance. — C'è Snitkin che ci aspetta a casa mia... Se prendiamo questo taxi fra pochi minuti ci saremo e lei potrà servirsi del mio telefono sino a che le piacerà... Questo giovanotto — disse poi indicando l'autista — potrà tornare al posteggio e aspettare l'arrivo del suo amico Abraham. Heath esitava, ma Markham, dopo un'occhiata a Vance, annuì. — Credo che sia la cosa migliore, sergente — disse poi e aprì lo sportello del taxi. Salimmo tutti lasciando Mac Langhlin sull'orlo del marciapiedi e Vance diede l'indirizzo di casa sua. — Telefonate alla Centrale il ritrovamento della macchina — gridò Heath dal finestrino all'agente — e tenetela d'occhio sino a che non verranno a prenderla... Guardate anche se torna quell'Abraham... Poi andate alla Ca' Rossa con Guilfoyle.
14. Kaspar venerdì 22 luglio, ore 0,30 Mentre il taxi correva verso la casa di Vance, Markham chiese nervosamente a Heath, che gli sedeva di fronte: — Dunque, di che trattava la telefonata che avete ricevuto in casa Kenting? — Hanno trovato il corpo di Kaspar Kenting nell'East River, vicino alla 150a Strada. Il rapporto giunse non appena Snitkin fu di ritorno alla Centrale. Ci dirà ora i particolari... Ho creduto bene di non parlarne in casa Kenting per via di quel Weem che ci stava a spiare. Per qualche secondo Markham rimase muto. Poi domandò: — Non sapete altro, sergente? — Buon Dio, Capo, non basta questo? Ripiombammo nel silenzio, poi Markham mormorò: — Dunque, Vance, avevi proprio ragione... — East River, eh? — disse Philo. — Già, già, è naturale... Poi tacemmo per tutto il percorso. Snitkin ci aspettava e Heath, dopo una lunga telefonata alla Centrale per le varie istruzioni del caso, entrò con lui nella biblioteca dove Vance, Markham e io eravamo andati a sederci. — Avanti, Snitkin — ordinò Heath. — Diteci quello che sapete. — Un momento, sergente — si interpose Vance. — Prima Snitkin deve ristorarsi con un sorso di cognac... — Versò in un bicchiere da whisky un'abbondante razione del suo prezioso Napoléon. — Il rapporto può anche aspettare un pochino. Snitkin entrò e guardò timorosamente il procuratore distrettuale. Markham fece un cenno col capo e l'agente bevve di gusto il suo cognac. — Obbligatissimo, signor Vance!... Ed ecco quello che so. — (È interessante notare che Snitkin non si rivolgeva né a Markham né a Heath ma a Philo Vance, benché questi non avesse alcuna veste ufficiale.) — Nel fiume, presso la 150a Strada c'è come una piccola darsena dove l'acqua è alta poco più di mezzo metro... Fu lì che l'agente di servizio — era Nelson, credo — vide l'uomo con le gambe che sporgevano dall'acqua, verso le nove. Egli telefonò subito per un'autoambulanza... Il perito medico esaminò subito il cadavere. Pare che la morte non sia dovuta ad annegamento... Il tizio era già morto, quando lo buttarono in acqua: colpito al capo con...
— Col solito corpo contundente — interloquì Vance. — Quando non si sa come un poveraccio sia stato assassinato, si dice sempre così. — È vero, signor Vance: il rapporto dice appunto: "colpito al capo con un corpo contundente...". Doveva esser morto da dodici ore... Quella piccola darsena è molto appartata ed è per un vero caso che Nelson abbia scorto il cadavere... — E come è stato identificato? — chiese Heath, con aria ufficiale. — Oh per questo! Non solo l'individuo corrispondeva perfettamente alla descrizione diramata, ma le sue tasche erano piene di segni di riconoscimento... Pareva una cosa fatta apposta. Il suo nome era scritto nell'interno di una tasca della giacca, sotto la cintura dei pantaloni... sul portafoglio c'erano le iniziali e, dentro, parecchi biglietti da visita. Non basta: è stato trovato anche un pettine tascabile montato in argento, pure con le iniziali. — Un pettine tascabile eh? — fece Vance. — Questo è interessante, Markham: quando uno possiede un pettine tascabile, non si preoccupa di portarne via un altro... Avanti pure, Snitkin... — Poi c'era il monogramma su quasi tutti gli oggetti che aveva in tasca: portasigarette, accendino, fazzoletto, eccetera... Insomma non poteva essere altro che Kaspar Kenting. — Non gli è stato trovato nelle tasche un pigiama e uno spazzolino da denti? — Pigiama? Spazzolino? — chiese Snitkin stupito. — No, niente di tutto ciò... Erano necessari per l'identificazione? — No, no — rispose Vance. — Non chiedevo per questo. Per l'identificazione c'è più di quanto basti... Semplice curiosità la mia. — Chi vi ha dato tutti questi particolari, Snitkin? — Ero in ufficio, sergente, quando è arrivata la telefonata del posto di polizia, e l'ho raccolta io... Heath apparve soddisfatto. — Adesso andate pure a riposare — gli disse. — Avete avuto una giornataccia. Ma domattina fatevi vedere per tempo. Snitkin se ne andò, e una decina di minuti dopo Heath lo seguì. Quando ci trovammo soli, Markham chiese: — Vance, come mai sapevi sin da ieri mattina che Kaspar Kenting era morto? — Tu vuoi adularmi... Io non sapevo nulla... Lo supponevo soltanto, in base agli indizi che... — Lascia perdere le chiacchiere... La situazione è molto grave...
Vance tacque, e continuò a fumare con espressione aggrondata. — Sì, Markham — disse poi con una strana voce soffocata. — La situazione è stranissima. Ma non c'è proprio nulla da fare. Dobbiamo aspettare ancora, credimi. Abbiamo mani e piedi legati... Il fatto più grave è che non si tratta di un caso di rapimento e di riscatto, ma di qualcosa di assai peggio: di un freddo diabolico delitto. Però non sono ancora in grado di dimostrartelo... Sono molto più preoccupato di te, Markham, perché la cosa mi appare indicibilmente orribile... ma, com'è vero che ti parlo non so... non so... Ho paura ad agire senza saperne di più. Raramente avevo udito Vance parlare con quel tono, e una sensazione di paura, potente quasi come una reazione fisica, mi invase: e sono certo che anche Markham dovette provare qualcosa di simile. Infatti non fece alcun commento e poco dopo se ne andò. Anch'io mi coricai quasi subito e, debbo confessarlo, dormii molto bene. Ero esausto e, a dispetto della tensione nervosa, il sonno mi piombò addosso irresistibile. Certo però, se avessi potuto prevedere i terribili, spaventosi avvenimenti del jiorno dopo, non sarei riuscito a chiudere occhio. 15. Alessandrite e ametista venerdì 22 luglio, ore 8,40 a.m. Non dimenticherò mai quel giorno. Sempre rimarrà nella mia memoria come uno dei grandi orrori della mia vita. In quel giorno la morte sfiorò Vance, Heath e me più da vicino di quanto non avesse mai fatto. Ricordo bene la scena nel piccolo studio di Kin-Kard al Casinò, e l'annuncio della orribile morte di Vance in Casa Giardino: ma neppure quegli spaventosi episodi possono reggere il confronto con gli eventi di quel memorabile venerdì di luglio. In un certo senso fu Vance a provocarli. Egli mise in gioco la sua vita per impedire il verificarsi di qualcosa che egli considerava diabolico. In Vance generalmente il raziocinio governava ogni azione: ma in quel caso particolare egli volle seguire l'istinto. E confesso che conobbi così per la prima volta un lato assolutamente nuovo e inatteso del carattere di Philo Vance. La giornata cominciò in modo normalissimo, salvo il fatto che Vance si alzò alle otto. Non so quante ore avesse dormito quella notte: so soltanto
che essendomi svegliato per qualche istante alcune ore dopo essermi coricato lo udii passeggiare su e giù per la biblioteca. Però quando alle otto e mezzo del mattino lo raggiunsi per la prima colazione, né il suo aspetto né i suoi modi denotavano stanchezza. Era vestito tutto di grigio, con una cravatta verde a puntini bianchi, e mi accolse col suo solito benvenuto cordiale e un po' canzonatorio. Ma non accennò al fatto di essersi alzato ad un'ora per lui così mattutina. Quand'ebbe sorbito il suo caffè turco e acceso la seconda Régie, cominciò a parlare dell'affare Kenting. — Un caso impressionante e complicato, no, Van? Presenta troppe sfaccettature... come quelle gemme di Karl Kenting... Io nutro, naturalmente, certi sospetti, ma non mi sento affatto sicuro, sul mio terreno... Non mi piace il fatto di quelle pietre mancanti... non mi piace quella scala a pioli, così sottilmente e inutilmente trasportata dall'una all'altra finestra... non mi piace quel fallito tentativo contro Fleel, e la fortuita presenza di Quaggy sul luogo... Fleel era realmente sconvolto quando noi giungemmo, e stupito di trovarsi ancora vivo... Non mi piace affatto la situazione quale si presenta in quella vecchia casa rossa dai soffitti troppo alti... è un luogo malsano e pieno di sinistre possibilità... C'è già stato un delitto... e ce ne può essere stato anche un altro di cui non abbiamo ancora notizia... Guardò il soffitto con aria turbata e respirò profondamente: — Ma che cosa possiamo fare? Oggi forse avremmo una risposta... Una mossa affrettata da parte nostra potrebbe sciupare ogni cosa. Ma per l'assassino agire in fretta... terribilmente in fretta è ora della più vitale importanza. Ecco perché credo che presto debba capitare qualcosa di nuovo... Lo spero, Van... e conto sull'ansia della persona che ha ideato e condotto sin qui questa orribile cosa... Tacque, e io non feci alcun commento perché sapevo che aveva parlato più per sé che per me. Quando ebbe finito la sua sigaretta, si alzò e andò a guardare fuori dalla finestra. Si preannunciava un giorno afoso e soffocante. — Credo sia opportuno recarci da Markham — disse dopo un poco Vance volgendosi a me. — Non abbiamo nulla da fare, qui, e potrebbe darsi che Markham nella sua semplicità trascurasse di telefonarci qualche particolare apparentemente secondario... Invece son proprio le piccole cose oscure che ci condurranno alla soluzione di questo caso. Vance suonò e ordinò a Currie di fargli trovare l'auto alla porta. Pochi minuti prima delle dieci eravamo da Markham.
— Hai fatto bene a venire — ci disse il procuratore distrettuale. — Stavo appunto per telefonarti. — Ah — fece Vance — qualche nuova traccia? — No — rispose Markham. — La polizia ha svolto le sue indagini normali ma senza alcun risultato promettente... Kenyon Kenting ha identificato senza dubbi possibili il cadavere di Kaspar... La camera della signora Kenting, la scala, la finestra sono state esaminate: niente, non la più piccola impronta... — Le impronte le troverete, vecchio mio, non dubitare... ma non molto lontano dalla Ca' Rossa... Personalmente io sono d'avviso che non si troveranno sino a quando non verrà rintracciata la macchina con la quale la signora Kenting venne portata via ieri sera... — Che vuoi dire?.. Quale macchina? — Non ne ho la più lontana idea... Ma non crederai che la signora se ne sia andata a piedi... E, parlando di automobili, quali informazioni avete potuto trarre dalla macchina verde così energicamente catturata dal nostro Heath?... Era stata rubata? — Sì. Apparteneva a una vecchia e rispettabile signorina di West End Avenue... Le nostre ricerche approdarono solo alla scoperta della piccola mitragliatrice nella cassetta degli arnesi, sotto il sedile. I documenti poi di circolazione ecc.. che abbiam trovato... rubati anche quelli, da un'altra macchina. — Molto interessante, questo. Forse l'altra macchina è proprio quella che servì per la signora Kenting... Pura ipotesi... Immagini che ieri sera il coupé verde seguisse Fleel mentre l'altra macchina serviva per la signora. Gente bene organizzata. — Non riesco a seguirti, Vance, benché abbia una vaga idea della teoria che tu vai costruendo. Ma molte altre cose possono esser capitate ieri sera... — Oh, moltissime! E che cosa ha detto poi l'autista Abraham? Lo avete sottoposto alla tortura per ottenerne rivelazioni sensazionali? — Vance, tu leggi troppi libri gialli! — esclamò Markham indignato. — Heath lo ha interrogato, ma non ha ottenuto che una conferma di quello che ci aveva detto l'amico suo: i due dell'automobile verde si fecero condurre all'ingresso della metropolitana di Lexington Avenue. Lo pagarono e senza neppure aspettare il resto, si precipitarono giù in tempo per l'ultimo treno. — Benone. C'è altro?
— Ho parlato col medico che ha esaminato il cadavere di Kaspar: niente da aggiungere al rapporto di Snitkin. Darsena e vicinanze sono state esaminate con cura senza che fosse possibile scoprire alcun indizio. Mac Langhlin non ha udito e non ha visto nulla nei dintorni di casa Kenting: Weem e la cuoca sostengono di aver dormito; e i due autisti che stazionano all'angolo di Columbus Avenue, poco lontano dalla Ca' Rossa, non ricordano di aver veduto passare la signora Kenting che conoscono di vista. — Informazioni tipicamente complete e inutili — sospirò Vance. — Non avete fatto controllare nelle gioiellerie se vi sia stata inutilmente qualche offerta di pietre dure d'ignota provenienza? — Ma no! Che c'entrano codeste pietre con un caso di rapimento? — Mio caro Markham — protestò Vance — credevo di averti già detto, e persino dimostrato che questo non è un caso di rapimento. Perché non vuoi concedere a un assassino ingegnoso di costruirsi uno scenario? La collezione del vecchio Karl Kenting c'entra moltissimo... — E va bene, anche ammettendo che quei pezzi di vetro colorato abbiano qualcosa a che fare con queste scomparse, perché occuparsi tanto di una circostanza così secondaria anziché di episodi gravi come l'attacco a Fleel? — Oh quello — fece Vance scrollando le spalle — è un semplice particolare tecnico... E il mitragliere è stato anche tanto gentile da non colpire il bersaglio. È stata una bella fortuna, come ho detto a Fleel. — Ma che Fleel sia sopravvissuto o no, non toglie che sia stata un'orribile bricconata... — Oh, questo sì — approvò Vance. In quel momento il segretario di Markham venne ad interrompere la nostra conversazione dicendo: — Capo, c'è fuori un giovanotto, tutto eccitato, che insiste per essere ricevuto subito da lei... Dice che si tratta dell'affare Kenting... Si chiama Falloway... — Fatelo entrare — disse Vance prima che Markham avesse avuto il tempo di parlare. Il segretario guardò Markham il quale, dopo un attimo di esitazione, annuì. Poco dopo entrava Fraim Falloway con aria spaventata, e più pallido che mai. — Ci dica quello che le sta a cuore — lo invitò Vance cortesemente. Il giovane si rivolse a lui: — Glielo dirò subito — fece con voce tremante. — Quella... quella bella alessandrite è stata rubata dalla collezione... Oh sono certo che è stata ru-
bata. — Rubata? E perché lo crede? — Non... non lo so. So soltanto che è scomparsa. Due giorni fa c'era ancora. Dunque è stata rubata. Ricordavo anch'io benissimo quella gemma grande e bella, di una quarantina di carati e di forma ottagonale che occupava il posto d'onore nella bacheca più in vista, circondata da altri campioni di crisoberilli. — Le altre pietre della collezione non le conosco e non mi interessano — proseguì nervosamente Falloway — ma quella sì. Ne ero come affascinato. Era così bella. Passavo delle ore a contemplarla. Di giorno era di un verde meraviglioso, solo con qualche sprazzo sanguigno: di sera invece alla luce artificiale cambiava completamente e diventava di un rosso vivo, come quello del vino. Cogliendo uno sguardo incredulo di Markham, Falloway si affrettò a spiegare: — Oh, non c'è niente di miracoloso... Ho letto che si tratta di uno strano fenomeno di rifrazione... Con tutto quel che è capitato, da due giorni non ero andato a vederla che un momento ieri sera, e l'ho vista tutta rossa... Ma io la preferisco quando è verde, e stamattina... poco fa... sono sceso a guardarla... Era ancora tutta rossa, quasi purpurea... sono rimasto per un poco stupito, poi mi sono accorto che si trattava di un'altra gemma di forma e dimensioni eguali... Si frugò nervosamente nella tasca della giacca e ne trasse una pietra d'un colore rosso-blu, che porse a Vance con voce tremante. — Ecco quel che ho trovato al posto della mia alessandrite! Vance prese la pietra preziosa e la esaminò: — Già. Questa è un'ametista di valore relativamente piccolo. Invece il prezzo delle alessandriti, specie in questi ultimi tempi, è salito enormemente. Potrebbe dirmi con esattezza quando fu operata la sostituzione? — No. Come già ho detto, da due giorni non ho più guardato l'alessandrite alla luce naturale. Solo stamattina ho scoperto la verità. La sostituzione può esser stata quindi compiuta in un momento qualunque di questi due giorni. Vance osservò di nuovo la gemma, poi la restituì a Falloway. — La rimetta al suo posto non appena sarà tornato a casa e non dica nulla a nessuno fino a che non avrà nuovamente parlato con noi. — Poi si volse a Markham: — Vedi, Markham, l'alessandrite è una rarissima varietà del crisoberillo. Venne scoperta meno di un secolo fa nell'Ucraina e così fu
battezzata in onore dello Zarevic che divenne poi Alessandro II. Una bella alessandrite di quelle dimensioni vale oggi un piccolo capitale. Io la vidi l'altro giorno quando visitati la collezione di Karl Kenting e mi stupii della fortuna del collezionista. Non ne parlai con Kenyon perché occorre ben più di una bella pietra per costituire una collezione rispettabile... — Capisco, capisco. Ma a me soprattutto interessa sapere che cosa trovi tu di significativo in questa sostituzione di gemme — disse Markham. — Altro che significativo! Saresti stupito di sapere quanto sia significativo questo fatto! — si rivolse poi a Falloway che ascoltava con grande interesse e gli disse: — Credo opportuno che lei torni subito a casa e faccia quanto le ho detto. Intanto la ringrazio molto di averci riferito della scomparsa della pietra. Fraim Falloway si alzò: — La rimetterò subito a posto — disse. — Una cosa ancora, signor Falloway... Lei non ha alcuna idea di chi possa essere il presunto ladro? — Ebbene... sì... — Ah, ah...! — Sì... non può esser stato che Kaspar! — Ma Kaspar è morto — disse Vance pacatamente. — Be', questa è una liberazione — osservò Falloway per nulla turbato dell'annuncio di Vance. — E... crede che sarà possibile ritrovare la mia bella alessandrite? — Oh sì, credo proprio che ci riusciremo. Il giovane parve molto sollevato e si avviò alla porta strascicando i piedi. Proprio mentre Falloway stava per uscire, comparve di nuovo il segretario di Markham per annunciare l'arrivo di Kenyon Kenting. — Avanti — disse Markham. Kentin e Falloway si incrociarono sulla soglia. Fui colpito dalla muta ostilità che correva tra i due. Kenting si inchinò rigidamente, mormorò un freddo e dignitoso saluto. Falloway passò oltre senza neppure rispondere. 16. "In quest'anno di Nostro Signore" venerdì 22 luglio, ore 11 a.m. Kenyon Kenting era evidentemente molto scosso. Dopo aver salutato con un cenno del capo Vance e me si diresse verso lo scrittoio di Markham
e vi depose una busta. — Ecco ciò che mi è giunto stamattina con la seconda distribuzione della posta — disse dominandosi a stento. — Un altro di quei maledetti messaggi. Markham aveva già preso la busta e stava estraendone un foglio ripiegato. — E Fleel — continuò Kenting — ne ha ricevuto un altro in ufficio, con la stessa distribuzione. Mi ha telefonato per avvertirmi, proprio mentre stavo venendo qui. Era naturalmente preoccupatissimo e mi ha chiesto se anch'io avessi ricevuto qualcosa dai rapitori. Gli ho detto di sì e gli ho letto il contenuto di quel foglio. Ho aggiunto che lo avrei portato immediatamente a lei e Fleel mi ha detto che anche lui avrebbe fatto altrettanto e che ci saremmo trovati qui. Non è ancora arrivato? — Non ancora — rispose Markham. Quand'ebbe finito di leggerlo porse il foglio a Vance, con la relativa busta dicendo: — Credo che ti interesserà. — Altroché! Io mi ero alzato e stavo dietro la sedia di Vance per poter osservare a mia volta il messaggio. Era scritto a matita sopra un foglio perfettamente simile a quello ricevuto da Fleel il giorno innanzi. Era composto con la stessa calligrafia volutamente grossolana e irregolare, ma questa volta grammatica e ortografia erano rispettate. Pareva che l'autore del messaggio, chiunque fosse, avesse abbandonato di proposito quella tattica, di modo che non potessero nascere malintesi ed errate interpretazioni sul significato dei suoi desideri. Vance lo lesse una volta come se il testo non lo interessasse molto; ma certo doveva avervi riscontrato qualche motivo di perplessità. Diceva: Voi non avete obbedito alle istruzioni. Vi siete rivolto alla polizia. Noi vediamo tutto, e per questo ora abbiamo preso anche sua moglie. Se ci tradirete ancora capiterà a lei ciò che è capitato a lui. Questo è l'ultimo avvertimento. Tenete pronti i 50.000 dollari per le cinque di oggi (venerdì). Riceverete istruzioni per quell'ora. E badate bene di non avvertire la polizia perché noi non scherziamo. Attenzione! Come firma i soliti due quadrati.
— Molto interessante e istruttivo — disse Vance rendendo a Markham foglio e busta. — È evidente che vogliono subito il denaro. Ma io non son convinto che il fiasco dell'altra sera nel Parco sia dovuto totalmente alla presenza della polizia. Comunque... — Che cosa devo fare? — chiese Kenting volgendo il capo da Markham a Vance, e viceversa. — Che cosa devo fare? — In realtà — gli disse Vance cortesemente — lei non può fare nulla, per il momento. Deve aspettare le istruzioni annunciate. E poi c'è anche il billet doux del signor Fleel che noi speriamo di poter presto vedere. — Lo so, lo so — mormorò Kenting smarrito — ma sarebbe troppo orribile se qualcosa dovesse capitare a Magdalen. Vance non mi era mai parso tanto turbato. — Naturalmente non si può dir nulla — osservò sottovoce — ma possiamo sperare il meglio. Lo so che questa attesa è abominevole: d'altra parte, come agire?... A proposito, signor Kenting, non ha udito ieri i colpi sparati contro il signor Fleel, poco dopo che lei era uscito dalla casa di suo fratello? — No, non ho sentito nulla — rispose Kenting. — Sono rimasto molto colpito stamane quando l'ho saputo... Nell'uscire, ieri sera, ebbi la fortuna di trovar subito un taxi e mi feci condurre direttamente a casa. Quanto tempo dopo di me se andò Fleel? — Pochi minuti — rispose Vance. — Ma certo lei si trovava già in taxi sulla strada di casa sua. Kenting rimase meditabondo per un momento poi disse (e un grande terrore gli tremava nella voce): — Forse... forse quei colpi erano destinati a me! — Oh, no, no! — lo rassicurò Vance. — Posso garantire che quei colpi non erano destinati a lei... In realtà non sono neppure convinto che fossero destinati al signor Fleel. — Che cosa dice? — fece Kenting alzandosi di scatto. — Che cosa vuol dire? Prima che Vance avesse avuto il tempo di rispondere, Markham venne avvertito dell'arrivo del signor Fleel e diede ordine che questi fosse subito introdotto. Il legale entrò; era pallido, stanco e aveva perduto quasi totalmente la sua aria di sicurezza. Ci salutò tutti brevemente, poi strinse forte le mani di Kenyon Kenting. — Tutta la mia simpatia è per lei, Kenyon — gli disse. — È una ben du-
ra prova... Kenting scrollò le spalle: — Anche lei, ieri, l'ha scampata per miracolo. — Sì, ma eccomi ancora sano e salvo. Non posso davvero spiegarmi quell'attacco... Che vantaggio avrebbero avuto dalla mia morte? È una cosa incredibile! Kenting lanciò una rapida occhiata a Vance, il quale però era completamente assorto nell'accendere una nuova sigaretta. Fleel si avvicinò alla scrivania di Markham. — Ho portato con me il biglietto ricevuto questa mattina. Non ne capisco il movente, a meno che i gangster non credano che io abbia in deposito e disponga di tutto il patrimonio Kenting. Ora io non posso, invece, far nulla e sono molto preoccupato per questa comunicazione... — Vediamola — interruppe Markham. Fleel porse una busta al procuratore distrettuale, e, così facendo, il suo sguardo cadde sul biglietto recato da Kenyon Kenting. — Posso prenderne conoscenza? — chiese. — Faccia — disse Markham mentre apriva la busta che gli aveva dato il legale. Il messaggio ricevuto da Fleel era un po' più breve di quello di Kenting, ma era scritto dalla stessa mano, a matita, e sulla stessa carta. Voi ci avete ostacolato. Avete modo di procurare il denaro. Presto, dunque, e non commettete altre sciocchezze. Siete un buon legale e potrete predisporre le cose per bene. Cercate di farlo. Contiamo che seguirete le istruzioni della nostra lettera a Kenting in data di oggi in quest'anno di Nostro Signore 193., altrimenti saranno guai. Come firma, sempre i due quadrati tracciati con un pennellino. Dopo Markham, Vance lesse la comunicazione minacciosa, che mise poi accanto all'altra sulla scrivania del procuratore. — Non posso che ripeterle, signor Fleel — disse Philo Vance all'avvocato — quanto già dissi al signor Kenting: dobbiamo attendere ancora. Impossibile al punto in cui siamo prendere una decisione. Bisogna aspettare la nuova comunicazione, con qualunque mezzo arrivi, prima di poter seguire una precisa linea di condotta. — Si alzò, ponendosi di fronte ai due uomini. — Credete pure che noi abbiamo la migliore volontà di aiutarvi e
che facciamo tutto quello che è possibile. Vi consiglio di rimanervene nei rispettivi uffici, sino a che non avrete saputo qualcosa di più... A ogni modo vi ringraziamo della vostra cooperazione... E il denaro, signor Kenting, le è stato restituito? — Ma sì, ma sì, Vance. È la prima cosa che è stata fatta questa mattina. Due nostri agenti gli hanno recato il plico... Kenting fece un gesto di assenso. — Magnifico — disse Vance. — Perché, oltre tutto il signor Kenting non avrebbe potuto consegnare il denaro del riscatto, se non glielo avessero restituito ... — Poi si volse nuovamente a Fleel e a Kenting. — Resta inteso che loro ci avviseranno qualora si verificasse qualcosa di nuovo. — Non dubiti, signor Vance — rispose Kenting prendendo il cappello — che sarà immediatamente avvertito quando giungeranno le istruzioni promesse. — Poi uscì, accompagnato da Fleel. Non appena la porta si fu chiusa dietro di loro, Vance si volse rapidamente e si avvicinò alla scrivania di Markham. — Questo biglietto ricevuto da Fleel!... Ecco una cosa che non mi piace affatto... È stranamente contraddittorio... Voglio esaminarlo ancora. Mentre così parlava riprese il documento e cominciò a scorrerlo molto più attentamente di quanto non avesse fatto in presenza di Fleel e di Kenting. — Come avrai notato, entrambe le missive provengono, come quella di ieri, dall'ufficio postale di Westchester... — Sì, l'ho notato... Credi che ciò sia importante? — Non lo so, Markham — disse Vance continuando il suo minuzioso esame... — E non riesco a capire l'allusione a "quest'anno di Nostro Signore..." Non c'entra... è una nota stonata, e mi colpisce sempre più... Certo chi ha scritto questo pensava a qualcosa di preciso... Può darsi che non abbia alcun significato,... che la frase sia stata scritta inavvertitamente, o con leggerezza. .. come pure che abbia un significato sottile per qualcuno che doveva leggerla... — Sì, anche a me quell'espressione è sembrata senz'altro molto strana... Ma non riesco ad attribuirle un valore... — Chissà... — Vance si alzò e si passò leggermente una mano sulla fronte. — Vorrei rimanermene un po' solo con questo messaggio... Dove posso andare? Markham lo guardò perplesso: — Ma... non saprei... E poi a minuti sarà qui anche Heath...
— Bravo ragazzo, quel sergente... Lo vedrò volentieri... Ma dove posso andare? — Vai nel mio studiolo privato... Là sarai solissimo — gli disse Markham. — Devo avvertirti quando arriverà Heath? — No, no... Digli che mi aspetti. Markham lo guardò stupito, poi si immerse nelle sue carte d'ufficio. Trascorsero più di dieci minuti prima che Vance uscisse dallo studiolo. Nel frattempo Heath era arrivato, e attendeva con aria impaziente. Al suo entrare Markham gli aveva detto: — Il nostro oracolo è a colloquio con se stesso. Sedetevi in quella poltrona e mentre aspettate, leggete questo biglietto ricevuto stamattina da Kenting. Un altro messaggio ricevuto da Fleel si trova attualmente sotto la lente di Vance! Heath aveva sogghignato al lieve sarcasmo di Markham e s'era messo a leggere la nota portagli dal procuratore. Quando Vance rientrò guardò deciso verso Heath: — Salute, sergente... Grazie di avermi aspettato, eccetera... Ecco qua la missiva ricevuta da Fleel... Rimase un po' in piedi con lo sguardo fisso al suolo. — Potrebbe darsi — brontolava — potrebbe darsi... — Poi disse a Markham: — Vorrei vedere una pianta particolareggiata di New York... — Là, quel rotolo, al muro... — Vance srotolò la pianta e cominciò a studiarla; poi disse a Markham: — Mostrami quel foglietto che avevi ieri con le indicazioni relative al quartiere postale di Westchester... Markham glielo porse e Vance, ritornato vicino alla pianta, cominciò a tracciare col dito un'immaginaria linea a zig-zag, mormorando tra sé i nomi delle vie. D'un tratto il suo dito si fermò, e lui si volse con un'espressione di trionfo: — Ecco... ecco! Credo di aver scoperto il significato di quella frase... — Che vuoi dire, in nome del cielo? — "Quest'anno di Nostro Signore... "... C'è una via di Nostro Signore nel quartiere di Westchester, in una zona particolarmente isolata. E l'anno 19.. (disse il numero completo che qui ometto per ovvie ragioni) è il numero della casa... Noterai che i numeri corrono appunto dal 1900 in su, in questo quartiere... Un'altra cosa: il mezzo più rapido per giungere in questa località è la ferrovia sotterranea che parte da Lexington Avenue. — Capisco... ma potrebbe trattarsi di una semplice coincidenza... Non
abbiamo dati sicuri... — S'interruppe e, dopo un attimo soggiunse: — Credi che, ad ogni buon conto, sia opportuno mandare laggiù qualcuno dei nostri uomini? — No, no. Sciuperebbero tutto... ammesso che ci sia qualcosa da sciupare... Basta una mossa falsa o troppo scoperta da parte nostra per far fallire il nostro piano. No. Bisogna agire in modo diverso. Il volto di Philo Vance assunse un'espressione concentrata e minacciosa. Una nuova e prepotente emozione lo dominava: — Ci andrò io stesso... Se sarà un buco nell'acqua, pazienza! Ma non dobbiamo lasciare intentata nessuna via. Sento che qualche cosa di sinistro si sta macchinando, e voglio impedirlo. Markham era evidentemente impressionato dall'accento di Vance: — Così non può andare, Vance... Devi aver con te qualcuno che ti aiuti in caso di pericolo... Heath si avanzò: — Verrò io con lei, signor Vance... Credo che potrò esserle utile... E le dirò anche che quell'indirizzo da lei scoperto... mi convince. Se dovessimo far fiasco, avrò sempre una bella storia da raccontare ai miei nipotini: "L'errore di Philo Vance...". Vance lo guardò per un momento con molta serietà, poi disse: — Va bene, sergente. Può darsi che lei abbia occasione di rendersi utile... Quanto all'aver sbagliato... ne sarò lietissimo, ma è un po' difficile che lei vada a raccontarlo ai suoi nipotini... Non è forse uno scapolaccio solitario e inveterato?... Intanto — continuò abbandonando il tono scherzoso e scrivendo alcune righe sopra un foglietto strappato dal blocco di Markham — tenga questo e lo custodisca con la massima attenzione. Heath prese il foglietto giallo, lo guardò con espressione stupita, poi se lo ficcò in tasca. Una straordinaria espressione di incredulità gli si era dipinta sul volto. — Mi spiace dirlo, signor Vance, ma credo proprio che lei... sogni... — Lo dica pure senza timore, sergente — Vance parlava con tono quasi affettuoso. — Però, avrei piacere che lei facesse proprio come le ho detto. Heath assentì con cenno del capo, ma non poté trattenersi dal mormorare: — Se lei lo desidera... Però io penso... — Si risparmi questo sforzo, sergente. — C'era qualcosa di irresistibilmente imperioso nella voce di Vance. — E badi che se lei disobbedirà a questo ordine... il primo che le abbia mai dato, tra parentesi, non potrò
continuare ad occuparmi di questo caso. — Non dubiti... Quando ci metteremo in strada? Heath cercò di sogghignare, ma non vi riuscì troppo bene. — Quando farà buio, si capisce... Si trovi a casa mia alle otto e mezzo. Andremo con la mia macchina... — Buon Dio! — disse Heath. — Mi pare proprio impossibile... Comunque, alle otto e mezzo precise sarò da lei, signor Vance. — Questo significa che, dopo tutto, lei pensa ch'io possa aver ragione! — sorrise Vance. — Ecco... dirò... Insomma, non si sa mai! 17. Rivoltellate nelle tenebre venerdì 22 luglio, mezzanotte Vance si fermò poco tempo nello studio di Markham dopo questo enigmatico colloquio con Heath, e Markham tentò con ogni mezzo di farlo parlare: tutto fu inutile, ma comprendemmo benissimo che Vance doveva avere ottime ragioni per tanto riserbo. — Spero che tu sappia, Vance — gli disse Markham ad un certo momento — che come capo ufficiale della polizia io potrei costringere Heath a comunicarmi il foglio che tu gli hai dato. — Lo so perfettamente — rispose Vance. — Ma so anche che tu non lo farai. — (Solo una volta durante lo svolgimento delle indagini per l'Enigma dell'Alfiere avevo visto tanta gravità nell'espressione dell'amico mio.) — Desidero che tu abbia fiducia in me sino a questa notte — soggiunse guardando Markham con affetto — desidero che tu creda alla necessità della mia ostinazione in apparenza sciocca e ingiustificata. Markham osservò Vance per alcuni istanti, e poi finse di occuparsi del proprio sigaro: — Sei un vero flagello, Vance — gli disse. — Vorrei non averti mai conosciuto. — E tu forse ti lusinghi che io, da quindici anni a questa parte, abbia trovato il più piccolo piacere nella tua compagnia? — ribatté Vance. Poi fece una cosa che non gli avevo mai visto fare: si avvicinò a Markham e gli stese la mano. Senza dimostrare alcuna sorpresa, Markham gliela strinse con affettuosa cordialità: — Dopo tutto — osservò Vance — non sei che un procuratore distret-
tuale! Bisognerà pur tenerne conto! Poi Vance e io uscimmo lasciando Markham e il sergente soli. Facemmo colazione al Caviar Restaurant, poi ritornammo a casa e Vance si immerse nella lettura. Alle sei comparve Markham. — Dunque, Vance, sempre misterioso? Non insisterò... Sono venuto soltanto per dirti che non ho avuto notizie né da FleeI né da Kenting. — Me lo immaginavo... Avranno deciso di agire senza l'importuno aiuto della polizia... Probabilmente saranno giunte loro le nuove istruzioni... Non hai cercato di comunicare con Kenting? — Sì. Ho telefonato al suo studio, e mi hanno detto che era a casa. A casa il domestico mi ha detto che era uscito senza lasciare istruzioni, e che sarebbe tornato solo per il pranzo. — Lo avrai cercato anche alla Ca' Rossa, suppongo? — Certo. Ma non c'era, né vi era aspettato. — Molto interessante. L'amico ci sfugge! — Ho cercato anche di parlare con FleeI: uguale risultato. — Molto triste. Non c'è più fiducia nella polizia... Gli attori del dramma rifiutano di fare la loro comparsa... Non ti resta che cercar di ammazzare il tempo in qualche altro modo... Poco dopo Markham se ne andò e Vance riprese la lettura interrotta. Alle sette e un quarto Currie ci servì in biblioteca un semplice pranzo composto di gigot, patatine rissoulées, asparagi all'olandese, gelatina di frutta e Savarins à la Medici. Alle otto e mezzo in punto arrivò il sergente. — Io continuo a credere che lei sogna, signor Vance — disse allegramente. — Però ho agito secondo i suoi desideri. — Se ho torto, sergente — gli disse Vance in tono scherzoso — la prego di non divulgare il nostro piccolo segreto... Morirei per l'umiliazione. Invecchiando, divento puntiglioso. Heath rise e si versò un buon bicchiere di Bourbon. Intanto Vance aprì un cassetto del tavolo centrale, ne tolse una rivoltella, si assicurò che fosse ben carica e se la fece scivolare in tasca. Io, che m'ero alzato e stavo ora al suo fianco, stesi la mano per prendere l'altra rivoltella, quella di cui m'ero armato per la spedizione al Parco; ma Vance chiuse rapidamente il cassetto. — Mi spiace, Van — disse — ma credo che questa sera tu debba rimanere a casa. La spedizione potrebbe diventare molto pericolosa e... Risposi indignatissimo che intendevo accompagnarlo egualmente, ma
Vance crollò il capo: — È inutile, Van, è proprio inutile... Quando torneremo, io e il sergente ti faremo un racconto preciso. Gli dissi chiaro e tondo che, con o senza rivoltella, ero fermamente deciso ad accompagnarli. Vance mi osservò per un poco fissamente. — E va bene — sospirò poi. — Ma ricordati che io ti avevo avvertito. — Mi porse la rivoltella, e aggiunse: — Questa volta ti consiglio di tenerla nella tasca esterna della giacca a portata di mano. — Guardò fuori delle finestra: — Quando saremo laggiù, sarà abbastanza scuro. Si volse, traversò piano la camera e suonò per Currie. — Se non sono tornato per le undici — gli disse — andatevene pure a letto. Se domattina non mi vedete, troverete una busta azzurra nel cassetto in alto a destra del mio scrittoio, con certi documenti legali molto interessanti. Avvertirete poi il signor Markham... — Si volse a Heath con aria di esagerata indifferenza: — Andiamocene, ora, sergente. In cammino. Il dovere ci chiama, eccetera, eccetera. Scendemmo in silenzio. Le istruzioni di Vance a Currie mi avevano profondamente colpito. La macchina ci aspettava e Vance si mise al volante. Sotto la sua abile guida la lunga Hispano-Suizza procedeva silenziosamente e veloce. Vance consultava a tratti una pianta di New York. Dopo una corsa piuttosto lunga verso il nord, attraverso piazze, viuzze, ponti a me sconosciuti Vance fermò la macchina. Qualche minuto prima di fermare all'angolo della via di Nostro Signore, aveva spento i fari; fu dunque nella più completa oscurità e nel più perfetto silenzio che tutti e tre scendemmo dalla Hispano. Ci avviammo a piedi. La strada era stretta, e, a tratti, disabitata. Qua e là sorgevano, profilandosi contro il cielo, vecchi capannoni di legno. — Dev'essere da questa parte — sussurrò Vance. — Se non erro, quella costruzione a due piani, oltre quel terreno vuoto... Quando fummo davanti al piccolo edificio, esso ci sembrò particolarmente scuro. Nessuna luce filtrava dalle finestre. A tutta prima, anzi, pareva non ne avesse neppure. Heath salì in punta di piedi i tre scalini dell'ingresso e proiettò il raggio della sua lampadina tascabile sulla porta. Rozzamente dipinto sull'architrave era il numero che noi cercavamo. Vance e io lo raggiungemmo, sempre in silenzio. A destra della porta pendeva un cordone da campanello, e Vance lo tirò. Udimmo un leggero tintinnio all'interno, e rimanemmo in attesa. Vidi Heath ficcare una mano
nella tasca dove teneva la rivoltella e, per istinto o per imitazione, feci altrettanto. Dopo una attesa piuttosto lunga, la chiave girò nella toppa, la porta si socchiuse e la faccia di un cinese si sporse a osservarci cautamente. Subito ricordai l'impronta del sandalo ai piedi della scala, la strana forma dei vari messaggi, e compresi che Vance ancora una volta aveva colpito nel segno. Un brivido mi corse giù per la schiena. Intanto Vance aveva introdotto un piede nella leggera apertura ed era entrato, aprendo la porta con la spalla. Davanti a noi, sotto la luce incerta di una lampada a gas che pendeva dal soffitto, stava un cinese vestito di un pigiama nero. Portava i sandali e non era più alto di un metro e mezzo. — Che cosa vogliono? — chiese con voce di falsetto. — Desideriamo parlare con la signora Kenting — sussurrò pianissimo, Vance. — Non qui — rispose il cinese indietreggiando. — Io non conoscere signora Kenti. Nessuno qui... Sbagliato casa. Andare via. In un batter d'occhio Vance trasse un fazzoletto dal taschino della giacca e lo premette sulla bocca del cinese, tenendo fermo l'omino contro il muro. Compresi ben presto il perché dell'azione di Vance: a breve distanza, pendeva da quel muro un cordone di campanello, che certo il cinese si preparava a tirare. L'uomo stava immobile contro il muro come se comprendesse l'inutilità di ogni resistenza. Ma d'un tratto con una agilità e una destrezza straordinaria egli liberò il capo e balzò addosso a Vance stringendogli il petto con le gambe e il collo con le braccia. Fu una cosa davvero sorprendente. Ma, rapido quasi quanto il cinese, Heath, che stava vicino a Vance, colpì l'omino sul capo col calcio della rivoltella. Il colpo fu violentissimo; le gambe e le braccia del cinese si rilassarono, il capo gli ricadde sopra una spalla, e cominciò a scivolar giù verso terra. Vance lo sostenne e lo depose senza rumore; poi si chinò a osservarlo alla luce del suo accendino. — Ne ha per un'ora almeno, sergente — sussurrò. — Lei è così brutale! Se cercava di raggiungere il cordone del campanello, significa che gli altri sono di sopra... — Si avviò silenziosamente verso la scala, coperta da una passerella. — Che razza di situazione! Tenete pronte le vostre rivoltelle ed evitate di appoggiarvi alla ringhiera, che può scricchiolare... Salimmo in fila, prima Vance, poi Heath, ultimo io. C'era qualcosa di sinistro nell'atmosfera di quella casa, e mi parve fosse trascorso un tempo
enorme, prima che giungessimo sul pianerottolo. Era ancora più stretto e più buio del piccolo ingresso del primo piano; solo una fiammella a gas era accesa, nel fondo. D'un tratto ci giunse un suono di voci soffocate; non potemmo distinguere le parole. Vance si mosse cautamente verso il davanti della casa, e si fermò di fronte all'unica porta, a sinistra del corridoio. Una debole striscia di luce filtrava di sotto la soglia. Evidentemente le voci venivano di là. Dopo essere rimasto un momento in ascolto, Vance tentò piano piano la maniglia della porta. Con nostra grande sorpresa, non era chiusa e si aprì subito mostrandoci una lunga squallida stanza con un tavolo al centro. Ad un'estremità della tavola due uomini mal vestiti giocavano a carte, alla luce di una lucernina ad olio. Benché la camera fosse annebbiata dal fumo delle sigarette, riconobbi, in uno di quei due, l'uomo malvestito che la sera innanzi avevo veduto appoggiato alla panchina, nel Parco. La lampada a olio costituiva tutta la illuminazione del luogo e i pesanti tendaggi davanti alle finestre impedivano che la luce trapelasse all'esterno. I due uomini balzarono subito in piedi. — Giù, Van — ordinò Vance, e il suo ordine fu quasi sommerso dal rumore assordante di due colpi di rivoltella sparati dall'uomo che ci stava più vicino. Le pallottole ci passarono sopra il capo; contemporaneamente, si può dire, tanto fu la prontezza della risposta, Vance sparò a sua volta due colpi di rivoltella e vidi l'uomo cadere in avanti. Il rumore della sua caduta coincise col fracasso della lucerna scaraventata al suolo dal secondo individuo. La camera piombò in una completa oscurità. — Rimani giù, Van — ammonì Vance. Poi cominciò uno scambio di colpi, rapidissimi. Io rimasi appiattito al suolo, pieno di apprensione per Vance. Ci fu un breve attimo di silenzio, così intenso da esser quasi palpabile, poi si udì il rumore di un altro corpo che piombava al suolo. Non osavo muovermi. Al mio fianco sentivo respirare Heath... Chi era caduto? Una paura orribile mi assalì... Poi udii la voce di Vance, quella voce canzonatoria e un po' strascicata che tanto bene conoscevo, dire: — Eppure ci dovrebbe essere la luce elettrica, in questa casa. Ho visto i fili, entrando. Lo udii toccare i muri, poi la lampadina del sergente brillò. — Quell'idiota — mormorava Vance. — Aveva tenuto la sigaretta acce-
sa in bocca, cosicché potei seguirne tutti i movimenti... Ci deve essere qualche interruttore... — Eccolo qua, signor Vance — esclamò Heath — vicino alla finestra! Un momento dopo una lampadina debole e rossastra si accese al centro del soffitto. Heath stava vicino alla finestra e Vance, poco lontano da lui, aveva un aspetto calmissimo. Al suolo, due corpi immobili. — Bella serata, sergente, eh? — disse Vance. — Mi dispiace di non aver potuto offrire nulla di meglio... Come stai, Van? — chiese vedendo forse il pallore del mio volto. Lo rassicurai che stavo benissimo e che non avevo sparato per timore di colpire lui, nell'oscurità. — Già — mormorò chinandosi sui due corpi. — Sono morti entrambi, sergente... A quanto pare ho mirato sin troppo giusto! — Già — fece Heath ammirato — e... a quanto pare la mia presenza è servita ben poco! — soggiunse, un po' vergognoso. — In realtà, non c'era proprio altro da fare. Vance si guardò intorno. Oltre una specie di alcova, all'altro capo della camera, era visibile un letto di ferro. Vance avanzò rapidamente e accese un'altra lampadina, sopra la mensola del camino, accanto al letto. In fondo alla stanza, presso i piedi del letto c'era una porta, socchiusa. Fra il camino e il letto, un tavolino, sormontato da un vasto specchio. Heath e io avevamo seguito Vance che stava osservando alcuni oggetti da toeletta molto sciupati, sparsi sul tavolino. Egli aprì il primo cassetto, e vi guardò dentro, poi il secondo. — Ah! — mormorò, e vi introdusse la mano. Ne trasse un pigiama di seta arrotolato. — Ecco il pigiama scomparso — disse. — Mai portato. Molto interessante! — Lo srotolò, e comparve uno spazzolino da denti, verde. Vance fece scorrere un dito sulle setole. — Anche lo spazzolino... È completamente asciutto... Il pigiama deve essere stato arrotolato in fretta intorno al pettine e allo spazzolino... Poi il pettine deve essere scivolato fuori mentre il cinese, che ora se ne sta giù intontito, discendeva dalla scala a pioli... Tornò ad arrotolare il pigiama e lo rimise nel cassetto. Io e Heath lo stavamo guardando quand'egli gridò: — Attenzione, sergente! Prima che avesse pronunciato la seconda parola due revolverate provenivano dalla porta di fondo della camera, sulla soglia della quale era comparso! un uomo snello e ben vestito. Mentre gridava il suo avvertimento, Vance s'era voltato sparando a sua volta due colpi. Vidi la rivoltella sfug-
gire dal pugno del nuovo venuto, che si guardò intorno come smarrito portandosi le mani al petto. Rimase in piedi per un istante poi di colpo stramazzò al suolo, rimanendovi immobile. Anche la rivoltella di Heath era caduta. Quando lo sconosciuto aveva sparato il primo colpo, Heath come sotto la spinta di una mano possente aveva compiuto un mezzo giro, lasciandosi poi cadere su una poltrona. Dopo una rapida occhiata al caduto, Vance accorse presso Heath. — È stato più svelto di me, l'amico — disse il sergente con sforzo. Vance esaminò il braccio di lui, poi sorrise: — Spiacentissimo, sergente, ma è tutta colpa della mia troppo fiduciosa natura... Mac Langhlin ci aveva detto di aver visto solo due uomini nella macchina verde, e io scioccamente ne avevo concluso che questi due signori e il cinese costituissero l'intera forza avversaria... Avrei dovuto essere più previdente. Così, lei ne avrà per un paio di settimane, con questo braccio, e perderà un po' di sangue... ma già, ora ne ha troppo... E servendosi di un fazzoletto improvvisò una fasciatura. — Lei mi tratta come un bamboccio — protestò Heath, alzandosi. Ma era pallidissimo e dovette appoggiarsi al caminetto. — Io non ho nulla. Dove andiamo, ora? — Per fortuna che stavo di fronte allo specchio... Sono strumenti molto utili, a volte, gli specchi — mormorò Vance. Aveva appena finito di parlare che udimmo una scampanellio vicinissimo a noi. — Per Giove, un telefono! — fece Vance. — Dov'è? — È qui, sulla mensola del camino — disse Heath. — Proprio dietro di me. Vance fece per avvicinarsi, ma Heath lo prevenne: — È meglio che risponda io! La sua voce è troppo raffinata!... "Pronto? Chi parla?" — disse ruvidamente nel ricevitore. Ci fu una breve pausa. — "Ah, ah!... Avanti!" — Altra pausa più lunga, mentre Heath ascoltava. — "Ma io non ne so nulla!" — rispose poi con voce seccata. — Ha sbagliato numero! — e riagganciò bruscamente. — Chi era, sergente? Lo sa? — chiese Vance accendendo, con aria tranquilla, una Régie. — Certo che lo so... — Crollò il capo, come se non osasse proseguire. — Non si può sbagliare, con quella voce... — Be', chi era? Il sergente si avanzò d'un passo, mentre un rivoletto di sangue gli scor-
reva giù dalla mano destra: — Era... — cominciò. Poi si avvide della mia presenza. — Madre di Dio! — esclamò. — Non sono io che debbo dirlo... Lei lo sapeva fin da questa mattina. 18. La camera senza finestre venerdì 22 luglio, ore 10,30 p.m. Vance guardò il sergente per un lungo momento, poi scrollò il capo: — Speravo quasi di essermi sbagliato — disse. — È orribile pensare... S'avvicinò in fretta a Heath che barcollava cercando a tentoni il muro dietro di sé per appoggiarvisi, e lo sorresse fino a una sedia. — Beva un buon sorso di questo... e non mi faccia la signorina! — All'inferno! — grugni Heath portandosi alle labbra la fiaschetta d'argento che Vance gli aveva porto. — Ah! Questo è un cordiale! Adesso sto benone... Possiamo andarcene. — Ma che cosa dice, sergente? Cominciamo adesso. Così dicendo Vance passò, attraverso la porta di fondo, nella camera vicina. La camera era immersa nell'oscurità, ma con l'aiuto della lampadina del sergente, scoprimmo subito l'interruttore della luce elettrica. Ci trovammo in una stanzetta senza finestre. Di fronte a noi, contro al muro, stava una branda. Vance si avanzò rapidamente verso di essa e si chinò. Una figura femminile vi giaceva immobile e, nonostante i capelli scarmigliati e il pallore mortale, riconobbe in essa Magdalen Kenting. Aveva la bocca coperta da strisce di adesivo e le braccia saldamente legate ai ferri della branda. Vance le staccò con mano leggera le strisce gommate dalla bocca, e la donna trasse un profondo respiro, come se fosse stata mezzo soffocata. C'era una specie di rantolo nella sua gola, un rantolo di paura o di angoscia; sembrava una persona che si scuotesse dall'influenza di un anestetico dopo una grave operazione. Vance sciolse i nodi crudeli che le stringevano i polsi poi, dopo aver ascoltato il cuore per un momento, le avvicinò alle labbra il collo della fiaschetta. La donna inghiottì macchinalmente e tossì. Allora Vance la sollevò tra le braccia, e uscì dalla camera. Proprio mentre era sulla soglia il telefono squillò di nuovo e Heath fece per accorrere. — È inutile, sergente — gli disse Vance. — Sarà la stessa persona che
chiama ancora. E continuò a camminare col suo inerte fardello tra le braccia. — Dobbiamo portarla subito all'ospedale, Van — disse, quando ci trovammo nell'atrio del pianterreno. Gli tenni la porta aperta con una mano, mentre nell'altra tenevo la rivoltella puntata davanti a me, pronto a sparare qualora se ne fosse presentata la necessità. Mentre Vance discendeva i malfermi scalini, Heath mi si avvicinò. — Lo trascini vicino a quel tubo, per favore, signor Van Dine — mi disse indicandomi il cinese che giaceva ancora dove l'avevamo lasciato. — Ho il braccio che proprio non funziona. Notai allora che dietro la porta correva una grossa tubatura dell'acqua, tutta corrosa per mancanza di vernice. Trascinai il corpo del cinese vicino al tubo, e Heath, cavatosi di tasca un paio di manette, gliele applicò in modo che restasse legato al tubo stesso. Poi mi porse un pezzo di corda preso evidentemente nella cameretta senza finestre, e mi disse: — Gli leghi le caviglie con questa, anche, se non le dispiace... Io non ci riuscirei. Seguii le sue istruzioni, poi entrambi ci avviammo per raggiungere Vance che si trovava ormai vicino all'automobile. Egli distese la signora Kenting sul sedile posteriore e le accomodò i cuscini sotto il capo. — Voi potete starci entrambi davanti, con me — disse, prendendo posto al volante; e, prima ancora che Heath e io ci fossimo accomodati, mise in moto la macchina. Poco dopo ci imbattemmo in un agente, e Heath pregò Vance che si fermasse. Vance frenò e suonò il clacson per attrarre l'attenzione dell'uomo. — Mi può concedere qualche minuto, signor Vance? — chiese Heath. — Certo. La signora Kenting è adagiata comodamente, e non v'è immediato pericolo. Nessun danno se arriveremo in ritardo all'ospedale. Heath si fece riconoscere dall'agente, attraverso il finestrino e gli chiese: — Dov'è il telefono per le chiamate urgenti? — Due strade più su, sergente. — Bene. Allora salite sul predellino, e mostrateci il luogo preciso. Quando fummo giunti davanti al telefono Heath scese dalla macchina, e l'agente aprì per lui la custodia dell'apparecchio. Non potei comprendere le sue parole, ma quand'ebbe finito lo udii dire all'agente: — Corri alla via di Nostro Signore, e rimani di guardia alla casa n. 19.. Tra poco arriveranno altri uomini e io stesso vi sarò di ritorno fra un'ora... Troverete tre morti al primo piano, e un cinese ammanettato e legato alla
tubatura dell'acqua nell'ingresso... Verrà un'autoambulanza per il trasporto. — Ho capito, sergente — disse l'uomo e partì di corsa. Heath risalì in macchina e Vance partì senza indugio. Pochi minuti dopo ci trovammo davanti all'ospedale Doran. Vance, ripresa la signora Kenting fra le braccia, salì la scalinata di marmo. Meno di dieci minuti dopo lo vedemmo ritornare. — Tutto bene. Madama ha ripreso conoscenza. Ha la mente un po' annebbiata, ma niente di grave. Heath era disceso dalla macchina e stava ora sul marciapiedi: — Arrivederla, signor Vance — disse. — Io prendo un taxi e me ne ritorno in quella maledetta casa. C'è da pensare a molte cose. Fece per incamminarsi, ma Vance lo prese per un braccio. — Calma, sergente. Prima deve farsi medicare per benino — e lo accompagnò dentro l'ospedale. Ne uscì quasi subito, solo: — Il nobile sergente sarà pronto tra breve — annunciò — ma insiste per ritornare in quella catapecchia. Quando arrivammo all'appartamento di Vance, Currie ci aperse la porta. Ogni linea nel volto del vecchio domestico esprimeva un grande sollievo. — Oh, Currie! — disse Vance entrando. — Non vi avevo detto di andarvene pure a letto alle undici, qualora non avreste ricevuto prima mie notizie? È quasi mezzanotte, e siete ancora in piedi. Il vecchio richiuse la porta con aria imbarazzata: — Il signore scuserà — disse poi con una voce che, a dispetto di ogni suo sforzo, tremava di commozione — ma io... non potevo andare a Ietto prima che il signore fosse tornato... Avevo capito il significato dell'allusione fatta dal signore ai documenti della scrivania... Per questo non ho potuto fare a meno di essere molto inquieto per il signore... Sono molto contento che il signore sia tornato. — Voi siete un vecchio fossile sentimentale, Currie — mormorò Vance, porgendogli il cappello. — Il signor Markham aspetta in biblioteca, signore. — Me lo immaginavo. Quel buon Markham, sempre in pena per me, anche lui! Quando entrammo in biblioteca, vi trovammo Markham che passeggiava su e giù. Si fermò di colpo nel vedere Vance. — Be', eccoti qui, grazie al cielo! — disse, e nonostante il tono burbero della voce, il suo sollievo apparve evidente quanto quello di Currie. Tra-
versò la camera e si lasciò cadere in una poltrona. Ebbi l'impressione che fosse in piedi da molto tempo. — Salute, caro — rispose Vance. — A cosa debbo l'inatteso piacere della tua presenza a un'ora simile? — Al mio interesse professionale per ciò che tu puoi aver scoperto nella via di Nostro Signore... Suppongo che ti sarai trovato di fronte a un vasto spazio disabitato con un bel cartello: Terreno da vendere. — Niente affatto! Abbiamo trascorso una deliziosa serata, e tu ne sarai certo bassamente invidioso... Dammi la rivoltella, Van. Sono lieto che tu non abbia avuto occasione di adoperarla. Che orribile pasticcio, eh? Neppure io mi aspettavo che le cose prendessero una piega simile... Ripose le rivoltelle nel cassetto, poi suonò per Currie. Markham seguiva ogni gesto e ogni parola dell'amico con la massima attenzione, ma trattenne la sua curiosità perché il vecchio domestico entrava con il servizio del cognac. Currie aveva capito il desiderio di Vance, e non aveva atteso l'ordine. Però, quando, deposto il vassoio, fu uscito dalla camera, Markham proruppe: — Be', che cosa diavolo è accaduto? Vance sorseggiò il suo cognac, accese una Régie, trasse alcune boccate, poi dichiarò: — Mi dispiace molto, Markham... ma temo proprio di averti creato delle noie... Il fatto è — concluse con noncuranza — che ho ucciso tre uomini. Markham balzò violentemente in piedi, come spinto da una molla, e guardando Vance, incerto se l'amico parlasse sul serio o per celia, esplose: — Ma che diavolo vuoi dire, Vance? Vance trasse un'altra boccata dalla Régie e rispose: — J'ai tué trois hommes — Ich habe drei Männer getötet — He matado tres hombres — Három embert megölten — Haragti sheloshah anashim — I killed three men... Insomma, ho ucciso tre uomini! — Ma dici sul serio? — Altro che! Credi d'essere in grado di evitarmi spiacevoli conseguenze? Tra parentesi, ho trovato la signora Kenting e l'ho portata all'ospedale Doran. Niente di grave, ma abbisognava di cure sollecite ed esperte... Piuttosto sconvolta dalla sua avventura e dalla sua prigionia... L'ha scampata bella! Comunque tra pochi giorni tornerà perfettamente in sé... Oh, Markham, te ne prego, siedi e bevi il tuo cognac! Markham obbedì macchinalmente. — Per amore del cielo, Vance, piantala, e cerca di parlare come un indi-
viduo ragionevole! — Ma sì, ma sì, caro — mormorò Vance, contrito. Poi raccontò tutto ciò che era avvenuto, solo diminuendo di molto la parte che lui stesso aveva sostenuto nel dramma. Quando ebbe terminato, chiese timidamente: — Sono un delinquente incanito, o posso contare sulle circostanze attenuanti? Non conosco molto bene le tortuosità della legge... — Non pensarci — rispose Markham. — Se hai davvero qualche preoccupazione in proposito, ti farò dare una medaglia di bronzo grande come una piazza... — Orribile! — sospirò Vance. — Hai qualche idea sull'identità di quei tre uomini? — Nessunissima! — ammise Vance. — Van Dine mi ha detto che uno dei tre ci stava sorvegliando nel parco, l'altra sera... Certo due dei tre sono quei tipi che Mac Langhlin vide sull'automobile verde... L'altro, chi sa? Comunque, non erano certo persone raccomandabili, e vedrai che i sapientoni della Centrale li troveranno nei loro schedari... Si udì il campanello della porta, e un minuto dopo Heath entrò in biblioteca. Il suo volto, di solito molto rosso, era un po' pallido; teneva il braccio al collo. Salutò Markham e poi si volse a Vance: — Quel suo vecchio concialossa dell'ospedale mi ha detto di andare a casa, mentre io sto benone! E poi ha voluto che portassi il braccio al collo... Dice che così guarirò più presto! Ma non basta! Mi ha fatto indolenzire anche il braccio sano ficcandoci un ago lungo così! Non capisco poi a che scopo... — Una puntura antitetanica semplicemente — disse Vance sorridendo. — Obbligatoria per tutte le ferite di armi da fuoco... Reazione fra una settimana. — Il medico non mi ha permesso assolutamente di tornare sul lavoro... Ma ho avuto il rapporto dal posto di polizia. I tre morti sono stati trasportati all'Obitorio. Ma il cinese è vivo e si potrebbe... — Inutile contare su quello — interruppe Vance. — Li conosco i cinesi. Invece la signora Kenting, non appena avrà riacquistato tutte le sue facoltà, avrà certo qualcosa da raccontarci. Allegro, sergente! Prenda un'altra dose di medicina... — E gli versò un'abbondantissima razione del suo prezioso cognac. — Domani sarò naturalmente al lavoro, capo — asserì Heath dopo aver vuotato il bicchiere. — Se quel dottore crede di trattarmi come un bamboc-
cio, si sbaglia di grosso! Un braccio al collo!... Vance, Markham e Heath discussero il "caso Kenting" sotto tutti i punti di vista, poi Markham disse alzandosi: — Me ne vado. E domattina vedremo di chiarire ogni cosa. — Lo spero, Markham — disse Vance. — Più presto potremo raggiungere una conclusione, e meglio sarà. È un caso particolarmente increscioso. — Ha qualche nuova disposizione da darmi, signor Vance? — chiese Heath rispettosamente. Vance lo guardò con commiserazione: — Sì, quella di andare a casa a dormire, per ora... E domani, sa che deve fare? Invitare Fleel, Kenyon Kenting e Quaggy ad una piccola riunione alla Ca' Rossa... La signora Falloway e suo figlio li troveremo certo sul posto... Verso mezzogiorno, va bene? — Lasci fare a me, signor Vance — disse Heath avviandosi alla porta. Poi si volse improvvisamente: — E molte grazie per stasera... — Ma di che? Dopo tutto, non è stato che un piccolo incidente... — fece Vance stringendogli cordialmente la mano. Markham e Heath se ne andarono insieme. Vance chiamò Currie. — Me ne vado a letto, Currie — gli disse. — E per questa notte, credo sia finita. Il vecchio si inchinò, poi prese il vassoio coi bicchieri vuoti. — Benissimo, signore. Grazie, signore. Buona notte, signore. 19. La scena finale sabato 23 luglio, ore 9 a.m. Vance si alzò abbastanza per tempo la mattina seguente. Era di buon umore, ma un po' svagato. Prima di accingersi alla sua frugalissima colazione del mattino, telefonò a lungo con Heath: ma non potei udire che cosa gli dicesse. — Io credo proprio, Van — osservò rientrando in biblioteca — che ci troviamo ora nelle condizioni di poter dire una parola definitiva su questo brutto affare. Quel povero sergente! ci sono i giornalisti che lo fanno impazzire. La notizia del piccolo alterco di ieri sera non è trapelata in tempo per venire pubblicata nelle edizioni del mattino... ma il solo pensiero di leggere il resoconto della nostra scappatella nelle edizioni pomeridiane dei
giornali, mi riempie d'orrore. — Sorseggiò il suo caffè turco. — Speravo proprio di poter chiarire completamente la cosa prima che i cronisti se ne immischiassero... La scena finale troverà un teatro adattissimo nella Ca' Rossa! Nella tarda mattinata Markham ci raggiunse: — Credo che, volente o nolente, quella tal medaglia dovrai buscartela, Vance — annunziò. — Sono stati identificati i tre morti: tre tipi coi quali da molto tempo la polizia desiderava farla finita. Due di loro avevano già scontato parecchi anni di carcere, uno per estorsione, l'altro per omicidio. Il terzo non era altro che il nostro Lamarne, detto Bocchino d'oro, astutissimo ladro. È stato arrestato nove volte ma sempre lo si era dovuto rilasciare per insufficienza di prove. Ora da otto mesi avevamo tutte le prove desiderate, ma lui era come svanito nel nulla... La tua impresa è dunque stata felicissima... Temo però che tu verrai considerato eroe nazionale e che si butteranno stelle filanti dalle finestre, quando passerai per Broadway. — Oh, Markham, Markham! — gemette Vance. — Questo non lo voglio, assolutamente. Partirò per il Sud America, o per l'Alaska, o per la Penisola Malese... Be', ora andiamo ad assistere alla conclusione, prima che io parta per lontane terre dove le stelle filanti sono ignote. — Credi che la conclusione avverrà oggi? — chiese Markham un po' scettico. — Indubbiamente. In realtà la conclusione data già da parecchio, ma sapendo la tua predilezione per le prove legali, ho aspettato fino ad oggi... Markham fissò Vance, senza dir parola. Poi, entrambi, lo seguimmo. Giungemmo alla Ca' Rossa, nella macchina di Philo Vance, che mancavano quindici minuti a mezzogiorno. Heath e l'agente Snitkin erano già sul posto. Pochi minuti dopo Fleel e Kenting arrivarono insieme seguiti quasi immediatamente da Porter Quaggy. Ci eravamo appena seduti in salotto quando la signora Falloway, sorretta dal figlio, ci raggiunse. — Sono molto in pensiero per Magdalen — disse la signora Falloway. — Come sta? — Ho avuto una telefonata dall'ospedale poco prima di venire qui — rispose Vance rivolgendosi non solo alla signora, ma a tutti i presenti. — La signora Kenting sta riprendendosi con insperata rapidità. Non connette ancora a perfezione, cosa naturalissima data la terribile avventura che le è
capitata... ma posso assicurare che fra un paio di giorni sarà di ritorno qui, e in pieno possesso delle sue facoltà. — Sedette presso la finestra e accese una sigaretta. — Avrà certo un mucchio di cose interessanti da raccontarci — proseguì. — Perché, sapete, il suo ritorno non era né previsto né desiderato... In verità, non si è trattato di un caso di rapimento. L'assassino fece di tutto perché la polizia lo considerasse tale... Ma commise troppi errori... volle esser troppo astuto... Credo di poter ricostruire gli avvenimenti nel loro ordine cronologico. Qualcuno aveva bisogno, disperato bisogno di denaro. E tutti i mezzi per procurarselo stavano in mano sua. Perciò ordì una trama semplice e vile... Ma qualcuna delle sue prime mosse fallì, rendendo necessario un piano più ardito e completo... Il piano escogitato era abile, ma l'intelligenza criminale ha i suoi limiti, e gli errori furono inevitabili... Per di più, la persona era accecata dalla urgentissima necessità del denaro. È certo che Kaspar Kenting, dopo essere tornato dal Casinò prese un appuntamento per le primissime ore del mattino. Cambiò d'abiti, di scarpe e uscì. Si trattava di un affare importantissimo per lui, indebitato fino al collo e fiducioso che da quell'incontro potesse sorgere la soluzione del suo problema finanziario. I due misteriosi individui descritti dalla signora Kenting erano due creature innocue, ma avidissime del denaro che Kaspar doveva loro. Ho potuto, sui dati fornitimi dalla signora Kenting, stabilire la loro identità: si tratta di un allibratore e del proprietario di una casa da gioco clandestina. Quando Kaspar mercoledì mattina uscì di casa trovò al luogo stabilito non la persona con la quale aveva preso appuntamento, ma altri individui che non conosceva affatto. Essi lo colpirono alla testa prima che potesse rendersi conto di quanto gli accadeva, lo nascosero nella macchina e poi lo buttarono nel fiume con la speranza che non venisse trovato tanto presto. Un delitto rapido e brutale, compiuto da individui assoldati e istruiti a quello scopo. Sin dall'inizio il colpevole aveva meditato l'assassinio della vittima... Kaspar vivo sarebbe stato un accusatore certo... Il piccolo cinese — che in seguito al colpo infertogli dal sergente è ora in preda a commozione cerebrale — ritornò poi alla Ca' Rossa, dispose la scala a pioli — già preparata all'uopo — sotto la finestra, entrò nella stanza, dispose la scena secondo gli ordini, prese lo spazzolino, il pettine, il pigiama, e appuntò il biglietto al telaio della finestra. Fu dunque il cinese la persona che la signora Kenting udì muoversi nella camera di suo marito. Tutto era stato
concepito per dare l'illusione che Kaspar avesse simulato il rapimento di se stesso onde procurarsi il denaro... Ho ritrovato il pigiama e lo spazzolino — non adeperati — in via di Nostro Signore... Sin qui, tutto era andato bene... Poi arrivò il biglietto minatorio con la cifra fissata per il riscatto: l'intervento della polizia impedì che il denaro potesse essere riscosso... e allora la signora Kenting si vide fissare un appuntamento, forse col pretesto di darle notizie di suo marito. Evidentemente si trattava di una persona in cui lei aveva fiducia. La signora si trovò di fronte gli stessi individui che avevano ucciso suo marito, ma invece di subire la stessa sorte di Kaspar Kenting, fu tenuta come ostaggio. Suppongo che l'ideatore del diabolico piano non sia stato in grado di pagare agli assassini il prezzo stabilito per il primo delitto, mettendoli così in sospetto. La signora viva costituiva una gravissima minaccia per l'organizzatore del complotto che veniva così a trovarsi alla mercé dei suoi sicari. È certo che quella sera la signora adoperò come profumo lo "Smeraldo" di Courtet perché esso le era stato donato dalla persona con la quale doveva incontrarsi... Essendo bionda, non avrebbe mai personalmente comperato un simile profumo. Ecco spiegata la mia, in apparenza futile, domanda dell'altra sera. Tra parentesi — soggiunse Philo Vance con indifferenza — so ora chi regalò lo "Smeraldo" alla signora Kenting. Ci fu un lieve movimento fra gli astanti, ma Vance proseguì senza paura: — Povero Kaspar! Era un uomo debole, e il prezzo del suo sangue gli fu estorto senza che se ne accorgesse. Attraverso la collezione di gemme di Karl Kenting, naturalmente. Egli saccheggiava regolarmente la collezione istigato da qualcuno che gli pagava le pietre preziose un'inezia, a paragone del loro valore, con la speranza di rivenderle con enorme profitto. Ma le pietre cosiddette "dure" sono una merce particolarissima, e non è facile venderle per via illegale. Ci vuole un collezionista che le sappia apprezzare, e i collezionisti sono molto curiosi circa l'origine di quei preziosi oggetti... Ecco perché i sicari non poterono essere subito pagati, e divennero impazienti. Quando io, mercoledì mattina, osservai gli scompartimenti e le bacheche, vidi che gli esemplari più significativi — che certo la collezione doveva aver posseduto in origine — mancavano... Sono sicuro che il rubino baloscio trovato nella tasca del povero Kaspar, vi si trovava perché l'incettatore non lo aveva voluto... Kaspar lo avrà certo preso per un rubino vero. Mancavano esemplari di opali neri, nella collezione, e di giada; e ieri mattina fu scoperta la scomparsa di una magnifica alessandrite... Fraim Falloway balzò in piedi di scatto, paonazzo in volto, e tremante da
capo a piedi: — Non sono stato io! — strillò. — Non sono stato io! Come può immaginare che abbia voluto far del male a Magdalen? Lei è un demonio! Lei non ha il diritto di accusarmi! Si chinò rapidamente verso un tavolino che stava al suo fianco e afferrò una piccola ma pesante statuetta di bronzo, un Antinoo. Heath però fu più rapido di lui: scrollò violentemente, col suo braccio sano, la spalla del giovane proprio mentre quello stava per scagliarsi contro Vance: la statuetta cadde a terra senza far danno. — Mettetegli le manette, Snitkin — ordinò poi il sergente costringendo Fraim a sedere. Snitkin ammanettò destramente il giovane, accasciato e ansante. La signora Falloway che aveva seguito senza batter ciglio tutta l'inaspettata scena, si chinò in avanti con gli occhi pieni d'orrore e parve sul punto di parlare: ma poi tacque. — Creda a me, signor Falloway — ammonì Vance, senza alcuna asprezza nella voce — lei non dovrebbe maneggiare oggetti pesanti quando si trova in simile stato di animo. Mi spiace. Stia quieto, adesso, e cerchi di calmarsi. Poi, come se l'incidente fosse chiuso, continuò: — Come dicevo, erano scomparse alcune pietre della collezione, e ciò costituiva un indizio sulla personalità dell'assassino, per la semplice ragione che la possibilità di vendere clandestinamente simili oggetti induceva a ritenere una sola persona responsabile di entrambe le imprese; una persona in rapporto coi bassifondi della città, assassini e ricettatori. Non era un ragionamento assoluto, questo, lo so, ma molto suggestivo... I due biglietti di ieri poi furono addirittura fasci di luce. Uno era stato evidentemente compilato per ottenere un certo effetto; l'altro invece era sincero... L'impudenza — buona tecnica, in genere — questa volta risultò trasparente... — E chi mai — chiese Quaggy con un freddo sorriso — può riunire in sé, se così posso esprimermi, le qualità richieste dalla sua vaga e divertente teoria? Il fatto che lei abbia visto due opali neri in mio possesso... — La mia teoria, signor Quaggy — lo interruppe Vance — non è affatto "vaga" come lei la definisce... Se poi ha il pregio di divertirla, ne sono lieto... Ma, per rispondere alla sua domanda, dirò che un uomo in grado di rendere servigio, sotto forma di protezione legale, a individui dei bassifondi... Fleel che sedeva davanti alla piccola scrivania, si rivolse a Vance con la
sua solita aria dogmatica: — C'è nelle sue parole un sottinteso molto chiaro, signore... Io sono un uomo di legge e ho naturalmente contatti occasionali con tipi di quell'ambiente, ma... Comunque, non le farò l'onore di offendermi: in realtà le sue elucubrazioni da dilettante sono divertenti anziché no! E si abbandonò sogghignando, contro la spalliera della poltrona. Vance lo guardò appena, e continuò, come se non si fosse verificata alcuna interruzione: — Riferendomi nuovamente alle varie missive pervenute, dirò che esse furono dettate tutte dall'organizzatore del complotto. Tutte, salvo quella ricevuta ieri dal signor Fleel... e furono combinate in modo da allontanare i sospetti sull'identità del vero colpevole, e da indurre il signor Kenyon Kenting a procurarsi i cinquantamila dollari. Io ebbi due dichiarazioni diverse circa la somma che Kaspar aveva richiesto per poter pagare i propri debiti: una, sincera e onesta, indicava la cifra di cinquantamila dollari; l'altra, stupidamente alterata, sempre con lo scopo di allontanare i sospetti dal colpevole, quella di trentamila dollari... Vance guardò Fleel con aria meditabonda e proseguì: — Naturalmente era anche possibile che Kaspar avesse chiesto a lei solo trentamila dollari dopo averne chiesto cinquantamila al fratello... È però altamente significativo il fatto che la somma chiesta al fratello fosse proprio quella pretesa per il riscatto... La diversità delle due dichiarazioni, la sua e quella del signor Kenting, costituiva un indizio a carico del fratello... il che poteva essere considerato facilmente una delle tante trovate messe in opera per allontanare ogni sospetto da lei... Certo il signor Kenyon non poteva aver mentito circa l'entità della somma richiesta, e, d'altra parte, v'era poco o punto motivo di credere che il fratello di Kaspar fosse colpevole del delitto: era lui stesso che doveva sborsare il denaro e la gente, in genere, non commette delitti per diventare povera... No? Tutto sommato dunque non v'era alcuna ragione perché il signor Kenyon Kenting mentisse circa l'ammontare della somma richiesta da Kaspar, mentre c'era una precisa ragione perché mentisse lei, signor Fleel. Vance girò lentamente lo sguardo sugli astanti stupefatti: — La seconda nota ricevuta dal signor Fleel non apparteneva, come già ho accennato, alla serie di quelle compilate dietro istruzioni del colpevole, ma era un documento genuino indirizzato a lui stesso. Egli credette di potersene valere non solo per farsi pagare la somma del riscatto, ma anche per disarmare una volta di più i possibili sospetti. Non pensò che l'indiriz-
zo scritto in modo misterioso e solo per i suoi occhi potesse essere compreso anche da un altro. Oh, sì, si trattava di un messaggio autentico proveniente dai sicari non ancora pagati per la soppressione di Kaspar... Si volse a Fleel e oppose al sogghigno di costui un gelido sorriso: — Quando sospettai di lei, signor Fleel, giovedì mattina, nell'ufficio del procuratore distrettuale, feci in modo che lei ci precedesse, solo, alla Ca' Rossa, per vedere se si sarebbe avverata una mia previsione: che lei, cioè, persuadesse Kenyon Kenting a eliminare l'intervento della polizia. Infatti, così avvenne, e io dovetti oppormi e dissuadere il signor Kenting, cosicché lei non riuscisse a venire tranquillamente, quella sera, in possesso del denaro. Vedendo che il suo piano era fallito, lei mutò subito atteggiamento e accettò la proposta, fattale attraverso il sergente Heath, di nascondere il pacco delle banconote nel tronco dell'albero... Così pensava di eliminare definitivamente ogni supposto nesso fra lei e la persona che voleva il denaro... Uno dei suoi uomini era venuto nel Parco per ritirare il plico, secondo gli accodi... Van Dine e io lo abbiamo veduto. Quando l'individuo si accorse che il piano era stato sventato, andò a riferire subito la cosa ai compagni, istillando loro il timore di non essere pagati. La signora Kenting fu dunque lasciata in vita come una minaccia contro di lei, Fleel, sino a che non avesse pagato. Fleel levò il capo, con un sorriso di compassione: — Non le si è per caso affacciata, signor Vance, l'idea che il giovane Kaspar possa aver simulato il sequestro della propria persona — come io ho sempre sostenuto — e più tardi sia stato ucciso per ragioni e in circostanze a noi sconosciute? Tutti gli indizi tendono, se non erro, a rafforzare questa mia teoria. — Mi aspettavo questa obiezione. È la sua, se così posso dire, uscita di sicurezza... Ma come mai allora, se riteneva così sicuro l'auto-rapimento di Kaspar, lei consigliò con insistenza Kenyon Kenting di pagare la somma richiesta? Il volto di Fleel non mutò d'espressione; anzi sotto lo sguardo scrutatore di Vance, l'avvocato cominciò a ridere quasi apertamente: — Teoria molto ingegnosa la sua, signor Vance, ma che non tiene conto di un fatto: io stesso fui assalito a colpi di mitragliatrice proprio la sera della scomparsa della signora Kenting. Lei ha opportunamente dimenticato questo piccolo episodio che fa crollare tutto il suo castello di carte. — No, oh no, signor Fleel — rispose Vance scrollando lentamente il capo. — Non opportunamente dimenticato, ma opportunamente ricordato...
Un ricordo utilissimo. E lei si buscò una sacrosanta paura, ne sono certo. La sua salvezza non fu dovuta, comunque, a un miracolo; no, il gentiluomo dal fucile mitragliatore non aveva nessuna intenzione di colpirla: voleva soltanto spaventarla e farle comprendere chiaramente quale sorte le sarebbe stata riserbata qualora non avesse pagato, e presto, il compenso dovuto. Lei non fu mai tanto al sicuro, signor Fleel, come sotto il tiro di quella mitragliatrice. Ogni ombra di sorriso svanì dal volto di Fleel; si alzò, paonazzo, e fissò Vance con aria furibonda: — La sua teoria, signor Vance, non ha più nemmeno il merito di essere umoristica. Fino a questo momento mi sono divertito e ho potuto riderne, ma adesso lo scherzo diventa insopportabile. Protesto con ogni mia energia. — La cosa non mi impressiona affatto — rispose Philo Vance. — E sono certo, signor Fleel, che lei protesterà con energia ancor maggiore quando le dirò che in questo stesso istante alcuni periti contabili stanno esaminando i suoi libri d'ufficio e che la polizia sta facendo l'inventario di quanto è contenuto nella sua cassaforte. Per qualche secondo Fleel se ne stette a osservare Vance con la fronte aggrottata. Poi indietreggiò d'un passo e ficcatosi una mano in tasca ne trasse una rivoltella. Tanto Heath che Snitkin lo sorvegliavano attentamente e, nel vedere il gesto di Fleel, il sergente, rapido come un lampo, trasse lui pure una rivoltella di dietro la benda che gli fasciava il braccio. I movimenti dei due uomini furono quasi contemporanei. Heath però non ebbe bisogno di sparare perché in quella frazione di secondo Fleel s'era portato la rivoltella alla tempia premendo il grilletto... L'arma gli cadde di mano. Rimase un attimo appoggiato alla scrivania, poi crollò al suolo. Vance che era rimasto, in apparenza, imperturbato, si alzò e si avvicinò al corpo di Fleel. Noi tutti eravamo troppo paralizzati dallo stupore per poter compiere il più piccolo movimento. — Morto, Markham... Questo ti risparmierà un mucchio di noie legali... Poi con un cenno del capo indicò a Snitkin Fraim Falloway. Snitkin dopo un attimo di esitazione andò a liberare i polsi del giovane. — Spiacentissimo, signor Falloway — mormorò Vance — ma lei aveva perso il controllo dei suoi nervi, e ciò era noioso... Sta meglio ora? — Sto benissimo — balbettò il giovane. Effettivamente sembrava ora in uno stato d'animo tranquillo, quasi gioioso: — E Magdalen sarà di ritorno fra un paio di giorni! — concluse frugandosi in tasca per trovare una siga-
retta. — A proposito, signor Kenting — disse Vance. — C'è un punto che vorrei chiarire... Il procuratore distrettuale non riuscì ieri a mettersi in contatto con lei... Vuol dire che cosa fece, ieri sera? Consegnò per caso i cinquantamila dollari a Fleel? — Sicuro! — esclamò Kenting balzando in piedi eccitato. — Glieli consegnai ieri sera, poco dopo le nove. Avevamo ricevuto le istruzioni finali... Fleel, almeno, le aveva ricevute... Mi chiamò al telefono, ci trovammo e mi raccontò che qualcuno gli aveva telefonato dicendogli di potare il denaro, non so bene dove, alle dieci di sera... Mi affermò anche che quella persona si era detta disposta a incontrarsi soltanto con lui. — Esitò qualche istante, poi continuò: — Dopo quello che era successo nel Parco non osavo più agire col concorso della polizia, e quindi mi lasciai convincere da Fleel ad affidargli il disbrigo della cosa... Non telefonai al signor Markham, e quando lui mi chiamò gli feci dire che non c'ero. Ero disperato... Volevo che Magdalen fosse salva... Così consegnai il denaro a Fleel... — Capisco benissimo, signor Kenting — disse Vance. — Ero sicuro che lei gli avesse consegnato il denaro, perché ieri sera Fleel telefonò alla casa di via di Nostro Signore — Heath riconobbe la sua voce — certo per avvertire i suoi complici ch'era pronto a pagare... Naturalmente Fleel non aveva ricevuto nessun messaggio, ieri sera, ma era anche lui disperato, per bisogno di denaro... Fu troppo imprudente nel mostrarci il biglietto speditogli dai suoi sicari. Lo fece per accrescere il suo spavento, signor Kenting, e perché era certo che nessuno potesse decifrare quel linguaggio convenzionale... Io credo che abbia dilapidato, in un modo o nell'altro, la parte del patrimonio Kenting da lui amministrata direttamente. Lo sapremo dal rapporto dei periti contabili... Ma questa è cosa che esula dalla nostra missione... — Si alzò, sbadigliò, guardò l'orologio: — Perbacco, Markham, è ancora abbastanza presto. Se mi spiccio arriverò in tempo per il secondo atto del Tristano... Vance traversò rapidamente la camera, andò a inchinarsi davanti alla signora Falloway, e le baciò la mano. Poi uscì dirigendosi, quasi di corsa, alla sua macchina che aspettava presso il marciapiedi. Quando giunse, verso sera, il rapporto dei periti, potemmo constatare che Vance aveva perfettamente ragione. Fleel si trovava in condizioni finanziarie disperate avendo giocato e perduto in Borsa in nome proprio coi fondi che deteneva come amministratore fiduciario dei Kenting. Entro po-
che ore, date le pressioni esercitate da varie banche, le sue malversazioni sarebbero state scoperte. Il suo deficit era di circa cinquantamila dollari. Nella sua cassaforte vennero trovate quasi tutte le pietre mancanti dalla collezione Kenting; alessandrite compresa (quando e come egli fosse venuto in possesso di quest'ultima gemma, non lo si seppe mai), e così pure vennero rintracciati i cinquantamila dollari così fiduciosamente affidatigli da Kenyon Kenting. Tutto ciò, accadde alcuni anni fa. Ora Kenyon Kenting ha sposato sua cognata Magdalen ritornata sana e salva alla Ca' Rossa, due giorni dopo la morte di Fleel. Meno di un anno fa, Vance e io ci recammo a bere una tazza di tè dalla signora Falloway. Vance nutriva una vera simpatia per la vecchia inferma. Mentre stavamo per congedarci, Fraim Falloway entrò. Era profondamente mutato, dall'epoca del "caso Kenting". S'era fatto un giovane sano, vivace, normale, in una parola. Seppi, più tardi, che sua madre, seguendo il consiglio di Philo Vance, lo aveva affidato a uno specialista delle affezioni ghiandolari per una cura di parecchi mesi. Credo interessante riferire, a mo' di conclusione, che il primo atto di Kenyon Kenting, dopo il suo matrimonio con Magdalen, fu quello di far ripulire la Ca' Rossa dalle ultime tracce del suo color sanguigno. Essa è ormai un edificio d'aspetto assolutamente domestico, e pacifico. FINE